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Presentazionedi M.C.

La parola al microscopio

Storia e cultura, granai pubbliciper costruire il senso civicoIntervista con Massimo Braydi Mariantonietta Colimberti e Maria Galluzzo

La bellezza trafigge. Come la fededi Gianfranco Ravasi

Scelte

La politica, per dare un senso all’ottavo giornodi Pierluigi Castagnetti

La bella sinistradi Mario Lavia

Vivere da magistrato: anch’io dico che ne valeva la penaIntervista con Piercamillo Davigodi Mariantonietta Colimberti

In monastero, a “mirar la hermosura de Dios”di Maria Antonietta Giudici

Francesco a Lampedusa,un tempo di grazia nel dolore condivisodi Stefano Anastasi

Italia

In viaggio verso la bellezza.Il turismo tra economia, cultura e identità italianadi Massimo Bergami

AREL la rivista ⁄

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Sommario

La tutela costituzionale del bello. Il duello tra conservazione dell’ambiente e sviluppo economicodi Carla Bassu

Accogliere in tecnologia:la sfida dei centri storicidi Andrea Granelli

Periferie: ruolo e potenzialità nel divenire delle città italianedi Marina Dragotto

Rigenerazione urbana: occasioni e opportunità dai processi di dismissione degli immobili pubblicidi Francesco Gastaldi e Federico Camerin

Roma divisa ha bisogno di politicadi Marianna Madìa

Da Nerone Manzoni e Viscontiun invito a guardare oltre l’Imudi Roberto Ippolito

Al di là degli stereotipi:dimensioni d’impresa, concorrenza e sviluppodi Valerio Castronovo

La fedeltà fiscale è ancora un tabùdi Raffaella Cascioli

Culture

Una magia fugace.Visioni estetiche del Giapponedi Giorgio Amitrano

Andrea
Evidenziato
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AREL la rivista ⁄

La cosmesi spicca il volo in Cina,nonostante i piedi fasciatidi Romeo Orlandi

Corea: il fascino perverso della bellezza altruidi Maurizio Riotto

La bellezza sonora del mondo.Breve storia dell’Armonistica in Italiadi Antonello Colimberti

Dalla Bellezza alla Cuteness: dal valore al feticcio esteticodi Giancarlo Carpi

La bellezza nelle religioni monoteiste

Etica ed estetica convivononella terra d’Israeledi Claudia Milani

Salvezza cristiana e via pulchritudinisdi Stefano Biancu

Al centro della rivelazione:nel Corano armonia, unità e perfezionedi Girolamo Pugliesi

I diktat della contemporaneità

Quando l’aspetto fisico è un’ossessione:dal senso di sé al rapporto con la realtàIntervista con Alessandra Lemmadi Mariantonietta Colimberti e Emanuele Caroppo

La bellezza tra estetica, biologia e societàdi Antonio Maturo

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Sommario

Esistere attraverso il corpo:modelli culturali, psicopatologia e identitàdi Emanuele Caroppo

Insegnamento, comunicazione, rappresentazione

Educare. Generare nella bellezzadi Giuseppe Tognon

L’esperienza del leggere. Per imparare a scegliere nella vitadi Francesco Belluzzi

Se la bellezza lascia la Tv per YouTubedi Marco Giudici

Perdita e assenza nel cinema contemporaneodi Mazzino Montinari

Il trionfo dell’immagine.Tecnologia e grafica digitale al serviziodelle web community e del businessdi Lelio Alfonso

Il ritratto di Oscar Wilde,la pienezza dell’arte, lo smarrimento del viveredi Federico Smidile

Annotazioni sulla bellezza, Dante e Manzonidi Nicola Longo

Sprazzi di bellezzaa cura di Marta Tamburrelli

Osservatorio bibliograficoa cura di Pierluigi Mele

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AREL la rivista ⁄

Ricordo di Leopoldo Elia

La Costituzione: i principi e gli strappiIntervista pubblicata nel numero 2/2008 “Confini”

In questo numero

AREL la rivista ⁄

Quadrimestrale di analisi scientifica e di dibattito

DIRETTORE RESPONSABILE

Mariantonietta Colimberti

REDAZIONE

Maria Elena Camarda, Emanuele Caroppo, Raffaella Cascioli, Maria Galluzzo, Marta Tamburrelli,Gianmarco Trevisi

Aut. Tribunale Civile di Roma n. del ⁄ ⁄ © copyright Arel Servizi s.r.l.

