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Concetta Carrà Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica Convegno SISP 2011 Palermo, 810 settembre Panel Genere, partecipazione e rappresentanza nei processi decisionali Sommario 1. Parlamento e partiti nella prima Repubblica, p. 1 - 2. I partiti e… 2.1 … la loro visione del ruolo femmini- le, p. 3 - 2.2…l’antifemminismo, p. 7 - 3. Che genere di mediazione? L’interazione dei partiti in parlamen- to negli anni Settanta - 3.1. Intercettare il consenso attraverso la legge: il divorzio, p. 12 - 3.2. Logiche di collaborazione: l’aborto, p. 14 - 4. Qualche (leggermente ottimista) riflessione conclusiva, p. 17 - Biblio- grafia, p. 20 1. Parlamento e partiti nella prima Repubblica La scelta di ripercorrere le tappe fondamentali dei processi di policy making ine- renti la condizione femminile nel periodo che comprende le prime dieci legislature repubblicane (19481992) attraverso la lente del comportamento dei partiti e dei modi con cui hanno interagito in parlamento affonda le sue radici nel ruolo che i par- lamenti rivestono nei processi legislativi. Com‟è stato evidenziato dalle prime ricer- che e confermato da studi più recenti, il loro grado di influenza in tali processi è uno degli elementi che rende ancora più interessante lo studio di tali istituzioni [Blondel 1970; Norton, 1998]. Organi rappresentativi per antonomasia, i parlamenti sono stati definiti infatti istituzioni costituenti [Copeland e Patterson 1994, 6] poiché esibiscono una serie di legami con i collegi elettorali, diventando, in primo luogo, canali di co- municazione e pressione tra i cittadini ed il governo, dal momento che incanalano le domande e le connettono alla macchina decisionale. Sono inoltre in grado di influen- zare le scelte del governo, obbligandolo a presentare disegni di legge su determinati argomenti, supervisionandone e criticandone nello stesso tempo l‟operato [Blondel 1973; Mastropaolo e Verzichelli 2006]. Quello italiano, oggetto di studi e ricerche a partire dagli anni Sessanta [Sartori 1963; Cantelli, Mortara e Movia 1974; Predieri 1973 e 1975a], oltre ad aver esercita- to, tra i parlamenti occidentali, l ‟influenza più incisiva e consistente nei processi di policy making [Norton 1998, 5, 12] 1 , ha assunto all‟interno del sistema politico una conformazione che l‟ha reso predisposto ad essere il contenitore di interessi e la sede privilegiata di negoziazioni, compromessi e mediazioni tra le posizioni contrapposte e molte volte opposte sostenute dagli attori coinvolti nei processi decisionali, in primo luogo dai partiti [Predieri 1975b; Capano e Giuliani 2001a]. Pur non essendo stati, infatti, gli unici attori coinvolti all‟interno dei processi leg i- slativi [Pasquino 1987] e nonostante il parlamento, data l‟elevata permeabilità, sia 1 Ciò dipende dal fatto che i parlamenti che hanno una più elevata capacità di determinare i policy outcomes sono quelli con una struttura di commissioni più altamente sviluppata; due studi condotti a distanza di un trentennio hanno colloca- to le commissioni italiane al secondo posto, dopo quelle del Congresso americano, in relazione sia alla forza del sistema di commissioni all‟interno del sistema politico che alla potenzialità legislativa delle stesse [Cfr. Shaw e Lees 1974, 168 e Mastropaolo e Verzichelli 2006, 9799].

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Concetta Carrà

Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

Convegno SISP 2011

Palermo, 8–10 settembre

Panel Genere, partecipazione e rappresentanza nei processi decisionali

Sommario

1. Parlamento e partiti nella prima Repubblica, p. 1 - 2. I partiti e… 2.1 … la loro visione del ruolo femmini-

le, p. 3 - 2.2…l’antifemminismo, p. 7 - 3. Che genere di mediazione? L’interazione dei partiti in parlamen-

to negli anni Settanta - 3.1. Intercettare il consenso attraverso la legge: il divorzio, p. 12 - 3.2. Logiche di

collaborazione: l’aborto, p. 14 - 4. Qualche (leggermente ottimista) riflessione conclusiva, p. 17 - Biblio-

grafia, p. 20

1. Parlamento e partiti nella prima Repubblica

La scelta di ripercorrere le tappe fondamentali dei processi di policy making ine-

renti la condizione femminile nel periodo che comprende le prime dieci legislature

repubblicane (1948–1992) attraverso la lente del comportamento dei partiti e dei

modi con cui hanno interagito in parlamento affonda le sue radici nel ruolo che i par-

lamenti rivestono nei processi legislativi. Com‟è stato evidenziato dalle prime ricer-

che e confermato da studi più recenti, il loro grado di influenza in tali processi è uno

degli elementi che rende ancora più interessante lo studio di tali istituzioni [Blondel

1970; Norton, 1998]. Organi rappresentativi per antonomasia, i parlamenti sono stati

definiti infatti istituzioni costituenti [Copeland e Patterson 1994, 6] poiché esibiscono

una serie di legami con i collegi elettorali, diventando, in primo luogo, canali di co-

municazione e pressione tra i cittadini ed il governo, dal momento che incanalano le

domande e le connettono alla macchina decisionale. Sono inoltre in grado di influen-

zare le scelte del governo, obbligandolo a presentare disegni di legge su determinati

argomenti, supervisionandone e criticandone nello stesso tempo l‟operato [Blondel

1973; Mastropaolo e Verzichelli 2006].

Quello italiano, oggetto di studi e ricerche a partire dagli anni Sessanta [Sartori

1963; Cantelli, Mortara e Movia 1974; Predieri 1973 e 1975a], oltre ad aver esercita-

to, tra i parlamenti occidentali, l‟influenza più incisiva e consistente nei processi di

policy making [Norton 1998, 5, 12]1, ha assunto all‟interno del sistema politico una

conformazione che l‟ha reso predisposto ad essere il contenitore di interessi e la sede

privilegiata di negoziazioni, compromessi e mediazioni tra le posizioni contrapposte e

molte volte opposte sostenute dagli attori coinvolti nei processi decisionali, in primo

luogo dai partiti [Predieri 1975b; Capano e Giuliani 2001a].

Pur non essendo stati, infatti, gli unici attori coinvolti all‟interno dei processi legi-

slativi [Pasquino 1987] e nonostante il parlamento, data l‟elevata permeabilità, sia 1 Ciò dipende dal fatto che i parlamenti che hanno una più elevata capacità di determinare i policy outcomes sono quelli

con una struttura di commissioni più altamente sviluppata; due studi condotti a distanza di un trentennio hanno colloca-

to le commissioni italiane al secondo posto, dopo quelle del Congresso americano, in relazione sia alla forza del sistema

di commissioni all‟interno del sistema politico che alla potenzialità legislativa delle stesse [Cfr. Shaw e Lees 1974, 168

e Mastropaolo e Verzichelli 2006, 97–99].

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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stato, a differenza di quanto verificatosi in altre democrazie occidentali, l‟istituzione

preferita dai gruppi di pressione che lo hanno considerato un utile mezzo di trasmis-

sione delle loro richieste al governo [Norton 1999], i partiti sono stati senza dubbio i

protagonisti principali e incontrastati nei processi di policy making e gli attori più in-

cisivi nello stabilire le priorità dell‟agenda politica e nel determinarne gli esiti. I parti-

ti politici rappresentano infatti una delle basi della rinascita e del consolidamento

democratico dell‟Italia repubblicana; il loro ruolo prioritario all‟interno del sistema

politico emerge già dalla fase dell‟Assemblea costituente, in quanto i criteri adottati

per la formazione della Commissione dei Settantacinque, basandosi sull‟appartenenza

partitica piuttosto che sulla competenza professionale, al fine di rispecchiare e rispet-

tare la proporzionalità tra i diversi gruppi, evidenziano la necessità di tessere e man-

tenere una rete equilibrata di reciproche garanzie [Anastasi 2004; De Micheli e Ver-

zichelli, 2004, 80; Scoppola 2001, 358].

Nella stessa sede emerge la predisposizione dei partiti al compromesso e alla me-

diazione2 e con il trascorrere delle legislature la stessa si rafforza e si consolida in un

assetto stabile e permanente. Nonostante, infatti, il consolidamento democratico re-

pubblicano sia stato condizionato dal fatto che il più grande partito di opposizione

dovesse restare escluso dal governo [Cotta 1990], l‟elemento che ha caratterizzato i

processi decisionali è stato lo stile decisionale consensuale. Inizialmente nato per

fronteggiare una situazione di emergenza3, lo stile decisionale diventa gradualmente

necessario proprio per permettere il coinvolgimento dell‟opposizione all‟interno dei

processi legislativi, configurando quello italiano come uno dei parlamenti più produt-

tivi nell‟ambito delle democrazie occidentali [Predieri 1963 e 1975a; Cantelli, Mor-

tara e Movia 1974] e facendo assumere alle stesse norme la funzione di accordo, ren-

dendole dunque fondamentali come «strumento di organizzazione del sostegno e del

consenso» [Predieri 1975b, 414].

