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Il ritorno all'originario A cura di Stefano Ulliana

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Il ritorno all'originario

A cura di Stefano Ulliana

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Panoramica

1. Il ritorno all'originario.

2. L'umanesimo nel Rinascimento.

3. Il platonismo rinascimentale.

4. L'aristotelismo rinascimentale.

5. La disputa fra platonici ed aristotelici.

6. I protagonisti della disputa.

7. Il ritorno alle origini del cristianesimo.

8. L'ideale di un rinnovamento politico.

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1. Il ritorno all'originario.

Il ricongiungimento del mondo con se stesso e con la propria potenza creativa e dialettica viene visto nel Rinascimento come una forma di religiosità laica, di restituzione e di rinasci-ta di quella forma originaria, che era stata espropriata duran-te il Medioevo dalla tensione verso una divinità astratta e se-parata, superiore e tirannicamente determinante. In questo afflato emotivo per il ritorno all'originario il mondo rinascimen-tale intende riscoprire tutte quelle potenze e quelle virtù reali e perfette, che gli consentono di reincamminarsi verso l'idea-le e la pratica felice della giustizia terrena. In questa nuova e ricostituita relazione fra naturalità e razionalità il soggetto umano, ad immagine di quello divino e quale sintesi estrema del creato, si rende principio egemone di determinazione, sia speculativa, che pratica.

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In questo farsi principio determinante gli intellettuali del Rina-scimento riandarono a quella fase e momento storico che più a loro parve modello di autonomia ed indipendenza: il mondo dell'età classica e repubblicana. Qui essi ritrovarono i modelli della vita civile e politica – ad esempio Cicerone – che avevano assunto a loro volta come criterio di valutazio-ne speculativa le grandi formazioni filosofiche di Platone e di Aristotele. Per questo si cercò di ritornare – grazie alla loro mediazione filologica e storica – allo spirito ed alla lettera originaria dei primi filosofi classici, senza rimontare ulterior-mente a quei pensatori che avrebbero potuto maggiormente realizzare la loro tensione verso il ritorno all'originario, nella sua forma creativa e dialettica: i filosofi presocratici (a questi si rivolse infatti, nella propria volontà rivoluzionaria, il solo Giordano Bruno).

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La tensione per il ritorno all'originario coinvolse quindi gli uma-nisti ed i rinascimentali, che rivolsero i propri sforzi interpre-tativi e di commento verso i testi di Platone ed Aristotele. Nel contempo quella tensione riscopriva sia la dimensione reli-giosa, sia quella naturale: come avverrà nella Riforma prote-stante, con l'affermazione dell'immediatezza del principio di coscienza (storicamente modulato con la volontà di rimodel-lare la propria esistenza religiosa in conformità alle comunità cristiane primitive) e come si realizzerà grazie alla riscoperta della creatività dialettica naturale, nelle speculazioni natura-listiche di Telesio, Bruno e Campanella. Riflessione, divinità e natura ricostituiscono quindi una sorta di Trinità laica, di in-tenzione speculativa che vuole ritrovare il proprio rispec-chiamento nelle virtù civili e politiche del repubblicanesimo (oligarchico o democratico).

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2. L'umanesimo nel Rinascimento.

La riacquisizione e la riconquista dell'autonomia e dell'e-gemonia da parte del soggetto umano ebbe come ri-flesso accademico ed intellettuale l'accentuazione degli aspetti pratici della speculazione, con lo sviluppo degli interessi antropologici, etici, politici, economici ed este-tici, mentre forme di ripiego letterario ed erudito costi-tuiscono isolati esempi di disimpegno civile e politico. La ricerca e la riscoperta fra i manoscritti degli antichi fi-losofi delle humanae litterae implica quindi la presenza di un'attenzione precisa e determinata verso nuove forme di speculazione generale, anche teoretica (reli-giosa e/o naturalistica).

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3. Il platonismo rinascimentale.

Il medioevo si era chiuso con un forte iato fra l'aspetto contempla-tivo e religioso, per il quale il principio infinito della potenza e della volontà divina rimaneva trascendente, e quello naturali-stico e razionale, teso alla valorizzazione delle ricerche logiche e naturalistiche stoiche ed aristoteliche, tutte dedite alla sco-perta dei principi, degli elementi e delle relazioni immanenti al piano dello sviluppo naturale e storico. La ripresa umanistica e rinascimentale di Platone tentò di ricomporre quella frattura, fa-cendo leva in primo luogo sulla presenza nella sua speculazio-ne del tema della produzione artistica (cfr. il demiurgo artefice del Timeo). In secondo luogo la relazione fra potenze naturali e virtù razionali – caratteristica fondamentale della riappropria-zione dell'autonomia e della legislatività del soggetto - poteva essere benissimo espressa dalla ripresa della teoria delle idee, che garantiva insieme una visione della complessità creativa e

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dialettica della natura ed una concezione nuova della libertà del-

l'uomo. Infine la ripresa rinascimentale del platonismo poteva sintetizzare il proprio apporto complessivo nella rivalutazione dell'unità religiosa dell'universo: contro l'apparente separazio-ne rigida ed astratta di Dio, effettuata dal tomismo e dall'ari-stotelismo, la circolarità d'amore – l'amore di Dio verso le creature, fonte del suo atto di creazione, e l'amore per Dio da parte delle creature stesse, come principio di un'etica comune della giustizia – presente nella versione neoplatonica poteva risuturare tutte le fratture ontologiche ed annullare tutte le forme di sofferenza esistenziale delle creature.