Piazza S. Andrea della Valle 6, Romatel. ⁄ ⁄ ⁄ ��telefax www.arel.it [email protected]

IN COPERTINA

Gerardo Dottori, Incendio nella città (1930 ca.), olio su tela?????Per la gentilissima concessione si ringrazia l’associazione culturale FUTUR-ISM, www.futur-ism.it

Grafica di Attilio Baghino

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Nel grande capitolo della valorizzazione delpaesaggio antropizzato – oggi ci piace dire delle Smart Cities – un capitolo a sé riguarda i centristorici. La rilevanza del tema è noto e dipende nonsolo dal contributo essenziale che il patrimonioculturale nel caratterizzare le nostre città – non solodal punto di vista identitario, ma anche comemagnete attrattivo per il turismo culturale e comeluogo naturale per accogliere la cosiddetta classecreativa – ma anche per la sfida che pone una sua“corretta” conservazione.

Il tema più generale è il dialogo fra tradizione econservazione che, diventa di particolare attualitàgrazie alla (ri)nascita delle città. Nell’epoca dellaconoscenza il territorio ritorna infatti centrale nellaproduzione di ricchezza e nella creazione di vantaggicompetitivi (e cioè sostenibili nel tempo) uscendo daquel cono d’ombra dove la cultura industriale – le“città dormitorio” – e l’utopia digitale – la “mortedella distanza” – lo aveva confinato e diventando una

delle chiavi dell’economia post industriale.Naturalmente ciò non vale per tutti i territori ma perquelli caratterizzati da specificità e unicità (legate aduna sedimentazione storica dell’attività plasmatricedell’uomo) riconosciute per il loro valore non solo dachi vi abita; gli antichi direbbero quei territori “abitati”da un genius loci, da uno spirito del luogo. Le cittàd’arte, i borghi antichi o le città che hanno mantenutoun “cuore antico” e riconoscibile: il centro storico oquartieri caratterizzati da specifiche tipologiearchitettoniche non contemporanee che richiedonoprocessi di conservazione e tutela non ordinari. Questaè la cifra delle città italiane. Tra l’altro il problema delrestauro e della conservazione incomincia a sentirsianche per gli edifici neoclassici e per il modernismo.Aziende come Mapei sono nate sulla falsa promessadel cemento che richiede ingenti interventimanutentivi. Oltretutto – per la legge italiana – dopocinquant’anni un edificio di pregio vieneautomaticamente vincolato dalle belle arti.

Accogliere in tecnologia: la sfida dei centri storicidi Andrea Granelli

La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza.

Albert Camus, L’uomo in rivolta

La bruttezza si descrive, la bellezza si dice.Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola

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Ora queste città sono parte integrante delpaesaggio e della storia tipica dell’Italia: l’aver fondatola nostra civiltà, da un lato sul fenomeno urbano dellecittà e, dall’altro, su di un rapporto di simbiosi con ilterritorio, è una peculiarità che certamente non è soloitaliana, ma che ha assunto in Italia dei trattiinconfondibili. L’aspetto forse più caratterizzante – come ha acutamente osservato Michele Furnari – è ildialogo mai interrotto con l’antico, una sua adozionepotremmo dire generalizzata. L’importanza delle radiciantiche, ma anche la praticità di riutilizzare il giàcostruito (non solo i materiali ma gli stessi edifici)hanno sempre caratterizzato le nostre città. Per JacquesLe Goff – ad esempio – la città italiana si identifica peril “peso” dell’eredità antica: la presenza di monumentiantichi è sempre stata infatti, nelle città italiane,davvero significativa e impressionante ed ha il suo apicefra il 1460 e il 1570 dove il tratto distintivo degliinterventi urbani diviene – come ha notato WolfgangLotz: «Il consapevole tentativo di legare il nuovo conl’antico in una sintesi superiore di armonica unità».Questo dialogo si basa su un vero e proprio rispetto perla bellezza architettonica e l’arredo urbano che haorigini antiche: «Se tra i nuovi popoli l’arte è un lusso,in Italia essa è il fiore della nostra anima nazionale, chevibra perennemente da trenta secoli» titolò nel 1903 «Il Giornale d’Italia». Ad esempio gli antichi Romaniavevano posto dei limiti allo ius utendi atque abutendi ela conservazione dei monumenti era affidata ad unmagistrato, mentre gli imperatori Vespasiano e Adrianoavevano proibito di staccare dagli edifici pubblici eprivati marmi, colonne ed altriornamenti di pregio: a unproprietario era concesso“spostare” i marmi da una casa aun’altra – sempre di suaproprietà – a condizione peròche non ne soffrisse l’ornato

pubblico. Anche i papi – dal Rinascimento a Pio VII –avevano posto molta attenzione nel conservare ilpatrimonio culturale, come è testimoniato da alcuniincunaboli.

