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1 Questa dispensa è il risultato del cammino che abbiamo svolto nelle 4 camminate del sabato pomeriggio nella nostra bassa pianura, durante i quali, noi pellegrini abbiamo condiviso idee e pensieri sul tema del viaggio. Per questo ringraziamo tutti quelli che erano presenti in queste escursioni e fra questi coloro che hanno inviato le loro considerazioni, che in qualche modo danno voce a quei discorsi. Grazie. Il CAI Manerbio

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Questa dispensa è il risultato del cammino che abbiamo svolto nelle 4 camminate del sabato pomeriggio nella nostra bassa pianura, durante i quali, noi pellegrini abbiamo condiviso idee e pensieri sul tema del viaggio. Per questo ringraziamo tutti quelli che erano presenti in queste escursioni e fra questi coloro che hanno inviato le loro considerazioni, che in qualche modo danno voce a quei discorsi. Grazie.

Il CAI Manerbio

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INTRODUZIONE A CURA DI PE’ MASSIMO

Ogni viaggio è caratterizzato da tre fasi: la partenza, il transitare o il viaggio in sé e il ritorno. LA PARTENZA I motivi per cui s’inizia a viaggiare sono tantissimi e tutti sono leciti, ma sicuramente un viaggio “volontario” è sempre la risposta a delle domande, a dei bisogni. Dante affronta il suo viaggio nell’aldilà per dare voce alla sua crisi religioso-esistenziale, che aveva posto in lui moltissimi dubbi e l’aveva recluso nel buio della sua anima e solamente dopo il suo viaggio uscirà a vedere la luce o meglio a riveder le stelle. (Inferno canto I ) L’Ulisse di Dante decide di non tornare ad Itaca, ma di affrontare nuovi mari e terre per quella voglia di conoscenza e per appagare la sua curiosità (Dante canto XXVI, versi 84 e seg.), ma anche nell’Ulisse di Omero, dove l’eroe sembra voler ritornare alla sua isola, egli in qualche modo rinvia sempre il ritorno. In Omero per bocca di Circe e di Tiresia si dice che Ulisse affronterà nuove avventure e una volta tornato ad Itaca ripartirà per un’altra estrema avventura (Odissea libro X, XI). Il viaggio di Gilgamesh per la campagna contro il Libano, se sembra obbedire ad un ordine divino, nasconde in realtà la voglia dell’eroe di raggiungere la fama, espandere cioè il proprio io nello spazio e nel tempo. Il suo è un viaggio per diventare eroe e per questo deve prevedere un ritorno dove la sua identità di eroe sarà riconosciuta dal suo popolo. Ma non sempre le partenze assumono un carattere volontario, spesso diventano forme di esilio: si pensi alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso o al viaggio di Abramo per comando divino o ancora a tutti quei peccatori, condannati, che nel medioevo, come penitenza dovevano affrontare un pellegrinaggio.

Voi perché partite?Voi perché partite?Voi perché partite?Voi perché partite?

La partenza, come tutti i distacchi è una separazione dell’individuo da un luogo conosciuto e soprattutto è abbandonare relazioni e ruoli sociali. La persona che si mette in viaggio è estrapolato dal suo “nido” dove si sente protetto e riconosciuto nella sua identità. Il viaggiatore si allontana da uno spazio, non solo fisico, in cui i suoi bisogni erano, in qualche modo, soddisfatti. La causa del viaggio è proprio per andare alla ricerca di soluzioni alle nuove esigenze. La partenza provoca emozioni forti, a volte di dolore, quella sensazione che si può definire “angoscia del distacco”. Essa diventa più atroce se la partenza è necessitata dalla presenza di guerre, di dittature o dall’assenza di lavoro. Pensiamo al fenomeno degli emigranti, costretti a lasciare la propria terra e deporre le loro speranze in un luogo lontano dalle loro radici. Essi sono costretti a lasciare i propri cari, gli amici, le loro abitudini: abbandonare tutto, anche la loro identità, per sopravvivere. (articolo di giornale da La repubblica – Oggetti clandestini- riportato sotto)

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Come Come Come Come vivvivvivvivete voi la partenza?ete voi la partenza?ete voi la partenza?ete voi la partenza?

La separazione con il proprio ambiente è così dolorosa che nei nostri viaggi cerchiamo di rimanere legati al nostro mondo portandoci di tutto.

Cosa non può mancare nei vostri viaggi?Cosa non può mancare nei vostri viaggi?Cosa non può mancare nei vostri viaggi?Cosa non può mancare nei vostri viaggi?

