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3 TESTI PER LE COMUNITÀ SUL TEMA DEGLI STILI DI VITA E DELL'AMBIENTE PROPOSTE DI ALCUNI PERCORSI fORMATIVI PER PARROCCHIE, ORATORI E ASSOCIAZIONI A PARTIRE DALL'ENCICLICA “LAUDATO SÌ” Vedere, Giudicare, Agire, Celebrare

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TESTI PER LE COMUNITÀSUL TEMA DEGLI STILI DI VITA E DELL'AMBIENTE

PROPOSTE DI ALCUNI PERCORSI fORMATIVIPER PARROCCHIE, ORATORI E

ASSOCIAZIONI A PARTIRE DALL'ENCICLICA

“LAUDATO SÌ”

Vedere, Giudicare, Agire, Celebrare

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Il rapporto con le cose“Occorre vivere più semplicemente per permettere agli altri semplicemente di vivere” (E.F. Schumacher)  A metà ottocento, Henry Thoreau, un grande poeta e scrittore, scriveva: “Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno”.Oggi questo ci potrebbe sembrare un punto di vista impensabile, persino un po’ utopico. La nostra società ci ha ormai imposto uno stile di vita frenetico, basato sulla volontà di possedere, di accumulare. Siamo costantemente bombardati da informazioni riguardanti l’andamento dell’economia, della società, analizzati e messi a confronto con altre realtà sociali, in nome del progresso e di quella che dovrebbe essere una crescita costante. Anche la recente crisi finanziaria ed economica impone di saper leggere, in tutta la sua complessità, il messaggio che la crisi porta con sé: quello dell’insostenibilità di una forma di vita tutta centrata sull’incentivazione del consumo ad ogni costo, anche al di là delle reali possibilità delle persone e delle comunità.La sfida è fare scelte coraggiose, essere consapevoli che le nostre azioni possono “spostare” scelte compiute da altri a discapito di molti.

Laudato sì (222)

“Si tratta della convinzione che “meno è di più”. Infatti il costante cumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri”.

 

PARLANO I FATTI Chi di noi non sperimenta quotidianamente gli effetti negativi di un certo modello di sviluppo, il malessere e la dipendenza che provocano un certo modello di società ?Il consumismo è una delle malattie della società e dell'uomo contemporaneo. Si compra più di quanto serva, si abusa  di cibo e bevande. Si acquistano oggetti non tanto per la loro necessità o per il piacere di adoperarli, ma perché essi placano le insicurezze dell'uomo moderno, lo confermano nella sua importanza e nel suo valore.Per vedere lo spreco basterebbe guardarci allo specchio, mettere la testa nei nostri guardaroba, nei nostri frigoriferi, nei nostri garage, nelle nostre pattumiere…

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Basta, ad esempio, osservare il numero di giocattoli che possiede un bambino di oggi. È elevatissimo rispetto al numero di giochi posseduto da un suo coetaneo di cinquant'anni fa. La sua attenzione, poi, si fissa soltanto per poco tempo su un giocattolo particolare, mentre il suo desiderio si rivolge già a qualche novità proposta dalla pubblicità. Gli adulti contemporanei non sono molto diversi: il telefono cellulare viene sostituito non quando si rompe, ma quando un modello nuovo promette prestazioni strabilianti e così il computer e l'infinito numero di gadget elettronici, taluni spesso inutili, che però ci affascinano irresistibilmente.Dopo un po’ che si possiede un’auto, non si è più soddisfatti delle sue prestazioni. La smania di novità, condizionata da martellanti spot televisivi, corre già a qualche modello più recente. La pubblicità ci induce, tramite spot che trasmettono le immagini di esistenze perfette quanto irreali, a consumare sempre più prodotti di cui non abbiamo alcun bisogno. Essa, inoltre, non si limita a vendere prodotti, ma propaganda sogni, modelli di vita da perseguire e imitare, pena un doloroso sentimento di inadeguatezza. Dal canto loro, gli economisti affermano che soltanto incrementando i consumi, costruiremo un'economia sana e vincente. Il modello di sviluppo proposto è fondato sul consumo: più cresce la domanda di consumi, più le imprese aumentano i posti di lavoro per soddisfare la richiesta di propri prodotti; più si lavora, maggiore è la crescita economica e più si innalza la possibilità di accedere ai consumi. Non tutti condividono questo modello di sviluppo. Sta crescendo il numero di coloro che acquistano la consapevolezza che le cose non funzionano sotto il profilo sociale e ambientale. Molte persone, famiglie e comunità hanno già intrapreso strade di rinnovamento, senza la pretesa di essere migliori di altri, ma con un bisogno profondo di autenticità, di libertà e solidarietà.Sono scelte piccole e semplici ma quotidiane e continuative, per ripensare l’uso delle nostre cose, i nostri bilanci familiari, i progetti, le sicurezze, lo stile delle nostre case… 

PERCHÉ CAMBIARE? Tutti, senza distinzione, abbiamo bisogno dei beni fondamentali della terra per un’esistenza dignitosa. La nostra vita ha conosciuto un salto di qualità grazie alla possibilità di beneficiare delle conquiste della scienza, di accedere ai prodotti della tecnica e dell’industria, di usufruire di migliori servizi sociali.Per molti la qualità della vita è basata sulla quantità di beni disponibili. Per questo più si lavora, più si è ricchi, più si può consumare. Dov’è la qualità della vita, uno sviluppo sostenibile, un consumo solidale? Si può cambiare se si mettono in discussione i nostri comportamenti: possesso dei beni, uso del denaro, consumo. Sono necessarie scelte ispirate a sobrietà, essenzialità e solidarietà.La sobrietà non è una privazione, è una liberazione. Il distacco dalle cose superflue è alleggerire la nostra vita, è libertà.L’essenzialità è scuola di vita e di sapienza. Ci educa a saper distinguere le cose fondamentali e necessarie da quelle secondarie o superflue. La solidarietà è scelta di condivisione, è esperienza di fraternità, è dovere di giustizia sociale. Animata dalla carità, la solidarietà è espressione di autentica umanità ed è fonte di coesione sociale. Il cambiamento non dipende solo dal nostro impegno, dai nostri sforzi di volontà, è anche dono dello Spirito. Ci illumina la Parola del Signore, ci guida l’insegnamento della Chiesa, ci incoraggia la testimonianza di fratelli.

 Dice il Signore

Quando la prosperità annebbia la mente“Nella prosperità l’uomo non comprende,è simile alle bestie che muoiono.Non temere se un uomo arricchisce,quando muore con sé non porta nulla” (Sl 49,17.21) La vita non dipende dai beni

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“Gesù disse loro: ‘Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni’. Disse poi una parabola: ‘La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: …demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: …riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?’ Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio” (Lc 12,15-21). Se la ricchezza chiude il cuore“Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17).“Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e… non date loro il necessario per il corpo, a che serve la fede? Se la fede non è seguita dalle opere, in se stessa è morta” (Gc 2,16-17). 

Il pensiero della Chiesa L’accumulo e l’avarizia impediscono di guardare oltre “Avere di più, per i popoli, come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all’uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s’induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non si incontrano più per amicizia ma solo spinti dall’interesse” (Paolo VI,  Populorum Progressio n.19) Cambiare il nostro modo di vivere, produrre e consumare“L’amore per l’uomo, in primo luogo per il povero nel quale la chiesa vede Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione  di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono la società” (Giovanni Paolo II,  Centesimus Annus n.58).

“E’ necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti” (Benedetto XVI, Caritas in Veritate n.51)

Testimonianze Il coraggio di educare alla sobrietàUna famiglia racconta: “Ci siamo adagiati nell’abbondanza e l’idea di essere meno ricchi a volte ci spaventa. Oggi che siamo genitori sentiamo tutto il peso e la difficoltà che l’educazione comporta. Ci siamo posti come obiettivo quello di educare i nostri figli alla sobrietà, alla semplicità di vita, perché sappiamo che una vita troppo piena di cose lascia meno spazio alle persone e a Dio. Forse tanti nostri ragazzi hanno bisogno non della televisione, di un walkman o un telefonino in più, ma di amici, di persone con cui dialogare, confrontarsi, magari anche scontrarsi: persone capaci di insegnare loro il segreto della vita! …Più volte ci siamo trovati davanti alla domanda imbarazzante dei figli, che, avendo confrontato il nostro stile di vita con quello di coetanei, ci hanno interpellati: «Papà, mamma, noi siamo poveri?»  È stato impegnativo, ma anche appassionante spiegare loro che non siamo poveri, perché abbiamo tutto ciò che è essenziale alla vita e anche un po’ di superfluo, ma cerchiamo di sprecare il meno possibile, per rispetto verso i doni di Dio e i fratelli che stanno peggio di noi.Chiaramente prima di “disamorare” dei beni materiali, bisogna “innamorare” di qualcosa di più grande: il senso della vita, della gratuità, del dono, dell’incontro con l’altro, dell’amicizia; in una parola, del senso di Dio” (L.e B.Calcagno). 

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La felicità di vivere con pocoDa una suora missionaria in Angola: “In 30 anni di missione la cosa più grande, che ho ricevuto dai fratelli africani, è la felicità di vivere con poco” (Suor Donata).

 UN NUOVO STILE DI VITA

La sobrietà parte “dal basso” dalle piccole cose e dovrebbe essere portata avanti a tre livelli: individuale, collettivo e politico. La scelta di sobrietà poggia su alcuni imperativi. “Rivalutare”  vuol dire ridare valore alle piccole e semplici cose del quotidiano; saper valorizzare le cose nella giusta misura e nella loro completezza. “Ridurre” ci impegna a limitare i nostri bisogni ed i nostri consumi all’essenziale. Prima dell’acquisto, chiediamoci se il prodotto è indispensabile. “Recuperare” significa utilizzare lo stesso oggetto finché è servibile e valorizzare tutto ciò che può essere rigenerato.  “Riciclare” è un modo per evitare l’esaurirsi delle risorse, ma anche per risolvere, parzialmente, il problema dello smaltimento dei rifiuti. “Riparare”  vuol dire accomodare un oggetto per riutilizzarlo e non gettarlo al primo danno.  “Ridistribuire” è impegno a condividere le cose che abbiamo, a promuovere una più equa distribuzione dei beni della terra, ma anche a mettere a disposizione le proprie capacità e doni. “Rispettare” significa usare con cura e rispetto il prodotto del lavoro altrui e farlo durare nel tempo. IL DOMANI COMINCIA OGGI Come “consumatori” si può contribuire a spostare le scelte di imprese e di mercato. Attraverso gesti e comportamenti concreti possiamo avviare uno stile di vita ispirato a sobrietà e solidarietà. Importante è iniziare ora, con passi piccoli o più impegnativi.   Dalle parole ai fatti

Sono suggeriti possibili impegni concreti. La scelta può essere individuale, familiare o di comunità.  Risparmio responsabile. Abbraccia molteplici campi: dal consumo domestico dell’energia elettrica e dell’acqua all’uso dell’automobile, dall’acquisto mirato degli alimenti alla sobrietà nella scelta dell’abbigliamento…dal riuso di ciò che è utilizzabile al contenimento della nostra smania di prodotti nuovi e reclamizzati. Dal rubinetto alla tavola. L’acqua pubblica, almeno dalle nostre parti, è depurata, sicura, potabile. La scelta dell’acqua del rubinetto elimina il rifiuto delle bottiglie di plastica, riduce l’inquinamento del trasporto, alleggerisce la spesa ed il bilancio familiare.  Invitare la sobrietà. L’abbondanza, l’eccesso, lo spreco in regali, cibo, addobbi… in abbigliamento caratterizzano sempre più le nostre feste di battesimo, di prima comunione e di cresima, di matrimonio… di compleanni. “Invitare la sobrietà” è fare posto alla parsimonia per lasciare aperta la porta alla solidarietà.   Ancora più in concreto… Rinunciare ad una parte dei regali di Natale o di altre occasioni proponendo la

sottoscrizione ad un progetto di solidarietà.