Del resto erano le stesse circostanze storiche a spingere per una ripresa ed una rivalutazione della tradizione platonica: la riunificazione fra Chiesa d'Oriente e d'Occidente (Concilio di Ferrara e di Firenze, 1438 – 1439 d.C.) e la caduta di Bisan-zio (1453 d.C.) portarono in Italia molti dotti bizantini, formati dall'insegnamento della grande tradizione platonica e neopla-tonica orientale.

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L'interesse nei confronti di Platone si esercita quindi con una rapida traduzione dei suoi testi dal greco in latino, opera nella quale si contraddistinse soprattutto l'attività filologica di Leonardo Bruni e quella filosofica di Marsi-lio Ficino e dell'Accademia fiorentina. Mentre il Medioe-vo aveva conosciuto pochi testi platonici (Timeo, Fedo-ne, Menone), il Rinascimento ebbe a disposizione tutti i suoi Dialoghi, in lingua originale. Ciononostante il Pla-tone riconosciuto fu un impasto di dottrine di prove-nienza diversa: da Plotino alla tradizione neoplatonica cristiana, dai testi orfici e pitagorici a quelli ermetici, molti elementi cercarono una difficile sintesi speculati-va, sbilanciando di volta in volta l'interpretazione – a seconda dell'interesse individuato – verso tonalità ma-gico-spirituali o idealistico-cristiane.

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4. L'aristotelismo rinascimentale.

Se il centro geografico delle ripresa platonica in Italia è l'Acca-demia fiorentina, il centro geografico della ripresa dell'aristote-lismo rinascimentale è rappresentato dall'università di Padova. Qui l'interesse per Aristotele desidera rimontare filologicamente all'Aristotele vero, dopo le dispute medievali fra le correnti to-miste ed averroiste. Per questo si serve dei commentatori rite-nuti a lui più vicini: Alessandro di Afrodisia (II-III sec. d.C.) e Simplicio (V-VI sec. d.C.). Seguendo l'influenza dei commenti di Averroè una prima corrente dell'aristotelismo rinascimentale ritenne vera la presenza di un unico intelletto attivo od agente universale, separato e divino, lasciando così all'intelletto po-tenziale dell'uomo la possibilità di attuarsi nella propria mortali-tà corporea. Una seconda corrente invece, quella degli ales-sandristi, annullò la presenza dell'intelletto separato, portando l'intelletto nella sua parte attiva e passiva all'interno dell'anima biologica umana.

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Dell'aristotelismo rinascimentale in generale si può affermare che predilesse le questioni ed i problemi legati ai rapporti ed agli elementi naturali, ricercando per essi soluzioni logi-che e razionali. Soluzioni che richiamavano in campo forme di legittimazione conoscitiva aderenti alle tematiche dell'in-telletto, dell'anima e della loro capacità di assurgere a posi-zioni di comando e di egemonia determinativa. La disputa fra la prevalenza delle affermazioni di fede e quelle di ra-gione portò, poi, gli aristotelici rinascimentali a sostenere una duplice e distinta possibilità: da un lato la necessità po-litica e civile dell'accettazione dei contenuti dogmatici della fede, dall'altra la libertà razionale della ricerca, nella proba-bilità dei suoi stessi contenuti (come forma di difesa dall'In-quisizione e di trasformazione in senso laico della cultura).

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5. La disputa fra platonici ed aristotelici.

La diversa accentuazione da un lato dell'unità circolare dell'universo e dal-l'altro della naturalità razionale dello stesso da parte rispettivamente della corrente platonica – con Giorgio Ge-misto Pletone (1355 – 1452 d.C.) - e della corrente aristotelica - con Gior-gio Trapezunzio (1395 – 1484 d.C.) - permeò il dibattito culturale e filosofi-co del primo Rinascimento, permet-tendo al cardinale Basilio Bessarione (1403 – 1472 d.C.) di assumere una posizione conciliatorista, anche se maggiormente sbilanciata a favore di Platone, ritenuto più vicino alle verità della fede cristiana.

Aristotele critica Platone: Metafisica, A.

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6. I protagonisti della disputa.

Niccolò Cusano (1401 – 1464 d.C.) fu filosofo e teologo pla-tonico di prim'ordine. Autore di testi come De docta ignoran-tia, De conjecturis, Idiota, De visione Dei, egli ripropose la netta distinzione fra l'ambito e il campo della finitezza e la trascendenza dell'infinito divino. Tanto quanto gli elementi del primo possono entrare in un rapporto di reciproca deter-minazione (proporzione), il secondo invece esce da ogni proporzione e relazione, per assumere le caratteristiche del-l'assolutezza. L'Uno divino può così essere nominato solo per negazione delle caratteristiche imperfette delle creature, stabilendo con esse sì un rapporto di opposizione, ma anche di unità (coincidentia oppositorum). Come Ockham assegna agli elementi del cosmo naturale una eguale natura, toglien-do la distinzione aristotelica fra sostanze celesti e terrestri.