IL TRANSITARE Viaggiare è entusiasmante, in parte perché scatena il brivido della fuga. La fuga è tante cose: perdere le abitudini, perdere la propria identità familiare, è incontrare nuove persone, è provare nuove situazioni, è rinascere e indossare una nuova pelle. Analizzando questi aspetti del viaggiare ciò che a me piace di più sono gli incontri con altre persone: se ripenso al mio camino di Santiago ricordo non tanto i luoghi, ma le persone che incontravo e ritornavano sul mio percorso: Pedro e Pedro, il

farmacista piemontese, le tre signore norvegesi, il francese e il gruppo di spagnoli con il quale ho condiviso una serata di musica. Diverso è stato il mio viaggio in Brasile, lì, a parte un universo di bambini con storie drammatiche negli occhi, lì ho conosciuto il mondo dei sudamericani, con la loro musicalità e i loro occhi e sorrisi profondi, una terra piena di solidarietà e di dignità, che solo la povertà materiale riesce ancora a creare. I viaggi sono pieni d’incontri, se pensiamo ancora al nostro Ulisse, ci è chiara la diversità dei vari personaggi incontrati, ma nello stesso tempo essi hanno una caratteristica comune: la solitudine. Solo è Polifemo, sola è Circe e lo sono altrettanto Calipso e Nausicaa. Sono persone sole con un vuoto da riempire. (Concita De Gregorio “Malumore” – leggete il racconto di Circe).

Quali personeQuali personeQuali personeQuali persone, incontrate nei vostri viaggi, , incontrate nei vostri viaggi, , incontrate nei vostri viaggi, , incontrate nei vostri viaggi, ricordate?ricordate?ricordate?ricordate? Gli incontri non sono solo con singole persone, ma anche con un intero popolo. Un viaggio ti permette di avvicinarti a popolazioni, che in qualche modo hanno assimilato uno stile di vita, legato al luogo, e che hanno instaurato con i compaesani le relazioni sociali. La bellezza del viaggiare è conoscere questi luoghi, è contaminarsi con questi modus vivendi, è intrecciarsi con le vite degli indigeni, è, in qualche modo entrare in quell’universo, anche se per poco tempo. Si impara ad uscire dal proprio etnocentrismo, a pensare con maggiore libertà e a distruggere quelli che sono al tempo stesso stereotipi e pregiudizi. Viaggiare diventa crescere interiormente, farsi contaminare dagli altri e soprattutto condividere idee. (Marlo Morgan “. . . E venne chiamata due cuori”) Viaggiare è anche appropriarsi del nostro pianeta, nel senso di gustarlo nei suoi particolari e nella sua grande ricchezza di paesaggi e di dettagli. È arricchire la nostra valigia con odori, suoni e colori. (Da leggere sotto questo punto di vista i libri di Bruce Chatwin “Le vie dei canti” e “In Patagonia”, ma anche i libri di Luis Sepulveda “Patagonia express”, e non dimenticatevi il libro di P. P. Pasolini “L’odore dell’India”)

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Cosa vi colpisce di Cosa vi colpisce di Cosa vi colpisce di Cosa vi colpisce di un luogo? un luogo? un luogo? un luogo?

Un profumo, uno squarcio, dei colori. . . io penso che ognuno di noi abbia un organo di senso privilegiato e a volte è il posto stesso che ne rende più acuto uno rispetto all’altro. Sta di fatto che un viaggio porta con sé molti tesori.

Itaca di Costantino Kavafis

Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere,

non sarà questo il genere di incontri

se il pensiero resta alto e un sentimento

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,

nè nell'irato Nettuno incapperai

se non li porti dentro

se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.

Che i mattini d'estate siano tanti

quando nei porti - finalmente e con che gioia -

toccherai terra tu per la prima volta:

negli empori fenici indugia e acquista

madreperle coralli ebano e ambre

tutta merce fina, anche profumi

penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,

va in molte città egizie

impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -

raggiungerla sia il pensiero costante.

Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio

metta piede sull'isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per strada

senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,

senza di lei mai ti saresti messo

sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

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IL RITORNO

Che cosa ci lascia un viaggio?Che cosa ci lascia un viaggio?Che cosa ci lascia un viaggio?Che cosa ci lascia un viaggio? Il viaggio diventa così una forma di narrazione, che condividiamo con gli altri. C’è sempre occasione per raccontare il proprio viaggio, ci sono vari contesti: una relazione, una cena da amici o semplicemente un diario personale che invidiosamente custodiamo per noi stessi. Ma legato al ritorno vorrei porre la nostra attenzione, non tanto sul viaggiatore, ma su chi durante il viaggio abbiamo lasciato a casa, e che in un determinato modo è stato spettatore del nostro viaggio. Perché in fondo, quando viaggiamo, rimaniamo legati a qualcuno o a qualcosa: una specie di cordone ombelicale radicato nella nostra storia, nelle nostre radici. A questo proposito ritorno al nostro Ulisse che aveva come filo orientante la sua Itaca, ma soprattutto Penelope, che pur rimanendo nella sua stanza, percorre, anche lei un viaggio. La tela che lei tesse rappresenta il suo statico viaggio, il suo amore per Ulisse. “. . . Aveva imparato che l’amore è soprattutto una questione di attese. E il problema non è mai quanto dovrai aspettare. Amare una persona significa saperla aspettare, anche a costo di inventarsi un lenzuolo da tessere fino a che l’attesa non sia finita. Il lenzuolo ti può aiutare a mantenere lo sguardo sempre nella giusta direzione, là nella sua stanza ogni giorno e ogni sera, scrutava il mare color del vino, nella speranza di intravedere il volto del marito”. A me non piace molto narrare i miei viaggi, mi sembra di renderli piatti e ogni volta che racconto so che il racconto si fa più povero, più scarno, le emozioni si scolorano, ma so anche che nel riferire un viaggio dono ai miei ascoltatori grandi tesori.

ORME

Ritornando sulle orme

che il mare

sfuma, appiana

ammorbidisce, bagna…

...poco rimane lungo il tragitto:

molto impressa qualche difficoltà

che ti obbliga a deviare

un po’ più in là

Marcato e profondo

rimane l’inizio di ogni “viabilità”,

l’arrivo, lo stallo per difficoltà …

… tutto il resto con un’onda passa e

va.

(Paola Farina estate 2007)

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VOCI DI PELLEGRINI L’idea del viaggio mi prende spesso alla sprovvista; per quanto lo abbia desiderato, sperato,

costruito, quello che succede davvero, arriva quando meno me lo aspetto. Accade come per gli

amori: arrivano da altrove, da un altro tempo, e mi chiedo sempre, perché adesso?

All’idea di viaggiare rispondo con fretta, il mio ha sì dell’urgenza di chi non può aspettare; poi

più si avvicina la partenza meno sono sicura della mia prima intuizione, la programmazione si fa

lenta, sembra dipanarsi adagio e si ingarbuglia nel come farò, quando potrò?...

E’ stato così per Santiago e questa estate si è ripetuto per la via Francigena quel percorso,

rivalutato in questi ultimi anni, che l’arcivescovo Sigerico intraprese da Canterbury a Roma nel

lontano medioevo. Ho camminato da pellegrina con zaino in spalla, dal lago di Bolsena a Roma .

Passo dopo passo, avanzando verso la meta sulle tracce degli antichi pellegrini. A chi mi chiede

il perché di tanto camminare quando si

potrebbe prendere treno, autobus… non

so rispondere e da tempo non do

spiegazione neanche a me stessa.

La costante del mio camminare sta sotto il

segno della necessità, dell’urgenza e a

questa so che devo lasciare spazio, devo

dare strada.

Sulla via Francigena ho cercato notizie, ho programmato le tappe del cammino, i posti che

potevano ospitarmi; come pellegrina mi è sembrato giusto pianificare il percorso anche per gli

otto miei compagni di viaggio, ma strada facendo il mio programmare mi è sembrato esagerato,

riempiva la testa, come se la troppa organizzazione non aiutasse noi pellegrini; in effetti se tutto

è stabilito, poi non c’è proprio più spazio per niente, manca lo spazio per l’inatteso.

Solo dopo molti Km ho iniziato a camminare, non sotto il tono dell’impazienza, ma alzando gli

occhi oltre i miei piedi per guardare intorno. L’orizzonte oltre la strada, mi è sembrato più chiaro

e mi sono ritrovata contenta per ciò che mi conduceva nel viaggio, non tanto per la meta.

Roma , capolinea del mondo e del mio semplice pellegrinare, si è fatta passo dopo passo più

vicina, ma sempre meno ossessionante come traguardo. Ho iniziato a godere dell’andare, del

camminare in compagnia, aperta a qualsiasi novità di incontro.

E in tutto quel pellegrinare mi hanno fatto compagnia alcune riflessioni di una certa Stella

Morra sul tema del viaggio .

