24 25 ellesse

1
Leonardo Servadio Incalza leonardo: “eppure sI percepIva la voglIa del nuovo”. In Italia il quadro socio-economico registra, in quella fase, un crescente desiderio di crescita. Anche in politica, al posto del centrismo disegnato da De Gasperi, affiora una maggiore attenzione alle indicazioni ideali di una sinistra che, con i propri voti, aveva contribuito alla elezione di un Presidente della Repubblica come Giovanni Gronchi, leader democristiano sensibile al mondo del lavoro. Pur non determinando, nei fatti, un’autentica svolta, quest’evento aveva aperto la via a dialoghi destinati, qualche anno dopo, a diventare concretamente praticabili. Il desiderio di “nuove frontiere” rimbalza anche dagli Stati Uniti d’America dove cominciano ad imporsi le avveniristiche indicazioni economico-politiche di John Fitzgerald Kennedy, giovane Presidente desideroso di immaginare straordinarie svolte storiche per il suo popolo e per il mondo intero. Il sogno kennedyano sarà stroncato a Dallas, in Texas, da una mano assassina, il 22 novembre 1963. D’altro canto che l’umanità dei primi anni ’60 abbia voglia di affrontare, in ogni campo, voli più alti lo testimonia idealmente il sovietico Jurij Gagarin, primo uomo nello spazio. Il suo librarsi tanto in alto e tanto lontano sembra simboleggiare l’ansia di conquiste che caratterizza la seconda parte del ventesimo secolo. Ulteriore riflessione di Servadio: “Seguivo le vicende della politica, non solo quella di casa nostra, tentando di scorgerne i possibili esiti. Chi aveva gli occhi aperti e le orecchie ben tese poteva avvertire i segnali di un mondo animato da precisi fermenti. Nelle persone si facevano strada legittime e sacrosante pretese come, per esempio, l’acquisizione di una casa propria, oppure il piacere di rinnovare il guardaroba per comunicare un’avvenuta promozione sociale. Quasi senza saperlo in Italia lievitava la curiosità di scoprire cosa ci fosse dietro l’angolo e anch’io cercavo di guardare lontano. Altri, ognuno secondo vocazione, cultura e sensibilità, furono mossi dalla voglia di provarci, spinti dalla febbrile emozione dell’ottimismo”. All’interno di ventate che profumano di progresso e di ambizioni, l’azienda fila con una velocità spinta al di là di ogni aspettativa quando entra in scena Franco D’Attoma, cognato di Leonardo. Uomo dalla personalità per nulla secondaria, viene invitato ad unirsi alla squadra nel 1960. D’Attoma è un imprenditore pugliese, tanto digiuno di tecniche industriali quanto sollecito nell’apprenderne i segreti. Figlio di un proprietario terriero di Conversano (Bari), ha studiato Agraria a Perugia ed ha sposato Leyla, la sorella di Leonardo. Dopo aver avviato a Bari, senza fortuna, un laboratorio di pelletterie, s’è trasferito a Milano per lavorare alla “Motta” distante dagli affetti più cari. Leonardo gli regala una consistente quota della società, raccogliendo le istanze della famiglia e ora racconta: “I miei genitori avvertivano i disagi della figlia costretta a vivere nelle Puglie, lontana dal marito, impiegato in Lombardia e mi sollecitarono, pertanto, a chiamare Franco e chiedergli di lavorare con me. Lui venne di buon grado e, seppur all’oscuro di gestione aziendale nel settore dell’abbigliamento, prese ad occuparsi con solerzia di amministrazione e di rapporti col personale”. Le fatiche non mancano, ma neanche l’entusiasmo, originati entrambi dal febbrile sviluppo di un mercato al cui interno i pantaloni di Perugia si fanno largo. L’aumento del numero delle operaie, stipate nel laboratorio, rende insufficiente anche il casolare della Pallotta e richiede urgentemente un nuovo trasferimento che è individuato in un locale di via Pellas, sotto il cinema “Lilli”, dove vengono trasferiti 209 dipendenti che devono onorare la più elementare fisiologia utilizzando, con intelligenti turnazioni, un solo bagno. Segno di virtuosa tolleranza delle maestranze e anche dell’elasticità, sul fronte igienico-sanitario, di una normativa a quel tempo non proprio scrupolosa. C’è il gusto delle crescenti prese d’atto nelle riflessioni di due dipendenti, Elena Palombi, una delle pioniere del 1959, e Serena Ingi: “Cominciò a crescere rapidamente il numero dei rappresentanti e gli ordini si moltiplicarono in proporzione. Anche senza essere dentro le segrete stanze si percepivano le costanti evoluzioni della nostra fabbrichetta ed era francamente un piacere personale, non attenuato dal fatto che l’incremento della lavorazione ‘a catena’ imponeva tempi un po’ stressanti. Era l’assillo del cosidetto ‘minutaggio’. Per realizzare al meglio questa strategia vennero tecnici dal nord. Uno di loro si chiamava ‘Allegro’, ma era tale solo di nome perché in realtà urlava sempre, quasi che i suoi ‘berci’ potessero rendere più efficace il 24

Upload: sonam

Post on 10-Feb-2016

230 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: 24 25 Ellesse

Leonardo Servadio

Incalza leonardo:“eppure sI percepIva la voglIa del nuovo”.