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Accostando l'ente creato e quello increato, attraverso il principio dell'unità degli opposti, Cusano fa di Dio stesso il centro ed il limite invisibile (la circonferenza) dell'universo, rendendo que-st'ultimo in tal modo privo di un punto di riferimento che si er-gesse o si fondasse come essenziale ed imprescindibile. L'u-niverso perde poi la possibilità di vedere per se stesso un orizzonte di limitazione, in quanto esso vale come estensione illimitata. Se l'universo perde il centro, la Terra - come il Sole e tutti gli altri astri - si muove di moto circolare. L'eguaglianza delle nature fa sì poi che Terra, Sole ed astri si diversifichino fra loro per la qualità degli elementi che li costituiscono. Ma l'eguaglianza delle nature fa poi sì che gli astri possano pure essere egualmente abitati da creature simili all'uomo (moltipli-cazione del principio d'eguaglianza).

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Il principio fisico che regge ogni ente creato è quello relativo alla propria autoconservazione: per questo ogni ente creato si muove naturalmente e razionalmente, obbedendo alla mirabile e perfetta organizzazione del cosmo. In una dina-mica ancora oppositiva i corpi leggeri si alzano, mentre quelli pesanti corrono e si precipitano verso il basso. Que-sta composizione rettilinea dei movimenti viene completata sullo sfondo da una tendenza generale a riprodurre lo spa-zio sferico (nella composizione fisica dei corpi vegetali, animali, astrali e nella stessa forma esteriore dei movimenti circolari degli astri). Ogni corpo può poi ricevere una quanti-tà di moto (impulso) sotto forma di energia, che lo mantiene in movimento – principio d'inerzia – sino a che qualche re-sistenza od ostacolo non lo rallenti, o non ne devii e anni-chili le potenzialità attuali.

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Marsilio Ficino (1433 – 1499 d.C.) appartiene a quella schiera di pensatori rinascimentali, che videro nel platonismo e nella sua conciliabilità con il cristianesimo la trasmissione di una sapienza religiosa arcaica, direttamente derivata da Ermete Trismegisto e da Mosè. Egli fu autore della traduzione in la-tino dei Dialoghi di Platone, di un commento alle Enneadi di Plotino e della Teologia platonica. Esaltò la filosofia platoni-ca, in quanto vide in essa la possibilità di una restituzione globale del mondo e dell'uomo ai suoi stati e condizioni di purezza originaria, dove l'anima universale (anima mundi) poteva riesprimere i propri effetti benefici sulle anime partico-lari e su quelle dell'uomo in particolare. Tra Dio e l'uomo corporeo, l'anima poteva con le sue determinazioni angeli-che e superiori o qualitative ed inferiori portare a compimen-to l'opera generale della salvezza divina, fungendo da me-diazione assoluta (nodo vivente della creazione o copula mundi). Per questa ragione essa era immortale ed infinita.

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Il movimento circolare dell'anima ha come motore e causa l'a-

more, che tiene insieme orizzontalmente le parti della creazio-ne in una opportuna ed adeguata relazione dialettica e che unisce verticalmente le creature a Dio e Dio alle creature. In virtù dell'amore l'universo esce dal caos e tende a Dio, si or-ganizza e raggiunge la perfezione; in virtù dell'amore Dio si prende cura del mondo, gli dà vita e lo ordina a sé. Alla fun-zione tradizionale svolta dal Cristo si aggiunge in tal modo quella di un'umanità eccelsa, egemone, innalzata nel suo sco-po di mediazione assoluta, fra il gradino più infimo o minimo dell'essere ed il suo grado più alto e massimo. Grazie all'amo-re dell'anima – che l'anima ha nei confronti di Dio e che Dio ha nei confronti dell'anima (il nodo ed anello superiore della crea-zione e della salvezza) - l'uomo diviene elemento necessario ed indispensabile dell'ordine e della stessa unità dinamica – creativa e dialettica – dell'essere e del cosmo.

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Se l'immagine della mente divina nell'uomo consente a quest'ul-

timo, secondo Cusano, di erigere quel rapporto verticale con Dio che è l'essenza ed il fondamento dell'assimilazione e del-l'espansione conoscitiva degli enti creati (identificazione, mo-vimento, trasformazione e divenire, molteplicità) e se questo stesso processo in Marsilio Ficino consente all'anima ed alla mente dell'uomo di essere e di appropriarsi di ogni cosa, ri-manendo il soggetto stabile di ogni relazione, Giovanni Pico della Mirandola (1463 – 1494 d.C. ) offre completezza, con-clusione e concretezza a tale medesimo processo, definendo la natura dell'uomo e la sua potenza nella sua molteplice e variabilissima volontà. Ora la natura umana può immedesi-marsi e trasformarsi secondo il desiderio della volontà nelle più diverse potenze razionali e naturali, sorgendo alle più su-blimi vette dell'intelletto e dell'angelicità, oppure declinando verso le forme più laide della materialità.

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Fortemente influenzato dalle più diverse fonti speculative, da lui stesso portate a sintesi - aristotelico platonizzante, fuse la tradizione classica con il mosaismo (cabala) e la magia della sapienza religiosa arcaica (ermetismo) - Pico della Mirandola espresse al meglio il desiderio sincretico di una sintesi universale del sapere, che rigenerasse la vita reli-giosa e quella filosofica. Nella Oratio de hominis dignitatel'uomo eccelle su tutte le creature per la sua potenza natu-rale e razionale di trasformazione, di immedesimazione con tutte le nature degli altri esseri creati. Al centro dell'uni-verso, né celeste, né terreno, né immortale, né mortale, l'uomo è libero e sovrano artefice di se stesso. La sua cen-tralità è la sua unità, l'unità dell'intero genere umano, la sua pace e fratellanza.