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“ Peraltro io credo che ciascuno di noi, avendo superato l’adolescenza, sappia abbastanza bene che nella propria vita uno si sbaglia tanto. Spesso pensa che sarà contento ‘quando’ avrà risolto una questione, ‘quando’ sarà riuscito a fare una determinata cosa, ma non è mai vero. In realtà le gioie profonde ci sono date da chi ci accompagna nel quotidiano prima di quel ‘quando’ e in chi è fedele al nostro viaggio, fa il tifo per il nostro viaggio mentre viaggiamo, mentre siamo troppo stanchi, mentre non abbiamo tanto tempo, mentre siamo confusi, e non tanto da coloro che sono disponibili ad incontrarci e a condividere qualcosa con noi solo quando questo ‘quando’ si è realizzato. Quello che davvero conta è la strada fatta insieme, ma non in modo poetico; proprio nei giorni concreti, quando eri confuso, non avevi le idee chiare, non sapevi ancora bene cosa sarebbe successo, quando eri molto allegro per qualcosa che ti era capitato. Chi è solo in grado di stare con te nel giorno in cui sei arrivato, non è quello che fa la differenza, perché ci rimane il dubbio che sia amato il nostro risultato e non noi. In fondo il problema non è il viaggio che facciamo noi, ma quanti viaggi degli altri incrociamo, perché sono questi che ci fanno una domanda che ci genera una nuova libertà, che è per noi una salvezza, una benedizione. Per questo siamo figli di un viaggio, ma non del nostro, come saremmo tentati di pensare, bensì figli del viaggio degli altri, perché siamo posti gli uni nelle mani degli altri.”

Nel medioevo la via Francigena univa i popoli e le culture d’Europa. Il fascio di strade che

partendo da Compostela, C anterbury, Brema e Taranto convergeva su Roma era infatti un

percorso di pellegrinaggio religioso ma anche espressione del bisogno di conoscere luoghi,

culture, persone diverse.

Credo che su questo tema bisognerebbe ragionare con grande forza, perché la potenza

culturale del nostro programmare è molto forte. Siamo tutte persone con la previdenza sociale,

la pensione, l’assicurazione… E’ giusto, è un atto di responsabilità rispetto al futuro e a se

stessi, ma ce l’abbiamo anche nella testa e non solo nelle cose; abbiamo l’idea che ognuno può

comunque assicurare se stesso. La salvezza, invece, sta sotto il segno della fretta e allora,

probabilmente, bisogna avere la capacità di lasciare uno spazio in cui la fretta possa agire,

perché se ci si organizza troppo, poi non c’è proprio più spazio! Se tutto è organizzato,

pianificato, non c’è più spazio per l’inatteso. Questo versetto è il riassunto del percorso fatto

fin qui, sotto questo tono meraviglioso della fretta. Noi non abbiamo più la fretta della salvezza,

perché tutto è pianificato, ma abbiamo l’impazienza!

“Se tutto è organizzato, pianificato, non c’è più spazio per l’inatteso”

Giulia Zinetti

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Il viaggio ieri e oggi Oggi è facile viaggiare. Si punta il dito su una carta geografica, si dice "Qui!", si compra un biglietto, si entra in una scatola (un aereo, un'automobile, un vagone), e si è portati al via.

Le strade sono lisce, le direzioni chiare: se non c'è troppo traffico, facilmente si arriva.

Però sono viaggi poveri, senza sapore.

Gli occhi vedono montagne e mari di sfuggita; il corpo non li tocca, la mente non li capisce.

La gente fugge via come una foresta di statue. Non c'è nemmeno tempo per la nostalgia.

Una volta, i viaggi erano fatti di annunci, preghiere, battaglie, smarrimenti, riposi, esplorazioni, terrori, scoperte, pene, fame, sazietà desideri propri e altrui, ricordi, disperazioni, felicità nostalgie, ritorni.

Non si viaggiava per vedere, ma per fare: e il viaggio era un grande lavoro. I viaggi erano fatti di tempo, duravano una parte della vita, erano vivi.

A quei tempi, in verità non erano molti a viaggiare: per molti il mondo restava, dalla nascita alla morte, chiuso nel cerchio di una valle o di una fila di alberi.

Si accontentavano di seguire con gli occhi i I viaggio quotidiano del sole e della luna, e il passaggio misterioso di uccelli e nuvole.

Ma quelli che viaggiavano, viaggiavano davvero.

Partivano, e forse non tornavano. E quelli che tornavano, erano diversi: lo si vedeva nei loro occhi e lo si sentiva nelle loro parole, che avevano viaggiato. Anche se ancora si pensava che il mondo fosse piatto, quelli che avevano viaggiato sapevano che era rotondo: rotondo come un pugno chiuso, un frutto, un sasso, una testa d'uomo.

E per qualunque guerra fossero partiti, tornavano per la pace.

