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 1 Il sistema delle relazioni internazionali negli scenari extraeuropei (1870-2005)  Parte prima: 1870-1918 Cap. I: L’espansione coloniale europea e la prima fase degli attriti tra imperialismi in Africa ed Asia Prima della metà degli anni Settanta dell’Ottocento era esistito un “colonialismo informale”, che aveva indotto le potenze europee ad occupare solamente le coste africane, non penetrando mai all’interno, salvo casi sporadici, come per l’Algeria, conquistata a partire dal 1830, o la Colonia del Capo, acquisita dall’Inghilterra nel 1814. Esistevano stazioni ed agenzie commerciali e forti militari, che, sin dal secolo XV, controllavano larghe fasce costiere, dove la competizione tra commercianti francesi, inglesi, portoghesi ed olandesi fu piuttosto vivace, riuscendo anche in alcuni casi ad esercitare una azione di lobby presso i rispettivi governi. Tuttavia niente può essere  paragonato a quanto avvenne con quella che viene comunemente definita come scramble for Africa, la spartizione del continente africano da parte della Potenze europee, che ne assorbirono nei propri imperi la maggior parte del territorio. Un fenomeno che vede il suo cardine fondamentale nel 1884- 1885, anni in cui si svolge il Congresso di Berlino, ed il suo apice a partire dagli anni Novanta dell’Ottocento. I prodromi del colonialismo tuttavia iniziarono circa dieci anni prima, con la Conferenza di Berlino, e con esso anche le rivalità tra Potenze per i territori extraeuropei. La storiografia ha spiegato con diverse motivazioni l’inizio dell’epoca del colonialismo e della spartizione dell’Africa, accentuando nel tempo ora l’una o l’altra causa. Molte responsabilità sono state attribuite al fattore economico, in un periodo nel quale i mercati europei, a causa dell’aumento dei prezzi e contemporaneamente del volume produttivo, non furono più in grado di assorbire le  produzioni industriali, rendendosi necessario cercare nuovi mercati extraeuropei e nuovi consumatori. Una necessità resasi ancora più impellente dai regimi doganali protezionistici eretti da quasi tutte le nazioni europee, tranne l’Inghilterra. Infatti le tariffe protettive, poste in essere in Francia nel 1881, in Germania nel 1879 ed in Portogallo nel 1880, spinsero naturalmente alla ricerca di nuovi mercati, come anche all’utilizzo di nuovi approvvigionamenti di materie prime, sollecitati sia dalle esplorazioni geografiche in Africa (Brazza, 1875-1878, e Stanley, 1874-1877), che dall’apertura di quella grande e nuova via di comunicazione che era il canale di Suez. Esplorazioni che per la prima volta si cercò di coordinare ed omogeinizzare in una vera e propria organizzazione internazionale, la Associazione Internazionale Africana (AIA), sorta il 12 settembre 1876 durante la Conferenza geografica di Bruxelles ad opera di Leopoldo II. La crisi del liberalismo di fronte alle idee nazionaliste favorì le motivazioni di mero prestigio, le quali individuarono nella conquista di nuove aree geografiche l’occasione per influire negli affari internazionali e nel gioco delle diplomazie. Una ideologia che spesso portava in seno il concetto di superiorità di una razza rispetto ad un’altra e l’idea che una nazione avesse implicitamente una “missione” da compiere nel mondo. Da qui anche la percezione di una necessaria opera di evangelizzazione e cristianizzazione delle regioni sconosciute, nelle quali il filantropismo di matrice anglosassone si sarebbe concretizzato nelle famose tre “C” di David Livingstone, ossia, civiltà, cristianità, commercio. Infine anche gli ambienti militari accolsero e favorirono questi impulsi espansionistici con i loro caratteri personali, basta pensare a quanto il colonialismo britannico, francese o tedesco deve rispettivamente a personaggi quali Wolseley, Marchand e Lugard. In tali ambienti poi svolsero un ruolo non certo secondario le marine militari, consapevoli che l’espansione coloniale avrebbe potuto condurre all’acquisto di nuovi punti di appoggio per la Marina da guerra, dai quali controllare le più importanti rotte navali mondiali. Buona parte della storiografia

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Il sistema delle relazioni internazionali negli scenari extraeuropei(1870-2005) 

Parte prima: 1870-1918

Cap. I: L’espansione coloniale europea e la prima fase degli attriti traimperialismi in Africa ed Asia

Prima della metà degli anni Settanta dell’Ottocento era esistito un “colonialismo informale”, che

aveva indotto le potenze europee ad occupare solamente le coste africane, non penetrando mai

all’interno, salvo casi sporadici, come per l’Algeria, conquistata a partire dal 1830, o la Colonia del

Capo, acquisita dall’Inghilterra nel 1814. Esistevano stazioni ed agenzie commerciali e forti

militari, che, sin dal secolo XV, controllavano larghe fasce costiere, dove la competizione tra

commercianti francesi, inglesi, portoghesi ed olandesi fu piuttosto vivace, riuscendo anche in alcunicasi ad esercitare una azione di lobby presso i rispettivi governi. Tuttavia niente può essere

 paragonato a quanto avvenne con quella che viene comunemente definita come scramble for Africa,

la spartizione del continente africano da parte della Potenze europee, che ne assorbirono nei propri

imperi la maggior parte del territorio. Un fenomeno che vede il suo cardine fondamentale nel 1884-

1885, anni in cui si svolge il Congresso di Berlino, ed il suo apice a partire dagli anni Novanta

dell’Ottocento. I prodromi del colonialismo tuttavia iniziarono circa dieci anni prima, con la

Conferenza di Berlino, e con esso anche le rivalità tra Potenze per i territori extraeuropei. La

storiografia ha spiegato con diverse motivazioni l’inizio dell’epoca del colonialismo e della

spartizione dell’Africa, accentuando nel tempo ora l’una o l’altra causa. Molte responsabilità sono

state attribuite al fattore economico, in un periodo nel quale i mercati europei, a causa dell’aumento

dei prezzi e contemporaneamente del volume produttivo, non furono più in grado di assorbire le  produzioni industriali, rendendosi necessario cercare nuovi mercati extraeuropei e nuovi

consumatori. Una necessità resasi ancora più impellente dai regimi doganali protezionistici eretti da

quasi tutte le nazioni europee, tranne l’Inghilterra. Infatti le tariffe protettive, poste in essere in

Francia nel 1881, in Germania nel 1879 ed in Portogallo nel 1880, spinsero naturalmente alla

ricerca di nuovi mercati, come anche all’utilizzo di nuovi approvvigionamenti di materie prime,

sollecitati sia dalle esplorazioni geografiche in Africa (Brazza, 1875-1878, e Stanley, 1874-1877),

che dall’apertura di quella grande e nuova via di comunicazione che era il canale di Suez.

Esplorazioni che per la prima volta si cercò di coordinare ed omogeinizzare in una vera e propria

organizzazione internazionale, la Associazione Internazionale Africana (AIA), sorta il 12 settembre

1876 durante la Conferenza geografica di Bruxelles ad opera di Leopoldo II.

La crisi del liberalismo di fronte alle idee nazionaliste favorì le motivazioni di mero prestigio, le

quali individuarono nella conquista di nuove aree geografiche l’occasione per influire negli affari

internazionali e nel gioco delle diplomazie. Una ideologia che spesso portava in seno il concetto di

superiorità di una razza rispetto ad un’altra e l’idea che una nazione avesse implicitamente una

“missione” da compiere nel mondo. Da qui anche la percezione di una necessaria opera di

evangelizzazione e cristianizzazione delle regioni sconosciute, nelle quali il filantropismo di matrice

anglosassone si sarebbe concretizzato nelle famose tre “C” di David Livingstone, ossia, civiltà,

cristianità, commercio. Infine anche gli ambienti militari accolsero e favorirono questi impulsi

espansionistici con i loro caratteri personali, basta pensare a quanto il colonialismo britannico,

francese o tedesco deve rispettivamente a personaggi quali Wolseley, Marchand e Lugard. In tali

ambienti poi svolsero un ruolo non certo secondario le marine militari, consapevoli che l’espansionecoloniale avrebbe potuto condurre all’acquisto di nuovi punti di appoggio per la Marina da guerra,

dai quali controllare le più importanti rotte navali mondiali. Buona parte della storiografia

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comunque ha anche sottolineato che le tendenze espansionistiche si sono verificate in coincidenza o

a causa delle rivalità tra grandi nazioni, o tra grandi nazioni e nazioni emergenti. In altre parole il

motore trainante non era stata l’economia, ma la politica. La politica e la diplomazia quindi come

spinta primaria, che poi aveva subordinato e fatto entrare in gioco i fattori economici verso

l’espansionismo coloniale. Un espansionismo usato essenzialmente per mantenere l’equilibrio tra le

grandi potenze o per trasferire su zone periferiche conflittualità che altrimenti sarebbero esplose convirulenza sul continente europeo. Il colonialismo, in quest’ultimo caso, può anche essere definito un

“surrogato del nazionalismo”, ossia ambizioni nazionaliste che vengono però dirottate fuori

dall’Europa. Un esempio classico fu il colonialismo di Jules Ferry, le cui ambizioni furono spostate

in Estremo Oriente, al punto che il Presidente francese fu chiamato “le tonquinois”. Oltre a tutte

queste motivazioni “eurocentriche” vanno in ultima analisi anche aggiunte le teorie degli storici

africani, i quali hanno sottolineato l’importanza dei fattori locali, quali la disintegrazione endogena

delle istituzioni dei grandi imperi o semplicemente delle singole realtà africane, le quali non furono

in grado di resistere alla pressione della penetrazione europea. In ogni caso, sia nella questione

egiziana che in quella tunisina giocarono una parte essenziale l’urto tra gli interessi strategici,

  politici ed economici di grandi nazioni come l’Inghilterra e la Francia e quelli di nuovi stati

emergenti come l’Italia post-unitaria. Così come alla base di questi eventi vi furono le crisieconomiche ed istituzionali della Tunisia e dell’Egitto. Per la penetrazione francese in Tunisia,

infine, fu essenziale la complicità di Bismarck, il cui assenso offrì ai francesi un diversivo alla

  perdita dell’Alsazia e della Lorena, allontanando dall’Europa la maggiore causa di attrito tra

l’Impero tedesco e la Francia. Ciò a dimostrazione che non esiste una sola spiegazione per il

colonialismo europeo, come del resto ogni nazione ha avuto sue specifiche e particolari

caratteristiche che motivarono la sua entrata in scena nell’arena delle conquiste coloniali. Egitto e

Tunisia, due entità formalmente legate da vaghe forme di vassallaggio all'Impero ottomano, furono

le prime clamorose manifestazioni del colonialismo europeo ed anche le prime grandi

 problematiche che interessarono le relazioni internazionali extrauropee.

1. Rivalità europee nel Mediterraneo e in Nordafrica: il caso tunisino ed egiziano

La rivolta delle popolazioni slave della Bosnia ed Erzegovina dell’estate del 1875 contro il dominio

della Sublime Porta dette inizio alla Grande Crisi d’Oriente, la quale ebbe pesanti ripercussioni non

solo nella ridefinizione dei confini dell’Impero ottomano nei Balcani e nella creazione di un nuovo

equilibrio di forze europeo, ma anche importanti riflessi in nordafrica, regione che vide gli interessi

espansionistici franco-inglesi coincidere e poi collidere. Gli eventi del 1875 portarono ad una crisi

internazionale poiché coinvolse gli interessi russi, inglesi ed austro-ungarici. La Russia zarista vi

vide l’occasione per indebolire il già morente Impero ottomano e rafforzare la propria egemonia

sulle popolazioni slave dell’Europa orientale. L’Austria-Ungheria mirava invece ad un protettorato

sulla Bosnia ed Erzegovina, come sul sangiaccato di Novibazar. La Gran Bretagna infine erafondamentalmente preoccupata di salvaguardare l’integrità dell’Impero ottomano ed impedire così

che la Russia si impossessasse degli Stretti. La guerra russo-turco dell’aprile del 1877, che vide

l’esercito russo giungere alle porte di Costantinopoli, si risolse con l’umiliante di Pace di Santo

Stefano (3 marzo 1878)1 ed il peggioramento della crisi internazionale, risolta grazie all’intervento

della Gran Bretagna, dell'Austria e da Bismarck nelle vesti di “onesto mediatore” di Bismarck. La

Conferenza di Berlino (13 giugno – 13 luglio 1878) ratificò accordi presi separatamente da Turchia

ed Inghilterra e da Germania e Austria-Ungheria alcuni giorni prima, sancendo il sogno russo della

"grande Bulgaria", l'assegnazione della Bosnia-Erzegovina all'Impero austro-ungarico, che ottenne

anche di presidiare il sangiaccato di Novibazar. L'Inghilterra, assumendosi il compito di proteggere

1 Il Trattato di Santo Stefano stabilì che la Russia annettesse parte della parte asiatica dell’Impero ottomano, Kars,Bayazid, Batum, e nella parte europea la Dobrugia meridionale. Prevedeva ingrandimenti territoriali alla Serbia ed unostatuto autonomo per la Bosnia-Erzegovina ed alla Romania l’indipendenza. La Bulgaria invece sarebbe stata

consacrata principato autonomo con sensibili aumenti territoriali (Macedonia e Rumelia orientale).

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i domini turchi dell'Asia, ebbe in cambio il permesso di occupare temporaneamente Cipro. La

Conferenza di Berlino fu uno spartiacque nella storia europea. E' vero che esso fu seguito da oltre

trenta anni di pace in Europa (se si esclude la guerra russo-turca del 1885 e la guerra turco-greca del

1897) erigendo un nuovo equilibrio europeo, ma seminò anche i germi di disastri futuri, stabilendo

l'indipendenza della Macedonia, causa della Prima Guerra Balcanica, e la sottomissione della

Bosnia-Erzegovina alla Austria-Ungheria, pretesto nel 1914 per la Grande Guerra. Importantifurono anche i riflessi extraeuropei, attraverso l'incoraggiamento alla Francia ad impossessarsi della

Tunisia, territorio formalmente dipendente dalla Sublime Porta.

La Tunisia precolonialeLa Sublime Porta prese posesso della Tunisia nel 1574 con la cacciata del dominio spagnolo dalla

regione, inquadrandola nell'Impero ottomano come provincia, governata da un  pasha. Questa

fugura però venne sostituita nel 1590 dal dey, comandante militare nominato dalle truppe stanziate

nella provincia, i giannizzeri. L'autorità dei dey cessò nel 1750, quando un bey (comandante delle

truppe a cui spettava la raccolta delle tasse e tributi) Hussein ben Ali Bey prese il potere ed ottenne

il titolo di pasha e dey da Costantinopoli, tramandando il titolo ereditariamente. Da questo momento

la Tunisia, pur essendo ancora una provincia dell'Impero ottomano, ebbe un proprio esercito, unasua bandiera, fu in grado di battere moneta e la possibilità di intrattenere con l'estero relazioni

diplomatiche. I legami con Costantinopoli si limitavano nell'invocazione del Sultano nelle preghiere

e nell'obbligo formale del bey di ottenere l'investitura dall'autorità turca. Il bey Ahmed (1837-1855)

  perseguì una politica di equidistanza sia dall'Inghilterra che dalla Francia e fondò una scuola

militare, abolì la schiavitù ed intraprese un radicale ammodernamento dell'esercito, che costò

l'inizio di un pericoloso indebitamento con l'estero. La situazione precipitò ulteriormente sotto

Mohamed es-Sadok (1856-1882), il quale tentò nel 1861 di avviare nuove e profonde riforme per 

modernizzare il paese, concedendo anche una Costituzione e procedendo ad un vasto programma di

costruzioni ferroviarie, porti, telegrafi, come ad una riorganizzazione del sistema tributario. Un

 processo che però fece indebitare enormemente la Tunisia con le banche straniere (28 milioni di

franchi), provocando la bancarotta nel 1867. Le finanze tunisine furono poste sotto il controllo di

una Commissione Finanziaria Internazionale, che limitò l'autonomia del governo di Tunisi.

Salisbury e Disraeli desideravano che la Francia uscisse soddisfatta dalle ripartizioni effettuate a

Berlino e che continuasse così ad appoggiare la sua politica in Asia Minore. Del resto Londra

sapeva bene che la Tunisia non sarebbe rimasta indipendente per lungo tempo e preferì vederla

occupata dalla Francia che dall’Italia, affinché lo Stretto di Sicilia (appena 180 km) non fosse

 presidiato da una sola Potenza. Bismarck invece appoggiò l'occupazione della Reggenza di Tunisi

da parte della Francia poichè questa avrebbe potuto porre in essere una politica da Grande Potenza

in una regione dove non avrebbe messo in pericolo gli interessi tedeschi. Allontanare quindi lo

sguardo di Parigi da Metz e Strasburgo, dall'Alsazia e dalla Lorena e da desideri di révanche.Inoltre, ferire l’orgoglio francese avrebbe significato spingere Parigi verso un’alleanza con la

Russia. Certo questo progetto non collimava con gli interessi dell’Italia in Tunisia, che era stata

visitata da diverse spedizioni geografiche italiane in diversi momenti (1864, 1870, 1875) in

  previsione di una sua occupazione, che però non avvenne mai, sebbene non ne mancassero i

 presupposti. L'Italia aveva nella Reggenza una delle comunità straniere più numerose (circa 10.000

  persone) ed il primato negli affari bancari, marittimi e professionali, nonchè un peso rilevante

nell'agricoltura e nell'industria. Il ministro Corti però a Berlino fu fedele esecutore degli ordini del

governo Cairoli e di quella che fu poi chiamata la "politica delle mani nette"2, continuando, nello

spirito di una politica prudente e priva di avventure, a sostenere lo status quo dell'Impero ottomano,

nei Balcani e nel nordafrica. Per il governo della Sinistra storica, come lo era stato anche quello

2 Al ministro tedesco Von Bülow, che suggerì di occupare Tunisi al più presto, Corti rispose Vous voulez donc nous

brouiller avec la France?

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della Destra, l’obiettivo era quello di guadagnare tempo e rafforzarsi attraverso il mantenimento

dell’ordine internazionale esistente. Ovviamente, la sconfitta nel 1870 della Francia, tradizionale

 punto riferimento della Consulta, ed i nuovi equilibri scaturiti da Berlino, misero in seria difficoltà

la politica estera italiana. L'Italia uscirà delusa da Berlino, ignorata da tutti e considerata alla stessa

stregua della Grecia o peggio ancora della Turchia. Una delusione che fu poi causa della firma della

Triplice e dell'interesse rivolto alla costa eritrea ed alla Tripolitania e Cirenaica.La Francia però non colse immediatamente l’occasione offertagli a Berlino, ma attese ben tre anni,

nonostante le sollecitazione della Germania3. Ciò fu dovuto al fato che il Paese non era ancora

 pronto per una nuova avventura fuori dai confini nazionali ed il disastro di Sédan, come anche la

disavventura messicana di Massimiliano III, erano ricordi ancora vivi nell’opinione pubblica. La

 politica interna francese era divisa, con una Camera repubblicana, presieduta da un monarchico, ed

infine Parigi non volle guastare i suoi rapporti con l’Italia, rischiando di indebolire la sua politica

continentale. L’indecisione francese tuttavia lasciò tempo all’Italia di rivedere la sua politica,

complice anche i circoli colonialisti italiani, e tentare una controffensiva in Tunisia attraverso i

maneggi del console Licurgo Maccio, il quale fomentò la propaganda antifrancese, finanziò giornali

di lingua araba e sovvenzionò scuole italiane, riuscendo anche ad incrementare la presenza

commerciale con la cessione della ferrovia Tunisi-Goletta ad una società italiana. Gli indugi furonorotti dal barone Alphonse De Courcel, Direttore agli affari politici al Ministero degli esteri francese,

nel timore che un riavvicinamento italo-tedesco impedisse qualsiasi mossa della Francia.

L'occasione per agire fu offerta da una incursione di banditi krumiri tunisini4 in territorio algerino il

31 marzo 1881, a causa della quale il parlamento francese votò i crediti necessari per un'azione di

 polizia, che presto si trasformò in invasione. Il 12 aprile un corpo di spedizione di 30.000 attraversò

la frontiera tra l'Algeria e la Tunisia, mentre pochi giorni dopo un'altra spedizione sbarcò a Biserta.

Il 12 maggio l'esercito francese circondò Kasr-es-Said (dimora della felicità), il palazzo del bey a

Bardo, un sobborgo di Tunisi, costringendolo a sottoscrivere un trattato poi conosciuto anche come

Trattato di Kasr-es-Said o del Bardo. Questo trattato non parlava di protettorato, anche se nei fatti lo

istituiva, infatti esso specificò che il bey acconsentiva all'occupazione della Tunisia da parte

dell'esercito francese per restaurare l'ordine e la sicurezza lungo le frontiere e le coste ed alla

Francia venne attribuita la rappresentanza internazionale di Tunisi, garantendo anche la validità di

tutti gli accordi internazionali conclusi in precedenza dal governo tunisino. Parigi inoltre aveva la

  possibilità di controllare le finanze tunisine, affinchè il debito pubblico fosse estinto ed a questo

 proposito fu nominato un ministro-residente francese. Ad eccezione della Turchia e dell'Italia, tutte

le Potenze riconobbero la nuova situazione in Tunisia. In particolare Costantinopoli dichiarò che il

 bey era un funzionario turco e considerò la Tunisia ancora sotto la sovranità ottomana. Eliminata in

 breve tempo ogni resistenza armata della popolazione tunisina, la Francia procedette alla creazione

di norme e sovrastrutture giuridiche che avrebbero dato vita ad un vero protettorato. Il 9 giugno

1881 il bey firmò un decreto che nominò il rappresentante francese unico intermediario ufficiale

delle relazioni estere della Tunisia, mentre l'8 giugno 1883 fu sottoscritta una convenzione a LaMarsa, dove per la prima volta apparve la parola protettorato e dove il bey fu privato di qualsiasi

indipendenza anche negli affari interni tunisini. In particolare la convenzione di La Marsa confermò

il trattato del Bardo, impegnando il bey a realizzare tutte le riforme amministrative, legali e

finanziarie che il governo francese considerasse necessarie. Paradossalmente quindi, si istituiva un

 protettorato quando invece si trattava formalmente di una colonia, non avendo il governo tunisino

 più possibilità di amministrare neanche i suoi affari interni.

Se l'Inghilterra aveva favorito lo stabilimento della Francia in Tunisia, non potette fare altrettanto

  per quanto riguardava l'Egitto, altro territorio nominalmente sotto tutela ottomana, che era

strategicamente rilevante per l'impero britannico, essendo il punto obbligato delle rotte che

3 Il 5 gennaio 1979 Bismarck disse all’ambasciatore francese Saint-Vaillant: Io credo che la pera tunisina sia matura eche sia tempo che voi la cogliate. Questo frutto africano potrebbe guastarsi o essere rubato da un altro, se voi la lasciatatroppo a lungo sull’albero.4

I krumiri o krumi erano originari della regione della krumiria nella parte nordoccidentale di Tunisi.

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conducevano dall'Asia all'Africa e dall'Europa all'Oceano indiano, e lo era ancora di più dopo

l'apertura del canale di Suez nel 1869. L’Impero ottomano controllava l’Egitto sin dal 1517, quando

il sultano Selim I lo aveva strappato ai mamelucchi5. Dopo la breve occupazione di Napoleone I

(1798-1801), Costantinopoli aveva affidato le redini del Paese a Mohamed Ali, investito di ampi

 poteri decisionali e amministrativi. Ali modernizzò l’amministrazione ed ampliò la sfera d’influenza

egiziana conquistando il Sudan, ma soprattutto rese ereditaria la sua carica ( pashalik ) e, sebbenericonoscesse la sovranità di Costantinopoli, a cui era obbligato a pagare tributi, rese l’Egitto una

Stato semindipendente. L'Egitto aveva un proprio esercito ed esercitava una sua politica estera e

 proprie leggi, al punto che le tanzimat6 non vennero mai applicate dai governanti egiziani. Questo

  particolare status si riflesse nella carica riconosciuta dal sultano Abdul Aziz nel 1867 con un

firmano a Ismail Pasha, ossia quella di Khedivé 7 . carica che divenne ereditaria e che passò da allora

a designare colui che governava l'Egitto, non nel senso di un  pasha ordinario, di un semplice

governatore di una delle tante province ottomane, ma di un vero e proprio vicerè. Il firmano del

1867 infatti riconobbe al Khedivè la facoltà di concludere con l'estero non solo accordi

commerciali, ma anche politici, allontanando l’Egitto dall’orbita dell’Impero ottomano. Ismail, per 

contro, dirigerà il suo Paese verso l’Europa, accrescendo lentamente l’influenza delle Potenze

europee. L’agevolazione dei crediti bancari concessi ad Ismail, lo spinsero ad intraprendere ingentispese sia per lo sviluppo nazionale che per i futili bisogni della corte, contraendo debiti con

creditori europei (soprattutto con le banche francesi), protetti dal regime delle Capitolazioni. La

Francia possedeva rispetto all’Inghilterra una posizione privilegiata in Egitto, accentuata dal fatto

che la maggioranza delle azioni della Compagnia Universale del Canale di Suez8, fondata nel 1854,

era in mano di azionisti francesi. Il potere francese iniziò ad indebolirsi dopo la franco-prussiana e

la volontà britannica di recuperare le posizioni perdute riguardo al canale, intanto inaugurato il 17

novembre 1869. L’occasione favorevole per la Gran Bretagna si profilò nel novembre del 1876,

quando Ismail fu costretto a vendere le sue 177.642 azioni della Compagnia per fare fronte ai debiti.