Rafforzatosi nel massiccio ricorso al procedimento decentrato4 e ratificato uffi-

cialmente con la riforma dei regolamenti parlamentari del 1971, lo stile decisionale

2 Durante la discussione e la votazione dell‟attuale art. 29 della Costituzione venne approvato a scrutinio segreto un

emendamento presentato dal socialista Umberto Grilli al fine di eliminare l‟aggettivo indissolubile riferito al matrimo-

nio. L‟articolo 23 del Progetto di Costituzione, nella versione elaborata dal Comitato di coordinamento, al primo com-

ma recitava infatti “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio indis-

solubile”. La proposta di votazione a scrutinio segreto, oltre a rivelarsi una mossa molto abile, dimostra la predisposi-

zione dei partiti al compromesso poiché tra i democristiani c‟era chi era favorevole alla soppressione, che passò per uno

scarto di appena tre voti (194 favorevoli e 191 contrari), ma non poteva affermarlo pubblicamente essendo tra l‟altro il

divorzio «la ragione stessa per cui i deputati democristiani sono stati eletti alla Costituente», come affermato da La Pira

nella seduta della Prima sottocommissione del 13 novembre 1946. 3 Scaturita dalla rottura del patto di collaborazione tra i partiti componenti il Comitato di Liberazione Nazionale

(Comunista, Democristiano, Socialista, Liberale, Azionista, Democrazia del lavoro), avvenuta nel maggio del 1947, do-

po l‟uscita delle sinistre dal governo. Dopo tale rottura rimane tuttavia saldo tra le forze politiche il desiderio di conti-

nuare ad impegnarsi nell‟elaborazione di una Costituzione antifascista, desiderio condiviso da tutti gli schieramenti e

che, dunque, viene assunto come il motivo ispiratore dell‟elaborazione della Carta Costituzionale [Cfr. Caretti 2001,

593]. 4 La decentralizzazione del processo legislativo lo configura come un processo flessibile, per cui la posizione politi-

ca espressa nell‟aula in via ufficiale può tranquillamente essere ribaltata in commissione e viceversa [Ieraci 2000, 207].

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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consensuale permane, insieme al potere dei partiti, come elemento di continuità nel

passaggio dalla prima alla seconda Repubblica e, soprattutto, appare «elemento es-

senziale del modo di essere del parlamento italiano, iscritto nel suo codice genetico»

[Capano e Giuliani 2001b, 416]. Proprio per queste caratteristiche, il modello di legi-

slazione italiano è stato definito partigiano, ad indicare un processo di formazione

delle leggi in cui «ciascun partito coinvolto è disposto a sottoscrivere un compromes-

so legislativo in cambio di alcune concessioni che in qualche modo soddisfino i suoi

obiettivi originari di politica» [Ieraci 2000, 200]. Partendo da questi presupposti, cre-

do si possa delineare il percorso attraverso cui tale modello si è manifestato in rela-

zione a quelli che dal mio punto di vista possono essere definiti compromessi legisla-

tivi sulle questioni di genere, dopo aver delineato i modi attraverso cui gli stessi parti-

ti si sono rapportati alle questioni femminili.

2. I partiti e…

2.1. … la loro visione del ruolo femminile

I partiti politici che più degli altri si rapportano alle questioni femminili e ne ap-

poggiano la causa, almeno formalmente, sono quelli che non solo ricoprono un ruolo

primario all‟interno dei processi legislativi, ma nel corso della prima Repubblica van-

tano, pur con una certa discontinuità, una consistente presenza in termini di seggi par-

lamentari [Cfr. Colarizi 2007, 271], gli stessi che in sede di Costituente si assicurano

«i quattro quinti dell‟intera rappresentanza nazionale»: Dc, Pci e Psi [Novacco, 1969,

242]5. La loro visione del ruolo femminile e degli ambiti entro i quali tale ruolo deve

manifestarsi, trovando tutele e garanzie, ha le sue fondamenta nel tentativo di conqui-

stare e mantenere l‟egemonia elettorale nel Paese, dal momento che, a partire dalla

campagna elettorale per l‟Assemblea costituente, attrarre il consenso femminile attra-

verso il diritto di voto appena esteso alle donne è la carta vincente per rafforzare il

sostegno elettorale e misurare i rapporti di forza nel momento di instaurazione e con-

solidamento del nuovo stato democratico [Gaiotti de Biase, 1998, vol. I, 93].

Per la Dc non esiste un ruolo femminile, esiste il ruolo femminile, che si identifica

in modo esclusivo con l‟essenziale (e quindi insostituibile) funzione familiare, cui,

eventualmente, devono adeguarsi le condizioni di lavoro, garantendone

Le commissioni diventano dunque, molto più dell‟assemblea, il luogo della contrattazione politica, come dimostra il

fatto che nel corso delle prime quattro legislature repubblicane (1948–1968), su un campione di leggi discusse e appro-

vate alla Camera dei Deputati, i voti contrari e le astensioni dell‟opposizione comunista sono stati, complessivamente,

di numero trascurabile [Cfr. Cazzola 1972, 79, 85; Predieri 1975a, 265]. 5 La Dc conquista 207 seggi, il Pci 104 e il Psi 115, corrispondenti, rispettivamente, al 35,2, al 19 e al 20,7% dei vo-

ti.

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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l‟adempimento, cosi come recita l‟articolo 37 della Costituzione6. La Dc crede infatti

che la donna debba svolgere il suo ruolo prevalentemente all‟interno delle mura do-

mestiche, dedicandosi con sacrificio e abnegazione alla cura dei figli e della casa7.

Si ritiene inoltre che l‟essenzialità della funzione familiare, declinata nella versione

della dedizione totale della madre alla cura dei figli, rappresenti un titolo preferenzia-

le per connotare gli ambiti lavorativi femminili e come tale viene riproposta nelle

prime legislature8.

L‟impostazione del partito rispecchia, com‟è facile intuire, l‟idea propria della

concezione cattolica della famiglia e del matrimonio e all‟interno di essa rimarca in

particolare il ruolo della donna moglie–madre–sorella, volto alla difesa della moralità

dei costumi e dei principi cristiani. A conferma di ciò, il fatto che la maternità doves-

se presupporsi all‟interno del vincolo matrimoniale, e che anche il lavoro femminile

potesse essere oggetto di tutele e garanzie se svolto da donne regolarmente coniugate

e con prole9, cosi come gli stessi servizi sociali dovevano nascere di riflesso alle tra-

sformazioni dello stato civile delle donne10

. Nell‟impostazione democristiana, quindi,

6 Non è un caso, infatti, che già in sede di Assemblea costituente a discutere sull‟essenzialità o meno della funzione

familiare siano stati gli uomini e tra questi in particolare i democristiani, tra cui La Pira, che aveva affermato che «la

vita di una madre di famiglia è interiorizzata nella casa». Si deve tuttavia a Moro l‟introduzione dell‟aggettivo “essen-

ziale”, inserito per evitare che, nella particolare situazione storica in cui ci si trovava e che vedeva la donna uscire di

casa «per entrare nella vita sociale si possa interpretare questa nuova realtà come una minorazione della posizione es-

senziale della donna nella vita familiare, e pertanto si sente il bisogno di confermare l‟essenzialità della donna

nell‟ambito della vita familiare». Cfr. gli interventi di entrambi nella seduta della Prima sottocommissione del giorno 8

ottobre 1946. 7 Cfr. la seduta antimeridiana della Camera del 27 giugno 1950 e quella del Senato del 16 novembre 1956, rispetti-

vamente sulle discussioni delle leggi nn. 860 del 1950 (“Tutela fisica ed economica della lavoratrice madre”) e 1441 del

27 dicembre 1956 (“Partecipazione delle donne all‟amministrazione della giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali

per i minorenni”. 8 Cfr. il disegno di legge presentato da Moro, in veste di ministro di Grazia e giustizia, riguardo la discussione

sull‟ammissione delle donne alle Corti di assise e ai Tribunali per i minorenni, in cui il democristiano sottolinea proprio

come, soprattutto in relazione alla partecipazione femminile nei Tribunali per i minorenni, la donna può portare

«l‟apporto insostituibile dell‟amore materno», rapportandosi col minore e svolgendo opera di rieducazione come se si

trattasse di suo figlio. Inoltre, sostiene ancora, dalla partecipazione femminile l‟amministrazione della giustizia non può

che trarre beneficio, attingendo a quell‟intuito femminile particolarmente acuto e «rafforzato attraverso quella consue-

tudine di vita che la madre e la sorella molto più che non altri componenti della famiglia possono avere». Cfr. Camera

dei Deputati, Disegni di legge, II legislatura, n. 1882 e Senato della Repubblica, Discussioni, sedute del 20 e 30 no-

vembre 1956. 9 In sede di discussione della legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, ad esempio, erano stati

proprio i democristiani ad introdurre un emendamento, approvato ed inserito nel testo, che prevedeva l‟istituzione, a ca-

rico dei datori di lavoro, delle camere di allattamento e degli asili nido aziendali quando però fossero impiegate trenta

operaie coniugate. Cfr. la seduta della Camera del 4 luglio 1950. 10

A conferma di come la maternità dovesse presupporsi da parte di donne regolarmente coniugate, e che quindi co-

me tale andasse tutelata, si può ricordare la posizione del partito in relazione alla discussione sull‟istituzione dei consul-

tori familiari, servizi che per i democristiani devono indirizzarsi prevalentemente alle esigenze della famiglia e non a

quelle della donna o, più in generale, dei singoli membri che la compongono. Il partito, infatti, sottolinea il ruolo prima-

rio di assistenza familiare, più che di prevenzione, degli stessi, in modo da evitare che i consultori diventino «fornitori

di pillole o di anticoncezionali» o che la loro attività sia incentrata «sul concetto della limitazione delle nascite», piutto-

sto che sulla «programmazione di una procreazione responsabile». Nella visione democristiana, dunque, i consultori

devono svolgere prevalentemente opera di difesa, aiuto e sostegno alla famiglia nel suo insieme; non è affatto casuale

che la prima proposta sia di iniziativa legislativa, venga presentata due mesi dopo l‟esito del referendum sul divorzio e

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non soltanto la naturale vocazione della donna è quella di essere sposa e madre, ma

un eventuale lavoro extradomestico potrebbe creare problemi nell‟assolvimento dei

compiti familiari che spesso, «se male compiuti, costituiscono motivi di turbamento

nei rapporti fra coniugi con conseguenze talvolta irreparabili»11

.