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Organizzare una visita ad una delle “botteghe del mondo” nella nostra zona, informarsi e valorizzare i gruppi e le esperienze di acquisto solidale di attenzione alla valorizzazione e crescita dei prodotti a Km 0 e di sviluppo di cultura rispetto al voto col portafoglio e di attenzione agli acquisti e al cibo utilizzato e sprecato. Utili indirizzi si trovano internet o riferendosi a gruppi ed associazioni già attivati e dei quali l’ufficio dispone di contatti.

Osservatorio degli sprechi: documentarsi su ciò che si spreca in ristoranti, ospedali, case per anziani, amministrazioni pubbliche… parrocchie. Scopo è conoscere e far conoscere.

Comincio da me: interrogarsi su quanto spreco in abiti firmati, cosmetici, apparecchiature elettroniche …uscite del sabato sera.

2 - Rapporto con le persone  “Se tu ed io ci scambiamo un dollaro, restiamo sempre con un dollaro ciascuno. Se invece ci scambiamo le idee, dopo tu ne hai due ed io pure”  (Dan Zandra)  Nessuno è un’isola. Abbiamo bisogno di incontrare persone e di stare insieme, di avere amici con i quali condividere preoccupazioni e progetti, di parlare e di essere ascoltati.La comunicazione è una componente essenziale per l’uomo. Ogni parola e ogni gesto sono portatori di significato. Anche i silenzi sono forme di comunicazione e recano un messaggio.Per comunicare è necessario ascoltare. Mettersi di fronte all’altro in atteggiamento di ascolto è il primo passo della relazione, dell’accettazione dell’altro, della creazione di un rapporto positivo e appagante. Non tutte le nostre relazioni sono nel segno dell’accoglienza, della reciprocità, dello scambio e dell’arricchimento vicendevole.

Laudato sì (138-139)

L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere…

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Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.

PARLANO I  FATTI Viviamo in una società complessa nella quale il vivere insieme, il comunicare, l’accogliere l’altro sono sempre più fragili e difficili. Ai possibili contrasti con vicini o parenti, si aggiungono, sempre più estese, l’indifferenza, la diffidenza, una comunicazione convenzionale e sterile.Le persone anziane, un tempo inserite e valorizzate in un solido contesto familiare, vivono sempre più in solitudine, sino ad ignorare il loro decesso dai vicini, talvolta da parenti.  Sono sempre più rimarcate le fratture generazionali: la differenza di linguaggi e di strumenti, internet, chat, blog, you tube, fanno sì che il tempo da condividere in famiglia   e con gli altri, sia sempre meno. Si sviluppano relazioni virtuali e impersonali. E’ prassi sempre più diffusa che persone dello stesso stabile non si conoscano. Spesso, incontrandosi per le scale o sul pianerottolo, non ci si scambia nemmeno un sguardo o un saluto. Non è difficile che due persone si trovino per caso dentro lo stesso ascensore e si ignorino completamente. Sovente ci si mette in contatto con persone solo per necessità od opportunismo: per avere informazioni, aiuti, favori. Si cerca l’altro quando e perché serve. Così succede che si valorizzino immigrati, perché utili per certi lavori, per poi considerarli intrusi ed invadenti. Il dialogo fra persone, istituzioni, partiti, talvolta nelle stesse comunità cristiane, spesso è soltanto a senso unico. Più o meno consapevolmente sembra che taluni si attengano ad un singolare presupposto: “Tu non capisci nulla, non hai mai capito nulla e non capirai nulla. Se sei d’accordo, possiamo dialogare!”. In teoria si ritiene che tutte le persone siano uguali. Di fatto le nostre relazioni sovente privilegiano alcune categorie: chi è più influente, chi ha potere, chi è ricco. La nostra società sembra sempre più incline a dare spazio ad aspetti convenzionali e formali che rischiano di alterare le nostre relazioni e di ridurle ad una comunicazione di facciata. “Falso e cortese” è un giudizio sferzante, non sempre privo di qualche fondamento!La vita delle persone è sempre più frenetica, attiva, assorbita da molteplici impegni. Preoccupati delle proprie cose, manca il tempo per incontrare le persone, il piacere di parlare, la pazienza di ascoltare.  

PERCHÉ CAMBIARE ? L’innata condizione dell’uomo a vivere con gli altri non può essere improntata sulla diffidenza, competizione, paura, indifferenza, ma sul rapporto vero, cordiale, conviviale, solidale che rendono la relazione gratificante, piacevole, umanizzante. E’ necessario allora un impegno di cambiamento per uscire dai tentacoli della nostra cultura che privilegia  estetico, l’emozionale,

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il soggettivismo, per passare a una dimensione sociale fatta di apertura all’altro, relazioni profonde ed appaganti che potranno portarci verso un nuovo umanesimo.Un cambiamento sarà perseguibile:- Costruendo relazioni profonde con gli altri. Relazioni  che consentono scambio di doni, di ricchezza e pienezza di vita. - Instaurando relazioni fraterne come risposta al progetto che Dio ha sull’umanità e sull’intera creazione: che gli uomini  vivano come fratelli attorno all’unico Padre, sulla stessa terra, anche noi creati e fratelli nella creazione.- Coltivando, attraverso relazioni interpersonali rinnovate, nuove e vecchie amicizie che sono motivo di benessere psico-fisico per sé e per gli altri e danno gusto alla vita.- Realizzando rapporti miranti a costruire una società più umana, ragionevole, responsabile e conviviale.

Dice il Signore Il nostro non è un Dio mutoSono numerosi i passi dell’Antico Testamento nei quali si ritrova Dio che parla e ascolta le sue creature. Il nostro Dio si prende cura degli uomini, non come gli dei che “hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono,  hanno orecchi e non odono…” (Sl 115). Ma Dio parla con l’uomo, lo cerca, stabilisce con lui una relazione (Gen 1-2). Egli ascolta la voce del suo popolo (Dt 26,7),  in particolare ascolta le suppliche dei miseri, dei poveri e di chi è in difficoltà  Un Dio che comunica in molti modiLa Lettera agli Ebrei ricorda come Dio “molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb1,1). Un incontro che mette in piediGesù incontra uomini e donne ai quali offre speranza e vita. Zaccheo (Lc 19,1-10), la donna di Samaria (Gv 4,1-42), Nicodemo (Gv 3,1ss),  Matteo (Mt 9,9), il giovane ricco (Mt 19,16)… sono persone trasformate dall’incontro con Gesù.Gli incontri di Gesù con le persone sono caratterizzati da partecipazione e condivisione profonde.Egli si commuove di fronte alle folle (Mc 6,34), davanti ai due ciechi di Gerico (Mt 20,34), alla tomba di Lazzaro (Gv 11,33), incontrando la vedova di Naim in lacrime (Lc 7,11-17), accogliendo la supplica del lebbroso (Mc 1,41)  e dell’emorroissa (Mt 9,20-22). Sincerità del parlareGesù elogia i puri di cuore e ricorda a ognuno: il tuo parlare sia sì sì, no no (Mt 5,37). Il coraggio della verità Sono numerosi i passi del Vangelo nei quali Gesù si scaglia contro il formalismo, le ipocrisie e le ambiguità. Invita a non essere come i farisei che dicono e non fanno, che applicano la legge nei particolari e operano l’ingiustizia verso i deboli e le vedove (Mt 23; Mc12,38ss; Lc 20,45-47).

Il pensiero della Chiesa Dio cerca comunioneCon la rivelazione infatti Dio, invisibile, nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con Sé (Concilio Vaticano II, Dei Verbum n.2). Spiritualità di comunione: camminare con il fratello e accoglierlo come donoSpiritualità della comunione significa capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è

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infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Ineunte n.43). Mutui rapporti nello spirito della misericordiaL'«eguaglianza» degli uomini mediante l'amore «paziente e benigno» non cancella le differenze: colui che dona diventa più generoso quando si sente contemporaneamente gratificato da colui che accoglie il suo dono; viceversa, colui che sa ricevere il dono con la consapevolezza che anch'egli, accogliendolo, fa del bene, serve da parte sua alla grande causa della dignità della persona, e ciò contribuisce a unire gli uomini fra di loro in modo più profondo. Cosi dunque, la misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia n.14). Uguali, vicini e… fratelliQuesta fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna (Benedetto XVI, Caritas in Veritate n.19).

 Testimonianze Il valore dell’amicizia“Oggi sono molto sofferente … .Aspetto con grande ansia l’ora della posta, sperando di ricevere una lettera da S.Ecco, ho ricevuto la posta desiderata: rilevo che ha fatto buon viaggio nel ritorno a casa, dopo la grande gioia di averla avuta un po’ vicino a me. Le sue visite mi sono di grande sollievo morale. Pensando a lei così buona e generosa, sopporto con serenità tutte le mie sofferenze.Nell’amicizia ho scoperto valori che mi erano rimasti ignoti, e mi sono nati dentro l’impegno, la gioia, la serenità di vivere con gli altri” (Paola Olzer - 48 anni, da sempre su una carrozzella). Ho bisogno degli altriScrive un carcerato:“Ho un grande bisogno non solo di sperare, ma di camminare insieme agli altri verso una direzione nuova” (Roberto Ognibene). Una fiducia che rimette in piediUn ragazzo spacciava droga da quando aveva otto anni per il clan Giuliano. Carcere sullo sfondo della vita. Dentro e fuori: un’esperienza impossibile. L’ultima volta venne fuori grazie all’indulto. E disse basta: “Don Luigi, datemi una mano: voglio cambiare vita, ho moglie e due figli piccoli, Giuseppe di otto anni, Antonio di dodici. Non voglio che crescano come il padre. Io ho guadagnato soldi vendendo morte”. Così parlò quell’uomo e io gli chiesi un patto d’onore: “Guai se lo tradisci”. Poi telefonai a un mio amico. Si chiama Gallo, gestisce un’impresa di ristorazione: “Prenditelo quest’uomo, garantisco per lui”. La faccio breve: Gallo mi ha telefonato dopo un mese e sai che cosa mi ha detto? “Don Luigi, mi hai mandato un angelo!” (Don Luigi Merola)

UN NUOVO STILE  DI VITA Per realizzare rapporti umani autentici siamo chiamati a sviluppare alcuni atteggiamenti di fondo. 

Ascolto. E’ la capacità di partecipare con la totalità di se stessi per poter comprendere in profondità ciò che l’altro esprime e ciò che l’altro è.

Accoglienza.  Essa è la disponibilità a riconoscere l’altro nella sua dignità, non come  minaccia, ma come ricchezza, con pregi difetti, valori e debolezze.

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Dialogo.  Esso è fondato sul rispetto e sulla stima reciproca, comporta capacità di ascolto, di scambio di idee, di visioni della vita, di valutazione.

Gratuità.  Essa è  gioia di donare qualcosa di sè nella forma più disinteressata, senza pretesa di ritorni gratificanti, offrendo all’altro un amore gratuito.

Confronto. E’ la via necessaria per la convivenza pacifica e per il reciproco arricchimento. Esso comporta la capacità di esprimere e difendere le proprie idee e la disponibilità ad accogliere quelle degli altri.  

Convivialità. Disponibilità a condividere la gioia di vivere e di coabitare in una società nella ricerca di ciò che unisce e ciò che ci fa crescere. 

 Le esigenze di un’autentica comunicazione possono essere perseguite solo con impegno e progettualità di vita.

 IL DOMANI INCOMINCIA OGGI La nostra capacità di relazioni e di comunicazione con gli altri può essere migliorata con passi piccoli o più impegnativi. 

