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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel Corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01 A.A. 2016/2017 16 marzo 2017 LA RILEVANZA PENALE DEL FALSO VALUTATIVO NEL REATO DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI A cura di: Andrea Della Casa Giulia Minuti 1

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progreditonel Corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01

A.A. 2016/201716 marzo 2017

LA RILEVANZA PENALE DEL FALSO VALUTATIVO NEL REATO DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI

A cura di:

Andrea Della CasaGiulia Minuti

Leonardo Minciotti

Relatore:

Prof. Carlo Sotis 1

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INDICE:

1. Il reato di false comunicazioni sociali e la tutela della trasparenza societaria: finalità ed

evoluzione della disciplina ..................................................................................................3

1.1. Premessa ........................................................................................................................3

1.2. Le false comunicazioni sociali prima e dopo la riforma del 2002 .................................3

1.3. La riforma del 2015 ........................................................................................................5

2. La riforma del 2015 fra contrasti giurisprudenziali ed interpretazioni dottrinali ..........5

2.1. Le modifiche testuali agli articoli 2621 e 2622 c.c. .........................................................5

2.2. Le tesi “abrogazioniste”: le sentenze Crespi e Banca Popolare Alto Adige....................9

2.3. La tesi della perdurante rilevanza penale del falso valutativo: la sentenza Giovagnoli..10

2.4. La sentenza a Sezioni Unite n.22474 del 2016................................................................13

3. Questioni aperte ....................................................................................................................15

3.1. Problemi interpretativi e possibili soluzioni dottrinali....................................................15

3.2. La nuova disciplina contabile come possibile fattore di crisi della materialità dei fatti

valutativi.........................................................................................................................16

3.3. Il nuovo ruolo del giudice penale fra interpretazione estensiva teleologicamente orientata e

riserva di legge...............................................................................................................17

BIBLIOGRAFIA.........................................................................................................................21

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1. Il reato di false comunicazioni sociali e la tutela della trasparenza societaria: finalità ed

evoluzione della disciplina

1.1. Premessa

Gli investimenti1, all’interno del sistema economico, si basano sulla relazione fra i soggetti che

forniscono le fonti di finanziamento e i luoghi in cui gli stessi investimenti hanno origine, ovvero le

imprese. Questi due attori sono tuttavia caratterizzati da una differente posizione rispetto alle

attività di investimento, che comporta una disparità fisiologica sul piano informativo. Infatti, se da

un lato il rapporto diretto delle imprese con l’attività caratteristica conferisce loro una conoscenza

molto più dettagliata sulla qualità ed i rischi inerenti agli investimenti che hanno programmato di

realizzare, altrettanto non avviene per i finanziatori, che si trovano pertanto sprovvisti di strumenti

adatti a valutare la bontà degli investimenti stessi2.

Uno strumento di riequilibrio dell’asimmetria informativa può rintracciarsi nella disciplina positiva

della trasparenza delle comunicazioni sociali – prima fra tutte il bilancio –, documenti che, solo

fornendo un quadro veritiero della situazione dell’impresa, possono consentire agli investitori

l’assunzione di scelte consapevoli. Al contrario, comunicazioni sociali non veritiere contengono

informazioni decettive atte ad impedire un’efficiente allocazione del risparmio e idonee, in taluni

casi, a distruggere ricchezza e a minare la fiducia dei risparmiatori nel sistema finanziario3.

Distruzione che può avvenire nelle società “non quotate”, dove ad esempio un imprenditore

potrebbe falsificare i suoi dati di bilancio al fine di ottenere un prestito da una banca, così come, in

misura più grave, nelle società “quotate”, dove un falso bilancio potrebbe nascondere l’alto rischio

di determinate operazioni commerciali e indurre quindi più soggetti ad investire in essa i propri

fondi4.

1.2. Le false comunicazioni sociali prima e dopo la riforma del 2002

1 Gli investimenti sono la variabile più rilevante per assicurare la crescita di un’economia. All’aumentare di questi infatti, aumentano i fattori di produzione e ciò comporta un aumento diretto dei beni e servizi disponibili all’interno di un paese o comunque dove l’impresa che ha effettuato l’investimento è sita.2 Negli stessi termini, P. GUALTIERI, Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale, in rivista trimestrale Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 4, 1 febbraio 2016, pp. 153 e ss.3Ivi. 4È inoltre opportuno aggiungere che nel settore pubblico, la falsificazione dei bilanci è uno strumento comunemente utilizzato per la creazione dei cosiddetti “fondi neri” o “rapporti di provvista”: inserendo all’interno del bilancio finte voci di spesa attraverso fatture false, si vanno a creare delle disponibilità che poi serviranno per pagare o mascherare tangenti.

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Nell’ordinamento italiano la disciplina delle false comunicazioni sociali, contenuta negli articoli

2621 e 2622 c.c., ha seguito un andamento che potremmo definire altalenante, che si articola in

quattro fasi fondamentali.

Una prima è riscontrabile nel periodo antecedente agli anni ’80 del secolo scorso e si caratterizza

per un’applicazione tendenzialmente sporadica e puntiforme della disciplina5.

