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Formazione

Strumenti

9. PER LAVORARE MEGLIO

La facilitazione dei gruppi

Vademecum per la formazione base dei direttori e delle équipe della Caritas diocesana

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

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CONTENUTI

Se uno dice: “Io amo Dio”e odia suo fratello, è un bugiardo.

Chi infatti non ama il proprio fratelloche vede, non può amare Dio che non vede.

1Gv 4,20

PREMESSA

Riflettere sulla qualità della comunicazione,individuale e in gruppo, è un passaggio chia-ve per un gruppo e un’organizzazione chericercano una corrispondenza sostenibile tra:

– i valori di riferimento (principi che ne orien-tano la missione)

– e il modo concreto (fatto di: organizzazio-ne del lavoro, uso delle risorse, relazioneinterpersonali, …) con cui quei valori, ofini/finalità, vengono quotidianamenterealizzati.

C’è un rapporto stretto tra la forma dell’orga-nizzazione interna ad un sistema sociale (adesempio azienda, gruppo di lavoro, associa-zione, …) e la qualità della sua azione versol’esterno. In altri termini una Caritas diocesa-na che voglia promuovere la carità nel tessu-to sociale della diocesi e delle parrocchie, conuna proiezione verso “l’esterno”, potrà farlo(in modo efficace) solo nella misura in cui riu-scirà a praticare e sperimentare relazioni dicarità al suo interno1. Si tratta dunque dicomprendere come può evolvere la comuni-cazione/relazione di un gruppo di personeche ha come mandato quello di educare allacarità la comunità cristiana cui appartiene. Unpassaggio necessario sembra essere quello dipassare da educare alla carità ad educarenella carità.

Il primo cambiamento può interessare ilmodo in cui un gruppo di lavoro si riunisce edopera. Questo comporta, inevitabilmente,una trasformazione altrettanto significativasul piano dell’organizzazione del sistema, ilche a sua volta influisce sulla qualità del-l’azione verso l’esterno.

Dopo aver riflettuto sulla motivazione al riu-nirsi, nel capitolo “La riunione”, l’attenzionedi questo capitolo si sposta su come facilitarela comunicazione di un gruppo al lavoro.

LA FACILITAzIONE

C’è l’idea che la facilitazione sia un interven-to legato a certe funzioni. Per esempio, loscrivere su cartellone, o tenere il conto degliinterventi e moderarli nei loro eccessi; oppu-re, gestire il momento della formalizzazionedelle decisioni, che può avvenire col voto ocon altre procedure. Identificare la facilitazio-ne solo con certe azioni o funzioni rischia diessere un modo di concepirla (e quindiattuarla) assai riduttivo e ostacolante il rag-giungimento stesso dei fini che con essa ci siprefigge.

Ma cosa vuol dire facilitare? Qual è lo scopodella facilitazione?

“La facilitazione è l’insieme degli strumenti,delle tecniche e delle azioni che consentonoal gruppo di gestire il processo decisionale insede assembleare. In altri termini la facilita-zione coincide con le forme della comunica-zione che un gruppo attua quando s’incontra;la facilitazione non è altro che una particola-re (evoluta) forma di comunicazione”.

Lo scopo della facilitazione è aiutare il grup-po a costruire buoni accordi, il che vuol direaiutarlo ad affrontare difficoltà, tensioni edanche i conflitti dei processi di elaborazione edecisione o, meglio, delle fasi fisiologiche didivergenza – caos e convergenza. In ultimaanalisi aiutare il gruppo a comunicare inmodo efficace, costruttivo, nonviolento.

Se la facilitazione ha lo scopo di aiutare il gruppo acomunicare, allora il gruppo, cioè i singoli parteci-panti (anche se un gruppo non è mai la semplicesomma dei partecipanti), non potendo non comu-nicare, non cessano mai di esercitare la loro influen-za (potere) sull’andamento della riunione, ovverosullo svolgimento del processo decisionale (che persua natura è inarrestabile, esattamente come lo èla comunicazione all’interno di una relazione).

Tale potere di influenzare il processo decisionaleha la sua corrispondente responsabilità, che, allostesso modo, non viene mai meno. Potere eresponsabilità sono le due facce della stessamedaglia.

1 cfr. http://www.sostenibile.org/aContenuti/comunicazione/consenso/consenso1.html#nota5 (Roberto Tecchio)

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

Si possono fare infiniti esempi in rapporto alfatto che, in una riunione, ogni intervento è, difatto, facilitante o meno rispetto al ‘risultatofinale’ (consenso, ovvero un buon accordo).

In pratica, questo vuol dire vedere e aiutare avedere, che la facilitazione viene esercitataistante dopo istante da ogni membro delgruppo, non solo da chi parla in un datomomento (comunicazione e facilitazione noncoincidono affatto con la verbalità), ma anzi,soprattutto da coloro che ascoltano (l’ascoltoè una parte fondamentale della comunicazio-ne/facilitazione e l’ascolto non cessa mai).

