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prospettive di politologia della religione

Chi disConosCe la religione

non ConosCe la politiCa

a cura diClaus–E. Bärsch

Peter BerghoffReinhard W. Sonnenschmidt

traduzione italiana a cura di

Gianni Bartocchini

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Copyright © MMXIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–4023–2

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: aprile 2011

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Indice

Prefazione ...................................................................7

Obiettivi e contenuti della politologia della religione .. 13Claus–E. Bärsch (trad. it. Serena Moretti)

Parte Prima: Uomo e coscienza ................................... 79

La corporificazione della divinità e la divinizzazione del corpo.................................................................... 81Peter Krumpholz (trad. it. Elisa Toci)

La psicologia come sostituto della religione ................ 129Andreas Dordel (trad. it. Denise Gardonio)

La promessa della coscienza magica. Interpretazioni esoteriche dell’Io e del mondo nell’età moderna ........ 163Andrea Ullrich (trad. it. Diletta Calussi)

Rapporto tra i sessi, religione e coscienza politica. Methexis e metaxy nel Simposio di Platone ................ 201Ursula Berretz (trad. it. Sara di Iorio)

Parte Seconda: Società e senso .................................... 237

Politodicea, ovvero: l’errata politologia del male nell’epoca moderna .................................................. 239Peter Berghoff (trad. it. Sofia Mariotti)

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6 Chi disconosce la religione non conosce la politica

Corporate Philosophy e Corporate Religion. Implicazioni politiche e tracce religiose nella cosiddetta filosofiaaziendale e del management ...................................... 271Marc Schlette (trad. it. Valentina Verona)

Le sfide dell’islamismo e del laicismo in Turchia ......... 313Gülten Hammelstein–Eroglu (trad. it. Silvia Franzoni)

Novus Ordo Seclorum. Sulla nascita dei fondamenti religiosi nella repubblica americana ........................... 345Detlef Bauszus (trad. it. Arianna Toscano)

Parte terza: Storia e libertà .......................................... 371

«L’utopia è il grottesco in rosa…». Le implicazioni politiche della critica utopica di E.M. Cioran ......... 373Nicole Schlette (trad. it. Francesca De Vizia Guerriero)

Dal Paese straniero alla Patria? Della problematica del concetto gnostico di redenzione .......................... 401Reinhard W. Sonnenschmidt (trad. it. Susanna Battistini)

L’orizzonte della libertà. La secolarizzazione come postulato teologico ................................................... 431Dirk Ansorge (trad. it. Elena Papaleo)

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Prefazione

La politologia della religione1 è un campo delle scienze politiche a carattere interdisciplinare che deve ancora af-fermarsi. Una discussione su basi teoriche e metodolo-giche sul rapporto tra politica e religione non ha ancora avuto luogo. Nondimeno, negli ultimi anni il nesso tra politica e religione è stato avvertito in modo più forte, per esempio nei dibattiti sul totalitarismo del XX secolo, sui limiti etici delle scienze, sui movimenti psico–esote-rici, sul terrorismo fondamentalista, sulla religione civile negli USA, nonché sul cosiddetto scontro di civiltà.

I membri dell’Istituto di politologia della religione, fondato principalmente da laureati dell’università di Du-isburg già alla fine del secolo scorso, trattano nei con-tributi del presente volume alcuni temi della ricerca di politologia della religione.

Il contributo di Claus–E. Bärsch sullo scopo, i conte-nuti, i problemi e il concetto della politologia della re-

1. Il concetto di politologia della religione è stato coniato per la pri-ma volta da Claus–E. Bärsch nel saggio Volk und Nation. Das Problem kollek­tiver Identität unter der Perspektive der Religionspolitologie [Popolo e nazione. Il problema dell’identità collettiva sotto la prospettiva della politologia della religio­ne], in J. Gebhardt (Hrsg.), Demokratie, Verfassung und Nation: Die politische Integration moderner Gesellschaften [Democrazia, costituzione e nazione: l’inte­grazione politica nelle società moderne], Baden–Baden 1994.

Chi disconosce la religione non conosce la politicaISBN 978–88–548–4023–2DOI 10.4399/97888548402321pp. 7–12 (aprile 2011)

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8 Chi disconosce la religione non conosce la politica

ligione è concepito come introduzione programmatica. Suo è anche il motto che costituisce il titolo della raccolta: Chi disconosce la religione non conosce la politica2.