Dalle parole ai fatti Sono suggeriti possibile impegni concreti. La scelta può essere individuale, familiare o di gruppo. Lancette bloccate. Siamo invitati a non guardare l’orologio con chi ci parla, a trovare il tempo per ascoltare famigliari e amici, per fare visita a persone anziane, ammalate… sole.  Un saluto contagioso. È l’impegno a rivolgere il nostro saluto a quanti incontriamo, piccoli o grandi, persone note o sconosciute. La cordialità di un saluto è un dono, è un gesto che contagia. Riciclaggio delle parole. Si tratta di “convertire” la nostra comunicazione, evitando espressioni e parole che possono ferire, condannare, avvelenare i rapporti… degradare la conversazione. 

 Ancora più in concreto…

*   Passa il favore: una volta ricevuto un favore, un gesto di attenzione e di bontà, ricambiarlo con altrettante persone, cercando di offrire ciò che da soli gli altri non riuscirebbero a fare.

*   Un immigrato come amico: comunicare con lui, conoscere la sua vita e il suo paese, condividere tempi di svago e di studio, qualche spazio nostro anche piccolo (un pranzo, un’invito a casa) dedicato all’ospitalità.

*   A tu per tu: scegliere, per una settimana o un mese, una forma di comunicazione diretta, senza ricorrere a chat o altre forme virtuali.

*   Mi documento: non fermarsi a ciò che si dice o a ciò che è scritto nel giornale o al telegiornale ma risalire alle fonti, ai testi. La ricerca, magari anche in gruppo o comunità è atto di onestà e di rispetto della verità.

*   Dare vita e partecipare a esperienze di spazi di comunità, incontri caratterizzati da un’arricchente convivialità: la gioia di stare insieme, l’interesse a confrontarsi, la comune volontà di un diverso progetto di vita e di società.

3- Il Rapporto con la natura

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“TOGLITI I SANDALI”. IL SUOLO CHE CALPESTI E’ SACRO   “Ma che cosa hanno fatto per me i posteri,perché io debba preoccuparmi di loro” (Woodey Allen)

“Come puoi comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Questa possibilità ci è estranea. Noi non siamo i padroni della purezza dell'aria o dello splendore dell'acqua.  Tutta questa terra è sacra per la mia gente (…) Se vi vendiamo la nostra terra, amatela come noi l’abbiamo amata. Curatela come noi l’abbiamo curata. Se vi vendiamo la nostra terra, dovete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli...e vostri; dovete quindi trattare i fiumi con la gentilezza che avreste per un fratello. E con tutta la vostra forza, con tutta la vostra mente, con tutto il vostro cuore, preservatela per i vostri bambini e amatela ... come Dio ama noi. Una cosa sappiamo: il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra Gli è preziosa” (Il capo indiano Seathl al Presidente degli Stati Uniti,  Franklin Pierce, 1855).

  

Laudato sì ( 61)

Su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione. Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune. La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi. Tuttavia, sembra di riscontrare sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie, dato che i problemi del mondo non si possono analizzare né spiegare in modo isolato. Ci sono regioni che sono già particolarmente a rischio e, aldilà di qualunque previsione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano: «Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorge subito che l’umanità ha deluso l’attesa divina».

PARLANO I FATTI 

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Un pianeta ammalato. Sono sufficienti pochi cenni indicativi del cattivo stato di salute della terra. Il clima è cambiato. Per alcuni è impazzito. Al cambiamento climatico hanno contribuito la nostra azione insensata e la nostra fame insaziabile di risorse e di consumi.  Prodotto dall’effetto serra, l’aumento delle temperature provoca siccità, inondazioni, uragani, che contribuiscono e contribuiranno ad aumentare il numero delle persone al di sotto della soglia di sopravvivenza. La vita del pianeta è ostacolata e non mancano segni preoccupanti di morte. Nei mari spariscono specie di pesci, le foreste diminuiscono con il conseguente annientamento di specie vegetali e animali, avanza il deserto e diminuiscono le terre coltivabili. Soprattutto milioni di persone soffrono la fame, molti muoiono per carenza di cibo e di acqua. Le ferite della terra sono sempre più vistose. Paesaggi deturpati e zone di verde inghiottite dalla speculazione edilizia. Industrie che inquinano terreni ed atmosfera. La biodiversità, bene comune e risorsa fondamentale per la vita del pianeta, è aggredita da colture intensive finalizzate sovente a produzioni energetiche. Terre insanguinate. Il possesso e lo sfruttamento delle risorse del pianeta sono causa di conflitti che in futuro potranno accentuarsi. L’accaparramento del petrolio, di diamanti, di materi prime è stato e continua ad essere fonte di sfruttamento ed impoverimento delle popolazioni locali, ha prodotto scontri e guerre civili, ha concorso a giustificare interventi militari ed aggressioni da parte di altre nazioni. In oltre 30 Paesi sono sorte negli ultimi due anni violente rivolte per il cibo. Il controllo e l’uso dell’acqua potabile e per l’irrigazione, già da ora oggetto di contesa in diverse regioni, in un prossimo futuro potrà trasformarsi in guerre tra Nazioni confinanti. Il degrado ambientale, i disastri naturali, l’espropriazione di foreste e di terre agricole da parte di latifondisti o di multinazionali provocano sofferenza, miseria e morte nella popolazione locale, causano sovente l’abbandono del luogo di origine e lo spostamento di una massa di “profughi ambientali”, che attualmente ammonta fra i 25 e i 50 milioni.

 Paesi saccheggiati. La maggior parte delle ricchezze del sottosuolo presenti nei Paesi in via di sviluppo “fugge” nelle Nazioni più ricche ed industrializzate. Alle popolazioni locali non restano che briciole e le conseguenze di un degrado ambientale e di uno sfruttamento umano. In alcune foreste ed aree protette si compie una vera razzia di legname pregiato, piante medicinali… acqua. I locali assistono, impotenti, ad un umiliante spogliamento. Numerosi sono i Paesi prostrati da un insormontabile debito pubblico, in continua crescita. Ciò rende questi Paesi sempre più dipendenti e debitori delle Nazioni più ricche che continuano ad avvantaggiarsi con politiche speculative e vessatorie.

 Un territorio ferito.  Non pochi problemi ecologici interessano le nostre città, pianure e zone montane con gravi ripercussioni sull’ambiente e sulla popolazione. Assistiamo ad un progressivo degrado del suolo in termini qualitativi e quantitativi, così pure del paesaggio naturale ed insediativo, plasmato dalla mano dell’uomo nell’arco dei secoli.Si registra il peggioramento della qualità dell’aria nei centri urbani, causata soprattutto dall’incremento del traffico veicolare.Appare eccessivo lo sfruttamento della risorsa acqua per scopi irrigui – pensiamo all’intubamento di molti canali con perdita della biodiversità, a prelievi che riducono enormemente le portate dei corsi d’acqua principali – per la produzione di energia elettrica con prelievi in condotte forzate che riducono notevolmente, al limite della sopravvivenza, la portata di molti torrenti montani.Da una parte aumenta la produzione dei rifiuti, dall’altra il loro ricupero e la raccolta differenziata restano ancora a livelli piuttosto bassi.Il risparmio energetico è ancora modesto, a cominciare dall’uso eccessivo dell’auto privata e dalla limitata realizzazione dell’isolamento termico in buona parte del patrimonio edilizio.La tutela della biodiversità e degli ecosistemi è scarsa soprattutto nelle zone di pianura, dove si riducono sempre più le zone a vegetazione spontanea e i cosiddetti “corridoi ecologici”, quali ad esempio filari di alberi e siepi in campagna e le alberate lungo i canali e i fiumi.Lo spopolamento della montagna, dovuto anche a politiche inadeguate, ha privato le nostre valli del fondamentale presidio del territorio e ha portato conseguenze per la flora e la fauna.Un ecologismo esasperato, talvolta motivato da visioni ideologiche, può nascondere interessi di parte e, in taluni casi, provoca squilibri nella fauna, come l’eccessiva presenza di cinghiali e di lupi.

 

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PERCHÉ CAMBIARE? 

Perché il nostro pianeta è ammalato. Se non si cambia il nostro rapporto con la natura, è seriamente compromesso il futuro dell’umanità.Perché le risorse della terra, pur notevoli anche se limitate, non sono equamente utilizzate e da molti irresponsabilmente sciupate. Se lo stile consumista dell’occidente fosse esteso all’umanità intera, si calcola che ci vorrebbero 5 pianeti come la Terra per avere le risorse necessarie e per smaltire i rifiuti.Perché tutto ciò che esiste viene da Dio ed è da lui benedetto. Egli ce l’ha affidato affinché ce ne prendiamo cura per noi, per tutti gli uomini, per le generazioni future. Perché Dio ha destinato la terra ed i suoi beni all’intera famiglia umana. Un’equa distribuzione delle risorse terrene è obbligo di giustizia ed è dovere di solidarietà e di carità. Perché la terra è la nostra casa ed è la casa di tutti i viventi. Rendersi custodi di questa comune “casa” è ravvivare la nostra vocazione di collaboratori con Dio e con gli uomini. A noi è chiesto di promuovere armonia e solidarietà tra le creature e rispetto della loro diversità. Il nostro impegno a cambiare è illuminato e sostenuto dalla Parola di Dio, dalla voce del Magistero, dalla testimonianza di esperienze drammatiche.   

Dice il Signore 

All’uomo Dio affidò la signoria e la cura dell’universo“Dio creò l’uomo a sua immagine… maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi… soggiogate la terra e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra’” (Gen 1, 27.28).“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).

 Una lode cosmica al Signore: la sua gloria risplende nei cieli e sulla terra“Lodate il Signore dei cieli, lodatelo sole e luna, lodatelo voi tutte fulgide stelle… Lodate il Signore mostri marini e voi tutti abissi, fuoco e grandine, neve e bufera…I re della terra e i popoli tutti, i giovani e le fanciulle, i vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore perché la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli” (Sl 148).

 

Il pensiero della Chiesa 

Un dono da custodire“La natura è a nostra disposizione non come un mucchio di rifiuti sparsi a caso, bensì come un dono del Creatore… per custodirlo e coltivarlo” (Benedetto XVI, Caritas in Veritate n.48).Per questo “noi ti lodiamo, Padre Santo, per la tua grandezza: hai fatto ogni cosa con sapienza e amore, a tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo perché nell’obbedienza a te, suo Creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato” (Preghiera Eucaristica IV).

 I beni della terra sono destinati a tutti“Dio, ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni del creato debbono essere partecipati a tutti con equo criterio, nella giustizia e nella carità” (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes n.69).“L’ambiente naturale è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera… C’è spazio per tutti

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su questa nostra terra: su di essa l’intera famiglia umana deve trovare le risorse necessarie per vivere dignitosamente” (Benedetto XVI, Caritas in Veritate nn.48 e 50).

 Uno sfruttamento inaccettabile“L’accaparramento di risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri… L’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno” ((Benedetto XVI, Caritas in Veritate n.49).