La complessità è la cifra dominante del nostrotempo. Una delle evidenze davvero rilevantisi presenta sotto forma di tempo accelerato. Iltempo (s)corre e (co)stringe. Le decisioni piùimportanti, avvengono in condizioni di ecce-zionalità, cioè di urgenza/emergenza: iltempo incalza, manca sempre, il ritmo è incal-zante. Nelle riunioni tutto questo comporta:ansia generalizzata, inefficienza, polarizza-zione delle decisioni, autoritarismo, etc.

Pur restando valida la prospettiva di un’acqui-sizione progressiva e diffusa delle abilità dibase dell’ascolto e della comunicazione effi-cace2, costruttiva, nonviolenta (ad esempionelle equipe Caritas diocesana, nelLaboratorio Promozione Caritas, nei diversigruppi di lavoro della Caritas,…) occorre pun-tare su soluzioni che aiutino i gruppi a lavora-re in modo utile e costruttivo in tempiadeguati ai loro processi operativi.

Valorizzare il ruolo di persone che hanno unapredisposizione naturale o una formazionespecifica alla facilitazione (intesa come formadi comunicazione) in un gruppo sembra unastrada percorribile e fortemente consigliataper tutti i livelli operativi e/o decisionali diuna Caritas diocesana.

IL FACILITATORE:COME OPERA, CONCRETAMENTE?qUALI CARATTERISTIChE hA?

Il facilitatore è una guida imparziale del pro-cesso di comunicazione all’interno di un grup-po. Per esercitare bene le sue funzioni nonesprime le sue opinioni personali e non inter-viene come partecipante.

Facilitare significa rendere facile, il facilitato-re farà tutto quello che potrà per alleggerireil lavoro del gruppo.

Un buon facilitatore è al servizio della collet-tività e serve il gruppo sostenendolo nel pro-cesso decisionale; egli serve la volontà delgruppo e in qualsiasi momento il gruppo puòscegliere di cambiarlo. Infatti il potere/re-sponsabilità di influenzare il processo deci-sionale non viene mai meno anche se èformalmente delegato ad un membro ester-no o interno al gruppo che, in virtù di taledelega, assume il potere/responsabilità disvolgere certe funzioni (se, per esempio, siaffida a un membro interno o esterno algruppo la funzione di controllare il tempo efar sì che tutti parlino non più di 5’, se questitende a fermare prima, o ben oltre quel limi-te, gli altri partecipanti possono richiamarel’attenzione su tale fatto).

La facilitazione infatti si basa più sulla fiduciache sulla competenza, e la fiducia non vuoldire avallare l’incompetenza, colludere!

INdICAzIONI PRATIChE:COME CRESCERE NELLA CAPACITàdI FACILITARE

Quella che segue non è la ricetta per diventa-re “bravi facilitatori”. Se la facilitazione coin-cide con la comunicazione, l’apprendimentodelle capacità di facilitazione sarà diretta-

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CONTENUTI

2 L’UNESCO ha chiamato life skill quelle «abilità per un comportamento positivo che rendono gli individui capaci diaffrontare efficacemente le sfide della vita quotidiana». Il gruppo di esperti dell’agenzia delle Nazioni Unite le ha iden-tificate utili per i processi di educazione, di formazione professionale, di prevenzione del rischio (droghe e violenza),di prevenzione dei conflitti, si tratta di: capacità di prendere decisioni, risolvere problemi, pensiero critico e pensierocreativo, comunicazione efficace, capacità di relazioni interpersonali, empatia, autoconsapevolezza, gestione delleemozioni e dello stress.

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

mente connesso alle abilità comunicative. Laquestione è “Come si impara a comunicare inmodo facilitante?” e riguarda sia il facilitato-re, formalmente riconosciuto/incaricato, cheun qualsiasi membro del gruppo.

Al di là di tutte le possibili, e opportune, pro-poste formative alla relazione, all’ascolto, allagestione del conflitto, etc. è possibile riflette-re su alcuni tratti della propria esperienzaindividuale per osservare (ed eventualmentefar evolvere) il proprio stile di comunicazione.

Attraverso l’osservazione/valutazione delleproprie interazioni, in una o più riunioni, siaprono porte di accesso per nuove forme dicomunicazione. L’auto-valutazione è luogo diemersione dei problemi, dei conflitti, delle

difficoltà, ma è anche un potente stimolo achiedersi: in quale altro modo posso agire?

Nella sezione formazione è proposto un itine-rario per lavorare sulla qualità della comuni-cazione – durante la riunione – del gruppo dilavoro cui si appartiene. La prospettiva d’ap-prendimento si può sintetizzare così: osservo

e valuto le forme del mio comunicare per

facilitare attraverso l’esercizio consapevole

del mio pote-re/responsabilità il processo di

lavoro (decisionale) del gruppo in cui opero.