Gli altri saggi del volume sono stati raggruppati dai curatori secondo tre ambiti tematici:

— I. Uomo e coscienza;— II. Società e senso; — III. Storia e libertà.

I. Uomo e coscienza

Peter Krumpholz descrive le forme storiche della coscienza del corpo fisico e del corpo umano e le loro implicazioni per la politologia della religione. Tanto la divinizzazione della persona umana, quanto la personi-ficazione ipostatizzante della divinità vengono esaminati in una prospettiva critica, con riferimento particolare alle riflessioni sulla teoria del sacrificio e della civiltà.

Andreas Dordel dimostra che esiste un contrasto tra i criteri della filosofia classica e le concezioni del Sé nella moderna psicologia. l’ideologia del “Sé divino” sarebbe la base delle costruzioni di unità e totalità. Viene ana-lizzato il contenuto di ideologia della salvezza presente nelle concezioni psicologiche di liberazione, e si sotto-pone a critica la funzione legittimante dell’esigenza di

2. C.–E. Bärsch, Die politische Religion des Nationalsozialismus. Die religiöse Dimension der NS–Ideologie in den Schriften von Dietrich Eckart, Joseph Goebbels, Alfred Rosenberg und Adolf Hitler [La religione politica del nazional­sozialismo. La dimensione religiosa dell’ideologia nazionalsocialista negli scritti di Dietrich Eckart, Joseph Goebbels, Alfred Rosenberg e Adolf Hitler], München 1998, p. 11.

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Prefazione 9

“autorealizzazione” e di “formazione di un’identità” con riferimento all’ordine politico.

Andrea Ullrich mette in evidenza, attraverso lo studio delle fonti, la dimensione politica di dottrine e gruppi esoterici moderni che si presumono apolitici. Il punto di partenza della sua critica sta nel fatto che Dio o il divino vengono estrapolati dal cosmo o dalla natura, cosicché la trascendenza di Dio viene rimossa a favore dell’unità mistica di creatore e creatura nell’(auto)coscienza dell’uomo. La forza dirompente di questa costruzione immaginaria di un Sé simile a un dio sta nella pretesa totalitaria di far valere certezze di salvezza ottenute in modo soggettivo come prospettive di redenzione per l’uomo, la società e la storia.

Ursula Berretz esamina il simbolismo della parteci-pazione (methexis) e dell’intermedio (metaxy) con rife-rimento al rapporto tra i sessi nella filosofia di Platone. Anche se nella Repubblica si perora espressamente la partecipazione anche delle donne alla polis in quanto filosofe, in altri dialoghi platonici, in particolare nel Symposion, viene attribuita loro un’importanza molto minore. Alle donne si nega riconoscimento sia riguardo alle loro richieste religiose, sia riguardo a quelle po-litiche. L’autrice critica con ciò il fatto che secondo Platone le donne non possano oltrepassare la sfera dell’immanenza.

II. Società e senso

Peter Berghoff esamina il problema del male nel pen-siero politico di Thomas Hobbes, Immanuel Kant, Georg Wilhelm Friedrich Hegel e Michel Foucault. Da una parte

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la questione riguarda la coscienza del male che si costitui-sce di volta in volta in rapporto con la coscienza della re-altà politica. D’altra parte si mostra che il problema della teodicea nel pensiero moderno viene applicato alla sfera politica. In ciò si verificherebbe uno scardinamento del rapporto tra trascendenza e immanenza che provoche-rebbe problemi riguardo alla giustificazione dell’ordine politico.

Marc Schlette analizza la cosiddetta filosofia del ma-nagement e dell’impresa, in cui deve essere richiesta e realizzata una mediazione di senso nella vita lavorativa. Viene inoltre illustrata e criticata l’ideologia della cosid-detta corporate religion.

Gülten Hammelstein–Eroglu tratta il rapporto preca-rio e conflittuale tra islamismo e laicismo sull’esempio della Turchia sotto l’aspetto storico–sistematico. Dal punto di vista storico descrive lo sviluppo dei diversi par-titi politici e raggruppamenti religiosi; dal punto di vista sistematico sviluppa una proposta su come in futuro sia possibile un’integrazione della Turchia.

