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1 Con la mostra Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915, la Galleria nazionale d’arte moderna intende approfondire un momento di particolare fervore innovativo all’interno della cultura artistica e letteraria italiana immediatamente precedente la prima guerra mondiale. Un periodo breve - ideologicamente segnato da contrasti politico-sociali e da un crescente nazionalismo - durante il quale artisti e critici si interrogano sui con- cetti di modernità e avanguardia. Mentre l’Ottocento, il ‘secolo lungo’, moriva, e con esso veniva meno l’entusia- stica fiducia nel progresso della belle époque, una generazione di giovani artisti si poneva in contrapposizione al consolidato sistema ufficiale delle esposizioni (le mostre degli Amatori e Cultori a Roma, le Biennali a Venezia), contestando i criteri conservatori e selettivi che regolavano partecipazioni ed esclusioni, riven- dicando libertà espressiva e autonomia di canali espositivi alternativi. Come era già avvenuto a Monaco, a Berlino, a Vienna, gruppi di artisti italiani gio- vani e meno giovani sceglievano di associarsi nel comune segno della Secessione, sia interpretata, alla lettera, come separatismo, divisione netta e antagonistica, sia come manifestazione che raccoglieva le forze più innovative intorno a concetti modernisti, ma in cui non tardarono a penetrare elementi di avanguardia. La mostra della Galleria nazionale prende l’avvio dal 1905, anno in cui Gino Seve- rini e Umberto Boccioni organizzano nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma una Mostra dei Rifiutati la quale, benché non riuscisse pienamente nel tentativo di opposizione efficace alle esposizioni annuali degli Amatori e Cultori, costituì un primo germe di opposizione. Attraverso otto aree tematiche – che compren- dono oltre 170 opere - il percorso si apre all’inizio del secolo nel clima del socia- lismo umanitario, di cui Giuseppe Pellizza da Volpedo è precursore, raccolto a Roma intorno a Giovanni Cena, Duilio Cambellotti e Giacomo Balla, qui presen- te con il ritratto monocromo di Lev Tolstoj. Seguono gli artisti italiani che aveva- no avuto una significativa partecipazione alle esposizioni europee indipendenti o secessioniste: Gaetano Previati, ammirato per la spiritualità simbolista al Sa- lon de la Rose-Croix e alla Internationale Kunstausstellung di Monaco; Medardo Rosso, che partecipa alla grande rassegna sull’impressionismo organizzata dalla a cura di Stefania Frezzotti Roma, Galleria nazionale d’arte moderna 31 ottobre 2014- 15 febbraio 2015 COMUNICATO STAMPA

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Page 1: a cura di Stefania Frezzotti Roma, Galleria nazionale d'arte moderna

1 Con la mostra Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915, la Galleria nazionale d’arte moderna intende approfondire un momento di particolare fervore innovativo all’interno della cultura artistica e letteraria italiana immediatamente precedente la prima guerra mondiale. Un periodo breve - ideologicamente segnato da contrasti politico-sociali e da un crescente nazionalismo - durante il quale artisti e critici si interrogano sui con-cetti di modernità e avanguardia.Mentre l’Ottocento, il ‘secolo lungo’, moriva, e con esso veniva meno l’entusia-stica fiducia nel progresso della belle époque, una generazione di giovani artisti si poneva in contrapposizione al consolidato sistema ufficiale delle esposizioni (le mostre degli Amatori e Cultori a Roma, le Biennali a Venezia), contestando i criteri conservatori e selettivi che regolavano partecipazioni ed esclusioni, riven-dicando libertà espressiva e autonomia di canali espositivi alternativi.Come era già avvenuto a Monaco, a Berlino, a Vienna, gruppi di artisti italiani gio-vani e meno giovani sceglievano di associarsi nel comune segno della Secessione, sia interpretata, alla lettera, come separatismo, divisione netta e antagonistica, sia come manifestazione che raccoglieva le forze più innovative intorno a concetti modernisti, ma in cui non tardarono a penetrare elementi di avanguardia.

La mostra della Galleria nazionale prende l’avvio dal 1905, anno in cui Gino Seve-rini e Umberto Boccioni organizzano nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma una Mostra dei Rifiutati la quale, benché non riuscisse pienamente nel tentativo di opposizione efficace alle esposizioni annuali degli Amatori e Cultori, costituì un primo germe di opposizione. Attraverso otto aree tematiche – che compren-dono oltre 170 opere - il percorso si apre all’inizio del secolo nel clima del socia-lismo umanitario, di cui Giuseppe Pellizza da Volpedo è precursore, raccolto a Roma intorno a Giovanni Cena, Duilio Cambellotti e Giacomo Balla, qui presen-te con il ritratto monocromo di Lev Tolstoj. Seguono gli artisti italiani che aveva-no avuto una significativa partecipazione alle esposizioni europee indipendenti o secessioniste: Gaetano Previati, ammirato per la spiritualità simbolista al Sa-lon de la Rose-Croix e alla Internationale Kunstausstellung di Monaco; Medardo Rosso, che partecipa alla grande rassegna sull’impressionismo organizzata dalla

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Wiener Sezession nel 1903; Giovanni Segantini, presente sia al Salon du Group de XX a Bruxelles sia alle esposizioni della Secessione di Monaco e di Vienna, invitato dagli artisti stessi della cerchia klimtiana.