Nella sezione strumenti c’è un breve reperto-rio di brani e check list con un chiaro orienta-mento pratico.

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CONTENUTI

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

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FORMAzIONE

1. ANALISIdELLA SITUAzIONE dI PARTENzA

Per migliorare il modo in cui comunichiamo inun gruppo occorre leggere e comprenderecome questo avviene normalmente.

Dentro uno stile d’interazione e dietro leforme con cui un gruppo modella il suo mododi comunicare c’è una, più o meno consape-vole, visione di facilitazione.

Il lavoro che segue ha proprio la finalità diaumentare consapevolezza e capacità di let-tura del modo abituale di comunicare ingruppo per sottrarlo all’automatismo e favo-rire il passaggio verso forme più evolute edefficaci.

Uno degli strumenti più utili per l’osservazio-ne è il questionario. Di seguito trovate alcuniquestionari di valutazione, e le relative indi-cazioni per compilarli, contenenti un reperto-rio di domande utili a comprendere comefunziona la comunicazione personale e all’in-terno di un gruppo (es. l’équipe della Caritasdiocesana).

A. IL COMPORTAMENTO COMUNICATIVO

Fase individuale: leggete e rispondete, piùonestamente possibile, alle domande quisotto presentate, cercando di fare una rifles-sione finale sul vostro modo complessivo dientrare in comunicazione con gli altri. Èopportuno fare riferimento soprattutto almodo di essere e stare nel gruppo di lavoro,di volontariato ecc. Potete dedicare a questafase fino a 15 minuti, arricchendo le risposte apunti con delle note e/o degli esempi che tor-nano alla mente.

Fase di gruppo: aprite un confronto sulleanalogie e sulle differenze che vi contraddi-stinguono, e quindi sulle aree che come grup-po vi rendono “forti” e su quelle che possonoessere migliorate. Potete dedicare a questafase un’ora di confronto, appuntando su uncartellone i due elenchi contenenti i punti diforza e le aree di miglioramento.

1. Se il responsabile del gruppo desse uninsieme di istruzioni al gruppo che io noncomprendo, che cosa farei?

a) Starei in silenzio e più tardi chiederei aun altro membro del gruppo che cosavoleva dire.

b) Chiederei immediatamente al respon-sabile di ripetere le istruzioni e dirispondere alle mie domande fino ache sono sicuro di aver compreso quel-lo che vuole.

2. Quanto spesso dite ad altri membri delgruppo che vi piace o approvate qualcosa?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

3. Quanto spesso permettete ad altri mem-bri del gruppo di sapere quando siete irri-tati o impazienti con qualcuno oimbarazzati da ciò che un altro dice o diessere di parere opposto a qualcosa cheviene detto o fatto?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

4. Quanto spesso chiedete agli altri membridel gruppo che cosa provano o li invitatea dire come stanno reagendo?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

5. Quanto spesso siete sicuri di ciò che gli altricomprendono di quello che dite o avete fidu-cia di quello che avviene in chi vi ascolterà?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

6. Quanto spesso incoraggiate altri membridel gruppo a farvi sapere come reagisco-no al vostro comportamento nel gruppo?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

7. Quanto spesso controllate la comprensio-ne di ciò che un altro ha detto, prima didire che siete d’accordo o in disaccordocon lui?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

8. Quanto spesso parafrasate o ripetete quelloche altri hanno detto prima di rispondere?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

9. Quanto spesso trattenete dentro di voipensieri, idee, sentimenti e reazionenegli incontri di gruppo?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

10. Quanto spesso vi assicurate che tutte leinformazioni che avete riguardo a unargomento in discussione sono possedutedal resto del gruppo?

mai | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | sempre

B. GIOCARSI IN GRUPPO

Il gioco può aiutarci a ritrovare parti dimenti-cate, considerate poco importanti dallanostra ragione, ma che hanno lasciato traccenelle nostre emozioni. “Giocare. Raramenteutilizziamo questo codice per procedereoltre”. La frase potrebbe anche essere scrittanel modo seguente:

In questo modo appare subito chiaro l’acrosti-co: un componimento poetico che forma unaparola o un nome determinato con le lettereiniziali dei versi, lette una di seguito all’altra,in senso verticale.

Diamo di seguito alcuni esempi:

Fase individuale. Provate dunque a formarealcuni acrostici con la parola gruppo (almenocinque). Rileggendo gli acrostici prodottiinterrogatevi sul loro senso e provate a verifi-care se nelle frasi scritte emerga il ricordo diqualche situazione di gruppo particolare.Chiedetevi:

Ÿ Com’era quel gruppo?

Ÿ Qual era il suo clima?

Ÿ Come si comunicava?

Ÿ C’era un leader?