Osserva sempre Furnari che gli edifici modernivenivano inseriti all’interno della città con un processoche creava un confronto diretto con gli edificiprovenienti dal passato. Questo confronto ribadiva cheun “buon progetto di architettura” doveva sempreconfrontarsi con i luoghi in cui esiste un “prima” che èfatto di molteplici stratificazioni, aggiunte,integrazioni. Perfino quando l’edificio diventa unsimbolo, una interpretazione ideale di principiarchitettonici, deve confrontarsi e adattarsi al contesto.Leon Battista Alberti, nel suo De Re Aedificatoria, ne faaddirittura una trattazione teorica: la cosiddettaconcinnitas – «conserto di tutte le parti accomodateinsieme cô proportione & discorso» – diviene perl’Alberti lo strumento concettuale che consente diprogettare non solo la formazione della città nuova,ma anche la riforma della città presente; a questoproposito egli raccomanda caldamente di studiareaccuratamente le rovine antiche e di comprendernenon solo gli stili e i significati, ma anche le proprietàspaziali e le logiche di collocazione nel contesto in cuiinsistono. La sfida è sempre stata quella di vedere ilpassato non in maniera fissa e nostalgica, ma comeponte e ispirazione per la modernità.

A questa dialettica fra edificio e città, se ne èaffiancata una seconda – quella fra città e campagna –e insieme hanno definito i contenuti di un principio

di identità nel quale – pensiamo come emblema allapiazza di Pienza – per lungotempo si sono identificati gliabitanti dei borghi e delle cittàitaliane. Ha osservato AntonioPaolucci che

AREL la rivista ⁄

La sfida è vedere il passato non in maniera fissa e nostalgica,

ma come ponte e ispirazione per la modernità.

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«il vero primato del nostro paese non è di possedere laquota maggioritaria del patrimonio culturale mondiale, ma consiste nel fatto che qui da noi il museo è ovunque, in ogni angolo più remoto del territorio; un vero museo“diffuso”, che esce dai suoi confini, occupa le piazze e lestrade, si distribuisce ed è presente in ogni piega delterritorio».

Questo connubio indissolubile fra natura eattività plasmatrice dell’uomo è dipeso probabilmentenon solo dalla volontà creatrice degli abitanti maanche dalle specifiche caratteristiche dei luoghi dellanostra penisola. Come ha notato Carlo Cattaneo,

«in Italia più forse che in qualsiasi parte della terra lecondizioni del suolo, che a primo tratto si direbberoprodotto di circostanze accidentali e transitorie, si colleganointimamente con gli avvenimenti storici».

I moderni progetti di riqualificazione dei luoghiantichi tengono presente queste caratteristiche ma – nel contempo – li ripensano per utilizzi futuri nelpieno rispetto e coerenza del loro passato. Non èinfatti più sufficiente la predisposizione di specificheprestazioni e neppure la riproduzione filologica degliantichi fasti. Questi edifici devono tener presente leattività che ivi verranno svolte (con particolareattenzione al numero e durata delle permanenze) e – nel contempo – devono utilizzare le caratteristicheartistico-simboliche dell’edificio per consentire unaesperienza emozionante, coinvolgente e memorabile.Questi aspetti vanno tenuti presenti in quanto – soprattutto nelle città d’arte – essendo meta diturismo, va bilanciato il riconoscimento conl’estraneazione che deriva da un luogo nuovo, va cioègestita la dialettica fra identità e novità. Per questomotivo le città d’arte – quando vissute in profonditàgrazie anche alle tecnologie digitali – sono il luogo

ideale dove tradizione e innovazione interagiscono e sicomplementano. Oltretutto le nostre città d’arte sonoveri e propri “paesaggi”, che propagano la conoscenzamentre vengono visitate e moltiplicano il valore per glioggetti che contengono. La nostra ricchezza e unicitànon è determinata infatti solo dalle singole opered’arte, ma soprattutto dal contesto in cui esse sonocollocate. Non siamo il paese dei musei e delleWunderkammer, ma piuttosto un continuum integratodi manufatti, paesaggi e tradizioni: ed è proprio questoche l’urban experience può far (ri)vivere.