Le esigenze di rinnovamento e di apertura internazionale si polarizzano fra il 1908 e il 1915 a Venezia e a Roma, nelle manifestazioni di Ca’ Pesaro e della Se-cessione romana. Nella successione delle prime sale si può seguire l’intrecciarsi delle due manifestazioni. Dalle attività espositive della Fondazione Bevilacqua La Masa, che nel 1913 sono sospese perché troppo “eversive” rispetto alla Bien-nale veneziana, emergono Gino Rossi, Tullio Garbari, Ubaldo Oppi, Vittorio Zecchin, Guido Marussig, ma soprattutto Arturo Martini e Felice Casorati, che imprimeranno un segno incisivo nello sviluppo dell’arte italiana degli anni venti-trenta del secolo. La varietà dei riferimenti del gruppo di Ca’ Pesaro spazia dalla secessione viennese al primitivismo, dal paesaggismo nord-europeo a Gauguin e al sintetismo di Pont-Aven, ma anche al nuovo rappresentato dalle opere pre-futuriste di Boccioni, al quale nel 1910 viene dedicata una mostra individuale.

La Secessione romana denuncia fin dalla denominazione - “Esposizione Inter-nazionale d’Arte della Secessione”- la volontà di riallacciarsi programmaticamen-te agli analoghi movimenti di area tedesca e austriaca, proponendo al tempo stesso un più marcato collegamento alle ricerche artistiche europee recenti nel tentativo di sprovincializzare la cultura italiana. Desta un vivo scalpore nel 1913 la sala dell’arte francese che, a distanza di tre anni dalla mostra al Lyceum di Fi-renze sull’impressionismo in cui era esposto per la prima volta in Italia un dipinto di Vincent Van Gogh, (quel Giardiniere ora alla Galleria nazionale), presenta una rassegna dell’arte francese che parte dall’impressionismo per arrivare alle ultime tendenze, con artisti come Pierre Bonnard, Félix Vallotton, Édouard Vuillard, Kees van Dongen. L’area mitteleuropea è rappresentata dal simbolismo di Franz von Stuck e dello svizzero Ferdinand Hodler, il quale confluisce nel 1900 nella Secessione viennese e monacense; nel 1914 arriva a Roma l’attesissimo nuovo gruppo austriaco capeggiato da Gustav Klimt (fra gli esponenti Kolo Moser e Egon Schiele). Del tutto eccezionale la presenza a Roma degli artisti russi del Mir Iskusstva (o Mondo dell’Arte, di cui fanno parte Filipp Andreevič Maljavin e Igor’ Emmanuilovič Grabar’) gruppo artistico espressione dell’omonima rivista fondata nel 1898 a Pietroburgo da Sergej Djagilev, rifondato nel 1910 da Nikolaj Rerich .Anche a Roma, come a Venezia, si evidenziano tendenze diverse con piena li-bertà espressiva: dalle interpretazioni elegantemente mondane del divisionismo di Camillo Innocenti, Arturo Noci, Plinio Nomellini, alle novità plastiche di Ro-berto Melli, fino ad accogliere artisti provenienti da Ca’ Pesaro: Mario Cavaglie-ri, Lorenzo Viani, Zecchin, i ‘ribelli’ Rossi, Casorati, Martini. Nelle ristrettezze del clima bellico calano infine le presenze straniere nelle ultime edizioni, mentre si affermano i giovani Felice Carena, Pasquarosa Bertoletti, Armando Spadini.

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La dirompente novità dei Futuristi, ambiguamente emarginati dalle secessioni romane, trova una propria sede nella Galleria Permanente Futurista di Giuseppe Sprovieri, che nel 1914 ospita esponenti europei dell’astrattismo-futurismo, fra i quali i russi Alexander Archipenko e Aleksandra Ekster, saldando la circolarità espositiva delle tendenze in atto. La Galleria Sprovieri è il vero laboratorio speri-mentale, sfidando il pubblico e la critica con le opere di Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Luigi Russolo, Carlo Carrà, Gino Severini, del primo Depero. Ca’ Pesaro e Secessione romana rappresentano quindi i poli di un’avanguardia ‘moderata’, contrapposta all’avanguardia radicale del Futurismo, che intende in-cidere in maniera rivoluzionaria sul linguaggio artistico, sulla psiche dell’uomo moderno, sulla realtà politica. La mostra si chiude sulla tabula rasa che il conflitto mondiale attua nei confronti di ogni aspirazione avanguardista, inglobandone lo slancio vitale. All’entusiastico interventismo futurista, alla nuova, modernissima iconografia della guerra nelle “dimostrazioni patriottiche” di Cangiullo, Mari-netti, Balla, si contrappone la poetica del silenzio e dell’assenza, presagio del dramma imminente, del primo De Chirico.L’iniziativa rientra nel Programma ufficiale delle commemorazioni per il centena-rio della Grande Guerra della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione per gli Anniversari di interesse nazionale.