Per i comunisti l‟emancipazione femminile è uno dei problemi centrali nel rinno-

vamento dello Stato e della società italiana e già in sede di Assemblea costituente

Togliatti, pur riconoscendo che l‟attività familiare avesse una grande importanza nel-

la vita della donna, aveva sottolineato come l‟introduzione di aggettivi che la specifi-

cassero, sopravvalutandola, sarebbe stata contraria ai principi paritari che avrebbero

dovuto caratterizzare i rapporti tra i sessi. Inoltre, la funzione naturale della donna di

essere madre e moglie non doveva e non poteva coincidere esclusivamente con

l‟attività familiare, relegando in secondo piano le altre, prima fra tutte quella lavora-

tiva. Secondo Togliatti, infatti, il lavoro femminile non poteva che arricchire l‟intera

attività familiare della donna, dal momento che «soltanto quando la donna si sarà in-

serita nella vita economica e sociale, riuscirà a garantirsi un tale sviluppo della pro-

pria persona, per cui anche l‟adempimento della sua funzione familiare verrà ad esse-

re adeguato a quelle che sono le necessità personali»12

.

Per i comunisti l‟emancipazione della donna è strettamente legata a quella della

classe operaia e la questione femminile, cosi come quella meridionale, non va consi-

derata in modo isolato, piuttosto rappresenta una conseguenza del tipo stesso di svi-

luppo economico13

. A differenza dei democristiani, i comunisti indirizzano dunque la

loro attenzione nei confronti della lavoratrice, convinti che le che le leggi emanate in

favore della condizione femminile debbano mirare principalmente a garantire parità

di accesso e trattamento e a migliorare le condizioni di lavoro. Attenzione particolare

dedicano inoltre alle maggiori garanzie che devono essere destinate alla lavoratrice

nel momento in cui diventa madre, in modo tale che, come ha ricordato Teresa Noce

abbia tra i firmatari proprio due senatrici democristiane. Cfr. l‟intervento di Boffardi nella seduta della Commissione

Igiene e sanità della Camera del 22 luglio 1975 e Senato della Repubblica, Disegni di legge, VI legislatura, n. 1701. 11

Intervento di Calvi nella seduta della Camera del 17 giugno 1969, in sede di discussione della legge sul divorzio.

C‟è da sottolineare che, a differenza dei loro colleghi, nel corso delle legislature le democristiane, tranne qualche ecce-

zione, abbandoneranno l‟idea del salario familiare e si renderanno conto della necessità di adeguare le loro impostazioni

alle trasformazioni che a partire dagli anni Settanta investono il ruolo femminile. A conferma di come, sollecitate anche

dall‟attenzione dell‟Europa nei confronti della condizione femminile, le democristiane si avvicinino alle parlamentari di

sinistra, che già in sede di Costituente avevano sostenuto la necessità della nascita di una società di servizi che aiutasse

la donna a conciliare famiglia e lavoro, si può riportare l‟intervento di Amalia Casadei, che nella seduta della Camera

del 30 giugno 1977, in sede di discussione della legge sulla parità di trattamento, afferma infatti: «[…] Nessuna perso-

na può essere identificata con una funzione, per quanto nobile, tanto da negarle, in nome di tale funzione, l'esercizio di

tutti gli altri inalienabili diritti […] non si può prefissare per nascita, per sesso o per classe il ruolo di una persona nella

società, né limitarne la responsabilità in un ambito prestabilito. La persona si realizza anche nel lavoro, che è insieme

possibilità di ritrovare se stessi e scuola di vita comunitaria. Non si può assegnare per principio, per nascita, a nessuna

persona un lavoro prefissato […] Non si tratta allora di liberare la donna dal ruolo di casalinga, bensì di liberare la con-

dizione familiare, per l‟uomo e la donna dai condizionamenti sociali e dai ruoli standardizzati». 12

Cfr. il suo intervento in sede di Prima sottocommissione nella seduta del giorno 8 ottobre 1946. 13

Già dalla prima legislatura infatti la maggioranza delle proposte legislative presentate dal partito aveva riguardato

i problemi più urgenti ed elementari della popolazione, in primo luogo lavoro, casa, assistenza, fino ad investire le ri-

forme di struttura più indispensabili, come i piani edilizi [Cazzola 1974, 66–67].

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nella sua autobiografia in relazione alle vicende legislative della legge n. 860 del

1950, venissero assicurate forme di tutela a «tutte le mamme che lavorano, non im-

porta quando, né dove, né come» [Noce 1974, 380].

Si tratta dunque di interventi che vanno integrati e coordinati all‟interno di un più

vasto programma di riforme basato sul decentramento e l‟erogazione dei servizi, tra

cui un ruolo di primo piano assumono i consultori familiari e gli asili nido, di cui, a

differenza dell‟impostazione democristiana, devono poter usufruire tutte le lavoratrici

madri, a prescindere dal loro stato civile14

. Un‟efficiente rete di servizi decentrata sul

territorio, infatti, è l‟unico strumento in grado di rispondere direttamente ed in modo

adeguato alle esigenze delle donne sia come madri, guidandole nella scelta di una

maternità responsabile, che come lavoratrici, evitando che le stesse si vedano costret-

te «a scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto alla maternità»15

.

A metà strada tra l‟impostazione dei comunisti e quella dei democristiani si pone il

Partito Socialista che al pari dei primi sostiene la necessità della nascita di strutture

sociali e forme di assistenza rivolte nello specifico alle lavoratrici, ma, avvicinandosi

alla posizione sostenuta dai secondi, la supera decisamente, sostenendo l‟urgenza di

una diversa e più equa distribuzione dei compiti tra uomo e donna, non soltanto nella

società, con particolare riferimento all‟ambito lavorativo, ma anche e soprattutto nella

famiglia. I socialisti, infatti, sono convinti che la condizione di marginalità e disparità

della donna nell‟ambito del mercato del lavoro tragga la sua origine dal carico struttu-

rale e culturale connesso al suo ruolo domestico, che non solo la vede svolgere le

classiche funzioni di casalinga, ma a cui deve aggiungere «il triplice lavoro di assi-

stente all‟infanzia, madre e infermiera»16

. Nell‟impostazione socialista è necessario

dunque, ispirandosi al principio di uguaglianza sostanziale, cambiare la distribuzione

dei ruoli tra i sessi17

, in modo tale che «sia l‟uomo sia la donna abbiano la possibilità

pratica di partecipare attivamente al mondo del lavoro ed esercitare nel contempo le

loro funzioni di genitori»18

.

Per i socialisti le leggi in favore della condizione femminile devono essere in sin-

tonia con la mutata condizione della donna, attraverso il riconoscimento e la tutela

del suo ruolo di madre, moglie e lavoratrice, aspetti non inconciliabili, ma concor-

14

Cfr. la seduta della Camera del 14 luglio 1950. 15

Cfr. l‟intervento di Zanti nella seduta del Senato del 3 luglio 1975. 16

Intervento di Dalle Mura nella seduta antimeridiana del Senato del 13 ottobre 1977. Cfr. inoltre l‟intervento di

Magnani Noya nella seduta della Camera del 29 giugno 1977. 17

Idea che il partito fa propria a partire dalla fine della guerra, come emerge già in “Lettera alla donna”, pubblicazio-

ne che circola a partire dal mese di aprile del 1945 e che nei primi numeri insiste appunto sul «problema del superamen-

to dei ruoli» [Ajo‟ e Alloisio 1978, 86]. 18

Camera dei Deputati, Disegni di legge, VII legislatura, n. 1154. In sede di discussione della legge sulla parità di

accesso (legge n. 66 del 9 febbraio 1963, “Ammissione della donna ai pubblici uffici e alle professioni”) Lina Merlin

sottolinea appunto come «l‟equiparazione che diamo con questa legge è sacrosanta e non ci sono ragioni che tengano

contro coloro che dicono che “la donna sta bene in casa”. Mia madre ha allevato dieci figli e ha fatto pure la maestra,

ma ha sempre fatto il proprio dovere di sposa, di madre e di maestra. Il guaio è che in questa società corrotta si vuole

sempre la donna lavoratrice, con un piccolo stipendio e per due usi». Cfr. il suo intervento nella seduta pomeridiana del-

la Commissione Lavoro della Camera del 17 ottobre 1962.

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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renti all‟affermazione della totalità della persona. Nel pensiero socialista una politica

per la famiglia, infatti, non può prescindere dal raggiungimento di due obiettivi: «fa-

vorire l‟ingresso stabile e qualificato della donna nella società produttiva, condizione

necessaria della sua emancipazione e base anche di una famiglia di tipo nuovo; pro-

muovere le condizioni concrete oltre che giuridiche perché la maternità sia una scelta

libera e responsabile per la donna, ma, proprio per essere tale, anche un evento di cui

la società, e non solo la famiglia, deve farsi carico»19

.

Emerge nel pensiero socialista una particolare sensibilità nel cavalcare l‟onda della

mobilitazione delle donne, come succede nel caso del divorzio e dell‟aborto, in cui il

deputato Loris Fortuna si fa promotore di due proposte di legge per l‟introduzione del

divorzio e la legalizzazione dell‟aborto20

. Per i socialisti, infatti, lucidamente lungi-

miranti, la responsabilità delle scelte politiche, che devono trasformare le preferenze

in decisioni, e il conseguente grado di responsiveness delle coalizioni governative

devono saldarsi necessariamente con le rimodulazioni delle erogazioni del sistema di

welfare, che solo in questo modo può riuscire a raggiungere livelli efficienti di pre-

stazioni, in relazione alle esigenze dei cittadini, delle famiglie e in particolare delle

donne21

.

2.2. …l’antifemminismo

Più o meno accentuato e più o meno palese, declinato di volta in volta nei modi

della distrazione o dell‟indifferenza e orientato principalmente ad uso strumentale a

fini elettorali e di rafforzamento del consenso, l‟antifemminismo dei partiti affonda

le sue radici nella fase del Comitato di Liberazione Nazionale22

e sembra trovare so-

lide basi in quel vizio d‟origine con cui viene emanato il decreto che estende il diritto

di voto alle donne, decreto in cui “ci si dimentica” di stabilire l‟elettorato passivo23

.