Detlef Bauszus analizza il rapporto tra politica e re-ligione nel processo di fondazione degli Stati Uniti e lo sviluppo della American Civil Religion (ACR). In contra-sto con la tradizione continentale europea, la repubblica americana nelle ex colonie inglesi fu costituita sullo sfondo di una multiformità della vita religiosa. Non sebbene, ma proprio perché la religiosità degli individui era presente in forma abbondante, i “padri fondatori” della costituzione americana decisero che il senato e il congresso non potessero stabilire se i cittadini degli USA dovessero essere religiosi oppure no. La libertà di religione negli USA consiste nel fatto che i poteri legisla-tivo, esecutivo e giudiziario non possono determinare

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Prefazione 11

se, in cosa e come si deve credere e come debba essere organizzata la vita religiosa.

III. Storia e libertà

Nicole Schlette, sulla base dei testi dello scrittore E. M. Cioran, approfondisce la questione della possibilità che una radicale contestazione di ogni attribuzione di senso possa essere alla base di una liberazione dalla po-litica. Le implicazione per la politologia della religione dei topoi “utopia”, “storia” e “azione” vengono accertate attraverso una scrupolosa esegesi. Nonostante tutta la brillantezza di Cioran, Nicole Schlette caratterizza il suo pensiero come un’utopia rivolta all’indietro, in cui tutto ciò che è nel tempo viene negato e che deve essere perciò criticata dalla prospettiva politica.

Reinhard Sonnenschmidt pone all’inizio della sua discussione l’interpretazione della vita non kafkiana di Kafka come esistenza in un paese straniero. Attraverso la descrizione del mito gnostico della “caduta” e “ascesa” dimostra che la speranza illusoria di redenzione da tutte le necessità dell’esistenza è la ragione decisiva della fede. Questo fenomeno di coscienza politico–gnostico conti-nua ad agire nella cosiddetta modernità e significa che momenti centrali della gnosi della tarda antichità sono sopravvissuti. La “filosofia della patria” di Ernst Bloch funge da esempio di pensiero gnostico moderno. Ad essa viene contrapposta criticamente la concezione dell’es-senza della modernità di Eric Voegelin.

Per il teologo Dirk Ansorge, il risultato della secolariz-zazione è la libertà come principio dei rapporti dell’uomo con il mondo e con se stesso. Questo non viene da lui

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condannato come una minaccia alla vita cristiana. Attra-verso la ricezione e l’analisi delle corrispondenti posizioni teologiche egli fa capire come nella scienza politica esista una mancanza che riguarda la teologia scientifica.

Claus–E. BärschPeter BerghoffReinhard Sonnenschmidt

Duisburg, 11 settembre 2004

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Obiettivi e contenuti della politologia della religione

Claus–E. Bärsch (trad. it. Serena Moretti)

Temo che voler trattare il rap-porto tra politica e religione in quaranta pagine sia un atto di superbia, perciò non mi resta che chiedere perdono, chiun-que debba concederlo.

1. Oggetto e concetto della politologia della religione

L’oggetto della politologia della religione è il rapporto tra politica e religione, com’è e come dovrebbe essere. Quest’ultimo non dovrebbe esserne l’oggetto. Io stesso mi batto per discutere del rapporto paradigmatico tra po-litica e religione. Si può anche discutere se non sarebbe meglio che non vi fosse alcun rapporto tra politica e reli-gione e che ogni connessione tra politica e religione do-vesse essere respinto. Il puro homo religiosus, ad esempio, può essere tentato di maledire ogni connessione tra poli-tica e religione come opera del diavolo. Per il puro homo politicus della modernità, invece, la libertà dell’uomo in quanto uomo comincia con la critica di ogni religione. Tuttavia attualmente pochi sono nella posizione di af-francare l’umanità dalla religione, mentre invece molti diventano o rimangono potenti tramite la religione. La

Chi disconosce la religione non conosce la politicaISBN 978–88–548–4023–2DOI 10.4399/97888548402322pp. 13–77 (aprile 2011)

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vita buona e felice dell’uomo è però una questione troppo seria per essere bandita dal dibattito scientifico.

