1881-2015: milano citta‟ di esposizioni · la nascita dell'istituto lombardo è legata al...

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ISTITUTO LOMBARDO ACCADEMIA DI SCIENZE E LETTERE Convegno 1881-2015: MILANO CITTA‟ DI ESPOSIZIONI Milano, 4-5 giugno 2015 Milano, Palazzo di Brera, Via Brera 28 Con il patrocinio di:

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ISTITUTO LOMBARDO

ACCADEMIA DI

SCIENZE E LETTERE

Convegno

1881-2015: MILANO

CITTA‟ DI ESPOSIZIONI

Milano, 4-5 giugno 2015

Milano, Palazzo di Brera, Via Brera 28

Con il patrocinio di:

Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

La nascita dell'Istituto Lombardo è legata al decreto con cui il Generale Napoleone

Bonaparte, nel giugno 1797, fondò, a Milano, la Repubblica Cisalpina.

I primi trentun membri dell'Istituto, al quale era stato assegnato il compito di "raccogliere le

scoperte e perfezionare le arti e le scienze", furono nominati nel 1802 da Napoleone, divenuto nel

frattempo Primo Console. Fra questi spiccano i nomi del massimo fisico della sua epoca Alessandro

Volta, del pittore Andrea Appiani, dell'anatomico Antonio Scarpa e del poeta Vincenzo Monti.

Poco più tardi vennero chiamati nel Palazzo di via Brera, dal 1810 sede storica dell'Istituto,

anche lo scultore Antonio Canova, il poeta Ippolito Pindemonte, il nobile Francesco Melzi d'Eril e il

celebre medico Dottor Giovan Battista Palletta. Dalle sue origini a tutt'oggi l'Istituto è rimasto la

massima Accademia Scientifica e Letteraria Milanese e una delle più importanti d‟Italia, passando

indenne attraverso la dominazione austriaca e venendo subito riconosciuto dal Regno sabaudo che,

nel 1859, chiese ad Alessandro Manzoni di divenirne Presidente.

Il prestigio della nostra istituzione è affermato dalle illustri e fattive presenze dei Premi

Nobel Giosué Carducci ed Eugenio Montale, Camillo Golgi, Daniele Bovet, Giulio Natta e Carlo

Rubbia. Furono inoltre membri molto attivi dell'Istituto il grande matematico Francesco Brioschi,

fondatore, fra l'altro, del Politecnico di Milano; Padre Agostino Gemelli e il Senatore del Regno

Luigi Mangiagalli, ai quali si devono la nascita, rispettivamente nel 1921 e nel 1924, dell'Università

Cattolica e della nostra Università degli Studi di Milano.

La proficua attività di studio e di ricerca svolta dai membri dell'Istituto è chiaramente

documentata dalle loro presentazioni pubbliche, che sono ricevute e discusse nelle riunioni

scientifiche che si tengono con cadenza mensile, nonché dalle pubblicazioni (Memorie, Rendiconti,

Incontri di Studio e Cicli tematici di Conferenze) curate dall'Istituto con continuità assoluta dal

1803. L'Istituto possiede un cospicuo patrimonio librario che si è formato, nei due secoli della sua

vita, specialmente grazie a preziose donazioni di illustri biblioteche delle più diverse specialità.

Tutti i cittadini interessati possono accedere alla nostra Biblioteca, che ha sede nelle eleganti sale di

Palazzo Landriani di via Borgonuovo, contiguo al Palazzo di Brera.

Presentazione

L’apertura di Expo 2015 suggerisce di riconsiderare, nei suoi significati e nelle sue eredità più

rilevanti, il lungo percorso che l’ha preceduta, o quantomeno di fissarne alcuni elementi, che

possano al caso valere da confronto tra l’oggi e le esperienze trascorse nelle quali si è via via

consolidata quella sorta di particolare vocazione di Milano ad essere appunto, come suggerisce il

titolo del Convegno, “Città di Esposizioni”.

Ma le Esposizioni sono state anche, e per certi versi, soprattutto delle forme di espressione e di

valorizzazione della città e delle sue caratteristiche, non a caso fatte oggetto nel 1881 – quando in

maniera più consistente ha preso corpo un vero e proprio progetto strategico di affermazione della

Milano moderna – di una serie nutritissima di pubblicazioni.

Il Convegno intende prendere le mosse proprio da quella sorta di autoritratto collettivo a più

voci, proposto in occasione della Esposizione del 1881, per misurarne gli sviluppi e la successiva

evoluzione (quando il ruolo già proprio delle esposizioni verrà assunto, nei rispettivi ambiti, dalla

Fiera campionaria e dalla Triennale), con indicazioni prospettiche che arrivino sino a noi.