Disraeli, coinvolgendo i Rothschild, si accaparrò le azioni del Khedivè, permettendo agli inglesi di

dominare un terzo del consiglio d’amministrazione della Compagnia. La vendita non risolse i

 problemi finanziari del Khedivè, che, nell’aprile del 1876, cessò di pagare gli interessi del debito

egiziano, provocando la bancarotta dell’Egitto, per altro sconfitto anche in una disastrosa campagna

militare contro l’Abissinia dell’Imperatore Johannes IV9. Il 2 maggio 1876 le Potenze europee

istituirono una commissione di controllo sui debiti khediviali e tra i suoi membri vennero inclusi

rappresentanti francesi, austriaci ed italiani. Per la mancata partecipazione inglese però, la

commissione non funzionò a dovere. Il governo britannico chiese che venisse istituito un controllo

di Francia ed Inghilterra sulle finanze egiziane, ponendo le premesse per un “condominio anglo-

francese” sull’Egitto. Gli interessi francesi ed inglesi non erano però uguali in Egitto, non fosse

altro per il fatto che l’80 % delle navi che passava il canale di Suez erano britanniche. L’Inghilterra

inoltre aveva un interesse politico diretto nel futuro del Paese per il cui territorio passava la via per 

l’India, ecco perché Londra non volle dare al condominio una veste legale determinata ecircoscritta, essendo consapevole che non fosse conveniente stipulare con la Francia un patto che

 poi avrebbe in seguito limitato la libertà di azione dell’Inghilterra.

Londra e Parigi inviarono una missione al Cairo, la così detta Goschen-Joubert Mission, la quale

ottenne tre risultati:la consolidazione del debito, la nomina di due controllori europei, uno francese

ed uno britannico, e la creazione di una Cassa del Debito Pubblico (Caisse de la Dette Publique),

5Schiavi-soldato che nel Medioevo rivestivano le massime cariche e nel Settecento costituirono l'élite al potere non solo

in Egitto ma anche in Siria.6

Dal sostantivo arabo tanzim, letteralmente riorganizzazione, un processo iniziato da Costantinopoli il 3 novembre1839 con lo scopo attuare tutta una serie di riforme per modernizzare l'economia, la società e le istituzioni ottomane.7 Dal persiano khadiw, letteralmente signore.8 A questa compagnia fu affidato lo sfruttamento del canale per 99 anni a partire dal suo completamento. Il governoegiziano avrebbe invece percepito il 15 % dei profitti annuali per la stessa durata.9 L’aggressione egiziana all’Etiopia, pianificata tra il 1873 ed il 1875, era stata pensata da Ismail e dal premier Nubar 

 pasha, per estendere i confini dell’Egitto e salvarlo dalla bancarotta.

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una speciale commissione composta da rappresentanti di vari Stati creditori. I controllori anglo-

francesi decisero che per riorganizzare effettivamente le finanze egiziane fosse necessario porre

termine al potere di Ismail e formare un nuovo Ministero. Un ministro inglese, Rivers Wilson, fu

  posto a capo delle finanze, mentre un francese, Blignières, fu nominato ministro delle finanze,

incarnando ambedue quello che fu chiamato il “Gabinetto europeo”. La Gran Bretagna continuò ad

avere una preminenza nel governo, poiché Wilson aveva la responsabilità del controllo delleferrovie e del porto di Alessandria. Le riforme introdotte per sanare le finanze (elevazione delle

tasse, dimezzamento dei salari dei militari e congedo di 2500 ufficiali) crearono forti malumori tra

la popolazione e favorì la nascita movimenti nazionalisti e proto-panislamici. Il primo guidato dal

colonnello Ahmed Arabi pasha, propugnante la fine del controllo finanziario straniero, ed il

secondo creato da Jamal el-Din el-Afghani, preoccupato per l’occidentalizzazione dell’Egitto e

fautore di un ritorno all’Islam all’insegna dell’unità dei musulmani. Fermenti sorsero anche in seno

all’Assemblea dei Delegati, il parlamento egiziano istituito da Ismail nel 1866, dove Mohamed

Sharif Pasha, propose riforme costituzionali e finanziarie per liberarsi dal giogo straniero. Dopo che

Ismail minacciò di dare seguito al programma di Mohamed Sharif, invitato a formare un nuovo

governo. Una mossa che spinse Francia ed Inghilterra a liberarsi di Ismail e sostituirlo con il figlio

Tefwik nel giugno del 1879. Nel settembre del 1881, l’esercito egiziano, guidato da Arabi Pasha sirivoltò contro Tefwik, mettendo in discussione il governo del Khedivé . Il governo khediviale si

stava disintegrando ed i militari non offrivano nessuna garanzia per gli interessi di Francia ed

Inghilterra, che, l’8 gennaio 1882, emanarono una nota congiunta nella quale si considerava la

  presenza del Khedivè come prerequisito essenziale per il mantenimento dell’ordine in Egitto. Sia

Londra che Parigi furono molto indecise sul da fare e soprattutto se impiegare la forza per ristabilire

lo status quo ante, soprattutto quando il 24 maggio 1882 Khedivè concesse poteri dittatoriali ad

Arabi Pasha. La soluzione preferita dai britannici sarebbe stata quella di muovere l’autorità del

Sultano di Costantinopoli, e se necessario anche truppe turche, per ristabilire il “gabinetto europeo”

e l’autorità del Khedivè. Una eventualità però non gradita dalla Francia, che si dimostrò restia ad

invocare l’aiuto turco, dal momento che non era trascorso molto tempo dalla conquista della Tunisia

e dal tentativo del bey di cercare l’aiuto del Sultano. Per il governo francese non sarebbe stato

 possibile neanche impiegare la forza, sicura che il Parlamento si sarebbe dimostrato contrario. Era

  però necessario impedire che l’Inghilterra agisse da sola e raggiungesse una posizione di

supremazia in Egitto.

Il Congresso di Berlino: mito e realtà

Gli scontri tra imperialismi in Asia

L’espansione europea, ed in special modo britannica, in Asia centrale fu legata alla conquista delle

vie di accesso terrestri all’immenso mercato cinese. L’Inghilterra inoltre necessitava soprattutto di

consolidare e difendere le frontiere dell’India, considerata il “gioiello della corona”. In questo

contesto, l’Afghanistan assumeva un ruolo di primissimo piano, in quanto considerato da sempre un

territorio svolgente la funzione di Stato cuscinetto e per il quale già dall’inizio del XIX secolo

l’Inghilterra e la Russia si erano scontrate, dando inizio a quello che fu chiamato il Great Game10,

ossia la lotta per la supremazia in Asia centrale. Il bisogno da parte britannica di controllare

efficacemente l’Afghanistan si era manifestato nuovamente dopo la disastrosa prima guerra anglo-

afghana (1838-1842) e la rivolta dei Sepoys del 1857, nonché dopo i reiterati tentativi russi di

10Il termine fu coniato dall’agente dei servizi segreti britannici Arthur Conoly (1807-1842).

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avvicinarsi alle frontiere afgane per poter poi giungere in prossimità di un “mare caldo”. Nel 1865 i

russi avevano annesso il Tashkent, nel 1868 Samarcanda, spingendo le frontiere dell’impero zarista

sino al fiume Amu Darya, facendo veramente temere una aggressione all’Afghanistan, al fine di far 

divenire tutta la regione una base di partenza per una invasione dell’India. Le delusioni nei Balcani,

derivanti dalla conferenza di Berlino del giugno del 1878, spinsero ancora di più la Russia a

rivolgere i propri interessi verso l’Asia centrale ed in particolare proprio verso l’Afghanistan,inviandovi una missione militare. Lo scopo della Russia era fondamentalmente anche quello di

cercare un’arma da usare contro l’Inghilterra nell’eventualità di una crisi nel Vicino Oriente,

impegnandola altrove. Il tentativo da parte dell’Inghilterra di inviare una propria missione militare

condusse alla Seconda Guerra afghana (1878-1880), durante la quale fu imposto all’emiro

dell’Afghanistan l’umiliante trattato di Gandamak (26 maggio 1879), istituente una sorta di

  protettorato sul Paese. L’espansionismo della Russia zarista nella regione tornò a farsi vivo nel

marzo del 1884, quando i russi occuparono l’oasi di Merv, iniziando una guerra con gli afgani per la

strategica oasi di Pandjeh, vicino al passo di Zulficar, porta di accesso all’altopiano afghano. La

crisi diplomatica tra Russia e Gran Bretagna fu così inevitabile, ma le due Potenze non pensarono

mai che potesse sfociare in un vero conflitto, poiché Londra sapeva che una guerra su vasta scala

 per l’Afghanistan non sarebbe mai stata accettata dall’opinione pubblica inglese, senza contare chela flotta britannica non avrebbe potuto attaccare i territori russi nel Caucaso, dal momento che il

Bosforo e i Dardanelli erano chiusi alle navi da guerra dalla convenzione internazionale di Londra

del luglio del 1841. Da parte propria il governo zarista non desiderava correre il rischio che una

guerra anglo-russa rafforzasse la Germania in Europa. Fu così che il 10 dicembre 1885 Inghilterra e

Russia addivennero ad un protocollo di intesa secondo il quale i russi avrebbero continuato ad

occupare Pandjeh, mentre il passo di Zulficar sarebbe rimasto sotto il controllo dell’Afghanistan,

ossia degli inglesi.

Contemporaneamente alle frizioni con l’impero zarista per l’Afghanistan, l’Inghilterra si trovò a

rivaleggiare con la Francia della III Repubblica per l’espansione nel sud-est asiatico e spinta a

questa impresa da Bismarck. Dopo una guerra con la Cina (1884-1885), la Francia occupò il

Tonchino, istituendo anche un protettorato sull’Annam, ottenendo con il trattato di Tien-Tsin (9

giugno 1885)11 l’accesso a condizioni vantaggiose per le merci francesi nelle province dello

Yunnan e del Cuan-gsi. L’Inghilterra, che intanto aveva iniziato l’occupazione della Birmania, che

si concluse nel 1887, fu preoccupata dalle mire espansionistiche francesi che minacciarono il Laos,

regione rivendicata anche dal regno del Siam. Londra considerava questo regno uno Stato

cuscinetto, la cui indipendenza era necessaria alla sicurezza delle frontiere orientali dell’India e per 

questo motivo non esitò a protestare energicamente quando la Francia intraprese nel 1893 un’azione

di gunboat diplomacy volta a bloccare tutte le coste siamesi per convincere il Siam a non opporsi

all’occupazione francese del Laos. Il Siam cedette alle pressioni francesi, lasciando occupare il

Laos senza che l’indipendenza del proprio Stato cuscinetto ne uscisse compromessa. Nel 1896

l’indipendenza del Siam fu ufficialmente garantita da un accordo franco-britannico.

La “questione d’Estremo Oriente” e il break-up of China 

Il Celeste Impero aveva costituito il più grande Stato del mondo, con una popolazione di 300

milioni di abitanti ed una estensione di 12 milioni di kmq. Tuttavia esso rimase per secoli un Paese

  per lo più chiuso verso l'esterno, soprattutto alla penetrazione dei commercianti e missionari

11La così detta Guerra del Tonchino costò alla Francia la cocente sconfitta di Lang-Son, per la quale il Presidente del

Consiglio Jules Ferry fu costretto a dimettersi, sebbene la guerra fosse stata ormai vinta ed il trattato di Tien-Tsin

nettamente favorevole agli interessi francesi.

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occidentali. Tutto ciò mutò con le "guerre dell'oppio". E’ stato giustamente affermato che queste

furono la causa contemporaneamente sia dell’entrata nelle relazioni internazionali contemporanee

della Cina, sia dell’inizio della crisi del millenario impero cinese, che perse sempre di più la propria

indipendenza a causa delle ingerenze straniere. Le "guerre dell'oppio" significarono del resto anche

un profondo mutamento strutturale nella posizione geopolitica della Cina. Per secoli, anzi millenni,

la questione della sicurezza delle frontiere cinesi era stata circoscritta all’Asia centrale, ovverorispetto alle tribù nomadi che, abbandonando le inospitali steppe desertiche, periodicamente

attaccavano la Grande Muraglia. Con l’inizio delle “guerre dell’oppio”, il problema si trasferì sul

mare ed ebbe come attori principali i mercanti occidentali, ai quali si aggiunse dopo poco tempo

anche l’imperialismo giapponese. La penetrazione straniera fu anche la causa della fine della

concezione "cinocentrica" delle relazioni internazionali cinesi, le quali sino ad allora avevano avuto

 pochissime occasioni di confrontarsi con Stati-nazione indipendenti e con pari diritti. Ecco che gli

Stati europei imposero una propria concezione delle relazioni internazionali, non gerarchizzate e

eurocentriche, alle quali l'impero cinese rispose chiudendosi ancora di più in sé stesso e nelle

 proprie secolari tradizioni.

L'oppio, usato ancora in Europa come medicinale, nell’impero cinese era considerato una sostanza

illegale, in quanto impiegata come stupefacente, il cui consumo aveva raggiunto livelli tali dacostringere il governo di Pechino a proibirne totalmente l’uso e l’importazione. Un provvedimento

che fece sorgere una fitta rete di contrabbando, il cui controllo finì nelle mani dei commercianti

inglesi che riversarono sulle coste cinesi, nonostante i divieti, tonnellate di oppio proveniente dalla

Turchia e dall’India. In particolare la Compagnia delle Indie aveva instaurato un triangolo

commerciale tra Gran Bretagna, India e Cina, basato sullo smercio di te, seta (dalla Cina), dell'oppio

(dal Bengala soprattutto, ma anche dai regni semi indipendenti del Rajputana e dell' India centrale)

e del cotone lavorato (dall' Inghilterra). Nel marzo del 1839, il governatore di Canton, Lin Tse-hu,

ordinò di sequestrare e distruggere 1500 tonnellate di oppio scoperte a bordo delle navi e nei

magazzini britannici. Londra chiese l’immediato risarcimento della merce distrutta, ottenendo solo

un netto rifiuto e la minaccia della chiusura di Canton non solo agli inglesi, ma anche a tutti i

“barbari occidentali". L’Inghilterra inviò una squadra navale al comando dell’ammiraglio Eliot, che

 bloccò il porto di Canton nel novembre del 1839, occupandolo nel giugno seguente. Nel 1842, gli

inglesi si impossessarono delle città costiere di Ning-po, Amoy, Chengkiang, Shanghai e delle isole

di Hong-Kong e Chu-shan. Alla Cina, priva di un moderno esercito non restò che capitolare,

firmando, il 29 agosto 1842, il rovinoso trattato di Nanchino. Questo trattato, il primo dei così detti

“trattati ineguali” conclusi dalla Cina con una Potenza straniera, prevedeva il pagamento di

un’indennità di guerra di 21 milioni di dollari, l’apertura al commercio britannico dei porti di

Canton, Amoy, Foochow, Ning-po e Shanghai, la cessione in affitto perpetuo di Hong-Kong (la

  penisola di Kowloon e le isole adiacenti, tra cui Hong-Kong, furono concesse in affitto

all’Inghilterra nel 1898 per 99 anni), la soppressione dell’ Associazione Co-hong, detentrice sino a

quel momento del monopolio del commercio con gli stranieri ed infine la fissazione di dazidoganali vantaggiosi per il commercio inglese. Nel 1844, anche gli Stati Uniti e la Francia ottennero

gli stessi privilegi dell’Inghilterra, a cui si aggiunsero l’extraterritorialità per i loro cittadini residenti

in Cina e la libertà di culto nei “porti aperti” agli occidentali. L’isolamento cinese era finito per 

sempre, esponendo l’impero alle influenze delle Potenze occidentali che ne minarono la secolare

stabilità. Nel 1854, Francia ed Inghilterra, preoccupate dal fatto che le importazioni dalla Cina

erano tre volte superiori delle esportazioni (il mercato cinese sembrava non essere interessato ai

 prodotti occidentali) chiesero la revisione dei trattati commerciali, proponendo la libera circolazione

delle merci in tutto l’impero e la liberalizzazione dell’oppio. Due incidenti a Canton, nel 1856 e nel

1857, furono il casus belli per la Seconda Guerra dell’oppio: il sequestro da parte della polizia

cinese della nave britannica Arrow, accusata di pirateria e la tortura e l’uccisione di un missionario

francese. Un corpo di spedizione anglo-francese travolse l’esercito cinese e nel 1858 la Cina fucostretta a firmare il trattato di Tien-Tsin, il quale triplicò il numero di stazioni commerciali aperte

al commercio occidentale, legalizzando l'oppio. Il tentativo nel 1860 di sottrarsi alla sua ratifica

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 provocò un nuovo attacco della Francia e dell’Inghilterra, che occuparono Pechino, obbligando il

  principe Kung, fratello dell’imperatore Hueng-fong a firmare la Convenzione addizionale di

Pechino.

In questo periodo l’impero cinese dovette fronteggiare anche la rivolta dei Tai-ping, che, nel

tentativo di rovesciare la dinastia mancese causò 20 milioni di morti. La setta dei Tai-ping Tien-kuo

(Stato celeste della suprema pace) era stata costituita alla fine degli anni ’40 dell’Ottocento daHong-sien-tsin e fu il primo tentativo di rivolta nazionale in un Paese che non aveva mai conosciuto

fenomeni di tipo nazionalista. Hong-sien-tsin istaurò un singolare sincretismo religioso, fondendo

nozioni tratte dalla Bibbia, con quelli autoctoni cinesi (Confucio) e proponendo la distribuzione

delle terre e la cacciata dell’imperatore della dinastia Manchù. Il suo programma riunì centinaia di

contadini ed Hong, proclamatosi nel 1851 re, organizzò militarmente i suoi adepti e conquistò la

  parte meridionale della Cina, arrivando persino a minacciare Pechino. Nel 1853 i Tai-ping

occuparono Nanchino e tutte le città più importanti dello Yang-tse. Hong resistette alle truppe

imperiali sino al 1860, ma molti dei suoi combattenti furono delusi dall’idea di non poter entrare in

  possesso della terra sino a che la guerra non fosse finita. Inoltre, Hong proibì il commercio

dell’oppio entrando così in contrasto con gli occidentali, che nel 1860 aiutarono Pechino a liberarsi

dei Tai-ping12. Hong, accerchiato a Nanchino, si suicidò nel 1864, e gli ultimi Tai-ping furonosconfitti in Tibet due anni dopo.

Merita sottolineare come a partire dal 1842 l’influenza straniera sull’impero cinese si concretizzò

attraverso i cosiddetti Treaty ports, diretta emanazione dei già ricordati “trattati ineguali”. Si

trattava di piccole enclave all’interno del territorio cinese nelle quali la presenza delle potenze

straniere era più o meno accentuata. Esistevano tre diversi tipi di Treaty ports: i Treaty ports veri e

 propri, i Settlements e le Concessioni. I primi venivano creati nelle città costiere o lungo i fiumi

navigabili dove non solo il commercio veniva aperto ai commercianti stranieri, ma era una dogana

gestita da cittadini stranieri a regolare il flusso commerciale. In ogni caso queste città ricadevano

sotto la sovranità cinese. I settlements erano distretti posti sotto il controllo dei consoli stranieri

residenti, riuniti in un consiglio municipale che governava tutti gli affari locali (sicurezza, igiene e

servizi pubblici) e si autofinanziava con la possibilità di riscuotere tasse dai residenti. Il più famoso

esempio di settlement fu la città di Shanghai13. Le Concessioni infine erano de jure delle colonie

straniere, in molti casi governate come i settlements, ma in definitiva era poi il console della

nazione a cui apparteneva la concessione ad avere il reale potere politico ed amministrativo. Nelle

Concessioni, a differenza dei settlements, poteva essere impedito ai cittadini cinesi o di altre

nazionalità di essere proprietari immobili.

Ma la prima vera e propria perdita di prestigio internazionale per la Cina avvenne ad opera non di

una Potenza occidentale ma dal Giappone, che aveva già da tempo abbandonato il feudalesimo per 

seguire uno sviluppo parallelo a quello delle nazioni europee, mettendo fine alla suo stato di

isolamento internazionale.

12 All'esercito imperiale cinese si aggregarono ufficiali britannici, tra i quali Gordon, che parteciparono ai combattimentiguidando gruppi di mercenari.13

Shanghai risultò divisa in due parti: una amministrata dal governo cinese ed un’altra, formata dalle concessionistraniere, governata da un Consiglio Municipale, dal nome ufficiale di Council for the Foreign Settlements North of the

Yank-King-Pang, facente gli interessi delle undici nazioni che avevano stipulato trattati con la Cina, e cioè Russia, GranBretagna, Stati Uniti, Norvegia e Svezia, Portogallo, Spagna, Italia, Germania (Prussia), Danimarca (la Francia non erarappresentata per avere un proprio Conseil Municipal). Il Consiglio Municipale, che si occupava dell’amministrazionedella giustizia, lavori pubblici e controllo del traffico, era composto da 9 membri, scelti annualmente da 27 residentistranieri con particolari qualifiche di reddito, e per un Gentlemen’s agreement erano: 6 inglesi, 2 americani ed 1 tedesco

(giapponese dopo la I Guerra Mondiale). Dal 1921 i cinesi furono rappresentati da 5 membri. Il personaledell’amministrazione era però all’80% britannico ed il solo italiano che vi figurava era il direttore dell’orchestramunicipale, tale Mario Paci. L’ International Settlement , sulla cui bandiera campeggiava il motto latino “In uno omnia”,

si dissolse nel 1941 a causa dell’occupazione giapponese.

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La dinastia Meji e la nascita del Giappone modernoIl 3 gennaio 1868 è la data con cui generalmente si fa nascere Giappone moderno, ovvero il giorno

in cui il giovane imperatore Mutsuhito successe al padre proclamando la fine dello Shogun 

Tokugawa e la restaurazione del potere imperiale, iniziando l'era Meji o del governo illuminato. A

 partire infatti dal X secolo, il potere imperiale era stato sottomesso ad una casta militare, facente

capo alla famiglia Tokugawa. L'imperatore non era che un monarca con funzioni simboliche, ilquale rispondeva allo Shogun, figura amministrativa e militare. Nel 1603 la società giapponese

venne rigidamente gerarchizzata ad opera della famiglia Tokugawa, i quali isolarono il paese da

ogni contatto con il mondo esterno, secondo il principio del sakoku, ossia del “paese chiuso”. La

  politica del sakoku durò più di duecento anni e terminò solo l’8 luglio del 1853 quando il

Commodoro statunitense Matthew Perry, con quattro navi da guerra ( Mississippi, Plymouth,

Saratoga, and Susquehanna) ancorò nel porto di Edo, l’attuale Tokio, intimando il Giappone di

aprire le sue frontiere al commercio con l’estero. L’anno seguente, con la Convenzione di

Kanagawa (31 marzo 1854), Perry costrinse lo Shogun a firmare un trattato di pace ed amicizia con

gli Stati Uniti. L'era Meji traghettò il Giappone verso la modernizzazione e, almeno

apparentemente, verso l’influenza dell’Occidente. In realtà la restaurazione Meji era decisa a

  portare il Giappone su di un livello pari a quello dei paesi occidentali, senza però fare a questiconcessioni. Il Giappone si limitò ad imitare la tecnologia ed “importando” istruttori e consiglieri,

sia civili che militari. Nel 1870 il feudalismo fu abolito e l’11 febbraio del 1889 fu emanata una

Costituzione che prevedeva un parlamento bicamerale (una Camera Alta ed una Camera dei

Rappresentanti), eletto però con un suffragio molto ristretto e dotato di poteri assai limitati.

L’esecutivo era responsabile di fronte all’imperatore. Le tradizioni dei samurai e le esigenze di un

neo-capitalismo importato contribuirono a far nascere l’imperialismo giapponese. Il Giappone, che

nel 1873 aveva istituito il servizio militare obbligatorio, si servì dell’aiuto dei paesi europei per 

ammodernare le proprie forze armate, in particolare dell’Inghilterra per la Marina da guerra e della

Germania per l’esercito. Fu l’esercito che garantì all’imperialismo giapponese la supremazia in Asia

e le prime azioni per espandersi al di fuori del proprio territorio nazionale. Nel 1873 furono

occupare le isole Bonin (Ogasawara), dove Perry aveva issato la bandiera statunitense, nel 1875

invece fu la volta delle Ryu-Kyu e delle Curili. Queste ultime furono occupate grazie ad un accordo

con la Russia zarista con il quale il Giappone cedette la parte meridionale dell’isola di Sakhalin,

facente parte del territorio giapponese dal 1862.