Ÿ Qual era il suo metodo di lavoro?

Ÿ Aveva un obiettivo chiaro?

Ÿ Il risultato o il prodotto del lavoro era coe-rente con l’obiettivo che si era dato?

Appuntate qualche riflessione sulle vostreesperienze d’interazione e partecipazione aigruppi.

Potete dedicare a questa fase fino a 20 minuti.

Fase di gruppo. Condividete il frutto del lavo-ro individuale evidenziando, in un elenco e suun cartellone, le caratteristiche ricorrentinelle vostre diverse esperienze.

Potete dedicare alla condivisione fino a un’o-ra di confronto (dipende dalle dimensioni delgruppo).

C. PARTECIPARE IN COSCIENzA

Fase individuale. Dopo aver partecipato aduna o più riunioni potreste affinare l’osserva-zione e la comprensione dei vostri atteggia-menti rispondendo ad alcune di questedomande:

Ÿ Il gruppo lavora efficacemente se condivi-de un metodo di lavoro che orienta la riu-nione. Ho posto la questione sul metodo?In che modo ho esplicitato la richiesta?Come ho accolto la proposta di altri (senon è partita da me)?

Ÿ È prevista una facilitazione? La facilitazio-ne è condivisa/riconosciuta da tutti i mem-bri? È stato scelto un facilitatore formale?Quali altri ruoli sono definiti?

Ÿ Che postura ho avuto durante la riunione?Ero a mio agio o infastidito? Ero in contat-to col mio corpo?

Ÿ Come mi percepivo rispetto al resto delgruppo? Quanto pesavano nelle mie inte-razioni presenze e/o ruoli gerarchicamentesuperiori?

Ÿ Nei miei interventi ho tenuto conto deltempo (risorsa preziosa di tutti)? Mi sonodilungato, ho ripetuto più volte gli stessiargomenti? Oppure sono stato troppo breve“per paura” di rubare tempo ad altri?

Ÿ Sono riuscito a rimanere in tema? I feed-backs erano congruenti rispetto ai mieiargomenti/ interventi?

Ÿ Ho rispettato le regole previste e concor-date?

Ÿ Ho insultato o espresso giudizi sulle perso-ne? Avrei voluto farlo? Eventualmente conchi e perché?

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FORMAzIONE

Gente Grigia Guardo

Risate Riunione Riconoscente

Unica Utile Un

Proposta Parvenza Pensiero

Progettiamo Persone Produrre

Orizzonti aperti Ombrose Onde energetiche

GG iocareRRaramenteUU tilizziamo questo codicePPerPP rocedereOO ltre

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

Ÿ Ho polarizzato la discussione?

Ÿ Qual è stata la qualità del mio ascoltodurante la riunione? Cosa ha ostacolato ilmio ascolto? Come ho comunicato ascoltoai miei interlocutori?

Ÿ Ho colto e accettato punti di vista diversidal mio? Quali resistenze ho avuto? Perché?

Ÿ Come mi sono posto rispetto all’emergeredi un accordo? L’ho favorito, ostacolato?Sono riuscito ad esprimere chiaramente imiei bisogni in entrambi i casi?

Ÿ Il mio comportamento esteriore riflette imiei sentimenti interiori e i miei pensieri?

Ÿ Ho avuto un atteggiamento di accettazio-ne verso me stesso, i miei sentimenti? Everso gli altri?

Ÿ Sono stato tollerante?

Ÿ Sono stato collaborativo?

Monitorare la qualità della propria partecipa-zione ai gruppi (principalmente durante leriunioni) può aiutare a cogliere i nodi e gliimpedimenti che riguardano anzitutto il pro-prio modo di facilitare - o complicare - l’in-contro e la collaborazione all’interno di ungruppo di lavoro. Osservare sé stessi in rela-zione al gruppo comporta la possibilità di“lavorare su di sé” per andare verso una pro-gressiva assunzione di responsabilità. Si trattadi passare dall’atteggiamento di chi dice: “lecose non funzionano perché il gruppo è…, lepersone non riescono, dicono, fanno…”, aquello di chi non si sottrae a una lettura criti-ca della realtà ma risponde (responsabileinfatti significa abile a rispondere!): “io possocontribuire a migliorare la situazione se…”.