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SCHEDAINFORMAZIONI

Mostra SECESSIONE E AVANGUARDIA. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915

Periodo 31 ottobre 2014 – 15 febbraio 2015

A cura di Stefania Frezzotti

Sede Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea Viale delle Belle Arti 131, Roma Ingresso per disabili: via Gramsci 71

Orari di apertura martedì - domenica dalle 10.30 alle 19.30 venerdì fino alle 22.00 (la biglietteria chiude alle 18.45; il venerdì chiude alle 21.15) Chiusura il lunedì

Biglietto ingresso museo-mostra intero 13 euro, ridotto 10,50 Prima domenica del mese accesso gratuito

Informazioni tel. +39 06 32298221 www.gnam.beniculturali.it

Catalogo Electa

Ufficio stampa GNAM Laura Campanelli tel. +39 06 32298328 [email protected]

Electa Gabriella Gatto tel. +39 06 47497462 [email protected]

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cartella stampa

SALA 1

Nel 1911, l’anno della guerra di Libia, impresa colonialista che divide politici e intellettuali fra neutralisti e interventisti, l’Italia libera e indipendente celebra il cinquantenario della propria unità con grandi eventi: l’inaugurazione del Monumento a Vittorio Emanuele II e l’Esposizione Internazionale d’Arte a Valle Giulia.Il fregio decorativo commissionato a Edoardo Gioia era originariamente collocato nell’atrio del Padiglione delle Feste di Marcello Piacentini, il luogo deputato alle cerimonie ufficiali e agli spettacoli di grande pubblico.Circondata da Vittorie bronzee, fra rami di ulivo e di alloro, simboli della pace e della gloria, l’Italia è una giovane donna moderna, accompagnata dalle Muse, protettrice delle Arti, incoronata dal suo Genio, ma anche vittoriosa, se necessario, con la forza.Ricco di reminescenze dell’arte classica, barocca, dell’estetismo inglese, il fregio vuole celebrare un’immagine del potere raggiunto dalla nazione, incarnare sentimenti di italianità e nazionalismo senza tuttavia ricorrere alla retorica, ma con aerea leggerezza, come si conviene alla sede di esposizione.Il senso della patria, l’affermazione della recente nazione, confluiscono nella ricerca di una identità in primo luogo culturale.

SALA 2

Nel 1901, attratti dalla vitalità e dalle opportunità offerte dalla capitale, i giovani Umberto Boccioni e Gino Severini giungono a Roma, dove iniziano a frequentare lo studio di Giacomo Balla, di cui ammirano la libertà nella tecnica divisionista, la novità del taglio fotografico, l’isolamento dell’immagine. Ma, benché il loro maestro facesse parte della giuria, le loro opere non sono accettate alla LXXV Esposizione della Società degli Amatori e Cultori. Pertanto, nel marzo del 1905 Boccioni e Severini danno vita ad una polemica Mostra dei Rifiutati nel foyer del Teatro Nazionale, ponendosi in aperto contrasto con la manifestazione ufficiale di antica storia. Delusi dalla vicenda romana, entrambi gli artisti, fra il 1905 e il 1906 si trasferiscono a Parigi, laboratorio delle prime avanguardie. Tuttavia, nel marzo del 1906 l’Autoritratto di Severini, esposto alla prima Mostra dei Rifiutati, sarà scelto per la copertina del ”L’Avanti della Domenica”, periodico socialista che ospita nelle proprie pagine gli intellettuali più avanzati. Nello stesso arco di tempo, tra il 1905 e il 1906 il giovane Carlo Carrà, formatosi sul pensiero anarchico e socialista, realizza il dipinto Allegoria del lavoro, commissionatogli dalla Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano di cui l’artista faceva parte. La tematica del lavoro e delle sue implicazioni sociali, molto avvertita nell’Italia del nord in cui l’industrializzazione è più avanzata, è interpretata da Carrà utilizzando ancora un linguaggio simbolista, in cui la figura dell’operaio emerge seminudo come un eroe mitologico fra figure allegoriche, l’incudine, il martello.