Comitato Scientifico: Amedeo Bellini

Enrico Decleva

Angelo Moioli

Antonello Negri

Giovanna Rosa

Gianpiero Sironi

Andrea Silvestri

Programma

4 giugno 2015 ore 15.00

SILVIO BERETTA Saluti del Presidente

Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Presiede: MAURIZIO VITALE Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

ENRICO DECLEVA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere Università degli Studi di Milano

Milano città di esposizioni, considerazioni introduttive

VITTORIO SPINAZZOLA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere Università degli Studi di Milano

Umanesimo moderno e cultura produttiva

CARLO G. LACAITA Università degli Studi di Milano

Risorgimento e modernità dai Congressi degli

scienziati alle Esposizioni postunitarie

ANDREA SILVESTRI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Politecnico di Milano

Cultura politecnica, energia, industrializzazione

MAURIZIO PUNZO Università degli Studi di Milano

Politica e amministrazione: conflitti e convergenze

5 giugno 2015 ore 9.30

Presiede: SILVIO BERETTA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Pavia

ANGELO MOIOLI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

La Milano economica e le sue strategie

EMANUELA SCARPELLINI Università degli Studi di Milano

Produttivismo, consumi e etica del lavoro

GIORGIO BIGATTI Università Commerciale Luigi Bocconi

La società milanese tra privilegi e inclusione

AUGUSTO ROSSARI Politecnico di Milano

Milano che si costruisce: i piani regolatori

ore 13.00

INAUGURAZIONE MOSTRE Palazzo Landriani, Via Borgonuovo 25

5 giugno 2015 ore 14.30

Presiede: ENRICO DECLEVA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

AMEDEO BELLINI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere Politecnico di Milano

Milano che si rappresenta: attività edilizia e restauro dei monumenti

ORNELLA SELVAFOLTA Politecnico di Milano

Le arti decorative alle grandi esposizioni milanesi: 1881, 1894, 1906

ANTONELLO NEGRI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere Università degli Studi di Milano

Arti applicate, arti industriali: una questione strategica

GIOVANNA ROSA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

1881-2015: Milano da “capitale morale” a “città mondo”

Conclusioni

Riassunti

ENRICO DECLEVA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

Milano città di esposizioni, considerazioni introduttive

Expo 2015 suggerisce di riconsiderare, nei suoi significati e nelle sue eredità più rilevanti, il

lungo percorso che l'ha preceduta, o quantomeno di fissarne alcuni elementi, che possano al caso

valere da confronto tra l'oggi e esperienze trascorse, nelle quali si è via via consolidata quella sorta

di particolare vocazione di Milano ad essere appunto, come suggerisce il titolo del Convegno "Città

di Esposizioni".

E' appena il caso di rilevare che, in quella che, con il senno di poi, è stata chiamata la belle

époque, Milano è la città italiana che ha organizzato il più alto numero di Esposizioni: sette in

trentacinque anni, anche se con gradi diversi di impegno e di rilevanza. Un'insistenza che

evidentemente attesta la particolare consonanza che presentava per Milano quel tipo di evento,

modellato sulle grandi esposizioni universali succedutesi nel corso del secondo Ottocento, e sia pure

realizzate qui su una scala compatibile con gli obiettivi e con le risorse a disposizione. Anche a

Milano le esposizioni che si sono succedute sono state in ogni caso importanti e efficaci occasioni

di affermazione della modernità collegata allo sviluppo industriale e ai suoi molteplici effetti, diretti

e indiretti, sulla società.

Fermo restando che, a pochi anni dalla costituzione dell'Unità nazionale, puntare su una

possibile affermazione delle attività industriali non presentava nulla di scontato neppure a Milano e

in Lombardia, anche se corrispondeva a elaborazioni culturali da tempo attente ai processi in atto al

di là delle Alpi e alle suggestioni che ne derivavano. E anche se una realtà manifatturiera esisteva,

peraltro ancora fragile e bisognosa, per affermarsi, di nuove dinamiche e di nuove energie. Che in

effetti si manifestarono, potendo contare, specie a partire dai primi anni '70, su una maggiore

disponibilità di capitali e su strumenti formativi di rinnovato livello.

Le prime esposizioni industriali organizzate a Milano - quella del 1871 e, soprattutto, quella

del 1881 - assumono un particolare rilievo quale attestato di quanto di vitale si fosse stati capaci di

realizzare in pochi anni e quindi di forte affermazione della strategia prescelta, che faceva della

"capitale morale" il soggetto propulsivo e l'elemento di raccordo di un più vasto, anche se non certo

uniforme, processo in atto a livello nazionale. Con tutto quello che avrebbe dovuto derivarne anche

in termini di una più adeguata politica di difesa e di sostegno delle produzioni nazionali, ma nella

prospettiva, che non verrà disattesa, e che troverà la sua manifestazione nell'Esposizione del 1906,

di accettare il confronto internazionale.

Ma le Esposizioni sono state anche, e, per certi versi, soprattutto, delle forme di espressione e

di valorizzazione della città e delle sue caratteristiche, non a caso fatte oggetto nel 1881, quando in

maniera più consistente ha preso corpo un vero e proprio progetto strategico di affermazione della

Milano moderna, di una serie nutritissima di pubblicazioni: Mediolanum, in quattro grossi tomi per

i tipi di Vallardi; Milano 1881, edizione Ottino; Milano e i suoi dintorni, pubblicato da Civelli;

Conferenze sulla esposizione nazionale del 1881, edite da Hoepli, cui si affiancarono le serie di