Forse all’inizio di un saggio sugli obiettivi e sui conte-nuti delle ricerche della politologia della religione bisogne-rebbe trattare il rapporto di politica e religione in modo astratto, dal punto di vista dell’identità e della differenza, o dell’unità e della molteplicità, o dell’indifferenziazione e della differenziazione o dell’uguaglianza assoluta o rela-tiva. Ma ciò comporta un enorme dispendio da un punto di vista concettuale, logico, empirico, fenomenologico, descrittivo, analitico, categoriale e criteriologico.

Nota per esempio è l’alternativa tra unità e separa-zione di stato e Chiesa. Ma innanzitutto la separazione non è la categoria opposta all’unità, ma lo sono anche la varietà o la molteplicità. Quale sarebbe il criterio che permette il giudizio di unità nella molteplicità dello stato, della Chiesa e inoltre di stato e Chiesa? Devono essere impiegati ancora i concetti di stato e di Chiesa per com-prendere la storia europea e antica o addirittura la sto-ria mondiale? Ancora maggiori sono poi gli ostacoli se si vogliono formulare giudizi di identità. E soprattutto, ha senso voler formulare giudizi di identità fuori dalla lo-gica formale? Stabilire un’identità nella realtà presuppone l’esistenza di una sostanza che la crea?

Qui viene proposto di sostituire il concetto di stato con quello politica e il concetto di Chiesa con quello di religione, e non di interrogarsi sull’identità o sull’unità di politica e religione. All’inizio è sufficiente innanzitutto de-terminare cosa deve o può essere designato con i concetti di politica e religione, per poi scegliere, tenendo conto della moltitudine del “religioso” o del “politico” nel pre-sente e nella storia, una o più caratteristiche determinanti per il giudizio sulle relazioni tra politica e religione. Solo

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partendo dall’aspetto, o dagli aspetti scelti, devono poi essere accertati il rapporto, la concordanza, la differenza o la divergenza. Nella ricerca della politologia della reli-gione perciò si tratta di trovare categorie del politico e caratteristiche del topos religione e quindi di interrogarsi sulle implicazioni religiose del politico e quelle politiche del religioso. Di ciò si tratterà in queste pagine.

È indiscutibile che in molte epoche della storia la co-scienza di un differenza fondamentale o di una specifica divergenza tra quello che può essere indicato con il con-cetto di religione, e quello che può essere indicato con il concetto di politica, non esisteva. Il potente poteva essere percepito come sacro e il sacro come potente. Una violazione dei comandamenti religiosi era ad esem-pio una violazione dell’ordine totale, e una violazione delle regole importanti della convivenza dell’uomo una violazione delle regole religiose. Ciò vale ancora oggi, con eccezioni e gradi diversi, per il mondo islamico. Si è creata la consapevolezza della divergenza specifica o della differenza principale tra potere e sacro innanzitutto grazie all’interpretazione di certi passaggi del Nuovo Te-stamento («Il mio regno non è di questo mondo», Gio-vanni, 18,36; «date a Cesare, quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio», Matteo, 22,21). Nella comunità dei cristiani, che in rapporto ad altri regni di questo mondo avevano lo status di una propria organizzazione, si svi-luppò in Occidente la distinzione tra civitas Dei e civitas terrena come anche tra vis spiritualis (rappresentata dalla Chiesa, dai vescovi e dal papa) e vis temporalis (rappre-sentata dalle istituzioni e dai suoi vertici — imperatore, re o principe). Nonostante il modello della reciproca dipendenza e integrazione, venivano anche rivendicate reciprocamente preminenza e dominio. I rappresentanti

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della vis spiritualis volevano influenzare i principî del po-tere e i rappresentanti della vis temporalis le istituzioni, il contenuto e la forma della vita religiosa. Qui si deve richiamare l’attenzione sulla storia dell’integrazione e della dipendenza reciproche di vis temporalis e vis spiri­tualis nella storia dell’Occidente, una storia del tentativo e della tentazione della dominanza politica sul religioso e della dominanza religiosa sul politico, sotto l’aspetto mentale e istituzionale, da Costantino fino ai re franchi e dai re tedeschi fino alla lotta delle investiture, da lì fino alla teoria di Lutero dei due regni, fino al Christianae religio institutio di Calvino, alla sovranità dello stato, e dallo stato della Chiesa alla libertà di culto garantita dalla Costituzione, al laicismo e alla cosiddetta separazione fra stato e Chiesa. Dico ciò non solo per la cosiddetta identità dell’Europa, ma soprattutto perché la consape-volezza storica è il presupposto di ogni scienza della po-litica. Una storia sistematica e genetica del rapporto tra politica e religione non è ancora stata scritta. È un tema centrale della ricerca della politologia della religione.