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Per questo tutto ciò che speculativamente è andato disperso ed

ha dato luogo a contrapposizioni deve essere riunito e restitui-to, nella sua sapienza originaria. L'Heptaplus dimostra così l'unità fra il racconto biblico della creazione ed il platonismo, mentre il De ente et uno vuole mostrare la conciliabilità della speculazione aristotelica con quella platonica. La sintesi ulti-ma di tutte queste riunificazioni è infine data dall'accordo fra la magia naturale e la cabala divina. Quanto la prima esplora e trova per propria utilità e comodo tutte le potenzialità natura-li, altrettanto la seconda si eleva ai misteri divini (gli stessi in-dicati dalla dottrina cristiana). Se lo studio matematico degli astri – astrologia matematica e speculativa – consente lo stu-dio delle relazioni astrali, queste non possono essere fatte va-lere come forme di predeterminazione del destino umano, che resta pienamente nelle libere facoltà dell'uomo stesso. Di qui il rifiuto dell'astrologia giudiziale o divinatrice.

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Se la corrente platonica della filosofia rinascimentale concen-tra i propri interessi speculativi soprattutto sulla ridefinizione del posto e del valore dell'uomo nell'universo, la corrente aristotelica preferisce interessarsi della sua funzione, all'in-terno dell'insieme organico delle finalità naturali che costitui-scono il mondo materiale e sensibile. In questo contesto la speculazione di Pietro Pomponazzi (1462 – 1524 d.C.) si dirige verso la definizione delle determinazioni necessarie e razionali degli enti creati, secondo un'impostazione alessan-drista, che esclude l'intervento della grazia sovrannaturale divina, quale spiegazione dei fenomeni occorrenti. Gli stessi eventi straordinari non rientrano nel novero degli accadimen-ti sovrannaturali e miracolosi, ma solo in quello dei fatti ec-cezionali, dovuti ad un incontro speciale e fortunato di ele-menti e di circostanze, determinato dalle reciproche posizio-ni astrali, che mediano l'intervento divino nel mondo (De in-cantationibus).

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La rete ed il sistema in movimento delle relazioni astrali costi-

tuisce l'orizzonte di determinazione della stessa storia del-l'umanità. Le vicende degli Stati, dei popoli e delle stesse re-ligioni dipendono da esse. È la giovane creatività espressa dai segni oracolari, dalle profezie e dagli interventi eccezio-nali a stabilire la freschezza e la potenza in crescita di un fe-nomeno come quello religioso: tutte le religioni – compresa quella cristiana – hanno come gli esseri viventi un inizio, una fase di crescita e di maturità ed infine un tramonto, caratte-rizzato dall'impoverimento della presenza della potenzialità creatrice. Se l'intervento divino si collega direttamente sola-mente all'intelligenza angelica, l'anima intellettiva e sensitiva dell'uomo può agire ed esistere solo in relazione con l'am-biente esterno dei corpi: l'anima dell'uomo non può quindi essere considerata razionalmente come immortale (De im-mortalitate animae).

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La scomparsa della giustificazione sovrannaturale per la determi-nazione e gli scopi dell'anima umana, lascia operante la virtù ed il vizio per se soli: essi infatti valgono come termini dell'attività fe-lice od infelice. Il premio della virtù è la felicità, la pena del vizio l'infelicità. Diventa in tal modo più forte – e non più debole - il ri-chiamo alla perfezione morale, che da sola può consentire quel raggiungimento e quel merito che valgono da soli la salvezza umana. Essa vien poi garantita dalla fede cristiana, secondo le modalità speculative e pratiche stabilite dal dogma. La stessa presenza divina ed il suo intervento diretto o mediato nelle cose del mondo stabiliscono che la sua onnipotenza non possa esse-re in alcun modo modificata, trasformata o riadattata secondo i piani ed i desideri degli uomini: la sua decisione provvidenziale è legge assoluta ed immodificabile (De fato). L'uomo resta libero solamente in quella parte, che ha a che fare con la conoscenza: nell'azione e per l'azione valgono i principi della necessità natu-rale, quelli della morale razionale ed eventualmente i dogmi sta-biliti per fede (coronamento ambiguo).

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7. Il ritorno alle origini del cristianesimo

Si è già visto come molteplici siano stati durante il Medioevo i tentativi di riforma della vita religiosa, che restituissero l'isti-tuzione ecclesiastica ed i suoi membri a quella purezza di vita apostolica, che era stata il segno distintivo delle prime comunità cristiane. La partecipazione e addirittura l'esalta-zione del potere temporale della Chiesa aveva infatti corrotto la vita religiosa, facendole abbandonare gli ideali legati alla salvezza spirituale, per condurla direttamente entro tutte le forme pratiche di ricerca e conservazione del potere e della ricchezza. Il credo e la fede cristiana in questo modo rischia-vano di essere pervertiti ed allontanati definitivamente dai propri scopi reali, per essere assoggettati strumentalmente a forme di dominio ideologico, svuotate di un effettivo senso e significato religioso.

