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A cura di Bruno Carli, Giuseppe Cavarretta, Michele Colacino, Sandro Fuzzi

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Clima e Cambiamenti Climaticile attività di ricerca del CNR

B. CARLI, G. CAVARRETTA, M. COLACINO, S. FUZZI

A cura di

Consiglio Nazionale delle Ricerche

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

A cura di Bruno Carli, Giuseppe Cavarretta, Michele Colacino, Sandro FuzziCNR - Dipartimento Terra e AmbienteDirettore Giuseppe Cavarretta

Impaginazione e grafica Fortunato Antonelli, Elisabetta Gallo, Luigi Mazari VillanovaPubblicazione su web Daniela Beatrici (www.dta.cnr.it)Stampa Istituto Salesiano Pio XI - RomaEditore Consiglio Nazionale delle Ricerche - Roma

Copyright © 2007, Consiglio Nazionale delle Ricerche

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-8080-075-0

In copertina: il Colosseo; emissioni di un'acciaieria; acqua alta a piazza San Marco, Venezia. Sul retro: il Sole (elaborazione di una immagine del satellite SOHO, collaborazione ESA-NASA); la

Terra (immagine NASA) e la Luna; Strombus bubonius e ricostruzione di Mammuthusprimigenius, rispettivamente “ospiti” caldo e freddo nell'area Mediterranea durante le ultimeoscillazioni climatiche.

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Presentazione

Cambiamenti climatici, emissioni in atmosfera, modificazioni antropi-che del territorio, sviluppo sostenibile e, più in generale, qualità ambienta-le: sono concetti e problematiche di interesse generale su cui i media sen-sibilizzano l'opinione pubblica con una comunicazione quotidiana e unaprofondità crescente. Le agende dei Governi dei Paesi industrializzati e invia di sviluppo sono dense di impegni relativi a incontri multilaterali fina-lizzati a concordare strategie comuni di mitigazione e di adattamento allepossibili condizioni climatiche di metà e fine secolo. L'ONU, laCommissione Europea e i Governi nazionali promuovono, programmano efinanziano studi sempre più approfonditi su questi argomenti. Malgradociò, molti problemi sono ancora in attesa di soluzione ed è lecito porsi alcu-ne domande:Quale è il contributo dei fattori naturali e di quelli antropici sui cambia-menti climatici?Quale è il livello di certezza delle previsioni su cui fondare le decisioni?Quali i cambiamenti e i relativi impatti a scala regionale e locale?Quali le limitazioni da far accettare al sistema produttivo e alle popolazioni?

Solo la ricerca scientifica può fornire risposte che possano essere condi-vise dal sistema-Paese che dovrà sostenere i costi e gli effetti delle possi-bili azioni di mitigazione e adattamento. Tutta la comunità scientifica inter-nazionale sta quindi lavorando alacremente per fornire ai responsabili dellescelte le migliori basi di conoscenza, con investimenti molto consistenti intermini di risorse umane e finanziarie.

Nel CNR il clima e i cambiamenti climatici sono oggetto di studio giàda diversi decenni, con un approccio multidisciplinare, il coinvolgimentodi diversi Istituti e la collaborazione a progetti internazionali e nazionali.In termini di risorse umane sono impegnati in queste ricerche circa 500ricercatori e tecnici, tra cui molti giovani e associati delle Università, perun importo full cost di circa 44 milioni di Euro/anno di cui 9 finanziatidalla Commissione Europea, Ministeri, Enti locali e Aziende.

I

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Il Dipartimento Terra e Ambiente ha chiamato i ricercatori di tutti gliIstituti del CNR che si occupano di clima a presentare in forma sintetica irisultati degli studi realizzati negli ultimi anni, pubblicati in questo volu-me, per fornire ai fruitori istituzionali delle ricerche una panoramica dellediverse attività realizzate dall'Ente. Questi sono essenzialmente volti aincrementare la conoscenza necessaria a prevedere l'evoluzione del climain risposta alle forzanti naturali e antropiche. Si segnalano in particolare:la ricostruzione dei climi del passato, lo studio dei processi di interazionetra le componenti ambientali che costituiscono il complesso sistema-clima,la valutazione degli impatti del cambiamento climatico tra cui sono in evi-denza quelli riguardanti i sistemi agro-forestali, la realizzazione di model-li numerici predittivi, lo sviluppo e la messa a punto di nuovi metodi diosservazione e misura.

È con soddisfazione che presento quindi quest'opera, nella certezza del-l'elevata qualità dei contributi scientifici e nella fiducia che il CNR possaaccrescere ulteriormente la consistenza del proprio apporto allo sviluppoeconomico ed al benessere sociale del Paese.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

II

Federico RossiVice Presidente del CNR

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Prefazione

Il CNR ha nel settore degli studi sul clima una lunga tradizione che risale aglianni ’30 dello scorso secolo quando, sotto la Presidenza di Guglielmo Marconi,venne avviato il progetto Ricerche storiche sulle variazioni climatiche in Italia.L’Ente ha continuamente incrementato il proprio impegno in questo settore conuna ricerca fortemente multidisciplinare maturata all’interno dei suoi Istitutiche ha prodotto significative competenze, riconosciute a livello internazionale,sulla modellistica ed i processi chimico-fisici del clima, la ricostruzione deiclimi del passato, le ricerche polari, gli impatti sugli ecosistemi terrestri edacquatici ed i rischi socio-economici dei cambiamenti climatici. Il CNR haanche sviluppato ampie competenze ed importanti infrastrutture per le osserva-zioni della Terra dal suolo e da satellite e gestisce o collabora a programmiosservativi a livello nazionale ed internazionale che forniscono basi-dati di pri-maria importanza per l’inizializzazione e la validazione dei modelli climatici.

Dai risultati ottenuti analizzando alcuni indicatori climatici, quali l’aumentodella temperatura media, la variazione nel regime delle precipitazioni con l’in-cremento degli eventi molto intensi, la riduzione della estensione dei ghiacciaialpini, l’innalzamento del livello del mare, emerge in modo inequivocabile cheun cambiamento climatico è in atto e rappresenta un fenomeno globale, checoinvolge tutto il pianeta.

Un maggior grado d’incertezza riguarda, invece, l’individuazione dellecause del cambiamento e la previsione delle future evoluzioni del clima.Secondo alcuni studiosi i cambiamenti potrebbero essere spiegati dalla natura-le variabilità del clima e dalle variazioni della forzante esterna costituita dallaradiazione solare; tuttavia, l’interpretazione giudicata più probabile dalla mag-gioranza della comunità scientifica è che accanto alla variabilità naturale stiadiventando significativa una variazione indotta dalle forzanti interne al sistemaclima dovute alle attività antropiche.

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che fa capo alleNazioni Unite, ha reso pubblico a maggio 2007 il Quarto Rapporto sul Climaed i Cambiamenti Climatici, al quale hanno contribuito anche ricercatori del

III

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CNR. Nel Rapporto si afferma che il riscaldamento globale è un fatto reale eche l’aumento della temperatura media globale osservato a partire dalla metàdel XX secolo è molto probabilmente (probabilità superiore al 90%) dovuto ingran parte all’aumento della concentrazione dei gas serra causato dalle attivitàumane.

Una valutazione più certa della situazione attuale e della futura evoluzionedel clima a scala globale e regionale, richiede la disponibilità di modelli mate-matici in grado di fornire un’accurata descrizione dei processi fisici, chimici ebiologici che hanno luogo all’interno del sistema climatico. Tale descrizione èancora frammentaria, data l’estrema complessità del sistema. Le eruzioni vul-caniche, la presenza in atmosfera di aerosol e polveri, il ruolo delle nubi, levariazioni della composizione chimica dell’atmosfera, della radiazione solare,delle correnti atmosferiche ed oceaniche, del ciclo idrologico e del bilanciodelle precipitazioni, i processi di deforestazione e, in generale, le modificazio-ni nell’uso del territorio sono alcune degli attori presenti sulla scena climatica.La sfida della ricerca è dunque comprendere i processi che operano all’internodel sistema clima e valutare correttamente il loro ruolo nel contesto della varia-bilità climatica globale.

Modelli sempre più perfezionati sono infatti necessari per prevedere comeevolverà il clima a scala globale e regionale in risposta a diversi scenari di inter-vento (o non intervento) e contemporaneamente a predisporre misure di adatta-mento a condizioni climatiche diverse da quelle del passato.

Sono questi i temi di ricerca sul clima sui quali si concentra l’attività degliIstituti del CNR, i cui risultati, con riferimento agli ultimi anni, sono raccolti inquesto volume.

Il patrimonio di competenze, strutture e dati, che qui viene presentato, è statocostruito dal CNR al servizio del Paese, anche in collaborazione con gli altriEnti di Ricerca attivi nel settore, soprattutto per fornire ai decisori politici leconoscenze necessarie al fine di predisporre opportune misure di contrasto,mitigazione ed adattamento ai cambiamenti in atto e previsti per il futuro.

Modellistica e processi chimici e fisici del clima

Negli ultimi anni si è verificato un notevole progresso nei modelli climaticie nell’interpretazione dei risultati da essi ottenuti, anche se l’affidabilità delleprevisioni climatiche è ancora oggetto di valutazione e discussione.Fondamentale è in questo campo la comprensione dei processi chimico-fisiciche caratterizzano il sistema clima e lo studio dei cicli di retroazione (feedback)che determinano non linearità nei meccanismi causa-effetto del sistema. Varie

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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ed ampie sono le attività del CNR nel campo della modellistica del clima: daimodelli a scala globale a quelli a scala regionale, dai modelli climatici a com-plessità intermedia a quelli a rete neurale. Le tematiche di ricerca affrontatecomprendono le anomalie climatiche nelle regioni tropicali e le teleconnessio-ni con la regione Mediterranea, la variabilità e predicibilità climatica dei regi-mi di circolazione atmosferica, la descrizione degli ecosistemi marini e terrestri.Importanti ricerche riguardano inoltre lo sviluppo di parametrizzazioni dei pro-cessi che coinvolgono l’aerosol atmosferico e le nubi e la validazione deimodelli con dati sperimentali, mentre gli studi sui processi chimico-fisici delclima coprono tematiche molto ampie che includono le variazioni della compo-sizione chimica dell’atmosfera ed i conseguenti effetti radiativi, i sistemi nuvo-losi precipitanti e gli eventi estremi, la variabilità del monsone africano e la cir-colazione termoalina.

Ricostruzione dei climi del passato

La ricostruzione dei climi del passato è di grande interesse al fine di valuta-re la variabilità naturale del clima. Le ricerche sono condotte con metodologiediverse: carotaggi, analisi dei sedimenti, dendrocronologia, analisi dei pollini,rapporti isotopici per gli studi paleoclimatici, documenti storici e serie di datistrumentali per le variazioni climatiche recenti. Gli studi del CNR riguardano laricostruzione paleoclimatica attraverso l’analisi di lunghe registrazioni sedi-mentarie di aree continentali e bacini lacustri. Un altro indirizzo di ricerca èfinalizzato alla ricostruzione, con particolare attenzione alle temperature e alleprecipitazioni, degli andamenti climatici dell’Italia negli ultimi 200 anni.Queste indagini sono effettuate utilizzando serie storiche di dati meteorologici,che sono state raccolte, omogenizzate ed esaminate criticamente, andando acostituire banche dati che rappresentano un patrimonio unico nel loro genere.Vengono anche analizzati altri indicatori del cambiamento climatico come illivello del mare, le piogge molto intense e le onde di calore.

Le ricerche polari ed i cambiamenti climatici

Le aree geografiche utilizzate dall’attività umana non esauriscono la variabi-lità terrestre e lo studio degli ambienti estremi è fondamentale per completarela conoscenza dei processi fisici, chimici e biologici che determinano il climaglobale. Il CNR contribuisce allo studio degli ambienti estremi polari con unasignificativa partecipazione al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e

Prefazione

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con la gestione della stazione Dirigibile Italia nelle isole Svalbard. Le aree pola-ri sono sede ideale per lo studio delle interazioni idrosfera-criosfera-atmosferae l’Antartide in particolare per le indagini sul paleoclima con l’analisi dei ghiac-ci continentali e dei sedimenti marini. Inoltre gli ambienti estremi, per la lorocollocazione remota rispetto alle sorgenti antropiche, forniscono un banco diprova privilegiato per l’identificazione precoce delle perturbazione globali(riduzione dell’estensione dei ghiacciai, cambiamento delle specie dominanti,perdita di biodiversità). Gli studi del CNR analizzano infine i processi di tiporadiativo, dinamico e biologico con cui i mari e le aree polari interagiscono conle variabili climatiche (interazione aerosol-radiazione, segregazione marina delcarbonio, teleconnessioni fra processi remoti).

Osservazioni da satellite, reti di misura e basi-dati sui cambiamenti climatici

Il CNR è molto attivo nel campo dello sviluppo ed implementazione dinuova strumentazione scientifica, metodi di misura, reti di osservazione, comedimostra la realizzazione di boe marine di vario tipo, strumenti per la caratte-rizzazione degli aerosol atmosferici, torri per la determinazione dei flussi diCO2, misure di CO2 lungo rotte marine ed osservazioni di indicatori climatici.Importanti sono anche i risultati ottenuti grazie ad infrastrutture come le piatta-forme aeree a bassa quota per la misura dei flussi superficiali, la camera clima-tica per lo studio degli effetti delle alterazioni ambientali sulle piante ed i siste-mi informativi geografici. Numerose sono le partecipazioni del CNR a retiosservative a livello nazionale ed internazionale. Significativa è l’iniziativa Ev-K2-CNR che gestisce il Laboratorio Piramide collocato a 5050 metri inHimalaya. I problemi climatici richiedono osservazioni di tipo globale che sonoefficacemente ottenute con telerilevamento da satellite. Accanto alle misure tra-dizionali da terra, è pertanto aumentato il numero dei progetti in cui il CNR uti-lizza i dati satellitari per ricavare campi di precipitazione operativi, temperatu-ra superficiale del mare, proprietà delle nubi, copertura vegetale e risposta dellavegetazione alle variazioni dell’irraggiamento e delle precipitazioni.

Impatti dei cambiamenti climatici

L’analisi dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente ha particola-re importanza, nell’attuale panorama delle ricerche sul clima. L’aumento della

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Prefazione

temperatura, oltre a determinare lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamentodel livello del mare, influisce in modo diretto sugli ecosistemi, che sono anchesollecitati dal cambiamento della composizione dell’atmosfera e del regimepluviometrico. Le ricerche del CNR sono molteplici e diversificate: dalla modi-fica del ciclo idrologico all’erosione delle coste, dalla perdita di biodiversitàalla presenza di specie ittiche aliene, dalle comunità fitoplanctoniche alle popo-lazione di piccoli pelagici con attenzione ai problemi della pesca. L’impatto deicambiamenti climatici sui laghi viene studiato relativamente agli aspetti fisici,chimici, e biologici sia per i corpi idrici italiani sia per quelli himalayani, per iquali è in corso di realizzazione una banca dati unica nel suo genere. Un ulte-riore ambito di studio è rappresentato dalla valutazione dell’impatto dei cam-biamenti sul suolo, la vegetazione e la produzione agricola: le ricerche riguar-dano da un lato l’erosione, i nutrienti, la siccità, la desertificazione e dall’altrole colture mediterranee, gli ecosistemi forestali, la diffusione di insetti e paras-siti delle piante. Una rilevante attività concerne lo studio delle risposte degliecosistemi all’aumento della concentrazione di CO2 ed alla capacità di seque-stro da parte della vegetazione, anche con esperimenti di arricchimento inambienti non confinati.

Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Anche nel settore di prevenzione del rischio e di adattamento ai cambiamen-ti climatici il CNR è presente con numerose iniziative. Le ricerche riguardanoargomenti diversi, dall’ambito socio-economico alla pianificazione degli inter-venti di salvaguardia e mitigazione. In primis vanno ricordati gli studi sull’im-patto dei cambiamenti sull’agricoltura con indagini finalizzate alla valutazionedella quantità e qualità dei prodotti e del degrado del suolo, alla classificazionedelle aree agricole ed alle infestazioni di parassiti ed insetti. Altre ricerche sonodedicate all’analisi delle modificazioni ambientali, alla pianificazione e gestio-ne delle risorse idriche, ai problemi degli incendi boschivi ed all’evoluzione delpaesaggio. Passando dall’ambiente naturale a quello antropizzato, vanno ricor-dati gli studi sviluppati per esprimere in termini quantitativi il disagio climati-co e per valutare l’impatto del clima sul patrimonio culturale ed anche sultempo libero. Sul piano tecnologico le ricerche riguardano lavori finalizzati allariduzione delle emissioni con studi concernenti sia il confinamento dei gasserra, che lo sviluppo di tecnologie per la riduzione dei consumi energetici.Vanno infine citati, ultimi ma non per importanza, i lavori di natura socio-eco-nomica aventi come obiettivo l’analisi e la valutazione degli strumenti finoraadottati, anche in campo internazionale, per mitigare i rischi.

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Indice

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INDICE Presentazione I Prefazione III Indice IX

Modellistica del clima 1

PlaSim-LSG: un modello climatico a complessità intermedia 3J. von Hardenberg, A. Provenzale, K. Fraedrich, E. Kirk, F. LunkeitScenari climatici e predicibilità: indizi di uno stretto rapporto da un’analisi dinamica e neurale del toy-model di Lorenz 7

A. Pasini Analisi climatiche di attribution a scala globale e di influenze a scala regionale e locale mediante un modello a rete neurale 11

A. Pasini Anomalie climatiche ed onde planetarie 15G. Dalu, M. Baldi, G. Maroscia, M. Gaetani Predicibilità climatica dei regimi di circolazione atmosferica alle medie latitudini e ai tropici 17

S. Corti Connessioni tra il clima della regione Mediterranea e l’Africa Occidentale attraverso la circolazione meridiana di Hadley 23

M. Gaetani, M. Baldi, G.A. Dalu, G. Maracchi BOLCHEM: uno strumento numerico per la simulazione della composizione dell'atmosfera 27

A. Maurizi, M. D'Isidoro, M. Mircea, F. Tampieri Il vortice stratosferico: indice di teleconnessione per previsioni a lungo periodo 31

G. Messeri, D. Grifoni, B. Gozzini, G. Maracchi, C. Tei, F. Piani Caratterizzazione della variabilità spazio-temporale del vapor d’acqua come diagnostico per un modello di clima 35

G. L. Liberti, F. Congeduti, D. Dionisi, C. Transerici, L. Velea, F. Cheruy Valutazione delle nubi simulate da un modello di clima (LMDZOR) in Area Mediterranea tramite dati da satellite 39

G. L. Liberti, F. Cheruy

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Diagnostici basati su disaggregazione spazio-temporale per la valutazione delle nubi in un modello di clima. 43

F. Cheruy, F. Aires, G. L. Liberti Riduzione dinamica degli scenari climatici a scala di bacino tramite modellistica numerica regionale 47

M. Pasqui, M. Ceseri, G. Maracchi, F. Meneguzzo, F. Piani Risultati preliminari di downscaling statistico delle precipitazioni invernali nella Regione Puglia 51

L. Palatella, P. Paradisi, M.M. Miglietta, P. Lionello L’igroscopicità e l’attivazione dell’aerosol nei modelli climatici 55M. Mircea, M.C. Facchini, S. Decesari, S. Fuzzi Produttività primaria dell’ecosistema marino, turbolenza oceanica e cicli biogeochimici globali 59

A. Bracco, I. Koszalka, C. Pasquero, A. Provenzale Sviluppo di una funzione sorgente di spray marino per predire la componente organica dell’aerosol marino 63

M. C. Facchini, S. Fuzzi, M. Mircea

Processi chimico-fisici del clima 67

Caratterizzazione dello spettro di emissione atmosferica con misure a larga banda nell'infrarosso termico 69

L. Palchetti, G. Bianchini, B. Carli, U. Cortesi, S. Del Bianco Modificazione dell’aerosol marino dovuta alle attività antropiche ed effetti sul clima 73

M. C. Facchini, S. Fuzzi, S. Decesari, M. Mircea, M. Rinaldi, C. Carbone Caratteristiche del particolato atmosferico da emissioni di combustione di biomasse 77

S. Decesari, M. C. Facchini, M. Mircea, S. Fuzzi Studio dei composti organici solforati volatili di origine marina e loro relazione con i cambiamenti climatici. 81

A. Gambaro, P. Cescon, C. Turetta, R. Piazza, I. Moret Misura dei flussi di gas traccia da piattaforma oceanografica: il progetto OOMPH 85

S. Taddei, P. Toscano, B. Gioli, A. Matese, F. Miglietta, F. P. Vaccari, A. Zaldei, G. Maracchi

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Indice

XI

Dinamica delle emissioni di mercurio da incendi forestali nell’area Mediterranea: implicazioni del climate change 89

S. Cinnirella, N. Pirrone ECHMERIT – Un modello atmosferico a scala globale per studiare le dinamiche del mercurio con i cambiamenti climatici. 93

G. Jung, I. M. Hedgecock, N. Pirrone Forcing radiativo diretto degli aerosol al TOA per modelli di riflettanza superficiale anisotropa 97

C. Lanconelli, A. Lupi, M. Mazzola, C. Tomasi, V. Vitale Influenza delle forze foretiche nel processo di scavenging e negli effetti indiretti dell’aerosol sul clima 101

F. Prodi, G. Santachiara, L. Di Matteo, A. Vedernikov Un nuovo indicatore climatico per il Mediterraneo: la densità di vapore alla superficie del mare 105

M. E. Schiano, S. Sparnocchia, R. Bozzano, S. Pensieri Formazione di nuove particelle, nuclei di condensazione di nubi ed effetti sul clima 109

M. C. Facchini, S. Fuzzi, S. Decesari, M. Mircea Climatologia di nubi precipitanti nella stagione calda: Primi risultati sull’Europa ed il Mediterraneo 113

V. Levizzani, R. Ginnetti, M. Masotti, S. Melani, M. Pasqui, A. G. Laing, R. E. Carbone Alla ricerca di similarità nelle configurazioni della pressione al livello del mare associate a eventi di precipitazione intensa sull’Italia

117

N. Tartaglione, A. Speranza, T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri, F. DalanCaratterizzazione sinottica del clima estivo e della sua variabilità interannuale, sul Mediterraneo e l’Europa 121

F. Piani, A.Crisci, G. De Chiara, G. Maracchi, F. Meneguzzo, M. Pasqui Effetto delle variazioni dell’uso e copertura del suolo sul clima a scala regionale. 125

G. Dalu, M. Baldi Confronto fra metodi di stima dell’EI30 ai fini del calcolo dell’erosione 129

R. Ferrari, L. Bottai, R. Costantini, L. Angeli, L. Innocenti, G. Maracchi

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XII

L’impatto della circolazione termoalina sulle scarpate del Mediterraneo 133

G. Verdicchio, F. Trincardi L’influenza dei cambiamenti climatici sul ciclo del mercurio su scala regionale e globale 137

F. Sprovieri, I. M. Hedgecock, N. Pirrone

Ricostruzione dei climi del passato 145

I travertini quaternari dell’Italia centro-meridionale quali indicatori climatici 147

E. Anzalone, B. D’Argenio, V. Ferreri, M. Sprovieri Variazioni nel flusso di ferro tra periodi glaciali ed interglaciali nel corso degli ultimi 780.000 anni. Implicazioni climatiche 153

C. Barbante, V. Gaspari, P. Gabrielli, C. Turetta, P. Cescon La registrazione dei cicli glaciali quaternari sui margini del Mediterraneo 157

A. Asioli, A. Piva, F. Trincardi Il record paleoclimatico Plio-Quaternario del Salento (Puglia meridionale) 161

M. Delle Rose Le variazioni eustatiche e le influenze climatiche sull’evoluzione della Piana di Sibari nel tardo Quaternario 165

R. Pagliarulo Gli ultimi cinque cicli climatici nella successione sedimentaria della pianura friulana 169

R. Pini, C. Ravazzi, M. Donegana Controllo climatico sull’accumulo di sedimenti di margine Olocenici e Pleistocenici del Mar Tirreno Orientale 173

M. Iorio, L. Sagnotti, F. Budillon, J. C. Liddicoat, R. S. Coe, E. Marsella L’evoluzione del clima nell’area mediterranea durante l’intervallo 20.000-70.000 anni 177

M. Sprovieri, N. Pelosi, R. Sprovieri, A. Incarbona, M. Ribera d'Alcalà L’impatto dell’evento combinato Ignimbrite Campana-Heinrich Event 4 sugli ecosistemi umani europei di 40 ka BP 181

B. Giaccio, F. G. Fedele, R. Isaia

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Indice

XIII

L’ultima transizione glaciale-interglaciale sul versante meridionale delle Alpi e in Pianura Padana 185

C. Ravazzi, R. Pini, E. Vescovi, W. Tinner, L. Wick,Variazioni climatiche ed evoluzione della zona costiera 189 F. Marabini La ricostruzione di paleoclimi e paleoambienti mediante l’uso degli isotopi radiogenici e stabili nei reperti fossili 193

M. Pellegrini, A. Longinelli, P. Iacumin Paleoclimatologia e sedimenti lacustri 197 P. Guilizzoni, A. Lami, A. Marchetto, M. Manca, S. Musazzi, S. Gerli Clima e tassi di sedimentazione nell’area veneziana 201 S. Donnici, R. Serandrei-Barbero, G. Canali Possibili cause delle variazioni dei tassi di sedimentazione della Laguna di Venezia nella cronozona subatlantica 205

S. Donnici, A. D. Albani, A. Bergamasco, L. Carbognin, S. Carniel, M. Sclavo, R. Serandrei-Barbero Periodicità submillenarie registrate nei sedimenti marini degli ultimi 2000 anni (Tirreno orientale) 209

F. Lirer, M. Sprovieri, N. Pelosi, L. Ferraro Cascate sottomarine nel Mediterraneo 213 G. Verdicchio, F. Trincardi Considerazioni sulle modificazioni climatiche e ambientali nel periodo storico e nel prossimo futuro 217

S. Pagliuca, F. Ortolani Variabilità climatica in Italia nord-occidentale nella seconda metà del XX secolo 221

J. von Hardenberg, N. Ciccarelli, A. Provenzale, C. Ronchi, A. Vargiu, R. PelosiniVariabilità e cambiamenti climatici in Italia nel corso degli ultimi due secoli 225

T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri Variazioni nella frequenza e nell’intensità delle precipitazioni giornaliere in Italia negli ultimi 120 anni 229

T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri

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XIV

Climatologia delle temperature ed eventi estremi estivi a scala nazionale e regionale 233

G. Bartolini, M. Morabito, T. Torrigiani, M. Petralli, L. Cecchi, S. Orlandini, M. Baldi, D. Grifoni, G. Dalu, M. Pasqui, G. Maracchi Valutazione dei trend pluviometrici in Calabria 237 G. Buttafuoco, T. Caloiero, R. Coscarelli Dalla scala locale alla scala regionale: la pluviometria del bacino del fiume Arno come segnale del cambiamento climatico del Mediterraneo.

241

Gozzini B., M. Baldi, G. Maracchi, F. Meneguzzo, M. Pasqui, F. Piani, A. Crisci, R. Magno, F. Guarnieri, L. Genesio, G. De Chiara, L. Fibbi, F. Marrese, B. Mazzanti, G. Menduni Analisi climatologica degli eventi estremi di Libeccio a Livorno 245 A. Scartazza, G. Brugnoni, B. Doronzo, B. Gozzini, L. Pellegrino, G. Rossini, S. Taddei, F. P. Vaccari, G. Maracchi Evoluzione secolare del livello marino dalle osservazioni mareografiche di Trieste (Adriatico Settentrionale) 249

F. Raicich Anomalie nello stato della copertura vegetale in Africa da serie storiche di dati satellitari 253

P. A. Brivio, M. Boschetti, P. Carrara, D. Stroppiana, G. Bordogna

Le ricerche polari ed i cambiamenti climatici 257

La ventilazione profonda nel mare di Ross 259 A. Bergamasco, W. P. Budgell, S. Carniel, J. Chiggiato, M. Sclavo, R. PuriniLa convezione “shelf-slope” a Baia Terra Nova: un approccio modellistico numerico 263

A. Bergamasco , S. Aliani , R. Purini Incidenza dei cambiamenti climatici sull’ecosistema pelagico del Mare di Ross (Antartide) 267

M. La Mesa, M. Azzali, I. Leonori La pompa biologica del carbonio nel mare di Ross (Antartide). 271 G. Catalano, M. Ravaioli, F. Giglio, L. Langone, G. Budillon, A. Accornero, V. Saggiomo, M. Modigh, P. Povero, C. Misic, O.Mangoni, G. C. Carrada, R. La Ferla, M. Azzaro

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Indice

XV

Cambiamenti climatici e vita negli ambienti estremi. Struttura, funzione ed evoluzione delle emoglobine dei pesci polari 277

C. Verde, G. di Prisco Evoluzione adattativa delle molecole anticorpali dei teleostei polari 283 U. Oreste, M. R. Coscia Ricerche climatiche e paleoclimatiche in Antartide: un tuffo nel passato presente e futuro del clima globale. 287

F. Giglio, L. Capotondi, M. Frignani, L. Langone, M. Ravaioli I cambiamenti della temperatura degli stati superficiali del mare nella polynya di Baia Terra Nova (Mare di Ross, Antartide) negli ultimi dieci anni

291

S. Aliani , A. Bergamasco , R. Meloni Ricostruzioni paleoambientali e paleoclimatiche in ambienti estremi: l’esempio di un lago artico 295

S. Musazzi, A. Marchetto, A. Lami, M. Manca, L. Langone, A. Brauer, F. Lucchini, N. Calanchi, E. Dinelli e P. Guilizzoni, A. Mordenti Influenza sul ciclo del carbonio della variabilità spazio-temporale della biomassa e della attività microbica nel Mare di Ross (Antartide)

299

R. La Ferla, F. Azzaro , M. Azzaro , G. Maimone , L.S. Monticelli Periodicità orbitali ed influenza eustatica nelle oscillazioni degli ultimi 2,6 Ma della calotta glaciale Antartica 303

M. Iorio Monitoraggio delle coperture nevose con tecniche satellitari per lo studio dei cambiamenti climatici in aree polari 307

R. Salvatori Il ruolo del clima nel controllo del flusso di iridio e platino di origine cosmica 311

C. Barbante, P. Gabrielli, G. Cozzi, C. Turetta, P. Cescon Determinazione delle specie gassose e particellari nella troposfera polare mediante i denuders di diffusione 315

A. Ianniello, I. Allegrini Risposta diretta del contenuto colonnare di NO2 e O3 al ciclo solare di 27 giorni nell'ottica dei problemi climatici 319

I. Kostadinov, G. Giovanelli, A. Petritoli, E. Palazzi, D. Bortoli, F. Ravegnani, R. Werner, D. Valev, At. Atanassov, T. Markova, A. Hempelmann

Page 19: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XVI

I valori di fondo della CO2 atmosferica a Jubany e le interazioni con il fenomeno de El Niño 323

C. Rafanelli, L. Ciattaglia, S. Carnazza Effetti radiativi diretti indotti dagli aerosol presso le stazioni MZS e Dome C in Antartide 327

A. Lupi, C. Lanconelli , M. Mazzola, V.Vitale, C. Tomasi

Osservazioni da satellite, reti di misura e basi-dati sui cambiamenti climatici 331

Temperatura Superficiale del Mare da dati satellitari 333 S. Melani, A. Orlandi, C. Brandini, A. Ortolani La Boa meteo-oceanografica ODAS-Italia1: un laboratorio marino d’altura 337

R. Bozzano, S. Pensieri, M.E. Schiano, S. Sparnocchia, M. Borghini, P. PiccoVariabilità dell’oceano globale da dati di boe flottanti: distribuzione e ruolo di cicloni e anticicloni 341

A. Griffa, M. Veneziani La temperatura superficiale del Mar Mediterraneo negli ultimi 21 anni: analisi delle misure satellitari 345

B. Buongiorno Nardelli, R. Santoleri, S. Marullo, M. Guarracino SuMaRad: strumento per la misura della trasmittanza dell'acqua marina 349

G. Fasano, A. Materassi, F. Benincasa Il Pianosa LAB: un laboratorio naturale per lo studio delle interazioni fra atmosfera e biosfera terrestre 353

F. P. Vaccari, F. Miglietta, G. Maracchi Mappe di flussi di calore ad alta risoluzione con dati multispettrali da piattaforma aerea: l’approccio MSSEBS 357

M. Esposito, V. Magliulo, J. Colin, M. Menenti Risposta della vegetazione alla radiazione netta ed alle precipitazioni: serie temporali di dati da satellite 361

M. Menenti, L. Jia , W. Verhoef

Page 20: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Indice

XVII

I sistemi CNR-FACE (Free Air CO2 Enrichment) per lo studio dell’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi terrestri: tecnologie e risultati

365

F. Miglietta, S. Baronti, M. G. Lanini, A.Raschi, A. Zaldei, F. P. Vaccari, G. Maracchi, F. Selvi, R. Tognetti Camera climatica per studi sulle relazioni piante-ambiente 369 A. Materassi, G. Fasano, F. Benincasa Analisi delle dinamiche della vegetazione nella regione Saheliana (Africa dell’ovest) mediante uso d’immagini telerilevate. 373

P. Vignaroli, L.Genesio, F. Maselli, C.Vallebona, B. Canessa, V. Capecchi, A. Di Vecchia, G. Maracchi Osservazione e previsione del Monsone dell’Africa Occidentale 377 S. Melani, M. Gaetani, M. Pasqui, G.A. Dalu, A. Ortolani, M. Baldi, G. MaracchiStime di precipitazione mediante dati da piattaforme satellitari 381 A. Antonini, S. Melani, A. Ortolani, A. Orlandi, G. Maracchi Individuazione dei segnali di cambiamento climatico a scala locale e regionale 385

V. Capecchi, A. Crisci, L. Fibbi , B. Gozzini, D. Grifoni, F. Pasi, M. Rossi, C. Tei, F. Piani Monitoraggio a scala globale della superficie terrestre con radiometri a microonde da satellite 389

S. Paloscia, G. Macelloni, P. Pampaloni, E. Santi Misure radiometriche al suolo per lo studio delle proprietà ottiche degli aerosol e del vapor d’acqua 393

G. Pavese, F. Esposito, G. Masiello, C. Serio, V. Cuomo Osservazione della composizione chimica dell'atmosfera e delle sue evoluzioni con i cambiamenti climatici: l’importanza strategica delle stazioni CNR in Calabria

397

N. Pirrone, F. Sprovieri Otto anni di osservazioni a Mt. Cimone: analisi climatologica del biossido di azoto in stratosfera 401

A. Petritoli, E. Palazzi, F. Ravegnani, I. Kostadinov, D. Bortoli, S. Masieri, G. Giovanelli Valutazione e definizione degli standard per la spazializzazione dei parametri meteo-climatici 405

R. Ferrari, L. Bottai, F. Maselli, R. Costantini, A. Crisci, R. Magno, G. Maracchi

Page 21: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XVIII

Realizzazione per l’Italia di una banca dati climatologia di serie storiche strumentali utrasecolari 409

T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri Sviluppo di tecnologie WebGIS Open Source per il monitoraggio dell’impatto dei cambiamenti climatici nell’Africa sub-sahariana. 413

T. De Filippis, L. Rocchi, P. Vignaroli, B. Canessa, A. Di Vecchia, G. MaracchiRicerche ecologiche di lungo termine (LTER) e cambiamenti climatici: il ruolo del CNR 417

G. Matteucci, F. Bianchi, R. Bertoni, A. Pugnetti, M. Ravaioli Velocità di crescita della CO2 atmosferica lungo rotte emisferiche dall’Italia all’Antartide 421

L. Langone, F. Giglio, C. Ori, R. Lenaz, A. Longinelli, E. Selmo Nuove tecnologie per la misura di emissioni e assorbimenti di gas serra a scala regionale 425

B. Gioli, A. Matese, F. Miglietta, P. Toscano, A. Zaldei, G. Maracchi Misura delle emissioni di gas ad effetto serra di un sistema urbano 429 A. Matese, B. Gioli, F. Miglietta, P. Toscano, F.P. Vaccari, A. Zaldei, G. MaracchiMonitoraggio pollinico per lo studio dell’effetto dei cambiamenti climatici in ambiente mediterraneo 433

G. Pellizzaro, B. Arca, A. Canu, C. Cesaraccio Un approccio Bayesiano per la stima del flusso superficiale di CO2a partire da misure rilevate da piattaforma aerea 437

A. Riccio, G. Giunta, S.M. Alfieri, M. Esposito, V. Magliulo Caratterizzazione delle proprietà radiative degli aerosol nella pianura padana da misure delle stazioni AERONET 441

C. Di Carmine, C. Tomasi Caratterizzazione dell’aerosol urbano ed extraurbano mediante misure di telerilevamento passivo da terra e da satellite. 447

M. Campanelli, G. P. Gobbi, C. Tomasi, T. Nakajima Analisi di dati da satellite per lo studio della forzatura radiativa diretta degli aerosol su scala regionale 451

M. Mazzola, C. Lanconelli, A. Lupi, V. Vitale, C. Tomasi La rete lidar europea “EARLINET” per lo studio degli aerosol a scala continentale 455

G. Pappalardo e il team di EARLINET

Page 22: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Indice

XIX

Misura dell’indice di rifrazione di particelle di aerosol mediante nefelometro polare 459

F. Prodi, L. Di Matteo, G. Santachiara, F. Belosi Climatologia dell’aerosol atmosferico: tTelerilevamento di variabili con impatto climatico e ambientale 463

G. P. Gobbi, F. Angelini, F. Barnaba, T. C. Landi Microfisica delle nubi e loro impatto sul clima 467 F. Romano, E. Di Tomaso, T. Montesano, E. Ricciardelli, V. Cuomo, E. GeraldiLo studio dell'atmosfera e del clima presso la Stazione WMO-GAW “O. Vittori” di Monte Cimone (2165 m slm) 471

P. Cristofanelli, J. Arduini, U. Bonafè, F. Calzolari, A. Marinoni, M. Maione, F. Roccato, P. Bonasoni L’osservatorio ABC-Pyramid a 5079 m slm in Himalaya. Una stazione per la misura di aerosol, ozono e gas serra alogenati 475

A. Marinoni, P. Cristofanelli, U. Bonafé, F. Calzolari, F. Roccato, F. Angelini, S. Decesari, MC. Facchini, S. Fuzzi, G. P. Gobbi e P. Bonasoni, P. Laj, K. Sellegri, H. Venzac, P. Villani, M. Maione, J. Arduini, E. Vuillermoz, G. P. Verza Monitoraggio dei cambiamenti globali in Himalaya e Karakorum 479 G. Tartari, E. Vuillermoz, L. Bertolani Studio delle variazioni di NO2 nella stratosfera antartica a diverse scale temporali 483

D. Bortoli, G. Giovanelli, F. Ravegnani, I. Kostadinov, S. Masieri, E. Palazzi, A. Petritoli, F. Calzolari, G. Trivellane La concentrazione di O3 e dei gas serra nell’atmosfera polare 487 C. Rafanelli, A. Damiani, E. Benedetti, M. Di Menno, A. Anav, I. Di Menno

Impatti dei cambiamenti climatici 493

Ciclo del carbonio in mare e cambiamenti climatici 495 C. Santinelli, L. Nannicini, A. Seritti Analisi di parametri meteomarini per studi energetici e morfodinamici di lungo periodo 501

C. Brandini, A. Orlandi, A. Ortolani, G. Giuliani, B. Gozzini

Page 23: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XX

Accelerati tassi di sequestro di anidride carbonica nelle acque profonde del Mediterraneo Orientale durante il transiente 505

M. Azzaro, R. La Ferla Simulazione dei trasporti allo Stretto di Sicilia come indicatore della variabilità della circolazione termoalina mediterranea 509

R. Sorgente, A. Olita, A. Ribotti, A. Perilli, S. Natale, S. Mazzola, G. Basilone, A. Cuttitta Presenze di specie ittiche esotiche come possibili indicatori di cambiamenti climatici: il caso dello Stretto di Sicilia 513

M. L. Bianchini, S. Ragonese Effetti dell'anomalia termica dell'estate 2003 sull'idrodinamica del Canale di Sicilia 517

A. Olita, R. Sorgente, A. Ribotti, A. Perilli, S. Natale, A. Bonanno, B. Patti, G. Buscaino Canali e stretti quali punti di osservazione privilegiata per lo studio della variabilità interannuale nel bacino Mediterraneo 521

G. P. Gasparini, K. Schröder, A. Vetrano e M. Astraldi Variabilità interannuale della produzione primaria nel Mar Mediterraneo: 8 anni di osservazioni SeaWiFS 525

S. Colella, R. Santoleri Effetti della temperatura (SST) sulla biomassa dei riproduttori di acciughe (Engraulis encrasicolus) 529

G. Basilone, A. Bonanno, B. Patti, A. Cuttitta, G. Buscaino, G. Buffa, A. Bellante, G. Giacalone, e S. Mazzola, A. Ribotti, A. Perilli Influenza delle variabili ambientali sulle fluttuazioni della biomassa di sardine (Sardina pilchardus) nello Stretto di Sicilia 533

A. Bonanno, S. Mazzola, G. Basilone, B. Patti, A. Cuttitta, G. Buscaino, S. Aronica, I. Fontana, S. Genovese, S. Goncharov, S.Popov, R. Sorgente, A. Olita, S. Natale Fluttuazioni interannuali nell’abbondanza degli stadi larvali di Engraulis encrasicolus e di Sardinella aurita in relazione al riscaldamento delle acque superficiali nello Stretto di Sicilia

537

A. Cuttitta, B. Patti, G. Basilone, A. Bonanno, L. Caruana, A. Di Nieri, C. Patti, C. Cavalcante, G. Buscaino, G. Tranchida, F. Placenti e S. Mazzola, L. Saporito, G.M. Armeri, V. Maltese, R. Grammauta, M. Zora Analisi di variabili climatiche in funzione della comprensione della variabilità planctonica (caso di studio: Golfo di Trieste) 541

A. Conversi, F. Crisciani, S. Corti, T. Peluso

Page 24: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Indice

XXI

Fluttuazioni spazio-temporali della biomassa dei piccoli pelagici nel Mare Adriatico in relazione ai cambiamenti climatici 547

M. Azzali, I. Leonori, A. De Felice Comunità fitoplanctoniche e climatologia nell’Adriatico Settentrionale 551

A. Pugnetti, M. Bastianini, F. Acri, F. Bernardi Aubry, F. Bianchi, A. Boldrin, G. Socal Risposta dei sistemi costieri alle variazioni climatiche globali 557 G. De Falco, A. Cucco, P. Magni, A. Perilli, M. Baroli, S. Como, I. Guala, S. Simeone, F. Santoro, S. De Muro Ricostruzione della variabilità biogeochimica nel Mediterraneo: risposta microbica ai cambiamenti globali. 561

R. La Ferla , M. Azzaro , G. Caruso, G. Maimone , L.S. Monticelli, R. ZacconeStudio degli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi marini lungo le coste europee 565

P. Magni, A. Cucco, G. De Falco, A. Perilli, S. Como, G.A. Fenzi, S. Rajagopal, G. van der Velde Il ruolo dei cambiamenti climatici nella dinamica dei nutrienti nel continuum bacino del Po - nord Adriatico 569

S. Cinnirella, G. Trombino, N. Pirrone Impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi fluviali a regime temporaneo: modellizzazione idrologica e dinamica dei processi di trasformazione del sedimento

573

A. Puddu, A. Lo Porto, A. Zoppini, A. Barra Caracciolo, S. Fazi, P. Grenni, A. M. De Girolamo, S. Amalfitano, F. De Luca Influenza dei cambiamenti climatici sul regime idrologico di due bacini idrografici in ambiente mediterraneo 577

A. Lo Porto, A. M. De Girolamo, A. Abouabdillah, D. De Luca, G. SanteseImpatto del cambiamento climatico su erosione e perdita di nutrienti dal suolo agricolo nel bacino dell’Enza. 581

M. Garnier, G. Passarella, A. Lo Porto Trend termopluviometrico, siccità e disponibilità di acque sotterranee in Italia meridionale 585

M. Polemio, D. Casarano, V. Dragone

Page 25: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XXII

Fattori climatici che influenzano la struttura termica e la qualità delle acque lacustri. Prospettive di ricerca nell’ambito delle risposte ai cambiamenti globali

589

D. Copetti, G. Tartari, Jörg ImbergerGli effetti del riscaldamento climatico sulla chimica delle acque in ambiente alpino 593

M. Rogora, P. Guilizzoni, A. Lami, A. Marchetto, R. Mosello Influenze climatiche sui corpi lacustri del Sagarmatha National Park, Mount Everest, Nepal 597

A. Lami, A. Marchetto, G. Morabito, M. Manca, R. Mosello, G. A. Tartari, R. Piscia, G. Tartari, F. Salerno Riscaldamento delle acque profonde nei laghi italiani: un indicatore di cambiamenti climatici 601

W. Ambrosetti, L. Barbanti, E. A. Carrara Indagini paleolimnologiche in laghi himalayani: ricostruzioni del clima del passato ed effetti delle variazioni climatiche sulle biocenosi.

605

A. Lami, S. Musazzi, M. Manca, A. Marchetto e P. Guilizzoni, L. Guzzella Cambiamenti climatici: quali effetti sulle piogge e sui livelli del lago 609

M. Ciampittiello, A.Rolla Cambiamenti climatici e fioriture di cianobatteri potenzialmente tossici nel Lago Maggiore 613

R. Bertoni, C. Callieri, E.Caravati, G. Corno, M. Contesini, G. Morabito, P. Panzani, C.Giardino Variazioni climatiche interannuali e dinamica stagionale del fitoplancton nel Lago Maggiore 617

G. Morabito Impatto del riscaldamento globale sullo zooplancton e sull’efficienza della catena trofica pelagica 621

M. Manca, A. Visconti, R. de Bernardi Metodologia di bilancio di massa per la stima degli scambi gassosi superficiali a scala territoriale 625

U. Amato, M. F. Carfora, S. M. Alfieri, M. Esposito, V. Magliulo Analisi multiscala del rischio desertificazione per gli agroecositemi 629 R. Magno, L. Genesio, A. Crisci, G. Maracchi

Page 26: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Indice

XXIII

Stima dei tempi di correlazione caratteristici dell’attività fotosintetica terrestre su scale climatiche 633

M. Lanfredi, T. Simoniello, V. Cuomo, M. Macchiato I composti organici volatili di origine biogenica (BVOC) nell’atmosfera e loro ruolo nei cambiamenti climatici 637

P. Ciccioli, F. Loreto Impatto dell’aumento della CO2 atmosferica sull’emissione biogenica di composti organici volatili (VOC) 641

R. Baraldi, F. Rapparini, F. Miglietta, G. Maracchi Sequestro del C del suolo: la mappatura del C del suolo in ecosistemi mediterranei 645

L . P. D’Acqui, F. Maselli, C. A. Santi Studio delle interazioni clima-vegetazione mediante applicazione degli isotopi stabili 13C e 18O 649

E. Brugnoli, M. Lauteri, M. Pellegrini, G. Scarascia Mugnozza, L. Spaccino, M. Manieri Le sorgenti naturali di CO2: quindici anni d’attività di ricerca scientifica 653

S. Baronti, F. Miglietta, A. Raschi, R. Tognetti, F. P. Vaccari, G. MaracchiI modelli di simulazione nello studio dell’impatto dei cambiamenti climatici sulle colture mediterranee 657

C. Cesaraccio, P. Duce, A. Motroni, M. Dettori Valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi arbustivi ai cambiamenti climatici: esperienze di manipolazione climatica in pieno campo

661

P. Duce, G. Pellizzaro, C. Cesaraccio, A. Ventura, D. Spano, C. Sirca, P. De Angelis, G. de Dato

Il contributo degli impianti da frutto all’assorbimento della CO2atmosferica

665

O. Facini, T. Georgiadis, M. Nardino, F. Rossi, G. Maracchi, A.Motisi La diffusione di Aedes Albopictus (Skuse) (Zanzara Tigre) in relazione ai cambiamenti climatici 669

R. Vallorani, A. Crisci, G. Messeri, B. Gozzini Gilia: 4 anni di monitoraggio della migrazione primaverile delle rondini (Hirundo rustica L.) 673

L. Massetti, G. Brandani, A. Crisci, G. Maracchi

Page 27: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XXIV

Impatto della variabilità climatica sugli ecosistemi alpini: esempi dal Parco Nazionale Gran Paradiso 677

B. Bassano, A. von Hardenberg, R. Viterbi, A. Provenzale Bilancio dei flussi di tre gas serra (CO2, CH4, N2O) in un prato-pascolo alpino: confronto tra 2003 e 2004 681

F. Berretti, S. Baronti, M. Lanini, G. Maracchi, A. Raschi, P. Stefani Caratterizzazione meteo-climatica degli eventi pluviometrici in ambiente alpino: metodologia e primi risultati 685

G. Nigrelli Verso un modello per l’analisi non lineare delle influenze climatiche sulle densità di popolazione di roditori in Appennino 689

A. Pasini, G. Szpunar, M. Cristaldi, R. Langone, G. Amori Cambiamenti globali e complessità della conservazione delle risorse geniche – Il modello della specie polifunzionale Castaneasativa Mill

693

F. Villani, C. Mattioni, M. Cherubini e M. Lauteri Impatto del cambiamento climatico sulle interazioni ospite-parassita in specie coltivate: il caso della dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata Say)

697

F. P. Vaccari, F. Miglietta, A. Raschi, G. Maracchi Uso di serie temporali NDVI per stimare l’effetto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali 701

F. Maselli, M. Chiesi, A. Rodolfi, G. Maracchi Produttività primaria e assorbimento di carbonio in ecosistemi agro-forestali: l’impatto dei cambiamenti atmosferici previsti a metà del secolo XXI

705

G. Scarascia-Mugnozza e C. Calfapietra, P. De Angelis, F. Miglietta Ecosistemi forestali e mitigazione dei cambiamenti ambientali: sequestro di carbonio in foreste italiane 709

G. Matteucci, G. Scarascia-Mugnozza Modellizzazione dell’accumulo di carbonio in ecosistemi forestali tramite elaborazione di dati telerilevati ed ausiliari 713

L. Fibbi, M. Chiesi, F. Maselli, M. Moriondo, M. Bindi, G. Maracchi Impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi agro-forestali mediterranei 717

M. Centritto

Page 28: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Indice

XXV

Effetto dei cambiamenti climatici sul rischio di incendi boschivi in area mediterranea 721

B. Arca, G. Pellizzaro, P. Duce, A. Ventura, P. Zara, D. Spano, C. Sirca, M. Salis, R. L. Snyder, K. T. Paw U Variazioni climatiche e cambiamenti faunistici: l’evoluzione delle faune a mammiferi del Mediterraneo occidentale durante gli ultimi 3 milioni di anni

725

M. R. Palombo

Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento 733

Stima della sensibilità all’erosione del suolo attraverso l’analisi di scenari climatici 735

L. Angeli, L. Bottai, R. Costantini, R. Ferrari, L. Innocenti, G. Maracchi Valutazione ed analisi dei fenomeni di degrado del suolo 739 R. Coscarelli, I. Minervino, M. Sorriso-Valvo, B. Ceccanti, G. Masciandaro Erosione del suolo, stabilità degli aggregati e clima 743 M. P. Salvador Sanchis , M. S. Yañez, P. Cassi, D. Bartolini, L. Borselli, F. Ungaro, D. Torri Ricorrenza degli eventi alluvionali, dissesto idrogeologico e trend climatico nella Locride (Calabria SE) 747

O. Petrucci, M. Polemio Ricorrenti variazioni del clima ed eventi alluvionali nel nord Italia 751 D. Tropeano, L. Turconi Modificazioni nell’ambiente fisico d’alta montagna e rischi naturali in relazione ai cambiamenti climatici 757

M. Chiarle, G. Mortara Cambiamenti climatici, processi di abbandono, conservazione e sviluppo sostenibile in paesaggi marginali mediterranei 761

M. Lauteri, M. Alimonti, A. Oriani, A. Pisanelli Metodologie per la classificazione delle aree agricole e naturali in relazione al rischio climatico 765

P. Duce, C. Cesaraccio, D. Spano, A. Motroni Effetto dei cambiamenti climatici in atto sulla qualità dei vini 769 D. Grifoni, G. Zipoli, G. Maracchi, S. Orlandini, M. Mancini

Page 29: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

XXVI

Adattamento alla siccità e utilizzazione di risorse idriche differenziate nelle specie delle dune costiere 773

M. Lauteri, E. Brugnoli Monitoraggio delle condizioni meteorologiche nella prevenzione delle infestazioni da Locusta del deserto 777

C. Vallebona, L. Genesio, A. Crisci, M. Pasqui, A. Di Vecchia, G. Maracchi Ruolo fotoprotettivo degli antociani in piante di mais esposte a episodi di gelo improvviso durante la fase vegetativa 781

F. Pietrini, A. Massacci Tendenze e prospettive climatiche della frequenza di grandine in Toscana e nel centro Italia 785

F. Piani, A. Crisci, G. De Chiara, G. Maracchi, F. Meneguzzo, M. Pasqui Ondata di calore 2006 in Toscana: il circolo vizioso dell’effetto serra 789

L. Genesio, F. P. Vaccari, F. Miglietta, R. Magno, P. Toscano Un modello di riscaldamento del Mediterraneo: le sorgenti idrotermali sono oasi termofile per insediamento di specie lessepsiane

793

S. Aliani, A. M. De Biasi Microclimatologia dell’involucro urbano 797 T. Georgiadis, F. Rossi, G. Maracchi Cambiamenti climatici: comfort e turismo in Italia centrale 801 M. Morabito, S. Orlandini, A. Crisci, G. Maracchi Cambiamenti climatici e patrimonio culturale. Contributi sugli effetti dei cambiamenti climatici sul patrimonio costruito e sul paesaggio culturale

805

C. Sabbioni, A. Bonazza, P. Messina Variazioni climatiche, comfort termico e tipologia di abbigliamento in Italia (1950-2000). 809

A. Crisci, M. Morabito, L. Bacci , G. Maracchi La scarsità idrica in agricoltura: strumenti di supporto per l’analisi economica e la definizione di politiche sostenibili 813

G. M. Bazzani Processi decisionali partecipativi per la definizione di strategie di mitigazione dello stress idrico 819

R. Giordano, V. F. Uricchio

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Indice

XXVII

La costituzione di una banca dati agrometeorologica e socio-economica per l’analisi dei cambiamenti climatici nella regione saheliana.

823

M. Bacci, T. De Filippis, A. Di Vecchia, P. Vignaroli, V. Tarchiani, G.MaracchiUno strumento di pianificazione delle risorse idriche sotterranee sotto l’influenza dei cambiamenti climatici 827

I. Portoghese, M. Vurro, G. Giuliano Possibili metodi di sequestro di gas serra in Italia 831 L. Dallai, C. Boschi, A. Dini, G. Ruggieri, F. Gherardi, S. Biagi, C. Geloni, G. Gianelli, M. Guidi Confronto tra climatologia del vento nel Mediterraneo simulata con modello di clima e osservazioni da satellite 835

A. M. Sempreviva, F. Cheruy, B. Furevick, C. Transerici Refrigerazione magnetica: un’alternativa alla tradizionale tecnologia basata sulla compressione dei gas. 839

L. Pareti, F. Albertini, A. Paoluzi, S. Fabbrici, F. Casoli, M. Solzi Minimizzazione dei consumi energetici negli impianti di depurazione e riduzione dell’impatto sul clima 843

G. Mininni, M. C. Tomei, D. Marani, C. M. Braguglia Sviluppo di Strumenti di Supporto alle Decisioni per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente. 847

G. Trombino, S. Cinnirella, N. Pirrone Utilizzo di modelli comprehensive per l’individuazione di strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici 851

C. Cosmi, S. Di Leo, S. Loperte, F. Pietrapertosa, M. Salvia, V. Cuomo Struttura produttiva territoriale ed efficienza di emissioni attraverso la NAMEA regionale 855

M. Mazzanti, A. Montini, R. Zoboli Emission trading europeo e processi di eco-innovazione industriale 859 S. Pontoglio, R. Zoboli

Indice degli Autori 865

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Impatti dei cambiamenti climatici

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO - IL RUOLO DEGLIOCEANI NEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

I cambiamenti climatici, che da più di 20 annigli studiosi di tutto il mondo stanno denun-ciando, sono ormai sotto gli occhi di tutti e so-no state realmente osservate le prime conse-guenze, già da tempo ipotizzate e modellate,come l’aumento della temperatura degli ocea-ni (Roemmich, 1992), il cambiamento dellacircolazione termoalina (Bryden et al., 2005;Roether et al., 1996), lo scioglimento deighiacciai (Curran et al., 2003), per citarne soloalcune. È ormai comunemente accettato il ruo-lo che l’aumento dei gas serra (come la CO2)ha nei cambiamenti climatici. L’enorme im-portanza che gli oceani hanno nel regolare laconcentrazione di CO2 atmosferica è stata ri-conosciuta, soltanto negli ultimi anni. La pre-senza di due processi: (1) la “pompa fisica”,meccanismo che determina il trasporto inprofondità del carbonio presente nelle acquasuperficiali, durante la formazione delle acqueprofonde e (2) la “pompa biologica”, meccani-smo che determina la diffusione ed il rilascio,negli strati profondi, della sostanza organica edel carbonato di calcio, formatisi in superficie,fanno sì che enormi quantità di CO2 venganoimmagazzinate negli oceani. Mann e Lazier(1996) hanno riportato che l’oceano si può

considerare costituito da due sfere concentri-che: lo strato superficiale, in cui la pressioneparziale di CO2 è più o meno in equilibrio conquella atmosferica e le acque profonde, che in-vece presentano livelli di anidride carbonica50-60 volte superiori a quelli atmosferici. Nesegue che ogni meccanismo fisico, come lapresenza di un “upwelling”, che aumenta il tra-sporto di CO2 dagli strati profondi a quelli su-perficiali, può determinare un incremento del-la concentrazione di questo gas serra nell’at-mosfera. Lo stesso effetto si potrebbe verifica-re a causa di una diminuzione dell’attività bio-logica e quindi del trasporto di CO2 verso ilfondo (pompa biologica). Nel 1993 Siegentha-ler e Sarmiento hanno riportato che circa unterzo della CO2 di origine antropica, prodottadalla deforestazione e dall’uso di combustibilifossili, viene assorbita dagli oceani. L’aumento di CO2 nei primi strati degli ocea-ni produce un aumento dell’alcalinità, dovutoall’aumento della concentrazione dello ionebicarbonato HCO3

-, infatti la CO2 reagiscecon lo scheletro calcareo di organismi planc-tonici (1), sciogliendoli.

CO2 + CaCO3 + H2O 2HCO3- + Ca2+ (1)

I danni ecologici provocati da questo proces-so sono enormi: i) variazione della biodiver-

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Ciclo del carbonio in mare e cambiamenti climatici

C. Santinelli, L. Nannicini, A. SerittiIstituto di Biofisica, CNR, Pisa, [email protected]

SOMMARIO: Gli oceani giocano un ruolo chiave nel regolare la concentrazione di CO2 atmosferica, essipossono infatti immagazzinarla o rilasciarla in grandi quantità. Questa loro capacità è in gran parte dovu-ta alla presenza in essi della più grande riserva di carbonio organico reattivo sulla Terra: la sostanza orga-nica disciolta (DOM). L’attività di ricerca mira a studiare la dinamica della DOM nel mar Mediterraneo,con particolare attenzione al suo ruolo come sorgente e/o riserva di CO2. Nel Mediterraneo la ricchezza el’estrema variabilità delle strutture fisiche, unita ai tempi molto brevi di rinnovamento delle masse d’ac-qua intermedie e profonde, hanno permesso di evidenziare come le strutture fisiche giochino un ruolo im-portante nella biogeochimica marina e come le variazioni nella circolazione termoalina possano influen-zare le concentrazioni e la distribuzione spaziale della DOM.

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sità della zona eufotica marina, ii) innalza-mento della profondità di dissoluzione deicarbonati, con importanti variazioni nellaconcentrazione di carbonio inorganico nellacolonna d’acqua, iii) acidificazione degliOceani (Feely et al., 2004).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA - DINAMICA DELLA SO-STANZA ORGANICA DISCIOLTA IN MARE

In generale, il ruolo chiave giocato daglioceani nei cambiamenti climatici globali èstrettamente legato alla presenza in essi dellasostanza organica disciolta (DOM), che rap-presenta la più grande riserva di carbonio or-ganico reattivo sulla Terra. Il Modulo: “Dinamica della sostanza organi-ca disciolta in mare”, Commessa:”Circolazio-ne e produttività del mare”, Progetto: “Il si-stema terra: interazioni tra terra solida, mare,acque interne, atmosfera e biosfera”; Diparti-mento: “Terra e Ambiente”, studia la dinami-ca della DOM nel mar Mediterraneo, con par-ticolare attenzione al suo ruolo come sorgen-te e/o riserva di CO2. La DOM, definita come l’insieme di molecoleorganiche che passa attraverso un filtro da0,2 µM, è una miscela complessa di sostanzecon composizione e struttura, per la maggiorparte, ancora oggi sconosciute. La sostanza or-ganica disciolta è costituita da carbonio (DOC,~93%), azoto (DON) e fosforo (DOP). Peravere un’idea della sua importanza basti pen-sare che la concentrazione di DOC negli ocea-ni, stimata essere di circa 700 Pg C, è simile al-la quantità di carbonio presente nell’atmosfera,sotto forma di CO2 (Siegenthaler e Sarmiento,1993). L’ossidazione netta di solo l’1% dellaDOM oceanica sarebbe quindi sufficiente a ge-nerare un flusso di CO2 maggiore di quelloprodotto dalla combustione dei combustibilifossili in un anno. La perdita annuale di DOC,dovuta soltanto alla sua degradazione fotochi-mica, è stata stimata essere di 12-16 gTC anno-1

(2-3% del pool di DOC oceanico). La sua im-portanza è anche legata al suo ruolo centralenel microbial food web, essa infatti rappresen-ta la principale fonte di cibo per i batteri etero-

trofi. La DOM può essere considerata comeuna riserva temporanea, dinamicamente stabi-le, di carbonio, in cui confluisce quella parte dicarbonio organico che, fissata attraverso la fo-tosintesi, sfugge dalla catena alimentare a varilivelli: (1) rilascio extracellulare da parte delfitoplancton, (2) rilascio da parte dei consuma-tori attraverso: consumo disordinato, escrezio-ne, egestione, produzione di fecal pellets; (3)lisi virale; (4) decomposizione di: organismimorti, neve marina, particelle organiche. LaDOM può avere diversi destini, che dipendonostrettamente dalla sua labilità biologica. La suaporzione labile (tempo di turnover di minuti-ore) e semi-labile (tempo di turnover di mesi)vengono consumate dai batteri e possono esse-re: (i) trasformate in biomassa batterica e quin-di attraverso il microbial loop tornare nella ca-tena alimentare; (ii) respirate a CO2; (iii) tra-sformate e rilasciate di nuovo come DOM,presumibilmente più refrattaria. La porzionerefrattaria invece rimane per un tempo moltolungo, la sua età media nell’Oceano è stimataessere di 4000-6000 anni. La più importante,da un punto di vista biogeochimico, è la fra-zione semi-labile che, sfuggendo al rapidoconsumo batterico, può essere accumulata equindi trasportata in profondità, determinandoun immagazzinamento di carbonio per tempisuperiori ai 10 anni.Questo gruppo di ricerca porta avanti da piùdi 10 anni lo studio della dinamica della so-stanza organica disciolta nel mar Mediterra-neo con particolare attenzione al ruolo deiprocessi fisici e biologici nella sua distribu-zione. L’attività di ricerca prevede un approc-cio olistico allo studio della DOM, si miracioè a studiare la sua concentrazione in termi-ni quantitativi (concentrazione di DOC), sen-za una caratterizzazione a livello molecolare.Si valuta poi la sua variazione in funzione de-gli altri parametri chimici, fisici e biologici.Numerose campagne oceanografiche interdi-sciplinari sono state effettuate e vengono an-cora portate avanti nel Mediterraneo, durantequeste sono stati raccolti campioni per la mi-sura del DOC dalla superficie al fondo inmolte stazioni (Fig. 1).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Talvolta lo stesso campionamento è stato ripe-tuto in periodi diversi, al fine di valutare un’e-ventuale variabilità stagionale o interannuale.L’attività di ricerca è portata avanti nel Medi-terraneo non solo perchè è il mare che bagnal’Italia e che quindi ci interessa in modo di-retto, ma anche perché esso è caratterizzatoda una varietà di processi biogeochimici, co-muni alla maggior parte degli oceani. Date lesue piccole dimensioni, esso può essere con-siderato come un laboratorio naturale per stu-diare, su scala temporale e spaziale ridotta, iprincipali processi fisici (formazione delle ac-que profonde, circolazione delle principalimasse d’acqua, scambi negli stretti, upwel-ling), chimici (ciclo del carbonio, e dei nu-trienti) e biologici (distribuzione degli organi-smi e loro attività biologica, struttura e fun-zionamento degli ecosistemi) che avvengononegli oceani e per monitorare gli effetti che icambiamenti climatici possono avere, su sca-la globale, su questi processi. Lo studio delruolo dei cambiamenti climatici nel ciclo delcarbonio nel Mediterraneo è l’obiettivo di unprogetto nazionale VECTOR (VulnErabilitàdelle Coste e degli ecosistemi marini italianiai cambiamenti climaTici e loro ruolO nei ci-cli del caRbonio mediterraneo), finanziato da:Ministero dell’Istruzione, dell’Università edella Ricerca Ministero dell’Economia e del-

le Finanze Ministero dell’Ambiente e dellaTutela del Territorio Ministero delle PoliticheAgricole e Forestali con Fondo Integrativo.L’attività in campo rappresenta inoltre la basedi partenza per fornire dati indispensabili allarealizzazione e validazione di modelli, che han-no l’obiettivo di prevedere l’effetto dei cambia-menti climatici sull’ecosistema marino. Questoè l’obiettivo di un progetto Europeo (IP) SE-SAME (Southern European Seas Assessingand Modelling Ecosystem changes), finanziatodall’Unione Europea nell’ambito del VI pro-gramma quadro, priorità: “Sustainable Deve-lopment, Global Change and Ecosystems”.È stato più volte osservato come cambiamentinel clima determinino cambiamenti nella circo-lazione termoalina sia nell’Oceano (Bryden etal., 2005) che nel Mediterraneo (Roether et al.,1996). In particolare a cavallo tra gli anni ’80 e’90 fu osservato nel Mediterraneo Orientale unsignificativo cambiamento nella circolazionetermoalina che ha preso il nome di Eastern Me-diterranean Transient (EMT), l’effetto di talefenomeno sui cicli biogeochimici è stato stu-diato nell’ambito del progetto SINAPSI (Sea-sonal, INterannual and decAdal variability ofthe atmosPhere, oceanS and related marIneecosystems), finanziato dal Ministero per l’Uni-versità e la Ricerca Scientifica e Tecnologica edal Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 1: Stazioni in cui il modulo “Dinamica della sostanza organica disciolta in mare” ha prelevato campioni per la mi-sura di carbonio organico disciolto (DOC) lungo la colonna d’acqua dal 1999 ad oggi.

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3 RISULTATI RILEVATI

La concentrazione della DOM in mare è prin-cipalmente il risultato di processi biologici diproduzione e consumo, mentre la sua distri-buzione spaziale è strettamente legata ai pro-cessi fisici. Questo risulta particolarmente vero nel marMediterraneo. Qui infatti la ricchezza e l’e-strema variabilità delle strutture fisiche, unitaai tempi molto brevi di rinnovamento dellemasse d’acqua intermedie e profonde, hannopermesso di evidenziare in maniera chiara co-me le variazioni nella circolazione termoalinapossano influenzare le concentrazioni e la di-stribuzione spaziale della sostanza organicadisciolta. A titolo di esempio sono riportati treprofili verticali di DOC osservati nel bacinoAlgero Provenzale (a), nel Golfo del Leone(b) e, in due diversi periodi, nello Ionio (c). Questi possono essere considerati rappresen-tativi di aree del Mediterraneo, caratterizzateda diverse strutture fisiche. In particolare, ilbacino Algero Provenzale, caratterizzato dafenomeni piuttosto intensi di mescolamentoverticale, mostra un profilo di DOC con valo-ri alti in superficie (~80 µM) e un andamentopiuttosto omogeneo al di sotto dei 500 m convalori medi di ~50-55 µM (per approfondi-

menti vedi Santinelli et al., 2002). Nel Golfodel Leone la principale differenza si osservanelle acque profonde, al di sotto dei 1500 m,dove è presente una acqua profonda nuova,formatasi nel Gennaio 2005. Il minimo(~ 40 µM) osservabile intorno a 300-500 m èattribuibile alla presenza dell’acqua interme-dia (LIW: acqua levantina intermedia), che èl’acqua più vecchia presente nel bacino Occi-dentale. Questo profilo di DOC (minimo nel-le acque intermedie ed aumento nelle acqueprofonde) (Fig. 2b) è tipico di tutte le stazio-ni, in cui è stata osservata la presenza di unaLIW, “vecchia”, e di un’acqua profonda “gio-vane” (Santinelli et al., 2006). L’età di unamassa d’acqua si definisce considerando l’ul-tima volta in cui essa è stata a contatto conl’atmosfera. Indice di questo è il suo contenu-to di ossigeno. Un maggior contenuto di ossi-geno infatti è tipico di un’acqua più giovane,in quanto indica che questa è stata recente-mente in contatto con l’atmosfera; con il pas-sare del tempo l’ossigeno viene consumato adopera dell’attività batterica e l’acqua si dicepiù vecchia. Nel mar Ionio la situazione cam-bia sostanzialmente dal 1999 al 2002(Fig. 2c). Qui è chiaramente visibile l’effettoche i cambiamenti nella circolazione termoa-lina, dovuti al EMT, hanno sulla distribuzione

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 2: Profili verticali di carbonio organico disciolto (DOC) in tre aree del mediterraneo caratterizzate da diversestrutture fisiche

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del DOC. La sua concentrazione è più bassanel 1999 sia nello strato intermedio che nelleacqua profonde. Durante il transiente la LIWè rimasta costretta a circolare nel bacino Le-vantino, per cui nel 1999, quando essa rag-giunge lo Ionio, è molto più vecchia (valori diossigeno molto bassi) e di conseguenza quasitutta la porzione di DOC semi-labile è stataconsumata (Seritti et al., 2003). Questo spie-ga la sua concentrazione più bassa rispetto al2002 quando la LIW che arriva nello Ionio siè formata da poco tempo ed è quindi ancoraricca di DOC semi-labile. La differenza nellostrato profondo è spiegata dal cambiamentonella sorgente di acque profonde per il Medi-terraneo orientale; infatti, nel 1999 la princi-pale sorgente di acqua densa era il Mar Egeo,mentre nel 2002 l’Adriatico torna ad essere lasorgente primaria dell’acqua profonda delMediterraneo Orientale. L’elevato apporto nel2002 di acqua “giovane” proveniente dall’A-driatico può spiegare i valori molto alti diDOC (~70 µM) trovati negli strati profondi(Fig. 2c). Il trasporto in profondità di un’ele-vata porzione di DOC semi-labile ha un’enor-me importanza per l’ecosistema profondo, inquanto rappresenta una sorgente di carboniofondamentale per i batteri. Riassumendo, il principale risultato, che hatrovato conferma in tutte le campagne svoltenel Mediterraneo, è che la distribuzione delDOC lungo la colonna d’acqua è determinatadalla presenza e circolazione di diverse massed’acqua, piuttosto che dalla diffusione vertica-le della sostanza organica, prodotta in superfi-cie. Tale considerazione nasce dalla constata-zione che: (1) Il DOC presenta concentrazionicaratteristiche in ogni massa d’acqua, tali con-centrazioni si ritrovano anche a distanza di an-ni, purché non siano avvenuti cambiamenti si-gnificativi nella circolazione. (2) La concen-trazione di DOC può essere messa in relazio-ne all’età, origine, storia di ogni massa d’ac-qua. (3) Il contenuto di DOC diminuiscequanto più ci si allontana dalla sorgente di unamassa d’acqua; questo può essere dovuto alconsumo della sua porzione semilabile, pre-sente nella massa d’acqua all’origine, che av-

viene durante il tragitto di questa dalla sorgen-te al sito dove il DOC viene misurato. (4) Do-ve esistono importanti processi di mescola-mento verticale, il DOC presenta una distribu-zione piuttosto omogenea lungo la colonnad’acqua e le differenze tra masse d’acqua ven-gono minimizzate. (5) L’EMT ha portato unamodificazione significativa nella distribuzio-ne del DOC nel Mediterraneo Orientale. (6)Le acque intermedie e profonde del Mediter-raneo presentano una concentrazione di DOCpiù elevata rispetto a quelle oceaniche. Questopuò essere messo in relazione alle diverse sca-le temporali di rinnovamento. Nel Mediterra-neo, a differenza che nell’oceano, quasi ogniinverno, le acque intermedie e profonde rice-vono un contributo di acqua superficiale gio-vane e quindi ricca di DOC, mentre il tempodi rinnovo delle acqua oceaniche è di centi-naia di anni. La scoperta di elevate concentra-zioni (fino a 90 µM) di DOC in acque profon-de di recente formazione ha conseguenze mol-to importanti circa il ruolo del DOC nel se-questro di carbonio dall’atmosfera e nel forni-re un’importante sorgente di energia per il me-tabolismo delle acque profonde. Uno studiocondotto nel Mediterraneo occidentale ha con-fermato la relazione tra l’aumento di DOCnello strato profondo e la presenza di una mas-sa d’acqua profonda formatasi pochi mesi pri-ma. La quantità e la qualità del DOC traspor-tato in profondità è strettamente dipendentedalle dinamiche superficiali e dalla formazio-ne dell’acqua profonda. Concludendo, si puòasserire che i cambiamento nel clima determi-nano cambiamenti nella circolazione tormali-na, come è già stato osservato durante il Tran-siente; questi, attraverso una diversa distribu-zione del DOC, hanno un effetto importantesu tutto l’ecosistema marino.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Molti sono gli aspetti della DOM in mare an-cora sconosciuti, in particolare soltanto unpiccola frazione, che nella migliore delle ipo-tesi arriva al 25%, è stata caratterizzata a li-vello molecolare.

Impatti dei cambiamenti climatici

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Un primo e necessario passo avanti è la mes-sa a punto di una tecnica per concentrare laDOM, senza perderne frazioni significative.Ad oggi questo non è possibile data la suaestrema complessità e la presenza nel suopool di sostanze con diverse caratteristichefisico-chimiche in una matrice molto salata.Questo è alla base di una miglior compren-sione dei processi di produzione, consumo etrasformazione della DOM, del suo ruolonell’export di carbonio, dei processi e dellecaratteristiche molecolari che determinano lasua labilità. In particolare la disponibilità diDOM a concentrazioni sufficienti permette-rebbe l’applicazione di sofisticate tecnichespettroscopiche e molecolari che porterebbe-ro alla sua caratterizzazione. Le domandeancora aperte sono molte: (1) Quanto DOC èportato in profondità durante la formazionedelle acque profonde? Questa quantità è suf-ficiente a supportare la richiesta di carboniodei batteri eterotrofi? (2) Quanto del DOCmisurato è semi-labile e quanto è refrattario?(3) Quali processi determinano la formazio-ne e/o trasformazione di entrambe le compo-nenti? (4) Come e quanto l’azione dei raggiultravioletti sulla DOM modifica le sue ca-ratteristiche molecolari, determinando un di-verso grado di labilità? (5) Quale frazionedella DOM è fotochimicamente labile? A co-sa è dovuta tale labilità? (6) Qual è la ste-chiometria (C:N:P) all’interno della DOM?Come e perché varia? Trovare una risposta a queste domande è una grande sfida che permetterebbe di quanti-ficare i processi che determinano il sequestroe/o il rilascio di CO2 da parte degli Oceani e dimeglio comprendere gli effetti che i cambia-menti climatici possono avere su tali processi.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Cambiamenti climatici e moto ondosoIn anni recenti un crescente numero di studi suicambiamenti climatici si è concentrato sul pro-blema dell’innalzamento del livello medio ma-rino, a causa dello scioglimento dei ghiacci po-lari, con conseguenze drammatiche per moltearee costiere. Nell’area Mediterranea tuttavia,le reti di misurazione del livello medio marinonon evidenziano, almeno fino ad oggi, un trenddi crescita significativamente diverso dal pe-riodo precedente. Ciononostante appare preoc-cupante l’avanzamento del mare in molti tratti,a causa di processi erosivi. Le cause di que-st’erosione sono molteplici, spesso di origineantropica, in parte valutabili come conseguen-za diretta o indiretta dei cambiamenti climatici(la diminuzione degli apporti solidi fluvialinon è, ad esempio, solo dovuta alla politica diuso del territorio, ma anche alla riduzione del-le portate fluviali e degli eventi di piena).È lecito attendersi che l’innalzamento del livel-lo medio marino produrrà cambiamenti geo-morfodinamici che stabiliranno nuove condizio-ni di equilibrio (eventualmente in rapido cam-biamento) tra le caratteristiche morfologiche,geologiche e idrodinamiche delle coste. Tutta-via le proiezioni future riguardanti i profili di

costa sommersi, si limitano a stabilire l’interse-zione del futuro livello medio marino col profi-lo attuale della linea di riva senza tener conto diquesta risposta (morfodinamica) dei litorali. L’elemento chiave per la caratterizzazionedell’idrodinamica costiera (e quindi dellamorfodinamica) consiste nella valutazione delflusso di energia ondosa, che investe la costa eha un carattere strettamente locale. Le impli-cazioni legate alla dinamica del flusso di ener-gia ondosa, non si manifestano solo nei pro-cessi di trasporto solido, ma anche nel campodei fenomeni biologici. L’interrelazione tra se-dimenti sospesi e dinamiche biogeochimiche,o lo sviluppo abnorme di talune specie algalidannose, ad esempio, possono essere correla-te all’incremento o all’indebolimento di mec-canismi di turbolenza idrodinamica, dipen-denti dal flusso di energia ondosa e quindi davariazioni del regime anemologico.Lo sviluppo della modellistica atmosferica edi moto ondoso permette oggi di avere a di-sposizione un crescente numero di dati meteo-marini, e di ricostruire gli eventi significativiprodotti negli ultimi decenni. Questa informa-zione è di elevata risoluzione e permette di di-sporre di dati di informazione che, una voltavalidati, possono essere elaborati per applica-zioni ambientali.

501

Analisi di parametri meteomarini per studi energetici e morfodinamici di lungo periodo

C. Brandini, A. Orlandi, A. Ortolani, G. Giuliani, B. GozziniIstituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: L’elaborazione degli spettri di energia prodotti dai modelli correntemente usati per le previ-sioni/analisi del moto ondoso, archiviati al più alto livello di risoluzione disponibile, permette di conser-vare la traccia del complesso di generazione e propagazione delle onde energeticamente più significative,utile sia negli studi di evoluzione climatica, sia nella costruzione di dati di input o forzanti per i modellidi scala locale e costiera. Gli effetti dei cambiamenti climatici indotti, in questo caso, da variazioni nel re-gime anemologico, possono essere studiati attraverso l’evoluzione della traccia spettrale di un numeroeventualmente molto grande di eventi, opportunamente combinati tra loro, per applicazioni di morfodina-mica costiera o per lo studio di particolari dinamiche biologiche.

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1.2 Il flusso dell’energia d’ondaL’idrodinamica costiera è dominata da feno-meni di circolazione nei quali il moto ondosogioca un ruolo dominante. Molte quantità caratteristiche delle condizio-ni del mare dipendono in modo non linearedall’altezza d’onda incidente. Ad esempio, di-pendono dal quadrato dell’altezza d’onda: ilcosiddetto radiation stress (tensione di radia-zione) che determina, tramite i suoi gradientispaziali, il set-up d’onda, le correnti litoranee,le rip currents, le celle di circolazione; la tur-bolenza, che può essere correlata al rateo lo-cale di dissipazione dell’energia ondosa; iltrasporto solido (prevalentemente in sospen-sione, ma spesso espresso nella forma di tra-sporto totale) che dipende dal flusso di ener-gia entrante nella zona dei frangenti; il tra-sporto di massa superficiale (Stokes drift) chedà un contributo non trascurabile al moto diparticelle flottanti. Nella determinazione delle quantità sopra de-scritte, e in molte applicazioni, appare limita-tivo, se non sbagliato, fare riferimento a para-metri di moto ondoso ottenuti attraverso l’e-laborazione statistica di dati già espressi informa sintetica (altezza d’onda significativaHs, periodo di picco Tp, direzione media Dm).L’elaborazione di questi dati è fonte di unanotevole perdita di informazione, non per-mette di evidenziare regimi distinti (che spes-so si sovrappongono) e non consente di esa-minare le forzanti locali che costituiscono lecondizioni al contorno per i modelli di propa-gazione delle onde, di trasporto solido, di di-namica biogeochimica.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Sistemi di analisi e previsione delle ondeI sistemi previsionali e di analisi, basati sumodelli numerici per il calcolo del moto on-doso e delle correnti marine dalle scale di ba-cino alle scale regionali e costiere, hanno ac-quisito un discreto grado di affidabilità. I datiprodotti da questi sistemi possono oggi esse-re utilizzati per propagare a costa, e al livellodi dettaglio desiderato, le condizioni iniziali,

i dati al contorno e le forzanti per specificimodelli di dettaglio, che descrivono le carat-teristiche idrodinamiche della fascia costierae il trasporto solido. Presso il laboratorio LaMMA del CNR Ibimetè attivo un sistema di previsioni/analisi me-teomarine, le cui componenti fondamentalisono:- un modello meteorologico a mesoscala, a

fisica completa, in grado di fornire tutte leforzanti atmosferiche ai modelli marini(WRF); il modello operativo viene inizia-lizzato 4 volte al giorno utilizzando i dati dianalisi dei modelli a scala globale NCEP edECMWF con risoluzione spaziale di 10 kmsull'intero bacino del Mediterraneo, al finedi ottenere previsioni ad alta affidabilità perl’inizializzazione di modelli marini;

- un modello non stazionario di previsionedel moto ondoso in acque profonde, che de-scrive i processi di generazione, propaga-zione e trasformazione del moto ondoso(WW3); Il modello è operativo presso ilLaMMA con una risoluzione media di10 Km su tutta l’area mediterranea, e di cir-ca 2 Km sull’area regionale toscana.

2.2 L’elaborazione delle informazioni acquisiteLe quantità legate al flusso di energia ondosache investe un dato tratto di costa, quali il tra-sporto solido totale, sono espresse in funzio-ne del quadrato dell’altezza d’onda incidente,ad esempio si può porre

(1)

La quantità sopra descritta si riferisce al rateodi trasporto solido e va quindi moltiplicataper l’intervallo di tempo Äti nel quale si assu-mono approssimativamente costanti le carat-teristiche di un certo stato di mare. Quest’ul-timo è descritto nella maniera più appropriataattraverso spettri direzionali di energia S(f,θ),che sono le tipiche variabili utilizzate all’in-terno dei modelli di propagazione del motoondoso. L’altezza d’onda significativa, otte-nuta a partire dallo spettro, è data da:

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502

)2sin(2 θii kHP =

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(2)

dove m0 è calcolato attraverso la relazione:

(3)

Agli effetti del trasporto solido prodotto dallatotalità degli stati di mare analizzati si posso-no definire un’altezza e una direzione d’ondai cui effetti, in termini di flusso di energia so-no, nel periodo considerato, equivalenti aquelli prodotti dalla somma dei flussi relativial clima meteomarino.

(4)

Chiaramente i singoli eventi in termini di al-tezza d’onda e direzione possono essere ana-lizzati in termini degli spettri di moto ondosoa partire dai quali sono stati elaborati. Questainformazione non è quasi mai disponile, informa economica, a meno di non utilizzare idati prodotti dai modelli di propagazione delmoto ondoso (ad esempio, uno tra WAM,WW3, SWAN ).Le singole componenti dello spettro energeti-camente “equivalente” possono essere calco-late. Con facili passaggi si ottiene

(5)

Estendendo la sommatoria ai soli eventi ener-geticamente significativi (con un criterio so-pra soglia) si ottiene così uno spettro equiva-lente, dal punto di vista degli effetti energeticie morfodinamici, agli spettri prodotti daglistati di mare energeticamente più significativi.Il vantaggio è che le caratteristiche dello spet-tro così definito possono essere utilizzate permodelli di dettaglio (dove è necessario speci-ficare le componenti spettrali che generanouno stato di mare), oltre che per evidenziare iregimi di moto ondoso prevalenti o più signi-ficativi. Gli spettri così elaborati permettonoinoltre di evidenziare la traccia degli eventiche danno il maggior contributo al flusso dienergia che impatta una regione costiera.

3 RISULTATI RILEVANTI

Esempi di contenuto spettrale, elaborati a par-tire dai dati del sistema WRF-WW3, e riferitia un periodo di due anni (2005- 2006) sono ri-portati nelle Figure 1 e 2. La Figura 1 si rife-risce, in particolare, all’elaborazione statisti-ca di un punto in prossimità di Marina diMassa. Lo spettro risultante deriva dall’anali-si dei soli eventi ritenuti significativi (Hs >1m). La forma di questo spettro è molto simi-le a quella caratteristica di un singolo evento,a parte per un maggiore spreading angolare ein frequenza, ed evidenzia come nettamenteprevalenti, ai fini della determinazione deltrasporto litoraneo, le direzioni comprese tra30°N e 60°N (in convenzione oceanografica).

Impatti dei cambiamenti climatici

503

040

mHm =

θθπ

dfdfSm ∫ ∫∞

=2

0 00 ),(

∑∑ ∆=∆⋅i

mmii

ii tkHtkH )2sin()2sin( 22 θθ

ii

m

ii

ijkeqjk t

tSS

∆⋅

∆⋅=

∑∑

)2sin(

)2sin(.

θ

θ

Figura 1: Combinazione degli spettri d’energia per Ma-rina di Massa.

Figura 2: Combinazione degli spettri d’energia per Follonica.

Page 42: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Questo spettro corrisponde a uno stato di ma-re “virtuale” di altezza significativa pari acirca 2 m, e direzione 38°N.Lo spettro rappresentato in Figura 2 è invecerelativo a un punto all’interno del Golfo diFollonica, per il quale si evidenzia la presen-za di due distinti picchi di energia, di cui unoprevalente con direzione intorno a 20°N (ver-so NNE), e uno meno marcato provenientedalle direzioni tra 70°N e 80°N (verso ENE).L’applicazione di un semplice modello a rag-gi - basato su una procedura lineare di raytracing - all’area del Golfo di Follonica evi-denzia come questi due picchi corrispondanoeffettivamente a due diversi settori (A e B) fi-sicamente separati dalla presenza dell’Isolad’Elba (Fig. 3). Lo stato di mare equivalenteha un’altezza d’onda significativa di circa1,4 m e una direzione di circa 25°N, ma èchiaro come una rappresentazione dello statodi mare in termini di quantità statistiche me-

diate (quali altezza d’onda significativa e di-rezione media) non permette di analizzare si-tuazioni complesse che possono subire, nellungo periodo, cambiamenti nel regime delvento e del moto ondoso.

4 CONCLUSIONI

L’utilizzo dei dati spettrali opportunamenteelaborati permette di rappresentare le ondenella fascia costiera, e quindi processi quali iltrasporto solido o gli effetti della turbolenza li-toranea che possono avere un impatto anchenelle dinamiche biologiche. Gli effetti di cam-biamenti climatici (indotti da variazioni nelregime anemologico) possono essere di im-mediata individuazione tramite la traccia spet-trale di più eventi combinati tra loro lungo in-tervalli di tempo piuttosto lunghi per i qualisiano disponibili le informazioni elaborate damodelli di propagazione del moto ondoso.

5 PROSPETTIVE FUTURE

Il trasferimento delle informazioni elaboratedai modelli previsionali alle scale costiere tra-mite l’elaborazione spettrale è del più grandeinteresse per la costruzione di sistemi di mo-nitoraggio innovativi a costi sostenibili e dibuona affidabilità.

6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Fredsoe J., Deigaard R., 1994. Mechanics ofCoastal Sediment Transport. World Scien-tific.

IPCC 2001. Climate change 2001: the scien-tific basis.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

504

Figura 3: Individuazione dei settori di provenienza del-le onde tramite ray tracing: Golfo di Follonica.

Page 43: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 ANIDRIDE CARBONICA ANTROPOGENICA E SUOPOTENZIALE SEQUESTRO NELLE PROFONDITÀOCEANICHE

1.1 Pompa biologica oceanica e continentaleDurante l’ultimo secolo l’aumento globale delconsumo di combustibili fossili insieme allaridotta capacità della rimozione dell’anidridecarbonica atmosferica causata dalla deforesta-zione, ha causato un drammatico input di CO2nell’atmosfera. Il risultante aumento del natu-rale “effetto serra” è stato parzialmente bilan-ciato dal sequestro della CO2 nelle profonditàoceaniche e senza questa compensazionel’aumento di anidride carbonica nell’atmosfe-ra sarebbe duplicato. Infatti, studi specificihanno supportato il ruolo significativo svoltodalla “biological pump” oceanica (Packard etal., 1988) e della “shelf pump” continentale(Thomas, 2003) nell’abbattimento della cre-scente CO2 atmosferica.

1.2 Principali mezzi di mitigazione utilizzatinell’oceanoL’opzione di immagazzinare anidride carbo-nica nelle profondità oceaniche è un mezzo

potenziale di mitigazione dei cambiamenticlimatici che sta ricevendo negli ultimi anniun aumentato livello di attenzione all’internodella comunità accademica, industriale e poli-tica. Nell’oceano le principali strategie cor-rentemente studiate sono: a) la fertilizzazionedei deserti oceanici con micro- e macronu-trienti che innesca blooms fitoplanctonici econseguentemente un aumento dell’assimila-zione dell’anidride carbonica e b) la direttainiezione di CO2 nelle acque profonde oceani-che al di sotto dei 1000 m di profondità, conconseguente sequestro per tutto il tempo diresidenza della massa d’acqua (~1000 anninegli oceani). Gli effetti a lungo termine e lepotenziali conseguenze del sequestro oceani-co dell’anidride carbonica utilizzando questestrategie, sono ancora sconosciuti.

2 IL TRANSIENTE DEL MEDITERRANEO ORIENTA-LE: UN CASO DI STUDIO

2.1 Background del TransienteIl Transiente (EMT) è un evento causato dauna combinazione di fattori metereologici eidrologici che hanno drammaticamente modi-

505

Accelerati tassi di sequestro di anidride carbonica nelle acque profonde del Mediterraneo Orientale durante il Transiente

M. Azzaro, R. La FerlaIstituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Messina, [email protected]

SOMMARIO: Durante l’ultimo secolo la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentatadai livelli pre-industriali agli attuali di circa il 25%. Il risultante rinforzo dell’effetto serra è stato parzial-mente tamponato dai vari sistemi terrestri ed in particolare un ruolo chiave lo hanno avuto gli oceani. Inquesto studio viene riportato un andamento decennale del sequestro di anidride carbonica nel Mar Ioniodurante l’evoluzione dell’evento climatico “Transiente”. Le giovani e più ossigenate acque fuoriuscitedall’Egeo, hanno convogliato il proprio carico organico preformato nello Ionio, consentendo al biota mari-no profondo di incrementare in pochi anni l’efficienza di sequestro della CO2 di circa quattro volte. Glielevati tassi di remineralizzazione registrati hanno riportato in pochi anni il tenore di O2 ai livelli delleacque di origine adriatica residenti nella situazione pre-Transiente, con probabili implicazioni future di unavvento di anossia.

Page 44: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ficato la pre-esistente cicolazione termo-alinadel Mediterraneo Orientale negli anni ’90(Roether et al., 1996). In sintesi circa il 20 %delle acque profonde di origine adriatica, resi-denti al di sotto dei 1500 metri nelMediterraneo Orientale, sono state rapida-mente rimpiazzate da giovani acque di origi-ne Egea (Cretan Sea Overflow Water,CSOW). La nuova sorgente Egea aveva rim-piazzato la precedente sorgente Adriaticadelle acque profonde, con acque che avevanodifferenti proprietà (più alte temperature esalinità rispetto a quelle di origine adriatica).Le CSOW erano caratterizzate da più altilivelli di O2 disciolto, più alte concentrazionidi nutrienti, clorofluorocarburi (CFC-12) e137Cs, e più alte stime di carbonio organicodisciolto (DOC) rispetto alle precedenti acqueprofonde residenti nel Mediterraneo Orientale(Seritti et al., 2003). Il carico organico veico-lato dalle acque Egee ha alimentato il biotamarino profondo che ha utilizzato per l’ossi-dazione biologica molto dell’ossigeno tra-sportato dalla nuova massa d’acqua.

2.2 Protocolli di campionamento e Set di dati I dati analizzati nel presente lavoro derivanoda diversi studi multidisciplinari di campocondotti nel periodo dal 1995 al 2004 con laN/O Urania del CNR. I dettagli delle campa-gne e delle procedure di campionamento sonostati descritti da La Ferla et al. (2003). I tassidi produzione metabolica di anidride carboni-ca (CDPR) riportati in questo studio sono statimisurati per mezzo del saggio dell’attivitàETS proposto da Packard et al. (1988).L’attività ETS nella zona afotica al di sotto dei200 metri è stata convertita in tassi di utilizza-zione di ossigeno (OUR) e successivamentein CDPR usando i correnti fattori di conver-sione (Azzaro et al., 2006).