Sono queste le urban experience rese possibilidalle nuove tecnologie digitali come la localizzazione ela georeferenziazione, la trasmissione digitale deisegnali radio e i sensori che danno “sensibilità” agliambienti che “reagiscono” a chi li visita.

Ora le città storiche sono a pieno diritto unesempio – forse l’esempio – di patrimonio culturaleche è, nei fatti, il primo, più noto e forse più autenticoprodotto di made in Italy. Inoltre la cultura è uno“strumento” capace di dare valore economicoall’immaterialità e sta oggi avendo una (rinnovata)centralità. Da molti è considerato un vero e proprio“detonatore” economico.

La rilevanza del patrimonio culturale in Italia ènota a tutto il mondo. Il motivo non è legato solo allanumerosità di artefatti, archivi e biblioteche, prodottimusicali, siti culturali, edifici e centri storici di pregio(in Italia vi sono 44 “luoghi” considerati dall’Unescopatrimonio dell’umanità) ma anche – e forsesoprattutto – alla loro incredibile varietà, diversità earticolazione. Il vero primato del nostro paese non è dipossedere la quota maggioritaria del patrimonioculturale mondiale, ma consiste nel fatto che qui danoi il museo è ovunque, presente in ogni angolo piùremoto del territorio; un vero museo “diffuso”, cheesce dai suoi confini, occupa le piazze e le strade, sidistribuisce ed è presente in ogni piega del territorio.

Accogliere in tecnologia: la sfida dei centri storici di Andrea Granelli

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Per questi motivi possiamo considerarci il più grandelaboratorio a cielo aperto legato alla cultura, doveprogettare, sperimentare e adattare tecnologie,materiali, metodologie, format narrativi e meccanismiproduttivi che ci consentono di conservare, tutelare evalorizzare questo patrimonio dell’umanità.

La creazione, gestione, tutela e valorizzazione ditale patrimonio culturale sta infatti sviluppando unfiorente mercato caratterizzato da piccole e medieaziende (con anche la presenza qualificata di alcunegrandi) dai forti contenuti tecnologici. Nuovimateriali, tecniche costruttive innovative, strumenti dimisurazione e diagnostica, modellistica 3D,piattaforme digitali, sono esempi tangibili. Questoprocesso non si limita a usare le tecnologie ma spingeavanti la frontiera dell’innovazione: si pensi ai batteri“mangia-patine”, al cemento bianco contenentenanomolecole di titanio che non si sporca, agliacceleratori di neutroni in grado di radiografare lestatue e ricostruirle dall’interno, fino alle recentiinnovazioni del settore digitale (mappe satellitarinavigabili, sistemi georeferenziati portatili, tag aradiofrequenza per marcare gli oggetti, ecc.).

Questo settore presenta inoltre interessantiesternalità positive. Ad esempio le competenzenecessarie per restaurare un palazzo “storico” sulCanal Grande (con le fondamenta nell’acqua esoggetto a continui moti ondosi e maree) sono difrontiera e “credibilmente” utilizzabili nei settoritradizionali dell’edilizia. Tali competenze sono diparticolare rilevanza oggi dovel’effetto serra e ildisboscamento stanno facendodell’acqua (tsunami,tropicalizzazione del clima,alluvioni come quella di NewOrleans) uno dei fenomeni piùtemuti per l’edilizia.

Questa bellezza e ricchezza storico-artistico-paesaggistica non è l’eredità “immeritata” dei nostriavi, ma il prodotto consapevole:

– di una cultura della conservazione e delrispetto del passato (i suoi materiali, i suoi stili i suoisimboli) che ha sempre visto il dialogo tra tradizione emodernità;

– della disponibilità – nel nostro paese – ditecnologie e metodologie progettuali (spesso derivatedal design) molto innovative e perennementeaggiornate che hanno permesso di dare corpo a questavisione dialogante e rigeneratrice fra passato e futuro;

– della presenza di una pervasiva “cultura delfare” di matrice artigiana.