Il contrasto tra Cina e Giappone sorse a causa della penisola coreana, appendice tra il continente

asiatico e l’arcipelago giapponese. La Corea era stata formalmente una regione vassalla dell’impero

cinese, ma il Giappone, vi aveva rivolto le sue attenzioni sin dal 1873. Ogni tentativo di

 penetrazione era stato però rimandato a causa dell’opposizione del Ministro dell’interno giapponese

Okubo, il quale aveva ritenuto che un impegno in Corea avrebbe ritardato il processo dimodernizzazione in corso. D’altra parte la penisola coreana era ritenuta di vitale importanza per il

Giappone a causa delle sue risorse minerali, necessarie alla nascente industria giapponese, e per il

riso, indispensabile all’approvvigionamento alimentare dell’arcipelago nipponico. Nell’agosto del

1875 una nave militare giapponese fu coinvolta in un incidente con la popolazione locale del porto

coreano di Chemulpo. Dopo tale evento, che portò alla morte di due marinai giapponesi, il 25

febbraio 1876 fu firmato un trattato tra Giappone e Corea, il quale prevedeva la formale

indipendenza di Seul, l’apertura al commercio estero di tre porti coreani. Tuttavia la Corea non era

ancora pronta per la totale indipendenza e continuò ad avere stretti legami con la Cina, la quale non

rinunciò a tentare di esercitare la propria sovranità sulla penisola. Nel 1882 Tai-wen-kun prese il

  potere in Corea e fomentò una vivace politica antistraniera. Nello stesso anno la legazione

giapponese a Seul fu attaccata da truppe regolari coreane che ferirono ed uccisero diversidiplomatici del Sol Levante. Pechino inviò una spedizione militare che riportò l’ordine, destituendo

Tai-wen-kun e punendo i responsabili. Il Giappone pretese una indennità per le vittime

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dell’aggressione ed ottennero anche che un contingente stazionasse permanentemente a Seul a

  protezione dei suoi cittadini. Pechino non si oppose alle richieste giapponesi soprattutto perché

aveva esercitato e riaffermato la sua sovranità sulla Corea. Dopo nuovi disordini a Seul nel 1884,

Tokio e Pechino firmarono a Tien-Tsin il 18 aprile 1885 un accordo che prevedeva: a) il ritiro delle

truppe cinesi e coreane dalla Corea; b) il divieto di fornire alla Corea istruttori militari; c) se fosse

stato necessario inviare truppe in Corea, sia Cina che Giappone avrebbero dovuto comunicarlo preventivamente. Per il Giappone si trattò indubbiamente di un passo indietro rispetto al trattato del

18, ma anche le velleità cinesi sulla Corea venivano compromesse, in quanto Pechino aveva dovuto

ammettere che i giapponesi avevano gli stessi diritti dei cinesi sulla penisola coreana.

  Nella primavera del 1894 la setta nazionalista coreana dei Tong-haks14 scatenò una rivolta per 

  prendere il potere e destituire la regina Min, la quale chiese l’aiuto cinese per soffocare la

sollevazione. La Cina, aderendo al trattato di Tien-Tsin, comunicò al Giappone l’intenzione di

inviare delle truppe per soffocare la rivolta in quello che essi definirono un loro “Stato tributario”. I

giapponesi contestarono la definizione data dai cinesi della Corea ed inviarono anch’essi delle

truppe, contro il parere del governo imperiale cinese, secondo il quale il Giappone avrebbe potutoinviare solo una modesta forza militare a protezione dei propri cittadini.

Una volta sconfitti i Tong-haks, i giapponesi si rifiutarono di ritirare i propri soldati ed occuparono

Seul. Lo scontro con la Cina fu a questo punto inevitabile. I cinesi furono sconfitti sia in terra che in

mare e costretti a firmare, il 17 aprile 1895, la pace di Shimonoseki che prevedeva la completa

indipendenza della Corea, l’apertura di quattro porti coreani al commercio estero e l’annessione al

Giappone della penisola del Liao-tung, dell’isola di Formosa e dell’arcipelago delle isole

Pescadores, nonchè il diritto per la Marina nipponica di ormeggare nel porto di Weihaiwei. La Cina

doveva inoltre pagare 360 milioni di yen di risarcimento. Una vittoria clamorosa che suscitò

l’intervento di Russia, Francia e Germania, desiderose di mantenere l’integrità dell’impero cinese

ed allarmate dall’espansionismo nipponico, che, con l'occupazione della penisola del Liao-tung, si è

garantito un vantaggio strategico di primo piano. Le pressioni di queste Potenze fecero rinunciare al

Giappone, dietro il pagamento di un supplemento d’indennità, alle annessioni territoriali (tranne

l’isola di Formosa). L’ingerenza europea nella guerra fu considerata una umiliazione da parte dei

giapponesi, i quali aumentarono gli sforzi per potenziare l’esercito e l’industria siderurgica pesante.

Dopo la Seconda Guerra dell’oppio, il potere in Cina era stato assunto dall’imperatrice reggente

Yeonala, detta Tseu-hi (materna e propizia), rimanendo l’incontrastata dominatrice della politica

cinese, anche dopo che il figlio Tong-The fu maggiorenne nel 1872. Il suo governo fu caratterizzato

da una forte opposizione alle Potenze straniere e da una marcata xenofobia. Gli stranieri in Cina

 passarono da 3.500 nel 1870 a 12.000 nel 1899 e con le loro “concessioni”, ottenute con i “trattati

ineguali”, costituivano una sorta di Stato nello Stato. La schiacciante vittoria giapponese del 1894-

95 aveva rivelato la debolezza dell’impero cinese ed aveva fatto iniziare la così detta “gara per leconcessioni”, la quale segnò l’epoca dell’imperialismo europeo in tutta l’Asia orientale. Nel

novembre del 1897 la Germania occupò la baia di Kiawchow ed il porto di Tsingtao nello

Shantung. Agli inizi del 1898 si mossero anche Russia, Inghilterra e Francia, le quali si assicurarono

vaste concessioni che assegnarono loro sfere d’influenza in diverse zone della Cina. La Francia

 pretese una base navale nella baia di Canton, la Gran Bretagna nel 1898 ottenne nuove basi al nord

di Kow-loon di fronte ad Hong-Kong e l'affitto del porto di Weihaiwei sulla costa del Golfo di

Pechili, mentre la Russia occupò Dalian e Port Arthur in Corea, strappando anche una concessione

  per la costruzione di una ferrovia proprio fra Port Arthur e la tratta manciuriana della

14La setta segreta dei Tong-haks (letteralmente “scienza orientale”) si basava su un insieme di principi del

confucianesimo, del buddismo e del taoismo ed era stata fondata da Che-u nel 1860 con lo scopo di difendere le

tradizioni coreane dall’infiltrazione di credenze straniere.

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Transiberiana15. Una delle poche Potenze europee a non trarre particolari vantaggi in Cina era stata

l’Italia la quale, nel 1899, non era riuscita ad ottenere la concessione di San-Mun per istallarvi una

  base navale. Sperando in un appoggio britannico16, il Ministro degli Esteri Felice Napoleone

Canevaro tentò di acquisire la baia di San Mun nella provincia del Ce-Kiang per installarvi una base

navale. Dopo che la Cina respinse le richieste italiane, Canevaro, l'8 marzo 1899, ordinò alla

legazione italiana di Pechino di consegnare un ultimatum al governo imperiale cinese, affinchéfosse concesso all’Italia l’uso della baia ed i diritti esclusivi nel Ce-Kiang. Lo stesso giorno

Canevaro avvertì l'Inghilterra delle intenzioni italiane, la quale si oppose decisamente, costringendo

l'Italia ad inviare un telegramma urgente alla legazione italiana di Pechino dove si diceva di

attendere sino a nuove istruzioni. Ma alla legazione i telegrammi giunsero in ordine inverso a quello

della partenza, di modo che l'ultimatum fu consegnato e poi in tutta fretta smentito e ritirato. Un

episodio tragicomico per il quale Canevaro fu costretto a dimettersi, assieme al primo governo

Pelloux.

L’impero cinese aveva subito altre perdite territoriali, precedentemente alla guerra cino-giapponese:

nel 1870 la Russia aveva occupato il Turkestan (restituito parzialmente nel 1881); nel 1885 i

francesi avevano conquistato il Regno d’Annam, sotto la nominale sovranità cinese. All’inizio del

1900, ben undici Stati stranieri (Italia inclusa) avevano installato le proprie legazioni a Pechino eduna flotta multinazionale stazionava permanentemente alla foce del Pei-ho, fiume che collegava la

capitale con l’Oceano Pacifico. Gli occidentali avevano importato anche un altro fattore

destabilizzante per la società cinese: i missionari che avevano convertito un buon numero di cinesi.

Questi avvenimenti favorirono la nascita nella regione dello Shan-Tung nel 1898 della società

segreta I-he-chuan (Pugni della concordia e della giustizia) i cui aderenti furono chiamati dagli

occidentali Boxer poichè, operando sotto la copertura di società ginnasta di arti marziali a scopo

 pedagogico-patriottico, i loro rituali assomigliavano alle movenze dei pugili. All’inizio i Boxer, i

cui principi erano imbevuti di Taoismo e xenofobia, non ebbero fini politici, ma cercarono

semplicemente di preservare l’identità della loro religione dalle contaminazioni europee.

Inizialmente gli occidentali sottovalutarono i Boxer, anche perché non era la prima volta che nella

società cinese nascevano sette esoteriche e segrete con i fini più disparati, ad esempio i Ko-lao-hui (fratello anziano) o la Ta-tao-hui (grande coltello). Pur rimanendo un movimento spontaneo e senza

gerarchia, portò avanti delle rivendicazioni sociali e, fedele alla dinastia al potere, vide nei “diavoli

stranieri” il principale nemico da abbattere, trovando nel governatore della provincia dello Shantung

un accanito sostenitore. La setta dei Boxer, tra il 1898 ed il 1899, oltre a sabotare linee ferroviarie e

telegrafiche, attaccò numerose missioni sia cattoliche che protestanti, trucidando centinaia di

convertiti. I Boxer, che si riconoscevano per i loro vestiti azzurri con fasce rosse alla testa, ai polsi

ed alle caviglie, possedevano poche armi antiquate ma la loro maggiore forza era il fanatismo e la

reggente Tseu-hi li utilizzò come strumento per danneggiare gli interessi stranieri, finendo per 

favorire apertamente questo movimento xenofobo, nonostante le proteste dei diplomatici a Pechino.

Il conflitto raggiunse il culmine nel giugno del 1900, quando i Boxer, a cui si era aggiunto l’esercitoimperiale, attaccarono e strinsero d’assedio le legazioni straniere a Pechino, dove fu anche ucciso

l’ambasciatore tedesco Von Ketteler ed il cancelliere di legazione giapponese Sugiyama. Le

Potenze reagirono fermamente ed organizzarono un corpo di spedizione multinazionale, formato da

Giappone, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Russia, Italia ed Austria-Ungheria, che distrusse

l’esercito cinese e la setta dei Boxer. Il 7 settembre 1901 avvenne la firma del “Protocollo dei

Boxer”, che stabilì: il pagamento da parte della Cina di 450 milioni di tael haikwan 17 di riparazioni,

15La Transiberiana era stata iniziata nel 1891 per collegare i territori occidentali russi con il porto di Vladivostock 

attraversando la Manciuria.16 L’approvazione dell’Inghilterra era subordinata al fatto che l’Italia non avesse usato la forza.17 Il tael haikwan o tael doganale era una moneta di conto corrispondente a un’oncia di argento. L’adozione di questamoneta fu motivata dal fatto che non esisteva in Cina una valuta nazionale uniforme. Dopo i trattati del 1842-44 fucreata un tael di conto nel quale furono espressi i diritti di dogana nei porti aperti ed il cui valore fu stabilito

chiaramente in relazione ai diversi tael locali.

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il cui pagamento fu garantito tramite il controllo sulle dogane imperiali; il divieto per due anni di

importazione di armi in Cina; il diritto di ciascuna potenza di costituire una guardia permanente per 

le loro legazioni; il divieto di costituire in tutto l’impero cinese sette a carattere xenofobo.

La Concessione italiana di Tien-TsinSeguendo l’esempio di numerose potenze europee che avevano anni prima preso possesso di

numerosi quartieri della città di Tien-Tsin18, anche l’Italia nel gennaio del 1901 autorizzò il proprio

Ministro italiano a Pechino di occupare alcuni terreni, pari a 465.580 mq, che si trovavano tra la

concessione russa, quella austriaca ed adiacente alla ferrovia per la capitale cinese.

L’intenzione era quella di ottenere una concessione che nel futuro avrebbe potuto favorire ed

accrescere le attività economiche italiane nel nord della Cina.

Il 7 giugno 1902 il rappresentante italiano in Cina ed il sovrintendente delle dogane cinese a Tien-

Tsin sottoscrissero l’accordo con il quale si dette ufficialmente vita alla concessione italiana,

rendendo legale l’occupazione dell’anno precedente. L’accordo prevedeva una concessione libera

da scadenze temporali o da vincoli economici, salvo il pagamento di un canone annuale di affitto di

2.900 lire oro. Pechino riconosceva all’Italia la piena giurisdizione sui terreni della concessione e le proprietà dello Stato cinese passavano a quello italiano. I sudditi cinesi però potevano acquistare

 proprietà immobili e risiedere stabilmente nella concessione.

Dopo un infelice esperimento di affidare l’organizzazione e lo sfruttamento della concessione ad

una chartered company sul tipo della Compagnia del Benadir in Somalia19, il governo italiano si

orientò verso l’amministrazione diretta, così che l’amministrazione del possedimento fu affidata ad

un commissario regio, dipendente dalla legazione italiana di Pechino. Nel 1913 fu emanato un

“Regolamento fondamentale per Tien-Tsin”, che previde la creazione di un’amministrazione

municipale sotto la direzione del locale Regio console. Tale regolamento restò però inattuato sino al

1923, anno in cui il Ministero degli Esteri approvò uno Statuto municipale, nel quale la gestione

amministrativa fu delegata ad un consiglio elettivo di cinque membri (di cui quattro italiani),

  presieduto dal console, affiancato da un comitato consultivo cinese. Occupata dai giapponesi nel

1937 e dai nazionalista cinesi nel 1945, la concessione di Tien-Tsin fu restituita ufficialmente alla

Cina in virtù degli articoli 24 e 26 del Trattato di Parigi del 1947.

La corsa alle concessioni e la politica aggressiva delle potenze europee nei confronti del impero

cinese fecero sorgere nel governo statunitense la preoccupazione di veder sfumare la possibilità di

sfruttare commercialmente le potenzialità economiche dell’immenso “celeste impero”. Fu per 

questo motivo che il Segretario di Stato John Hay studiò la così detta dottrina o politica della “porta

aperta”, dirigendola alle potenze europee con due note circolari del 6 settembre 1899 e del 3 luglio

1900. Nella prima Washington chiese ai governi francese, tedesco, russo, giapponese, italiano ed

inglese di aderire al principio della parità di trattamento degli interessi commerciali di ciascuna  potenza all’interno dei settlements, sfere d’influenza o concessioni, attuando una politica di

 penetrazione concertata. La seconda nota fu inviata durante la guerra dei Boxers e Washington vi

specificò l’obiettivo della politica statunitense in Cina, ovvero preservare l’integrità territoriale

cinese per poter garantire agli investitori e commercianti stranieri pari opportunità in ogni regione

imperiale.

La Russia ed il Giappone furono le nazioni che più trassero vantaggio dalla crisi dell’Impero

Celeste e fu così gioco forza che gli opposti imperialismi russo e giapponese si urtassero. Lo Zar 

  Nicola II tentò di distogliere l’attenzione dalle problematiche di politica interna, attuando

un’espansione verso l’Estremo Oriente, zona vitale per la prosecuzione della ferrovia Transiberiana.

Essenziale a questo proposito era la Manciuria e Port Arthur, sulle coste del Pacifico, libere dai

18 Ad esempio l’Inghilterra e la Francia nel 1858, il Giappone nel 1895 e la Germania nel 1896.19

Si trattava del Consorzio Italiano pel Commercio con l’Estremo Oriente.

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ghiacci nel periodo invernale. Nel dicembre del 1897, la flotta russa aveva attraccato a Port Arthur,

ottenendo il permesso dalla Cina di passarvi l’inverno. Un permesso che si era trasformato in affitto

e che aveva permesso poi alla Russia di occupare tutta la penisola di Liao-tung. L’esercito russo,

inoltre, durante la rivolta dei Boxer, aveva occupato le tre province della Manciuria, suscitando la

reazione del Giappone, deciso a bloccare l’avanzata russa verso la Corea. Il Giappone temeva che

venisse minacciata la sua influenza sulla penisola coreana e soprattutto che la presenza russanell’area inficiasse l’espansione giapponese nella Manciuria meridionale, ricca di terre per i suoi

emigranti e prodotti alimentari per colmare il deficit della produzione nazionale. La Gran Bretagna,

  per altro, preoccupata dell’avvicinamento della Russia verso l’India, sostenne finanziariamente il

Giappone, e ponendo fine al suo “splendido isolamento”, strinse il 30 gennaio del 1902 un’alleanza

militare con Tokio. Questa alleanza prevedeva che la Gran Bretagna sarebbe entrata in guerra a

fianco del Giappone se questo stato attaccato da due Potenze, sottintendendo la Russia e la Francia,

mentre Tokio promise il suo aiuto se l’India fosse stata minacciata. In pratica si rendeva omaggio a

  posizioni comuni in Estremo Oriente, ossia riaffermare l'indipendenza della Cina e della Corea,

nonchè lo status quo in tutta l'area.

La Russia fu oggetto di pressioni diplomatiche da parte delle Potenze europee affinché si ritirasse

dalla Manciuria ed in questo senso sembrò dirigersi la politica russa dopo la stipulazione di untrattato con la Cina, prevedente il ritiro entro il 1903. Tuttavia i russi non si ritirarono dalla

Manciuria, complice il segretario di Stato Bezovranov, rappresentante dei gruppi finanziari

favorevoli all’espansione della Russia in Asia. Il 13 gennaio 1904, il Giappone inviò un ultimatum

alla Russia intimandole di rispettare l’integrità territoriale della Manciuria. Poche sono le

Cancellerie europee che scommisero sul Giappone quale vincitore in una eventuale guerra e forse

tra queste ci fu l’Inghilterra, la cui piazza finanziaria di Londra aveva permesso e sostenuto la

crescita esponenziale dell’industria bellica nipponica. Nella notte tra l’8 ed il 9 febbraio, i

giapponesi attaccarono senza preavviso la base navale di Port Arthur, affondando numerose navi da

guerra ed assicurandosi la superiorità navale. Undici mesi dopo la base fu conquistata e tra il 23

febbraio e l’11 marzo 1905, l’esercito russo fu annientato a Mukden. Nicola II pensò di poter 

ribaltare la situazione utilizzando la flotta del Baltico, comandata dall’ammiraglio Zinovij

Rozestvenskij e partita nell’ottobre del 1904 da Kronstadt e Liepaja, prima della caduta di Port

Arthur. Le antiquate corazzate russe, con equipaggi male addestrati, si divisero in due squadre: una

compì il periplo dell’Africa ed un’altra attraversò lo Stretto di Suez (solo le unità che pescavano

meno di 9 metri poterono servirsi del canale). Un viaggio compiuto in condizioni disastrose (fu

caratterizzato da risse, incidenti, avarie, epidemie di tifo e scorbuto) che non servì a niente, perchè

le due squadre vennero completamente distrutte a Tsushima tra il 27 e 28 maggio 1905

dall’ammiraglio giapponese Heihachiro Togo. Gran Bretagna e Stati Uniti, sebbene felici

dell’indebolimento russo, si resero conto della pericolosità dell’emergente espansionismo

giapponese. La pace tra Russia e Giappone fu firmata il 5 settembre 1905 a Portsmouth (New

Hampshire - Stati Uniti) con la mediazione di Theodore Roosevelt, ormai interessato all’equilibrioasiatico. Il trattato di pace stabilì l’evacuazione russa della Manciuria, riconobbe al Giappone il

  possesso della parte meridionale dell’isola di Sakhalin e della penisola del Liao-Tung ed il

 protettorato sulla Corea con Port Arthur ed i diritti sulla ferrovia in Manciuria. Infine i giapponesi

ottennero la cessione dei “diritti ed interessi” che la Russia aveva ottenuto dalla Cina, consistenti

nello sfruttamento della ferrovia mancese meridionale costruita nel 1898. Il Giappone veniva così

assunta a Potenza internazionale di primo piano, mentre la Russia, declassata, abbandonò

l’espansione in Estremo Oriente, riprendendo la sua presenza attiva nei Balcani. La clamorosa

vittoria nipponica, inoltre, infranse il mito dell’invincibilità e della supremazia della razza bianca,

incoraggiando l’”asiatismo” ed i nazionalismi in Indocina, India e Cina. L’espansione e la crescita

giapponese non si esaurì con la Pace di Portsmouth. Tra il 1907 ed il 1913, il Giappone stipulò

nuove convenzioni con la Cina che gli permisero di costruire in Manciuria nuove diramazioniferroviarie e di sfruttare miniere di carbone, organizzando in pratica tutta la vita economica della

regione. Nel 1910, poi, Tokio procedette all’annessione della Corea, dove si erano stabiliti già più

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di 50.000coloni giapponesi. Il sogno di diventare “l’Inghilterra d’Asia” stava prendendo corpo. I

nuovi territori acquisiti fornirono risorse alimentari per la crescente popolazione nipponiche, ferro e

carbone per l’industria metallurgica giapponese che, migliorata qualitativamente grazie all’apporto

tecnologico britannico, dotò il Giappone di un’industria bellica quasi autonoma e sempre più

 potente quanto efficiente. Sebbene infatti il più grande avversario del Giappone in Asia (ovvero la

Russia) era stato debellato, il Giappone non smise di riarmarsi ed organizzare il proprio esercitosecondo gli standard europei. Una legge militare del 1906 ampliò la coscrizione obbligatoria ed in

cinque anni il contingente di leva aumentò di 50.000 uomini; la Marina militare, che nello scontro

con la Russia era uscita totalmente sconfitta, varò nuove corazzate ed incrociatori divenendo nel

1913 la quarta Marina del mondo e la dominatrice dell’Estremo Oriente. Tutto però faceva credere

che il Giappone non intendesse usare questa potente struttura bellica, poiché nel 1913 il Parlamento

giapponese osteggiò la crescita delle spese militari e navali, votando anche una mozione di sfiducia

al Ministero Katsura, ritenuto troppo influenzato dagli ambienti militari. Inoltre, nel 1914, assunse il

  potere il Gabinetto Okuma, che con i suoi stretti legami con il trust  della Mitsubishi, favorì la

 politica degli affari e l’espansione economica, piuttosto che quella armata.

In Cina la situazione naturalmente era diversa. Nonostante alcune timide riforme (nel 1901 era stato

creato il primo Ministero degli Esteri cinese), il Celeste impero era ancora lontano dal costituire unoStato moderno. Ad esempio l'esercito continuava ad essere fragmentato in una miriade di centri di

comando, facenti capo ai "signori della guerra" nelle diverse province, alle quali spettavano anche

la riscossione dei tributi, minando ulteriormente la stabilità dell'impero. Anche un progetto per 

l'istaurazione di una monarchia costituzionale era fallita assai presto, scontrandosi con i

conservatori della dinastia Manchù, rappresentati dal principe Chu, reggente del giovane Pu Yi

(figlio della saggezza), salito sul trono nel 1908. Del resto, la "politica della porta aperta"

avevafrenato il processo di ricostruzione interna, favorendo la disintegrazione regionale e la guerre

civili fomentata dai capi locali. Solo il nazionalismo di Sun Yat-Sen, medico cantonese e fondatore

del partito Kuo-min-tang (partito nazionalista), riscosse sul momento notevole successo. Il

nazionalismo di Sun Yat-Sen non aveva solamente una matrice anti-imperialista, ma propugnava

anche una unità nazionale e razziale basata sul sangue, svincolata dai legami clanici e familiari. Il

medico evocava, tramite il concetto dei "Tre principi del popolo" (indipendenza nazionale,

ordinamento democratico, benessere della popolazione), l'ideale di uno Stato centrale, forte ed in

grado di contrastare la forza centrifuga delle province. A Nanchino, il 1 gennaio 1912,

un’assemblea nazionale proclamò la Repubblica con Sun Yat-Tsen presidente provvisorio,

costringendo l'ultimo imperatore Manchù, Pu Yi, ad abdicare, il quale però lasciò tutti i poteri a

Yuan Shi-Kai, un generale legato alla dinastia mancese. Per evitare una guerra civile, Sun Yat-Tsen

si dimise. I legami del neo-presidente si rivelarono fatali per la repubblica, poichè dissolse

l'Assemblea nazionale, bandendo il Kuomintang. Yuan Shi-Kai assicurò così alla vecchia oligarchia

ed ai capi locali la continuità del potere, allontanando la possibilità di un rinnovamento

democratico. La revisione dei trattati ineguali, la restaurazione completa della sovranità cinese e lamodernizzazione dei economica e tecnologica furono, punti cardine della rivoluzione di Sun Yat-

Sen, furono ovviamente totalmente disattesi dalla la dittatura di Yuan Shi-Kai, lasciando la Cina in

 balia dell'imperialismo giapponese.