Dispense illustrate, distribuite, nel periodo della mostra, sia da Treves sia da Sonzogno. In questa

prospettiva la collaborazione che si realizza durante l‟Esposizione fra la classe dirigente e

l‟intellettualità cittadina acquista il valore di una testimonianza esemplare: se il progetto è possibile

grazie al fervore organizzativo di un'editoria che si sente protagonista non secondaria dell‟evento, i

ceti colti che operano nel capoluogo lombardo ben accolgono l‟invito: ingegneri e economisti,

tecnici e scienziati, letterati e giornalisti si impegnano, nel rispetto delle proprie competenze, a

delineare il ritratto positivo della “città più città d‟Italia”, come Verga, proprio nell‟occasione,

definì Milano. Sia nei padiglioni, allestiti nei giardini di via Palestro e sormontati dal motto “Labor

omnia vincit”, sia nei volumi di Vallardi, Ottino e Hoepli, la classe dirigente ambrosiana, in nome

dell‟etica del lavoro produttivo, proponeva alla neonata nazione un paradigma serio, non retorico, di

valori e interessi radicati nella moderna società civile. I visitatori e, soprattutto, la collettività

ambrosiana venivano sollecitati a riconoscersi in quelle parole d‟ordine, frutto di sintesi mediatrici

dei filoni ideali della tradizione illuministica e romantica: intraprendenza operosa e solidarismo

interclassista; laica tolleranza e filantropia caritatevole; ancoraggio alle “cose serie, cose sode”;

richiamo al sapere “positivo”, che intreccia studi umanistici e “utili cognizioni”; diffidenza tenace

per le teoresi dottrinali e le astrattezze utopiche. Se norma di vita quotidiana è il buon senso, misura

di equilibrio e moralità, a governare la sfera pubblica viene adibito il buon funzionamento della

macchina amministrativa, a fronte delle “chiacchiere” inconcludenti della capitale politica.

Il Convegno intende prendere le mosse proprio da quella sorta di autoritratto collettivo a più

voci, proposto in occasione della Esposizione del 1881, per misurarne gli sviluppi e la successiva

evoluzione (quando il ruolo già proprio delle esposizioni venne assunto, nei rispettivi ambiti, dalla

Fiera campionaria e dalla Triennale), con indicazioni prospettiche che arrivino sino a noi.

VITTORIO SPINAZZOLA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

Umanesimo moderno e cultura produttiva

Il punto chiave, il vero e proprio credo della mentalità milanese moderna è senza dubbio il

concetto di cultura produttiva, ossia cultura socialmente responsabile e utile. Dunque un'idea tipica

della modernità urbana, che confligge irreparabilmente con le concezioni classiche tradizionali: per

il cittadino ambrosiano dei tempi nostri la cultura non è otium ma negotium, non contemplazione

estatica ma attività di relazione e come tale assolve una funzione di interesse gnerale, per

l'intensificazione e l'arricchimento dei rapporti interpersonali.

Ciò però non significa preclusione alla riflessione disinteressata, all'apertura prospettica

sull'attualità dei valori esistenziali che l'umanesimo custodisce e aggiorna, calandoli nella prassi

della via collettiva: l'umanista di città, chiamiamolo così, non è l'asceta solitario e meditabondo, è

l'esperto che si rende utile agli inesperti. Così fra cultura produttiva e cultura umanistica si stabilisce

una integrazione reciproca, non una antitesi inerte, come è nella contrapposizione risaputa tra le

scienze e le arti. Va d'altronde inteso che legittimato socialmente è anche e proprio il

soddisfacimento delle richieste e proposte dell'immaginario collettivo, nell'assecondare il bisogno

antropologico di oltrepassare i limiti dell'esperienza vitale.

CARLO G. LACAITA Università degli Studi di Milano

Risorgimento e modernità dai Congressi degli scienziati alle

Esposizioni postunitarie

Nel corso della prima metà dell‟Ottocento anche in Italia, sull‟esempio di altri paesi

europei, furono organizzate diverse Esposizioni di prodotti agricoli e manifatturieri per

incentivare innovazioni tecnologico-produttive. Si trattò di esposizioni per lo più circoscritte,

che tuttavia non mancarono di avvicinare i ceti sociali più dinamici alle “novità del secolo”.

Un obiettivo questo che fu perseguito anche da numerose pubblicazioni specializzate o

divulgative, da diversi enti associativi nati per promuovere lo sviluppo, e dai Congressi degli

scienziati (1839-1847), che coinvolsero migliaia di persone tanto nel dibattito culturale,

quanto nella preparazione delle riforme più urgenti.

Pur nella loro modestia, quindi, le prime Esposizioni italiane costituiscono una

testimonianza significativa della crescente attenzione rivolta al processo di modernizzazione

d‟oltralpe dalle autorità di governo, che le consentirono o le promossero, e ancor più dalle

componenti più dinamiche della società civile, che guardavano all‟Europa più evoluta per

trarre ispirazione.

Di tale crescente attenzione furono promotori particolarmente attivi gli uomini del

movimento risorgimentale, che sollecitarono gli italiani a mettersi al passo dei paesi più

progrediti. Eloquenti testimonianze offrono al riguardo i progetti, le iniziative e le

realizzazioni dei gruppi che a Milano si raccolsero attorno alla Società d‟incoraggiamento

d‟arti e mestieri, al “Politecnico” di Cattaneo e ad altri periodici, dall‟”Eco della borsa” di M.

Battaglia al “Crepuscolo” di C. Tenca, che non solo misero in primo piano il legame fra

“risorgimento politico” e “risorgimento economico”, ma sottolinearono anche il ruolo

spettante ormai all‟industria moderna e quindi all‟interazione fra scienza, tecnica e industria,

che era particolarmente cresciuta negli ultimi tempi.

Da qui le scelte che dopo l‟unificazione portarono alla fondazione dell‟Istituto tecnico

superiore di Milano (1862-63) da parte di Brioschi, Colombo e compagni, e alla elaborazione

di una strategia condivisa che consentì a Milano, e quindi alla Lombardia e all‟Italia, di

acquisire in pochi anni i saperi e le competenze richieste dalla trasformazione del sistema

produttivo e dal rinnovamento complessivo della società e delle istituzioni.