D’altra parte innovare ha sempre voluto direcreare un ponte fra la novità e la tradizione, tra l’ignoto(o il non ancora conosciuto) e il noto. Le innovazionidi successo sono in qualche modo “attese”, il loro uso ènaturale, quasi fossero sempre esistite. Senza entrarenella querelle filosofica fra scoperta e rivelazione, e cioèse l’uomo può davvero inventare qualcosa di nuovo o silimita a far emergere e raccontare quanto era inpotenza sempre esistito, la doppia valenzadell’innovazione è un fatto oramai assodato. Spessol’innovazione è un fiume carsico che scorre a lungosottoterra e poi improvvisamente (ri)emerge. La storiadella tecnologia è spesso una storia di ritrovamenti,come per esempio le grandi innovazioni di ingegneriacivile fatte durante la Roma imperiale, “dimenticate”

nel medioevo e successivamente(ri)scoperte.

È evidente che questodialogo fra modernità etradizione ha il suo terreno dielezione nella valorizzazione del patrimonio culturale, dovevi sono:

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Nel nostro paese il museo è ovunque, presente in ogni

angolo più remoto del territorio;un vero museo “diffuso”,

che occupa le piazze e le strade.

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– luoghi ed edifici da conservare e – spesso –riqualificare per adattarli alle esigenze dellacontemporaneità;

– contenuti culturali antichi da farcomprendere al pubblico di oggi, spesso grazie a(ri)costruzioni virtuali e a (ri)contestualizzazioni.

In questo ambito il contributo del design puòessere straordinario, consentendo di ridurre al minimouno dei rischi della valorizzazione del patrimonioculturale: la trasformazione dell’atto di valorizzazione inuna celebrazione nostalgica dei “bei tempi andati” chetende a mummificare il nostro “glorioso passato”. Inquesto caso il passato si fissa in feticcio da contemplarecon nostalgia e reverenza e non diventa una radicevivificante da reinterpretare. L’antico deve diventare unponte per la modernità: «Essere stati è condizione peressere» diceva lo storico Fernand Braudel.

La valorizzazione di quella parte del patrimonioculturale costituito da edifici e luoghi antichi o con unelevato valore simbolico e integrato nella vita di tutti igiorni è pertanto sempre di meno un’attività di tipoconservativo e sempre più frequentemente una vera epropria attività di design. Infatti l’esigenza di riutilizzodi un edificio – per cambiarne (anche solotemporaneamente) la destinazione d’uso – deveavvenire senza però recidere il filo con il passato,comprendendo e attualizzando il suo genius loci, ciòche di fatto ne ha assicurato la permanenza fino ainostri giorni e che continua a manifestarsi, anche sesotto mutate spoglie. Queste attività si trasformano inun vero e proprio (re)design del contenitore checonsente nuove interpretazioni e utilizzi senza peròsnaturarlo. È utile ricordare che vi sono due approccinel modo di rapportarsi con un luogo “antico”;considerarlo cioè:

– un “corpo morto” che va mantenutoossessivamente come era, venerato e ogni “contatto”

non ritualizzato rischia infatti di contaminarlo e diprofanarlo;

– un “corpo vivente” con cui si dialoga e siinteragisce e dal cui rapporto si esce vivificati ereciprocamente – sia il visitatore sia il luogo –trasformati (ad esempio la facciata di S. Maria Novellari-progettata dall’Alberti).

Borghi medioevali, antichi castelli, villerinascimentali, siti archeologici, ma anche vecchiefabbriche o edifici modernisti in disuso diventanopertanto luoghi di sperimentazione e di rinascita, dovele pietre antiche convivono con i nuovi materiali e lenanotecnologie, dove i ritmi architettonici degliambienti acquisiscono un’anima digitale e un sistemanervoso fatto di impianti, cablaggi e reti di sensori e sitrasformano in nuove fonti di ispirazione – meta di unmoderno Grand Tour.

Questo confronto fra le tecnologie e i luoghi ciconsente di far emergere un altro aspetto saldamentelegato al concetto di bellezza: la dimensione etica – kalos kai agathos dicevano i greci (e «Il bello è losplendore del vero» riprende San Tommaso). Labellezza indice di qualità, di accoglienza, di rispetto,ma anche la bruttezza, l’incuria come autorizzazione aperpetrare il danno di cui gli edifici portano traccia; èquesta la teoria dei “vetri rotti” – sviluppata tra glialtri da Malcom Gladwell nel suo celebre The TippingPoint. How little things can make a big difference[Little Brown and Company, 2000] – che, seppurnon condivisibile soprattutto nelle sulla implicazionesu come prevenire il crimine, mette in luce ilpotenziale emotivo e cognitivo che può nascere dallabellezza o bruttezza di un luogo per chi lo abita o lofrequenta.