L’esame delle connessioni tra politica e religione sa-rebbe certamente superfluo se tutti gli uomini fossero areligiosi o se tutti i conflitti di questo mondo fossero ap-pianati, e l’umanità si trovasse nello stato della communio sancta. Dio potrebbe essere morto. Ma nella ricerca della politologia della religione ci si vede costretti ad ammet-tere — per fortuna o purtroppo — che la religione “vive”; in alcune parti del mondo fiacca, in altre ragionevole o selvaggia, in altre ancora indolente ma potente. Le con-cezioni ateistiche del mondo non allettano né gli uomini d’azione avidi di potere o né quelli che vogliono cambiare il mondo con cuore sincero. Tanto meno Dio verrà ucciso da loro. L’ipotesi più o meno frequentemente e intensa-

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mente rappresentata fino a quindici anni fa, cioè che la mancanza di religiosità fosse il fine ultimo della storia glo-bale, contiene già di per sé un elemento magico–religioso. E questo perché la realizzazione di uno scopo da raggiun-gere in un futuro prossimo o remoto, che determina i rapporti causali degli avvenimenti politici, non può essere esperito e verificato da nessuno. La teleologia della storia è inoltre, cosa spesso sottovalutata, dipendente dalla teo-logia della storia. L’apocalisse cristiana è stata rifiutata e trasformata solo in determinati aspetti. La fede nella re-denzione, cosa che affascinava più gli intellettuali che i proletari, è stata mantenuta. La questione se davvero la negazione della proprietà privata dei mezzi e delle forze di produzione sia fallita a causa della negazione della reli-gione, in particolare per la mancanza di un’etica fondata sulla religione, è un tema della ricerca religioso–politico storica. Nota bene: tutti quelli che ancora recentemente erano convinti che la storia dell’Occidente si trovasse allo stadio del “tardo–capitalismo” potrebbero “rinnovare criticamente” la loro storia. Dalla prospettiva della poli-tologia della religione invece, non è da escludere che la fede nel regime marxista della libertà risorga di nuovo in occasione della prossima crisi economica.

Al momento tuttavia, negli Stati Uniti e nella maggior parte del mondo la popolazione è religiosa. Il conflitto internazionale è attualmente determinato dalla religione politica dell’Islamismo e dalla religione civile degli Stati Uniti. Il conflitto tra Europa e islamismo non è solamente un conflitto di politica estera, ma anche un conflitto tra l’Islamismo e il moderno stato costituzionale. In molti stati europei, come anche nella Repubblica Federale Tedesca, si può osservare un conflitto tra i musulmani tradizionali e il modello pluralistico della società. Se ci

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si attiene all’alternativa religioso/antireligioso, bisogna constatare che una lotta di gruppi di orientamento anti-religioso è, da un punto di vista sociopolitico, priva di si-gnificato. Dalla prospettiva religiosa si possono osservare in Germania le seguenti differenze:

1) la differenza tra i cristiani osservanti e i cristiani che vanno in chiesa per Pasqua, per la Pentecoste e per la maggior parte solo per Natale;

2) la differenza tra religiosità libera e religiosità legata alle comunità religiose o meglio alle Chiese;

3) la differenza tra cattolicesimo e protestantesimo;4) la differenza tra gli enti cattolici e protestanti del

diritto pubblico e le “chiese libere”;5) la differenza tra le grandi chiese e le chiese libere

e i cosiddetti nuovi movimenti religiosi di prove-nienza esoterica;

6) la differenza tra tutte le forme della tolleranza da una parte e quelle del fondamentalismo dall’altra. Se la libertà di culto valga anche per i suoi avversari non è solo un problema di diritto costituzionale.

C’è da ricordare che la dominanza di una mentalità areligiosa o antireligiosa in Germania non può essere di-mostrata empiricamente. Hegel sapeva perché e forse ha persino ragione:

Nessun uomo infatti è così corrotto, così perso e così mal-vagio, e non possiamo reputare nessun uomo così misero da non avere in sé proprio nulla della religione, fosse sol-tanto anche timore per la stessa, o nostalgia, o odio contro di essa; poiché anche nell’ultimo caso sarebbe occupato e coinvolto con la religione. Come uomo la religione gli è essenziale, e non è un sentimento a lui estraneo. Certo è

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essenzialmente importante il rapporto della religione con la sua Weltanschauung1.