Da qui anche l‟impegno dei ceti dirigenti milanesi a organizzare le prime Esposizioni

nazionali, a dieci e a venti anni dall‟unificazione, considerandole come momenti di riflessione

collettiva sui problemi aperti e sugli obiettivi da raggiungere, nel quadro di una strategia del

cambiamento e della crescita economica che, come si è visto, faceva leva sulla capacità di

innovare e quindi sullo sviluppo delle competenze e dei saperi tecnico-scientifici, e non solo

sul basso costo della manodopera e sul protezionismo doganale.

Se l‟Esposizione del 1871, organizzata poco dopo l‟avvio della svolta unitaria, non

poté non risentire delle difficoltà iniziali, l‟Esposizione del 1881 ebbe modo di mostrare i

primi significativi frutti della storica svolta e contribuì alla definitiva affermazione della

prospettiva industriale, e insieme del ruolo di Milano nel processo di modernizzazione

nazionale, che alla fine del ventennio successivo raggiunse tale densità da consentire all‟Italia

di agganciarsi ai paesi europei industrializzati.

ANDREA SILVESTRI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Politecnico di Milano

Cultura politecnica, energia, industrializzazione

L‟Esposizione nazionale di Milano del 1881, se confrontata sia con la precedente di Firenze

nel ‟61 (di valore più politico che industriale), sia con la partecipazione italiana a intermedie

esposizioni internazionali, mostrava come finalmente avesse compimento anche da noi la prima

rivoluzione industriale, quella sintetizzabile con il trinomio carbone-ferro-vapore. Ma Giuseppe

Colombo del Politecnico, che aveva presentato Firenze 1861 sulla “Perseveranza” e ora tra gli

organizzatori di Milano 1881, sapeva bene che era alle porte la seconda rivoluzione industriale,

quella soprattutto dell‟elettricità.

Colombo lo sapeva bene perché partecipe di una pressoché contemporanea, questa sì

rivoluzionaria, Esposizione internazionale di elettricità a Parigi, dove Edison metteva in mostra in

Europa il sistema interamente di sua concezione per la produzione d‟energia elettrica, per il

trasporto a distanza, per l‟utilizzazione a scopo di illuminazione a incandescenza.

L‟impressione è così forte che Colombo, tornato a Milano, avvia la fondazione di quella che

sarebbe stata una delle prime e la più dinamica società elettrocommerciale italiana, la Edison, e

(dopo un viaggio da Edison in America) realizza a Milano nel 1883 la prima centrale elettrica

europea, Santa Radegonda, per l‟illuminazione del centro storico. Di lì a pochi anni lo sfruttamento

idroelettrico e il trasporto a distanza della forza, che Colombo aveva già da anni preconizzato, avrà

compimento con la grande centrale di Paderno sull‟Adda e con il trasporto a lunga distanza

Paderno-Milano, non solo per l‟illuminazione ma anche per forza motrice, e non solo in ambito

industriale ma anche nei trasporti pubblici.

Di qui in avanti l‟elettrificazione del Paese ne accompagna l‟industrializzazione, e anzi la

modernizzazione: nel frattempo la nascita al Politecnico dell‟Istituzione Elettrotecnica Carlo Erba,

rafforzava la formazione tecnica e scientifica di nuovi tecnici, rappresentati da personaggi della

statura dello stesso Colombo, o di Giacinto Motta o di Ettore Conti nell‟industria elettrica italiana, o

di Giovanni Battista Pirelli o Alberto Riva nella produzione di macchinari e componenti elettrici

diffusi con successo in tutto il mondo. Nei decenni seguenti trova così compimento la vocazione di

Milano a essere finalmente agganciata all‟Europa nei grandi progressi tecnologici, e insieme

economici, urbanistici, sociali, artistici.

MAURIZIO PUNZO Università degli Studi di Milano

Politica e amministrazione: conflitti e convergenze

Se Milano è stata, ed è ancora oggi, “città di Esposizioni”, lo deve alle classi dirigenti che si

sono susseguite dall‟Unità in poi. Un ruolo importante, se non decisivo, spetta agli amministratori

comunali, non tanto – o non soltanto – per l‟impegno direttamente profuso nel contribuire alla

progettazione ed alla realizzazioni degli eventi espositivi che si sono susseguiti in 150 di storia

unitaria, quanto per l‟alto concetto che, pur nella diversità dei momenti storici e delle idee politiche,

essi hanno avuto del ruolo fondamentale che Milano era chiamata a svolgere. Fare grande Milano,

come hanno fatto gli amministratori dell‟Italia liberale e di quella repubblicana è stato un

imperativo che ha costituito la condizione indispensabile anche per creare la “città delle

Esposizioni”. Reciprocamente fare di Milano la “città delle Esposizioni” è stato uno degli elementi

che hanno contribuito a fare grande Milano.