2.3 Tassi di produzione metabolica di anidri-de carbonica In Figura 1 è riportata l’evoluzione dei tassi diremineralizzazione nel Mediterraneo Orientale,derivati dalle nostre stime di CDPR così comeda dati riportati da Bethoux (1989) e Roether

e Well (2001) calcolati con altri metodi. Lestime di Bethoux (1989) sono state ottenuteindirettamente mediante un budget deinutrienti e dell’ossigeno, mentre le stime diRoether e Well (2001) sono state calcolateusando un modello per stimare il consumo diossigeno interpolando spazialmente le distri-buzioni dell’ossigeno disciolto. Il consumobiologico dell’ossigeno e la produzione meta-bolica di anidride carbonica sono strettamen-te relazionati alla remineralizzazione del C edei nutrienti, quindi in condizioni di stato sta-zionario l’OUR misura la “new primary pro-duction”.Bethoux, 1989, ha stimato un CDPR of 33.1mg C m-2 d-1 prima del 1987 e, proiettando un3 % di aumento per anno della “new primaryproduction” causato da un aumento annualedegli scarichi terrestri di nutrienti, ha ipotiz-zato l’anossia in poche decine di anni (nel2030) nel bacino profondo Orientale. Tali pre-visioni erano naturalmente piuttosto accade-miche, non soltanto a causa dell’incertezzadei correnti e futuri scarichi dei nutrienti inmare, ma anche perché, come menzionatoprecedentemente, è cambiata la circolazionetermo-alina e quindi la distribuzione delleproprietà, causando alti CDPR locali e alte-rando profondamente la biogeochmica pro-fonda. La remineralizzazione stimata daRoether e Well (2001) per il 1987 (43.8 mg Cm-2 d-1) era leggermente più alta di quella pre-vista da Bethoux (1989) per il pre-1987 eentrambe sono riferite alla preesistente circo-lazione termo-alina prima dell’evento EMT.Le nostre stime sul campo nel 1995, risultava-no circa il doppio delle proiezioni di Bethouxper il medesimo anno (42 mg C m-2 d-1) e rap-presentano il livello basale di remineralizza-zione, calcolato mediante il saggio ETS, nelleacque profonde del bacino orientale quandoancora gli effetti del Transiente non erano pre-senti nel sito di campionamento prescelto (LaFerla e Azzaro, 2001). Dopo l’evento EMT, i CDPR divennero con-siderevolmente più rapidi nel 1998 ed ancorpiù nel 1999. Parte della differenza tra i nostrivalori e le precedenti stime potrebbero essere

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

506

Page 45: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

dovute ai diversi approcci utilizzati, ma l’au-mento successivo al 1995 è realmente rimar-chevole. Questi dati recenti di CDPR (partico-larmente negli anni 1998 e 1999, 226,7 e349,9 mg C m-2 d-1, rispettivamente) contrad-dicono enormemente il trend previsto daBethoux e suggerirebbero in breve tempol’occorrenza dell’anossia. Dal 2001 è chiara-mente visibile l’avvio di un trend decrescente.

2.4 AnossiaÈ difficile predire quanto questi inusitati tassidi consumo di ossigeno registrati possonoessere sostenuti nel tempo. Inoltre non sihanno informazioni sulla composizione delDOC preformato veicolato dalle CSOW, ed inparticolare dell’incidenza percentuale delmateriale organico labile su quello refrattario.L’anossia fino ad oggi è stata scongiurata,perché il tasso di rifornimento del carburanteorganico dall’area Egea al biota marino pro-fondo orientale, è stato controbilanciato da unparallelo rifornimento di comburente (O2disciolto; Roether et al., 1996). Quindi se nonsi ritornerà al vecchio regime di stato quasistazionario, con le acque profonde di origineesclusivamente dall’Adriatico Meridionale,l’avvento dell’anossia sarà giocato esclusiva-

mente sull’equilibrio stechiometrico del com-bustibile organico e del relativo comburentedi origine Egea. Di certo, nel Mare Nostruml’occorrenza dell’anossia non è una novità, edha portato nei climi passati alla formazionedel ben noto sapropel Mediterraneo.

3 RISULTATI RILEVANTI

L’evento EMT si è dimostrato un particolarecaso di “shelf pump” continentale che hasignificativamente condizionato la respirazio-ne microbica profonda nel MediterraneoOrientale e conseguentemente gli equilibribiogeochimici. A dispetto delle previsioni cheacclamavano l’anossia già a valori più bassi diremineralizzazione, la sua occorrenza è statascongiurata dalla presenza del più elevatolivello di O2 disciolto trasportato dalle giova-ni acque fuoriuscite dall’Egeo. L’inusualeaccelerato sequestro della CO2 nelle acqueprofonde, registrato durante l’evento EMT, hamesso in luce che i bacini profondi non costi-tuiscono inerti serbatoi di anidride carbonicama possono anche agire rapidamente nel miti-gare gli effetti dei cambiamenti climatici. Ilmonitoraggio dell’evoluzione dell’ossidazio-ne del C durante il Transiente, ha quindi rive-

Impatti dei cambiamenti climatici

507

Figura 1: Andamento dei tassi di produzione metabolica di CO2 nelle acque profonde del Mediterraneo Orientale.Cilindri grigi= dati riportati da Bethoux (1989), cilindro nero= dato riportato da Roether e Well (2001), cilindri bian-chi= dati riportati da La Ferla et al., (2003) e Azzaro (inedito).

Page 46: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

lato quest’ultimo come un meccanismo addi-zionale di sequestro oceanico di CO2.

4 PROSPETTIVE FUTURE

L’estensione su scala globale del test naturaleEMT è concettualmente fattibile ma richiedealmeno il controllo di tre principali fattori: latemperatura dell’acqua, la disponibilità disubstrati organici ed i livelli di ossigeno. Latemperatura delle acque profonde negli ocea-ni è più bassa rispetto al Mar Mediterraneo epotrebbe condizionare il sequestro microbicodel carbonio per circa il 40% (La Ferla et al.,2003). È notorio che la maggior parte dellamateria organica disciolta nell’oceano profon-do è refrattaria e quindi, un eventuale inter-vento antropogenico nelle acque profonde,dovrebbe considerare l’iniezione di DOC labi-le più facilmente ossidabile. Durante l’eventoEMT, consistenti livelli di ossigeno erano vei-colati con le giovani CSOW fuoriuscitedall’Egeo e diffuse nell’intero MediterraneoOrientale. Quindi un costante bilancio tra sub-strati organici e livelli di ossigeno dovrebbeessere mantenuto allo scopo di prevenire feno-meni di anossia.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Azzaro M., Azzaro F., La Ferla R., 2006.Microbial respiration in the aphotic zoneof the Ross Sea (Antarctica). MarineChemistry, Special issue 99(1-4): 199-209.

Bethoux J.P., 1989. Oxygen consumption, newproduction, vertical advection and environ-mental evolution in the Mediterranean Sea.Deep-Sea Research I, 36(5): 769-781.

La Ferla R., Azzaro M., 2001. Microbialrespiration in the Levantine Sea: evolutionof the oxidative processes in relation tothe main Mediterranean water masses.Deep Sea Research I, 48: 2147-2159.

La Ferla R., Azzaro M., Civitarese G., Riberad’Alcalà M., 2003. Distribution patternsof carbon oxidation in the easternMediterranean Sea: evidence of changesin remineralization processes. Journal ofGeophysical Research, 108(C9): 8111.

Roether W., Manca B.B., Klein B., Bregant D.,Georgopoulos D., Beitzel V., Kovacevic V.,Luchetta A., 1996. Recent changes in theEastern Mediterranean deep water. Science,271: 333-335.

Roether W., Well R., 2001. Oxygen consump-tion in the Eastern Mediterranean. Deep-Sea Research I, 48: 1535-1551.

Seritti A., Santinelli C., Nannicini L., 2003.Relationships between hydrological prop-erties and dissolved organic carbon(DOC) in the Ionian Sea. J. Geoph. Res.,108(C9): 8107.

Thomas H., 2003. The role of coastalseas/margins in the global carbon cycleand the importance of interacting with ter-restrial and atmospheric communities.CO2 supply from the North Sea to theNorth Atlantic Ocean evidence for thecontinental shelf pump, OCCP workshop,13.01-15.01.2003, France.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

508

Page 47: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Il Mediterraneo è un bacino di densificazione do-ve l’evaporazione alla superficie eccede la sommadelle precipitazioni e degli apporti fluviali con unaperdita netta di acqua, mentre il bilancio di caloreannuale presenta una forte variabilità interannualecon una perdita media di circa 7 Watt/m2 (Castel-lari et al., 1998). Per poter mantenere il bilanciod’acqua e di calore ad un valore di equilibrio, ilMediterraneo deve introdurre acqua e calore attra-verso lo Stretto di Gibilterra dando origine ad unacircolazione termoalina di tipo antiestuarino, notocome nastro trasportatore principale (Pinardi eMasetti, 2000), che si sviluppa attraverso il bacinooccidentale e quello orientale (o bacino Levanti-no). Questa cella termoalina è composta da un ra-mo superficiale di acqua di origine atlantica en-trante in superficie e un ramo più profondo di ac-qua con caratteristiche mediterranee, cioè relativa-mente più calda e salata, uscente nell’OceanoAtlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra. Il mo-tore di questa circolazione è dato dai processi di

convezione intermedia che avvengono, soprattut-to, nel bacino Levantino su scale spazio/tempora-li estremamente limitate. Per tale motivo una gran-de attenzione da parte della comunità scientificamondiale è rivolta anche alla comprensione dellavariabilità della circolazione termoalina del Medi-terraneo e alla possibilità di riprodurla corretta-mente attraverso l’utilizzo integrato di misure ascala di bacino e modelli numerici di simulazione.In questo contesto il ruolo dello Stretto di Sicilia èdi fondamentale importanza perché, essendo unabarriera topografica che isola i due sotto-bacini delMediterraneo al di sotto di una certa quota, con-sente di valutare l’evoluzione temporale degliscambi di volume, calore e sale indotti dalla circo-lazione termoalina e, quindi, di identificarne leeventuali anomalie.Per il calcolo dei flussi di volume, calore e sale so-no stati utilizzati i campi di velocità, temperatura esalinità simulati dal modello numerico SCRM-Si-cily Channel Regional Model (Sorgente et al.,2003) innestato ai contorni aperti con il modellodel Mediterraneo versione MFS831 (Pinardi et al.,

509

Simulazione dei trasporti allo Stretto di Siciliacome indicatore della variabilità della circolazione termoalina mediterranea

R. Sorgente1, A. Olita1, A. Ribotti1, A. Perilli1, S. Natale3, S. Mazzola2,G. Basilone2, A. Cuttitta2

1Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Oristano, Italia2Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Mazara del Vallo (Tp), Italia3Fondazione IMC, Centro Marino Internazionale ONLUS, Oristano, [email protected]

SOMMARIO: In questo lavoro è stata analizzata la variabilità temporale dei trasporti di volume, calore e sa-le attraverso lo Stretto di Sicilia nel periodo gennaio 2001 - dicembre 2004. L’analisi è stata effettuata sul-l’output del Sicily Channel Regional Model. I flussi netti di volume, calore e sale mostrano un segnale ca-ratterizzato da una forte variabilità ad alta frequenza sovrapposta ad un ciclo stagionale modulato da un de-bole segnale interannuale. La media di periodo dei flussi di volume è consistente con le osservazioni, men-tre i flussi netti di calore e sale mostrano profonde variazioni rispetto agli anni ’80. Il trasporto netto di ca-lore si è circa dimezzato, mentre quello di sale è aumentato di circa 4,5 volte. Queste variazioni sono daattribuire al transiente climatico che ha provocato un continuo aumento della temperatura e della salinitàdelle acque intermedie, dando origine ad una continua immissione di calore e sale nel bacino tirrenico.

Page 48: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

2003). Alla superficie è forzato dai campi atmo-sferici ogni 6 ore dell’European Centre for Me-dium range Weather Forecasts.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca riguarda lo sviluppo e l’appli-cazione di un modello numerico tridimensionaleannidato per la simulazione delle condizioni idro-dinamiche, la validazione e l’analisi dei risultatifinalizzata alla individuazione delle anomalie.

3 RISULTATI RILEVANTI

La variabilità dei trasporti allo Stretto di Siciliarappresenta una delle manifestazioni dei cambia-menti che si verificano nella struttura della circo-lazione e delle caratteristiche fisiche delle massed’acqua che interessano il bacino Mediterraneo. Inquesta sezione presentiamo l’analisi dei trasportidi volume, calore e sale simulati dal modelloSCRM allo Stretto di Sicilia durante il periodogennaio 2001 - dicembre 2004.In figura 1 è mostrata l’evoluzione temporale deltrasporto di volume diretto verso ovest e la diffe-renza tra i trasporti nelle due direzioni (trasportonetto di volume). Il flusso diretto verso ovest, pre-valentemente dovuto al trasporto delle acque diorigine levantina, presenta un complesso segnalecaratterizzato da un valore medio annuale e variatra il valore minimo di 1,48 Sv (2003) e quellomassimo di 1,62 Sv (2002), con intense fluttua-zioni giornaliere che possono raggiungere anche i3,0 Sv. Il valore medio del trasporto netto di volu-me calcolato sull’intero periodo di simulazione2001-2004 è di +0,07 Sv, in accordo con recentistime (Astraldi et al., 1996; Manzella et al., 1990).Il segno positivo della media equivale ad un tra-sporto netto di volume diretto verso il bacino Le-vantino; il trasporto delle acque di origine atlanti-ca supera di circa il 4,4 % il trasporto delle acquedi origine levantina, in accordo con Gasparini(Gasparini et al., 2005). Questo trasporto netto divolume andrà a compensare la perdita di acqua al-la superficie del bacino Levantino a causa dei pro-cessi di evaporazione, in modo tale da mantenereil bilancio d’acqua complessivo ad un valore diequilibrio.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

510

Figura 1: Evoluzione temporale giornaliera del trasportodi volume diretto verso ovest (linea continua) e quellonetto (linea tratteggiata) simulato dal modello SCRM at-traverso lo Stretto di Sicilia durante il periodo gennaio2001 - dicembre 2004. Valori positivi rappresentano untrasporto diretto verso est, negativo verso ovest. L’unitàdi misura è Sverdrup (106 m3/sec).

In Figura 2 è mostrata l’evoluzione temporale deltrasporto netto di calore. Il segnale presenta unaforte variabilità ad alta frequenza sovrapposta adun ciclo stagionale modulato, a sua volta, da unamoderata variabilità interannuale.Il trasporto netto di calore, su base mensile, è di-retto verso il bacino Levantino tra giugno/lugliosino a dicembre/gennaio raggiungendo il valoremassimo di +25 x 10

12Watt a novembre 2004. Vi-

ceversa, tra gennaio/febbraio e sino a maggio /giu-gno il flusso è diretto verso il bacino occidentaleraggiungendo un valore massimo di -10 x 10

12

Watt a marzo 2004. Il bilancio annuale è semprepositivo, quindi diretto verso il bacino Levantino,e varia tra il valore massimo di +6,7 x 10

12Watt nel

2001 e il minimo di +5,1 x 1012

Watt nel 2004.Questi dati confermano che attraverso lo Stretto diSicilia deve entrare un trasporto netto di calore ta-le da compensare le perdite subite all’interfacciaaria-mare durante il periodo di produzione delleacque intermedie e di fondo nel bacino Levantino.Inoltre, un confronto del valore medio calcolato daSCRM sul periodo 2001 - 2004 (+5,9 x 10

12Watt)

con il valore stimato da Pinardi (Pinardi et al.,1997) relativo al periodo 1980-1988 (+12 x 1012

Watt) mostra una riduzione del trasporto netto dicirca il 50 %.Anche l’andamento temporale del trasporto nettodi sale presenta un intenso segnale ad alta fre-quenza sovrapposto ad un ciclo stagionale (Fig. 3)che, su base mensile, raggiunge la sua massima in-

Page 49: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

tensità in direzione ovest (valori negativi) tra mar-zo e maggio. Il valore massimo stimato dal mo-dello è di -7,1 x 106 psu m3 / sec a maggio 2004.Viceversa quello in direzione est (valori positivi) èsempre più debole con un valore massimo mensi-le di +1,4 x 106 psu m3 / sec stimato a novembre2004. Le oscillazioni giornaliere possono raggiun-gere i 10 x 106 psu m3 / sec in entrambe le dire-zioni. Il bilancio annuale risulta essere sempre ne-gativo e varia dal valore minimo di -3,0 x106 psu m3 / sec nel 2001 a quello massimo di -3,8x 106 psu m3 / sec nel 2004. Questo dato confermache il bacino Levantino rappresenta una sorgente

di sale, per effetto degli intensi processi di evapo-razione alla superficie aria-mare. Confrontando ilvalore medio del trasporto netto di sale calcolatoda SCRM sul periodo 2001-2004 (-3,5 x106 psu m3 / sec) con il valore medio stimato da Pi-nardi (Pinardi et al., 1997) per il periodo 1980 -1988 (-7,1x 105 psu m3 / sec) si osserva un incre-mento del trasporto netto di circa 4,5 volte, al qua-le corrisponde un’evaporazione netta attraverso lasuperficie del bacino Levantino di 0,16 m / anno.É importante sottolineare, inoltre, che tra il 1960ed il 1990 sono state costruite numerose dighelungo i fiumi che sfociano nel Mediterraneo dimi-nuendo considerevolmente l’input di acqua dolce,probabilmente influendo sul graduale aumentodella salinità. Infine un recente lavoro (Brankard ePinardi, 2001) ha evidenziato un riscaldamentodelle acque intermedie levantine dal 1946 al 1979,seguito da un raffreddamento dal 1983 al 1992portando a variazioni del trasporto di calore. Dall’analisi dei risultati del modello osserviamoche le medie dei trasporti di volume sono con-frontabili con le più recenti osservazioni, mentre lestime dei trasporti netti di calore e di sale mostra-no importanti variazioni rispetto a quelle ottenuteda altri autori prima degli anni ‘90. Il motivo diqueste differenze nei trasporti netti di calore (unariduzione di circa il 50 %) e di sale (un aumento dicirca 4,5 volte) potrebbe attribuirsi al fenomenodel transiente climatico che, a partire dagli anni‘90, ha provocato un aumento della temperatura edel contenuto di sale delle masse d’acqua inter-medie e profonde del Mediterraneo orientale (Ga-sparini et al., 2005). Questo ha aumento l’intensitàdel trasporto di calore e di sale in direzione del ba-cino occidentale, modificandone i flussi netti alloStretto di Sicilia, e provocando una forte immis-sione di sale e calore nel bacino tirrenico. Questorisultato è consistente anche con le recenti osser-vazioni, che mostrano una continua e progressivasalinificazione degli strati profondi del bacino oc-cidentale.

4 CONCLUSIONI

In questo lavoro abbiamo tentato di evidenziare,ancora una volta, come il Mediterraneo rappre-senti un sistema climatico in continua evoluzione

Impatti dei cambiamenti climatici

511

Figura 2: Evoluzione temporale giornaliera del trasportonetto di calore (Watt) simulato dal modello SCRM attra-verso lo Stretto di Sicilia durante il periodo gennaio 2001- dicembre 2004. Valori positivi rappresentano un tra-sporto netto diretto verso est, negativi verso ovest. Il fat-tore di moltiplicazione nel grafico è 1013 .

Figura 3: Evoluzione temporale giornaliera del trasportonetto di sale (psu m3 / sec) simulato dal modello SCRMattraverso lo Stretto di Sicilia durante il periodo gennaio2001 - dicembre 2004. Valori positivi rappresentano untrasporto netto diretto verso est, negativi verso ovest. Ilfattore di moltiplicazione nel grafico è 107.

Page 50: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

capace di reagire in tempi “rapidi” ad eventualimodifiche dei forzanti atmosferici. L’osservatoaumento medio della temperatura e del contenutodi sale delle masse d’acqua intermedie e profondedel Mediterraneo orientale dagli anni ‘80 ad oggisi sono manifestate allo Stretto di Sicilia con sen-sibili variazioni nei trasporti di volume, calore esale. Il monitoraggio di questi parametri consente,quindi, di avere a disposizione un indicatore dellavariabilità climatica dell’intera circolazione ter-moalina.Tenendo conto della complessità delle interazionitra il Mediterraneo e l’atmosfera, l’osservato ri-scaldamento e aumento del contenuto di sale deglistrati intermedi e profondi delle masse d’acqua delbacino Levantino dagli anni ‘80 ad oggi potrebbeessere interpretato come una risposta del sistemaMediterraneo nel tentativo di mitigare il riscalda-mento globale dell’atmosfera “catturando” partedel calore atmosferico e trattenendolo negli stratiintermedi e profondi delle masse d’acqua medi-terranee, oppure rappresentare un effetto localedella naturale variabilità interannuale del clima le-gato all’andamento dell’indice NAO-North Atlan-tic Oscillation.

5 PROSPETTIVE FUTURE

I futuri sviluppi del presente lavoro riguarderannola valutazione degli effetti di tale anomalie di ca-lore e di sale sulle dinamiche del bacino occiden-tale, attraverso misure in situ ed esperimenti dimodellizzazione numerica.

6 RINGRAZIAMENTI

Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito delprogetto nazionale MIUR - PON SIGLA. Il mo-dello idrodinamico SCRM è stato realizzato nel-l’ambito del progetto EU MFSTEP - Mediterra-nean Forecasting System Toward EnvironmentalPrediction.

7 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

512

Page 51: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

La presenza nel Mediterraneo di specie nuove divertebrati ed invertebrati è spesso consideratacome un effetto dei cambiamenti climatici chesembrano essere in atto (Francour et al., 1994).Paradossalmente, la fauna ittica del Mediterra-neo è tutta di origine alloctona, in quanto alcu-ni milioni di anni fa il bacino ha subito feno-meni anossici che hanno fatto sparire le specieindigene della Tetide. I pesci attuali sono dun-que specie ricolonizzatrici, soprattutto di origi-ne temperata o boreale, entrate attraverso Gi-bilterra successivamente all’apertura della so-glia (Bianchi, 2007); nulla impedisce di pensa-re che il fenomeno possa ancora essere attivo.Lo scavo del Canale di Suez ha offerto dal1869 una nuova via di colonizzazione, questavolta alle specie indo-pacifiche di valenzasubtropicale. Le specie lessepsiane entranodunque perché è stata loro aperta la porta, enon necessariamente perché le acque del Me-diterraneo si stanno scaldando. Il fenomenoha recentemente avuto una accelerazione(Boudouresque, 2004), anche perché la sali-

nità dei Bitter lakes (laghi amari) che fungevada barriera si è ridotta.L'espansione dell'areale di distribuzione divarie specie può essere ascritta direttamente avariazioni della temperatura dell'acqua (Què-ro et al., 1998), ma più spesso a cause indi-rette, quali la diversa circolazione delle mas-se d'acqua.Bisogna anche considerare che, perché si pos-sa parlare di una relazione con i cambiamenticlimatici, è necessario che una specie nuovasia segnalata in quantità tali da giustificare unacolonizzazione, e non solo un evento casualedi portata limitata (Streftaris et al., 2005).Per ora, fortunatamente, nessuna delle “inva-sioni” di specie ittiche nel Mediterraneo è do-vuta ad immissioni dirette, volontarie od in-volontarie, determinate da attività antropiche(Bianchini et al., 1995).Nello studio dei potenziali effetti dei cambia-menti climatici di meso-scala nel Mediterra-neo, non ci si deve però limitare alla segnala-zione “qualitativa” di specie nuove, ma biso-gna esaminare le variazioni quantitative chepossono intervenire negli assemblage ittici

513

Presenze di specie ittiche esotiche come possibili indicatori di cambiamenti climatici: il caso dello Stretto di Sicilia

M.L. Bianchini1, S. Ragonese2

1Istituto di Biologia Agro-Ambientale e Forestale, CNR, Roma, Italia2Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Mazara del Vallo(Tp), [email protected]

SOMMARIO: La presenza di specie alloctone viene spesso indicata come un risultato diretto dei cambia-menti climatici che sono apparentemente in atto, viz. al riscaldamento globale. Tuttavia, questo assuntonon è necessariamente vero, e le recenti “colonizzazioni” di specie esotiche potrebbero essere dovute adaltri fattori; per converso, variazioni nei rapporti di abbondanza delle specie autoctone potrebbero esserepiù significative. La fauna ittica dello Stretto di Sicilia si è arricchita negli ultimi anni di 13 specie di di-versa provenienza; purtroppo di una sola, il pesce palla Sphoeroides pachygaster, è possibile disporre didati certi e di tipo quantitativo. Il pesce palla, praticamente assente dalle aree siciliane fino alla fine deglianni ’80, è ora rinvenibile su tutto lo shelf con valori di 1-2 individui/km2. Per verificare eventuali rela-zioni tra invasione e cambiamenti ambientali a livello di meso-scala si rendono necessari ulteriori studisull’evoluzione spaziale, e non solo temporale, di questo popolamento.

Page 52: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

boratorio, rilevandone se del caso anche ses-so, maturità e vari parametri morfometrici.La sede di Mazara è anche il punto di riferi-mento dei pescatori locali, che vi portanospesso esemplari rari o “strani” catturati nelcorso dell’attività di pesca commerciale; vaperaltro notato che la flotta peschereccia ma-zarese è la più grande ed attiva dell’interoMediterraneo, con barche che battono non so-lo le coste siciliane e le acque dello Stretto diSicilia, ma anche zone assai più distanti, inspecial modo nel bacino orientale.

3 RISULTATI RILEVANTI

Dei 98 pesci segnalati dalla CIESM come al-loctoni per il Mediterraneo, risultano cattura-te durante le operazioni commerciali e conse-gnate al laboratorio di Mazara, e quindi pro-babilmente presenti nello Stretto di Sicilia onelle sue vicinanze, almeno 13 specie, e cioè:- Upeneus moluccensis, una triglia di prove-

nienza indo-pacifica, già sfruttata commer-cialmente nel Mediterraneo orientale;

- Fistularia commersonii (Fiorentino et al.,2004), un grosso pesce ago della regioneindo-pacifica;

- Stephanolepis diaspros, un piccolo tetrao-dontide entrato via Suez;

- Leiognathus klunzingeri, un altro pescio-lino lessepsiano;

- Beryx splendens, un pesce alfonsino subtro-picale, ampiamente diffuso in tutti gli ocea-ni, ma di origine atlantica per quanto attie-ne alla sua presenza in Mediterraneo, doveè ancora rarissimo;

- Gephyroberyx darwinii, un altro bericifor-me subtropicale ubiquitario, entrato attra-verso Gibilterra, anch’esso rarissimo;

- Pisodonophis semicinctus (Ragonese eGiusto, 2000), un pesce anguilliforme diacque costiere proveniente dall’Atlanticosubtropicale;

- Sphoeroides pachygaster (Ragonese et al.,1992), un pesce palla ubiquitario nei marisubtropicali e temperati, giunto attraversoGibilterra ed ormai molto frequente in tuttoil Mediterraneo (Fig. 2);

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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autoctoni, dove una specie abbondante steno-terma potrebbe rarefarsi a vantaggio di un'al-tra specie più adattabile alle mutate condizio-ni (Vacchi et al., 2001), secondo gradientiche si conformano a quelli ambientali.In questo contesto generale, lo Stretto di Sici-lia (Fig. 1) gode di una posizione privilegiataper il suo effetto di soglia nella transizione trail bacino orientale e quello occidentale delMediterraneo.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Con-siglio Nazionale delle Ricerche (IAMC-CNR), at-traverso l’unità territoriale di Mazara del Vallo(TP), conduce annualmente, a partire dal 1994,due campagne sperimentali di pesca a strasci-co (trawl survey) associate, una nella tarda pri-mavera (programma internazionaleMEDITS)e l’altra in periodo autunnale (programma na-zionale GRUND), nello Stretto di Sicilia.Il disegno statistico del campionamento è ran-domiale stratificato per profondità nella zonaoggi denominata GU 16 secondo le definizio-ni GFCM, grossomodo corrispondente allametà italiana (e maltese) dello Stretto di Sici-lia, estesa su circa 57.500 km2.In totale sono state effettuate 3463 cale, di 30min, a profondità tra 0 m e 200 m (che copreun'area di 23.000 km2) e di 1 h tra questo li-mite e 800 m.Tutti i pesci, ossei o cartilaginei, catturativengono classificati a livello specifico, o di-rettamente a bordo o successivamente in la-

Figura 1: Mappa dello Stretto di Sicilia.

Page 53: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

delle prime quattro specie, pur contribuendoalla “tropicalizzazione” della fauna mediterra-nea, non può essere ascritta direttamente aicambiamenti climatici; le catture dei due beri-ciformi sono per ora così occasionali da nonpoter essere in alcun modo collegate ad una“invasione”; l’entrata in Mediterraneo delle ul-time quattro specie non si collega poi necessa-riamente ad un eventuale riscaldamento in attoin quanto, essendo animali anche di acquetemperate, possono originare da aree termica-mente analoghe al Mediterraneo occidentale.Delle restanti tre specie, solo S. pachygasterrisulta essere stata catturata nel corso dellecampagne sperimentali; essa è quindi l’unicadi cui si possono avere informazioni quantita-tive; è interessante notare che nel corso dicampagne precedenti (condotte a partire del1985 su una zona più estesa), il pesce pallaera praticamente assente dalla GSA italianadello Stretto di Sicilia (Fig. 3).Il pesce palla è stato rinvenuto praticamente so-lo tra i 50 m ed i 200 m di profondità, nel 6%circa delle cale effettuate in questi strati. La cat-tura è stata particolarmente frequente ed abbon-dante nel 1996 (6-8 animali/km2, col 12% dicale positive), mentre nelle ultime campagne si

Impatti dei cambiamenti climatici

515

Figura 2: Una femmina di pesce palla, Sphoeroides pa-chygaster (337 mm LS).

- Microchirus boscanion, sogliola porto-ghese, dall’Atlantico subtropicale;

- Solea senegalensis, sogliola senegalese, adampia diffusione atlantica (fino alla Bretagna);

- Chaunax suttkusi (Ragonese et al., 2001),una piccola rana pescatrice di profondità(fino a 1000 m), proveniente dall’Atlanticotropicale (ma in effetti di acque fredde, vi-sta la profondità), rara e senza interessecommerciale;

- Psenes pellucidus, una specie oceanica alarga distribuzione, giunto dall’Atlanticotemperato;

- Trachyscorpia cristulata echinata (Rago-nese e Giusto, 1999), uno scorfano di acqueprofonde dall’Atlantico temperato esub-boreale (fino al Mare d’Irlanda).

Tuttavia, per le ragioni già esposte, la presenza

Figura 3: L’“invasione” del pesce palla, Sphoeroides pachygaster, nel Mediterraneo (dove le linee rappresentano la cir-colazione della corrente superficiale atlantica).

Page 54: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

è attestata su una media di 1-2 esemplari/km2,ritornando ai valori dei primi anni '90. Inoltre,recentemente si pescano frequentemente anchepesci più piccoli, confermando l'idea che la po-polazione si sia definitivamente stabilita, coneventi riproduttivi in loco.All'elenco precedente potrebbero nel prossi-mo futuro aggiungersi almeno altre tre specie,dal Mar Rosso Siganus luridus e S. rivilatus,e la atlantica Seriola fasciata, segnalate sullecoste tunisine dello Stretto di Sicilia.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Per correlare gli ipotizzati cambiamenti cli-matici generalizzati con la apparente diffusio-ne nel Mediterraneo di specie ittiche a prefe-renza termica elevata, non basta limitarsi a se-gnalare la presenza puntiforme di specie eso-tiche nei nostri mari; si deve invece esamina-re l'evoluzione quantitativa e spaziale, oltreche temporale, dei nuovi popolamenti.In futuro, si dovrebbero inoltre valutare i rap-porti a livello degli assemblage ittici multi-specifici, dove specie autoctone temperatepotrebbero essere scalzate da specie sempreautoctone, ma con valenza più subtropicale.Lo studio di questi “gradienti di densità” nonpuò comunque essere portato avanti a livellodi unità regionali, e nemmeno nazionali, marichiede una collaborazione scientifica tra ledue sponde del Mediterraneo.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

516

Page 55: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Nell’estate del 2003, l’anomala persistenza dicondizioni di alta pressione atmosferica al disopra dell’Europa Occidentale (Black et al.,2003), a cui sono state associate temperaturedell’aria eccezionalmente alte e la quasi totaleassenza di venti, ha determinato una intensaondata di calore (Black et al., 2003; Schar etal., 2004). Schar et al., 2004, ha evidenziatocome tale evento sia inserito in un quadro dicrescente variabilità climatica, con un incre-mento della frequenza di eventi estremi.Marullo (Marullo et al., 2003) ha mostrato,tramite dati telerilevati, il forte surriscalda-mento che ha interessato la superficie del maredel Mediterraneo occidentale durante l’estate2003, e Sparnocchia (Sparnocchia et al., 2006)ha rilevato, da misurazioni in-situ, che ilriscaldamento anomalo del mare ha interessa-to solo gli strati più superficiali.In questo contesto, lo studio degli effetti ditale evento sulla idrodinamica diventa di forte

interesse, specie nelle aree in cui i forzantifisici sono strettamente correlati alla biologiadi importanti specie ittiche commerciali. NelCanale di Sicilia è stato dimostrato che ledinamiche della Atlantic Ionian Stream (AIS)sono strettamente correlate alla biologiariproduttiva, al reclutamento e all’accresci-mento dell’acciuga Engraulis encrasicholus(Basilone et al., 2003; Cuttitta et al., 2006).Al fine di valutare gli effetti prodotti dallaondata di calore dell’estate 2003 sulle dinami-che del Canale di Sicilia, è stato analizzatol’output di una simulazione condotta nell’areamediante un modello idrodinamico 3D ad altarisoluzione spaziale. I risultati della simulazio-ne numerica sono stati confrontati e supporta-ti da dati telerilevati (AVHRR Pathfinder SSTmonthly maps) ed in-situ (CTD).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca, svolta a partire dal 2004,ha riguardato: lo sviluppo e l’applicazione di

517

Effetti dell’anomalia termica dell’estate 2003sull’idrodinamica del Canale di Sicilia

A. Olita1, R. Sorgente1, A. Ribotti1, A. Perilli1, S. Natale3, A. Bonanno2,B. Patti2, G. Buscaino2

1Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Oristano, Italia2Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Mazara del Vallo (Tp), Italia3Fondazione IMC, Centro Marino Internazionale ONLUS, Oristano, [email protected]

SOMMARIO: Si studiano gli effetti dell’anomalia termica dell’estate 2003 sull’idrodinamica del Canale diSicilia mediante analisi dei risultati di una simulazione (2000-2004) effettuata con un modello idrodina-mico 3D e confronto con dati sperimentali telerilevati e in-situ. L’analisi delle wavelet effettuata sulle SSTsimulate e telerilevate mostra un buon accordo nella collocazione dell’anomalia nel dominio tempo-fre-quenze. La distribuzione spaziale delle anomalie di SST risulta in accordo con le osservazioni satellitari.Le maggiori anomalie (+2°C) sono localizzate in Mar Tirreno e Canale di Sardegna. I profili verticalimostrano una forte stratificazione con valori anomali nei primi 15 m. Nell’estate 2003 l’AIS risulta ridot-ta in intensità e mostra un percorso inusuale mentre l’ATC è intensificata. La modulazione d’intensità traATC e AIS sembra essere legata alla conservazione del trasporto di MAW. Le modifiche, anche tempora-nee, nel percorso e nell’intensità della AIS potrebbero avere implicazioni nella biologia riproduttiva e nelreclutamento di importanti specie ittiche commerciali.

Page 56: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

un modello numerico per la simulazione dellecondizioni idrodinamiche, la validazione el’analisi dei risultati, finalizzata alla indivi-duazione delle anomalie.

2.1 Set-up del Modello IdrodinamicoIl modello idrodinamico ad alta risoluzione,chiamato Sicily Channel Regional Model –SCRM (Sorgente et al., 2003), è stato imple-mentato nel Canale di Sicilia ed aree circo-stanti con una risoluzione orizzontale di 1/32°(circa 3,5 km). Sulla verticale sono stati utiliz-zati 24 livelli sigma, distribuiti piú fittamentealla superficie. I confini geografici sono 9°E -17°E e 31°N – 39.5°N. Come condizioni iniziali, sono stati utilizzati icampi ottenuti da un esperimento climatologico(Sorgente et al., 2003). L’SCRM è stato quindiintegrato dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre2004. Alla superficie il modello è stato forzatocon i campi atmosferici di analisi a 6 ore otte-nuti dall’ European Centre for Medium-RangeWeather Forecasts (ECMWF), ed è guidato aicontorni aperti dal modello a larga scalaOGCM-MFSPP implementato ad 1/8° sull’in-tero bacino mediterraneo (Pinardi et al., 2003).

2.2 Analisi dei datiL’attività di analisi e processamento dei dati èstata rivolta in due direzioni tra loro comple-mentari: a) la validazione dei risultati delmodello tramite confronto con dati sperimen-

tali e b) l’individuazione e la quantificazionedelle anomalie (Olita et al., 2007).Per l’analisi delle serie temporali delle ano-malie, ottenute mediando spazialmente sia irisultati del modello che i dati di Sea SurfaceTemperature (SST) da satellite e sottraendovile rispettive climatologie, è stata utilizzata laContinous Wavelet Transform (CWT).La CWT risulta particolarmente adatta perl’analisi di fenomeni non stazionari, quale l’e-vento oggetto di studio (Torrence e Compo,1998; Olita et al., 2007). I dati CTD, utilizza-ti per il confronto con gli strati sub-superficia-li, sono stati acquisiti nel corso della campa-gna oceanografica ANSIC03 condotta dalCNR/IAMC nel luglio 2003.

3 RISULTATI RILEVANTI

In Figura 1 è mostrata l’analisi della serietemporale di anomalia (normalizzata) dellaSST simulata. Viene individuata una forteanomalia nell’estate 2003 avente un periododi circa 450 giorni. La stessa analisi condottasui dati satellitari mostra un segnale analogo(qui non mostrato), confermando la capacitàdel modello nel riprodurre l’evento.A giugno 2003 si è raggiunta la massima ano-malia della SST nell’area di studio, circa 2°C aldi sopra della climatologia mensile. La distri-buzione spaziale delle anomalie calcolate dalmodello (Fig. 2) per il mese di giugno mostra

un sovra-riscaldamen-to concentrato soprat-tutto nella area delCanale di Sardegna edin quella tirrenica, inaccordo con quantorilevato da satellite,sebbene il modelloabbia leggermente sot-tostimato i valori.L’analisi delle sezionidi temperatura simula-te e osservate (CTD)ha dimostrato cometale sovra-riscalda-mento si sia limitato aiprimi 15-20 m a causa

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

518

Figura 1: Wavelet analisi della serie temporale di anomalia della SST simulata. a) ano-malie normalizzate; b) spettro CWT; c) Periodogramma di Fourier.

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della forte stratificazione (non mostrato), comegià osservato da Sparnocchia nel Mar Ligure(Sparnocchia et al., 2006).Analizzando i campi medi delle correnti sub-superficiali (30 m) simulati dal modello si éosservato come il percorso e l’intensitàmedia della AIS nell’estate 2003 fosse note-volmente differente da quanto osservabilenegli altri anni. In particolare il meandro chesi forma solitamente in corrispondenza dellaestremità sud-orientale della Sicilia, sembratotalmente assente e più in generale la cor-rente mostra un meandering molto ridotto,come ridotta è la sua intensità (Fig. 3).Sembra invece intensificata la AtlanticTunisian Current (ATC), che solitamente èpiù intensa nel periodo autunnale che in quel-lo estivo (Sorgente et al., 2003).

4 CONCLUSIONI

Il presente studio ha consentito di individuarealcune importanti modificazioni della idrodina-

mica regionale e locale avvenute in risposta adanomale condizioni atmosferiche e climatiche.La metodologia utilizzata si è dimostrata ido-nea alla individuazione e alla analisi delleanomalie idrodinamiche. In tal senso lo stru-mento modellistico si è dimostrato indispen-sabile, sempre supportato dalle osservazionisia in-situ che satellitari.L’ondata di calore dell’estate 2003 ha prodotto,nell’area di studio, un surriscaldamento deglistrati superficiali (fino a circa 15 m) che a suavolta ha determinato anomalie nel gradiente didensità alla superficie (non mostrato). Il gra-diente di densità è uno dei principali motoridella AIS, che per questo motivo appare inde-bolita e modificata nel suo usuale percorso.In risposta alla diminuzione del flusso di AIS,l’ATC risulta intensificata. Tale risposta dina-mica costituisce probabilmente un meccanismodi conservazione del trasporto della ModifiedAtlantic Water (MAW), trasportata da questedue correnti attraverso lo Stretto di Sicilia.Tali modifiche possono avere serie implica-

Impatti dei cambiamenti climatici

519

Figura 2: Mappa delle anomalie di SST a giugno 2003.Le anomalie calcolate da dati AVHRR mostrano patternsanaloghi.

Figura 3: Correnti a -30 m. Media per giugno-luglio-agosto 2003. All’indebolimento della AIS sembra corri-spondere un rinforzo nel flusso di ATC.

Page 58: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

zioni nella biologia riproduttiva e nel recluta-mento di importanti specie commerciali dipiccoli pelagici, intensivamente pescati inquest’area.

5 PROSPETTIVE FUTURE

I futuri sviluppi della ricerca riguarderanno lostudio degli effetti delle anomalie idrodinami-che sulle dinamiche biologiche.L’integrazione dei presenti risultati con i datirelativi all’abbondanza e al reclutamento di E.encrasicholus nel Canale di Sicilia, permette-ranno di valutare gli effetti delle anomalieosservate sulla dinamica della popolazione.

6 RINGRAZIAMENTI

Il wavelet software è stato fornito da C.Torrence eG.Compo (http://paos.colorado.edu). Si ringrazia ilPO.DAAC del NASAJet Propulsion Laboratory,Pasadena, CA (http://podaac.jpl.nasa.gov) che hafornito i dati AVHRR Pathfinder SST. I dati CTDsono stati raccolti nel corso della campagna ocea-nografica ANSIC03 (10 luglio - 4 agosto 2003,R/V “Urania”), nel contesto del progetto ASTA-MAR, finanziato dal MURST. Il modello idrodi-namico è stato realizzato nell’ambito del progettoEU MFSTEP- Mediterranean Forecasting SystemToward Environmental Prediction (EVK3-2001-00174). Il presente lavoro è stato svolto nell’ambi-to del progetto nazionale MIUR - PON SIGLA.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

520

Page 59: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Il mare Mediterraneo è un mare marginale col-legato all’Atlantico attraverso lo stretto diGibilterra. È inoltre formato da due principalibacini che comunicano attraverso il canale diSicilia. Sia il Mediterraneo occidentale che l’o-rientale sono costituiti da sottobacini a lorovolta connessi da passaggi di differenteampiezza e profondità, che possono avere unruolo di controllo dei trasporti e quindi influen-zare le caratteristiche degli scambi (Astraldi etal., 1999). A causa del loro numero e della lorodistribuzione sull’intero Mediterraneo, stretti ecanali sono in grado di fornire, con una buonaapprossimazione, stime quantitative dei tra-sporti relativi all’intera circolazione. Essi costi-tuiscono anche importanti punti di osservazio-ne per quanto riguarda gli scambi di calore, disale e di altre caratteristiche biochimiche pre-senti nei bacini adiacenti.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

La sede ISMAR di La Spezia ha da anni con-centrato la sua attenzione sulla problematica

degli stretti sia dal punto di vista della loro dina-mica interna che quali punti privilegiati per ilmonitoraggio della circolazione mediterranea.In particolare essa mantiene attivo un sistema dimisure in continuo nel canale di Corsica dal1985 e nel canale di Sicilia dal 1993.Il canale di Corsica controlla gli scambi fra marTirreno e mar Ligure, mentre il canale di Siciliacontrolla gli scambi est-ovest dell’interoMediterraneo. È quindi il passaggio mediterra-neo più importante dopo lo stretto di Gibilterra.In entrambi i canali, il monitoraggio consiste inancoraggi muniti di correntometri che permetto-no di misurare la corrente a varie profondità, inmodo da ottenere sia gli scambi nello stratosuperficiale che in quello profondo. Mentre finoalla fine degli anni ‘90 le misure erano effettuatecon correntometri puntuali, negli anni più recen-ti si stanno utilizzando correntometri ADCP ingrado di ricostruire il profilo della corrente sugran parte della colonna d’acqua. Gli ancoraggisono inoltre dotati, nello strato profondo, di unostrumento CTD di elevata qualità, in grado cioèdi rilevare le variazioni nelle condizioni idrologi-che degli strati profondi. Questo tipo di osserva-zioni fa parte della rete Hydro-changes (Fuda et

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Canali e stretti quali punti di osservazione privilegiata per lo studio della variabilità interannuale nel bacino Mediterraneo

G. P. Gasparini, K. Schröder, A. Vetrano, M. AstraldiIstituto di Scienze Marine, CNR, La Spezia, [email protected]

SOMMARIO: Gli studi recenti mettono sempre più in evidenza che cambiamenti climatici non avvengonosolo su scale centenarie e millenarie, ma possono accadere su scale molto più brevi. Questo è particolarmen-te importante per il Mediterraneo, dove le scale spazio-temporali sono un ordine di grandezza inferiore rispet-to agli oceani e dove a partire dalla seconda metà degli anni ’80, è stato osservato un rapido ed esteso cambionella cella termoalina del bacino orientale. Da qui la necessità di un monitoraggio continuo della circolazioneMediterranea in punti chiave, per poter rilevare questi cambiamenti nel periodo in cui accadono e seguirne laloro evoluzione. Gli stretti, quali integratori delle variabilità che avvengono nei bacini adiacenti, sono partico-larmente adatti a questo scopo. Nel seguito si evidenzieranno le variabilità osservate nel canale di Sicilia, ilpassaggio che controlla gli scambi est-ovest del Mediterraneo, e nel canale di Corsica, che controlla gli scam-bi fra il mar Tirreno (bacino caldo) ed il Ligure-Provenzale, bacino freddo e sede di formazione di acque dense.

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al., 2007), promossa dal CIESM, che si proponecoordinare una rete di monitoraggio degli stratiprofondi del Mediterraneo. Campagne idrologi-che, anche con prelievo di campioni di acqua,sono effettuate in entrambi i siti approssimativa-mente con cadenza semestrale.

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Il canale di SiciliaIl canale di Sicilia è un sistema complesso, che siprefigura come un bacino intermedio fra est edovest. Ha infatti due sistemi di soglie, uno orien-tale ed uno occidentale profonde circa 500 m, edun bacino interno, che raggiunge i 1700 m. Ilcollegamento est-ovest, specie per gli strati pro-fondi, è quindi mediato da fenomeni di ricircola-zione in questa regione. Il monitoraggio inoggetto è posizionato in corrispondenza delledue soglie occidentali (lungo la sezione Mazaradel Vallo – Capo Bon), mediante due catene cor-rentometriche (una per ciascuna soglia). Essesono in grado di misurare sia la corrente nellostrato superficale di origine atlantica che quelladello strato profondo di origine levantina. Dall’evoluzione mensile del trasporto dell’acquaintermedia (Fig. 1) si può stimare un valoremedio di 1,0 ± 0,25 Sv (1 Sv = 106 m3/s), eviden-ziando che il moto medio prevale in modo signi-ficativo sulla variabilità sia stagionale che inte-rannuale (Fig. 1). Il ciclo annuale mostra traspor-ti più elevati da novembre a febbraio, mentre i

valori minimi sono osservati ad agosto. I traspor-ti mensili mostrano comunque valori sempresuperiori a 0,7 Sv, in ogni periodo dell’anno.Il monitoraggio delle proprietà idrologiche, ini-ziato nella seconda metà degli anni ’80, ha per-messo di osservare l’evoluzione delle caratteri-stiche delle masse d’acqua soggette all’influenzadel così detto “Eastern Mediterranean Transient”(EMT) (Roether et al., 1995). L’EMT si manife-sta nel Canale con una marcata oscillazione nelleproprietà idrologiche che si protrae per oltre 10anni (Fig. 2) e si propaga nel Mediterraneo occi-dentale. È stato calcolato che negli anni 90, acausa dell’aumento della densità indotto da que-sta oscillazione, una percentuale significativadell’outflow dal canale di Sicilia è sprofondatonegli strati profondi del Mediterraneo occidenta-le (Gasparini et al., 2005). I cambiamenti intro-dotti da questo evento nella circolazione termoa-lina hanno modificato la struttura idrologicadelle acque del Mediterraneo Occidentale. Inparticolare hanno provocato una sensibile acce-lerazione all’aumento della temperatura e dellasalinità degli strati profondi ed intermedi, già inatto da lungo tempo. Ciò sta influenzando inmodo significativo i processi di formazione diacqua densa che avvengono nel bacino Ligure-Provenzale (Schröder et al., 2006).

3.2 Il canale di CorsicaIl trasporto nel canale di Corsica è stato monito-rato dal luglio 1985. Esso controlla gli scambi fra

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Evoluzione stagionale del trasporto di acquaintermedia nel canale di Sicilia. Il trasporto invernale èindicato con la barra di colore nero.

Figura 2: Evoluzione temporale delle caratteristiche idro-logiche dell’outflow di origine orientale nel canale diSicilia. (a) temperatura (b) salinità. La barra indica ladeviazione standard.

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mar Tirreno e mar Ligure ed è particolarmentesensibile allo sbilanciamento negli scambi conl’atmosfera, che si verificano nel periodo inver-nale fra i due bacini. Mentre il bacino Ligure-Provenzale è caratterizzato da intesi scambi cheportano alla formazione delle acque dense, il marTirreno, molto meno esposto agli eventi diMistral, ha scambi assai più ridotti (Astraldi eGasparini, 1992). Il trasporto medio attraverso il canale e la suavariabilità (0.49 ± 0.42 Sv) sono dello stessoordine di grandezza (Fig. 3). La corrente, fluen-do in modo quasi permanente dal Tirreno versoil mar Ligure, ha un ciclo stagionale ben marca-to, con valori elevati in inverno e valori quasinulli in estate. In sostanza, durante l’estate il flus-so dal Tirreno al Ligure si interrompe, per ripren-dere in autunno.Il ciclo stagionale attraverso questo canale, estre-mamente regolare e stabile, spiega gran partedella variabilità osservata. I trasporti maggiorisono stati osservati negli anni ‘80, i più ridotti neiprimi anni ‘90.

3.3 Possibili relazioni fra NAO e trasporto attra-verso il canaliMentre l’influenza della North AtlanticOscillation (NAO) sul clima europeo è ormai unrisultato acquisito, i suoi effetti sulla regionemediterranea sono ancora materia di discussione.Vari studi hanno mostrato che il Mediterraneo èsoggetto a differenti sistemi atmosferici a largascala (Hurrel, 1995; Raicich et al., 2001) e chel’influenza della NAO sembra più chiara nelbacino occidentale (Pozo-Vasquez et al., 2001).Recentemente Rixen et al. (2005) hanno mostra-to come la NAO possa essere responsabile dimolta parte della variabilità interannuale medi-terranea e probabilmente anche dell’EasternMediterranean Transient.Il nostro gruppo è stato fra i primi ad evidenzia-re un possibile influsso della NAO sulla circola-zione mediterranea (Vignudelli et al., 1999),attraverso la sua influenza sulle condizioni atmo-sferiche invernali del bacino-ligure provenzale equindi sugli scambi mare-atmosfera molto attiviin quella regione.Un confronto fra il trasporto invernale nel canale

di Corsica e l’indice invernale della NAO mostrache i valori più elevati del trasporto dal Tirreno alLigure si hanno in corrispondenza di indici NAOparticolarmente negativi. Viceversa, se l’indiceNAO è molto positivo il trasporto attraverso ilcanale registra i valori più bassi (Fig. 4).Ritornando al canale di Sicilia, non sembra esi-stere una relazione evidente fra il trasporsto attra-verso questo canale e l’indice NAO.Esistono comunque maggiori difficoltà nel rile-vare una possibile relazione sia per il ridottociclo stagionale che per la ridotta variabilità inte-rannuale (Fig. 1). Occorre anche osservare che ilMediterraneo orientale è interessato da differentisistemi atmosferici e che le interazioni fra medi-terraneo est ed ovest, che si riflettono negli scam-bi nel canale di Sicilia, sono molto complesse edancora in gran parte sconosciute.

4 PROSPETTIVE FUTURE

La variabilità interannuale delle condizioni idro-logiche, che attualmente si osservano nelMediterraneo Occidentale, evidenziano comel’influenza dell’EMT nel Mediterraneo sia lonta-na dall’essere conclusa. Le osservazioni piùrecenti (fine 2006) nel canale di Sicilia sembranosuggerire l’arrivo dal Mediterraneo orientale dinuove acque dense. La prospettiva è quella dicontinuare il monitoraggio in corso implemen-tando le osservazioni, da un lato con strumenta-zione addizionale per la misura anche di parame-tri biogeochimici, dall’altra per arrivare ad una

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 3: Evoluzione stagionale del trasporto di acquanel canale di Corsica. Il trasporto invernale è indicato conla barra di colore nero.

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acquisizione dei dati in tempo reale da inserirenei sistemi previsionali della circolazione.Attualmente altri stretti sono monitorati, fra iquali Gibilterra. Un uso congiunto dei dati acqui-siti ed in corso di acquisizione porterà ad unamigliore definizione delle scale di variabilitàdella circolazione e dell’interazione fra bacini,dalla mesososcala alla variabilità interannuale.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

524

Figura 4: (a) valori medi dei trasporti mensili invernali,raggruppati secondo il valore assunto dall’indice NAO;(b) Confronto fra il trasporto invernale nel canale diCorsica (linea continua) ed il corrispondente indice NAO(linea tratteggiata). L’indice utilizzato è quelloGibilterra-Reykjavic.

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1 INTRODUZIONE

L’attività umana degli ultimi decenni ha de-terminato un notevole aumento della concen-trazione di anidride carbonica (CO2) e di altrigas serra in atmosfera. Questi gas di origineantropica giocano un ruolo critico nel con-trollo climatico della Terra poiché aumentanol’opacità dell’atmosfera alle radiazione in-frarosse, causando il riscaldamento della su-perficie del pianeta. È quindi chiaro il perchénegli ultimi anni la scienza si sia sempre piùintensamente preoccupata di capire qualisiano i processi che regolano il ciclo globaledel carbonio e come varino nel tempo i flussidi CO2 tra atmosfera e gli altri comparti delpianeta. Gli oceani rivestono un ruolo fonda-mentale nel ciclo del carbonio in quanto rico-prono la maggior parte del pianeta e hannodegli scambi molto rapidi di CO2 con l’at-mosfera. Semplificando molto il processo èpossibile affermare che lo scambio di CO2 traatmosfera-oceano avviene grazie a due mec-canismi principali: la “pompa di solubilità”,regolata dalla temperatura superficiale del-l’acqua, che permette lo scambio di CO2 fra idue comparti per diffusione, e la “pompa bio-logica”, che invece permette la trasfor-mazione e stoccaggio della CO2. La più im-

portante delle due è quella biologica. La mag-giore o minore efficienza della “pompa bio-logica” è dovuta alla maggiore o minore effi-cienza della fotosintesi che in ambiente mari-no è svolta principalmente dal fitoplancton.La velocità con la quale la biomassa vienecreata e resa disponibile ai livelli trofici suc-cessivi è chiamata produzione primaria (PP).Lo studio del ciclo globale del carbonio nonpuò quindi prescindere da un attento studiodei tassi di PP marina. Lo studio dei flussi dicarbonio e della PP a scala globale, con imetodi di campionamento tradizionale (cam-pagne oceanografiche), non è realizzabile acausa dell’inadeguata copertura spaziale e deitempi di campionamento. L’unica possibilitàdi avere una copertura sinottica a questa scalaè utilizzare i sensori remoti. Infatti, attraversole misurazioni satellitari di clorofilla el’impiego di modelli numerici per combinarequeste con le altre informazioni bio-ottichepresenti nei dataset storici è possibile stimarela PP marina. Il Mar Mediterraneo è stato sottoposto negliscorsi anni a studi di PP sfruttando uno deimodelli più utilizzati a livello globale, quello diMorel (1991) adattato ad applicazioni satellitarigrazie al lavoro di Antoine e Morel (1996).L’obiettivo di questo lavoro è quello di anal-

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Variabilità interannuale della produzione primaria nel Mar Mediterraneo: 8 anni di osservazioni SeaWiFS

S. Colella, R. Santoleri Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Roma, [email protected]

SOMMARIO: Utilizzando i dati di clorofilla forniti dal sensore satellitare SeaWiFS per gli anni 1998-2005si è stimata la produzione primaria nel Mar Mediterraneo sfruttando un modello globale appositamenteriadattato alle caratteristiche bio-ottiche specifiche del bacino. Dall’analisi dei dati è stato possibile osser-vare l’intensa variabilità interannuale dei massimi di produttività primaverili, principalmente nella zonaoccidentale del Mediterraneo, ma anche una discreta variabilità interannuale della produzione primaria ascala di sottobacino e una bassa variabilità a scala di bacino.

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izzare l’andamento interannuale della PP nelMediterraneo dal 1998-2005 utilizzando unmodello globale adattato alle caratteristichedel bacino stesso.

2 BACKGROUND TEORICO

Il metodo per stimare la PP partendo da datidi clorofilla superficiale si basa su un model-lo fotosintetico globale adattato alle caratter-istiche del Mar Mediterraneo.La concentrazione di clorofilla misurata dai sen-sori remoti è utilizzata per stimare i profili dibiomassa verticali utilizzando un metodo messoa punto da Morel e Berthon (1989) che utilizzaregressioni statistiche ottenute dallo studio diprofili misurati in situ in vari mari del globo. Leinformazioni esterne riguardanti copertura nu-volosa o temperatura del mare derivano da dataset climatologici e/o misure AVHRR.Le stime di clorofilla satellitari si riferisconosolamente ai primi strati superficiali dellacolonna d’acqua, mentre l’algoritmo per lastima della PP richiede la conoscenza del pro-filo verticale di clorofilla fino ad una certaquota definita profondità eufotica (Ze) (cioèquella profondità alla quale la radiazione lu-minosa si è ridotta all’1% del suo valore insuperficie). Morel e Berthon nella loro analisistatistica hanno stabilito delle relazioni tra:profondità eufotica, concentrazione di cloro-filla totale all’interno dello strato eufotico(Ctot) e concentrazione di clorofilla superfi-ciale misurata da sensori remoti (Csat). Inoltrehanno determinato alcuni profili caratteristicida associare, tramite determinate relazioni,alla clorofilla superficiale telerilevata.L’adattamento di questo modello globale allecaratteristiche del Mar Mediterraneo ha vistola determinazione di nuove relazioni statis-tiche tra Ze, Ctot e Csat derivate dall’osser-vazione e studio di misure in situ raccolte es-clusivamente nel Mar Mediterraneo durantevarie campagne svolte tra gli anni 1996 e2005. Inoltre si sono determinati dei nuoviprofili di biomassa, associabili alle misure diclorofilla satellitari, caratteristici del MarMediterraneo.

L’adattamento del modello ha portato dellesostanziali modifiche alle stime di PP non so-lo per quanto riguarda i valori assoluti di pro-duttività, che risultano sostanzialmente piùbassi rispetto alle stime precedenti con ilmodello globale, ma anche e soprattuttoriguardo l’andamento annuale della pro-duzione che presenta dei massimi di produt-tività nei mesi primaverili, piuttosto che inquelli estivi come da stime precedenti, in ac-cordo con le osservazioni effettuate in situ(Colella, 2007).

3 ANALISI DELL’ANDAMENTO DELLA PRO-DUZIONE PRIMARIA NEL MAR MEDITERRANEO

L’applicazione del nuovo modello ai dati diclorofilla superficiale forniti dal SeaWiFS dal1998 al 2005 ha portato alle stime di PP per lostesso periodo e la possibilità di analizzare levariazioni della produttività nel bacino.Nella Figura 1 è mostrato l’andamento dellaPP e della clorofilla per gli 8 anni studiati.L’andamento della PP segue quello della clo-rofilla e mostra i suoi massimi nel periodo pri-maverile con un ritardo di circa 15 giornirispetto ai massimi di clorofilla. Questo shift èdel tutto realistico considerando che il bloomalgale si sviluppa molto velocemente inrisposta all’istaurarsi delle condizioni ambien-tali ottimali (elevate concentrazioni di nutrien-ti, elevata insolazione ecc.) mentre il massimodi produzione si ha immediatamente dopo inquanto dipendente dal bloom algale stesso.Dallo stesso grafico è anche possibile fare unaprima analisi riguardo le differenze di produt-tività nei vari anni studiati. Il 1998 e il 2001mostrano i massimi di produttività meno in-tensi, mentre il 1999 e il 2005 sono quelli incui si riscontrano dei picchi di PP più intensi.Inoltre è possibile osservare nell’estate del2003 una PP leggermente superiore a quelledegli altri anni causata probabilmente dalle el-evate temperature fatte registrare in quel peri-odo principalmente nella parte occidentale delbacino (Marullo e Guarracino, 2003).Nella Figura 2 sono mostrate le mappe annu-ali di PP integrata. Da queste mappe è molto

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 1: Andamento della PP (linea piena) e clorofilla (linea punteggiata) per gli otto anni studiati.

Figura 2: Mappe di PP integrata annuale per gli otto anni studiati

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evidente come la parte occidentale del bacinosia quella più produttiva e che le differenzenei picchi di produttività del grafico prece-dente siano imputabili principalmente a dif-ferenze di PP nella zona del Golfo del Leonee Mar Ligure nei i vari anni studiati. Si vedeanche molto bene come l’acqua atlantica, inentrata attraverso lo stretto di Gibilterra, ind-uca un’elevata produzione nel mare di Albo-ran in tutti gli anni studiati.Dall’analisi delle mappe annuali si può ancheosservare che il bacino, pur mostrando delledifferenze locali di PP tra i vari anni studiati,globalmente non presenta grandi variazioni. In-fatti quando la PP è più bassa nella zona occi-dentale, come nel caso del 1998 o 2003, nellazona orientale si notano dei tassi più elevatirispetto alla media; in maniera opposta, nel1999 e 2005, quando la PP è elevata nella parteoccidentale del bacino, in quella orientale si os-serva una PP più bassa rispetto agli altri anni. Questa sorta di bilanciamento tra est e ovestdel bacino porta ad una PP abbastanzacostante durante gli otto anni studiati. Latabella sottostante mostra, anche dal punto divista quantitativo, la variabilità dei sottobaci-ni occidentale e orientale in contrasto con lasostanziale stabilità a scala di bacino.

4 CONCLUSIONI

L’analisi interannuale su gli otto anni di datiSeaWiFS ha evidenziato poca variabilità delMediterraneo esaminato globalmente ma unadiscreta variabilità regionale sia ad occidente

che ad oriente. Questa variabilità interannualediventa sempre più evidente quando si analiz-zano i diversi sottobacini che compongono ilMar Mediterraneo. Ciò indica che le scale re-gionali sono quelle che dominano questa vari-abilità. Questo non stupisce poiché la PP èprincipalmente guidata dalla variabilità dellabiomassa fitoplanctonica. È noto che la vari-abilità della biomassa mediterranea è legataprincipalmente ai processi fisici-biologici,quali formazioni di acque dense, upwellings,trasporto off-shore, che dipendono fortementeda forzanti locali e non da quelli a scala di ba-cino. Da qui la necessità di uno studio piùampio, il cui obbiettivo sia di definire i mec-canismi responsabili della variabilità interan-nuale della produzione osservata in ciascunarea del Mediterraneo, nonché il suo impattosul ciclo del carbonio e la concentrazione diCO2 in atmosfera.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Tabella 1: Variazione percentuale della PPrispetto alla PP media

MED OVESTMED EST MED

1998 +3.90 -1.94 +8.111999 +5.86 +8.50 +3.952000 -0.02 +1.40 -1.042001 -2.54 +0.31 -4.602002 -2.29 -1.57 -2.822003 -0.82 -4.03 +1.502004 -1.60 -3.00 +0.592005 -2.49 +0.33 -4.52

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Nello Stretto di Sicilia a partire dal 1998 il CNRdi Mazara del Vallo ha iniziato il monitoraggiodelle risorse ittiche pelagiche. In particolare lesardine (Sardina pilchardus) e le acciughe(Engraulis encrasicolus) costituiscono una fettaimportante dello sbarcato e del relativo indotto.Dati forniti da IREPA (2003) e relativi al periododal 1996 al 2002 indicano, per il Mediterraneo,un ammontare delle catture di sardine e acciugheche formano il 25% del totale sbarcato, di cui il16% acciughe e 9% sardine. La produzioneItaliana costituisce il 41% di quella Mediterraneae la Sicilia contribuisce con il 26% delle catture.Il ricavo totale annuale medio nazionale è stima-to essere di 77 M€ per le acciughe pescate e24 M€ per le sardine. L’acciuga in particolare èuna specie target d’importante valore commer-ciale per la pesca e l’indotto nello Stretto diSicilia. In tutto il mondo come anche nello Strettodi Sicilia la biomassa di tali risorse è soggetta ad

ampie fluttuazioni interannuali. Tali differenze fraun anno e l’altro rendono complessa la gestionesostenibile della risorsa, salvo adottare un approc-cio ecosistemico che tenga conto della variabilitàambientale nel medio e nel lungo periodo. Questeoscillazioni sono dovute all’effetto combinatodell’estrema variabilità delle condizioni ambien-tali propria dell’ecosistema pelagico e della com-plessità biologica del ciclo di vita di tali specie.L’abbondanza di tali specie in mare è infatti ilfrutto di un compromesso fra evoluzione dellaspecie nel suo determinato habitat e l’evoluzioneclimatica. Certamente si può affermare che lestrategie riproduttive di tali specie si siano evolu-te in decine di migliaia d’anni, e il fatto che adoggi siano in “salute” implica il successo di que-st’adattamento. Si può quindi ipotizzare che in unfuturo dove l’evoluzione climatica non subiscainfluenze antropiche significative, le specieviventi siano in grado di adattarsi ai nuovi muta-menti ambientali. Minore conoscenza si ha inve-ce sulla risposta di tali risorse a cambiamenti cli-

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Effetti della temperatura (SST) sulla biomassa dei riproduttori di acciughe (Engraulis encrasicolus)

G. Basilone1, A. Bonanno1, B. Patti1, A. Cuttitta1, G. Buscaino1, G. Buffa1,A. Bellante1, G. Giacalone1, e S. Mazzola1, A. Ribotti2, A. Perilli2

1Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Mazara del Vallo (TP), Italia2Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Oristano, [email protected]

SOMMARIO: Le popolazioni di piccoli pelagici, ed in particolare l’acciuga europea rappresenta una impor-tante risorsa economica per il territorio. Tale risorsa è soggetta ad ampie fluttuazioni interannuali nella suaabbondanza, strettamente legate alla variabilità dell’ecosistema pelagico in cui vivono. Nello Stretto diSicilia la popolazione di acciuga è stata investigata nell’ultimo decennio con metodi di stima diretti basa-ti sulla biologia riproduttiva della specie (DEPM) e su dati acustici da ecoscandaglio scientifico(Echosurvey). La variabilità in tali valori di abbondanza, durante i periodi di deposizione, ha mostratoessere relazionata significativamente con la temperatura media superficiale permettendo di valutare poten-ziali effetti di cambiamenti climatici quali il riscaldamento globale su tali risorse. In particolare si è evi-denziato un intervallo di temperatura ottimale per la deposizione della specie in tale area. Tale comporta-mento permette di ipotizzare scenari plausibili dell’effetto di una variazione climatica nella temperaturaanche sui livelli di biomassa dell’intera popolazione nell’area di studio.

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matici indotti da fattori antropici. Infatti, la diffe-renza fra le scale temporali dell’azione antropicacon quelle proprie dell’adattamento evolutivocostituisce motivo di grande preoccupazione perla sorte di tali risorse. La variabilità dei livelli dibiomassa delle popolazioni ittiche in relazione acambiamenti climatici è dunque un argomentotopico, soprattutto in questi ultimi tempi, che regi-strano un riscaldamento globale la cui evoluzioneè tuttora di difficile interpretazione e costituiscemotivo di un acceso dibattito all’interno dellacomunità scientifica internazionale. Il monitorag-gio continuo di tali risorse e dell’ambiente in cuivivono rappresenta quindi un importante stru-mento per la comprensione dei meccanismi cheregolano le oscillazioni di biomassa sia nel breve,medio e nel lungo periodo. Nel presente studio siè cercata una relazione fra le stime annuali di bio-massa di acciuga e i vari indici ambientali dispo-nibili sia da dati in situ che derivati da satellite.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

La piattaforma continentale antistante la costameridionale della Sicilia rappresenta la principalezona di deposizione per la popolazione di acciu-ghe nell’area di studio, e le catture sostengonoeconomicamente una grossa comunità (Mazzolaet al., 2002; García La Fuente et al., 2002).Tuttavia, la biomassa annuale è soggetta a notevo-li oscillazioni che possono ridurre la capacità diassorbire e compensare lo sforzo di pesca cheperaltro è rilevante (Patti et al., 2004). La serie disurveys multidisciplinari effettuati dal 1998 adoggi ha riguardato proprio la valutazione dellabiomassa di tali popolazione con due metodi diret-ti ed indipendenti fra loro (Echosurvey e DEPM)nonché la raccolta di dati meteorologici ed ocea-nografici in situ. I metodi ittioplanctonici ed elet-troacustici per la stima della biomassa di pescipelagici sono sempre più utilizzati e riconosciutistrumenti validi per la valutazione e gestione dellerisorse ittiche ed anche per costruire serie storichedi dati attendibili, da utilizzare proprio per unagestione sostenibile delle stesse risorse (Hunter eLo, 1993). Nel presente lavoro si è analizzata lacorrelazione fra indici ambientali e stime di bio-massa. I dati ambientali presi in considerazione

hanno riguardato la temperatura superficiale delmare (SST), in particolare la serie storica dellemedie mensili delle SST di Reynolds, frutto di unainterpolazione ottima di dati provenienti da osser-vazioni marine e da satellite (AVHRR) per ilpunto di coordinate 37°30’N, 12°30’E; dati residisponibili dal Data Support Section of theUniversity Corporation for Atmospheric Research(UCAR), (http://dss.ucar.edu/.Datasets/ncep.mari-ne/ascii/). I valori medi mensili (periodo1997–2006) della concentrazione di clorofilla anel riquadro di risoluzione 1° x 1° di longitudinecentrato sul punto di coordinate 37°30’N e12°30’E sono stati stimati da misure da satellite(http://oceancolor.gsfc.na sa.gov/cgi/level3.pl) eutilizzati come indicatori della produzione prima-ria dell’area. Infine, la serie storica delle mediemensili dell’indice di upwelling è stata stimataapplicando la procedura proposta da Bakun(1973) sulla serie storica del vento registrata pres-so la stazione meteo di Trapani dell’AeronauticaMilitare. L’indice di upwelling, misurato inm3s-1km-1, rappresenta il volume di acqua risalitain superficie per chilometro di costa. I dati biolo-gici raccolti nelle campagne di misura in mare dal1998 al 2006 hanno riguardato principalmente iparametri riproduttivi dell’acciuga (ampiezza del-l’area di deposizione, produzione di uova, tempe-ratura media nello strato di deposizione) e le stimeannuali di biomassa.

3 RISULTATI RILEVANTI

Basilone et al. (2006) hanno già sottolineatol’importanza della temperatura nella definizionedel periodo di deposizione e nella strategia ripro-duttiva delle acciughe. Anche nel presente studiola temperatura risulta avere un importante ruolo.In figura 1 viene mostrata la relazione trovata frala temperatura superficiale media nel mese diluglio (SST), periodo in cui si ha il picco ripro-duttivo della popolazione, e i livelli di biomassaottenuti con il metodo elettroacustico durante ilpicco riproduttivo. La relazione, di tipo paraboli-co, tra SST e la biomassa trasformata al logarit-mo naturale risulta tuttavia non significativa (r2=0,35; F2,6 = 0,83; p = 0.48).Una relazione analoga è stata ottenuta con le stime

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

530

Page 69: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

di biomassa DEPM (Fig. 2) utilizzando però latemperatura registrata in situ alla profondità di10m nell’area di deposizione. Sebbene la relazio-ne sia basata su un numero inferiore di osservazio-ni essa presenta lo stesso andamento mostratonella Figura 2 ma con un grado di correlazionemaggiore (r

2= 0,79; F2,2 = 1,09; p = 0.048).

Altre relazioni possibili sono state testatemediante l’utilizzo di altri indici quali upwelling,wind mixing e produttività primaria (Chl - a) nonriscontrando però risultati significativi(Spearmann-Kendall, p > 0.05). La serie storicadella temperatura e della sua anomalia presentaun trend crescente dal 1982, ad oggi ben visibilenelle regressioni in Figura 3. I dati ad oggi raccolti e le indagini effettuate nelloStretto di Sicilia non costituiscono una serie stori-ca sufficientemente lunga da permettere di evi-denziare la significatività delle relazioni trovatefra clima e biologia. Tuttavia, è già possibile effet-tuare una serie di considerazioni generali che cer-tamente andranno integrate con ulteriori dati ericerche, ma che adesso ci permettono di appro-fondire la conoscenza della variabilità dell’ecosi-stema e dei complessi meccanismi che lo regola-no. La prima di queste considerazioni riguarda labiomassa delle risorse pelagiche. Essa è soggettaalle variazioni ambientali e la temperatura rappre-senta certamente il principale parametro che inmaniera diretta o indiretta influisce chiaramentesulla crescita e sul ciclo riproduttivo di tali speciepelagiche (Basilone et al., 2004, 2006; Patti et al.,2004). Entrambe le relazione trovate, sebbeneprovengano da dati ottenuti in maniera del tuttoindipendente, descrivono uno stesso andamentoin relazione alla biomassa. La seconda considera-zione interessa la variabilità interannuale della

Impatti dei cambiamenti climatici

531

Figura 1: Relazione fra temperatura superficiale nel mesedi Luglio nel periodo dal 1998 al 2006 con la biomassastimata nello stesso anno.

Figura 2: Relazione fra temperatura a 10 metri di profon-dità nell’area di deposizione per gli anni in cui è stata sti-mata la biomassa con il DEPM e la biomassa stessa.

Figura 3: Serie di temperatura ed anomalia media mensile dal 1982 al 2005 con rette di regressione che mostrano iltrend crescente.

Page 70: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

circolazione superficiale. In particolare, essa hauna grossa influenza sulla distribuzione dei pro-dotti di deposizione (uova e larve) determinandouno spostamento dei prodotti di schiusa dalle areedi deposizione alle aree di nursery dove le condi-zioni ambientali sono favorevoli alla crescita lar-vale (Mazzola et al., 2002; Cuttitta et al., 2006).Le relazioni descritte nel presente lavoro sonostate ottenute con dati indipendenti fra loro, tutta-via hanno mostrato un andamento molto simile,evidenziando in particolare il ruolo chiave che hala temperatura nel determinare i livelli di biomas-sa di acciughe. Come si può vedere nella Figura2, i livelli di biomassa sembrano essere regolatidalla temperatura dell’acqua con la quale essi siaccrescono sino ad un punto di massimo, indican-do l’esistenza di un optimum di temperatura perla popolazione di acciuga durante il periodo dideposizione nello Stretto compreso fra i 25 e i 26°C (SST). La temperatura ottimale a 10 m di pro-fondità propria del sito di deposizione è invecesensibilmente più bassa, attorno ai 23°C.Tuttavia, va detto che i fattori limitanti per l’ac-crescimento di una popolazione ittica sono sva-riati, non ultimo la disponibilità di cibo, ed essipossono entrare in gioco indipendentemente dallatemperatura, non consentendo il raggiungimentodi alti livelli di popolazione nonostante l’opti-mum di temperatura. Dall’analisi delle serie sto-riche di temperatura dell’acqua (SST) e della suaanomalia nel periodo gennaio 1982 dicembre2005, si evince un trend crescente (Fig. 3) inentrambe le variabili, fornendo un chiaro segnaledi riscaldamento climatico.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Tali risultati evidenziano come un cambiamentoclimatico quale il riscaldamento globale possaportare a radicali mutamenti nelle strategieriproduttive delle specie pelagiche con graviricadute sull’abbondanza e sulla possibilità digestione delle stesse.

5 RINGRAZIAMENTI

Il presente lavoro è stato svolto grazie ai proget-ti finanziati da UE DGXIV, MUR, MIPAF eRegione Siciliana.

6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Bakun A., 1973. Coastal upwelling indices, westcoast of North America, 1946-1971. U.S.Dept. Commer., NOAA Tech. Rep. NMFSSSRF-671:1-10 pp.

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Basilone G., Guisande C., Patti B., Mazzola S.,Cuttitta A., Bonanno A., Vergara A.R.,Maniero I., 2006. Effect of habitat conditionson reproduction of the European anchovy(Engraulis encrasicolus) in the Strait ofSicily. Fish. Oceanog., 15: 271-28.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 71: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Gli sbarchi di sardine mostrano variazioni sin-crone in diverse aree del mondo (Giappone,California, Perù e Cile). Le popolazioni dopo 2-3 decenni di crescita a livelli d’abbondanza ele-vati hanno subito un tracollo che è duratoanch’esso un periodo altrettanto lungo. Su scalaglobale è ormai noto come le fluttuazioni mul-tidecadali di sardine, siano associate a cambia-menti nella temperatura oceanica a larga scalae, più in generale, al clima (Chavez et al., 2003e referenze contenute). È stato infatti evidenzia-to come tali fluttuazioni non possano essereattribuite soltanto agli effetti della pesca su talirisorse ma anche alle variazioni ambientali, chesembrano essere le cause principali di talevariabilità (Nevarez-Martinez et al., 2001). Sebbene la temperatura spesso contribuisca adefinire i limiti della distribuzione geografica diuna determinata specie, nella letteratura recente

tale parametro sembra essere meno importanterispetto ai processi di upwelling o di ritenzione-arricchimento-concentrazione (Bakun, 1996). Nello Stretto di Sicilia la stima di biomassadella popolazione di sardina (Sardina pilchar-dus) ha evidenziato, nel periodo 1998-2006,notevoli fluttuazioni che oscillano tra 6000 ecirca 37.000 t rispettivamente negli anni 2002e 2000. Dai dati raccolti sembra che tale varia-bilità sia principalmente da attribuire alla varia-bilità delle condizioni ambientali piuttosto cheagli effetti dello sforzo di pesca.Nel presente lavoro ci si propone di analizzaregli effetti di alcuni fattori ambientali chiave sullavariabilità della biomassa di tale specie ittica.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Nello Stretto di Sicilia l’IAMC-CNR diMazara del Vallo conduce dal 1998, tipica-mente nel periodo estivo, campagne di ricerca

533

Influenza delle variabili ambientali sulle fluttuazioni della biomassa di sardine (Sardina pilchardus) nello Stretto di Sicilia

A. Bonanno1, S. Mazzola1, G. Basilone1, B. Patti1, A. Cuttitta1, G. Buscaino1,S. Aronica1, I. Fontana1, S. Genovese1, S. Goncharov2, S. Popov2, R. Sorgente3,A. Olita3, S. Natale4

1Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Mazara del Vallo (Tp), Italia2Laboratorio Acustico dell'Industria della Pesca, VNIRO, Mosca, Russia3Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Oristano, Italia4Fondazione IMC, Centro Marino Internazionale ONLUS, [email protected]

SOMMARIO: L’analisi delle fluttuazioni di biomassa di sardina (Sardina pilchardus) nello Stretto di Sicilia,valutata acusticamente nell’area di studio a partire dal 1998, ha permesso di rilevare l’esistenza di unarelazione lineare diretta statisticamente significativa (r2 = 0,79) con i valori medi di upwelling costiero sti-mati durante il picco riproduttivo (periodo invernale) di tale specie. Viceversa, nello stesso periodo, non èstata riscontrata alcuna relazione significativa fra biomassa e temperatura media superficiale del mare.Tale risultato sottolinea l’importanza della produttività primaria, mediata dall’apporto di nutrienti indottodall’upwelling, per i livelli di abbondanza raggiunti dalla popolazione. Data la correlazione inversa tratemperatura superficiale del mare e indice di upwelling indotto dal vento, il trend crescente nella tempe-ratura del mare sembra avere potenziali effetti negativi sui livelli di biomassa delle sardine.

Page 72: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

mirate alla valutazione acustica (echosurvey)dello stato delle risorse ittiche pelagiche (Pattiet al., 2004). Il principale risultato di ciascunsurvey è la stima della distribuzione ed abbon-danza delle specie pelagiche maggiormentepresenti nell’area di studio, ovvero sardina(Sardina pilchardus) e acciuga (Engraulisencrasicolus). Nel presente lavoro la serietemporale delle stime di biomassa delle sardi-ne è stata analizzata al fine di studiare le pos-sibili influenze delle variabili ambientali sutale risorsa. In particolare, insieme a tale serie,sono state analizzate le serie storiche dellatemperatura superficiale del mare, della cloro-filla a e dell’indice di upwelling.Per quanto riguarda la temperatura superficialedel mare (SST), si è presa in considerazione laserie storica delle medie mensili delle SST diReynolds, frutto di una interpolazione ottimaledi dati provenienti da osservazioni marine e dasatellite (AVHRR) per il punto di coordinate37°30’N, 12°30’E. Tali dati sono resi disponibi-li dal Data Support Section of the UniversityCorporation for Atmospheric Research(UCAR), Boulder, Colorado (U.S.A.) all’indi-rizzo web http://dss.car.edu/.Datsets/ncep.mari-ne/ ascii/).I valori medi mensili (periodo 1997–2006) dellaconcentrazione di clorofilla a nel riquadro di 1° dilatitudine per 1° di longitudine centrato sul puntodi coordinate 37°30’N, 12°30’E sono stati stima-ti da misure da satellite (SeaWifs, http://oceanco-lor.gsfc.nasa.gov/cgi/level3.pl) e utilizzati comeindicatori della produzione dell’area. Infine, la serie storica delle medie mensili del-l’indice di upwelling è stata stimata applican-do la procedura proposta da Bakun (1973)sulla serie storica del vento registrata pressola stazione meteo di Trapani dell’AeronauticaMilitare. L’indice di upwelling, misurato inm3·s-1·km-1, rappresenta il volume di acquarisalita in superficie nell’unità di tempo perchilometro di costa.

3 RISULTATI RILEVANTI

La costa meridionale della Sicilia è spessosede di eventi di upwelling la cui dinamica

può essere attribuita a diverse cause(Lermusiaux e Robinson, 2001). Sono statiinfatti registrati eventi di upwelling indotti dalvento ma anche eventi legati alla circolazionedell’AIS (Robinson et al., 1999).Le serie storiche delle medie mensili delleSST e dei valori medi mensili dell’indice diupwelling evidenziano una marcata periodici-tà annuale (qui non riportata). In figura 1 èmostrata la relazione inversa tra le due varia-bili, tipica di aree di upwelling dove è eviden-te la risalita di acque più fredde. Una regres-sione lineare ha evidenziato che tale relazioneinversa è statisticamente significativa (F1,286 =173.9; p < 0.001; r2 = 0.38). La conferma della risalita di acque sub-super-ficiali ricche di nutrienti è data anche dallarelazione inversa fra i valori di clorofilla a ela SST (Fig. 2). Una regressione lineare fra laSST media mensile e il logaritmo naturaledella clorofilla a ha mostrato una relazionestatisticamente significativa (F1,109 = 338,2; p< 0,001; r2 = 0,76).Nella stessa area la relazione fra SST e cloro-filla a è stata già registrata con lo stesso tipodi andamento sebbene per un intervallo ditempo più ridotto (Basilone et al., 2006).Un’analisi della variabilità interannuale della

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

534

Figura 1: Relazione tra i valori medi mensili dell’Indicedi Upwelling (m3·s-1·km-1) stimato a partire dalle veloci-tà del vento misurate dall’Aeronautica Militare diTrapani e le medie mensili di SST (°C) rilevate nel puntodi coordinate (012,5E, 37,5N).

Page 73: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

biomassa di sardine (stime acustiche) nelloStretto di Sicilia è stata effettuata prendendoin esame la variabilità dei due parametriambientali. I risultati evidenziano la maggio-re influenza del vento (ovvero dell’indice diupwelling) rispetto alla temperatura. InFigura 3 è mostrata la relazione tra le stimeacustiche della biomassa di sardine e le mediedell’indice di upwelling calcolate nei mesi di

novembre, dicembre e gennaio precedenti alperiodo di svolgimento dell’echosurvey. Èopportuno sottolineare che il periodo inesame corrisponde al picco riproduttivo dellasardina (Basilone et al., 2004). Una regressione lineare ha evidenziato unarelazione diretta statisticamente significativa(F1,9 = 26,7; p = 0,001; r2 = 0.79). Nel con-tempo, la SST media nello stesso periodo(Nov.-Gen.) non ha mostrato relazioni signifi-cative con i livelli della biomassa di sardine(Spearmann-Kendall, p > 0,05).Relazioni fra indice di upwelling e biomassasono ben note in letteratura, tuttavia, in gene-rale, esse hanno una forma gaussiana che per-mette di individuare un range di valori dell’in-dice di upwelling all’interno del quale la spe-cie trova il suo optimum (Nevarez-Martinezet al., 2001). Probabilmente, i dati fin qui rac-colti hanno permesso di evidenziare solo ilramo ascendente della summenzionata curva.Il presente studio ha evidenziato che i valorimaggiori dell’indice di upwelling nelloStretto di Sicilia corrispondono a bassi valoridella SST (Fig. 1) e, contemporaneamente, aivalori più elevati della biomassa di sardina.Viceversa, negli anni in cui si sono registrati ivalori più elevati delle SST la media dell’in-dice di upwelling nel trimestre Novembre-Gennaio e la stima di biomassa di sardinehanno assunto i valori più bassi.

4 PROSPETTIVE FUTURE

I risultati del presente lavoro mostrano comela biomassa delle sardine sia correlata all’up-welling costiero. Tale fenomeno può esserefortemente influenzato da anomalie della cir-colazione e del regime dei venti, che si pre-sentano con sempre maggiore frequenza acausa dei cambiamenti climatici, in primis ilriscaldamento globale (Olita et al., 2007 ereferenze contenute). In questo senso i cam-biamenti climatici potrebbero avere un impat-to importante, con l’upwelling come tramite,sugli stock di piccoli pelagici presenti nelCanale di Sicilia. Futuri sviluppi del presente lavoro riguarde-

Impatti dei cambiamenti climatici

535

Figura 2: Relazione tra i valori medi mensili della SST(°C) rilevata nel punto di coordinate (012.5E, 37.5N) e laconcentrazione di clorofilla a (mg/m3) rilevata nel perio-do Settembre 1997 - Settembre 2006 nell’area di studio.

Figura 3: Relazione tra le stime acustiche della biomassadi sardine nello Stretto di Sicilia e le medie dell’Indice diUpwelling (m3·s-1·km-1) calcolate nei mesi di Novembre,Dicembre e Gennaio precedenti al survey acustico.Periodo 1998 – 2006.

Page 74: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ranno la valutazione degli effetti della tempe-ratura e dell’indice di upwelling sulla distri-buzione ed abbondanza degli stadi larvali egiovanili di Sardina pilchardus.

5 RINGRAZIAMENTI

Il presente lavoro è stato svolto grazie ai pro-getti finanziati da UE DGXIV, MUR, MIPAFe Regione Siciliana.

6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Bakun A., 1973. Coastal upwelling indices,west coast of North America, 1946 –1971. US Dept. Commerce, Seattle, WA,NOAA Tech. Rep. NMFS SSRF – 671.

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Basilone G., Guisande C., Patti B., Mazzola S.,Cuttitta A., Bonanno A., Vergara A.R.,Maniero I., 2006. Effect of habitat condi-tions on reproduction of the Europeananchovy (Engraulis encrasicolus) in theStrait of Sicily. Fish. Oceanog., 15: 271-280.

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Nevarez-Martinez M.O., Lluch-Belda D.,Cisneros-Mata M.A., Santos-Molina J.P.,Martinez-Zavala M., Lluch-Cota S.E.,2001. Distribution and abundance of thePacific sardine (Sardinops sagax) in theGulf of California and their relationshipwith the environment. Progress inOceanography, 49: 565-580.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

536

Page 75: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Nell’ambito di numerosi progetti di ricercanazionali ed europei, l’IAMC-CNR di Mazaradel Vallo ha condotto dei survey ittioplancto-nici nei mesi di Giugno e Luglio a partire dal-l’anno 1997 e fino al 2006, al fine di studia-re la distribuzione e l’abbondanza delle uovae delle larve di Engraulis encrasicolus sullapiattaforma continentale a sud della Sicilia.Contemporaneamente, sono state investigatele variabili ambientali, al fine di comprende-re, con approccio ecosistemico e multidisci-plinare, la dinamica che sta alla base dellabiologia riproduttiva di questa specie(Basilone et al., 2006; Cuttitta et al., 2006).L’interesse focalizzato sull’acciuga è determi-nato dal fatto che questa è una specie di note-vole interesse economico per la marineriasiciliana e che tuttavia subisce delle rilevantifluttuazioni interannuali in termini di biomas-sa, con effetti negativi sull’indotto.La Sardinella aurita (Valenciennes 1847) è un

pesce pelagico ritenuto finora di scarso inte-resse economico. Il progressivo aumento diquesta specie osservato nelle catture ha spintola comunità scientifica ad approfondirne lostudio in quanto potenziale risorsa (Palomerae Sabatés, 1990; Bakun e Parrish, 1990;Sabatés et al., 2006). L’interesse nei confron-ti della Sardinella aurita, cattura accessoriaed accidentale rispetto all’acciuga, è giustifi-cato dal fatto che questa specie è stata ritrova-ta nelle stesse stazioni della specie target ed ènota la sua capacità di accrescimento e dicompetizione con le altre specie larvali perciò che riguarda l’alimento (Cuttitta et al.,2000). Dal punto di vista oceanografico l’areautilizzata da queste specie come zona di ripro-duzione è caratterizzata dalla CorrenteAtlantico – Ionica (Atlantic – Ionic Stream oAIS) che fluisce in direzione sud-est nelCanale di Sicilia verso il Mar Ionio (Mazzolaet al., 2002). Il suo percorso e la sua variabi-lità anno per anno influenzano altri fenomeniidrologici importanti come la presenza e l’e-

537

Fluttuazioni interannuali nell’abbondanza deglistadi larvali di Engraulis encrasicolus e diSardinella aurita in relazione al riscaldamentodelle acque superficiali nello Stretto di Sicilia

A. Cuttitta, B. Patti, G. Basilone, A. Bonanno, L. Caruana, A. Di Nieri,C. Patti, C. Cavalcante, G. Buscaino, G. Tranchida, F. Placenti, S. Mazzola,L. Saporito, G.M. Armeri, V. Maltese, R. Grammauta, M. ZoraIstituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Mazara del Vallo (Tp), [email protected]

SOMMARIO: I piccoli pelagici sono specie ittiche che rappresentano un interessante risorsa economica sullaquale si fonda un’industria importante per le marinerie siciliane, che è rappresentata da quella della pescae da quella della trasformazione. Le specie pelagiche di pregio sono prevalentemente le sardine e le acciu-ghe. Esistono tuttavia anche specie di minore valenza economica, quali la Sardinella aurita, che rappresen-tano specie competitrici sia per l’areale riproduttivo, sia per la distribuzione e per l’alimento. L’abbondanzadi larve di Engraulis encrasicolus e Sardinella aurita è soggetta ad ampie fluttuazioni interannuali legatealla variabilità dell’ecosistema e può risentire della ridotta disponibilità di cibo indotta da anomale e pro-lungate condizioni di elevata stabilità della colonna d’acqua durante il picco riproduttivo di tali specie.

Page 76: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

stensione dell’upwelling e la formazione distrutture frontali che hanno delle conseguenzesulle strategie di riproduzione dei clupeidi(Garcia Lafuente et al., 2002) e sulla soprav-vivenza dei primi stadi di vita di tali specie(Mazzola et al., 2002).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

I dati oggetto del presente lavoro provengonoda campioni raccolti nel corso di dieci campa-gne oceanografiche ed ittioplanctoniche con-dotte nel periodo estivo nella parte settentrio-nale dello Stretto di Sicilia dal 1997 al 2006.In ognuna delle stazioni (da un minimo di 70nel 1999 a un massimo di 259 nel 2002), ilcampionamento, di tipo sistematico, è statoeffettuato da 100 m di profondità (o dal fondoper profondità inferiori a 100 m) alla superfi-cie mediante retinate oblique di Bongo 40,campionatore a doppia bocca, equipaggiatocon rete di maglia pari a 200 µm. I campionidi plancton sono stati conservati in formaldei-de al 4% tamponata con Borace e successiva-mente analizzati allo stereomicroscopio.Quindi è stata calcolata la densità media dilarve per stazione di ciascuno dei surveyinclusi nell’analisi (1997-2006).La piattaforma continentale siciliana rappre-senta la principale zona di deposizione per lapopolazione di acciughe (García La Fuente etal., 2002), ed anche della Sardinella aurita(Cuttitta et al., 2003), tuttavia l’abbondanzadi larve delle due specie è soggetta a notevolifluttuazioni interannuali che possono influen-zare lo stock adulto e rendere conseguente-mente non sostenibile lo sforzo di pesca, chein quest’area per i piccoli pelagici è rilevante(Patti et al., 2004).Per la temperatura superficiale del mare (SST) inquesto studio si è presa in considerazione la seriestorica delle medie mensili delle SST diReynolds, frutto di una interpolazione ottima didati provenienti da osservazioni marine e dasatellite (AVHRR) per il punto di coordinate37°30’ N, 12°30’ E, dati resi disponibili dal DataSupport Section of the University Corporationfor Atmospheric Research (UCAR),

(http://dss.ucar.edu/.Datasets/ncep.marine/ascii). I valori medi mensili (periodo 1997–2006) dellaconcentrazione di clorofilla a nel riquadro di 1° dilatitudine per 1° di longitudine centrato sul puntodi coordinate 36°30’N e 15°30’E sono stati stima-ti a partire da misure satellitari SeaWiFs con riso-luzione 9x9 km disponibili all’indirizzohttp://oceancolor.gsfc.nasa.gov/cgi/level3.pl e uti-lizzati come indicatori della produzione nella prin-cipale zona di ritenzione e crescita di stadi larvalinell’area di studio (García La Fuente et al., 2002).La serie di dati multidisciplinari qui presenta-ta ha come obbiettivo lo studio delle fluttua-zioni interannuali nell’abbondanza di stadilarvali delle popolazioni di Engraulis encrasi-colus e Sardinella aurita in relazione allavariabilità ambientale.