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“Sento che non è più tempo di fare l’Arte per l’Arte, ma dell’Arte per l’Umanità”, aveva scritto Giuseppe Pellizza da Volpedo, che nel Quarto Stato (1901), esposto per la prima volta a Torino nel 1902 e poi a Roma nel 1907 presso gli Amatori e Cultori, aveva rappresentato l’avanzare delle classi lavoratrici in una visione utopica di progresso e di giustizia sociale.Nel difficile percorso di allineamento del nuovo Stato italiano alla situazione economica e politica europea, gli ideali di uguaglianza e solidarietà propri del socialismo umanitario, alimentati dalla lettura di testi di scrittori tedeschi e russi, trovano a Roma un centro particolarmente avanzato di letterati e artisti raccolti intorno a Giovanni Cena, Giacomo Balla, Giovanni Prini, Duilio Cambellotti, Sibilla Aleramo. La traduzione in italiano nel 1899 di “Che cosa è l’arte?” di Tolstoj imprime alle concezioni socialiste ulteriori finalità educative e morali: il fine dell’arte non è piacere estetico per pochi, ma strumento di progresso dell’umanità, di educazione del popolo per il miglioramento delle condizioni di vita e il superamento delle differenze sociali. Le idee di Tostoj, al quale Balla dedica un emblematico ritratto, raffigurando lo scrittore con la camicia tradizionale dei contadini russi e un aratro sullo sfondo, trovano attuazione nella fondazione delle scuole per contadini dell’Agro Pontino e in opere ispirate agli ambienti rurali delle Paludi Pontine, come nel gesso per La fonte della palude di Duilio Cambellotti, restaurato per questa occasione.

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Per tutto l’Ottocento le esposizioni internazionali europee erano state un formidabile strumento di informazione e circolazione delle idee. Alcuni artisti italiani furono particolarmente influenti, invitati e premiati alle più importanti mostre indipendenti e secessioniste organizzate in Europa.Fra questi il divisionista Gaetano Previati, attentamente studiato da Boccioni nella fase pre-futurista, si afferma a livello internazionale al Salon de la Rose-Croix di Parigi, alle mostre della Secessione di Monaco e Berlino, con dipinti pervasi dalla luce e da una spiritualità mistica. Grande è stata la notorietà di Giovanni Segantini in ambito internazionale, ammirato per la raffinatezza stilizzata delle sue opere panteiste in particolare dagli artisti della Secessione viennese: invitato d’onore con 29 opere già alla prima esposizione del 1898, oggetto di uno studio monografico e di una vasta retrospettiva che i secessionisti gli dedicheranno nel 1901 a seguito della sua morte. La dirompente novità della plastica di Medardo Rosso viene colta sia da Boccioni nei suoi studi sui rapporti fra la figura e lo spazio, sia dai secessionisti viennesi che invitarono lo scultore all’ampia mostra sull’Impressionismo organizzata nel 1903 a Vienna da Klimt e Carl Moll. Il critico Ardengo Soffici inoltre

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contribuisce a far conoscere Rosso in Italia in occasione della “Prima Mostra Italiana dell’Impressionismo” al Lyceum Club di Firenze (1910), dove, oltre alle opere degli impressionisti storici, era esposto anche Il Giardiniere di van Gogh (collezione permanente Sala 15). L’area simbolista tedesca è rappresentata da Franz von Stuck, fondatore della Secessione di Monaco, particolarmente influente in Italia sugli artisti del decadentismo. La cultura secessionista tedesca ha una parte preponderante sulla formazione di Adolfo Wildt, scultore di eccelsa tecnica, che nelle sue opere rielabora la scultura rinascimentale, Michelangelo, il tardo gotico, fino ad una drammatica deformazione espressionista.

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Le periodiche rassegne della Biennale di Venezia offrivano la possibilità di una conoscenza ravvicinata degli artisti stranieri più affermati. Nel primo decennio del secolo la pittura spagnola, di cui Ignacio Zuloaga è l’artista più rappresentativo, gode di grande fortuna sia a Venezia che a Roma, dove assume le caratteristiche di un fenomeno di moda per la forte carica coloristica.Parallelamente, già dal 1908-10 emerge una tendenza espressionista all’interno della stessa cerchia klimtiana. Tra i protagonisti di questo gruppo, Kolo Moser è stato tra i principali innovatori nella grafica della Vienna di inizio secolo e il più importante collaboratore della rivista “Ver Sacrum”. Colpito dai dipinti dello svizzero Ferdinand Hodler, caratterizzati da quegli elementi di euritmia, ripetizione simmetrica e allegoria tipici della pittura simbolista, Moser raffigura figure femminili attraverso un linearismo fortemente accentuato e un uso antinaturalistico del colore.Il linearismo teso delle figure di Hodler lascia un segno anche nelle opere di Egon Schiele, il più noto protagonista dell’espressionismo austriaco. Nella sua linea tormentata e appuntita, attraverso colori forti, talvolta acidi, Schiele è il pittore che più drammaticamente fa affiorare le inquietudini della Vienna dei primi novecento.All’interno della cultura secessionista Aroldo Bonzagni mostra una precoce adesione alla deformazione espressionista, a tratti caricaturale, come si può rilevare nel dipinto Moti del ventre, derivato dalla Salomè di von Stuck, ma rovesciandone completamente il significato, o nel contemporaneo San Sebastiano, ispirato a “Le Martyre de Saint Sebastien” di Gabriele D’Annunzio rappresentato a Parigi nel 1911.