Fase di gruppo. Pur rimanendo un lavoromolto personale questa osservazione su di sépuò avere ricadute nel lavoro di crescita delgruppo sul tema facilitazione rispetto allearee di disagio. In pratica è possibile, e utile,socializzare quei comportamenti di altri par-tecipanti e/o quelle scelte di metodo di lavo-ro, d’interazione vissute dalla maggior partedelle persone che suscitano disagio. Si posso-no esprimere queste difficoltà in termini per-sonali perché tutto il gruppo possa farsenecarico e “facilitare” il contributo e il lavoro diuno o più membri. Esempio: “I vostri inter-venti sono inconcludenti. Perdiamo un saccodi tempo utile su cose non realizzabili!”.Questo tipo di comunicazione proietta il pro-blema sugli interlocutori ed esprime un giudi-zio, molto duro, sullo stile comunicativo degli

altri. Una comunicazione di taglio personaleavrebbe espresso lo stesso concetto in questomodo: “Quando intervenite senza descrivere itermini dei problemi e senza formulare pro-poste di soluzione sono a disagio perché ho lasensazione di perdere tempo prezioso”. Unelenco elaborato in gruppo di “disagi perso-nali” è un’ottima base per individuare cam-biamenti desiderati.

2. INdIVIdUAzIONEdEI CAMBIAMENTI dESIdERATI

Quali sono gli aspetti della comunicazioneall’interno di un gruppo che possono miglio-rare? Cosa il gruppo vuole evitare nel suomodo di comunicare?

Per rispondere a queste domande si può esa-minare il frutto del lavoro di analisi, realizza-to in precedenza, e delimitare alcune aree dilavoro su cui il gruppo decide di impegnarsi inun processo di crescita.

A.

Si può valorizzare il lavoro di analisi svolto inprecedenza e selezionare:

– due o tre aree di miglioramento emersedal lavoro sul questionario “Il comporta-mento comunicativo”

– alcune delle caratteristiche critiche deigruppi cui avete preso parte e che avetedescritto a partire dall’esercitazione “Gio-carsi in gruppo”

– quei disagi personali che incidono sul lavo-ro del gruppo deprimendone l’efficacia e ilclima (frutto del lavoro di osservazione de-nominato “Partecipare in coscienza”)

Negli elementi raccolti c’è l’evidenza di ciòche non funziona, fa difficoltà, mette in crisiil funzionamento del gruppo. Ma quegli stes-si elementi contengono anche, come in ungioco di specchi, i cambiamenti desiderati.

Esempio pratico: tra gli elementi critici emer-ge il fastidio per le continue interruzioni degliincontri, e dei singoli interventi in particolare,per le telefonate ricevute dai partecipanti. Uncambiamento desiderato, e possibile, è quellodi riunirsi e parlarsi senza le interruzioni e ildisturbo prodotto dall’uso dei telefoni mobili.

B.

Oltre a partire dal lavoro di analisi svolto èpossibile focalizzare i cambiamenti immagi-

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FORMAzIONE

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

nando un funzionamento diverso della comu-nicazione in gruppo. Non è possibile sganciar-si dalla realtà ma si usa l’immaginazione pernutrirla di stimoli positivi, visioni capaci dipromuovere un cambiamento che renda larealtà della facilitazione uno spazio di cresci-ta per le persone coinvolte.

UN COPIONE SORPRENdENTE

Il gruppo viene suddiviso in sottogruppi conun minimo di 3 e un massimo di 5 partecipan-ti (da ripartire a seconda delle dimensioni delgruppo principale). Ad ogni gruppo si forni-scono: fogli di carta A4, penne, pennarelli ecartelloni.

Ogni gruppo è chiamato a scrivere in 30 minu-ti il copione di una scena di lavoro “sorpren-dente”. Nel senso che, contrariamente alsolito, nel gruppo rappresentato ci si ascolta,il livello di comprensione è alto, i conflitti nonvengono rimossi ma gestiti, etc.

La scena può essere poi rappresentata chie-dendo al gruppo spettatore, o ai gruppi sequello principale è molto numeroso, qualicaratteristiche aveva la comunicazione messain scena.

Nella fase di analisi dell’esercitazione (debrie-fing) si può evidenziare l’elenco della comunica-zione di gruppo efficace dal quale il gruppoevidenzierà le voci per i successivi “passi da fare”.

3. SCELTA dEI PASSI dA FARE

Dopo l’analisi e la rappresentazione, che inuna delle due ipotesi prima descritte puòessere letterale, occorre progettare la crescitadell’evoluzione possibile nel facilitare lacomunicazione in un gruppo.

Questa fase, molto delicata e spesso elusa,può concretizzarsi in una sequenza di questotipo:

– circoscrivere delle aree di lavoro ricavatedall’incrocio degli elementi dell’analisi econ l’elenco della comunicazione di grup-po efficace

– descrivere i passi che decidete di muovereper camminare dalla condizione (A), emer-sa dal lavoro di analisi della situazione dipartenza, all’approdo (B) desiderato e cir-coscritto alla scelta cambiamenti desiderati

– programmare dei tempi di esecuzione everifica del lavoro svolto

– verificare, dopo un congruo intervallo ditempo, l’impatto del lavoro sulla facilita-zione del gruppo

Una tabella può semplificare il lavoro di codi-fica e rappresentazione per il gruppo.