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Di fronte a questa strumentalizzazione politica della religione - che sarà foriera e causa di tutte le guerre per il potere, che avrebbero agitato delle motivazioni dottrinarie (le future guerre di religione) - il fortissimo desiderio del ritorno ad una comunità di fede autentica - pura, semplice ed incorrotta - mosse i tentativi di riforma, che i rinascimentali misero in atto, sia dal punto di vista speculativo, che pratico. Da un lato allora si ebbe la cosiddetta religione dei dotti, il richia-mo all'unità di una fede razionale reperibile grazie alla resti-tuzione di una sapienza religiosa originaria – una prisca theologia – che sapeva unire le fonti ermetiche, quelle caba-listico-ebraiche, il Vecchio e Nuovo Testamento e la tradi-zione filosofica dei pensatori classici (in primis Platone ed i neoplatonici).

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Dall'altro si ebbero i tentativi di un ritorno alle fonti prime della religiosità cristiana, senza le mediazioni e le in-crostazioni dovute al susseguirsi delle dispute filosofi-che del Medioevo: i testi sacri dei Vangeli e delle lettere apostoliche. Lo spirito e la lettera di questi avrebbero potuto rinnovare e restituire all'intera umanità – e non soltanto ai dotti - l'originarietà feconda del messaggio di salvezza cristiano, non attraverso una qualche modifi-cazione ed aggiustamento dottrinario, ma grazie ad una pura e semplice conversione esistenziale. Per questo gli stessi riformatori religiosi dovettero utilizzare lo strumento filologico, perché questo liberasse la parola originaria di Cristo dalle applicazioni umane successi-ve.

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Il primo ad esprimere nell'età del Rinascimento desideri di riforma della vita religiosa ed ecclesiastica fu Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536 d.C.), umanista filologo, teo-logo e sacerdote. Egli fu au-tore di edizioni critiche del Nuovo Testamento e di al-cuni testi dei Padri della Chiesa. Compose un testo capitale per il rinnovamento delle coscienze del tempo: l'Elogio della follia.

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In quest'opera Desiderio Erasmo segnala subito ironicamente tutte quelle caratterizzazioni della vita religiosa, ecclesiastica e monastica, che incontravano il sostegno dei suoi contempo-ranei: il desiderio di vanagloria e di potere, il fanatismo che si nutre di ignoranza e di cattiva coscienza, la creazione men-zognera e l'impostura di un mondo astratto funzionale al pro-prio dominio ed alla soddisfazione dei propri piaceri. Tutte ca-ratterizzazioni viste e considerate dai suoi contemporanei come buoni strumenti per l'affermazione della Chiesa, degli intellettuali e degli stessi bravi cristiani (prima follia positiva). Dall'altro egli segnala invece la commiserazione con la quale i suoi stessi contemporanei valutavano tutti gli atteggiamenti legati ad una effettiva esemplarità di vita cristiana, di chi fosse dedito agli altri con amore fraterno (prima follia negativa).

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Con una struttura a chiasmo, a croce, e quindi con un preciso procedimento dialettico, Desiderio Erasmo successivamen-te rovescia la prima follia positiva in effettiva e vera follia negativa, definendone l'aspetto principale negativo nella strumentalizzazione della fede per finalità di potere fra gli uomini, mentre ribalta la prima follia apparentemente nega-tiva – l'ingenuità di chi dà tutto se stesso agli altri – nella vera forma di follia positiva, la follia della Croce, la follia del Salvatore Gesù Cristo. In questo modo solo l'intendimento puro e semplice del messaggio evangelico costituisce il vero ed autentico senso e significato della fede, che risulta quindi confermata dalla semplice lettura ed interpretazione della Bibbia (Manuale del milite cristiano).

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L'attenzione per la Bibbia, per il Nuovo Testamento e per i Padri della Chiesa si concretizzò nella loro traduzione ed edizione critica. Nel contempo l'azione critica di Erasmo si appuntò nei confronti delle dispute teologiche, prive della necessaria cari-tà cristiana e dunque dello spirito della vera ed autentica fede. Per questo egli ripudiò le discussioni della teologia scolastica. Di fronte, poi, al prorompere della Riforma protestante di Lute-ro, Erasmo cercò di tenere una posizione media, diventando persino critico delle proposte del monaco agostiniano tedesco sul problema del libero arbitrio. Nel suo De libero arbitrio Era-smo infatti sollecitò la compresenza dell'azione meritevole del-l'uomo (causa secondaria della salvezza), di fronte al soprag-giungere della grazia divina (causa primaria della salvezza), considerata invece da Lutero forza esclusiva e totalizzante nell'azione della salvezza spirituale.

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Il monaco agostiniano Martin Lutero (1483 – 1546 d.C.) è l'ini-ziatore della Riforma protestante. Spirito attento all'autenticità della fede cristiana, rimonta alla lettera dei Vangeli, oltre e contro la tradizione della patristica e della scolastica, per at-tuare una riforma, che restituisca la coscienza dei cristiani al primitivo ed originario messaggio evangelico dell'amore fra-terno. Cristo è principe della Chiesa, costituita nella comunio-ne del suo spirito: ogni comunità cristiana deve adottare que-sto modello di riferimento per la propria vita religiosa e civile. Nella fede, dono gratuito di Dio, il rapporto dell'uomo con la divinità non può non essere immediato e totale (secondo un'apertura d'infinito, che non può non avere immediate con-seguenze pratiche); per la fede solamente dunque l'uomo può salvarsi, ricongiungendosi con il divino stesso. La ragio-ne, invece, tende a sovrapporsi alla fede ed a sostituirvisi.