 Un diverso modello di sviluppo compatibile con l’ambiente e la giustizia “Per incidere su larga scala è necessario ‘convertire’ il modello di sviluppo globale; lo richiedono ormai non solo lo scandalo della fame, ma anche le emergenze ambientali ed energetiche. Tuttavia, ogni persona e ogni famiglia può e deve fare qualcosa per alleviare la fame del mondo adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato e con criteri di giustizia verso chi coltiva la terra in ogni paese” (Benedetto XVI, Angelus 12.11.2006)

  

Testimonianze 

Quando l’acqua è un diritto negatoCancun é una splendida località che si affaccia sul Golfo del Messico. E’ una città quasi inventata dal nulla per fare da meta turistica. Aguakan è il nome della  società che gestisce i servizi idrici di Cancun. Con un gioco di proprietà incrociate, il gruppo francese Suez Lyonnaise des Eaux, la più grande multinazionale dell’acqua del mondo, possiede il 49,9% di Aguakan, una percentuale che le permette, in realtà, di controllare completamente la società messicana. La stazione di pompaggio dell’acqua è sulla spiaggia. Rosa e suo marito Faustino sono piccoli pescatori. Vivono con altre quattro famiglie proprio di fronte alla stazione di pompaggio, a cinquanta metri di distanza. E non ricevono una sola goccia d’acqua, perché Aguakan si rifiuta di rifornirli.La loro casa, dove vivono da 17 anni, è un ostacolo ai mega progetti di sviluppo turistico. Gli investitori prima hanno offerto del denaro per convincere i due anziani pescatori ad andarsene, poi sono passati alle minacce. Come ritorsione Aguakan ha tagliato il rifornimento d’acqua. Ma capita che di notte alcuni autisti delle autobotti, che distribuiscono acqua potabile a pagamento nei quartieri poveri della città, lascino di nascosto qualche secchio del prezioso liquido per Rosa e Faustino. Intanto, Aguakan fornisce acqua con abbondanza e assoluta regolarità ai grandi alberghi della zona turistica e irriga due verdissimi campi da golf. Per oltre 750mila abitanti di Cancun l’acqua arriva nelle case, a singhiozzo, in media 8/10 ore al giorno. In altre zone della città l’acqua scende dai rubinetti addirittura solo due volte la settimana, mentre le autobotti di Aguakan ne vendono poca e molto cara.

 Miseria in cambio di petrolioEscravos è il più grande terminal di Chevron Texaco in Nigeria, capace di esportare 350.000 barili di greggio al giorno. Comprende alloggi per il personale straniero, graziose casette con aria condizionata ed elettrodomestici, prati ben tenuti, una caffetteria. E’ protetto da reti, filo spinato, vigilanti armati, e da canali scavati tutt’intorno al recinto. Il fiume stesso è stato allargato dalla Chevron, quando ha cominciato a costruire  l’impianto nei primi anni sessanta. Sull’altra sponda, Ugborodo è come mille altri villaggi del delta: baracche di legno, qualche spaccio in cui si vende un po’ di tutto e un paio di bar. Non c’è acqua corrente, la luce elettrica è affidata a un generatore che funziona a singhiozzo, con il gasolio dato dalla compagnia. Ma quando finisce bisogna comprarlo da rivenditori che vengono dal capoluogo, Warri, perché a Ugborodo non c’è un distributore di carburante. Così gli abitanti finiscono per pagarlo molto di più del prezzo ufficiale, anche se vivono accanto al maggiore terminal petrolifero della regione. Il terminal di Escravos e gli altri ben protetti da filo spinato e militari sono circondati da milioni di persone che vivono in miseria. Nel sentimento comune, le compagnie petrolifere non danno nulla in cambio della ricchezza enorme che estraggono dal delta del Niger. La ricchezza del petrolio le è scivolata accanto.

 

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UN NUOVO STILE DI VITA 

Cambiare la testa …

Abbiamo bisogno di intendere l’ecologia in senso ampio, come una nuova alleanza che noi esseri umani dobbiamo stabilire con il nostro habitat e con noi stessi. Dobbiamo parlare di un’ ecologia della mente, meglio di un ecologia integrale.Ecco alcune parole d’ordine.

o Solidarietà. Da una relazione di dominazione, aggressione, sottomissione feroce, dobbiamo passare a una relazione di solidarietà cosmica, di profonda fraternità, per uno sviluppo che non sia contro, ma in armonia con la natura.

o Gratuità. È urgente sviluppare un nuovo stupore, una nuova venerazione, una nuova commozione verso la creazione e riconoscere che tutto è dono gratuito di un Dio.

o Responsabilità. Dobbiamo riscoprire la chiamata di Dio che ci invita a collaborare con lui, a essere co-creatori e, nello stesso tempo, custodi della Madre terra e dei suoi abitanti. Ciò significa vivere la nostra libertà nel segno della responsabilità, nella capacità di ascoltare il grido della terra e rispondere ad esso.

Cambiare vita …

Alle intenzioni occorre far seguire comportamenti coerenti. Essi possono essere sintetizzati nella scelta di nuovi stili di vita.

o Stile rispettoso. Il termine ecologia contiene la parola greca oikos, che significa casa. Senza rispetto profondo per tutto e tutti come può la terra restare e divenire una «casa» dove tutti gli uomini oggi e domani possano vivere dignitosamente? Rispettare animali, vegetali, natura inorganica è apprezzare la loro bellezza, difendere il valore e la bontà di ogni creatura, riconoscere la loro diversità ed interdipendenza.

o Stile cosciente. Dinanzi al degrado ambientale non è lecito né tacere, né rassegnarsi passivamente. Occorre aprire gli occhi, conoscere, interrogarsi per poi prendere posizione: reagire, denunciare, contrastare. L’indignazione è un dovere.

o Stile giusto. Nel cercare ciò che è vero, buono e giusto si devono tenere presenti ed unite la salvaguardia del creato, la destinazione universale dei beni della terra e la promozione del bene comune. Al centro dello sviluppo ambientale ed economico resta la persona umana. Ogni uomo, tutti gli uomini hanno il diritto di accedere ai beni primari dell’acqua e del cibo, il diritto alla salute, all’istruzione… alla libertà religiosa.

o Stile compassionevole. Ciò significa “cura-tenerezza” verso la madre terra, ciò che produce, tutto ciò che è vivo e dà vita. Al posto di un possesso indiscriminato e distruttore siamo chiamati a dare spazio ad una presenza di stupore e di cura amorevole, ma anche di partecipata commozione. È il turbamento dell’anziano nell’assistere impotente al fuoco distruttore della foresta. È il pianto del bimbo nel vedere le ruspe che demoliscono case e piante. È lo scoramento di chi si trova dinanzi a scempi ambientali, a cumuli di rifiuti… ad assurdi sprechi. È la commozione di Gesù che piange pensando alla distruzione della sua città.

 IL DOMANI COMINCIA OGGI

 Il degrado del nostro pianeta attende risposte concrete e coraggiose. Anche piccoli gesti contribuiscono alla sua cura e promuovono un nostro diverso stile di vita.

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 Dalle parole ai fatti

La scelta di impegni concreti può essere individuale, familiare o di gruppo.  

Mappatura ambientale. Anche nel nostro territorio esistono ferite e “guasti” ambientali. È amore alla nostra terra conoscere i problemi ambientali e farli conoscere, sensibilizzare le Istituzioni ad azioni preventive e collaborare alle possibili soluzioni. Raccolta differenziata. È l’impegno a sostenere e ad incentivare la raccolta differenziata, collaborando alle iniziative dei Comuni o di altri organismi; sensibilizzare sempre di più le nostre comunità sul tema dell’attenzione agli sprechi e alla produzione di scarti e rifiuti. I colori del pulito. Il rispetto dell’ambiente e degli ambienti ci impegna a mantenere puliti e dignitosi gli spazi privati e pubblici dei nostri paesi o città, ponendo rimedio a comportamenti riprovevoli o incivili.  

Ancora più in concreto …  Adotta un conflitto: conoscere e sensibilizzare la propria comunità su una guerra

dimenticata, una crisi umanitaria… una catastrofe ambientale. Il lamento della natura: realizzare un’animazione (teatro, musica, incontri formativi,

attività manuali…) su un serio problema ecologico. Quaresima ecologica: rinunciare ogni settimana all’uso di un oggetto consumistico

(cellulare, TV… apparecchiature elettroniche) o adottare un comportamento di sobrietà (evitare spreco di acqua, di elettricità… limitare acquisti superflui).

4-Rapporto con la mondialità.

LA GEOGRAFIA DEL CUORE 

“La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli” (Benedetto XVI)

 Il mondo ci sembra sempre più piccolo. Con il processo della globalizzazione tutto è diventato più vicino. Si sono accorciate le distanze fra i continenti e tra i popoli. Esiste tra le Nazioni un crescente scambio di informazioni, di prodotti e di tecnologia. La comunicazione in tempo reale degli avvenimenti mondiali abbatte barriere e diffidenze, favorisce una maggiore conoscenza della vita, della cultura e della religione di popolazioni lontane. In questo villaggio globale ci sentiamo più cittadini del mondo e sempre più avvertiamo che i problemi geograficamente distanti sono anche nostri. Nascono nuove forme di solidarietà.Con i suoi benefici la globalizzazione porta con sé pesanti risvolti negativi. Il controllo dell’economia e del commercio è sempre più in mano a ristretti gruppi di potere che dettano le leggi del mercato, condizionano i bisogni delle persone e le scelte politiche. L’egemonia di culture dominanti penalizza quelle più deboli causando una lenta scomparsa di tradizioni, di valori locali e della stessa identità socio-culturale e religiosa di gruppi etnici e di popoli. L’imposizione di modelli produttivi delle Nazioni ricche mette in crisi i sistemi dei Paesi in via di sviluppo, la loro economia e provoca, conseguentemente, maggiore povertà e crescita dell’emigrazione. I facili spostamenti delle persone e l’estesa mobilità rendono anche il nostro

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Paese sempre più multirazziale e multireligioso, fenomeni ai quali talvolta si risponde con discutibili atteggiamenti, poco civili e per nulla cristiani, di intolleranza e di chiusura. La mondialità, favorita dalla globalizzazione, non è solo una maggiore vicinanza o scambio tra i popoli, né può limitarsi ad una più consapevole appartenenza all’intera famiglia umana, ma in primo luogo è una geografia del cuore, che si fa accoglienza dell’altro, degli altri, vicini e lontani. La mondialità, come attesta l’esperienza, è una strada in salita.

 Laudato sì (154)

Dalla metà del secolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune. Un mondo interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì, principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni Paesi. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune. Ma lo stesso ingegno utilizzato per un enorme sviluppo tecnologico, non riesce a trovare forme efficaci di gestione internazionale in ordine a risolvere le gravi difficoltà ambientali e sociali. Per affrontare i problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni di singoli Paesi, si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile.

 

PARLANO I FATTI

Per molti la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo resta una conquista sulla carta, sia per i diritti primari dell’acqua e del cibo, sia per quelli fondamentali della salute e dell’istruzione, della libertà civile e religiosa. La distribuzione della ricchezza nel mondo conosce una clamorosa ed ingiustificata disuguaglianza: il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% delle ricchezze. Per gran parte dell’umanità ciò significa povertà e per molti la miseria: una persona su sei nel mondo vive con meno di 1 dollaro al giorno. Gli aiuti ai Paesi più poveri da parte di Organismi internazionali sovente arrivano in minima parte ai destinatari. Le risorse, anche frutto di generose donazioni private, sono in larga misura assorbite dalla struttura organizzativa, come pure dalla burocrazia e dalla corruzione locale. Le politiche di solidarietà dei Paesi più industrializzati verso quelli in via di sviluppo sono inadeguate ai bisogni reali e talvolta strumentali. Gli stessi impegni presi dai Paesi più ricchi sono onorati solo in parte. Così, Nazioni come l’Italia, alla promessa di elargire lo 0,75% del PIL, in questi anni hanno contribuito con una somma non superiore allo 0,25%.Il modello di sviluppo incentrato sui consumi, l’esclusiva preoccupazione del profitto da parte delle imprese, la competitività economica tra i Paesi hanno come conseguenza la ricerca di un processo produttivo sempre più a minor costi. Di qui la delocalizzazione delle produzioni con la