Nell’esempio che segue si è scelto di lavoraresui tempi delle riunioni:

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FORMAzIONE

Area di lavoro Miglioramenti auspicati Azioni/modalità Verifica

svolgimentodelle riunionidel gruppo

riduzione delleinterferenze allacomunicazioneinterpersonaledurante gli incontri

– concordare la riduzionedel volume della suone-ria durante le riunioni(ricordando che anche icellulari più economicisono dotati di vibrazionesilenziosa)

– eliminare del tutto l’usodel cellulare durante leriunioni

– chiedere ai collaboratori/volontari di non essereinterrotti durante la riu-nione

– al termine di ogni riu-nione

– con un cartellone dopo3 mesi per verificare ilnumero delle telefona-te o delle interferenzericevute e il motivo

– …

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

STRUMENTI

1. SULLA FACILITAzIONE dEI GRUPPISI è dETTO

ChE COS’è LA FACILITAzIONE

La facilitazione dei gruppi di lavoro è unapratica professionale sviluppatasi soprattuttonelle imprese multinazionali e negli organi-smi internazionali (ONU, Commissione euro-pea) e oggi utilizzata in diversi contesti inambito europeo (convention aziendali, parte-nariati, programmi di sviluppo ecc.).

Il suo scopo è quello di far sì che i gruppi dilavoro, nel momento in cui si riuniscono peranalizzare una situazione o per prendere unadecisione, raggiungano lo scopo della riunio-ne in maniera più efficace, chiara e soprattut-to condivisa.

Essa si basa sulla figura del facilitatore, ilquale non è un esperto del tema di cui sidiscute ma del processo tramite cui il gruppoarriva ai risultati previsti nell’incontro. Il faci-litatore applica quindi le proprie competenze“di processo” ai più diversi argomenti, anzi lasua neutralità sul tema gli garantisce la fidu-cia degli altri, che lo percepiscono come unarbitro neutrale e non come uno che surretti-ziamente cerca di far prevalere una tesi piut-tosto dell’altra.

Negli USA è attiva ormai da decenni una asso-ciazione professionale con migliaia di membridedicata al networking e allo scambio diesperienze tra i facilitatori professionisti(www.iafworld.org).

Il lavoro concreto del facilitatore si esplicapertanto nella conduzione di incontri, riunio-ni, seminari, tavoli di lavoro ecc. Lei/lui aiuta igruppi a evitare le difficoltà che più soventesi possono presentare, quali ad esempio:

– la partecipazione squilibrata di alcunirispetto ad altri, (quelli che non parlanopotrebbero però avere idee buone),

– l’andare “fuori tema”,

– l’emergere di conflitti personali che nulla

hanno a che fare con il tema specificooggetto della discussione;

– il disordine con cui avviene la discussione,

– la difficoltà di comprensione tra le persone(che a volte possono provenire da back-ground professionali o culturali diversi),

– a mancanza di chiarezza sulle decisioni chevengono prese.

Il facilitatore è in pratica un “ottimizzatoredell’intelligenza collettiva”.

tratto da “La facilitazione dei gruppi di lavoro”di Federico Bussi (cfr. 3. Bibliografia e sitografia)

AGGIORNARE LE MAPPE:LA NEGATIVITà PUò SERVIRE

Di seguito una citazione tratta dal testo “Lariunione che serve - Metodi collaudati perincontri di lavoro a ‘forte-relazione’, costrut-tivi e concreti” di Pino De Sario (segnalato inbibliografia). Alcuni passaggi potrebberorisultare complessi o poco chiari ma viene quiproposto perché delinea un approccio al temadella negatività decisamente innovativo e, anostro avviso, da prendere in seria considera-zione nonostante l’impegno e la fatica che,certamente, richiede.

«(…) Qui provo a dimostrare quanto la nega-tività, se gestita ed elaborata, possa agire dafonte di motivazione, quale humus più schiet-to e fecondo del campo della riunione. Comese la negatività rappresenti gli enzimi germi-natori per le “piante” – idee e azioni – che imembri intendono alimentare e far crescere.La metafora agreste non toglie nulla al tenta-tivo difficile che ha questo capitolo, quello disuffragare il primato motivazionale e inclusi-vo della gestione e valorizzazione delle nega-tività in riunione. Ovvero, mentre moltaletteratura ci dice che è la positività l’unicocentro propulsore dell’efficacia, qui avanzia-mo un differente paradigma fondato sullanegatività da elaborare che, se svincolata daun tabù, può liberare forti opportunità dicontesto e alte risorse ed energie personali. Èovvio che, il lavoro competente sulla negativi-tà, nelle nostre attese, è il miglior viatico perl’applicazione di tutte quelle “storie belle”che l’organizzazione moderna ha sfornato,dall’empowerment agli intangibili al kno-wledge, dal learnig-group al benessere allecomunità di apprendimento.