3 RISULTATI RILEVANTI

Analizzando l’abbondanza delle larve diEngraulis encrasicolus e di Sardinella auritanel corso degli anni, si nota la prevalenza dilarve di Engraulis encrasicolus in tutta la seriead esclusione del 1997, anno in cui è statoeffettuato il primo survey esplorativo (Fig. 1).Dalle serie analizzate si nota come tral’Engraulis encrasicolus e la Sardinella auritasia presente una debole relazione lineare posi-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

538

Figura 1: Fluttuazioni interannuali dell’abbondanza dilarve di Engraulis encrasicolus e Sardinella aurita nelloStretto di Sicilia, dal 1997 al 2006.

Page 77: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

tiva non significativa (r2=0,27; F1,8=2,9;p=0,127) e che la trasformata logaritmica del-l’abbondanza di entrambe le specie abbia unandamento parabolico in relazione alla SST delmese di Luglio (Fig. 2; Engraulis encrasicolus:R2=0,82, F2,7=15,7, p=0,003; Sardinella auri-ta: R2=0,61, F2,7=5,4, p=0,038), indicando pertale parametro ambientale un possibile valoreottimale intermedio tra i valori massimi e mini-mi registrati negli ultimi dieci anni. È interessante notare come l’anomalia di SST

registrata nel 2003 e nel 2006, sembra aversfavorito maggiormente la specie tropicale, laSardinella aurita, rispetto alla più mediterra-nea Engraulis encrasicolus. Una possibilecausa di questo fenomeno potrebbe risiederenel fatto che la Sardinella aurita, avendo unmetabolismo più accelerato, sarebbe sfavoritadalla bassa disponibilità di cibo indotta dalridotto upwelling costiero, come testimoniatodalle basse concentrazioni di clorofilla regi-strate negli stessi anni (Fig. 3).

4 PROSPETTIVE FUTURE

In conclusione risulta necessario monitorarele risorse pelagiche nel loro insieme, valutan-do le possibili interazioni e la competitivitàtra specie autoctone e specie alloctone e lerelazioni tra le variazioni di biomassa e ilcambiamento climatico, manifestato fonda-mentalmente in termini di riscaldamento glo-bale che può provocare radicali mutamentinelle strategie riproduttive delle specie itti-che pelagiche con potenziali gravi ricadutesull’abbondanza e sulla possibilità di gestio-ne delle stesse.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Cuttitta A., Cavalcante C., Basilone G.,Buscaino G., Garcìa A., Garcìa Lafluente

Impatti dei cambiamenti climatici

539

Figura 2: Relazioni quadratiche tra il logaritmo naturaledell’abbondanza di larve di Engraulis encrasicolus eSardinella aurita (anni 1997-2006) e la SST media diLuglio.

Figura 3: Regressione lineare tra temperatura superficia-le del mare e Chl-a (medie del mese di Luglio, anni1997-2006).

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

540

Page 79: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Comprendere gli impatti dei cambiamen-ti climatici sull’abbondanza e variabilitàplanctonicaUna domanda cruciale in oceanografia con-temporanea è se e quanto il cambiamento glo-bale in corso influenzerà la rete trofica mari-na. Di particolare rilevanza è lo studio di po-tenziali effetti sulle popolazioni planctoniche,in quanto esse rappresentano la maggior fra-zione vivente nelle acque pelagiche e sosten-gono gli anelli successivi della catena troficamarina; in particolare interessa capire gli ef-fetti sullo zooplancton, dato che la maggiorparte degli animali marini ne fa parte e/o sene ciba durante qualche stadio vitale. Questo lavoro fa parte del programma nazio-nale VECTOR (VulnErabilità delle Coste edegli ecosistemi marini italiani ai cambia-menti climaTici e loro ruolO nei cicli del caR-bonio mediterraneo), linea 4 DIVCOST, atti-vità 2, nella quale si investigano gli effettidelle variazioni climatiche sul mesozooplanc-ton del Golfo di Trieste, utilizzando serie cli-

matiche e biologiche decennali. In particolareviene presentata la prima parte dell’attività,ovvero il paragone fra le rianalisi ERA-40 edati osservati (stazione di Trieste) nel Golfodi Trieste.

1.2 Importanza delle serie storicheLe serie temporali storiche (> 20 anni) hannosvolto un ruolo cruciale nell’ultimo decennioproprio per comprendere la variazione tempora-le a “media” scala, ovvero alla scala decennale(non paleoclimatica, né di pochi anni). Questascala temporale è particolarmente importanteperché corrisponde, nello spazio, a variazionidel sistema a scala regionale o di bacino. Gli studi sulle serie temporali decennali hannofra l’altro mostrato che variazioni climatiche ascala regionale, particolarmente quelli espres-si dalle “oscillazioni”, hanno effetti quantifi-cabili sull’abbondanza planctonica: vedi i la-vori di Fromentin e Planque (1996) e di Gree-ne et al. (2003), per quello che riguarda la re-lazione tra North Atlantic Oscillation (NAO)ed il copepode dominante Calanus finmarchi-cus; di Conversi e Hameed (1997) sulla rela-

541

Analisi di variabili climatiche in funzione della comprensione della variabilità planctonica(caso di studio: Golfo di Trieste)

A. Conversi1, F. Crisciani2, S. Corti3, T. Peluso4

1Istituto di Scienze Marine, CNR, La Spezia, Italia2Istituto di Scienze Marine, CNR, Trieste, Italia3Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Bologna, Italia4Dipartimento di Scienze per l’Ambiente, Università degli Studi di Napoli Parthenope, [email protected]

SOMMARIO: Con questo lavoro si presenta il confronto fra le rianalisi ERA-40 e i dati osservati alla stazio-ne meteo di Trieste, finalizzato all’individuazione delle variabili più appropriate per lo studio degli effettidel clima sul plancton. Per quello che riguarda pressione a livello del mare, i primi risultati indicano un ac-cordo quasi completo (r=0,99) fra rianalisi e osservazioni. Si riscontra invece una generale sottostima del-la velocità del vento da parte degli ERA-40 rispetto ai dati locali. Le rianalisi ERA-40, per via della loroomogeneità spazio-temporale, restano appropriate per la costruzione di mappe di regressione temporale ri-spetto alla serie planctoniche. Sono indicati gli anni anomali rispetto a queste due variabili e alla SST.

Page 80: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

zione tra Quasi Biennal Oscillation e meso-zooplancton nel Golfo di Alaska; di Roemmi-ch e McGowan (1995), sulla relazione tra cli-ma e mesozooplankton nel nord Pacifico.

1.3 Serie temporali nei mari italianiNel Mediterraneo sono stati finora fatti menostudi utilizzando serie temporali (Zingone etal., 2004; Molinero et al., 2005), in parte per-ché le stesse sono più recenti di quelle oceani-che e in parte per la mancanza di un piano dimonitoraggio a larga scala spazio-temporale (leserie esistenti sono comunque solo costiere).La più lunga serie di mesozooplancton d’Ita-lia si trova nel Golfo di Trieste (stazione C1,Miramare, a 0,1 miglia dalla costa, profondità17 m). Il campionamento (abbondanza di spe-cie) è iniziato nel 1970 (la biomassa nel ’72)ed è tuttora in corso. La frequenza di campio-namento varia da mensile a quindicinale, conun’interruzione nel periodo gen 1981 - feb1986 (Mozetic et al., 1998).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Criteri selezione datiCome criterio spaziale è stata selezionata l’a-rea del Golfo di Trieste, Nord Adriatico, es-sendo quella in cui si trova la serie di meso-zooplancton di Miramare. I dati di grigliaECMWF (n=3) e COADS (n=2) sono statimediati spazialmente utilizzando i punti mo-strati in Figura 1. Inoltre è stato selezionatoun set a scala di bacino, includente tutti i pun-ti ERA-40 (n=51) e COADS (n=15) in Adria-tico (non mostrati in Fig. 1).Come criterio temporale è stato scelto il pe-riodo 1970-2001, in quanto corrisponde al pe-riodo comune di campionamento tra la seriemesozooplanctonica (1970-2005), le rianalisiERA 40 (1958-2001) e i dati COADS (1960-2005). I dati meteorologici locali includono ilperiodo 1970-2001. Tutti i dati sono stati me-diati mensilmente. Le anomalie mensili mo-strate nelle figure 3 e 4 sono state calcolatesottraendo al valore di ogni mese il valoremedio del mese sull’intera serie. Sono state individuate le variabili meteorolo-

giche che possono indicare un cambiamentodel sistema fisico a livello regionale/sub-re-gionale: velocità del vento (ms-1) e pressione(hPa), presenti sia in ERA-40 che nella stazio-ne CNR di Trieste. Inoltre è stata utilizzata laSST, un buon indicatore di cambiamenti cir-colatori o climatici (dall’archivio COADS).

2.2 Dati utilizzati Le rianalisi ERA40 (ECMWF Re-Analysis 40anni), sono un dataset di dati assimilati a li-vello globale, su una griglia spaziale 0,5 x0,5, per il periodo 1958-2001. Nelle rianalisiil processo di assimilazione che si utilizza è lostesso per tutto il periodo, risultando in datiche per loro natura sono temporalmente espazialmente omogenei. I dati meteorologici locali provengono dal-l’archivio della Sede di Trieste dell’ISMAR-CNR e corrispondono alle misure prese dadecenni alla stazione meteorologica del CNRdi Trieste (latitudine 45°38’34’’N, longitudi-ne 13°45’14’’E). I dati di velocità del vento(misurati a 46 m) sono stati rapportati a 10 mper il confronto con gli ERA-40, seguendo laformula V46 = V10 [0.233 + 0.656 x log10 (h+ 4.75)] (dove V è e la velocità del vento a 46e 10 m).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

542

Figura 1: Punti griglia per i due dataset climatici e puntostazione Trieste.

Page 81: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Il Comprehensive Ocean Atmosphere DataSet (COADS), è una collezione di dati marinisperimentali. In questo lavoro sono state ado-perate le medie mensili di SST interpolate suuna griglia 1° x 1°, per il periodo 1970-2001,utilizzando il filtro enhanced, che esclude idati che cadono 4,5 deviazioni standard dallamediana.

3 RISULTATI RILEVANTI

In Figura 2 sono confrontati i dati fra pressio-ne media a livello del mare risultanti dalle os-servazioni alla stazione CNR-Trieste (Fig. 2a)rispetto alle rianalisi ERA-40 (Fig. 2b). È evi-dente la notevole corrispondenza fra dati os-servati e rianalisi, come anche riassunto inTabella 1. Il delta fra la serie di rianalisi e laserie osservata varia intorno allo 0, tra -1,1 e

Impatti dei cambiamenti climatici

543

Tabella 1: Dati statistici per la pressione media allivello del mare (Slp) e per la velocità del vento(Ws), misurate localmente (local T), o derivatedalle rianalisi ERA40 mediate sull’area di Trieste(ERA40-T) e sul Mar Adriatico (ERA40-A).

Slplocal

T

Slp ERA40-T

SlpERA40-A

Wslocal

T

Ws ERA40-T

hPa hPa hPa ms-1 ms-1

Min 1005 1005 1006 0,98 0,05 Max 1032 1032 1030 5,03 4,09 Mean 1016 1016 1016 2,09 1,15 Std 3,63 3,65 3,37 0,52 0,66

1,32 hPa, con coeff. di correlazione = 0,99.L’andamento temporale a Trieste corrispondea quello regionale, come si vede nellaFigura 2c (media sull’intero bacino Adriatico;coefficiente di correlazione tra ERA-40-Trie-

Figura 2: Pressione media al livello del mare misurata a) localmente, b) rianalisi ERA40 mediate sull’area di Trieste(Fig. 1), c) rianalisi ERA40 mediate sull’intero Mar Adriatico. Nota: in tutte le figure, il trattino corrisponde al gennaiodell’anno in questione.

Page 82: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ste e ERA-40-Adriatico=0,98).Il forte andamento stagionale, dominato da mas-simi invernali è visibile nei diversi datasets, co-me anche gli anni caratterizzati dai valori mas-simi: 89, 73, 92, 93, 79 e 98; e minimi: 82.La Figura 3a riporta la velocità del vento cal-colata dalle rianalisi ERA-40 e osservata allastazione di Trieste. In questo caso le rianalisie i dati osservati presentano notevoli differen-ze. In primis si nota la generica sottostima,dei valori di vento da parte delle rianalisiECMWF (media globale Trieste: 2,09; ERA:1,15 ms-1; vedi Tab. 1), già riscontrata in altristudi. Per quello che riguarda l’andamentodella serie locale, va invece considerato che

nel 77 è stato sostituito il sensore della la ve-locità del vento nella centralina di Trieste, co-sa che può avere causato l’aumento visto nelperiodo 77-78. Ciononostante, i periodi dimassima ventosità, soprattutto gli invernidell’86, 72, 79, 82, 84, 96, sono evidenti inentrambi i datasets. La Figura 3b mostra le anomalie mensili del-la velocità del vento della Stazione di Trieste,con superimposta la media mobile con base12. Quest’ultima evidenza 3 periodi in basealla ventosità media: 70-77; 77-87; 87-01.La Figura 4 mostra le anomalie mensili dellaSST da dati COADS nel Golfo di Trieste(Fig. 4a) e su bacino (Fig. 4b). La notevole

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

544

Figura 3: Velocità media del vento misurata a) localmente e dalle rianalisi ERA40 mediate sull’area di Trieste (Fig. 1);b) anomalia della velocità del vento e media mobile di base 12 locale.

Page 83: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

differenza fra le anomalie mediate localmen-te e su bacino indica che fattori locali sonodeterminanti per questa proprietà. In genera-le, nel Golfo di Trieste (Fig. 4a) le anomaliesono negative (temperatura inferiore alla me-dia) nel periodo precedente al 1980 e superio-ri dal 1988 in poi, ma si individuano anni par-ticolari, sia positivamente (73, 87, 97, 96, 83,82, 74), che negativamente (75, 85, 74, 91,73, 93).In questa prima analisi, non vengono identifi-cati periodi anomali comuni rispetto a questetre variabili.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Quanto visto è consistente con la nostra co-noscenza sui processi di assimilazione: i datidi pressione e temperatura (campi scalari)non sono molto dipendenti dalla land-sea mask e dall’orografia del modello, mentre leanalysis del vento ne dipendono in manieracruciale, soprattutto in un bacino piccolo co-

me il nord Adriatico. D’altra parte, le osservazioni locali sono sog-gette ad una serie di imprecisioni dovute allacalibrazione e alla sostituzioni dei di-versisensori utilizzati.Le rianalisi ERA-40, per via della loro mag-giore omogeneità spazio-temporale, sembra-no appropriate per la costruzione di mappe diregressione temporale rispetto alla serieplanctoniche.

5 RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano l’Università degli Studi di Na-poli “Partenope” (DiSAm) e l’European Cen-tre for Medium-Range Weather Forecasts peraver fornito i dati ERA-40. I dati COADS so-no stati gentilmente forniti dal NOAA-CI-RES Climate Diagnostics Center, Boulder,Colorado, USA, tramite il loro sito web,http://www.cdc.noaa. gov/. Si ringrazia R.R.Colucci per il supporto tecnico per i dati del-la stazione del CNR di Trieste.

Impatti dei cambiamenti climatici

545

Figura 4: Temperatura superficiale del mare: a) dati COADS mediati sull’area di Trieste (Fig.1), con superimposta me-dia mobile su base 12; b) dati COADS mediati sull’intero Mar Adriatico con media mobile su base 12.

Page 84: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

546

Page 85: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 L’ecosistema pelagico del Mare AdriaticoIl Mare Adriatico è uno dei sistemi più pro-duttivi del Mediterraneo. Di conseguenzaquesta alta produttività sostiene le più grandicatture di piccoli pelagici (acciughe e sardine)in Italia e una delle flotte pescherecce più im-portanti nel Mediterraneo. Tuttavia la pescapelagica nell’Adriatico, come in altre aree adalta pescosità, deve confrontarsi con il pro-blema dell’enorme variabilità sia in livelloche in composizione di queste risorse. L’esempio più spettacolare di questo fenome-no fu il collasso dell’ “anchoveta” peruviananel 1984. Tuttavia simili situazioni si osser-varono nei mari a nord-ovest e sud-ovest del-l’Africa (Belvéze e Erzini, 1983), in Califor-nia (Lasker, 1978), nel Mare del Giappone(Tanaka, 1984) e nel Mediterraneo occidenta-le (Spagna, Algeria, Marocco).È interessante osservare che questi cambia-menti delle biomasse pelagiche avvennero sia

in presenza (Cile, Perù, Giappone, Spagna)che in assenza (Algeria, Marocco) di un ele-vato prelievo di tali risorse. Le popolazionipelagiche dell’Adriatico (principalmente ali-ci, sardine e spratti) presentano tutte le classi-che caratteristiche di questo tipo di risorse.Tali popolazioni sono state studiate con il me-todo acustico per alcune decadi (survey stori-ci). In questo periodo hanno mostrato una se-rie di drammatici cambiamenti in abbondan-za, composizione e distribuzione (Azzali,2002; Azzali et al., 2002). La serie dei surveystorici per il Nord Adriatico (area consideratada Trieste a Giulianova) va dal 1976 al 2005,per il Sud Adriatico (area da Giulianova aBrindisi) dal 1987 al 2005.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA E RISULTATI

Nel 1976, il gruppo di acustica marina dellasezione di Ancona dell’Istituto di ScienzeMarine del CNR (ISMAR) ha iniziato a con-durre campagne oceanografiche in Mare

547

Fluttuazioni spazio-temporali della biomassa dei piccoli pelagici nel Mare Adriatico in relazione ai cambiamenti climatici

M. Azzali, I. Leonori, A. De FeliceIstituto di Scienze Marine, CNR, Ancona, [email protected]

SOMMARIO: La biomassa dei piccoli pelagici varia grandemente nello spazio e nel tempo. Questo fenome-no è di straordinaria importanza ecologica, biologica ed economica e riflette cambiamenti climatici su mi-cro e macro scala di varia natura. La maggiore difficoltà per capire le relazioni tra fluttuazioni della bio-massa e parametri ambientali è la mancanza di dati biologici e climatici sinottici per lunghi periodi. InAdriatico i dati sui piccoli pelagici sono stati raccolti da tre decadi (dal 1976) con metodologia acustica ei dati ambientali da oltre due decadi (dal 1982) con metodologia satellitare. Questo lavoro riassume alcu-ni risultati ottenuti. In particolare la biomassa totale dei piccoli pelagici è soggetta a fluttuazioni con pe-riodicità da 3 a 5 anni, molto probabilmente legata a fattori ambientali (temperatura, clorofilla) e geneti-ci. Tuttavia la variabilità delle singole specie è molto maggiore e ha una periodicità ancora sconosciuta.Lo stock di alici (E. encrasicolus) nel periodo 1976-2005 ha presentato forti oscillazioni con un collassonegli anni 1986-90 che sembra potersi rapportare alla diminuzione della temperatura superficiale. Glistock di sardine (S. pilchardus) e di spratti (S. sprattus) sono in progressiva diminuzione a partire dal 1996in concomitanza con l’aumento della temperatura superficiale.

Page 86: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Adriatico per la valutazione con metodo acu-stico dell’abbondanza dei piccoli pelagici. Idati di biomassa e la sua distribuzione spazia-le per l’insieme di tutti i piccoli pelagici e lestime della biomassa per singole specie (alici,sardine, spratti) sono stati acquisiti annual-mente con il metodo standard dell’ecointegra-zione (Simmons e MacLennan, 2005), usandola tecnologia acustica split beam multifre-quenza (38, 120 e 200 kHz). Durante il sur-vey sono stati effettuati regolari campiona-menti biologici con rete pelagica per la deter-minazione della taglia e della composizioneper specie delle catture. I dati di temperaturasuperficiale (SST) e di clorofilla sono stati ac-quisiti da satellite.Dal 2004 durante le campagne di echosurveyvengono effettuate stazioni CTD in concomi-tanza dei campionamenti biologici per la de-terminazione dei principali parametri am-bientali in situ.

Il risultato fondamentale della ricerca è la no-tevole variabilità nel tempo della risorsa pela-gica sia considerando l’insieme di tutti i pic-coli pelagici sia considerando le singole spe-cie. La comunità pelagica dell’Adriatico è do-minata da alici e sardine che rappresentanocirca l’80% della biomassa pelagica totale.L’andamento della biomassa di alici nel NordAdriatico negli anni 1976-2005 è mostrato inFigura 1. Lo stock di alici ha raggiunto il pic-co massimo (circa 95 t/Nm2) negli anni 1978-79, poi, dopo un picco minore (1983-84, cir-ca 25 t/Nm2) si è avuto il collasso nel periodo1986-90. La ripresa dello stock è iniziata nel1994 e solo in questi ultimi anni (2004-2005)si è verificato nuovamente un calo della bio-massa. Il valore nel 2005 è leggermente al disotto della media di tutto il periodo che è di27,9 t/Nm2. Lo stock di sardine (Fig. 2) partendo da unvalore molto basso (circa 10 t/Nm2 nel perio-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

548

Figura 1: Andamento della biomassa di alici nel Nord Adriatico dal 1976 al 2005.

Figura 2: Andamento della biomassa di sardine nel Nord Adriatico dal 1976 al 2005 (Nm = miglia Nautiche).

Page 87: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

do 1976-80) raggiunge il picco massimo (cir-ca 105 t/Nm2) negli anni 1981-83. Dopo unperiodo di normalità (1986-95), la popolazio-ne di sardine è diminuita e negli ultimi annisembra essersi stabilizzata a livelli piuttostobassi. La densità media del periodo è 27,1t/Nm2 (1976-2005). L’andamento annuale della temperatura su-perficiale stimata sull’intero Adriatico(Fig. 3) per il periodo 1982-2000 mostra chedal 1996 la SST ha avuto un andamento co-stantemente crescente. Il periodo 1996-2000

segna anche l’inizio del declino della popola-zione di sardine (Fig. 2) e spratti e dell’e-spansione di quella di alici (Fig. 1).La disponibilità delle risorse in mare sembraavere un effetto piuttosto diretto sulle catture,almeno per quanto riguarda le specie d’inte-resse commerciale. Un esempio è quello del-lo stock di alici nel Nord Adriatico; la bio-massa stimata acusticamente ha un andamen-to piuttosto simile a quello delle catture dellaspecie stessa nella stessa area desunta dai da-ti ISTAT (Bollettini ISTAT) (Fig. 4).

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 3: Andamento annuale della temperatura superficiale (SST) stimata sull’intero Adriatico.

Figura 4: Confronto tra l’andamento della cattura delle alici (dati ISTAT, in nero) e la densità stimata acusticamente nelNord Adriatico (in bianco).

Page 88: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Dalla Figura 4 è chiaramente visibile come ilcollasso dello stock di alici si riflette nellecatture. Una singolare eccezione è il picconelle catture del 1985, anno nel quale la bio-massa in mare era già diminuita notevolmen-te. Quest’anomalia è probabilmente dovutaad un incremento della catturabilità di questaspecie in base alla sua distribuzione spazialetipicamente in “patchness” ad alta densità (fa-cilmente sfruttabili dalla pesca) anche in annicaratterizzati da bassi livelli d’abbondanza.

3 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE

Questi risultati mostrano: 1) la differenza trale fluttuazioni della biomassa pelagica totale,che presentano una ciclicità circa quinquen-nale e probabilmente sono collegati a fattorigenetici e a fattori climatici su macro scala ele irregolari variazioni della biomassa dellesingole specie (acciughe, sardine spratti), ca-ratterizzate da picchi e collassi che sembranostrettamente collegati a eventi climatici sumicroscala; 2) la stretta relazione tra variazio-ni dei livelli di biomassa misurata in mare el’attività della pesca. I metodi acustici e satellitari sembrano forni-re un grande numero di dati sinottici sulla va-riabilità della biomassa pelagica e su quei fat-tori climatici su micro e macro scala che la in-fluenzano. Tuttavia è necessario raffinare an-cora i metodi di integrazione delle due tecno-logie per poter fare delle previsioni a brevetermine sullo stato delle risorse.

4 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

550

Page 89: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

Le comunità planctoniche rivestono un ruolofondamentale nel funzionamento degli ecosi-stemi marini, contribuendo in modo sostan-ziale ai cicli biogeochimici. Possibili effettidei cambiamenti climatici sulle comunitàplanctoniche costituiscono, pertanto, motivod’interesse e di preoccupazione, a livello glo-bale. Gli organismi del plancton sono consi-derati buoni indicatori dei cambiamenti cli-matici negli ambienti marini, addirittura piùinformativi delle variabili ambientali stesse(Hays et al., 2005): le risposte biologiche nonsono infatti lineari e, pertanto, possono am-plificare le perturbazioni ambientali (Tayloret al., 2002). Le comunità planctoniche mostrano variazio-ni ricorrenti nell’abbondanza e nella compo-sizione in specie su scala interannuale. Esi-stono alcuni paradigmi che descrivono suc-cessione e distribuzione delle comunitàplanctoniche, derivati da concettualizzazionie generalizzazioni di osservazioni sperimen-tali. Ad esempio, per le aree temperate, lasuccessione stagionale del fitoplancton vienedescritta da una distribuzione bimodale, ca-

ratterizzata da una prima fioritura primaveri-le, all’inizio della stratificazione termica, euna seconda all’inizio dell’autunno, con l’ap-profondamento del termoclino (Cebriàn e Va-liela, 1999). Tuttavia, esistono parecchie ec-cezioni a questo modello. Nel Mare Mediter-raneo, ad esempio, è evento comune e diffu-so la comparsa di una fioritura invernale(Duarte et al., 1999). Inoltre, negli ambientimarini costieri e neritici l’abbondanza e lacomposizione del plancton sono caratterizza-te da un grado elevato di variabilità spazio-temporale: la complessità di queste aree perl’alta variabilità dei fattori ambientali e dellerisposte delle comunità rende estremamentedifficoltoso definire un ciclo annuale regolaredel plancton. Per queste ragioni, serie di datipluriennali rappresentano uno strumento uni-co e imprescindibile per fornire ricostruzioniaffidabili del ciclo stagionale del plancton inquesti ambienti (Southward, 1995). Osserva-zioni ripetute negli anni infatti permettono didistinguere andamenti regolari e ricorrenti daeventi eccezionali e occasionali (Coljin,1998) e di definire eventuali cambiamentidelle caratteristiche idrochimiche, trofiche ebiologiche determinate sia dall’influenza

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Comunità fitoplanctoniche e climatologia nell’Adriatico Settentrionale

A. Pugnetti, M. Bastianini, F. Acri, F. Bernardi Aubry, F. Bianchi, A. Boldrin,G. SocalIstituto di Scienze Marine, CNR, Venezia, [email protected]

SOMMARIO: L’analisi spazio-temporale delle caratteristiche fisiche ed idrochimiche della colonna d’acquacorrelata allo studio della struttura delle comunità planctoniche consente una fondamentale valutazione deicambiamenti climatici dell’ecosistema marino. In Adriatico Settentrionale lo studio dell’ecosistema planc-tonico, iniziato fin dai primi anni ’70 e proseguito fino ad oggi nell’ambito di diversi progetti di ricerca na-zionali ed europei, ha evidenziato trend temporali significativi nelle condizioni del bacino ed in particola-re un aumento della temperatura negli ultimi 20 anni. Gli studi sul fitoplancton hanno permesso di identi-ficare la successione stagionale delle specie dominanti, con la definizione di un “calendario del plancton”per l’area. L’ampia copertura temporale delle ricerche sull’ecologia del plancton ha consentito l’inseri-mento dell’Alto Adriatico tra i siti di ricerca ecologica a lungo termine della rete internazionale LTER.

Page 90: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

umana a scala locale, sia da fluttuazioni cli-matiche a scala globale.

1.1 Area di StudioL’Adriatico Settentrionale è considerata unadelle poche regioni di produzione permanen-temente alta del Mare Mediterraneo (FondaUmani et al., 1992). Le caratteristiche biolo-giche di questo ecosistema sono fortementedeterminate dalla batimetria, dalla meteorolo-gia, dall’idrodinamismo e dagli apporti flu-viali, che rappresentano circa il 20 % degliapporti di tutto il Mare Mediterraneo (Russoe Artegiani, 1996). Gli apporti d’acqua dolcedal Fiume Po, la frequenza dei venti da Norde Nord-Est e gli scambi di masse d’acqua conl’Adriatico Meridionale influenzano forte-mente la composizione e l’attività delle co-munità pelagiche. L’Adriatico Settentrionaleè particolarmente sensibile alle variazioni sta-gionali e pluriennali del carico di nutrienti, icui effetti sono fortemente modulati da cam-biamenti nelle condizioni oceanografiche, de-terminati da fluttuazioni climatiche (Degob-bis et al., 2000).L’Adriatico Settentrionale è soggetto ad unnotevole impatto antropico (apporti di nu-trienti, urbanizzazione costiera, attività di pe-sca e acquacoltura, turismo, traffico maritti-mo). Il bacino è andato incontro a fenomenidi eutrofizzazione e, più recentemente, adepisodi frequenti di formazioni di aggregatimucillaginosi (Giani et al., 2005). In Adriatico Settentrionale, un numero note-vole di ricerche ecologiche, svolte fin daglianni settanta nell’ambito di diversi progetti diricerca da istituzioni nazionali e internaziona-li, ha riguardato lo studio della struttura e del-la variabilità stagionale e interannuale dellaclimatologia del bacino e delle comunitàplanctoniche. Le notevoli variazioni intra- einterannuali delle proprietà oceanografichedel bacino, indotte dal forzante climatico, in-fluenzano profondamente la struttura e la di-namica delle comunità planctoniche. Appare,pertanto, particolarmente necessario in questoambiente la raccolta, il mantenimento e l’ana-lisi di serie di osservazioni su climatologia e

plancton, al fine di identificare regolarità e dimettere in relazione le eventuali variazionicon cambiamenti climatici a larga scala o ascala locale. Serie temporali più che trenten-nali sono, ad esempio, disponibili per il me-sozooplancton nel Golfo di Trieste (Kambur-ska e Fonda Umani, 2006): in quest’area icambiamenti climatici avvenuti nell’emisferosettentrionale alla fine degli anni ottanta sonostati identificati come i principali responsabi-li (molto più dei cambiamenti antropici loca-li) delle variazioni interannuali e interdecada-li delle dinamiche della comunità mesozoo-planctonica.

2 ANOMALIE CLIMATOLOGICHE DEL BACINOALTO ADRIATICO

La climatologia stagionale dell’Adriatico èstata descritta mediante l’analisi del data setATOS relativo a 5540 stazioni oceanografi-che campionate dal 1911 al 1980 (Artegiani etal., 1997). Per l’Adriatico settentrionale, èstato analizzato inoltre un analogo data set di3600 stazioni (NADS: 1985-2006) del CNRISMAR, che ha permesso di definire la cli-matologia recente del bacino e di confrontar-la con quella del precedente data set ATOS(Russo et al., 2002). Le due climatologie ap-paiono notevolmente differenti con una ten-denza al riscaldamento in ogni stagione, apartire dal 1988 (Fig. 1). In particolare latemperatura delle acque superficiali presentail riscaldamento più evidente, ma un compor-tamento analogo, anche se meno marcato, èosservabile anche per le acque più profonde.Le variazioni del campo termoalino possonovenire spiegate dal cambiamento delle condi-zioni meteo-oceanografiche, noto con il nome“transiente climatico mediterraneo”, che hainteressato l’intera area Mediterranea a parti-re dal 1988. Questo cambiamento ha deter-minato aumenti di temperatura atmosfericanell’Italia Settentrionale e una riduzione deiperiodi piovosi, con i maggiori eventi di pre-cipitazione concentrati in pochi giorni e pre-valentemente nei mesi autunnali. I cambia-menti delle proprietà termoaline delle acque

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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del bacino Nord Adriatico appaiono qualita-tivamente e quantitativamente relazionabilicon le variazioni della temperatura dell’ariaavvenute a partire dal 1988. Queste variazio-ni climatiche che hanno interessato l’interoemisfero settentrionale (Roether et al., 1996),possono essere messe in relazione con varia-zioni consistenti nella struttura e nelle dina-miche della comunità mesozooplanctonicadell’Adriatico Settentrionale: un forte segna-le di cambiamento è stato infatti osservatonella comunità dei copepodi nel Golfo diTrieste, a partire dagli anni novanta (Kambur-ska e Fonda Umani, 2006). Inoltre, sempre apartire dalla fine degli anni ottanta, si è regi-strata la comparsa del fenomeno delle mucil-lagini con maggiore frequenza e intensità ri-spetto al passato (Giani et al, 2005). Benchéil fenomeno delle mucillagini appaia moltocomplesso nella sua genesi e nel suo mante-nimento, è indubbio che le condizioni meteo-climatiche (in particolare: la presenza e lapersistenza di picnoclini marcati, la cui for-mazione è legata a fenomeni meteo-climaticidi riscaldamento della colonna, di ridottoidrodinamismo e di apporti fluviali, e le con-

dizioni anticicloniche ricorrenti) costituisco-no un fattore di controllo molto importante(Giani et al., 2005).

3 LA COMUNITÀ FITOPLANCTONICA DEL GOLFODI VENEZIA

Ricerche sulla comunità fitoplanctonica nelGolfo di Venezia sono svolte, dal CNRISMAR di Venezia, sin dagli anni settanta.Tuttavia, i dati sono stati raccolti con regola-rità e metodologie confrontabili dalla metà de-gli anni ottanta. Il notevole set di dati relativia questi parametri, disponibile presso il CNRISMAR di Venezia, è attualmente in fase dielaborazione e rappresenta uno strumento in-dispensabile per un’analisi dettagliata dellevariazioni temporali alle quali può essere an-data incontro la comunità fitoplanctonica suscala decadale. Dalle prime analisi risulta che,al contrario di quanto osservato per la tempe-ratura delle acque (Russo et al., 2003), nel pe-riodo 1985-2006 non è possibile identificarevariazioni significative della biomassa totaledel fitoplancton (Tedesco et al., 2007).Nel medesimo periodo, cioè a partire daglianni ottanta, variazioni significative dellabiomassa algale sono state invece osservate inaltre aree costiere mediterranee. Ad esempio,dall’analisi dei dati costieri del Golfo di Na-poli emerge in modo evidente un calo dellaconcentrazione della clorofilla a partire dallametà degli anni novanta rispetto al decennioprecedente, e una riduzione della taglia degliorganismi fitoplanctonici (Ribera d’Alcalà etal., 2004). Osservazioni analoghe sono stateriportate anche per l’Alto Adriatico, nel Golfodi Trieste (Fonda Umani et al., 1996), dove lariduzione di taglia degli organismi fitoplanc-tonici viene considerata come una delle causedi cambiamento della struttura della comunitàmesozooplanctonica, registrato nei medesimianni (Kamburska e Fonda Umani, 2006).Analisi più dettagliate relative alla struttura tas-sonomica e dimensionale della comunità fito-planctonica del Golfo di Venezia permetteran-no, a breve, di completare il quadro evolutivodella comunità nell’ultimo ventennio e di valu-

Impatti dei cambiamenti climatici

553

Figura 1: Distribuzione delle anomalie termiche superi-ciali nel nord adriatico. Confronto tra set di temperaturemisurate tra il 1911-1987 e 1988-1999.

Page 92: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

tare eventuali variazioni nella composizionespecifica e nella taglia degli organismi algali.Dall’elaborazione dei dati di clorofilla relativiallo stesso periodo (1985-2006) è stato, co-munque, possibile ricostruire e definire il ciclostagionale medio della clorofilla nel Golfo diVenezia (Tedesco et al., 2007). Le variazionidella biomassa fitoplanctonica totale appaionoprincipalmente condizionate dagli apporti flu-viali: i picchi di clorofilla a hanno un anda-mento opposto rispetto a quello della salinitàe si osservano, infatti, principalmente alla finedell’inverno, in primavera e in autunno, quan-do sono massimi gli apporti fluviali.Nonostante l’elevata variabilità trofica e idro-logica del Golfo di Venezia, è stato elaboratouno schema di successione stagionale delleprincipali specie fitoplanctoniche dell’area(Bernardi Aubry et al., 2004; 2006; Fig. 2). Ilciclo stagionale medio del fitoplancton hasempre inizio con una fioritura tardo inverna-le della diatomea Skeletonema marinoi, co-mune in altre aree del Mediterraneo. Picchi difitoplancton di intensità variabile si susseguo-no, poi, irregolarmente dalla primavera all’e-

state, determinati principalmente dagli appor-ti di nutrienti, da un lato, e dalla pressione dapascolo da parte dello zooplancton, dall’altro.Dopo l’estate il fitoplancton mostra un decli-no progressivo fino al raggiungimento dei mi-nimi invernali.Le attività di monitoraggio ecologico a lungotermine, associate a indagine di tipo geneticoe tossicologico, sono, inoltre, strumenti fon-damentali per identificare aree e periodi sta-gionale a rischio di sviluppo di di specie mi-croalgali potenzialmente tossiche (HAB).Nelle aree costiere dell’Adriatico Settentrio-nale, uno studio ecologico pluriennale ha, adesempio, permesso di descrivere il ciclo sta-gionale delle specie appartenenti al genereDinophysis (dinoflagellate tossiche) e i prin-cipali fattori ambientali che ne possono favo-rire lo sviluppo (Bernardi Aubry et al., 2000).

4 PROSPETTIVE FUTURE

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulle co-munità planctoniche possono essere compresisolo se si hanno a disposizione serie di dati

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 2: Schema di successione temporale del fitoplancton adriatico (da Bernardi Aubry et al., 2004).

Page 93: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ininterrotte a lungo termine (pluridecadali),raccolte con metodologie e cadenze tempora-li adeguate, e se si uniscono, in modo coordi-nato, gli sforzi dei ricercatori e delle istituzio-ni, sia a livello nazionale sia internazionale.Le reti di ricerca ecologica a lungo termine(LTER) rappresentano, al riguardo, degli stru-menti di grande valore e utilità. La rete LTERnazionale (www.corpoforestale.it) che si è re-centemente costituita ed associata alle retiLTER europea (E-LTER) e internazionale(ILTER), ospita, fra i suoi siti, anche l’AltoAdriatico: l’ampia copertura temporale dellericerche sulla climatologia del bacino, sull’e-cologia del plancton e sui cicli biogeochimiciha consentito l’inserimento dell’Alto Adriati-co tra i siti di ricerca ecologica a lungo termi-ne. Il sito Alto Adriatico è sotto il coordina-mento del CNR ISMAR ed è costituito da unaserie di stazioni di ricerca, per la maggior par-te gestite dal CNR ISMAR, per le quali eranoa disposizione serie di dati a lungo termine,che dovranno, anche in futuro, essere man-tenute con regolarità. La costituzione della re-te nazionale LTER rappresenta un’occasioneunica per integrare, condividere e paragonarerisultati ottenuti in ambienti diversi (terrestri,marini e lacustri), al fine di valutare gli effet-ti dei cambiamenti climatici sui biota, sui ci-cli biogeochimici e sulla biodiversità.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

556

Page 95: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Il cambiamento globale in atto avrà effetti sul-le caratteristiche fisiche, biologiche e biogeo-chimiche degli oceani e delle aree costiere. Gliimpatti del cambiamento climatico includono,in particolare, la crescita del livello del mare edella temperatura delle acque superficiali emodificazioni del clima delle onde e della cir-colazione marina (McLean e Tsyban, 2001).Le zone costiere sono particolarmente vulnera-bili rispetto all’impatto dei cambiamenti globa-li. Si prevede che questi potranno comportare,tra l’altro, un aumento delle inondazioni e de-gli eventi estremi e un’accelerazione dell’ero-sione costiera. In relazione all’importanza chele aree costiere rivestono e alla loro sensibilitàrispetto alle modificazioni climatiche in atto,sono state sviluppate negli ultimi anni metodo-logie per la definizione della vulnerabilità ditali aree, basate sull’utilizzo di variabili am-bientali, fisiche e ecologiche, e variabili socio-economiche.

Le fanerogame marine costituiscono un ecosiste-ma chiave delle zone costiere. Posidonia oceani-ca, la più diffusa fanerogama del Mar Mediterra-neo, forma ampie praterie dalla linea di riva finoa circa 40 m di profondità in acque limpide. Lepraterie di Posidonia oceanica presentano stretterelazioni con la sedimentazione costiera e con ladinamica dei litorali adiacenti (De Falco et al.,2000, 2003, 2006).Le variazioni climatiche globali, in particolare lacrescita del livello del mare, della CO2 e l’innal-zamento della temperatura comportano modifi-cazioni agli ecosistemi a fanerogame (Duarte,2002). Tali modificazioni includono la disponibi-lità di nuovi habitat (spostamento verso terra dellimite superiore delle praterie) e la regressionedelle praterie dalle aree più profonde, un aumen-to dell’erosione sottomarina delle praterie, un au-mento della fotosintesi e una riduzione della cal-cificazione (Duarte, 2000). L’aumento dell’ero-sione costiera potrebbe comportare una perditadelle aree occupate da Posidonia in seguito al tra-sporto dei sedimenti verso il mare.

557

Risposta dei sistemi costieri alle variazioni climatiche globali

G. De Falco1, A. Cucco1, P. Magni1, A. Perilli1, M. Baroli2, S. Como2,I. Guala2, S. Simeone2, F. Santoro2, S. De Muro3

1Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Oristano, Italia2Fondazione IMC, Centro Marino Internazionale, ONLUS, Oristano, Italia3Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Cagliari, [email protected]

SOMMARIO: I sistemi costieri Mediterranei a fanerogame marine costituiscono aree particolarmente sensi-bili ai cambiamenti climatici, per i quali occorre prevedere le modificazioni che potranno avvenire in se-guito alla variazione delle forzanti meteomarine: l’innalzamento del livello del mare, l’accentuarsi deglieventi estremi, la variazione della direzione dei venti dominanti. Il Golfo di Oristano è considerato unadelle aree più vulnerabili d’Italia rispetto all’innalzamento del livello del mare. Gli studi effettuati sulgolfo hanno consentito di individuare le relazioni esistenti tra i processi deposizionali dei sedimenti, la di-stribuzione e dinamica di crescita delle praterie di Posidonia oceanica, la dinamica dei litorali sabbiosiadiacenti le praterie e le caratteristiche idrodinamiche del golfo. Attraverso l’uso di modelli numerici perla simulazione delle condizioni idrodinamiche è possibili simulare i diversi scenari previsti dalle modifi-cazioni climatiche e prevedere, la risposta dei sistemi costieri alle variazioni in atto, fornendo un quadrosulla vulnerabilità delle aree costiere indagate.

Page 96: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

I sistemi costieri Mediterranei a fanerogamemarine costituiscono quindi aree particolar-mente sensibili ai cambiamenti in atto, per lequali occorre prevedere le modificazioni chepotranno avvenire in seguito alla variazionedelle forzanti meteomarine.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Nel corso degli ultimi anni sono stati effettua-ti una serie di studi nel Golfo di Oristano (co-sta occidentale della Sardegna) finalizzati adindividuare le relazioni tra le facies deposizio-nali dei sedimenti (carbonatici e silicoclastici)la distribuzione e dinamica di crescita dellepraterie di Posidonia oceanica e le caratteri-stiche idrodinamiche del bacino. Il Golfo diOristano è considerato una delle aree più vul-nerabili d’Italia rispetto all’innalzamento dellivello del mare come conseguenza delle ca-ratteristiche morfologiche dell’entroterra.Nella stessa area è stata studiata la tendenzaevolutiva (variazione della linea di riva) e ilbilancio sedimentario dei litorali sabbiosi an-tistanti le praterie di Posidonia.Le metodologie adottate comprendono:- la mappatura dei fondali mediante analisi

d’immagine di foto-aeree e tecnologie geo-fisiche (rilievi multibeam, side-scan sonar eprofili sub-bottom);

- il campionamento dei sedimenti per analisitessiturali, mineralogiche e geochimiche;

- rilievi morfologici dei litorali medianteGPS differenziale RTK;

- analisi sulle praterie di Posidonia: produzio-ne, tasso di allungamento dei rizomi ortotro-pi, rapporto tra ciuffi plagiotropi e ortotropi;

- applicazione di modelli idrodinamici aglielementi finiti e modelli d’onda per la ca-ratterizzazione idrodinamica dell’area.

3 RISULTATI RILEVANTI

Il Golfo di Oristano è una sistema deposizio-nale complesso caratterizzato dalla presenzadi sorgenti multiple di sedimento: sedimenta-zione di origine fluviale, sedimenti relitti de-positati in condizioni di livello del mare più

basso rispetto all’attuale, sedimenti biogeniciprovenienti dalla produzione di fauna a gu-scio carbonatici associata alle praterie di Po-sidonia oceanica.L’idrodinamica legata al moto ondoso è ilprincipale fattore intrabacino che influenza ladistribuzione di sedimenti carbonati biogeni-ci e la dinamica di crescita delle praterie diPosidonia oceanica nel Golfo di Oristano. I settori maggiormente riparati rispetto al mo-to ondoso (settore Nord del Golfo, Fig. 1) so-no caratterizzati dalla deposizione di sedi-menti carbonatici biogenici associati alla pra-terie (Fig. 2). In tali aree la Posidonia tende asvilupparsi verticalmente, contrastando la se-dimentazione.Nei settori maggiormente esposti la Posido-nia colonizza sedimenti relitti e tende a svi-lupparsi orizzontalmente, a causa del bassotasso di sedimentazione.Le praterie di Posidonia esercitano un con-trollo sulla morfologia dei litorali sabbiosi. Siè evidenziato come la regressione del limite

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Simulazione dell’altezza delle onde nel Golfo diOristano generate da un evento di Maestrale (Nord-Ovest).

Page 97: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

superiore della prateria nel settore Nord delgolfo sia correlata con l’arretramento della li-nea di riva (Tigny et al., 2007).

5 PROSPETTIVE FUTURE

Si intende utilizzare la modellistica numericaper ipotizzare scenari sulla modificazione chei sistemi costieri potranno subire in funzionedella variazione del livello del mare e del cli-ma d’onda.Tali scenari potranno comprendere un cam-biamento dell'intensità media e della direzio-ne di provenienza dei venti dominanti nonchéun aumento di frequenza degli eventi estremi,con conseguente modificazione della circola-zione, del clima ondoso e dei tempi di resi-denza delle acque. I modelli di circolazione e di moto ondosoconsentono di simulare gli effetti delle varia-zioni climatiche sull’assetto morfologico deilitorali e sulla distribuzione delle praterie diPosidonia oceanica.Sarà quindi possibile, in funzione dei diversiscenari previsti dai modelli di previsione clima-tologica, prevedere, con diversi livelli di ap-prossimazione, la risposta locale dei sistemi co-stieri alle variazioni in atto, fornendo un quadro

sulla vulnerabilità delle aree costiere indagate.Il Golfo di Oristano, area giudicata partico-larmente sensibile rispetto alle modificazioniclimatiche, sarà utilizzato come sito modelloper questo tipo di studi.

6 RINGRAZIAMENTI

Il presente lavoro è stato svolto nell'ambitodei progetti nazionali MIUR - PON SIGLA eSIMBIOS (Cluster Ambiente Marino).

7 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

De Falco G., Baroli M., Murru E., PiergalliniG., Cancemi G., 2006. Sediment analysisevidences two different depositional phe-nomena influencing seagrass distributionin the Gulf of Oristano (Sardinia - westernMediterranean) Journal of Coastal Re-search, 22(5): 1043-1050.

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De Falco G., Molinaroli E., Baroli M., Bella-cicco S., 2003. Grain size and compositio-nal trends of sediments from Posidonia

Impatti dei cambiamenti climatici

559

Figura 2: Relazione tra il contenuto in carbonati biogenici nei sedimenti associati alle praterie di Posidonia oceanica el’altezza d’onda generata da vento di maestrale (Nord-Ovest) nel Golfo di Oristano.

Page 98: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

oceanica meadows to beach shore, Sardi-nia, Western Mediterranean. EstuarineCoastal and Shelf Science; 58(2): 299-309.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

560

Page 99: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 RUOLO DEI MICRORGANISMI MARINI E RELA-ZIONI CON I CAMBIAMENTI CLIMATICI

1.1 Cicli biogeochimici nel mareI mari e gli oceani svolgono un ruolo fonda-mentale nella evoluzione dei processi biogeo-chimici dei principali elementi (quali C, N eP), così come nel modulare il clima dell’inte-ro pianeta. Il ciclo biogeochimico del carbo-nio, in particolare, riveste una importanzafondamentale nell’equilibrio della biosfera.Scambi di CO2 tra atmosfera e oceano dipen-dono fortemente dalla pompa biologica chetramite l’attività microbica provvede alla suaassimilazione negli strati superficiali e allasua remineralizzazione lungo tutta la colonnad’acqua. Le attività della comunità microbicapossono modificare il funzionamento di unecosistema marino, rendendolo sink o sourcedi CO2 nella biosfera. Gli oceani inoltre miti-gano gli effetti dell’aumento di CO2 atmosfe-rica sequestrandola negli strati profondi. L’influenza dei cambiamenti climatici sullavariabilità biogeochimica dell’oceano, e quin-di sul funzionamento e la struttura delle bio-cenosi microbiche marine, non è ancora stu-diata in maniera approfondita e non è quindi

chiara l’interdipendenza fra clima, ciclo delcarbonio e microrganismi (Hoppe et al.,2002). Inoltre, mentre molta enfasi è statadata allo studio dei processi produttivi dellasostanza organica negli strati fotici, poco inte-resse è stato rivolto alle fasi degradative, cheperaltro hanno luogo nel biota marino super-ficiale e profondo.

1.2 Importanza del Mediterraneo nel contestodei cambiamenti climatici globaliNell’ambito degli studi sul Mediterraneo, soloin questi ultimi anni sono state programmatericerche volte a studiare la variabilità dei pro-cessi biogeochimici microbici in relazione alleforzanti climatiche. Il Mediterraneo rappresen-ta uno degli ecosistemi più oligotrofici delmondo. È un mare semi-chiuso, molto sensibi-le ai cambiamenti climatici per via delle suedimensioni, dei brevi tempi di residenza dellemasse d’acqua e degli alti tassi di turnoverdella sostanza organica rispetto agli oceani.Pertanto, è ritenuto un bacino idoneo per studia medio e lungo termine dei cambiamentiambientali globali. Inoltre, in esso hanno luogosu scala relativamente ridotta i principali pro-cessi dinamici oceanici (formazione di acque

561

Ricostruzione della variabilità biogeochimica nel Mediterraneo: risposta microbica ai cambiamenti globali.

R. La Ferla, M. Azzaro, G. Caruso, G. Maimone, L.S. Monticelli, R. ZacconeIstituto per l'Ambiente Marino Costiero, CNR, Messina, [email protected]

SOMMARIO: I processi microbici coinvolti nei cicli biogeochimici sono stati investigati nel Mediterraneocome strumento di valutazione per i cambiamenti climatici globali. Il Mediterraneo è risultato un ecosi-stema particolarmente sensibile alla variabilità climatica ed instabile nei suoi equilibri trofici. Negli stratiprofondi, è stato enfatizzato il contributo microbico al metabolismo eterotrofico in relazione alle dinami-che circolatorie e alla disponibilità di sostanza organica da degradare. Negli strati fotici, è stata osservataun’alternanza stagionale tra metabolismo autotrofico ed eterotrofico. Tale evidenza suggerisce che fasi cli-matiche di raffreddamento e di riscaldamento, stimolando in maniera contraria e opposta la comunitàmicrobica, potrebbero portare il Mediterraneo ad agire rispettivamente come sink o source di CO2.

Page 100: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

intermedie e profonde, fenomeni di upwelling,trasporto laterale dalla continental shelf etc.).Già negli anni 90, il settore orientale di talebacino è stato interessato dall’evento climaticodenominato Eastern Mediterranean Transient(EMT), sviluppatosi nel Mar Egeo e successi-vamente diffusosi nell’intero bacino, con fortiimplicazioni sulle dinamiche di circolazione esull’assetto ecologico (Roether et al., 1996).In questo lavoro vengono esaminati in manie-ra sinottica i risultati di numerose campagnemultidisciplinari condotte nel Mediterraneo,al fine di stimare l’importanza di alcuni pro-cessi microbici in relazione alla variabilità cli-matica. Lo studio affronta inoltre l’attualedibattito scientifico riguardante la natura ete-rotrofica o autotrofica degli ambienti oceanici.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Area di studio e metodologieLe campagne oceanografiche sono state effet-tuate nell’ambito di numerosi progetti condot-ti dal nostro istituto dal 1995 al 2005 (Fig.1).L’intero data set ha coperto parametri idrolo-gici, trofici e microbiologici, con particolareattenzione alla biomassa (analisi d’immagi-ne), alle attività idrolitiche (leucina-amino-peptidasi, ß-glucosidasi e fosfatasi alcalina),di produzione batterica (incorporazione di3H-leucina) e respiratorie (attività ETS) lungol’intera colonna d’acqua. Dettagli metodolo-gici sono riportati da Zaccone et al. (2003),La Ferla et al. (2005).

3 RISPOSTA MICROBICA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Connessioni tra variabilità dei processi micro-bici e variabilità climatica sono state eviden-ziate sia negli strati profondi che superficialidel Mediterraneo. Il quadro sinottico ottenutoha mostrato che esse sono modulate sia daandamenti geografici che dalla stagionalità.Nella zona afotica, le nostre ricerche hannomesso in luce come l’attività microbica ed inparticolare respiratoria, sia un ottimo indicato-re delle fasi evolutive delle masse d’acqua inrelazione alla disponibilità di sostanza organi-

ca “giovane” ed in particolare nella sua frazio-ne disciolta (La Ferla e Azzaro, 2001; La Ferlaet al., 2005). Tale comportamento, non osser-vato negli oceani, sembra essere in stretta rela-zione con il trasporto di carbonio organicopreformato sia attraverso processi di advezio-ne laterale dalla “continental shelf” che attra-verso processi di diffusione di acque di nuovaformazione, intermedie e profonde. Ciò enfa-tizza il contributo delle attività microbiche almetabolismo eterotrofico degli oceani. Inoltre, lo stretto accoppiamento tra attivitàrespiratoria microbica e gli andamenti circo-latori delle masse d’acqua ha evidenziatoimplicazioni ecologiche derivate dalla diffu-sione dell’EMT nelle profondità del MarIonio (La Ferla e Azzaro, 2001). In tale conte-sto, uno dei più evidenti segnali in risposta atale evento da parte della comunità microbica,è stata l’accelerazione dei processi di remine-ralizzazione nelle acque profonde del bacinoorientale del Mediterraneo (La Ferla et al.,2003; Zaccone et al., 2003).Nella zona eufotica, la variabilità climatica siriflette nella variabilità del bilancio metaboli-co del carbonio. Da un decennio la naturaautotrofica o eterotrofica degli oceani, e ledirette conseguenze sui sinks e sources di Cnella biosfera, sono oggetto di dibattito scien-tifico. I rapporti ottenuti dai tassi di idrolisi,respirazione e produzione primaria e battericanell’Adriatico Settentrionale, erroneamenteritenuto per antonomasia un sistema produtti-vo, hanno messo in evidenza come il metabo-lismo del comparto microbico favorisca i pro-cessi degradativi nei periodi estivi, in relazio-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Aree di studio nell’ambito dei progetti PRI-SMA2 (a), SINAPSI (b), OTRANTO (c), FIRB, CIESM-SUB1 e SUB2 (d), LIWEX-POEM (e).

Page 101: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ne diretta con l’incremento della temperatura(La Ferla et al., 2002). Ulteriori indagini hanno evidenziato significati-ve correlazioni positive fra i processi eterotrofi-ci e la temperatura e confermano che il bilanciodel carbonio tende verso l’autotrofia in inverno,quando è presente un surplus di sostanza organi-ca autoctona (Fig. 2). È invece negativo o pros-simo all’equilibrio in estate, in seguito ad unosbilanciamento verso la remineralizzazione,confermando la necessità di fonti alloctone disostanza organica (Sempére et al., 2000).Nel Tirreno, in cui predominano fenomeni diexport production, e nello Ionio, in cui predo-minano processi di trasporto laterale, i rappor-ti metabolici sembrano sbilanciati rispettiva-mente verso l’autotrofia e l’eterotrofia, purcon oscillazioni legate alla variabilità dei for-zanti fisici ed in particolare della temperatura(La Ferla et al., 2005).L’alternanza tra fasi di autotrofia ed eterotro-fia, come evidenziato, pur se con diversogrado, in tutti i bacini studiati suggerisconoche il Mediterraneo costituisce un ecosistemaparticolarmente instabile nei suoi equilibritrofici e vulnerabile alle mutevoli condizioniclimatiche. È quindi ipotizzabile che fasi cli-matiche di raffreddamento e di riscaldamento,stimolando in maniera contraria e opposta ilmetabolismo microbico, possano portare ilMediterraneo ad agire rispettivamente comeserbatoio o sorgente di CO2.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Scenari futuri di bilancio metabolico delMediterraneo potranno essere chiariti inseguito all’elaborazione dei dati sperimentalinell’ambito del progetto multidisciplinaresulla “VulnErabilità delle Coste e degli ecosi-stemi marini italiani ai cambiamenti climaTicie loro ruolO nei cicli del caRbonio mediterra-neo” (VECTOR). Tale progetto di forteimpatto scientifico, avviato nel 2006, mira almonitoraggio di stazioni fisse nel Tirreno eAdriatico, così come dei bacini orientale eoccidentale, in modo da acquisire serie tem-porali con cadenza stagionale durante un

periodo complessivo di due anni. In tale con-testo, l’integrazione con dati pregressi risulte-rà utile per meglio comprendere l’attuale evo-luzione biogeochimica e climatologica delMediterraneo. I dati microbiologici sono infase di elaborazione e verranno inseriti nellabanca dati del progetto per formulare modelliprevisionali climatologici, nell’ambito di unacollaborazione con i principali networks diricerca ambientale.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Impatti dei cambiamenti climatici

563

Figura 2: Rapporto Produzione Primaria/Respirazione(PP/R) calcolato per le diverse aree studiate da dati inte-grati nella zona fotica. I rapporti sono stati calcolati dadati espressi in mg C m-2 giorno-1. L’equilibrio tra PP eR è rappresentato da un rapporto uguale a 1.

Page 102: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

564

Page 103: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Gli estuari, le lagune e gli ambienti marino co-stieri sono aree ad elevata produttività e quin-di cruciali per la sopravvivenza di molte spe-cie, quali invertebrati, pesci, uccelli e mammi-feri di interesse per l’uomo. È ormai accettatoche molte aree marino costiere e di transizio-ne in Europa sono sempre più sottoposte astress ambientali, con conseguenze negativesulla riproduzione, distribuzione e sopravvi-venza di numerose specie di interesse natura-listico e commerciale. Una conseguenza di ciòè che l’areale di distribuzione di molte speciesta cambiando: nuove specie appaiono e colo-nizzano a scapito di specie residenti che dimi-nuiscono e scompaiono. La sostenibilità dellabiodiversità è vitale non solo dal punto di vi-sta ecologico ed ambientale, ma anche econo-mico e di salute per le regioni costiere euro-pee. Nonostante ciò, evidenti modifiche dellabiodiversità stanno progredendo.Durante gli ultimi anni, sono stati messi ingrande evidenza i rischi connessi con i cam-

biamenti climatici, tra i quali l’innalzamentodel livello del mare e della temperatura delleacque superficiali, le modificazioni del clima,delle onde e della circolazione marina(McLean e Tsyban, 2001). Ad esempio, lungole coste europee si stanno verificando cambia-menti a lungo termine causati dall’ingresso diacque atlantiche nel Mar del Nord e scambi dimasse d’acqua tra il Mar Baltico e il Mar delNord, o tra l’Atlantico ed il Mediterraneo(Manzella e La Violette, 1990). Tutto ciò stainfluendo negativamente su specie animali evegetali chiave, quindi anche sulla biodiversitàe sul funzionamento di molte regioni costieredell’Europa, incluse quelle del Mediterraneo(Magni et al., 2004; Diaz-Almela et al., 2007).Un esempio di tale modifiche legate ai cam-biamenti climatici è stato recentemente dimo-strato da Jansen et al. (2007) che hanno stu-diato la progressiva scomparsa del tellinideMacoma balthica nella parte meridionale delGolfo di Biscaglia durante gli ultimi quarantaanni ed hanno scoperto che questo bivalve ri-duce l’attività respiratoria e metabolica, fino

565

Studio degli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi marini lungo le coste Europee

P. Magni1, A. Cucco1, G. De Falco1, A. Perilli1, S. Como2, G.A. Fenzi2,S. Rajagopal3, G. van der Velde3

1Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, CNR, Oristano, Italia2Fondazione IMC, Centro Marino Internazionale ONLUS, Oristano, Italia3Dipartimento di Ecologia ed Ecofisiologia Animale, Università Radboud, Nijmegen, [email protected]

SOMMARIO: Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemicostieri sono poco noti. Le nostre attività di ricerca hanno come scopo quello di studiare e capire due fe-nomeni che stanno avvenendo lungo le coste del Mar Mediterraneo, Atlantico e Baltico. Il primo è lo spo-stamento verso nord-est di alcune specie bentoniche chiave quali i bivalvi Macoma balthica e Mytilus spp.Il secondo è legato al rapporto tra biodiversità e funzionamento dell’ecosistema in termini di produttivitàdel sistema stesso. Si ritiene che i cambiamenti climatici in corso abbiano un’influenza fondamentale neldeterminare entrambi i processi. I nostri studi hanno altresì la finalità di prospettare possibili scenari fu-turi di alterazioni della biodiversità e produttività marine.

Page 104: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

a scomparire, in presenza di nuove condizio-ni ambientali. Gli Autori concludono che lospostamento verso nord di questo mollusco èfortemente legato all’aumento dei valori mas-simi delle temperature estive.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Gli effetti dei cambiamenti climatici sullabiodiversità e sul funzionamento degli ecosi-stemi costieri sono poco noti. Per studiarequesta problematica, le nostre attività di ri-cerca hanno come scopo di capire due impor-tanti fenomeni che stanno avvenendo lungo lecoste europee. Il primo aspetto riguarda lo spostamento ver-so nord-est di alcune specie bentoniche chia-ve, quali i bivalvi M. balthica (Fig. 1) e Myti-lus spp. (Fig. 2). I cambiamenti climatici el’inquinamento sono indicati come le probabi-li cause di modifiche degli areali di distribu-zione di queste specie. Modifiche nella com-posizione specifica delle comunità animalipossono portare ad una instabilità e ridottaproduttività del sistema. Un secondo aspettoriguarda il fatto che in alcuni sistemi, quali ilBaltico, si nota una bassa biodiversità a frontedi una produttività comparabile a quella di si-stemi molto ricchi in specie animali e vegeta-li, quali il Mediterraneo. Questo indicherebbe

che la biodiversità non è essenziale per il fun-zionamento dell’ecosistema e che la riduzionedella biodiversità e della produttività non sonodirettamente collegati. Le nostre attività sonoquindi incentrate sullo studio del rapporto trabiodiversità e reti trofiche (analisi di δ13C andδ15N) al fine di capire il funzionamento del si-stema e di prospettare scenari evolutivi in fun-zione dei cambiamenti climatici. Nell’ambitodi queste attività, studi specifici sono stati con-dotti nel Golfo di Oristano ed il sistema lagu-nare ad esso connesso, come area pilota per ilMediterraneo.

3 RISULTATI RILEVANTI

Nell’ambiente marino costiero e lagunare delGolfo di Oristano è stata identificata una stret-ta relazione tra venti dominanti, circolazionemarina costiera e trasporto dei sedimenti, conalcuni inquinanti associati (es. metalli pesan-ti), e degli organismi bentonici associati (Cuc-co et al., 2006; Como et al., 2007). In partico-lare nella laguna di Cabras, l’integrazione de-gli approcci modellistici, sedimentologici ebiogeochimici ha permesso l’identificazionedei potenziali focolai di distrofia nelle zone dideposizione dei sedimenti fini e di accumulodella materia organica caratterizzate da bassevelocità dell’acqua.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

566

Figura 1: Areale di distribuzione del bivalve Macomabalthica, dalle popolazioni più settentrionali (Artico) aquelle più meridionali (Atlantico, Francia). Progetto eu-ropeo BIOCOMBE: The impact of BIOdiversity changesin COastal Marine Benthic Ecosystems (http://www.bio-combe.org/).

Figura 2: Areale di distribuzione del bivalve Mytilus spp.,dalle popolazioni europee (Mar Mediterraneo, Atlantico,Baltico) a quelle più settentrionali dell’Artico. Progettoeuropeo BIOCOMBE: The impact of BIOdiversity changes in COastal Marine Benthic Ecosystems(http://www.biocombe.org/).

Page 105: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

I risultati preliminari ottenuti in questi am-bienti (Como et al., 2007; Magni et al., 2005,2007) mostrano che in condizioni di un au-mento delle temperature (in coincidenza conperiodi di stasi climatica) si ha un notevole ri-lascio dai sedimenti nell’acqua di idrogenosolforato (H2S), in concentrazioni superiorialla soglia di tolleranza per la maggior partedegli organismi acquatici animali (Fig. 3).Questo fenomeno è legato all’accumulo sulfondo di grandi quantità di materia organicache non viene ossidata a causa dello scarso ri-cambio d’acqua e delle elevate temperature.Il risultato è una liberazione di idrogenosolforato e uno stato di anossia. Le condizio-ni di scarso ricambio dell’acqua possono fa-vorire l’accumulo di materia organica nei se-dimenti, fino al collasso del sistema. Ancoraprima che l’idrogeno solforato sia rilevabilenelle acque, esso incomincia a fare sentire lasua presenza nei sedimenti dove i primi accu-muli di sostanza organica attivano il metabo-lismo anaerobico. In tali condizioni, i tempidi recupero della produttività del sistema at-tualmente non sono quantificabili, ma gli stu-di fino ad oggi condotti indicano che la moriaha interessato anche i livelli più bassi dellacatena trofica (Magni et al., 2005).

In relazione all’aumento globale della tempe-ratura, nel caso degli ambienti lagunari delMediterraneo, dai primi anni venti del secoloscorso al 2000, si è avuto un aumento di circa1,2 °C. In molti casi, questo fenomeno, asso-ciato a lunghi periodi di siccità e diminuzionedegli apporti d’acqua dolce, ha comportatogrossi scompensi della rete trofica con conse-guenti crisi distrofiche. Il ripetersi di questieventi ha sicuramente inciso sull’impoveri-mento della biodiversità in questi ambienti. Atal proposito è opportuno citare lo studio diMagni et al. (2005) che descrive i popola-menti macrozoobentonici della laguna di Ca-bras (Sardegna occidentale) in seguito ad unevento distrofico, come comunità bentonichepovere e dominate da specie opportuniste.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Studi futuri potranno approfondire le relazio-ni tra cambiamenti climatici, regime sedi-mentario, idrodinamismo, biodiversità e retitrofiche negli ambienti marino costieri. Specifiche ipotesi potranno essere verificateattraverso campionamenti distribuiti nell’arcodi un anno che mettano in evidenza la varia-bilità della rete trofica e delle comunità ben-

Impatti dei cambiamenti climatici

567

Figura 3: Schema concettuale del processo di rilascio dell’idrogeno solforato dai sedimenti ed effetto sulla fauna ittica.I cambiamenti climatici, con l’innalzamento delle temperature medie dell’acqua, potrebbero causare un aumento dellezone caratterizzate da un ambiente riducente (scenario di sinistra nella figura), con gravi ripercussioni sulla distribu-zione e metabolismo dei pesci che diventerebbero altresì più facilmente predabili.

Page 106: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

toniche in relazione a variabili ambientali as-sociate. Mediante l’utilizzo di modelli nume-rici di tipo idrodinamico e indagini di tipooceanografico, sarà possibile definire le con-dizioni ambientali per ogni sito di campiona-mento e quindi poter analizzare le dinamichecausa-effetto che intercorrono tra la strutturadelle comunità bentoniche, le forzanti am-bientali e le attività antropiche. Infine, saràpossibile, mediante la simulazione delle con-dizioni ambientali locali previste da scenariipotetici di cambiamento globale, prevederela variazione delle caratteristiche delle comu-nità bentoniche nei siti di indagine. Nel casospecifico dell’area mediterranea, il Golfo diOristano (Sardegna Occidentale) potrebberappresentare un interessante caso studio gra-zie da una parte alla presenza di una elevatacomplessità degli habitat e dall’altra all’appli-cazione e integrazione di conoscenze scienti-fiche multidisciplinari (biologia marina,oceanografia e modellistica).

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

568

Page 107: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

Il fenomeno dell’eutrofizzazione dell’Adriaticosettentrionale è uno degli elementi ad effetto nega-tivo sull’ambiente marino e, di conseguenza, sul-l’economia dell’area costiera interessata. In parti-colare, nelle aree interessate dallo sbocco dei gran-di fiumi sono stati osservati fenomeni di eutrofiz-zazione legati al rilascio in eccesso di nutrientinelle acque. Tra i fiumi che trasportano nutrienti inzona costiera, il Po è quello che con circa250.000 Mg di azoto (N) e circa 10.000 Mg difosforo (P) contribuisce maggiormente alla eutro-fizzazione marina (ABP, 1999; Palmieri et al.,2005; Pirrone et al., 2005a, b). Al fine di fornireindicazioni sulle strategie di gestione integrata delbacino-area costiera e valutare gli effetti a lungotermine dell’implementazione della direttivaEuropea sulla qualità delle acque (2000/60/WFD),nel 2000 venne avviato un progetto nell’ambitodel 5PQ (EUROCAT, European catchments -Catchment changes and their impact on the coast,www.cs.iia.cnr.it/EUROCAT/project.htm).In EUROCAT sono stati sviluppati scenari socio-economici per valutare la riduzione dell’immissio-

ne dei nutrienti nelle acque e l’andamento a livel-lo costiero del rapporto N:P. È noto, infatti, che lamitigazione del fenomeno dello stato eutroficodelle acque passa attraverso la riduzione dei cari-chi di nutrienti ed un bilanciamento del rapportoN:P. Ma a tale riduzione non corrisponde una ridu-zione lineare del fenomeno, poiché esistono rela-zioni non lineari e dinamiche tra processi fisici,chimici e biologici che avvengono a livello di aria,acqua e suolo e su scale spaziali e temporali assaidifferenti (Pirrone et al., 2005a, b). Il passo neces-sario per comprendere la complessità dell’eutro-fizzazione, e metterla in relazione alle caratteristi-che socio-economiche che la generano, è statol’applicazione di modelli ecologici accoppiati amodelli socio-economici. In tale ottica, e conside-rando le scadenze imposte dalla WFD (2016 e2025), è stato integrato nei modelli l’aspetto deicambiamenti climatici, poiché questi ultimi siripercuoteranno sul bilancio idrologico, sui flussi esul bilancio dei nutrienti. Tali cambiamenti avran-no, quindi, effetti a livello di dinamica dei nutrien-ti. Nel dettaglio, temperature più miti produrrannoun aumento della produzione primaria acceleran-do il ciclo dei nutrienti e la decomposizione della

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Il ruolo dei cambiamenti climatici nella dinamica dei nutrienti nel continuum bacino del Po - nord Adriatico

S. Cinnirella, G. Trombino, N. PirroneIstituto sull’Inquinamento Atmosferico, CNR, Rende (Cs), [email protected]

SOMMARIO: Strategie ottimali di gestione dell’inquinamento o di cicli biogeochimici modificati dall’uomohanno la necessità di integrare l’aspetto dei cambiamenti climatici a causa del lungo termine che tali stra-tegie considerano. Nel caso di azoto e fosforo che inducono l’eutrofizzazione dell’Adriatico settentriona-le, sono stati simulati i processi di trasporto dei nutrienti dal bacino del Po alla zona costiera di pertinen-za, includendo variazioni nelle precipitazioni, numero di giorni piovosi e variazione del livello di faldaquali elementi modificati dai cambiamenti climatici. I risultati hanno evidenziato una riduzione del 4,5%e dell’1%, rispettivamente per N e P, al diminuire delle precipitazioni; incrementi del 2% e dello 0,7%, perN e P, al variare degli eventi piovosi; consistenti variazioni positive e negative in funzione delle vie di flus-so dei nutrienti nel caso di cambiamenti a livello di falda sotterranea. I risultati consentono di program-mare strategie di intervento a lungo termine per la riduzione dell’eutrofizzazione del Nord Adriatico.

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sostanza organica il cui risultato sarà una più velo-ce crescita degli organismi. Di contro, una riduzio-ne e ridistribuzione delle precipitazioni provoche-rà un aumento della quantità di nutrienti trasporta-ti al mare durante l’inverno ed una riduzionedurante il periodo estivo. Nelle simulazioni sonostate prese in considerazione sia le variazioni dellatemperatura che delle precipitazioni in accordoalle più recenti indicazioni IPCC (2001).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca si è svolta nell’ambito delsistema Driver-Pressure-State-Impact-Response(DPSIR) che consente di effettuare analisi su siste-mi complessi per identificare i principali fattoriche danno origine ad un problema (ad es. eutrofiz-zazione) al fine di fornire possibili soluzioni al pro-blema stesso. Nel caso in questione è stata fattauna valutazione dei principali Driver sia di origineantropica (agricoltura, settore civile, settore indu-striale, zootecnia) che di origine para-naturale(cambiamenti climatici) per stimare i carichi dinutrienti potenziali ed effettivi che raggiungono lazona costiera. In Tabella 1 sono riportati i valori ditali carichi stimati dall’Autorità di bacino del Po(ABP, 1999) e stimati nell’ambito di EUROCAT.Nel caso dell’azoto, i carichi sono da ascrivere peril 69% a sorgenti diffuse (agricoltura, zootecnia,deflusso superficiale) eper il 31% a sorgentipuntuali (impianti ditrattamento del settorecivile e industriale). Nelcaso del fosforo, le sor-genti puntuali contribui-scono per il 62%, mentreammontano al 38% icontributi di quelle diffu-se (Tab. 1A). Un model-lo steady-state (Pirroneet al., 2005a) ha consen-tito di simulare i flussi dinutrienti, al variare dellepressioni generate daiDriver citati, secondoalcune vie preferenzialidi flusso dei nutrienti

verso la zona costiera (Tab. 1B).In particolare, il bacino è stato suddiviso in 24 sot-tobacini (Fig. 1) per ciascuno dei quali sono statiindividuati una serie di indicatori chiave (ad es.numero di abitanti, abitanti connessi agli impiantidi trattamento, abitanti trattati, numero di capi diallevamento suddivisi per specie, superficie agri-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Bacino del Po e zona costiera di pertinenza

N PA

Carichi potenziali Civile 78000 10000Industriale 25000 1000Zootecnia 260000 50000Agricoltura 310000 90000Carichi effettiviCivile 61000 6000Industriale 22000 700Zootecnia 105000 2100Agricoltura 60000 1200Deflusso 15000 750

BDeposizioni atmosf. 1350 61Drenaggio artificiale 67212 1496Falda sotterranea 95830 862Deflusso 4536 445Erosione 958 835Impianti di trattamento 68992 3677Sistema urbano 24091 3010

Tabella 1: Carichi di nutrienti del bacino del fiumePo stimati dall’autorità di bacino (A) e nell’ambi-to di EUROCAT (B). Valori in Mg/anno.

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cola, superficie urbana, superficie a bosco, addettiai differenti comparti di lavoro, precipitazioni).La stima dei carichi in funzione di dette vie diflusso ha consentito di evidenziare, nel caso del-l’azoto, il consistente contributo della falda sotter-ranea, degli impianti di trattamento e del drenag-gio artificiale dei terreni agrari; di drenaggio deiterreni, di sistema urbano e impianti di trattamen-to nel caso del fosforo. Le simulazioni, riferite al2001, hanno evidenziato un apporto di azoto del60% da parte delle attività agricole ed un contri-buto di fosforo del 64% da parte del sistema urba-no e da impianti di trattamento. Nel caso dell’a-zoto sono significativi i contributi di sistemaurbano e impianti di trattamento (35%) mentrenel caso del fosforo erosione, drenaggio artificia-le e falda sotterranea contribuisco per il 31%(Algieri et al., 2003; Cinnirella et al., 2005;Palmieri et al., 2005; Pirrone et al., 2005a, b). Gliscenari di cambiamento climatico costruiti sullabase dei rapporti IPCC (IPCC, 2001) hanno con-siderato la variazione di alcuni indicatori legati atemperatura, precipitazione, vento (Tab. 2).

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Scenario ANello scenario A è stata considerata una variazio-ne della precipitazione media giornaliera compre-sa tra -0,25 e -0,50 mm. Le emissioni totali di N eP nel 2100 hanno mostrato, rispettivamente, unariduzione del 4,5% e dell’1% (Fig. 2A). Sebbenein termini quantitativi le riduzioni siano contenute,si assiste ad una variazione consistente dei carichitrasportati dal deflusso superficiale e dalla faldasotterranea. Ciò a causa di una minore mobilizza-zione dei nutrienti presenti nei suoli. Allo stessotempo i carichi derivanti dal sistema urbano e dagliimpianti di trattamento (ad es. scarichi domesticied industriali, dilavamento delle superfici urbane)pur non aumentando assumono maggiore rilevan-za nel contesto globale.

3.2 Scenario BLa variazione degli eventi piovosi di una certaconsistenza non modifica sostanzialmente il caricodi nutrienti al 2.100 poiché si ottengono incremen-ti del 2% e dello 0,7% rispettivamente dei carichi

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 2: Risultati degli scenari dettagliati secondo leprincipali linee di flusso dei nutrienti.

Scenari Ipotesi 2025 2050 2100A Pioggie die [mm] -0,25 -0,35 -0,50B Eventi intensi [%] +15 +30 +50C Volume falda [mm] 1500 1000 700

Tabella 2: Assunzioni adottate negli scenari persimulare i flussi di nutrienti nel bacino del Po rela-tivamente agli anni 2025, 2050 e 2100.

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totali di N e P (Fig. 2B). Assumendo valori costan-ti di precipitazione, le variazioni dipendono dalnumero di eventi che accadono in un anno. Anchein questo caso il sistema urbano esercita un effettorimarcabile nelle variazioni di carichi di nutrienti:+1,8% per N e +2,3 % per P.

3.3 Scenario CIn questo scenario è stata valutata la variazionedella ricarica della falda sotterranea. In tal modo èstato possibile evidenziare alcuni effetti indiretti deicambiamenti climatici sulle risorse idriche. Leemissioni di nutrienti attese per il 2100 evidenzia-no una riduzione dei carichi totali di N (-6%) e P(-1,5%); una netta riduzione di N (-18%) e P(-23%)nella falda sotterranea ed un aumento nel deflussosuperficiale con il 23% per entrambi gli elementi(Fig. 2C). La riduzione dei nutrienti è dovuta allariduzione di volume dell’acqua nella falda mentrel’aumento deriva da un cambiamento del bilancioidrologico del suolo.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Al fine di identificare le strategie ottimali per lariduzione dell’eutrofizzazione del nord Adriatico,c’è la necessità di conoscere le relazioni tra indica-tori socio-economici e cambiamenti climatici atte-si a medio-lungo termine. Una prima valutazioneper il continuum bacino del Po - nord Adriatico haevidenziato consistenti variazioni nel bilancio deinutrienti come conseguenza delle variazioni delbilancio idrologico del bacino. Nelle simulazioninon è stato considerato l’aumento del fabbisognoidrico, specialmente in agricoltura, come conse-guenza dell’aumento delle temperature, la cui con-seguenza avrebbe effetti rimarcati sul bilancioidrologico del bacino. Le simulazioni condotte pervalutare il ruolo dei cambiamenti climatici sulladinamica dei nutrienti hanno evidenziato una nettacontrazione dei carichi di nutrienti trasportati versola foce. Ma tale riduzione non comprende tutti ifattori che in differente misura intervengono suicicli biogeochimici. Pertanto, gli studi sul ciclo deinutrienti in relazione al sistema socio-economicodel bacino del Po devono essere approfonditi perpoter valutare gli effetti di tutte le variabili ingioco, ciò al fine di programmare gli interventi di

riduzione dell’apporto di nutrienti in modo econo-micamente sostenibile.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

ABP, Autorità di Bacino del Po, 1999.Inquinamento delle acque superficiali e sotter-ranee. Sp 2.1. Parma.

Cinnirella S., Buttafuoco G., Pirrone N., 2005.Stochastic Analysis to assess spatial distribu-tion of groundwater nitrate concentrations inthe Po Catchment (Italy). Env. Poll., 133(3):569-580.

Eisenreich S.J., Bernasconi C., Campostrini P., DeRoo A., George G., Heiskanen A.S., Hjorth J.,Hoepffner N., Jones K.C., Noges P., PirroneN., Runnalls N., Somma F., Stilanakis N.,Umlauf G., van de Bund W., Viaroli P., Vogt J.,Zaldivar J.M., 2005. Climate Change and theEuropean Water Dimension. A Report to theEuropean Water Directors 2005. EU ReportNo. 21553, EC-JRC, Ispra, Italy, pp.253.

IPCC, 2001. Climate change 2001: the scientificbasis. [Houghton, Ding, Griggs, Noguer, vander Linden, Dai, Maskell, Johnson (eds.)]Contribution of WG I to the 3rdAss. Rep. of theIPCC. Cambridge University Press: 881 pp.

Palmeri L., Bendoricchio G., Artioli Y., 2005.Modelling nutrient emissions from riversystems and loads to the coastal zone: PoRiver case study, Italy. Ecol. Mod., 184: 37-53.

Pirrone N., Cinnirella S., Trombino G., Algieri A.,2005. Climate Change and Nutrient Dynamicsin the Po River Basin. In: Climate Change andthe European Water Dimension. EU ReportNo. 21553 (Eisenreich S.J. Ed.), EuropeanCommission- JRC, Ispra, Italy: 182-189.

Pirrone N., Trombino G., Cinnirella S., Algieri A.,Bendoricchio G., Palmeri L., 2005. The DPSIRapproach for integrated catchment-coastalzone management: preliminary application tothe Po catchment-Adriatic Sea coastal zonesystem. Reg. Env. Ch., 5: 111-137.

http://www.cs.iia.cnr.it per dettagli sull’attività diricerca

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 111: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

Gli ecosistemi acquatici a carattere tempora-neo trovano ampia diffusione nei paesi delbacino Mediterraneo. Le informazioni dispo-nibili sui futuri andamenti del clima lascianoprevedere un incremento della durata e dellafrequenza dei periodi di siccità e, di conse-guenza, un aumento della variabilità del flussoidrico. L’ecologia di questi ambienti è forte-mente condizionata dallo stress idrico che puòinfluire drasticamente sulla qualità dell’acquanei bacini riceventi, con l’improvviso traspor-to di inquinanti che si sono andati accumulan-do e trasformando nel periodo di secca.L’indagine condotta dall’IRSA ha riguardatola modellizzazione delle dinamiche idrologi-che, connesse all’alternanza di periodi di flus-so e di secca, e l’impatto dei periodi di siccitàsui processi biologici di trasformazione dellasostanza organica nei sedimenti fluviali.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Analisi e sviluppo dei modelli esistentiL’obiettivo del progetto TempQsim è consistito

nella valutazione e nel miglioramento dei model-li di qualità delle acque in vista dell’applicazionea livello europeo della Direttiva Quadro sulleAcque, estendendo l’analisi agli ecosistemi piùvulnerabili rispetto all’intensificazione dei perio-di aridi e delle piene. A tale scopo è stato appli-cato il modello SWAT, sviluppato dall’USDA(US Department of Agriculture). Si tratta di unmodello idrologico e di qualità delle acque par-zialmente distribuito e fisicamente basato, orien-tato alla gestione e funzionante a scala di bacino,fornito di un’interfaccia GIS. Il modello, nellaversione 2000, opera su base temporale giorna-liera ed è stato sviluppato al fine di prevederel’impatto che le diverse pratiche di gestione,adottate nell’ambito del bacino idrografico, pro-ducono sul corso d’acqua in termini di qualità equantità. SWAT, quindi, formalizza dal punto divista matematico i processi che avvengono nelbacino: clima, crescita delle piante, bilancio idro-logico, produzione e movimento di sedimenti,ciclo di nutrienti e pesticidi. Consente, inoltre, lasimulazione di scenari climatici una volta fissatele variazioni delle principali variabili climatichee le concentrazioni di CO2.I risultati delle simulazioni sono stati analizzati e

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Impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi fluviali a regime temporaneo: modellizzazioneidrologica e dinamica dei processi di trasformazione del sedimento.

A. Puddu, A. Lo Porto, A. Zoppini, A. Barra Caracciolo, S. Fazi, P. Grenni,A.M. De Girolamo, S. Amalfitano, F. De LucaIstituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Roma, [email protected]

SOMMARIO: L’IRSA ha partecipato al progetto europeo TempQsim (Evaluation and improvement of waterquality models for application to temporary waters in Southern European catchments) negli anni 2002-2006, conducendo indagini sia sugli aspetti modellistici, finalizzati alla comprensione dei processi idrolo-gici e del trasporto di inquinanti, che sugli aspetti ecologici che riguardano la comunità microbica bento-nica, riferiti ai bacini effimeri o intermittenti, le cui criticità subiranno l’impatto dalla prevista estensionedei periodi di siccità e dell’incremento delle piene.

Page 112: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

sono stati individuati i punti di forza del modellononché le carenze che ne influenzano l’efficaciain bacini intermittenti.

2.2 Ruolo delle comunità microbiche nei proces-si di mineralizzazione nel sedimentoL’attività ha comportato indagini di campo, sulfiume Mulargia (bacino del Flumendosa,Sardegna). I sedimenti del fiume sono stati cam-pionati in varie sezioni del bacino, scelte in basealle diverse caratteristiche ecologiche e di pres-sione antropica. Lo studio ha consentito di osser-vare le variazioni di composizione chimico-fisi-ca del sedimento (granulometria, stato di idrata-zione, contenuto di sostanza organica, di C, N eP) e la struttura ed attività della comunità batteri-ca nelle diverse stagioni (abbondanza e strutturadi comunità, rapporto vivi/morti, attività diincorporazione del C e di respirazione, attivitàenzimatiche) in relazione allo stato di idratazionedel sedimento. Le indagini hanno richiesto lamessa a punto di metodi specifici per lo studiodella comunità batterica bentonica. Per simularegli effetti di una protratta siccità e della successi-va re-idratazione del sedimento su attività e strut-tura della comunità batterica naturale, si è inoltrefatto ricorso ad una sperimentazione di laborato-rio, mediante l’allestimento di microcosmi, susedimenti provenienti da quattro fiumi tempora-nei europei (Mulargia e Tagliamento in Italia,Krathis in Grecia e Pardiela in Portogallo).

3 RISULTATI RILEVANTI

L’applicazione del modello, che è stato calibratoe validato, ha permesso di stimare il bilancioidrologico e la qualità delle acque in termini diconcentrazioni e di carichi. La media annuale delle precipitazioni, contraddi-stinte da eventi sensibilmente variabili nello spa-zio e nel tempo, è di circa 550 mm (decade 1992-2003). Tale valore, caratteristico delle regionisemiaride, costituisce uno tra i più bassi registra-ti in Sardegna e, più in generale, in Italia.L’evapotraspirazione reale (Etr) mostra valorimedi annui compresi tra 200 e 300 mm. Il deflus-so medio annuo è risultato di 182 mm, corrispon-dente ad una portata media di 378 l/s e ad un

deflusso totale annuo di 11,9 Mm3. Il contributoper km2 è di 5,83 l/s e il coefficiente di deflusso,in pieno accordo con precedenti ricerche, è pari a0,33. Gli eventi meteorici nel bacino hanno soli-tamente breve durata, inferiore al giorno, e larisposta del bacino a questi eventi è piuttostorapida: il numero di giorni che intercorre tra lacresta e la fine del deflusso diretto è mediamen-te di due giorni. Va notato che la portata estiva èesigua ed è costituita essenzialmente dal contri-buto dei depuratori che alimentano quindi soloun limitato deflusso subalveo.I sedimenti e i nutrienti insolubili presentanoi massimi in gennaio e settembre, mentre inutrienti solubili (N-NO3 e P sol) mostrano ipicchi in novembre e in dicembre. Infatti, inquesti mesi, quando sono massime le precipi-tazioni e il ruscellamento, vengono dilavate lemaggiori quantità di nutrienti solubili, mentrei nutrienti insolubili, contenuti nei sedimenti,mostrano il massimo in settembre a causa del-l’impatto erosivo del primo evento di pienadopo la stagione secca.È risultato che poco meno della metà del deflus-so totale fluisce durante gli eventi di piena, inte-ressando un decimo dei giorni del periodo esami-nato (Tab. 1). Durante questi eventi viene tra-sportata la quasi totalità dei sedimenti e buonaparte dei nutrienti mentre non si riscontra unasostanziale differenza nei carichi trasportati inregime di magra e di morbida. L’erosione e, con-seguentemente, il trasporto viene attivato ancheda precipitazioni di modesta entità.L’analisi dei dati di portata, misurati alla sezionedi chiusura del bacino, ha evidenziato un aumen-to del carattere “impulsivo” del Mulargia, ossiadella frequenza e intensità delle piene.Gli eventi di piena, dunque, rivestono una impor-tanza fondamentale negli ambienti semiaridi nonsolo per il rischio idraulico ad essi collegato maanche per gli aspetti legati alla disponibilità dellerisorse idriche in termini di quantità e qualità. Nella versione attuale il modello fornisce i risul-tati su base giornaliera. Questa scala, in generaleappropriata per bacini di media o grande esten-sione, può non essere sufficientemente rappre-sentativa per bacini idrografici di dimensionimodeste. Output giornalieri non consentono, ad

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 113: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

esempio, la ricostruzione dettagliata degli eventidi piena per corsi d’acqua intermittenti. Questi,infatti, presentando una risposta rapida agli even-ti meteorici esauriscono gli effetti delle piene nelgiro di poche ore. Pur avendo quindi constatatola validità del modello nel rappresentare i feno-meni fisici e chimici che avvengono nel bacino,si evince la necessità di migliorarlo aggiungendoun tool per il calcolo sub-orario del ruscellamen-to e dell’erosione ed uno per la interpolazionespaziale dei dati pluviometrici, al fine di ottenererisultati dettagliati anche a scala subgionaliera.Queste conclusioni sono state discusse con i col-leghi che hanno sviluppato il modello e sono incorso attività congiunte tese allo sviluppo e testdei nuovi moduli individuati.I principali risultati dello studio di ecologiamicrobica condotto sul sedimento del Mulargianella sezione di chiusura del bacino, sono presen-tati nella Figura 1. Il valore medio di abbondan-za cellulare mostra i valori più elevati nel perio-do primaverile. Le condizioni estive, quando ilflusso idrico si riduce ed il ricambio dei nutrientiè ridotto, risultano essere le più critiche per la cir-colazione del carbonio in quanto la velocità diproduzione di biomassa eguaglia quella dellarespirazione (emissione di CO2). Una parte signi-ficativa della circolazione del C è sostenuta dal-l’attività di idrolisi della fosfatasi alcalina e del-l’amminopeptidasi che i batteri utilizzano perrecuperare P e N dalla sostanza organica. I risultati della sperimentazione condotta inmicrocosmi artificiali, in cui è stata seguita ladinamica delle comunità batteriche fino all’es-siccamento totale del sedimento, sono presentati

in Figura 2. Il sedimento bagnato, raccolto inquattro fiumi temporanei europei, è stato intro-dotto in recipienti di vetro sterili fino alla natura-le evaporazione di tutta l’acqua presente (45giorni). La progressiva riduzione del contenutodi umidità, espresso come percentuale dellaWater Holding Capacity (WHC), ha prodottouna riduzione esponenziale sia dell’abbondanzacellulare che dell’attività metabolica. In condi-zioni di totale disidratazione, nel sedimentoerano ancora presente il 26% delle cellule totali,di cui però meno della metà ancora vive; la pro-duzione batterica era invece cessata totalmente.In un successivo esperimento di reidratazione lacomunità batterica ha mostrato di essere in gradodi recuperare l’attività iniziale, anche dopo pro-tratti periodi di quiescenza. Lo studio ha quindi

Deflussoordinario

Piena Totale

Giorni 232(90%)

25(10%)

257

Deflusso(m3)

8,2 x 106

(56%)6,4 x 106

(44%)1,5 x 106

Sed (t) 1,6 x 103

(9%)1,6 x 103

(91%)1,8 x 103

N tot (t) 44,4(34%)

87,7(66%)

132,1

P tot (t) 2,1(19%)

8,7(81%)

10,8

Impatti dei cambiamenti climatici

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Tabella 1: Risposta del bacino agli eventi meteorici.