L’entrata degli Stati Uniti sulla scena politica mondiale

Gli Stati Uniti d’America mantennero per la maggior parte dell’Ottocento il ruolo di uno Stato

  periferico, nonostante l’importante sviluppo industriale e marittimo e l’espansione territoriale

avvenuta principalmente ai danni del Messico. La politica estera statunitense fu in questo periodo

sempre dominata dalla costante preoccupazione di evitare ingerenze europee, seguendo lo spirito

della dichiarazione Monroe del dicembre 1823. Tale politica fece dall’isolazionismo emisferico dei“padri fondatori” e dell’avversione verso quelle che venivano definite le entangling alliances la

  propria bandiera. Nella dottrina Monroe si racchiudevano tutte le esigenze e gli interessi

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geostrategici degli Stati Uniti, nonché la superiorità e l’incompatibilità del modello politico

nordamericano rispetto a quello degli imperi continentali europei.

La dottrina Monroe però non fu un concetto monolitico e statico, poiché va tenuto in debito contoche nel corso degli anni essa si arricchì di nuovi concetti ed interpretazioni, poste in essere dalle

varie amministrazioni20. Si trattò, almeno dal periodo compreso tra il 1865 ed il 1895, di

interpretazioni di natura conservativa, che non spostarono di molto i cardini della politica estera

statunitense, tradizionalmente legata all’isolazionismo, soprattutto perché gli Stati Uniti non ebbero

ancora la forza di porre in essere una politica eccessivamente aggressiva, dopo le distruzioni causate

dalla guerra civile. Non va tuttavia pensato che nell’arco di questo periodo Washington non

 perseguì una politica espansionistica. Le forze profonde, che poi si manifestarono indiscutibilmente

nel 1898, esistevano già e non incarnavano solo lo spirito del  Manifest destiny esposto da John

O’Sallivan nel 1845, in occasione della rivendicazione del Texas e dell’Oregon. I jeffersoniani ad

esempio, scettici riguardo all’amministrazione del potere federale e sempre timorosi verso tutte le

forme di imperialismo, non misero mai in discussione i principi dell’espansione territoriale così  profondamente radicati nella psicologia nordamericana. Ciò che invece fu messo in discussione

furono i modi, i tempi ed i fini dell’espansione, che doveva essere diretta a mettere al sicuro territori

contigui per stabilirvisi nel futuro, sottraendoli ad entità straniere. L’imperialismo, per contro, era

rifiutato in toto, poiché considerato come amministrazione di territori stranieri, dove il governo

violava i diritti dei governati. Gli Stati Uniti dovevano in sintesi rimanere il campione della

democrazia. Questo concetto jeffersoniano, proprio di uomini di stato come William Jennings

Bryan, ebbe molti sostenitori nel cuore degli Stati Uniti, ma fu sempre osteggiato dalle zone

industrializzate dalla East Coast, che temendo una perdita di credibilità sul mercato internazionale,

auspicarono invece una attiva politica tariffaria e la conquista di nuovi mercati. Ciò nonostante

l’ideale jeffersioniano permeò spesso l’azione degli Stati Uniti, generando un singolare tipo di

“imperialismo umanitario”.

  Nel 1867 il Segretario di Stato William Seward, sotto la presidenza Johnson, dichiarò che gli

sarebbero stati sufficienti anche trenta anni per poter dare agli Stati Uniti tutto il continente

americano e il dominio del mondo. Seward non andò così lontano, ma estese la sovranità

statunitense all’Alaska, acquistata dalla Russia nel 1867 per 7.200.000 di dollari, e nello stesso anno

alle isole Midway nel Pacifico. Un altro tentativo del Segretario di Stato di acquistare le isole

Vergini (Indie Occidentali danesi) fallì per il dissenso del Congresso. Sotto l’amministrazione del

Presidente Grant, nel 1870, il Senato rifiutò un trattato di annessione di Santo Domingo. Nel 1869

fu aperta una base navale nelle isole Samoa, la quale fu causa di un contenzioso diplomatico con la

Germania e la Gran Bretagna21. Si trattò di tentativi di espansione che palesarono non solo la

volontà nordamericana di rivendicare un ruolo egemone nell’emisfero occidentale, come anche unaltro dei cardini degli interessi di Washington, ossia l’Oceano Pacifico. Indubbiamente il primo

  passo per la concretizzazione dell’egemonia sull’emisfero occidentale fu l’organizzazione della

Conferenza di Washington del 1889-90, meglio conosciuta anche come Prima Conferenza

Panamericana, con la quale si tentò di erigere un sistema per la sistemazione pacifica delle

controversie, la creazione di una unione doganale, e codificare il diritto internazionale in quanto ai

20Nel 1870 sotto l’amministrazione del presidente Grant si parlò della clausola del “non trasferimento” legata alla

Dottrina Monroe, ovvero il divieto da parte delle Potenze straniere di ottenere, anche con mezzi pacifici e perfettamentelegali, come ad esempio trattati internazionali, territori nelle Americhe. Un concetto che era stato espresso, avvalendosidei concetti della Dottrina Monroe, dopo che la Confederazione tedesca aveva tentato di acquistare una base navale aSamaná (Santo Domingo).21 La controversia fu risolta mediante una conferenza che ebbe luogo a tenuta a Berlino il 15 giugno 1889 (la primaconferenza internazionale tenuta in lingua inglese), che stabilì un condominio internazionale tripartito sull’arcipelago. Nel 1905 le isole furono divise in una parte occidentale ed una orientale, rispettivamente tra Germania e Stati Uniti,

avendo la Gran Bretagna rinunciato ad esercitare la propria sovranità in favore delle isole Fiji e Tonga.

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reclami e interventi diplomatici. Una conferenza alla quale parteciparono tutti gli Stati

latinoamericani tranne Santo Domingo22 e che, anche se non dette tutti i frutti sperati, servì agli

Stati Uniti soprattutto per dimostrare ai delegati sudamericani, portati in un lungo giro di 6.000 per 

l’Unione, i progressi e lo sviluppo sia dell’industria che dell’agricoltura nordamericana. In effetti

l’industria e l’agricoltura erano cresciute oltre le necessità dei bisogni degli Stati Uniti e fu proprio

dal 1890 in poi che nella dirigenza politica statunitense (James Blaine), come anche nei gruppiindustriali, si fa strada l’idea che i mercati esteri fossero essenziali per un’ulteriore crescita

economica. Ma per avere questi mercati era necessario porre in essere una politica estera più

aggressiva ed intraprendente. Dello stesso avviso era Alfred Thayan Mahan, che nel 1890 pubblicò

la sua celebre opera The influence of Seapower on history, 1660-1783, secondo la quale gli Stati

Uniti per divenire veramente una grande Potenza dovevano sviluppare tre elementi, ovvero la

costruzione di un canale interoceanico in sudamerica, avviare un serio programma di

ammodernamento della flotta da guerra23 e stabilire postazioni commerciali e militari nel Pacifico,

  per accrescere il commercio con la Cina. Tutti elementi che poi furono puntualmente portati a

compimento.

La politica americana si impose prepotentemente nel giugno del 1895 in occasione della

controversia territoriale che oppose il governo inglese al Venezuela per la delimitazione dei confinidella Guiana britannica ed in particolare per il possesso del territorio situato alla foce dell’Orinoco.

L’intervento militare inglese fu scongiurato proprio dal Presidente Cleveland, che, invocando il

rispetto della Dottrina Monroe, impose all’Inghilterra di sottoporre la vertenza ad un arbitrato

internazionale. La mediazione statunitense fu per gli Stati Uniti fu una vittoria diplomatica di

notevole rilievo, dato che per la prima volta fu riconosciuto pubblicamente ed ufficialmente dalla

Gran Bretagna la predominanza nordamericana sull’emisfero occidentale (il Segreatrio di Stato

Olney dichiarò che gli Stati Uniti erano sovrani nel continente e la loro volontà era legge),

sconfiggendo di riflesso anche l’imperialismo europeo, anche se pochi anni dopo l’arbitrato favorì

gli interessi britannici24. L'evento ebbe la conseguenza di accrescere la coscienza nazionale e lo

spirito militare statunitense (per alcuni giorni si parlò anche di una possibile guerra tra Stati Uniti e

Gran Bretagna), e fu il primo passo teso a cercare di eliminare gli interessi che le Potenze europee

  possedevano nell’area ed in particolare nel Mar delle Antille, zona strategica in vita della

costruzione del canale interoceanico. In questo contesto gli Stati Uniti diressero la propria

attenzione verso la questione di Cuba, possedimento spagnolo, dove proprio nel febbraio del 1895

era in atto una guerra di indipendenza. Per Washington l’isola era importante non solo per motivi

strategici, ma anche per ragioni finanziarie ed economiche (considerevoli erano le risorse della

colonia, quali, canna da zucchero, tabacco, ferro), dal momento che già da tempo i capitali

nordamericani vi erano stati investiti. Già durante la prima sollevazione indipendentista di Cuba

(1868-1878), gli ambienti finanziari ed economici nordamericani si erano interessati alle sorti

dell’isola, ma il governo di Washington, ancora troppo debole a causa dei postumi della Guerra

civile, non era stato in grado di intervenire. Il Presidente Grover Cleveland dichiarò nel 1895 laneutralità statunitense di fronte al conflitto in atto a Cuba, ma il suo successore William McKinley,

 più sensibile alle pressioni dell’opinione pubblica ed alla stampa sensazionalistica capeggiata dal

magnate W. R. Hearst. Dopo che nel febbraio del 1898 la corazzata  Maine saltò in aria nel porto

dell’Avana, gli Stati Uniti si avviarono verso quella che fu definita la Splendid little war , una guerra

22 Il governo dominicano rifiutò di partecipare perché Washington non aveva ratificato il trattato bilaterale di arbitrato e

reciprocità commerciale del 1884.23

Nel 1890 la Marina statunitense non era ancora in grado di competere efficacemente con le potenze navali europee.Lo dimostrò un evento spesso dimenticato dalla storiografia, ossia il linciaggio nel marzo del 1891 di undici immigratiitaliani a New Orleans, che provocò quasi la rottura delle relazioni diplomatiche tra Italia e Stati Uniti. La minaccia da parte italiana di inviare delle corazzate per ottenere giustizia scatenò un ampio dibattito in seno agli ambienti politici e

militari statunitensi, facendo sorgere seri dubbi sulle difese navali della US navy.24

L’arbitrato si risolse nell’ottobre del 1899, concedendo al Venezuela il delta dell’Orinoco ed il territorio a sud dellostesso fiume. Tuttavia alla Gran Bretagna fu garantito la maggior parte del territorio originariamente conteso, situato tra

i fiumi Orinoco ed Esequibo.

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dichiarata alla Spagna l’11 aprile 1898, e che si estese anche all’Estremo Oriente, nelle Filippine.

La Marina statunitense era riuscita ad essere la quinta del mondo ed era nettamente superiore a

quella spagnola così che in tre mesi le forze spagnole furono sconfitte sia nelle Filippine che a

Cuba. Per il trattato di pace di Parigi del 10 dicembre 1898, la Spagna fu costretta a rinunciare alla

sovranità su Cuba ed a cedere Porto Rico, le Filippine e l’isola di Guam per 20 milioni di dollari,

mentre sarebbero invece rimaste sotto sovranità spagnola tutti gli altri possedimenti non menzionati,ovvero le isole Marianne, Caroline e Palaos25. Dal trattato di Parigi rimasero erroneamente escluse

alcune isole delle Filippine, Sibutú e Caigán, che furono successivamente acquistate dagli Stati

Uniti, rafforzando ulterioremente la loro presenza nel Pacifico26.

Inizialmente per Cuba era stata prevista l’indipendenza, specificatamente prevista

dall’“emendamento Teller”, annesso alla risoluzione favorevole alla guerra votata dal Congresso,

  per il quale gli Stati Uniti si impegnavano a ritirarsi da Cuba una volta posto termine alla

dominazione spagnola. Il Congreso desiderò così distanziarsi dale forme dell’imperialismo classico,

  ponendo invece l’accento sul fattore umanitario, ovvero l’emancipazione del popolo cubano dal

giogo coloniale spagnolo. In realtà poi le cose andarono diversamente poichè l’emendamento Teller 

fu a sua volta rimpiazzato dall’emendamento Platt annesso alla prima Costituzione cubana e con il

quale gli Stati Uniti venivano non solo autorizzati ad intervenire nell’isola ogni qual voltaritenessero che la sua indipendenza fosse in pericolo, ma si condeva l’uso della base di

Guantanamo. Cuba ottenne l’indipendenza nel 1902, dopo essere stata amministrata da governatori

militari statunitensi. Nelle Filippine invece, dopo che McKinley parlò di benevolent assimilation, si

instaurò un vero e proprio protettorato che provocò una sollevazione popolare guidata da Emiliano

Aguinaldo che si trasformò in una sanguinosa guerra di guerriglia protrattasi dal 1899 al 190227. Le

elezioni presidenziali del 1900 avevano comunque visto la nascita del dibattito sull’imperialismo, al

  punto che la contesa elettorale fu anche definite un referendum on imperialism, anche se poi la

fazione vincente fu quella repubblicana, dominata dai sostenitori di McKinley.

Theodore Roosevelt, salito al potere dopo l’assassinio del Presidente Mckinley nel 1901, proseguì

l’attiva politica statunitense in Estremo Oriente, appoggiandosi al Giappone, comprendendo il suo

 bisogno di materie prime e di nuovi mercati. Per questo motivo Roosevelt riconobbe segretamente il

  protettorato giapponese sulla Corea, in cambio della rinuncia del Giappone a qualsiasi pretesa

sull’arcipelago filippino. Nel novembre del 1908 l’accordo Root-Takahira riconobbe la supremazia

economica del Giappone in Manciuria e lo status quo nel Pacifico.

La Guerra ispano-americana ebbe un notevole influsso sugli sviluppi relative al canale

interoceanico, sul quale pesava l’ipoteca del trattato Clayton-Bulver del 1850, per il quale Stati

Uniti e Gran Bretagna avevano assunto l’impegno reciproco a non esercitare un controllo esclusivo

su questa grande opera una volta che fosse stata costruita. Già nel 1880 il Presidente Hayes aveva

dichiarato che il canale avrebbe collegato i porti dell’Atlantico con quelli del Pacifico e che quindi

avrebbe dovuto essere sotto il controllo esclusivo degli Stati Uniti. Tale questione divenne

maggiormente di primaria importanza quando nel 1898 le Antille divennero un “mare americanum”e gli Stati Uniti si insediarono nel Pacifico godendo non solo degli ex-possedimenti spagnoli, ma

anche della contemporanea annessione delle isole Hawaii. La Gran Bretagna, abbandonata ogni

velleità nell’emisfero occidentale dopo il 1895, e impegnata nella guerra anglo-boera non fu in

grado di sollevare obbiezioni. Il 18 novembre 1901, il trattato Hay-Pauncefote riconobbe al governo

statunitense non solo di costruire il canale nell’istmo di Panama, ma anche di installarvi delle

25Le isole Marianne, Caroline e Palaos, occupate effettivamente dalla Spagna nel 1885, furono cedute alla Germania

 per il trattato ispano-tedesco del 30 febbraio 1899 per 25 milioni di marchi.26

Il passaggio di queste due isole agli Stati Uniti fu ratificato dal trattato ispano-americano del 7 novembre 1900 per 100.000 dollari.27 Gli Stati Uniti alla fine riuscirono a prevalere sulla guerriglia a prezzo di dure perdite (persero la vita più di 4.000

soldati statunitensi e 20.000 filippini) ed imposero un proprio protettorato sull’arcipelago. Negli anni a venire nonmancarono le iniziative per concedere l’indipendenza alle Filippine, tra cui il   Jones Act (1916) annunciante il ritirodegli Stati Uniti non appena vi fosse stato un governo stabile, ed il Tydings-McDuffie Act  (1934), secondo il quale

Washington avrebbe concesso l’indipendenza dieci anni dopo che si fosse formato un governo con una Costituzione.

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fortificazioni, pur parlando di neutralità del canale. La preminenza degli Stati Uniti sul canale

avrebbe dovuto essere consacrata nel gennaio del 1903 con il trattato Hay-Herrán mediante il quale

si provvedeva alla concessione per 99 anni della zona del canale agli statunitensi. Il Senato

colombiano (Panama era una regione sottoposta alla sovranità della Colombia) però si rifiutò di

ratificarlo, così che gli Stati Uniti intervennero nella così detta “guerra dei mille giorni”, un

conflitto civile che opponeva forze secessioniste panamensi al governo di Bogotà sin dal 1899.L’aiuto nordamericano agli indipendentisti porterà alla definitiva indipendenza di Panama nel

dicembre del 1903, e due settimane dopo venne stipulato il trattato Hay-Bunau Varilla, il quale

concesse agli Stati Uniti l’uso perpetuo del canale28.

La potenza statunitense nell'emisfero occidentale fu messa in dubbio da quella che può essere

definita la seconda crisi venezuelana, ricordando il confronto tra Stati Uniti e Gran Bretagna del

1895. Una crisi che vide questa volta la Germania come attore principale e che sarà causa di una

modificazione del concetto della dottrina Monroe. Nel 1902 il Venezuela del dittatore Cipriano

Castro decise di non riconoscere i debiti contratti prima dalla sua ascesa al potere. La Germania

vantava crediti per la costruzione della Grande Ferrovia Venezuelana, concessione ottenuta dalla

Krupp e finanziata dal Diskonto Gesellschaft . Avendo anche Inghilterra ed Italia avevano analoghi

crediti verso il governo venezuelano, il 9 dicembre 1902, dopo avere preventivamente avvertitoWashington, il “concerto europeo” delle tre Potenze decise di porre in essere un blocco congiunto

dei porti venezuelani. Gli Stati Uniti non furono contrari all’azione, ma Roosevelt ammonì le

Cancellerie europee di non utilizzare la crisi con Castro per impadronisrsi di nuovi territori. Il

 bombardamento di un forte da parte della Kriegsmarine, portò Roosevelt a credere che la Germania

intendesse effettivamente occupare una porzione del territorio venezuelano, minare la stabilità degli

interessi statunitensi dell'area ed in un secondo tempo attaccare gli Stati Uniti con il beneplacito

della Gran Bretagna29. Roosevelt optò per una strategia di deterrenza, mobilitando la flotta

statunitense per delle manovre nei Carabi per rispondere alla sfida tedesca, senza però farla uscira

dalle acque portoricane. Era in pratica il principio della “politica del big stick”, ossia dello speak 

softly and carry a big stick and you will go far 30. Parlare dolcemente (Speak softly), significava

lanciare dei segnali di avvertimento, indiretti ed informali, senza essere troppo aggressivi (le

manovre navali)ed essere poi trascinati in un conflitto. Il big stick era stato invece rappresentato

dalla flotta.

La crisi venezuelana rientrò quando il Dipartimento di Stato consegnò a nome del Venezuela alle

Potenze europee la domanda di arbitrato, le cui fasi finali si svolsero a Washington e non in una

capitale europea, né a Caracas, e ciò a sottolineare il potere nordamericano. Roosevelt però si era

convinto che le intrusioni delle Potenze europee potevano verificarsi non solo attraverso una

comune aggressione, ma anche tramite l'instabilità o irresponsabilità (debiti pubblici) all'interno

degli Stati latinoamericani. Per questo motivo, il 6 dicembre 1904, Roosevelt, nel suo annuale

messaggio al Congresso, dichiarò che gli Stati Uniti avevano non solo il diritto di opporsi agli

interventi europei nell'emisfero occidentale, ma potevano anche intervenire negli affari interni degliStati latinoamericani quando questi si fossero dimostrati incapaci di proteggere gli investimenti

nella regione (Chronic wrongdoing, or an impotence which results in a general loosening of the ties

of civilized society, may in America, as elsewhere, ultimately require intervention by some civilized 

nation, and in the Western Hemisphere the adherence of the United States to the Monroe Doctrine

may force the United States, however reluctantly, in flagrant cases of such wrongdoing or 

28Sebbene a Panama fossero elargiti 10 milioni di dollari e garantito il pagamento annuo di 250.000 dollari, tale trattato

è anche conosciuto come “il trattato che Panama mai firmò”, poichè Philippe Bunau Varilla non rappresentava ilgoverno panamense, essendo un uomo d’affari francese azionista della Compagnie Nouvelle du Canal de Panama.29 La Marina tedesca aveva effettivamente studiato, tra il 1901 ed il 1903, un piano per attaccare gli Stati Uniti (Piano

Operativo III). Gli Stati Uniti predisposero il   Black war plan, un piano difensivo del territorio nazionale basatoesclusivamente sulle forze della US Navy e che curiosamente fu declassificato solo alla fine degli anni Cinquanta.30 La frase era stata tratta da un proverbio africano e fu usata per la prima volta pubblicamente da Roosevelt alla

 Minnesota State Fair il 2 settembre 1901.

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impotence, to the exercise of an international police power ). Fu il così detto Corallario Roosevelt

alla dottrina Monroe, che trovò immediata applicazione durante la crisi avvenuta nella Repubblica

dominicana, dove il locale governo non era riuscito a colmare i 22 miliardi di dollari con gli

investitori europei e statunitensi. Quando Francia ed Italia minacciarono di intervenire, Roosevelt

 prese il controllo delle dogane, distribuendo il 55% degli introiti a Santo Domingo ed il resto ai

creditori europei. Simili interventi si verificheranno sia in Nicaragua che ad Haiti e negli anni avenire, sia Roosevelt che altri presidenti impiegheranno il Corollario per giustificare interventi o

occupazioni in altre nazioni latinoamericane Cuba (1906-09), Nicaragua (1909-11, 1912-25 e1926-

33), Haiti (1915-34), e Santo Domingo (1916-24). Da sottolineare che il diritto di intervento fu

anche "codificato" dagli Stati Uniti in occasione della Conferenza dell'Aia del 1907, facendo

  pressioni affinchè vi fosse inserita la così detta "Clausola Porter", stabilente genericamente la

rinuncia dell'impiego della forza per il recupero dei debiti pubblici, ma permettendola nei casi in cui

il debitore si fosse rifiutato di sottomettersi ad un arbitrato o non seguisse i risultati del lodo. Tutto

ciò in aperto contrasto con la giurisprudenza latinoamericana, che sosteneva, proprio sin dalla

seconda crisi venezuelana che un debito contratto da un Paese non poteva essere l’occasione per 

giusticare un intervento armato né l’occupazione da parte di un'altra potenza (Dottrina Drago)31.La

 presenza ed il controllo nordamericano sull’emisfero occidentale, ed in particolare nei Carabi ed inCentroamerica, fu poi reso ancora più effettivo mediante la dollar diplomacy, intrapresa dal 1909 al

1913 dal presidente Howard Taft e dal Segretario di Stato Philander Knox, un avvocato fondatore

della U.S. Steel Company. Secondo la visione di questa dottrina il fine della diplomazia doveva

essere quella di creare stabilità ed ordine nei Paesi sudamericani (ma anche in Cina) e porre le

condizioni per promuovere gli interessi commerciali statunitensi mediante l’utilizzo di capitali

  privati. In altri termini, il governo statunitense avrebbe promosso l’industria, il commercio e gli

investimenti all’estero, proteggendo poi questi nuovi mercati con l’uso della diplomazia e, se

necessario, anche con l’uso della forza. La dollar diplomacy fu usata intensivamente assieme al

Corollario Roosevelt dal Dipartimento di Stato per intervenire nei Paesi centroamericani, ma anche

in Estremo Oriente ed in particolare in Manciuria, ignorando gli accordi stipulati da Roosevelt con

il Giappone nel 1908. In Manciuria, dove Taft intese partecipare alla costruzione della ferrovia di

Hukuang, la dollar diplomacy incontrò la ferma opposizione giapponese, che, firmando un trattato

di amicizia con la Russia, impedì ai gruppi finanziari statunitensi di penetrare nella regione. Ma, a

 parte questo incidente di percorso, la diplomazia del dollaro ebbe un notevole sviluppo, così che gli

Stati Uniti, divennero esportatori di capitali, facilitando l’espansione commerciale e consolidando la

strada verso una politica di zone di influenza, spesso associate ad interessi strategici. Tuttavia, dopo

sedici anni di governo repubblicano, nel novembre del 1912, il partito democratico tornò al potere

con Woodrow Wilson ed il suo Segretario di Stato William Bryan, i quali annunciarono subito di

non proseguire la politica della dollar diplomacy.   Nelle intenzioni della nuova presidenza

democratica, imbevuta di spirito jeffersoniano, era il momento di iniziare una nuova era nelle

relazioni internazionali, riportando in auge l’originaria concezione di espansione. Essa dovevaevitare di conquistare territori con la forza e comunque l’occupazione armata, se inevitabile, doveva

avere un limite temporale e cessare non appena le popolazioni di tali territori avessero raggiunto la

maturità necessaria per governarsi da sole. Parimenti, l’influenza finanziaria statunitense non

doveva avere come scopo ultimo quello di proteggere gli interessi particolaristici di pochi gruppi di

  potere, ma quello di mirare al benessere delle zone dove questa era diretta, accrescendo

contemporaneamente l’economia del nordamerica. Questo idealismo fu enunciato subito da Wilson

in un discorso all’Università di Mobile del 27 ottobre 1913, nel quale il presidente sconfessò la

“diplomazia del dollaro” e condannando l’operato dei gruppi finanziari che tendevano a stabilire

 posizioni di monopolio e controllo su altri Stati. Si volle rassicurare i vicini latinoamericani che gli

Stati Uniti avrebbero agito nei loro confronti su di un piano di uguaglianza, favorendo al contempo

le libertà costituzionali fondamentali e gli ideali universali della democrazia. Oltre al ripudio della

31Dal giurista argentino Luis María Drago (1859-1921).