I gruppi osservati in questi anni, in aula e al

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Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

tavolo, gli studi di area psicosociale e la neu-rofisiologia delle emozioni mi hanno fattorivalutare il modo in cui possiamo affrontarela negatività nelle riunioni. Più precisamente,mi sembra che il comportamento negativo -critica, squalifica, passività, sfiducia, opposi-zione - nasconda risorse molto più grandi diquanto pensassi in precedenza. Occorre dicerto attrezzarsi, aumentando le competenzerelazionali ed emotive, tramite strumenti emetodi efficaci, per cercare di accogliere lanegatività perché fisiologica. Per non spaven-tarsi troppo, indagarla, elaborarla, darle unadirezione.

La capacità di sosta nell’incertezza e nel disa-gio acquista così un’identità, un nome: capa-cità negativa. La capacità del partecipante distare vigile e desto, mobilizzando le risorsepersonali e tecniche, per avanzare versoun’azione arricchita e consapevole. Evitandocosì di cadere nelle solite forme di occulta-mento (“dai non dire così”), di appello positi-vista (“ora devi cambiare!”), di consiglio sullapelle dell’altro (“io farei così”). Evitandoaltresì le forme di incremento distruttivo(“ma basta, ora hai rotto”) in cui ci si “appic-cica”, innescando negatività su negatività inescalation, partendo da un piano e precipi-tando su di un altro, ben più disfunzionale.

Diciamolo subito, non è facile! La negatività èun tabù, un disturbo, è già difficile placarla,chiuderla, figuriamoci se ci poniamo l’obietti-vo di accoglierla e trasformarla.

A conforto, possiamo innanzitutto dire che, lanegatività è una specie di motore che carica lariunione di vitalità e ne incrementa la capaci-tà di movimento e inclusione. Per queste stes-se ragioni tuttavia, può rappresentare latomba del gruppo, la fossa della coppia pro-fessionale che va progressivamente a chiuder-si in modo imprevisto e regressivo. Ma aquesto punto scatta la domanda topica, comee quando, con quali forme e strumenti si puòfronteggiare la negatività in una riunione?(…)».

tratto da “La riunione che serve” De Sario P.(2008) (cfr. 3. Bibliografia e sitografia)

2. ChECk LIST E GRIGLIESULLA FACILITAzIONE

RESPONSABILITà dEL FACILITATORE:

Ÿ riflette sulle necessità del gruppo nel suoinsieme

Ÿ prima della riunione partecipa nella rac-colta delle informazioni e nella prepara-zione dell’Ordine del Giorno

Ÿ prepara il locale della riunione e porta consé tutto il necessario

Ÿ sceglie i volontari per le funzioni da copri-re (custode del tempo, verbalizzatore, …)

Ÿ crea un ambiente di fiducia e serenità

Ÿ supervisiona che tutti i membri del gruppopartecipino in modo paritario

Ÿ assicura che venga rispettato l’Ordine delGiorno stabilito

Ÿ mantiene la concentrazione e l’energia delgruppo focalizzati su quello che si sta fa-cendo alla luce di eventuali conflitti quan-do sorgono e suggerisce processi peraffrontarli

Ÿ trascrive gli accordi e verifica se c’è il con-senso o la maggioranza necessaria

Ÿ conclude l’incontro

Ÿ organizza le necessarie attività che seguo-no all’incontro, comprese le verifiche degliimpegni presi.

qUALITà dI UN BUON FACILITATORE

Ÿ Ha grande stima del principio del consen-so3

Ÿ Stima il gruppo che sta facilitando

Ÿ È un buon comunicatore, si esprime bene(in modo chiaro e articolato) e ha la capa-cità di ascoltare

Ÿ Ha buona memoria

Ÿ Ha senso logico: abilità di identificare leparti di un tutto e procedere in modo logico

Ÿ Ha intuizione: sa fare collegamenti nonlogici

Ÿ Ha equilibrio emotivo e buona energia fisica

Ÿ Ha un buon senso dell’umorismo, pazienzae flessibilità

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3 il consenso si ha quando tra maggioranze e minoranze si sviluppa una comunicazione che alla fine, pur permanen-do forme di disaccordo sui contenuti di una decisione, porta il gruppo nel suo insieme ad accettare liberamente,responsabilmente, creativamente quella decisione.

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

Ÿ Ha calore personale ed atteggiamentopositivo

Ÿ Si sente a suo agio anche nel conflitto

Ÿ Si sente impegnato a migliorare la propriacapacità di facilitatore

TABù dEL FACILITATORE

Ÿ Dare la propria opinione sul tema indiscussione (senza esplicitare la differenzadi ruolo)

Ÿ Bloccare una proposta

Ÿ Ironizzare in modo sarcastico o banalizza-re su quello che sta succedendo al gruppo

Ÿ Presupporre che il gruppo non si mettad’accordo su un tema

Ÿ Insistere perché il gruppo segua una certalinea

Ÿ Confessare che facilitare è difficile

Ÿ Abbandonare il gruppo al suo destino

I RUOLI

Nei gruppi è importante che anche rispettoalla comunicazione, come per l’assolvimentodelle usuali attività, ci sia una “divisione dicompiti”.