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Nel 1898 la nobildonna Felicita Bevilacqua La Masa aveva lasciato per testamento al Comune di Venezia il palazzo di Ca’ Pesaro sul Canal Grande per farne una sede espositiva destinata ad accogliere quei giovani artisti e artigiani veneti normalmente esclusi dalle grandi esposizioni internazionali, come la Biennale, rivolta invece ad artisti già affermati. Solo a partire dal 1908 fu possibile realizzare, sotto la direzione del critico Nino Barbantini, mostre annuali, che divennero ben presto rassegne di grande interesse su giovani artisti emergenti.Le mostre di Ca’ Pesaro, pur con una certa eterogeneità, riuscirono a delineare una visione unitaria di fondo: gli artisti veneti guardavano al secessionismo di Monaco e di Vienna per vicinanza geografica e culturale, ma erano aggiornati anche sul sintetismo francese, ispirandosi per esempio a Pont-Aven come esperienza da replicare nella laguna veneta. Questo fu il ruolo di Gino Rossi, il quale, tornato da un soggiorno in Bretagna, avviò un sodalizio artistico ed umano con lo scultore Arturo Martini. I due artisti erano accomunati dall’interesse per il primitivismo (che, nel caso di Gino Rossi, passava per Gauguin e i Nabis), in una singolare mediazione tra modernità e tradizione. Tali tendenze coinvolsero anche il pittore trentino Tullio Garbari, il quale vi giunse dopo una ricerca improntata sull’estetica secessionista viennese, analoga a quella che conduceva, in quegli stessi anni, il friulano Guido Marussig sul tema della pittura di paesaggio.Tra le più importanti iniziative promosse da Barbantini a Ca’ Pesaro è la sala individuale dedicata a Umberto Boccioni, invitato a esporre nel 1910 con un cospicuo numero di dipinti del periodo divisionista, ma la presenza dell’artista fu significativa come prima testimonianza dell’interesse per le novità futuriste in area veneta.

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Nell’ambito delle mostre della Secessione romana, gli artisti toscani costituirono una presenza numerosa e costante. Tra questi, va ricordato in particolare Plinio Nomellini: già membro della giuria di ammissione e della commissione di collocamento della Secessione, l’artista livornese aveva un’importante sala personale di ventidue dipinti alla prima mostra della Secessione. Protagonista dei suoi dipinti è il colore, sempre vivace e luminoso, e una libera interpretazione della tecnica divisionista affine alle coeve tendenze dei più giovani secessionisti italiani. La presenza dell’artista in tale contesto, inoltre, s’inscriveva nel dibattito che la Secessione si proponeva di animare sul rapporto tra pittura, scultura e arti decorative: il mobilio e la decorazione per la sua personale erano stati eseguiti dalla ditta Spicciani di Lucca, con la quale l’artista aveva già precedentemente collaborato.A Nomellini si deve inoltre l’organizzazione delle sale delle mostre della Secessione romana dedicate alla “Giovane Etruria”, gruppo toscano che aveva esordito all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano nel 1906 e di cui facevano parte, fra gli altri, Galileo Chini, Llewelyn Lloyd, Elisabeth Chaplin.Galileo Chini fu tra i più apprezzati alla Secessione, anche grazie ai suoi successi internazionali. Alla mostra del 1914 – lo stesso anno in cui realizza l’imponente decorazione di gusto secessionista viennese per la Sala Meštrovic dell’undicesima Biennale di Venezia – l’artista espose alcuni dei dipinti realizzati in Thailandia, dove soggiornò dal giugno del 1911 al settembre del 1913. Vi si era recato per realizzare gli affreschi della Sala del Trono dell’Ananta Samakhom di Bangkok, commissionatigli dal re Rama V, il quale aveva avuto modo di apprezzare le sue doti di decoratore con la visita alla “Sala del Sogno” della Biennale di Venezia del 1907.

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Tra i membri fondatori della Secessione romana, Camillo Innocenti, Arturo Noci, Aleardo Terzi condividevano la tecnica divisionista applicata a soggetti elegantemente mondani, nudi femminili sensuali, scene intimiste o interni borghesi. Innocenti in particolare, che alla Biennale di Venezia del 1909 aveva avuto una sala personale con venti opere, aveva svolto un ruolo di tramite con la galleria Bernheim-Jeune di Parigi per assicurare la presenza di artisti francesi alla prima esposizione della Secessione del 1913. Aleardo Terzi, pittore e illustratore, oltre ad esporre dipinti ed opere di grafica, aveva disegnato le copertine dei cataloghi della Secessione e la decorazione di alcune sale.All’interno della folta presenza degli artisti romani, già nel 1913 Cipriano Efisio Oppo, Roberto Melli e Vincenzo Costantini danno vita al “Gruppo Moderno Italiano”, con aspirazioni moderatamente avanguardistiche. Il nuovo gruppo,