ANGELO MOIOLI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

La Milano economica e le sue strategie

È singolare che Milano entri nel nuovo Regni d‟Italia già come una grande città, venendo da

un lungo percorso che l‟aveva vista, fin dall‟età moderna, svettare tra i sei maggiori centri urbani

che stavano al vertice dei quindi più popolati d‟Europa. Ed è ancor più degno di nota il fatto che il

capoluogo ambrosiano vedeva esaltata la sua posizione egemonica nel contesto del popolamento

regionale dalla sua particolare conformazione urbana. In effetti la città continuava a denotare un

processo di irradiamento avente il suo fulcro nella cerchia dei navigli, ma allo stesso tempo

proiettandosi verso le mura spagnole sino a debordare nella fascia esterna dei Corpi Santi. Ed è

appunto attraverso le dinamiche che scuotono i rapporti tra queste tre componenti dell‟assetto

urbano, che a partire dai decenni post-unitari, si viene determinando una rinnovata centralità di

Milano dal punto di vista economico. Si andava in effetti spostando il baricentro della dislocazione

urbana ed emergeva una proiezione via via più accentuata del suo popolamento verso il circondario

esterno. Per spiegare bisognava senz‟altro considerare i vantaggi procurati da questa parte di

territorio dal punto di vista politico e fiscale, almeno a partire dal 1781. Datava da allora infatti una

duplicità di trattamento a tale riguardo, e sarebbe durato almeno fino al 1873, e a cui si sarebbe

posto fine soltanto con il 1897/98. Ma quando ciò era avvenuto era ormai in atto una

differenziazione tra la città murata e i corpi santi acquisita diversamente, per effetto di una mutata

vocazione economica di questi ultimi, in presenza di una localizzazione manifatturiera che stava

imponendosi rispetto a quella agricola precedentemente prevalsa proprio in questa zona. Del resto

era da tempo in atto una “febbre edificatoria”, che non risparmiava ne il centro, ne la periferia,

anche se era quest‟ultimo a far registrare i livelli maggiori di concentrazione, proprio per questo qui

si era via via registrato uno spettacoloso afflusso di popolazione che sarebbe aumentata in loco di

ben 26 volte entro il 1911.

Il processo di crescita del popolamento, che andava così differenziandosi sul territorio,

doveva però anche confrontarsi con un assetto dell‟economia cittadina che, in forza dell‟equilibrio

agricolo-mercantile su cui poggiava, è apparso in grado di svilupparsi verso una trasformazione

industriale proprio in virtù della capacità dimostrata nel riassorbire i contrastanti cambiamenti subiti

nell‟ultimo trentennio del scolo. Di modo che, l‟accentuato squilibrio della distribuzione del

costruito e degli abitanti di questa città non ha fatto sorgere spinte speculative rovinose come quelle

riscontrabili a Roma, Napoli e Torino. E non si erano dati neppure dei crack bancari paragonabili a

quelli intervenuti in quelle città. Anzi, era stato proprio allora che Milano aveva iniziato a far valere

il proprio ruolo di principale piazza bancaria della penisola. E ciò era il frutto dell‟esercizio di

un‟attività creditizia fortemente orientato verso il credito commerciale e ipotecario, volto com‟era a

differenziare i rischi su vari piani, complementari e non concorrenziali tra loro. D‟altra parte era la

stessa politica urbanistica messa in campo dal comune a far allontanare lo spettro delle crisi

bancarie. Essa infatti sembrava operare in modo da neutralizzare i ritorni dirompenti della

speculazione privata in campo edilizio, come nel caso ad esempio del coinvolgimento

dell‟amministrazione Bellinzaghi nella messa in liquidazione della cassa di sovvenzione ai

costruttori. Semmai l‟esposizione delle finanza comunale avveniva altrimenti, nella direzione di una

infrastrutturazione del territorio che assicurasse la messa in dotazione di una efficiente rete di

comunicazioni su strada e su rotaia messa così in grado di reggere il confronto con il ruolo assunto

dalla città come polo ferroviario di prima grandezza in sede nazionale e internazionale. Il principale

macro-impulso generato in tal senso sarebbe comunque venuto dal traforo del San Gottardo attivato

a partire dal 1882. E sarebbe stata quella anche l‟occasione di un mutamento di rilievo delle

principali traiettorie dell‟interscambio di cui Milano era parte. La Germania sarebbe infatti

diventata allora un partner commerciale e finanziario essenziale per l‟economia della città e

dell‟intero paese. E a quel punto Milano economica si sarebbe scoperta anche industriale.

EMANUELA SCARPELLINI Università degli Studi di Milano

Produttivismo, consumi e etica del lavoro

Milano non ricopre casualmente il ruolo di “città delle esposizioni” da oltre un secolo a

questa parte. La città ha saputo infatti interpretare e mostrare i grandi paradigmi culturali legati

all‟idea di sviluppo e di progresso che a lungo hanno guidato la crescita del capoluogo e del Paese

intero.

Nei decenni a cavallo del XIX e XX secolo, Milano ospita tre grandi esposizioni:

l‟Esposizione nazionale del 1881, di particolare valore simbolico perché la prima realizzata

nell‟Italia unita; le Esposizioni riunite del 1894, riaffermazione del ruolo italiano in un momento di

crisi; e soprattutto l‟Esposizione internazionale del 1906, la prima rassegna internazionale svoltasi

in Italia. Oltre cinquant‟anni dopo la prima grande fiera di Londra, essa fu l‟occasione per il Paese

unificato da alcuni decenni di presentarsi sulla scena internazionale e confrontarsi con le grandi

potenze industriali. L‟occasione fu, come è noto, la realizzazione di una grande opera ingegneristica

come il traforo del Sempione, e non a caso proprio ai trasporti e alle opere meccaniche fu dedicata

gran parte della mostra.