Si è detto dell’importanza dell’imparare acomunicare in modo coerente e di quantoquesto possa incidere nella vita del gruppo,ma è anche importante che ogni persona siacapace di comunicare a seconda delle situa-zioni in modo diverso, con interventi cheabbiano obbiettivi diversi.

A tal proposito proponiamo una esercitazio-ne individuale sulla capacità di fare interven-ti che abbiano riflessi sul clima del gruppo esulle relazioni interne.

Vediamo prima quali sono i ruoli e le possibi-li modalità per metterli in atto:

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RUOLI dI MANTENIMENTO OBIETTIVO Modalità relazionali

Incoraggiatore Valorizzare le opinioni altrui e con-fermare ogni persona

È amichevole, affettuoso e sensibi-le, accetta l’opinione di tutti

Rilanciatore Richiamare l’attenzione del grupposulle reazioni, idee e suggerimentiemersi

Manifesta le proprie impressioni,riespone le opinioni e le impressio-ni degli altri

Conciliatore Ricomporre il disaccordo e ridurre latensione

Fa osservazioni distensive, scherza,convince le persone ad esprimerele differenze

Intermediario Mantenere la coesione nel gruppo Propone transazioni su idee, accet-ta condizioni, ammette errori

Facilita-comunicazione Mantenere aperta la discussioneChiede l’opinione di tutti, rispondealle esigenze espresse dal gruppo,ascolta, suggerisce procedure

Custode del fine e dello stile Far prendere coscienza al gruppo delproprio orizzonte e del suo cammino

Richiama l’obiettivo del gruppo esuggerisce compiti

Ascoltatore Diventare capaci di un ascolto inte-ressato e attivo Ascolta e accetta le idee degli altri

RUOLI dI MANTENIMENTO Ruoli che occupospesso

Ruoli che assumoinadeguatamente

Ruoli che vorreiassumere

Incoraggiatore

Rilanciatore

Conciliatore

Intermediario

Facilita-comunicazione

Custode del fine e dello stile

Ascoltatore

Si provi ora a riempire lo schema proposto ed eventualmente ci si confronti in gruppo... senzapaura di essere giudicati o di mettersi in discussione.

Per lavorare meglio > La facilitazione del gruppo

3. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

ATzEI P. a cura di, La gestione dei gruppi nelterzo settore – guida al cooperative learning,Carrocci Faber, Roma

BIANCO E., Miglioriamo le nostre riunioni –Quasi un manuale per comunità e gruppiecclesiali, Elledici, Torino

DE SARIO P. (2006), Il facilitatore dei gruppi –Guida pratica per la facilitazione esperta inazienda e nel sociale, Franco Angeli, Milano

DE SARIO P. (2008), La riunione che serve -Metodi collaudati per incontri di lavoro a“forte-relazione”, costruttivi e concreti,Franco Angeli, Milano

LUCARELLI G., Il gruppo al lavoro – Strategie econsigli per migliorare le performance e lacreatività del vostro gruppo, Franco Angeli,Milano

MELONI E. (2005), Accompagnare la formazio-ne – Il sé, gli altri, l’Altro, Edizioni Dehoniane,Bologna

LISS J., La comunicazione ecologica, La Me-ridiana, Molfetta, 1992

JELFS M., Tecniche di animazione. Per la coe-sione nel gruppo e un’azione sociale nonvio-lenta, Ed. LDC, Torino, 1993.

MUCCHIELLI R., Come condurre le riunioni.Teoria e pratica, Editrice LDC, Torino, 1989.

QUAGLINO G.P., CASAGRANDE S., CASTELLANO A.,Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, RaffaelloCortina Ed., Milano, 1992.

- La facilitazione dei gruppi di lavoro diFederico Bussi http://www.progettogrup-

po.it/download.htm

- Il Processo Decisionale Consensuale, docu-mentazione in lingua italiana che contienetra l’altro il materiale curato da RobertoTecchio (uno dei massimi esperti in Italia sulmetodo) http:// www.autistici.org/azione/

consenso/index.html

- Una descrizione sintetica del metodo delconsenso http://www.utopie.it/nonviolen-

za/me-todo_ del_consenso.htm

- Una breve scheda di presentazione a cura diLucilla Borio http://www.associazionebasili-

co. org/attachments/section/6/Ecologia%20

delle%20relazioni%20e%20metodo%20del

%20consenso.pdf

- Il sito dell’istituto internazionale per la faci-litazione e il cambiamento – IIFAC con arti-coli, schede, proposte di trainings (soloinglese e spagnolo) http://www.iifac.org

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