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conseguente disoccupazione, una bassa retribuzione dei salari, la riduzione della sicurezza sul lavoro… lo sfruttamento dei bambini. In molti casi ciò che interessa non è la dignità della persona umana, né il rispetto della sua vita, ma il vantaggio economico.Per molti la mondialità è circoscritta ai “nostri”, con conseguenti forme di diffidenza, se non di intolleranza e razzismo verso immigrati, zingari e, talvolta, verso gli italiani di altre regioni. Agli stranieri si chiede di stare nei loro Paesi. Se non è possibile, per alcuni occorre difendersi da loro con l’emarginazione nella scuola, nell’abitazione, persino nei trasporti. Le motivazioni: non sono come noi, vengono a rubarci il posto di lavoro… è in gioco la sicurezza del nostro territorio!Nelle comunità del nostro territorio cresce la tendenza a rivalutare fiere, feste… tradizioni religiose. È la volontà di mantenere vive la propria storia e cultura o è una forma di chiusura campanilistica?Nella nostra società è sempre più estesa la tendenza a quantificare, a far parlare i numeri: quanti sono gli stranieri, quanti i carcerati, i disoccupati, i drogati, quante le famiglie divorziate… quanti anziani. Dietro i numeri ci sono persone, ognuna con la sua storia, i suoi problemi, le sue attese. Fermarsi ai numeri è arrestarsi a fredde, anche se inquietanti, informazioni!La storia ha conosciuto divisioni e guerre tra gli stessi cristiani e con gli altri credenti. Anche oggi nelle comunità cristiane non mancano segni di incomprensione, emarginazione, se non di intolleranza: gelosia tra operatori pastorali, difficoltà a collaborare tra parrocchie vicine, insensibilità verso Chiese più povere, riluttanza a concedere una chiesa poco o per nulla utilizzata a cristiani di altre confessioni, opposizioni alla costruzione di un edificio di culto per credenti di altre religioni. Eppure si continua a invocare Dio come Padre nostro, Padre degli uomini!Le elezioni, in particolare quelle che riguardano le scelte degli amministratori locali, sono un segno rivelatore del nostro orizzonte: manifestano il limite o l’ampiezza dei nostri progetti, dei nostri sogni… del nostro cuore. Chi sceglie uomini o schieramenti politici perché assicurano interessi personali o privilegi solo locali, perché ci difendono da scomode invadenze… perché lasciano fuori porta le fastidiose attese dei più deboli, esclude dal suo orizzonte la solidarietà, fondamentale valore umano ed espressione concreta della carità fraterna. Si insegue il bene comune quando si cerca il bene di tutti.  PERCHÉ CAMBIARE? Vivere in modo consapevole e responsabile la mondialità significa dare un orizzonte nuovo alla nostra vita, impegnarci per una convivenza più giusta e pacifica, promuovere uno sviluppo più umano e solidale. Pregiudizi e diffidenze verso le persone e le diverse forme di razzismo, unite sovente a incomprensione, ingiustizia e sfruttamento, ci isolano dagli altri, creano divisioni, garantiscono illusorie sicurezze e lasciano spazio alle nostre sicurezze egoistiche. Il superamento di queste distanze ci aiuta a vincere la paura dell’altro, a gettare ponti costruttivi, a promuovere una società più unita e vivibile per noi e per gli altri. È il primo e fondamentale passo verso la mondialità che inizia con chi incontriamo ogni giorno.Ripiegarci su interessi e preoccupazioni personali, territoriali o provinciali è chiudersi in noi stessi, è una ingannevole e sterile autosufficienza che ci impoverisce. Più il nostro sguardo si allarga per conoscere vita e cultura dei popoli, per partecipare ai loro problemi ed alle loro speranze, più siamo cittadini del mondo. La solidarietà all’intera famiglia umana dà un nuovo respiro alla nostra vita, ci arricchisce e ci rende più fratelli.La vicinanza di uomini e di popoli, favorita dalla globalizzazione, non promuove l’unità della famiglia umana quando pochi dominano su molti, quando non si rispetta la diversità delle persone e delle culture, quando il profitto economico è il criterio ispiratore delle relazioni. La vera mondialità è solidarietà: al centro è posta la persona umana, lo sviluppo integrale di ogni uomo, la ricerca del bene comune che è il vero bene di tutti.Ci si difende dall’incendio non chiudendoci in casa, ma spegnendo il fuoco. La miseria e la fame di milioni di uomini, lo sfruttamento dei più deboli, l’umiliante povertà di tante popolazioni sono una inaccettabile offesa della vita e della dignità delle persone, interpellano la nostra coscienza e formano un immenso braciere di carboni accesi. Non ci si salva da soli ma insieme dalle fiamme che divorano uomini ed alimentano la conflittualità.Nessuno può essere felice da solo. Le difficoltà, le sofferenze e le ferite degli altri sono anche mie. È una condivisione che mette in piedi persone vicine e lontane, che riscalda il nostro

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cuore e la mente e ci fa sentire vivi ed utili, che ci immette nella logica di Dio Padre il quale si prende cura di tutti gli uomini, che ci fa discepoli del Signore nella misura in cui, come Cristo, ci facciamo buoni samaritani prendendoci cura di chi è ferito nel corpo e nello spirito, degli ultimi, degli esclusi. La nostra apertura alla mondialità è illuminata dalla Parola di Dio, dall’insegnamento della Chiesa, da testimonianze di fratelli. Dice il Signore Da Babele a Pentecoste: ritornare a intendersi pur parlando lingue diverseNella loro autosufficienza e superbia gli uomini dissero: “Costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo” (Gen 11,4). Il Signore confuse la loro lingua e “li disperse su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città” (Gen 11,8). Con la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste persone di popoli diversi ritornarono a comprendersi: “La folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno udiva [gli apostoli] parlare nella propria lingua” (At 2,6). Dio sta dalla parte dei deboli e rifiuta l’ingiustizia“Dice il Signore: ‘Smettete di presentare offerte inutili… Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei. Cessate di fare il male, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova’” (Is 1,13.15-17).“Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano… Se tu lo maltratterai io darò ascolto al suo grido” (Es 22,20-21).Quando il re Acab fece uccidere Nabot per impossessarsi della sua vigna, dura fu la condanna del Signore che mandò Elia a dire al re: “Hai assassinato ed ora usurpi! Nel luogo dove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue” (1Re 21,19). Gesù ci chiede di amare senza distinzioni, anche i nemici“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,43-48).

Il pensiero della Chiesa Una sola famiglia“Dio ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo fraterno” (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes n.24).“L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione del bene comune ed universale, e cioè del bene comune dell’intera famiglia umana” (Giovanni XXIII, Pacem in terris n.69).

Al centro la persona, lo sviluppo umano integrale ed il bene comuneConvinto della centralità della persona umana e del suo valore incondizionato, scrive Paolo VI: “Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo di uomini, fino a comprendere l’umanità intera” (Paolo VI, Populorum Progressio n.14). Per questo il Concilio afferma: “L’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” (Gaudium et Spes n.63). Aggiunge Papa Benedetto XVI: “Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità” (Caritas in Veritate n.25). Ne consegue che “l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione… Se non è di tutto l’uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo” (Caritas in Veritate nn.11 e 18).“Dalla dignità, unità ed uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune che è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività e sia ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più

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celermente…È e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa n.64). Non possiamo ignorare il grido dei poveri“Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta” (Benedetto XVI, Caritas in Veritate n.75). Agire nel nome della carità che esige la giustizia e la supera“La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del ‘mio’ all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è ‘suo’, ciò che gli spetta in ragione del suo essere ed operare… La giustizia è la prima forma di carità. Ma la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono” (Benedetto XVI, Caritas in Veritate n.6). Capaci di apprezzare la ricchezza di altre religioni“Le religioni non cristiane portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi. Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare. Sono tutte cosparse di innumerevoli ‘germi del Vangelo’” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi n.53).

 Testimonianze

La mia stanza è il mondo: sono coinvolto in tutte le tragedie della terraIl cielo in una stanza. E’il titolo di una celebre canzone di Gino Paoli. In fondo, non era altro che la traduzione musicale di una frase latina che i monaci del convento del mio paese avevano scolpito sullo stipite delle loro celle: “Cella sit tibi coelum”. Che vuole dire: la cella sia per te come il cielo. Ricordo ancora oggi la stanzetta del frate dal quale andavo spesso a confessarmi quando ero ragazzo. Le pareti erano tappezzate con la  carta geografica dei cinque continenti e i fianchi della scrivania erano ricoperti dalla mappa dei due emisferi celesti. “Il cielo in una stanza” deve divenire la sigla morale di ogni uomo di buona volontà che si batte per la pace, che non vuole farsi catturare dall’effimero, che teme di lasciarsi imprigionare dai problemi di campanile e che intende fuggire la seduzione, tutta moderna del “piccolo è bello”. Oggi  non possiamo più vivere nel guscio rassicurante del nostro cortile. E non solo perché la terra è divenuta un villaggio globale, come dice McLuhan, al punto che ciò che accade agli antipodi è come se si fosse verificato dietro l’angolo di casa tua. Ma, soprattutto, perchè  ormai i problemi sono così strettamente connessi tra loro, che l’apartheid del Sud Africa ha riverberi sulla qualità della vita perfino nell’Alaska.E allora, apertura alla mondialità è sentirsi risucchiato dal traffico planetario e  coinvolto, sì, da tutte le crescite, ma anche da tutte le tragedie della terra. I lutti dei popoli lontani sono lutti cittadini, anzi di famiglia. I cinquanta milioni di fratelli che ogni anno muoiono per fame interpellano pure te. I debiti colossali dei paesi in via di sviluppo modificano anche i tuoi conti in tasca. Tutti gli oppressi dalle ingiustizie e dalle segregazioni, e tutte le vittime delle discriminazioni operate dalla oscena distribuzione delle ricchezze, chiamano te come corrèo: e non solo davanti al tribunale ultimo di Dio ma anche a quello penultimo della storia.Lo scempio delle risorse naturali, i sacrilegi della corsa alle armi, la malignità dei loschi traffici di droga, le follie degli scudi spaziali, la violazione dei diritti umani… non possono lasciarti indifferente, anche se questi fenomeni perversi accadono lontano dalla tua stanza (Mons. Tonino Bello).

UN NUOVO STILE DI VITA In tutti c’è l’aspirazione per un mondo più giusto, unito e solidale, dove gli uomini possano vivere in pace, con dignità e serenità, nel rispetto vicendevole e nella ricerca di una comune felicità. Una nuova relazione mondiale incomincia da ciascuno di noi come ricorda Mahatma Gandhi: “Noi dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”. Cambiare

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significa adottare un rinnovato stile di vita che, ispirato al Vangelo, può essere sintetizzato nell’espressione “I care – mi interessa, mi sta a cuore”, le cui lettere diventano le iniziali di impegnativi verbi. I come incontrare. L’apertura alla mondialità incomincia là dove viviamo: ascoltare, accogliere e rispettare l’altro, chi è diverso da me, visitare ammalati, anziani… emarginati per dare e per ricevere. C come comprendere. Si tratta non solo di conoscere le difficili o drammatiche situazioni di vita di persone vicine e lontane, ma anche di scoprire le cause, le responsabilità e gli effetti di discutibili scelte e decisioni.  A come amare. Non basta agire, fare qualcosa per esser cittadini del mondo. Occorre operare con sapienza e generosità, lasciandoci ispirare dall’amore fraterno, dalla carità poiché, come ricorda Papa Benedetto XVI, “il fare è cieco senza il sapere e il sapere è sterile senza l’amore” (Caritas in Veritate n.30).

R come riconciliare. Nello spirito di una vera fraternità, la riconciliazione è dare e ricevere il perdono, ma anche promuovere comprensione tra le persone, collaborare con tutti per ciò che è giusto e nobile, riconoscere il valore di altre culture e religioni, operare per un avvicinamento tra i popoli impegnandoci per la giustizia, la pace, lo sviluppo umano integrale.  E come eliminare. Occorre incominciare da noi: superare diffidenze, pregiudizi, paure dell’altro ed ogni forma di razzismo. Nell’orizzonte mondiale è doveroso operare insieme ad altri, con parole e fatti, con l’educazione e, se opportuno, con la denuncia, per allontanare ciò che è causa di ingiustizia, di sfruttamento dei paesi più poveri e di conflitto tra i popoli.