Figura 1: a) Abbondanza totale e di singoli gruppi batteri-ci. b) Attività batterica misurata sia in termini di produzio-ne di C che di respirazione. c) Attività enzimatiche batte-riche. Risultati espressi come medie stagionali (± ds).

Page 114: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

consentito di quantificare la risposta della comu-nità batterica al progressivo essiccamento delsedimento. Prolungati periodi di siccità potrannoinfluenzare i processi biogeochimici che avven-gono nel sedimento fluviale, e quindi la circola-zione di nutrienti ed inquinanti, in funzione dellivello di idratazione del sedimento.

4 PROSPETTIVE FUTURE

È stata presentata una nuova proposta di proget-to (MIRAGE) nell’ambito del VII PQ, finalizza-ta all’implementazione della Direttiva Quadrosulle Acque negli ambienti a regime temporaneo,in relazione ai cambiamenti climatici.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Amalfitano S., Fazi S., Zoppini A., BarraCaracciolo A., Grenni P., Puddu A., 2007.Responses of benthic bacteria to experimen-tal drying in sediments from mediterraneantemporary rivers. Microbial Ecology, DOI10.1007/s00248-007-9274-6).

De Girolamo A.M., Lo Porto A., De Luca D., 2007.Cambiamenti climatici e pianificazione. Duebacini idrografici a confronto - Climate ChangeScenario and Strategy Planning. RivistaItaliana di Agrometeorologia, submitted.

De Girolamo A.M., De Luca F., Lo Porto A.,Botti P., Cané G., Diliberto L., 2007. Studiodell’inquinamento da fonti diffuse nel bacinodel Rio Mulargia. L’Acqua, submitted.

Fazi S., Amalfitano S., Pernthaler J., Puddu A.,2005. Bacterial communities associated withbenthic organic matter in headwater streammicrohabitats. Environmental Microbiology,7(10):1633-1640.

Fazi S., Amalfitano S., Pizzetti I., Pernthaler J.,2007. Efficiency of fluorescence in situhybridization for the detection of bacterialcells in river sediments with contrastingwater content. Systematic and AppliedMicrobiology, 30: 463-470.

Froebrich J., Nikolaidis N., Gallart F., KirkbyM., Lo Porto A., De Girolamo A.M., 2007.The Distribution of Temporary Streams inSouthern Europe and their Importance forthe Eu Water Framework Directive. Journalof Hydrology, submitted.

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Zoppini A., Amalfitano S., Fazi S., Puddu A..Extracellular enzymatic activity in tempo-rary river sediments under drying and rewet-ting conditions, manuscript.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

576

Figura 2: Abbondanza (a) ed attività batterica (b) duran-te la progressiva riduzione del contenuto di umidità,espressa come percentuale della Water Holding Capacity(WHC).

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Fin dalla metà degli anni settanta, esperimenticondotti tramite modelli di circolazione genera-le, hanno evidenziato che l’aumento delle con-centrazioni di gas serra nell’atmosfera potràinfluenzare il clima. L’allarme della comunitàscientifica è stato accolto dalle Nazioni Unitecon l’istituzione dell’Intergovernmental Panelon Climate Change (IPCC), il cui compito èredigere rapporti sui cambiamenti climatici edeffetto serra sulla base di valutazioni scientifi-che, tecniche e socioeconomiche. L’evoluzionefutura del clima appare molto complessa e imodelli previsionali, dovendo tradurre e forma-lizzare dal punto di vista matematico le artico-late interconnessioni tra sistemi naturali e socia-li, non possono considerarsi perfetti.Le proiezioni presentate nell’ultimo rapportodell’IPCC, elaborate sulla base di differentiscenari, indicano un aumento della temperaturanel periodo 1990-2100 compreso tra 1,4 - 5,8°C. Per quanto riguarda le precipitazioni, mag-giormente variabili nello spazio e nel tempo(Allen e Ingram, 2002), i modelli prevedono un

aumento alle medie - alte latitudini, mentre allebasse latitudini è previsto un aumento in alcu-ne aree ed una diminuzione in altre. Viene stimato che in Italia l’evoluzione delclima si differenzia tra nord e sud, soprattuttoper quanto riguarda i fenomeni estremi, per-tanto la persistenza dei periodi di siccitàriguarderà soprattutto il meridione, mentre ilrischio di alluvioni interesserà maggiormenteil settentrione (ENEA-FEEM, 2003). Appareovvio come il realizzarsi congiunto di questeprevisioni possa riflettersi in effetti anche dinotevole entità su bilancio idrologico, regimefluviale e trasporto di nutrienti e sedimenti.Il presente lavoro si pone l’obiettivo di valu-tare l’impatto che i mutamenti climatici pos-sono indurre sul ciclo idrologico e sull’erosio-ne in due bacini idrografici localizzatinell’Italia meridionale: l’Alto Alento e il RioMulargia. Essi sono entrambi contraddistintida un regime semipermanente con lunghiperiodi di magra.È stato applicato il modello idrologico SWATche ha consentito, sulla base dei dati attuali edelle previsioni stimate mediante il modello

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Influenza dei cambiamenti climatici sul regime idrologico di due bacini idrografici in ambiente mediterraneo

A. Lo Porto, A. M. De Girolamo, A. Abouabdillah, D. De Luca, G. Santese Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, [email protected]

SOMMARIO: Il presente lavoro si pone l’obiettivo di valutare l’impatto che i mutamenti climatici possonoindurre sul ciclo idrologico e sull’apporto di sedimenti in due bacini idrografici localizzati nell’Italia meri-dionale: il Rio Mulargia e il fiume Alento. I cambiamenti climatici sono quelli stimati mediante il model-lo HadCM2; gli effetti di tali variazioni climatiche sono stati simulati mediante il modello idrologicoSWAT. È stato evidenziato un aumento delle temperature medie per tutti gli orizzonti temporali ipotizzatied una riduzione delle precipitazioni su ambedue i bacini. Conseguentemente, sono previsti rilevanti cam-biamenti del bilancio idrologico e degli aspetti qualitativi, in particolare sono attese una riduzione deivolumi annui di deflusso ed un aumento dell’erosione e del trasporto di sedimenti. La pianificazione delterritorio e delle risorse idriche, pertanto, dovranno tener conto di tali mutamenti sia a breve sia a medioe lungo termine.

Page 116: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

HadCM2, di valutare le variazioni del cicloidrologico e della qualità delle acque.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Scenari climatici e modello idrologico Nel caso in esame sono stati stimati i cambia-menti di temperatura e precipitazioni al 2020,2050 e 2080 mediante il modello di circola-zione globale HadCM2, sviluppato dall’UKHadley Centre for Climate Prediction andResearch. Si tratta di variazioni medie previ-ste per i periodi 2010-2039, 2040-2069, 2070-2099 valutati rispetto alle osservazioni deltrentennio 1961-1990. In particolare è stato utilizzato lo scenarioHHGGA1 che prevede un incremento annuodi gas serra immessi nell’atmosfera pariall’1% ed una crescita economica in un conte-sto globale, ossia un futuro caratterizzato daun aumento demografico, da una notevolecrescita economica e dall’uso di nuove e piùefficienti tecnologie. Questo modello ha unarisoluzione spaziale di 2,5° x 3,75° (latitudineper longitudine) a cui corrisponde una grigliadi 96 x 73 km.Gli effetti che questi cambiamenti climaticiinducono sul bacino idrografico sono statisimulati mediante il modello idrologico e diqualità delle acque SWAT (Soil and WaterAssessment Tool), sviluppato dall’USDA -ARS (United States Department of Agriculture– Agricultural Research Service), dotato diinterfaccia GIS (Di Luzio et al., 2001). Ilmodello opera su base temporale giornalieraconsiderando la variabilità spaziale dei dati,consente di prevedere l’impatto che le diversepratiche di management, adottate nell’ambitodel bacino idrografico, producono sul corsod’acqua in termini di qualità e quantità.

2.2 Area di studioIl Rio Mulargia, affluente del Flumendosa, èlocalizzato nella Sardegna meridionale. Ilbacino idrografico sottende una superficie di6.476 ettari e presenta un’altitudine variabiletra i 250 e i 750 metri. L’uso del suolo è carat-terizzato prevalentemente da seminativi

pascoli e macchia mediterranea. Il bacino idrografico dell’Alto Alento, localiz-zato in prossimità della penisola del Cilento,costituisce una porzione dell’intero bacinodell’Alento e si estende per 10.200 ettari. Ilterritorio, che ricade nel Parco Naturale, èpoco antropizzato e la maggior parte è rico-perta da vegetazione allo stato naturale:boschi e macchia.Il clima, in entrambi i bacini, è tipicamentemediterraneo. La temperatura media registravalori alquanto elevati, in particolare in luglioe agosto. Il regime pluviometrico è caratteriz-zato da un semestre umido che va da ottobre amarzo, con precipitazioni abbondanti, e da unsemestre asciutto in cui, ad eccezione deimesi d’aprile e maggio durante i quali si pos-sono avere discrete precipitazioni, si registra-no rari eventi piovosi. Le precipitazioni pre-sentano una media annuale di 533 mm nelbacino del Rio Mulargia e di 1054 mm nelbacino del fiume Alento e sono contraddistin-te da eventi sensibilmente variabili nello spa-zio e nel tempo.

3 RISULTATI RILEVANTI

Il modello HadCM2 stima un generale e pro-gressivo aumento della temperatura perentrambi i bacini (Fig. 1). L’incremento medioprevisto dovrebbe passare gradualmente dapoco più di 1°C nel 2020 ad oltre 3°C nel 2080.Per quanto riguarda le piogge, è attesa unariduzione su base annua, con un aumento neiprimi mesi dell’anno ed una riduzione nelrestante periodo (Fig. 2). Il calo percentualemensile calcolato rispetto ai valori attuali rag-giunge, nell’orizzonte più remoto, punte del75% nel bacino del Mulargia e del 55% nelbacino dell’Alento. Va sottolineato che lestime utilizzate forniscono solo scostamentirispetto alla media attuale, mentre mancanoindicazioni sulla distribuzione statistica deifenomeni di precipitazione.

3.1 Rio MulargiaIl ruscellamento dovrebbe subire una notevoleriduzione su base annuale in tutti gli orizzonti

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 117: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

temporali utilizzati (2020, 2050, 2080). Saràconcentrato essenzialmente nei mesi invernaliper divenire pressoché nullo nei mesi estivi.Negli orizzonti più remoti, 2050 e 2080, sub-irà un incremento nei mesi invernali, mentre ilperiodo di magra si allungherà presentando laripresa autunnale con un ritardo di circa unmese (De Girolamo et al., 2007).Ancora più evidente sarà la contrazione del

baseflow, in particolare nei mesi invernali edautunnali. La contemporanea riduzione delruscellamento e del baseflow, infine, indurràun preoccupante calo del deflusso totale subase annua (Fig. 3).Le variazioni dell’evapotraspirazione poten-ziale (Et0) saranno trascurabili, mentre l’eva-potraspirazione reale (Etr) subirà un lieveincremento nei mesi invernali per ridursicomplessivamente su base annua.I mutamenti previsti nell’ambito del bilancioidrologico indurranno cambiamenti, rispettoalle attuali condizioni, anche nelle quantità disedimenti nelle acque superficiali e sotterranee.In particolare è previsto un incremento annuonegli orizzonti più remoti. Tale aumento è par-ticolarmente evidente nei primi mesi dell’annoed è seguito da una riduzione nei mesi estivi.

3.2 Alto AlentoIn questo bacino, analogamente al precedente,le simulazioni mostrano una riduzione su baseannua del ruscellamento con un incremento neiprimi mesi dell’anno ed una diminuzione nelrimanente periodo. Tale cambiamento potrebbecomportare un aumento degli episodi di pienain un periodo in cui le portate sono già relativa-mente alte e la copertura del suolo è limitata.

Impatti dei cambiamenti climatici

579

Figura 1: Variazioni della temperatura

Figura 2: Variazioni delle precipitazioni Figura 3: Variazioni del deflusso totale

Page 118: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

La riduzione prevista del deflusso laterale,che costituisce buona parte del deflusso tota-le, indurrà una contrazione del deflusso totaleestivo-autunnale. L’evapotraspirazione reale subirà una riduzio-ne su base annuale particolarmente evidentenegli orizzonti più remoti.Il trasporto di sedimenti tenderà ad aumentareseppure con andamenti non lineari.

4 PROSPETTIVE FUTURE

La vulnerabilità al cambiamento climatico deisistemi naturali ed umani, dipende essenzial-mente dalle caratteristiche delle regioni edalla loro gestione. La programmazione dello sviluppo economi-co e la gestione delle risorse idriche dovrannonecessariamente tener conto delle variazionifuture del clima e dei rischi ad esse associate.In particolare, per quanto riguarda la gestionedelle risorse idriche, sarà necessario interve-nire perseguendo una politica di pianificazio-ne a lungo termine con interventi strutturalivolti alla conservazione delle risorse ed almiglioramento della qualità delle stesse. A tal fine i modelli numerici possono costitui-re un importante strumento per riprodurre ilsistema climatico e per rappresentarne gli sce-nari futuri. Il potenziamento delle attivitàmodellistiche permetterà al Paese di costituire

le necessarie competenze di base e di acquisi-re un sistema di informazioni scientifiche ido-neo a supportare decisioni politiche e ad indi-viduare le linee di pianificazione più idonee.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Allen M.R., Ingram J.W., 2002. Constraintson future changes in climate and thehydrologic cycle. Nature, 419: 224-232.

De Girolamo A.M., Lo Porto A., De Luca D., 2007.Cambiamenti climatici e pianificazione, duebacini idrografici a confronto - Climate ChangeScenario and Strategy Planning. RivistaItaliana di Agrometeorologia, submitted.

De Girolamo A.M., De Luca F., Lo Porto A.,Botti P., Cané G., Diliberto L., 2007.Studio dell’inquinamento da fonti diffusenel bacino del Rio Mulargia. L’Acqua,submitted.

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IPCC Third Assessment Report, 2002.Climate Change 2001. Synthesis Report:397p. UK, Cambridge: CambridgeUniversity Press.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

580

Page 119: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

Importanti studi internazionali sul clima ripor-tano un aumento della temperatura media del-l’aria di circa 0,6 ± 0,2°C durante il XX seco-lo e prevedono un aumento di 1,4-5,8°C entroil 2100 rispetto al 1990 (IPCC, 2001).Gli effetti potenziali del cambiamento delclima sull’ambiente sono, generalmente bendocumentati. Essi includono impatti sullerisorse idriche e sull’agricoltura (Parry eZhang, 1991). In particolare, la ricerca nel set-tore agricolo ha tentato di valutare come ilcambiamento climatico possa modificare l’usodel suolo e la sua idoneità dal punto di vistadello sfruttamento agricolo (Mayr et al., 1994).Tuttavia, la valutazione dell’impatto del cam-biamento climatico sull’inquinamento causa-to dall’agricoltura è stato scarsamente indaga-to. I pochi risultati disponibili indicano,comunque, che il cambiamento del climapotrebbe aumentare considerevolmente laperdita di suolo e di nutrienti dai terreni agri-coli (Favis-Mortlock, 1994).

Questi risultati hanno importanti applicazionisulla valutazione dello stato futuro della qua-lità delle risorse idriche, specialmente inconsiderazione del fatto che l’agricolturacostituisce, attualmente, la più importantefonte di inquinamento da azoto e fosforo deicorpi idrici di tutta Europa (EEA, 1999). Questo lavoro descrive l’impatto del cam-biamento del clima sulla perdita di suolo enutrienti nel bacino del fiume Enza, valutatousando due modelli di simulazione. I risultatipresentati costituiscono il contributo al pro-getto di ricerca europeo CHESS - Climate,Hydrochemistry and Economics of Surface-water Systems (Garnier et al., 2001). Il modello di circolazione generale (GCM)HadCM2 (Johns et al., 1997) è stato impiega-to per produrre lo scenario climatico impiega-to nelle simulazioni.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Descrizione del bacino di studioIl fiume Enza è un affluente del Po. Esso ha

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Impatto del cambiamento climatico su erosione e perdita di nutrienti dal suolo agricolo nel bacino dell’Enza.

M. Garnier, G. Passarella, A. Lo Porto Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Bari, [email protected]

SOMMARIO: L’impatto dei cambiamenti climatici sull’inquinamento di origine agricola è stato studiato nelbacino del fiume Enza, un affluente del Po. I cambiamenti climatici considerati sono stati desunti da unmodello di circolazione generale ed incorporati nei modelli di ICECREAM e SWAT. L’impatto di questicambiamenti climatici è stato studiato in termini di perdita di suolo e nutrienti per una delle colture piùdiffuse nell’area. L’inserimento dello scenario climatico considerato all’interno dei due modelli, ha con-sentito di prevederne gli effetti sul ruscellamento, sull’erosione e sull’assorbimento di fosforo ed azoto daparte della coltura considerata. I risultati, mostrano una discreta corrispondenza dei modelli ed evidenzia-no l’influenza del suolo sull’erosione e sulla mobilizzazione dei nutrienti. Infine, a fronte di uno scenariofuturo che prevede l’aumento delle precipitazioni invernali e la sua diminuzione nelle altre stagioni ed unaumento della temperatura durante l’intero anno, si osserva una buona corrispondenza dei risultati dientrambi i modelli con tali scenari.

Page 120: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

origine sull’Appennino Tosco-Emiliano, scor-re per circa 100 km e raccoglie il deflussoidrico naturale di un bacino di circa 884 km2,costituito da una zona montana, una collinareed una di pianura.Le piogge medie annuali nel bacino am-montano a circa 950 mm, con valori più altinella parte montana (1.150 mm), con dueperiodi di particolare abbondanza durante laprimavera e l’autunno. La precipitazionenevosa può raggiungere 60 cm permanendosul suolo per circa un mese. Infine la portatamedia dell’Enza alla confluenza nel Po è dicirca 10 m3/s.La parte montana del bacino è coperta preva-lentemente da boschi, la parte collinare è carat-terizzata da pascoli e piante di basso fustomentre la parte di pianura è intensamente col-tivata. Più della metà dell’uso agricolo delsuolo è costituita da cereali, sebbene anche labarbabietola da zucchero sia comune nell’area.L’applicazione media annua di fertilizzanti èdi circa 50 kg/ha di fosforo e 170 kg/ha diazoto. Oltre a questi, sull’area vengonomediamente applicate 10 t/ha/anno di letamebovino e suino. Nonostante il carico elevatodi fertilizzanti applicato, che costituisce lafonte primaria di inquinamento dell’Enza,questo può essere ritenuto un corso d’acquamoderatamente pulito.I dati necessari per le simulazioni modelli-stiche sono stati forniti da diverse agenzieambientali (ARPA, Autorità di Bacino del Po).Insieme ai valori delle temperature e delle pre-cipitazioni relative alle stazioni di Parma,S.Polo e Selvanizza sono state rese disponibi-li le serie storiche di portata ed i valori di qua-lità misurati in diverse sezioni del corso idrico,nonché ed informazioni su prelievi e scarichi.

2.2 ModellizzazioneSono stati usati due modelli di simulazione,SWAT (Arnold et al., 1993) ed ICECREAM(Rekolainen et al., 2002) al fine di confronta-re i risultati.SWAT (Soil and Water Assessment Tool) è unmodello spazialmente semi-distribuito a scaladi bacino sviluppato dall’Agricultural

Research Service (ARS) del Dipartimentodell’Agricoltura degli USA (USDA). ICECREAM, invece, è un modello di simula-zione a scala di campo ed è un’estensione delmodello CREAMS /GLEAMS (Knisel, 1993). In generale questi modelli permettono disimulare gli apporti idrici, di sostanze chimi-che e di sedimenti a scala di bacino (SWAT) ea scala di campo (ICECREAM) ed i possibiliimpatti dell’uso del suolo, dei cambiamenticlimatici e degli interventi di carattere gestio-nale sui corpi idrici.

3 RISULTATI RILEVANTI

Il modello climatico HadCM2 è stato usatoper creare serie storiche di dati climatici cen-trati sul 2050. La Figura 1 mostra l’andamen-to dei valori delle medie mensili di temperatu-ra e precipitazione dell’anno di e quelli pre-visti dal modello climatico impiegato nellesimulazioni. Lo scenario futuro indica un aumento delleprecipitazioni invernali ed una corrispondentediminuzione nelle altre stagioni ed un aumento

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

582

Figura 1: Medie mensili dei valori di temperatura (a) eprecipitazione (b) dell’anno di riferimento e previsti dalmodello climatico per il 2050.

Page 121: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

generalizzato della temperatura durante l’interoanno, sebbene più marcato nei mesi invernali.I due modelli sono stati confrontati a scala dicampo schematizzando il sistema fisico comecaratterizzato da un suolo argilloso-limoso(AL) ed un sola coltura (frumento). Nei limitidelle caratteristiche dei modelli, ai parametridi input sono stati assegnati gli stessi valori.Per entrambi i modelli sono stati usati i valorigiornalieri di precipitazione e radiazione sola-re, mentre, ICECREAM richiede i valori medigiornalieri delle temperature e SWAT quelliminimi e massimi. Per esaminare il comporta-mento dei due modelli in differenti condizio-ni climatiche imposte, le simulazioni sonostate eseguite con riferimento alle condizioniclimatiche di partenza (1990) e per lo scena-rio HadCM relativo al 2050.Con riferimento al bilancio idrologico, imodelli forniscono risultati alquanto differentisia nello scenario di partenza che in quello pre-visto. Si deve però evidenziare che tali diffe-renze sono in parte attribuibili al fatto che nonin tutti i casi i due modelli producono parame-tri di output direttamente confrontabili. Comeesempio di differenza nel comportamento deidue modelli, si riportano i dati relativi al ruscel-lamento superficiale simulato da entrambi.Tale parametro, riveste un’importanza notevo-le, oltre che di per sé, anche in quanto diretta-mente correlato alla perdita di nutrienti edall’erosione. I grafici del ruscellamentosuperficiale risultanti dai due modelli (Fig. 2)mostrano andamenti alquanto simili, sebbeneSWAT produca un andamento più regolare. Igrafici sono caratterizzati entrambi da un piccoin gennaio seguito da un costante decrementonei mesi primaverili, un innalzamento in ago-sto ed un valore costante nei mesi successivi.I risultati dei due modelli relativi all’erosione,confermano la similarità degli andamenti perentrambi i tipi di suolo. Valori maggiori dierosione si riscontrano, infatti, nei mesi dimaggiore ruscellamento superficiale.Infine, per quanto riguarda i nutrienti, lesimulazioni relative all’azoto assorbito dallacoltura mostrano lievi differenze in quantoSWAT anticipa il periodo di massimo assorbi-

mento di circa 60 giorni. Tali differenze sonoinvece meno evidenti se si considera l’assor-bimento del fosforo.In conclusione, si può affermare che le diffe-renze osservate nei risultati dei due modelli,sebbene in genere non rilevanti, si possonoattribuire a lievi differenze nei parametri diinput e, in qualche caso anche delle variabilirisultanti che quindi necessitano di una ulte-riore elaborazione al fine di rendere i due setdi dati coerenti. Altre cause di influenza suirisultati possono essere attribuite alla diversastruttura concettuale alla base dei due model-li (scala, discretizzazione del sistema fisico,fenomeni fisici) e all’innegabile ruolo dell’u-tilizzatore del modello e della sua esperienza.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Il presente lavoro mette in evidenza, da unaparte, la necessità di intensificare le reti dimonitoraggio dei parametri ambientali ed inparticolare di quelli relativi alle sempre piùcarenti risorse idriche, e questo soprattutto ai

Impatti dei cambiamenti climatici

583

Figura 2: Medie mensili simulate del ruscellamentosuperficiale risultante dall’applicazione di ICECREAM(a) e di SWAT (b) relativi alle condizioni di partenza edallo scenario HadCM 2050.

Page 122: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

fini della ricerca scientifica, in modo daapprofondire lo studio dei processi alla basedel verificarsi dei fenomeni di inquinamentodelle acque causati dall’agricoltura e da ren-dere più agevole la parametrizzazione deicomplessi modelli di simulazione.Dall’altra parte emerge il bisogno di mettere apunto strumenti e metodologie che, pur man-tenendo il rigore del metodo scientifico, sianodi relativamente semplici da applicare e menoonerose dal punto di vista degli input necessa-ri; questo per consentire ai pianificatori del-l’uso del suolo di trovare, in modo relativa-mente rapido, soluzioni in grado di risolveresu vasta scala i più pressanti problemiambientali esistenti, nonchè di prevederequelli che è probabile si verificheranno e diindividuare, anche per questi ultimi, possibilimisure di mitigazione.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Arnold J.G., Allen P.M., Bernhardt G., 1993.A comprehensive surface-groundwaterflow model. J. Hydrol., 142: 47-69.

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Garnier M., Lo Porto A., Marini R., PassarellaG., 2001. Climate, Hydrochemistry andEconomics of Surface-water Systems.Summary CHESS Report.

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Parry M., Zhang J., 1991. The potential effectof climate changes on agriculture. In: J.Jager e H.L. Ferguson (eds) Science,impacts and policy. Proceedings of the 2ndWorld Climate Conference. Cambridge:Cambridge University Press.

Rekolainen S., Salt C.A., Bärlund I., TattariS., Culligan-Dunsmore M., 2002. Impactsof the management of radioactively conta-minated land on soil and phosphorus los-ses in Finland and Scotland. Water, Air,Soil Pollut., 139: 115-136.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

584

Page 123: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 CLIMA

L’evoluzione del clima su scala planetaria e lapossibile influenza delle attività umane sonosempre più spesso all’attenzione generale.Anche in occasione di eventi a scala locale,spesso si fa riferimento a tali fenomeni, a vol-te in modo generico e contraddittorio. Ciò èaccaduto anche tra il 2000 e il 2002, quandoprolungate siccità hanno colpito l’Italia meri-dionale, causando notevoli problemi per l’ap-provvigionamento idrico.Lo studio riguarda l’intera Italia meridionale(Campania, Basilicata, Puglia e Calabria) è hacome finalità la caratterizzazione della ten-denza evolutiva dei principali fattori climati-ci di rilievo per la disponibilità di risorse idri-che, in particolare sotterranee, e degli effettiindotti dalle modificazioni climatiche su di-sponibilità e qualità delle acque sotterranee.L’analisi dei dati pluviometrici di 126 stazio-ni del Servizio Idrografico ha evidenziato sulperiodo 1921-2001, selezionato per la mag-giore regolarità delle serie e densità spazialedei dati, una tendenza al calo pluviometricosul 95% dell’area considerata, con coefficien-ti angolari minimi pari a -9mm/anno in gene-

re osservati nelle zone a maggiore piovositàmedia annua, corrispondenti nelle medesimead un calo tendenziale della piovosità annuadi 720 mm, nel periodo considerato. In Tabel-la 1 sono presentati i valori aggregati su scalaregionale (Polemio e Casarano, 2004).

L’analisi delle medie mobili pluriennali dipiovosità permette di osservare come il con-tributo determinante alla tendenza negativaderivi dalla ricorrenza di precipitazioni sensi-bilmente inferiori alla media a partire dal1980 (Fig. 1). La fase piovosa intercorsa tra l’autunno del2002 e l’inverno 2005-2006 non ha intaccatosignificativamente le tendenze complessive.Il deficit pluviometrico è risultato spesso as-

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Trend termopluviometrico, siccità e disponibilitàdi acque sotterranee in Italia meridionale

M. Polemio, D. Casarano, V. DragoneIstituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Bari, [email protected]

SOMMARIO: Si caratterizzano le tendenze delle variabili climatiche che determinano la disponibilità di ri-sorse idriche e gli effetti sulla disponibilità di acque sotterranee, analizzando serie temporali mensili ine-renti piovosità e temperatura di 126 stazioni collocate in Italia meridionale, tra il 1821 e il 2005. È emer-sa una tendenza al calo pluviometrico che riguarda il 95% dell’area, dovuto in particolare ad un consi-stente deficit di precipitazioni a partire dal 1980. La tendenza negativa è accentuata in inverno, solitamentestagione più piovosa su gran parte dell’area considerata. Questo fattore, congiuntamente con temperaturemaggiori della media ossservate con regolarità dal 1980, determina per la piovosità efficace una tendenzaal calo ancora più grave. Gli effetti sulle acque sotterranee sono stati valutati mediante serie storiche men-sili considerando vasti acquiferi in Basilicata, Calabria e Puglia, caso descritto nel dettaglio. Ovunque siosserva una spiccata tendenza al calo piezometrico.

Tabella 1: Piovosità Media Annua (PMA ,mm),Trend (T, mm/anno) e Variazione Tendenziale (VT,mm) nel periodo di studio (1921-2001).

PMA T VT

Puglia 644 -0,80 -65

Basilicata 893 -1,81 -145

Calabria 1043 -2,87 -230

Campania 1118 -2,44 -196

Page 124: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

sociato a temperature superiori alla media(Fig. 1), sebbene l’occorrenza di queste ulti-me non sia stata tale da determinare una ten-denza lineare statisticamente significativasull’intera area considerata.Dall’analisi su base stagionale emerge che latendenza al calo pluviometrico è concentrataprevalentemente nella stagione invernale. Iltrimestre dicembre-febbraio, mediamente ilpiù piovoso su gran parte dell’area esaminata,determina da solo, su base regionale, almenoil 75% della tendenza negativa complessiva.Il deficit di precipitazioni riscontrato negli ul-timi 20 anni deriva prevalentemente dal man-cato contributo delle precipitazioni invernali. Questo aspetto, insieme all’occorrenza ditemperature superiori alla media, fa sì che lapiovosità efficace presenti dei cali tendenzia-li in percentuale maggiori di quelli calcolatiper la piovosità (Tab. 2).

La maggiore evapotraspirazione rende, infat-ti, ininfluente il contributo delle precipitazio-ni estive, quasi ovunque in controtendenza inquanto con trend positivi, generalmente do-vuti a brevi eventi di notevole intensità.

2 GLI EFFETTI SULLE ACQUE SOTTERRANEE

La ricerca svolta ha interessato vasti acquife-ri di Basilicata, Calabria e Puglia; i risultatisono molto simili, nonostante le forti diffe-renze idrogeologiche degli acquiferi conside-rati. per brevità si descrive quindi il caso “Pu-glia” (Polemio et al., 2004; Polemio e Casa-rano, 2007).Le risorse idriche sotterranee costituiscono unriferimento importante per lo sviluppo regio-nale nel caso della Puglia, in conseguenza

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

586

Figura 1: medie mobili quinquennali delle anomalie termiche e pluviometriche in Campania.

Figura 2: Tendenza della piovosità stagionale per ciascu-na regione.

Tab. 2: Piovosità efficace media (PEM, mm), Tendenzadella Piovosità Efficace (TPE, mm/anno), Variazione Ten-denziale della Piovosità Efficace 1924-2001(VTPE, %).

PMA PEM TPE VTPE

<600 85,5 -0,39 -33,1%

600-900 227,9 -0,89 -27,1%

900-1300 464,8 -1,99 -32,2%

>1300 967,9 -4,30 -32,3%

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della modestissima disponibilità di risorseidriche superficiali. Le unità idrogeologiche distinguibili nella re-gione Puglia sono convenzionalmente quat-tro: Gargano, Tavoliere, Murgia e Salento.Eccetto il Tavoliere, costituito da un acquife-ro poroso, le restanti unità idrogeologiche so-no caratterizzate da ampi e potenti acquifericon sede nelle rocce calcaree e/o calcareo-do-lomitiche del Mesozoico (Polemio, 2000). Dato che la disponibilità di acque sotterraneedipende da molteplici fattori, sono state con-siderate, in relazione a ciascuna serie piezo-metrica, le serie idrogeologicamente più si-gnificative non solo di piovosità e temperatu-ra ma anche di deflusso fluviale nonché, inmodo qualitativo, stante l’indisponibilità didati, il prelievo di acque sotterranee e l’uso dirisorse esterne addotte dagli acquedotti (Pole-mio et al., 1999; Polemio e Dragone, 1999).Le serie storiche piezometriche mensili utiliz-zate sono descritte dalla Tabella 3, che riassu-me la stima del trend piezometrico attuale.

Tutte le serie storiche sono state analizzatecon diverse tecniche, tra cui auto e crosscor-relazione. I coefficienti piezometrici di auto-correlazione mostrano un andamento pro-gressivamente decrescente al crescere del ri-tardo, a partire da valori prossimi all'unità.Ciò comporta che le falde idriche pugliesimanifestano un rilevante effetto memoria,cioè la quota piezometrica di un dato mese di-pende fortemente da quella dei mesi prece-denti, in modo significativo e decrescente al-l'aumentare del ritardo, in genere fino a nonmeno di 3 mesi: ciò costituisce una peculiare

caratteristica degli acquiferi, di notevole im-portanza soprattutto in periodi siccitosi. Piùduraturo e accentuato è l’effetto memoria inSalento e nel Tavoliere, a riprova delle ottimecaratteristiche idrogeologiche di queste unità. Le relazioni tra le variabili piezometriche equelle climatiche hanno registrato valori si-gnificativi per un ritardo di 1-4 mesi. L'effet-to delle precipitazioni si risente fino a unmassimo di 2-3 mesi, mentre la migliore cor-relazione con la temperatura si registra con unritardo di 4 mesi. La circostanza che anche levariazioni termiche risultino significative, aluoghi più della piovosità, come nel caso delTavoliere, è dovuta alla natura del clima, dif-fusamente semiarido. In tale clima, la tempe-ratura è significativa per due diversi fenome-ni: il primo, assolutamente naturale, è l’eva-potraspirazione, che “regola” la disponibilitàdi piogge efficaci ai fini dell’infiltrazione,l’altro, di natura antropica, è legato al deficitidrico estivo, dovuto principalmente alle altetemperature, che, in virtù delle prevalenti at-tività agricole, viene compensato mediantediffusi emungimenti. Il trend piezometrico èstato espresso speditamente mediante il coef-ficiente angolare della retta di regressione(Tab. 3). Procedendo dal Salento verso laMurgia CA decresce. I valori minimi, i peg-giori, si osservano nell'interno della Murgia,in particolare di quella sudorientale, dove siregistrano le massime quote piezometriche,con valori di CA minori di -0,02 m/mese.Nella Murgia, come anche per le altre unitàidrogeologiche, il CA si approssima a zero,come naturale trattandosi di acquiferi costie-ri, procedendo dall'interno verso la costa. Peril Gargano è realistica pur se poco documen-tata, per difficoltà operative di monitoraggio,una tendenza piezometrica dai caratteri inter-medi tra Murgia e Salento (Polemio e Drago-ne, 1999). Le tendenze piezometriche erano già prevalen-temente negative al 1997 in tutte le UI. Nel ca-so del Tavoliere la drammatica tendenza al ca-lo piezometrico è stata di recente confermatada rilievi effettuati nel 2002 (Polemio et al.,2003). La Tabella 2 riporta i risultati statistici

Impatti dei cambiamenti climatici

587

Tab. 3: Pozzi per unità idrogeologica (UI) e stimadella tendenza piezometrica attuale più probabile.CA è il coefficiente angolare della retta trend(m/mese).

UI N. pozzi

Dati disponibili

CAminimo

Tendenza piùProbabile

da aTavoliere 12 1929 2002 -0,034 Forte caloGargano 4 1975 1978 -0,003 Calo moderato?Murgia 30 1965 2003 -0,020 Forte caloSalento 17 1965 2003 -0,010 Calo

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per i pozzi della Murgia e del Salento per iquali è stata effettuata una campagna nel 2003.La siccità del 2000-2002 ha ulteriormente ag-gravato la situazione, in particolare per il Sa-lento. Il CA ha nuovamente evidenziato, pertutti i pozzi, un valore negativo, generalmen-te peggiore di quello determinato al 1997, checomporta una tendenza diffusa, sia pure lentain alcuni casi, al calo piezometrico. La situa-zione si è aggravata in particolare nel Salen-to. Tutto ciò nonostante la siccità sia di fattoterminata sul finire del 2002. Sulla base delleconoscenze in tema di trend piezometrico, edelle variabili da cui esso dipende, la tenden-za piezometrica più probabile all’attualità èdiffusamente grave (Tab. 3).

3 CONCLUSIONI

La tendenza al calo delle precipitazioni nelperiodo 1921-2001 interessa la quasi totalitàdell’area considerata. Sebbene generalizzatae di entità significativa, ovvero incompatibilecon l’ipotesi di piovosità stazionaria, tale ten-denza non si delinea in modo omogeneo sul-l’area in esame. La tendenza al calo pluvio-metrico in valore assoluto più accentuata siverifica nella zona Tirrenica tra Calabria eBasilicata e nel catanzarese, mentre la Pugliaè caratterizzata da una tendenza decrescentepiù contenuta ma ben più rilevante ai fini del-le siccità in quanto colpisce drammaticamen-te un territorio già poco piovoso. Il calo plu-viometrico si è concentrato in particolare nel-la stagione invernale, solitamente la più pio-vosa in gran parte dell’area in esame. Tale cir-costanza causa una più accentuata tendenza alcalo della piovosità efficace. La ricostruzionedegli aspetti tendenziali, negli ultimi 30 anni,delle variazioni piezometriche ha mostrato unabbassamento significativo della quota piezo-metrica in tutti gli acquiferi considerati in Ca-labria, Basilicata e Puglia. Per le unità idro-geologiche pugliesi i valori più accentuati di

tendenza al calo si osservano nelle aree inter-ne della Murgia e del Tavoliere. Tutti gli ac-quiferi considerati mostrano un effetto me-moria notevole, in alcuni casi molto rilevante,effetto imputabile alle buone caratteristicheidrogeologiche degli acquiferi considerati.Gli elementi raccolti segnalano un progressi-vo depauperamento delle falde idriche pro-prio dove si concentrano le acque sotterraneedi migliore qualità.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 127: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

L’Istituto di Ricerca Sulle Acque (IRSA-CNR)da oltre tre decenni svolge ricerche sulla qua-lità della acque lacustri con l’obbiettivo dicomprenderne i fattori che influenzano il lorostato trofico ed ecologico. Più recentementel’IRSA ha iniziato a rivolgere la propria atten-zione ai meccanismi che governano la riparti-zione degli inquinanti in ambiente lacustre(Tartari e Biaschi, 1997) ed alla modellizzazio-ne dei processi fisici e chimico-biologici (Co-petti et al., 2006) nei laghi.La struttura termica e l’idrodinamica lacustresono governati da driver esterni che possono es-sere suddivisi in fattori meteo-climatici (tempe-ratura dell’aria, radiazione solare, velocità delvento) e idrologici (portata e temperatura degliimmissari ecc.). L’insieme di questi fattori de-termina le caratteristiche idrodinamiche del-l’ambiente (Imberger, 1994) quali l’intensità ela durata della stratificazione estiva, la strutturadei moti periodici (sesse) e aperiodici (correnti).

Ricerche di carattere meteo-climatico hannopermesso di delineare per le ultime decadi uncrescente aumento della temperatura atmo-sferica in Italia (Nanni et al., 2006). Da unpunto di vista limnologico alcuni lavori han-no evidenziato un accumulo di calore nelleacque profonde dei grandi ambienti subalpini(Ambrosetti e Barbanti, 1999) legato a unprolungato periodo di mancata circolazioneinvernale delle acque. Sempre in ambito ita-liano l’elaborazione dei dati storici disponibi-li relativi al periodo 1970-2000 ha evidenzia-to un aumento medio della temperatura delleacque ipolimentiche dei laghi dell’arco subal-pino sia di medie sia di grandi dimensioni(Tartari et al., 2001). Sulla base degli scenaribrevemente decritti è lecito attendersi un ge-nerale surriscaldamento delle acque lacustriche spinge gli ecosistemi verso una maggiorestabilità della colonna d’acqua, verso una ri-duzione dello spessore del mixolimnio (lostrato superficiale rimescolato) e verso una ri-duzione del periodo di massima circolazione

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Fattori climatici che influenzano la struttura termica e la qualità delle acque lacustri. Prospettive di ricerca nell’ambito delle risposte ai cambiamenti globali

D. Copetti1, G. Tartari1, J. Imberger2

1Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Milano, Italia2Centro di Ricerca sulle Acque, Università di Western, [email protected]

SOMMARIO: I laghi sono sistemi che mostrano risposte di tipo fisico, chimico e biologico a forzanti ester-ne quali i driver meteorologici e idrologici. Oltre alle influenze sul comparto fisico (aumento della stabi-lità della colonna, prolungamento del periodo di stratificazione delle acque ecc.), le possibili ripercussio-ni sul comparto chimico sono molteplici e riguardano il possibile prolungamento dei periodi di deficit diossigeno e il conseguente aumento del rilascio di nutrienti e inquinanti dai sedimenti. Tra le diverse ri-sposte ecologiche si sottolinea l’instaurarsi di condizioni favorevoli alla proliferazione di specie cianobat-teriche potenzialmente tossiche. Il monitoraggio dei cambiamenti attualmente in corso e la previsione del-la loro futura evoluzione spingono la limnologia verso lo sviluppo di adeguati sistemi di misurazione e distrumenti modellistici-previsionali. In questo contributo viene descritto l’approccio e gli strumenti svilup-pati in anni recenti dall’IRSA-CNR su due ambienti subalpini di medie e grandi dimensioni e le prospet-tive di ricerca legate allo studio dei cambiamenti climatici sugli ambienti lacustri.

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invernale delle acque (Eisenreich, 2005). Lamancata o ridotta circolazione invernale delleacque e il conseguente prolungamento del pe-riodo di stratificazione comporta una riduzio-ne degli scambi gassosi tra l’atmosfera e glistrati profondi della colonna d’acqua. In ambienti molto produttivi questa situazio-ne può portare ad un aumento del deficit diossigeno sul fondo e a un conseguente au-mento del rilascio di nutrienti e inquinanti daisedimenti. L’atteso aumento del gradiente ter-mico tra la superficie e il fondo porta con seanche possibili risposte ecologiche (Moren-Abat et al., 2007). In particolare una maggio-re stabilità della colonna d’acqua favorisce lacrescita e la proliferazione di specie cianobat-teriche alcune delle quali potenzialmente tos-siche sul biota e sull’uomo (Reynolds, 1984).Il quadro delineato presume un aumento con-tinuo e graduale della temperatura atmosferi-ca. Deve essere però sottolineato che tale sce-nario potrebbe essere mitigato dall’intensifi-carsi di eventi estremi, circoscritti in brevi pe-riodi di tempo. In particolare un aumento del-l’azione del vento (il principale driver deiprocessi di rimescolamento) potrebbe contro-bilanciare l’azione stabilizzante dovuta al ri-scaldamento atmosferico.Quanto sopra descritto sottolinea la comples-sità dello studio degli effetti dei cambiamentiglobali sulla struttura fisica e sulle dinamichechimiche e biologiche in ambiente lacustre.La complessità dei processi implicati e lamolteplicità dei fattori in gioco suggerisceche l’applicazione di modelli numerici com-plessi rappresenti uno strumento importanteal fine di produrre scenari plausibili delle ri-sposte di questi ambienti ai cambiamenti glo-bali. Tali studi modellistici devono essere af-fiancati da adeguate misurazioni delle varia-bili fisiche e delle risposte ecosistemiche.

2 I CASI DI STUDIO

L’IRSA-CNR conduce ricerche di caratterelimnologico integrato su due ambienti lacustridella regione subalpina: il Lago di Como e ilLago di Pusiano.

Il Lago di Pusiano è un tipico ambiente dimedie dimensioni (profondità massima24 m). Il suo stato trofico naturale è meso-trofo ma da decenni si trova in condizioni dielevata trofia. L’IRSA-CNR studia questoambiente a partire dai primi anni settanta epossiede un dataset limnologico che consen-te la ricostruzione dell’evoluzione limnologi-ca (Vuillermoz et al., 2006). A partire dal2002 il Lago di Pusiano viene monitorato incontinuo anche per le forzanti meteorologichee per la risposta termica del lago.Il Lago di Como è il più profondo tra i gran-di laghi dell’arco alpino (profondità massima425 m). Il suo stato trofico naturale è oligo-trofo ma attualmente si trova in condizioni dipiena mesotrofia. A partire dal 2004 questoambiente è stato dotato di un sistema di misu-razione in continuo dotato di tre stazioni lim-nologiche Lake Dyagnostic System (LDS)per la misura dei principali driver meteorolo-gici e del profilo termico. Tale sistema di mi-surazione acquisisce dati a frequenze moltoalte per il monitoraggio sia dei processi di ri-mescolamento a breve scala temporale sia de-gli andamenti stagionali e pluriannuali.In entrambi gli ambienti a partire dal 2003 ven-gono condotte indagini che mettono in relazio-ne i fattori climatici con la struttura termica e ladistribuzione degli inquinanti nel lago.

3 STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE DELLE VA-RIAZIONI CLIMATICHE SUI LAGHI

La Figura 1 confronta l’andamento della tem-peratura superficiale misurata nel Lago di Pu-siano per il periodo 2002-2003 con i risultatidel modello monodimensionale DYRESM(http://www.cwr.uwa.edu.au). Come si puònotare il modello riproduce con un notevoledettaglio sia il periodo di riscaldamento esti-vo che porta le acque del lago a temperaturesuperiori a 30° C, sia il successivo raffredda-mento con temperature prossime a 5° C,quando le acque raggiungono la completaomogeneizzazione termica invernale.La Figura 2 mostra invece l’andamento, per lostesso periodo, delle concentrazioni di ossige-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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no sul fondo ottenute accoppiando il modelloDYRESM al modello ecologico CAEDYM(http://cwr.uwa.edu.au). La simulazione ripro-duce la riduzione sul fondo delle concentrazio-ni di ossigeno dovuta all’instaurarsi del perio-do di stratificazione termica che porta alla ri-duzione degli scambi gassosi con l’atmosfera eall’instaurarsi dei processi di degradazionedella sostanza organica (respirazione).e che le temperature particolarmente elevateriscontrate nel 2007 hanno determinato unconsistente aumento delle temperature super-ficiali con differenze fino a 2 gradi centigraditra il giorno giuliano 60 (fine febbraio) e ilgiorno giuliano 90 (prima decade di marzo).

4 PROSPETTIVE FUTURE

L’approccio delineato nell’introduzione diquesto paragrafo e i risultati preliminari mo-strati dimostrano da un lato la sensibilità degliambienti lacustri ai cambiamenti globali e inprimis all’atteso incremento della temperatu-

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 1: Confronto tra i dati di temperatura superficiale(2002-2003) del Lago di Pusiano misurati in continuo(dati puntuali) e il risultato di una simulazine ottenutacon il modello DYRESM (linea continua).

Figura 2: Confronto tra i dati di ossigeno sul fondo(2002-2003) del Lago di Pusiano misurati con sondamultiparametrica (dati puntuali) e il risultato di una si-mulazione ottenuta con il modello DYRESM-CAEDYM(linea continua).

Figura 3: Rappresentazione dell’evoluzione della struttu-ra termica del Lago di Como da fine novembre 2004 amaggio 2005.

Figura 4: Confronto tra i dati superficiali di temperaturamisurati nella stazione LDS collocata nel ramo occiden-tale del Lago di Como relativi al periodo di massima cir-colazione delle acque per gli anni 2005 (linea continua),2006 (x) e 2007 (°).

ra, mentre dall’altro sottolineano la bontà del-l’approccio intrapreso dall’IRSA-CNR nellostudio di questi fenomeni. Approccio che co-niuga l’utilizzo di strumenti di misura in con-tinuo e di misurazioni più tradizionali su cam-po con l’utilizzo di modelli numerici in gradodi descrivere l’evoluzione sia della compo-nente fisica sia di quella chimico-biologica.I dati prodotti e le metodologie applicate suquesti due ambienti verranno implementatenel progetto CIRCE, un progetto del VI FP,indirizzato alla valutazione degli effetti deicambiamenti globali nell’area mediterranea.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Per via delle loro caratteristiche fisiografiche,morfometriche, idrologiche ed edafiche, i la-ghi delle regioni alpine sono tra gli ecosiste-mi acquatici più sensibili all'inquinamento at-mosferico e alle variazioni climatiche (Lamiet al., 2000).Le ricerche sui laghi remoti in ambiente alpinohanno dimostrato l’esistenza di una relazione tral'acidità delle acque e le condizioni climatiche, inparticolare l'aumento della temperatura (Psennere Schmidt, 1992). A causa dei bacini imbriferi dipiccole dimensioni e spesso costituiti da roccepoco solubili di natura silicica, come gneiss egraniti, il pH delle acque di questi laghi è rego-lato principalmente: (1) dalla solubilità delle roc-ce, che aumenta con la temperatura (Zobrist eDrever, 1990), e (2) dai processi di riduzione chepossono, per mancanza di ossigeno durante il pe-riodo di copertura di ghiacci, determinare un au-mento di pH (Koinig et al., 1998). Il dilavamen-to delle rocce e dei suoli nel bacino ed il conse-guente apporto di soluti a lago non ha effetti so-lo sul pH, ma su tutta la composizione chimicadelle acque. Temperature più elevate possono in-crementare i processi di dissoluzione fisico-chi-mica dei minerali costituenti rocce e suoli, e

quindi aumentare l’apporto dei prodotti delweathering alle acque. Anche la copertura di ne-ve al suolo, sia come estensione che come dura-ta, è un fattore importante, in quanto una sua ri-duzione in un clima più caldo comporta unamaggior esposizione delle superfici ai processidi dilavamento. Periodi prolungati senza neve alsuolo, a causa delle ridotte precipitazioni o deldisgelo anticipato, possono quindi portare ad unaumento del contenuto di soluti nei laghi (Wö-grath e Psenner, 1995).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Studi sull’idrochimica lacustre in ambiente alpinoNel biennio 2000-01, nell’ambito di due Progettifinanziati dall’UE (RECOVER 2010 ed EMER-GE) sono stati campionati ed analizzati per leprincipali variabili chimiche 35 laghi d’alta quo-ta (1900-2700 m s.l.m.) situati nelle Valli Ossolae Sesia, nelle Alpi Centrali. I risultati ottenuti daquesta survey sono stati confrontati con quellipregressi disponibili per gli stessi laghi e rappre-sentativi della metà degli anni ’80, al fine di evi-denziare le principali variazioni intervenute nellachimica delle acque (Rogora et al., 2003). Perdue ambienti, i Laghi Boden Inferiore e Superio-

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Gli effetti del riscaldamento climatico sulla chimica delle acque in ambiente alpino

M. Rogora, P. Guilizzoni, A. Lami, A. Marchetto, R. MoselloIstituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, [email protected]

SOMMARIO: L’idrochimica dei laghi d’alta quota è influenzata principalmente dagli apporti atmosferici e dallevariazioni meteo-climatiche. La riduzione della copertura di neve al suolo, a causa delle ridotte precipitazionie dell’aumento di temperatura, determina una maggior esposizione di rocce e suoli ai processi di weathering.Questi ultimi, unitamente alle variazioni indotte dai processi biologici, a loro volta influenzati da fattori me-teo-climatici, possono modificare il valore di pH ed il contenuto in soluti delle acque. I dati chimici relativi a35 laghi situati nelle Valli Ossola e Sesia (Alpi Centrali), campionati nel corso degli anni ’80 e nel biennio2000-01, hanno dimostrato una relazione tra i processi di weathering e le variazioni di temperatura. Questo ri-sultato è stato confermato dagli studi paleolimnologici condotti su un lago remoto d'alta quota (Lago Cristal-lina, Canton Ticino), aventi come obiettivo principale la ricostruzione dei cambiamenti paleoambientali.

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re (Val Formazza, 2234 e 2243 m s.l.m. rispetti-vamente), è disponibile inoltre una serie presso-ché continua di dati a partire dal 1978. Questi la-ghi soni collocati in bacini formati in parte darocce solubili ed alcaline e sono caratterizzati daacque ben tamponate (pH 7,8-8,1, alcalinità 450-550 µeq L-1), con un elevato contenuto in soluti.L’idrochimica di questi laghi dipende fortementedai processi di weathering, ed e quindi particolar-mente influenzata dalle variazioni meteo-climati-che che regolano tali processi. Le variazioni osservate nel contenuto e nella ti-pologia dei soluti principali nelle acque lacustrisono state discusse in relazione ai dati di tempe-ratura, precipitazioni e copertura di neve al suo-lo nell’area di studio relativi agli ultimi 25-30anni (Rogora et al., 2004).

2.2 Ricerche paleolimnologicheOltre agli studi sull’evoluzione della chimica deilaghi negli anni più recenti, sui laghi alpini sonostate condotte anche ricerche paleolimnologi-che, aventi come obiettivo principale la ricostru-zione dei cambiamenti paleoambientali nel cor-so degli ultimi 2-3000 anni. La ricostruzione deivalori di pH in particolare, è una tecnica relati-vamente affidabile, in quanto un gruppo di algheunicellulari, le diatomee, oltre a lasciare resti ri-conoscibili nel sedimento, risponde in modoevidente ai cambiamenti dei valori di pH. Que-sto tipo di analisi, condotta sul Lago Cristallina,in Canton Ticino (2398 m s.l.m.), ha permessodi ricostruire i valori di pH delle acque del lagonegli ultimi 130 anni e di metterli in relazionecon le variazioni di temperatura rilevate nellastazione di Lugano, collocata a poca distanza dallago oggetto di studio (Marchetto et al., 1997).

3 RISULTATI RILEVANTI

Dal confronto tra i due periodi di studio (2000-2001 e 1984-87) è emerso come i valori di pHsiano aumentati nella maggior parte dei laghioggetto della ricerca, principalmente a causadella riduzione negli apporti acidi dall’atmosfe-ra (Rogora et al., 2006). Il pH è aumentato co-munque anche nei laghi caratterizzati da valorimedio alti (> 6.5) e quindi non suscettibili all’a-

cidificazione (alcalinità > 50 µeq L-1). I laghiimpostati in bacini contenenti rocce solubili, ecaratterizzati quindi da valori elevati del conte-nuto ionico e della conducibilità (> 500 µeq L-1

e > 25 µS cm-1 a 20°C, rispettivamente), hannomostrato un aumento di entrambe queste varia-bili rispetto agli anni ’80. Gli stessi laghi hannovisto un aumento nelle concentrazioni di alcali-nità e cationi basici (Ca++, Mg++, Na+, K+)(Fig. 1). Infine, un aumento nel contenuto di sol-fati è stato osservato nei laghi con acque ricchedi questo composto, a causa della presenza nelbacino di rocce quali gessi e anidriti. Per questilaghi la sorgente principale di solfati non è rap-presentata dalle deposizioni atmosferiche, bensìdal weathering di minerali ricchi di zolfo (Ro-gora et al., 2003).Anche la serie storica di dati disponibile per iLaghi Boden mostra una significativa tendenzaall’aumento delle concentrazioni di alcalinità,cationi basici e solfati e dei valori di conducibi-lità, indicativa del contenuto ionico delle acque(Fig. 1). L’aumento di questi ultimi, in particola-re, appare in netto contrasto con quanto osserva-to per le deposizioni atmosferiche, le quali han-no visto una significativa riduzione delle con-centrazioni di solfati negli ultimi 20-25 anni(Rogora et al., 2006).Il trend osservato per i Laghi Boden, e comunead altri laghi nell’area di studio, può esseremesso in relazione ad un’intensificazione delprocesso di weathering a causa dal riscalda-mento climatico. I dati meteorologici disponi-bili per alcune stazioni nell’area di studio a par-tire dalla fine del 1800 o dai primi decenni del1900 mostrano un significativo aumento delletemperature, particolarmente marcato negli ul-timi 30 anni (Rogora et al., 2004). I dati sullacopertura di neve al suolo evidenziano unamarcata riduzione sia dello spessore medio delmanto nevoso che del periodo di copertura delsuolo, in particolar modo negli ultimi 15-20 an-ni (Rogora et al., 2004).I risultati ottenuti dallo studio sul Lago Cristalli-na hanno confermato la relazione esistente traweathering, rappresentato in questo caso dai va-lori di pH, e temperatura.Per buona parte degli ultimi due secoli il pH del

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Lago Cristallina ha avuto oscillazioni compresetra 5,8 e 6,1; valori più bassi sono stati riscontratisolo nei campioni più superficiali della carotamentre acque con pH elevati caratterizzano dueperiodi antichi (Fig. 2). La coincidenza temporale con l'aumento delleparticelle carboniose (Fig. 2) dimostra che, co-me notato per numerosi altri laghi delle Alpi, ilrecente abbassamento del pH è dovuto alla de-posizione di inquinanti di origine atmosferica.Per contro, per via della loro localizzazione re-mota, le oscillazioni di pH evidenziate in perio-di pre-industriali, devono essere ascritte a causenaturali. Si è notato infatti che le zone a pH re-lativamente elevato coincidono con i periodi diavanzamento del ghiacciaio di Grindelwald chesi trova a ca. 30 km dal Lago Cristallina. In que-sto periodo il lago rimaneva probabilmente co-perto di ghiaccio per buona parte dell’anno, e leconseguenti condizioni di anossia portavano al-la formazione di composti ridotti e quindi ad unconsumo di acidità e ad un aumento di pH (Mar-chetto et al., 1997).Per gli ultimi 130 anni circa, invece, le variazio-ni di pH sono significativamente correlate (r =0,77; p < 0,001) con la temperatura media del-l'aria rilevata a Lugano (Fig. 2).

4 PROSPETTIVE FUTURE

Le ricerche effettuate hanno dimostrato come lachimica delle acque in ambiente alpino rispondaalle variazioni negli apporti atmosferici, adesempio alla riduzione nell’acidità delle piogge,ma attraverso l’interazione con altri fattori qualiquelli meteo-climatici. Molti laghi alpini sono attualmente in una fase direcupero dall’acidificazione, ma continuano adessere interessati dalla deposizione di inquinantidall’atmofera, quali composti dell’azoto, metallipesanti e composti organici di sintesi. La rispo-sta di questi ambienti ai futuri scenari di deposi-zione sarà fortemente condizionata dall’evolu-zione climatica. Si rendono quindi necessarie ri-cerche di approfondimento sull’interazione trafattori meteo-climatici e processi che avvengononei suoli del bacino e nelle acque. Lo studio condotto sul Lago Cristallina, così co-me molti altri effettuati nell'ultimo decennio (La-mi et al., 2000), ha confermato come i laghi al-pini d’alta quota siano utilizzabili non solo per lostudio dell'inquinamento a lunga distanza, maanche per la valutazione della variabilità climati-ca. La citata relazione tra pH e temperatura, ri-scontrata in diversi ambienti, può essere in ulti-

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 1: Trend di alcune variabili chimiche nelle acque dei Laghi Boden Superiore (LBS) ed Inferiore (LBI) dal 1978 al 2006.

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ma analisi utilizzata per inferire le variazioni cli-matiche naturali in aree remote utilizzando letecniche di ricostruzione del pH comunementein uso in paleolimnologia.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

596

Figura 2: Distribuzione dei valori di pH ricostruiti dall'analisi delle diatomee e della concentrazione di particelle car-boniose (N. per mg di peso secco) nella carota di sedimento del Lago Cristallina e confronto con la temperatura mediaannuale a Lugano (linea sottile) e media mobile di ordine 7 (linea più spessa). In figura sono anche riportati i periodidi avanzamento dei ghiacciai e la relazione che lega il pH alla temperatura

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1 INTRODUZIONE

Le aree remote d’alta quota della Terra (Alpi,Himalaya, Ande ecc.) per la loro fragilità, alpari delle calotte glaciali, costituiscono unluogo ideale per gli studi delle conseguenzedei cambiamenti globali. Tuttavia per potercomprendere appieno questi ecosistemi e leloro variazioni sono necessari studi prolunga-ti nel tempo e su scale spaziali che vanno daimetri alle migliaia di chilometri poiché lecondizioni ambientali che influenzano gliecosistemi e gli effetti che queste produconodifferiscono a seconda della prospettiva siaspaziale che temporale con cui vengono os-servati (Kratz et al., 2003).Nell’area Himalayana del Sagarmatha Natio-nal Park (SNP) l’Istituto di Ricerca Sulle Ac-que (CNR-IRSA) e l’Istituto per lo Studio de-gli Ecosistemi (CNR-ISE), nell’ambito dellericerche promosse dal Comitato Ev-K2-CNR,a partire dal 1989 hanno avviato una serie di

studi limnologici sui corpi lacustri situati aquote superiori a 4300 m, mentre più recente-mente (1994) a queste indagini si sono affian-cate misure climatiche su lungo periodo. Dal2000 il monitoraggio è stato esteso a tutta lavalle del Khumbu attraverso una rete di sta-zioni di misura poste tra la quota di 2660 e5050 m s.l.m. Nei laghi, attraverso l’installa-zione di catene di termistor posizionate nelpunto di massima profondità, vengono inveceesaminati gli effetti delle variazioni dei cam-biamenti globali sulle deboli stratificazionitermiche, che caratterizzano gli ecosistemilentici d’alta quota. Per questi motivi i laghiHimalayani del SNP rientrano nella rete IL-TER, International Long Term Ecological Re-search (Greenland et al., 2003), che si prefig-ge l’obiettivo di raccogliere su lungo periododati di riferimento relativi a numerosi ecosi-stemi distribuiti su tutto il mondo, prodotti conmetodologie di qualità garantite nel tempo.

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Influenze climatiche sui corpi lacustri del Sagarmatha National Park, Mount Everest, Nepal

A. Lami1,2, A. Marchetto1, G. Morabito1, M. Manca1, R. Mosello1, G.A. Tartari1,R. Piscia1, G. Tartari3,4, F. Salerno3,4

1Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, Italia2Unità di Ricerca esterna “Ev-K2-CNR”, Bergamo, Italia3Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Brugherio (Mi), Italia4Comitato Ev-K2-CNR, Bergamo, [email protected]

SOMMARIO: I laghi di alta quota, benché posti in aree remote, sono minacciati da una crescente pressioneantropica che tende a modificare questi ecosistemi. In queste aree gli effetti dei cambiamenti globali sonopiù pronunciati. Il ritiro glaciale, ad esempio, ha una profonda influenza sull’idrologia ed ha come direttaconseguenza l’alterazione della distribuzione degli ecosistemi lacustri. Nell’area Parco Nazionale Sagar-matha (Monte Everest) da circa due decenni vengono studiati i laghi a quote superiori a 4300. I dati lim-nologici sono organizzati in un Limnological Information System costituito da un supporto cartograficoinformatizzato a cui è associato un geo-database. L’obiettivo delle banca dati, che si intende sviluppare epotenziare, è di fornire da un lato una indicazione sulla tipologia dei laghi e sulle loro alterazioni e dal-l’altro permettere il confronto con banche dati di altre aree geografiche per valutare a livello globale glieffetti dei cambiamenti climatici.

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2 GLI EFFETTI DEL CAMBIAMENTO DEL CLIMASUI LAGHI HIMALAYANI

2.1 LIS: Limnological Information Systemdell’area del Monte EverestIl SNP copre la parte più settentrionale del ba-cino del fiume Dudh Koshi, a sua volta com-preso nel Sapta Koshi, uno dei sette maggioribacini idrografici in cui è suddiviso il Nepal.Istituito nel 1976, con un’area di 1141 km2, co-stituisce una particolare unità geografica conun forte gradiente altitudinale circondatocom’è da catene montuose tra le più alte dellaTerra, tre delle quali superano gli 8000 m(Everest, Lhotse e Cho Oyu) e il punto più bas-so a 2845 m (Monjo). Il confine Nord del Par-co corrisponde alla linea spartiacque della ca-tena Himalayana lungo la quale passa il confi-ne internazionale tra Cina (Tibet) e Nepal.Il primo catasto dei laghi del SNP (Tartari etal., 1998) è stato realizzato dal CNR-IRSAnel 1994, utilizzando l’unica carta topografi-ca disponibile a quel tempo, che copriva ilsettore Nord-Est del Parco. Alla fine degli an-ni ‘90 la disponibilità di una completa coper-tura cartografica del SNP, ad uguale scala(1:50.000) della precedente, ha permesso il ri-facimento della base digitale. Contempora-neamente è stata anche realizzata la digitaliz-zazione di una precedente carta degli anni‘50, utilizzando un unico sistema di riferi-mento (UTM Datum: Everest 1830), con loscopo di valutare le variazioni morfologichelacustri. Per ciascuna carta si è proceduto alladigitalizzazione dei laghi, dei ghiacciai e deiloro bacini idrografici, creando un DigitalElevation Model (DEM) con cui si sono rica-vati i dati relativi alla quota, all’esposizione ealla pendenza dei versanti dei bacini e dellesuperfici glaciali. Il geo-database così ottenu-to contiene i principali dati morfometrici deicorpi idrici del Parco di due periodi distanzia-ti di 40 anni: il primo individuabile nel de-cennio a cavallo del 1950 ed il secondo data-bile con certezza al 1992. Ciò ha permesso diindividuare i cambiamenti intervenuti tra lametà e la fine del ‘900 e di valutare le rela-zioni tra queste variazioni e i parametri

morfometrici ricavati per mezzo del DEM.Complessivamente nella cartografia più re-cente (Fig. 1) sono stati individuati 135 laghicon una superficie totale di 5,54 km², di cuipoco meno di 1/3 sono stati visitati nel corsodelle spedizioni.

2.2 Variazioni morfologiche dei laghi delSNP verificatesi nell’arco di 40 anniIl confronto tra le cartografie sopradescrittehanno evidenziato, tra la metà del ‘900 ed il1992, una lieve riduzione della copertura gla-ciale complessiva (4.6%), con una grande di-somogeneità tra i diversi ghiacciai; un legge-ro spostamento dell’orientazione prevalentedei ghiacciai verso Ovest (da 192° a 196°), eduna diminuzione della loro pendenza (da 27%a 23%). L’analisi statitisca ha messo in luceche le maggiori perdite sono avvenute perquelli di piccole dimensioni, a quote più bas-se ed a latitudini inferiori. A seguito di questemodificazioni, nello stesso periodo, l’analisidella distribuzione dei copri idrici evidenziaun aumento di circa il 70% del numero di la-ghi, con un incremento della superficie totaledel 49,7%. I laghi di nuova comparsa sonopiù abbondanti nella fascia altitudinale com-presa tra i 5100 e 5400 m, mentre quelli pre-senti nella cartografia di metà ‘900 sono loca-lizzati tra i 4800 e i 5100 m, ossia a circa 300m di quota inferiore. I nuovi laghi sono, infi-ne, collocati in corrispondenza della fascia al-titudinale in cui si sono osservate le maggioridiminuzioni delle superfici glaciali. In con-clusione, si può affermare che oltre al notevo-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Distribuzione geografica dei laghi del Sagar-matha National Park inclusi nel LIS.

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le aumento del numero e della superficie deilaghi, si è assistito anche a un loro “innalza-mento” di quota, associabili con gli effettidella diminuzione delle superfici glaciali,connessa con i cambiamenti del clima.

2.3 Variazioni limnologiche dei laghi nell’ar-co di 20 anniLe ricerche in Himalaya sono svolte nell’am-bito del Progetto Ev-K2-CNR. Il CNR-ISE, incollaborazione con il CNR-IRSA, si è occu-pato di sviluppare le indagini limnologichecon particolare riguardo al campo dell’idro-chi-mica, della biologia e dello studio dei se-dimenti. In quest’area infatti le informazionilimnologiche sui laghi erano praticamente as-senti, se si escludono i lavori pionieristici diLöffler (1969).I principali risultati di questa ricerca possonocosì essere schematizzati:• lo studio delle caratteristiche limnologiche

di diversi corpi idrici di alta quota del SNPlocalizzati nell’area della Piramide Labora-torio-Osservatorio ha consentito di definirele loro caratteristiche chimiche e biologi-che, nonchè l’interazione tra le biocenosi el’ambiente;

• la possibilità di ripetere le analisi chimiche ebiologiche sulle acque di alcuni laghi per di-versi anni successivi (una serie temporaleche già copre quasi 20 anni) ha consentito dimisurare la variabilità temporale di questecomunità biologiche. A titolo di esempio sipuò ricordare che, sulla base della composi-zione ionica delle acque dei laghi, è stataevidenziata un’evoluzione delle caratteristi-che chimiche in relazione ai processi che av-vengono nel bacino imbrifero, molto proba-bilmente più legati ai fenomeni di riduzionedei ghiacci che non all’aumento degli appor-ti atmosferici conseguenti all’espansione in-dustriale nel continente asiatico. I valori diinquinanti misurati in questi ambienti sono,infatti, ben inferiori rispetto a quelli riscon-trati, ad esempio, sulle Alpi dove l’influenzaantropica è molto più importante;

• gli studi condotti sono anche rivolti diretta-mente alla valutazione dell’influenza delle

caratteristiche climatiche sulle caratteristi-che termiche lacustri. Nei due laghi in pros-simità del laboratioro Piramide, la stabilitàtermica verticale e la durata della coperturaglaciale vengono misurate in continuo confrequenze biorarie da oltre 3 anni. La com-parazione di questi risultati con le stazioniclimatiche del Comitato Ev-K2-CNR in-stallate nell’area consentiranno, nel tempo,di verificare le modifiche indotte dal cam-biamento climatico.

Sulla peculiarità degli organismi presenti ne-gli ambienti campionati nell’ambito del Pro-getto riferì, come sopra evidenziato, Löffler(1969) segnalando la presenza anche di spe-cie endemiche: tra esse, la specie melanicaDaphnia tibetana (Daphniopsis tibetanaSars, 1908). La revisione dei caratteri diagno-stici di quest’ultima in campioni raccolti daalcuni siti ha portato ad erigere una nuovaspecie, Daphnia himalaya (Manca et al.,2006). Ciò conferma l’importanza degli am-bienti acquatici studiati dal punto di vista fau-nistico e come riserva di biodiversità. Analisicomparate in campioni di sedimento e incampioni d’acqua hanno messo in luce come,nel Lago 40, la specie melanica sia stata so-stituita nel periodo più recente da quella nonmelanica. Tali risultati, confermati da unostudio condotto su una carota di sedimentodel Lago Piramide Inferiore (Fig. 2), suggeri-scono che si possa ipotizzare una tendenza al-

Impatti dei cambiamenti climatici

599

Figura 2: Abbondanza di efippi di dafnie melaniche (delgruppo Ctenodaphnia) e non melaniche (del gruppo Hyalo-daphnia) in una carota di sedimento del Lago Piramide In-feriore raccolta nel 2004 e rappresentativa di circa 300 anni.

Page 138: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

la perdita di habitat favorevoli per il manteni-mento di questa specie. Ulteriori studi servi-ranno a verificare se si tratti di una fisiologi-ca alternanza tra dafnie melaniche e dafnienon melaniche, espressione dell’esistenza dicicli pluriennali, anche rapportabili a modifi-cazioni ambientali.

3 PROSPETTIVE FUTURE

Uno degli ostacoli maggiori alla comprensio-ne delle variazioni degli ecosistemi naturali èsolitamente data da tre fattori: la brevità tem-porale del periodo di studio (la maggior partedelle letteratura scientifica si basa su ricerchedi 1-2 anni), la limitata rappresentatività spa-ziale e la scarsa integrazione interdisciplinaredei risultati.Nei due decenni di indagini limnologichecondotte nel SNP, un importante sforzo è sta-to posto a ridurre al minimo gli ostacoli primacitati, integrando le ricerche con altre disci-pline (climatologia, idromorfologia, glaciolo-gia, ecc.). Per favorire l’integrazione e la di-sponibilità di informazioni, i risultati dellemisure effettuate sono stati raccolti in un da-ta-base relazionale di dati aggregati, che con-sentono di avere un quadro sufficientementeampio per un trattamento statistico al fine diuna migliore rappresentazione e gestione del-le informazioni disponibili. Il data-base è incorso di integrazione con il LIS, il sistemainformatico georeferenziato, che darà luogoad un completo geo-database, nel quale sa-ranno incluse anche le informazioni climati-che, glaciologiche ecc. disponibili.L’obiettivo è di raccogliere in modo organicoe sintetico, ma completo, nonché facilmenteaccessibile, attraverso una diffusione via web,l’insieme delle conoscenze disponibili sui fat-tori in grado di descrivere le modificazioniambientali indotte dai cambiamenti globali,intesi sia in senso climatico che del trasportodegli inquinanti.

4 RINGRAZIAMENTI

Queste ricerche sono svolte nell'ambito delProgetto Ev-K²-CNR in collaborazione con laNepal Academy of Science and Technology,come previsto dal Memoran-dum of Under-standing tra il Nepal e l'Italia, e grazie al con-tributo del Consiglio Nazionale delle Ricer-che e del Ministero degli Affari Esteri.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

600

Page 139: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 PROBLEMA SCIENTIFICO

In seguito al cambiamento climatico in attosulla Terra, anche le grandi masse lacustrihanno visto mutati i rapporti tra le varie formedi energia di scambio che avvengono tra laloro superficie e l’atmosfera sovrastante.Conseguentemente, si sono alterati anche irapporti all’interno delle masse d’acqua conmodificazioni sostanziali dell’idrodinamicadurante il ciclo annuo, con effetti negativi sul-l’ecosistema lago. I segnali che evidenzianoqueste modifiche sono già evidenti anche se illoro livello è ancora tale che in alcuni laghi po-trebbero rientrare in una naturale variabilitàclimatica. Certo che se le spinte al disequili-brio atmosferico prevarranno, si potrebbero in-nestare pericolose e incontrollabili conseguen-ze con mutamenti particolarmente evidenti allemedie latitudini, quelle proprie dei laghi pro-fondi italiani: nelle loro acque infatti, si è assi-stito, in questi ultimi 50 anni, ad un notevole eprogressivo incremento del loro contenutoenergetico, soprattutto negli strati profondi. Lo studio dei contenuti calorici nei grandi laghi,soprattutto se disponibili per un lungo periododi tempo, risultano quindi essere buoni indica-

tori del riscaldamento globale in atto, al pari dialtri quali il ritiro dei ghiacciai, l’aumento delladesertificazione e del livello del mare.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Serie storiche di dati sono state raccoltedall’Istituto degli Ecosistemi del CNR diPallanza, coprono circa 50 anni e riguardanola temperatura, l’ossigeno disciolto e altre va-riabili chimiche misurate con cadenza mensilee/o decadica da 0 a 370 metri di profonditànelle acque del Lago Maggiore; esse possonoessere considerate tra le più lunghe esistenti inquesto campo. Sono altresì disponibili le seriegiornaliere dei parametri meteorologici edidrologici, innescanti i fenomeni idrodinamicie responsabili dei processi di scambio di ener-gia all’interno della massa d’acqua. È statofatto uso di un modello matematico per la de-terminazione della profondità raggiunta dalmescolamento verticale invernale e si è prov-veduto ad un aggiornamento dei dati del LagoMaggiore e di altri laghi italiani per la verificadi particolari fenomeni di circolazione interna.Con la collaborazione di Bob Banens(University of NEA, Australia) è stato messo a

601

Riscaldamento delle acque profonde nei laghi italiani: un indicatore di cambiamenti climatici

W. Ambrosetti, L. Barbanti, E.A. CarraraIstituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, Italia [email protected]

SOMMARIO: Nell’ipolimnio del Lago Maggiore (zmax=370m) è stato individuato uno strato d’acqua che con-tiene una memoria climatica questa è stata determinata nella sua collocazione spazio-temporale e nella suadimensione energetica in base alla profondità di mescolamento invernale, agli scambi di calore entro lamassa lacustre ed alle correlazioni KZ-N2 durante la stratificazione estiva. La presenza di tale strato è statarilevata anche in altri laghi italiani e dalla loro evoluzione appare visibile un andamento pressoché identico.Il quadro osservato è simile a quello delle serie storiche di temperatura dell’acqua rilevata in altri laghi emari del mondo e suggerisce che si tratti di un fenomeno che si manifesta su ampia scala e che può essereinterpretato nell’ottica di un cambiamento climatico attualmente in atto. Ciò comporta per i laghi italiani unisolamento dell’ipolimnio profondo favorendo la stagnazione ed il conseguente processo di meromissi.

Page 140: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

punto un programma (LIMNOX), che ha per-messo di determinare la distribuzione metroper metro dalla superficie al fondo del conte-nuto di calore, nonché della stabilità e del la-voro del vento anche negli altri laghi profondidella zona pre-alpina (Orta, Como, Iseo eGarda) dove sono già evidenti sintomi di va-riabilità legati ai mutamenti climatici. Inoltreattraverso un modello matematico CFD(Computational Fluid Dynamics) si è eseguitauna simulazione dell’idrodinamica lacustre apartire dallo scambio energetico entro il lago econ l’atmosfera (Ambrosetti et al., 2006).

3 RISULTATI

Valutate le quantità energetiche in gioco neiprocessi di stratificazione e destratificazionetermica, nonché le profondità di mescolamen-to invernale (determinanti per identificare glistrati di lago potenzialmente interessati al ri-cambio idrico), si è visto che negli ultimi 50anni e, in particolare, a partire dalla metàdegli anni ottanta è aumentata sensibilmentela stabilità della massa d’acqua e si sono ri-dotte le profondità raggiunte dal mescolamen-to convettivo invernale proprio nel momentoin cui nel lago viene a formarsi la cosiddetta“massa d’acqua nuova”. All’incremento dellavoro necessario alla piena circolazione delleacque, per l’aumento di temperatura entrotutta la colonna d’acqua, si è affiancato un mi-nore effetto destabilizzante invernale esercita-to dall’azione delle forze esterne. È quindi ve-nuta a mancare l’energia cinetica necessaria alprocesso di destratificazione che è progressi-vamente diminuita nell’ultimo ventennio. Le profondità di mescolamento verticale(Fig. 1), essenzialmente dovute ai movimenticonvettivi innescati durante la fase di raffred-damento sono state valutate nel LagoMaggiore per il periodo 1951-2007 sulla basedella distribuzione verticale della temperaturadell’acqua, delle concentrazioni di ossigenodisciolto, di nitrati e silicati utilizzati cometraccianti; è stata anche messa a punto unaformulazione che individua le forze meteoro-logiche che intervengono nel processo e cioè

la quantità giornaliera di vento filato, la diffe-renza fra le temperature medie giornalieredell’acqua superficiale e dell’aria e la radia-zione solare attraverso un parametro M.(Ambrosetti e Barbanti, 1999).Come si può osservare in Figura 1 ad un ciclodi 7 anni riscontrabile sino al 1970 è succedu-to un periodo di 36 anni nel quale lo stratomescolato invernale per moti convettivi nonha superato i 200 metri di profondità. Da sot-tolineare il fatto che la piena circolazione del1956 è avvenuta con una temperatura dell’ac-qua su tutta la colonna di 5,8 °C, mentre nel1963 è stata di 5,9 °C e nel 1970 di 6,0 °C; ilprocesso è avvenuto nel 2006 a 6,22°C. Conl’uso della stepwise multiple regression si èpotuto verificare che il parziale mescolamen-to degli anni dal 1970 al 1980 fu dovuto prin-cipalmente ad una diminuzione di vento filatosulla superficie del lago mentre nella secondafase (1987-2006) esso è invece da accreditaread un incremento della temperatura dell’ariarispetto a quella dell’acqua superficiale. E’una prima constatazione del fatto che nelcorso di questi ultimi 50 anni si è verificato unnotevole accumulo di calore entro tutta lamassa d’acqua del Lago Maggiore negli annidal 1963 al 2006: il suo andamento mostra lapresenza di un evidente ciclo stagionale moltonetto ed un trend generale in ascesa (Fig. 2). Sulla base delle profondità raggiunte dal me-scolamento verticale al termine dell’anno lim-nologico, del bilancio termico annuo, nonchédella distribuzione lungo la verticale del con-tenuto calorico e del rapporto tra il logaritmo

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

602

Figura 1. Profondità di mescolamento verticale delleacque del Lago Maggiore per moti convettivi alla finedell’inverno limnologico nel periodo 1963-2007.

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del coefficienti di mescolamento verticale(Kz) e il logaritmo della frequenza di galleg-giamento di Brunt-Vaisala (N2) nel periodoAprile-Agosto, si sono valutate le profonditàdi scambio percentuale del calore annuo al-l’interno della massa d’acqua dei laghi pro-fondi (Ambrosetti e Barbanti, 1999)Attraverso questa procedura si è potuto isola-re nella parte di lago sotto il livello ove Kz eN2 si equivalgono, uno strato che è stato de-nominato ipolimino profondo e che ha la pos-sibilità di mantenere una sorta di “memoriaclimatica”. L’andamento del suo contenutoenergetico mostra variazioni che si adeguanoad una scala dei tempi comparabile con quel-la delle variazioni climatiche permettendocosì di conoscere la risposta degli ecosistemilacustri ai mutamenti del clima e di stabilireche tipo di legame ci sia tra climate forcing ela risposta del lago (Ambrosetti e Barbanti,1999; Ambrosetti e Sala, 2006).L’ andamento del contenuto energetico di que-sto strato nei Laghi Maggiore (zmax=370m),Garda (zmax=350m) e Orta (zmax=143m) dal1963 al 2006, rappresentato in Figura 3, è incontinua ascesa e mostra delle variazionienergetiche che si adeguano ad una scala deitempi più lunga di quella stagionale e compa-rabile alle ricorrenze di eventi meteorologiciimportanti.Dal confronto dell’evoluzione temporaledelle “memorie climatiche” nei tre bacini con-siderati risulta un andamento pressoché iden-tico, con un generale trend crescente e con va-riazioni, positive e/o negative, che si manife-

stano contemporaneamente e che corrispon-dono a particolari eventi idrometeorologici.Particolarmente evidenti sono quelle del1981, 1991 e 2005, i primi due causati da ec-cezionali eventi idrologici mentre nel 2005 daun inverno eccezionalmente freddo. Le me-morie climatiche dei laghi profondi sud alpiniitaliani, così come la loro idrodinamica,hanno quindi andamenti paralleli, il che signi-fica che gli stessi eventi meteorologici si sonomanifestati con le stesse modalità su tutti icorpi lacustri sud alpini e quindi è da ipotiz-zare una loro azione su scala regionale. Ma glistessi trend sono stati riconosciuti oltre chenelle memorie climatiche dei laghi di Como(zmax=410 m) e Iseo (zmax= 251 m), sempreappartenenti al distretto lacustre dell’Italiasettentrionale, anche nelle serie storiche ditemperatura nelle acque profonde in laghiposti al centro Italia, a nord delle Alpi, nell’i-

Impatti dei cambiamenti climatici

603

Figura 3: Andamento della memoria climatica contenutanei Laghi profondi italiani, Maggiore (strato compresomediamente tra 150-370m), Garda (180-350m) e Orta(75-143m). I valori del Lago d’Orta sono riferiti all’assedi destra.

Figura 2. Andamento del contenuto totale di calore nelleacque del Lago Maggiore nel periodo 1963 2006.

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polimnio del Lago Vittoria (Africa equatoria-le) e in laghi Australiani. Molte analogie sonostate inoltre riscontrate per l’evento invernaledel 1981 nel Mediterraneo (Betthoux et al.,1990) al di sotto dei 2000 metri di profondità,nonché nel mare della Groenlandia (Bonischet al., 1998) tra 200 e 2000 metri di profondi-tà. È da ritenere di conseguenza che i proces-si idrodinamici che si verificano nelle acquedei corpi lacustri italiani siano dipendenti dasituazioni climatiche che si manifestano suampia scala e che possano essere interpretatenell’ottica di un cambiamento climatico glo-bale attualmente in atto sulla Terra.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Il riscaldamento della massa lacustre, la ridu-zione progressiva del mescolamento comple-to e dell’omogeneizzazione della colonnad’acqua, già verificatosi nell’ultimo venten-nio, in seguito all’incremento della tempera-tura atmosferica che allunga notevolmente iltempo di ricambio delle acque dei laghi, potràdeterminare un ulteriore isolamento dell’ipo-limnio profondo, favorendo la stagnazione edil conseguente processo di meromissi già inatto nei laghi di Lugano e Idro e accertato re-centemente anche nell’Iseo (Ambrosetti eBarbanti, 2005). Anche se alcuni eventi ester-ni, come abbiamo visto, possono alterare l’in-cremento del trend in ascesa della memoriaclimatica, un ritorno alla situazione dei primianni è assai improbabile: si è infatti valutato illavoro necessario per un completo mescola-mento invernale a 5,8 °C, come avvenuto nel1963 e si è visto che non è possibile per le

forze esterne, con l’attuale incremento termi-co atmosferico, porlo in atto. Di conseguenzail materiale particolato e disciolto riciclatodagli strati profondi verso quelli superficialiviene ridotto, la densità negli strati più de-pressi aumenta per cui la qualità dell’acquanon può che subire un peggioramento a dannodella conservazione dei laghi, del loro utilizzoe della loro gestione.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ambrosetti W., Sala N., 2006. ClimaticMemory, Chaos and Complexity Letters.Int. J. Dyn. Syst. Res., 2(1): 125-127.

Ambrosetti W., Sala N., Castellano L., 2006. ASensitivity Study on the Hydrodynamics ofthe Verbano Lake by Means of a CFD Tool:the 3D Effects of Affluents, Effluent andWind, Chaos and Complexity Letters. Int.J. Dyn. Syst. Res., 2(3): 75-79.

Ambrosetti W., Barbanti L., 2005. Evolutiontowards meromixis of Lake Iseo(Northern Italy) as revealed by its stabilitytrend. J. Limnol., 64(1): 1-11.

Ambrosetti W., Barbanti L., 1999. Deep waterwarming in lakes; an indicator of climaticchange. J. Limnol., 58(1): 1-9.

Betthoux J.P., Gentili B., Raunet J., TailliezD., 1990. Warming trend in the westernMediterranean deep water. Nature, 347:660-662.

Bönisch G., Blindheim J., Bullister J.L,Schlosser P., Wallace D.W.R., 1998. Longterm of temperature, salinity, density andtransient tracer in the central Geenland. J.Geoph. Res., 102(C8): 18553-18571.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

604

Page 143: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Negli ultimi anni molti dati relativi al paleo-clima provenienti da analisi “multiproxy” svi-luppate su diversi archivi naturali (es. coralli,carote di ghiaccio, carote di sedimenti lacustrie marini) sono stati usati per calibrare model-li di ricostruzione della temperatura globale suvarie scale temporali. Tra gli archivi naturali,i sedimenti lacustri conservano diversi restifossili (es. pigmenti fotosintetici, polline, dia-tomee) che forniscono dati su temperatura,trofia, produttività e danno indicazioni non so-lo sulla storia del lago ma anche del suo baci-no imbrifero in relazione a cambiamenti cli-matici di origine naturale e antropica.Il Plateau Tibetano è una delle regioni più isola-te e meno esplorate nel mondo ed è spesso defi-nito come il “Terzo Polo”; i laghi situati in que-st’area remota sono particolarmente indicati pergli studi paleoecologici e paleoclimatici poiché,ad esempio, il segnale climatico è amplificato ri-spetto alla scarsa influenza dell’attività antropi-

ca. Un altro aspetto importante di cui bisogna te-nere conto è che le conoscenze ad oggi ottenutesulle condizioni climatiche e la loro evoluzionenegli ultimi secoli sono fortemente influenzatedalla distribuzione dei siti investigati che sonoconcentrati nell’emisfero Nord e alle alte latitu-dini. È quindi necessario, al fine di testare e va-lidare le ricostruzioni a scala globale, espanderele ricerche nelle regioni meno investigate dellaterra. In particolare, il Plateau Tibetano gioca unruolo fondamentale nella circolazione atmosferi-ca sia a scala locale sia extra-regionale. Il mon-sone indiano e il forte campo di alta pressionechiamato “Tibetan High” sono infatti agenti cli-matici determinanti per la circolazione atmosfe-rica nell’emisfero boreale, come evidenziato re-centemente dal notevole interesse nel mondoscientifico per la cosiddetta “Asian BrownCloud” (http://www-c4.ucsd.edu/Project ABC/).Inoltre, i risultati di alcuni studi (Bush, 2004.)hanno messo in evidenza una connessione trale condizioni climatiche nell’area Himalayana,dominate dal monsone asiatico, e le variazioni

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Indagini paleolimnologiche in laghi Himalayani:ricostruzioni del clima del passato ed effetti delle variazioni climatiche sulle biocenosi

A. Lami1, S. Musazzi2, M. Manca2, A. Marchetto2, P. Guilizzoni2, L. Guzzella3

1Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, Italia2Unità di Ricerca esterna “Ev-K2-CNR”3Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Brugherio, Milano, [email protected]

SOMMARIO: I laghi situati in aree remote sono ecosistemi estremamente vulnerabili, sensibili e universal-mente considerati siti ideali per lo studio dei cambiamenti ambientali a lungo termine. Purtroppo le cono-scenze ad oggi ottenute sul sistema climatico sono fortemente influenzate dalla distribuzione dei siti in-vestigati che sono concentrati nell’emisfero Nord e alle alte latitudini. Comprendere il cambiamento cli-matico nell’Asia centrale è particolarmente importante dato il ruolo che la regione Himalayana riveste nel-la circolazione atmosferica globale. Dal 1992, nell’ambito delle ricerche promosse dal ComitatoEv K2-CNR, sono state eseguite diverse indagini paleolimnologiche, paleoclimatiche e di composti orga-nici persistenti (POPs) sui sedimenti di alcuni laghi situati nella Valle del Khumbu, Nepal. Verrà qui pre-sentata una sintesi dei risultati più rilevanti che mettono in evidenza come questi ambienti possano essereutilizzati quali utili indicatori dei cambiamenti ambientali e climatici in atto.

Page 144: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

della copertura nevosa nell’Eurasia o le oscilla-zioni di intensità dell’ENSO (El Niño/SouthernOscillation) e quindi l’esistenza di un legamecon la circolazione atmosferica globale. Inoltrel’ampia varietà di ambienti lungo il transettoPolo-Equatore-Polo (PEPII, IGBP-PAGES)rende i sedimenti dei laghi situati in quest’areaparticolarmente adatti per le analisi paleoclima-tiche e modellistiche.Verrà qui di seguito presenta una breve rasse-gna degli studi paleolimnologici condotti finoad oggi in Himalaya evidenziando il potenzia-le contributo di questi ambienti nel migliorarele conoscenze sull’evoluzione del sistema cli-matico globale.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Nell’ambito del Progetto Internazionale di ri-cerca Ev-K2-CNR, il CNR-ISE di Pallanza siè occupato delle indagini limnologiche ine-renti l’idrochimica, la biologia e lo studio deisedimenti. In particolare nel corso di variespedizioni condotte tra il 1992 e il 2005 pres-so il Laboratorio-Osservatorio Piramide inNepal (5050 m s.l.m.) sono stati campionaticon un carotatore a gravità circa una decinapiccoli laghi (Fig. 1).Sulle carote di sedimento prelevate nel puntodi massima profondità e datate mediante me-todi radiometrici (210Pb, 137Cs e 14C) sono sta-ti effettuate analisi geochimiche (sostanza or-ganica totale, carbonati, nutrienti), biochimi-che (pigmenti algali) e biologiche (frustoli di

diatomee, cladoceri) seguendo un approcciodi studio multi-proxy, in cui l’analisi di piùparametri offre l’opportunità di una reciprocaconferma. Inoltre la determinazione di com-posti organici persistenti (POPs), ha permessodi descrivere l’impatto progressivo del cam-biamento globale dovuto al trasporto atmosfe-rico di inquinanti.I risultati ottenuti sui diversi corpi lacustri so-no stati pubblicati in Guilizzoni et al. (1998) ein Lami et al. (1998). In questa sede verrà il-lustrato un quadro riassuntivo facendo parti-colare riferimento ai risultati ottenuti più re-centemente sul Lago Piramide Inferiore (Mu-sazzi, 2005).

3 RISULTATI RILEVANTI

L’analisi sulla presenza di composti organicipersistenti (POPs) nei sedimenti di alcuni deilaghi oggetto di studio, ha rivelato che tra imetaboliti del DDT era presente solo il pp’DDE mentre era assente il pp’ DDT portandoa concludere che questi siti non ricevono in-quinanti da sorgenti locali ma solo da traspor-to da lunga distanza e in ogni caso la loro con-centrazione è estremamente bassa rispetto adaltre aree remote europee, più vicine alle fon-ti di inquinamento (Lami et al., 2007). Pertan-to le variazioni rilevate nelle biocenosi lacu-stri nell’arco dell’ultimo secolo sono da impu-tarsi più a un cambiamento climatico che aglieffetti dell’attività umana.Analizzando la storia di quest’area su una pro-spettiva temporale più ampia, lo studio condot-to sul Lago Piramide Inferiore ha messo in lucediverse fasi di cambiamento nei parametri geo-chimici (sostanza organica, acqua) e biologici(diatomee, produttività primaria) durante gli ul-timi 3500 anni, che possono essere messe in re-lazione (allo stesso modo dei laghi artici) con ladurata di copertura del ghiaccio e quindi indi-rettamente con la temperatura e le variazioniglobali del clima. In particolare si può afferma-re che da 3500 fino a circa 2500 anni fa (450aC), il lago ha attraversato l’ultima fase di unlungo periodo glaciale culminato intorno al2000 aC. A questa fase è seguito un periodo di

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

606

Figura 1: Foto di uno dei laghi campionati (LCN-15) edel Laboratorio-Osservatorio Piramide.