La denominazione “politologia della religione”, per quanto possa essere discutibile il nesso storico tra il concetto romano “religio” e la parola greca “polites”, è un ambito ancora da stabilire della “episteme politike”, la scienza politica, ma anche di tutte le scienze il cui tema è la religione, come ad esempio la filosofia della religione, la sociologia della religione, la storia della religione, la psicologia della religione e persino la teologia della reli-gione. La denominazione “politologia della religione” è stata scelta intenzionalmente perché è stata fatta derivare dalla parola greca “polites” (cittadino). In tal modo si deve sottolineare che l’oggetto prioritario della ricerca della politologia della religione sono gli uomini che prendono decisioni nella vita sociale e agiscono l’uno con l’altro o uno contro l’altro — siano essi i dominanti e i dominati, i governanti o i governati, i comandanti o gli obbedienti. L’oggetto specifico della politologia della religione è la religiosità degli uomini che vivono in una associazione politica — regno, unione, società, comunità, stato, po-polo o nazione — siano essi membri di una specifica e or-ganizzata comunità religiosa — Chiesa, società religiosa, setta — o meno. Certo ci sono buoni motivi per supporre che, da un punto di vista tradizionale, chi ha una reli-gione abbia anche una Chiesa (extra ecclesiam non salus est) o faccia parte di una qualche associazione religiosa. Soprattutto non bisogna negare che il tipo e il modo della religiosità dipendano dal fatto di essere membri di una associazione — la Chiesa per eccellenza, cioè quella cat-

1. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, Theo-rie–Werkausgabe, Werke in zwanzig Bänden, vol. 16, p. 15.

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tolica, o una qualsiasi “Chiesa libera” a Wuppertal — o meno. Ma ci sono altrettanti buoni motivi per sostenere che il topos “religione invisibile”, trovato da Thomas Luckmann2, sia pertinente. Perciò il punto di vista tradi-zionale nella teoria dello stato, nel diritto costituzionale e nella scienza politica, cioè di includere il rapporto tra politica e religione nel rapporto tra stato e Chiesa, è solo di importanza secondaria nella politologia della religione. L’utilizzo del concetto Chiesa implica l’ipotesi di una per-sona collettiva che crede, decide e agisce. Così però le differenze tra credenti vengono annullate. Il riferimento alla storia di scismi, eresie, divisioni e conversioni può qui essere sufficiente. Non è il soggetto collettivo, cioè la Chiesa, a credere, dubitare, decidere o agire. Sono sem-pre gli uomini, che legandosi al contenuto o alla forma di una religione si uniscono in una Chiesa.

Che gli uomini si riuniscano e siano uniti non signi-fica che l’unione stessa (il collettivo, la collettività) abbia una qualità spirituale, cognitiva e morale, una identità, un sé o un io. Essere uniti non ha come conseguenza che l’unione (ad esempio la società, lo stato o il popolo) sia una persona o un attore che pensa e agisce. Se non-dimeno ciò accade. è un mistero o un miracolo. Ov-viamente — essendo questo un tema importante della ricerca della politologia della religione — si può credere che la comunità come tale sia un attore politico. In tutte le ipotesi in cui è contenuta l’accettazione che lo stato sia un attore, e questa ipotesi riveste la funzione di assioma, è contenuta una buona parte di superstizione. Nella ri-cerca della politologia della religione bisogna invece sem-plicemente cominciare ad analizzare che cosa sia per gli