IL DOMANI COMINCIA OGGI L’apertura alla mondialità passa attraverso gesti e comportamenti concreti. Importante è iniziare ora con passi piccoli o più impegnativi.

 Dalle parole ai fatti

Sono suggeriti possibili impegni concreti. La scelta può essere individuale, familiare o di gruppo.  Perdona, Signore. Siamo cittadini del mondo distratti! Molti sono i limiti e gli ostacoli che indeboliscono la nostra apertura alla mondialità: tensione con i vicini, diffidenze e pregiudizi, insensibilità verso i più deboli o emarginati, chiusura verso altre culture o religioni… indifferenza dinnanzi alla fame ed alla miseria del mondo. La richiesta di perdono può essere individuale o attraverso una celebrazione comunitaria della Penitenza. 

Ancora più in concreto … 

Prendersi cura per una settimana o un mese di un vicino di casa o una persona della nostra comunità, senza farsi notare: stare vicino, consigliare, aiutare… rendere piacevole la giornata.   

Intervista: chiedere a persone provenienti da stati lontani immigrati o profughi perché hanno lasciato il loro paese, che cosa manca loro di più, come vivono in Italia… che cosa li ferisce di più nel nostro paese.

Scegliere per alcuni incontri parrocchiali o di gruppi formativi, tipo catechesi degli adulti o gruppi ado e giovani un tema di rilevanza mondiale: distribuzione delle ricchezze, povertà, migrazioni… Si suggerisce di mettere a confronto la concreta situazione del

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tema scelto, la risposta delle nostre istituzioni, amministrazioni, schieramenti politici, la visione del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa.

SCHEMI DI LECTIO DIVINARapporto con le cose

 

UN PRIMA DA CERCARE«Per questo vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo di come vestirvi. Non vale forse la vita più del cibo e il corpo più del vestito?  Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono né raccolgono in granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre; e voi non valete più di loro?  Chi di voi, per quanto si dia da fare, è capace di aggiungere un solo cùbito alla propria statura?  E quanto al vestito, perché vi angustiate? Osservate i gigli del campo, come crescono: non lavorano, non tessono.  Eppure vi dico che neanche Salomone in tutta la sua magnificenza vestiva come uno di essi.  Se Dio veste così l'erba del campo che oggi è e domani viene gettata nel fuoco, quanto più vestirà voi, gente di poca fede?  Non vi angustiate, dunque, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo?" oppure: "Di che ci vestiremo?".  Tutte queste cose le ricercano i gentili. Ora sa il Padre vostro celeste che avete bisogno di tutte queste cose.  Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno date in sovrappiù.  Non vi angustiate dunque per il domani, poiché il domani avrà già le sue inquietudini. Basta a ciascun giorno la sua pena» (Mt 6,25-34).

 Lectio

Una pagina sapienziale, paradossale: non per ciò che Gesù insegna, ma per la stupidità dell’uomo che si illude di dar senso e consistenza alla vita affannandosi. Due sono i verbi principali che attraversano questa pagina. Affannarsi (accompagnato da raccogliere e desiderare con bramosia) che non indica semplicemente lavorare o essere previdente o affaticarsi, ma significa essere nell’ansia, nell’angoscia, perennemente con il fiato sospeso, un ricercare sbagliato non per l’oggetto (il cibo, il vestito, la vita: sono beni essenziali), ma per la modalità con cui vengono cercati; un modo di vivere che rivela un rapporto sbagliato con le cose, con la vita con Dio.Cercare (con l’aggiunta dell’avverbio prima che indica la priorità, ma anche l’esclusività: non molte ricerche ma una sola, un solo padrone e non due; le troppe ricerche distraggono e svuotano) dice il desiderio, lo slancio, la passione, la tensione; l’affanno non è evangelico, ma il cercare e l’appassionarsi sì. Cercare prima il regno indica una priorità, un’esclusività che non soltanto lascia lo spazio alle altre cose, ma è la condizione perche queste possano sempre essere alla portata dell’uomo, di ogni uomo; il primato del regno crea lo spazio per il buon vivere dell’uomo nel mondo, per il buon uso dei beni. Se Gesù invita a porre il Regno e la sua giustizia al primo posto non è per salvare il Regno, ma per salvare lo spazio della vita dell’uomo in tutte le sue potenzialità, compreso il godimento dei beni. È salvare dall’errore che è l’idolatria, il cercare affannato le cose quasi come se fossero capaci di risolvere da soli il problema di fondo, quello di trovare sicurezza e serenità in una vita che sembra tutto vanificare (Mt 6,19). L’errore che sconvolge i rapporti con la vita e con le cose è quello di guardarli senza tener conto del Padre. E Gesù non fa leva sul disincanto di queste cose, ma sulla fiducia nel Padre. L’affanno è una modalità di vita che non si addice alla visione cristiana delle cose. Tradisce una profonda mancanza di fede. Tutte le creature (gli uccelli e i fiori) esistono fidandosi del Padre che le nutre. Lo impari anche l’uomo. A una sicurezza affannosamente cercata nel possesso e, dunque, in se

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stessi e nelle cose, la comunità di Gesù sostituisce una sicurezza cercata nel Padre. «Tutte queste cose» che si cercano sono secondarie, non nel senso che se ne possa fare a meno, ma nel senso che non si reggono da sole: richiedono uno spazio in cui collocarle (il Regno di Dio) e un modo corretto di cercarle. Quando il verbo cercare ha per oggetto Dio significa sempre una ricerca intensiva, che impegna completamente l’uomo, ma una ricerca che rimane serena perché riposa sulla fiducia in un Padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno e che è disposto a dare il meglio (il suo Spirito) per i suoi figli.

 Meditatio

“Non affannatevi”. Come si affaccia nella nostra vita il volto affannoso della ricerca nei confronti delle cose, di noi stessi, della vita stessa? Che meccanismo intuisci alle spalle dell’ansia, dell’accumulare, del desiderare in modo bramoso? Piccoli passi, quali la fiducia in un Padre che ha posto per tutti, sono un volto concreto per una vita serena oppure solo belle parole ma senza i piedi per terra?L’affanno nella ricerca dei beni della vita non nasconde forse anche un rapporto distorto con gli altri, considerati come avversari da temere, concorrenti da superare, oggetti da vendere e comprare? Quali scelte si è chiamati a fare per non cadere in una visione distorta del prossimo?“Cercate prima il Regno di Dio”. La priorità e l’esclusività di Dio e della sua giustizia sono decisi per un rapporto equilibrato con «tutte queste cose» , con questi beni essenziali della vita: sono parole a cui è possibile dare un volto concreto! Qual è il primo piccolo e significativo passo che si tratta di fare come singolo e come comunità sociale e parrocchiale?Rileggi, secondo la logica del “cercate prima”, le parole che ti sono state suggerite nel capitolo dedicato al “rapporto con le cose”: “Rivalutare; “Ridurre”; “Recuperare”; “Riciclare”, “Riparare”,“Ridistribuire”, “Rispettare”. Che cosa cambiare, come cambiare nel mio stile di vita?

 Oratio  “Ascoltate questo, o popoli tutti, udite, voi tutti abitatori del mondo,  sia nobili che plebei, voi ricchi e poveri insieme.  Detti sapienti parlerà la mia bocca, cose intelligenti la riflessione del mio cuore. Tenderò il mio orecchio al detto sentenzioso, svolgerò sull'arpa la mia sentenza misteriosa.  Perché dovrei temere nei giorni di sventura, quando la malvagità m'avvolge di quelli che m'inseguono?  La loro fiducia sta nella loro sostanza e nell'abbondanza delle ricchezze il loro vanto.  Certo, nessuno mai potrà redimersi, nessuno potrà mai dare a Dio il prezzo del suo riscatto.  Troppo caro sarebbe il prezzo dell'anima sua, egli dovrà cedere per sempre,  in modo da poter vivere per sempre e giammai scendere nella fossa.  Poiché ecco: muoiono i sapienti e alla stessa maniera periscono lo stolto e l'empio,  lasciando ad altri il proprio avere; le tombe saranno le loro eterne dimore, le loro abitazioni di evo in evo. Eppure chiamarono molte terre con i loro nomi!  L'uomo in onore non comprende d'essere simile alle bestie che vengono sterminate.  Tale è la sorte di coloro che pongono in sé la loro fiducia; tale è la fine di coloro che pongono nella bocca la loro compiacenza.  Come un gregge agli inferi sono destinati, scenderanno senz'altro nel sepolcro e la loro gloria è votata alla rovina, gli inferi saranno la loro abitazione.  Certo, Dio redime l'anima mia, dalla stretta degli inferi certo mi prenderà.  Non temere se qualcuno s'arricchisce, se aumenta lo sfarzo della sua casa,  poiché alla sua morte non porterà via nulla, il suo sfarzo non scenderà dietro a lui.  Benché nella sua vita si congratuli con l'anima sua: «Sei oggetto di lode, perché hai buona fortuna»,  raggiungerà nondimeno la generazione dei suoi padri, i quali in eterno non vedranno la luce. Eppure l'uomo in onore non comprende di essere simile alle bestie che vengono sterminate”.  Salmo 49

 

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[1] Cfr B. MAGGIONI, La Cruna e il cammello. Paradossi evangelici e umanità di Gesù, Ancora, Brescia 2005;  B. MAGGIONI, Il seme e la terra. Note bibliche per un cristianesimo nel mondo, Vita e Pensiero, Milano 2003.

SCHEMI DI LECTIO DIVINARapporto con le persone

LA FRATERNITÁ IN CRISTO

Prima di essere questione di buona educazione o generica carità, il legame fraterno è una prova della fede. Dalle pagine bibliche la fraternità appare come provocazione alla coscienza chiamata a decidere se vedere nel fratello il rivale che minaccia l’unico posto (come nell’esperienza di Caino e Abele, e di molti altri fratelli nella Scrittura) a disposizione nel cuore dei genitori e nella vita, o l’occasione di professare la fede nel Primogenito dei morti che, provato in ogni cosa, non si vergogna di chiamarci fratelli e, liberando dalla paura della morte, apre la via alla casa dove si trova il posto unico per tutti.

 «Non si turbi il vostro cuore. Credete in Dio, e dete anche in me. Nella casa del Padre mio ci sono molti posti; se no, ve lo avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò presso di me, affinché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,1-3).

 Lectio

Dopo l’annuncio del tradimento di Giuda e l’allusione di Gesù al suo rimanere solo, i discepoli percepiscono la morte come realtà imminente; Gesù salutandoli pronuncia un lungo discorso di cui leggiamo e riflettiamo solo i primi versetti. Di fronte al turbamento degli apostoli, Gesù pronuncia parole che intendono consolare un lutto imminente. Gesù indica ancora una volta (v.1) nella fede in Dio e in Lui la possibilità per uscire dal turbamento/paura di fronte alla morte, radice di ogni timore nella vita, anche nei confronti dello spazio che ci viene “rubato/occupato” dai fratelli. A fondamento della fede che toglie la paura il Signore pone il fatto che nella casa del Padre suo ci sono molti posti (v.2): Gesù vuole aiutare i suoi discepoli a leggere la sua morte non come la via di fuga per occupare l’unico posto disponibile nel casa del Padre (nonostante quel posto gli competa per il fatto che “il Figlio resta sempre in casa” (Gv 8,35) a differenza dei servi), ma come l’andare a preparare un posto per i suoi: i posti

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sono per tutti (non solo per molti) e non sono posti comodi (a questo potrebbe alludere la radice aramaica del termine). Il posto che sarebbe solo del Figlio diviene i comodi posti per tutti, vale a dire ampio spazio per ciascuno. Il Signore, dopo aver provato il turbamento della morte, invita i suoi a non turbarsi e a credere che nella casa del Padre c’è ampio spazio per tutti e per ciascuno( non per nulla il mattino di Pasqua Gesù chiama i suoi discepoli fratelli, perché il Padre suo è diventato il Padre loro e il Dio Suo il Dio loro: « Va’ dai miei fratelli e di’ loro che salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» Gv 21, 17): il Risorto ha mantenuto la parola che nel momento della separazione aveva dato ai discepoli come promessa. Il primogenito di Adamo ed Eva uccise il fratello per paura di perdere l’unico posto a disposizione, non credendo che l’origine (sia essa la coppia di genitori e/o Dio) fosse capace di custodire tutta la vita per tutti e due. Vincendo il turbamento di fronte alla morte, l’Unigenito si affida alla competenza del Padre sulla vita e così fa spazio ai fratelli per i quali nella casa dell’unico Padre c’è un posto unico per tutti.