19

Intervento di Minnocci nella seduta del Senato del 2 luglio 1975; cfr. anche l‟intervento di Pittella nella seduta del

Senato del 3 luglio 1975. 20

Cfr. Camera dei Deputati, Disegni di legge, V legislatura, n. 1, VI legislatura, n. 1655. 21

Cfr. l‟intervento di Zaffanella nella seduta della Commissione Igiene e sanità della Camera del 22 luglio 1975. 22

I partiti che lo compongono (Comunista, Democristiano, Socialista, Liberale, Azionista, Democrazia del lavoro),

tranne qualche eccezione, dimostrano infatti una tiepida attenzione nei confronti delle rivendicazioni femminili che,

nell‟autunno del 1944, sono indirizzate al riconoscimento dei diritti politici. Una protagonista di quegli anni, Marisa

Rodano, ha ricordato che le rappresentanti dei Movimenti femminili dei partiti del Cln avevano inviato una mozione

allo stesso in cui gli chiedevano «di sostenere presso il governo il diritto delle donne italiane di partecipare alle prossi-

me elezioni amministrative su un piano di assoluta parità con gli uomini» sollecitando, inoltre, «una precisa presa di po-

sizione del Comitato di Liberazione Nazionale su un problema che interessa la metà della popolazione pensante del pae-

se». La Rodano ha ancora sottolineato come le stesse rappresentanti fossero seriamente preoccupate del disinteresse to-

tale dei partiti verso la questione, anche in considerazione del fatto che alcuni di essi (Liberali e Democrazia del Lavo-

ro) pensavano dovesse essere la futura Assemblea costituente a pronunciarsi sull‟estensione del diritto di voto alle don-

ne. Cfr. Mozione presentata al Comitato di Liberazione Nazionale, in Archivio del Partito Comunista, presso la Fonda-

zione Istituto Gramsci, Roma, senza numero. 23

Il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio 1945 estende alle donne l‟elettorato attivo, un successi-

vo decreto legislativo luogotenenziale emanato un anno dopo, il n. 74 del 10 marzo 1976, insieme alle norme per

l‟elezione dei deputati dell‟Assemblea costituente, all‟articolo 7 stabilisce l‟elettorato passivo, dettando i criteri di eleg-

gibilità. [Cfr. Izzi Di Paolo e Sepe 1996, 359–366].

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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L‟antifemminismo, tuttavia, esplode letteralmente durante la campagna elettorale per

l‟Assemblea costituente, quando emergono i sentimenti ambivalenti dei partiti nei

confronti dell‟elettorato femminile; tutti mirano infatti ad «accattivarsi le donne elet-

trici» [Federici 1957, 67], elemento su cui puntare al fine di consolidare la propria

posizione elettorale, ma considerano il voto femminile strumentale, come dimostra la

lucida divisione effettuata tra gli argomenti da affrontare: agli uomini vengono affida-

ti quelli più strettamente politici e alle donne quelli inerenti la ricostruzione24

. Le

donne vengono considerate tanto numericamente importanti quanto totalmente ine-

sperte, data l‟estraneità (o sarebbe meglio dire l‟esclusione) con la sfera della rappre-

sentanza politica; le prime ad essere presenti in un‟assemblea elettiva25

sono le ven-

tuno deputate elette all‟Assemblea costituente, sede in cui la loro attività è totalmente

coincisa con l‟affermazione dei diritti femminili, trovando dunque nella rappresenta-

tività sociologica un canale privilegiato e diretto per il riconoscimento dell‟ottica di

genere.

Sebbene il genere, come categoria interdisciplinare, emerga qualche decennio più

tardi, le deputate sono le prime a considerare e far considerare quella di genere come

un‟appartenenza politicamente e socialmente determinante. Pur essendo consapevole

di essere stata eletta in nome dei rispettivi partiti di appartenenza, la rappresentanza

femminile presente in sede di Costituente si declina come rappresentatività sociologi-

ca, in quanto sente infatti di rappresentare tutte le donne italiane, a prescindere da

impostazioni ideologiche e indipendentemente dal credo religioso. Riesce quindi,

tranne le discussioni sull‟indissolubilità del matrimonio e sui finanziamenti statali al-

la scuola privata, su cui prevalgono le divisioni di partito, a formare un fronte trasver-

sale che accanto ai tre tradizionali (centro, destra e sinistra) si presenta forte, combat-

tivo e ricco di proposte concrete. Tralasciando le astratte enunciazioni di principio, e

dimostrando uno spiccato senso di concretezza, prospetta in modo dettagliato situa-

zioni specifiche e impone ai colleghi, molti dei quali pur non essendo contrari

all‟affermazione di un‟ottica paritaria non vogliono che la stessa venga affermata in

modo radicale, il riconoscimento e la tutela della mutata condizione femminile. Il lo-

ro contributo è stato decisivo nell‟elaborazione degli articoli, già a partire dalla ter-

minologia usata, in modo tale da evitare parole o espressioni che costituissero impli-

citamente o esplicitamente motivo di discriminazione nei confronti delle donne, evi-

24

Le candidate, infatti, che costituiscono delle minoranze politicamente attive, hanno avuto modo, durante la Resi-

stenza, di entrare in contatto diretto con i problemi della popolazione, acquisendo una conoscenza dettagliata delle con-

dizioni e delle richieste femminili [Falchi 2003, 129]. Nadia Spano, futura Costituente comunista, ha ricordato come

già dai manifesti elettorali apparisse l‟immagine della donna con un bimbo in braccio o cui si rivolgeva un prigioniero

dietro il filo spinato, che le chiedevano di votare per salvare le fasce della popolazione più colpite dalla guerra, bambi-

ni e anziani, in relazione al contributo che il suo voto, arricchito da esperienza familiare e innato senso pratico, poteva

dare ai fini della ricostruzione del Paese [Spano 2004]. 25

Generalmente quando si parla delle prime donne elette ci si riferisce alle deputate dell‟Assemblea costituente, ma

è opportuno ricordare che prima del 2 giugno 1946 le donne italiane partecipano alle elezioni amministrative della pri-

mavera dello stesso anno, in cui vengono elette circa 2000 donne all‟interno delle amministrazioni comunali [Addis Sa-

ba 1996, 27].

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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tando dunque che il sesso continuasse a essere «un fattore discriminante per il godi-

mento dei diritti civili e sociali»26

.

Proprio in sede di Assemblea costituente si assiste alla denuncia con cui le donne

sottolineano la distrazione e l‟indifferenza dei partiti nei confronti delle questioni

femminili ed in cui evidenziano le logiche di funzionamento degli stessi, tipicamente

declinate nei tempi e nei modi maschili della dimensione di genere. Emblematico, a

mio avviso, il fatto che, il 25 luglio 1946, cosi come ricorda la comunista Spano

era stata approvata la concessione di un Premio della Repubblica, 3.000 lire, ai reduci per far

fronte alle loro prime spese. Dovemmo firmare tutte insieme, deputate di vari partiti, un ordi-

ne del giorno che estendeva tale beneficio alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionieri

perché i Costituenti si accorgessero di averle dimenticate […]. Sentivo di parlare a nome di

tutte le donne italiane, che la mia fosse la loro voce quando, rivolgendomi ai colleghi uomini,

li esortai a far si che l‟Assemblea Costituente rettificasse solennemente la nuova condizione

femminile, più giusta e libera. E forse fu l‟occasione in cui sentii veramente di avere tenuto

fede al mandato ricevuto [Spano in Addis Saba 1996, 21].

Questa dimenticanza dei Costituenti gradualmente, con il trascorrere delle legisla-

ture si trasformerà in ostilità, più o meno accentuata, nei confronti delle candidature

femminili. Riguardo la Dc, ad esempio, De Gasperi aveva auspicato una maggiore

partecipazione politica femminile, sperando che la donna italiana superasse la sua «i-

stintiva ritrosia ad occuparsi dei partiti» e costituisse quella molla in grado di trainare

l‟operato maschile nell‟opera di ricostruzione e aveva inoltre sottolineato quanto fos-

se importante la partecipazione attiva delle donne «nelle riunioni, nei congressi, nei

parlamenti» [De Gasperi 1966, 12, 17]. Di fatto, però, dopo gli esiti delle consultazioni elettorali del 1948, che inaugurano

la I legislatura repubblicana, la nuova delegata nazionale del Movimento femminile

della Dc, Maria De Unterrichter Jervolino, ex Costituente, sottolineerà come il Mo-

vimento avesse condotto la campagna elettorale con l‟unico obiettivo di far eleggere

il maggior numero possibile di parlamentari democristiani, con un‟attenzione partico-

lare rivolta alle candidate

26

Intervento della democristiana Maria Federici nella seduta del 22 maggio 1947. Non è un caso se il sesso appare

come prima e fondamentale tra le distinzioni presenti nel primo comma dell‟articolo 3. L‟inserimento dell‟inciso “di

sesso” viene proposto infatti dalla socialista Merlin, che ai colleghi che le fanno notare come sia superfluo, dal momen-

to che con le parole “tutti i cittadini” si indicano uomini e donne risponde: «onorevoli colleghi, molti di voi sono insigni

giuristi e io no, però conosco la storia. Nel 1789 furono solennemente proclamati in Francia i diritti dell‟uomo e del cit-

tadino, e le Costituzioni degli altri Paesi si uniformarono a quella proclamazione che, in pratica, fu solamente platonica,

perché cittadino è considerato solo l‟uomo con i calzoni, e non le donne, anche se oggi la moda consente loro di portare

i calzoni» [Merlin, 1989, 93-94]. Nel secondo comma dell‟articolo, inoltre, l‟inciso “di fatto” fu inserito grazie

all‟insistenza della comunista Teresa Mattei, per la quale tale inciso rappresentava appunto l‟effettiva pienezza della

cittadinanza da poco ottenuta. L‟espressione “di fatto” è importante perché sta a significare, come afferma la deputata,

che «le conquiste giuridiche non possono essere realizzate pienamente nella vita, se non sono accompagnate da altre

conquiste, da conquiste di carattere sociale, economico, se non sono accompagnate, cioè, da una completa legislazione

in proposito». Cfr. il suo intervento nella seduta pomeridiana del 18 marzo 1947.