Tratto da: “IL RE DEI VIAGGI ULISSE” Di Roberto Piumini

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VOCI DI PELLEGRINI

Viaggiare, perché? Partire, perché? Potrebbero sembrare domande simili, ma non lo sono. Io ho viaggiato a lungo, per 15 anni, a destra e sinistra nel mondo, ma penso di poter rispondere con una certa correttezza quasi esclusivamente alla domanda “partire, perché?” La risposta che do, frutto della mia esperienza, è quasi banale: io partivo per tornare. Certo, tra partenza e ritorno c’era di mezzo il viaggio: che è tutta un’altra cosa rispetto alla partenza e al ritorno. Il viaggio come presenza su altro. Come prova, sfida, occasione di conoscenza di sé. Il viaggio come sospensione dei ritmi consueti: spazio di libertà nel vero senso della parola. Il viaggio come uso alternativo del tempo. Incantamento, fantasia. E, poi, c’era il ritorno: quello per cui valeva la pena partire. Dico la verità: spesso partire, anche verso luoghi nuovi, da conoscere, da sperimentare, era sofferenza, per me. Ricacciata, tenuta a freno, ma sofferenza. E il ritorno era il ritrovare le radici, la casa, mia madre e fin che c’è stato anche mio padre. Era ritrovare la mia misura. Di solito al ritorno, dopo un mese di viaggio (viaggio della specie “avventura”) vivevo un attimo di sospensione: questione di giorni, o poco più. Poi, mi ritrovavo i piedi a terra. E mi sentivo, in genere, più salda di quando ero partita. Ritrovavo l’ordine che avevo lasciato prima di partire. Perché prima di partire facevo ordine di tutte le mie cose. Nessun libro lasciato a metà, nessun foglio di giornale in attesa di essere letto. Partivo, e non c’era quasi niente in sospeso. Ecco, ritornavo e ricominciavo ad occupare spazio e ad organizzarmi nel tempo. Cioè cominciavo a sparpagliarmi apparentemente in forma disordinata. A rimettere in discussione la mia misura. A sfidarmi nuovamente, sul mio terreno dell’ordinaria amministrazione, ai margini del consueto e della noia.

Lina Agnelli

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VOCI DI PELLEGRINI

Parto sempre felicissima e amo i luoghi che alla partenza sono collegati: le stazioni e gli aeroporti. Vivo su Google Earth che è uno sctrumento fantastico per avvicinarsi al resto del mondo. Non mi piace molto l’auto perché richiede attenzione e non permette di assaporare appieno, appunto, la partenza.

La mia partenza non è una fuga perché altrettanto felicemente ritorno ai miei luoghi, ma è l’inizio di un’avventura che come scopo primario ha la conoscenza di luoghi e persone, con stili di vita diversi, di cui valutare le abitudini che si possono rivelare più o meno utili rispetto alle nostre.

Il viaggio è ed è sempre stato all’apice dei miei interessi e desideri. Per dei periodi vivrei molto volentieri all’estero. Negli anni mi sono trasferita in altre città sentendomi a casa immediatamente. Non ho radici nel luogo in cui vivo e pur essendo legata a molta gente potrei incontrarne altrettanta. Oggi, poi, nel mondo della globalizzazione, il partire permette comunque di mantenere qualsiasi contatto.

È possibile che i miei genitori mi abbiano dato qualche gene vagabondo essendo nati in un luogo di confine e di commistione di varie etnie. Mia madre di carattere molto allegro, lo diventava ancor di più prima di qualsiasi partenza. Tra l’altro i miei hanno dovuto lasciare il loro mondo forzatamente, ma questo non ha scalfito la loro voglia di muoversi.

La mente è come un paracadute: va aperta tutta.

Ovunque c’è del buono e ovunque c’è qualcosa che valga la pena scoprire e ovunque ognuno di noi si può ricreare un nido affettuoso.

L’“Altrove” ha un fascino incredibile e permette un arricchimento spirituale e culturale molto prezioso: rifiutarlo significa non aver capito molto della vita.

Maria Bruna Coverlizza

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VOCI DI PELLEGRINI

Come premessa posso dire che il viaggio, senza essere banale o scontata, più grande, è la mia vita. Le scalate più faticose e sofferte sono state gli ostacoli che ci sono stati e che mi hanno permesso di forticarmi e di diventare la donna che sono. Ogni giorno poi è una nuova parte di cammino; da tempo non mi fisso più obiettivi, ma vivo a pieno il quotidiano, prendendo da ogni passo il bene e il male. . .

Voi perché partite? Il mio partire è legato spesso alla curiosità, alla volontà di andare. A mio modesto parere, la vera grande sfida non sono le mete lontane e i viaggi avventurosi a tutti i costi, un viaggio è sempre interessante perché mi mette in moto per andare oltre, oltre i miei limiti fisici ed emotivi, oltre la sicurezza di confrontarmi solo e soltanto con le persone che conosco o di cui mi posso fidare. Ogni partenza è una sfida per mettermi in gioco, per scoprire aspetti di me attraverso il confronto con l’altro, per comprendere meglio le mie debolezze, ma anche i miei carismi; per guardarmi dentro e capire, capire me, e tentare di capire cosa c’è dietro lo sguardo dell’altro per

farmi rendere conto che il mio guardare il mondo non è assoluto, ma parziale, relativo, per ridimensionare ogni volta la mia realtà.