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Laddove la fede unifica in modo universale ed aperto, la ra-gione infatti divide e distingue, separa e sofisticamente contrappone. Solamente un'apertura d'infinito può risve-gliare l'uomo nella radicalità della sua natura intellettuale e volontaria: solo essa infatti può degnamente rappresenta-re per noi l'infinito della volontà e della potenza divine (cfr. Ockham). L'azione, la storia ed il nuovo divenire dell'uomo che scoccano per effetto di questa causa unica, ripristina-ta nella sua integrità e totalità, non possono non essere delle forme di atteggiamento, dei caratteri educati, che non sviluppano l'azione stessa in virtù di un merito razio-nalmente attestabile e riconoscibile, ma che al contrario sentono la grandezza divina dell'azione compiuta come compagna dell'insegnamento evangelico (vocazione e servizio nel mestiere scelto).

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L'adesione alla legge dei comandamenti, alla loro volontà, non può non essere – per essere autentica e non strumentale – giustificata interiormente dalla presenza e dall'azione della grazia divina, che ne indirizza positivamente l'adempimento. In questo senso solamente la coscienza del singolo creden-te può attestare la propria buona fede nella ricezione e nel-l'adempimento delle volontà divine. La Chiesa come istitu-zione separata e giudicante ne rimane estranea. Ogni fedele può essere mediatore di fede e di grazia agli altri componen-ti della Chiesa reale (tesi del sacerdozio universale). Quindi solamente ciò che segna positivamente l'ingresso e l'appar-tenenza continuamente confermata a tale comunità – il bat-tesimo e l'eucarestia – può valere come sacramento divina-mente istituito. Tutto il resto decade nella futile inutilità degli strumenti di asservimento al potere umano.

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Di fronte alla possibilità umana di scegliere fra la salvezza e la dannazione e di meritare di fronte a Dio per questa scelta, Lutero ri-badisce l'assoluta preminenza della scelta divina, fondata sulla sua esclusiva prescienza, onnipo-tenza e predestinazione. Dio sceglie perfettamente e destina alla salvezza o alla dannazione, permettendo che l'uomo compia il bene od il male. In questo senso per l'uomo l'unica libertà è l'as-servimento a Dio (De servo arbi-trio).

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Anche Huldrych Zwingli (1484 – 1531 d.C.) riteneva che pro-venisse dalla notte dei tempi una sapienza religiosa origina-ria, presente nei filosofi classici e nei testi sacri del cristiane-simo, la quale permettesse di constatare eternamente il valo-re universale della rivelazione divina. Dio è infatti sempre pre-sente alla mente ed ai cuori degli uomini nelle sue verità, che sono state di volta in volta giudicate e affermate dai filosofi, at-traverso le apparentemente più diverse determinazioni (esse-re, bene, unità, natura). Come Lutero anche Zwingli ritiene che la scelta e la decisione assolute di Dio, attraverso il dono gratuito della grazia e della fede, determinino la salvezza del-l'uomo, spingendolo ad immedesimarsi totalmente in questo dono, con la mente, il cuore e le azioni. Tutta chiusa nell'inte-riorità dell'uomo, la fede vive senza bisogno di riti e di cerimo-nie. L'eucarestia diviene la ripetizione del dono e sacrificio di sé, da parte della comunità dei fedeli, secondo l'esempio di Gesù Cristo (valore simbolico dell'eucarestia).

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Se l'eucarestia è la partecipazione, l'assimilazione agli stessi ideali di giustizia umana e fraterna del Cristo, il battesimo deve rammentarne consapevolmente i contenuti. Per questo il riformatore della chiesa zurighese rimase vicino alle spinte radicali degli anabattisti (combattute invece sia dai cattolici, che dai protestanti). La partecipazione frater-na e consapevole all'unità umana spinse l'azione riforma-trice di Zwingli verso un impegno sociale radicale: la carità e la pietà nei confronti dei fratelli nella fede doveva esibirsi e manifestarsi nella perfezione delle relazioni sociali, eco-nomiche e politiche. Perfezione che egli riporta alle forme di vita comunitaria della prima comunità apostolica (co-munione dei beni, rifiuto dell'appropriazione, scambio gra-tuito dei beni).

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Giovanni Calvino (1509 – 1564 d.C.) rende ancora più auste-ra e rigida la riforma della fede cristiana, riportandola ai rigori della legge dell'Antico Testamento. L'unità affermata di Vec-chio e Nuovo Testamento lo spingono a volere una riforma fortemente ancorata a principi moralistici ed autoritari. Tutto ciò era giustificato dalla sua concezione teologica, che ve-deva in Dio il sovrano assoluto dell'universo, il Signore dal-l'infinita potenza, capace di annichilire ogni altro ente esi-stente. Infinito dell'affermazione di sé, Egli vale per l'infinito della sua prescienza e per l'infinito della sua azione, assolu-tamente ed esclusivamente predeterminante. In tale conte-sto teologico la fede individuale diventava il senso della pro-pria assoluta elezione da parte di Dio, con il significato del-l'assoluta certezza delle proprie opinioni e dell'indefettibile sicurezza dei propri comportamenti.