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 politica di Taft, fu anche la prima esposizione di quella che poi sarebbe stata definita la “diplomazia

missionaria”. Tuttavia, nonostante queste lodevoli e rassicuranti affermazioni, Wilson procedette a

salvaguardare gli interessi statunitensi in America latina con strumenti simili, se non uguali, a quelli

di Taft e della dollar diplomacy. Ad Haiti, Santo Domingo, Nicaragua, l’intervento wilsoniano fu

motivato dalla protezione degli investimenti e degli interessi strategici navali, nel nome del

Corollario Roosevelt e della dollar diplomacy, anche se non apertamente evocati. L’esempiomicroscopicamente più emblematico fu l’intervento politico e militare nella politica messicana nel

1913. Il Messico occupava infatti in quel periodo il terzo posto nella produzione mondiale di

 petrolio, materia prima salita alla ribalta dopo l’introduzione dei motori marittimi a nafta, e gli Stati

Uniti furono subito preoccupati quando l’Inghilterra riconobbe nel 1913 il governo rivoluzionario di

Victoriano Huerta, che aveva rovesciato con un colpo di stato il presidente Francisco Madeiro.

Temendo che il nuovo governo favorisse i petrolieri britannici, escludendo le società statunitensi,

Wilson non riconobbe Huerta, premendo affinché fossero indette libere elezioni. Il nuovo leader 

messicano rifiutò così che Wilson, prendendo a pretesto un incidente che aveva coinvolto alcuni

marinai statunitensi nella città di Tampico, non esitò ad occupare il porto di Vera Cruz (21 aprile

1913), centro nevralgico del commercio estero messicano. A nulla valse l’intervento mediatore di

Argentina, Brasile e Cile (le così dette  ABC powers) che tennero un congresso a Niagara Falls inCanada per trovare una soluzione tra Messico e Stati Uniti. Huerta fu costretto a rassegnare le

dimissioni nel luglio del 1914, a causa dell’opposizione interna guidata dai constitucionalistas di

Venusiano Carranza, un nazionalista che, come Huerta, non fu pronto a seguire la politica imposta

da Washington. Per gli Stati Unititi si aprì nuovamente una nuova crisi, che la nuova politica di

Wilson dovette affrontare con i “vecchi” metodi di Roosevelt e Taft.

I riflessi della “Grande Guerra” sui fronti extraeuropei: diplomazia, neutralità ebelligeranza

Asia e AmericheIndubbiamente, al momento dell'assassinio dell'Arciduca Ferdinando, da parte dello studente

Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914, erano solo due le Potenze extraeuropee in grado di influire

sull'andamento di quella che di lì a poco sarebbe stata la Prima Guerra mondiale: il Giappone e gli

Stati Uniti.

In Estremo Oriente le Potenze dell'Intesa trovarono nel Giappone uno scomodo alleato, ben

conoscendo i suoi smoderati desideri di "spazio vitale". Tokio, per entrare in guerra contro la

Germania, unica nazione facente parte degli Imperi centrali con cui poteva venire immediatamente

in contatto32, invocò il trattato anglo-giapponese del 1902, rinnovato nel 1905. Tale trattato avrebbe

in realtà teoricamente permesso al Giappone di rimanere tranquillamente neutrale di fronte al

conflitto, ma l'occasione di acquistare nuovi territori in Asia e nel Pacifico ai danni della Germania

fu considerata dal Gabinetto del Primo Ministro giapponese Okuma Shingenobu, troppo favorevole

 per essere persa. Il 15 agosto 1914 il Giappone inviò una nota al governo imperiale tedesco nella

quale, "con lo scopo di rimuovere le cause di disturbo alla pace in Estremo Oriente e salvaguardare

gli interessi contemplati dall'accordo anglo-giapponese", fu intimato a Berlino di ritirare tutte le

navi da guerra dalle acque cinesi e giapponesi e di evacuare senza compenso alcuno i possedimenti

tedeschi in territorio cinese entro il 15 settembre. La mancata risposta alla nota entro il 23 agosto

avrebbe causato lo stato di guerra tra le due nazioni. Fu evidente che il Giappone aveva intenzione

32 La Francia propose al Giappone di inviare contingenti sui fronti europei, ma Tokio rifiutò, adducendo come

giustificazione che non aveva interessi diretti in Europa.

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di occupare non solo Kiao-Chao33 e Tsing-Tiao nello Shantung, ma anche nel Pacifico le isole

Samoa34, Marshall, Caroline, Salomone, Marianne, Nauru, Arcipelago delle Bismarck 35, Kaiser-

Wilhelmsland e Palaos. Berlino non rispose all'ultimatum nipponico ed il Giappone dichiarò

formalmente guerra alla Germania il 23 agosto 191436. L'esercito giapponese sbarcò il 2 settembre

nello Shantung, impossessandosi il 27 settembre di Kiao-Chao ed il 7 novembre ebbe ragione dei

4.000 soldati tedeschi a protezione di Tsing-Tao. Contemporaneamente la flotta del Sol Levanteattaccò le isole tedesche nel Pacifico. L'entrata in guerra di Tokio, anche se tranquillizzò la Russia,

che non si dovette preoccupare dell'apertura di un secondo fronte in Asia, allarmò la Gran Bretagna,

timorosa che l'intraprendenza giapponese provocasse eccessivi squilibri nello scacchiere asiatico

con probabili proteste statunitensi. Le preoccupazioni britanniche dopo poco presero corpo quando

il 18 gennaio 1915 il Giappone impose alla Cina, guidata dal presidente Yuan Shi-Kai, di accettare

una nota diplomatica nella quale erano contenuti i così detti “21 richieste”, dove praticamente Tokio

intendeva fare della Repubblica cinese un suo protettorato esclusivo. Specificatamente il Giappone

chiese tra l’altro che; la provincia dello Shantung entrasse all’interno della sua sfera di influenza e

che la Manciuria meridionale e la Mongolia orientale divenissero province giapponesi; la valle

mineraria dello Yangtse fosse un monopolio nipponico; la Cina accettasse consiglieri civili e

militari giapponesi e che questi controllassero l’esercito, le finanze e l’amministrazione dellarepubblica; il governo cinese avrebbe fatto cessare la penetrazione delle Potenze occidentali,

impegnandosi a non cedere o dare in affitto a terze potenze porti, baie o isole al largo delle sue

coste. Insomma, le “21 richieste” avrebbero messo in serio pericolo gli interessi commerciali ed

industriali britannici, togliendo praticamente senso anche al trattato anglo-giapponese, che garantiva

l’integrità cinese e pari opportunità per tutte le Potenze. La Cina capitolò alle richieste giapponesi

l’8 maggio, dopo che il Giappone minacciò di aprire le ostilità, sebbene l’intervento diplomatico

anglo-americano avesse fatto si che il Giappone rinunciasse a diverse richieste, tra cui quella dei

consiglieri. L’influenza giapponese sulla Cina fu comunque di breve durata in quanto, non solo la

Repubblica cinese non ratificò mai il trattato scaturito dall’ultimatum, poiché, anche se alla fine

della guerra il Trattato di Versailles concesse al Giappone i possedimenti tedeschi, la Conferenza di

Washington (1921-22) riportò lo Shantung sotto sovranità cinese. In ogni caso, durante la Prima

Guerra mondiale, sia l’Inghilterra che gli Stati Uniti, rimasero colpiti dalla violenta politica

giapponese verso il continente cinese. Probabilmente lo sarebbero stati ancora di più se avessero

conosciuto i termini dell’accordo segreto tra Russia e Giappone del 3 luglio 191637. Questo trattato

si componeva di due parti, una pubblica ed una segreta ed aveva lo scopo di dividere la Cina in una

doppia sfera di influenza russo-giapponese. La parte resa nota alla stampa dichiarava che se le

reciproche sfere di influenza in Asia fossero state messe in pericolo, Russia e Giappone si sarebbero

consultate per proteggere i propri interessi. Ma il vero e proprio trattato segreto, valido sino al 1921,

riconosceva esplicitamente gli interessi cinesi e russi in Cina e la necessità di proteggere questa

nazione dall’influenza dei terze Potenze. Ma non solo; se Russia e Giappone fossero state attaccate

da una terza Potenza si sarebbero prestate assistenza armata, rinunciando anche a stipulare una paceseparata. Non che il Giappone avesse necessità dell’aiuto russo, ma il trattato era visto dai

giapponesi in una prospettiva di lungo termine, in previsione di una spartizione della Cina alla fine

della guerra, quando gli equilibri mondiali sarebbero cambiati. Il Giappone inoltre, vista

l’opposizione inglese e statunitense alla politica di Tokio verso la Cina, desiderava avere un alleato

in più. Non è difficile infatti intravedere nella “terza Potenza” proprio l’Inghilterra o gli Stati Uniti.

Proprio con quest’ultima il Giappone cercò di addivenire ad un compromesso il 2 novembre 1917,

33Nessuno credette che il Giappone intendesse riportare Kiao-Chao sotto la sovranità cinese, secondo quanto affermato

nell’ultimatum alla Germania.34 Le Samoa Occidentali furono occupate nel 1914 dalla Nuova Zelanda.35 L’Arcipelago, composta da diverse isole vulcaniche (Isole dell’Ammiragliato, Duca di York, Mussau, NuovaBritannia, Nuova Irlanda, Vitu) fu occupato dalla Marina australiana nel 1914.36 La Cina, spinta da Washington, dichiarò guerra alla Germania ed all’Austria-Ungheria il 14 agosto 1917.37

Il trattato segreto fu reso pubblico nel 1917 dal governo bolscevico.

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attraverso il così detto  Lansing-Ishii agreement , un accordo intercorso tra il Segretario di Stato

Robert Lansing ed il visconte Kikujiro Ishii, inviato speciale a Washington per conto del governo

giapponese. In questo accordo gli Stati Uniti e Giappone si impegnarono a riaffermare la politica

della “porta aperta” in Cina, dove Washington accettò che i giapponesi avessero un interesse

speciale. Tuttavia nella traduzione giapponese, il termine speciale, che alludeva ad eventuali diritti

economici, venne capziosamente tradotto con “sovrano”, in modo che il Giappone vedesse garantitii suoi diritti politici sulla Cina38. La caduta del regime zarista preoccupò ulteriormente il

Dipartimento di Stato verso le intenzioni giapponesi riguardo all’Estremo Oriente, sospettando che

Tokio intendesse occupare Vladivostock ed estendere il proprio dominio sulla ferrovia della

Manciuria del nord. Il che effettivamente avvenne nell’aprile del 1918, quando truppe giapponesi

sbarcarono nel porto siberiano, affrettando la decisione degli Stati Uniti a partecipare alla

spedizione multinazionale, assieme a Francia, Inghilterra e Italia, contro il governo bolscevico e

controllare così anche l’espansionismo giapponese nell’area. In ogni caso le posizioni guadagnate

dal Giappone in Asia nel 1919 era di tutto rispetto e non sarebbe stato facile per le Potenze

Occidentali frenare l'espansionismo e le ulteriori pretese del Sol Levante.

Gli Stati Uniti, seguendo la loro secolare politica di isolamento e neutralità di fronte ai conflitti

europei, aveva deciso al momento dello scoppio della guerra di rimanere neutrali, ed in tal senso siera espresso il presidente Wilson nel suo “appello alla neutralità” del 18 agosto 1914. Era difficile

se non impossibile fare una scelta immediata di campo. Tra l’Intesa figurava la Russia zarista, non

certo campione della democrazia, inoltre c’erano dieci milioni di statunitensi con radici tedesche o

irlandesi le cui simpatie andavano nettamente alla Germania. Il neutralismo wilsoniano però non

tese ad identificarsi con il puro isolazionismo, allontanandosi dai paesi in guerra, ma fu un

neutralismo “costruttivo”, nel senso che fu diretto a frapporsi ai contendenti, proponendosi come

mediatore. Tuttavia la guerra in Europa condizionò l’economia statunitense più di quello che era

stato previsto, soprattutto a causa delle misure prese della Marina britannica contro il contrabbando

di materie strategicamente utili. La  Royal Navy aveva infatti posto in essere un blocco navale, che

 provocò ritardi e danni alle flotte mercantili delle nazioni neutrali ed in particolare agli Stati Uniti.

A Washington si discusse a lungo se lottare per mantenere la libertà di commercio tra Paesi neutrali

ed Europa, o invece protestare vivacemente con gli Inglesi affinché fosse tolto il blocco,

avvantaggiando così gli Imperi centrali. Un altro aspetto sottovalutato fu la guerra sottomarina

tedesca, che, sin dal maggio 1915, iniziò a fare vittime tra i cittadini statunitensi che viaggiavano

sulle navi britanniche. I 128 statunitensi periti a bordo del piroscafo inglese  Lusitania, il 7 maggio

1915, rivelarono all’amministrazione Wilson tutta la gravità di questo problema. Il Segretario di

Stato Bryan tuttavia era ancora convinto che fosse possibile per gli Stati Uniti rimanere fuori dal

conflitto ed avere una politica equidistante sia nei confronti dell’Inghilterra che della Germania. Per 

ottenere ciò sarebbe stato necessario evitare qualsiasi attrito, soprattutto con la Germania,

rendendosi pertanto indispensabile impedire al naviglio statunitense di operare nella zona di guerra.

Wilson adottò invece una posizione piuttosto ferma verso la guerra sottomarina, chiedendo che laGermania condannasse formalmente l’affondamento delle navi e come procedesse ad un indennizzo

delle vittime americane39. Una ulteriore nota del 9 giugno 1916 di Wilson alla Germania causò le

dimissioni di Bryan, convinto che in quel modo la rottura delle relazioni diplomatiche con i tedeschi

fosse inevitabile. La politica di Wilson però non era fondamentalmente mutata e, sebbene ricevesse

  pesanti critiche da più parti, continuava ad essere diretta verso l’elevazione degli Stati Uniti a

Potenza mediatrice, che avrebbe imposto ai belligeranti di sottoporsi ad una conferenza di pace,

anche a costo di usare la forza e di entrare in guerra. In questo senso, la politica di Wilson si

avvicinava molto all’idealismo diplomatico di Bryan, che avrebbe voluto adottare per l’Europa una

 politica simile a quella dei cooling-off treaties, impiegati in sudamerica, ovvero trattati della durata

38 Il Lansing-Ishii agreement fu annullato nell’aprile del 1923.39

La Germania si rifiutò di fare ambedue le cose, anzi nel caso del  Lusitania, non biasimò l’operato del comandantedell’U-20, comandante Schwieger, che aveva operato il siluramento, poiché la nave inglese era armata ed operava in

zona marittima di guerra.

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di un anno che impegnavano a non iniziare le ostilità, o cessarle, per questo periodo, cercando di

trovare nel frattempo una soluzione alla controversia. Francia ed Inghilterra però rimasero piuttosto

diffidenti rispetto alle proposte wilsoniane, non credendo che gli Stati Uniti avrebbero mai

abbandonato la neutralità. Gli Stati Uniti furono costretti a rinunciare ad organizzare una conferenza

di pace e seguitarono nella propria politica di neutralità, che comunque fu sempre più politica che

economica, dal momento che le banche statunitensi furono piuttosto prodighe nei confronti dei prestiti chiesti dai Paesi dell’Intesa40. Nel novembre del 1916 Wilson facendo della neutralità la sua

carta vincente, ma mantenere questa condizione sarebbe stato sempre più difficile, poiché

l’Ammiragliato germanico aveva dal 1 gennaio 1917 decretato la guerra sottomarina ad oltranza,

ovvero permesso ai propri sottomarini di colpire il naviglio anche al di fuori delle coste francesi e

inglesi. Frutto di questa decisione fu non solo l’affondamento, il 25 febbraio 1917, della nave

inglese  Laconia con la morte di tre cittadini statunitensi, ma anche l’attacco a diverse navi di

 proprietà statunitense. L’opinione pubblica americana ormai aveva decisamente cambiato opinione

riguardo alla guerra e stava premendo per un intervento. A spingere ancora di più l’amministrazione

Wilson verso la dichiarazione di guerra contribuì la crisi diplomatica avvenuta tra Stati Uniti e

Germania per il “Telegramma Zimmerman”. Il 26 febbraio il governo statunitense fu informato da

Londra che i servizi segreti inglesi avevano intercettato e decifrato un messaggio diretto, cinquesettimane prima, dal ministro degli Affari Esteri tedesco, Arthur Zimmermann, all’ambasciatore a

Città del Messico, Heinrich Von Eckhardt, tramite l’ambasciatore a Washington, Bernstoff 41. Il

messaggio ordinava a Von Eckhardt che, in caso di guerra con Stati Uniti, avrebbe dovuto

convincere il governo messicano a fare causa comune con la Germania ed ad intavolare trattative

con il Giappone a lasciare gli Alleati e formare una nuova alleanza. Il Messico in cambio avrebbe

avuto un generoso aiuto economico e l’appoggio diplomatico per recuperare il Texas, che aveva

ottenuto l’indipendenza nel 1836, ed il Nuovo Messico e l’Arizona, persi nella guerra del 1845-48.

La delusione e la preoccupazione di Wilson fu estrema, soprattutto perché riapriva con il Messico di

Venustiano Carranza ferite non ancora rimarginate completamente.

Le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Messico durante la guerra

 Nel luglio del 1914, quando il presidente Huerta si autoesiliò ed il Messico fu in preda della guerra civile tra

 zapatistas, villistas e seguaci di Carranza, gli Stati Uniti sentirono ancora di più la necessità di controllare la

situazione messicana attraverso un locale governo stabile, che garantisse i settori finanziari, minerari e

industriali. Sino alla fine del 1914, Wilson aveva favorito Francisco “Pancho” Villa, vedendo in questo

rivoluzionario il leader giusto che avrebbe potuto favorire gli obiettivi di Washington in Messico. Questa

scelta fu dovuta essenzialmente al fatto che nel territorio controllato da Villa, le imprese statunitensi non

erano tassate, né confiscate, a differenza di quanto succedeva in quello di Carranza e dei constitucionalistas.

Dopo aver terminato le scorte di cotone e bovini, Villa, per mantenere il suo esercito, iniziò a tassare le

 proprietà statunitensi. Le relazioni tra Villa e Wilson peggiorarono ulteriormente quando gli Stati Uniti nel

40Il governo statunitense negli anni Trenta dette vita ad un’apposita commissione per 

investigare le vere ragioni dell’entrata in guerra degli Stati Uniti e per verificare se i

fabbricanti di armi avessero influenzato la decisione di partecipare al conflitto. La

Senate Munition Committee, meglio conosciuta anche come   Nye Committee, tra il

1934 ed il 1936 concluse che gli Stati Uniti avevano prestato dal 1915 al 1917

all’Inghilterra più di 2 miliardi di dollari, contro i 27 milioni prestati alla Germania,

arrivando alla conclusione che fu nell’interesse di Washington che gli inglesi non

 perdessero la guerra.41Lo stesso presidente Wilson aveva messo a disposizione dell’ambasciata tedesca a Washington un cavo telegrafico

americano affinchè potesse trattare direttamente eventuali proposte di pace. Questa circostanza fece pensare ancora di

 più ad un tradimento da parte tedesca della buona fede nordamericana.

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novembre del 1914 riconsegnarono il porto di Veracruz ai constitucionalistas, impedendo così ai villistas di

rifornirsi di armi e denaro proveniente dalle dogane portuali. La sconfitta di Villa nella battaglia di Celaya

contro i constitucionalistas, appannò definitivamente l’astro del rivoluzionario a favore di Carranza, il cui

governo fu riconosciuto nell’ottobre del 1915. Per ritorsione contro l’abbandono statunitense, Villa attaccò il

9 marzo 1916 la città di Columbus, nel Nuovo Messico, provocando una furiosa reazione da parte di Wilson,

il quale organizzò una spedizione punitiva agli ordini del generale Pershing che oltrepassò i confini

messicani per dare la caccia a Villa. Questa azione militare, che durò sino al febbraio del 1917, mise in

 pericolo la stabilità del governo Carranza e minacciò seriamente le relazioni tra i due Stati, anche perché si

verificarono numerosi incidenti tra l’esercito statunitense e quello regolare messicano, che per poco non

sfociarono in una guerra. Wilson dette però priorità alla guerra in Europa e la situazione sembrò

normalizzarsi, anche se le relazioni tra Messico e Stati Uniti peggiorarono di lì a poco a causa non solo a

causa della dichiarazione di neutralità messicana (27 aprile) di fronte alla guerra mondiale, ma soprattutto

 per la Costituzione messicana, promulgata il 5 febbraio 1917. La Costituzione degli Stati Uniti Messicani,

approvata dopo il Congresso Costituente di Querétaro, che, oltre che federalista, poteva definirsi anticlericale

e nazionalista, conteneva elementi della Dottrina Calvo all’art. 27. Tale articolo poneva dei seri limiti

all’acquisto di proprietà terriere e delle risorse minerali da parte di stranieri, i quali dovevano rinunciare alla

  protezione diplomatica del proprio Stato, e stabiliva il diritto di nazionalizzazione e di esproprio della

  proprietà privata. La presidenza Carranza (1917-1920) dette luogo a quella che fu definita la “dottrinaCarranza”, di cui l’art. 27 fu parte integrante. Essa era un insieme di concetti tratti dalla dottrina Calvo e

della dottrina Drago uniti dal nazionalismo rivoluzionario messicano. Il programma politico di Carranza si

 basava infatti sull’uguaglianza dei diritti tra nazionali e stranieri con la conseguente scomparsa dei privilegi e

monopoli di quest’ultimi sulle risorse economiche del Messico, sulla fine del diritto di intervento negli affari

interni da parte di altre nazioni, ed infine sullo stabilimento di una solidarietà tra i Paesi latinoamericani. La

dottrina Carranza, e quindi di riverbero la dottrina Calvo, fu la causa di un peggioramento delle relazioni

diplomatiche tra Stati Uniti e Messico. Infatti, se antecedentemente alla costituzione messicana del 1917 ed

alla dottrina Carranza, i concetti di Carlos Calvo avevano interessato teorici del diritto seduti ad un tavolo di

un congresso di diplomatici od accademici, ora per la prima volta la dottrina Calvo era messa in pratica

attraverso la Costituzione messicana ed i grandi interessi economici statunitensi furono venivano messi in

 pericolo. Nel 1917 infatti il 90% delle risorse petrolifere messicane appartenevano ad imprese straniere ed il

Messico era il terzo produttore mondiale di petrolio dopo Stati Uniti e Russia.

Il Messico ed il Giappone negarono di avere intrapreso qualsiasi trattativa con la Germania, ma il

ministro Zimmermann non smentì il telegramma e ciò infiammò ancora di più l’opinione pubblica,

facendo decidere ulteriormente Wilson a rompere ogni indugio, tanto più che la Russia zarista era

stata travolta dalla rivoluzione, facendo cadere anche l’ultima barriera “morale”. Il 2 aprile chiese al

Congresso di dichiarare guerra alla Germania, cosa che fu fatta il 6 aprile 191742. Al di là degli

eventi bellici, va messo in evidenza che l’entrata in guerra degli Stati Uniti ridusse lo spazio di

manovra diplomatica degli Alleati. Gli Stati Uniti vollero infatti distinguersi dalla compagine

dell’Intesa, dichiarandosi on alleati, ma “associati”, proprio per chiarire che il popolo statunitense

era entrato in guerra seguendo una sua scelta e l’obiettivo finale che essi si proponevano era

diverso. Non la distruzione totale degli Imperi Centrali, non il bisogno di acquisizione di nuoviterritori, ma la nascita della democrazia in Germania e di una nuova concezione delle relazioni

internazionali.