In Italia il quadro socio-economico registra, in quella fase, un crescente desiderio di crescita.

Anche in politica, al posto del centrismo disegnato da De Gasperi, affiora una maggiore attenzione alle indicazioni ideali di una sinistra che, con i propri voti, aveva contribuito alla elezione di un Presidente della Repubblica come Giovanni Gronchi, leader democristiano sensibile al mondo del lavoro. Pur non determinando, nei fatti, un’autentica svolta, quest’evento aveva aperto la via a dialoghi destinati, qualche anno dopo, a diventare concretamente praticabili.

Il desiderio di “nuove frontiere” rimbalza anche dagli Stati Uniti d’America dove cominciano ad imporsi le avveniristiche indicazioni economico-politiche di John Fitzgerald Kennedy, giovane Presidente desideroso di immaginare straordinarie svolte storiche per il suo popolo e per il mondo intero.

Il sogno kennedyano sarà stroncato a Dallas, in Texas, da una mano assassina, il 22 novembre 1963.

D’altro canto che l’umanità dei primi anni ’60 abbia voglia di affrontare, in ogni campo, voli più alti lo testimonia idealmente il sovietico Jurij Gagarin, primo uomo nello spazio.

Il suo librarsi tanto in alto e tanto lontano sembra simboleggiare l’ansia di conquiste che caratterizza la seconda parte del ventesimo secolo.

Ulteriore riflessione di Servadio: “Seguivo le vicende della politica, non solo quella di casa nostra, tentando di scorgerne i possibili esiti. Chi aveva gli occhi aperti e le orecchie ben tese poteva avvertire i segnali di un mondo animato da precisi fermenti. Nelle persone si facevano strada legittime e sacrosante pretese come, per esempio, l’acquisizione di una casa propria, oppure il piacere di rinnovare il guardaroba per comunicare un’avvenuta promozione sociale. Quasi senza saperlo in Italia lievitava la curiosità di scoprire cosa ci fosse dietro l’angolo e anch’io cercavo di guardare lontano. Altri, ognuno secondo vocazione, cultura e sensibilità, furono mossi dalla voglia di provarci, spinti dalla febbrile emozione dell’ottimismo”.

All’interno di ventate che profumano di progresso e di ambizioni, l’azienda fila con una velocità spinta al di là di ogni aspettativa quando entra in scena Franco D’Attoma, cognato di Leonardo. Uomo dalla personalità per nulla secondaria, viene invitato ad unirsi alla squadra

nel 1960. D’Attoma è un imprenditore pugliese, tanto digiuno di tecniche industriali quanto sollecito nell’apprenderne i segreti. Figlio di un proprietario terriero di Conversano (Bari), ha studiato Agraria a Perugia ed ha sposato Leyla, la sorella di Leonardo. Dopo aver avviato a Bari, senza fortuna, un laboratorio di pelletterie, s’è trasferito a Milano per lavorare alla “Motta” distante dagli affetti più cari.

Leonardo gli regala una consistente quota della società, raccogliendo le istanze della famiglia e ora racconta: “I miei genitori avvertivano i disagi della figlia costretta a vivere nelle Puglie, lontana dal marito, impiegato in Lombardia e mi sollecitarono, pertanto, a chiamare Franco e chiedergli di lavorare con me. Lui venne di buon grado e, seppur all’oscuro di gestione aziendale nel settore dell’abbigliamento, prese ad occuparsi con solerzia di amministrazione e di rapporti col personale”.

Le fatiche non mancano, ma neanche l’entusiasmo, originati entrambi dal febbrile sviluppo di un mercato al cui interno i pantaloni di Perugia si fanno largo. L’aumento del numero delle operaie, stipate nel laboratorio, rende insufficiente anche il casolare della Pallotta e richiede urgentemente un nuovo trasferimento che è individuato in un locale di via Pellas, sotto il cinema “Lilli”, dove vengono trasferiti 209 dipendenti che devono onorare la più elementare fisiologia utilizzando, con intelligenti turnazioni, un solo bagno. Segno di virtuosa tolleranza delle maestranze e anche dell’elasticità, sul fronte igienico-sanitario, di una normativa a quel tempo non proprio scrupolosa.

C’è il gusto delle crescenti prese d’atto nelle riflessioni di due dipendenti, Elena Palombi, una delle pioniere del 1959, e Serena Ingi: “Cominciò a crescere rapidamente il numero dei rappresentanti e gli ordini si moltiplicarono in proporzione. Anche senza essere dentro le segrete stanze si percepivano le costanti evoluzioni della nostra fabbrichetta ed era francamente un piacere personale, non attenuato dal fatto che l’incremento della lavorazione ‘a catena’ imponeva tempi un po’ stressanti. Era l’assillo del cosidetto ‘minutaggio’. Per realizzare al meglio questa strategia vennero tecnici dal nord. Uno di loro si chiamava ‘Allegro’, ma era tale solo di nome perché in realtà urlava sempre, quasi che i suoi ‘berci’ potessero rendere più efficace il

24