E in questo ambito le nuove tecnologie hannomolto da dire: infatti il tema dell’accoglienza e ilpotenziale contributo delle nuove tecnologie (digitali,

Accogliere in tecnologia: la sfida dei centri storici di Andrea Granelli

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energetiche, nuovi materiali,ecc.) ad una sua correttaprogettazione e gestione è statoaffrontato nel secondoseminario interdisciplinaresull’accoglienza Territori, città,imprese: smart o accoglienti?,organizzato nella splendida cornice di Offida – borgomedioevale in provincia di Ascoli Piceno – dallaFondazione LavoroPerLaPersona, giovaneorganizzazione no profit fondata da Gabriele Gabriellila cui missione è valorizzare il lavoro come espressionedella persona.

Accogliere l’altro, il diverso da noi, legenerazioni che si succedono. Accogliere perapprendere e conoscere, accogliere per adattarsi eprepararsi al nuovo e al diverso, non limitandosi aospitare, ma a interagire; non limitandosi a dare maanche a ricevere, in una sorta di dono reciproco. La dialettica fra tecnologie (smart) e relazioni umane(accoglienti) viene approfondita dal seminario con unalettura interdisciplinare declinata lungo tre linee: ilterritorio, la città e l’impresa. Pur nella loro diversità, i tre ambiti presentano infatti molti punti di contattoe possono mutualmente beneficiare di un confronto,dialogando attorno a numerose domande comequeste:

– Come costruire territori accoglienti?– Come fare in modo che i luoghi (territori,

città, imprese) producano legami?– Come organizzare questi luoghi (soprattutto

le imprese) per valorizzarne la dimensione comunitariae di progetto che accoglie motivazioni e competenze?

Il concetto di accoglienza è ricchissimo – forseaddirittura fondativo dell’umanità e del suo costituirsiin società – ed è stato affrontato nel seminario diOffida usando un metodo specifico:

– leggendolo attraversotre sue specifichemanifestazioni: nel territorio,nella città e nell’impresa;

– usando diverse letturedisciplinari: filosofica,sociologica, economica,

organizzativa, artistica, urbanistica, architettonica,geografica e religiosa;

– unendo teoria e pratica come doppia letturacapace di rivelare nuove connessioni e significati;

– scavando etimologicamente nella parola“accoglienza”, per far emergere significati oramaisepolti …

… e usando la lente della tecnica che apparentementela nega, ma di fatto può anche arricchirla, per capirnedi più. Analizzando cioè i modi mediante i quali latecnologia rende più accogliente o disumanizza unluogo, sono emersi ulteriori aspetti dell’accoglienza,meno noti ma ugualmente importanti, come peresempio il prolungamento dell’esperienza di visita o lacondivisione con altri che non c’erano.

Le domanda-guida che il seminario haaffrontato sono pertanto le seguenti:

– Come si declina il valore anticodell’accoglienza nell’era della tecnica ?

– Viene mortificata o addirittura alimentata efortificata?

Le categorie High Tech e High Touch introdotteda John Naisbitt oltre 30 anni fa (con il suoMegatrends) sono ancora esplicative ?

Per uscire dall’apparente contraddizione,dobbiamo entrare nella dinamica del confronto fra idue significati e comprendere meglio i particolari:«Dio abita nei dettagli» ci ricorda il grande architettoAdolf Loos. Dobbiamo dunque entrare nel “come”

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La valorizzazione di edifici e luoghi antichi è sempre piùfrequentemente una vera

e propria attività di design.

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– come accogliere e come usare le nuove tecnologie –per fare in modo che le apparenti contraddizioni epolarizzazioni si mettano a dialogare e si arricchiscanoreciprocamente, trovando nuove compatibilità etalvolta addirittura nuove sintesi. L’obiettivo ultimo è– in qualche modo – rigenerare la parola, ripristinarlanei suoi significati antichi per avere più consapevolezzadei suoi molteplici significati.