Page 145: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

generale elevata produttività, durato circa 800anni coincidente con la fase di riscaldamentoclimatico noto come Caldo Romano, e termina-to all’inizio del primo millennio AD. Il periodonoto come Caldo Medievale, nella regione Hi-malayana non è risultato così evidente come inEuropa essendo caratterizzato da repentineoscillazioni indicatrici di fasi di raffreddamento,coincidenti con periodi in cui nel sud est asiati-co si sono verificate eruzioni vulcaniche di en-tità catastrofica. Per contro la fine della LittleIce Age (1700-1800 AD) è evidenziata da unacorrispettiva fase di raffreddamento anche inquesta regione del Nepal in accordo con quantorilevato negli studi di glaciologia (Fig. 2).Infine, nel XX secolo, si è osservato nel LagoPiramide Inferiore un rapido ritorno a condi-zioni di elevata produttività, ad indicare unmiglioramento delle condizioni climatiche do-vuto a una nuova fase di riscaldamento che ri-sulta essere superiore, anche se non di molto,a quelle riscontrate negli ultimi 3500 anni.Informazioni sul paleoambiente sono state de-dotte anche dagli studi sui Cladoceri e in par-ticolare dalle misure biometriche e di abbon-danza di Daphnia (Manca e Comoli, 2004) edal confronto tra i dati relativi alle comunitàattualmente presenti e ai resti fossili rinvenutinei sedimenti del Lago LCN-40. Questi studihanno rivelato la scomparsa a partire dalla fi-ne degli anni ’80 della specie endemica

Daphnia himalaya, ex D. tibetana, che perquasi 3000 anni è stata la sola specie di Daph-nia presente nel lago. Questo fenomeno sem-bra esser legato all’aumentato proliferare dialghe verdi filamentose, causato probabilmen-te dall’incremento delle radiazioni UV in con-seguenza del cambiamento climatico.Resta ancora aperto il dibattito se il riscalda-mento climatico osservato nell’ultimo secolo esulla cui evidenza c’è un generale assenso nellacomunità scientifica, sia dovuto a fattori princi-palmente naturali, rientrando nella media delleoscillazioni su larga scala, o se anche in questaregione remota sia preponderante la componen-te legata all’attività umana, in particolare al-l’aumento delle emissioni dei gas a effetto-ser-ra. Tuttavia, nel loro complesso le informazioniraccolte evidenziano la sensibilità dei laghid’alta quota Himalayani ai cambiamenti am-bientali e l’alta qualità dei registri sedimentariquali archivi della variabilità climatica del tardoOlocene nella regione tibetana.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Gli studi paleolimnologici condotti nell’areadel Khumbu-Himalaya hanno permesso di va-lutare l’evoluzione temporale e gli effetti deicambiamenti climatici sugli ecosistemi diquesti corpi d’acqua lungo un arco di tempo dicirca 3500 anni.È da sottolineare che gli ultimi 2-3000 anni distoria della Terra rappresentano il periodo rac-comandato per lo studio paleoclimatico da im-

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 2: Ricostruzione schematica (ottenuta dal profilostratigrafico di una diatomea e di un pigmento carotenoi-de tipico di specie planctoniche) delle fasi climatiche,evidenziate nello studio sulla carota PIR INF 02-3, con-frontate con la dinamica dei ghiacciai nella regione Hi-malayana (Lami et al., 2007).

Figura 3. Fotografia al SEM LEO di Daphnia himalayain visione ventrale (spec. nov.; da Manca et al., 2006). Siringrazia Pier Davide Pozzo per l’aiuto e il supporto.

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portanti Organizzazioni Internazionali (es.IGBP-PAGES) in quanto ritenuto di grandeimportanza, per molteplici aspetti quali la pre-senza significativa dell’uomo, e pertanto dinotevole utilità per un’analisi modellistica ditipo previsionale.Tutte le aree di alta montagna sono regioni par-ticolarmente sensibili dal punto di vista am-bientale e importanti per il monitoraggio dellostato di salute della Terra; in questo contesto lacatena dell’Himalaya e quella del Karakorum,sono anche zone in prossimità di Paesi dellaTerra tra i più densamente popolati e in fase disviluppo. Risulta pertanto fondamentale imple-mentare lo studio ed il monitoraggio ambienta-le, climatologico e geofisico nell’area Hima-layana per la quale i dati meteo-climatici, e pa-leo-climatici oggi disponibili sono ancora scar-si. Questi dati sono necessari per integrare e va-lidare i modelli di circolazione atmosferica siasu scala globale, oggi riguardanti solo i conti-nenti Americano ed Europeo, sia di dettaglio,che tengano cioè conto dell’effetto amplificato-rio delle montagne sulla dinamica di precipita-zioni e temperatura. Da qui il coinvolgimentodel Centro Epson Meteo (CEM), in collabora-zione con il Comitato Ev-K²-CNR al progettointernazionale CEOP (Coordinated EnhancedObserving Period; http: //www. gewex. org/ceop.htm) del World Climate Research Pro-gramme sotto l’egida della World Meteorologi-cal Organization (WCRP/WMO).

5 RINGRAZIAMENTI

Queste ricerche sono svolte nell’ambito delprogetto Ev-K2-CNR in collaborazione con laNepal Academy of Science and Technology,come previsto dal Memorandum of Under-standing tra Nepal e Italia, e grazie al contrib-uto del CNR e del Ministero degli Affari Esteri

6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Bush A.B.G., 2004. Modelling of late Quater-nary climate over Asia: a synthesis. Bo-reas, 33: 155-163.

Guilizzoni P., Lami A., Smith J.D., Belis C.A.,Bianchi M., Bettinetti R., Marchetto A.,Muntau H., 1998. Palaeolimnologicalanalysis of four Himalayan lakes (KhumbuValley, Nepal). In: G. Tartari, R. Baudo eM. Munawar (eds.), Top of the Word,Mount Everest-Himalaya Ecosystem, Eco-vision Word Monographic series: 189-217.

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Lami A., Tartari G.A., Musazzi S., GuilizzoniP., Marchetto A., Manca M., Boggero A.,Nocentini A.M., Morabito G., Tartari G.,Guzzella L., Bertoni R., Callieri C., 2007.High altitude lakes: Limnology and paleo-limnology. In: R. Baudo, G. Tartari, E. Vuil-lermoz (eds.). Witnesses of Global Changes– Research in the Himalaya and Karako-ram. Elsevier, Amsterdam, NL. 153-168.

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Musazzi S., 2005. Evoluzione del paleoam-biente e del paleoclima del Tardo Olocenedi due aree remote (Svalbard e Himalaya)attraverso l’analisi dei sedimenti lacustri.Università degli Studi di Parma. 158 pp.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

608

Page 147: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Le pioggeL’analisi dei trend evolutivi delle piogge è ilprimo passo verso la comprensione dei cam-biamenti locali in atto. Un’analisi statistica euna elaborazione spaziale dei dati di pioggiapluriennali possono descrivere la tipologia el’entità del cambiamento in atto, e successi-vamente fornire indicazioni sull’evoluzionedel fenomeno. Il cambiamento del regime pluviometrico, ge-nera, come conseguenza, un cambiamento nelregime dei deflussi, dovuto, non solo alla di-minuzione delle piogge e della neve stoccataal suolo, ma soprattutto alla loro diversa di-stribuzione spaziale e al periodo stagionale incui si concentrano sia le piogge che i periodisiccitosi. Diverse quantità di acqua in arrivo alago con una diversa distribuzione stagionalehanno un impatto diretto sul livello del lagoe sulle sue fluttuazioni.

1.2 I livelli del lagoLa diminuzione della quantità di pioggia nonè l’unica problematica che influenza l’anda-mento dei livelli del lago.

Infatti, in regime naturale, questo seguirebbegli andamenti delle piogge e dello sciogli-mento delle nevi, e rifletterebbe esclusiva-mente l’andamento dei deflussi dei maggioriaffluenti, che rappresentano il suo principaleapporto. In realtà, sia la regolazione del lagoal suo incile, sia quella dei numerosissimi ba-cini idroelettrici, possono incidere notevol-mente sulle portate dell’emissario e sul livel-lo del bacino lacustre.L’andamento delle altezze idrometriche dellago rappresenta, quindi, un indicatore assaiimportante, dell’entità dei cambiamenti cli-matici, dei prelievi a monte e a valle, e unasoglia di utilizzo della risorsa.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Le pioggeDa oltre cinquant’anni, l’Istituto per lo Studiodegli Ecosistemi (già Istituto Italiano di Idro-biologia) raccoglie, analizza ed elabora datidi pioggia, giornalieri, mensili ed annuali, edalla fine degli anni ’80, attraverso rileva-menti in tempo reale, sono possibili elabora-zioni anche ad intervalli più brevi. Le stazio-ni meteorologiche di acquisizione dati sono

609

Cambiamenti climatici: quali effetti sulle piogge e sui livelli del lago

M. Ciampittiello, A. RollaIstituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, [email protected]

SOMMARIO: In sinergia ai cambiamenti climatici globali vi sono modificazioni a scala locale, che coinvol-gono le scelte gestionali ed economiche inerenti l’utilizzo e lo sfruttamento della risorsa idrica. L’elevatavariabilità pluviometrica di questi ultimi anni, impone una riflessione sulle quantità e sulle modalità di uti-lizzo dell’acqua. Anche in una vasta area particolarmente “piovosa” come quella del bacino del Lago Mag-giore, i cambiamenti climatici stanno portando alla luce una serie di problematiche legate ai diversi uti-lizzi della risorsa idrica, spesso in concorrenza tra loro. La disponibilità d’acqua da sempre consideratainesauribile e rinnovabile, sta diminuendo sensibilmente, non solo per un minor apporto meteorico, ma so-prattutto per la mancanza di una corretta gestione e per la scarsa attenzione verso il suo ciclo naturale, ba-sato essenzialmente sugli interscambi tra le acque sotterranee e superficiali, tra le falde e i fiumi, tra i fiu-mi e i laghi.

Page 148: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

disposte su tutto l’ampio bacino imbrifero delLago Maggiore, 6600 km2 (Fig. 1), e copronotutte la aree sottese ai principali affluenti dellago. E’ così possibile analizzare il diverso re-gime delle precipitazioni, sia a scala di baci-no che di sottobacino. L’analisi delle lungheserie temporali a disposizione è utile per veri-ficare l’entità del cambiamento in atto, in ter-mini spaziali, nonché per l’analisi delle preci-pitazioni globali, brevi ed intense, il numerodei gironi piovosi e la lunghezza dei periodisiccitosi.L’analisi delle piogge viene effettuata su sca-la pluriennale, dal 1952 al 2005, e su scalaspaziale, raccogliendo i dati delle diverse sta-zioni meteorologiche distribuite all’internodel bacino imbrifero del Lago Maggiore.

2.3 I livelli del lagoLetture sistematiche del livello del LagoMaggiore sono iniziate nel 1952 dall’alloraIstituto Italiano di Idrobiologia e sono tutt’o-ra in atto. L’analisi pluriennale dei minimi livelli delleacque del lago, può portare ad identificare unlivello minimo accettabile dall’ecosistema la-custre, su base mensile e stagionale. L’identificazione dei trend evolutivi della si-tuazione climatica nel bacino del Lago Mag-giore rappresenta la base da cui partire per lesuccessive analisi e previsioni delle fluttua-zioni del livello lacustre, che dovrebbe essereconsiderate all’interno delle strategie gestio-nali e di utilizzo della risorsa nel suo com-plesso.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

610

Figura 1: Bacino imbrifero del Lago Maggiore, distribuzione delle stazioni meteorologiche di acquisizio-ne dati.

Page 149: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

3 RISULTATI RILEVANTI

Le principali considerazioni che si possonorilevare, per quanto riguarda il regime dellepiogge, sono inerenti alla sostanziale dimi-nuzione della quantità globale di pioggia mi-surata negli ultimi 5 anni (Ciampittiello, Rol-la, 2005 Ricerche sull'evoluzione del LagoMaggiore. Aspetti limnologici). Se la mediapluriennale dal 1952 al 2000 è di 1723 mm,le piogge misurate negli ultimi anni (2001 –2005) sono rispettivamente 1446 mm, 2298mm, 1043 mm, 1508 mm, 991 mm, 1210mm. Fatta eccezione per l’anno 2002, duran-te il quale si sono avuti due fenomeni diesondazione, in tutti gli altri anni le pioggesono state molto al di sotto della media plu-riennale. Analizzando l’andamento medioper l’intero bacino delle piogge, dal 1952 al2005 e cercando la regressione lineare delladistribuzione statistica ad esse associate(Fig. 2) si ricava un andamento chiaramentedecrescente della retta. La significatività del-

la regressione non risulta però elevata; ciò èdovuto, probabilmente alla notevole variabi-lità e casualità dei dati pluviometrici. Risultapertanto necessario proseguire nelle analisidelle piogge, utilizzando altre tecniche stati-stiche di analisi, in particolare analisi multi-variate che diano risposte più significativerispetto all’influenza dei diversi fattori checoncorrono alla definizione del regime plu-viometrico.Per quanto riguarda l’analisi dei dati plurien-nali dei livelli del Lago Maggiore, è necessa-rio tener presente che esso risulta un bacinoregolato; il confronto tra le fluttuazione me-die pluriennali e quelle degli ultimi 5 anninon porta a sostanziali differenze per quantoriguarda i valori medi annuali, maggiori risul-tano invece quelle relative ai valori minimi emassimi. I livelli minimi invernali degli ulti-mi 5 anni si sono notevolmente avvicinati al-le minime storiche, ad esempio il 21 giugno2006 ha toccato quota 192.95 m s.l.m.. Il mi-nimo storico per il mese di giugno risale al

Impatti dei cambiamenti climatici

611

Figura 2: Andamento pluriennale delle precipitazioni (1952-2005) nel bacino imbrifero del Lago Maggiore e regres-sione lineare.

Page 150: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1976 con il valore di 192.98 m.s.l.m.Rapportando le fluttuazioni dei livelli del la-go al regime delle piogge, risulta abbastanzaevidente che gli apporti più significativi intermini di influenza sui livelli lacustri sonoquelli del periodo autunnale. La scarsità diapporti meteorici in questo periodo crea suc-cessivi crisi idriche ed ecologiche nel periodoprimaverile, in quanto, climatologicamentel’inverno di questa zona risulta pressochéprivo di pioggia. Abbondanti piogge nel pe-riodo autunnale, invece, riuscirebbero a soste-nere i livelli del lago anche in presenza discarse piogge primaverili, se fossero gestitimeglio i prelievi d’acqua di valle. Al contra-rio, abbondanti piogge nel periodo estivo, acausa dell’elevato sviluppo della vegetazionee dell’elevata evaporazione non apportanograndi benefici ai livelli lacustri.Rapportando su un grafico i livelli del lago, lepiogge e i deflussi dovuti ai prelievi di vallesi nota che gli andamenti del livello sono for-temente condizionati dall’entità dei prelievinei mesi di marzo, aprile e maggio, e che so-lo con elevate precipitazioni il lago riuscireb-be a contrastare la costante diminuzione delsuo livello.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Il protrarsi dei cambiamenti climatici in atto,caratterizzati soprattutto da una elevata varia-

bilità annuale, porterà ad una sempre maggio-re difficoltà di previsione, sia per quanto ri-guarda la disponibilità di risorsa, che perquanto riguarda la pianificazione a lungo ter-mine dello sfruttamento della stessa.La ricerca di equilibrate soluzioni che tenga-no conto dei molteplici interessi legati all’uti-lizzo della risorsa idrica, nonché del delicatoequilibrio ecologico dei corsi d’acqua e dellago, devono passare attraverso una pianifica-zione a breve termine, flessibile, in grado dirispondere prontamente a situazioni di eleva-ta criticità.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ciampittiello M., 1999. I livelli del LagoMaggiore: una grande risorsa da gestire,un problema da affrontare. Alberti Edito-re: 203 pp.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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1 INTRODUZIONE

Il successo ecologico dei cianobatteri è docu-mentato dalla grande estensione temporale espaziale della loro presenza nella biosfera ter-restre. Comparsi 3,5 miliardi di anni fa, nelProterozoico si sono diffusi su tutto il pianetaed hanno determinato l’arrichimento in ossi-geno dell’atmosfera. La loro adattabilità eco-logica li rende ubiquitari (Whitton e Potts,2000) e in condizioni favorevoli si sviluppa-no massivamente, formando le così dette fio-riture (blooms), potenzialmente pericoloseper la salute umana perché i cianobatteri, ol-tre a degradare le caratteristiche organoletti-che delle acque, possono immettervi tossinedannose per l’uomo (Paerl 1988; Kuiper-Goodman et al., 1999). L’interesse dei ricer-catori è, nelle acque dolci, puntato principal-metne su tre generi di cianobatteri che sono iprincipali produttori di microcistina, l’epta-peptide ciclico che costitutisce una delle piùcomuni epatotossine: Microcystis, Anabaena,

e Planktothrix (Sivonen e Jones, 1999). Parti-colare interesse è stato, in anni recenti, rivol-to ad Anabaena spp. perché questi organismisono in grado di formare blooms anche inambienti che, come il Lago Maggiore, sono incondizioni oligotrofe o oligomesotrofe (Prid-more et al., 1987; Salmaso, 2000).

2 DISTRIBUZIONE SPAZIALE

Il fenomeno di fioritura algale del 2005, ini-ziato verso la metà di luglio, è apparso subitocospicuo anche se difficilmente quantificabi-le sulla base dei campionamenti di routine. Lavalutazione della sua estensione spaziale èstata perciò tentata utilizzato il telerilevamen-to. Tuttavia, non potendo effettuare sorvolidel lago con un aereomobile dotato di senso-ri adeguati, si è scelto di utilizzare dati prove-nienti da satelliti della serie MODIS (NASA)194-213 (dal 13-07-05 al 31-07-05) poichésono dati ad alta risoluzione temporale, ac-cessibili gratuitamente e in tempi ragionevoli.

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Cambiamenti climatici e fioriture di cianobatteripotenzialmente tossici nel Lago Maggiore

R. Bertoni1, C. Callieri1, E. Caravati1, G. Corno1, M. Contesini1, G. Morabito1, P. Panzani1, C. Giardino2

1Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, Italia 2Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell'Ambiente, CNR, Milano, [email protected]

SOMMARIO: Nelle estati 2005 e 2006 si sono avute due cospicue fioriture del cianobattere Anabaena lem-mermannii nel Lago Maggiore. La potenziale tossicità di questo organismo e la sua capacità di degradarequalitativamente le acque che lo ospitano ne impongono lo studio per tentare di controllare il fenomeno.Lo stato di oligo-mesotrofia di questo grande lago subalpino non consente di attribuire tout court le fiori-ture ad una situazione di eutrofizzazione convenzionale. D’altronde la frequenza di queste fioriture, defi-nite oligotrofe perché interessano appunto laghi in buone condizioni trofiche, è in aumento su scala pla-netaria. L’ipotesi avanzata da molti che queste fioriture siano imputabili ai cambiamenti climatici in attoè ancora insufficientemente documentata perché i possibili meccanismi che legano il successo dei ciano-batteri alle mutate condizioni climatiche sono tutt’ora oggetto di indagine. Verranno qui presentate le ca-ratteristiche tassonomiche, la distribuzione spaziale e le peculiarità ecofisiologiche delle fioriture di cia-nobatteri avvenute nel Lago Maggiore nonché le valutazioni sul possibile nesso causale tra fioriture e cam-biamenti climatici.

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Le caratteristiche dei dati MODIS analizzatisono le seguenti: risoluzione spaziale 250 m,frequenze giornaliere, valori di riflettanzanelle bande del rosso e vicino-infrarosso. L’a-nalisi per valutare la presenza o meno di fio-riture algali è stata condotta attraverso un di-verso approccio. Da studi di telerilevamentosulla qualità delle acque dei laghi è infatti no-to che il rapporto della riflettanza nelle bandedel vicino-infrarosso e rosso (IR/R) è fisica-mente correlato alla concentrazione di cloro-filla. Per ogni immagine acquisita da MODISsul Lago Maggiore è stato pertanto calcolatol’indice IR/R quale possibile indicatore dellafioritura algale. Benché l’indice sia qualitati-vo e dovrebbe quindi essere validato da misu-re in situ, le immagini ad alto indice IR/R do-vrebbero corrispondere a fenomeni di fioritu-ra algale. Da esse emerge che alla fine del pe-riodo considerato (dal 13 al 31 luglio) il lagoè giunto ad essere interessato da una fiorituraalgale estesa sulla maggior parte della sua su-perficie. Anche nel 2006 si è avuta una fiori-tura di A. lemmermannii, iniziata più precoce-mente (seconda metà di giugno) ma menoestesa, che si è estinta entro la seconda deca-de di luglio.

3 IDENTIFICAZIONE E CONTEGGIO

I campioni di acqua superficiale del lagoMaggiore raccolti dall’ISE e dall’ARPA VCOin numerose stazioni pelagiche e litorali lun-go la sponda piemontese nel corso delle duefioriture sono stati sottoposti ad analisi mi-croscopica. È emerso che la fioritura era co-stituita nel 2005 da una coltura apparente-mente monospecifica del cianobattere Ana-baena lemmermannii P. Richt 1903(Komárková- Legnerová e Eloranta, 1992).La densità di cellule nei campioni, valutata almicroscopio invertito dopo sonificazione peromogeneizzare il campione, ha raggiunto unvalore di circa 2 106 cell ml-1, pur con con-centrazioni molto variabili nelle diverse loca-lità campionate. La notevole differenza didensità è imputabile alla difficoltà di campio-nare in modo ripetibile strutture estremamen-

te eterogenee nelle tre dimensioni com’è ilcaso per fioriture algali stratificate in superfi-cie. Anche nel 2006 la fioritura è risultata es-sere sostenuta esclusivamente dalla stessaspecie del 2005, sia pur con densità di cellulepiù ridotta (massimo di 0,37 106 cell ml-1).

3 CARATTERIZZAZIONE GENETICA

Il materiale algale prelevato dalle fioriture èstato concentrato per centrifugazione in pel-lets dalle quali il DNA è stato estratto con unkit MoBio per Microbial Cultures. Il DNA èstato quindi diluito in TE buffer e conservatoper ulteriori analisi a -20°C. Si è pianificatolo studio nel dettaglio (sequenziamento) delgene 16S r-DNA che, data la grande quantitàe varietà di sequenze disponibili nelle banchedati mondiali, è considerato ideale per il rico-noscimento del ceppo e per la sua descrizionein termini evoluzionistici. Frammenti del ge-ne interessato sono stati amplificati attraversodelle nested PCR ed isolati dal DNA degli al-tri procarioti lacustri attraverso una migrazio-ne differenziale in gel denaturante. Dai fram-menti isolati si è proceduto ad una secondaamplificazione ed al sequenziamento di parte(circa 750 bp) del 16S r-DNA. Questa analisiha confermato la determinazione microscopi-ca, dimostrando l’identità delle sequenze ge-niche isolate dalle due fioriture, con una simi-larità pari al 100% con diversi ceppi di A.lemmermannii.L’amplificazione del campione naturale con iprimers specifici PCβf e PCαR, disegnati daNeilan et al. (1995) per la caratterizzazionedello spazio intergenico IGT di un ceppo diAnabaena australiano particolarmente tossicoha dato risultato positivo, confermando la si-milarità tra le due specie. La ricerca dettaglia-ta di parti di gene codificanti per singole mi-crocistine non ha, invece, dato risultati positi-vi per nessuno delle seguenti coppie di pri-mers: CD1f-CD1r (mcy A), AAf-AAr (mcyB), McyF2-McyF4 (mcy E). Trattandosi peròdi primers costruiti per ceppi isolati in corpiidrici dell’emisfero australe o per cianobatte-ri marini relativemante diversi da quelli dei

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laghi dell’Europa Centrale, è possibile che es-si siano inefficaci nell’individuare le parti digene che codificano per le microcistine. Inol-tre non è stata studiata la possibilità, per nul-la remota, della presenza di geni codificantiper la produzione di altre tossine (anatoxine,saxitoxine e cilindrispermoxine) di cui si co-nosce l’importanza nei ceppi affini ad A. lem-mermannii nei grandi laghi europei (Jüttner,com. pers.) e che, seppur meno studiate, nonsono meno pericolose per l’ecosistema e perla salute umana

4 PECULIARITÀ FISIOLOGICHE

La produzione di fosfatasi alcalina (enzimache permette l’utilizzo dei polifosfati oganicicome sogente di P) da parte dei cianobatteriche hanno determinato il bloom o dei batteriassociati alle loro colonie è stata valutatafluorimetricamente con l’uso del metilumbel-liferone (MUF). Questo substrato diventafluorescente in presenza dell’enzima fosfata-si. Si è così potuto evidenziare che gli aggre-gati cianobatterici in esame sono in grado diprodurre quantità considerevoli di enzima pertempi lunghi (588 nM dopo 24 ore), fatto chepermette uno sfruttamento prolungato ed otti-male del P disponibile e, in particolare, del fo-sforo organico a differenza da quanto posso-no fare le alghe eucariote. Questo potrebbegiocare un ruolo importante nel determinare ilsuccesso dei cianobatteri, che risultano privi-legiati rispetto alle alghe per il fatto di poterusare il fosforo ancora prima che esso abbiasubito la completa mineralizzazione. Un ulteriore motivo di successo di questi or-ganismi sta nel fatto che l’efficienza fotosin-tetica del ceppo di A. lemmermannii in esame,valutata in modo diretto con un apparecchioPhyto PAM su campioni prelevati al culminedella fioritura, ha presentato valori di IK (pa-rametro di saturazione luminosa) compresi tra293 e 1347. Questo risultato indica una ele-vata adattabilità del ceppo a diverse condizio-ni di radiazione luminosa e la sua possibilitàdi essere poco fotoinibito anche ad alte inten-sità di radiazione.

5 SITUAZIONI CLIMATICHE PRODROMICHE ALLAFIORITURA

Le temperature epilimnetiche del Lago Mag-giore, precocemente più elevate rispetto aglianni precedenti, hanno certamente contribui-to ad uno spostamento delle condizioni ecolo-giche verso un optimum di crescita per Ana-baena. Il tasso di crescita di questa specie, in-fatti, progressivamente aumenta fino a 0.75divisioni/giorno per un incremento di tempe-ratura da 20 a 32 °C (Nalewajko e Murphy,2001). Gli stessi Autori hanno dimostratol’indipendenza della crescita di Anabaena dalrapporto N:P. La crescita di Anabaena infatti,rimane costante a rapporti variabili da 1000:1fino a 10:1. Microcystis, un altro cianobatterecoloniale, invece è assai meno tollerante, pre-sentando un optimum di crescita ad un rap-porto N:P di 100:1 e nessuna crescita a1000:1 (P limitante) e a 10:1 (N limitante).L’abbassamento estivo del livello del lago,concomitante con temperature dell’acqua re-lativamente elevate, potrebbe allora stimolarela crescita di Anabaena immettendo nelle ac-que lacustri P organico, che però Anabaenapuò prontamente utilizzare, e che, quindi, nestimolerebbe la crescita indipendentementedalla disponibilità di azoto, peraltro mai limi-tante nel Lago Maggiore. Infatti, un abbassa-mento di livello del Lago Maggiore di oltre 1m (situazione dell’estate 2005 e 2006) su unosviluppo linea di costa di 170 km porta all’e-sposizione di una superficie di litorale di cir-ca 0,3 km2 (assumendo una pendenza del lito-rale pari a 45°). Questa situazione rende di-sponibile, attraverso la lisi post mortem degliorganismi epilitici che colonizzano il litorale,una massa di carbonio organico compresa tra1,2 e 12 t (assumendo una biomassa variabileda 4 a 40 g m-2; Cattaneo, 1987) e, in accordocon il Redfielf ratio di C:P, ad una massa di Ppari a 11,3-113 kg . Infine, il documentato aumento di spessoredella zona di scambio del 90% del calore pre-sente nelle acque lacustri (Ambrosetti e Bar-banti, 2002) potrebbe mettere a dispozione unmaggior volume di "zona trofogenica" per gli

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organismi autotrofi come i cianobatteri. Ulte-riore effetto di questa situazione potrebbe es-sere un incremento della possibilità di riso-spensione di una parte dei sedimenti prece-dentemente segregata al fondo lacustre. Que-sto fatto potrebbe favorire la formazione difioriture perchè nei sedimenti lacustri le for-me di resistenza di Anabaena sp., dette acine-ti, possono sopravvivere fino a 64 anni (vanDen Hoek et al., 1995).

6 CONCLUSIONI

Le conoscenze fin qui acquisite sono ancorainsufficienti a mostrare l’esistenza di un ine-quivocabile nesso causale tra cambiamenticlimatici ed insorgenza di fioriture cianobat-teriche in ambienti lacustri oligomesotrofi.Esistono tuttavia molte evidenze convergentidelle relazioni intercorrenti tra i due fenome-ni. C’è da dire che lo studio dei queste parti-colari fioriture, definite “fioriture oligotrofe”(Salmaso, 2000), è molto iniziale e non è an-cora stato compiuto uno sforzo di ricerca ade-guato su questo argomento, sia per la sua no-vità che per la scarsa propensione a finanzia-re ricerche ambientali in assenza di una situa-zione di emergenza. Però proprio per le buo-ne caratteristiche qualitative dei laghi ovequesti fenomeni tendono a verificarsi, sareb-be importante intensificare le ricerche ad hoccosì da garantire l’utilizzabilità futura delleloro acque anche per scopi pregiati quale l’u-so alimentare.

7 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 155: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

La teoria del non-equilibrio, dimostratasiestremamente efficace nell’analisi della dina-mica stagionale delle comunità algali lacustri(Harris, 1986; Reynolds, 1997), assegna allemodificazioni dei parametri fisici della colon-na d’acqua il ruolo chiave nel guidare e con-trollare lo sviluppo e la successione stagiona-le del fitoplancton.In particolare, l’estensione spazio - temporaledel rimescolamento verticale della massa d’ac-qua si è dimostrata un fattore critico nel deter-minare la composizione specifica di una co-munità algale nel corso del suo ciclo stagiona-le. Poiché la dinamica circolatoria dei corpid’acqua è fortemente influenzata da fattori me-teorologici esterni, vale a dire intensità delvento, temperatura dell’aria e quantità di radia-zione solare incidente, le fluttuazioni dei fatto-ri climatici e meteorologici possono avere unainfluenza profonda sullo sviluppo quantitativoe qualitativo delle alghe planctoniche.In effetti, esempi di alterazioni nella strutturadelle comunità planctoniche lacustri, a seguitodi variazioni della temperatura dell’acqua in-dotte da cambiamenti climatici registrati ascala locale, sono state documentate in alcuni

casi (George e Harris, 1985; Adrian e Deneke,1996). Tuttavia, solo da poco tempo l’atten-zione degli idrobiologi si è rivolta verso le re-lazioni tra la dinamica pluriennale delle co-munità planctoniche lacustri e quella di feno-meni atmosferici che agiscono su scala globa-le. Se è vero che da tempo è stato dimostratoche le biocenosi planctoniche oceaniche sonoinfluenzate da fenomeni atmosferici globali,come le oscillazioni di El Niño (Karl et al.,1995; Campbell et al., 1997), solo in anni re-centi sono state verificate delle relazioni tral’andamento pluriennale di eventi meteorolo-gici a larga scala e le fluttuazioni stagionali re-gistrate in acque continentali. Uno dei primiesempi è stato la relazione osservata tra l’in-tensità e la durata dello sviluppo primaveriledelle diatomee in alcuni laghi inglesi e la po-sizione del fronte settentrionale della Correntedel Golfo (George e Taylor, 1995). Tuttavia, un altro fenomeno atmosferico è og-gi maggiormente indagato per spiegare lefluttuazioni interannuali di alcune biocenosilacustri, ovvero le variazioni della pressioneatmosferica sull’Oceano Atlantico, dovute aduno spostamento delle masse d’aria tra l’Arti-co e l’Atlantico subtropicale. Questo movi-mento atmosferico produce significativi cam-

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Variazioni climatiche interannuali e dinamica stagionale del fitoplancton nel Lago Maggiore

G. MorabitoIstituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, [email protected]

SOMMARIO: In molti laghi del Centro e Nord Europa sono state osservate strette relazioni tra l’Oscillazio-ne Nord Atlantica (NAO) e la dinamica del fitoplancton. Tuttavia mancano studi analoghi per il bacini delSud Europa, sebbene le serie storiche del Lago Maggiore sembrino indicare che l’effetto della NAO pos-sa farsi sentire anche alle nostre latitudini. In particolare, è emersa una relazione tra l’indice NAO inver-nale e la profondità di mescolamento nel Lago Maggiore, che a sua volta regola lo sviluppo primaveriledelle diatomee. Esiste, inoltre, una relazione inversa tra la biomassa di diatomee in primavera e quella dicianobatteri in estate, a sua volta mediata dagli effetti del clima. Tenendo in considerazione queste rela-zioni e considerando lo spostamento della NAO a seguito del cambiamento climatico globale, viene pro-spettato un possibile scenario evolutivo del fitoplancton nel Lago Maggiore

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biamenti nella velocità dei venti, nella lorodirezione, nel trasporto di calore ed umiditàtra l’Atlantico ed i continenti circostanti, ap-portando evidenti modificazioni climatiche ascale continentale: questo flusso di massed’aria è noto come Oscillazione Nord Atlanti-ca o NAO, acronimo dell’inglese NorthAtlantic Oscillation. L’effetto della NAO sul-le comunità fitoplanctoniche dell’Europacontinentale è stato verificato in diversi am-bienti lacustri: nel Müggelsee, un piccolo la-go poco profondo situato nei dintorni di Ber-lino (Gerten e Adrian, 2000), nel lago svede-se Erken (21 m di profondità massima e 9 dimedia) (Weyhenmeyer et al., 1999) ed anchenel Lago di Costanza, uno dei grandi laghiprofondi subalpini (Straile, 2000). Per quanto riguarda i laghi localizzati nel ba-cino del Mediterraneo non sono state finorapubblicate osservazioni analoghe, ma alcuneosservazioni sembrano indicare che l’effettodella NAO possa farsi sentire anche alle no-stre latitudini.

2 DINAMICHE PLURIENNALI DEL FITOPLANCTON EFLUTTUAZIONI CLIMATICHE NEL LAGO MAGGIORE

Nel Lago Maggiore, il bacino lacustre piùstudiato in Italia e, probabilmente uno dei piùstudiati al mondo, sono stati spesso descrittigli effetti della variabilità climatica localesullo sviluppo stagionale di alcuni gruppi al-gali: l’analisi dei dati storici (Morabito,2003), ha messo in evidenza che il regime dimescolamento del Lago Maggiore, espressio-ne diretta delle condizioni meteorologiche del

periodo invernale (temperatura dell’aria, in-tensità e durata dei periodi di vento), influen-za la dinamica di sviluppo del fitoplanctonprimaverile (Fig. 1), composto sopratutto dadiatomee, attraverso due meccanismi: il man-tenimento di uno strato d’acqua turbolento,che garantisce la permanenza di questi orga-nismi nella zona eufotica ed il rifornimento dinutrienti dalle acque profonde.A loro volta, le oscillazioni pluriennali dellaprofondità di massimo mescolamento inver-nale del Lago Maggiore seguono un andamen-to che rispecchia piuttosto bene le variazionidell’indice NAO medio del periodo Dicembre- Febbraio (Fig. 2): in particolare è degno dinota il fatto che negli anni tra il 1950 ed 1970,quando il Lago Maggiore andava incontro conregolarità ad eventi di mescolamento profon-do, l’indice era mediamente più spostato ver-so valori negativi, segno di inverni freddi,mentre nel ventennio successivo l’indice hafatto registrare molti valori positivi, a volteben al di sopra dello zero, segno di inverni mi-ti ed in questa fase i mescolamenti completidel Lago Maggiore sono pressoché scomparsi,ad eccezione di quello osservato nel 1999.Dall’osservazione delle relazioni sopra de-scritte si potrebbe quindi dedurre che le oscil-lazioni dell’indice NAO controllano, in qual-che modo, anche lo sviluppo primaverile del-le diatomee nel Lago Maggiore, nel senso cheun indice NAO spostato verso valori negativi,inducendo un mescolamento più profondodella colonna d’acqua, avrebbe come risulta-to indiretto una maggiore crescita di diato-mee: la correlazione tra il valore invernale

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Profondità di massimo mescolamento invernalee biovolume annuale delle diatomee nel Lago Maggiore.

Figura 2: Profondità di massimo mescolamento inverna-le nel Lago Maggiore e indice invernale della NAO.

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dell’indice NAO ed il picco massimo di bio-volume primaverile delle diatomee non è sta-tisticamente significativa. Tuttavia, conside-rando che in ambiente pelagico lacustre sononumerosi i fattori biotici ed abiotici che con-trollano lo sviluppo del fitoplancton, il fattoche, da sole, le oscillazioni dell’indice NAOsiano responsabili di circa il 40% delle oscil-lazioni interannuali del biovolume delle dia-tomee appare tutt’altro che trascurabile.Inoltre, partendo dalla considerazione che losviluppo primaverile delle diatomee ha unforte impatto sul consumo delle risorse messea disposizione dal mescolamento tardo inver-nale e che queste risorse sono, in gran parte,quelle che sostengono la crescita estiva deicianobatteri, si può ipotizzare che i due grup-pi siano legati da un rapporto indiretto dicompetizione per i nutrienti, mediato dallavariabilità climatica: in effetti, l’esame paral-lelo dei rispettivi andamenti pluriennali evi-denzia la presenza di picchi di cianobatteripiù elevati negli anni in cui la crescita prima-verile delle diatomee era stata depressa daparticolari situazioni climatiche (Fig. 3). Per esempio, il 1991, anno con cianobatteriscarsissimi, è stato caratterizzato da una pri-mavera molto piovosa, nel corso della qualegli abbondanti apporti di nutrienti dal bacinohanno determinato un forte sviluppo dellediatomee, che hanno fortemente impoveritole acque del lago dalle sostanze nutritive. Unasituazione analoga si è avuta nel 2002, men-tre, nel 1992 e nel 1995, primavere estrema-mente poco ventose e con basse profondità di

mescolamento della colonna d’acqua hannodepresso la crescita delle diatomee, lasciandoa disposizione dei cianobatteri maggioriquantità di nutrienti per crescere durante lasuccessiva stagione estiva.

3 CONCLUSIONI

Riassumendo, gli studi ultraventennali sul fi-toplancton nel Lago Maggiore hanno permes-so di evidenziare il forte influsso delle oscil-lazioni climatiche sulla dinamica stagionaledei popolamenti algali dominanti, soprattuttoin relazione alla variabilità dei fattori fisiciche regolano il mescolamento della colonnad’acqua. Analizzando queste relazioni in uncontesto climatico a scala continentale, si èvisto, inoltre, che le variazioni della NAOsembrano far sentire i loro effetti anche sulclima locale del bacino del Lago Maggiore e,dunque, anche sullo sviluppo del fitoplanc-ton. Peraltro, inquadrare i fenomeni osservatinel più ampio contesto dei cambiamenti cli-matici globali non è semplice, soprattutto per-chè la serie temporale dei dati sul fitoplanctonè troppo recente e relativamente breve: tutta-via i dati ottenuti nell’arco di quasi trent’annipermettono di tracciare uno scenario ipoteti-co, ma plausibile. In primo luogo, nonostantesiano ancora poco chiare le relazioni che le-gano il riscaldamento globale e le oscillazio-ni dell’indice invernale della NAO, la seriestorica di questo indicatore climatico mostraun aumento di variabilità nella seconda metàdel XX secolo, con la tendenza verso valoripiù elevati: secondo Hurrell et al. (2003), unapossibile causa di questo andamento sarebbeda ricercare in processi che alterano la forzadella circolazione atmosferica, come l’au-mento dei gas serra. Lo spostamento dell’in-dice NAO verso valori positivi, potrebbe in-nescare, relativamente al bacino del LagoMaggiore, la seguente serie di eventi:a. la tendenza ad una dimunizione degli epi-

sodi di mescolamento profondo; b. a seguito del minore mescolamento, una

riduzione del biovolume primaverile dellediatomee;

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 3: Biovolumi di cianobatteri e diatomee nel LagoMaggiore dal 1981 al 2004.

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c. il decremento delle diatomee si tradurreb-be in un minore consumo di nutrienti nellafase di crescita seguente alla circolazioneprimaverile;

d. vi sarebbero, quindi, più nutrienti disponi-bili per lo sviluppo estivo di cianobatteri.

In conclusione, il verificarsi di uno scenariosimile potrebbe portare a cambiamenti signi-ficativi nella dinamica stagionale del fito-plancton, tra i quali il più evidente sarebbe ilsensibile aumento dei cianobatteri in estate,associato ad una maggiore probabilità che siverifichi uno sviluppo di ceppi potenzialmen-te tossici.

4 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

620

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Uno degli aspetti più interessanti nel panora-ma delle ricerche relative ai cambiamenti cli-matici è quello della riposta delle comunitàbiotiche di ambienti acquatici all’im-patto delriscaldamento globale. Di particolare interesseè l’ipotesi secondo la quale il riscaldamentodeterminerebbe effetti nel complesso simili aquelli dell’eutrofiz-zazione (Schindler, 2001).L’idea espressa da questa teoria non è poi cosìnuova: la letteratura scientifica ha evidenziatocome le grandi modificazioni a carico delle co-munità planctoniche nel corso della transizionedall’Ultimo Glaciale all’Olocene siano sostan-zialmente sovrapponibili a quelle che si osser-vano oggigiorno con l’aumento di trofia. Taleapparente sovrapposizione, comunemente ac-cettata, è ancora poco supportata da dati speri-mentali e offre un’occasione importante perl’avvio di studi miranti a mettere a fuoco, nonsolamente il quadro generale delle modifica-

zioni osservabili in rapporto ai due processi,ma anche le vie attraverso le quali essi opera-no a livello di comunità e di ecosistema.Uno degli aspetti forse più importanti legati atale ipotesi è che essa sposta l’attenzione del-le ricerche sull’impatto del riscaldamento cli-matico dagli ecosistemi acquatici di siti re-moti, verso i quali essa si era inizialmente in-dirizzata, a quelli di siti per i quali sia possi-bile operare un raffronto tra eutrofizzazione eriscaldamento globale. Tra le motivazioni che portarono a focalizzareinizialmente l’attenzione degli studiosi deicambiamenti climatici sui siti remoti, e sugliambienti d’alta quota in particolare, vi fu quel-la del loro essere “naturalmente oligotrofi o ul-traoligotrofi”, e dunque idonei ad evidenziarel’impatto di un riscaldamento, non mascheratodagli effetti, dominanti, dell’eutrofizzazione. Tuttavia, tale presupposto fu basato più suuna sorta di comune buon senso, che non sulrisultato di evidenze sperimentali: ed è dalla

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Impatto del riscaldamento globale sullo zooplanctone sull’efficienza della catena trofica pelagica

M. Manca, A.Visconti, R. de BernardiIstituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Verbania, [email protected]

SOMMARIO: Vengono qui brevemente esposti i risultati di due ricerche condotte in un ambiente lacustre(Lago Maggiore) oggetto di monitoraggio durante la fase di eutrofizzazione e di quella, più recente, di oli-gotrofizzazione, nel quale l’impatto dei cambiamenti climatici, ed in particolare del riscaldamento globa-le, è stato documentato. Ricerche di questo tipo forniscono le informazioni necessarie per discutere la va-lidità dell’ipotesi secondo la quale gli effetti del riscaldamento sulle comunità planctoniche sarebbero pie-namente sovrapponibili a quelli che si osservano con l’eutrofizzazione, e di verificare se la risposta al ri-scaldamento non sia maggiore, e non solo maggiormente leggibile, in sistemi a bassa trofia e, più in ge-nerale se, ed in che misura, essa possa dipendere dalle condizioni trofiche del sistema. Lo studio dell’im-patto del clima su ambienti oggetto di ricerche intensive consente, tra le altre cose, di distinguere l’ecce-zione dalla regola, e di utilizzare i dati relativi ad anni eccezionali dal punto di vista meteo-climatico co-me veri e propri esperimenti in situ. Le ricerche sul Lago Maggiore hanno evidenziato, da un lato, comela dipendenza dell’efficienza della catena trofica pelagica dalla temperatura ambientale sia mediata per iltramite delle relazioni trofiche, e governata, quanto a tempi di risposta, dalla fauna ittica. Dall’altro, han-no consentito di mettere in luce come la sovrapposizione tra riscaldamento ed eutrofizzazione sia in realtàsolo apparente, essendo la fenologia delle popolazioni zooplanctoniche sostanzialmente mutata, anche inquesto caso per il tramite di meccanismi trofodinamici.

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sostanziale mancanza di dati in merito che ènata l’esigenza di avviare progetti aventi perobbiettivo primario lo studio dell’impatto delriscaldamento in rapporto allo stato di trofia.Ricerche di questo tipo possono essere af-frontate, previa verifica della suscettibilità amodificazioni climatiche, in indagini estensi-ve su ambienti rappresentativi, allo stato at-tuale, di diverse situazioni trofiche, ovvero instudi di tipo intensivo su ambienti nei qualisiano state documentate l’eutrofizzazione e,più di recente, l’oligotrofizzazione. Le ricerche basate su studi intensivi consento-no, fra le altre cose, l’individuazione di annieccezionali dal punto di vista meteo-climati-co, e il loro utilizzo per analisi che potremmodefinire, con Edmondson (1993) “quasi-expe-riments”, esperimenti in situ, nei quali la ri-sposta delle comunità biotiche a specifiche si-tuazioni ambientali può essere verificata apartire da conoscenze pregresse e approfondi-te sulla “linea di base” del sistema. Questo ap-proccio metodologico consente la valorizza-zione delle ricerche avviate negli anni settantain risposta all’esigenza di ridurre i pesanti co-sti sociali derivanti dall’eutrofizzazione.Vale la pena qui ricordare che tali attività nonfurono solamente la massima espressione diun monitoraggio a forte valenza socio-econo-mica, ma furono anche l’occasione per anali-si e sintesi di ampio respiro scientifico.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Ambienti sensibili alle modificazioni clima-ti-che nei quali l’eutrofizzazione e l’oligotro-fiz-zazione siano state documentate sono divenu-ti l’oggetto di ricerche volte a comprenderel’impatto del riscaldamento sullo zooplanctone sull’efficienza della rete trofica pelagica. Per ragioni di brevità e a titolo esemplificativoverranno qui presentati i risultati ottenuti inuno degli ambienti oggetto delle ricerche, ilLago Maggiore. In questo lago l’impatto dieventi meteo-climatici può essere analizzato insituazioni di diversa trofia: per sua natura oli-gotrofo, il Lago Maggiore è andato incontro,negli anni settanta, ad una rapida accelerazio-

ne dell’eutrofizzazione, seguita da una più len-ta ri-oligotrofizzazione, determinata dalla so-stanziale riduzione del carico di nutrienti alga-li a lago, e principalmente del fosforo.Oggetto di ricerche di limnologia fisica in unareale a monitoraggio meteo-climatico da ol-tre 50 anni, esso è l’ambiente nel quale, perprimo, l’impatto del riscaldamento globale èstato documentato e discusso anche relativa-mente agli aspetti idrodinamici, di primariaimportanza per le comunità planctoniche e laloro dinamica stagionale. Oltre a tracciare il quadro dell’evoluzione alungo termine, le ricerche hanno fornito la ba-se conoscitiva per l’identificazione e la carat-terizzazione di anni eccezionali dal punto divista meteo-climatico, consentendo l’applica-zione di quell’approccio quasi-sperimentaleallo studio della risposta delle comunitàplanctoniche ai mutamenti climatici, cui so-pra si è fatto cenno. In questo breve testo presenteremo i risultatidi due ricerche, la prima delle quali relativaall’evoluzione a lungo termine, la seconda, adun anno eccezionale, in quanto essi consento-no di mettere in luce due diversi aspetti deglieffetti del riscaldamento globale.

3 RISULTATI RILEVANTI

Il primo contributo deriva dalle ricerche rela-tive alla stima dell’efficienza delle reti trofi-che pelagiche, condotte, fin dagli anni novan-ta, da de Bernardi e collaboratori. Tali ricerche si basano sull’applicazione delconcetto di exergia, intesa come una misuraenergetica della distanza di un sistema ecolo-gico dall’equilibrio termodinamico, all’anali-si delle reti trofiche lacustri e dei fattori cheinfluenzano i meccanismi di base del lorofunzionamento, soprattutto in termini di effi-cienza di utilizzo delle risorse alimentari di-sponibili (de Bernardi e Yørgensen, 1998).Un esempio dei risultati ottenibili mediantequesto approccio metodologico è riportato inFigura 1. Il calcolo è basato sull’elaborazionedi dati tra loro omogenei raccolti in campagnedi ricerche a lungo termine e rielaborati in

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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maniera omogenea. I dati quantitativi relativiai popolamenti batterici, fitoplanctonici, zoo-planctonici ed ittici sono stati espressi in ter-mini di biomassa media annuale e quindi tra-sformati in kJ/m3 attraverso coefficienti exer-getici opportunamente calcolati. Da tali datisono state ottenute delle piramidi di exergiaper la catena alimentare pelagica del LagoMaggiore dal 1979 al 1991, a partire dallequali sono stati calcolati i contenuti exergeti-ci medi annuali dei produttori, degli erbivorie dei carnivori nel loro complesso. In questotipo di analisi, la misura dell’efficienza mediaannuale del trasferimento di energia da unanello della catena alimentare al successivo èdata dal valore del coefficiente angolare otte-nuto per ogni anno. L’analisi della figura per-mette di evidenziare come i valori dei coeffi-cienti angolari per ogni singolo anno (e quin-di di efficienza della catena alimentare inquell’anno) siano in stretta relazione con i va-lori di temperatura media registrati nello stra-to mescolato nell’anno precedente.L’interpretazione di questa relazione, ed in par-ticolare dei tempi di risposta alle variazioni ditemperatura osservate, è in chiave trofo-dina-mica: temperature più elevate nelle acque la-custri più superficiali in un determinato annopossono garantire per la fauna ittica un mag-gior successo riproduttivo e, al tempo stesso,un metabolismo ed un accrescimento somaticopiù elevati, che si possono tradurre, nell’annosuccessivo, in maggiori contenuti exergeticidel popolamento nel suo complesso.

Se da una parte è certo che i popolamenti bat-terici, fitoplanctonici e zooplanctonici, in virtùdel loro breve “turnover time”, difficilmentepossono mantenere una me-moria dei processifisici che abbiano interessato l’anno preceden-te, dall’altra, il popolamento ittico certamentemantiene una “memoria” degli eventi pregres-si anche a distanza di alcuni anni, il che con-ferma il loro ruolo fondamentale nel determi-nare l’efficienza della catena alimentare.Il secondo contributo è relativo ad uno studiocondotto nel 2003, risultato l’anno più caldodell’ultimo secolo, con un più precoce e pro-nunciato riscaldamento dello strato d’acquaimportante per la vita dello zooplancton,quello compreso nei primi 50 metri di profon-dità. In esso, la massima di Giugno risultavadi 5°C più elevata di quella solitamente regi-strata in questo periodo dell’anno.Le conoscenze relative alle modificazioni nelpopolamento zooplanctonico del Lago Mag-giore durante l’eutrofizzazione hanno per-messo di ipotizzare un quadro realistico del-

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 1: Stima dell’efficienza della catena alimentarepelagica e temperatura media dello strato di mescola-mento estivo delle acque del Lago Maggiore nel periodoin studio (de Bernardi e Yørgensen, 1998).

Figura 2: A: Densità medie annuali dei principali taxa diCladoceri; B: densità di popolazione massima annuale diDaphnia registrate in anni del periodo 2000-2003 e con-fronto con il valore del 1982, anno del periodo mesotrofonel quale Daphnia raggiunse il massimo storico del pic-co in densità di popolazione.

densità di popolazione al picco

0

5000

10000

15000

anni

ind/

m3

B

1982 2000 2001 2002 2003

0

1000

2000

3000

4000

5000

anni

ind/

m3

Bosmina Diaphanosoma Daphnia

1982 2000 2001 2002 2003

A

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l’impatto del riscaldamento nell’ipotesi cheesso produca effetti simili a quelli di un au-mento della produttività.Una sintesi dei risultati ottenuti è riportata inFigura 2.La biomassa zooplanctonica totale è risultatanettamente più elevata nel 2003 rispetto aglianni pregressi. Alla base di tale incremento èstato l’aumento numerico di Daphnia, il piùefficiente e il più grosso tra i cladoceri filtra-tori, la cui base alimentare nel pelago delMaggiore è principalmente costituita dal fito-plancton. La sua presenza media è risultata piùche doppia rispetto a quella degli anni prece-denti e del tutto paragonabile a quella che ven-ne registrata nel 1982, anno del periodo di pie-na mesotrofia del lago, nel quale Daphnia rag-giunse il massimo storico del picco in densitànumerica. A determinare il valore osservatonel Maggio 2003 è stata sostanzialmente lacomponente giovane della popolazione, favo-rita da accresciute disponibilità alimentari.L’incremento nei valori di densità e biomassadello zooplancton osservato è in accordo conquanto previsto dalla letteratura sugli effettidell’aumento di temperatura sul tasso di cre-scita delle popolazioni (Hall e Burns, 2002):ciclo vitale, tempi di sviluppo, velocità di cre-scita, ed efficienza di utilizzo del cibo degliorganismi componenti le popolazioni zoo-planctoniche dipendono dalla temperatura. E’in virtù di tale influenza che si spiega il verifi-carsi, con il riscaldamento, di densità di popo-lazione tipicamente registrate in situazioni diaumentata trofia, in accordo con quanto ipo-tizzato da Schindler (2001).

4 PROSPETTIVE FUTURE

Da quanto espresso risulta chiaro come lozooplancton lacustre rappresenti una compo-nente estremamente utile per la verifica deglieffetti dei cambiamenti climatici sugli ecosi-stemi acquatici. La piena sovrapposizione trala densità di popolazione osservata in fase dimesotrofia e quella di un anno eccezional-mente caldo può essere interpretata come unaconferma del fatto che il riscaldamento mi-

merebbe, quanto a effetti, l’eutrofizzazione. Tuttavia, tale analogia è, con tutta probabilità,solamente apparente: ad un’analisi più accu-rata emergono sostanziali differenze di carat-tere fenologico, riconducibili ad effetti sia di-retti che indiretti del riscaldamento (Manca etal., 2007): su questi, ed in particolare suimeccanismi trofodinamici attraverso i qualiessi agiscono sulle comunità planctoniche esull’ecosistema pelagico, sono rivolti gli stu-di attualmente in corso.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Edmondson W.T., 1993. Experiments endquasi-experiments in limnology. Bullettinof Marine Science, 53(1): 65-83.

De Bernardi R., Yørgensen S., 1998. Exergycontent in the pelagic food chain of LagoMaggiore. Lakes & Reservoirs: Researchand Management, 3: 135-138.

Hall C.J., Burns C.W., 2002. Mortality andgrowth responses of Daphnia carinata toincreases in temperature and salinity. Fre-shwater Biology, 47: 451-458.

Manca M., Portogallo M., Brown M.E., 2007.Shifts in phenology of Bythotrephes lon-gimanus and its modern success in LakeMaggiore as a result of changes in clima-te and trophy. Journal of Plankton Re-search, Published on-line, 25 April 2005.

Schindler D.W., 2001. The cumulative effectsof climate warming and other humanstresses on Canadian freshwaters in thenew millennium. Canadian Journal Fi-sheries and Aquatic Sciences, 58: 18-29.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 163: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

Tra le misure previste dal protocollo di Kyotoper il contenimento delle emissioni di gas ser-ra in atmosfera figurano interventi volti a pro-muovere l’impiego delle superfici agro-fore-stali come sink di carbonio. È importante quan-tificare il ruolo che tali ecosistemi svolgono osvolgeranno come sorgenti o pozzi di gas ser-ra, anche al fine di effettuare delle previsionisulla futura sostenibilità agricola e forestale.Esistono differenti tecniche per la determina-zione degli scambi gassosi superficiali, ognu-na con caratteristiche spaziali e coperturetemporali proprie. Le tecniche micrometeoro-logiche convenzionali (Eddy Covariance) so-no di solito implementate a partire da misureeffettuate da stazioni fisse attraverso il rileva-mento in continuo e ad alta frequenza di datidi vento e di concentrazione gassosa. Essenon sono rappresentative di territori eteroge-nei o con morfologia complessa. È stata pro-posta una metodologia per la stima dell’ emis-sione o assorbimento di aree con estensionespaziale di diversi chilometri quadrati ed in-dipendente dall’eterogeneità e dall’orografia

del territorio. La metodologia è implementataa partire da misure rilevate nello strato limiteplanetario dalle piattaforme aeree Sky ArrowERA, gestite dal CNR ISAFOM. Queste ulti-me sono dotate della strumentazione necessa-ria per il rilevamento di dati meteorologici edi concentrazioni gassose (CO2/H2O) ad altafrequenza (50 Hz).Il bilancio è stato applicato in via preliminareutilizzando un set di dati campionato in unarea interessata da una copertura vegetale del60% - 70% , e localizzata nei pressi di un cen-tro industriale.

2 METODOLOGIA: BILANCIO DI MASSA E TECNI-CHE DI REGRESSIONE

2.1 Il bilancio di massaIl metodo proposto è basato sul calcolo del bi-lancio di massa di una colonna d’aria perunità di superficie (Kalthoff et al., 2002; Lau-bach e Fritsch, 2002). Il flusso superficiale èottenuto come differenza tra il tasso di varia-zione della concentrazione del gas all’internodella colonna d’aria e i flussi calcolati attra-verso le sue superfici laterali e quella supe-

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Metodologia di bilancio di massa per la stima degli scambi gassosi superficiali a scala territoriale

U. Amato1, M.F. Carfora1, S.M. Alfieri2, M. Esposito2, V. Magliulo2

1Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone”, CNR, Napoli, Italia2Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, CNR, Ercolano (Na), Italia

SOMMARIO: Uno degli interventi proposti dal protocollo di Kyoto per la stabilizzazione delle concentra-zioni di gas serra si riferisce alla necessità di determinare la localizzazione delle sorgenti e delle fonti ditali gas. Il metodo del bilancio di massa, implementato a partire da misure rilevate da piattaforma aerea,presenta la potenzialità di poter quantificare gli scambi gassosi superficiali su aree di diversi chilometriquadrati, permettendo una stima anche in condizioni di eterogeneità superficiale, contrariamente ai meto-di tradizionali. In questo studio il metodo è stato applicato ad un sito nei pressi di Forlì utilizzando dati te-lerilevati ad alta frequenza nello strato limite planetario. La scarsa risoluzione verticale ottenuta in fase dirilevamento dati è stata risolta attraverso un metodo di regressione non parametrico. I campi di concen-trazione del gas e del vento in corrispondenza dell’altezza dello strato limite planetario sono determinaticon un modello additivo non parametrico. Risulta che la superficie del territorio esaminato emette un flus-so di anidride carbonica di 13±0.3 µmoli/m

2/s, a causa della presenza di un centro industriale all’interno

dell’area esaminata.

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riore, identificata dall’altezza dello strato li-mite planetario. Assumendo che l’emissionedel gas e l’altezza dello strato limite planeta-rio siano costanti e ignorando i contributi do-vuti alla deposizione e la conversione chimi-ca, l’emissione del gas è ottenuta dai flussi dimassa integrati attraverso le superfici di unvolume virtuale con le pareti laterali corri-spondenti alle traiettorie percorse dall’aereo ela superficie superiore con l’altezza dellostrato limite planetario.Considerando il caso specifico dell’anidridecarbonica, il flusso netto del gas è :

(1)

dove, in ogni punto del box considerato, ρCO2rappresenta la densità di CO2 e q = (nx, ny, nz)il vettore velocità del vento, mentre n = (nx,ny, nz) è la normale alla superficie del box.L’integrale è esteso alle superfici laterali e al-la faccia superiore del box (ΩB). Per ottenereuna distribuzione continua in corrispondenzadelle superfici della colonna d’aria è necessa-rio applicare delle tecniche di interpolazio-ne/regressione che ricostruiscano i dati di con-centrazione e vento a partire dalle misure rile-vate da aereo. Le metodologie di regressioneindividuate ai fini della nostra applicazionesono illustrate nei paragrafi 3.3 e 3.4.

2.3 Scelta delle superfici del box virtuale.Il campionamento ad alta frequenza in corri-spondenza delle traiettorie percorse dall’ae-reo permette di ottenere una risoluzione oriz-zontale dei dati misurati pari a 0,75 metri. Larisoluzione verticale, al contrario, è limitata apoche misure (circa ogni 100 m) ed è dipen-dente dal numero di quote coperte dall’aereo.Inoltre i campi delle quantità fisiche (densitàdi CO2, densità dell’aria, vento), spesso mo-strano variazioni locali spaziali molto fortiche rendono difficile la loro stima sul box. Lascelta del box di riferimento è stata effettuata,sulla base delle considerazioni sopra descrit-te, in modo che le sue superfici siano vicine ilpiù possibile ai dati misurati. A tal fine sono

state adottate le seguenti procedure: - ognuna delle facce laterali del box è stata

stimata individuando un piano che interpo-la attraverso il metodo dei minimi quadratii dati misurati lungo le traiettorie di volo;

- la superficie superiore del box è stata indi-viduata da un piano che interpola (con i mi-nimi quadrati) i dati misurati al top.

2.2 Stima del flusso medio di CO2 sulle su-perfici laterali: regressione con le funzioni diShepard. Una delle metodologie di regressione non pa-rametrica più usata nelle scienze applicate perla rappresentazione di dati sparsi nello spazioè rappresentata dalle funzioni di Shepard(Shepard, 1968). La funzione di regressione èdata da:

(2)

dove la funzione peso è data da

(3)

dove rappresenta la distanza euclidea e â èvariabile tra 1 e 2. Definita una griglia di interpolazione su ognifaccia del volume, con risoluzione verticalevariabile (coerente con la distanza tra due al-tezze di volo consecutive) e risoluzione oriz-zontale fissa, i valori delle variabili fisiche inogni punto della griglia sono determinati at-traverso l’equazione (2).

2.3 Stima del flusso medio di CO2 sul top delbox. Il calcolo del flusso al top del box richiede laconoscenza del campo di concentrazione e divento sull’intera superficie. Tuttavia è diffici-le poter determinare con precisione l’altezzadello strato limite planetario precedentemen-te alle campagne di misura, così da potercampionare su tale superficie. La ricostruzione del campo tridimensionaledelle variabili fisiche (CO2, densità e vento)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

626

1

1

( ) ( )ˆ ( )( )

Ni ii

Nii

w x fx xf x

w x x=

=

−= ,

−∑

( ) ( )w z z β−= ,

2 22CO( )

BCO COB

F q dV q ndSρ ρΩ

= ∇⋅ = ⋅ ,∫ ∫

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può essere quindi ottenuta utilizzando un mo-dello additivo non parametrico (Amato et al.,2002) a partire dai dati rilevati ai confini delbox percorso dall’aereo in prossimità dell’al-tezza dello strato limite planetario (individua-ta in fase di analisi dei dati). Se g rappresentauna generica variabile fisica, il campo 3D ditale variabile è dato da:

(4)

con In prima approssimazione può essere tuttaviautilizzato un approccio più semplice, conside-rando un valore di concentrazione del gasuniforme su tutta la superficie superiore (otte-nuto mediando i dati campionati ai confini delbox). Il campo di vento medio verticale puòessere quindi determinato applicando l’equa-zione di continuità alla massa d’aria all’inter-no del box virtuale:

(5)

dove ρ è la densità dell’aria e ρ il suo valoremedio sulla superficie superiore; AT è l’areadella superficie superiore e gli indici i, j, k siriferiscono alle coordinate orizzontali e verti-cali di ogni cella della griglia di interpolazio-ne. Il flusso approssimato attraverso la super-ficie AT è dato da:

(6)

2.4 Pianificazione e rilevamento dati.La metodologia è stata applicata ad un set didati campionati il 24 settembre 2005 nei pres-si di un centro industriale vicino la città diForlì. La zona oggetto di studio è stata sorvo-lata descrivendo una serie di quadrilateri a 5quote diverse, allo scopo di delimitare un boxideale all’interno del quale effettuare il calco-lo del bilancio di massa della CO2 misurata.I profili di temperatura effettuati sopravento esottovento l’area oggetto di studio mostranodue discontinuità rispettivamente alle quotedi 350 e 500 metri. Tali inversioni sono evi-

denti anche nei profili di concentrazione diH2O e di CO2 (Fig. 2). Gli andamenti dellemisure radiometriche effettuate nel corso del-la campagna di misure evidenziano, inoltre,una copertura nuvolosa intermittente e trendirregolari della radiazione incidente e riflessa.

3 RISULTATI RILEVANTI

I profili verticali campionati sopravento e sot-tovento l’area esaminata mostrano condizionimeteorologiche locali molto complesse. Leinversioni termiche non permettono di stima-re con precisione la quota superiore del volu-me al quale applicare la metodologia prece-dentemente descritta (Htop). I valori di flussodi CO2 superficiale sono stati calcolati perdifferenti quote Htop e differenti risoluzioniorizzontali della griglia di interpolazione.I valori tendono a stabilizzarsi in prossimitàdella seconda quota di inversione (500 m)

Impatti dei cambiamenti climatici

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ˆ( ) ( ) ( ) ( )o x y zg x y z g g x g y g z, , = + + + ,

.0)()()( === gzEgyEgxE

1 ( )i j k i j k i j kk i jT

w q n sA

ρρ , , , , , ,

,

=− ⋅ ∆∑∑

2 2

,CO top TCOF wAρ=

Figura 1: Traiettorie percorse dal velivolo intorno all’areadi studio.

Figura 2: Profilo verticale di H2O.

Page 166: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

mostrando una minore variabilità sia rispettoalla risoluzione orizzontale della griglia di in-terpolazione scelta per la regressione sulle su-perfici laterali del box, sia rispetto alla sceltadella quota Htop. In tabella sono rappresentatii valori di flusso calcolati tra 450 m e 510 mdi altezza.

Tabella 1: Flussi superficiali di CO2.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Amato U., Antoniadis A., De Feis I., 2002.Fourier series estimation in separable mo-dels. J. Comput. Appl. Math., 146: 459-479.

Kalthoff N., Corsmeiera U., Schmidta K.,Kottmeiera Ch., Fiedlera F., Habramb M.,Slemrb F., 2002. Emissions of the city ofAugsburg determined using the mass ba-lance method. Atmosph. Environment.,36: S19-S31.

Laubach J., Fritsch H., 2002. Convectiveboundary layer budgets derived from air-craft data. Agricultural and Forest Meteo-rology, 111: 237-263.

Shepard D., 1968. A two dimensional inter-polation function for irregularly-spaceddata. ACM National Conference, 517-524.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Risulta un contributo positivo del flusso su-perficiale di anidride carbonica variabile tra12.3 e 13.8 µmoli/m2/s (emissione). Ciò è si-curamente legato alla presenza di un centroindustriale localizzato all’interno dei confinimostrati in Figura 1 (nord-ovest). L’attivitàantropica in tale area determina una produ-zione di CO2 che l’attività fotosintetica dellasuperficie vegetale non riesce a bilanciare,pur costituendo, quest’ultima, il 70% dell’in-tera superficie esaminata.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Attraverso il metodo utilizzato in questo stu-dio è stata ottenuta una stima realistica delflusso superficiale di CO2. La natura dell’ap-proccio sviluppato per la regressione, di tiponon parametrico, permette applicazioni anchein condizioni meteorologiche complesse, inquanto non prevede alcuna assunzione a prio-ri riguardo l’andamento della funzione di re-gressione.

Htop Risoluzione orizzontale (m)(m) 45 22.5 11.3 5.6450 13.7 13.8 12.9 13.4 470 13.6 13.7 12.6 13.2 490 13.4 13.7 12.3 12.9 510 13.3 13.7 12.1 12.7

Page 167: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 LA DESERTIFICAZIONE: UN PROBLEMA GLOBALE

La presa di coscienza che le risorse naturalied ambientali non sono illimitate ed hanno ci-cli più o meno lunghi di rigenerazione e l’as-sunzione, quindi, del concetto di “vulnerabi-lità”, e del “rischio” che la loro disponibilitàpossa divenire critica fino alla soglia dell’ir-reversibilità, ha reso necessaria l’adozione dinuove strategie per la protezione dell’ambien-te e per uno sviluppo sostenibile.La desertificazione, come perdita di suolo eriduzione del potenziale produttivo, è un fe-nomeno che sta interessando sempre più Pae-si di svariate latitudini. Le cause si possonoricondurre essenzialmente a stress di naturaclimatica ed alla pressione non sostenibiledelle attività umane, che acuiscono la “vulne-rabilità” di un territorio.Il bacino del Mediterraneo e l’Italia, nell’ulti-mo decennio, hanno visto l’intensificarsi dieventi estremi quali siccità estive ed inverna-li ed alluvioni, segno evidente di una rotturadegli equilibri naturali, favorita ed acceleratadal mismanagement del territorio.Tutti i Paesi aderenti alla Convenzione delleNazioni Unite per la Lotta contro la Desertifi-cazione (UNCCD), attraverso organismi re-gionali, nazionali e locali ad hoc, si sono im-

pegnati a verificare e monitorare la presenzasul territorio di aree soggette o minacciate dafenomeni di siccità, degrado del suolo e pro-cessi di desertificazione per le quali devonoessere adottate specifiche misure di tutela.

2 VALUTAZIONE DELLE AREE A RISCHIO

Data la complessità del fenomeno e la diver-sità delle forze scatenanti, l’approccio neces-sario al raggiungimento di questi obiettivi de-ve essere multidisciplinare.La metodologia delle ESAs (EnvironmentalSensitive Areas) (Kosmas, 1999), sviluppatanell’ambito del progetto Comunitario MEDA-LUS (Mediterranean Desertification and LandUse), è un esempio di questo tipo di ricerca.Essa si fonda sull’incrocio di una serie di in-dicatori afferenti a quattro tipologie di fattoriscatenanti: climatici, che sono alla base diqualsiasi fenomeno di degrado del suolo, ve-getazionali, morfo-pedologici e socio-econo-mici, i quali, però, questi ultimi, sono di diffi-cile parametrizzazione perché in parte legatialla percezione locale dei fenomeni di deser-tificazione (Workshop DIS/MED, 2003) ed inparte legati a pratiche di gestione del territo-rio altamente variabili nel tempo (ad es. Poli-tiche Agricole Comunitarie).

629

Analisi multiscala del rischio desertificazione per gli agroecositemi

R. Magno, L. Genesio, A. Crisci, G. MaracchiIstituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: L’evoluzione della variabilità climatica recente nella distribuzione stagionale della precipita-zione e della temperatura è una delle cause primarie scatenanti i processi di desertificazione. Come tale,rappresenta un elemento di pressione ambientale che ha i suoi effetti non solo sugli ecosistemi naturali,ma anche sulle attività umane, prima fra tutte l’attività agricola. La misura di questo impatto può esserevalutata tramite un’adeguata analisi climatologica. Dai risultati dei lavori effettuati a diverse scale spazia-li e temporali, relativi al rischio climatico e all’identificazione delle aree potenzialmente sensibili a deser-tificazione, è emersa una convergenza di fattori scatenanti di natura antropica che vanno a sovrapporsi adun’intrinseca fragilità climatica.

Page 168: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

La peculiarità di questa metodologia risiedenella possibilità di integrazione degli indicato-ri in base ai diversi contesti socio-geografici edi applicazione a diverse scale spaziali.Nei Progetti DIS/MED e DESERTNET - IN-TERREG IIIB - MEDOCC, ai quali l’IBI-MET ha partecipato, è stata utilizzata la pro-cedura ESAs per l’identificazione delle areesensibili alla desertificazione sia a scala di ba-cino del Mediterraneo, sia a scala nazionale,sia locale, relativamente alla regione Toscana.Le sezioni tecniche dei progetti hanno effet-tuato un’approfondita analisi climatica mensi-le, interannuale ed intrannuale, consistita nel-l’elaborazione e spazializzazione, attraversoadeguate tecniche di interpolazione, dei dati dipioggia, temperatura ed evapotraspirazionepotenziale provenienti da stazioni meteorolo-giche a terra, per la definizione dell’Indice diAridità, inteso come rapporto fra Precipitazio-ne ed Evapotraspirazione potenziale.

3 DRIVING FORCES E ANALISI EVOLUTIVE

3.1 Analisi a scala regionale (DISMED)L’analisi condotta sul bacino del Mediterra-neo ha prodotto una mappa dell’Indice di Ari-dità calcolato sul periodo di riferimento 1960-1990 (standard WMO-World MeteorologicalOrganization) (Fig. 1) che sta ad indicare ilCQI (Climate Quality Index) della metodolo-gia ESAs.Tale mappa è stata incrociata con gli altri in-

dici del metodo: il VQI (Vegetation QualityIndex), ottenuto da una riclassificazione delLandcover in base agli indicatori di rischiod’incendio, protezione dall’erosione, grado dicopertura della vegetazione e resistenza allasiccità, e il SQI (Soil Quality Index), derivan-te dalla classificazione dei seguenti parametridel suolo: roccia madre, tessitura, profonditàe pendenza.Il risultato, su scala nazionale italiana, ha evidenziato come, fra le regioni del sud maggiormente affette, la Sicilia presenti piùdel 30% del territorio soggetto a rischio alto(Fig. 2).

3.2 Analisi a scala locale (DESERTNET)Con il Progetto DESERTNET l’analisi clima-tica ha subito un’evoluzione. Oltre all’aspetto“statico”, “strutturale” del clima, che ne deli-nea le caratteristiche essenziali, è stato dato ri-salto all’aspetto “dinamico”, “congiunturale”

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

630

Figura 1: Indice di Aridità sul bacino del Mediterraneo.

Figura 2: Percentuale di territorio a rischio desertifica-zione nelle regioni più vulnerabili

Page 169: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

delle vicende climatiche e degli andamenti delclima della Toscana, al fine di individuarne levariazioni e le fluttuazioni verificatesi nel cor-so dell’ultimo quarantennio 1960-2000.Inoltre una destagionalizzazione dei valori diaridità annui ha permesso di identificare neldettaglio i periodi di maggiore vulnerabilitàdegli ecosistemi vegetali.Se a livello annuale, infatti, la Toscana risul-ta una regione umida, nel periodo primaveri-le-estivo si evidenziano zone a carattere sub-umido secco e semi-arido che si estendonodalle aree costiere alle valli interne, fino allependici appenniniche nel periodo più caldo,creando problemi alla vegetazione naturale ed

alle colture agricole, in quanto le fasi critichedi crescita per le piante sono, di solito, con-centrate in tali mesi.La Figura 3 mostra l’Indice di Aridità primaverile-estivo, secondo la classificazione UNEP, calcola-to sul trentennio climatologico 1960-1990 e suldecennio di confronto 1991-2000.Seguendo la metodologia ESAs, all’analisiclimatica sono state affiancate analisi vegeta-zionali, podologiche e di gestione del territo-rio, avendo cura di scegliere il set di indicato-ri più appropriato al contesto toscano; graziepoi alla flessibilità della metodologia, è statoinserito un ulteriore indice di qualità relativoalla pressione antropica (HPI-Human Pressa-re Index), che considera non solo la densità dipopolazione che risiede stabilmente su un’a-rea, ma anche l’impatto che l’afflusso di turi-sti in zone ristrette ed in tempi limitati ha sul-lo sfruttamento delle risorse naturali.La mappa finale di sensibilità alla desertifica-zione della Toscana evidenzia quattro ma-croaree a rischio medio-alto, caratterizzate daelementi di pressione diversi, ma omogeneiall’interno di ogni macro-area (Fig. 4).L’analisi, che è stata impostata prendendo inconsiderazione gli indicatori più appropriatirispetto al territorio regionale, si caratterizza

Impatti dei cambiamenti climatici

631

Figura 3: Evoluzione dell’aridità nel decennio ’91-’00 inToscana.

Figura 4: Carta dell’indice ESAI di vulnerabilità alla de-sertificazione della Toscana.

Page 170: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

per l’enfasi che è stata data a quelle compo-nenti che, in termini di pressione sul territo-rio, presentano maggiore dinamicità nel tem-po, quali le variazioni della pressione antropi-ca e l’evoluzione dei parametri climatici.Il quadro di riferimento della sensibilità alladesertificazione che risulta da questo studio,rappresenta, dunque, non solo una fotografiadello stato di fatto, ma comprende anche una valutazione della tendenza dei fenomeniin atto.

4 APPLICAZIONI SUL TERRITORIO

I risultati ottenuti dagli studi alle diverse sca-le spaziali e temporali devono servire da stru-mento operativo di supporto decisionale nel-l’ambito della pianificazione dello sviluppo edella gestione delle risorse.Per questo motivo, nelle aree identificate co-me maggiormente soggette a rischio, si rendenecessario un approfondimento degli studi edel monitoraggio dei fattori di pressione pre-dominanti con un occhio di riguardo ai possi-bili scenari futuri ed alle azioni di mitigazione.Nelle aree ancora non affette, invece, è altre-sì importante creare delle linee guida per laprevenzione dei fenomeni di degrado.La carta di sensibilità alla desertificazionerappresenta, inoltre, una base informativa per“leggere” in modo trasversale il territorio, in-tegrando gli indicatori che la compongonocon altre analisi tematiche legate alle proble-matiche ambientali e che vengono solitamen-te affrontate in differenti ambiti, dando luogoad interessanti considerazioni circa la coinci-denza, in alcune aree, di criticità di origine di-versa, come ad esempio le zone di criticitàambientale individuate all’interno del PianoRegionale di Azione Ambientale 2004-2006 ole aree ad elevato livello di emissioni di CO2.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

632

Page 171: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Le interazioni non lineari tra copertura vege-tale ed atmosfera svolgono un ruolo chiavenelle dinamiche climatiche e nel ClimateChange (Feddema et al., 2005). Le caratteristi-che e le proprietà di correlazione dei processiche coinvolgono la copertura vegetale terrestrevariano in accordo con il Clima. A loro volta,modificazioni intensive della copertura vegeta-le agiscono come forzante sul Clima determi-nando cambiamenti nei flussi energetici di su-perficie, nel bilancio idrico e nel ciclo del car-bonio. È stato stimato che gli effetti di tale for-zante sul bilancio radiativo sono almeno con-frontabili con quelli dovuti a tutti i gas serracomplessivamente (Pielke et al., 2002). Gli studi fenomenologici sui processi di landcover stanno rapidamente progredendo graziesoprattutto ai dati da satellite. Questi vengo-no attualmente assimilati nei modelli climati-ci ma le dinamiche della vegetazione sono an-cora sostanzialmente inesplorate. Esistonodei modelli pionieristici qualitativi che metto-

no in evidenza meccanismi molto interessan-ti le cui scale dinamiche non sono esplicitate.La stima di tali scale spazio-temporali è, però,essenziale sia per la previsione del Clima, siaper la valutazione del rischio di land degra-dation e desertificazione in ambienti fragili.Molti degli ecosistemi a rischio sembrano ob-bedire a dinamiche multi-equilibrio in cuiperturbazioni relativamente piccole della ve-getazione o del clima possono generare diffe-renti scenari stabili con cambiamenti sostan-zialmente irreversibili (Higgins et al., 2002).Una delle proprietà fondamentali della vegeta-zione in buono stato ed in regime climaticostazionario è, invece, un’elevata resilienza,ossia una buona capacità di recuperare dalleperturbazioni ritornando alla pre-esistentecondizione imperturbata. Dal punto di vistadinamico, la resilienza implica l’esistenza discale temporali caratteristiche il cui valore di-pende da molti fattori (tipo di vegetazione, cli-ma locale, disponibilità di nutrienti etc.) e lacui stima è particolarmente importante in tuttele problematiche climatiche in cui il ruolo del-

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Stima dei tempi di correlazione caratteristici dell’attività fotosintetica terrestre su scale climatiche

M. Lanfredi1, T. Simoniello1, V. Cuomo1, M. Macchiato2

1Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale, CNR, Tito Scalo (Pz), Italia2Dipartimento di Scienze Fisiche, Università “Federico II”, Napoli, [email protected]

SOMMARIO: In questo contributo viene presentata una metodologia empirica per la caratterizzazione dina-mica della vegetazione nell’ambito dello studio delle interazioni tra biosfera, attività antropiche e clima. Gliecosistemi in equilibrio stabile rispondono alle perturbazioni ritornando asintoticamente alle condizioni nonperturbate. Nell’ambito della teoria dei sistemi stocastici, tale resilienza si concretizza generalmente nell’e-sistenza di scale temporali caratteristiche. Al contrario, l’assenza di scale tipiche e la non-stazionarietà in-dicano la tendenza a memorizzare e ad accumulare perturbazioni. La procedura sviluppata consiste nellostimare la probabilità di persistenza dei trend dell’attività fotosintetica ottenuti da serie di mappe satellitaridi indici di vegetazione. I risultati conseguiti sull’area test del Sud Italia per il periodo 1985-1999 rivelanocondizioni medie stazionarie con situazioni locali anomale in aree a rischio di land degradation. Tale pro-cedura si presenta particolarmente promettente per studiare fenomeni di desertificazione e, più in generale,per assimilare informazioni quantitative sulla dinamica della biosfera nei modelli climatici.

Page 172: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

la biosfera è considerato significativo. A talescopo, le serie temporali di osservazioni satel-litari costituiscono lo strumento principale perricostruire le proprietà di correlazione dell’at-tività fotosintetica a livello planetario.Questo contributo riguarda la messa a puntodi una procedura empirica per la caratterizza-zione dinamica dell’attività fotosintetica ba-sata su metodologie stocastiche ed applicata aserie temporali di dati da satellite NOAA-AVHRR relativi all’area test del Sud Italia.L’indice satellitare utilizzato è l’NDVI (Nor-malized Difference Vegetation Index), un in-dice vegetazionale largamente impiegato inletteratura come variabile proxy per l’attivitàfotosintetica. Punto critico fondamentale perl’affidabilità della metodologia è la bontà del-le procedure di processamento dei dati satel-litari al fine di minimizzare effetti di trendspuri (Simoniello et al., 2004).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca svolta dal nostro grupponell’ambito della caratterizzazione delle dina-miche di land cover attraverso l’analisi di da-ti satellitari riguarda sia il processamento deidati grezzi che la messa a punto di metodichead hoc derivate dalle teorie stocastiche e deisistemi dinamici.

2.1 Processamento di dati satellitari NOAA-AVHRRI dati NOAA/AVHRR (Advanced Very HighResolution Radiometer, a bordo dei satellitiNational Oceanic and Atmospheric Admini-stration), acquisiti direttamente presso l’I-MAA-CNR, sono stati processati ed elabora-ti per ottenere mappe corrette dell’indice divegetazione NDVI per il Sud Italia alla riso-luzione del sensore (∼1 Km2). Negli anni scorsi abbiamo messo a punto evalidato una procedura per la minimizzazionedegli errori sistematici presenti nei dati (Cuo-mo et al., 2001) e verificato le loro potenzia-lità per il monitoraggio di coperture vegetalieterogenee come quelle degli ecosistemi Me-diterranei (Bonfiglio et al., 2002).

L’affidabilità dei dati riveste un ruolo crucia-le in questo tipo di studi poiché l’eventualitàdi trend spuri può portare a caratterizzazionidinamiche completamente distorte.

2.2 Stima delle probabilità di persistenzaL’idea di base su cui si fonda quest’attività diricerca è che lo studio dell’evoluzione tempo-rale delle mappe di NDVI possa essere profi-cuamente inquadrato in una problematicameccanico-statistico analogica. L’algoritmoda noi sviluppato è ispirato alle recenti teorierelative alla dinamica delle superfici (Sire etal., 2000) ed è stato opportunamente adattatoalle peculiarità del problema specifico (Lan-fredi et al., 2004). Esso prevede il calcolo deitrend lineari di NDVI stimati a partire da con-dizioni di riferimento fissate e per periodiprogressivamente crescenti. La distribuzionestatistica empirica sul territorio dei tempi ne-cessari perché tali trend cambino segno (tem-pi di primo passaggio), permette di stimare laprobabilità di persistenza, che riflette le pro-prietà di stazionarietà della variabilità del-l’NDVI. Nel caso di processi con scale carat-teristiche, i tempi di primo passaggio t si di-stribuiscono esponenzialmente:

q (t) = N (t) / N0 exp(t / τ)

dove N(t) è il numero di pixel per cui il trendsopravvive t anni, N0 è il numero di pixel in-vestigati e la costante di decadimento caratte-ristica τ fornisce una stima del tempo di vitamedio dei trend sulla regione investigata.

3 RISULTATI RILEVANTI

Il risultato generale più interessante, perquanto riguarda la metodologia, è il buon ac-cordo tra le curve sperimentali stimate e lefunzioni di correlazione teoriche attese nelcaso di processi stazionari (Fig. 1). Le scale caratteristiche ben si accordano conle diverse tipologie di land cover. Ad esempio,per la macchia Mediterranea, nota per la suacapacità di recupero e di espansione, abbiamostimato un tempo caratteristico di circa 3 anni

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

634

Page 173: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

per i trend negativi (il minimo fra le copertu-re) e di circa 23 anni per quelli positivi (ilmassimo fra le coperture). Situazioni locali didegrado si osservano in aree a rischio di landdegradation, specialmente in Puglia (Fig. 2). Questa analisi può essere ripetuta anno peranno ottenendo informazioni dinamiche ag-giornate sulle diverse coperture vegetali perindividuare precocemente cambiamenti diffu-si sul territorio.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Attualmente si sta procedendo all’applicazio-ne della metodologia sviluppata in due diversicontesti. Il primo riguarda l’analisi delle persi-

stenze sul bacino del Mediterraneo, dove esi-stono molte aree a rischio di land degradatione desertificazione. Il secondo è relativo allostudio delle potenzialità degli indici di persi-stenza per il miglioramento delle performancedegli indicatori di vulnerabilità alla desertifi-cazione attraverso l’integrazione di informa-zioni dinamiche. Inoltre, si prevede di studia-re l’esportabilità della metodologia ad altri pa-rametri (es. LAI, FPAR) e a dati da sensori dinuova generazione (MODIS, VGT). Più in ge-nerale, le persistenze stimate con la nostraprocedura mettono in luce proprietà di basedella dinamica della vegetazione e fornisconostime quantitative che possono essere di inte-resse per i modelli climatici, soprattutto peresplicitare le correlazioni della biosfera conforzanti climatiche e/o antropiche.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Cuomo V., Lanfredi M., Lasaponara R., Mac-chiato M., Simoniello T., 2001. Detectionof interannual variation of vegetation in

Impatti dei cambiamenti climatici

635

Figura 1: Esempi di Best fit esponenziali della probabilitàdi persistenza dei trend positivi (quadrati) e negativi(triangoli) per alcuni tipi di land cover. I tempi caratteri-stici τ indicano che i trend negativi decadono mediamen-te in tempi più brevi di quelli positivi, come atteso pervegetazione in buono stato (Lanfredi et al., 2004).

Figura 2: Mappa dei tempi di persistenza, espressi in an-ni, per il periodo 1995-1999. Il segno indica la direzionedei trend. Risulta particolarmente evidente la presenza digrandi aree soggette a decrescita persistente dell’NDVIin Puglia e in alcune zone della Sicilia e della Calabria(Lanfredi et al., 2004).

Page 174: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

middle and southern italy during 1985-1999 with 1 km NOAA AVHRR. J.Geophys. Res., 106(D16): 17863-876.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 175: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

È ormai unanimemente riconosciuto (Kanaki-dou et al., 2005) che i BVOC con tensione divapore superiore a 0.13 KPa svolgono un ruo-lo fondamentale negli equilibri climatici po-tendo agire sia come gas serra, che come pro-duttori di ozono troposferico e SOA. Partico-larmente efficace sul clima è l’impatto deiSOA perché si comportano da nuclei di con-densazione delle nubi (CCN). Fra i BVOC re-sponsabili del riscaldamento dell’atmosfera vaannoverato il metano, la cui emissione da par-te delle piante terrestri è però ancora oggetto didiscussione. Tra quelli che concorrono alla for-mazione di ozono e SOA, vanno annoverati es-senzialmente i composti isoprenoidi (isoprene,monoterpeni, sesquiterpeni). Ozono e SOA siformano per ossidazione fotochimica degli iso-prenoidi in presenza di NO+NO2 (NOx) e ra-diazione UV. Il massimo dell’efficienza si rag-giunge quando 15>[BVOC]/[ NOx]>4. Al difuori di questo intervallo, la reattività di que-sti composti decade rapidamente. Mentre incondizioni ottimali l’isoprene è un forte pro-duttore di ozono ma contribuisce poco o nul-la alla formazione di SOA, i monoterpeni ed isesquiterpeni producono minori quantità diozono ma quantità molto maggiori di SOA.Presenti stime indicano che su scala globale isoli monoterpeni danno ragione di più del

50% dei SOA presente nella troposfera, e chequest’ultima rappresenta una frazione varia-bile tra il 20 ed il 90% della massa totale de-gli aerosoli sottili ed ultrasottili (Kanakidouet al., 2006). L’esatta quantificazione deglieffetti dei BVOC sul clima è resa però diffici-le dall’alto numero e la diversa reattività deicomposti, dalla notevole incertezza sui fattoridi emissione e dalla limitata conoscenza deiprocessi di trasformazione in relazione allacapacità ossidativa dell’atmosfera. In partico-lare, i processi biochimici di formazione edemissione degli isoprenoidi non sono ancoracompletamente noti e ancora meno noto èl’impatto che sull’ emissione hanno gli stressbiotici ed abiotici. Per questi motivi la ricercasui BVOC stata avviata al CNR sin dal 1984.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca svolta negli ultimi anni èstata focalizzata allo studio dei processi bio-chimici e fisiologici alla base dell’emissionedi BVOC ed alla parametrizzazione ed allamodellizzazione delle emissioni di BVOC allivello di ecosistema. La validazione degli al-goritmi e dei modelli, necessaria per generareuna cartografia GIS utile ai fini della model-lizzazione ambientale, ha richiesto lo svilup-po di tecniche micro-meteorologiche avanza-te per la misura dei flussi.

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I composti organici volatili di origine biogenica (BVOC) nell’atmosfera e loro ruolo nei cambiamenti climatici

P. Ciccioli1, F. Loreto2

1Istituto di Metodologie Chimiche, CNR, Roma, Italia2Istituto di Biologia Agro-Ambientale e Forestale, CNR, Roma, [email protected]

SOMMARIO: Vengono qui riassunti i risultati principali delle ricerche svolte sui composti organici volatili diorigine biogenica (BVOC) emessi o assorbiti da ecosistemi terrestri, che contribuiscono al clima ed ai cam-biamenti climatici globali per effetto serra o per produzione di ozono e di aerosoli organici secondari (SOA).

Page 176: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Per lo studio dei processi in condizioni con-trollate, sono state costruite camere per la mi-sura dell’emissione di BVOC mediante la tec-nica dello scambio gassoso sia a livello fo-gliare che a livello di pianta intera. Esse con-sentono di determinare sia l’emissione diBVOC che la fotosintesi e l’evapotraspirazio-ne in funzione dei principali parametri am-bientali e degli stress di tipo abiotico (ozono,siccità) e biotico (attacco degli insetti) a cui lapianta è soggetta. Un esempio dell’apparec-chiatura usata per lo studio di questi stress èmostrato in Figura 1.Lo studio dei pathways metabolici è stato re-so possibile dallo sviluppo di sofisticate tecni-che di marcamento isotopico con 13CO2 (Lo-reto et al., 1996), che permettono di seguire inmodo dettagliato i vari processi che soprassie-dono alla produzione ed all’emissione deiBVOC dalle piante. In tutte queste investiga-zioni si è fatto un uso intensivo di tecnicheanalitiche all’avanguardia basate sulla spet-trometria di massa e la gas cromatografia.Per la misura dei flussi di BVOC da ecosi-stemi forestali, sono state sviluppate tecnichemicro-meteorologiche innovative, quali laRelaxed Eddy Accumulation (REA) ed ilMiddle Layer Boundary Approach (MLA)che consentono di verificare in campo le os-servazioni effettuate in laboratorio e di valu-tare le eventuali perdite causate dalla reatti-vità atmosferica all’interno della canopy(Ciccioli et al., 2003). Una foto del sistemaREA è mostrata in Figura 2.Una metodologia originale è stata infine svi-luppata per produrre mappe georeferenziatedelle emissioni biogeniche dei singoli com-ponenti al fine di modellare in modo accuratoi loro processi ossidativi.

3 RISULTATI RILEVANTI

Negli ultimi anni è stato visto che un numerosempre maggiore di piante presenti nelle areetemperate e tropicali emettono monoterpenisecondo un meccanismo che dipende sia dal-la luce che dalla temperatura. Tale meccani-smo, che è stato osservato per la prima volta

dagli autori della presente nota in una piantaMediterranea (leccio) (Ciccioli et al., 1997;Loreto et al., 1996), ha rappresentato un note-vole contributo alla conoscenza scientifica.Esso è senz’altro uno dei risultati più brillantiottenuti dal progetto Europeo BEMA coordi-nato dal CNR. Tra le specie che seguono que-sto tipo di meccanismo è stato recentementeindividuato anche il faggio, una delle piantepiù comuni nelle aree forestali in Italia ed inEuropa. I risultati di questa ricerca, svolta incollaborazione con il Max Plank Institute diMainz, (Dindorf et al., 2006) hanno mostratoche, contrariamente a quanto riportato, talespecie è un forte emettitore di monoterpeni edè potenzialmente in grado di influenzare note-volmente il clima in Europa sia mediante laproduzione di ozono che quella di SOA. Èstato inoltre confermato, attraverso il marca-mento isotopico (Noe et al., 2006), come al-cune conifere dell’area Mediterranea (Pinuspinea) seguano anch’esse lo stesso meccani-smo emissivo dei monoterpeni, che normal-mente è tipico delle angiosperme forestali.Per quel che concerne i flussi, la tecnica REAè stata per la prima volta impiegata per segui-re le variazioni stagionali in un sito forestaleitaliano e per stabilire definitivamente l’im-portanza della stagionalità nella modellizza-zione delle emissioni (Ciccioli et al., 2003).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Fotografia della camera di scambio gassosousate per lo studio dell’impatto sull’emissione di isopre-noidi indotta dall’esposizione ad ozono in collaborazionecon il Research Centre Jülich, Germany, Institute Phyto-sphere (ICG-III), Dr Juergen Wildt.