Il messaggio che emergeva da questa esperienza era chiaramente la centralità del lavoro, e

più precisamente la centralità della produzione industriale, coniugata alla tipica etica del lavoro che

a molti appariva come un contrassegno identitario del capoluogo milanese. Milano come capitale

industriale era forse il lascito culturale principale delle prime grande esposizioni.

Nella seconda metà del Novecento la situazione muta. Non tanto dal punto di vista della

centralità della produzione, rafforzata anzi dal tumultuoso sviluppo economico che avviene durante

il miracolo economico e dalla creazione del “triangolo industriale”. Piuttosto, perché a questo

paradigma si affianca quello dei consumi, per cui la produzione non viene vista tanto come valore

in sé, ma come elemento di un ciclo economico che valorizza con sempre maggiore enfasi l‟anello

finale, quello dei consumi. Non a caso, Milano vede realizzarsi sul suo territorio tutti i principali

esperimenti innovativi legati alla grande distribuzione commerciale.

Per vari decenni, queste nuove trasformazioni non si specchiarono in nuove Esposizioni

universali. Le città statunitensi sembrarono divenute le protagoniste, mentre Milano puntava

maggiormente su una vetrina importante come la Fiera campionaria, e in seguito sulle fiere

specializzate di settore.

Ma non a caso, all‟inizio del ventunesimo secolo, ancora Milano si sentirà chiamata a

rivestire un ruolo internazionale, facendosi interprete di uno dei temi centrali della riflessione

contemporanea, legato al cibo e alla sostenibilità, valorizzando in questo modo anche uno degli

aspetti più significativi del “made in Italy”.

GIORGIO BIGATTI Università Commerciale Luigi Bocconi

La società milanese tra privilegi e inclusione

La testimonianze delle delegazioni operaie in visita all‟Esposizione internazionale del 1906

raccontano di una città accogliente e dinamica, quasi una prefigurazione della grande Milano

industriale e futurista di lì a poco esaltata da Marinetti. Capitale del lavoro e della modernità,

incarnata (ma non conclusa) nelle ciminiere che ne definivano lo skyline contendendo ai campanili

la rappresentanza simbolica della città, Milano stava vivendo una trasformazione che aveva origini

risalenti nel tempo, ma aveva assunto nuova linfa all‟alba del nuovo secolo, come attestavano i

numeri della crescita della popolazione e la sua composizione professionale.

L‟esposizione di questo era uno specchio fedele, capace di amplificarne i contorni

rimandarne gli echi fin nelle più remote contrade, alimentando il mito della città e del suo

dinamismo. Ma era anche l‟esplicitazione di un progetto politico volto a riplasmare il profilo della

società milanese riconoscendo uno spazio pubblico alla pluralità dei soggetti che concorrono alla

ricchezza della città.

Esaltazione del progresso e della scienza, nel solco delle grandi esposizioni ottocentesche,

ma anche esaltazione del lavoro e della volontà di trovare ad esso una rappresentanza capace di

integrarsi ordinatamente in un disegno di composizione del conflitto sociale. L‟operazione expo era

nata anche dal desiderio di lasciarsi alle spalle il ricordo dei cupi giorni del maggio 98 quando, a

fronte di una protesta figlia del disagio, la risposta erano stati la sospensioni della libertà e i colpi di

cannone con il loro corteo di morti, feriti, rancori. Una stagione a cui aveva fatto da sinistro pendant

il regicidio di Monza.

Episodi vicini ma già lontani per una città entrata in una nuova stagione politica all‟insegna

di un riformismo capace di saldare amministrazione municipale, rappresentanze operaie, corpi

professionali in un disegno di modernizzazione inclusivo. Fu una stagione breve, interrotta prima

dalla guerra e poi dal ritrarsi della borghesia di fronte all‟asprezza assunta dal conflitto sociale nel

turbolento dopoguerra. Milano tuttavia avrebbe continuato, sia pure tortuosamente, a muoversi

lungo le coordinate operanti nei mesi dell‟esposizione confermandosi realtà proteiforme e dinamica,

“incarnazione in cemento della struttura di classe”, come scriverà Ottieri nel suo Taccuino

industriale all‟inizio degli anni cinquanta, capace però di assecondare “la tenacissima volontà di

studiare, di migliorare” dei “tanti eroi civili” che vi approdavano alla ricerca di una diversa

prospettiva di vita.

AUGUSTO ROSSARI Politecnico di Milano

Milano che si costruisce: i piani regolatori

La relazione si propone di evidenziare in sintesi le vicende urbane milanesi dal 1859 fino al

1912. Negli anni tra il 1859 e il 1884 la città si sviluppò sulla spinta della prima industrializzazione

senza un piano generale, basandosi solo su piani parziali elaborati per le zone dove si stavano già

manifestando interventi edilizi. L'attività di pianificazione seguì quindi l'iniziativa privata e anche il

piano del 1876 dell'ingegnere Angelo Fasana altro non era che uno strumento di indirizzo e

coordinamento, senza valore legale, degli interventi dell'amministrazione comunale. Da queste

vicende emerge quindi la prudenza della classe dirigente milanese, timorosa di sollecitare la

speculazione dormiente e indirizzata a favorire il decentramento delle grandi industrie per evitarne i

temuti effetti negativi sulle zone abitative.