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al di là degli intenti, non lascerà un segno incisivo, ma Oppo, pittore e critico influente, dal 1915 assumerà la direzione della Secessione imprimendo un’ulteriore svolta. Alle ultime edizioni del 1915 e del 1916, già in piena guerra, si afferma una nuova generazione di artisti, come Felice Carena, Pasquarosa Bertoletti, proveniente da villa Strohl-Fern come pure Oskar Brázda, Armando Spadini; denominatore comune è per Oppo una pittura moderna priva di eccessi, aperta alle novità francesi ma ben radicata nella tradizione pittorica italiana. Spadini, che nel 1915 avrà una sala personale, è considerato, non solo da Oppo, ma dalla critica in genere come l’artista emergente, emblema di un percorso italiano che riesce a liberarsi dal confronto con le esperienze straniere.

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La vocazione internazionale delle mostre delle Secessioni romane permette di esporre per la prima volta a Roma alcuni dei protagonisti del rinnovamento artistico europeo degli ultimi vent’anni, in buona parte assenti alla precedente Esposizione Internazionale del 1911.Il momento più importante è senza dubbio rappresentato dalla “Sala dell’Impressionisti Francesi” alla prima Secessione. L’ampia selezione delle diverse tendenze dell’arte moderna francese a partire dall’impressionismo storico, passa attraverso le scene intimiste di Pierre Bonnard, le nature morte di Édouard Vuillard e gli interni di Félix Vallotton – che mostrano il superamento delle originali posizioni nabis di questi artisti – fino a Matisse e Cézanne, alle opere fauves di Kees Van Dongen.In questa occasione la Femme en Blanc è donata alla galleria Bernheim-Jeune alla Galleria nazionale d’arte moderna. Alla prima Secessione romana la scultura è rappresentata da opere di Émile-Antoine Bourdelle, artista vicino a Rodin del quale è stato collaboratore, e di Libero Andreotti, ormai pienamente parigino e nutrito delle novità della plastica francese, da Bourdelle a Maillol. Una selezione di vetri artistici di Hans Stoltenberg Lerche e di sculture animalier di Rembrandt Bugatti testimoniano invece l’interesse del movimento secessionista per le arti applicate e la decorazione di ambienti. Alla seconda esposizione del 1914, una presenza importante è quella dei pittori russi di “Mir Iskusstva” (“Il Mondo dell’Arte”), gruppo artistico espressione dell’omonima rivista fondata nel 1898 a Pietroburgo da Sergej Djagilev con l’intento di aprire l’arte russa al confronto europeo. Tra i protagonisti si trovano Igor’ Emmanuilovic Grabar’, pittore e critico, importante divulgatore in Russia delle novità dell’arte francese, e Filipp Andreevic Maljavin, interprete di un ritorno al folklore della tradizione russa.

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Intorno alla metà degli anni Dieci, Venezia e Roma sono i poli entro i quali si muovono i fermenti più innovativi della cultura artistica italiana. Tra i protagonisti del legame tra mondo veneziano e romano è Roberto Melli, scultore e pittore sensibile alle più importanti novità contemporanee – dalla pittura fauve e matissiana, alla plastica di Boccioni – che si fa promotore del coinvolgimento dei giovani dissidenti di Ca’ Pesaro alle mostre romane.Felice Casorati è uno degli artisti simbolo di questo collegamento Venezia-Roma. Il nudino, ispirato a Klimt nella tematica della vita della donna e nel nudo femminile su uno sfondo decorato, è una testimonianza dei punti di riferimento dell’artista intorno al 1912-13, quando comincia a ricevere i primi riconoscimenti sia alla Biennale di Venezia, sia a Ca’ Pesaro (che gli dedica una personale nel 1913), sia alla prima Secessione romana dove espone una prima volta con il gruppo veneto Il sogno del melograno e nel 1915 con una sala personale di quattordici opere.Arturo Martini partecipa, non senza scalpore, alle mostre della Secessione, presentando nel 1914 opere radicalmente innovative, come La prostituta, Il buffone, Uomo spesse volte incontrato.L’importanza del rinnovamento di Martini - certamente lo scultore più importante del Novecento - e della sua Fanciulla piena d’amore è testimoniato dallo stimolo impresso alla produzione plastica di Casorati che, a partire dal 1914, realizzerà alcune sculture segnate da un’impronta primitivista, come Maschera nera e Maschera rossa, quest’ultima esposta alla Secessione del 1915.