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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per le quali abbiamo fatto una circolare: e questo c‟è stato rimproverato a un certo momento

dai nostri uomini. Spunti polemici contro gli uomini non voglio farne: però non abbiamo mica

detto di boicottare le candidature maschili! Abbiamo detto di badare alle candidature femmi-

nili, cercando di tonificare il Movimento femminile perché reagisse a una certa opera di svalu-

tazione che non è mancata [Jervolino, 1966].

Anche il Partito Comunista non è esente da derive antifemministe; è vero che, co-

me aveva sostenuto Togliatti, la costituzione di un‟associazione femminile che rac-

cogliesse tutte le donne, indipendentemente da appartenenze partitiche, era condizio-

ne imprescindibile per l‟emancipazione femminile. È altrettanto vero, però, che una

maggiore partecipazione femminile si ritiene indispensabile per rafforzare il partito;

a tal fine, si sostiene infatti, occorre «curare particolarmente il lavoro tra i giovani e le

donne» le quali, afferma Togliatti, «sono ancora assenti dalla vita politica del paese e

guai se continueranno ad esserlo perché potrebbero costituire una massa che domani

si potrà mettere contro di noi, contro il movimento democratico» [riportato in Poggi

1968, 32]. Si decide quindi di dar vita alle cellule femminili all‟interno del partito,

decisione che suscita alcune polemiche tra gli stessi aderenti, certi dell‟inutilità delle

riunioni e, come ha ricordato Nadia Spano, convinti, erroneamente, che le proprie

mogli, madri, sorelle o figlie avrebbero sicuramente votato in base alle impostazioni

impartite [Spano 2004].

Il partito, inoltre, aveva sempre sostenuto che anche il diritto di voto fosse una

condizione necessaria e indispensabile per l‟emancipazione, a prescindere

dall‟orientamento del voto femminile. «Abbiamo lottato perché venisse concesso alle

donne il voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative e politiche», sosterrà an-

cora Togliatti, «senza tenere nessun conto delle conseguenze che avrebbero potuto

derivarne per il nostro partito». In realtà, subito dopo le elezioni per l‟Assemblea co-

stituente, Togliatti dichiarerà che una delle cause per cui il partito non è riuscito ad

imporsi come secondo partito dell‟Assemblea è da ricercare «nella debolezza del no-

stro lavoro femminile», considerata la facilità di «condurre tra le donne l‟agitazione

anticomunista» che, soprattutto in alcune zone, aveva favorito l‟orientamento della

maggior parte dei voti femminili nei confronti della Democrazia Cristiana [Togliatti

1965, 42, 50].

Il Partito Socialista sembra costituire una felice eccezione. Al suo interno preval-

gono impostazioni avanzate, che invitano le donne ad occuparsi di politica parteci-

pando attivamente alla vita di partito e alle assemblee di sezione in modo da essere,

insieme agli uomini, protagoniste in prima persona della ricostruzione dell‟Italia. Il

partito anticipa di oltre mezzo secolo i dibattiti sulla partecipazione politica femmini-

le e sugli strumenti più efficaci che avrebbero potuto favorirla27

.

27

A proposito si può ricordare la proposta presentata da alcune donne socialiste che, nel momento stesso

dell‟emanazione del decreto sul voto, avevano suggerito, senza successo, che un decimo dei posti nei consigli comunali

venisse assegnato per legge alle donne per evitare, appunto, un prevedibile scarso numero di elette, considerata la loro

estraneità dal mondo della politica e, quindi, la prevedibile difficoltà, certamente non loro imputabile, di usare al meglio

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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Inoltre, attribuisce al diritto di voto una funzione pedagogica, visto che, come so-

stiene il leader Nenni, il diritto di voto avrebbe responsabilizzato le donne facendo

nascere in loro il desiderio e la volontà di occuparsi, insieme agli uomini, di tutti i

problemi di interesse nazionale, dal momento che «la donna italiana può aspirare

quando ne ha la capacità necessaria a tutte le cariche pubbliche fino a quella di presi-

dente del Consiglio»28

. Nonostante queste impostazioni avanzate, il virus

dell‟antifemminismo colpisce anche i socialisti. A proposito è significativo un episo-

dio riportato da Bianca Bianchi, futura Costituente socialista, che ricorda come, no-

nostante fosse necessaria la sua candidatura, «emblema della novità, del progressi-

smo, del richiamo per le allodole, in questo caso le donne», ai fini della propaganda

elettorale e per la conquista del maggior numero di elettrici, anche in seguito alla sua

popolarità tra le masse femminili, venne trattata con molta ostilità dai compagni di

partito, perché era stata proposta come capolista. Rimase comunque in lista, anche se

venne presentata come seconda, ma venne invitata a firmare una lettera di dimissioni,

preparata nel caso “malaugurato” di una sua elezione29

.

il diritto da poco ottenuto e di gestire quel potere politico che il voto sembrava, almeno in via formale, avesse assicurato

[Addis Saba 1996, 27]. Un altro socialista, Calosso, pensava infatti che questo fosse l‟unico modo per favorire

l‟interesse femminile per la politica e sul quotidiano del partito aveva scritto: «una consuetudine che potrebbe determi-

nare un risveglio generale delle donne verso gli interessi collettivi è quella di dare a loro almeno un decimo dei posti nei

Consigli comunali e in ogni genere di Consigli, da quelli di fabbrica a quelli di partito. Dopo secoli di oppressione, è

sciocco aspettarsi di trovare le donna italiana pronta alla vita amministrativa e politica. Essa voterà quasi certamente so-

lo per degli uomini. Occorre darle un aiuto, dare una spinta alla macchina ancora fredda, che poi correrà da sé. Questa

convenzione di dare un decimo dei posti alle donne determinerebbe un interesse in tutte le donne, metterebbe in luce nel

più remoto villaggio un gruppetto di donne più vivaci, tirerebbe fuori delle capacità organizzative, costituirebbe una

scossa revitalizzatrice» [Calosso 1946]. 28

Siete per il voto alle donne?, «Noi donne», 15 gennaio 1945. 29

Nella sua autobiografia la Bianchi ha ricordato che per fronteggiare la paura che fosse eletta «prepararono una let-

tera di dimissioni dalla carica di deputato, per far passare al mio posto un vecchio socialista dalla barba bianca. Il segre-

tario Ignesti mi chiamò in Federazione. Non fece preamboli. Mi disse subito che dovevo firmare una lettera senza speci-

ficarmi il contenuto. „Desidero leggerla‟. „Perché?‟ „Come perché? Non penserai che firmi qualcosa senza sapere che

cosa c‟è scritto. Mi giudichi così stupida?‟ „No, che c‟entra –era confuso– sai sono le direttive del partito‟. „Meglio an-

cora. Voglio conoscerle. Sono iscritta, no? Ho diritto di sapere.‟ „Va bene, facciamola finita. Ecco, leggila.‟ Me la por-

se. Non era una lettera, ma una dichiarazione. Avrei dovuto dichiarare che mi sarei dimessa dalla carica di deputato,

qualora fossi stata eletta: mi si ringraziava perfino del contributo che avevo dato alla propaganda elettorale. Una farsa.

La ripiegai e gliela resi. L‟amarezza si impadronì di me, ma la nascosi ben bene. „Non firmo.‟ „Come non firmi?‟ „No: è

un imbroglio, Ignesti, è perfino cretino. Avete fatto tutto qui in famiglia, con questi quattro barboni che non sopportano

di essere stati scavalcati da una donna. Mi rifiuto di chiamare in causa le direttive del partito: un partito che seguisse

una strada cosi immorale non avrebbe diritto di esistere. Ci siamo intesi? Non ci provate più.‟ C‟era fuori della segrete-

ria un compagno che evidentemente aveva sentito tutto: mi strinse la mano. Fu l‟unica nota di sollievo» [Bianchi 1993,

97–98].

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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3. Che genere di mediazione? L’interazione dei partiti in parlamento negli

anni Settanta

3.1. Intercettare il consenso attraverso la legge: il divorzio

La mancanza di volontà politica dei partiti di considerare l‟appartenenza di genere

griglia di lettura attraverso cui decifrare le rivendicazioni femminili, trasformandole

in risposte e decisioni, trova una conferma nelle vicende legislative inerenti i diritti

civili, in particolare divorzio e aborto, vicende che più di altre dimostrano proprio la

loro indisponibilità a considerare il genere una variabile indipendente, isolata dal con-

testo storico–politico di riferimento [Ergas 1998, 141].

Il divorzio, nonostante le prime proposte legislative risalgano alla metà degli anni

Cinquanta, rappresenta un passaggio obbligato per rendere ancora possibile una mag-

gioranza di governo di centro–sinistra che ormai si avvia verso la sua fase finale e

che solo in parte è riuscita ad attuare il piano di riforme presentato negli obiettivi

programmatici30

; nel caso dell‟aborto si tratta invece di costruire, sulle basi già getta-

te al tempo della discussione sul diritto di famiglia, una nuova maggioranza parla-

mentare in cui emerge il ruolo preminente di democristiani e comunisti (compromes-

so storico). Si può dunque affermare che la mediazione che avviene in parlamento fa-

vorisce l‟esistenza e la stabilità delle coalizioni di governo, la cui debolezza viene

confermata dalla posizione neutrale assunta dallo stesso riguardo l‟approvazione delle

leggi, scaturita dalla consapevolezza di non poter contare sulla maggioranza che gli

ha accordato la fiducia31

.