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Come Cristo aveva meritato con la propria sofferenza e la pro-pria morte sulla croce la risposta positiva e salvifica del Pa-dre, così l'uomo con il sacrificio di sé nel lavoro e nella voca-zione riscatta la propria nullità e la propria assoluta negazio-ne, diventando un eletto nelle mani del Signore. Di qui l'impe-gno per la valorizzazione di se stessi nella propria azione, spinto sino al fanatismo ed alla negazione assoluta degli altri. Una spinta che diviene tanto più forte, quanto più forte è il bi-sogno di sapere, se si è stati effettivamente scelti dal Signore e da Esso salvati: ecco quindi come la conquista di posizioni di potere (economico, sociale e politico) si tramuti nella prova della benevolenza del Signore stesso, nella prova della pro-pria elezione e della propria salvezza. La stessa forma politi-ca della comunità e della chiesa ginevrina, da lui riformata, fu-rono grandemente influenzate dal rigorismo morale e dall'as-solutismo politico derivante da queste concezioni (cfr. il caso del rogo di Michele Serveto).

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Gli articoli della fede luterana ven-nero sistemati da Filippo Melan-tone (1497 – 1565 d.C.) nella Confessione augustana (1530). La Riforma protestante diede poi origine a due diverse ed opposte tendenze: l'una mistica e l'altra razionalistica. Alla prima appar-tenne la figura di Jakob Böhme(1575 – 1624 d.C.), autore del-l'Aurora consurgens; alla secon-da gli antitrinitaristi Lelio (1525 – 1562 d.C.) e Fausto Socini(1539 – 1064 d.C.).

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In alto un'Unità Didattica dedicata alla Riforma protestan-te e un video-clip di Luther, film tedesco sul teologo del-la Riforma

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La Controriforma cattolica. Il papato ed i vescovi cattolici cercarono di porre argine alla diffusione della Riforma prote-stante e di riorganizzare, moralizzandole e disciplinandole, la vita e le relazioni interne della chiesa cattolica stessa. Per questo con il favore imperiale – Carlo V e poi Massimiliano I d'Asburgo – il Papa Paolo III emanò la bolla di convocazione del Concilio di Trento, che si svolse fra il 1545 e, con interru-zioni, sino al 1563. Il Concilio emanò sedici disposizioni dogmatiche, che riguardavano soprattutto le materie di fede, che vedevano contrapposte da un lato la chiesa riformata lu-terana e calvinista e dall'altro la chiesa cattolica. In particolar modo ribadì la dottrina tradizionale della salvezza e della giustificazione, contro il principio riformato della salus sola fide.

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L'altro principio riformato ad essere negato fu quello della libera interpretazione e dell'autonomia della Sa-cra Scrittura nell'opera di salvezza (sola scriptura): la mediazione dell'interpreta-zione dogmatica e tradizio-nale dei testi sacri costitui-va il veicolo necessario, in-sieme alla grazia divina e alla libera accettazione e disposizione del singolo, per poter assicurare la sal-vezza individuale.

Il Concilio di Trento (1545- 1563)

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Dopo aver negato i principi ri-formati della sola fide, sola scriptura Il Concilio di Tren-to ribadì la funzione media-trice imprescindibile della Chiesa, l'efficacia della sua trasmissione dei sacramenti e la validità tradizionale dei riti codificati (rito romano).

I Canoni del Concilio di Trento possono essere letti acce-dendo al sito seguente: http://www.totustuus.biz/users/concili/trento.htm

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8. L'ideale di un rinnovamento politico.

La volontà di riforma dell'orizzonte teologico e delle modalità del-l'esperienza pratica del mondo influenzò la nascita di due diver-se correnti di pensiero politico, molto attive durante il Rinasci-mento e dedicate alla riscoperta e alla rivalutazione del fonda-mento essenziale della vita associata: la prima fu la corrente storicistica, la seconda quella giusnaturalistica.

Lo storicismo intende far ritornare la comunità politica alle sue prime fonti storiche, originali e creative, per ripristinare quelle determinazioni e quegli scopi ideali, che ne avevano forgiato al meglio ed in modo duraturo il carattere e l'azione. In Italia e, in particolare a Firenze, Niccolo Machiavelli (1467 – 1527 d.C.), approfittando della situazione contingente locale – la repubblica fiorentina del Savonarola – indicò nel ritorno alla Roma repub-blicana il termine di riferimento per la ricostituzione dell'unità po-litica e dell'indipendenza nazionale italiana.

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Per ricostituire nella realtà questo ideale, Machiavelli prima si adoperò per ritrovare – grazie ad una sterminata analisi stori-ca (di cui fanno fede i Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Li-vio) – tutte le caratteristiche essenziali del regime repubblica-no romano, poi si diede a ricercare tutte le condizioni attuali, che avrebbero potuto inverare quelle stesse caratteristiche nel clima politico italiano a lui coevo (ricerca storia e realismo politico). Il realismo machiavelliano viene poi accentuato nel Principe dalla considerazione, che chi volesse prima ottenere il potere e poi conservarlo, doveva valutare bene tutte le ne-cessità derivate dalla definizione negativa della natura uma-na: l'uomo è animale irragionevole, che deve essere governa-to o convinto spesso con la forza. L'astuzia e la possibile azione decisa – sino anche all'omicidio – sono dunque le ca-ratteristiche necessarie al principe, per continuare a governa-re per il bene e l'utilità dei suoi sudditi, eliminando tutti i peri-coli, che potrebbero incombere sul suo potere personale.