Vediamo allora alcune dimensionidell’accoglienza, emerse durante il seminario:

1) accoglienza richiede innanzitutto di stare inpace con se stessi; chi accoglie deve innanzituttoaccogliere se stesso, altrimenti non sarà in grado diaccogliere l’altro;

2) accoglienza richiede lacapacità – le risorse (soprattuttoeconomiche) – per accogliere;ogni progetto di accoglienzadeve innanzitutto confrontarsicon la sua sostenibilitàeconomica; il progetto diriqualificazione di uncontenitore deve dunque partiredal contenuto. Un caso particolarmente interessante aquesto proposito è la conservazione e riuso del palazzoCigola Martinoni in provincia di Brescia curatodall’architetto Cesare Feiffer, che ha previsto anchel’attiovazopme do progettio sul territorio, come peresempio la reintroduzione del “monococco”, varietà difrumento tenero presente in quei luoghi oltre 10.000anni fa e oltretutto capace di contrastare l’effettotossico del glutine nei soggetti celiaci;

3) accoglienza richiede uno spazio specifico peraccogliere – sia fisico che simbolico. La foresteria eraper esempio parte integrante dell’identità di unmonastero benedettino; ciò ha due specificheimplicazioni:

a) non è importante la dimensione quanto laqualità: «Non coerceri a maximo, sed contineri a minimodivinum est» diceva Sant’Ignazio (non essere ristrettidallo spazio più grande, ma essere in grado di starenello spazio più ristretto). Questa frase, ripresa dapapa Francesco nell’intervista di Antonio Spadaro, ci ricorda che l’abilità è essere capaci di valorizzare lecose piccole all’interno di grandi orizzonti;

b) la bellezza deve essere legata all’essenzialità,alla coerenza con lo scopo; non serve quellastupefacente delle Archistar, che vuole «épater lebourgeois». Anche l’apparenza conta, ma non comebellezza “per se”, ma come espressione della culturadell’accoglienza che l’ha prodotta; in alcuni casi il

segno architettonico puòaddirittura scomparire, come lefabbriche ipogee progettatedall’architetto Enzo Eusebi;

4) accoglienza richiedeuna cultura dell’accoglienza edel dialogo che si ponga comeobbiettivo non convincerel’altro ma capirne le ragioniprofonde: potremmo dire un

confronto più dialogico che dialettico; 5) accoglienza richiede infine di poter disporre

anche del “tempo “giusto”: giusto sia per la sua duratasia per la sincronicità rispetto a ciò che accade. Si devecioè poter utilizzare anche quello che i Grecichiamavano kairos, il tempo “opportuno”.

Da queste riflessioni sono emerse anchespecifiche considerazioni sulla tecnologia e sul suoruolo nel rendere i luoghi attraenti ed accoglienti,riassumibili nel fatto che è certamente un fattoreimportante (talvolta anche fondamentale) ma deveritornare ad essere strumento, mezzo e non più fine.Troppe volte infatti la smartness di un luogo (pensiamo

Accogliere in tecnologia: la sfida dei centri storici di Andrea Granelli

Le pietre antiche convivono con i nuovi materiali

e le nanotecnologie, i ritmiarchitettonici degli ambientiacquisiscono un’anima digitale

e un sistema nervoso.

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alla moda delle smart cities) viene definita nella sostanzacome “piena di tecnica”. Un utilizzo “corretto” dellatecnologia nel creare luoghi accoglienti, nel restaurarli(per renderli nuovamente accoglienti) e nel supportarel’esperienza che in quei luoghi si sviluppa, si esplicitadunque lungo tre dimensioni:

– non solo progettando nuovi luoghi mariparando quelli “antichi” creando un nuovo dialogofra tradizione e innovazione;

– creando e “manutenendo” nel tempo lerelazioni (tra le persone e i luoghi e tra coloro che

hanno visitato quel luogo), con particolare attenzioneall’insorgere delle cosiddette pseudo-relazioni chepossono nascere sul digitale, apparentemente simili aquelle reali ma spesso vuote, simili come il gesso e ilformaggio (come notava Zygmunt Bauman);

– aiutando lo scambio di beni e servizi basatisulla fiducia (ad esempio lo scambio di case lanciato daHome Exchange) – che dilata i possibili frequentatoridi un luogo – e prevenendo nel contempol’appropriazione “rapace” tramite l’estromissionepubblica dalla comunità di “scambiatori” di chi violale regole.

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