2. T. Luckmann, Die unsichtbare Religion, Frankfurt 1991.

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uomini il “comune”, la cosa che tutti condividono. Per-ché la coscienza comune o la convinzione di una unità, la fede comune in questa unità, le opinioni concordi su ciò che l’unità è, costituisce la condizione per cui gli uomini, nonostante tutti i conflitti, si uniscano in una unità. Se si allenta l’unità perisce lentamente il cosiddetto stato, cambiano costituzioni, diritto, leggi e forme di governo. Se l’unità si lacera, lo stato diventa solo un cadavere. Può essere, ma non deve, che la religione sia il legame di tutte le istituzioni umane. Può anche darsi invece, ad esem-pio, che sia la legge il vincolo della società (lex vinculum societatis). Solo che le leggi sono create e cambiate dagli uomini. In altre parole: dalla prospettiva del politico l’in-teresse della politologia della religione riguarda la coe-renza dell’esistenza sociale. La coerenza sociale non si stabilisce da sola e non fa di sé ciò che è. Il tema della ricerca della politologia della religione è piuttosto:

a) se e come gli uomini concepiscano la loro esistenza come religiosa;

b) se abbiano una coscienza religiosa dell’ordinamento sociale;

c) se le loro decisioni riguardanti l’ordinamento della società siano inconsapevolmente influenzate dalla loro religiosità;

d) se e come definiscano il rapporto tra passato, pre-sente e futuro.

La domanda più spiacevole e difficile per i rappresen-tanti della corporazione scientifico–politica è quella sulla comprensione, sul concetto o persino sulla definizione di religione. La definizione di religione è per eccellenza pri-vilegio della teologia, della filosofia e della scienza della re-

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ligione. Il numero di definizioni è forse talmente vasto che il profano teme di dover continuare all’infinito. Non è così grave, ma è grave abbastanza. Per dimostrarlo viene qui citato lo studioso di scienza della religione Fritz Stolz:

Il XIX secolo ha portato una moltitudine di definizioni scien-tifiche di “religione”; lo psicologo della religione americano Leuba riportava già nel 1912 quarantotto definizioni, che lui, come c’era da aspettarsi, riteneva tutte insufficienti e che cor-resse con una sua definizione propria3.

Ma non c’è niente da fare. Nella ricerca della polito-logia della religione si deve perlomeno cominciare a de-finire in maniera sufficiente attraverso caratteristiche il topos ‘religione’. Lo scopo della politologia della religione consiste nello scoprire come gli uomini si percepiscono e interpretano, come interpretano la loro esistenza sociale come anche il rapporto tra passato, presente e futuro. Lo specifico oggetto religioso che la politologia della religione deve denominare è per ora la fede, cioè ciò che credono e in cui credono, insieme o meno, i dominanti e i dominati, i governanti o i governati, i comandanti o gli obbedienti. Laddove ciò in cui si crede viene articolato nella distin-zione tra aldilà e al di qua; ovvero a quello in cui si crede si attribuisce la caratteristica della trascendenza. Si può di-scutere se ciò sia sufficiente. Poiché il rapporto tra aldilà e al di qua, o meglio tra trascendenza e immanenza può valere per molti rapporti. Innanzitutto c’è da tenere pre-sente che lo status dell’aldilà, indipendentemente da ciò in cui si crede, riguarda il rapporto dei credenti con ciò in cui credono. L’identità di ciò che ha lo status di aldilà ostacola

3. F. Stolz, Grundzüge der Religionswissenschaft, II ediz. riveduta, Göttingen 1997.

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il procedere attraverso molteplici rapporti verso l’infinito, che viene a sua volta percepito come assurdo dalla ragione naturale. Lo stato di aldilà di ciò in cui si crede ostacola la limitazione al tanto citato TU di una percezione dell’altro e degli altri imperniata sull’io egocentrico.

Allo status trascendente di ciò in cui si crede viene così attribuito il significato di una terza istanza, attraverso cui possono essere costituiti rapporti. Se si attribuisce a ciò in cui si crede lo status di trascendente, a priori o come risultato di processi cognitivo–riflessivi difficili da descri-vere, cioè a posteriori, all’uomo viene permesso di eman-ciparsi dalla propria percezione e valutazione centrate sul soggetto — cioè rivolte a sé — del mondo degli altri, del mondo dell’essere e della natura. Si apre così la possibilità di non percepirsi più come il centro del cosmo attorno a cui tutto gira, di non valutare più il proprio Io come misura dell’esistenza sociale.