Sulla spinta dello scandalo sollevato dalla lottizzazione del Lazzaretto, iniziata nel 1880, e

da quella proposta per la piazza d'Armi, nel 1883 Cesare Beruto venne incaricato di studiare il piano

regolatore generale. La gestazione del piano fu abbastanza lunga e contrastata: nel 1884 venne

presentata la prima versione, nel 1885 la seconda versione elaborata da una apposita commissione

comunale insieme e Beruto e nel 1888 quella definitiva, approvata nel 1889. La relazione illustrerà

le linee concettuali e le questioni più importanti del piano: la dimensione degli isolati, il sistema del

verde e il disegno della piazza d'Armi, oltre agli esiti della gestione nei due decenni a cavallo della

fine dell'Ottocento.

Si cercherà infine di formulare un ragionamento - anche attraverso uno sguardo sui piani

regolatori successivi, quello di Pavia e Masera del 1912 e quello di Albertini del 1934 -

sull'importanza e la lunga persistenza del modello di crescita "radiocentrico" e esteso

uniformemente in tutte le direzioni delineato da Beruto, che ha avuto un impatto decisivo sulla

immagine di Milano.

AMEDEO BELLINI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Politecnico di Milano

Milano che si rappresenta: attività edilizia e restauro dei

monumenti

L‟esposizione del 1881 è presentata dalla stampa, divulgativa e specialistica, come la

dimostrazione dei progressi compiuti dall‟Italia: l‟incremento della produzione industriale che

riduce la dipendenza dallo straniero, la capacità di unire quantità e qualità, la riscoperta delle

proprie possibilità superando una condizione psicologica di inferiorità, un‟occasione di

affratellamento fra i “diversi popoli” italiani. In questo quadro si esalta la funzione guida della città

di Milano, capitale del mondo produttivo, organizzatrice del grande evento. Le considerazioni

sull‟architettura, non sfuggono a questa prospettiva: ciò tanto nel suo essere struttura utilitaria e

quindi al servizio del progresso delle persone, per la sua funzione di assolvere a bisogni sempre più

complessi o più acutamente sentiti dalla coscienza civile, quanto come struttura formale, prodotto di

una storia, ma anche sotto questo aspetto conseguenza diretta dell‟organizzazione sociale ed

economica. Tecniche costruttive, uso dei materiale, organizzazione distributiva per soddisfare i

bisogni privati e pubblici, sono esaminati assieme all‟analisi dei valori rappresentativi, alla ricerca

di significati narrativi. Ciò avviene con contraddizioni molto marcate che portano in linea generale,

con poche eccezioni del tutto parziali, ad una distinzione tra “costruzione” ed “architettura”, tra

utilità ed arte, tra espressione di libertà poetica ed esigenze dell‟economia, smentendo il

presupposto di fondo della cultura positivista che vorrebbe l‟arte, espressione di bello variabile nel

tempo perché alle condizioni della società. L‟architettura del presente, che si dice debba essere

frutto della nuova realtà politica dell‟Italia unita che però tarda a prendere forma, ripropone forme

del passato, reinterpretate, ma indicando talora come stile nazionale il lombardesco o l‟architettura

dell‟età dei comuni, ora il rinascimento, l‟età del risorgimento delle arti, ricercando valori

rievocativi che, quando presenti, non sono percepiti dalla maggior parte delle persone, venendo così

meno alla funzione didattica ed educativa che è invece considerata essenziale alla formazione della

coscienza nazionale. Esemplare in questo senso il fallimento della grande impresa del monumento

alle Cinque Giornate che avrebbe dovuto essere insieme monumento architettonico celebrativo

dell‟evento storico, porta d‟accesso rappresentativa della città di oggi, struttura funzionale per i

servizi daziari. Assume una particolare rilevanza l‟attività di restauro che risponde positivamente

alla esigenza di conoscere il processo che conduce all‟oggi e ne spiega la realtà e che, mentre

depura il documento dalle manomissioni e dai “travisamenti”, lo riconduce ad unità formale perché

la forza persuasiva dell‟arte, influente immediatamente sull‟animo di tutti, faccia comprendere

l‟appartenenza ad una civiltà unitaria, formi la coscienza civile degli italiani.

ORNELLA SELVAFOLTA Politecnico di Milano

Le arti decorative alle grandi esposizioni milanesi:

1881, 1894, 1906

La relazione evidenzia il ruolo delle arti decorative nella cultura del progetto ottocentesco

attraverso lo specchio delle grandi esposizioni milanesi precedenti la prima guerra mondiale.

A partire dall‟Esposizione nazionale e artistica del 1881, passando dalle Esposizioni Riunite

del 1894 e arrivando all‟Esposizione Internazionale del Sempione del 1906, le arti decorative, nella

loro variegata casistica tipologica di oggetti, tecniche e materiali, hanno rappresentato parti rilevanti

delle manifestazioni, contribuendo spesso alla loro riuscita e al loro successo economico e

commerciale.

I tre eventi summenzionati e il riferimento ai più rappresentativi prodotti in mostra,

consentiranno inoltre alcune riflessioni sui cambiamenti stilistici e sull‟evoluzione del gusto

nell‟arco di 25 anni fondamentali per il rinnovamento del settore e la prefigurazione del moderno

design.

ANTONELLO NEGRI Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

Arti applicate, arti industriali: una questione strategica

Nel progetto di Expo 2015 una parte significativa – al di là del tema specifico – è costituita

da un‟idea di qualità della vita anche basata sull‟integrazione della cosiddetta „creatività‟ italiana,

della quale è parte essenziale una tradizione di qualità artigiana e manifatturiera, con le esigenze di

una società industrializzata e di massa.