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Le sale individuali tenute nel giro di meno di un anno alla Biennale di Venezia del 1910 e all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 segnano l’apice della risonanza suscitata da Klimt in Italia. Il successo dell’artista viennese è riscontrabile negli acquisti dello Stato: Salomè (o Giuditta) per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia e Le tre età della donna per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma (collezione permanente sala 16).Casorati è tra i primi a recepire, a partire dal 1912, la pittura di Klimt. Nella Preghiera, il pittore ne deriva alcuni aspetti (ad esempio nella composizione e nel prato fiorito) e dimostra la ricezione della lettura klimtiana dell’arte giapponese, evidente nel kimono della fanciulla, nella stilizzazione della figura.Vittorio Zecchin coglie gli aspetti più decorativi della produzione di Klimt, particolarmente sedotto dai motivi geometrici ornamentali che caratterizzano soprattutto le opere del periodo aureobizantino, che utilizza nei pannelli decorativi a tematica orientale esposti sia a Ca’ Pesaro, sia alle Secessioni romane, alle quali partecipa sin dalla prima edizione del 1913 nella sala veneta.Una eco klimtiana si scorge anche nella Giulietta nell’atelier di Padova di Mario Cavaglieri, in particolare nell’uso di patterns decorativi di derivazione giapponese, innestati su una base di origine postimpressionista perfezionatasi a contatto con la pittura dei Nabis intimisti a Parigi nel 1911. Come Casorati e Zecchin, anche Cavaglieri è artista di collegamento tra il mondo di Ca’ Pesaro e quello delle Secessioni: Vasi cinesi e tappeto indiano, caratterizzato da una materia ricca e da cromatismi accesi, è esposto a Roma nel 1915, suscitando sia apprezzamento, sia perplessità da parte della critica.

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Attraverso il Futurismo l’Italia partecipa con un ruolo di primo piano al clima delle avanguardie, in uno scambio di idee e di influenze in particolare con Francia e Russia. Il tramite italiano con Parigi e con le avanguardie internazionali è costituito soprattutto da Ardengo Soffici, artista e critico d’arte per “La Voce” e poi per “Lacerba”. Se dalla Francia si diffonde il Cubismo e l’esempio di autori come Cézanne, Picasso e Delaunay, dall’Italia proviene il gruppo dei futuristi che, capeggiato da Marinetti, inizierà da Parigi un tour europeo di esposizioni in diverse capitali (1912-1913). Dalla Russia Archipenko e Aleksandra Ekster si trasferiscono nella capitale francese, ma sono anche in stretto contatto con gli italiani: Boccioni visita lo studio dello scultore ucraino nel 1912; Soffici condivide lo studio con la Ekster dal 1911 al 1914; nel dicembre 1913 apre a Roma la Galleria Sprovieri dove futuristi russi e italiani esporranno insieme.Motivi quali la scomposizione della forma, il rapporto fra figura e spazio, la velocità, il dinamismo, la simultaneità, sono sviluppati anche nello studio dei loro effetti sulla psicologia dell’individuo, sugli stati d’animo. Dinamismo universale che si riflette nell’accesa tavolozza di Severini, debitrice dell’orfismo francese nello studio della luce, e alle ricerche di Boccioni nelle relazioni tra la figura, lo spazio, il movimento (vedi anche Antigrazioso e Cavallo+Cavaliere+Caseggiato in collezione permanente, sala 20). Si consuma

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intanto la rottura con la Secessione romana da parte di Balla e dei Futuristi, che, inizialmente coinvolti, esporranno poi per proprio conto al Teatro Costanzi il 21 febbraio 1913.Le sperimentazioni avviate nel frattempo da Balla sulla luce e sul colore producono il cruciale risultato delle Compenetrazioni iridescenti, le cui forme triangolari trapassano dal gusto decorativo secessionista a valore significante futurista ponendosi sul crinale tra Secessione e Avanguardia.

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Il rifiuto della realtà, il “non senso” della vita e della storia, alimentato dalla filosofia di Schopenauer e di Nietzsche, si manifestano già nel giovane de Chirico con il dipinto Lotta di centauri (1909), dichiaratamente ispirato alla pittura mitologica e suggestiva di Arnold Böcklin nella visione di una umanità primordiale e semiferina. La tradizione rinascimentale del ritratto su uno sfondo di paesaggio attraverso una finestra aperta, insieme a fonti figurative e stilistiche tedesche, sono assimilate nel Ritratto della madre del 1911, nel quale l’artista conferma il ritorno ad una figuratività classica, ad un’arte che rilegge il museo decisamente contrapposta all’anti-passatismo distruttivo del Futurismo.Sono queste le premesse per il successivo passaggio di de Chirico alla Metafisica, come nel dipinto La torre rossa (1913) nel quale la misteriosa torre emerge nello spazio disabitato della piazza, fra le ombre che si allungano oltre le arcate vuote, prive di presenza umana, generando un senso di inquietudine, silenzio, sospensione del tempo. Sono questi gli anni in cui anche Carlo Carrà e Gino Severini voltano decisamente le spalle al Futurismo, considerando ormai chiusa la stagione avanguardistica. La ballerina del San Martino di Carrà e la Danseuse articulée di Severini, entrambe del 1915, nella loro natura di manichini meccanici preannunciano, nel clima della guerra, una umanità prossima alla disumanizzazione.