Come vivete voi la partenza? Non nascondo che ogni partenza è portatrice di un po’ d’ansia, forse perché non so mai cosa e quanto portare o cosa aspettarmi; forse perché penso troppo e tutto mi sembra indispensabile, forse perché la paura dell’ignoto emerge. Ogni volta che arriva l’ora della partenza mi prende, non di rado, il rifiuto netto di non andare, le mie paure affiorano, subdole, inconsce per tenermi “a terra”, ma spesso, come diceva San Francesco bisogna “bastonare il ciucio che c’è in noi” per indirizzarlo al meglio, per non esitare.

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Cosa non può mancare nei tuoi viaggi? Nel mio viaggio non può mancare la digitale, una sorta di appendice emozionale, il senso aggiunto che mi consente di catturare l’attimo, il colore, la luce, lo sguardo. Ho imparato, però, a gestire la macchina fotografica perché anch’essa va disciplinata. Se non usata in maniera razionale prende il sopravvento e può farmi cadere nell’errore opposto: quello di essere così intenta a fotografare di non riuscire ad assaporare a pieno la magia del luogo. L’altro ingrediente fondamentale è l’entusiasmo, la gioia di uscire da sé e di assaporare il qui e ora in un contesto,

in un luogo che ho scelto di conoscere, di vivere. Quali persone, incontrate nei vostri viaggi, ricordate? Non ho viaggiato moltissimo, o meglio non ho ancora affrontato i tanti viaggi che ho nel cuore da anni, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per esigenze di carattere economico. Quando ho la fortuna di uscire da casa per un viaggio, quello che porto sempre al ritorno sono

i sorrisi... i sorrisi sulle labbra, anche negli occhi. Amo questa forma di comunicazione e in genere avvicino chi sa sorridere e diffido di chi non lo fa, chi non sorride si perde una grande possibilità; ricordo con gioia tanti sorrisi, tanti occhi luminosi.

Cosa vi colpisce di un luogo? Ogni luogo ha il potere di affascinare, se lo si vuole avvicinare; ciò che fa la differenza è la nostra consapevolezza nei confronti del contesto che incontriamo viaggiando. Se riusciamo a percepire quanto un luogo ci comunica con i propri colori, la propria conformazione, le persone, gli odori, i suoni, torniamo ogni volta arricchiti. Se passiamo distrattamente attraverso i luoghi, invece, possiamo portare a casa ben poco. Per mia natura sono molto “fisica”: devo toccare, annusare, comunicare. Quante cortecce, foglie, acque ho sfiorato! Di quanti fiori, resine, erbe ho respirato il profumo! Per non parlare dei minerali che spesso hanno zavorrato i miei zaini; delle sabbie che hanno riempito i miei cassetti, delle tracce di vissuto delle città catturate dall’obiettivo.

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Se penso alle persone, poi, penso alla missione: porto nel cuore le urla di felicità dei bambini venezuelani, le loro frasi di amore che nessun altro mi ha saputo dire con tanto entusiasmo e tanta franchezza. Se penso alle persone penso ai sardi, ai sardi che mi hanno accolto pellegrina nella loro terra, sudata, affamata, che mi hanno accolto nelle loro case, nei loro giardini per farmi dormire al sicuro. Se penso alle persone penso ai siciliani, generosi come pochi, penso alle discussioni per pagare un bicchiere di vino, per rifiutare l’ennesimo piatto in una cena rigorosamente da loro offerta. Se penso alle persone penso ai tanti amici incontrati negli ostelli, a quelli che non sento più e a quelli che sono diventati punti di riferimento, che ho visto laurearsi e sposarsi. Se penso. . . quanto e quanto avrei da raccontare! ...alla fine penso che ogni luogo può colpire se lasciamo che il nostro io più profondo osservi il mondo con l’innocenza degli occhi di un bambino, senza filtri dati da pregiudizi o costruiti a seguito di profonde ferite... solo con la voglia di conoscere e dare

Paola

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VIAGGIO COME EMIGRAZIONE

Di fronte all’AfricaDi fronte all’AfricaDi fronte all’AfricaDi fronte all’Africa

Aver casa è bello,

dolce il sonno sotto il proprio tetto,

figli, giardino e cane. Ma ahimè,

appena ti sei riposato dall’ultimo viaggio,

già con nuove lusinghe il mondo lontano t’insegue.