L’entrata in guerra degli Stati Uniti costituì però anche la cartina di tornasole del fallimento della

 politica wilsoniana verso le repubbliche latinoamericane, del panamericanismo e del progetto di una

difesa inter-americana, che avrebbe dovuto trarre ispirazione dalla Dottrina Monroe e dai primi

discorsi rivolti all’America latina dal presidente Wilson. La politica statunitense

dell’amministrazione Wilson verso gli Stati latinoamericani, alla fine si era rivelata più aggressiva

di quella di Rooosevelt e Taft ed i governo dell’America latina avevano ormai la netta impressione

che la Dottrina Monroe, ed i suoi sviluppi, fossero principalmente rivolti contro di loro. Questa

 percezione si riverberò nella partecipazione degli Stati sudamericani alla Prima Guerra mondiale.

Ad un primo superficiale esame potrebbe apparire che l’America latina si fosse stretta attorno agli

42La guerra all’Austria-Ungheria fu dichiarata il 7 dicembre 1917.

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Stati Uniti nel dichiarare guerra agli Imperi Centrali dal momento che otto Stati latinoamericani

(Brasile, Costa Rica, Cuba, Guatemala, Haiti, Honduras, Nicaragua, Panama)43 dichiararono guerra

e cinque (Bolivia, Ecuador, Peru, Santo Domingo, Uruguay)44 ruppero le relazioni diplomatiche con

la Germania. Tuttavia, deve essere sottolineato che, se si esclude il Brasile, da questo elenco

mancano i paesi più importanti, ovvero Messico, Cile, Colombia, Venezuela ed Argentina, i quali

dichiararono di fronte al conflitto la loro neutralità. Le ragioni per cui questi paesi si attennero aduna più o meno rigorosa neutralità si basarono essenzialmente su di un misto di simpatie filo-

germaniche, timori di perdere fette di mercato e finanziamenti tedeschi e sentimenti anti-

statunitensi, derivanti dalla politica di egemonia continentale svolta da Washington. Ad esempio il

Messico di Venusiano Carranza preferì tenersi lontano dalla guerra in Europa, soprattutto proprio a

causa dei cattivi rapporti con Washington, in Colombia erano ancora vive le polemiche a causa

della secessione di Panama, mentre il Venezuela di Vicente Gómez aveva non poche simpatie per la

Germania, al punto che il Dipartimento di Stato temette la cessione dell’isola Margarita alla Marina

tedesca. L’Argentina, nonostante l’affondamento di alcune navi ad opera dei sottomarini tedeschi e

la fucilazione in Belgio di un proprio console, assunse una posizione neutrale sia durante la

 presidenza del conservatore Victorino de la Plaza, che del radicale Hipólito Hirigoyen a causa di

complesse motivazioni, comuni per altro a molti Stati latinoamericani, tra cui: l’enorme dipendenzadal commercio estero, che la obbligarono a non scartare nessun partner commerciale, soprattutto la

Germania, per non divenire dipendenti dalla Gran Bretagna o dagli Stati Uniti; una maggiore

simpatia verso la Germania, rispetto agli Stati Uniti, fautori, sin dalla Conferenza di Washington del

1889-90, di un esasperato protezionismo verso i prodotti agropecuari argentini; la simpatia dei

militari argentini verso l’esercito tedesco, dove si erano formati la maggior parte degli ufficiali del

ejército de tierra. Sul fronte di coloro che si dichiararono belligeranti o ruppero le relazioni

diplomatiche invece, se si eccettua il Brasile, tutti aderirono per le pressioni di Washington o per 

motivazioni totalmente avulse dalla solidarietà inter-americana. Alcuni Stati, ad esempi, Cuba e

Santo Domingo, come molte repubbliche centroamericane tra cui Panama, non erano altro che

semi-protettorati statunitensi, ed è evidente che l’allineamento a Washington fu indotto dal

Dipartimento di Stato. Altri invece si posero al fianco degli Alleati semplicemente per ricevere dei

favori da Washington: il presidente costaricano Federico Tinoco, che era salito al potere con un

colpo di stato e non era stato riconosciuto da Wilson, dichiarò guerra alla Germania nella speranza

di poter godere del riconoscimento statunitense; il Guatemala di Estrada Cabrera si associò agli

Stati Uniti per ottenere il controllo del 50% delle piantagioni di caffé, possedute da imprenditori

tedeschi; Perù e Bolivia ruppero le relazioni con la Germania, non solo per avere subito perdite a

causa della guerra sottomarina45, ma soprattutto credendo che dopo la guerra Washington avrebbe

appoggiato le loro richieste riguardo ai territori perduti nella guerra del Pacifico con il Cile nel

1879.

Medio OrienteL’alleanza tra Turchia e Germania durante la Prima Guerra mondiale fu un patto di mera

convenienza per i tedeschi, giacché Berlino era da lungo tempo convinta che, prima o poi, l’Impero

ottomano si sarebbe disintegrato e con esso i territori in suo possesso nel Vicino e Medio Oriente.

Berlino avrebbe desiderato partecipare alla spartizione di questi territori, ma non avrebbe potuto

farlo senza l’assenso britannico, ovviamente impossibile da ottenere. Immediatamente prima della

guerra la Germania aveva partecipato però allo sfruttamento commerciale delle province ottomane,

nelle quali lo sviluppo economico era stato opera essenzialmente di società, tecnici e capitali

43 Brasile 26 ottobre 1917, Costa Rica 23 maggio 1918, Cuba 7 aprile 1917, Guatemala 23 aprile 1918, Haiti 12 luglio1918, Honduras 19 luglio 1918, Nicaragua 8 maggio 1918, Panama 7 aprile 1917.44 Bolivia 13 aprile 1917, Ecuador 8 dicembre 1917, Peru 6 ottobre 1917, Uruguay 7 ottobre 1917.45

Nel 1916 fu silurata una nave neutrale olandese che trasportava l’ambasciatore boliviano e la sua famiglia inGermania, mentre nel febbraio del 1917 fu affondata in acque nutrali spagnole la nave peruviana  Lorton, per la quale i

tedeschi rifiutarono qualsiasi indennizzo.

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stranieri. Una penetrazione commerciale che divenne influenza, poiché la Sublime Porta fu

obbligata a contrarre prestiti per finanziare la guerra italo-turca e le guerre balcaniche. La presenza

tedesca nell’Impero ottomano però era superiore a quella delle altre nazioni europee, soprattutto

 perché la penetrazione commerciale di Berlino, che ebbe il suo apogeo con il progetto dello ferrovia

Berlino-Baghdad, aveva il suo scopo principale nel fare concorrenza, insidiare e prevenire, le mire

dell’impero britannico. Una politica che aveva avuto tale successo al punto da costringere Franciaed Inghilterra a venire a patti ed a collaborare con la Germania in quella che venne chiamata la

“spartizione ferroviaria”, la quale avrebbe dovuto precludere ad una eventuale spartizione della

Turchia asiatica46. Per la Germania era divenuto comunque importante proteggere l’integrità

dell’Impero ottomano sia dalle mire russe, che da quelle britanniche. Tale protezione si concretizzò

con l’alleanza segreta del 2 agosto 1914, che aveva i suoi precedenti nelle forniture di armi,

nell’addestramento degli ufficiali turchi in Germania, e nella nomina ad ispettore generale

dell’esercito turco nel 1913 di un generale tedesco, Leman von Sanders. La Turchia subì l’alleanza

tedesca, sia perchè convinta della potenza tedesca e della sua futura vittoria, sia perché ritenne che

se non fosse stata alleata della Germania, questa, una volta sconfitto l’Intesa avrebbe proceduto alla

divisione dell’Impero ottomano. Ecco che, paradossalmente, la Germania, Stato nazionalista per 

antonomasia, divenne protettore di due grandi imperi non nazionali: l’Austria-Ungheria e l’Impero-ottomano, la cui popolazione, escluso che nell’Anatolia, si componeva di curdi, armeni e soprattutto

arabi. Soprattutto nella parte dell'Impero ottomano abitata dall'elemento arabo si giocò la partita tra

i due blocchi contrapposti. La Germania riteneva che fosse di primaria importanza eliminare la

 presenza inglese in Egitto e prendere il controllo di Suez con un piano che prevedeva l'insurrezione

ed il risvegli del nazionalismo arabo e lo stabilimento di contatti con lo Sceriffo della Mecca,

Hussein ibn Ali II el-Hashimi, che non dette però i frutti sperati in quanto dovette scontrarsi con il

dissenso dell'alleato turco, che, a causa della sua endemica fragilità istituzionale, non accettò di

collaborare ad una azione sovversiva tra i suoi sudditi arabi ed egiziani (l'Egitto era considerato

ancora parte dell'Impero e solo temporaneamente occupato dagli inglesi) che avrebbe potuto

ritorcersi anche contro la stessa integrità della Sublime Porta. La Turchia avrebbe preferito una

alleanza islamica, che avrebbe coinvolto anche i governi di Persia ed Afghanistan, inoltre, più che

dell'Inghilterra era preoccupata dalla minaccia russa nei confronti degli Stretti. L'Inghilterra agì

d'anticipo in modo da prevenire qualsiasi mossa turco-tedesca, agendo prima che la Turchia

dichiarasse guerra all'Intesa (5 novembre 1915). In primo luogo occupò il canale di Suez, dove

instaurò misure d'emergenza, violando per altro la Convenzione del 1888, il 2 novembre 1914

  proclamò la legge marziale in Egitto e, il 18 dicembre, annunciò la secessione dell'Egitto dalla

Turchia e la sua trasformazione in protettorato britannico, deponendo il kedivè egiziano Abbas II

Hilmi. In secondo luogo, i servizi segreti e la diplomazia britannica operarono per attrarre dalla

 parte dell'Intesa lo Sceriffo della Mecca e sobillare un'insurrezione anti-turca, sfruttando i sogni di

Hussein II di divenire il capo di uno Stato indipendente dell'Hejiaz e di estendre la sua autorità

anche alle altre regioni della penisola arabica. L'alleanza con Hussein II avrebbe immobilizzato  parte dell'esercito turco e la collaborazione dell'autorità detentrice dei luoghi santi dell'Islam

avrebbe evitato il diffondersi di una guerra santa. Contemporaneamente, l'emiro Feisal, figlio di

Hussein II, intrattenne rapporti con il nazionalismo siriano, fautori di un'alleanza con la Gran

Bretagna contro la Turchia che avrebbe portato alla creazione di un grande Stato arabo i cui limiti

territoriali furono trasposti nel così detto "Protocollo di Damasco" del maggio 1915 47. L'alleanza tra

46Un accordo franco-tedesco (15 febbraio 1914) aveva permesso alla Francia di l’ammissione dei titoli del “prestito di

Baghdad” alla Borsa di Parigi a condizione che gruppi finanziari francesi avessero il diritto di costruire una lineaferroviaria in Siria e, assieme ai russi, le ferrovie del Mar Nero. Un accordo anglo-tedesco del 15 giugno 1914 stabilì, incambio di facilitazioni finanziarie, che la ferrovia di Baghdad non sarebbe arrivata al Golfo Persico, ma sino a Bassora eche lo sfruttamento del petrolio in Mesopotamia fosse affidata ad una società anglo-tedesca-olandese, con un terzo della

 produzione riservata alla Marina inglese, un terzo a quella tedesca ed il restante alla vendita. Anche l’Italia nel marzodel 1914 ebbe il permesso di costruire una ferrovia che da Adalia penetrava all’interno dell’Anatolia.47 Nel "Protocollo di Damasco" la Gran Bretagna avrebbe dovuto riconoscere l'indipendenza di un grande Stato arabo

comprendente Siria, Palestina, Giordania e l'intera penisola arabica, ad eccezione di Aden. La Gran Bretagna inoltre si

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Feisal e i nazionalisti siriani rafforzò i legami della dinastia Hashemita con il mondo arabo e con lo

stesso governo inglese. La cooperazione di Hussein II contro la Turchia fu discussa in una serie di

dieci lettere dirette dallo Sceriffo all’Alto Commissario al Cairo, Henry MacMahon, a partire dal 14

luglio 1915. In quello che poi sarebbe stato chiamato il "carteggio MacMahon-Hussein", lo

Sceriffo, basandosi sul Protocollo di Damasco, pretese che l'appoggio arabo fosse subordinato alla

creazione di un grande Stato arabo ed all'indipendenza dei popoli arabi da Adana (sud dellaTurchia) sino al Golfo Persico, all'Oceano Indiano, al Mediterraneo ed al Mar Rosso. MacMahon

accolse con freddezza le richieste haschemite, soprattutto perchè i confini delineati da Hussein II

avrebbero messo in pericolo i disegni inglesi sulla Mesopotamia, come anche quelli francesi sui

wilayet di Aleppo e Beirut. Iniziò così il carteggio contraddistinto da offerte e controfferte, volte a

delimitare le zone di influenza e le frontiere del dopoguerra, ma anche di ambiguità, che avrebbero

minato successivamente i ripporti tra arabi ed Occidente. L'ambiguità più evidente fu che nello

scambio di lettere no fu mai acclusa una carta e non fu mai chiaramente espresso se la Palestina

fosse o meno compresa nel grande Stato arabo immaginato da Hussein. Macmahon infatti, in una

lettera del 24 ottobre, fece riferimento ai distretti di Mersina, Adana, Alexandretta, Aleppo, Hama

and Homs, affermando che questi non potevano dirsi puramente arabi e pertanto dovessero essere

esclusi dai limiti del futuro Stato arabo. Non fece alcun accenno al sangiaccato di Gerusalemme,che era la divisione amministrativa che comprendeva la maggior parte della Palestina. Il 13

dicembre Hussein II accettò l’esclusione di Mersina ed Alessandretta, ma non di Aleppo,

ammettendo, il 1 gennaio 1916, una occupazione provvisoria di Beirut da parte dei francesi.

L’atteggiamento britannico era stato volutamente ambiguo, sia perchè l’importante era ottenere

l’appoggio arabo, ma anche e soprattutto per avere le mani libere con le altre Potenze in vista di una

spartizione dell’Impero ottomano, nella quale sarebbero state prese in considerazione le aspirazioni

francesi e russe. Quando infatti MacMahon e Hussein II avevano appena concluso la loro

corrispondenza, il diplomatico francese George Picot e l’orientalista inglese al Foreign Office Mark 

Sykes furono designati da Parigi e Londra per condurre delle trattative dalle quali poi sarebbero

scaturiti gli Accordi Sykes-Picot, espressi nella forma di uno scambio di note tra Francia e Russia (9

maggio 1916) e tra Francia e Gran Bretagna (15 maggio 1916). L’accordo contemplava il passaggio

alla Francia della Siria occidentale, del Libano e della Cilicia, oltre ad una parte dell’Anatolia

sudorientale (la così detta zona blu), mentre all’Inghilterra sarebbe spettata la zona dell’Iraq centrale

e meridionale, oltre ai porti palestinesi di Akka e Haifa (zona rossa). Ciò che restava della regione,

cioè essenzialmente la Palestina, fu riservato ad uno speciale regime internazionale (zona marrone)

da definirsi con l’accordo della Russia. L’intrusione della Russia, tradizionale protrettrice degli

ortodossi, permise così di negare alla Francia il controllo esclusivo della zona marrone, nlla quale

erano compresi i luoghi santi. La regione compresa tra queste tre zone sarebbe appartenuta ad uno

Stato arabo o ad una confederazione di Stati arabi, da crearsi dopo la guerra. Non si sarebbe trattato

 però di una entità completamente indipendente, poiché sarebbe stata ulteriormente suddivisa in due

sfere di influenza. La Siria orientale ed il distretto di Mosul rientrarono nella sfera di influenzafrancese (zona A), la Transgiordania e la parte settentrionale del wilayet di Baghdad in quella

inglese (zona B). In queste due zone Francia ed Inghilterra avrebbero goduto di benefici e priorità

nei commerci, nonché nella formazione di una amministrazione locale.

Gli accordi Sykes-Picot, che tra l’altro avevano la curiosa caratteristica di essere un misto di

imperialismo e presa di coscienza dei nazionalismi locali, furono in stridente contrasto con lo

scambio di lettere tra MacMahon ed Hussein II e furono solamente un fragile compromesso tra le

ambizioni francesi ed inglesi. Un compromesso destinato a crollare non appena la situazione

sarebbe impegnata ad abolire il regime delle capitolazioni, ottenendo in cambio per quindici anni tutta una serie di

vantaggi economici.

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  politica e bellica fosse mutata. L’Inghilterra infatti alla fine del 1916 godette di una particolare

situazione di vantaggio rispetto alla Francia, avendo occupato tutta la Mesopotamia e soprattutto,

agli inizi del 1917, la Palestina. Per sfuggire agli impegni presi con Hussein e con la Francia e

Russia, l’Inghilterra fece ricorso al sionismo, dichiarandosi favorevole alla creazione di una

homeland ebraica in Palestina. L’appoggio offerto al sionismo, oltre che seguire la scia degli ideali

wilsoniani, fu tra l’altro politicamente e strategicamente vantaggioso per altri e ben più praticimotivi. Era infatti ben noto che le comunità ebraiche erano non solo generalmente filotedesche, ma

spesso anche favorevoli al processo rivoluzionario che stava svolgendosi in Russia, attrarle quindi

dalla parte dell’Inghilterra sarebbe stato quindi molto utile. I sionisti inoltre guardavano con favore

ad una influenza inglese sulla Palestina, ma non altrettanto a quella della Francia, naturale alleata

degli arabi, oltre a temere lo spirito assimilazionista francese, che avrebbe ridotto le specificità degli

ebrei. Creare un focolare ebraico nella regione, avrebbe permesso ulteriormente di consolidarvi la

 presenza britannica nelle vesti di arbitro tra comunità araba ed ebraica, che poi però sarebbe servita

a controllare meglio il canale di Suez. E’ in questo contesto che fu emessa la Dichiarazione Balfour,

che in realtà altro non fu che una lettera diretta dal segretario del Foreign Office Arthur Balfour 48 al

rappresentante dell’organizzazione sionista Walther Rothschild in data 2 novembre 1917. In questa

lettera Balfour annunciò che governo di Sua Maestà considerava con favore lo stabilimento di unfocolare in Palestina per il popolo ebraico, fermo restando i diritti civili e religiosi delle altre

comunità non ebraiche sul territorio. La Dichiarazione Balfour fu in contrasto sia con quanto

  promesso a Hussein II, nel frattempo proclamatosi re dell’Hejiaz (novembre 1916), sia con gli

accordi Sykes-Picot. Nel gennaio del 1918 l’Inghilterra rinnovò ulteriormente la sua politica

ambigua verso gli arabi, inviando un messaggio “pacificatore” al re dell’Hejaz, tramite il capo

dell’Ufficio arabo del Cairo, David Herbert Hogarth. In quello che sarà conosciuto come

“messaggio Hogarth”, il Foreign Office ribadirà il diritto degli arabi ad avere una propria nazione,

come anche l’aspirazione degli ebrei a ritornare in Palestina, senza che nessun popolo debba essere

sottomesso ad un altro.

Il 30 ottobre 1918 i rappresentanti della Sublime Porta, a bordo della nave da guerra Agamennon, a

Mudros (isola di Lemno nel mar Egeo), firmarono l’armistizio con l’Intesa. All’art. 16 venne

contemplato l’abolizione totale del governo turco in Libano, Siria, Iraq, Hejaz, Asir e Yemen,

 ponendo fine a quattrocento anni di dominazione turca sui paesi arabi, i quali si trovarono però a

dover affrontare le decisioni delle Conferenze di pace.

Le rivalità coloniali fra gli Stati europei per l’Africa meridionale e settentrionale avevano avuto

grande parte nello scontro tra gli imperialismi a partire dalla “sramble for Africa”. Dopo un relativo

 periodo di quiete erano ripresi nel 1911, quando la Germania, dopo la “seconda crisi marocchina”,

aveva pensato ad una ridistribuzione dei territori coloniali in Africa centrale a spese delle nazioni

  più deboli, come il Portogallo ed il Belgio. Il tutto all’insegna di quello che era stato definito il

 Mittelafrikaprojeckt , che ebbe nel 1913 l’assenso del governo inglese, felice di dirottare nell’Africa

centrale i disegni espansionistici tedeschi

49

. Ma la guerra bloccò questi progetti ed il continenteafricano divenne uno scenario relativamente secondario e periferico rispetto ai grandi eventi bellici

che videro gli Imperi centrali contrapporsi alle Potenze dell’Intesa in Europa centrale, orientale ed

anche in Medio Oriente. Forse è per questo motivo che le Cancellerie durante la guerra non si

  preoccuparono eccessivamente degli sconvolgimenti geopolitica che sarebbero potuti avvenire in

48Lord Balfour era stato da sempre partitario della causa sionista, tanto che nel 1905 aveva proposto di creara una

homeland ebraica in Uganda.49 Il 20 ottobre 1913 Inghilterra e Germania avevano stipulato un accordo segreto, che delineava due zone d’influenza:

una inglese nella parte meridionale del Mozambico e nella parte meridionale dell’Angola, ed una tedesca nella partesettentrionale del Mozambico, quasi tutta la parte costiera dell’Angola e, a nord della foce del Congo, nel Cabinda. LaFrancia fu preoccupata da questo accordo sia poiché avrebbe comportato l’accerchiamento dell’Africa Equatoriale

Francese, sia perché contrario allo spirito dell’ Entente Cordiale.

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Africa. La vera partita si stava giocando in Europa e da questo fronte sarebbero scaturiti tutti i futuri

assetti, tutto il resto non contava o poteva essere usato per mercanteggiare posizioni europee50.

Eppure nelle colonie africane si svolse una guerra “silenziosa”, che avrebbe influenzato non poco i

destini coloniali di numerose Potenze.

Le colonie tedesche in Africa, Togo, Camerun, Ruanda, Urundi, Africa Orientale e Africa Sud-

occidentale, si trovarono in pratica alla mercé degli eserciti coloniali anglo-francesi, sia perché nondisponevano di forze armate sufficienti, sia perché troppo lontane dalla madrepatria per essere

rifornite. Il Togo si arrese il 26 agosto 1914 investito dalle forze coloniali britanniche della West 

  African Frontier Force e fu suddiviso tra Francia ed Inghilterra con un accordo stipulato il 30

agosto 1914. Il Camerun capitolò il 10 marzo 1916, dopo che la maggior parte dell’esercito tedesco

si era rifugiato in territorio neutrale (colonia spagnola di Río Muni), ed anche in questo caso inglesi

e francesi decisero di spartirsi il territorio tedesco in due regioni adiacenti le loro colonie (accordi

del novembre 1916).

L’Africa Sud-occidentale accettò la resa senza condizioni il 9 luglio 1915, dopo però aver sconfitto

l’esercito sudafricano nella battaglia di Sandfontein51; solamente le truppe guidate dal generale Paul

Von Lettow-Vorbeck resistettero più a lungo, anche perché meglio organizzate (14 compagnie di

260 tedeschi e 2.472 indigeni) infliggendo dure perdite all’esercito britannico, composto per lamaggior parte da indiani e kenioti. Von Lettow-Vorbeck si arrese il 25 novembre 1918, quando un

  parlamentare gli mostrò alcuni giornali che annunciavano la capitolazione tedesca avvenuta 14

giorni prima. Gli Alleati furono in grado di sfruttare le non esigue risorse naturali dell’impero

coloniale tedesche (olio di palma, cocco, gomma), che furono impiegate per lo sforzo bellico

alleato. Ma soprattutto le colonie germaniche si trovarono al centro di ampie discussioni vertenti

sulla loro sistemazione giuridica post-bellica. Il fatto che i possedimenti africani della Germania,

tranne l’Africa Orientale, fossero caduti in mano dell’Intesa molto prima della fine della guerra,

stimolò maggiormente le speculazioni all’interno dei governi alleati. In Inghilterra ci furono coloro

che manifestarono l’intenzione di annettere queste colonie all’impero britannico, adducendo

motivazioni umanitarie, ritenendo che il dominio coloniale tedesco fosse stato assolutamente

negativo, di sicurezza nazionale o semplicemente per i sacrifici compiuti per conquistarle. Altri

invece ritennero che l’impero britannico fosse già abbastanza grande, ma in ogni casi il sentimento

unanime era quello che tali territori non ritornassero sotto la sovranità tedesca. Una volontà che del

resto si era già messa in evidenza in occasione degli accordi anglo-francesi del 1914 e 1916. Nel

1917 Lord Balfour propose che i territori tedeschi in Africa fossero internazionalizzati, proposta che

venne fatta propria dal Congresso Nazionale del partito Laburista e dal Partito Socialista Francese

nel febbraio del 1918. Si erano così gettate le basi per l’idea dei mandati, ideati concretamente dal

generale Jan Smuts nel dicembre del 1918, alla vigilia della Conferenza di Pace.