Page 177: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Ciò ha consentito inoltre di validare i terminicorrettivi sviluppate sulla base di esperimentidi laboratorio. La tecnica MLA è stata speri-mentata con successo nell’isola di Pianosanell’ambito del progetto CNR PIANOSALAB. In questo studio è stato possibile com-parare direttamente i flussi di BVOC misura-ti con quelli stimati attraverso una modelliz-zazione dell’emissione reale. I risultati ottenuti dalle ricerche svolte dal no-stro gruppo di ricerca indicano che una com-pleta revisione delle stime attuali delle emis-sioni di BVOC in Italia ed in Europa è assolu-tamente necessaria. L’emissione di monoter-peni in grado di produrre SOA è infatti moltopiù elevata di quanto previamente stimato,mentre è più bassa quella dell’isoprene. Datoil tipo di circolazione esistente in Italia, gli ae-rosoli formati da BVOC possono contribuirein modo decisivo al livello di PM10, PM2.5misurato nelle aree urbane e suburbane.I risultati delle ricerche effettuate dal nostrogruppo di ricerca in aree tropicali, boreali etemperate hanno convinto i colleghi America-ni a rivedere le metodologie da loro usate nel-lo studio dell’emissione dei BVOC, in quan-to esiste una possibilità reale che anche alcu-ne delle specie vegetali presenti in quel conti-nente emettano monoterpeni secondo il mec-

canismo individuato in Italia. Nello studio dell’impatto degli stress abioticisull’emissione di BVOC, risultati originalisono stati recentemente ottenuti nell’ambitodei progetti Marie Curie ISONET e ESF-VOCBAS, coordinati da uno degli autori. Ta-li ricerche hanno ad esempio identificato a)relazioni tra la quantità di isoprenoidi emessie la chiusura stomatica che a sua volta in-fluenza gli scambi di energia e materia tra at-mosfera ed atmosfera (Barta e Loreto, 2006);e b) che gli isoprenoidi possono proteggere lepiante da stress da ozono detossificando effi-cacemente questo inquinante all’interno dellefoglie (Loreto e Fares, 2007).Per quel che concerne il metano, sono stati direcente pubblicati i risultati di una modelliz-zazione che riporta per la prima volta una sti-ma realistica del sink di questo composto daparte dei suoli agricoli e forestali italiani (Ca-staldi et al., 2007)

4 PROSPETTIVE FUTURE

Le metodologie sviluppate rappresentano unabase di lavoro solida per poter ottenere i datidi emissione di BVOC, che sono fondamen-tali per qualsiasi tipo di modellizzazione vol-ta a valutarne l’impatto sul clima. Tuttaviamolto lavoro rimane ancora da fare, soprat-tutto per quel che concerne la conoscenza de-gli effetti sull’emissione causati dall’aumentodella CO2 e dagli stress, in particolare quelloidrico e da ozono, destinati ad aumentare nel-l’area Mediterranea a seguito dei cambiamen-ti climatici in corso. Inoltre vanno ancora de-terminati i fattori di emissione di BVOC dimolte specie vegetali importanti sul territorionazionale, di cui ancora si sa poco o nulla. Inquesto senso si sta lavorando attivamente nelprogetto CARBOITALY che, avviato nel2006, terminerà tra due anni.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Barta C., Loreto F., 2006. The relationshipbetween the methylerythritol phosphate(MEP) pathway leading to emission of vo-

Impatti dei cambiamenti climatici

639

Figura 2: Fotografia del sistema REA usato per la misu-ra dei flussi di BVOC in un bosco di leccio localizzato al-l’interno della Tenuta Presidenziale di Castelporziano.

Page 178: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

640

Page 179: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 PROBLEMA SCIENTIFICO

Il rapido aumento di concentrazione atmosfe-rica dell’anidride carbonica è l’evento chiaveche sta alla base dei cambiamenti climatici inatto. La biosfera terrestre ha una funzione cru-ciale rispetto al ciclo globale del carbonio. Laricerca scientifica si è posta il moltepliceobiettivo di conoscere e descrivere quali sonogli effetti e le conseguenze dell’aumento dellaCO2 sul sistema climatico a scala globale e re-gionale, e di capire le complesse interrelazio-ni tra biosfera e atmosfera e fra il funziona-mento degli ecosistemi. Gli studi si sono par-ticolarmente concentrati sull’analisi dell’im-patto della CO2 sui processi fisiologici prima-ri degli ecosistemi terrestri (fotosintesi, traspi-razione, attività stomatica, sviluppo della bio-massa) e più limitatamente sulle risposte me-taboliche secondarie, quali le emissioni dicomposti organici volatili (VOC). L’emissio-ne di questi composti, e in particolare degliisoprenoidi (isoprene e monoterpeni), chepossono svolgere funzioni di protezione dastress biotici e abiotici (Kesselmeier e Staudt,

1999), comporta la perdita di carbonio foto-sintetico che, in piante stressate, può arrivareanche al 10%. Inoltre, i VOC biogenici essen-do altamente reattivi in atmosfera, possonoprodurre ossidanti fotochimici e gas serra, co-me l’ozono e il monossido di carbonio, so-prattutto in presenza di elevata radiazione so-lare e temperatura, tipiche condizione estivedell’ambiente Mediterraneo, quando le emis-sioni biogeniche stesse sono più alte. Nono-stante i recenti progressi della ricerca scienti-fica, esistono ancora molte incertezze sull’im-patto della CO2 sull’emissione di VOC bioge-nici (Loreto et al., 1996; Arneth et al., 2006).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’impatto dell’elevata CO2 sul rilascio di iso-prenoidi è stata da noi valutata in campo sudue ecosistemi Mediterranei diversi.Il primo, situato in California, consisteva diun tipico “chaparral” dominato da specie co-me l’Adenostoma fasciculatum e il Cea-nothus greggii (Baraldi et al., 2004; Fig.1).Presso la stazione sperimentale del Diparti-

641

Impatto dell’aumento della CO2atmosferica sull’emissione biogenica di composti organici volatili (VOC)

R. Baraldi, F. Rapparini, F. Miglietta, G. MaracchiIstituto di Biometeorologia, CNR, [email protected]

SOMMARIO: Il continuo aumento della CO2 atmosferica pone la necessità di approfondire le conoscenze sulfunzionamento degli ecosistemi soggetti a questo cambiamento climatico. Da diversi anni si sono intensi-ficati gli studi sull’impatto dell’elevata CO2 su diverse attività fisiologiche, tra le quali anche l’emissionedi composti organici volatili (VOC), composti di notevole importanza per la produzione di gas serra e diinquinanti. Tuttavia, esistono ancora numerose incertezze e soprattutto occorre capire se le risposte osser-vate a livello di singola foglia o pianta si manterranno anche in ecosistemi naturali. La nostra attività di ricerca ha dimostrato che mentre a livello fogliare rapidi incrementi di CO2 inibiscono ilrilascio di VOC, ciò non avviene a lungo termine in ecosistemi Mediterranei, nei quali, per una correttaprevisione, occorre considerare l’interazione con altri stress ambientali che possono avere un effetto di-retto sull’emissione stessa e/o indiretto, alterando il rapporto tra le specie emettitrici e non di VOC.

Page 180: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

642

Figura 1: Chaparral (Adenostoma fasciculatum e Cean-othus greggii) esposto in serre a diverse concentrazionidi CO2.

Figura 2: Vegetazione della macchia Mediterranea(Q.ilex e Q.pubescens) cresciuta in una sorgente natural-mente arricchita di CO2.

Figura 3: Effetto della concentrazione di CO2 sulla NEE(cerchi) e sull’emissione di monoterpeni (triangoli) mi-surate a Dicembre e Giugno in chaparral

mento di Biologia dell’Università di San Die-go, questo ecosistema naturale è stato per 4anni esposto in piccole serre poste in situ a di-verse concentrazioni di CO2, da 250 ppm(pre-industriale) a 750 ppm (doppia di quellaattuale). La misura dei VOC è stata effettuatacampionando l’aria contenuta nelle diverseserre su substrati carboniosi adsorbenti, eanalizzandola con la gascromatografia asso-ciata alla spettrometria di massa (GC-MS). Icampionamenti sono stati eseguiti alla matti-na, a mezzogiorno e nel pomeriggio per se-guire l’andamento giornaliero delle emissio-ni. Le misure sono state ripetute in estate(giugno) e in inverno (dicembre).Nel secondo esperimento è stata sfruttata l’e-sposizione a lungo termine di 2 specie diquerce tipiche dell’area Mediterranea, (Quer-cus pubescens e Quercus ilex) in una sorgen-te naturalmente arricchita di CO2 e situata nelcentro Italia (Rapparini et al., 2004; Fig. 2).In questo caso l’emissione di isoprenoidi èstata analizzata a livello di singola foglia o diintera branchetta utilizzando idonee cuvette eseguendone l’andamento diurno e stagionaledurante 2 anni consecutivi. Inoltre, sono statianche analizzati gli effetti di cambiamenti ra-pidi di CO2 indotti sulle foglie di piante cre-sciute in condizioni naturali di CO2 atmosferi-ca. La caratterizzazione e quantificazione deiVOC è stata effettuata con la metodologiaprecedentemente descritta. In entrambi gli ap-procci sperimentali, è stata misurata anchel’attività fotosintetica, nel primo caso espri-

mendola a livello di ecosistema come NEE(Net Ecosystem Exchange), nel secondo casocome assimilazione fogliare netta.

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Esperimento 1: chaparralLa concentrazione di CO2 atmosferica non hainfluenzato né la composizione né la quantitàdei monoterpeni emessi da questo ecosistemaper unità di superficie di terreno (Fig. 3). Tut-tavia, in estate i VOC biogenici sono stati

Page 181: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

emessi in quantitativi molto più alti rispetto aquelli rilasciati in inverno (2.1 mg C m-2 h-1

contro 1.04 x 10-2 mg C m-2 h-1).Queste differenze sono attribuibili all’attivitàdell’enzima preposto alla sintesi dei monoter-peni, che viene stimolato dalle condizioni mi-croclimatiche estive, e allo sviluppo delle fo-glie. A differenza di quanto osservato per l’e-missione di monoterpeni, la NEE è incremen-tata linearmente all’aumentare della CO2. Inestate il tasso di scambio netto di carboniodall’ecosistema è quasi raddoppiato alla con-centrazione più alta di CO2. Di conseguenza,la perdita di carbonio attraverso l’emissionedi idrocarburi biogenici è risultata insignifi-cante, rappresentando lo 0.002/ 0.3% del car-bonio netto assorbito rispettivamente in in-verno ed in estate.

3.2 Esperimento 2: Q. ilex e Q. pubescensAnche l’esposizione a lungo termine ad ele-vate concentrazioni di CO2 non ha influenza-to la composizione e il rilascio di monoterpe-ni per unità di superficie fogliare da piante diQ. ilex (Tabella 1).Al contrario, l’attività fotosintetica è semprerisultata stimolata. Di conseguenza, la per-centuale di C fotosintetico perso attraverso ilrilascio di VOC è stato più elevato in condi-

zioni naturali, arrivando a rappresentare finoal 4% del C assimilato. L’arricchimento diCO2 dell’atmosfera non ha influenzato in ge-nerale nemmeno l’emissione di isoprene dapiante di Q. pubescens, in cui anche l’attivitàfotosintetica è risultata pressoché invariata.Anche per questa specie la percentuale di Cfissato perso come VOC è stato più alto incondizioni naturali. Incrementi rapidi di CO2a livello fogliare hanno invece provocato unainibizione dell’emissione di isoprenoidi inentrambe le specie in esame mentre l’assimi-lazione è sempre stata stimolata.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Come abbiamo visto da queste ricerche, le mi-sure effettuate a livello fogliare hanno dimo-strato una chiara inibizione dell’emissione diisoprene e di monoterpeni dovuta a incremen-ti rapidi di CO2, mentre le analisi effettuate inpieno campo su branche o in interi ecosistemiesposti a medio-lungo termine ad alta CO2,non hanno invece confermato questa inibizio-ne. Questi risultati sono solo apparentementein contrasto tra di loro perché occorre consi-derare che le piante cresciute in ecosistemi na-turali sono soggette a molteplici stress am-bientali, alcuni dei quali, come ad esempio lacarenza idrica, possono compensare l’effettoinibitorio dell’elevata CO2. Inoltre, negli eco-sistemi naturali la diminuzioni di emissioneper unità di superficie fogliare può esserecompensata dall’aumento di biomassa causatodall’incremento di CO2. Oltre a queste valuta-zioni occorre considerare che i futuri scenariclimatici che prevedono anche l’aumento ditemperatura, possono modificare non solo leemissioni ma anche la composizione dellespecie negli ecosistemi Mediterranei e quindialterare il rapporto tra piante emettitrici e nonemettitrici di VOC.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Arneth A., Niinemets Ü., Pressley S., Back J.,Harl P., Karl T., Noe S., Prentice I.C., Ser-ca D., Hickler T., Wolf A., Smith B., 2006.

Impatti dei cambiamenti climatici

643

Tabella 1: Medie giornaliere dell’emissione diVOC misurate in Q. ilex e Q. pubescens, in condi-zioni di CO2 ambiente (A) ed elevata (E)

Data CO2 Emissione di VOC

nmol/m2s

1

Q. ilex Q. pubescens 06/00 A 8.6 ± 1.7 7.8 ± 1.5

E 8.2 ± 1.2 3.5 ± 0.709/00 A 16.9 ± 2.1 7.7 ± 0.5

E 6.1 ± 1.0 8.4 ± 2.106/01 A 17.6 ± 2.2

E 20.2 ± 2.709/01 A 5.9 ± 0.9

E 8.2 ± 1.7

Page 182: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

644

Page 183: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

I maggiori pool di C sono localizzati nelle roc-cie sedimentarie e nei depositi marini profon-di; il suolo rappresenta comunque la maggiorriserva di C tra gli ecosistemi terrestri. Il pooldi C del suolo è stimato intorno ai 1580 Pg(Batjes, 1996) ed è circa il doppio del C pre-sente nell’atmosfera (750) e due volte e mezzoquello presente nella biomassa vegetale (610).La sostanza organica del suolo (SOM), ele-mento centrale nel ciclo del C, è un complessodi frazioni caratterizzate da proprietà fisiche,composizione chimica, accessibilità ai mi-croorganismi e tempi di turnover diversi tra lo-ro, ed è in grado di influenzare tutte le funzio-ni del terreno. È ormai raggiunta la consapevo-lezza che il suolo non debba essere considera-to un semplice substrato per le attività agrono-miche, ma un vero e proprio ecosistema inseri-to nei delicati equilibri della biosfera terrestre(Lal et al., 1998). I Paesi di tutto il mondo so-

no impegnati nell’analisi del bilancio netto delC sul proprio territorio, calcolato come diffe-renza fra emissioni (source) ed assorbimenti(sink): la valutazione risulterà tanto più com-plessa e l’obiettivo da raggiungere tanto piùimportante quanto più le aree saranno popola-te, come nel caso delle aree mediterranee. Gliambienti di tipo mediterraneo che sono situatianche in altre aree nel mondo (Cile, NordAmerica, Sud Africa e Australia) si presentanocome un complesso mosaico di ecosistemi na-turali ed agro-ecosistemi. Gran parte del terri-torio del nostro paese è occupato da questi eco-sistemi, la cui complessità e la frammentazio-ne, dovuta all’alto livello di antropizzazione,rendono difficile la valutazione dei flussi e del-le riserve naturali di C, e la definizione, attra-verso modelli, delle risposte degli ecosistemiai cambiamenti climatici. Inoltre, l’impatto an-tropico può influenzare fortemente ed anche inmodo irreversibile, l’ecosistema del suolo ri-ducendone sensibilmente la fertilità ed in par-

645

Sequestro del C del suolo: la mappatura del C del suolo in ecosistemi mediterranei

L.P. D’Acqui1, F. Maselli2, C.A. Santi1

1Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Firenze, Italia2Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: L’individuazione di sistemi di gestione del suolo che riducano le emissioni di CO2 verso l’at-mosfera e incrementino il contenuto di C organico del terreno a spese del C atmosferico è di fondamentaleimportanza. Risulta quindi essenziale ottenere una corretta valutazione del ruolo effettivo dei suoli comesink o source di CO2 atmosferica. Lo studio è stato condotto sull’isola di Pianosa in cui è stato possibile in-dividuare delle aree indisturbate a macchia mediterranea, aree coltivate più o meno intensamente, pascoliormai abbandonati e pinete più o meno invase dalle specie spontanee. Scopo principale di questa ricerca èstato quello di individuare sull’isola, vero e proprio laboratorio naturale, i diversi tipi di ecosistema per va-lutare la funzionalità del suolo nel sequestro del C relativamente all’ecosistema stesso ed ottenere una map-pa del C del suolo accurata e con una ridotta intensità di campionamento del terreno. Sono stati definiti gliecosistemi principali dell’isola e la loro distribuzione utilizzando tecniche geostatistiche e dati derivati daanalisi di diverso tipo per la caratterizzazione dell’ecosistema. Stratificando i vari tipi di ecosistema ed ap-plicando regressioni localizzate ad immagini da satellite sono state introdotte informazioni riguardanti siale caratteristiche definite all’interno (proprietà chimico-fisiche del suolo, tipo di vegetazione etc.) che tragli ecosistemi (immagini satellitarie etc.) ed è stato possibile ottenere una mappa del C con un’accuratezzasuperiore a quella ottenuta con le tecniche di spazializzazione ordinarie (per es. il kriging).

Page 184: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ticolare il contenuto del C organico. L’indivi-duazione quindi di sistemi di gestione del suo-lo che riducano le emissioni di CO2 verso l’at-mosfera e incrementino il contenuto di C orga-nico del terreno a spese del C atmosferico è difondamentale importanza. Questo è particolar-mente vero considerando che nelle recenti ne-goziazioni internazionali è stata introdotta lapossibilità di contabilizzare il sequestro di car-bonio nei suoli agricoli come una voce in ne-gativo per i bilanci nazionali delle emissioni digas serra. Appare pertanto evidente l’esigenzadi ottenere una corretta valutazione del ruoloeffettivo dei suoli come sink o source di CO2atmosferica.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca è stata condotta nell’isoladi Pianosa (ex colonia penale) in quanto, a po-chi anni dalla pressoché completa dismissionedel carcere, è stato possibile individuare sul-l’isola delle aree indisturbate a macchia medi-terranea che fino al momento dell’abbandonodell’isola erano coltivate più o meno intensa-mente dalla popolazione carceraria, pascoliormai abbandonati e pinete più o meno inva-se dalle specie spontanee. Scopo principale diquesta ricerca è stato quello di individuaresull’isola, vero e proprio laboratorio naturale,i diversi tipi di ecosistema per valutare la fun-zionalità del suolo nel sequestro del C relati-vamente all’ecosistema stesso ed ottenereuna mappa del C del suolo accurata e con unaridotta intensità di campionamento del terre-no. Uno dei problemi maggiori in questo cam-po è proprio quello della spazializzazione del-l’analisi puntuale che si basa sulla creazionedi modelli capaci di rappresentare il più pos-sibile le condizioni reali di distribuzione di undeterminato parametro (nel nostro caso il con-tenuto di C nel suolo). Gli ecosistemi princi-pali dell’isola e la loro distribuzione sono sta-ti definiti utilizzando dati derivati da analisigeobiochimiche e tecniche di spazializzazio-ne geostatistiche o basate sull’elaborazione diimmagini telerilevate.

3 RISULTATI RILEVANTI

Sulla base dei dati sperimentali è stato possi-bile stabilire una buona relazione tra contenu-to del C organico del suolo ed tipo di ecosi-stema (Tab. 1). Sono stati individuati i se-guenti ecosistemi: Macchia mediterranea na-turale (MN); Pascolo permanente (PP); Pine-ta (PI); Macchia invasa da olivi (MO); Lecce-ta (LE); Campi arati (CA). I valori del C sonostati ottenuti dalle analisi di campioni del suo-lo prelevati a 20 cm di profondità sulla basedi una griglia regolare con lato di 300 m di-stribuita su tutta l’isola. Tali valori sono statisuccessivamente messi in relazione ai variecosistemi individuati mediante analisi dellavarianza. L’analisi ha messo in evidenza labuona correlazione tra ecosistema identifica-to e quantità di C nel suolo. L’analisi è stataeffettuata su campioni con un contenuto diC< 70 g kg-1 in quanto, considerando anchequelli con contenuto superiore (solo 28 su164 totali), non si otteneva un contenimentoaccettabile dei valori residuali (figura non ri-portata). Ciò è stato attribuito alla presenza diecosistemi molto simili tra loro (ad es. MN eMO) in cui il contenuto del materiale organi-co nel suolo era alto e molto variabile per cui,per valori elevati di C, gli ecosistemi non ri-sultavano separati nettamente.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

646

Errore standard dei residui: 10.87 con 126 gradi di libertà. R-qua-drato multiplo: 0.4119, R-quadrato corretto: 0.3886. F-statistico:17.65 su 5 e 126 DF, p-value: 3.157e-13

Nella prima colonna il valore del contenuto di C organico per MNè espresso in termini assoluti mentre per gli altri ecosistemi sitratta della deviazione rispetto a tale valore.*Macchia mediterranea naturale (MN); Pascolo permanente(PP); Pineta (PI); Macchia invasa da olivi (MO); Lecceta (LE);Campi arati (CA).D’Acqui et al., 2007. J. Environ. Qual., 36: 262-271.

Tabella 1: t-table dei campioni con C< 70 g kg-1.

Ecositema C ES t Pr(>|t|)

MN 40.124 2.219 18.079 <2e-16

PP -6.520 3.292 -1.981 0.0498PI -4.377 3.390 -1.291 0.1990MO 3.695 4.092 0.903 0.3683LE 5.153 4.963 1.038 0.3011CA -18.791 2.667 -7.045 1.07e-10

Page 185: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Successivamente è stata prodotta una mappadella distribuzione degli ecosistemi sull’isolausando informazioni esistenti ed immaginiaeree. I valori di C misurati sono stati spazia-

lizzati usando solo tecniche geostatistiche(kriging) e queste coadiuvate dalla mappa de-gli ecosistemi. Nel secondo caso la mappa èservita per una stratificazione dei campioni,sui cui residui è stato poi applicato il kriging.Infine, è stata valutata una tecnica di regres-sione localizzata applicata ad immagini satel-litari ad alta risoluzione (Landsat TM). Sia stratificando i vari tipi di ecosistema edapplicando regressioni localizzate alle imma-gini da satellite sono state introdotte informa-zioni riguardanti le caratteristiche degli ecosi-stemi ed è stato possibile ottenere una mappadel C avente un’accuratezza superiore a quel-la ottenuta con le tecniche di spazializzazioneordinarie (kriging) (Fig. 1). Inoltre si è potuto valutare come la densità dicampionamento influenzi l’accuratezza dellaspazializzazione effettuate con i vari metodi(Fig. 2). Questi risultati sono utili al fine divalutare gli errori che si commetterebberocon un campionamento a terra più ridotto.

Impatti dei cambiamenti climatici

647

Figura 1: Mappe di carbonio organico nel suolo (OC)dell’isola di Pianosa ottenute tramite i tre metodi di spa-zializzazione considerati (a) kriging, (b) kriging dei resi-dui degli ecosistemi (c) regressioni calibrate localmente. D’Acqui et al., 2007. J. Environ. Qual., 36: 262–271.

Figura 2: (a) Coefficiente di correlazione (r) e (b) erroremedio quadratico (RMSE) ottenuti applicando i tre me-todi di spazializzazione considerati con diverse densità dicampionamento (D250, D500, D750, e D1000 corre-spondono a densità medie di 1 punto ogni 250x250,500x500, 750x750, e 1000x1000 m2, rispettivamente).Tutte le correlazioni più alte di 0.180 sono altamente si-gnificative (P < 0.01).D’Acqui et al., 2007. J. Environ. Qual., 36: 262–271.

Page 186: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

4 PROSPETTIVE FUTURE

La prospettiva di questo studio è quella di po-ter ottenere delle mappe della distribuzionedel C accurate usando un ridotto numero dicampioni grazie all’utilizzo delle informazio-ni relative all’ecosistema. Ciò è particolar-mente importante nel nostro ambiente medi-terraneo che risulta essere vario e fortementeframmentato. La stima ed il monitoraggiodella capacità dei nostri suoli con diversa de-stinazione d’uso a sequestrare il C risulta difondamentale importanza per effettuare tuttequelle valutazioni che riguardano un uso so-stenibile del suolo e dei relativi ecosistemi te-nendo anche in considerazione le problemati-che dei cambiamenti climatici globali.

5 RINGRAZIAMENTI

Le ricerche sono state effettuate nell’ambitodel Progetto Pianosa LAB.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 187: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Cambiamenti climatici e biosfera terrestreGli ecosistemi terrestri svolgono un ruolo rile-vante nei cicli biogeochimici (es. ciclo del car-bonio). Le emissioni antropogeniche di C sonomolto maggiori dell’incremento di concentra-zione di CO2 ([CO2]) atmosferica osservato, acausa dell’assorbimento da parte degli oceani edegli ecosistemi terrestri. Tenendo conto del-l’entità del sink oceanico, i modelli individua-no un considerevole sink nella biosfera terre-stre, particolarmente ampio nell’emisfero set-tentrionale. Pertanto, lo studio del bilancio delcarbonio e degli scambi vegetazione-atmosfe-ra è di primaria importanza per valutare la pro-duttività della biosfera terrestre e per compren-derne le riposte al cambiamento globale e lacapacità di mitigazione dell’aumento di [CO2].Il ciclo del carbonio negli ecosistemi terrestri èspesso studiato con approcci micrometeorolo-gici come la tecnica eddy covariance. Questemetodologie consentono di quantificare loscambio netto di ecosistema (NEE, net ecosy-

stem exchange) e, quindi, lo studio sistematicodella produttività di diversi ecosistemi e delleloro risposte ai cambiamenti ambientali. Tutta-via, è importante riuscire a separare NEE nellesue componenti fotosintetica e respiratoria, de-terminando la produzione lorda (GEP, grossecosystem production) e la respirazione dell’e-cosistema. Inoltre, è necessario poter separareil flusso respiratorio di CO2 nelle sue compo-nenti autotrofica ed eterotrofica. Questi para-metri sono rilevanti per comprendere qualeprocesso risulti di volta in volta più sensibile alvariare dei parametri ambientali (temperatura,umidità, [CO2] ecc). In questo contesto, l’ana-lisi degli isotopi stabili di carbonio e ossigenonelle piante, nel suolo e nella CO2 trova ampiaapplicazione poiché permette di separare NEEnei flussi componenti (Scartazza et al., 2004) edi contribuire alla ricerca sul cambiamento cli-matico a varie scale temporali e spaziali. Inparticolare, l’analisi della composizione isoto-pica del C (δ13C) consente la ripartizione degliassorbimenti di CO2 atmosferica tra oceani ebiosfera terrestre così come l’uso congiunto di

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Studio delle interazioni clima-vegetazione mediante applicazione degli isotopi stabili 13C e 18O

E. Brugnoli, M. Lauteri, M. Pellegrini, G. Scarascia Mugnozza, L. Spaccino, M. ManieriIstituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Porano, [email protected]

SOMMARIO: Gli scambi atmosfera-biosfera vengono studiati in numerosi ecosistemi forestali ed agricoli,mediante l’applicazione delle composizioni in isotopi stabili di carbonio (δ13C) e ossigeno (δ18O). Anali-si isotopiche sulla CO2 atmosferica, sulle componenti organiche degli ecosistemi (foglie, rami, radici, suo-lo e lettiere e su relativi componenti metabolici come carboidrati, acidi organici, proteine e lipidi) e sul-l’acqua sono condotte in concomitanza a misure micrometeorologiche. Gli obiettivi sono: i) studiare ecomprendere i segnali isotopici delle piante e i processi che li originano, ii) ripartire il flusso netto di CO2

tra ecosistemi e atmosfera (NEE) nei flussi componenti, fotosintetico e respiratorio e iii) comprendere lecause della variabilità spaziale ed interannuale dei segnali isotopici nella biosfera terrestre. I risultati diquesti esperimenti, condotti su svariati ecosistemi, consentono di caratterizzare le relazioni tra prodotti fo-tosintetici e substrati respiratori, individuando inequivocabilmente sources e sinks nell’ecosistema. Questistudi evidenziano poi come la biosfera terrestre risponda al variare dei parametri ambientali e al cambia-mento climatico e come gli ecosistemi forestali possano mitigare l’incremento di CO2 atmosferica.

Page 188: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

δ13C e della composizione isotopica dell’ossi-geno (δ18O) consente la distinzione dei flussinetti tra piante e suolo.

1.2 Scambi isotopici atmosfera e biosferaDurante il processo fotosintetico le piante di-scriminano contro 13C e, pertanto, la sostanzaorganica prodotta è invariabilmente arricchitain 12C rispetto alla CO2 atmosferica, mentrenell’atmosfera circostante rimane CO2 arric-chita in 13C (Brugnoli e Farquhar, 2000). Ilfrazionamento isotopico durante il processodi respirazione è di minore entità e la CO2 re-spirata ha una composizione molto diversa daquella troposferica. Pertanto, la composizioneδ13C della CO2 atmosferica all’interno di unacopertura vegetale dipende dal frazionamentoisotopico durante la fotosintesi e dal grado dirimescolamento turbolento della CO2 tropo-sferica con quella respirata dall’ecosistema(piante, suolo, animali, microrganismi) .Il rapporto isotopico 18O/16O del materiale ve-getale è determinato, oltre che dalla composi-zione isotopica dell’acqua captata dagli appa-rati radicali, dall’arricchimento in 18O dell’ac-qua fogliare dovuto al frazionamento duranteil processo di traspirazione. L’ossigeno dellaCO2 nella pianta viene rapidamente scambia-to con quello dell’acqua grazie alla rapida dis-soluzione e all’azione dell’enzima anidrasicarbonica (Yakir, 2003) e, nonostante il bassotempo di residenza nella foglia, la CO2 rivelaun segnale δ18O che riflette il forte arricchi-mento traspirativo dell’acqua fogliare. Perquesto motivo la composizione isotopica del-l’ossigeno della sostanza organica vegetale ri-sulta strettamente dipendente dal grado diapertura stomatica e dal deficit di saturazionedi vapore dell’atmosfera (Farquhar et al.,1993). È quindi ormai riconosciuto come ilsegnale di 18O nella CO2 rifletta l’accoppia-mento dei cicli globali idrologico e del carbo-nio, in misura variabile, a seconda del conte-sto in cui avviene (foglie, suolo, altri organivegetali; Farquhar et al., 1993, Ciais et al.,1997). Queste differenze permettono l’identi-fica-zione di sources e sinks dell’ecosistema ela quantificazione dei flussi fotosintetico e re-

spiratorio. La conoscenza di questi flussi èfondamentale per chiarire le cause della varia-zione interannuale della produttività globaledella biosfera terrestre, per spiegare le varia-zioni del passato e per prevedere gli scenarifuturi e i livelli d’immobilizzazione di carbo-nio nella biosfera terrestre e nei suoli.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Ecosistemi in studio e campionamentiL’attività di ricerca in corso da numerosi anniriguarda diversi ecosistemi forestali (latifogliee conifere) ed agricoli, con la finalità di i) stu-diare e comprendere i segnali isotopici presen-ti nella biosfera terrestre, ii) ripartire i flussinetti nei relativi flussi componenti e iii) inter-pretare la variabilità spaziale e temporale deisegnali isotopici e della produttività degli eco-sistemi terrestri. In alcuni ecosistemi vengonoanche comparati diversi sistemi di gestione fo-restale e agricola. La maggior parte dei siti instudio sono attrezzati con torri per misure mi-crometeorologiche e per lo studio degli scam-bi di acqua e CO2. In aggiunta ai sensori me-teorologici classici, le torri sono attrezzate conanalizzatori di gas a infrarossi (IRGA) a rispo-sta rapida e anemometri sonici a tre dimensio-ni, secondo il protocollo Euroflux. L’aria vie-ne campionata a diverse altezze all’interno e aldi sopra della canopy per mezzo di una pompae inviata all’IRGA; successivamente, campio-ni di aria vengono raccolti grazie a bottiglie invetro sotto vuoto e contenitori per le successi-ve analisi isotopiche. Vengono così determina-ti NEE, e gli scambi isotopici atmosfera-bio-sfera. Vengono anche collezionati campioni diCO2 respirata dalle componenti dell’ecosiste-ma come foglie, fusti, radici, lettiera in de-composizione e suolo.All’interno degli ecosistemi vengono cam-pionate le varie componenti quali foglie, ra-mi, branche, fusti e radici delle diverse speciepresenti, oltre alla lettiera in decomposizionee al suolo. Questi campioni vengono trattatiin laboratorio al fine di separare componentimetaboliche diverse come carboidrati, acidiorganici, proteine e lipidi, che vengono poi

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

650

Page 189: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

analizzati individualmente per le composizio-ni δ13C e δ18O (Brugnoli et al., 1998). Sulle specie maggiormente rappresentate nel-l’ecosistema sono raccolti campioni di estrat-ti floematici, come descritto da Scartazza etal. (2004).

2.2 Analisi dei rapporti isotopiciI rapporti isotopici di gas, dell’acqua e dellasostanza organica vengono misurati utilizzan-do spettrometri di massa isotopici (IRMS,isotope ratio mass spectrometry) accoppiati asistemi di preparazione (analizzatori elemen-tari, pirolizzatori e sistemi cromatografici)che consentono di ottenere gas nella formaappropriata a partire dai campioni in studio.In alcune applicazioni si utilizzano gas cro-matografi direttamente collegati a spettrome-tri (GC-IRMS), oppure HPLC interfacciatimediante sistemi d’ossidazione agli IRMS(LC-IRMS) al fine di determinare i rapportiisotopici di composti specifici.

3 RISULTATI RILEVANTI

All’interno di una densa copertura forestale siregistrano forti variazioni di concentrazione ecomposizione isotopica della CO2, a secondadel contributo respiratorio; ad esempio, di not-te, in condizioni di stabilità atmosferica, si re-gistrano elevate [CO2] e valori di δ13C forte-mente negativi. Estrapolando l’intercetta al-l’asse y della relazione tra δ13C e 1/[CO2], no-ta come Keeling plot (Keeling, 1958), si ottie-ne la composizione isotopica delle emissionidi CO2 dell’ecosistema. Questa composizione,nel caso di una canopy vegetale, s’identificacon la CO2 respirata (δ13CR, Fig. 1) sia dagliorganismi autotrofi che eterotrofi dell’ecosi-stema. I valori di δ13CR ottenuti vengono com-parati con i valori di composizione isotopicadelle varie componenti dell’ecosistema al finedi individuare le sorgenti di CO2 prevalenti ele variazioni temporali di queste. Tali cono-scenze sono importanti per individuare i sub-strati respiratori quantitativamente più impor-tanti e per comprendere le relazioni tra foto-sintesi e respirazione, ripartendo così l’efflus-

so di CO2 dal suolo, in autotrofo ed eterotrofo.Esperimenti condotti su diversi ecosistemi(forestali e agricoli) hanno evidenziato unacorrelazione robusta tra δ13C degli zuccherifloematici e δ13CR (Fig. 2), indicando un fortecontributo dei prodotti fotosintetici per soste-nere una quota rilevante della respirazioneecosistemica, inclusa quella del suolo (radici,microrganismi, ecc). Questi risultati indicanoche i prodotti fotosintetici vengono rapida-mente traslocati dalle piante forestali verso leradici ove sostengono non solo la respirazioneradicale ma anche parte di quella eterotrofica(es. micorrize, essudati radicali).I valori di δ18O sono variabili tra specie, for-me di vita e condizioni ambientali, essendofortemente influenzati dal flusso traspiratorio.Misure di δ18O della CO2 nell’ecosistemahanno consentito di separare i flussi dal suoloo dalle foglie, grazie al differente δ18O del-l’acqua nei due casi, come già dimostrato suscala di ecosistema (Yakir, 2003) o globale(Ciais et al., 1997).

4 PROSPETTIVE FUTURE

In conclusione, lo studio degli scambi isoto-pici di 13C e 18O tra atmosfera e biosfera con-

Impatti dei cambiamenti climatici

651

Figura 1: Relazione tra δ13C e 1/[CO2] misurate su campio-ni di CO2 (Keeling plot) collezionata durane la notte all’in-terno di una foresta di faggio. L’equazione della regressio-ne lineare indica un δ13CR = -27,35 ‰ per la CO2 respiratadall’ecosistema (Brugnoli et al., unpublished results).

Page 190: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

sente di separare il flusso netto nei flussicomponenti (respiratorio, fotosintetico ecc.) edi studiare le relazioni ecologiche e metaboli-che tra i diversi costituenti dell’ecosistema.Notevoli prospettive in questa direzione sonoofferte da nuove metodologie di misura deiflussi isotopici basate su tecnologia a diodi la-ser (TDL) e dalle nuove metodologie analiti-che (GC-IRMS e LC-IRMS) che permettonodi indagare i pools metabolici con crescenteprecisione e dettaglio.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

652

Figura 2: Relazione tra δ13C del saccarosio estratto dalfloema e δ13C della CO2 respirata dall’ecosistema (δ13CR)determinata mediante Keeling plots (Brugnoli et al., un-published results).

Page 191: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Agli inizi degli anni ’90 la comunità scienti-fica internazionale si è posta il problema dicome generalizzare i risultati dalle ricerchevolte a valutare gli effetti del CambiamentoGlobale sulle piante. Infatti la maggioranzadelle sperimentazioni erano di breve durata,(massimo una stagione) e spesso utilizzavanoattrezzature come serre o open top chambers,di dimensioni limitate, che se da un lato con-sentivano di fumigare con quantitativi limita-ti di biossido di carbonio, dall’altro alterava-no in modo sostanziale le condizioni ambien-tali di crescita delle piante, confondendo l’ef-fetto dell’alta CO2. L’Ibimet (ex-CNR-Iata)cominciò ad utilizzare per le ricerche le sor-genti naturali di CO2, dove intere comunitàvegetali erano perfettamente adattate ad ele-vati livelli di biossido di carbonio. Queste co-munità rappresentavano, all’epoca, l’anellomancante delle ricerche su questi temi.Le sorgenti naturali di CO2 (mofete, o CO2springs), benché lontane dalle condizioni spe-rimentali ideali, hanno esposto comunità ve-

getali ad elevate concentrazione di CO2 persecoli e perfino per millenni in ambienti in cuigli altri parametri ambientali sono per altromeno influenzati (Miglietta et al., 1993). Que-sto permette di studiare sia l’acclimatamento el’adattamento delle piante ad elevate concen-trazioni di CO2, sia le modificazioni biochimi-che dell’ecosistema in risposta a tali concen-trazioni. Nelle aree geotermiche, le emissionidi CO2 sono molto frequenti (Panichi e Ton-giorgi, 1975), sia in associazioni con sorgentiidrotermali sia nella sola forma gassosa. In al-cune località l’intensità di simili emissioni ètale da modificare significativamente l’atmo-sfera nell’area circostante rendendo invivibilel’ambiente per i piccoli animali che si sposta-no in prossimità del terreno, dove si addensala CO2, più pesante dell’aria. Il fenomeno, haperò il vantaggio di mettere a disposizionedella comunità scientifica una considerevolegamma di specie e popolazioni vegetali chehanno sviluppato adattamenti alle alte concen-trazioni di CO2. Le fonti naturali di CO2 sonoin ogni caso, in grado di fornire informazionisulle risposte a lungo termine delle piante e

653

Le sorgenti naturali di CO2: quindici anni d’attività di ricerca scientifica

S. Baronti1, F. Miglietta1, A. Raschi1, R.Tognetti2, F.P. Vaccari1, G. Maracchi1

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia2Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio, Università deglistudi del [email protected]

SOMMARIO: Agli inizi degli anni ’90, la possibilità di estrapolare importanti risultati da esperimenti di bre-ve durata per comprendere la risposta di lungo periodo della vegetazione al cambiamento globale era unodegli obiettivi primari della ricerca. Molte ricerche, volte a comprendere la fisiologia delle piante espostead elevati livelli di CO2 erano o di breve termine o utilizzavano serre o altre attrezzature sperimentali, co-me le Camere a Cielo Aperto che modificavano alcuni parametri ambientali, rispetto all’ambiente natura-le. Dalle nostre ricerche, sono entrate a far parte delle metodiche di indagine le sorgenti naturali di CO2.Queste offrono un insostituibile set-up sperimentale: comunità vegetali naturalmente esposte a elevati li-velli di CO2 e perfettamente adattate da decine e centinaia di anni. La possibilità di studiare queste comu-nità vegetali e le loro singole piante, ha rappresentato per l’Ibimet una risorsa che ha consentito di otte-nere per quasi un decennio importanti riconoscimenti in termini di pubblicazioni.

Page 192: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

degli ecosistemi a concentrazioni elevate,informazioni che sarebbero impossibili da ot-tenere in altri modi. Ciò richiede due condi-zioni: un’emissione gassosa abbastanza forteda modificare la concentrazione su un’areasufficientemente ampia, e una bassa presenzadi inquinanti solforosi (H2S e SO2) tale da noninfluenzare significativamente la crescita del-le piante (Raschi et al., 1997).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Il maggior limite all’uso delle sorgenti natu-rali di CO2 a fini sperimentali sta, da un lato,nella variabilità della concentrazione del gasa causa sia del vento sia dei moti convettiviverticali, dall’altro nella presenza d’inquinan-ti gassosi emessi insieme al biossido di car-bonio (Grace e van Gardingen, 1997). Purcon tali limitazioni, l’ampio numero di areearricchite esistenti ha permesso di selezionar-ne alcune ormai in uso da vari anni. Tra que-ste vi è la mofeta del Bossoleto (Fig. 1), unadolina circolare di circa 80 metri di diametroe profonda circa 10 metri, situata a RapolanoTerme (Lat. 43°17’, Long. 11°35’) in provin-cia di Siena.Il gas, composto quasi esclusivamente daCO2 (Tab. 1) , viene emesso sia sul fondo siasui fianchi dell’avvallamento. In condizionidi calma di vento sono state misurate sul fon-do concentrazioni massime di CO2 pari700.000 µ mol mol-1 che tendono a scenderefino a 2-3000 µ mol mol-1 in presenza di ven-

to forte. Le chiome delle piante che cresconosui fianchi della dolina si trovano, invece, aconcentrazioni oscillanti, nelle ore diurne, tra500 e 800 µ mol mol-1 .

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

654

Figura 1: Bossoleto- Siena

La descrizione dettagliata della vegetazione èriportata in precedenti lavori (Miglietta et al.,1993; Bettarini et al. 1998; Vaccari et al.,2001). Un’altra mofeta denominata Borboi sitrova all’interno di un bosco ceduo di leccio,vicino Pisa nella zona di Lajatico (Lat.43°26’, Long. 10°42’). Le piante che cresco-no intorno al punto di emissione sono espostead una concentrazione diurna di circa700 µ mol mol-1 di CO2, con minimi e massi-mi di circa 500-1000 µ mol mol-1.

3 RISULTATI RILEVANTI

Il progetto europeo MAPLE (Microevolutio-nary Adaptation of Plants to Elevated CO2)conclusosi alla fine degli anni ‘90 ha costitui-to la base per il primo studio organizzato sul-l’effetto a lungo termine di elevate concentra-zioni di CO2 sulle piante spontanee che cre-scono presso le mofete. Dagli esperimenti ef-fettuati in circa quindici anni è stato osserva-to che l’arricchimento in CO2 determina soloiniziali incrementi nel tasso di crescita dellamaggior parte delle piante a ciclo C3 nellequali soltanto nelle primissime fasi del tratta-mento (ore o giorni) viene ridotta la perditafotorespiratoria. Tuttavia, in tempi brevi (set-timane e talora addirittura giorni) il tasso di

Tabella 1: Composizione chimica dei gas emessinell’area naturalmente arricchita del Bossoleto involume.

CO2 96,1%

H2S 0,02%

CH4 0,45%

N2 3,40%

H2 Tracce

He 39 ppm

Ar 9 ppm

Page 193: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

crescita tende a tornare a valori non significa-tivamente differenti da quelli delle piante cre-sciute in concentrazioni normali di CO2. Ciòrisulta tanto più vero quanto più le piante vi-vono in terreni poveri di azoto, un elementochiave per la sintesi di enzimi essenziali per ilmetabolismo fotosintetico. La quantità dizuccheri inizialmente sintetizzati grazie al piùelevato tenore di CO2 sopprime l'espressionedi geni fotosintetici, nonché di geni codifi-canti per i polipeptidi D1 e D2 del fotosiste-ma II e il citocromo f entrambi fondamentalicomponenti dell’apparato fotosintetico. Essihanno anche un effetto sulla sub-unità picco-la della Rubisco (Ribulosio 1,5-BifosfatoCarbossilasi-Ossigenasi) e la Rubisco Attiva-si, un enzima attivato dalla luce che a sua vol-ta attiva la Rubisco. Tale adattamento com-porta una riduzione del tasso fotosintetico,che controbilancia almeno in parte l’aumentoche si avrebbe in piante non adattate, espostead alte concentrazioni di CO2. Sembra inoltreche il miglioramento nell’efficienza di usodell’acqua in piante fumigate con alti livellidi CO2 sia minore di quanto ipotizzato sullabase di esperimenti condotti in camere clima-tiche. Studi effettuati su diverse piante arbo-ree ed erbacee che crescono al Bossoleto,hanno accertato un decremento non transito-rio della conduttanza degli stomi, senza peròche queste strutture fossero influenzate nellaloro anatomia dall’arricchimento in CO2, an-che dopo numerose generazioni. In alberi diroverella (Quercus pubescens) e leccio(Quercus ilex) cresciuti in presenza di abbon-danti emissioni di CO2, si è riscontrata una ri-duzione dei flussi idrici (Tognetti et al., 1996)non tanto e non solo per la minore densità oconducibilità stomatica, quanto per la ridu-zione dell’area fogliare, e quindi delle super-fici traspiranti. Esperimenti condotti su vege-tazione arborea (principalmente leccio) espo-sta a 650 µ mol mol-1 di CO2, sempre nell’a-rea sperimentale del Bossoleto, hanno accer-tato una maggiore crescita radiale dei fusti, equindi in definitiva una maggiore produzionedi biomassa. Tuttavia questa stimolazione de-cresce con l’aumentare dell’età degli alberi,

in conseguenza della competizione tra gli in-dividui. È interessante comunque notare chela più rapida crescita giovanile degli alberi ri-scontrata in elevato tenore di CO2 potrebbepotenzialmente portare a più rapidi cicli di ri-generazione delle foreste europee, e mediter-ranee in particolare. Alcuni studi hanno ripor-tato effetti positivi di elevati livelli di CO2sulle strutture riproduttive delle piante erba-cee, in termini di incremento del numero deifiori, di frutti e di semi. In generale, almeno inalcuni esperimenti, sembra che la pianta ma-dre destini una maggior quota di riserve nu-tritive agli apparati riproduttivi rispetto aquelli vegetativi. In diversi casi tali fenomenitendono però a venir meno quando le piantesono molto vicine le une alle altre, in quantosopravvengono fenomeni di forte competizio-ne intra-interspecifica. Si ha inoltre, in gene-rale, un aumento della rapporto carbonio/azo-to in organi e tessuti (Miglietta et al., 1998) asua volta il materiale con minor tenore di azo-to, e quindi più carente da un punto di vistanutrizionale, può essere soggetto ad attacchipiù intensi da parte di insetti litofagi, i qualidevono consumare più massa fresca per rica-vare lo stesso nutrimento.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Per studiare la risposta delle piante ad alti li-velli di CO2 è indispensabile tenere in consi-derazione il contesto ecologico in cui esse vi-vono. Elevati livelli di CO2 influenzano anchel’ambiente edafico, gli organismi del suolo, isimbionti, le micorrize, il cui sviluppo ha asua volta importanti riflessi sulla crescita del-le piante. Va considerato inoltre che, soprattut-to in piante perenni, che possono vivere centi-naia di anni, nessun esperimento, sia pure pro-tratto per diverse stagioni di crescita, può ri-velare appieno quali possano essere gli adatta-menti a lungo termine, nonché le mutue inte-razioni intra e interspecifiche. L’utilità dellemofete a fini sperimentali è stata recentemen-te riscoperta dai colleghi giapponesi che han-no attivato un Network sulle ricerche realizza-te nelle sorgenti di biossido di carbonio.

Impatti dei cambiamenti climatici

655

Page 194: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

656

Page 195: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Molti studi scientifici sono stati dedicati allavalutazione di come i fattori antropici e natu-rali influenzino la tendenza al riscaldamentoo al raffreddamento del clima globale (IPPC2001, 2007). La valutazione degli effetti po-tenziali della variabilità e dei cambiamenticlimatici sulle attività agricole è stata effet-tuata a scale differenti in molte regioni delglobo (Ghaffari et al., 2002). In ambito medi-terraneo, tali studi hanno rivelato che l'agri-coltura è più sensibile alle variazioni meteo-rologiche interannuali, in confronto a quantoosservato in altre regioni europee, a causadelle intrinseche caratteristiche di vulnerabi-lità dell’ambiente che condizionano la pro-duttività delle colture (Duce et al., 2005). La coltura del grano duro (Triticum durumDesf.), uno dei prodotti economicamente piùimportanti nei paesi dell’area mediterranea, èmolto sensibile a condizioni limitanti in ter-mini di contenuto idrico del terreno, e pertan-to l’intero ciclo di sviluppo e la resa finale

della coltura ne risultano fortemente influen-zati (Rinaldi, 2004).I modelli di simulazione della crescita e svi-luppo delle colture sono stati applicati consuccesso per la valutazione degli effetti deicambiamenti climatici su numerose coltureagrarie e in diverse condizioni agro-climato-logiche (Rosenzweig et al., 1995; Ghaffari etal., 2002). In questa ricerca è stata verificata l’applicabi-lità del modello CERES wheat (Ritchie e Ot-ter-Nacke, 1985) in un’area del Mediterraneocon l’obiettivo finale di mettere a punto unostrumento atto a guidare le scelte gestionali edi pianificazione a medio e lungo termine inagricoltura.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca è stata condotta all’inter-no dell’azienda sperimentale del Centro Re-gionale Agrario Sperimentale della Sardegna(CRAS), sita nella Sardegna meridionale (39°24’ N, 9° 6’ E, 80 m s.l.m.). Il clima dell’area

657

I modelli di simulazione nello studio dell’impatto deicambiamenti climatici sulle colture mediterranee

C. Cesaraccio1, P. Duce1, A. Motroni2, M. Dettori3

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Sassari, Italia2Servizio Agrometeorologico Regionale, SAR-Sardegna, Sassari, Italia3Centro Regionale Agrario Sperimentale, Cagliari, [email protected]

SOMMARIO: Il modello di simulazione di crescita e sviluppo CERES wheat, implementato nel sistema DS-SAT v 4.0 (Decision Support System for Agrotechnology Transfer), è stato applicato per valutare i poten-ziali effetti degli scenari climatici futuri sulla fenologia e sulla produttività della coltura del grano duro(Triticum durum Desf. ) coltivato nell’azienda sperimentale del Centro Regionale Agrario Sperimentaledella Sardegna (CRAS), nella Sardegna meridionale. L’analisi, relativa al periodo 1974-2004, è stata fo-calizzata su alcune variabili indicatrici dello stato dei processi di sviluppo e di produzione (resa e data dispigatura). L’analisi statistica relativa ai risultati della calibrazione e della validazione ha consentito di evi-denziare le ottime prestazioni previsionali del modello. Inoltre, i risultati della ricerca hanno evidenziatoche gli scenari climatici futuri prospettati potrebbero determinare una contrazione del ciclo produttivo euna tendenza alla riduzione del potenziale produttivo del grano duro con gravi ripercussioni sull’econo-mia dei paesi del Bacino del Mediterraneo.

Page 196: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

è di tipo mediterraneo, caratterizzato da esta-ti calde e siccitose e inverni miti. I valori gior-nalieri della temperatura massima e minimadell’aria e delle precipitazioni, per il periodo1974-2004, sono stati acquisiti da una stazio-ne meteorologica localizzata all’interno del-l’area sperimentale mentre i valori della ra-diazione solare globale sono stati stimati. Il data-set di dati agronomici e di gestionecolturale è relativo alla cultivar Creso, dal1974 inclusa ufficialmente nelle prove speri-mentali della Rete Varietale Nazionale per ilmiglioramento genetico del grano duro. Per lavalutazione quantitativa degli effetti dellepossibili variazioni climatiche sulla fenologiae la produttività del frumento duro è stato ap-plicato il modello di simulazione di crescita esviluppo CERES-wheat (Ritchie e Otter-Nacke 1985), incluso all’interno del sistemaDSSAT (Decision Support System for Agrote-chnology Transfer) versione 4.0. Per la cali-brazione del modello sono stati utilizzati i da-ti osservati durante le stagioni di produzionedel periodo 1996-2004. Il modello è stato poivalutato confrontando valori osservati e pre-visti per il periodo 1974-1995. A tale scoposono stati calcolati i seguenti indici statistici:media e deviazione standard, parametri delleregressione lineare, Root Mean Square Error(RMSE), General Standard Deviation (GSD),Coefficient of Residual Mass (CRM), index ofagreement (d).

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Calibrazione del modelloLa calibrazione del modello ha fornito risul-tati eccellenti per quanto riguarda la capacitàdi previsione sia della data di spigatura siadelle rese in granella (Tab. 1) con valori delcoefficiente di correlazione altamente signifi-cativi (r = 0.90 e r = 0.75 rispettivamente perdata di spigatura e resa). Anche i valori piut-tosto contenuti del RMSE confermano l’accu-ratezza previsionale del modello per questevariabili. La fase di spigatura si è verificatamediamente 137 e 136 giorni dopo la semina,rispettivamente per l’osservato e per il simu-

lato, con una deviazione standard di 8 e 7giorni. Il modello ha dato delle risposte piùche buone in termini di previsione della datadi spigatura anche negli anni di maggiore va-riabilità rispetto alla media (minimi di 116 e117 giorni e massimi di 151 e 145, rispettiva-mente, per l’osservato e per il simulato).Maggiore variabilità è stata osservata per laprevisione dei valori minimi di resa.

Tabella 1: Statistiche di base dei principali parame-tri colturali del frumento duro ottenute dai dati os-servati e simulati nella fase di calibrazione del mo-dello (r = coefficiente di correlazione; RMSE =Root Mean Square Error)

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

658

3.2 Validazione del modelloLa validazione del modello (Tab. 2) sul data-set relativo agli anni 1974-1995 ha mostratovalori di correlazione piuttosto elevati tra datiosservati e simulati della data di spigatura edella resa in granella. Per quanto riguarda laresa, il valore del RMSE è stato di 978 kg ha-1

mentre è stata confermata la tendenza del mo-dello a sovrastimare i valori reali negli anni discarsa produzione. L’errore previsionale perla fase di spigatura è stato leggermente infe-riore (RMSE = 6) rispetto al medesimo datodella calibrazione, con valori comunque cor-relati significativamente. L’indice ModellingEfficiency (EF) si attesta su valori prossimiall’unità per la data di spigatura e su valoricomunque positivi per la stima delle rese, di-mostrando una migliore efficienza del model-lo nella simulazione dei processi rispetto al-l’utilizzo dei semplici valori medi osservati.Infine, il Coefficient of Residual Mass (CRM)

SPIGATURA RESA(giorni dopo la semina) (kg ha

-1)

Oss. Sim. Oss. Sim.media 137 136 3593 3941

8 7 1008 1108min 116 117 1522 2317max 151 145 4990 6209

r 0.90 0.75(p < 0,01) (p < 0,01)

RMSE 4 807

Page 197: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

indica che il modello sovrastima leggermenteil valore delle rese (CRM = -0.05) e sottosti-ma (anticipa) in modo trascurabile la data dispigatura.

Tabella 2: Statistiche di base dei principali para-metri colturali del frumento duro ottenute dai datiosservati e simulati nella fase di validazione delmodello (r = coefficiente di correlazione; RMSE =Root Mean Square Error; EF = Modelling Effi-ciency; CRM = Coefficient of Residual Mass).

alla data media osservata per il trentennio diriferimento, per le diverse ipotesi di cambia-mento di temperatura e precipitazioni. È inte-ressante notare come il solo aumento dellatemperatura porta ad un anticipo della fase dispigatura variabile da circa 2 sino a 7 giorniper un aumento compreso tra 1°C e 6°C. Come prevedibile, la sola riduzione delle pre-cipitazioni produce un leggero ritardo sulladata di spigatura del frumento (un giorno perscenari che prevedono un decremento delleprecipitazioni del 30%). L’analisi delle varia-zioni combinate nei valori di temperatura eprecipitazione mostra che l’effetto delle tem-perature e dell’accumulo dei gradi giorno pre-vale nettamente rispetto all’effetto dovuto aldecremento delle precipitazioni.Nella Figura 2 è rappresentata la variazionepercentuale della resa del frumento, varietàCreso, per i diversi scenari climatici futuri.L’aumento indipendente delle temperature ela riduzione delle precipitazioni (scenari T1-T6 e P5-P30) hanno un effetto simile sulla va-riazione delle rese. Per quanto riguarda le temperature si è registra-to un decremento delle produzioni oscillante trail 3% (scenario T1) e il 17% (scenario T6).La riduzione crescente delle precipitazioni ri-spetto ai valori medi climatici da un minimodel 5% ad un massimo del 30% provochereb-be un decremento delle produzioni che nonsupera il 9%. È evidente quindi un maggioreimpatto sulle rese di un aumento delle tempe-rature rispetto ad una riduzione delle precipi-tazioni. Gli scenari caratterizzati da un con-temporaneo decremento delle precipitazioni e

Impatti dei cambiamenti climatici

659

3.3 Impatto dei cambiamenti climatici Per la valutazione quantitativa degli effettidelle possibili variazioni climatiche sulla fe-nologia e la produttività del frumento sonostati utilizzati scenari climatici futuri basati susemplici variazioni incrementali della tempe-ratura e delle precipitazioni. In particolare, perla temperatura sono stati ipotizzati aumentimedi da 1°C a 6°C, mentre per le precipita-zioni decrementi medi variabili dal 5% al 30%delle precipitazioni annue. Oltre ai dodici sce-nari caratterizzati o da un aumento di tempe-ratura o da una diminuzione delle precipita-zioni, sono stati utilizzati altri scenari costrui-ti combinando i diversi livelli di variazionedelle precipitazioni e delle temperature. Glieffetti di tali variazioni climatiche sulla feno-logia e sulla produttività del frumento sonostati determinati effettuando simulazioni indi-pendenti della crescita e dello sviluppo dellacoltura per un periodo di 30 anni.Nella Figura 1 sono riportate le variazioninella data di spigatura della cultivar Creso,espresse come differenza, in giorni, rispetto

Figura 1: Effetto delle variazioni climatiche sulla data dispigatura del frumento duro, cultivar Creso.

SPIGATURA RESA(giorni dopo la semina) (kg ha

-1)

Oss. Sim. Oss. Sim.media 142 141 3745 3940

12 7 1318 1289min 116 125 868 1965max 171 161 6129 7547

r 0.79 0.72 (p < 0.01) (p < 0.01)

RMSE 6 978 EF 0.99 0.43

CRM 0.01 -0.05

Page 198: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

aumento della temperatura determinano uneffetto molto simile in termini di riduzionedella resa. Tale riduzione risulta tanto più si-gnificativa quanto maggiore è l’aumento del-la temperatura, con un’evidente amplificazio-ne degli effetti riscontrati quando le variabilimeteorologiche sono state considerate indi-pendentemente.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Dai risultati ottenuti appaiono evidenti le po-tenzialità applicative dei modelli di crescita esviluppo delle colture nella valutazione deipotenziali effetti degli scenari climatici futurisulla fenologia e sulla produttività delle prin-cipali colture agricole in area mediterranea.Per lo sviluppo di tali potenzialità questogruppo di lavoro ha in atto una serie di colla-borazioni a livello sia nazionale sia interna-zionale. In particolare, è in corso di svolgi-mento il progetto di cooperazione internazio-nale Operational tools to assess climatic riskof Mediterranean agricultural areas, in colla-borazione con Institut National de la Recher-che Agronomique (INRA) del Marocco, chevede coinvolta anche la FAO, e una collabo-razione con la Divisione Impatti sull'Agricol-tura, Foreste ed Ecosistemi Naturali Terrestri(IAFENT) del Centro Euro-Mediterraneo peri Cambiamenti Climatici (CMCC).

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Duce P., Arca A., Spano D., Canu S., Motro-ni A., Antolini G., Zinoni F., 2005. Clima-tic variability and climate risk in agricul-ture in the Mediterranean area. WMO -COST, Workshop on Climatic Analysisand Mapping for Agriculture. 14-17 June2005, Bologna, Italy.

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Rinaldi M., 2004. Water availability atsowing and nitrogen management of du-rum wheat: a seasonal analysis with theCERES-wheat model. Field Crop Resear-ch, 89: 27-37.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

660

Figura 2: Variazione percentuale della resa del frumentoduro, varietà Creso, per diversi scenari climatici.

Page 199: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 IntroduzioneL’area del Mediterraneo potrebbe essere alta-mente sensibile ai cambiamenti climatici, inquanto caratterizzata da un clima di transizionetra il clima temperato delle medie latitudini e ilclima tropicale secco (Cubasch et al., 1996). Inun’area già fortemente limitata dalla disponibi-lità idrica, quale quella mediterranea, la ten-denza ad un clima più arido potrebbe giocareun ruolo importante nel regolare i processi fi-siologici ed ecologici. Se da un lato il processofotosintetico, limitato non solo dalle elevatetemperature estive ma anche da quelle basseinvernali, potrebbe giovarsi di un clima inver-nale più caldo, il decremento delle precipita-zioni potrebbe avere impatti negativi. Infatti, èstato osservato che gli ecosistemi aridi e semi-aridi mostrano una forte relazione lineare tra la

produzione primaria netta e le precipitazioniannue (Allen-Diaz et al., 1996). L’allungamen-to della stagione vegetativa indotto dall’incre-mento della temperatura (Peñuelas e Filella,2001) potrebbe quindi non apportare negli eco-sistemi mediterranei i benefici sulla crescitache invece sono stati registrati in ecosistemitemperati ed artici (Rustad et al., 2001). In relazione al suolo, condizioni più aride ecalde potrebbero rallentare i processi di de-composizione, di mineralizzazione e di respi-razione che, come è noto, sono legati allatemperatura e al contenuto idrico (Xu e Qi,2001; Rey et al., 2002). Nell’area mediterra-nea, caratterizzata dalla povertà di nutrienti,la conseguenza di una tale modificazione po-trebbe essere quella di una stasi di molti deiprocessi dell’ecosistema.In uno scenario caratterizzato da un allunga-mento del periodo di aridità, le risposte speci-

661

Valutazione della vulnerabilità degli ecosistemiarbustivi ai cambiamenti climatici: esperienze dimanipolazione climatica in pieno campo

P. Duce1, G. Pellizzaro1, C. Cesaraccio1, A. Ventura1, D. Spano2, C. Sirca2,P. De Angelis3, G. de Dato3

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Sassari, Italia2Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei, DESA, Università di Sassari, Italia3Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Forestale e delle sue Risorse, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, Italia

[email protected]

SOMMARIO: Sensibili modificazioni del funzionamento degli ecosistemi, della loro biodiversità e del com-plesso delle interazioni ecologiche, stanno oggi avvenendo simultaneamente con i grandi cambiamenti ascala globale quali quelli relativi: all’uso dei suoli, alla composizione dell’atmosfera, al clima. In partico-lare, la temperatura elevata e la siccità sono due fattori che fortemente limitano i processi funzionali negliambienti naturali e semi-naturali, sia direttamente che in interazione con la gestione e l’inquinamento. Al-lo scopo di valutare l’impatto che l’aumento di temperatura e una riduzione delle precipitazioni può averesu ecosistemi arbustivi mediterranei, è in corso di realizzazione un esperimento di manipolazione climati-ca nell’ambito del progetto europeo VULCAN (www.vulcanproject.com), presso la riserva naturale PortoConte Le Prigionette, situata nella penisola di Capo Caccia nella Sardegna nord-occidentale. Scopo delleattività è di verificare gli effetti delle manipolazioni climatiche su un ecosistema a macchia mediterranea,attraverso l’analisi delle modificazioni ecologiche e microambientali indotte dai trattamenti sperimentali.

Page 200: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

fiche della vegetazione potrebbero indurre al-terazioni della struttura e della composizionespecifica delle comunità mediterranee e spo-stare gli equilibri esistenti tra vegetazione eambiente fisico. Alla luce di queste considerazioni, molti eco-sistemi mediterranei potrebbero essere a ri-schio desertificazione, con conseguente perdi-ta di produttività primaria, di habitat e di spe-cie, di suolo e di nutrienti (Shaw et al., 2000;De Luis et al., 2001; Rasmussen et al., 2001).Nell’ambito del progetto di ricerca europeo“VULCAN” (Vulnerability Assessment of Sh-rubland Ecosystem in Europe under ClimateChange) una nuova metodologia di manipola-zione climatica è stata utilizzata in sei diffe-renti siti Europei (Danimarca, Olanda, Galles,Spagna, Italia, Ungheria), per studiare la ri-sposta di ecosistemi arbustivi all’incrementodelle temperature minime giornaliere e alla ri-duzione delle precipitazioni (Beier, 2004).

1.2 ObiettiviGli obiettivi di lungo termine del progettohanno previsto la determinazione del livellodi rischio degli ecosistemi arbustivi e la co-struzione di scenari di vulnerabilità ai cam-biamenti climatici considerando la perdita dibiodiversità, la funzionalità degli ecosistemi ei fattori di pressione socio-economica, al finedi individuare possibili azioni di gestione chepossano controbilanciare gli effetti negativiindotti dai cambiamenti climatici.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

La manipolazione climatica è stata realizzatatramite l’impiego di teli retraibili opachi all’in-frarosso termico che, coprendo la vegetazionedurante le ore notturne, riducono le perdite ra-diative del suolo e della vegetazione. Analoga-mente, teli impermeabili coprono la vegetazio-ne durante gli eventi piovosi per ridurre l’ap-porto idrico nei periodi definiti dal protocollosperimentale. Con questa tecnica è stato quin-di possibile evitare gli effetti secondari legatiall’uso di sistemi di input termico diretto (ra-diazione IR, resistenze elettriche, altro).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

662

Figura 1: Distribuzione dei nove plot per la manipolazio-ne climatica, all’interno della fascia.

Page 201: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Lo studio è stato condotto all’interno della riser-va naturale Porto Conte Le Prigionette, situatanella penisola di Capo Caccia (40°36’N, 8°9’E)nella Sardegna nord-occidentale. La sperimen-tazione è stata condotta all’interno di fasce te-nute prive di vegetazione fino al 1993. Dopo ta-le data non è stato eseguito nessun intervento dimanutenzione e la vegetazione spontanea ha po-tuto ricolonizzare il terreno. Al momento in cuiera stata avviata la sperimentazione, l’area eraoccupata da una gariga (altezza massima circa 1m) composta in prevalenza da Cistus monspe-liensis e Helichrysum italicum con presenza diindividui di Dorycnium pentaphyllum, Rosma-rinus officinalis e Pistacia lentiscus.Lungo la fascia (pendenza 10% circa) sonostati individuati 3 blocchi adiacenti, all’inter-no di ciascuno dei quali sono stati definiti treparcelle di 6 m x 4 m (Fig. 1), assegnati a ca-so ai trattamenti sperimentali: Control (nessu-na manipolazione), Warming (copertura not-turna), Drought (intercettazione periodicadelle precipitazioni).Nel corso della sperimentazione le variabilimeteorologiche sono state registrate in conti-nuo sia all’interno di ogni plot sia in una sta-zione esterna adiacente i plot. Le attività di studio condotte nel sito italianodi Porto Conte hanno riguardato l’analisi del-le modificazioni indotte con la manipolazioneclimatica su:• i processi legati allo sviluppo della vegeta-

zione (crescita a livello di individui e di co-munità, successione delle fasi fenologiche,produzione e qualità della lettiera, alloca-zione dei nutrienti);

• i processi legati all’attività biologica delsuolo (respirazione, decomposizione dellalettiera, mineralizzazione dell’azoto);

• i processi legati al bilancio idrologico (sta-to idrico delle piante e del suolo, qualitàdella soluzione circolante del suolo).

3 RISULTATI RILEVANTI

Relativamente ai primi anni di sperimentazio-ne, il trattamento Warming ha provocato unincremento medio delle temperature minime

giornaliere dell’aria di circa 1.0°C. Di conse-guenza la temperatura media annuale dell’a-ria nelle parcelle sperimentali Warming è ri-sultata più elevata di 0.5°C.È stato inoltre osservato un incremento delvalore medio delle temperature massime gior-naliere dell’aria.Il trattamento Drought ha ridotto la quantitàannua di precipitazione e il numero di giorni dipioggia di maggiore intensità. Le variazioninel tempo del contenuto idrico relativo delsuolo (RWC) sono state strettamente condizio-nate dall’andamento delle precipitazioni. Du-rante il periodo di funzionamento del tratta-mento Drought, sono evidenti i tagli delle pre-cipitazioni, in quanto mancano alcuni picchi diRWC in corrispondenza di eventi piovosi.Per quanto riguarda le osservazioni in corsosui parametri ecologico-funzionali della vege-tazione, il trattamento Drought ha già prodot-to significative riduzioni dell’accrescimentodi alcune specie e più in generale un minortasso di sviluppo del grado di copertura dellacomunità dimostrando l’estrema sensibilità diqueste formazioni alla perturbazione del regi-me delle precipitazioni. Questo trattamentosembra poi influenzare direttamente e indiret-tamente l’attività biologica del suolo, deter-minando sia lo stato di attività dei microrga-nismi che quello della vegetazione.L’analisi delle modificazioni indotte dal trat-tamento Warming sui principali processi eco-logici e funzionali della comunità oggetto delpresente studio, in corso di elaborazione, nonsembrano indicare un impatto significativodel trattamento dopo due anni di applicazio-ne. È importante però sottolineare che rispo-ste di più lungo termine non possono essereescluse, in particolare per quello che riguardai rapporti fra le diverse specie presenti nellacomunità e l’interazione con i processi biolo-gici del suolo.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Questi primi risultati mostrano che il prolun-gamento della stagione siccitosa e l’aumentodelle temperature notturne influiscono sul-

Impatti dei cambiamenti climatici

663

Page 202: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

l’attività vegetativa e riproduttiva della vege-tazione in maniera differente nelle diversespecie. Questo comportamento potrebbe farsupporre un possibile cambiamento nellacomposizione specifica con conseguenze sul-l’evoluzione di questo tipo di comunità. È op-portuno comunque sottolineare l’esigenza dicondurre osservazioni a lungo termine per ve-rificare i potenziali effetti dei cambiamenticlimatici previsti sul funzionamento di questotipo di ecosistemi.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Allen-Diaz B., Chapin F.S., Diaz S., HowdenM., Puigdefábregas J., Stafford Smith M.,1996. Rangelands in a Changing Climate:Impacts, Adaptations, and Mitigation. InJ.T. Houghton, L.G. Meira Filho, B.A.Callender, N. Harris, A. Kattenberg e K.Maskell (eds.), Climate Change 1995 -Impacts, Adaptations and Mitigation ofClimate Change: Scientific-TechnicalAnalyses. Cambridge: Cambridge Univer-sity Press.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

664

Page 203: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 I sistemi agricoli e forestaliLa funzionalità dei sistemi coltivati può esseredescritta in termini di input, output, e cambia-menti di contenuto all’interno dei sistemi stes-si. Agli input primari, forniti dall’ambiente, eche comprendono acqua, anidride carbonica,nutritivi, radiazione solare, si sommano quelliintrodotti nel sistema per scopi produttivi at-traverso le pratiche di coltivazione quali la ma-nipolazione dell’architettura (forma di alleva-mento, potatura, portinnesto), della fisiologia(irrigazione, concimazione) e dello stato sani-tario (trattamenti). Gli output includono, oltreal prodotto finale direttamente fruibile, l’acquatraspirata, le sostanze organiche volatili emes-se, i nutrienti percolati o dilavati.Il frutteto è quindi un sistema complesso in cuile piante catturano, trasferiscono e perdonoenergia e nutritivi producendo sostanza secca.Il sistema cresce all’interfaccia tra l’atmosferae il terreno, e i flussi in questo continuum sonoregolati dalle interazioni tra pianta e suolo e

pianta e atmosfera. In particolare, la strutturadella chioma (e quindi la combinazione cv-portinnesto-forma di allevamento) ha un’in-fluenza primaria sui rapporti pianta-ambiente,in quanto germogli, rami, foglie intercettano,riflettono, assorbono la radiazione e determi-nano le proprietà aerodinamiche di ogni parti-colare impianto. L’attività fisiologica influiscesulla partizione dell’energia netta a disposizio-ne in quote destinate alla traspirazione dell’ac-qua e al riscaldamento dell’aria e del terreno, eregola lo scambio netto di anidride carbonica edei gas in traccia tra il frutteto e l’atmosfera. Comprendere come e quanto la specie e la ti-pologia della chioma condizioni gli scambicon l’atmosfera circostante è di grande impor-tanza sia per la messa a punto di modelli diproduttività, sia per la caratterizzazione del-l’entità della mitigazione operata delle diversesuperfici coltivate nei confronti dei gas serra,possibili responsabili dei cambiamenti climati-ci. È infatti sempre più riconosciuto il ruolodelle diverse componenti della biosfera terre-stre sui cambiamenti climatici, includendo gli

665

Il contributo degli impianti da frutto all’assorbimento della CO2 atmosferica

O. Facini1, T. Georgiadis1, M. Nardino1, F. Rossi1, G. Maracchi1, A. Motisi2

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Bologna, Italia2Dipartimento di Colture Arboree, Palermo, [email protected]

SOMMARIO: La funzionalità delle colture legnose arboree da frutto sull’assorbimento della CO2 atmosferi-ca, e l’ammontare dello stoccaggio del carbonio che queste mettono in atto è stato scarsamente studiato ri-spetto a quanto sia stato analizzato negli ecosistemi forestali. Gli studi estensivi sull’efficienza degli im-pianti arborei ad agire come sink di carbonio atmosferico sono stati in parte sfavoriti dalle loro estensio-ni, generalmente troppo limitate per poter applicare le tecniche micrometeorologiche classicamente uti-lizzate in ambito forestale. Inoltre, l’ottica di considerare le colture agrarie non soltanto come forme pro-duttive ma anche come risorse ambientali non è ancora un’ottica prevalente. La superficie italiana desti-nata a colture legnose (frutteti, vigneti, oliveti ecc.) è di circa 2.5 milioni di ha, che corrispondono al 25%della superficie boschiva italiana: il contributo di queste colture alla riduzione della CO2 in atmosfera po-trebbe essere non trascurabile. Negli ultimi cinque anni si sono svolti studi su diverse specie frutticole perdeterminare, tra le altre cose, la loro capacità di fissazione del carbonio.

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effetti di feedback sul clima, sulla composizio-ne dell’atmosfera, sul bilancio dei gas-serra,CO2 in particolare .Mentre la quantificazione del contributo dellediverse superfici forestali al bilancio del car-bonio è oggetto di studi approfonditi già da di-versi anni tramite i network che collegano, uti-lizzando analoghe metodologie e strumenta-zione, informazioni ottenute da ecosistemi-modello delle principali tipologie forestali delglobo terrestre, sono invece estremamente li-mitate le conoscenze su sistemi agrari, consi-derati per il ruolo produttivo molto più che perquello ecologico. Di interesse particolare è lostudio di sistemi arborei, la cui durata polien-nale consente l’instaurarsi, su una superficiecostante, di un potenziale sink per il carbonioatmosferico, in grado di fissare gran parte delcarbonio stesso in un output finale ad alta uti-lità, e di immagazzinarne un’altra parte nelleparti legnose e nell’apparato radicale.

2.1 Metodologia utilizzataLo sviluppo dell’anemometria sonica, e lamessa a punto di sensori in grado di campio-nare ad altissime frequenze hanno permessodi effettuare il monitoraggio dei processi discambio relativamente all’intera chioma, ef-fettuando a livello di scala spaziale superiore,misure di scambi gassosi analoghe a quelleeffettuate sulla singola foglia. Le misure dicorrelazione turbolenta “eddy covariance”possono quindi costituire il supporto ideale

per il monitoraggio a lungo termine degliscambi di energia e di materia tra frutteti edatmosfera. Questa tecnica consiste nel effet-tuare delle misure ad alta frequenza (10 Hz)della concentrazione di CO2 nell’aria in con-comitanza a quelle della velocità verticale delvento, le fluttuazioni istantanee della concen-trazione di CO2 rispetto al valore medio ci in-dicano se la superficie che stiamo analizzan-do assorbe o emette CO2 (Fig.1).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

In Italia IBIMET si occupa da anni di questetematiche, e ad esse ha destinato attività auto-noma, oltre che attività dedicata a progetti spe-cifici, quali COFIN2000 “Miglioramento dellaqualità in sistemi viticoli tipici: studio ecofi-siologico e microclimatico” e PRIN 2004“Studi ecofisiologici, salutistici e molecolariper la valorizzazione qualitativa e la salva-guardia ambientale nei sistemi viticoli nazio-nali”, nonché del progetto Flussi di acqua e dicarbonio su oliveti tradizionali finanziato dallaRegione Sicilia nel 2006 e 2007.

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Il contributo della viticolturaI rilievi sono stati eseguiti a Montalcino in unvigneto di ‘Sangiovese’ su ‘420 A’ messo a di-mora nel 1992, allevato a controspallieraorientato NO-SE con sesto d’impianto di 3x1,2m e 2777 piante/ha (Fig. 2) (Rossi et al., 2005).Il monitoraggio è stato eseguito nel 2005 indue periodi di una settimana ciascuno, il primodal 27 giugno al 3 luglio e l’altro dal 3 all’8agosto ripetuti nell’anno successivo. Il flussodi carbonio dal vigneto, espresso in µ moli diCO2 per m2 per secondo, è stato diverso neidue periodi, sia per la riduzione della duratadell’insolazione, sia per il mutato stadio fisio-logico della vite, in giugno infatti il vigneto hafissato 5380 moli per ora e per ettaro di CO2contro le 2367 moli di agosto (dati medi gior-nalieri), e su questa riduzione può aver influi-to anche la potatura verde eseguita poco primadella campagna di misure di agosto.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

666

Figura 1: Teoria della correlazione turbolenta: la vegeta-zione scambia con l’atmosfera circostante acqua (freccenere) e CO2 (frecce grigie) che sono trasportate dal ven-to (frecce sottili), appositi strumenti posti nelle torri dimisura acquisiscono le fluttuazioni ad una frequenza dicirca 10 dati al secondo (10 Hz). Un apposito softwareelabora istantaneamente i dati e calcola i flussi di CO2 eH2O assorbiti o emessi dalla vegetazione.

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Anche la ripartizione giornaliera, valutata co-me sommatoria dei flussi in entrata ed uscitadal sistema vigneto ha evidenziato lo stessotrend registrato in altre analoghe campagne dimisura effettuate anche su specie diverse, tracui anche uva da tavola (Nardino et al., 2007).Si è infatti osservata una più elevata fissazionedi carbonio nelle ore mattutine, con valori dop-pi in giugno rispetto ad agosto. La respirazio-ne notturna, invece, ha mantenuto valori simi-li per entrambi i periodi. Lo studio dei sistemiviticoli, la cui durata poliennale rende questecolture potenziali sequestratori di carbonio alungo termine, riveste particolare interessespecie se, oltre alla fissazione del carbonio nel-le parti legnose e nelle radici, l’output finale èun prodotto di alta qualità (in questo caso vinodi riconosciuto valore). I dati forniti dalle misure di “eddy covariance”seppure limitati a questi due periodi, indicanoche il territorio dedicato alla produzione delBrunello di Montalcino, oltre al pregiato vinopuò produrre un assorbimento di circa 6.000tonnellate di carbonio per anno, pari a 22.000 tdi biossido di carbonio.

3.2 Il contributo dell’olivicolturaPer quanto riguarda l’olivo, nel 2006 ha presoavvio una campagna di misure dei flussi diCO2 e H2O in un oliveto, cv Nocellara del Be-lice, di 14 ettari situato in località Castelvetra-no (Sicilia) in collaborazione col Dipartimentodi Colture Arboree dell’Università di Palermo,

e del Servizio Informatico AgrometeorologicoSiciliano, dell’Assessorato Agricoltura e Fore-ste di Palermo (Fig. 3).Una prima analisi dei dati registrati nel 2006

(Pernice et al., 2006) ci mostra una consisten-te attività fotosintetica giornaliera paragonabi-le a quanto misurato su vite o actinidia ed unaconseguente elevata fissazione del carbonio,quantificabile dai primi dati rilevati in 64 kgper ettaro al giorno in luglio, 61 in agosto e 57in settembre. Ricordiamo che un kg di carbo-nio fissato corrisponde a 3,664 kg di CO2. Daquesti valori occorre sottrarre la quantità dicarbonio emessa dai processi respirativi dellepiante e del suolo, che sono stati quantificati incirca 16 kg per ettaro al giorno. Rimane un bi-lancio nettamente positivo, considerando an-che il fatto che l’olivo è coltura sempreverde,e che la sua attività fotosintetica continua an-che nel periodo autunno-invernale, anche secon tassi più ridotti. Tentando un’estrapolazione di questi risultati alivello nazionale, possiamo calcolare che i1.141.269 ha di olivo presenti in Italia (datiISTAT 2005) fissano circa 200.000 t di CO2anno, corrispondenti al 4% circa del totale del-le emissioni italiane

3.3 Il contributo dell’actinidiaAnche sul kiwi (Actinidia deliciosa) è stato ef-fettuato uno studio sui flussi di CO2 e H2Oprodotti nel corso della stagione vegetativa dalfrutteto (Rossi, 2007). La strumentazione, del-

Impatti dei cambiamenti climatici

667

Figura 2: Strumen-tazione utilizzataper le misure deiflussi di CO2 e H2Osul vigneto nella te-nuta Col D’Orcianel territorio diMontalcino (SI).

Figura 3: Strumen-tazione utilizzataper le misure deiflussi di CO2 e H2Osull’oliveto Castel-vetrano (TR).

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lo stesso tipo di quella stessa utilizzata per lealtre campagne di misura, è stata installata sudi un actidinieto irrigato a goccia di circa 18ettari in località S. Pietro in Vincoli (RA)(Fig. 4). L’impianto, costituito da cv. Haywardallevata a spalliera, aveva un sesto di 2.5x5 mcon un investimento di 800 piante/ha ed unrapporto femmine/maschio di 8:1. La chiomaha raggiunto al suo massimo sviluppo l’altez-za di 1.9 m. I valori massimi di fissazione del carbonio sisono registrati nel mese di giugno con un va-lore di 18-20 µmoli m-2 s-1 di carbonio. Neisette mesi in cui sono state effettuate le misu-re, il frutteto ha fissato 8.5 t di C per ha, a que-sto va sottratto l’ammontare dei processi respi-rativi invernali che, nel corso della campagnaeffettuata, non è stato possibile calcolare.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Gli studi effettuati hanno evidenziato le grandipotenzialità dei frutteti in generale come sinkper l’assorbimento della CO2 atmosferica. Alcontrario degli ecosistemi forestali in cui l’an-damento climatico gioca un ruolo essenzialenella modulazione dell’attività fotosintetica,nei frutteti è possibile intervenire con le prati-che agronomiche (irrigazione, potatura, lavo-razioni al terreno ecc.) per massimizzare euniformare l’attività fisiologica e vegetativa,

rendendo le piante meno vulnerabili e menosoggette agli effetti di fattori climatici avversi.Questi agrosistemi si comportano come alcuneforeste, fissando dalle 3 alle 8 t per ha e peranno di carbonio. A differenza di queste, essisono sistemi fortemente antropizzati, per i qua-li, ove si calcoli globalmente la fissazione net-ta del carbonio, vanno computati tutti i fattori,esterni al processo biochimico della fotosinte-si, che concorrono alla produzione. L’ottimiz-zazione degli input di natura antropica e l’ado-zione di buone pratiche di gestione degli im-pianti e dell’uso delle risorse dovrebbe portarealmeno a zero il bilancio per rendere questecolture effettivamente “sostenibili” dal puntodi vista dell’impatto ecologico.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

668

Figura 4: Strumentazione utilizzata per le misure deiflussi di CO2 e H2O sull’actinidia nell’azienda Giuliani aS.Pietro in Vincoli (RA).

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

L’ultimo quindicennio 1990-2005 ha vistocome protagonista della scena climatica ita-liana l’affermarsi di una forte modifica dellavariabilità a livello stagionale sia dal punto divista termometrico che pluviometrico. Questaha generato una serie di impatti ambientali sututto il territorio nazionale soprattutto in rela-zione alla fenologia delle biocenosi animali evegetali nei vari biotopi italiani. L’ingresso inItalia di popolazioni di allogeni, ovvero dispecie animali e vegetali provenienti da terri-tori extraeuropei, grazie all’intensificazionedegli scambi commerciali dovuti al processodi globalizzazione in atto, ha introdotto un ul-teriore fattore di squilibrio ambientale. Lastraordinaria diffusione in ambito urbano diun culicida esogeno come Aedes Albopictus(Skuse), più noto come “Zanzara Tigre”, apartire dalle prime sue segnalazioni (DellaPozza, 1992; Romi, 1995), ha fornito uno de-gli esempi classici per questo tipo di fenome-ni. Il suo comportamento molesto nei con-fronti dell’uomo, l’attività diurna rispetto adaltre specie di culicidi e lo ha fatto rapida-mente diventare uno degli oggetti di ricerca

più interessanti (Romi, 2001). L’aumento delle temperature medie e deglieventi di precipitazione primaverili – estive, inatto favorisce ora, e ancor più nel futuro, losviluppo e la persistenza di popolazioni dizanzare, vettori di virus come quello dellaDengue, determinando un aumento del rischiosanitario, oltre che a livello globale anche neipaesi europei che si affacciano sul mediterra-neo (Hales et al., 2002; WHO, 2004).Presso IBIMET è stato sviluppato un model-lo di dinamica delle popolazioni basato su in-gressi meteorologici, mutuato, e adattato perla Zanzara Tigre a partire da un lavoro fatto inArgentina su una specie vicina a questa (Ote-ro et al., 2006). Il modello fornisce l’evolu-zione giornaliera di una comunità di zanzare,che si sviluppa a partire da un determinatonumero di focolai larvali (BS breeding sites),inseriti in contesto ambientale omogeneo econ uguali caratteristiche fisiche, in termini diconsistenza numerica di 5 fenofasi (uova, lar-ve, pupe, adulti e uova deposte). Nel modelloqueste evolvono seguendo un approccio de-terministico - stocastico. I tassi termodinami-ci di sviluppo (Schoofield et al., 1981; Fockset al., 1993), i processi regolatori e l’evolu-

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La diffusione di Aedes Albopictus (Skuse) (ZanzaraTigre) in relazione ai cambiamenti climatici

R. Vallorani, A. Crisci, G. Messeri, B. GozziniIstituto di Biometerologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: Fra le specie animali di nuova introduzione in Italia sicuramente la Aedes Albopictus (Skuse),nota coma “Zanzara Tigre”, ha avuto un impatto sensibile. La sua diffusione nell’arco di un decennio èstata formidabile, vincendo in alcuni habitat la competizione con la zanzara comune (Culex pipiens pi-piens). Questo fatto è fortemente collegato alle recenti variazioni climatiche che hanno assicurato a que-sto insetto di origine tropicale, già di per sè dotato di un’ottima capacità di adattamento a nuovi ambien-ti, un vantaggio ecologico decisivo. La diffusione di questa zanzara è una variabile da monitorare poichévettore di numerose patologie virali oltre che capace di arrecare disagio alla popolazione residente. In que-sto contesto si inserisce la nostra attività di sviluppo di una modellistica di popolazione capace di utiliz-zare le informazioni meteo - climatiche per prevedere la dinamica di popolazione e quindi il potenziale didiffusione della “Zanzara Tigre” e i relativi impatti sulla collettività.

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zione delle fenofasi vengono modellati secon-do un processo aleatorio di natura poissonia-na (Ethier e Kurtz, 1986) e simulati attraver-so opportuna tecnica numerico-statistica (So-lari e Natiello, 2003). In questo lavoro il modello ha un dipendenzameteo data dalla temperatura media giornaliera.Lo scopo di questo lavoro è quello di verifi-care proprio con un approccio modellistico sela bioclimate envelope (Hucthinson, 1957;Estrada-Pena, 2006), ovvero la componenteclimatica della nicchia ecologica occupata daAedes, sarà capace di sostenere lo sviluppo el’insediamento stabile di questa specie. Inol-tre si vuol verificare se gli scenari climaticiprevisti per i prossimi anni sono tali da giu-stificare una maggiore o minore diffusione diquesta zanzara.

2 ATTIVITÀ SCIENTIFICA

Sono state effettuate una serie di simulazionidi popolazione, sia per ambienti urbani a bas-so grado di colonizzazione (BS=50), sia perquelli ad alta densità di colonie di A. Albo-pictus (BS=150). Il periodo preso in conside-razione è stato il decennio 1996-2006 e sonostate utilizzate le serie storiche UCEA di al-cune località rappresentative del clima delterritorio nazionale.La scelta di questo decennio è stata principal-mente guidata dal fatto che i cambiamenti cli-matici osservati in tale periodo sono evidentie possono essere utilizzati per verificare lasensibilità climatica del modello. Sono stateanche quindi valutate le potenzialità di svi-luppo dell’insetto nei prossimi decenni a par-tire da un insieme di proiezioni climatologi-che (scenari climatici) ottenute tramite CLI-MAGRI (Cambiamenti Climatici e dell’Agri-coltura finanziato dal Ministero delle Politi-che Agricole e Forestali italiano)In particolare le serie di simulazioni, sonostate ottenute con una tecnica di downscalingstatistico (Barcaioli et al., 2004), a partire daidue scenari SRES IPCC, quello A2 con laprospettiva di emissioni di gas serra medio-alte e quello B2 con emissioni medio-basse.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Previsione del numero medio annuo di uova de-poste nel decennio 1996-2006 (linea continua superioreBS =150, continua inferiore BS=50, le linee tratteggiaterappresentano la linea di tendenza

3 OSSERVAZIONI SPERIMENTALI

Le simulazioni eseguite per il decennio 1996-2006 con il modello di dinamica delle popo-lazioni, hanno mostrato un evidente trend dicrescita chiaramente più marcato nella moda-lità con BS=150 (Fig. 1).Il modello mostra pertanto una notevole sen-

sibilità alle variazioni termiche. Da una primaanalisi appare particolarmente critica la scel-ta del numero di focolai (BS), che descrive ilgrado di ricettività ambientale. Infatti l’au-mento del numero medio di uova deposte èmolto sensibile a questo parametro, come di-mostra anche l’incremento di uova deposteprevisto per il 2003, decisamente più eviden-te nella modalità BS=150 (Fig. 1). In definiti-va possiamo mettere in evidenza come la A.Albopictus sia sensibile all’aumento delletemperature in particolar modo in aree, comead esempio quelle urbane, dove fattori antro-pici come il notevole apporto idrico artificia-le garantiscono una elevata predisposizioneall’infestazione.Le successive simulazioni, eseguite a partireda due scenari IPCC (A2 e B2), hanno con-fermato le indicazioni ricavate dall’analisi deldecennio 1996-2006. In definitiva nei prossimi 40-50 anni ci pos-siamo attendere un’ulteriore diffusione diquesta specie con un incremento particolar-mente marcato a partire dagli anni successivial 2035 (Fig. 2 e 3)

Page 209: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

di Dengue. In futuro verranno approfonditetematiche inerenti i possibili siti di diffusionedella A. Albopictus e di come le variazioni delregime pluviometrico associati a quelli termi-ci, possono condizionare l’espansione di que-sta zanzara. Questi studi e previsioni inoltredevono andare di pari passo con il perfezio-namento del modello di dinamica delle popo-lazioni di cui disponiamo e che al momento èoggetto di verifiche con dati osservati.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Impatti dei cambiamenti climatici

671

Figura 2: Previsione del numero medio annuo di uova de-poste per il periodo 2010-2050 a partire dallo scenarioIPCC A2 (BS =150 e BS=50).

Figura 3: Previsione del numero medio annuo di uova de-poste per il periodo 2010-2050 a partire dallo scenarioIPCC B2 (BS =150 e BS=50).