Meglio è patire nostalgia di casa

e sotto l’alto cielo essere,

col proprio struggimento, soli.

Avere e riposare può soltanto

l’uomo dal cuore tranquillo,

mentre il viandante sopporta stenti e pene

con sempre delusa speranza.

Più facile invero è ogni tormento del viaggio,

più facile che trovar pace nella valle natia,

dove tra le gioie e le cure ben note

solo il saggio sa costruirsi la via.

Per me è meglio cercare e mai trovare,

che legarmi stretto a quanto mi è vicino,

perché su questa terra anche nel bene,

sarò sempre un ospite e mai un cittadino.

Hermann Hesse

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OGGETTI CLANDESTINI

(Tratto da un articolo di giornale da La Repubblica del 2 novembre 2008)

L’altra vita la buttano in mare, la gettano via. E scagliano fra le onde tutto quello che proviene dal loro mondo. Sui barconi che si avvicinano alla costa già si abbandonano ai sogni, le pene che dovranno patire neppure le immaginano. Non conoscono le paure degli altri, le nostre. Troppo lontane dalla loro fame e dalle loro guerre. Al largo si liberano degli stracci che hanno addosso, dei documenti veri o falsi, di quei borsoni

sfondati, delle lettere. Anche il rotolo di dinari, che a Tripoli e a Bengasi era un piccolo tesoro, finisce là in fondo, in pasto ai pesci. È il mare che possiede tutto. È diventato la cassaforte dei loro segreti. Di molti segreti, ma mai di tutti. Sulla chiglia del “Saber”, nel cimitero dei barconi di Lampedusa, scivola ancora un po’ d’acqua che trasporta verso poppa una busta di plastica trasparente. Dentro la busta galleggia un’agendina nera. Il primo foglio è strappato. Anche il secondo non c’è più. Poi un nome e un numero: Shamir 071992057. Sulla paginetta che segue i nomi sono tre: Muajd, Cismann, Khalif – e quattro sono i numeri: 2026391789, 2026365095, 2024094750, 35227. pagine sbiadite, in cartapecorite dall’umidità, l’inchiostro che sbava e mescola i tratti di biro blu e quelli verdi. L’acqua ha cancellato altri 26 fogli. Chissà quanti altri nomi, altri numeri avrà segnato l’uomo o la donna che l’ha portata con sé dall’altra parte del Mediterraneo. È arrivata con lui o con lei anche questa agendina nera, alla fine della traversata. Qualcosa resta. Qualcosa resta sempre sulle chinglie dei barconi dei migranti.. .

Sul “Saber c’è ancora puzza di nafta e di cordame. Un cane addenta una busta di latte e la porta nell’angolo, vicino agli scarponi infangati. Sono di finta pelle, macerati di salsedine. Come le Nike e le Reebok, taroccate che sono lì vicino e sparse fra gli asciugamani, un costume color arancio... in una cesta di vimini resistono rimasugli di cibo. Pane ammuffito, limoni marci; c’è un orsacchiotto di pelouche bagnato. C’erano tanti bambini sul Saber, tirato a riva in una notte di tanto

tempo fa a Lampedusa. Gli uomini si liberano di tutto. Nascondono solo quegli appunti o quei numeri o indirizzi che li faranno sopravvivere nell’Europa dei loro miraggi. Le donne, più dei loro mariti, cercano di difendere la memoria di un affetto, di un luogo. Di far giungere con loro le persone care. Non resistono a quella tentazione: portano con sé una foto. A volte è un album intero che gelosamente celano sotto le larghe vesti. È come se gli uomini appena sbarcati su

questa sponda vogliano ricominciare daccapo, è come se le donne non vogliano o

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non possano mai dimenticare tutto...L’acqua ha scolorito anche i versetti del piccolo Corano che Hud ogni sera legge prima di addormentarsi. È tutto ciò che si è salvato nel naufragio. È tutto quello che resta di Hud, adolescente del Burkina Faso. . .

La chiglia del Saber è puntata verso il cielo, come un aeroplano al decollo. Nessuno si ricorda più quando né dove è affondato. Giace nella piatta e secca campagna lampedusana con il suo carico di mistero.

di Attilio Bolzoni

GIROVAGO

di Giuseppe Ungaretti

In nessuna

parte di terra

mi posso accasare.

Ad ogni

nuovo

clima

che incontro

mi trovo

languente

che

una volta

già gli ero stato

assuefatto.

E me ne stacco sempre

straniero.

Nascendo

tornato da epoche troppo

vissute.

Godere un solo

minuto di vita

iniziale.

Cerco un paese

Innocente.