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Il rapporto delle azioni contingenti del-

l'uomo – anche dell'uomo di potere, non solo e particolarmente del suddito – con la fortuna o con ciò che un fedele vedrebbe concretizzarsi come l'azione della Provvidenza divina è un rapporto che consente loro di prevedere le con-seguenze delle proprie azioni e, dun-que, di porre argine ad eventuali effetti negativi: per Machiavelli la fortuna è arbitra della metà delle azioni umane e lascia governare agli uomini l'altra metà o poco meno. L'uomo può, così, non farsi dominare dalla fortuna, qualora non abbandoni le proprie virtù razionali e pratiche (historia magistra vitae).

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Francesco Guicciardini (1482 – 1540 d.C.), auto-re dei Ricordi politici e ci-vili e della monumentale Storia d'Italia, analizza l'atteggiamento presente nei diversi centri di pote-re regionali italiani, valo-rizzandone l'interesse au-tonomo ed indipendente (il “particulare”).

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Il giusnaturalismo rinascimentale si preoccupò invece di ritrovare le basi stabili e permanenti - universali, perché fondate sul diritto naturale e razionale – delle legislazioni e dei poteri costituenti degli Stati. Thomas More (1480 – 1535 d.C.) immaginò la costi-tuzione di uno stato ideale, nell'isola di Utopia, dove la proprietà privata della terra era stata abolita ed il lavoro veniva distribuito a rotazione a tutti i suoi abitanti. Tolto il valore convenzionale al-l'oro ed all'argento, esso veniva attribuito alle opere dell'uomo, lavorative od intellettuali. Era, infatti, il comune sentimento natu-rale del piacere a spingere gli uomini e le donne a perseguire l'i-deale di una comune e civile convivenza, allietata dal piacere scambievole e, appunto, comune (nel lavoro, nella cultura e nel-lo svago). Il tempo di vita veniva infatti equamente suddiviso fra il lavoro, lo studio ed il divertimento. La cultura aveva come fina-lità il benessere e l'utilità generali: le scienze, la filosofia e la re-ligione si accordavano, per sollecitare la pace e la giustizia col-lettive.

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Jean Bodin (1529 – 1596 d.C.) fu invece un teorico del diritto divino assoluto, incarnato nel sovrano della nazione. La sua concezione teologica, che guardava a Dio come ad un potere infinito sull'intero creato, si riflette nell'immagine del re-sovra-no assoluto, completamente indipendente dalle leggi e sciolto dall'obbedienza ad esse, il quale viene accompagnato nella sua funzione direttiva dalle famiglie nobiliari più importanti (Sei libri dello Stato). La monarchia assoluta assomma su di sé tutti i poteri: quello legislativo, quello esecutivo (fra i quali dichiarare guerra e stipulare trattati di pace) e quello di con-trollo sull'amministrazione della giustizia, quello economico-fi-scale ed infine quello amministrativo. Nello stesso tempo il po-tere assoluto del re-sovrano deve rispettare l'immagine ed il riflesso della volontà divina espressi nella conduzione natura-le del comportamento morale umano (libertà e proprietà).

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L'organizzazione dello Stato era dunque gerarchica: essa pre-

vedeva l'accostamento al potere sovrano di una camera di consiglio permanente e di una serie decrescente di Stati ge-nerali e provinciali, di corporazioni e di entità collettive in-termedie. Se il potere sovrano garantiva dunque l'espres-sione della moralità, questa poteva manifestare se stessa nella diversità dei riti e delle confessioni religiose, che per-tanto dovevano essere tollerate nella loro molteplicità (Hep-taploméres).

Il diritto naturale e razionale trova espressione nelle opere del calvinista Johannes Althusius (1557 – 1638 d.C.), che ri-tiene criterio fondamentale ed essenziale per la giustifica-zione e la creazione delle leggi, non il potere assoluto di un sovrano monarchico, ma la moralità comune e generale di un popolo.

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È essa a possedere la sovranità (sovranità popolare), che dele-ga ai propri rappresentanti, secondo un criterio federalista nel-la costituzione dello Stato. La comunità dei cittadini si istitui-sce tramite consenso delle formazioni sociali (contrattualismo) e diviene organismo vivente, diretto dalla naturalità razionale del diritto stesso, sempre inalienabile (diritto di resistenza al-l'oppressione ed alla perversione della sovranità).

Il calvinista moderato Ugo Grozio (1583 – 1645 d.C.), autore dello De iure belli ac pacis, viene considerato il fondatore del diritto internazionale, basato sul diritto naturale e razionale universale. Attento all'unità profonda dei popoli e delle religio-ni, Grozio valutava che le espressioni locali del diritto nella sovranità (legislativa, esecutiva e giudiziaria) dovessero sem-pre possedere il carattere della razionalità: la relazione con-trattuale che univa gli individui in società veniva fatta in nome della pace e della reciproca sicurezza e libertà, per superare uno stato di natura diventato bellicoso e pericoloso, per effetto dell'aumento delle disparità e delle diseguaglianze (delega al potere sovrano del rispetto degli interessi individuali).