Ma ciò significa anche che nella ricerca della politologia della religione si può discutere su ciò a cui debba essere riferito il rapporto tra aldilà e al di qua, o meglio tra tra-scendenza e immanenza. Io propongo, considerando la tradizione greca, romana, giudaica e cristiana dei popoli dell’occidente — intendo ciò ovviamente anche come confessione — che il tratto essenziale della religione, per poter differenziare tra filosofia, scienza e ideologie, sia la fede. Ciò in cui gli uomini credono — Dio, la divinità, il divino, gli dei, il cosmo, l’anima del mondo — ha status di trascendenza, e il modo in cui la fede si articola porta a di-stinguere tra un mondo ultraterreno e uno terreno, come tra forze terrene e ultraterrene, ma in ogni caso tra sog-getto e quell’elemento transsoggettivo che viene adorato o pregato dal soggetto in modo straordinario come divino, sacro o sublime. È da discutere anche quanto conti la fede

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nella fenomenologia dello spirito — che sia essa obiettiva o assoluta — attraverso cui viene resa possibile ai fedeli la partecipazione alle forze terrene e ultraterrene, o meglio alla trascendenza, all’immanenza e alla sussistenza. Che lo spirito della fede sia soggetto o persino soggetto e oggetto contemporaneamente può essere messo in discussione. Per la ricerca della politologia della religione sono tuttavia importanti in primo luogo frasi più semplici, cioè dogmi, come se ne trovano in ogni catechismo (credo in…, credo che…), e i relativi comandamenti (Devi! Non devi!), come anche le virtù (fede, speranza, carità, devozione, miseri-cordia), che possono essere comprese da tutti senza dif-ficoltà, per poter rispondere innanzitutto alla domanda del rapporto tra politica e religione. Dovrebbero essere considerati inoltre il contenuto e la forma delle azioni di culto — in particolare l’estetica — in chiese, sinagoghe e templi cosi come le assemblee pubbliche e l’integrazione del religioso nella vita quotidiana. Perché attraverso ciò la fede viene consolidata, cosa necessaria, dal momento che la tensione tra aldilà e al di qua, il collegamento tra cielo e terra, non può essere colmato da una scala provvista di una fitta serie di grossi pioli.

Dalla prospettiva del politico tutti i tentativi di media-zione tra aldilà e al di qua sono di importanza prioritaria, come lo sono la presenza del divino, la rappresentazione di Dio come spirito, l’incarnazione e la personificazione di Dio e delle forze ultraterrene, nonché il male nell’uomo, nella società e nella storia. Dalla trasformazione in im-manenza della trascendenza di Dio, e insieme ad essa di quella del male, deriva in primo luogo la patologia del rapporto tra politica e religione.

Per la politologia della religione, oltre al rapporto tra uomo e Dio, mondo terreno e ultraterreno, e anche tra

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sacro e profano, sono interessanti anche la redenzione e il sacrificio. Proprio a proposito del tanto discusso rapporto tra sacrificio e salvezza si deve tenere conto del fatto che tra sacrificio nel senso di sacrificium e sacrificio nel senso di pura violenza c’è una differenza4. C’è da distinguere poi tra il sacrificio di sé, dei propri beni e persino della propria vita, e il sacrificio di un altro da sé. Se la religione abbia origine dal fatto che qualcuno diventa oggetto di violenza, o l’oggetto di sacrificio nel senso di sacrificium/victima presupponga determinate forme religiose di vita in comune, è un grande problema da discutere solo nell’am-bito della ricerca della politologia della religione. Poiché l’interpretazione della morte mediata dalla fede religiosa è il tema della ricerca della politologia della religione. Nello stesso tempo è importante innanzitutto capire se e come l’uomo percepisca la propria esistenza nella tensione tra vita e morte. Nella misura in cui l’anticipazione consape-vole del futuro è la capacità essenziale di ogni uomo, la fede negli eventi è un fattore essenziale sia del religioso che del politico, che è ancora riconoscibile nel plurimo si-gnificato del verbo latino credere (credo, credidi, creditum).

Visto che ancora molti uomini cercano risposta alle do-mande “chi sono?” e “chi siamo?” e sostengono che essa dipenda dalla riposta alle domande “da dove veniamo?” e “dove andiamo?”, cioè sono continuamente attratti dalla ricerca delle origini e dello scopo dell’esistenza, sempre mossi dalla ricerca stessa e quasi ossessionati dal trovare quali siano il principio e la fine, sarebbe una pazzia ne-gare l’appercezione di questo fenomeno. Già Max Weber insegnava che tra credo religioso e il credito economico c’è un nesso non solo semantico.

4. Opfer nel senso di “sacrificio” e di “vittima” [N.d.T.]