È vero che il Psi, come è stato detto, è il partito che intercetta le richieste femmini-

li; è altrettanto vero, però, che nel caso del divorzio, in realtà, l‟intercettazione della

domanda femminile diventa strumentale per rafforzare il consenso elettorale, dal

momento che gli esiti delle elezioni politiche che inaugurano la V legislatura, quelle

del 19 maggio 1968, nelle quali il partito si era presentato insieme ai socialdemocra-

tici, nel Psu, non erano stati particolarmente favorevoli [Colarizi 2007, 98–99]. Le

due proposte che vengono presentate alla Camera nel 1968, a pochi mesi di distanza

l‟una dall‟altra, sono entrambe di iniziativa parlamentare; la prima viene presentata

dal deputato Fortuna ed altri colleghi e la seconda, assorbita dalla prima, dal deputato

30

Proprio a causa della loro presenza all‟interno della maggioranza di governo, la posizione dei socialisti nei con-

fronti della Democrazia Cristiana è molto critica e tende sempre a sottolineare come la resistenza a non voler discutere

l‟argomento, oltre a minacciare la stabilità di governo, avrebbe rimesso «in circolazione tesi anticlericali e di intonazio-

ne ottocentesca che la sinistra laica italiana ha accantonato dalla liberazione in avanti» (Intervento di Guerrini nella se-

duta della Camera del giorno 11 giugno 1969). 31

Cfr. in proposito l‟intervento del Presidente del Consiglio Rumor nella seduta della Camera del 26 novembre 1969

e quello del ministro di Grazia e giustizia Reale nella seduta pomeridiana del Senato del primo ottobre 1970. È opportu-

no ricordare che l‟avvio della V legislatura vede la formazione di un monocolore democristiano (II governo Rumor, 5

agosto 1969–27 marzo 1970) sostituito in seguito dal ritorno alla coalizione di centro–sinistra (governo Colombo, 7 a-

gosto 1970–17 febbraio 1972).

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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Baslini ed altri colleghi32

. L‟appartenenza dei due proponenti rispettivamente al Parti-

to Socialista ed a quello Liberale secondo la storica Colarizi dimostra che le proposte

si presentano adatte a raccogliere consensi trasversali e a trovare sostegni sia a destra

che a sinistra [Colarizi 2007, 101]. Inizialmente la Dc fa ostruzionismo, iscrivendo ad

intervenire nel dibattito ben 101 deputati; successivamente abbandona tale atteggia-

mento in seguito ad una decisione dei capigruppo di concludere i lavori relativi alla

prima lettura entro una certa data.

Il partito motiva la sua contrarietà alla legge sostenendo come essa sia dettata da

motivi non confessionali e da ragioni volte a salvaguardare quelle che più volte ven-

gono definite le norme della convivenza civile; a proposito alcuni deputati affermano

addirittura che nell‟ipotesi assurda in cui la Chiesa assumesse posizioni divorziste, lo-

ro continuerebbero ad essere coerenti con le tesi antidivorziste sostenute da sempre davanti al loro elettorato

33. È probabile invece che questo atteggiamento tendesse

proprio a rassicurare lo stesso elettorato, soprattutto in relazione ai risultati elettorali

delle elezioni politiche del 1968, in cui il partito aveva recuperato, anche se legger-

mente, rispetto alla precedente consultazione elettorale [Cfr. Colarizi 2007, 98].

Quando inizia la discussione, sia alla Camera che al Senato vengono avanzate

proposte di sospensione relative alla improponibilità della legge che, si sostiene, è in

contrasto con l‟articolo 7 della Costituzione. Se alla Camera un ordine del giorno pre-

sentato da tutti i parlamentari democristiani in cui si chiede appunto di non passare

alla discussione degli articoli viene respinto con uno scarto di 32 voti (290 contrari e

322 favorevoli)34

al Senato lo scarto di appena due voti sconvolge le posizioni delle

forze laiche perché significa, come ha raccontato una protagonista, Giglia Tedesco,

che un po‟ di laici avevano votato con i democristiani [Riviello 2006, 80].

Dopo tali votazioni, come ricorda ancora la protagonista, la necessità di trovare un

accordo fa assumere alla Dc un atteggiamento collaborativo. Grazie al senatore a vita

Leone riesce a realizzare una mediazione, la cosiddetta “trattativa Leone”, consistente

in una serie di incontri delle delegazioni delle forze laiche e cattoliche. Questo rende

possibile l‟approvazione della legge perché introduce elementi di mediazione quali,

ad esempio, i tempi più lunghi tra separazione e divorzio nel caso in cui il divorzio

32

Cfr. Camera dei Deputati, Disegni di legge, V legislatura, nn. 1 e 467. 33

Cfr. gli interventi di Bernardi e Lucifredi nelle sedute della Camera del 20 giugno 1969 e 14 novembre 1970. A

differenza dei loro colleghi di partito, le parlamentari si rendono conto che il divorzio investe la sfera intima delle co-

scienze e prescinde invece dalle adesioni dell‟elettorato al proprio partito politico. Sono di questo avviso sia la democri-

stiana Maria Eletta Martini che la che la comunista Nilde Iotti. La prima evidenzia infatti come non sia possibile «i-

dentificare una maggioranza, o minoranza parlamentare con la maggioranza dei cittadini favorevoli o contrari al divor-

zio. Tutti sappiamo che l‟adesione o l‟opposizione al nuovo istituto giuridico non sono mediate dai partiti, anzi passano

attraverso i partiti». La seconda, lucidamente, dichiara che «se, certamente, non tutti coloro che votano per il mio partito

sono d‟accordo per il divorzio, sono però altrettanto convinta che non tutti coloro che votano per la Democrazia Cristia-

na condividono il vostro “no” al divorzio» (Interventi nelle sedute della Camera del 9 giugno e 28 novembre 1969). Le

donne si rendono conto quindi che alcune questioni attinenti ai diritti civili, «per il fatto di implicare valori ideali e scel-

te etiche, costituiscono materia di opzioni di coscienza che talora attraversano orizzontalmente gli schieramenti politici,

escludendo l‟identificazione meccanica con l‟uno o l‟altro di essi» [Roppo 1995, 43]. 34

Cfr. la seduta del 26 novembre 1969.

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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fosse stato chiesto dal coniuge cui era riconducibile la colpa, ipotesi che inizialmente

era stata totalmente rifiutata dal partito. Permangono tuttavia inalterate le posizioni

dei due schieramenti; la mediazione, come afferma Leone, era stata condotta soltanto

perché «il giorno in cui dovessimo perdere la battaglia per il divorzio ci piacerà aver-

la perduta anche dando un contributo ad una legge fatta meglio perché, come ho det-

to, non si tratta di vittoria di partito, di gruppi, ma dell‟istituto fondamentale della so-

cietà italiana»35

.

La maggioranza legislativa con cui viene approvata la legge è diversa da quella di

governo; si potrebbe obiettare che questa non è una novità dal momento che lo stile

decisionale consensuale presuppone che le leggi vengano approvate da maggioranze

diverse da quelle che sostengono il governo. La novità, in questo caso, che è unico, è

rappresentata dal fatto che si tratta di una maggioranza legislativa che è diversa da

quella governativa a causa di una spaccatura all‟interno di quest‟ultima e solo in rela-

zione ad un argomento specifico, com‟è quello del divorzio. Questo non mina assolu-

tamente la coalizione di centrosinistra (Dc–Psi–Psdi–Pri) come dimostra il fatto che

su altre questioni la maggioranza ritrova la sua unità, come succede a proposito dei

provvedimenti del governo e delle misure adottate in campo economico (il cosiddetto

decretone).

La maggioranza legislativa a favore della legge sul divorzio (Psi–Psdi–Pri–Pci–

Pli–Psiup) secondo Predieri, oltre a dimostrare la tenuta della coalizione di governo,

dimostra anche che l‟elettorato accetta in pieno la formazione di maggioranze diffe-

renziate, costituite con la presenza di un‟opposizione che partecipa alla formazione

delle leggi di interesse generale con la propria forza negoziale. Questo altro non sa-

rebbe che la trasposizione, sul piano parlamentare, di forze e dinamiche politiche e

sociali [Predieri 1975a, 73] e non farebbe che evidenziare l‟aumento del ruolo

dell‟opposizione, in particolare del Partito Comunista, a partire dalla V legislatura,

all‟interno del processo legislativo [Di Palma 1979, 367].

3.2. Logiche di collaborazione: il dibattito sull’aborto

Dopo la vicenda del divorzio i partiti si convincono sempre di più che sui grandi

temi inerenti i diritti civili debba necessariamente raggiungersi un‟intesa tra le forze

laiche e cattoliche, a prescindere dalle impostazioni ideologiche. Già durante la di-

scussione sulla riforma del diritto di famiglia, i socialdemocratici avevano consigliato

ai colleghi democristiani di mantenere lo stesso atteggiamento di collaborazione so-

stenuto riguardo il divorzio anche sul futuro dibattito relativo all‟aborto36

. Dietro

35

Intervento nella seduta antimeridiana del Senato del 7 ottobre 1970. 36

Li avevano infatti ammoniti: «fate attenzione, onorevoli colleghi della Democrazia Cristiana, a non ripetere un er-

rore profondo di valutazione della volontà popolare. Quando si tratta di battaglie sui diritti civili la Dc e il Pci debbono

tenere nel dovuto conto il fatto che lo spartiacque passa all‟interno della maggioranza e delle minoranze parlamentari,

dividendo ciò che le grandi scelte sui grandi temi della libertà politica unisce da oltre venticinque anni. Per noi socialisti

democratici l‟ordine esistente non è intangibile; una cosa sono le libertà politiche che noi difendiamo strenuamente dai

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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l‟atteggiamento di collaborazione della Dc, c‟è in realtà il tentativo di recuperare i

consensi elettorali, circa il 3% in meno di voti, persi alle amministrative svoltesi nel

197537

.

Il dibattito alla Camera inizia nel corso della VI legislatura. Le proposte presentate

rappresentano una netta linea di demarcazione tra la posizione sostenuta dai partiti

laici, schierati a favore della non punibilità dell‟aborto e di una sua legalizzazione, ol-

tre che della casistica, consistente nella possibilità di stabilire come e chi, caso per

caso, dovesse accertare se ci fossero le condizioni previste per abortire e quella dei

democristiani che, pur prevedendo una serie di circostanze attenuanti, considerano

l‟aborto un peccato, secondo la dottrina della Chiesa cattolica. Inizialmente sembra

che l‟accordo tra le forze politiche si raggiunga immediatamente, dal momento che il

testo elaborato dalle Commissioni Giustizia e Sanità tiene conto del principio

dell‟autodeterminazione della donna e risponde quindi anche alle richieste delle asso-

ciazioni femminili, prima fra tutte l‟Udi38

.