Meditatio

La questione della fraternità appare essere originariamente e prima di tutto questione cristologica e teologica (che immagine di Dio hai in testa?), successivamente antropologica, quindi ecclesiale. Tenendo conto questa scansione si evita di ridurre la fraternità a una generica, irreale e retorica sintonia e permette di viverla secondo lo stile di Gesù. Prova a ripensare questa scansione e traducila concretamente per i tuoi rapporti fraterni. Come traduci ad esempio le parole ‘ascolto’, ‘gratuità’, ‘accoglienza’, convivialità’?Scrive Paolo VI : “O Cristo, nostro unico Mediatore, Tu ci sei necessario per vivere in comunione con il Padre, per divenire come Te, che sei Suo Figlio unico e Signore nostro, Suoi figli adottivi, per essere rigenerati nello Spirito Santo. Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità tra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace”. Come ti poni di fronte a queste parole, soprattutto all’espressione “Tu ci sei necessario per ritrovare le ragioni vere della fraternità”? Perché Gesù ci indispensabile per i nostri fondamenti di giustizia, per la nostra carità, per la pace nel mondo? Traduci queste provocazioni per la tua vita quotidiana, per il tuo lavoro, per la tua parrocchia.La fatica nei rapporti fraterni ha alla base la paura che l’altro, chiunque esso sia, si impadronisca di quello che ritengo essere l’unico posto a disposizione nella vita. Vedi presente questa paura nei tuoi rapporti quotidiani al lavoro, lungo la strada, di fronte allo straniero che incroci o allo stesso che ti ferma e ti interpella, in casa con i tuoi fratelli o sorelle, in chiesa?Il legame fraterno è quello che ci troviamo. I fratelli non li scegliamo!  Il decentramento da sé, imposto dal legame fraterno, propizia la nascita di un’identità unica, ma non solitaria e, come ogni parto, prima della gioia comporta dolori. Alcune difficoltà di relazione, che a volte rasentano perfino la violenza, capitano anche nelle comunità ecclesiali. Ciò nonostante che siano formate da fratelli e sorelle, ma proprio perché composte da fratelli e sorelle. In ogni patto freme un impatto, in ogni scontro vibra un incontro, sicché chi risultasse scandalizzato dalla complessità delle relazioni ecclesiali dovrebbe domandarsi circa il carattere realistico e biblico, ovvero immaginario e retorico della propria idea di fraternità.

 Oratio “O Cristo, nostro unico Mediatore,Tu ci sei necessario per vivere in comunione con il Padre,per divenire come Te, che sei Suo Figlio unico e Signore nostro, Suoi figli adottivi,per essere rigenerati nello Spirito Santo. Tu ci sei necessario, o solo vero Maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,per conoscere il nostro essere, il nostro destino e la via per conseguirlo.Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria morale e per guarirla;

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per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano,per ritrovare le ragioni vere della fraternità tra gli uomini,i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenzae per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.Tu ci sei necessario, o Vincitore della morte,per liberarci dalla disperazione e dalla negazionee per avere certezza che non tradisce in eterno.Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio con noi,per imparare l'amore vero e camminare nella gioia,per vivere nella forza della Tua carità, fino all'incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli”.Paolo VI

 

[1] Cfr a  proposito di queste provocazioni, G. C. PAGAZZI, C’è posto per tutti. Legami fraterni, paura, fede, Vita e Pensiero, Milano 2008.

SCHEMI DI LECTIO DIVINARapporto con la natura

 LA SAPIENZA GIOCHERELLONA[1]

 «Il Signore mi ha creato all'inizio del suo operare, prima delle sue opere più antiche. Dall'eternità sono stata costituita, dall'inizio, prima dei primordi della terra. Quando non c'erano gli abissi io fui partorita, quando non c'erano le sorgenti delle acque profonde. Prima che le montagne fossero piantate, prima delle colline io fui partorita; ancora non aveva fatto la terra e le campagne e i primi elementi della terra. Quando fissò il cielo, io ero là, quando stabilì il firmamento sopra la faccia dell'abisso. Quando condensò le nuvole del cielo, quando chiuse le sorgenti dell'abisso. Quando impose al mare la sua legge, che le acque non trasgredissero la sua parola; quando fissò i fondamenti della terra, io ero al suo fianco, come ordinatrice, io ero la sua delizia giorno per giorno, ricreandomi alla sua presenza sempre, ricreandomi sul suolo della terra e mia delizia erano i figli dell'uomo» (Pro 8,22-31).

 Lectio

Il brano si presenta in modo semplice: un’affermazione iniziale seguita da due serie di spiegazioni. Nell’affermazione iniziale la Sapienza dice in poche parole di essere la prima di tutte le creature, poi sviluppa questo pensiero in due momenti: nel primo (8,24-26) dice di essere stata creata «quando non c’era ancora» niente e nel secondo (8,27-31), riportandoci al

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tempo della creazione stessa, la Sapienza dice di aver assistito Dio nella sua opera di creatore, presentandosi come  l’architetto dell’universo. Tra tutti gli elementi di questa descrizione mi soffermo sui vv. 30-31 (“io ero al suo fianco, come ordinatrice, io ero la sua delizia giorno per giorno, ricreandomi alla sua presenza sempre, ricreandomi sul suolo della terra e mia delizia erano i figli dell'uomo”) che suggeriscono che la Sapienza stava giocando davanti a Dio mentre Egli creava, e che Dio si ispirava a questa Sapienza “giocherellona”. Dunque, sembra suggerire questo testo, la chiave di lettura dell’universo è il gioco e il divertimento: Dio ha creato l’universo per divertirsi e divertendosi. Sembra un’idea sorprendente e scandalizzante, eppure suggerisce proprio un aspetto essenziale della creazione: essa è gratuita; il mondo non è stato creato innanzitutto per rispondere ad un bisogno o con una preoccupazione utilitaria. Esso è frutto di un divertimento, cioè Dio ha creato il mondo per pura generosità, per puro piacere, senza ragione alcuna se non quella di voler creare e comunicare la propria vita. Questa è la radice dell’attività di Dio, questa, sembra suggerire la pagina di Proverbi, è la vera radice di ogni vera attività in questo mondo: il piacere e la gratuità, come nel gioco. Questa è la logica che ritroviamo già nella pagina iniziale della Genesi, quando affidando all’uomo la sua creazione, Dio usa il verbo “custodire”: un verbo che realizza la propria verità solo nella misura in cui non si chiude in sé. Custodire non significa chiudere in un recinto ciò che ti trovi nelle mani perché nessuno possa gustarlo ma, al contrario, curare quel tesoro che ti sei ritrovato fra le mani perché tu possa goderne e perché altri con te e dopo di te possano goderne.

 Meditatio

Dio ha creato il mondo con Sapienza. Come si manifesta questa Sapienza nell’universo? Come ritrovarla? Come riascoltarla? Chi interpellare per sentirla di nuovo vibrare nelle nostre attività? Essa afferma che «trova la sua delizia fra gli uomini». Sarà dunque presente nel nostro mondo. È possibile trovare tracce di lei nel nostro mondo ? Dove si trova questa abilità nell’arte del vivere?

 Dio si diverte mentre crea. La creazione è frutto non di uno sforzo, ma di un divertimento, di un piacere. Dio crea l’universo gratuitamente. Spesso noi dividiamo le nostre attività in due categorie: facciamo cose utili e cose inutili. Il brano ci insegna che c’è una terza possibilità: cose che non sono immediatamente utili, m a neanche inutili. Sono gratuite e hanno valore in se stesse. Si fanno perché si trova piacere nel farle. Come ritrovare questa dimensione nella vita di tutti i giorni? Dove si vive questa dimensione? Ci sarebbero delle novità nel nostro mondo se si vivesse questa terza dimensione? Che cosa si potrebbe fare per permettere al nostro mondo di scoprire questa terza dimensione della gratuità, perfino nel chiaroscuro di tante nostre giornate?

 Dio invita l’uomo a custodire il creato responsabilmente. Come conciliare queste due categorie responsabilità e custodia per tutti e non solo per qualcuno? Cosa occorre scomodare in noi per vivere il senso attivo del verbo custodire? Quali resistenze si tratta di superare per non ridurre il verbo custodire ad azioni di puro interesse personale?

 Cosa occorre attivare nella nostra vita quotidiana perché il nostro rapporto nei confronti della natura, riletto sullo sfondo dei rapporti fra gli uomini, esprima una solidarietà vera, capace di rispondere ai bisogni dell’uomo e di accendere la sua responsabilità nei confronti dei fratelli?

 Oratio

Si possono pregare ad esempio i Salmi 8, 103 e 148. Si può pregare il cantico dei tre giovani nella fornace presente nel libro di Daniele (Dn 3, 56.88) e riportato nelle Lodi della prima domenica del salterio. Ci si può lasciare aiutare dalla preghiera del Cantico delle creature di San Francesco e dall’ascolto dello stesso nella versione di Branduardi nel CD “L’infinitamente piccolo”.

 

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[1] Ho attinto per questa riflessione a due scritti del prof. J. L. Ska. J. L. SKA, I volti insoliti di Dio. Meditazioni Bibliche, EDB, Bologna 2006 e J. L. SKA, Il libro sigillato e il libro aperto, EDB, Bologna 2005.

SCHEMI DI LECTIO DIVINARapporto con la natura

 LA SAPIENZA GIOCHERELLONA[1]

 «Il Signore mi ha creato all'inizio del suo operare, prima delle sue opere più antiche. Dall'eternità sono stata costituita, dall'inizio, prima dei primordi della terra. Quando non c'erano gli abissi io fui partorita, quando non c'erano le sorgenti delle acque profonde. Prima che le montagne fossero piantate, prima delle colline io fui partorita; ancora non aveva fatto la terra e le campagne e i primi elementi della terra. Quando fissò il cielo, io ero là, quando stabilì il firmamento sopra la faccia dell'abisso. Quando condensò le nuvole del cielo, quando chiuse le sorgenti dell'abisso. Quando impose al mare la sua legge, che le acque non trasgredissero la sua parola; quando fissò i fondamenti della terra, io ero al suo fianco, come

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ordinatrice, io ero la sua delizia giorno per giorno, ricreandomi alla sua presenza sempre, ricreandomi sul suolo della terra e mia delizia erano i figli dell'uomo» (Pro 8,22-31).