4 CONCLUSIONI

Questo lavoro preliminare nasce dall’esigen-za di verificare le potenzialità di sviluppo del-la A. Albopictus nei prossimi anni, conside-rando i cambiamenti climatici che potrebberointeressare gran parte del nostro pianeta.Dall’attività di ricerca sino ad oggi svolta ap-pare evidente che la diffusione di questa zan-zara è sensibile alle variazioni termiche e chesaranno proprio le aree a maggior predisposi-zione all’infestazione a subire maggiormentegli effetti dei cambiamenti climatici. Questodato è particolarmente rilevante se si conside-ra che tra le aree a maggiore predisposizionevi sono le zone urbane, ovvero aree densa-mente popolate.La diffusione della zanzara tigre è una varia-bile da monitorare con cura crescente soprat-tutto in quanto rappresenta un efficace vetto-re nella diffusione di malattie come la febbre

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

672

Page 211: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

I cambiamenti climatici svolgono un’azioneparticolarmente incisiva sugli equilibri propridei vari ecosistemi, sia terrestri che acquatici.Questi, infatti, sono regolati dall’interazionetra comunità viventi (fattori biotici) e fattorichimico-fisici dell’ambiente (fattori abiotici).Le strategie di adattamento, sviluppate nelcorso dell’evoluzione da animali e piante,hanno permesso loro di vivere e svilupparsianche in zone considerate estremamente osti-li. Il terzo report stilato nel 2001 dall’Intergo-vernmental Panel on Climate Change, affer-ma che se in futuro la concentrazione dei gasserra non tenderà a diminuire, dovremo atten-derci un riscaldamento globale compreso tra1°C e 3,5°C (IPCC, 2001), sia su scala globa-le che su scala regionale. Il rapido cambia-mento climatico potrebbe portare quindi allamodificazione di tutti i sistemi ecologici,creando non pochi disagi a quelli che non riu-sciranno a seguire il passo evolutivo, sia a lun-go che a breve termine. Eventi fenologici le-gati ai cambiamenti climatici hanno degli ef-fetti significativi sulle popolazioni e sulla ri-produttività biologica degli organismi (Mc-

Carty, 2001). Gli effetti a lungo termine inci-deranno principalmente sull’evoluzione e sul-la distribuzione degli ecosistemi, assistendo,in molti casi, all’affermarsi di nuove tipologiedi habitat e, di conseguenza, all’estinzione dispecie che non troveranno più l’ambiente ido-neo per il loro sviluppo. Lo spostamento geo-grafico di alcune specie potrà inoltre andaread intaccare gli equilibri trofici esistenti neiluoghi di arrivo, mettendo in crisi molte spe-cie autoctone che, per questo, potrebbero an-che scomparire. Il clima è infatti determinanteper la distribuzione della flora e della fauna ele specie caratterizzate da una scarsa capacitàdi dispersione saranno a maggior rischio diestinzione rispetto a quelle caratterizzate daun’ampia distribuzione geografica e, quindi,da una maggiore tolleranza climatica. Molte specie di animali intraprendono viaggimigratori per difendersi da condizioni climati-che sfavorevoli. I migratori per eccellenza so-no gli uccelli che sono favoriti da un’intrinse-ca capacità di spostamento legata al volo. Lemigrazioni, “movimenti orientati nello spazio,periodici e prevedibili nel tempo” (Berthold etal., 2003; Shaffer et al., 2006), trovano originenella naturale ricerca da parte degli uccelli di

673

Gilia: 4 anni di monitoraggio della migrazione primaverile delle rondini (Hirundo rustica L.)

L. Massetti, G. Brandani, A. Crisci, G. MaracchiIstituto di Biometerologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: Il cambiamento climatico, in continua e rapida evoluzione, genera l’alterazione della compo-sizione specifica e della struttura dei sistemi ecologici, inducendo effetti negativi sugli organismi che nonriescono a seguirne la velocità di evoluzione. L’analisi degli scenari futuri consente di ipotizzare la nasci-ta di nuove tipologie di habitat, di nuovi ecotipi o anche di sottospecie. Per contro, ci si può attendere unaforte riduzione o l’estinzione di quelle specie che non troveranno più ambienti idonei per il loro sviluppo.Lo studio della biometeorologia animale offre un grande contributo alla comprensione degli effetti sugliorganismi dovuti al cambiamento climatico. Il progetto sperimentale GILIA, sviluppato a Firenze, è unesempio di sistema di monitoraggio e di studio della biometeorologia animale e vegetale, basato su unarete italiana di osservatori volontari. Quattro anni di attività hanno permesso di costituire una banca datidi segnalazioni sull’avvistamento delle rondini (Hirundo rustica L.) in primavera.

Page 212: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

quelle condizioni ecologiche (clima e risorsealimentari) che ne rendano possibile il sosten-tamento e la sopravvivenza durante tutto ilcorso dell’anno (migrazione a periodicità sta-gionale) (Casanova et al., 1993). Gli scenarilegati all’aumento delle emissioni di CO2 inatmosfera, di origine antropica, prevedono al-terazioni climatiche che potranno avere signi-ficativi impatti sulla vita. Il progressivo au-mento della temperatura media globale dellaTerra potrebbe causare un progressivo sposta-mento a nord dei quartieri di svernamento, au-mentando così la proporzione tra individuistanziali e migratori all’interno delle stesse po-polazioni; parte dei soggetti migratori potreb-be, infatti, decidere di trattenersi nei quartieridi nidificazione per tutto il corso dell’anno,usufruendo della permanenza di condizioniidonee alle loro attività biologiche. Alcuni stu-di hanno verificato che alcune popolazioni diuccelli sono effettivamente diventate stanziali,soprattutto nell’Europa centrale (Schmidt-Nielsen, 1998), mentre altre hanno anticipatoil periodo riproduttivo (Both e Visser, 2001).Molti altri studi hanno messo in evidenza unanticipo della migrazione primaverile di alcu-ne specie di uccelli (Rubolini et al., 2007) edaltri, un posticipo della migrazione verso learee di svernamento (Bradley et al., 1999).

2 ATTIVITÀ SCIENTIFICA

Dal 2004 è attivo presso l’Istituto di Biome-teorologia del CNR di Firenze, il progetto GI-LIA nell’ambito del quale è stato sviluppatoun bollettino informativo per il biomonitorag-gio della flora e della fauna in relazione aicambiamenti climatici globali. Oltre a questoè stato realizzato un sistema di acquisizionedelle segnalazioni fenologiche è stato imple-mentato sul sito web . Il sistema si propone l’obiettivo di raccoglie-re le segnalazioni e costituire un nucleo attor-no al quale si possa concentrare una vasta re-te di contatti, comprendenti sia enti e istitutiche effettuano ricerche in questo settore, siale persone o le associazioni che per interessespecifico si occupano di queste materie. Tutte

le informazioni raccolte sono analizzate, sin-tetizzate e rese fruibili sia in forma scientificache divulgativa. In questi quattro anni di atti-vità sono confluite nel sistema sia informa-zioni puntuali sotto forma di news ed altro,sia segnalazioni con le quali sono state co-struite delle serie storiche fenologiche. Il mo-nitoraggio è stato attivato per alcune specievegetali e animali caratterizzate per l’ampiospettro di distribuzione sul territorio italiano.La rondine (Hirundo rustica L.) è stata la pri-ma specie monitorata perché da sempre sim-bolo dell’arrivo della primavera e perché puòessere considerata un buon indicatore dal mo-mento che nei suoi spostamenti migratori, chespaziano dall’Africa all’Europa Centro-set-tentrionale, integrano l’influenza di condizio-ni climatiche a scala sinottica.Successivamente sono stati aggiunti ancheeventi fenologici riguardanti alcune specie ve-getali: la fioritura della mimosa (Acacia deal-bata) e del ciliegio (Prunus avium). Comeinformazioni necessarie ad identificare l’even-to nel tempo e nello spazio sono state scelte ladecade e la provincia dove ha avuto luogol’avvistamento. Sul sito sono poi pubblicate,con cadenza settimanale, le mappe fenologi-che. La serie storica più consistente (2004-2007) e più ampiamente distribuita sul territo-rio è quella relativa all’avvistamento dell’arri-vo delle rondini di cui è riportata la mappa re-lativa agli avvistamenti 2007 (Fig. 1).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Mappa di Avvistamento delle rondini del 2007.

Page 213: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

3 RISULTATI RILEVANTI

La rete di osservazione si è avvalsa del con-tributo fondamentale di rilevatori appartenen-ti a varie associazioni di rilevatori esperti(Morabito et al., 2004).L’analisi dei dati rac-colti ha messo in evidenza le difficoltà con-nesse alla complessità del monitoraggio dellamigrazione e alla caratteristica volontaria del-la partecipazione. Abbiamo riscontrato nelladistribuzione delle osservazioni una disconti-nuità temporale e spaziale che in parte è statacompensata dalla risoluzione scelta.

La maggior parte delle segnalazioni sono per-venute dalle regioni centrali e settentrionalid’Italia dove questo tipo di attività è mag-giormente popolare. Nella Tabella 1 sono pre-sentati gli avvistamenti delle province chehanno riscontrato serie complete ed affidabi-li. Per ogni provincia è indicata l’area geogra-fica di appartenenza, la decade media di arri-vo calcolata sulle segnalazioni ricevute nelperiodo 2004-2006 e la decade di avvista-mento del 2007. La mappa delle anomalie di Figura 2 mostraun anticipo in tutte le province per le quali èdisponibile una serie completa per il periodoconsiderato. L’anticipo risulta particolarmenteaccentuato nella parte settentrionale. Questorisultato concorda con le anomalie positive ditemperatura registrate nell’inverno 2007.L’inverno del 2007 infatti è stato caratterizza-to da un’anomalia termica positiva particolar-mente accentuata specialmente nelle regionicentro settentrionali in controtendenza con gliinverni del triennio precedente che sono staticaratterizzati da inverni leggermente più fred-di della media climatologica. L’anomalia termica del 2007 rispetto alla me-dia del triennio precedente, calcolata a partiredai dati delle NCEP reanalysis risulta esserepositiva ovunque con un gradiente crescenteda SO a NE che raggiunge anche i 4°C (Fig.3 - immagine presa da NOAA/ESRL PSD, BoulderColorado).

Impatti dei cambiamenti climatici

675

Figura 2: Decadi di anticipo di avvistamento delle rondi-ni nel 2007.

Figura 3: Anomalia termica inverno 2007 rispetto allamedia degli inverni 2004-2006.

Tabella 1: Decadi di arrivo per provincia

Area * Provincia Decade media

Decade2007

N BS 8 7 N MI 8 8 N TN 10 8

NE GO 8 8NE TV 7 6NE VR 9 4CO RM 6 5CO FI 8 8CO LI 7 7CO PI 7 7

* N Nord, NE NordEst, CentroOvest Italia

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4 PROSPETTIVE FUTURE

Il 2007 è stato caratterizzato da un invernoeccezionalmente caldo e l’anticipo riscontra-to nelle segnalazioni di arrivo concorda conquesta anomalia. Il monitoraggio dei fenome-ni migratori è un’attività complessa da effet-tuare per le sue dimensioni spaziali. I risulta-ti ottenuti in questi quattro anni di attivitàconfermano che costruire serie storiche consi-stenti, attendibili e sufficientemente lungheper fare delle analisi climatiche è un impegnogravoso che può essere affrontato adeguata-mente realizzando reti di osservazione inte-grate seguendo la strada tracciata dalla tradi-zione anglosassone.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Berthold P., Gwinner E., Sonnenschein E.,2003. Avian migration. Springer pp 610.

Both C., Visser M.E., 2001. Adjustment toclimate change is constrained by arrivaldate in a long-distance migrant bird. Na-ture, 411: 296-298.

Bradley N.L., Leopold A.C., Ross J., Huf-faker W., 1999. Phenological changes re-flect climate change in Wisconsin. Atti delNational Academy of Sciences of the Uni-ted States of America, 96: 9701-9704.

Casanova P., Capaccioli A., Cellini L., 1993.Appunti di zoologia venatoria e gestionedella selvaggina. Ed. Polistampa Firenze.

Intergovernmental Panel on Climate Change:2001, Climate Change 2001: The Scienti-fic Basis, J.T. Houghton and D. Yihui(eds.), Cambridge, Cambridge UniversityPress.

McCarty J., 2001. Ecological consequencesof recent climate change. ConservationBiology, 15: 320-331.

Morabito M., Pini L., Brandani G., Crisci A.,Massetti L., 2004. La biometeorologiaanimale: un aiuto per la comprensione delcambiamento climatico. ARPA Rivista N.5, Settembre-Ottobre 2004.

Rubolini D., Ambrosiani R., Caffi M., Bri-chetti P., Armiraglio S., Saino N., 2007.Long-term trends in first arrival and firstegg laying dates of some migrant and re-sident bird species in northern Italy. Int J.Biometeorol., DOI 10.1007/s00484-007-0094-7

Shaffer S.A. et al., 2006. Migratory shearwa-ters integrate oceanic resources across thePacific Ocean in an endless summer. Pro-ceedings of the National Academy ofSciences of the United States of America,103(34): 12799-12802.

Schmidt-Nielsen K.B., 1988. Fisiologia ani-male. Adattamento e ambiente. Padova,Piccin-Nuova Libraria.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 215: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Gli ecosistemi alpini sono caratterizzati dacondizioni ambientali spesso difficili, e pos-sono risentire in modo significativo delle flut-tuazioni meteo-climatiche e delle variazioninella struttura del territorio. Per questo moti-vo, i cambiamenti climatici in area alpina, cheincludono modifiche nel regime idrologico enella distribuzione di temperatura (Calmantiet al., 2007; Ciccarelli et al., in stampa), as-sociati alla frammentazione degli habitat dimolte popolazioni animali e vegetali, possonoportare a drastiche modificazioni degli ecosi-stemi e della biodiversità in area alpina.La stima degli impatti della variabilità meteo-climatica sugli ecosistemi alpini è difficile daottenere partendo da “principi primi”. In que-sto contesto, possiamo invece costruire mo-delli empirici, di tipo statistico, a partire daidati osservati (quali censimenti di popolazio-ni animali e vegetali), verificando se il mo-dello sia in grado di riprodurre la variabilitàosservata e utilizzandolo per prevedere la ri-sposta a condizioni ambientali e climatichemodificate. Per questo motivo, la disponibi-lità di lunghe serie temporali di dati sull’ab-bondanza delle popolazioni, sulla loro struttu-ra d’età e sulle variabili ambientali corrispon-denti (temperatura, precipitazione, nutrienti,

etc) è un elemento essenziale per la compren-sione e la gestione degli ecosistemi naturali.Dati di lungo termine sulle popolazioni selva-tiche sono tuttavia rari. Una notevole eccezio-ne, almeno in Italia, è rappresentata dalle mi-sure disponibili presso il Parco Nazionale GranParadiso (PNGP), che nel 2006 ha celebratocinquanta anni di ininterrotta raccolta di dati.Una collaborazione fra PNGP e ISAC-CNR haportato ad un progetto di ricerca dedicato all’a-nalisi dei dati di censimento ed alla costruzio-ne di modelli statistici empirici per la dinami-ca di alcune delle componenti degli ecosistemialpini del Parco. Negli ultimi venti anni, altriparchi del sistema di aree protette della Regio-ne Piemonte hanno iniziato censimenti quanti-tativi e regolari di almeno alcune specie carat-teristiche, costruendo una base-dati di estremaimportanza per lo studio e la gestione della di-namica delle popolazioni naturali.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

A partire dal 1956, il personale del PNGP èimpegnato nella effettuazione di censimenti,con cadenza almeno annuale, delle popola-zioni di stambecchi e camosci all’interno delParco. I conteggi autunnali vengono condottinella prima metà di settembre dai guardapar-co, che in un paio di giorni perlustrano e con-

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Impatto della variabilità climatica sugli ecosistemi alpini: esempi dal Parco Nazionale Gran Paradiso

B. Bassano2, A. von Hardenberg2, R. Viterbi2, A. Provenzale1

1Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Torino, Italia2Centro Studi Fauna Alpina, Parco Nazionale Gran Paradiso, [email protected]

SOMMARIO: La variabilità meteo-climatica può avere effetti rilevanti sulla struttura e sul funzionamentodegli ecosistemi alpini. In questo contributo, riassumiamo alcune delle ricerche sull’interazione fra varia-bilità climatica ed ecosistemi alpini, condotte nell’ambito di una collaborazione fra Parco Nazionale GranParadiso (PNGP) e Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR.

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trollano l’intero territorio del Parco (il PNGPcopre 720 km2 di ambiente montano distri-buiti su cinque valli diverse). Per entrambe lespecie vengono censiti i numeri di maschi efemmine adulti, di giovani dell’anno prece-dente e di neonati. Oltre ai dati di censimento, è stata monitorataanche la situazione meteo-climatica nell’areadel parco, grazie ai dati forniti da due centra-line dell’AEM (Azienda Elettrica Municipa-lizzata di Torino), presso il Lago Serrù ed ilLago Telessio. Le misure includono i valorigiornalieri di temperatura minima e massima,di precipitazione e di copertura nevosa, chesono registrati con regolarità a partire dal1959. Per quanto riguarda i possibili predato-ri degli ungulati selvatici, i dati quantitativisulle coppie di aquile nidificanti indicano unasostanziale stabilità della popolazione, men-tre i grandi mammiferi predatori, lupo e lince,sebbene in crescita negli ultimi anni sono an-cora troppo poco numerosi per avere un im-patto sulle popolazioni di stambecchi e camo-sci del PNGP.La curva superiore della figura 1 riporta il ri-sultato dei conteggi annuali totali di stambec-chi (questi dati sono disponibili su EcologicalArchives E085-043-A1). Come si nota, la po-polazione ha mostrato oscillazioni abbastanzaregolari attorno ad una media di poco più di3000 individui fino al 1985 circa, seguita dauna “irruzione” che ha portato ad un numero

totale di circa 5000 animali censiti nell’au-tunno del 1993. La popolazione è poi dimi-nuita rapidamente, per riportarsi negli annisuccessivi a livelli di poco superiori a quelliprecedenti l’irruzione.

3 RISULTATI RILEVANTI

Jacobson et al. (2004) hanno analizzato i datidel PNGP, dimostrando che questa popolazio-ne di stambecchi è controllata dall’azione con-giunta della densità e della copertura nevosa.Al contrario, le temperature invernali o estivee le precipitazioni estive non sembrano gioca-re un ruolo significativo. Le forti decrescitenumeriche della popolazione di stambecchicorrispondono ad inverni con abbondante co-pertura nevosa, mentre l’irruzione nel periodofra il 1985 e il 1995 coincide con una sequen-za di inverni con copertura nevosa inferiorealla media. La curva inferiore riportata in fi-gura 1 mostra la copertura nevosa media, danovembre a maggio, registrata al Lago Serrù.La forte dipendenza dalla copertura nevosa èpresumibilmente dovuta al fatto che durantel’inverno gli stambecchi trovano cibo solo inpoche zone relativamente libere dalla neve.La maggior parte degli stambecchi arriva allafine dell’inverno con risorse corporee quasiesaurite. Una copertura nevosa più abbondan-te, o che dura più a lungo, rende più difficileil reperimento di cibo, e l’effetto è tanto piùforte quanto più numerosa è la popolazione.Utilizzando i dati di censimento e di copertu-ra nevosa, è stato sviluppato un modello sta-tistico empirico che spiega circa l’80% dellavarianza dei dati di censimento e che permet-te di prevedere, out-of-sample, la risposta del-la popolazione di ungulati alpini alle condi-zioni climatiche. L’analisi dei conteggi di in-dividui adulti e di giovani, insieme all’analisidi distribuzioni di età effettuate su campionidella popolazione, ha indicato che l’aumentodel numero di stambecchi durante l’irruzioneè principalmente dovuto alla maggiore so-pravvivenza degli individui adulti, ed è pre-sumibilmente associata ad un generale invec-chiamento della popolazione.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 1: Numero totale di stambecchi censiti al PNGP insettembre (curva superiore) e altezza media, in cm, dellacopertura nevosa nell’inverno precedente al censimento(curva inferiore).

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Negli ultimi anni, tuttavia, la copertura nevo-sa è ulteriormente diminuita, mentre la popo-lazione di stambecchi non solo non è aumen-tata ma ha iniziato a diminuire in modo netto,soprattutto a causa della scarsa sopravvivenzadi neonati e giovani. Questa tendenza, poten-zialmente preoccupante da un punto di vistaecologico e gestionale, non è spiegabile con ilmodello discusso in precedenza, e suggerisceche nuovi elementi siano entrati in gioco.Quali siano questi nuovi elementi è al mo-mento oggetto di ricerca. Una possibilità èche l’aumento della densità di ungulati selva-tici (stambecchi e camosci) abbia portato adun impoverimento dei pascoli. Un’altra possi-bilità è che l’invecchiamento della popolazio-ne di femmine negli anni dell’irruzione abbiaportato ad una minore sopravvivenza dei pic-coli nati da femmine anziane. Una terza pos-sibilità, che al momento sembra la più proba-bile, ipotizza un ruolo importante dalla dina-mica della vegetazione alpina. Un lavoro diPettorelli et al. (2007) suggerisce che la so-pravvivenza dei piccoli sia significativamen-te correlata alla variazione dell’indice NDVInel periodo tardo-primaverile. L’ipotesi di lavoro è dunque che a causa dellascarsità della copertura nevosa e dell’aumentodelle temperature invernali negli ultimi cin-quanta anni in Piemonte e Val d’Aosta (Cicca-relli et al., in stampa), la stagione di massimacrescita e di massimo contenuto energeticodella vegetazione alpina sia anticipata ad unperiodo primaverile precoce. Nei mesi di giu-gno e luglio, periodo caratterizzato da elevatifabbisogni energetici legati all’inizio della lat-tazione ed al suo mantenimento, le madri distambecco si troverebbero a consumare un ali-mento di minore digeribilità e quindi con unminor contenuto energetico: questo incidereb-be sulla quantità e qualità del latte prodotto edunque sulla sopravvivenza dei capretti. Se questa ipotesi fosse vera, la popolazione distambecchi del PNGP risulterebbe esserecompletamente controllata dalle condizioniclimatiche: inverni molto nevosi uccidono, inmodo diretto, gli individui adulti ed anziani,ma una serie di inverni troppo poco nevosi

potrebbe avere conseguenze anche peggiorisul reclutamento (recruitment) di individuigiovani nella popolazione. Gli scenari clima-tici futuri, che suggeriscono una diminuzionedel manto nevoso ed una maggiore ariditànella zona alpina e mediterranea, potrebberoquindi indurre condizioni critiche per le po-polazioni di stambecchi al PNGP.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Il lavoro svolto finora ha permesso di chiari-re, in modo quantitativo, l’interazione fra va-riabilità climatica e dinamica di alcune com-ponenti degli ecosistemi alpini, evidenziandoin particolare come la popolazione di stam-becchi al PNGP sia controllata dalle condi-zioni di nevosità invernale. Sviluppi futuri ri-guarderanno l’inclusione dell’effetto dellecondizioni invernali sulla qualità del forag-gio, e la costruzione di modelli a strutturad’età. Verranno analizzati i dati di censimen-to di camosci, confrontando i risultati conquelli già ottenuti per gli stambecchi. Risulta-ti preliminari indicano un comportamento si-mile delle popolazioni di camosci per quantoriguarda gli inverni con neve abbondante, masuggeriscono una minore sensibilità dei ca-mosci allo spostamento del periodo di cresci-ta della vegetazione. Altri progetti di ricerca sono attualmente incorso. Nell’ambito del progetto Interreg IIIA“GestAlp”, il personale che collabora con ilPNGP sta conducendo un programma di mo-nitoraggio della biodiversità di macroinverte-brati del suolo, lepidotteri, ortotteri ed avifau-na nell’area del Parco, da quest’anno estesoanche ad altri parchi delle Alpi occidentali(es., Parco naturale Orsiera-Rocciavrè in pro-vincia di Torino). Obiettivo a lungo terminedel progetto è l’analisi delle trasformazioni diricchezza e diversità specifica in relazione aicambiamenti del clima e della vegetazione.La collaborazione con l’ISAC-CNR prevede,in questo ambito, l’analisi statistica dei datiche si renderanno disponibili e lo sviluppo dimodelli empirici che mettano in relazione iparametri di biodiversità con le condizioni

Impatti dei cambiamenti climatici

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generali dell’ambiente monitorato.Parallelamente allo studio della biodiversità,è in corso un progetto di ricerca sugli ecosi-stemi in laghi alpini d’alta quota. I laghi alpi-ni sono particolarmente sensibili ai cambia-menti climatici, che possono indurre modifi-che nell’acidità dell’acqua, una maggior pe-netrazione della radiazione ultravioletta acausa della diminuzione di carbonio organicodissolto ed una riduzione dell’habitat per or-ganismi di acque fredde. Nel PNGP, sono at-tualmente monitorati 14 piccoli laghi alpini,situati ad altitudini simili. In ciascun lago, so-no misurate le abbondanze di zooplancton,zoobenthos, macro-invertebrati bentonici, an-fibi e pesci, e sono misurati i parametri fisico-chimici dell’acqua.Scopo del progetto è la costruzione di una se-rie di modelli a colonna d’acqua per la simu-lazione della dinamica del rimescolamento edell’ecosistema dei laghi alpini. I modelli in-cluderanno sia componenti empiriche per lastruttura dell’ecosistema, la cui forma funzio-nale è ottenuta dai dati misurati, che compo-nenti basate sulla fisica del rimescolamentodella colonna d’acqua. I modelli verranno va-lidati per i diversi laghi, analizzando le con-seguenze delle differenze esistenti (es., pre-senza o assenza di popolazioni di pesci alloc-toni). Una volta validati, i modelli verrannoutilizzati per stimare la risposta degli ecosi-stemi lacustri alpini a possibili cambiamentidelle condizioni climatiche, utilizzando leproiezioni degli scenari climatici a scala re-gionale oggi disponibili.Più recentemente, è iniziato un progetto, incollaborazione con la Regione Piemonte edalcuni parchi naturali regionali, dedicato allo

studio della dinamica di popolazione di Galloforcello (Tetrao tetrix), attualmente in dimi-nuzione nelle Alpi occidentali. Lo scopo diquesta ricerca è la determinazione di un mo-dello minimale in grado di descrivere la dina-mica di popolazione di questa specie e gli ef-fetti della variabilità delle condizioni meteo-climatiche, soprattutto in estate in corrispon-denza della schiusa, e dei cambiamenti nellastruttura dell’habitat.Queste ricerche non potrebbero essere svoltesenza il fondamentale lavoro di monitoraggio esalvaguardia dell’ambiente naturale svolto daiguardaparco dei parchi nazionali e regionali.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Calmanti S., Motta L., Turco M., Provenzale A.,2007. Impact of climate variability on Alpi-ne glaciers in northwestern Italy. Internatio-nal J. Climatology: DOI 10.1002/joc1500.

Ciccarelli N., von Hardenberg J., ProvenzaleA., Ronchi C., Vargiu A., Pelosini R.,2007. Climate Variability in North-We-stern Italy during the Second Half of the20th Century. Global and PlanetaryChange, in stampa.

Jacobson A.R., Provenzale A., Bassano B.,von Hardenberg A., Festa-Bianchet M.,2004. Climate forcing and density depen-dence in a mountain ungulate population.Ecology, 85: 1598-1610.

Pettorelli N., Pellettier F., von Hardenberg A.,Festa-Bianchet M., Coté S.D., 2007. Earlyonset of vegetation growth vs. rapidgreen-up: Impacts on juvenile mountainungulates. Ecology, 88: 381-390.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

L’utilizzo corretto delle risorse, compresi ilsuolo ed il patrimonio boschivo, rivestono unruolo importante nel bilancio dei gas serra epossono dare un contributo effettivo alla miti-gazione delle cause del riscaldamento globale.Anche i prati e i pascoli, oltre ad avere impor-tanza dal punto di vista naturalistico, di prote-zione del suolo e produttivo, come fonte di ali-mentazione per la fauna selvatica ed il bestia-me, sembrano avere una notevole potenzialitànell’assorbimento di CO2 (Carlier et al.,2004). Il Protocollo di Kyoto stesso riconosceagli ecosistemi vegetali un ruolo importantenelle strategie di mitigazione dei cambiamenticlimatici; in questa visuale la vegetazione èvalutata in relazione alla sua capacità di assor-bire carbonio e quindi di generare crediti con-tro l’inquinamento (Kyoto Protocol, 1997,art. 3). Il bilancio netto tra fotosintesi e respi-razione di autotrofi ed eterotrofi degli ecosi-stemi terrestri è stimato intorno a –1,4 ± 0,7 GtC/anno (Schimel et al., 2001).I prati e i pascoli di tutto il mondo copronocirca 3500 milioni di ettari, oltre il doppiorispetto alle aree coltivate, mentre in Europasolo il 37% del totale delle aree destinate ad usi

agricoli e zootecnici è occupato da prati-pasco-li (Bourgeois et al., 2002). Nel 2000 in Europaerano presenti circa 55 milioni di ettari dipascoli; dal 1990 3 milioni di ettari sono staticonvertiti in terreni agricoli, specialmente perla coltivazione del mais (Carlier et al., 2004).Le stime sulla quantità di carbonio che ipascoli europei sarebbero in grado di assorbi-re sono ancora molto incerte e si aggiranosulle 101 Mt C/anno (Janssens et al., 2003),ma tale capacità è comunque sempre legata altipo di gestione ed utilizzazione del pascolo.L’entità degli scambi gassosi tra suolo e atmo-sfera varia inoltre con il clima, il tipo di suolo,le specie vegetali e il carico animale. Dei gasserra scambiati dal prato, il biossido di carbo-nio (CO2) viene prodotto dalla respirazionedel suolo, dei vegetali e degli animali ed è fis-sato dalle piante attraverso la fotosintesi,mentre il protossido di azoto (N2O) vieneemesso dall’attività microbica del suolo e ilmetano (CH4) è emesso dal bestiame alpascolo e assorbito dal suolo.Le scelte e le tecniche gestionali vanno valu-tate attentamente; ad un maggior sequestro diCO2 potrebbe infatti corrispondere un incre-mento nell’emissione di CH4 ed N2O.

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Bilancio dei flussi di tre gas serra (CO2, CH4,N2O) in un prato-pascolo alpino: confronto tra 2003 e 2004

F. Berretti1, S. Baronti1, M. Lanini1, G. Maracchi1, A. Raschi1, P. Stefani2

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia

2Università della Tuscia (DISAFRI)[email protected]

SOMMARIO: Il Protocollo di Kyoto riconosce agli ecosistemi vegetali un ruolo importante nelle strategie dimitigazione dei cambiamenti climatici; attraverso il processo di fotosintesi le piante assorbono grandi quan-tità di CO2 che trasformano in fitomassa. Anche i pascoli contribuiscono in piccola parte al sequestro diCO2, ma sono particolarmente complessi e difficili da studiare a causa della grande variabilità di tipologieambientali e di modalità di gestione; in questo studio sono esaminati gli scambi di tre fondamentali gas serra(CO2, CH4, N2O) tra pascolo ed atmosfera e la loro correlazione con i parametri climatici 2003 e 2004.

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2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Le ricerche sono state effettuate nel periodo2002-2004 nell’ambito del progetto Greengrass,che si proponeva di valutare il bilancio di alcunigas serra in diversi ecosistemi prativi europei, eproseguono attualmente nell’ambito del proget-to CarboItaly.La stazione sperimentale è ubicata presso ilPasso del Brocòn (TN), su un pascolo secon-dario ad una quota di 1669 m. s.l.m., su cuiviene effettuato un pascolamento libero e ditipo estensivo, e non vengono effettuati sfalcie fertilizzazioni.I flussi di CO2 sono stati monitorati mediante latecnica Eddy Covariance; il sistema è compostoda un analizzatore di gas LI-7500 CO2/H2Oopen path e da un anemometro ultrasonico a treassi (Metek USA-1) posizionato ad un’altezzadi 3,2 metri dal suolo. L’acquisizione dei dati ela loro elaborazione sono gestiti da un compu-ter in situ; il software utilizzato è MASE (Multi-Anemometer Eddy Software). Le misure dellevariabili micrometeorologiche vengono regi-strate da una stazione meteorologica.Contemporaneamente al monitoraggio dellaCO2 sono stati rilevati i flussi di protossido diazoto (N2O) e di metano (CH4). Le misuresono state effettuate in pieno campo attraverso l’incubazione del suolo per due orein camere di 40 cm di diametro per 30 cmaltezza (Arcara et al., 2002). L’analisi deicampioni è stata effettuata mediante gas cro-matografia; contemporaneamente alle misuregassose sono state rilevate umidità e tempera-tura del suolo.

3 RISULTATI RILEVANTI

Nel periodo della sperimentazione il sistemaha avuto una copertura di dati maggioredell’85%, l’unico gap si è avuto nel mese difebbraio 2003, per un periodo di 20 giorni, acausa delle basse temperature. Tale mancanzadi dati non ha influito però sull’analisi gene-rale, dato che sul suolo era presente unacopertura nevosa. I dati ottenuti mostrano due andamenti diversi

per il 2003 e 2004, andamenti che rispecchia-no le notevoli differenze climatiche riscontratetra i due anni in esame. L’andamento climaticodel 2003 è risultato decisamente anomalo: laprimavera e l’estate sono state caratterizzate datemperature di circa 5°C al di sopra dellamedia stagionale, con conseguente ripercus-sione sullo stato idrico degli ecosistemi. Dal punto di vista della ripresa vegetativaassumono particolare importanza le tempera-ture nel periodo successivo allo scioglimentodelle nevi. Nel 2003 è stato rilevato un primorialzo delle temperature intorno alla secondametà di aprile, nelle ore più calde si sono rag-giunti valori di anche 10°C, lo stesso periodonel 2004 è invece caratterizzato da tempera-ture che rientrano nelle medie stagionali. Laripresa dell’attività vegetativa risulta di con-seguenza anticipata nel 2003 rispetto al 2004di circa un mese (Fig. 1).Le Figure 3 e 4 mostrano le differenze nel-l’andamento giornaliero dei mesi di maggio,giugno, luglio e agosto, rispettivamente per il2003 e 2004.Nel 2003 (Fig. 2) l’assorbimento maggiore diCO2 si è verificato nei mesi di maggio e giu-gno, con un’attività fotosintetica predomi-nante dalla mattina fino dopo le 12:00; anchenel mese di luglio, se pur con un assorbimen-to netto inferiore, la fotosintesi si è mantenu-ta attiva per tutta la mattinata. Nel mese diagosto invece il massimo assorbimento siverificava nelle prime ore della mattina, lepiù fresche e umide, contraendosi brusca-mente già a partire dalle ore 10:00 circa. Nel maggio 2004 (Fig. 3) la vegetazionerisultava ancora in fase di riposo o comunque,anche se in attività, non in grado di determi-nare un assorbimento significativo di CO2.Successivamente, nei mesi di giugno e luglio,la fotosintesi si è mantenuta efficiente dallamattina fino al primo pomeriggio, raggiun-gendo valori maggiori dei corrispettivi mesidel 2003. Il mese di agosto infine ha mostra-to una diminuzione generale dell’attivitàfotosintetica, ma l’andamento si mantienepiuttosto regolare per tutto il corso della gior-nata; si nota solo una leggera contrazione

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 221: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

nelle ore più calde, intorno alle 13:00/14:00.Nonostante il 2003 sia stato caratterizzato daun minor tasso fotosintetico nel periodo piùcaldo, l’anticipata ripresa vegetativa delpascolo ha compensato tale perdita; inoltre ivalori di respirazione si sono mantenuti sem-pre molto bassi, al contrario di quanto avve-nuto nel 2004.In conclusione l’ecosistema pascolo si è com-portato sia nel 2003 che nel 2004 come unsink per il carbonio atmosferico, con un bilan-cio netto pari a -460 g C m-2/anno nel 2003 e-387 g C m-2/anno nel 2004 (Fig. 1).A questi valori vanno tuttavia aggiunte leemissioni di N2O e CH4 che, sebbene risulti-no basse, convertite in CO2 eq aumentano laNEE, dato il loro elevato GWP (GlobalWorming Potential). Questo pone in rilievo lanecessità di accostare la stima dei flussi digas serra minori al monitoraggio della CO2(Soussana et al., 2004).Il differente andamento climatico del 2003 hainfluito, anche in questo caso, sulle emissionidi ognuno dei due gas serra analizzati; il perio-do particolarmente caldo verificatosi tra luglioed agosto 2003 ha portato ad una minore atti-vità della componente microbica del suolo,determinando un uptake di CH4 minore rispet-to al 2004 e ad un’emissione minore di N2O.Il bilancio annuale, ottenuto mediante la cor-relazione dei flussi rilevati con i valori di tem-peratura ed umidità del suolo, porta ad avereper il 2003 un assorbimento di CH4 pari a–16,13 mg m-2/anno e per il 2004 un assorbi-mento maggiore, pari a –98,2 mg m-2/anno.Analogamente, per quanto riguarda l’N2O,risulta per il 2003 un flusso dal suolo all’at-

mosfera di 0,06 mg m-2/anno e per il 2004un flusso maggiore, pari a 1,3 mg m-2/anno.È necessario infine sottolineare come il con-fronto con i risultati ottenuti dagli altri Paesipartecipanti al progetto Greengrass porti adefinire alcune differenze, se pur ancoramolto sommarie, in relazione al tipo digestione ed utilizzazione del pascolo da partedel bestiame; in linea generale il pascolamen-to influisce positivamente sull’emissione diN2O, ma questo effetto incide in misura mag-giore nei siti fertilizzati, mentre risultanomeno accentuate le differenze tra pascolato enon pascolato nei siti non soggetti a fertiliz-zazioni costanti. Quest’influenza positiva èdovuta alla presenza del bestiame, che con ledeiezioni liquide e solide incrementa gli inputdi sostanze azotate e, attraverso il pascola-mento continuo, aumenta la compattazionedel suolo (Oenema et al., 1997).

4 PROSPETTIVE FUTURE

Lo studio qui riportato, e tuttora in corso, haevidenziato il forte impatto dell’andamentoclimatico stagionale sui prati alpini e la corre-lazione fra bilancio dei gas serra e modalità di

Impatti dei cambiamenti climatici

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Figura 1: Flusso cumulativo di carbonio (NEE) Figura 2: Flussi di CO2, andamento giornaliero 2003

Figura 3: Flussi di CO2, andamento giornaliero 2004.

Page 222: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

gestione, punto su cui basare futuri studi eapprofondimenti.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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UNFCCC, 1997. Kyoto Protocol, Kyoto.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 223: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Climate change e rischio idraulico in am-biente alpinoNel corso degli ultimi 130 anni, il clima ita-liano è diventato più caldo e asciutto. Al nord,negli ultimi 50 anni, si è osservato un aumen-to dell’intensità delle precipitazioni ed una di-minuzione degli eventi con scarsi apporti(Buffoni et al., 2003). Gli andamenti annualee stagionale delle piogge totali mensili, perio-do 1865-2003, hanno evidenziato trends ge-neralmente negativi, ma raramente significa-tivi (Brunetti et al., 2006). Il clima sta cam-biando anche in ambiente alpino. Le tempera-ture medie estive, invernali ed annuali, sonoin chiaro aumento. Dal 1850 al 1980 le areeglaciali sono diminuite di un terzo e la caldaestate del 2003 ha ridotto ulteriormente dicirca il 10% questa importante risorsa natura-le (E.E.A. 2004), lo stesso anno è risultato ilpiù caldo dal 1500 (Casty et al., 2005). Leprecipitazioni sembrano assumere caratteri-stiche diverse rispetto al recente passato, di-ventando più intense e più pericolose, anche

se per questo parametro, gli andamenti sonoancora contrastanti (Schmidli et al., 2002).Nei bacini alpini, l’intensità dei fenomeni dipiena sta aumentando in maniera preoccupan-te ed il rischio idro-geologico è spesso accen-tuato a causa di una non adeguata pianifica-zione del territorio.L’IRPI di Torino da più di 35 anni studial’ambiente alpino, con particolare riferimentoai principali fenomeni franosi, di piena ed al-luvionali avvenuti nel corso degli ultimi tresecoli. Per tale attività sono stati pubblicatipiù di 500 lavori (Tropeano et al., 2004). Perquanto riguarda i numerosi fenomeni di pienaed alluvionali catalogati, è emerso come, al-l’interno di un bacino alpino, le zone a piùelevato grado di pericolosità e rischio sianosempre le stesse - con variazioni dell’areacoinvolta in relazione alla magnitudine del-l’evento - e come, in molti casi il periodo incui questi fenomeni si manifestano con piùfrequenza sia anch’esso ben individuato. Alfine di contribuire allo sviluppo delle cono-scenze in materia di rischio idraulico e di Cli-mate change in ambiente alpino, sono inizia-

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Caratterizzazione meteo-climatica degli eventi pluviometrici in ambiente alpino: metodologia e primi risultati

G. NigrelliIstituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Torino, [email protected]

SOMMARIO: Nel corso degli ultimi 130 anni, il clima italiano è diventato più caldo e asciutto. Il clima stacambiando anche in ambiente alpino, ma mentre le temperature sono in chiaro aumento, le precipitazioniassumono andamenti contrastanti e non ben delineati. l’intensità dei fenomeni di piena sta invece aumen-tando in maniera preoccupante, spesso a causa di una non adeguata pianificazione del territorio. Al fine dicontribuire allo sviluppo delle conoscenze in materia di Climate change e di rischio idraulico in ambien-te alpino, sono iniziati degli studi mirati alla caratterizzazione meteo-climatica degli eventi pluviometricia scala di bacino. Per tali studi si è considerato l’evento pluviometrico come variabile definita. Per ognibacino esaminato, si sono evidenziate tipologie di eventi predominanti determinate da configurazioni ba-riche definite, ma anche per questo parametro, gli andamenti sono ancora discordanti. Gli studi proseguo-no in modo sistematico, interessando alcuni bacini idrografici del settore occidentale alpino.

Page 224: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

ti degli studi mirati alla caratterizzazione me-teo-climatica degli eventi pluviometrici a sca-la di bacino.

1.2 Perché studiare gli eventi pluviometriciLe grandezze pluviometriche che solitamentevengono prese in considerazione nel campodell’idrologia, sono i massimi ed i totali dellealtezze di pioggia (annuali, stagionali o men-sili), le precipitazioni di notevole intensità ebreve durata, le precipitazioni massime di piùgiorni consecutivi e quelle di massima inten-sità di una o più ore consecutive. A questoproposito è utile ricordare che per gli ultimitre parametri citati è possibile che i dati pro-vengano da eventi diversi. Per effettuare stu-di rivolti alla mitigazione del rischio idrauli-co ed all’approfondimento delle conoscenzein materia di Climate change, è a nostro avvi-so importante valutare non solamente quantoma anche come piove. Per questi fini può es-sere utile considerare l’evento pluviometricocome una variabile meteo-climatica definita.Infatti, è l’evento pluviometrico che agiscedirettamente sul modellamento del paesaggiofisico e a seconda dell’apporto idrico totale,dell’apporto idrico di picco, della modalità edel periodo stagionale in cui si manifesta, puòinnescare fenomeni di piena o alluvionali dal-le conseguenze ormai note.L’esistenza di una scarsa correlazione in ter-mini quantitativi fra altezze di pioggia totalied eventi di piena indica che, soprattutto neibacini montani, la “risposta” del territorio al-le piogge non è sempre la stessa, dipendendoda un elevato numero di variabili, che di vol-ta in volta si manifestano ed interagiscono inmodo diverso. Questa complessa situazionesuggerisce l’approfondimento delle indaginiin materia di pluviometria considerando altrevariabili. Analizzando la serie storica deglieventi pluviometrici che sono avvenuti all’in-terno di un bacino alpino, è possibile indivi-duare le tipologie più frequenti, correlarle aifenomeni di piena ed ai danni da essi causati,al fine di aumentare e migliorare gli strumen-ti necessari per una più adeguata pianificazio-ne territoriale (Lollino et al., 2005).

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Metodologia di studioLa metodologia applicata in questi studi, pren-de spunto dai concetti della moderna climato-logia, integrando i dati osservazionali conquelli meteorologici relativi alla circolazionedell’atmosfera. Agendo in tal modo, il climato-logo ottiene una visione più ampia dei proces-si e delle interazioni che regolano gli elementidel clima per l’area geografica di interesse.L’analisi meteo-climatica degli eventi pluvio-metrici inizia con l’individuazione all’internodi ogni bacino idrografico delle stazioni mag-giormente rappresentative per numero di annidi funzionamento, qualità dei dati e posizionegeografica (per i nostri studi si è considerato:giorno piovoso, il giorno in cui è stata misu-rata un’altezza di pioggia uguale o superiorea 0,2 mm; evento pluviometrico, uno o piùgiorni consecutivi di pioggia, preceduti e se-guiti da almeno un valore nullo; giorno di pic-co, il giorno di un evento in cui è caduta lamaggior quantità d’acqua; evento pluviome-trico estremo, un evento in cui l’altezza dipioggia totale è risultata superiore ad un pre-fissato valore di riferimento, calcolato in rela-zione alle caratteristiche idro-morfologichedel bacino). I dati delle altezze di pioggiagiornaliere rilevati da ogni stazione, vengonoinseriti in un database, dal quale viene estrat-ta mediante apposita elaborazione la serie sto-rica di tutti gli eventi pluviometrici. Di taleparametro, in base alla pioggia totale ed allapioggia di picco, si determinano successiva-mente le tipologie più ricorrenti per: frequen-za in funzione della durata, frequenza in rela-zione al giorno di picco, frequenza e distribu-zione stagionale. Per gli eventi pluviometriciestremi e per quelli che hanno causato piene ealluvioni, viene individuato il tipo isobaricoresponsabile, il relativo centro depressionarioed osservata l’evoluzione spaziale e tempora-le del fenomeno (dati utilizzati ECMWF dataserver e Wetterzentrale internet site). Ai finidella presente metodologia e tenuto contodell’ambiente in cui viene applicata, risulta anostro avviso più corretto utilizzare il dato

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 225: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

puntuale anziché quello areale. In tal modo èpossibile fare un confronto diretto delle altez-ze di pioggia che cadono in punti diversi delbacino per ogni evento ed ottenere utili infor-mazioni di tipo applicativo. Il metodo è statoapplicato su alcuni bacini alpini, dando i pri-mi risultati.

2.2 Bacini studiatiIl bacino idrografico del Torrente Orco sichiude alla confluenza con il Fiume Po a Chi-vasso (Piemonte nord-occidentale), ha un’e-stensione di circa 890 km2 ed un perimetro dicirca 210 km. L’afflusso medio annuo è di cir-ca 1180 mm ed il deflusso medio annuo dicirca 861 mm (coeff. defl. 0,73), la portatamedia annua è di circa 24,9 l/s/km2.Il bacino idrografico del Torrente Germana-sca, si chiude alla confluenza con il T. Chiso-ne a Perosa Argentina (Piemonte occidenta-le), ha una estensione di circa 197 km2 ed unperimetro di circa 68 km. L’afflusso medioannuo è di circa 1032 mm ed il deflusso me-dio annuo di circa 844 mm (coeff. defl. 0,82),la portata media annua è di circa 26,8 l/s/km2.

3 PRIMI RISULTATI

Nel T. Orco, la maggior parte degli eventi du-ra in media 3÷7 giorni e nel 2° e 3° giorno sievidenziano le frequenze di picco più elevate(49,6%). Praticamente, la metà degli eventipluviometrici con altezze di pioggia superioria 100 mm, avvenuti in Valle Orco negli ulti-mi 90 anni, ha avuto come giorno di picco ilsecondo oppure il terzo (tot. 952 eventi). Glieventi pluviometrici estremi per questo baci-no (altezza di pioggia totale >350 mm), dura-no in media 9 giorni ed hanno il picco più fre-quente il 3° giorno (34%). Le stagioni princi-pali in cui questi si manifestano sono l’autun-no (55%) e la primavera (40%), le configura-zioni meteorologiche più ricorrenti sono quel-le caratterizzate dalle depressioni mediterra-nee centrate sul Golfo del Leone e su Corsi-ca-Sardegna (48%) e tra Baleari e Spagna,19% (Nigrelli, 2005a).Nel T. Germanasca l’evento pluviometrico

più ricorrente dura in media 3÷5 giorni, con ilgiorno di picco fra il 2° ed il 4° (tot. 456 even-ti). Gli eventi pluviometrici estremi per que-sto bacino (altezza di pioggia totale >250mm), durano in media 8 giorni ed hanno ilpicco più frequente il 4° giorno (39%). Lestagioni principali in cui essi si manifestanosono la primavera (43%) e l’autunno (39%),le configurazioni meteorologiche più ricor-renti sono quelle caratterizzate dalle depres-sioni mediterranee centrate su Corsica-Sarde-gna (35%), Baleari-Spagna e sul Golfo delLeone (Nigrelli, 2005b).Una prima analisi su alcuni massimi annualiha evidenziato andamenti contrastanti e nonstatisticamente significativi (Tab. 1).

Impatti dei cambiamenti climatici

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Per il T. Orco l’autunno è la stagione in cuiavviene il maggior numero di eventi alluvio-nali, anche se il numero degli eventi pluvio-metrici è praticamente uguale a quello prima-verile (Fig. 1). Nel T. Germanasca la distribu-zione stagionale dei fenomeni alluvionali ri-sulta meno disomogenea (Fig. 2).L’analisi della serie temporale degli eventipluviometrici a livello di bacino e la relativacorrelazione fra pioggia totale di evento epioggia del giorno di picco, non ha eviden-ziato andamenti statisticamente significativi.

Stazione * PTA EPMA1. Ceresole R. (49) + - 2. L. Serrù (31) + +3. L.Valsoera (35) + +4. Piamprato (75) - +5. Pont C. (61) - -6. Rosone (56) + +7. Sparone (60) - -8. Massello (37) - +9. Perosa A. (63) - +10. Perrero (64) - +11. Praly (65) - +

Tabella 1: andamenti relativi alle piogge totali an-nue (PTA) ed alle altezze di pioggia totali deglieventi pluviometrici massimi annuali (EPMA).

* 1÷7 T. Orco; 8÷11 T. Germanasca; () anni di osserva-zioni; + crescente; - decrescente.

Page 226: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

4 PROSPETTIVE FUTURE

I risultati ottenuti, indicativi di una situazionepluviometrica non ancora ben delineata perl’area studiata, suggeriscono e stimolanol’approfondimento delle indagini. Pertanto glistudi procederanno in modo sistematico ana-lizzando altri bacini idrografici alpini, ancheattraverso collaborazioni con enti territoriali eistituti di ricerca.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

688

Figura 1: Bacino idrografico del T. Orco, distribuzionestagionale degli eventi pluviometrici (EP) e degli eventialluvionali (EA).

Figura 2: Bacino idrografico del T. Germanasca, distri-buzione stagionale degli eventi pluviometrici (EP) e de-gli eventi alluvionali (EA).

Page 227: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Gli animali e i cambiamenti climaticiNumerose ricerche mostrano come, al mutaredei parametri climatici, le specie animali evegetali stiano subendo cambiamenti e modi-ficazioni a livello ecologico, fisiologico, eto-logico, e come i loro habitat si stiano rapida-mente riducendo (Walther et al., 2002). Il re-cente Summary for Policymakers del WorkingGroup II dell’IPCC (IPCC, 2007) non men-ziona esplicitamente le specie a rischio diestinzione per i cambiamenti climatici, maparla di modificazione degli ecosistemi e diconseguente perdita di bio-diversità per man-cato adattamento all’ambiente modificato. Intale contesto assume quindi importanza il mo-nitoraggio delle diverse specie animali e ve-getali al fine di individuare quelle più sensi-bili ai cambiamenti climatici, definendo così ipiù opportuni e idonei bioindicatori.Scopo finale degli studi, di cui il presente la-voro è il primo passo, è verificare l’influenzadei cambiamenti climatici sulle popolazionidi micromammiferi viventi in Italia, analiz-zando il parametro termo-pluviometrico co-

me il più influente, ricostruendo da questi da-ti le densità nel recente passato e costruendo,in prospettiva, scenari futuri relativi alle den-sità delle specie studiate. Come bioindicatoridi impatto da cambiamenti climatici i Rodito-ri possono essere particolarmente efficaci, inquanto sono stati già utilizzati per ricostruzio-ni paleoclimatiche qualitative e quantitative(Montuire et al., 1997). Si conoscono pocheiniziative (anche all’estero) volte allo studiodelle attività di monitoraggio dei Roditori inrelazione alle variazioni dei parametri termo-pluviometrici (Lima et al., 2002) e alla lorointerpretazione e valutazione in un contesto diriscaldamento globale. Lo studio qui presen-tato rappresenta una novità asso-luta in ambi-to nazionale.

1.2 L’intelligenza artificiale per l’habitat sui-tability modellingLe complessità insite nei sistemi ecologici ra-ramente permettono di darne una descrizionedinamica, soprattutto a causa dei molteplicifattori da prendere in considerazione e dellenon linearità e feedback ivi presenti. In talecontesto, negli ultimi anni l’utilizzo di tecni-

689

Verso un modello per l’analisi non lineare delle influenze climatiche sulle densità di popolazione di Roditori in Appennino

A. Pasini1, G. Szpunar2, M. Cristaldi2, R. Langone3, G. Amori4

1Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, CNR, Roma, Italia2Dipartimento Biologia Animale e dell’Uomo - Sapienza Università di Roma, Italia3Dipartimento di Fisica - Sapienza Università di Roma, Italia4Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Roma, [email protected]

SOMMARIO: Nell’ambito degli studi sulla risposta degli animali al cambiamento dei valori nei parametriclimatici si presentano i risultati di un’indagine effettuata su due specie di Roditori in Appennino nell’ul-timo ventennio. L’analisi viene effettuata tramite correlazioni lineari e non lineari e con l’utilizzo di unmodello a rete neurale. Vengono individuate le variabili che maggiormente influenzano le densità di po-polazione e, tramite il modello, si ricostruisce l’andamento delle densità a partire dai valori di alcuni pa-rametri meteo-climatici. In particolare, ciò apre prospettive per proiezioni future sulle densità di popola-zione in rapporto ai diversi scenari climatici.

Page 228: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

che di intelligenza artificiale per la modelliz-zazione di questi sistemi si è rivelata di gran-de ausilio (Dzeroski, 2007).In questo studio un modello a rete neurale vie-ne utilizzato per cogliere le complesse relazio-ni non lineari tra “forzanti” termo-pluviome-triche e la densità delle popolazioni di Rodito-ri considerate. Ciò consente di avere un qua-dro complessivo del sistema, senza perdersinella sua descrizione dinamica dettagliata.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Ricerche sul campoTra i 5 siti sottoposti al monitoraggio dei Ro-ditori, tutti distribuiti in Italia centrale, è stataprescelta la stazione de “La Cesa” [PE] (ParcoNazionale della Majella, Riserva Orientata“Valle dell’Orfento”), per la quale sono dispo-nibili sia dati a lungo termine sulla dinamicadi popolazione (Amori et al., 2000) sia datitermo-pluviometrici a partire dal 1988. L’areainteressata dallo studio (coord. 42°08’N-14°05’E; 1000 m s.l.m.) ricopre la superficiedi 1,44 ettari ed è situata all’interno di unafaggeta. Le osservazioni sono state condottesu due specie simpatriche di Roditori: il Toposelvatico dal collo giallo (Apodemus flavicol-lis) e l’Arvicola rossastra (Myodes glareolus),specie non protette, che presentano buona pro-babilità di cattura in ambienti forestali tipici.Sono state utilizzate 100 trappole a vivo di ti-po LOT, distribuite su una griglia. La metodo-logia CMR (Cattura – Marcaggio – Ricattura)è stata utilizzata per l’intera durata della ricer-ca. Il monitoraggio è stato eseguito dal 1988 al1995 e dal 2000 al 2006, esponendo le trappo-le 3 notti per ogni sessione mensile di trappo-lamento. Sulla base dei dati ottenuti sono sta-te quantificate le densità (N/ha) estive (Lu-glio-Agosto-Settembre), le quali sono statesuccessivamente correlate a parametri termo-pluviometrici, attraverso correlazioni sia li-neari che non lineari. L’Ufficio Idrografico eMareografico della Regione Abruzzo (Arch.V. Varani) ha fornito l’intero set di dati termo-pluviometrici disponibile per la stazione di“Caramanico Terme” [PE] dal 1986 al 2006.

2.1 Il modello a rete neuraleNell’ambito di ricerche meteorologiche (Pasi-ni e Potestà, 1995) si è sviluppato un modelloneurale, successivamente perfezionato e re-centemente ottimizzato per analisi di più lun-go periodo in casi di studio climatici (Pasini etal., 2006). Oggi si ha a disposizione un vero eproprio tool per modellistica con reti feed-forward e addestramento a backpropagation.Gli algoritmi di training di questo tool sonoparticolarmente adatti all’analisi di dati storici.

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Analisi di correlazioneIn primo luogo è stata eseguita un’analisi dicorrelazione lineare bivariata tra ciascuno deiparametri termo-pluviometrici a disposizionee la densità delle popolazioni dei Roditori. Acausa delle molteplici non linearità insite neidati, si è deciso di eseguire anche una corre-lazione bivariata non lineare mediante il co-siddetto correlation ratio Rnl (Pasini et al.,2001), che consente di stabilire l’influsso an-che di generiche non linearità tra una variabi-le dipendente e una variabile indipendente. Inparticolare, in vista della successiva applica-zione neurale, è interessante constatare chealcune variabili poco legate linearmente mo-strano invece un consistente legame non li-neare. Come R, anche Rnl mostra valori tra 0e 1, e i valori più elevati indicano maggiorecorrelazione. I risultati di questa indaginevengono mo-strati nelle Tabelle 1-2: Tx indi-ca le temperature massime e Tn le temperatu-re minime.La densità di A. flavicollis risente favorevol-mente soprattutto della presenza di pioggia(sia in quantità che in numero di giorni) sututto il periodo riproduttivo e su quello di cat-tura. In generale, infatti, questo fattore incre-menta la mobilità di questa specie (influssodiretto) e la disponibilità trofica vegetale (in-flusso indiretto). Gli altri valori degli indici dicorrelazione sono più bassi, anche se apparesignificativo l’incremento di valore nella cor-relazione non lineare con i giorni di tempera-tura primaverile al di sotto di una certa soglia.

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 229: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Per quanto riguarda la densità di M. glareo-lus, questa appare direttamente correlata allapresenza di neve; ciò è ragionevole, in quan-to l’impatto esercitato dai predatori, nei pe-riodi di copertura nevosa prolungata, risultaminore (questa specie sembra più appetita daicarnivori); inoltre l’Arvicola rossastra è piùlegata a condizioni climatiche temperate(Hansson e Henttonen, 1985). Ciò è supporta-to anche dalla sua distribuzione in Europa,dove risulta marginale per le aree a bioclimamediterraneo. Infine, spicca la differenza tra ivalori di R e Rnl nei giorni di Tx e Tn al di so-pra o al di sotto di una certa soglia.In sintesi, la densità delle due specie apparefortemente correlata alla presenza di pioggiaper A. flavicollis e alla presenza di neve per

M. glareolus. L’azione dei fattori termici ap-pare meno chiara.

3.2 Risultati del modello a rete neuraleA questo punto, scopo della presente analisi èquello di elaborare un modello dell’andamen-to delle densità a partire dalle forzanti termo-pluviometriche. A causa del limitato numero di record dispo-nibili, si sono utilizzate reti molto piccole (2neuroni in input relativi a dati termo-pluvio-metrici, 2 neuroni in un unico strato nascostoe 1 neurone in output relativo alla densità) e siè adottato un meccanismo di early stoppingmolto rigoroso. Inoltre, ogni dato estivo didensità è stato ricavato dalla rete mediante unarelazione non lineare ottenuta a partire dai da-ti relativi ad anni diversi. Tutto ciò ha evitatodi farci ricadere nel fenomeno dell’overfitting.Si deve notare esplicitamente che le ricostru-zioni migliori non si sono ottenute usando ininput i dati termo-pluviometrici con gli indicidi correlazione lineare migliore. Ciò è dovutoai seguenti fattori:- talvolta questi dati termo-pluviometrici so-

no altamente correlati tra loro (ad esempionel caso di mm e giorni di pioggia), mentrele reti neurali “preferiscono” agire con in-put indipendenti;

- a volte, indici lineari e non lineari mo-stra-no valori molto diversi: in tali casi la rete,che rileva le non linearità nelle relazioni trainput e output, mostra le performance mi-gliori per la scelta di input dotati di valorielevati di Rnl nella correlazione bivariatacon le densità.

Un esempio di ricostruzione neurale delladensità di A. flavicollis nei vari anni vienemostrata in Figura 1.

4 PROSPETTIVE FUTURE

In conclusione, l’analisi non lineare effettuatamostra come si possa comprendere il ruolo deivari influssi termo-pluviometrici sulla densitàdi specie di Roditori, giungendo fino ad un mo-dello che consenta la ricostruzione dell’anda-mento della densità stessa da un anno all’altro.

Impatti dei cambiamenti climatici

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Tabella 1: valori del coefficiente di correlazione li-neare (R) e del correlation ratio (Rnl) nella corre-lazione bivariata tra singoli parametri termo-plu-viometrici e la densità di A. flavicollis.

Tabella 2: come in Tabella 1, ma per M. glareolus.

Parametri R Rnlmm pioggia apr.-sett. -0,0605 -0,2967gg pioggia apr.-sett. 0,3570 0,4339mm neve primavera 0,6696 0,9200gg neve primavera 0,5920 0,6006Tx media primavera 0,0248 0,4579Tn media primavera 0,0260 0,2818gg Tx primav. > 27°C -0,0203 -0,5074gg Tn primav. < 0°C 0,6180 0,9228

Parametri R Rnlmm pioggia apr.-sett. 0,6929 0,8085gg pioggia apr.-sett. 0,6130 0,7284mm neve primavera 0,0377 0,3057gg neve primavera 0,0180 0,1275Tx media primavera -0,4165 -0,5072Tn media primavera -0,3470 -0,4258gg Tx primav. > 29°C -0,5173 -0,5742gg Tn primav. < 9°C 0,3130 0,5129

Page 230: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Una volta perfezionati questi studi e validatodefinitivamente il modello sulle osservazionipassate, il passo seguente sarà quello di ana-lizzare scenari climatici futuri e i loro influs-si sulle densità delle nostre specie.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

692

Figura 1: Densità di A. flavi-collis rilevata sul campo (li-nea continua) e ricostruitacon un modello neurale (li-nea tratteggiata), dove si uti-lizzano come input i mm dipioggia nel periodo aprile-settembre e i giorni con tem-peratura minima primaverileal di sotto di 9°C.

Page 231: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

1.1 Bio-complessità e cambiamenti climaticiLa bio-complessità tratta dei fenomeni risul-tanti da dinamiche di interazione in seno ai si-stemi biologici e tra questi e l’ambiente fisico(Colwell, 2001). Dalla cellula agli ecosistemie bioregioni, ciascun livello di organizzazio-ne biologica è caratterizzato da proprietàemergenti che integrano interrelazioni com-plesse. Le attuali ricerche sulla bio-comples-sità sono rivolte a comprendere le dinamicheadattative di specie e biocenosi, a fronte dicambiamenti climatici e socio-economici diportata bioregionale. Tali fattori esercitanopressioni evolutive sul substrato di diversitàdei sistemi di organizzazione biologica.

1.2 Castanea sativa ed il progetto CASCADELe specie polifunzionali offrono un modellodi studio multidisciplinare per le interazionitra pressioni ambientali e sistemi biologici. Ilcastagno europeo ha tale valenza per il baci-no del Mediterraneo. Le sue caratteristiche dispecie di interesse frutticolturale e forestale lorendono modello di studio per gli effetti dei

cambiamenti sulla capacità adattativa ed evo-lutiva di popolazioni vegetali di fasce biocli-matiche sulla scala della bioregione. Questatematica è stata recentemente sviluppata nel-l’ambito del progetto europeo EVK2-CT-1999-00006, CASCADE (http://soi.cnr.it/chestnut). La struttura multidisciplinare delprogetto ed alcuni rilevanti risultati sono quipresentati.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 La struttura di CASCADEIl progetto è stato disegnato per caratterizzaresu scala europea sia la variabilità genetica chequella funzionale del castagno a fronte delladiversità pedo-climatica dell’areale. Sono sta-te considerate, inoltre, incidenza di fitopatiemaggiori e sorgenti di resistenza a queste. So-no state analizzate la sostenibilità delle diver-se pratiche di gestione del castagno e le rica-dute socio-economiche delle azioni di conser-vazione degli ambiti castanicoli. Infine, l’integrazione delle diverse informa-zioni ha permesso la definizione di strategieottimali per la conservazione delle risorse ge-

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Cambiamenti globali e complessità della conservazione delle risorse geniche – Il modello della specie polifunzionale Castanea sativa Mill

F. Villani, C. Mattioni, M. Cherubini, M. LauteriIstituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Porano (Tr), Italia

SOMMARIO: Castanea sativa è specie della bioregione mediterranea con ampia importanza economica edecologica. La sua diffusione ed evoluzione attraverso le fasi glaciali ed interglaciali del Neozoico ne fan-no una specie modello nello studio della conservazione di habitat e risorse geniche a fronte degli attualicambiamenti globali. Lo sviluppo di strategie conservazionistiche di lungo periodo, capaci di preservareil potenziale evoluzionistico ed adattativo del bioma mediterraneo, è stato affrontato su questa specie mo-dello, nell’ambito del recente progetto europeo “CASCADE”. Si è trattato di un approccio multidiscipli-nare ripartito in sei azioni di studio. Queste hanno coperto i campi dall’autoecologia fino alle strategie diconservazione, attraverso la genetica, l’ecofisiologia, la patologia e la socio-economia. I risultati hannosvelato le caratteristiche evoluzionistiche e le dinamiche adattative di questa specie modello, aumentandole nostre capacità di gestione delle risorse ambientali mediterranee.

Page 232: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

netiche castanicole sotto scenari di cambia-mento globale.

2.2 Sei gruppi di lavoro per definire stato epotenzialità evolutive della specie

Nei dettagli CASCADE è stato articolato insei tematiche. Di queste, l’ultima integravatutte le altre nella definizione delle raccoman-dazioni e delle strategie conservazionistiche.Gruppo 1: distribuzione, autoecologia e ge-stione di C. sativa. Gruppo 2: dispersione e struttura geneticadelle popolazioni di C. sativa. Gruppo 3: variabilità di caratteri adattativi inC. sativa. Gruppo 4: variabilità nella resistenza ai pato-geni (Phytophtora spp.). Gruppo 5: valutazione dell’impatto socio-economico ed ambientale della conservazio-ne delle risorse geniche di C. sativa. Gruppo 6: strategie integrate per l’uso e laconservazione delle risorse di C. sativa.

3 RISULTATI RILEVANTI

Le ricerche su distribuzione, autoecologia egestione di C. sativa hanno mostrato come laspecie sia adattata ad un’ampia casistica diambienti. Gli ambienti castanicoli europei ri-sultano determinati da spettri variabili di alti-tudine, temperatura e piovosità. La classifica-zione degli habitat basata su parametri clima-tici ha messo in evidenza quattro tipologieprincipali di siti con forte variazione degli in-dici di siccità estiva. Il livello di siccità non èrisultato correlato con particolari caratteristi-che strutturali delle formazioni a castagno,eccettuata l’altezza media degli individui.Tuttavia sono state individuate interessanticorrelazioni tra la pressione ambientale deter-minata dalla siccità ed i caratteri adattativi le-gati alla crescita ed all’economia di carbonioed acqua (efficienza d’uso idrico) analizzatidal gruppo di lavoro 3. La mappatura di indi-ci xerotermici, interpolati sull’areale dellaspecie, ha individuato le zone in cui il casta-gno è più soggetto agli stress idrici: Spagnacentrale e meridionale, Italia meridionale e

centro-occidentale, Grecia sud-orientale edAnatolia occidentale. Sono queste le regionidove concentrare gli sforzi di conservazionedelle risorse castanicole per fronteggiare sce-nari di siccità. Infine, i diversi modelli di ge-stione del castagno (boschi ad alto fusto, ce-dui e frutteti) hanno mostrato notevole so-vrapposizione delle caratteristiche studiate.Questo indica che l’interazione tra gestione efattori ambientali giocano un ruolo fonda-mentale nel determinismo delle caratteristi-che genetiche, ecofisiologiche e strutturalidelle formazioni a castagno.Lo studio sulla struttura genetica delle popo-lazioni di C. sativa, basato sui marcatori mo-lecolari (Villani et al., 1999), mostra che, no-nostante la prolungata azione antropica sullaspecie, il pattern della struttura genetica suscala europea ricalca quello di altre specie fo-restali: maggiore numero efficace di alleli,maggiore eterogeneità locale e maggiore dif-ferenziamento tra popolazioni meridionaliche tra quelle centro-settentrionali. Questotrend indica la presenza di popolazioni relitteprovenienti da rifugi glaciali indipendenti edivergenti nel Sud. Queste hanno successiva-mente colonizzato il Centro-Nord dando cosìorigine a ‘melting pots’ di variazione geneti-ca. In C. sativa sono stati identificati tre prin-cipali pool genici: Turchia nord-orientale,Turchia occidentale e Grecia. Confrontandopopolazioni con diversi livelli di naturalità egestione (legno e frutti) è stato possibilequantificare il livello di pressione selettivasulle popolazioni semi-naturali e identificareflussi di inquinamento genetico dovuto a ma-teriale alloctono. Il livello di dispersione genica è stato deter-minato mediante analisi di paternità entro po-polazione. I risultati hanno mostrato che laprobabilità di mating scende a 1% ad una di-stanza di 2 km ed aumenta a 10% ad una di-stanza di 0.3 km. Questi dati sono essenzialiper la pianificazione di programmi di conser-vazione genica, permettendo di definire i cor-ridoi genici per ridurre i rischi di frammenta-zione delle popolazioni.Prove effettuate in fitotrone su progenie di sei

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

694

Page 233: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

popolazioni di castagno individuate in zonecontrastanti (xeriche e mesiche) in tre Paesi(Spagna, Italia e Grecia) hanno permesso distudiare caratteri ecofisiologici adattativi acondizioni di siccità (Lauteri et al., 2004).L’esposizione delle diverse progenie ad un in-tervallo di condizioni ambientali ha consenti-to di analizzare la plasticità fenotipica di ca-ratteri fisiologici e di crescita, coinvolti nel-l’adattamento. In particolare, i genotipi adat-tati alle condizioni mediterranee sono risulta-ti assai plastici nel carattere efficienza d’usoidrico (WUE), così come valutato attraversol’analisi degli isotopi stabili del carbonio nel-la s.s. fogliare (Brugnoli e Farquhar, 2000).Tuttavia le stesse popolazioni hanno mostratouna strategia di crescita giovanile con plasti-cità bassa. Così, i genotipi adattati alle siccitàricorrenti sono geneticamente programmati anon rispondere con una crescita marcata asporadiche stagioni favorevoli. Conservano,in altri termini, memoria evoluzionistica del-la probabilità di condizioni aride e la loroesposizione all’atmosfera, attraverso la cre-scita epigea, avviene in maniera “cauta”.Inoltre, è stata rilevata una correlazione gene-tica negativa tra caratteri di crescita e WUE.La robustezza della correlazione vi lascia in-travedere un prerequisito adattativo per la co-lonizzazione di habitat altamente variabili. Lavarianza additiva dei caratteri adattativi WUEe crescita è risultata adeguata, come potenzia-le evolutivo, in molte delle popolazioni ana-lizzate. Infine un’analisi QTL è stata svilup-pata per caratteri fenologici, di tolleranza allasiccità e di crescita. Sono stati individuati va-ri marker molecolari dei caratteri quantitativi(QTLs) studiati (Casasoli et al., 2006).Il monitoraggio fitosanitario su scala europearelativo a Phytophtora sp., specie funginacausa della temibile fitopatia mal dell’inchio-stro, ha evidenziato sette specie di Phytophto-ra. P. cinnamomi, P. citricola e P. cambivorasono le più frequenti. I fattori ambientali di-scriminanti sulla presenza delle diverse spe-cie e sul livello di infezione sono la tempera-tura del mese più freddo e la piovosità annua-le. Inoltre, i test di resistenza alla P. cambivo-

ra condotte su un subset di popolazioni di C.sativa, provenienti da regioni climaticamentecontrastanti, hanno evidenziato differenze si-gnificative (Vettraino et al., 2005).La valutazione dell’impatto socio-economicoed ambientale di possibili azioni di conserva-zione delle risorse castanicole ha fornito ri-sultati diversificati tra Francia, Italia e Grecia.Le comunità locali fanno ampio uso dei pro-dotti del castagno (frutti, legname ed attivitàturistiche e ricreative). Le comunità francesisono intimamente associate alle tradizioni ca-stanicole, riuscendo ad attrarre un rilevanteflusso di visitatori. In Italia è emersa poten-zialità di incremento nell’uso della risorsa ca-stagno, in particolare per frutti e legname. LaGrecia risulta particolarmente interessata allaconversione da ceduo a frutteto, rivelando in-teresse agli aspetti agro-alimentari. Rilevantein tutte le aree saggiate è il fattore di coesio-ne ed identità sociale che le comunità attri-buiscono alla risorsa castanicola. Questo si ri-flette in una propensione al sostegno di ini-ziative di conservazione e recupero della ri-sorsa. Tuttavia, mentre l’analisi francese rive-la propensione ad investire sull’eco-turismo,le situazioni italiane e greche sono più orien-tate sulla certificazione di origine le prime,sull’incremento dei frutteti le seconde.Sono state infine definite potenziali strategieper la conservazione genica di castagno, inte-grando i risultati delle ricerche di settore svol-te nell’ambito del progetto. Il modello utiliz-zato è il ‘Multiple Popolation Breeding Sy-stem’ proposto da Namkoong (1984). Esso sibasa sulla condizione fondamentale che ven-ga garantito il potenziale adattativo della spe-cie nel tempo, introducendo così il concettodi dinamicità della conservazione in relazioneai cambiamenti ambientali. È così possibilevalorizzare la capacità adattativa derivata dal-la selezione naturale o artificale. Nel nostrostudio la selezione delle popolazioni per laconservazione genica si è basata su: variabi-lità di crescita e tolleranza alla siccità; varia-bilità di resistenza alla P. cambivora; variabi-lità molecolare. In questo modo è stato possi-bile tenere in conto sia la variabilità in capa-

Impatti dei cambiamenti climatici

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Page 234: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

cità adattativa sia il potenziale evolutivo alungo termine su scala europea. Dai tre tipi dicaratteri studiati sono stati ottenuti indici sin-tetici per classificare e selezionare le popola-zioni con più alto valore di conservazione.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Lo schema di studio di CASCADE può esse-re esteso ad altre specie forestali, favorendoprogrammi di conservazione e gestione soste-nibile delle risorse genetiche nello scenario dicambiamenti globali. È infatti possibile inte-grare settori di ricerca che vanno dalle scien-ze biologiche alle scienze sociali, con risulta-ti di impatto sulla gestione del territorio. Pro-spettive di studio in questo ambito riguardanol’individuazione di geni che controllano altricaratteri adattativi rilevanti ed il confronto trala loro variabilità genetica e funzionale. Altrosettore di ricerca innovativo è quello dell’in-terazione genetica tra specie coesistenti, ap-plicando i principi della genetica di popola-zioni e quantitativa a studi evolutivi di bioce-nosi complesse. Le specie, nei fatti, non evol-vono singolarmente ma sono inserite in unamatrice di specie che coevolvono in un am-biente mutevole nel tempo.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

696

Page 235: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Esiste una consistente letteratura scientificache dimostra come le elevate concentrazionidi anidride carbonica atmosferica, possono al-terare la composizione chimica delle piante inparticolar modo il rapporto C/N (carbo-nio/azoto) (Norby et al., 1986; William et al.,1986; Curtis et al., 1989; Kuehny et al., 1991).In generale le piante cresciute ad elevate con-centrazioni di CO2 hanno un contenuto mino-re di azoto nelle foglie, soprattutto dovuto al-l’aumento dell’attività fotosintetica che con-tribuisce a sintetizzare carboidrati, quindi car-bonio, che provoca un effetto di diluizione delcontenuto di azoto delle foglie (Lambers,1993). In particolare l’aumento dei carboidra-ti avviene a carico dei composti secondari diriserva che rivestono un ruolo fondamentalenelle funzioni ecologiche in primis le allelo-patie e nel controllo passivo di attacchi di pa-rassiti erbivori. (Dicke e Sabelis, 1989; Lam-bers, 1993). Queste alterazioni delle composi-zione chimica delle foglie hanno un ruolo fon-damentale nelle interazioni tra pianta e paras-siti erbivori, che si nutrono di foglie o di altre

parti verdi delle pianta. In uno scenario abba-stanza realistico è lecito ipotizzare che l’au-mento della concentrazione di anidride carbo-nica provocherà una alterazione della compo-sizione chimica delle foglie e quindi ci si puòdomandare: quale effetto avrà sulla popolazio-ne di Dorifora (Leptinotarsa decemlineata,Say) che annualmente attacca la patata?Quali saranno i tassi di crescita delle larve didorifora, alimentate con le foglie che avrannoun rapporto C/N diverso da quello attuale? Lapossibilità di rispondere a queste domande èinsita nella possibilità di compiere sperimen-tazioni e ricerche in ambienti dove le piantesono cresciute ad alte concentrazioni di ani-dride carbonica, senza alterare le condizioniambientali con serre, altre barriere che posso-no talvolta creare delle condizioni alteranti.Scopo del lavoro è stato di valutare il com-portamento alimentare di larve di Doriforaalimentate da foglie di patata allevate in unesperimento FACE (Free Air CO2 Enrich-ment) tecnica che minimizza le alterazioniambientali di crescita delle piante. (Migliettaet al., 1997; Miglietta et al., 1998).

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Impatto del cambiamento climatico sulle interazioni ospite-parassita in specie coltivate: il caso della dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata Say)

F.P. Vaccari, F. Miglietta, A. Raschi, G. MaracchiIstituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: esiste un generale consenso nella comunità scientifica, nell’affermare che gli incrementi diconcentrazione atmosferica di anidride carbonica, previsti per i prossimi decenni, produrranno alterazionidella qualità nutritiva dei vari organi delle piante (es. aumento rapporto C/N nelle foglie). Tali alterazioniavranno inevitabili ripercussioni sulla dinamica dello sviluppo degli insetti erbivori e dei loro predatori. Inquesto studio è stato esaminato l’effetto che, crescenti livelli di concentrazione di anidride carbonica, po-tranno avere sulla crescita di larve di Dorifora (Leptinotarsa decemlineata, Say) e sulla quantità di foglieda loro consumate.

Page 236: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

La Dorifora è riconosciuta a livello mondialecome l’insetto maggiormente dannoso per lacoltivazione della patata (Hare, 1990). Gliadulti di Dorifora in genere emergono dalsuolo, in tarda primavera e depongono la pri-ma generazione di uova nella pagina inferio-re delle foglie di patata o di altre solanaceeselvatiche. Le uova si schiudono e nascono lelarve che si alimentano molto voracementedelle foglie e a loro volta, raggiunte la matu-rità si impupano nel terreno dal quale riemer-geranno come adulti per proseguire l’infesta-zione fino a quando le condizioni ambientalilo consentono. In genere nel Nord Europa ab-biamo solo una generazione all’anno, nel Sudse ne contano fino a 3 o 4 generazioni per sta-gione. Grazie ad un esperimento sulla patatasecondo la tecnologia FACE (Free Air CO2Enrichment), è stato possibile ottenere fogliedi patata cresciute a 3 concentrazioni diversedi CO2 e rispettivamente a 660 (F1), 560 (F2)e 460 µ mol mol-1 (F3), oltre che alle foglie dipatata cresciute alla concentrazione ambiente.Alla fine di agosto, un grande numero di lar-ve non più giovani di 2 giorni sono state rac-colte nelle aree del campo non occupate daglianelli FACE e sono state raggruppate in 50gruppi di 10 larve ciascuna. In media il pesofresco di ciascun gruppo di larve all’iniziodell’esperimento era di 0.1143 ± 0.0031 g.

Dieci foglie di patata sono state campionate,mantenendo il picciolo sott’acqua per evitarefenomeni di embolismo per ogni anello del-l’esperimento ed in particolare nei 3 anelliFACE (F1, F2 e F3) e nei 2 controlli (C1 eC2). Su ogni foglia è stato allevato un gruppodi 10 larve che sono state monitorate h24. Perogni gruppo di larve, su base giornaliera è sta-to calcolato il tasso di crescita (Growth Rate,aumento di peso per giorno), tasso di consu-mo fogliare (Consumption Rate CR, quantitàdi foglie mangiate per giorno). Ad ogni cam-bio di foglia, ciascun gruppo di larve è statopesato usando una bilancia analitica di preci-sione (Mod. H110, Sartorius, Gottingen, D).Il tasso di consumo fogliare è stato determi-nato come differenza in peso tra la foglia ini-ziale e quella mangiata, il rapporto C/N dellefoglie è stato determinato utilizzando un ana-lizzatore di elementi della Carlo Erba (ModNA 1500). L’esperimento è stato interrottoquando la maggior parte delle larve hanno na-turalmente lasciato le foglie per impuparsi.Le analisi statistiche sono state eseguite uti-lizzando il pacchetto software STAGRA-PHIC 6.0, per ciascun giorno dell’esperimen-to sia all’interno dello stesso gruppo di larveche tra i gruppi e poi successivamente perciascun giorno dell’esperimento confrontan-do le larve cresciute su foglie FACE e quellecresciute su foglie del controllo.

3 RISULTATI RILEVANTI

La concentrazione di azoto nelle foglie di pa-tata diminuisce significativamente con l’au-mento della concentrazione di CO2 alla qualesono state cresciute (Fig. 1), mentre la frazio-ne di carboidrati non strutturali è sostanzial-mente aumentata (Miglietta et al., 1998), diconseguenza il rapporto C/N delle foglie dipatata aumenta con l’aumentare della concen-trazione di CO2.L’analisi statistica dimostra che le larve checrescono di più in termini di aumento di pesosono quelle alimentate con foglie Controllorispetto a quelle FACE (Fig. 2), la differenzanel tasso di crescita tra i vari gruppi di larve

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

698

Figura 1: Contenuto medio di azoto (%) nelle foglie dipatata versus concentrazione di CO2

Page 237: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

alimentate con foglie cresciute a 460, 560 e660 µ mol mol-1 non sono state sufficiente-mente apprezzabili. La dimensione delle lar-ve alla fine dell’esperimento è stata influen-zata dalla qualità di foglie di cui si è alimen-tata, infatti le larve cresciute su foglie con-trollo avevano un peso secco maggiore del28.3% rispetto a quelle cresciute con foglieFACE. Nessuna differenza tra tutti i gruppi dilarve è stata osservata per quanto riguarda iltasso di consumo fogliare (consumption rate).

4 PROSPETTIVE FUTURE

Questi risultati indicano che la crescita dellelarve di dorifora è dipendente dalla composi-zione chimica delle foglie di cui si alimenta,la diminuzione del contenuto di azoto e l’au-mento della quantità di composti di carboniocausati dall’incremento della concentrazioneatmosferica di CO2 può essere responsabile diquesto effetto.Se le larve nel loro ciclo vitale non riescono acompensare, aumentando la quantità di ali-mento ingerito al giorno, la scarsità della qua-lità delle foglie si potrebbe ipotizzare che lelarve cresciute su foglie FACE hanno una ri-dotta quantità di composti a base azotata,principalmente, proteine e lipidi. Infatti è no-

to che la capacità delle larve di accumulare li-pidi è mediata dalla quantità di proteine di-sponibili (Slansky e Rodriguez, 1987). In questa prospettiva si può concludere che idati sperimentali dimostrano come l’aumentodelle concentrazione atmosferica di CO2 avràun impatto diretto sulla crescita delle larve didorifora che si impuperanno con un quantita-tivo sempre più basso di sostanze di riservache potrebbe avere delle conseguenze sullasopravvivenza invernale delle pupe nelle ge-nerazioni adulte, responsabili delle infesta-zioni future.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Impatti dei cambiamenti climatici

699

Figura 2: Tasso di crescita delle larve di Dorifora (mg dipeso secco al giorno) cresciute su foglie FACE (colonnenere) e su foglie Controllo (colonne bianche). Gli asteri-schi indicano la differenza significativa (* p < 0.05; **p < 0.01).

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

700

Page 239: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Gli ecosistemi forestali, avendo una distribu-zione sul territorio relativamente stabile, sonodegli indicatori ottimali degli effetti che icambiamenti climatici in atto possono averesulla produttività vegetale (Waring e Run-ning, 1998). Molti studi hanno dimostrato che un indice divegetazione misurato da satellite (NDVI,Normalized Difference Vegetation Index) èstrettamente correlato alla frazione di radia-zione assorbita dalle piante nel processo foto-sintetico, ed è un ottimo indicatore dell’atti-vità produttiva delle stesse (Myneni e Wil-liams, 1994).L’uso di serie temporali di immagini NDVI abassa risoluzione consente quindi di stimarevariazioni di questo parametro in risposta aeventuali trend dei principali fattori limitanti,come piogge e temperature. L’importanza diqueste analisi è oggi evidente in relazione aicambiamenti climatici che si stanno verifi-cando a livello globale e locale.Nel presente lavoro si riassumono due studieffettuati su ecosistemi boschivi della Tosca-

na in cui sono stati evidenziate le conseguen-ze di significativi trend climatici occorsi nel-l’ultimo ventennio. In particolare, il primostudio illustra l’effetto della diminuzione dipioggia su una pineta costiera nel Parco dellaMaremma, mentre il secondo quello di un au-mento di temperatura su una faggeta montananel Mugello.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Parco della MaremmaIl Parco della Maremma è un’area costieraprotetta situata nella Toscana Meridionale in-torno alla foce del fiume Ombrone ed ai mon-ti dell’Uccellina (Fig. 1). La zona di pianuravicino all’Ombrone è coperta da una pinetaartificiale di pino marittimo e domestico (Pi-nus pinaster Ait. e Pinus pinea L.). Le collinedell’Uccellina sono invece in gran parte co-perte da foreste di Leccio (Quercus ilex L.).Essendo questa una zona piuttosto arida (lepiogge medie annuali sono di 500-600 mm),lo sviluppo della foreste, ed in particolare del-la pineta, è principalmente limitato dalla di-

701

Uso di serie temporali NDVI per stimare l’effetto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali

F. Maselli, M. Chiesi, A. Rodolfi, G. Maracchi1Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: La presente ricerca ha lo scopo di fornire un contributo nell’ambito dello studio dei possiblieffetti dei cambiamenti del clima sulla produttività di ecosistemi forestali. A tal fine sono state individua-te due diverse aree di studio, entrambe in Toscana, una lungo il litorale (Parco della Maremma) ed una inMugello. Per entrambe sono stati raccolti dati meteorologici, dendrometrici e immagini da satellite per unperiodo di circa 15 anni; in aggiunta per l’area in Mugello sono state effettuate misure dendrocronologi-che. Attraverso l’analisi di tali dati è stato possibile mostrare l’effetto di variazioni climatiche sulla pro-duttività forestale stimata usando dati meteorologici ed telerilevati. In particolare sono stati evidenziati di-minuzioni ed aumenti di produttività dovuti rispettivamente ad una diminuzione delle precipitazioni (ca-so di studio in Maremma) o ad un aumento della temperatura (caso di studio in Mugello). È infine discussal’importanza di evidenziare ed analizzare tali possibili cambiamenti in altre aree forestali Italiane.

Page 240: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

sponibilità idrica, che è in parte cambiata du-rante l’ultimo ventennio. Lo studio è partito da una analisi dei datiNDVI ricavati dall’elaborazione di immaginiNOAA-AVHRR riprese durante il periodo1986-2000. In particolare, è stata verificatal’esistenza di trend di NDVI significativi oc-corsi durante specifici periodi dell’anno (Ma-selli, 2004). Una simile analisi dei trend è stata effettuatasui dati di pioggia caduta in una stazione al-l’interno del Parco (Marina di Alberese) du-rante lo stesso periodo. Le variazioni di NDVIe di pioggia sono poi state soggette ad analisidi correlazione tese alla ricerca di un nessocausa-effetto fra modifiche di disponibilitàidrica e di attività fotosintetica delle piante.

2.2 MugelloLo studio è stato condotto nella parte alta delMugello (quota intorno a 1000 m s.l.m.), inun comprensorio boschivo caratterizzato dal-la presenza del faggio (Fagus sylvatica L.).Al suo interno sono state selezionate 4 aree distudio nelle quali sono state effettuate misu-razioni dendrometriche (diametro, altezza,volume, LAI) e dendrocronologiche (prelie-vo di carotine per misurare gli incrementi an-nui). Dopo aver riscontrato che negli ultimidecenni sono stati registrati in Italia centraleaumenti di temperatura, si è cercato di verifi-care se, nelle foreste di zone montuose, que-

sto potesse avere degli effetti positivi sullaproduttività.Lo studio è partito da un’analisi dei dati ditemperatura raccolti, nel periodo 1986-2001,dalla stazione meteo di Firenzuola e adattatiall’area di studio (Rodolfi et al., 2007). Suc-cessivamente si è passati ad analizzare, per lostesso periodo, l’NDVI del sensore NOAA-AVHR, relativo alle quattro aree forestali esa-minate. Attraverso l’uso di un modello para-metrico, C-Fix (Veroustraete et al., 2004), checombina i dati meteorologici con quelli deri-vati da satellite, si è giunti alla stima dellaproduttività della foresta. Le variazioni ri-scontrate da essa nel periodo 1986-2001 sonopoi state confrontate con gli incrementi dia-metrici annuali.

3 RISULTATI RILEVANTI

3.1 Parco della MaremmaLe analisi dei trend applicate ai dati di NDVIhanno mostrato un netto calo di attività foto-sintetica durante i 15 anni considerati (1986-2000). Tale calo è ben visibile dai valori diNDVI medi annuali riportati in Figura 2 per idue tipi di foresta principali presenti nel Par-co. I valori più alti di trend negativo sono ri-sultati concentrati nel periodo estivo ed au-tunnale (da luglio a novembre).Le analisi dei dati di pioggia di Marina di Al-berese hanno mostrato un corrispondente ca-lo significativo di precipitazioni La diminu-

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

702

Figura 1: Immagini NOAA-AVHRR NDVI dell’agosto2001 con indicazione delle due aree di studio.

Figura 2: Trend di NDVI trovati per la pineta e la leccetadel Parco durante i 15 anni considerati (1986-2000). Iltrend per la pineta è altamente significativo (**, P < 0.01).

Page 241: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

zione di pioggia è soprattutto concentrata ininverno (gennaio-marzo) e in tarda estate-ini-zio autunno (settembre-novembre). Le analisi di correlazione effettuate hanno in-fine evidenziato un forte legame fra diminu-zioni delle piogge invernali e dell’NDVI esti-vo (valori di r superiori a 0.6, altamente si-gnificativi). Tali correlazioni indicano l’esi-stenza di un rapporto causa/effetto fra dimi-nuzione della disponibilità idrica e della pro-duzione delle foreste nel Parco.

3.2 MugelloL’analisi dei dati di temperatura degli anni1986-2001 ha evidenziato un incremento ter-mico soprattutto nel periodo tardo inverno-primavera. A questo aumento ha corrisposto,per lo stesso periodo, un aumento di NDVIconcentrato nel tardo inverno e primavera-estate. Un trend positivo è stato riscontratoanche nelle stime di produttività della forestaottenute combinando i dati telerilevati conquelli meteorologici. La plausibilità dell’aumento di produttivitàstimata è stata verificata tramite confrontocon le misure dendrocronologiche, che forni-scono un indicatore della biomassa legnosaprodotta annualmente. Il confronto fra le mi-

sure dendrocronologiche e stime di produtti-vità, è stato preceduto da una detrendizzazio-ne di entrambe le serie tesa a ridurre l’effettodi possibili incrementi antropici (diradamenti,tagli, ecc.) sulle condizioni trofiche delle fo-reste esaminate. I risultati del confronto delleserie detrendizzate relativi ad una delle quat-tro aree di studio sono riportati in Figura 3. Lacorrelazione significativa fra produttività mi-surata ed osservata indica la bontà de metododi stima e dà una conferma indiretta dell’au-mento di produttività riscontrato in conse-guenze dell’aumento di temperatura.

4 PROSPETTIVE FUTURE

La valutazione dell’effetto dei cambiamenticlimatici in atto sugli ecosistemi forestali ri-veste un ruolo determinante al fine di poterdecidere un loro corretto utilizzo nel prossi-mo futuro. Il presente lavoro ha mostrato co-me dati da satellite a bassa risoluzione posso-no essere combinati con dati a terra per valu-tare le conseguenze di cambiamenti climaticisulla produttività di ecosistemi forestali Ita-liani. In particolare è stato evidenziato un ef-fetto negativo del calo di piogge su foreste diaree Mediterranee costiere ed un effetto posi-tivo dell’aumento di temperatura su forestemontane. Tali effetti sono ovviamente legatial fatto che, nelle due aree studiate, i princi-pali fattori limitanti sono diversi. Nel caso delParco della Maremma, la produttività prima-ria è infatti limitata soprattutto dalla disponi-bilità idrica, mentre nel caso del Mugello latemperatura è il fattore limitante principale. Lo studio potrebbe essere esteso a scala terri-toriale usando mappe digitali dei principaliparametri agro-meteorologici (pioggia, tem-peratura, radiazione, ecc.) e immagini NDVIa diversa risoluzione (NOAA-AVHRR, Spot-VGT, Terra/Aqua-MODIS, Envisat-MERIS,ecc.). Questo potrebbe consentire una sempli-ce identificazione di zone con potenziale cri-ticità ambientale. Questa attività è perciò giàstata iniziata presso l’IBIMET-CNR ed ilLaMMA-CRES.

Impatti dei cambiamenti climatici

703

Figura 3: Ampiezze anulari standardizzate versus stimedi GPP. Le correlazioni indicate nella parte superiore delgrafico (r16) si riferiscono a tutti i punti, mentre quellenella parte inferiore (r15) sono state calcolate senza con-siderare il valore relativo al 1997 (in grigio), corrispon-dente ad un probabile taglio del bosco (** = correlazionealtamente significativa, P < 0.01).