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L’ideologia rivoluzionaria del movimento futurista, la sua spinta verso la visione di una modernità operativa in grado di scardinare e attualizzare ogni aspetto della vita quotidiana, viene definita dai suoi epigoni attraverso la specifica formulazione di veri e propri manifesti programmatici.Del 1914 è il Manifesto dell’architettura futurista a firma del comasco Antonio Sant’Elia in cui vengono espressi i principi di una nuova idea di architettura rappresentati nei progetti della Città Nuova. In questi studi la città interpreta l’espressione di un dinamismo che applica i caratteri di velocità e multifunzionalità già promulgati nel primo Manifesto futurista del 1909. La verticalizzazione delle unità abitative, i ponti, le aerostazioni e le strade su più livelli sono il compimento di tale avveniristica e frenetica idea di città industriale e moderna. Allo stesso modo l’architetto Mario Chiattone rielabora le esigenze di una società in trasformazione, realizzando progetti per il Palazzo

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della moda o per il Padiglione per concerti, intese come le “cattedrali” della nuova modernità.Fortunato Depero e Giacomo Balla nel marzo 1915 pubblicano il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, in cui annunciano la ridefinizione radicale di tutti gli aspetti della vita quotidiana; abiti, mobili, strumenti musicali e oggetti d’uso comune sono reinterpretati in chiave creativa e ludica.Tale attitudine, già presente a suo modo nelle varie esperienze moderniste, è qui proposta come ripensamento totale del legame tra arte e vita. Gli arredamenti e gli strumenti musicali di Balla, così come le sculture giocose di Depero, riguardano una visione totale dell’arte che si estende con forza e originalità anche agli elementi più ordinari della vita quotidiana.

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Il clima di collaborazione e cosmopolitismo delle avanguardie non esclude, in particolare nei Futuristi italiani, una vocazione nazionalista che si va intensificando negli anni precedenti all’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale.Il Futurismo si fa portabandiera dell’anelito a una riscossa nazionale. La rappresentazione delle folle e delle piazze nel corso delle manifestazioni interventiste e il sostegno alla “guerra sola igiene del mondo”, secondo lo slogan marinettiano, sono l’esito estremo della convinzione di poter cambiare il mondo attraverso un rinnovamento del linguaggio e delle forme espressive in tutte le arti. La “ricostruzione futurista dell’universo” sembra attuabile solo attraverso la effettiva distruzione del vecchio mondo passatista.Nel “radioso maggio” del 1915 le dimostrazioni patriottiche a favore dell’intervento in guerra si moltiplicano e hanno un’influenza decisiva nel rompere il fronte neutrale. I Futuristi sono in prima linea nelle piazze a coinvolgere gli incerti: la casa di Marinetti e lo studio di Balla sono punti di riferimento nell’ambiente romano per la progettazione di manifesti, mostre, serate e manifestazioni. Per divenire energici strumenti di propaganda interventista le opere adottano un linguaggio insieme popolare e modernissimo, che ha qualcosa del manifesto pubblicitario e della bandiera, ricorrendo alla sistematica introduzione dell’elemento verbale in funzione sinestetica ed esortativa, oltre che descrittiva.Con la dichiarazione di guerra del 24 maggio numerosi artisti partiranno volontari per il fronte, molti per non tornare.

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SCHEDACATALOGO

Saggi

6 Cronologia. Storia, arte e cultura in Italiadal 1905 al 1915 nel contesto europeoMatteo Piccioni

18 1905-1915: il dibattito artistico in Italiafra mostre e rivisteMaria Vittoria Marini Clarelli

26 La vita inesplosaAndrea Cortellessa

40 Scuole arte utopia. Maria Montessorie l’ambiente artistico romano di inizio NovecentoMaria Paola Maino

46 “Una inquietudine singolarissima”: giovani artistitra Ca’ Pesaro e Secessione romanaNico Stringa

58 Gli italiani e la Secessione (1913-1916):un crocevia per l’arte a RomaEugenia Querci

70 “L’alfabeto della pittura moderna”.Gli artisti stranieri alla SecessioneStefania Frezzotti

82 La scelta di Balla. Dalla Secessione al FuturismoMariastella Margozzi

90 Giorgio de Chirico e la nascita della metafi sica.L’“altra” avanguardia italiana, 1910-1911Fabio Benzi

Catalogo

108 I. Prologo: inquietudini artistiche e sociali

120 II. Indipendenti e Secessionisti nelle mostre europee

136 III. La protesta di Ca’ Pesaro

146 IV. Fra Venezia e Roma

160 V. La Secessione romana: mondanità e intimismo

168 VI. La Secessione romana: il dialogo internazionale

194 VII. Dentro l’avanguardia

238 VIII. Nazionalismo, interventismo

246 Bibliografi a

SECESSIONE E AVANGUARDIA.L’ARTE IN ITALIAPRIMA DELLAGRANDE GUERRA 1905-1915

a cura di Stefania Frezzotti

editore Electa

formato 21 X 28

pagine 320

illustrazioni 270

prezzo 45 €

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