 Lectio

Il brano si presenta in modo semplice: un’affermazione iniziale seguita da due serie di spiegazioni. Nell’affermazione iniziale la Sapienza dice in poche parole di essere la prima di tutte le creature, poi sviluppa questo pensiero in due momenti: nel primo (8,24-26) dice di essere stata creata «quando non c’era ancora» niente e nel secondo (8,27-31), riportandoci al tempo della creazione stessa, la Sapienza dice di aver assistito Dio nella sua opera di creatore, presentandosi come  l’architetto dell’universo. Tra tutti gli elementi di questa descrizione mi soffermo sui vv. 30-31 (“io ero al suo fianco, come ordinatrice, io ero la sua delizia giorno per giorno, ricreandomi alla sua presenza sempre, ricreandomi sul suolo della terra e mia delizia erano i figli dell'uomo”) che suggeriscono che la Sapienza stava giocando davanti a Dio mentre Egli creava, e che Dio si ispirava a questa Sapienza “giocherellona”. Dunque, sembra suggerire questo testo, la chiave di lettura dell’universo è il gioco e il divertimento: Dio ha creato l’universo per divertirsi e divertendosi. Sembra un’idea sorprendente e scandalizzante, eppure suggerisce proprio un aspetto essenziale della creazione: essa è gratuita; il mondo non è stato creato innanzitutto per rispondere ad un bisogno o con una preoccupazione utilitaria. Esso è frutto di un divertimento, cioè Dio ha creato il mondo per pura generosità, per puro piacere, senza ragione alcuna se non quella di voler creare e comunicare la propria vita. Questa è la radice dell’attività di Dio, questa, sembra suggerire la pagina di Proverbi, è la vera radice di ogni vera attività in questo mondo: il piacere e la gratuità, come nel gioco. Questa è la logica che ritroviamo già nella pagina iniziale della Genesi, quando affidando all’uomo la sua creazione, Dio usa il verbo “custodire”: un verbo che realizza la propria verità solo nella misura in cui non si chiude in sé. Custodire non significa chiudere in un recinto ciò che ti trovi nelle mani perché nessuno possa gustarlo ma, al contrario, curare quel tesoro che ti sei ritrovato fra le mani perché tu possa goderne e perché altri con te e dopo di te possano goderne.

Meditatio

Dio ha creato il mondo con Sapienza. Come si manifesta questa Sapienza nell’universo? Come ritrovarla? Come riascoltarla? Chi interpellare per sentirla di nuovo vibrare nelle nostre attività? Essa afferma che «trova la sua delizia fra gli uomini». Sarà dunque presente nel nostro mondo. È possibile trovare tracce di lei nel nostro mondo ? Dove si trova questa abilità nell’arte del vivere?

 Dio si diverte mentre crea. La creazione è frutto non di uno sforzo, ma di un divertimento, di un piacere. Dio crea l’universo gratuitamente. Spesso noi dividiamo le nostre attività in due categorie: facciamo cose utili e cose inutili. Il brano ci insegna che c’è una terza possibilità: cose che non sono immediatamente utili, m a neanche inutili. Sono gratuite e hanno valore in se stesse. Si fanno perché si trova piacere nel farle. Come ritrovare questa dimensione nella vita di tutti i giorni? Dove si vive questa dimensione? Ci sarebbero delle novità nel nostro mondo se si vivesse questa terza dimensione? Che cosa si potrebbe fare per permettere al nostro mondo di scoprire questa terza dimensione della gratuità, perfino nel chiaroscuro di tante nostre giornate?

 Dio invita l’uomo a custodire il creato responsabilmente. Come conciliare queste due categorie responsabilità e custodia per tutti e non solo per qualcuno? Cosa occorre scomodare in noi per vivere il senso attivo del verbo custodire? Quali resistenze si tratta di superare per non ridurre il verbo custodire ad azioni di puro interesse personale?

 Cosa occorre attivare nella nostra vita quotidiana perché il nostro rapporto nei confronti della natura, riletto sullo sfondo dei rapporti fra gli uomini, esprima una solidarietà vera, capace di rispondere ai bisogni dell’uomo e di accendere la sua responsabilità nei confronti dei fratelli?

 

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Oratio

Si possono pregare ad esempio i Salmi 8, 103 e 148. Si può pregare il cantico dei tre giovani nella fornace presente nel libro di Daniele (Dn 3, 56.88) e riportato nelle Lodi della prima domenica del salterio. Ci si può lasciare aiutare dalla preghiera del Cantico delle creature di San Francesco e dall’ascolto dello stesso nella versione di Branduardi nel CD “L’infinitamente piccolo”.

 

[1] Ho attinto per questa riflessione a due scritti del prof. J. L. Ska. J. L. SKA, I volti insoliti di Dio. Meditazioni Bibliche, EDB, Bologna 2006 e J. L. SKA, Il libro sigillato e il libro aperto, EDB, Bologna 2005.

SCHEMI DI LECTIO DIVINARapporto con la mondialità 

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IL VERO PROBLEMA[1]

 Un dottore della legge, volendo metterlo alla prova, si alzò e disse: «Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù rispose: «Che cosa sta scritto nella legge? Che cosa vi leggi?». Quell'uomo disse: «Ama il Signore, Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente, e ama il prossimo come te stesso». Gesù gli disse: «Hai risposto bene; fa'questo e vivrai». Ma il dottore della legge, volendo giustificarsi, disse ancora a Gesù: «Ma chi è il mio prossimo?». Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incappò nei briganti. Questi gli portarono via tutto, lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò di là un sacerdote, vide l'uomo ferito e passò oltre, dall'altra parte della strada. Anche un levita passò per quel luogo; anch'egli lo vide e, scansandolo, proseguì. Invece un samaritano che era in viaggio gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli si accostò, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno seguente, tirò fuori due monete, le diede all'albergatore e gli disse: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più lo pagherò al mio ritorno". Quale di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che aveva incontrato i briganti?». Il dottore della legge rispose: «Quello che ebbe compassione di lui». Gesù allora gli disse: «Va'e anche tu fa'lo stesso»(Lc 10,25-37).  

Lectio

La parabola del buon samaritano la troviamo solo nel vangelo di Luca all’inizio del lungo viaggio di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme. È preceduta da un’introduzione che riporta il dibattito tra un dottore della legge e Gesù; l’occasione per raccontarla è la domanda del dottore della legge:«Chi è il mio prossimo?», una questione questa spesso dibattuta nelle scuole degli scribi in cui tutti erano concordi nel ritenere che “il prossimo è l’israelita, ogni israelita”. Su questa questione prende posizione Gesù attraverso un racconto immaginifico e del tutto inatteso. La parabola parla di un uomo che scende da Gerusalemme a Gerico e che incappa nei briganti e che viene lasciato sul bordo della strada gravemente ferito, nudo, mezzo morto. A questo punto entrano in scena i personaggi: il sacerdote, il levita e il samaritano. L'elemento che desta sorpresa, nei racconto di Luca, è la messa in scena di un samaritano. Nessuno se lo aspettava! Un sacerdote e un levita giungono sul posto e, scorto il ferito, lo evitano e passano oltre, dal lato opposto. Insensibilità, freddezza? O piuttosto desiderio di mantenere la propria purezza cultuale. Ai sacerdoti che prestavano servizio al tempio era infatti prescritto di mantenersi puri, di non toccare cadaveri, ossia persone già morte, perché il semplice contatto con loro li contaminava. II sacerdote e il levita, preoccupati di mantenere la loro purità rituale, si astengono dal prestare aiuto. È il legalismo che blocca entrambi. La legge, impassibile e gelida, non lasciava loro altra via d'uscita tranne quella di fuggire. Infatti, il sacerdote e il levita fuggono per obbedienza alla legge. L'osservanza formale e cieca della legge non lascia spazio all'amore! Gesù rimprovera al sacerdote e al levita di non aver compreso che, in quella situazione in cui si trovavano, dovevano, al di là della legge, accedere alla liberta e all'amore del prossimo.Inaspettatamente sulla scena del racconto entra un samaritano, e il dottore della legge, che ascoltava esterrefatto, non deve aver creduto alle proprie orecchie! Sappiamo infatti che tra giudei e samaritani non correva buon sangue. Ma è proprio un samaritano a venire in aiuto di colui che giace sulla strada mezzo morto. In tal modo egli si fa prossimo del ferito, dimostrando che il prossimo non è il tuo connazionale, ma chiunque ti viene in aiuto nella tua necessita, sia egli giudeo, samaritano, pagano o chiunque altro. Non i legami di sangue, di origine, di razza, di cultura, di religione, di partito, che tutti possiedono, ma la donazione amorevole all'altro trasforma 1'uomo in «prossimo».

II vero problema

Alla fine del racconto Gesù pone inaspettatamente al dottore della legge un'altra domanda, che racchiude un altro insegnamento, forse il più importante: « Chi di questi tre ti sembra si sia fatto prossimo a colui che è incappato nei briganti? ». Notiamo che la domanda iniziale del dottore della legge (chi è il mio prossimo?) viene spostata. Per Gesù chiedersi chi sia il prossimo è in

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definitiva un falso problema: il prossimo c'è, è vicino e visibile, però occorrono occhi capaci di scorgerlo. II vero problema è che io devo farmi prossimo a chiunque, abbattendo le barriere e le differenze che ho dentro di me e che costruisco fuori di me. Devo comportarmi come il samaritano che si è sentito prossimo, coinvolto, fratello nei confronti di uno sconosciuto.

II racconto, così, cambia radicalmente il nostro modo di pensare e di  vivere la nostra relazione con le persone: al cristiano si chiede di “farsi” prossimo, perché l’altro, ogni altro è riconosciuto e accolto come “mio” prossimo. 

Meditatio

·          L'amore del prossimo non è in primo luogo un argomento da dibattere teoricamente, da definire in modo astratto, come avveniva nelle scuole degli scribi, preoccupati di delimitare con cura le frontiere dello spazio dell’amore, identificando con chiarezza il prossimo da includere o da escludere in questo spazio. È anzitutto una questione di impegno che fa appello alle disposizioni interiori, alla libertà, all'apertura e alla responsabilità di ciascuno. Amare è sempre amare la realtà che ci è data cosi com'è. I sistemi, i libri vengono sempre dopo! II racconto del «buon samaritano» ci insegna che il tuo prossimo lo scoprirai sulla tua strada e sarai tu a dare la risposta in base all'atteggiamento che assumerai di volta in volta.·           Capita spesso che colui che etichettiamo come lontano, o riteniamo « al di fuori» (come il samaritano della parabola) può vivere l'ideale dell'amore meglio di noi che ci diciamo «credenti praticanti». L'esperienza ci dimostra che alcuni valori fondamentali che sgorgano dalla fede a volte possono essere vissuti meglio all'esterno che all'interno. È una grande lezione da cui dobbiamo imparare e che ci invita a fare un esame di coscienza!·           II samaritano ci insegna:- l'attenzione che permette di vedere i bisogni dell'altro;- la capacità di partecipazione interiore che si esprime nel profondo sentimento di compassione;- l'opera concreta del «prendersi cura» che coinvolge anche i beni materiali di cui disponiamo;- il nostro coinvolgimento totale nel « farci prossimo ».Ogni uomo che incontriamo sulla strada ha bisogno di accoglienza e compassione, di vicinanza e solidarietà.Ciascuno di noi è chiamato a implicarsi in tale esperienza, riconoscendo di volta in volta l'appello che viene dal bisogno del fratello incontrato. L'esigenza dell'altro ci interpella e siamo chiamati ogni volta a fare una scelta. In ogni situazione umana di bisogno siamo chiamati a « farci prossimo ».

 Oratio

“Gesù,insegnaci a non amare solo noi stessi,a non amare soltanto i « nostri»,a non amare soltanto quelli che amiamo.Insegnaci a pensare agli altri,ad amare in primo luogoquelli che nessuno ama,a non «passare oltre » i bisogni e le povertàdi coloro che incontriamo sulla nostra strada. Dacci la grazia di capire che a ogni istanteci sono milioni di esseri umani,che sono pure tuoi e nostri fratelli,che muoiono di famesenza averlo meritato,che muoiono di freddo,soli e abbandonati da tutti. Abbi pietà di tutti i poveri del mondoe non permettere più che viviamo felici da soli,sempre presi dalle cose da fare,chiusi nelle nostre preoccupazioni

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e con lo sguardo ricurvo su noi stessi.Facci sentire partecipi dei problemi degli altrie soprattutto liberaci da noi stessi. Amen”.                   

Raoul Follereau