In realtà, quando si arriva alla votazione articolo per articolo in aula deputati de-

mocristiani presentano un emendamento che indebolisce il principio

dell‟autodeterminazione della donna e ripropone la legittimità dell‟aborto terapeutico,

su cui l‟ultima parola sarebbe spettata ad una commissione medica.

Nell‟emendamento, infatti, si sostiene che, pur rimanendo l‟aborto un reato, non sa-

rebbe stato punito chi lo avesse commesso o consentito «per impedire un danno o pe-

ricolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile, per la salute della

donna»39

. L‟emendamento, contro cui si schierano tutti i partiti favorevoli alla depe-

nalizzazione, viene approvato a scrutinio segreto con uno scarto di appena 12 voti e il

passaggio dello stesso viene salutato in aula con applausi da parte di deputati demo-

cristiani e missini. Tale approvazione rappresenta il momento in cui più di altri e-

merge la totale esclusione delle donne da una discussione cosi intima e delicata:

le donne dell‟Udi e dei gruppi femministi che affollano le tribune del pubblico per assistere a

quella fase della discussione che si considera decisiva per le sorti della legge sono colpite, più

ancora che dall‟esito del voto, dalla plateale assurdità di un parlamento quasi totalmente ma-

pericoli provenienti dall‟estrema destra, e dall‟estrema sinistra, un‟altra le libertà civili. È maturo per noi il tempo di

grandi riforme che, non mettendo in discussione le libertà politiche, amplino la sfera dei diritti dei cittadini costruendo

una società più giusta e più civile» Intervento di Averardi nella seduta antimeridiana del Senato del 4 febbraio 1975. 37

Secondo alcuni tale calo era stato dovuto sia al risultato del referendum sul divorzio che all‟esplosione del mo-

vimento femminista, fenomeni che in parte avevano indirizzato l‟elettorato verso sinistra. In parte, perché è stato notato

come i risultati elettorali, che avevano visto una consistente affermazione dei comunisti a livello locale e regionale nel-

le principali città italiane, erano scaturiti anche dall‟immissione nell‟elettorato di nuove leve, dal momento che nel 1975

per la prima volta avevano votato i diciottenni [Ignazi 2002, 66–67; Mammarella 1992, 128]. 38

L‟elaborato delle Commissioni, scaturito dal coordinamento tra le varie proposte presentate, ribadisce infatti il

principio sostenuto dall‟Udi, quello dell‟autodeterminazione della donna, e non delega più la decisione ad una commis-

sione medica, inizialmente prevista, ma prevede che la donna debba soltanto comunicare la sua decisione al medico di

fiducia che, dopo averne preso atto, le rilascia una certificazione con cui, a distanza di una settimana, può recarsi nelle

strutture pubbliche. Inoltre, anche la casistica sembra assumere un elenco di motivazioni possibili piuttosto che circo-

stanze che condizionano la legittimità della richiesta [Cfr. Michetti, Repetto e Viviani 1998, 242]. 39

Cfr. la seduta della Camera del primo aprile 1976.

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schile che discute e decide su una vicenda cosi tutta femminile. Quella seduta diventa emble-

matica dell‟estraneità della donna rispetto alle istituzioni [Michetti, Repetto e Viviani 1998,

242– 243].

L‟approvazione dell‟emendamento sposta l‟attenzione dalla discussione in parla-

mento alla stabilità della coalizione di governo, ormai traballante dopo che i sociali-

sti, considerando il testo approvato fortemente restrittivo nei confronti

dell‟autodeterminazione della donna, ritirano completamente il loro appoggio

all‟esecutivo provocando la crisi della VI legislatura e aprendo di fatto la via ad ele-

zioni anticipate, i cui risultati mutano completamente il quadro politico e di conse-

guenza anche l‟atteggiamento dei partiti nei confronti della vicenda40

.

Se la legge risulterà infatti alla fine approvata è perché prevale tra le diverse impo-

stazioni democristiane quella di chi riesce a scindere la posizione di contrarietà del

proprio partito e a fare un discorso più ampio e obiettivo inerente appunto le alleanze

e il clima politico. Il partito infatti si rende conto che la propria posizione è diversa

da quella dei partiti con cui forma la maggioranza parlamentare ed è dunque partico-

larmente attento «a non esasperare i toni del contrasto esistente e a ricercare nel con-

fronto parlamentare tutti gli spazi, sia pur minimi, ancora esistenti per migliorare e

modificare la proposta della maggioranza abortista»41

. Inoltre, nonostante la consape-

volezza che l‟andamento della discussione abbia visto ancora una volta la donna «at-

traverso questa legge e questo modo di discutere il problema ricacciata ai margini di

uno scontro che si conduce sul terreno della competizione politica»42

, il partito ritira

dunque ogni clausola che considera l‟aborto volontario come un crimine, allontanan-

dosi decisamente dalle posizioni iniziali, in cui l‟impostazione prevalente era stata

quella cattolica che prevedeva di perdonare la donna che avesse abortito [Ginsborg

1989, 469].

Dall‟altro lato c‟è la posizione di socialisti e comunisti. Mentre per i primi il prin-

cipio dell‟ autodeterminazione della donna deve comunque rappresentare il passaggio

40

Le elezioni del 20 giugno 1976, che danno vita alla VII legislatura (1976–1979), segnano, dopo il 1948, il mo-

mento di massima polarizzazione della politica italiana fra i due maggiori partiti, Dc e Pci, e continuano a mostrare

un‟affermazione delle sinistre anche più consistente di quella che si era riscontrata alle consultazioni amministrative

dell‟anno precedente. I risultati rappresentano quello che è stato definito il “sorpasso” del Pci sulla Dc e vedono i due

partiti contrapporsi «non per proporre agli elettori ipotesi alternative di governo, ma per misurare le proprie forze in vi-

sta di una inevitabile intesa» [Scoppola 1991, 389–390]. Le stesse inoltre inaugurano la fase della “solidarietà naziona-

le”, che inizia con la formazione di un governo monocolore democristiano, cui solo negli ultimi mesi si aggiungeranno

socialdemocratici e repubblicani, detto della “non sfiducia” o delle astensioni perché sostenuto dall‟astensione di tutti i

partiti dell‟arco costituzionale, escluso l‟Msi, e principalmente fondato sull‟accordo tra la Dc e il Pci. Quest‟ultimo par-

tecipa prima all‟accordo programmatico e successivamente entra a far parte della nuova maggioranza parlamentare, re-

stando però sempre fuori dal governo [Fabbrini 1995, 398]. Il governo delle astensioni è la prima tappa del percorso che

nel 1978 cementa la coalizione della solidarietà nazionale, sostenuta dall‟appoggio esterno di comunisti, socialisti, so-

cialdemocratici e repubblicani [Colarizi 2007, 128]. 41

Intervento di Galloni nella seduta della Camera del 6 aprile 1978. Cfr. anche l‟intervento di De Carolis nella sedu-

ta pomeridiana del Senato del 4 maggio 1978. 42

Intervento di Codazzi nella seduta del Senato del 2 maggio 1978.

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finale della decisione43

, i secondi cedono sulle posizioni iniziali, accettando che ven-

gano posti dei limiti alla libertà di scelta della donna e distaccandosi cosi dalle richie-

ste femminili44

, che non lo avrebbero certo aiutato a cementare il legame con i demo-

cristiani, rendendo invece ancora più profondo quel solco che si era aperto con la leg-

ge sul divorzio. Per i comunisti, infatti, la legge rappresenta la risposta della mag-

gioranza parlamentare, di cui fanno parte e che ha dato vita al governo, cementa

l‟intesa da poco raggiunta con i democristiani45

e nonostante sia votata in modo di-

verso dai partiti, ognuno dei quali conserva le proprie idee e la propria identità, rap-

presenta il segno concreto della «nuova maggioranza programmatica di governo di

cui il Partito Comunista Italiano è entrato a far parte, e che deve dimostrare di saper

operare seriamente ed urgentemente, più di quanto, non solo per sua colpa, è riuscita

a operare finora»46

.

4. Qualche (leggermente ottimista) riflessione conclusiva

Le vicende legislative inerenti i diritti civili dimostrano come il genere sia rimasto

totalmente inglobato all‟interno delle logiche di mediazione e compromesso attuate

dai partiti, a conferma di come le divisioni di partito riescano a tracciare solchi pro-

fondi che rendono eccezionali le alleanze interpartitiche tra donne, sia dentro che

fuori i parlamenti [Lovenduski 1993, 6]47

.

43

Cfr. l‟intervento di Granati Caruso nella seduta della Camera del 7 aprile 1978. 44

È stato notato che «la vicenda dell‟aborto è stata la prima occasione, nella storia del Pci, in cui è venuto alla luce

in termini politici espliciti il contrasto di sesso», dal momento che le donne si ritrovano divise in quanto per la prima

volta si apre un contrasto tra l‟identità di donna e quella di militante comunista [Michetti, Repetto e Viviani 1998, 239].