Page 242: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

704

Page 243: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Le foreste e i terreni agricoli presentano inte-ressanti opportunità per conservare e seque-strare il carbonio. Recentemente è stato dimo-strato che le piantagioni forestali sono quellecon più alto potenziale per la mitigazione delcarbonio poiché oltre alla capacità di seque-strare carbonio possono, al contempo, sosti-tuire con le biomasse i combustibili fossili(Smith et al., 2000).La quantificazione del potenziale di sequestrodi CO2 degli ecosistemi forestali e agrofore-stali va però verificata rispetto ai cambiamen-ti climatici in corso e, soprattutto, in funzionedell’aumento di concentrazione atmosfericadella CO2; questi esperimenti andrebbero poicondotti a scala di ecosistemi con studi di tipomanipolativo, come nel caso degli esperimen-ti FACE (Free Air CO2 Enrichment).L’obiettivo principale di questa ricerca è statoquindi quello di determinare le risposte fun-zionali di un sistema agroforestale e cioè diuna piantagione di pioppi, alle concentrazioniattuali e future della CO2 atmosferica e di sta-bilire le interazioni con altri parametri am-bientali e con processi e strutture biologiche.Inoltre questo esperimento ha consentito di

determinare il potenziale di sequestro di car-bonio e di produzione di biomassa legnosa intipologie di piantagioni forestali che stanno in-contrando una notevole espansione in Italia ein Europa (Scarascia-Mugnozza et al., 2006).Per quel che concerne il metano, non è ancoraben chiaro se le piante terrestri rappresentinouna fonte per questo composto.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

La piantagione sperimentale di pioppi di 9 hae l’infrastruttura FACE sono state localizzatein una regione agricola dell’Italia centrale vi-cino Viterbo (Tuscania; 42°22’ N, 11°48’, alt.150 m). All’interno della piantagione sonostate individuate sei aree sperimentali, defini-te parcelle (30m x 30m); tre di queste aree,rappresentanti il trattamento di controllo, sonostate lasciate a condizione ambiente mentre inognuna delle altre tre, rappresentanti il tratta-mento FACE, è stato impiantato un anello ot-tagonale di 22 m di diametro con tubi di po-lietilene che rilasciano CO2 pura (Fig. 1).Ognuna delle sei parcelle è stata divisa in dueparti da una barriera in fibre di vetro, inseritaper un metro di profondità nel terreno, per po-ter realizzare dei trattamenti di fertilizzazione

705

Produttività primaria e assorbimento di carbonio inecosistemi agro-forestali: l’impatto dei cambiamentiatmosferici previsti a metà del secolo XXI

G. Scarascia-Mugnozza1,2 C. Calfapietra1, P. De Angelis2, F. Miglietta3

1Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale, CNR, Porano (Tr), Italia2Dipartimento Scienze Ambiente Forestale e Risorse, Università della Tuscia, Viterbo,Italia

3Istituto di Biometeorologia del CNR, Firenze, [email protected]

SOMMARIO: L’obiettivo principale di questo esperimento FACE (Free Air CO2 Enrichment) è stato quellodi determinare le risposte funzionali di un sistema agroforestale, una piantagione di pioppi da biomassa,alle concentrazioni attuali e future della CO2 atmosferica, misurarne le variazioni di produttività primariae l’accumulo di carbonio nel terreno.

Page 244: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

differenziale e ciascuna metà di ogni parcellaè stata poi divisa in tre settori radiali, ognunooccupato da un differente genotipo di pioppo.Le sei parcelle sperimentali all’interno dellapiantagione sono state piantate, quindi, con tredifferenti cloni di pioppo, alla densità di10.000 alberi ha-1 (sesto di impianto di 1m x1m) per poter avere un sufficiente numero dipiante sperimentali e una copertura piena inun breve arco di tempo. Le specie utilizzate,oltre a P. x euramericana (Dode Guinier) (P.deltoides Bart. ex Marsh. x P. nigra L.) sonoP. nigra L. e P. alba L. La crescita degli alberi è stata molto rapida neitre anni del primo turno; l’altezza degli alberiera di 1.4-1.8 m alla fine della prima stagionedi crescita, 6-7 m nel secondo anno, con laformazione di una copertura quasi colma,mentre alla fine del terzo anno l’altezza rag-giungeva quasi 10 m. Alla fine del terzo annola piantagione è stata tagliata poiché gli alberiavevano raggiunto l’altezza massima compa-tibile con l’infrastruttura FACE, ed è stata ef-fettuata un’analisi completa della biomassaepigea e ipogea. Successivamente al taglio, lapiantagione si è rinnovata vegetativamentecon la nascita di nuovi getti dalle ceppaie ta-gliate, creando così una nuova piantagione daceduo policormica. Nel sistema FACE progettato da IBIMET-CNR l’anidride carbonica pura è rilasciata nel-l’atmosfera (Miglietta et al., 2001) attraversogetti che fuoriescono a velocità supersonica da

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

706

Figura 1: Immagine di un anello FACE e degli alberi dipioppi della parcella sperimentale.

microscopici fori creati con laser all’interno ditubi in PVC di 20 mm di diametro. Questi tu-bi di gomma venivano poi montati in stratiorizzontali, fissati su torri elevabili fino a 13m, circondando così le parcelle sperimentali aconcentrazione atmosferica arricchita conCO2, con anelli ottagonali. Il valore prefissatodella concentrazione di CO2 nelle parcelle FA-CE era di 550 ppm, pari al livello atmosfericodi CO2 previsto intorno all’anno 2050.Nel secondo ciclo triennale è stato aggiunto iltrattamento fertilizzante poiché le analisi delterreno avevano mostrato l’insorgenza di con-dizioni limitanti per la disponibilità azotata al-l’inizio del secondo ciclo di crescita dellapiantagione.

3 RISULTATI RILEVANTI

Attività fotosinteticaTutti i tre cloni studiati non hanno mostrato al-cuna chiara evidenza di acclimatazione foto-sintetica durante i primi tre anni del ciclo col-turale. La mancanza di acclimatazione può es-sere spiegata dall’aumentata attività di accu-mulo e utilizzo dei carboidrati; l’elevata velo-cità di crescita dei cloni studiati ha mantenutoun’elevata richiesta di fotoassimilati evitandocosì che si sviluppasse la down-regulationdella fotosintesi. Dopo tre anni di crescita adalta CO2 l’incremento medio della fotosintesimeridiana per i tre cloni era del 55%. Il valo-re integrato giornaliero di fotosintesi in condi-zioni FACE variava da valori di 28.3% a mag-gio per il P. nigra all’86.3% per P. x eurame-ricana in settembre. Produttività primaria epigea Le risposte dei sistemi agroforestali con piop-pi all’aumento della CO2 atmosferica possonoessere distinte in rapporto al momento di chiu-sura delle chiome. Nel primo anno dell’esperi-mento, il trattamento ad alta CO2 ha fortemen-te stimolato la crescita delle piante, in mediadel 70%, ma in misura diversa nelle 3 speciestudiate (Calfapietra et al., 2003). Questa for-te stimolazione della produttività nel tratta-mento ad alta CO2 diminuiva progressivamen-te nel secondo e nel terzo anno dall’impianto,

Page 245: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

dopo la chiusura delle chiome e la coperturapiena del terreno, ma rimaneva pur sempre si-gnificativamente positiva. La produzione dibiomassa (fusto, rami e radici) dopo tre anni dicrescita, infatti, era stimolata dall’alta CO2 peril 24% come valore medio tra le specie.

Produttività radicale e micorrizeIl trattamento ad alta CO2 ha determinato an-che un maggiore sviluppo radicale negli stratipiù profondi del terreno (Lukac et al., 2003).L’analisi della distribuzione verticale delle ra-dici ha mostrato un aumento di allocazione dibiomassa negli orizzonti più profondi del ter-reno (20-40cm) in condizioni di elevata CO2,pari al 30% circa, in due genotipi su tre, indi-cando così una risposta genotipo- specifica. Il trattamento ad alta CO2 ha anche aumenta-to l’investimento di produttività primaria inradici fini: in P. alba del 56% in P. nigra del97% e in P.x euramericana del 73%. L’eleva-ta CO2 ha chiaramente determinato un aumen-to di carbonio trasferito al terreno nelle trespecie di pioppo studiate favorendo così la ca-pacità degli alberi di assorbire maggiori risor-se dal terreno necessarie per sostenere l’accre-sciuta produzione di biomassa.Anche la simbiosi micorrizica ha risentito po-sitivamente delle condizioni di alta CO2 atmo-sferica.

Carbonio nel terrenoNelle tre specie di pioppo il trattamento ad al-ta CO2 ha indotto un modesto aumento di pro-duzione annuale di lettiera fogliare del 3-6%,ne ha modificato la composizione biochimicae ne ha accelerato il processo di decomposi-zione, soprattutto nella fase iniziale del pro-cesso, probabilmente in conseguenza dell’au-mentata attività biologica nel terreno e dell’in-put di carbonio nella rizosfera come risultatodell’alta CO2 (Cotrufo com. pers.).Per quanto riguarda la respirazione del terre-no, questa è aumentata per tutti i tre genotipi,in misura variabile dal 34 al 50% .Sulla base degli osservati aumenti di produ-zione di biomassa epigea e ipogea ad alta CO2è possibile prevedere un forte aumento di Cnew

e Ctotal nel suolo ad alta CO2 (Hoosbeek et al.,2006). Il Cnew è la quantità di Carbonio fissa-ta nel terreno durante l’esperimento e può es-sere stimato con il metodo delle carotine diterreno C4 inserite nel normale terreno C3dell'area sperimentale. Il vecchio carbonio,Cold, è calcolato come Ctotal meno Cnew mentreil C respirato è calcolato come differenza tra ilCold all’inizio e alla fine dell’esperimento.Ctotal aumentava del 12 e 3% nel controllo enel FACE, dall'inizio dell'esperimento, rispet-tivamente. Nello stesso periodo di tempo 704e 926 g m-2 di Cnew era assorbito nel terreno ri-spettivamentew nel controllo e ad alta CO2.Invece il pool di Cold perdeva relativamentepiù carbonio nel trattamento ad alta CO2 acausa di una perdita di respirazione pari a 220e 819 g m-2 rispettivamente nel controllo e adalta CO2. Si può ipotizzare che gli effetti con-trastanti dell’aumento di CO2 sul Ctotal e Cnewdel terreno erano causati da un effetto primingsulla sostanza organica recentemente incorpo-rata nel suolo. L’effetto priming è stato defini-to come stimolazione della decomposizionedella sostanza organica del suolo a causa del-l’aggiunta di substrati di Carbonio labile ov-vero di carboidrati facilmente degradabili. Co-munque, già nel corso del secondo ciclo col-turale l’effetto priming si è ridotto e il Ctotaldel terreno è andato continuamente aumentan-do soprattutto nel trattamento ad alta CO2, ri-spetto al controllo.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Piantare alberi e foreste costituisce un’impor-tante strategia di espansione dei sink di carbo-nio e può fortemente contribuire alla mitiga-zione dei gas serra (Green House Gases) me-diante il sequestro di carbonio nella biomassalegnosa e nel terreno. Mentre le foreste natu-rali soffrono per l’accentuata deforestazione,l’importanza delle piantagioni forestali stacrescendo rapidamente poiché queste occupa-no ormai 190 Mha a scala mondiale con un rit-mo di impianto all’anno di 8.5-10.5 Mha e unaumento netto annuale di circa 2 Mha tra il1965 e il 1990.

Impatti dei cambiamenti climatici

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Page 246: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Nell’esperimento FACE la produttività prima-ria netta annuale è stata calcolata come la som-matoria degli incrementi di biomassa legnosa,di produzione di fogliame e di investimentonelle radici. La NPP per i tre genotipi studiati,alla fine dei tre anni del ciclo colturale è au-mentata nel trattamento ad alta CO2 del 20-36% rispetto al controllo (Gielen et al., 2005).Quindi l’aumento della CO2 atmosferica puòulteriormente espandere la potenzialità di se-questro di carbonio da parte delle piantagioniforestali sia nella componente epigea che inquella ipogea (Norby et al., 2005). Particolareattenzione deve essere comunque indirizzataai processi podologici e alle loro dinamichepoiché, come suggerisce il nostro esperimen-to, la fissazione di carbonio nei diversi com-parti del terreno si modifica col tempo.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

708

Page 247: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Il rapido incremento della concentrazione dianidride carbonica (CO2) nell’atmosfera, re-gistrato a partire dalla metà del diciannovesi-mo secolo, ha indotto la comunità scientificaa sviluppare metodi per determinare la dina-mica del ciclo del carbonio globale. Nell’am-bito del monitoraggio e delle ricerche sugliecosistemi forestali è fondamentale quantifi-care il bilancio netto tra l’assorbimento e l’e-missione di carbonio e stimare, di conseguen-za, il ruolo delle foreste quali possibili “as-sorbitori” di carbonio (carbon sinks).L’accumulo di carbonio da parte di una fore-sta corrisponde alla sua produttività netta diecosistema (NEP), pari all’incremento di bio-massa dei tessuti vivi, soprattutto legnosi, e disostanza organica del terreno (humus), nel-l’arco di un dato periodo di tempo, solita-mente un anno; la misura della NEP di una fo-resta richiede quindi inventari successivi dibiomassa legnosa e di materia organica nelsuolo: tale tecnica, tuttavia, è limitata dallasua laboriosità e, aspetto non secondario, dalfatto che è distruttiva. Ma poiché la NEP puòanche essere considerata pari alla fotosintesitotale del bosco (GPP, Produttività PrimariaLorda), durante lo stesso intervallo tempora-le, al netto della respirazione delle piante (au-totrofa) e della respirazione eterotrofa, cioè

della decomposizione della lettiera epigea(foglie e rametti) e ipogea (radici fini) e dellapredazione da parte degli erbivori, la sua de-terminazione può essere ottenuta misurando iprocessi di scambio gassoso (cioè la risultan-te tra fotosintesi e respirazione) tra coperturaforestale ed atmosfera. Per quel che concerne il metano, non è anco-ra ben chiaro se le piante terrestri rappresen-tino una fonte per questo composto.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Gli scambi di carbonio tra l’ecosistema fore-stale e l’atmosfera vengono ormai frequente-mente misurati con la tecnica della correlazio-ne turbolenta (eddy covariance). Il principioalla base di questa tecnica è rappresentato daimoti turbolenti (da qui il nome) di quella por-zione di atmosfera chiamata Planetary Boun-dary Layer (PBL). Questi moti sono all’origi-ne dei vortici d’aria che giocano un ruolo diprimo piano nel trasferimento di energia e ma-teria. La tecnica eddy covariance, rispetto adaltre tecniche micrometeorologiche, presentadiversi vantaggi; è una misura in situ e non di-sturba l’ambiente al di sopra delle coperture,consente di effettuare misure continue ed è re-lativamente indipendente dalle caratteristichedella superficie e dell’atmosfera (Baldocchi etal., 1988; Valentini et al., 1991).

709

Ecosistemi forestali e mitigazione dei cambiamentiambientali: sequestro di carbonio in foreste italiane

G. Matteucci1, G. Scarascia-Mugnozza2

1Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, CNR, Rende (Cs), Italia2Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale, CNR, Porano (Tr), [email protected]

SOMMARIO: La quantificazione del ciclo globale del carbonio ed il ruolo che la vegetazione ha nel seque-strare carbonio stanno divenendo questioni centrali dell’ecologia globale. Benchè la problematica siatutt’altro che chiarita, crescenti sono le evidenze sperimentali che assegnano alle foreste nel mondo unruolo significativo per l’assorbimento di carbonio (missing sink). In questa nota vengono descritte alcunestazioni di misura degli scambi di carbonio e vapor d’acqua tra ecosistemi forestali e atmosfera realizzatie gestiti dal CNR.

Page 248: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Essa ha le seguenti caratteristiche:- consente la misura integrata degli scambi di

carbonio e vapore acqueo su un’area estesae quindi rappresentativa di aree forestali;

- fornisce stime di assorbimento del carbonio(sequestration) senza essere distruttiva;

- può essere condotta su base temporale con-tinua per una o più stagioni;

- è relativamente poco costosa.Ovviamente presenta anche degli svantaggi:- richiede una copertura abbastanza omogenea;- non è sempre affidabile in condizioni di

forte stabilità atmosferica;- non è sempre raccomandata in condizioni

orografiche complesse. Negli ultimi anni in Italia sono state realizza-te diverse stazioni di misura di flussi di car-bonio, vapor d’acqua e energia tra foreste eatmosfera; la prima è stata costituita, in colla-borazione con il prof. Valentini del Diparti-mento di Scienze dell’Ambiente Forestale edelle sue Risorse, nella foresta sperimentaledi Collelongo (AQ), un ecosistema a faggeta(Fagus sylvatica) dell’Appennino nell’ambi-to del Parco Nazionale d’Abruzzo e ormaifunziona continuativamente da oltre dieci an-ni (Matteucci et al., 1999). Oltre alla stazionesperimentale di Collelongo, l’IBAF-CNR harealizzato e sta gestendo altre due stazioni dirilevamento in bosco che hanno riguardatouna pineta di pino laricio (Pinus laricio) nelbacino montano del Bonis, nel Parco Nazio-nale della Sila in Calabria (Marino et al.,2005, in collaborazione con l’U.O.S. di Ren-de dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Fore-stali del Mediterraneo del CNR) e una forestadi querce caducifoglie (Quercus petraea, Q.cerris) in Emilia, nel Parco Regionale dei bo-schi di Carrega (Sala Baganza, PR, in colla-borazione con il Corpo Forestale dello Stato,progetto CONECOFOR e l’Ente Parco). Que-ste stazioni, insieme ad altre realizzate daUniversità e Istituti di ricerca, formano unasofisticata ed estesa rete di rilevamento dellafunzionalità degli ecosistemi forestali che haconsentito alla ricerca forestale italiana di as-sumere un ruolo di rilievo a livello europeofavorendo anche la realizzazione di una rete

continentale di rilevamento denominataCARBOEUROFLUX (Aubinet et al., 2000).L’applicazione della tecnica eddy covarianceper la stima dei flussi turbolenti di carbonio evapore acqueo prevede l’installazione di unaserie di strumentazioni all’interno dell’ecosi-stema oggetto di studio. La stazione micro-meteorologica è costituita essenzialmente dadue stumenti a risposta veloce, che consento-no la stima diretta dei flussi di carbonio e divapore acqueo, e da altri sensori a rispostalenta per la misura di diverse variabili di inte-resse micrometeorologico che integrano, econsentono di analizzare, le informazioni for-nite dalla misura dei flussi turbolenti. Le va-riabili micrometeorologiche più importantisono la temperatura e l’umidità del suolo (Ts,Usoil), il flusso di calore nel suolo (G), latemperatura dell’aria (Ta), la temperatura delfusto delle piante (Tf), la densità di flusso to-tale di radiazione fotosinteticamente attivasopra chioma (QPPFD), la radiazione globale(Rg), la radiazione netta (Rn), l’umidità rela-tiva dell’aria (Uair), le precipitazioni e lapressione atmosferica (P). I sensori che rile-vano le variabili appena elencate sono dispo-sitivi elettronici analogici il cui segnale dioutput viene raccolto e digitalizzato da appo-siti data-logger. Gli strumenti a risposta veloce sono l’anemo-metro ultrasonico, che rileva con frequenzaelevata le tre componenti della velocità delvento e la temperatura sonica, e un analizza-tore per la misura della concentrazione di unao più specie chimiche di interesse fisiologico;in questo studio le specie chimiche misuratesono la CO2 e il vapore acqueo. Una serie di pannelli solari collegati alle bat-terie poste in serie, forniscono l’energia elet-trica continua necessaria per l’alimentazionedei sensori; naturalmente quando il cielo è co-perto per lunghi periodi i pannelli solari po-trebbero non essere sufficienti e perciò si ren-derebbe necessario attivare un gruppo elettro-geno per ricaricare le batterie. Nelle nostre stazioni, l’anemometro ultraso-nico è posizionato sopra le chiome delle pian-te (da 26 a 33 m, a seconda dell’altezza degli

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

710

Page 249: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

alberi) e alla stessa altezza si trova l’estremitàdel tubo di campionamento che, grazie ad unapompa che funziona in aspirazione, convoglial’aria atmosferica fino all’analizzatore di CO2e H2O. Un analizzatore di questo tipo, in cuiil gas atmosferico deve essere convogliato al-l’interno dello strumento per poter essere esa-minato, è detto sistema a cammino chiuso(closed-path). L’analizzatore produce un se-gnale elettrico analogico proporzionale allaconcentrazione dei gas campionati; questo se-gnale viene inviato all’anemometro ultrasoni-co che lo digitalizza e lo accoppia ai valori divelocità del vento e di temperatura sonica, ge-nerando così un’unica stringa di dati. Que-st’ultima viene inviata ad un data-logger o adun computer, impiegando il protocollo di co-municazione RS-232, o RS422 nel caso l’a-nemometro si trovi a grande distanza dalcomputer. Il data-logger infine immagazzinai dati sia nella propria RAM che su una sche-da PCMCIA da 1 gigabyte; la fase di elabora-zione è successiva allo scaricamento di questidati e avviene in laboratorio.

3 RISULTATI RILEVANTI

Sulla base di serie pluriennali di dati, la capa-cità di sequestrare carbonio da parte delle no-stre foreste (NEP) è stata stimata intorno a 4ton C ha-1 a-1, di cui il 60% nella biomassa le-gnosa e il resto come carbonio organico delterreno. Le oscillazioni, da un anno all’altro,della produzione netta di un dato ecosistemasono molto ampie, anche del 50%, in funzio-ne dell’andamento climatico; ovviamente,notevoli sono anche le differenze di NEP infunzione delle specie forestali che compongo-no il bosco e della fertilità stazionale (Valen-tini et al., 1996). Questi sono valori comun-que elevati a scala mondiale e fanno ritenereche le foreste temperate siano tra le più attivenell’assorbimento di carbonio, per unità disuperficie del terreno. Questa elevata funzio-nalità è anche dovuta al fatto che le forestetemperate, quali anche quelle italiane, sonoquasi tutte trattate selvicolturalmente e quindiin fase di attiva crescita anche ad età prossi-

ma alla scadenza del turno selvicolturale. In-fine, va sottolineato che alla fine del ciclo dicrescita del bosco gran parte della biomassalegnosa prodotta verrebbe asportata nel casoin cui il bosco sia sottoposto a trattamentoselvicolturale; pertanto il carbonio durevol-mente immagazzinato dall’ecosistema rimar-rebbe essenzialmente quello della sostanzaorganica del terreno.I risultati ottenuti, sia su base giornaliera(Fig. 1) che stagionale e di bilancio annuale,confermano la validità dell’approccio inte-grato alla copertura forestale; questa può es-sere, infatti, considerata come un’unità fun-zionale alla quale si possono applicare le di-verse curve di risposta ai parametri ambienta-li già individuate per singoli tessuti e organi.Inoltre, è stata dimostrata la possibilità di de-terminare direttamente la produttività prima-ria netta degli ecosistemi forestali e di seguir-ne l’evoluzione stagionale. Queste informa-zioni sono indispensabili per valutare il ruolosvolto dai diversi tipi di foreste temperate nelciclo globale del carbonio e, anche, le intera-zioni tra foreste e cambiamenti climatici.

4 PROSPETTIVE FUTURE

In letteratura comunque non vi sono, ad oggi,dati sufficienti sull’influenza delle condizioniclimatiche, dei tipi di foreste, dell’età dei so-prassuoli forestali e della selvicoltura sul bi-lancio del carbonio degli ecosistemi forestali.

Impatti dei cambiamenti climatici

711

Fig. 1: Andamento giornaliero degli scambi di CO2 conla tecnica eddy covariance in una pineta di pino laricio,in Calabria. I valori di scambio netto di CO2 (FC) sono ri-portati sull’asse delle ordinate di sinistra, mentre i valoridi radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) sull’asse didestra (da Marino et al., 2005).

Page 250: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Ulteriori ricerche in questo campo potrannofornire importanti informazioni circa gli ef-fetti delle diverse tecniche selvicolturali sulbilancio del carbonio ai fini di un’ottimizza-zione del sequestro di CO2 e di altri gas serradall’atmosfera. Gli obiettivi delle future attività di ricerca do-vranno quindi prendere in considerazione iseguenti aspetti riguardanti le alterazioni am-bientali (disturbances) e gli interventi selvi-colturali, anche mediante realizzazione di sta-zioni mobili di rilevamento di flussi gassosisopra foresta:1. Confronto dei bilanci di carbonio in cro-

nosequenze di diverse formazioni foresta-li mediterranee;

2. Realizzazione di stime su soprassuoli sot-toposti a differenti tipi di governo e/o tec-niche selvicolturali;

3. Stima del contributo delle diverse compo-nenti del bilancio Ra ed Rh della cronose-quenza;

4. Creazione di modelli ecologici per descri-vere gli effetti delle attività selvicolturalisull’ecosistema forestale.

Le linee di ricerca avviate oltre 10 anni fa ri-mangono dunque a tutt’oggi perfettamentevalide. Esse verranno perseguite attraverso losviluppo di metodologie sempre più innovati-ve per lo studio dell’emissione e dei flussi diBVOC dalla vegetazione terrestre.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

712

Page 251: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

La stima dei bilanci dell’acqua e del carbonioapplicati alle foreste hanno importanti risvol-ti scientifici e ricadute operative. Tali dati so-no utilizzati per mantenere sostenibile losfruttamento produttivo delle foreste sia a li-vello locale che regionale. La necessità dimonitorare e quantificare la quantità di carbo-nio accumulato dalle foreste è recentementeincrementata in vista dell’applicazione delprotocollo di Kyoto. Infatti per determinare laquantità di CO2 emessa in atmosfera da ognipaese è necessario il calcolo della quantità diCO2 che può essere sottratta o emessa dai va-ri ecosistemi soprattutto nei casi in cui gli sta-ti adottino azioni di mitigazione come: fore-stazioni, riforestazioni e cambio di uso suolo.In ambiente forestale, i metodi convenzionaliper effettuare tale valutazione sono basati sumisure puntuali a terra degli accrescimenti le-gnosi. Tali misure, tuttavia, essendo piuttostoonerose, non sempre sono capaci di coprire

adeguatamente la variabilità spaziale del ter-ritorio e sono comunque difficilmente ripeti-bili di frequente. Stime alternative sono fornite dalle torri di“eddy covariance”, che misurano direttamen-te i principali termini dei flussi di carbonio.L’impianto e la gestione di tali torri sono co-munque piuttosto complessi e costosi, così danon permettere una sufficiente copertura del-la menzionata variabilità spaziale del territo-rio. Queste torri sono quindi maggiormenteutili a scopi di calibrazione o validazione dialtre metodologie.Inoltre tutte questi metodi di stima non con-sentono di valutare in modo quantitativo lepossibili conseguenze di possibili cambia-menti di uso del suolo e/o climatici e quindiprogettare eventuali interventi di mitigazioneche uno stato volesse intraprendere. Per cer-care di ovviare a tutte queste problematiche èstata intrapresa la strada della modellizzazio-ne dei principali processi forestali basata sul-l’uso di dati telerilevati ed ausiliari.

713

Modellizzazione dell’accumulo di carbonio in ecosistemi forestali tramite elaborazione di dati telerilevati e ausiliari

L. Fibbi1, M. Chiesi1, F. Maselli1, M. Moriondo2, M. Bindi2, G. Maracchi1

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia2Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale, Università di Firenze, Italia

[email protected]

SOMMARIO: La presente ricerca ha sviluppato e testato una metodologia capace di simulare i principali ter-mini che compongono il bilancio del carbonio di un ecosistema forestale (GPP, NPP, NEE) per l’intera re-gione Toscana. Preliminarmente sono stati raccolti dati per effettuare una caratterizzazione climatica ed eco-logica delle foreste della Toscana: dati meteorologici spazializzati, stime mensili di FAPAR derivate da im-magini VGT NDVI e dati sul tipo e volume della copertura forestale. Successivamente sono state ottenutestime mensili di GPP delle foreste utilizzando un modello parametrico basato sulle immagini NDVI (C-Fix).Queste sono state utilizzate per calibrare il modello BIOME-BGC, che è stato poi utilizzato per produrre sti-me di GPP, NPP e NEE a condizioni climax. Queste sono poi state corrette per ottenere stime di flussi del-le foreste reali, che sono state validate con misure raccolte a terra. I risultati della validazione indicano chela metodologia sviluppata è capace di produrre stime accurate del bilancio del carbonio forestale.

Page 252: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Tale approccio consente infatti di ottenere sti-me sufficientemente accurate di tutti i princi-pali termini del ciclo del carbonio con ade-guate risoluzioni spaziali e temporali e di da-re corso a simulazioni di ogni eventuale sce-nario futuro che si intenda testare.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Il presente lavoro continua una linea di ricer-ca iniziata diversi anni fa (Chiesi et al., 2005;Maselli e Chiesi, 2006; Maselli et al., 2006) eriassume le principali fasi di uno studio rivol-to a sviluppare e validare una metodologia distima dei flussi di carbonio nelle foreste dellaregione Toscana.

2.1 Dati utilizzatiÈ stata utilizzata come area di studio la regio-ne Toscana per la quale si disponevano dei da-ti ausiliari necessari a validare la metodologia.In particolare sono state utilizzati i dati di duetorri di misura degli scambi gassosi poste pres-so il parco naturale di San Rossore (43.7° N,10.5° E) per il periodo 1999-2002 e la localitàdi lecceto (43.3° N, 11.29° E) per l’anno 2005.Sono state elaborate mappe giornaliere ditemperatura minima e massima e di precipita-zione per il periodo 1999-2005 spazializzan-do i dati provenienti da 74 stazioni termome-triche e da 159 stazioni pluviometriche. L’al-goritmo di spazializzazione adottato è statoquello proposto da Thornton et al., 1997 uti-lizzando un DTM con risoluzione di 200 m.Successivamente, a partire dai dati di tempe-ratura e precipitazione, sono stati stimati i da-ti di radiazione globale e pressione di vaporeutilizzando il programma MT-CLIM.I dati misurati durante l’inventario forestaledella regione Toscana sono stati elaborati in-sieme ad immagini satellitari ad alta risolu-zione per produrre una mappa del volume fo-restale secondo la metodologia descritta inMaselli e Chiesi, 2006.Le immagini satellitari utilizzante in questostudio comprendo: 2 scene Landsat TM uti-lizzate per la selezione dei punti di campiona-mento necessari per calibrare BIOME-BGC,

una serie di immagine NDVI per l’intero pe-riodo di studio (1999-2003) provenienti daisensori del satellite Spot-Vegetation che sonostate calibrate, corrette e processate in imma-gini composte su base decadale.

2.2 Modelli utilizzatiIl modello C-Fix stima la produttività prima-ria delle foreste (GPP) come funzione dellaradiazione fotosinteticamente attiva assorbitadalla vegetazione. Stime di questa radiazionederivate da satellite sono combinate con stimedella radiazione solare stimata sulla superfi-cie terrestre e misure di temperatura dell’ariaper simulare la fotosintesi grezza e poi l’ac-cumulo netto di carbonio sottraendo la respi-razione della vegetazione.Il modello BIOME-BGC è un modello bio-geochimico sviluppato all’università delMontana capace di stimare il flusso di carbo-nio, azoto e acqua all’interno di ogni ecosi-stema terrestre (White et al., 2000). Questomodello utilizzando i dati meteorologici pre-cedentemente descritti ed informazioni ri-guardanti il suolo e la vegetazione permette lastima di GPP, NPP e NEE di un ecosistema inuna condizione di quasi climax. Per otteneredelle buone stime da questo modello è neces-sario aggiustare alcuni importanti parametriall’ambiente in cui viene applicato (Chiesi etal., 2007).

2.3 Metodologia sviluppataLa GPP stimata da C-Fix e da BIOME-BGCsono in pratica inter-comparabili e aprono lapossibilità di usare quelle derivate dal model-lo C-Fix, che sono più accurate, per calibraree stabilizzare il modello BIOME-BGC (Chie-si et al., 2007). Una volta calibrato il modelloBIOME-BGC si possono utilizzare le sue sti-me di NPP e NEE perché più accurate di quel-le di C-Fix. Le stime prodotte da BIOME-BGC vanno corrette per tenere conto del fat-to che il modello riproduce un ecosistema incondizioni di quasi climax, mentre le forestesi possono attualmente trovare in una situa-zione anche lontana da tale equilibrio se p. es.sono sottoposte a tagli di produzione. Le

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

714

Page 253: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

restale raggruppando i dati misurati in 6 clas-si in base al volume per ognuno dei principa-li ecosistemi forestali presenti nella regione. Irisultati di questa validazione hanno mostratoun buon accordo tra dati misurati e simulaticon differenze significative visibili solo per icastagneti e le conifere montane.L’NEEA è stato poi confrontato con le misuredisponibili derivanti dalle torri di flusso (inFig. 2 il caso di S. Rossore) ed anche in que-sto caso le stime mostrano un buon accordocon le misure.Nella Tabella 1 sono riportati i valori medi

Impatti dei cambiamenti climatici

715

equazioni proposte per correggere tali para-metri sono:

NPPA=GPP · (1-e-LAIA) / (1-e-LAI) - Rgr · (1-e-

LAIA) / (1-e-LAI) - Rmn · NVA

NEEA=GPP · (1-e-LAIA) / (1-e-LAI) - Rgr · (1-e-

LAIA) / (1-e-LAI) - Rmn · NVA - Rhet ·NVA

2

dove NPPA produzione primaria netta corret-ta, NEEA scambio netto dell’ecosistema cor-retto, GPP produttività primaria grezza deri-vata dal modello, LAI e LAIA indice di areafogliare derivato dal modello (condizioni diclimax) ed attuale, Rgr respirazione di cresci-ta, Rmn respirazione di mantenimento deriva-ta dal modello, Rhet respirazione eterotrofaderivata dal modello e NVA volume attualedella parte legnosa della foresta derivato dal-l’inventario forestale normalizzato rispetto almassimo volume possibile della foresta ovve-ro nella situazione di climax derivato dal mo-dello. Nella Figura 1 viene data una schema-tica rappresentazione di questa metodologia.

3 RISULTATI RILEVANTI

Le stime di NPPA ottenute sono state con-frontate con i dati derivati dall’inventario fo-

Figura 1: Schema della metodologia applicata per la sti-ma dell’attuale flusso di carbonio di una foresta.

Figura 2: NEE mensile misurata e simulata per il sito diS. Rossore per il periodo 1999-2002 (r=0,871 e RM-SE=23,3 g C / m2 / anno per il modello BIOME eR=0,841 e RMSE=19,6 g C / m2 / anno per il modelloC-Fix+BIOME, entrambe le correlazioni sono altamentesignificative P<0,01).

Tabella 1: Stima dei valori medi NPP e NEEper i vari ecosistemi in cui sono state suddivi-se le foreste toscane (i valori sono espressi in gC / m2 / anno).

Ecosistema Modello NPP NEEQuerciedecidue

BIOMEBIOM+C-Fix

414419

402407

Leccio BIOMEBIOM+C-Fix

268280

263275

Castagno BIOMEBIOM+C-Fix

353358

344348

Faggio BIOMEBIOM+C-Fix

343328

333318

Conifere nonmontane

BIOMEBIOM+C-Fix

364316

357309

Coniferemontane

BIOMEBIOM+C-Fix

321313

313304

Page 254: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

stimati di NPPA e di NEEA per i diversi eco-sistemi forestali Toscani. Come si può notare,i valori di NPPA sono solo leggermente supe-riori a quelli di NEEA; in generale entrambi siattestano intorno a 300-400 g C/m2/anno.Questo indica che si tratta di ecosistemi pocoproduttivi e comunque lontani dalla situazio-ne di climax.

4 PROSPETTIVE FUTURE

L’integrazione dei modelli C-Fix e BIOME-BGC ha mostrato di essere un buon metodooperativo per monitorare gli ecosistemi fore-stali a scala regionale che va al di là di unasemplice tecnica di processamento di dati, inquanto si basa su solidi concetti eco-fisiologi-ci. Ci si aspetta, quindi, che questa metodolo-gia produca stime accurate dei flussi del car-bonio anche quando venga applicata in altreregioni e quindi possa essere proficuamenteutilizzata anche per il monitoraggio globaledella vegetazione.La metodologia è aperta a possibili migliora-menti in quanto si possono utilizzare ancheinformazioni riguardanti i suoli ed allungarela serie di dati in modo da avere una migliorecaratterizzazione della variabilità interannua-le dei processi considerati.

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

716

Page 255: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 INTRODUZIONE

La [CO2] atmosferica è stabilmente aumenta-ta a partire dalla rivoluzione industriale, pas-sando da circa 270 µmol mol-1 a 375 µmolmol-1, a causa del cambiamento d’uso del ter-ritorio e soprattutto a causa dell’impiego deicombustibili fossili e continua ad aumentaredi circa 1,8 µmol mol-1 all’anno. In base alcorrente uso dei combustibili fossili si stimache [CO2] atmosferica raggiungerà 700 µmolmol-1 verso la metà del 21° secolo, e ciò com-porterà un aumento della temperatura terre-stre di circa 2-4 °C.Il bacino mediterraneo è estremamente vulne-rabile ai cambiamenti climatici (Centritto etal., 2002) poiché questi potranno esacerbaregli effetti negativi della siccità che già oggiincidono notevolmente sulla produttività de-gli ecosistemi agricoli e forestali (Centritto etal., 2005). Tutto ciò solleva l’importante in-terrogativo in merito alle potenziali variazio-ni quantitative e qualitative nella produzionedegli ecosistemi agro-forestali indotte daicambiamenti climatici. La risposta a questointerrogativo è essenziale per poter effettuareprevisioni sull’impatto dei cambiamenti cli-matici sulla stabilità degli ecosistemi agro-fo-restali nell’area mediterranea e quindi in Eu-

ropa. Inoltre queste conoscenze sono egual-mente critiche per poter formulare previsionisulla futura sicurezza alimentare e per poterquantificare il ruolo della vegetazione terre-stre nella regolazione del ciclo della CO2 edelle conseguenti ripercussioni sulle variazio-ni del clima globale. La soluzione di questiproblemi richiede una stima più precisa e rea-listica possibile della risposta delle piante aicambiamenti climatici. La comprensione delmetabolismo del carbonio è vitale poiché gliecosistemi terrestri hanno una importanzaconsiderevole nel ciclo globale del carbonio(Long et al., 2004). L’identificazione della di-stribuzione spaziale e temporale delle sink dicarbonio è uno dei punti chiave del protocol-lo di Kyoto, che prevede che i Paesi Europeiriducano le loro emissioni di gas serra di al-meno l’8%, rispetto all’emissioni degli anni’90, entro il 2008-12. L’assorbimento di car-bonio da parte degli ecosistemi terrestri è in-cluso in queste computazioni. C’è quindi lanecessità reale di effettuare calcoli precisi sulbudget di carbonio nei vari tipi di ecosistemi.La soluzione di questi problemi richiede unastima più precisa e realistica possibile a livel-lo di ecosistemi della risposta delle piante aicambiamenti climatici.

717

Impatto dei Cambiamenti Climatici sugli Ecosistemi Agro-Forestali Mediterranei

M. CentrittoIstituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Roma, [email protected]

SOMMARIO: Lo studio è finalizzato allo sviluppo e all'applicazione di un insieme coordinato di tecnologiee metodologie innovative volte ad ottenere informazioni sulla risposta degli ecosistemi terrestri ai cam-biamenti globali in modo da poter (1) comprendere l’impatto dei cambiamenti globali sugli scambi gas-sosi della vegetazione agro-forestale mediterranea, (2) effettuare previsioni sulla futura sostenibilità agri-cola e forestale nelle regioni mediterranee e (3) quantificare il ruolo che gli ecosistemi agro-forestali svol-gono e svolgeranno come sink di carbonio allo scopo di valutarne e predirne gli effetti sul clima nella re-gione mediterranea.

Page 256: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

La problematica dei cambiamenti globali hastimolato negli ultimi due decenni una quan-tità notevole di ricerche sperimentali nel cam-po dell’ecologia vegetale in cui si è manipo-lato, con tecniche disparate, la [CO2] con loscopo di simulare l’effetto serra: sono i cosid-detti studi d’impatto. Si sono condotti studiche vanno dagli aspetti molecolari, alle rispo-ste fisiologiche primarie e secondarie, alle ri-sposte terziarie di crescita delle piante (Cen-tritto e Jarvis, 1999), fino a definire i control-li ecologici del sequestro del carbonio. Se viè un generale consenso sugli effetti positividelle fumigazioni con alte concentrazioni diCO2, sull’accrescimento della parte epigeadelle piante (Centritto et al., 1999a), moltomeno è noto riguardo alla allocazione degliassimilati alle diverse parti della pianta: men-tre in piante giovani è stato in genere eviden-ziato un aumento della superficie fogliare, ipochi esperimenti effettuati su piante adulteadattate alle alte concentrazioni di CO2 hannomostrato una diminuzione dell’area fogliare edel rapporto fra biomassa fogliare e biomassalegnosa. Ciò porta a ipotizzare una riduzionedella traspirazione a parità di area fogliare(Centritto et al., 1999d), ulteriormente accre-sciuta dalla riduzione della apertura stomati-ca, e una variazione della qualità della lettie-ra, con aumento percentuale delle frazioni le-gnose. Allo stesso tempo, poco è noto sulledinamiche di nascita, crescita e decomposi-zione delle radici ad alte concentrazioni dianidride carbonica, per cui esistono risultatisperimentali discordanti (Centritto et al.,1999b); è noto come tali dinamiche d’altraparte, siano ampiamente influenzate dallecondizioni edafiche, in particolare dalla di-sponibilità di acqua e dalla struttura del terre-no, a loro volta determinate dai cambiamentiglobali in corso (Long et al., 2004).

3 RISULTATI RILEVANTI

I risultati ottenuti hanno mostrato che non c’ènessun effetto interattivo tra elevata [CO2] e

stress idrico. L’elevata [CO2] infatti miglioral’efficienza dell’uso dell’acqua da parte dellavegetazione (Tab. 1), ma poiché non influenzal’evapotraspirazione totale (Tab. 2) non ha nes-sun effetto sull’uso totale dell’acqua e quindisulla conservazione dell’acqua del suolo.

Tabella 1: Efficienza totale dell’uso dell’acqua(g kg-1) di piante di ciliegio cresciute a 360 µmolmol-1 o a 700 µmol mol-1 di CO2 e sottoposte astress idrico in due consecutive stagioni di crescita(Centritto et al. 1999c).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Tabella 2: Acqua totale (dm3) traspirata da piantedi ciliegio cresciute a 360 µmol mol-1 o a 700µmol mol-1 di CO2 e sottoposte a stress idrico indue consecutive stagioni di crescita (Centritto etal., 1999c).

Questi studi inoltre non hanno considerato glieffetti interattivi tra l’aumento della [CO2] el’innalzamento della temperatura (che è inrealtà l’aspetto di maggior preoccupazionedei cambiamenti climatici) sulle variabili stu-diate. Per questa ragione i loro risultati po-trebbero portare a previsioni errate sugli sce-nari futuri determinati dai cambiamenti cli-matici. L’aumento della temperatura infatti haper molti aspetti effetti opposti all’aumentodella [CO2], in particolare sui tre processi pri-mari direttamente influenzati dall’aumentodella [CO2] (fotosintesi, respirazione e traspi-razione) e sui cicli biogeochimici dell’acqua edei principali elementi nutritivi (Centritto etal., 1999c). Inoltre l’aumento della tempera-tura può alterare la struttura e le funzioni de-gli ecosistemi, influenzandone quindi sia laproduttività che la capacità di agire come sink

Efficienza dell’uso dell’acqua[CO2] controllo stressElevata 11.4 ± 0.4 a 18.5 ± 0.9 aAmbiente 7.7 ± 0.2 b 12.3 ± 0.6 b

Traspirazione[CO2] controllo stressElevata 17.17 ± 0.46 a 8.61 ± 0.16 aAmbiente 18.13 ± 0.55 a 8.99 ± 0.21 a

Page 257: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

del carbonio atmosferico, attraverso: 1) unaumento di velocità dello sviluppo ontogene-tico, 2) una sostanziale variazione della dura-ta del ciclo vegetativo, 3) una più elevata do-manda evapotraspirativa ed una maggiore fre-quenza e intensità dei fenomeni siccitosi, 4)una migrazione della vegetazione, come con-seguenza dello spostamento altitudinale e la-titudinale dei limiti termici, con conseguentivariazioni nella composizione delle comunitàvegetali, 5) una variazione del ciclo biogeo-chimico, per la mutata composizione e quan-tità della lettiera, per la diversa attività dellepopolazioni decompositrici, per una loro di-versa composizione. L’innalzamento dellatemperatura media e le variazioni nella fre-quenza e distribuzione delle precipitazionicon conseguente aumento dei fenomeni sicci-tosi e salificazione dei suoli costituirannoprobabilmente il pericolo più elevato e colpi-ranno soprattutto le regioni alle medie e bas-se latitudini. Il bacino mediterraneo, che sitrova a confine tra le medie e basse latitudini,sarà quindi direttamente interessato dai cam-biamenti globali attraverso l’intensificazionedella frequenza, severità e imprevedibilità deifenomeni siccitosi e di salinità dei suoli.I cambiamenti globali dunque accrescerannoquei fenomeni che già oggi esplicano un pesonotevole non solo sulla crescita e produttivitàdegli ecosistemi ma anche sui processi di de-sertificazione in atto nelle regioni mediterra-nee. Inoltre i cambiamenti climatici potrebbe-ro persino causare un declino degli ecosiste-mi agro-forestali. Infatti, prendendo in consi-derazione la risposta di breve periodo dellarespirazione e fotosintesi all’aumento combi-nato della temperatura e della CO2 (aumentoesponenziale della respirazione a fronte di au-menti della velocità della fotosintesi progres-sivamente più bassi) e considerando che nel-la seconda metà del 21o secolo la [CO2] rad-doppierà provocando un aumento della tem-peratura media di 2-4 °C, si potrebbe ipotiz-zare che i cambiamenti climatici porterannoad un declino della vegetazione agro-foresta-le verso la fine di questo secolo. Esiste peròancora molta incertezza sulla risposta di lun-

go periodo di respirazione e fotosintesi e sulgrado e sulla direzione dell'acclimatazione dientrambi i processi in risposta ai cambiamen-ti climatici (Fig. 1). La previsione quindi delprobabile impatto dei cambiamenti climaticisui sistemi agro-forestali richiede una stimadella respirazione e della fotosintesi più pre-cisa e realistica possibile (Centritto et al.,2004). In particolare, è di fondamentale im-portanza la comprensione delle relazioni tra itre parametri che definiscono la capacità foto-sintetica e la concentrazione fogliare di azotoe come queste relazioni possono essere in-fluenzate dalle resistenze alla diffusione dellaCO2 all’interno delle foglie. La conoscenza diqueste relazioni e dei fattori ambientali che li-mitano la fotosintesi, così come dei fattori diacclimatazione della fotosintesi all’internodella vegetazione, è importante sia concet-tualmente che numericamente per la defini-zione dei modelli di studio sulla risposta del-la vegetazione agro-forestale ai cambiamenticlimatici.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Le piante oltre ad essere fonte di ossigeno,rappresentano la componente di base della ca-tena alimentare. L’elevate temperature e lostress idrico potrebbero alterare l’equilibriotra i processi della fotosintesi (che sottraeCO2 all’atmosfera) e della respirazione (cherilascia CO2 nell’atmosfera) inibendo l’assi-milazione netta del carbonio (Atkin et al.,

Impatti dei cambiamenti climatici

719

Figura 1: Ipotetiche curve di risposta della fotosintesi edella respirazione all’aumento della [CO2] e della tempe-ratura nel corso del 21 secolo.

Page 258: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

2005), causando così un declino degli ecosi-stemi agro-forestali e di conseguenza la lorofunzione mitigatrice dell’effetto serra. Inoltre,una minore assimilazione netta può implicareuna minore capacità di produzione degli eco-sistemi agricoli che metterebbe a repentagliola capacità di soddisfare le future domandealimentari da parte della crescente popolazio-ne mondiale. È quindi di fondamentale im-portanza studiare e capire compiutamente iprocessi di acclimatazione della fotosintesi edella respirazione all’interazione tra l’elevata[CO2], alte temperature e stress ambientali alfine di migliorare le nostre conoscenze suipotenziali cambiamenti produttivi degli eco-sistemi agro-forestali e di poter fornire dati econoscenze concettuali per l’implementazio-ne dei modelli di simulazione della rispostadella vegetazione ai cambiamenti climatici.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

720

Page 259: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

Il fuoco ha sempre rappresentato un importan-te e frequente fattore di disturbo per la vegeta-zione spontanea negli ecosistemi mediterra-nei. L’area mediterranea è caratterizzata daun’elevata frequenza di incendi boschivi,spesso di dimensioni notevoli. Benché l’insor-genza degli incendi boschivi sia prevalente-mente legata a fattori socio-economici, l’en-tità della propagazione dell’incendio dipendeda una serie di fattori di tipo topografico, me-teorologico e vegetazionale. I fattori meteoro-logici estrinsecano il loro effetto sia sullo sta-to del combustibile vegetale, e quindi sulla suainfiammabilità, sia sulla velocità di propaga-zione dell’incendio. Una maggiore severitàdelle condizioni di aridità, indotta dai cambia-menti climatici in ambiente mediterraneo, po-trebbe avere importanti ripercussioni sulle ca-ratteristiche globali di infiammabilità delcombustibile vegetale, influenzando la distri-buzione del carico di combustibile nei diversistrati di vegetazione, la composizione floristi-

ca, il rapporto tra biomassa e necromassa.Inoltre, le variazioni a carico delle precipita-zioni e delle temperature medie eserciterebbe-ro un’influenza diretta sul contenuto d’acquadel combustibile vegetale, e quindi sulla suainfiammabilità (Mouillot et al., 2002). In defi-nitiva l’impatto dei cambiamenti climatici suecosistemi di tipo mediterraneo potrebbe di-pendere da complesse interazioni fra un effet-to diretto sullo stress idrico della vegetazionee conseguenti modificazioni delle caratteristi-che di infiammabilità, e effetti indiretti sul re-gime del fuoco indotti da cambiamenti in ter-mini di biomassa, necromassa e composizionedelle specie (Mouillot et al., 2002).Studi condotti sul bacino del mediterraneo(Rambal e Hoff, 1998) hanno evidenziatocome nelle ultime decadi si sia verificato unaumento superiore a quello medio globaledella temperatura media annua, con una si-gnificativa diminuzione delle precipitazioniannue, in particolare nell’Italia meridionale(Brunetti et al., 2000). Alla luce delle varia-zioni climatiche osservate e degli scenari pre-

721

Effetto dei cambiamenti climatici sul rischio di incendi boschivi in area mediterranea

B. Arca1, G. Pellizzaro1, P. Duce1, A. Ventura1, P. Zara1, D. Spano2, C. Sirca2, M. Salis2, R.L. Snyder3, K.T. Paw U3

1Istituto di Biometeorologia, CNR, Sassari, Italia 2Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei, Università di Sassari, Italia3Scienze dell’Atmosfera, Università della California, Davis, Ca, [email protected]

SOMMARIO: In questo lavoro sono brevemente illustrate una serie di attività di ricerca tra loro collegate efinalizzate a (i) valutare l’influenza delle variabili meteorologiche sullo stato del combustibile vegetale, (ii)calibrare e validare modelli di previsione della propagazione degli incendi boschivi in ambiente mediter-raneo, (iii) sviluppare metodi micrometeorologici per la determinazione del rischio di incendi boschivi. Irisultati hanno mostrato (i) come il contenuto di acqua nelle specie mediterranee varia fra le diverse spe-cie in funzione dei differenti meccanismi di adattamento alle condizioni di aridità, (ii) le possibilità appli-cative del simulatore della propagazione degli incendi FARSITE in ambiente mediterraneo, e (iii) l’affida-bilità del metodo Surface Renewal, in combinazione con misure di radiazione netta e di densità di flussodi calore nel suolo, per la determinazione del rischio di incendi boschivi in ambiente mediterraneo.

Page 260: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

visti per il futuro diventa essenziale la valuta-zione dell’impatto di tali variazioni in terminidi pericolo di insorgenza e di propagazionedegli incendi boschivi.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’attività di ricerca è stata finalizzata (i) allavalutazione dell’influenza delle variabili me-teorologiche sullo stato del combustibile ve-getale, (ii) alla calibrazione e validazione dimodelli di previsione della propagazione de-gli incendi boschivi in ambiente mediterra-neo, (iii) allo sviluppo di metodi micrometeo-rologici per la determinazione del rischio diincendi boschivi.Gli studi sono stati condotti in due differentiaree della Sardegna caratterizzate da vegeta-zione a macchia mediterranea. Il primo, loca-lizzato in area costiera, rappresenta una vege-tazione rigeneratasi naturalmente dopo un in-cendio verificatosi nella metà degli anni set-tanta. Il secondo è localizzato in un’area col-linare interna e rappresenta un ecosistema al-tamente disturbato e degradato dal verificarsidi frequenti incendi. In una prima fase dellaricerca, l’attività di studio è stata finalizzataalla caratterizzazione del combustibile vege-tale presente e alla valutazione, per le speciedominanti la vegetazione, delle relazioni frainfiammabilità della vegetazione e contenutodi acqua. In questa fase, inoltre è stata analiz-zata l’influenza delle variabili meteorologi-che e del ciclo di sviluppo delle piante sulcontenuto d’acqua della vegetazione. I valori dei principali parametri relativi allavegetazione a macchia mediterranea delle dif-ferenti aree sperimentali sono stati utilizzatiper la messa a punto di un modello di combu-stibile maggiormente rappresentativo dellecondizioni della macchia mediterranea.Questi dati, unitamente ai valori dei principa-li parametri meteorologici e a una serie di te-matismi di input organizzati in un sistemainformativo geografico, sono stati utilizzatiper applicare il simulatore della propagazionedegli incendi denominato FARSITE (FireArea Simulator, Finney 1998) su tre eventi di

incendio verificatisi in Sardegna nel biennio2004-2005.Lo scopo di questa attività sperimentale con-siste nella calibrazione e validazione del si-mulatore di propagazione nelle condizionimeteorologiche e vegetazionali che caratte-rizzano la macchia mediterranea.Il simulatore FARSITE è basato sul modellosemiempirico sviluppato da Rothermel (1972),nella forma implementata nel sistema BEHA-VE (Fire Behavior Prediction and FuelModeling System, Andrews 1986). FARSITEha fornito dettagliate mappe del comportamen-to del fuoco e dei suoi effetti (velocità di pro-pagazione, area coperta dall’incendio, intensitàlineare del fronte di fuoco, ecc.) su differentiscale spaziali e temporali. Le mappe fornite dalsimulatore sono state confrontate con le areerealmente coperte dell’incendio al fine di valu-tare l’accuratezza delle simulazioni mediantedifferenti indici statistici (coefficiente Kappadi Cohen’s e coefficiente di Sørensen).Infine, è stato sviluppato un indice di rischiodi incendio (Fuel dryness index, Fd) basatosulla determinazione del bilancio energetico esulla misura a elevata frequenza della tem-peratura dell’aria in ecosistemi forestali.L’indice si basa sulla quantificazione dei flus-si turbolenti di calore sensibile e latente attra-verso l’analisi delle fluttuazioni rapide dellatemperatura dell’aria (Surface RenewalAnalysis). Tale metodo consente di ottenereuna stima accurata del flusso di calore sensi-bile, senza richiedere peraltro né la conoscen-za delle condizioni di stabilità atmosferica néla misura del profilo verticale della velocitàdel vento (Paw et al., 1992; Snyder et al.,1996; Duce et al., 1997; Snyder et al., 2006).L’indice di rischio di incendio Fd si prestainoltre a essere utilizzato nell’ambito dei si-stemi operativi di monitoraggio del rischio diincendio.

3 RISULTATI RILEVANTI

Per tutte le specie è stata osservata una signi-ficativa relazione fra contenuto di acqua deitessuti vegetali e tempi di ignizione (Tab. 1).

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

722

Page 261: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

I risultati hanno inoltre evidenziato come ilcontenuto di acqua nelle specie presenti varia-va fra le diverse specie in funzione dei diffe-renti meccanismi di adattamento alle condi-zioni di aridità, mentre all’interno della stessaspecie il contenuto di acqua poteva variare infunzione sia delle variabili meteorologiche(Tab. 2) sia in funzione delle fasi fenologicheche, come è noto, sono fortemente dipendentidall’andamento termo-pluviometrico.Lo studio ha inoltre evidenziato le possibilitàapplicative del simulatore FARSITE in am-biente mediterraneo (Tab. 3 e Fig. 1). Pertantola disponibilità di un simulatore di propaga-zione calibrato e validato nelle condizionimeteorologiche e vegetazionali delle aree me-diterranee è un aspetto essenziale per la simu-lazione dell’effetto di scenari climatici diffe-renziati sul pericolo di propagazione degli in-cendi boschivi.Infine, la stima della densità di flusso di calo-re sensibile effettuata attraverso l’uso di ter-mocoppie veloci e del metodo SurfaceRenewal in combinazione con misure di radia-zione netta e di densità di flusso di calore nelsuolo, ha mostrato di rappresentare un metodoaffidabile e relativamente poco costoso per ladeterminazione del rischio di incendi boschiviin ambiente mediterraneo (Fig. 2).

4 PROSPETTIVE FUTURE

Le attività future prevedono un ulteriore per-fezionamento dei modelli di combustibile

Impatti dei cambiamenti climatici

723

Tabella 2: Significatività delle correlazioni fracontenuto di acqua della vegetazione, e precipita-zioni cumulate (ΣP) e valore medio delle tempera-ture massime (Tmax) dei 10 giorni precedenti ilcampionamento.

Specie ΣP (mm) Tmax (°C)Cistus m. ** **Cistus s. ** ** Erica s. ** **Lavandula s ** **Phillyrea a. * *Pistacia l.. * -Rosmarinus o. ** *** p≤ 0.05; ** p≤ 0.01

Figura 1: Confronto fra le aree percorse da fuoco osser-vate e simulate ottenute usando mappe di vento (Simu-lated 1) e un campo di vento costante (Simulated 2) perl’evento verificatosi a Budoni, Italia, il 26 agosto 2004.

Tabella 1: Valori del coefficiente di determinazio-ne (R2) e significatività della regressione linearefra tempo di ignizione e contenuto di acqua.

Specie R2 significatività

Cistus m. 0.73 **Cistus s. 0.92 ** Erica s. 0.66 *Lavandula s. 0.76 **Phillyrea a. 0.72 **Pistacia l. 0.94 **Rosmarinus o. 0.85 *** p≤ 0.05; ** p≤ 0.01

Tabella 3: Accuratezza del simulatore FARSITEper tre siti e differenti combinazioni di modelli dicombustibile (SM, modelli standard, CM, modello“personalizzato”). Vengono riportati i valori delcoefficiente K di Cohen (K) e i valori medi dellavelocità di propagazione, ROS, (m min-1) osserva-ta e simulata.

Caso di ROS ROSstudio Modello K oss sim Budoni SM 0.27 **C 8.1 16.7

CM 0.61 **D 8.1 8.1Siniscola SM 0.38 **C 6.2

CM 0.80 **D 2.7Alghero SM 0.33 **C 11.2

CM 0.82 **D 4.0** p≤0.01; * p≤0.05; i valori di K seguiti dalle stesse let-tere non sono significativamente differenti per valori dip≤0.01 (test Z).

Page 262: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

della vegetazione mediterranea, la simulazio-ne del comportamento del fuoco sia mediantemodelli di propagazione di tipo meccanicisti-co sia considerando lo componente stocasti-ca, l’utilizzo dell’indice di rischio Fd comeground truth per stime satellitari, con il fineultimo di valutare l’impatto di differenti sce-nari di cambiamento climatico sul rischio po-tenziale di incendio, sulla velocità di propa-gazione del fuoco e sulle altre principali ca-ratteristiche che definiscono il comportamen-to degli incendi boschivi.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Figura 2: Variazioni giornaliere dell’indice di rischio in-cendi boschivi (Fd), del Keetch Byram Drought Index(KBDI) calcolato utilizzando la formulazione originale eil valore di evapotraspirazione dall’equazione diHargreaves-Samani (K e KH, rispettivamente), e il con-tenuto idrico del suolo (qV) misurato a 0.1 m di profon-dità, per il periodo 9 Febbraio – 2 Ottobre 2002.

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1 I TERMINI DELLA QUESTIONE

Atmosfera, idrosfera, litosfera e biosfera costi-tuiscono un sistema aperto integrato, in equili-brio dinamico: singole modificazioni influen-zano l’intero complesso e vengono registratedall’ambiente fisico e dagli esseri viventi. Èopinione ampiamente condivisa che le varia-zioni nel sistema climatico attualmente in atto,agendo sulla componente abiotica degli ecosi-stemi, provochino nel loro insieme profondemodificazioni negli ambienti naturali, destina-te a portare alla scomparsa sia di singole spe-cie sia di interi ecosistemi (Shaver et al., 2000;McCarthy, 2001; McCarthy et al., 2001;Midgely et al, 2002; Parmesan e Yohe, 2003;Thomas et al., 2004; Levinsky. et al., 2007). Ineffetti, vari dati confermano l’impatto ecologi-co che il riscaldamento climatico in atto ha su

un’ampia gamma di ecosistemi, da quello ter-restre polare al marino tropicale, a diversilivelli gerarchici di organizzazione, dalle spe-cie alle comunità. (Walther et al., 2002).Nonostante le contrastanti ipotesi e le difficol-tà di stabilire cause, modalità ed interrelazionitra l’evoluzione dei bioti ed i cambiamenti cli-matici, già in questo primo stadio di accelera-zione del riscaldamento globale la ripostacoerente di flora e fauna è chiaramente docu-mentata dalle modificazioni della strutturaecologica in differenti comunità.Per comprendere l’effettiva influenza dellevariazioni del clima sull’evoluzione della bio-sfera e conoscere i fattori che possono incide-re sulla biodiversità e sulle sue fluttuazioni, unutile contributo deriva indubbiamente dall’a-nalisi della risposta del mondo biologico allevariazioni climatiche del passato (Dynesius e

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Variazioni climatiche e cambiamenti faunistici:l’evoluzione delle faune a mammiferi delMediterraneo occidentale durante gli ultimi 3milioni di anni

M.R. PalomboIstituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria, CNR, Roma, ItaliaDipartimento di Scienze della Terra, Università di Roma “La Sapienza”[email protected]

SOMMARIO: Lo studio dell’evoluzione degli ecosistemi del passato può costituire la chiave interpretativaper prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. L’analisi dell’evoluzione dei complessi fauni-stici a grandi mammiferi del Mediterraneo occidentale, nel corso degli ultimi 3 milioni di anni, dimostracome i cambiamenti del sistema climatico siano un fattore determinante nell’innescare i rinnovi faunisti-ci, favorendo fenomeni di dispersione/migrazione e rimuovendo specie chiave all’interno delle comunità.La ristrutturazione dei complessi faunistici è, invece, principalmente regolata da fattori biologici intrinse-ci (competizione o coevoluzione) e si sviluppa su scale temporali che comprendono più cicli diMilankovitch. Le modificazioni del clima e delle faune costituiscono un elemento costante ed indispensa-bile all’evoluzione del sistema Terra; tuttavia, dal momento che i mammiferi rispondono alle variazionidel clima principalmente con migrazioni e deformazioni dell’areale di diffusione, è ragionevole supporreche nel prossimo futuro il progressivo riscaldamento del pianeta, unito alla frammentazione degli ambien-ti ed alla pressione sugli ecosistemi naturali operate dall’uomo, produrrà una sensibile riduzione della bio-diversità dei mammiferi, specie nelle aree ad alta antropizzazione e a maggior grado di endemismo.

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Jansson, 2000; Zachos et al., 2001; Jansson eDynesius, 2002; Barnoswky et al., 2003;Martinez-Meyer et al., 2004; Barnoswky,2005). Sembra comprovata, almeno su scalaregionale, una costante risposta da parte dellecomunità a mammiferi a fasi di riscaldamentoanche di differente durata (Barnoswky et al.,2003). Il riscaldamento climato globale, da 5°a 10°C, documentato durante il massimo ter-mico al passaggio Paleocene-Eocene (PETM),coincide, ad esempio, con un evidente rinnovodei vertebrati terrestri e la risposta della vege-tazione sembra comparabile agli effetti previ-sti con il protrarsi del riscaldamento attuale(Scott et al., 2005).L’evoluzione degli ambienti del passato è statainfluenzata, in realtà, da fattori biotici e abioti-ci, che hanno condizionano il modificarsi neltempo della struttura delle comunità animali evegetali. Si è a lungo discusso, ed il dibattito èoggi particolarmente vivo, se e quanto i cam-biamenti climatici globali e/o i fattori biotici(competizione, coevoluzione) siano agenti atti-vi e primari nell’evoluzione delle comunitàbiologiche (Barnoswky, 2001; Prothero, 2004;Vrba, 2005). Per contribuire al dibattito, èsembrato interessante analizzare l’evoluzionedei complessi faunistici (FCs) a grandi mam-miferi presenti nel Mediterraneo occidentalenel corso degli ultimi 3 Ma, periodo in cui sen-sibili variazioni climatiche hanno profonda-mente modificato la struttura delle paleoco-munità. Il Mediterraneo è infatti un’area in cuisono presenti specie endemiche, ma che è stataanche oggetto di migrazioni provenientidall’Asia, dal centro Europa e dall’Africa, viaCorridoio Levantino.

2 L’EVOLUZIONE DEI COMPLESSI FAUNISTICI NELMEDITERRANEO OCCIDENTALE

Al fine di valutare se i cambiamenti faunisticiriconosciuti nell’area mediterranea negli ultimitre milioni di anni siano da imputarsi meramen-te ai cambiamenti climatici o sia più importan-te il controllo biotico intrinseco, sono stati ana-lizzati tre aspetti principali: fluttuazioni delladiversità (qui espressa come ricchezza standar-

dizzata); variazione della composizione tasso-nomica (turnover al passaggio tra due successi-vi FCs e tassi di comparsa (origine) e scompar-sa (estinzione) in ciascun FC); variazioni dellastruttura ecologica dei FCs, ovvero fluttuazionidell’abbondanza relativa di taxa appartenenti aspecifiche categorie ecologiche (per la metodo-logia relativa si veda Palombo, 2007).

2.1 Ricchezza, Turnover, nuove comparse edestinzioniGli indici di turnover, calcolati alla transizionetra due successivi FCs, confermano il carattereprogressivo del rinnovo faunistico che caratte-rizza gran parte del Pliocene superiore(Villafranchiano, FCs V2 e V3) e che prendel’avvio con l’instaurarsi dei cicli glaciali plio-cenici all’incirca 2,7 Ma. In quel periodo, nel-l’area mediterranea si consolida una stagionali-tà di tipo termico, le temperature medie e l’u-midità diminuiscono, le associazioni floristichesubtropicali sono in declino, mentre compaio-no xerofite meso-mediterranee, si diffondonole praterie e nelle fasi glaciali/interglaciali step-pe ad Artemisia ed Ephedra si alternano a fore-ste a conifere o a foreste decidue caldo-tempe-rate (Fig. 1). L’andamento dei tassi di appari-zione e di estinzione mette in evidenza la fasedi dispersione che caratterizza il tardo Pliocenesuperiore, quando le prime comparse, sia perevoluzione locale di taxa preesistenti sia permigrazione di taxa asiatici e africani, sono piùnumerose delle estinzioni. Questo processoporta al picco di diversità degli inizi delPleistocene inferiore (Villafranchiano superio-re, FC V4). In seguito, nel corso delPleistocene inferiore, prevalgono le estinzioniche portano ad un minimo della diversità regi-strato all’incirca intorno a 1,1 Ma. (Galerianoinferiore, FC G1), momento in cui si verificaun fondamentale cambiamento nel sistema cli-matico della Terra. Nello stesso periodo, nelMediterraneo occidentale è in atto un turnoverparticolarmente significativo, che segna unainversione di tendenza nell’andamento dei tassidi origine e di estinzione. A partire da questomomento, infatti, le nuove comparse, in massi-ma parte legate alla migrazione di taxa prove-

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Impatti dei cambiamenti climatici

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nienti dall’Est, portano ad un progressivoaumento della ricchezza, che culminerà conl’optimum climatico degli inizi del Pleistocenesuperiore (Fig. 1). Il turnover alla transizionePleistocene-Olocene è dovuto, invece, al pre-valere delle estinzioni, in massima parte legatealle variazioni climatiche e ambientali connes-se con l’avvio dei fenomeni di deglaciazionenel tardo Pleistocene.

2.2 Struttura ecologicaTurnover e variazioni della ricchezza nonnecessariamente implicano cambiamenti dellastruttura ecologica dei FCs, tuttavia, nel corsodegli ultimi 3 Ma la struttura dei FCs delMediterraneo occidentale varia sensibilmente,in discreto accordo con il variare delle condi-zioni climatiche (Fig. 2). Nel Pliocene medio(Villafranchiano inferiore, FC V1) prevalgonoi taxa di ambiente forestale, sono presenti spe-cie arboricole e “scansorial”, le specie frugivo-re e onnivore raggiungono la massima percen-tuale registrata negli ultimi 3 milioni di anni,così come i brucatori; anche la percentuale dei

mammiferi di piccola mole (< 10 kg) è alta.Queste categorie ecologiche sono già in nettaflessione a partire da circa 2,6 Ma, quandoaumentano i taxa di ambiente aperto e di gran-de mole. Se la struttura delle “paleocomunità”del Pliocene medio è simile a quella delleodierne foreste pluviali tropicali, quella deiFCs del Pliocene superiore (Villafranchianomedio, FCs V2 e V3) si avvicina a quella degliambienti di savana arborata più o meno umida.Con la fine del Pliocene e durante ilPleistocene inferiore (Villafranchiano superio-re, FCs V4 e V5), aumentano le specie cheindicano ambienti aperti e ridotto tasso di umi-dità. Il progressivo aumento delle aree prativeo di steppa arborata è confermato dall’aumentodei pascolatori, dei mammiferi di taglia grandee dei pachidermi. Alla fine del Pleistocene infe-riore (Galeriano inferiore, FC G1), sono percontro in flessione gli erbivori a dieta mista,mentre aumentano le specie ubiquiste, che rag-giungono il loro massimo nel Pleistocenemedio-superiore e superiore (Aureliano, FCsA1, A2 e A3), quando una maggior frammen-

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Figura 2: Frequenza relativa, in ciascun complesso faunistico, delle specie attribuite a ciascuna categoria ecologica inbase al loro habitat preferenziale, alla dieta ed alla massa corporea. Per la definizione delle categorie ecologiche si vedaPalombo (2007).

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tazione degli ambienti e una nuova espansionedelle foreste favorisce anche l’incremento deglierbivori a dieta mista e dei brucatori (Fig. 2).

2.3 Il ruolo dei cambiamenti climaticiLa risposta dei bioti alle variazioni climatiche èregionalmente differente, a volte sincrona, mapiù frequentemente diacronica anche nelristretto ambito del Mediterraneo occidentale(Palombo, 2007). In base ai risultati ottenuti sipuò tuttavia arguire che i turnover più impor-tanti sono innescati da cambiamenti climaticiglobali di grande portata che, variando durataed intensità delle fasi glaciali/interglaciali,modificano sensibilmente il sistema climaticodel pianeta Terra. Nell'area mediterranea occi-dentale, ad esempio, i turnover più significatidelle faune a grandi mammiferi (al passaggioPliocene medio-Pliocene superiore ed alla finedel Pleistocene inferiore) si verificano neglistessi intervalli temporali in cui si registranofasi di raffreddamento climatico, accompagna-te da oscillazioni più intense e prolungate. Le specie reagiscono alle variazioni dei para-metri fisici e ambientali principalmentemigrando o modificando il loro areale, l'evolu-zione locale interessa poche linee ecologica-mente flessibili, mentre le specie a minorvalenza ecologica (nel caso del Pliocene ePleistocene dell'area mediterranea quelle di ori-gine tropicale o subtropicale) si estinguono.L'arrivo di nuove specie e la scomparsa perestinzione di altre alterano l'equilibrio dellepaleocomunità, la cui ristrutturazione avvieneprincipalmente per dinamica interna in periodirelativamente lunghi, che comprendono varicicli glaciali/interglaciali. I risultati ottenuti per l'area mediterraneaoccidentale convalidano, quindi, l'ipotesi cheil fattore "clima" sia elemento fondamentalenell'innescare il processo di rinnovo faunisti-co, ma che la ristrutturazione delle comunità agrandi mammiferi, diacronica a livello regio-nale, dipenda da fattori biotici, dalle dinami-che competizione/coevoluzione e, non ultimo,dalle capacità di sopravvivenza delle speciepreesistenti.

3 LA “RIVOLUZIONE FAUNISTICA” AL PASSAGGIOPLEISTOCENE INFERIORE- PLEISTOCENE MEDIO

Nel Mediterraneo occidentale, il cambiamentopiù significativo dei complessi a grandi mam-miferi degli ultimi 3 Ma viene “innescato”daicambiamenti climatici del tardo Pleistoceneinferiore: a partire da circa 1,2 Ma una serie dibioeventi porta alla progressiva ristrutturazio-ne dei CFs, che giunge a compimento nelPleistocene medio inferiore (Galeriano medio,G3a). In effetti, la transizione Pleistocene infe-riore/ Pleistocene medio (“Mid-Pleistocenerevolution”, MPR, tra circa 1,2 e 0,6 Ma) segnaun cambiamento fondamentale nel sistema cli-matico della Terra: la ciclicità di circa 41 ka,governata dall’obliquità dell’orbita, vienesostituita da ritmi di circa 100 ka, accompagna-ti da un aumento dell’ampiezza delle oscilla-zione climatiche. I cicli sono inoltre caratteriz-zati da una struttura asimmetrica (lenta messain posto delle masse glaciali, rapida deglacia-zione), che si ritiene sia regolata da quattro ocinque cicli precessionali. Come noto, tali cicliesercitano una notevole influenza sulla stagio-nalità e quindi sulla tipologia della coperturavegetale. Non stupisce, quindi, l’effetto chequesto cambiamento climatico globale ha eser-citato sulle comunità a mammiferi delMediterraneo occidentale. D’altra parte, se il clima e l’elemento condut-tore del turnover al passaggio Pleistoceneinferiore-medio, la MPR dovrebbe avereavuto un impatto simile anche in territori bio-geograficamente distinti. In effetti, importantirinnovi faunistici sono riconoscibili in diffe-renti regioni geografiche e climatiche, mal’entità ed i tempi di attuazione variano attra-verso e tra i continenti.Il turnover è ben documentato, ad esempio, inAmerica meridionale, ed in particolare nellaregione pampeana dove il passaggio da condi-zioni climatiche umide e temperate a secche efresche favorisce l’aumento delle specie diambiente aperto, specie cursorie e pascolatori,che dominano le comunità a grandi mammife-ri già intorno a 0,8 Ma. In Nord America, percontro, i dati disponibili consentono solo

Impatti dei cambiamenti climatici

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un’imperfetta valutazione dell’impatto climati-co sulle faune a grandi mammiferi; è tuttaviada notare come il rinnovo faunistico sia docu-mentato dal configurarsi, alla fine delPleistocene inferiore, del CF di Cudayan, sen-sibilmente rinnovato rispetto alle faunedell’Irvingtonian FC. In Africa occidentale (Kenya ed Etiopia), inve-ce, vari dati indicano come, dopo il turnoverche intorno a 2,5Ma coinvolge soprattutto glierbivori, la prevalentemente presenza diambienti di savana favorisca una certa stabilitàfaunistica. In Sud Africa, invece, circa 1 Ma faprende l’avvio, specie tra gli ungulati, un pro-cesso di progressiva endemizzazione (Brink eGrun, 2007). In Australia, l’aumento di aridità viene consi-derato l’elemento chiave nell’evoluzione dellefaune al passaggio e durante il Pleistocenemedio (Hocknull et al., 2007)In altre regioni, il rinnovo è favorito anchedalle oscillazioni negative del livello marino.In Indonesia, ad esempio, a Java nella fauna diKedung Brubus Fauna, datata a circa 0.8 Ma, èdocumentata la più importante fase di migra-zione di mammiferi dal continente verso leisole (Bergh et al., 2001). L’arrivo di varie spe-cie provenienti dall’Asia occidentale determinaimportanti rinnovi faunistici anche inGiappone e a Taiwan.Il fatto che modelli evolutivi simili siano rico-nosciuti in differenti parti del mondo, sottoli-nea da un lato l’importanza del MPR e dall’al-tro evidenzia come solo i cambiamenti clima-tici di particolare rilevanza possano influire einnescare significativi cambiamenti nellefaune terrestri.

4 QUALE SCENARIO PER IL FUTURO

I cambiamenti indotti nelle comunità a mam-miferi dal riscaldamento globale attualmente inatto probabilmente non eccedono le variazionidi struttura riconosciute nelle comunità a mam-miferi negli ultimi 3 Ma. È necessario, tuttavia,tener presente che la possibilità delle specie ter-restri attuali di reagire alle variazioni ambienta-li indotte dal cambio climatico migrando o

modificando il proprio areale di distribuzione,sono quanto mai ridotte, soprattutto nei territo-ri a più alta antropizzazione. Per l’Europa, adesempio, è stato calcolato che la sopravvivenzadei mammiferi endemici, più specializzati equindi più sensibili al mutare dei parametriambientali, sarà fortemente e negativamentecondizionata dal progressivo incremento delletemperature medie. Secondo il modello diLevinsky et al. (2007), e considerando anche lespecie a maggiore valenza ecologica, nello sce-nario previsto dall’IPCC scomparirebbero tra il5 e 9% dei mammiferi europei, mentre circa70–78% delle specie sarebbe a serio rischio diestinzione. Inoltre, il modello prevede che nel-l’area mediterranea la ricchezza e la biodiversi-tà si ridurranno in maniera drastica, proprio perl’elevata percentuale di endemismi che caratte-rizzano questa regione.In sintesi, anche se le modificazioni del climae delle faune costituiscono un elementocostante ed indispensabile all’evoluzione delsistema Terra, durante i prossimi lustri l’acce-lerazione del riscaldamento globale, specie seassociata alle continue e multiformi pressioniantropiche sugli ecosistemi, potrà verosimil-mente produrre effetti mai prima registratinella storia delle comunità a mammiferi,almeno in tempi così rapidi.

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Impatti dei cambiamenti climatici

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Abouabdillah A., 577Accornero A., 271Acri F., 551Aires F., 43Albani A. D., 205Albertini F., 839Alfieri S. M., 437, 625Aliani S., 263, 291, 793Alimonti M., 761Allegrini I., 315Amalfitano S., 573Amato U., 625Ambrosetti W., 601Amori G., 689Anav A., 487Angeli L., 129, 735Angelini F., 463, 475Antonini A., 381Anzalone E., 147Arca B., 433, 721Arduini J., 471, 475Armeri G. M., 537Aronica S., 533Asioli A., 157Astraldi M., 521Atanassov At., 319Azzali M., 267, 547Azzaro F., 299Azzaro M., 271, 299, 505, 561Bacci L., 809Bacci M., 823Baldi M., 15, 23, 125, 241, 377, 233

Baraldi R., 641Barbante C., 153, 311Barbanti L., 601Barnaba F., 463Baroli M., 557Baronti S., 365, 653, 681Barra Caracciolo A., 573Bartolini D., 743Bartolini G., 233Basilone G., 509, 529, 533, 537Bassano B., 677Bastianini M., 551Bazzani G. M., 813Bellante A., 529Belosi F., 459Benedetti E., 487Benincasa F., 349, 369Bergamasco A., 205, 259, 263, 291Bernardi Aubry F., 551Berretti F., 681Bertolani L., 479Bertoni R., 417, 613Biagi S., 831Bianchi F., 417, 551Bianchini G., 69Bianchini M. L., 513Bindi M., 713Boldrin A., 551Bonafè U., 471, 475Bonanno A., 517, 529, 533, 537Bonasoni P., 471, 475Bonazza A., 805

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Indice degli Autori

Page 272: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Bordogna G., 253Borghini M., 337Borselli L., 743Bortoli D., 319, 401, 483Boschetti M., 253Boschi C., 831Bottai L., 129, 405, 735Bozzano R., 105, 337Bracco A., 59Braguglia C. M., 843Brandani G., 673Brandini C., 333, 501Brauer A., 295Brivio P. A., 253Brugnoli E., 649, 773Brugnoni G., 245Brunetti M., 117, 225, 229, 409Budgell W. P., 259Budillon F., 173Budillon G., 271Buffa G., 529Buongiorno Nardelli B., 345Buscaino G., 517, 529, 533, 537Buttafuoco G., 237Calanchi N., 295Calfapietra C., 705Callieri C., 613Caloiero T., 237Calzolari F., 471, 475, 483Campanelli M., 447Canali G., 201Canessa B., 373, 413Canu A., 433Capecchi V., 373, 385Capotondi L., 287Caravati E., 613Carbognin L., 205Carbone C., 73Carbone R. E., 113Carfora M. F., 625Carli B., 69Carnazza S., 323Carniel S., 205, 259Carrada G. C., 271Carrara E. A., 601Carrara P., 253Caruana L., 537Caruso G., 561

Casarano D., 585Casoli F., 839Cassi P., 743Catalano G., 271Cavalcante C., 537Ceccanti B., 739Cecchi L., 233Centritto M., 717Cesaraccio C., 433, 657, 661, 765Cescon P., 81, 153, 311Ceseri M., 47Cherubini M., 693Cheruy F., 35, 39, 43, 835Chiarle M., 757Chiesi M., 701, 713Chiggiato J., 259Ciampittiello M., 609Ciattaglia L., 323Ciccarelli N., 221Ciccioli P., 637Cinnirella S., 89, 569, 847Coe R. S., 173Colella S., 525Colin J., 357Como S., 557, 565Congeduti F., 35Contesini M., 613Conversi A., 541Copetti D., 589Corno G., 613Cortesi U., 69Corti S., 17, 541Coscarelli R., 237, 739Coscia M. R., 283Cosmi C., 851Costantini R., 129, 405, 735Cozzi G., 311Crisci A., 121, 241, 385, 405, 629, 669, 673,

777, 785, 801, 809Crisciani F., 541Cristaldi M., 689Cristofanelli P., 471, 475Cucco A., 557, 565Cuomo V., 393, 467, 633, 851Cuttitta A., 509, 529, 533, 537D’Acqui L. P., 645D’Argenio B., 147Dalan F., 117

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

866

Page 273: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Dallai L., 831Dalu G., 15, 125, 233Dalu G. A., 23, 377Damiani A., 487De Angelis P., 661, 705de Bernardi R., 621De Biasi A. M., 793De Chiara G., 121, 241, 785de Dato G., 661De Falco G., 557, 565De Felice A., 547De Filippis T., 413, 823De Girolamo A. M., 573, 577De Luca D., 577De Luca F., 573De Muro S., 557Decesari S., 55, 73, 77, 109, 475Del Bianco S., 69Delle Rose M., 161Dettori M., 657Di Carmine C., 441Di Leo S., 851Di Matteo L., 101, 459Di Menno I., 487Di Menno M., 487Di Nieri A., 537di Prisco G., 277Di Tomaso E., 467Di Vecchia A., 373, 413, 777, 823Dinelli E., 295Dini A., 831Dionisi D., 35D'Isidoro M., 27Donegana M., 169Donnici S., 201, 205Doronzo B., 245Dragone V., 585Duce P., 657, 661, 721, 765Esposito F., 393Esposito M., 357, 437, 625Fabbrici S., 839Facchini M. C., 55, 63, 73, 77, 109, 475Facini O., 665Fasano G., 349, 369Fazi S., 573Fedele F. G., 181Fenzi G. A., 565Ferrari R., 129, 405, 735

Ferraro L., 209Ferreri V., 147Fibbi L., 241, 385, 713Fontana I., 533Fraedrich K., 3Frignani M., 287Furevick B., 835Fuzzi S., 55, 63, 73, 77, 109, 475Gabrielli P., 153, 311Gaetani M., 15, 23, 377Gambaro A., 81Garnier M., 581Gaspari V., 153Gasparini G. P., 521Geloni C., 831Genesio L., 241, 373, 629, 777, 789Genovese S., 533Georgiadis T., 665, 797Geraldi E., 467Gerli S., 197Gherardi F., 831Giacalone G., 529Giaccio B., 181Gianelli G., 831Giardino C., 613Giglio F., 271, 287, 421Ginnetti R., 113Gioli B., 85, 425, 429Giordano R., 819Giovanelli G., 319, 401, 483Giuliani G., 501Giuliano G., 827Giunta G., 437Gobbi G. P., 447, 463, 475Goncharov S., 533Gozzini B., 31, 241, 245, 385, 501, 669Grammauta R., 537Grenni P., 573Griffa A., 341Grifoni D., 31, 233, 385, 769Guala I., 557Guarnieri F., 241Guarracino M., 345Guidi M., 831Guilizzoni P., 197, 295, 593, 605Guzzella L., 605Hedgecock I. M., 93, 137Hempelmann A., 319

indice degli autori

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Page 274: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Iacumin P., 193Ianniello A., 315Imberger J., 589Incarbona A., 177Innocenti L., 129, 735Iorio M., 173, 303Isaia R., 181Jia L., 361Jung G., 93Kirk E., 3Kostadinov I., 319, 401, 483Koszalka I., 59La Ferla R., 271, 299, 505, 561La Mesa M., 267Laing A. G., 113Laj P., 475Lami A., 197, 295, 593, 597, 605Lanconelli C., 97, 327, 451Landi T. C., 463Lanfredi M., 633Langone L., 271, 287, 295, 421Langone R., 689Lanini M., 681, 365Lauteri M., 649, 693, 761, 773Lenaz R., 421Leonori I., 267, 547Levizzani V., 113Liberti G. L., 35, 39, 43Liddicoat J. C., 173Lionello P., 51Lirer F., 209Lo Porto A., 573, 577, 581Longinelli A., 193, 421Loperte S., 851Loreto F., 637Lucchini F., 295Lunkeit F., 3Lupi A., 97, 327, 451Macchiato M., 633Macelloni G., 389Magliulo V., 357, 437, 625Magni P., 557, 565Magno R., 241, 405, 629, 789Maimone G., 299, 561Maione M., 471, 475Maltese V., 537Manca M., 197, 295, 597, 605, 621Mancini M., 769

Mangoni O., 271Manieri M., 649Marabini F., 189Maracchi G., 23, 31, 47, 85, 121, 129, 233,

241, 245, 353, 365, 373, 377, 381, 405, 413,425, 429, 629, 641, 653, 665, 673, 681, 697,701, 713, 735, 769, 777, 785, 797, 801, 809

Marani D., 843Marchetto A., 197, 295, 593, 597, 605Marinoni A., 471, 475Markova T., 319Maroscia G., 15Marrese F., 241Marsella E., 173Marullo S., 345Masciandaro G., 739Maselli F., 373, 405, 645, 701, 713Masiello G., 393Masieri S., 401, 483Masotti M., 113Massacci A., 781Massetti L., 673Materassi A., 349, 369Matese A., 85, 425, 429Matteucci G., 417, 709Mattioni C., 693Maugeri M., 117, 225, 229, 409Maurizi A., 27Mazzanti B., 241Mazzanti M., 855Mazzola M., 97, 327, 451Mazzola S., 509, 529, 533, 537Melani S., 113, 333, 377, 381Meloni R., 291Menduni G., 241Meneguzzo F., 47, 121, 241, 785Menenti M., 357, 361Messeri G., 31, 669Messina P., 805Miglietta F., 85, 353, 365, 425, 429, 641, 653,

697, 705, 789Miglietta M. M., 51Minervino I., 739Mininni G., 843Mircea M., 27, 55, 63, 73, 77, 109Misic C., 271Modigh M., 271Montesano T., 467

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 275: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Monticelli L. S., 299, 561Montini A., 855Morabito G., 597, 613, 617Morabito M., 233, 801, 809Mordenti A., 295Moret I., 81Moriondo M., 713Mortara G., 757Mosello R., 593, 597Motisi A., 665Motroni A., 657, 765Musazzi S., 197, 295, 605Nakajima T., 447Nanni T., 117, 225, 229, 409Nannicini L., 495Nardino M., 665Natale S., 509, 517, 533Nigrelli G., 685Olita A., 509, 517, 533Oreste U., 283Ori C., 421Oriani A., 761Orlandi A., 333, 381, 501Orlandini S., 769, 801, 233Ortolani A., 333, 377, 381, 501Ortolani F., 217Pagliarulo R., 165Pagliuca S., 217Palatella L., 51Palazzi E., 319, 401, 483Palchetti L., 69Palombo M. R., 725Paloscia S., 389Pampaloni P., 389Panzani P., 613Paoluzi A., 839Pappalardo G., 455Paradisi P., 51Pareti L., 839Pasi F., 385Pasini A., 7, 11, 689Pasquero C., 59Pasqui M., 47, 113, 121, 233, 241, 377, 777,

785Passarella G., 581Patti B., 517, 529, 533, 537Patti C., 537Pavese G., 393

Paw U K. T., 721Pellegrini M., 193, 649Pellegrino L., 245Pellizzaro G., 433, 661, 721Pelosi N., 177, 209Pelosini R., 221Peluso T., 541Pensieri S., 105, 337Perilli A., 509, 517, 529, 557, 565Petralli M., 233Petritoli A., 319, 401, 483Petrucci O., 747Piani F., 31, 47, 121, 241, 385, 785Piazza R., 81Picco P., 337Pietrapertosa F., 851Pietrini F., 781Pini R., 169, 185Pirrone N., 89, 93, 137, 397, 569, 847Pisanelli A., 761Piscia R., 597Piva A., 157Placenti F., 537Polemio M., 585, 747Pontoglio S., 859Popov S., 533Portoghese I., 827Povero P., 271Prodi F., 101, 459Provenzale A., 3, 59, 221, 677Puddu A., 573Pugnetti A., 417, 551Purini R., 259, 263Rafanelli C., 323, 487Ragonese S., 513Raicich F., 249Rajagopal S., 565Rapparini F., 641Raschi A., 365, 653, 681, 697Ravaioli M., 271, 287, 417Ravazzi C., 169, 185Ravegnani F., 319, 401, 483Ribera d'Alcalà M., 177Ribotti A., 509, 517, 529Ricciardelli E., 467Riccio A., 437Rinaldi M., 73Roccato F., 471, 475

indice degli autori

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Page 276: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Rocchi L., 413Rodolfi A., 701Rogora M., 593Rolla A., 609Romano F., 467Ronchi C., 221Rossi F., 665, 797Rossi M., 385Rossini G., 245Ruggieri G., 831Sabbioni C., 805Saggiomo V., 271Sagnotti L., 173Salerno F., 597Salis M., 721Salvador Sanchis M. P., 743Salvatori R., 307Salvia M., 851Santachiara G., 101, 459Santese G., 577Santi C. A., 645Santi E., 389Santinelli C., 495Santoleri R., 345, 525Santoro F., 557Saporito L., 537Scarascia-Mugnozza G., 649, 705, 709Scartazza A., 245Schiano M. E., 105, 337Schröder K., 521Sclavo M., 205, 259Sellegri K., 475Selmo E., 421Selvi F., 365Sempreviva A. M., 835Serandrei-Barbero R., 201, 205Serio C., 393Seritti A., 495Simeone S., 557Simoniello T., 633Sirca C., 661, 721Snyder R. L., 721Socal G., 551Solzi M., 839Sorgente R., 509, 517, 533Sorriso-Valvo M., 739Spaccino L., 649Spano D., 661, 721, 765

Sparnocchia S., 105, 337Speranza A., 117Sprovieri F., 137, 397Sprovieri M., 147, 177, 209Sprovieri R., 177Stefani P., 681Stroppiana D., 253Szpunar G., 689Taddei S., 85, 245Tampieri F., 27Tarchiani V., 823Tartaglione N., 117Tartari G., 479, 589, 597Tartari G. A., 597Tei C., 31, 385Tinner W., 185Tognetti R., 365, 653Tomasi C., 97, 327, 441, 447, 451Tomei M. C., 843Torri D., 743Torrigiani T., 233Toscano P., 85, 425, 429, 789Tranchida G., 537Transerici C., 35, 835Trincardi F., 133, 157, 213Trivellane G., 483Trombino G., 569, 847Tropeano D., 751Turconi L., 751Turetta C., 81, 153, 311Ungaro F., 743Uricchio V. F., 819Vaccari F. P., 85, 245, 353, 365, 429, 653,

697, 789Valev D., 319Vallebona C., 373, 777Vallorani R., 669van der Velde G., 565Vargiu A., 221Vedernikov A., 101Velea L., 35Veneziani M., 341Ventura A., 661, 721Venzac H., 475Verde C., 277Verdicchio G., 133, 213Verhoef W., 361Verza G. P., 475

Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

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Page 277: 6 – Impatti dei cambiamenti climatici (Clima e cambiamenti climatici)

Vescovi E., 185Vetrano A., 521Vignaroli P., 373, 413, 823Villani F., 693Villani P., 475Visconti A., 621Vitale V., 97, 327, 451Viterbi R., 677von Hardenberg A., 677von Hardenberg J., 3, 221Vuillermoz E., 475, 479Vurro M., 827Werner R., 319Wick L., 185Yañez M. S., 743Zaccone R., 561Zaldei A., 85, 365, 425, 429Zara P., 721Zipoli G., 769Zoboli R., 855, 859Zoppini A., 573Zora M., 537

indice degli autori

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