La questione della produzione e distribuzione di manufatti di rilevante qualità estetica su

grande scala è – anche in Italia – diventata una questione strategica. Negli anni tra le due guerre ne

è stata palcoscenico, a Milano, una serie di esposizioni.

La relazione – dopo aver fatto cenno ad alcuni significativi antefatti: le iniziative

postunitarie della Società Edificatrice di Case per operaj di bagni e lavatoj pubblici in Milano, il

programma di “arte sociale” della “sezione artistica” del Partito operaio del Belgio, di grande

influenza in tutta Europa, e la Prima esposizione internazionale d'arte decorativa moderna di

Torino, 1902 – ne considererà gli sviluppi attraverso le esposizioni della Società Umanitaria, delle

Biennali nazionali di arte decorativa di Monza, inizialmente promosse dal Consorzio Milano-

Monza-Umanitaria, e delle Triennali milanesi del 1933 e 1936. Nella prima, la Mostra

Internazionale di Architettura Moderna, portava al pubblico uno stile che "ha la sua radice nella

tecnica e il suo fiore nella fantasia"; nella seconda, sarebbe emersa un‟idea di serialità e

standardizzazione, contraddistinta da una progettazione di spazi e complementi d‟arredo destinati a

un impiego diffuso, se non già di massa. Il tutto, sotto il segno di quell‟utopia di una

democratizzazione della bellezza capace di resistere a interferenze e pressioni ideologico-politiche.

GIOVANNA ROSA Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Università degli Studi di Milano

1881-2015: Milano da “capitale morale” a “città mondo”

Nel lungo percorso che ha visto Milano diventare “città di esposizioni”, la “Mostra nazionale

delle Arti e delle Industrie”, inaugurata il 5 maggio 1881, acquista un rilievo strategico: a vent‟anni

esatti dalla proclamazione dello Stato unitario, sull‟onda della musica fragorosa del Ballo Excelsior,

nei padiglioni allestiti nei giardini di via Palestro sormontati dal motto “Labor omnia vincit”,

Milano “mette in vetrina” il proprio autoritratto e orgogliosamente si candida ad essere “la capitale

morale d‟Italia”.

L‟ambizioso progetto è affidato a una serie di volumi, Mediolanum (Vallardi) Milano 1881

(Ottino), Milano e i suoi dintorni (Civelli), Conferenze sulla Esposizione nazionale del 1881

(Hoepli), in cui l‟immagine solare di una collettività laboriosa e coesa fronteggia le inchieste coeve

dei “palombari sociali”, pronti a scandagliare e denunciare le miserie degli “abissi plebei” (Valera,

Corio, Giarelli). In questa prospettiva la collaborazione che si realizza durante l‟Esposizione fra la

classe dirigente e l‟intellettualità cittadina assume il valore di una testimonianza esemplare:

l‟iniziativa, promossa da un'editoria all‟avanguardia, accomuna le competenze diverse dei ceti colti,

milanesi di nascita e d‟adozione, che si raccolgono nei centri istituzionali e nella “repubblica della

carta sporca”: letterati e giornalisti, ingegneri e economisti, tecnici e scienziati, incisori ed artisti si

impegnano a schizzare il ritratto della “città più città d‟Italia”, giusta la definizione coniata dal

catanese Verga nell‟occasione. A fondamento condiviso vi era un paradigma serio, non retorico, di

valori e interessi radicati nella moderna società civile, a cui davano spessore storico il richiamo alla

tradizione illuministico-romantica e la fiducia smilesiana nella cultura positivistica. Nell‟etica del

lavoro produttivo si componevano in sintesi ideale le parole d‟ordine dell‟orgoglio ambrosiano:

intraprendenza operosa e solidarismo interclassista; laica tolleranza e filantropia caritatevole;

ancoraggio alle “cose serie, cose sode”; un‟idea di progresso in chiave di evoluzione cautelosa;

organizzazione di un sapere diffuso, capace di intrecciare studi umanistici e “utili cognizioni”, nella

diffidenza tenace per le speculazioni astratte. Se norma di vita quotidiana è il buon senso, misura di

equilibrio e probità, a governare la sfera pubblica viene adibito il funzionamento rigoroso della

macchina amministrativa, a fronte delle “chiacchiere” inconcludenti della capitale politica.

Recuperando il motto con cui Cattaneo aveva proposto di “convertire il mondo moderno in mondo

nostro”, la “capitale morale” lanciava la sfida dello sviluppo industriale in connessione con le

dinamiche economiche dell‟Europa, contro gli arroccamenti miopi e regressivi.

Ripartire da quell‟immagine di città fattiva ed ospitale, già allora avvolta dal mito, e

proiettarla sull‟orizzonte globale di Expo 2015, suona sollecitazione a valutare quanto le esposizioni

del XXI secolo circoscrivano ancora gli “spazi di modernità” (Geppert, 2004) e quale “medium” di

autorappresentazione offra ai visitatori questa capitale che continua ad avere un ruolo trainante in

campo economico e culturale e che, tuttavia, rilutta da sempre ad autoriconoscersi e ad

autonominarsi. Una sola certezza ne corrobora il carattere aperto, mai etnicamente identitario:

“Milano è l‟unica, vera città italiana. L‟unico posto che mescola il mondo”, per dirla con le parole

di Franco Loi, poeta dialettale, milanese d‟adozione (“Corriere della Sera”, gennaio 2003).

Appunti