Dalla Prima Guerra mondiale furono sin dall’estate del 1914 fortemente interessati i possedimenti

italiani in Africa, sebbene l’Italia fosse entrata nel conflitto nel maggio del 1915 e non avesse punti

di contatto diretto con l’impero coloniale germanico. Si trattava di una colonizzazione non ancora perfettamente consolidata, con serie lacune organizzative e con problemi di isolamento, essendo i

teritori italiani mal collegati alla madrepatria Anche la Tripolitania e Cirenaica infatti, al momento

dell’entrata in guerra, non godettero dei regolari collegamenti marittimi a causa dei sommergibili

tedeschi operanti nel Mediterraneo con bandiera austro-ungarica. La sottovalutazione del problema

coloniale da parte dell’Italia si riverberò nelle trattative tra il governo italiano e l’Intesa per entrare

in guerra, nelle quali la componente coloniale ebbe una esigua parte. D’altra parte

l’anticolonialismo italiano, che era cresciuto nel periodo tra il 1913 ed il 1914, lasciò il passo

all’irredentismo, rivendicante le terre italiane ancora sotto dominazione dell’Austria-Ungheria e ciò

50 A dimostrazione di ciò merita ricordare che nel dicembre del 1914 la Germania propose all’Intesa di abbandonare

l’occupazione del Belgio e di pagare un’indennità comperando il Congo belga tre-quattro volte il suo valore.51

Il Sud Africa dovette affrontare anche una rivolta dei contadini boeri, la così detta Maritz rebellion, che nel Transvaale nell’Orange si schierarono apertamente con la Germania, rivendicando l’indipendenza. La ribellione fu soffocata nel

febbraio 1915.

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spinse l’Italia a trascurare, forse obtorto collo, eventuali rivendicazioni territoriali extraeropee. Ciò

nonostante il Ministero degli Esteri, dispose sin dal 27 novembre 1914, di otto memorie speciali ed

una lettera introduttiva, redatte dal Direttore degli Affari Politici al Ministero delle Colinie,

Giacomo Agnesa, nelle quali si delineò un programma di rivendicazioni coloniali da impiegarsi

come linee guida per futuri negoziati52. Tra gli obiettivi si trovavano Gibuti, il Lago Tana

nell’Etiopia settentrionale, l’influenza politica e commerciale sull’Etiopia, Chisimaio in Somalia, lostatus quo nella penisola arabica, l’oasi di Giarabub alla frontiera tra Egitto e Libia, la

 partecipazione ad una eventuale spartizione delle colonie portoghesi. Un programma senza dubbio

ambizioso che avrebbe indisposto sia la Francia che l’Inghilterra, poiché andava a toccare ingenti

interessi anglo-francesi, ad esempio Gibuti e l’accordo tripartito del 1906 riguardante l’Etiopia. In

ogni caso le rivendicazioni coloniali italiane furono sostenute con scarsissimo entusiasmo al

momento delle trattative con gli Alleati da Sidney Sonnino, il quale già dal 16 febbraio 1915, in un

memorandum all’ambasciatore Imperiali a Londra, aveva preannunciato che l’Italia avrebbe

abbandonato la sua neutralità essenzialmente “per alcune antiche aspirazioni nazionali” e le

garanzie della “situazione militare nell’Adriatico”. Sonnino nelle sue trattative per la redazione del

trattato segreto di Londra (26 aprile 1915)53, che stabilì l’entrata in guerra a fianco dell’Intesa entro

un mese, non consultò né il Ministro delle Colonie, né i suggerimenti dell’ambasciatore a Parigi,Tittoni54. Nel trattato infatti le clausole coloniali rappresentarono una parte molto modesta e vaga:

l’art. 9 stabilì che, in caso di spartizione dell’Impero ottomano, l’Italia avrebbe ottenuto una

“congrua parte”, individuata nella provincia di Adalia (oggi Antalia); per l’art. 10 l’Italia si sarebbe

sostituita in Libia al Sultano nei diritti e privilegi concessigli nel trattato di Ouchy; all’art. 13 si

affermò che, qualora Inghilterra e Francia avessero accresciuto i propri domini coloniali in Africa ai

danni della Germania, il governo inglese e francese avrebbero riconosciuto il diritto dell’Italia ad

ottenere “equi compensi” nel regolamento in suo favore delle frontiere libiche, somale ed eritree. In

altri termini, si era molto lontani dal memorandum del novembre 1914 e pertanto il suo bilancio

diplomatico fu certamente deludente. Il Ministero delle Colonie però non cessò di spronare Sonnino

ad intavolare ulteriori trattative con l'Intesa prima che la guerra finisse e per questo motivo stilò, nel

novembre del 1916, un programma massimo ed uno minimo di richieste. Il primo reclamava la

 parte settentrionale del bacino del Ciad, il controllo delle oasi di Kufrah e Giarabub, tutti i territori

somali e l'influenza esclusiva dell'Italia sull'Etiopia, nonchè il ristabilimento certo dei confini libici,

ridotti dai trattati anglo-francesi del1890, 1898 e 1899. Un programma che in sintesi, avrebbe

incrementato i possessi coloniali italiani di ben 2.470.000 km/q, mentre quello minimo si

"accontentava" di soli 722.000 km/q, escludendo dai territori sudanesi della regione Tana. Da

sottolineare che in ambedue i programmi non si faceva menzione delle colonie tedesche, nè

dell'Impero ottomano. E' certo che Sonnino ricevette questi programmi con imbarazzo, poichè alla

fine del 1916 si era ben delineato che già i fumosi impegni presi dagli Alleati nel trattato di Londra

erano in netto contrasto con la politica seguita dagli anglo-francesi in Medio Oriente (accordi

Sykes-Picot) ed in Africa (accordi per il Togo ed il Camerun). Tutti in Europa parlavano di problematiche coloniali senza consultare l'Italia, il cui fronte, tra l'altro, era ritenuto dall'Intesa come

secondario e non suscettibile di essere impiegato come moneta di scambio. La Conferenza

interalleata di Saint-Jean-de-Maurienne (19-21 aprile 1917) fu l'occasione per Sonnino di poter 

chiedere qualche cosa di più definito in quanto alle pretese italiane riguardo ad un eventuale

52Tale programma ricaclcava in parte quello predisposto nell’agosto del 1913 dal Ministro delle Colonie Bertolini.

53Fu reso pubblico dai sovietici alla fine del 1917 e pubblicato in Gran Bretagna nel 1918. La sua lettura alla Camera

dei Deputati nel febbraio del 1918 suscitò aspre critiche nei circoli nazionalisti e negli ambienti coloniali. Tittoni, unavolta ministro degli esteri disse che “egli -Sonnino- ci ha ancorato a qualche scoglio nell’Adriatico, dimenticando lecolonie, i mandati, le materie prime, i debiti di guerra, tutto, tutto ciò che conta”.54 Tittoni, il 23 marzo 1915, scrisse a Sonnino che sarebbe stato opportuno soprattutto avanzare precise richieste allaFrancia riguardanti una proroga ventennale della convenzione Visconti-Venosta del 1896 per la Tunisia, ilriconoscimento dell’oasi di Barakat, il Tibesti ed il Borcu in Tripolitania e la fascia di territorio tra Ghat e Tummo.

All’Inghilterra si sarebbe invece potuto chiedere Chisimaio, alla foce del Giuba.

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smembramento dell'Impero ottomano. Tuttavia, poichè l'accordo che ne cui scaturì55 aveva come

clausola che restasse subordinato all'approvazione della Russia, non entrò mai in vigore, essendo

considerato il 30 settembre 1918 non valido dall'Inghilterra a causa della Rivoluzione d'Ottobre.

Un nuovo sollecito del ministro delle Colonie, Colosimo, presso Sonnino nel giugno del 1918 cadde

nel vuoto. Del resto non poteva essere altrimenti, dato che la situazione politica e diplomatica non

era favorevole all'Italia nè in Europa, nè nelle colonie italiane, funestate da ogni tipo di avversità.La colonia Eritrea fu minacciata direttamente dai maneggi del console generale turco a Harar,

Mazar Bey, il quale fomentò il partito filoturco tra il 1915 ed il 1916, durante il regno

dell’imperatore ligg Jasu, affinchè il governo di Addis Abeba si appoggiasse agli Imperi centrali per 

conquistare la Somalia e l’Eritrea. Tale pericolo scomparve solo il 27 settembre 1916, quando ligg

Jasu venne deposto e salì al potere la principessa Zaiditu, che pose fine alla propaganda turca e

tedesca, stabilendo buoni rapporti con l’Italia. In Somalia operò il capo derviscio Mohamed ben

Abdallah Hassan, chiamato dispregiativamente dagli inglesi Mad Mullah (santone pazzo)56, il quale

ebbe contatti sia con Mazarr Bey, che con il console siriano Hissib Yblibi, i quali invitarono il

derviscio ad un jihad contro gli infedeli inglesi ed italiani. Nel tentativo di sollevare la popolazione

musulmana somala, i turchi ed i tedeschi inviarono armi e munizioni al Mullah. Inoltre il

comandante turco del settore di Aden, Ali Said Pascia, inviò al  Mullah un firmano sultaniale chenominava ufficialmente il capo derviscio emiro della Somalia. Anche dopo la fine della guerra il

 Mad Mullah operò un’accanita guerriglia sia contro il Somaliland che contro la Somalia italiana e

fu sconfitto solamente nel 1921, quando morì per cause naturali. Ma la situazione fu assai più grave

in Tripolitania, Cirenaica e nel Fezzan, territori che, nonostante la Pace di Ouchy del 1912, non

erano stati ancora pacificati e la guerriglia senussita stava creando non pochi problemi all’esercito

italiano. Anche se, come noto, l’Italia entrò in guerra solamente nel maggio del 1915, la Turchia e

gli Imperi centrali57 considerarono il governo italiano come già belligerante e compirono grandi

sforzi per rifornire la guerriglia libica, sbarcando con unità sottomarine armi e munizioni sulle coste

sirtiche. Tra l’altro il Sultano di Costantinopoli, Maometto V, aveva dichiarato aperto il  jihad contro

Russia, Inghilterra e Francia, il 12 novembre 1914, e l’Italia non impiegò molto tempo a capire che

sarebbe stata rivolta contro tutti gli Stati cristiani non alleati dell’Impero ottomano. In particolare,

 poi la Germania sin dal marzo del 1913, in previsione di una guerra europea, aveva studiato di piani

  per destabilizzare e danneggiare gli interessi dei potenziali nemici in Africa. Il piano prevedeva

l'impiego di agenti provocatori in Tunisia, Marocco, Egitto che avrebbero promosso l'insurrezione

armata di tutti i musulmani dell'Africa del Nord, la quale avrebbe trovato fertile terreno e supporto

grazie alla collaborazione della confraternita senussita. Nell'estate del 1914, la penetrazione italiana

in Libia aveva raggiunto la massima espansione, che però non poteva certo definirsi stabile e

consolidata, a causa della mancanza di mezzi ed uomini (lo Stato Maggiore italiano guidato da

Cadorna ritennne che la Tripolitania e Cirenaica costituissero un settore secondario del conflitto e

che pertanto potessero rimanere sguarniti e non riforniti). La scoppio della guerra in Europa offrì

alla guerriglia libica l'occasione per vanificare le conquiste italiane, avvalendosi non solo dell'aiutoturco, ma anche di quello tedesco. La Senussia, guidata prima da Ahmed esh-Sherif e poi dal cugino

Mohamed Idriss, raggruppò in un blocco unitario la popolazione araba sollevandola contro l’Italia,

che subì pesantissime sconfitte tra il novembre ed il dicembre 1914 (Nalut, Yefren e Sebha) e nel

1915 a Uadi Marsit (7 aprile), Gasr Bu Hadi (29 aprile), e Tarhuna (18 giugno). Disastri militari che

55 L'Accordo di Saint-Jean-de-Maurienne, o San Giovanni di Moriana, del 20 aprile 1917 stabiliva che il governo

italiano avrebbe riconosciuto gli accordi Sykes-Picot, mentre gli alleati avrebbero riconosciuto all'Italia interessi nei porti di Haifa, San Giovanni d'Acri (Akka) e Alessandretta, dei privilegi nel porto franco di Smirne, mentre Mersina eAdalia sarebbero state zone di influenza italiana. Venne così creata, seguendo la topografia degli accordi Sykes-Picot,una zona verde nell’Anatolia sudoccidentale ed una zona C, che comprendeva l’Anatolia occidentale e centrale.56 Mohamed ben Abdallah Hassan era nato nel piccolo villaggio di Kob Faradod, nell’alta valle del Nogal in

Somaliland. Nel 1899 a Burao anuciò il suo  jihad contro i colonizzatori stranieri, adottando per i suoi sostenitori iltermine di darawish (dervisci).57 L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, alla Turchia il 21 agosto 1915 ed alla Germania il 27

agosto 1916.

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costarono all’Italia centinaia di morti e l’abbandono del Fezzan e l’arretramento delle posizioni

effettivamente controllate alla situazione del 1911-12, ossia alle principali località delle coste

tripoline e cirenaiche58.

Maometto V nominò con un firmano nominò il capo berbero Suleiman el-Baruni, governatore e

comandante della Tripolitania, con ampi poteri e con l’incarico di alimentare la rivolta anche in

Tunisia ed Algeria. Misurata divenne un porto turco-tedesco, rifornito costantemente daisommergibili germanici, dove vi sbarcò nell’autunno del 1916 il generale di divisione turco Nuri

  pascià per coordinare le azioni militari contro l’Italia e l’Egitto controllato dagli inglesi. La

situazione iniziò a migliorare solamente con il Patto di Acroma (30 kilometri a sud di Tobruk),

stipulato il 17 aprile 1916 con Mohamed Idriss, che portò ad un cessate il fuoco in Tripolitania. Si

trattò infatti di un vero e proprio armistizio, che pose in essere un modus vivendi tra la confraternita

senussita e gli italiani, i quali però entrambi non rinunciarono a rivendicare la sovranità sulla

regione. Il Patto di Acroma fu vantaggioso per l’Italia poiché eliminò un fronte su cui combattere,

ma anche per Idriss, che comparve agli occhi della popolazione cirenaica, stremata e affamata dalla

guerra, come colui che aveva raggiunto la pace senza abdicare e rinunciare a rivendicare la

costituzione di uno Stato indipendente in Cirenaica. La guerra in Tripolitania non cessò con la

sconfitta della Turchia e della Germania. Al momento dell’armistizio di Mudros con la Turchia (30ottobre 1918) infatti, la pacificazione non fu immediata, a causa del rifiuto di Costantinopoli non

solo di abbandonare le pretese sulla Libia, ma anche di ritirare i propri soldati. La Sublime Porta

impartì ai propri soldati di arrendersi alla fine di dicembre del 1918 e provvide al loro rimpatrio tra

il gennaio e febbraio 1919. Più arduo fu far posare le armi agli arabi, dal momento che il 16

novembre 1918, a el-Cussabat, era stata fondata la Repubblica Tripolitania (  Jamhuriyya et-

Trabulsia), con capitale Misurata. Pur avendo la possibilità di riconquistare manu militari la

Tripolitania, disponendo di una superiorità di uomini e mezzi, l’Italia decise di venire a patti con i

capi della  Jamhuriyya e questo per diverse motivazioni, non ultima quella di dover affrontare un

nemico che si sapeva ostico e che aveva dato vita ad un movimento nazionalista non certo

transitorio. Inoltre, a far decidere verso una soluzione pacifica pesarono non poco sia le idee

wilsoniane, che avrebbero indotto gli Alleati, durante la Conferenza di Pace, a criticare una politica

aggressiva italiana, sia l’accordo di Acroma, che stava dando buoni risultati in Cirenaica. La pace

con i capi tripolini, chiamata pace di Khallet ez-Zaitun59 (valle dell’ulivo) fu conclusa il 21 aprile

1919 e sarà molto importante poiché alla base del Patto Fondamentale o Statuto della Tripolitania,

 poi ufficialmente firmato il 1 giugno 1919.

58 Il Ministro delle Colonie Martini definì la sconfitta di Gasr Bu Hadi “un’altra Dogali” e disse che quella di Tarhunaera stata “peggio di Adua”.59 Tale località si trova a 40 km da Tripoli ed all’accordo di pace partecipò tra i delegati arabi anche Abd er-Rahman

Azzam, futuro segretario generale della Lega Araba.

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Parte seconda 1918-1939

Quale pace? I problemi del primo dopoguerra (1919-1925) e l’avvio dell’era delle illusioni

 Nel gennaio 1918, molto prima che le operazioni belliche volgessero al termine

su tutti i teatri di guerra, il presidente Whodrow Wilson aveva pronunciato un

fondamentale discorso dinanzi al Congresso degli Stati Uniti. Nel corso del suo

intervento, enunciato l’8 gennaio e passato alla Storia come quello dei QuattordiciPunti, Wilson aveva fissato i principi fondamentali che avrebbero dovuto regolare il

sistema internazionale nella nuova era di pace e di progresso. In estrema sintesi essi

 possono essere così elencati: l’abolizione della diplomazia segreta; la libertà dei mari

e dei commerci, attraverso la soppressione di tutte le barriere economiche; la

riduzione degli armamenti; l’autodeterminazione dei popoli, ovverosia il diritto di

ciascun popolo a disporre di se stesso; la nascita di un organismo di rappresentanzauniversale, la Società delle Nazioni, cui affidare l’ordinata e pacifica convivenza dei

 popoli. In questa prospettiva Wilson aveva sostenuto che il sistema coloniale avrebbe

dovuto essere profondamente riformato ed ispirato a principi di “libertà, generosità e

imparzialità assoluta” e soprattutto “basato sulla rigorosa osservanza del principio

che, nella soluzione di tutte le questioni di sovranità, gli interessi delle popolazioni in

questione debbono essere considerate alla stessa stregua che le eque pretese degli

Stati dei quali il giusto titolo è in discussione” (Punto V). Particolare attenzione era

dedicata al futuro dell’Impero ottomano, prevedendo che dovesse essere conservata la

sua sovranità sulle regioni abitate da turchi ed assicurando alle altre nazionalità, almomento sotto dominio turco, “assoluta sicurezza di vita e possibilità indisturbata di

sviluppo autonomo” (Punto XII).

Ma le grandi speranze suscitate fin dalla loro enunciazione dai principi

wilsoniani erano destinate, pochi mesi più tardi, ad infrangersi contro le barriere

insormontabili della tradizionale diplomazia europea, rappresentate in particolare

dagli interessi della Gran Bretagna e della Francia, la cui tutela era ispirata come

sempre dalla vecchia politica dell’equilibrio, delle annessioni territoriali, dei

compensi reciproci. Allorché, il 18 gennaio 1919, venne aperta a Parigi la conferenza

  per la pace con la partecipazione di 32 paesi e l’esclusione dei vinti, fuimmediatamente percepibile che tra la nuova tendenza democratica ed idealista

sostenuta dal presidente Wilson, peraltro priva di un preciso programma operativo e

di conoscenze approfondite dei temi in discussione, e il modus operandi della

diplomazia europea non esisteva alcun margine di compromesso. Giocò inoltre afavore del più completo fallimento di un rinnovamento complessivo del sistema delle

relazioni internazionali, l’affermarsi immediato nell’opinione pubblica statunitense,

subito dopo la fine delle ostilità, di un forte sentimento isolazionista, che condusse gliStati Uniti ad avvertire gli affari europei o comunque ad essi collegati, ivi comprese

la maggior parte delle questioni coloniali, come estranei alla sfera dei propri interessi

vitali, da essi stessi collocati esclusivamente nel continente americano e nelloscenario del Pacifico.

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Il solo e più importante risultato dell’azione politica del presidente Wilson fu lanascita di un organismo permanente con sede a Ginevra, la Società delle Nazioni o

Covenant, fondata sul patto reso pubblico il 28 aprile 1919, con il quale si bandiva

l’uso della guerra nei rapporti reciproci tra gli Stati aderenti alla Società obbligandoli

a sottoporre ad essa ogni vertenza. Di assoluto rilievo era soprattutto la effettivaconcretizzazione di un superiore diritto internazionale fondato sull’equità e sulla

giustizia e non più sulla forza, anche se i limiti imposti alla Società delle Nazioni,emanazione dei singoli governi aderenti e non organismo superiore alle singole

sovranità nazionali, impedirono il rispetto assoluto dei principi del patto societario.

La Società delle Nazioni o Lega della Nazioni si presentava come una confederazione di stati retta

da un proprio ordinamento. Essa godeva di personalità giuridica internazionale e poteva esercitare

funzioni di governo territoriale, come avvenne nel caso della Saar dal 1919 al 1935, nonché

esercitare la protezione di realtà deboli, come nel caso della città libera di Danzica fino

all’occupazione tedesca del 1939. Alla SdN venne altresì affidato il controllo sull’amministrazionedelle ex colonie tedesche e delle province asiatiche dell’ex Impero ottomano, deferita a titolo di

mandato internazionale ad alcuni membri.

Membri originari del Covenant  furono le Potenze alleate, firmatarie dei trattati di pace del 1919-

1920, e tredici paesi neutrali che aderirono al patto nei due mesi successivi alla sua applicazione;

  provvisoriamente ne erano esclusi i paesi vinti. Era prevista la possibile adesione successiva di

qualsiasi altro stato, la cui domanda fosse stata approvata dai due terzi dell’Assemblea. Vi potevano

far parte tutti gli stati, i dominions inglesi e le colonie a governo libero. Gli organismi della SdN

erano l’Assemblea, il Consiglio ed il Segretariato. L’Assemblea, la cui convocazione avveniva ogni

anno a settembre, era costituita dai delegati degli stati membri. Essi provvedevano all’elezione di un

comitato esecutivo, composto da un presidente e 6 vicepresidenti. All’Assemblea spettava la

nomina di sei comitati permanenti specializzati e provvedeva ad approvare risoluzioni oraccomandazioni. Tra i compiti dell’Assemblea anche quello di nominare i membri non permanenti

del Consiglio, nonché i giudici della Corte permanente di giustizia internazionale.

Il Consiglio era composto di 5 membri permanenti, immediatamente ridotti a 4 per la mancata

adesione statunitense, e 4 membri non permanenti con mandato temporaneo. Il numero di questi

ultimi fu allargato a 6 nel 1922 e a 9 nel 1926.  Il Consiglio provvedeva all’elezione del proprio

 presidente a rotazione tra i membri. Tra i compiti dell’organismo, che deliberava all’unanimità, la

trattazione di tutte le questioni relative alla pace nel mondo e la predisposizione di piani per la

riduzione degli armamenti. Il Consiglio svolgeva altresì funzioni di organo di conciliazione in caso

di crisi internazionali.

Il Segretariato predisponeva i documenti da sottoporre all’esame dell’Assemblea e del Consiglio.

Esso convocava il Consiglio su richiesta di ogni stato membro e preparava l’ordine del giorno di

ogni sessione dell’Assemblea.

  Nel corso della sua non breve esistenza (essa si estinse formalmente per deliberazione della sua

Assemblea il 18 aprile 1946) la SdN mostrò ripetutamente la propria incapacità di incidere

validamente sui rapporti fra gli stati, in quanto mancante dei mezzi necessari, primo tra tutti una

 propria forza armata, per assolvere alle sue funzioni. I suoi interventi furono quindi essenzialmente

simbolici e di scarsa efficacia, come nel caso dell’applicazione delle sanzioni economiche.

I risultati di questo fallimento divennero chiarissimi nel primo e più importante

trattato di pace al termine della Prima Guerra Mondiale, quello concluso con la

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Germania a Versailles il 28 giugno 1919 e non ratificato dal Senato di Washington60

,che bocciò pure l’adesione alla Società delle Nazioni (gli Stati Uniti conclusero con

la Germania una pace separata nel luglio 1921): si trattò in sostanza di una vera e

 propria imposizione o Diktat , la cui natura coercitiva conteneva già al proprio interno

le condizioni oggettive di una drammatica pericolosità per il futuro mantenimentodella pace in Europa. In totale disprezzo delle ripetute enunciazioni del presidente

Wilson, il quale aveva sostenuto che i popoli e i territori non avrebbero più dovutocostituire oggetto di mercato e passare di sovranità in sovranità, come se fossero

semplici oggetti o semplici pedine di un giuoco, a Versailles venne decisa l’intera

 perdita da parte della Germania dei possessi coloniali. Per la sistemazione di alcuni diquesti territori fu fatto ricorso ad un nuovo istituto giuridico affidato alla gestione

della Società delle Nazioni: il mandato internazionale. Il mandato si aggiungeva alle

  più antiche forme di dipendenza coloniale, con l’obiettivo di non far apparire il

distacco delle colonie dalla Germania come un puro e semplice cambiamento dello

stato colonizzatore. In ambito squisitamente ed esclusivamente teorico si tentava in

tal modo di conciliare due opposti principi: quello tradizionale dell’assoggettamento

dei popoli di taluni territori alla sovranità dei paesi più evoluti con quello, di nuova

enunciazione, del diritto all’autogoverno di tutti i popoli. Si prevedeva infatti che

quest’ultimo avrebbe potuto trovare applicazione solo allorquando la popolazione

indigena sottoposta avesse raggiunto un grado di sviluppo che rendesse possibile la

  piena e completa autonomia. Nell’immediato la Gran Bretagna si assicurò,

direttamente o indirettamente, la maggior parte dei territori coloniali appartenuti alla

Germania. L’Africa Orientale Tedesca, sotto il nuovo nome di Territorio del

Tanganika , parte del Camerun e del Togo passarono sotto il diretto controllo inglese,mentre all’Unione Sudafricana, dominion inglese, fu ceduta l’Africa del Sud-Ovest,

divenuta indipendente con il nome di Namibia solamente il 21 marzo 1990. Alla

Francia furono ceduti parte del Togo e del Camerun. Il Belgio ampliò il possesso

congolese con l’acquisizione lungo la frontiera settentrionale dei distretti del Ruanda

e dell’Urundi ed anche il Portogallo incorporò parti dell’ex Impero tedesco al

Mozambico. In Asia e in Oceania fu il Giappone a subentrare nei possessi tedeschi: la

concessione di Kiao Chow in Cina, l’arcipelago delle Caroline, le Marianne e le

Marshall. Alla Nuova Zelanda furono infine affidate le isole Samoa.