Le donne sostengono infatti come l‟approvazione della legge, oltre ad aver deluso le loro reali aspettative, non sia affat-

to scaturita da un accordo tra i partiti, dal momento che con la sua contrarietà la Dc in realtà «ha solo ottenuto un cedi-

mento dei partiti laici» Cfr. l‟intervento di Castellina nella seduta della Camera del 13 aprile 1978. 45

Il partito del resto aveva riconosciuto l‟atteggiamento di collaborazione della Dc già dai tempi della discussione

sul diritto di famiglia, quando aveva sottolineato come sia il peso dell‟opinione pubblica che il risultato del referendum

sul divorzio, oltre al contributo dei movimenti femminili, avesse fatto prevalere all‟interno del partito di maggioranza

relativa «le forze anti integralistiche, le forze che vedono la difesa della famiglia non in termini di ripristino conservato-

re, ma di sviluppo ideale, politico e sociale». Intervento di Tedesco nella seduta del Senato del 25 febbraio 1975. 46

Intervento di Mafai nella seduta del Senato del 16 maggio 1978. C‟è da sottolineare, inoltre che, cosi com‟era

successo in sede di Assemblea costituente riguardo l‟approvazione dei Patti Lateranensi, in cui, nonostante non fossero

d‟accordo, i comunisti avevano votato a favore sia per evitare spaccature all‟interno del Paese che per non deludere il

proprio elettorato cattolico, adesso il partito accetta di cedere sulle sue posizioni iniziali sia perché alcuni suoi membri

non condividono i valori anticlericali, che, ancora una volta, per non deludere il proprio elettorato cattolico. 47

Molto eloquenti in proposito le dichiarazioni della senatrice indipendente di sinistra Tullia Romagnoli Carrettoni

che, in sede di discussione della legge sul divorzio, aveva infatti affermato: «sull‟argomento dello scioglimento del ma-

trimonio, l‟intransigenza dei cattolici e della Democrazia Cristiana (forse è meglio dire cosi), è sempre stata assoluta ed

in certi dibattiti che siamo venuti facendo con colleghe democristiane e con colleghe di altra parte sui temi della fami-

glia l‟argomento dello scioglimento del matrimonio è sempre stato tabù». Cfr. la seduta del primo luglio 1970. È oppor-

tuno sottolineare che la felice eccezione che ha visto la nascita di un fronte trasversale femminile in sede di Costituente

è scaturita da una congiuntura politica favorevole dovuta da un lato alla distrazione dei partiti, troppo impegnati a misu-

rare i rapporti di forza e a strutturare il consenso politico nel Paese e dall‟altro alla partecipazione femminile alla Resi-

stenza, che riesce a trasformarsi in legittimazione politico– istituzionale in grado, a sua volta, di diventare risorsa alta-

mente spendibile nel settore della rappresentanza politica.

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Genere, partiti e policy making nella prima Repubblica

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Il cronico rifiuto dei partiti di considerare quella di genere una dimensione cruciale

all‟interno dei processi legislativi trova una conferma recente nella vicenda parlamen-

tare dell‟autunno del 2005, che ha portato alla ribalta quel minimo comune denomi-

natore che sembra emergere ogni qual volta si debbano affrontare questioni di genere:

l‟antifemminismo. In sede di discussione sulla riforma elettorale è stato infatti boc-

ciato dalla stessa maggioranza di governo un emendamento volto ad introdurre il

principio dell‟alternanza di genere nelle liste elettorali. Votato a scrutinio segreto, su

richiesta dell‟opposizione, e respinto grazie alla mobilitazione di franchi tiratori del

centrodestra, il risultato della votazione (452 contrari e 140 favorevoli)48

ha visto an-

cora una volta confermata la «matrice genetica monosessuata della politica» [Boccia

2007, 305] o, detto in altri termini, la granitica persistenza di «quel “partito maschile

trasversale” che non ha la minima intenzione di cedere spazi politici alle donne»

[Brunelli 2006, 106]. L‟emendamento mirava ad incrementare la scarsa rappresentan-

za femminile, che vede attualmente l‟Italia ricoprire il 55° posto nella classifica mon-

diale della rappresentanza femminile all‟interno dei parlamenti nazionali, a pari meri-

to con la Cina, e il 24° in relazione al contesto europeo49

.

Queste posizioni costringono inevitabilmente il nostro Paese a misurarsi con delle

insufficienze che non solo indeboliscono uno dei due generi, impedendogli di eserci-

tare il diritto–dovere di partecipare e rappresentare, ma minano alla base la qualità

della democrazia. Qualche anno fa Giovanna Zincone ha coniato una sintetica quan-

to efficace espressione per indicare il procedere delle donne lungo la strada dei diritti

politici: ha parlato infatti di “democrazia del granchio” ad indicare come non solo

nelle fasi di regresso, ma anche in quelle in cui la democrazia sembra progredire, si

assiste ad un regresso che riguarda solo i diritti delle cittadine. Questo fenomeno si

verifica, con modalità diverse, ha sostenuto ancora la studiosa, in alcuni modelli di

democrazia, in cui «la pratica ed il ruolo delle donne sono svalutati», poiché non si

considera quella di genere «un‟appartenenza politicamente cruciale» [Zincone 1996,

206–208].50

Secondo la studiosa il «reale elemento negativo, la variabile che meno

48 Cfr. la seduta della Camera del 12 ottobre 2005. È attualmente in corso di discussione alla Camera il disegno di

legge approvato dal Consiglio dei Ministri e volto ad inserire la doppia preferenza di genere nella formazione delle liste

elettorali per le elezioni comunali e provinciali. Cfr. 2010–2011 Un anno di governo, “Per coinvolgere le donne nella

politica”, su www.pariopportunita.gov.it. 49

Cfr. il sito www.ipu.org. 50

A riprova di ciò basta ricordare che all‟interno della trasformazione del sistema politico italiano, nel passaggio

dalla prima alla seconda Repubblica, sono emersi conflitti nuovi, di varia natura, come, ad esempio, quello territoriale

sostenuto dalla Lega Nord; il conflitto di genere non solo non è emerso, ma «l‟inasprirsi della competizione politica lo

ha fatto inabissare del tutto» [ivi, 208]. Inoltre, secondo la Zincone le donne si trovano nell‟impossibilità di portare a

termine con successo le loro rivendicazioni perché ad esse viene ancora negato «lo status di attore politico, status di cui

godono regioni, etnie, lingue, religioni, parti sociali» [ivi, 214]. Alla base del problema c‟è, quindi, in primo luogo, non

una questione di «negazione di rappresentanza, ma di negazione di dignità» in quanto le donne vengono considerate, in

modo accentuato, in Italia, «soggetto di consumo» [ivi, 215]. Quello che realmente manca, evidenzia amaramente la

studiosa, non sono gli strumenti tecnici da adottare per fare in modo che le donne siano rappresentate a livello politico,

piuttosto «la convinzione che il riequilibrio della rappresentanza debba costituire un obiettivo pubblico desiderabile

perché si inserisce in una strategia di conquista di dignità» [ibidem].

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di tutte si può modificare per decreto» è la mancanza di una «cultura civica che rico-

nosca il ruolo politico delle donne», [ivi, 216], come confermato dall‟ultima ricerca

realizzata dall‟Istat per conto del Ministero delle Pari Opportunità51

. Tuttavia, sem-

bra che negli ultimi tempi qualcosa stia cambiando. Da qualche anno infatti la di-

mensione di genere sta sprigionando influssi benefici nell‟ambito economico; si parla

di womenomics (da women, donne, ed ecomomics, economia) per indicare

l‟accresciuta capacità delle donne di contribuire alla creazione di benessere, con ri-

flessi positivi sulla situazione demografica e sul raggiungimento degli obiettivi fami-

liari e individuali di qualità della vita, oltre che sull‟erogazione delle prestazioni dei

sistemi di welfare e sull‟intero sistema economico [Ferrera 2008; Wittenberg–Cox e

Maitland, 2010].52

Inoltre, la crisi economica esplosa in America e rapidamente diffusasi in Europa ha

fatto emergere la necessità che venga riservata all‟economia un‟attenzione particola-

re, dal momento che più che mai appare una dimensione fondamentale nell‟orientare

l‟agire delle istituzioni politiche, in primo luogo dei governi. C‟è da augurarsi, dun-

que, che gli attori politici, cosi come hanno fatto quelli economici, prestino più atten-

zione alle capacità e alle risorse femminili. Fra gli attori politici i partiti sono quelli

che, più di altri, devono dimostrare di voler rivedere i criteri di selezione delle candi-

dature, il più delle volte fondati su regole non scritte ma rigorosamente escludenti nei

confronti della componente femminile. È necessario, dunque, dimostrare concreta-

mente di essere realmente disposti a “scommettere” sulle candidature femminili se,

come deve succedere per quelle maschili, si tratta di persone valide e capaci. Inoltre,

dimostrare di avere la volontà politica di inserire la dimensione di genere all‟interno

dei processi legislativi, decifrandone le valenze e coniugandole secondo i modi e i

tempi della prospettiva di genere, non potrà che favorire l‟affermarsi di quel «bilin-

guismo di genere» [Wittenberg–Cox e Maitland 2010, 19] che, affermatosi in econo-

mia, sembra un valido modello da proporsi anche in politica, dal momento che «un

equilibrio di potere tra uomini e donne non potrà che migliorare non soltanto singole

imprese o paesi, ma l‟intero pianeta» [ivi, 325–326].

51

La ricerca, consultabile sul sito www.istat.it, dal titolo “Partecipazione politica e astensionismo secondo un ap-

proccio di genere”, resa nota nel 2006, evidenzia quali sono le opinioni della popolazione in relazione alla rappresen-

tanza politica femminile e ai metodi più adatti per incrementarla. Ne viene fuori un quadro in cui la maggioranza della

popolazione (il 60% delle donne contro il 44% degli uomini) vuole una maggiore presenza femminile in parlamento, in

quanto si ritiene sia una questione di giustizia, dal momento che le donne devono usufruire delle stesse opportunità de-

gli uomini, conoscono meglio alcuni problemi e sono più competenti. Emerge inoltre che una percentuale non irrilevan-

te (il 31%) pensa che il livello di rappresentanza femminile non debba essere incrementato. Tale opinione è sostenuta in

maggioranza da uomini, che considerano fondamentali la preparazione e il merito, a prescindere dal sesso. La cosa più

sorprendente, forse, è che una piccola percentuale (il 7% del totale) vuole che la già ridotta presenza femminile sia ulte-

riormente ridimensionata, in quanto ritiene che le donne siano poco adatte all‟attività politica e che gli uomini siano in-

vece più capaci (opinione sostenuta ancora una volta in maggioranza dagli uomini). 52

Il parlamento italiano ha approvato recentemente la legge che inserisce le “quote rosa” all‟interno dei Cda delle

aziende quotate in borsa e a partecipazione statale. La legge prevede un incremento graduale della componente femmi-

nile, quantificabile in un quinto di presenza femminile nel 2012 ed un terzo nel 2015. Cfr. 2010–2011 Un anno di go-

verno, “Per infrangere il tetto di cristallo: più donne nei Cda”, su www.pariopportunita.gov.it.

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