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POESIE. . . IN CAMMINO

Davanti ad un viaggio c’è la smania di preparare tutto nei minimi dettagli e la preoccupazione di prendere tutto il necessario e anche ciò che non lo è per la paura che lontani dalla propria casa, dalle proprie abitudini ci manchi qualcosa, forse più che materiale, qualcosa di noi.

PRIMA DEL VIAGGIO

di Eugenio Montale

Prima del viaggio si scrutano gli orari,

le coincidenze,le soste, le pernottazioni

e le prenotazioni (di camere con bagno

o doccia, a un letto o addirittura un flat)

si consultano

le guide Hachette e quelle dei musei,

si cambiano valute, si dividono

franche da escudos,rubli da copechi;

prima del viaggio s’informa

qualche amico o parente,si controllano

valigie e passaporti, si completa

il corredo, si acquista un supplemento

di lamette da barba,

eventualmente si dà un’occhiata al testamento,pura

scaramanzia perché i disastri aerei

in percentuale sono nulla;

prima

del viaggio si è tranquilli ma si sospetta

che il saggio non si muova e che il piacere

di ritornare costi uno sproposito.

E poi si parte e tutto è OK e tutto

È per il meglio e inutile...

E ora che sarà

Del mio viaggio?

Troppo accuratamente l’ho studiato

senza saperne nulla. Un imprevisto

è la sola speranza. Ma mi dicono

ch’è una stoltezza dirselo.

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Lo spirito del viaggiatore deve essere sempre molto solare e aperto, curioso di conoscere e di incontrare gente, un’apertura mentale che non può prescindere se non dal considerare gli altri come diversi e uguali a sé. Considerare cioè gli altri una risorsa che arricchisce la propria vita.

il viaggiatore deve avere uno sguardo sensoriali, esplorare il mondo con i 5 sensi e con la mente e soprattutto avere molte lenti per cogliere il piccolo dettaglio, ma anche un grandangolo per godere di panorami. inoltre deve assaporare il luogo immergendosi nella quotidianità del luogo, sfiorare i gesti degli altri e percepire l’impronta dell’ambiente.

La mente e il corpo di un viaggiatore devono avere una caratteristica fondamentale,quella della lentezza. La lentezza ci permette di osservare e concentrarsi su ciò che il viaggio si accolla al nostro corpo, ma la lentezza ci permette anche di partorire pensieri e riflessioni.

Quando la curiosità di scarpe stanche ti fa camminare,

quando l’amicizia ti sembra ancora più bella

quando la sensazione provocata da un sorriso ricevuto

ti fa dimenticare freddo e caldo,

quando odori e sapori di un luogo ti inducono a immaginare

mille e più avventure,

quando la bellezza delle diverse etnie prende il posto

dell’odio che c’è fra gli uomini,

quando il mondo ti sembra migliore,

e quando senti amore

per la gente scorrere nel tuo sangue

allora potrai dire

“Sto viaggiando”

SAPER VEDERE

di Rabindranath Tagore

Viaggiai per giorni e notti

per paesi lontani.

Molto spesi

per vedere alti monti

grandi mari.

E non avevo occhi

per vedere

a due passi da casa

la goccia di rugiada

sulla spiga del grano.

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La condivisione del viaggio con un’altra persona, che sia compagno\a o amico\a, fa sì che il viaggio diventi più nitido e ricco. Scambiarsi le sensazioni o le opinioni dà al viaggiatore di avere nuovi punti di vista.

IL VIAGGIO

di Ruben Blades

Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita

Senza mai scalfire la superficie dei luoghi

Né imparare nulla dalle genti appena sfiorate.

Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare

Chiunque abbia una storia da raccontare.

Camminando si apprende la vita

Camminando si conoscono le cose

Camminando si sanano le ferite del giorno prima.

Cammina guardando una stella

Ascoltando una voce

Seguendo le orme di altri passi.

Cammina cercando la vita

Cercando le ferite lasciate dai dolori.

Niente può cancellare il ricordo del cammino percorso.

HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO

di Eugenio Montale

Ho sceso, dandoti il braccio,almeno un milione di scale

E ora che non ci sei il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tutt’ora,né più mi occorrono

Le coincidenze,le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che noi due

Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

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La sensazione della prima volta, della stranierà dei luoghi e della continua ricerca di novità:è forse questo il vero senso del viaggiare. Inoltre la vita diventa sempre un viaggio.

A tutti voi . . . grazie e. . . Buon viaggio

CAMMINANTE

di Antonio Machado

Tu che sei in viaggio

Sono le tue orme

La strada, nient’altro;

tu che sei in viaggio,

non sei su una strada,

la strada la fai tu andando.

Mentre vai si fa la strada

E girandoti indietro

Vedrai il sentiero che mai

Più calpesterai.

Tu che sei in viaggio,

non hai una strada.