L’istituto del mandato, la cui principale caratteristica era la temporaneità, era normato dall’art. 22

del Patto della Società delle Nazioni. Al terzo comma di tale articolo si affermava che il suo

carattere dovesse variare a seconda del grado di sviluppo (o di minorità) del popolo, della posizione

geografica del territorio e delle sue condizioni economiche. Venivano previste tre diverse specie di

mandato: A, B e C. Il tipo A, previsto al quarto comma, veniva applicato ad alcune comunità già

appartenenti all’Impero ottomano, alle quali si riconosceva il raggiungimento di un grado di

sviluppo sufficiente a riconoscere la loro indipendenza, anche se assistita dal consiglio e l’assistenza

amministrativa di una potenza mandataria; per esse si prevedeva il raggiungimento della piena

indipendenza a breve scadenza. Il quinto comma fissava le caratteristiche del tipo B, applicato in

  prevalenza a popoli dell’Africa centrale, il quale prevedeva che l’amministrazione del territorio

dovesse essere assunta direttamente da una potenza mandataria; essa avrebbe dovuto garantire alle

60Già con elezioni del 1918 il Congresso era stato riconquistato dai repubblicani.

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  popolazioni indigene i diritti fondamentali dell’uomo, quali il diritto di libertà personale, di

coscienza, di religione, nonché assicurare agli altri membri della Società delle Nazioni eguali

vantaggi per il commercio ed il traffico. Infine il sesto comma definiva il tipo C, applicabile a

situazioni, come quelle dell’Africa sud occidentale e di talune isole del Pacifico australe, nelle quali

la scarsa densità di popolazione e la lontananza dai centri di civiltà rendevano necessaria

l’amministrazione diretta della Potenza mandataria. Essa vi avrebbe applicato le proprie leggi,garantendo alle popolazioni indigene i diritti fondamentali.

Questi stessi principi vennero applicati nella redazione del trattato di pace con

la Turchia, siglato a Sèvres il 10 agosto 1920 e peraltro non ratificato dal parlamento

turco. Nell’occasione la sovranità turca venne ridotta alla sola Costantinopoli ed alla

Anatolia settentrionale, con la conseguente perdita di tutti gli altri territori e

l’imposizione del controllo internazionale degli Stretti. L’eccessiva durezza delle

clausole di pace divenne la causa principale di una grande rivolta nazionalista

capeggiata dal generale Mustafä Kemal Pascià e scoppiata in Anatolia contro laGrecia, alla quale il trattato aveva assegnato Smirne e tutta la zona meridionaleanatolica. Mustafä Kemal riuscì a sconfiggere le truppe greche (battaglia di Sakarya

 Nehri, agosto-settembre 1921) ed ad abolire il sultanato (1° novembre 1922) e pocodopo il califfato, dando il via ad una profonda europeizzazione del paese che si

tradusse nella nascita della Repubblica turca. Il 24 luglio 1923 il trattato di Losanna

 provvide a riconoscere la nuova situazione, provvedendo ad annullare il precedentetrattato di Sèvres. Alla nuova Turchia venne attribuito il controllo esclusivo degli

Stretti, il possesso di tutta l’Anatolia, dove era scoppiata la vittoriosa rivolta di

Mustafà Kemal e dove venne trasferita la nuova capitale della nazione, Ankara,

l’abolizione del regime delle capitolazioni e la riassegnazione della Tracia, giàaffidata a Sèvres alla Grecia. Fu soprattutto quest’ultima a subire le conseguenze

diplomatiche delle nuove decisioni: non solo, infatti, vennero annullati tutti i vantaggiacquisiti in termini territoriali, ma più di un milione di greci furono espulsi dall’Asia

minore e costretti a riparare in Grecia. Le Potenze europee rimasero invece salde

nelle posizioni di vantaggio già acquisite a Sèvres ed ad esse si aggiunse anchel’Italia grazie al riconoscimento definitivo del possesso del Dodecanneso. In pratica

la Francia e la Gran Bretagna realizzarono, indisturbate, il loro condominio in Medio

Oriente: a Londra furono affidati mandati su Iraq, sulla Transgiordania e sulla

Palestina e venne confermato il possesso di Cipro ed Egitto, mentre a Parigi quelli sulLibano e sulla Siria.

  Nell’uso diplomatico con il termine capitolazioni venivano indicati i privilegi accordati e

riconosciuti da alcuni stati musulmani ed asiatici, detti comunemente “fuori cristianità”, ai “protetti”

da stati europei che vi risiedevano. In altri termini si sostituiva all’applicazione del diritto

territoriale quello del diritto personale, in quanto alla giurisdizione delle autorità locali venivano

sottratti i cittadini degli stati esteri, affidati ai loro rispettivi consoli.

Particolare attenzione meritano i rapporti instaurati dalla Gran Bretagna con il mondo

arabo. Venendo meno agli impegni assunti nel corso degli avvenimenti bellici della

Prima Guerra Mondiale nei confronti delle tribù arabe ed in particolare al momento

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della grande rivolta antiturca del 1916, la Gran Bretagna non sostenne la formazionedi un unico grande stato arabo ed anzi la pur equivoca posizione favorevole al

sionismo in Palestina (dichiarazione Balfour del 1917) complicò ulteriormente i suoi

rapporti col mondo arabo. Londra seppe comunque utilizzare con grande profitto le

amicizie a suo tempo intrecciate sia con lo Sharif  della Mecca Husàin dei BanuHashim, sia con Ibn Sa’ùd, capo della setta puritana di origine centroasiatica

wahhabita. Nell’agosto 1921 Londra sostenne l’elezione di uno dei figli dell’emiroHusàin, Faysal, al trono dell’Iraq, allora protettorato inglese, per compensarlo di non

aver ottenuto la corona di Siria e Palestina. Con Faysal fu possibile risolvere la

questione del vilayet di Mossul, in cui esisteva una considerevole popolazione curda,sollevata dal trattato di Losanna, demandata alla Società delle Nazioni e finalmente

definita da un trattato anglo-turco-iraqeno il 5 giugno 1926. La piena indipendenza

dell’Iraq venne infine concessa il 30 giugno 1930. Il mandato britannico sulla

Palestina, diviso dagli inglesi nel 1923 in due zone: la Palestina propriamente detta e

la Transgiordania, consentì di coltivare ulteriormente gli ottimi rapporti con la

dinastia hashemita. Un altro figlio dell’emiro Husàin, ‘Abd Allāh, nel marzo 1921

venne posto sul trono dell’Emirato della Transgiordania.

Le vicende interne alla penisola araba, legate allo scontro per la supremazia tra

lo Sharif  della Mecca Husàin ed Ibn Sa’ùd, offrirono alla Gran Bretagna una

soluzione diversa.

All’indomani della conclusione della guerra e in conseguenza dei complessiavvenimenti che ne avevano contrassegnato le vicende, i rapporti di forza nel mondo

apparivano radicalmente ed irrevocabilmente mutati. Era iniziato, in altri termini, il

 processo di trasferimento del centro di potenza del mondo all’esterno dell’Europa, la

quale, per la prima volta dall’inizio della storia moderna, si trovò costretta a

difendersi per mantenere per quanto possibile le sue prerogative ed è stato a tale

  proposito affermato che dal tempo della prima guerra mondiale è, per tali motivi,

impossibile scrivere una storia limitata ai confini dell’Europa. Il confronto presentò

due diversi scenari spesso intrecciati fra di loro: il mondo coloniale ed extraeuropeo,

fino ad allora completamente dipendente dall’Europa, e l’emergente potenza degliStati Uniti, che ebbe comunque necessità di un nuovo conflitto mondiale per 

affermarsi compiutamente. Questo oggettivo ritardo fu agevolato dal ritorno degli

Stati Uniti ad una politica di isolamento internazionale, cui abbiamo già fatto cenno e

che produsse i primi germi di una instabilità planetaria destinata ad essere

ingovernabile e, quindi, a sfociare in una nuova terribile guerra.

Uno dei risultati immediati dell’abbandono statunitense fu quello di consentire

alla Francia, rimasta l’unica potenza effettivamente organizzata sul continente

europeo, di assumere una importanza sproporzionata in relazione agli strumenti da

essa realmente posseduti. Tutto questo si tradusse in una politica di lunga durata(denominata  politica di sicurezza), consistente nella difesa ad oltranza dei trattati di

 pace e della Società delle Nazioni che avrebbe dovuto garantirli, nonché ad una totale

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avversione a qualsiasi ipotesi conciliatoria circa i gravi problemi suscitati dai trattatistessi (riparazioni, ecc.). Per confermare e consolidare le posizioni acquisite, Parigi

ritenne opportuno varare, in chiave fortemente antitedesca e preventiva, una politica

di amicizia ed alleanza con gli stati dell’Europa centro-orientale, sorti o ingranditi

dalla vittoria, quali la Polonia (rinata nei confini del 1792), la Cecoslovacchia (natadalle regioni della Boemia, della Moravia e della Slovacchia), la Romania (che aveva

avuto la Bessarabia dalla Russia e la Dobrugia dalla Bulgaria)e la Jugoslavia (exSerbia ed ora regno serbo-croato-sloveno con una parte della Macedonia cedutale

dalla Bulgaria), promuovendo la nascita, nel 1921, della Piccola Intesa, formata da

Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania in chiave anti-austriaca ed anti-ungherese(contribuendo in tal modo alla disgregazione delle potenzialità economiche e

commerciali dell’area danubiana)61

.  La Russia (Giordano, pp. 150-151). L’effetto più

evidente fu una crescente e profonda distanza, ben presto trasformatasi in rivalità, tra

le posizioni della Francia e dell’Inghilterra. Gli interessi inglesi negli anni successivi

alla Prima Guerra Mondiale furono infatti concentrati soprattutto sulla necessaria

ripresa economica e commerciale dell’intera Europa, nella ferma convinzione di

dovere includere in essa anche la Germania e la Russia. Ciò contrastava

oggettivamente con l’esplicita richiesta francese di una garanzia politico-militare

inglese riguardante sia la frontiera occidentale, che l’Europa orientale, e che al

momento venne stimata non accoglibile. Ogni tentativo di trovare soluzioni

diplomatiche al problema oggettivo delle riparazioni si infranse così contro la totale

indisponibilità francese a prendere in considerazione qualsiasi modificazione ai

trattati di pace. Le conferenze internazionali di Cannes (6-13 gennaio 1922, Giordano, p.

158; Albrecht pp. 439) e quella di poco successiva a Genova (10 aprile-19 maggio 1922) siconclusero con la fine evidente del clima di concordia politica che a suo tempo aveva

segnato la nascita e la vittoria dell’Intesa. Rapallo (16 aprile 1922).

La posizione dell’ItaliaAl momento della conferenza per la pace di Parigi (19 gennaio 1919) (Giordano, pp. 151 ss; Saitta,

 pp. 368 ss.)

 Nel corso degli anni Venti la riorganizzazione dei rapporti internazionali effettuatatramite i trattati di pace ratificò l’assoluta predominanza inglese nel sistema

mondiale62

. Una supremazia insieme economica, strategica e politica, che si

manifestò anche attraverso una nuova progettualità imperiale in ambito coloniale edextraeuropeo. Era evidente agli occhi dei contemporanei che occorresse modernizzare

il complesso dei rapporti di dipendenza, al fine di garantirne la massima stabilità

61 La comune necessità di tutelarsi contro il revisionismo della Bulgaria spinse qualche anno dopo, nel 1934, Romania,

Grecia, Jugoslavia, con il sostegno della Turchia, a stipulare una Intesa balcanica. 62

Nel dicembre 1921, con la creazione dello stato libero d’Irlanda, il Governo di Londra chiudeva, almeno parzialmente, la vertenza irlandese. La soluzione si era imposta per la sanguinosa rivolta iniziata nel …. La provincia

settentrionale dell’Ulster rimaneva sotto il controllo inglese.

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negli anni a venire attraverso il più largo consenso. L’occasione venne creata dalledue conferenze imperiali, svoltesi a Londra nel 1923 e nel 1926, con le quali si

 provvide ad una complessa ridefinizione del sistema del Commonwealth63

.

  Nel 1922 la Gran Bretagna, su pressione della Nuova Zelanda e dell’Australia, allarmate per la

dinamica politica giapponese, pose termine alla alleanza con il Giappone che durava dal 1902.

Dal 12 novembre 1921 al 6 febbraio 1922 si tenne la conferenza di Washington, il cui tema generale

era la possibile ed auspicata riduzione degli armamenti navali, ma il cui scopo fondamentale era

rappresentato dalla stabilità in Estremo Oriente e la sicurezza nel Pacifico. Il presidente Warren

Gamaliel Harding, repubblicano, v. Saitta, pp. 365 ss.

Locarno, 5-18 ottobre 1925

Patto Briand-Kellogg o Patto di rinuncia generale alla guerra Parigi 27 agosto 1928

Il Giappone dal 1921 al 1929

La crisi mancese

La politica estera sovietica

La politica estera statunitense

La conferenza navale di Londra 1930 (p. 206)

Gli anni di Roosevelt

Verso la Guerra:

Vienna, Monaco e Praga

Ancora sul periodo 1914 ….. : il secolo “breve”.

1. Uno sguardo sull’economia mondiale.

Caratteristica della civiltà industriale, quale quella affermatasi all’inizio del ‘900, fu

la necessità di equilibrio tra produzione e consumo, le cui componenti fondamentali

sono date dalla produzione industriale che abbisogna di una corrispondente capacità

63 Le conferenze coloniali, la cui denominazione divenne “imperiali” a partire dal 1907 e mutarono nome dal 1949

(Commonwealth conference), erano appuntamenti annuali dei partiti inglesi. Nella storia costituzionale inglese …

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di acquisto, mentre il processo di industrializzazione esige un miglioramento dellivello di vita. Tutto ciò appare ancora più vero nella proiezione mondiale

dell’economia, dove l’industrializzazione sembrò di poter funzionare solo attraverso

un sistema globale di divisione del lavoro: da una parte i produttori, ovverosia le

moderne nazioni industriali, dall’altra i consumatori della sovrapproduzione, i paesiancora sottosviluppati. Il processo che venne così attivato determinò la necessità di

un intenso scambio di merci e ciò spiega il motivo per cui l’era dellaindustrializzazione si trasformò naturalmente o spontaneamente nell’era

dell’imperialismo attraverso l’ottenimento esclusivo di zone di influenza o con la

garanzia del ricambio dei beni attraverso il possesso delle colonie. In altri termini lalegge generale dell’economia, ineludibile, divenne la circolazione a livello planetario

di merci e prodotti.

Fino alla I Guerra Mondiale l’Europa aveva dominato incontrastata l’intero processo

e la Gran Bretagna, finanziatrice di tutto il sistema, ne era stata il centro propulsore.

La stessa guerra, con la spinta agli armamenti, aveva determinato per così dire un

effetto di trascinamento, garantendo al continente europeo una ulteriore, breve fase di

relativo benessere economico, in verità più apparente che reale. In verità i costi

enormi del conflitto (GB 44 miliardi di dollari, Francia 25, Germania 40) avevano

accelerato la successiva formazione di nuovi centri di gravità in ambito extraeuropeo.

Mentre l’intera Europa, che precedentemente era stata sempre in posizione creditoria,

era oppressa dai debiti, gli Stati Uniti sorpassarono l’Inghilterra, divenendo il

 polmone finanziario e produttivo dell’economia mondiale. (Veit Valentin, pp. 1222

ss)

La crisi economica dell’autunno 1929, generata dall’improvviso crollo del mercato

  borsistico statunitense dopo una lunga fase di rialzi speculativi, e la nuova fase da

essa originata, detta della Grande Depressione, rovesciarono inevitabilmente i loro

effetti sull’intera economia mondiale ed in particolare su quella europea. Le

conseguenze negli equilibri nazionali ed internazionali furono enormi e contribuirono

a gettare le basi per la successiva esplosione bellica della Seconda Guerra Mondiale.

La Francia operò, sotto la guida inflessibile di Poincaré, per rendere il più possibile

duratura la sconfitta dalla Germania, utilizzando soprattutto gli obblighi delleriparazioni. Era stato su sollecitazione di Lloyd George, fedele alla tradizionale

 politica di equilibrio e caldeggiante una ripresa dell’economia tedesca, che si giunse

alle conferenze di Cannes e di Genova nel 1922. Tuttavia, prima che per questa via si

giungesse a qualche positivo risultato, il cancelliere Joseph Wirth ed il ministro degli

esteri Walther Rathenau tentarono di alleggerire la posizione tedesca attraverso un

trattato di amicizia con la Russia sovietica. I termini dell’accordo, contenuti nel

trattato di Rapallo, vennero considerati una prova concreta della volontà tedesca di

sottrarsi al sistema di Versailles e allorquando la Germania, subito dopo, dichiarò

  bancarotta e sospese il pagamento delle riparazioni, la Francia all’inizio del 1923occupò immediatamente la Ruhr.

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Venne così irrimediabilmente compromessa ogni residua speranza di sistemare gliaffari europei con razionalità e nel rispetto dei principi wilsoniani ed il successivo

tentativo operato a Locarno nel 1925, su sollecitazione statunitense, di rammendare

l’ordito sfilacciato di tale proposito e di liquidare il profondo dissidio franco-tedesco

si rivelò lento e soprattutto tardivo, nell’imminenza dei gravissimi effetti sull’Europadella crisi economica del 1929.

Il patto Kellogg per la messa al bando della guerra, concluso nel 1928 per inziativa

degli Stati Uniti e sottoscritto da sessanta stati, doveva alla fine rimanere un impegno

cartaceo.

Il colonialismo, pur essendo stato sia pure solo nominalmente dichiarato superato in

ottemperanza ai principi wilsoniani, risorse nel 1918. Solamente l’Arabia, chiamata

Arabia Saudita dopo la rivoluzione di palazzo del 1924, ottenne l’indipendenza. Ed in

ogni modo ormai nessuna concessione poteva arrestare il movimento nazionalista

ormai sviluppatosi dalle ceneri del vecchio mondo distrutto dalla violenza e dalla

vastità della guerra. Più della concessione nel 1922 da parte della Gran Bretagna

dell’indipendenza all’Egitto, di quella del 1932 all’Iraq, e quella contemporanea da

  parte francese di quella in Siria ed in Libano, fu la situazione dell’India ad offrire

l’esempio migliore dello sviluppo incontenibile dell’anticolonialismo. Ogni

concessione da parte del governo di Londra non fece che ampliare a dismisura le

aspirazioni del popolo indiano.

La rigenerazione della Gran Bretagna passava attraverso la riorganizzazione del suoimpero, che in tal modo fu reso in larga parte praticamente impermeabile all’anti-

colonialismo. Decisivo, almeno da questo punto vista, fu il passaggio nel 1931-1932

dal regime di libero commercio ad un sistema di dazi protettivi o meglio di privilegi

doganali, che riunì in una sola area economica le diverse parti dell’impero. Sudafrica,

Australia, Nuova Zelanda e Terranova avevano già ottenuto prima della guerra una

larga autonomia sotto l’alta sovranità della Corona britannica, essendo stato loro

riconosciuto lo status di dominions, al quale nel 1926 si aggiunse la parità di diritti

con la Gran Bretagna. Nel 1931 a Westminster fu redatto lo statuto del

Commonwealth, che sanciva per essi l’eguaglianza giuridica, escludeva ogni rapportodi subordinazione, riconosceva la totale libertà nell’assumere come proprie le leggi

ed il diritto inglesi ed infine il diritto di poter decidere autonomamente in materia di

 pace e di guerra, conducendo una propria politica estera.

Si trattava di una politica efficace, almeno nella congiuntura, a frenare, se non ad

impedire il successo, delle rivendicazioni nazionali. Da questo specifico punto di

vista è oltre modo interessante riflettere, in aggiunta a quello già ricordato dell’India,

sull’esempio dell’Irlanda, alla quale nel 1921, dopo sanguinose rivolte, era stato

riconosciuto da Londra lo status di dominion. A distanza di pochi anni, nel 1932, la

lotta per la totale emancipazione era ripresa sotto la guida di de Valera, per concludersi soltanto nel 1937 con la piena indipendenza.

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Il Giappone e la Cina dopo la Prima Guerra MondialePur avendo conquistato un ruolo protagonista al pari degli Stati Uniti nello scenario

internazionale fin dai primi anni del secolo XX con la vittoriosa guerra contro la

Russia zarista (1904-1905), il Giappone rimase a lungo parzialmente defilato nelle

considerazioni europee. Anche i compensi ad esso assegnati a Versailles e derivantidalla sua partecipazione a fianco dell’Intesa alla Prima Guerra Mondiale, consistenti

nei possedimenti e mercati già appartenuti alla Germania nell’Estremo Oriente,furono considerati importanti, ma non fondamentali nei nuovi assetti mondiali,

almeno fino a quando nel corso degli anni ’20 la produzione industriale giapponese

incominciò a minacciare il mercato europeo. Da allora fu chiaro che il Giappone siera costituito in nuovo centro di gravità e che la politica in Asia avrebbe dovuto

tenere costantemente presenti gli interessi giapponesi. Essi si indirizzarono, rafforzati

dalla conquista della città russa di Vladivostock, prevalentemente verso l’immenso

territorio cinese, con preferenza per lo Shantung, la Manciuria e la Mongolia.

Il problema emergente negli scenari asiatici era per appunto rappresentato dalla Cina.

La giovane repubblica, nata dalla rivoluzione del 1911-1912 che aveva decretato la

fine della dinastia Manciù, aveva dimostrato una grande debolezza, sia interna che

internazionale. Nel 1920, mentre a Pechino dominavano i “signori della Guerra”,

comandanti militari sostenuti dal Giappone, il movimento rivoluzionario del

Kuomintang, guidato da Sun Yat-sen , costituì a Canton un governo di opposizione, il

cui programma prevedeva la democrazia, l’autonomia delle province, la parità di

diritti per le diverse nazionalità cinesi, la libertà dalle ingerenze straniere, la riforma

dell’economia ed il riordinamento generale della società cinese.

L’impero coloniale italianoLa provvisorietà del sistema fissato a Versailles era divenuto nel corso degli anni ’30

conclamato. Alle dinamiche innescate dal revisionismo tedesco e dei paesi centro-

orientali si era aggiunto ben presto quello sostenuto dall’Italia fascista. I primi episodi

furono rappresentati dall’occupazione dell’isola greca di Corfù, dalla rinuncia da

  parte della Jugoslavia della città libera di Fiume, dai trattati con l’Albania di re

Ahmed Zogu e con l’Ungheria. Ma fu solo alla metà del decennio che Mussolini,

approfittando del benevolo appoggio di Hitler, del consenso del francese Laval edelle contemporanee tensioni in Estremo Oriente, dette inizio all’aggressione

dell’Etiopia nel 1935. Nell’occasione si rese ancora una volta evidente quanto fosse

fragile e pertanto destinata alla scomparsa la Lega delle Nazioni.

Sottolineare la negatività dell’esempio fascista (“chi osa può tutto”) e la diffusione di

modelli affini, oltre che in Europa nell’America Meridionale: Ecuador, Bolivia,

Repubblica Dominicana, Brasile).

In conseguenza del crack bancario di New York del 24 ottobre 1929, la crisi colpìsoprattutto la Germania: Hindenburg fu costretto a chiedere al presidente statunitense

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Hoover la sospensione per un anno dell’ammortamento dei debiti internazionali,mentre la disoccupazione raggiungeva il triste primato di sette milioni di unità.

  Aggiungere qualcosa sugli scenari extraeuropei. Manca completamente l’Africa,dettagliare maggiormente l’Asia… Ricordare in generale che ogni crisi energetica

 porta con se ogni forma di crisi, sia economica che sociale….