Una seconda fase è per contro caratterizzata da un’espansione applicativa dovuta, in larga parte, ad

un accentuarsi dei fenomeni corruttivi e ad una conseguente maggiore attenzione, nei confronti di

essi, da parte degli organi inquirenti6.

Suddetta espansione applicativa trae altresì origine dalla struttura stessa della norma, caratterizzata

da un’indeterminatezza riferibile soprattutto al bene giuridico da questa tutelato. La perdita di

identità del bene tutelato ha condotto la giurisprudenza ad utilizzare per la fattispecie la categoria

della “plurioffensività”7, riferita caso per caso a beni giuridici differenti, quali la tutela

dell’economia pubblica, la fede pubblica, la trasparenza dell’informazione societaria e l’integrità

del patrimonio sociale, rendendo in tal modo irrimediabilmente labili i confini applicativi dell’art.

2621 c.c.

Siffatta interpretazione giurisprudenziale ha fatto di questo istituto un “grimaldello”, ovvero uno

strumento capace di “inserirsi” in ogni fattispecie e utilizzato, spesso in maniera impropria,

dall’apparato giudicante. Questo utilizzo trovava legittimazione anche in virtù di un’interpretazione

dell’espressione «comunicazioni sociali» così ampio da ricomprendere «ogni tipo di messaggio, per

qualunque destinatario e di qualsiasi natura»8.

Arriviamo quindi alla terza fase. Per porre rimedio a tale situazione, il legislatore è intervenuto nel

2002 con una riforma (D. Lgs. n. 61/2002) che manifestava l’intenzione di identificare con

precisione il bene giuridico tutelato e di punire le false comunicazioni sociali all’interno di una

cornice estremamente circoscritta e dalla scarsa, se non addirittura nulla, effettività.

La nuova disciplina si articola nelle due previsioni normative degli articoli 2621 e 2622 c.c. che,

rispettivamente, sono posti a tutela della trasparenza societaria e del patrimonio.

A costituire oggetto materiale del reato sono i bilanci, le relazioni e le altre comunicazioni sociali,

queste ultime solo quando dirette ai soci o al pubblico e espressamente previste dalla legge.

5 Cfr. V. MANES, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 febbraio 2016, p. 7.6 Ivi. 7 L’aspetto più preoccupante dell’uso di questa categoria era la perdita di garanzia collegata alla contemporanea lesione di tutti i beni richiamati, in quanto per attivare l’istituto bastava la lesione o messa in pericolo di uno solo di questi beni. C.BENUSSI, I nuovi delitti di false comunicazioni sociali e la rilevanza penale delle false valutazioni, in Diritto Penale Contemporaneo, 15 luglio 2016, p. 11.8 Cfr. A. ALESSANDRI, Il ruolo del danno patrimoniale nei nuovi reati societari, in Società, 2002, p. 799.

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La riforma del 2002 introduce inoltre filtri selettivi ai fini della rilevanza e punibilità delle false

comunicazioni sociali, fra di essi spicca la previsione di soglie di non punibilità per le valutazioni

estimative, che non debbono differire in misura superiore al 10% rispetto a quelle corrette9. Queste

cosiddette “soglie di rilevanza”, la brevità prevista per i termini prescrizionali e la procedibilità a

querela prevista in relazione alle società “non quotate”, messe assieme, hanno finito per svuotare di

effettività e capacità repressiva il falso in bilancio, tanto da ridurre la pena quasi a livello di

bagatella10. La riforma sarà, per i motivi suddetti, incapace di fornire un’adeguata tutela agli

interessi in gioco11.

1.3. La riforma del 2015

La quarta fase si apre con la legge n. 69 del 2015, recante «Disposizioni in materia di delitti contro

la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio», la quale si

iscrive nell’ambito di una strategia anticorruzione.

Il legislatore «sfruttando il dato criminologico ormai consolidato che corruzione e “falso in

bilancio” sono due reati che marciano a braccetto»12, insieme alla sempre più crescente necessità

di trasparenza al fine di mantenere il sistema economico in buona salute, interviene sugli artt. 2621

e 2622 c.c. con l’intento di restituirgli quella severità ed effettività che era stata tolta loro dalla

riforma del 2002.

Detta effettività deriva dall’abbandono delle previgenti soglie di non punibilità, dalla

configurazione del reato di falso in bilancio come reato di pericolo concreto13, nonché

dall’estensione della procedibilità d’ufficio a tutte le ipotesi di reato previste dagli articoli14.

Al centro della tutela viene posta la “trasparenza dell’informazione societaria” quale bene giuridico

essenziale e strumentale alla protezione di ulteriori interessi dai pericoli della falsa informazione

contabile.

9 In questo senso A. PERINI, I “Fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “Falso in bilancio”?, in Diritto Penale Contemporaneo, 27 aprile 2015, p. 2, “ Sono note le polemiche che accompagnarono quello che fu, senza dubbio, il significativo depotenziamento della tutela penale dell’informazione societaria”.10 C. PEDRAZZI, subito dopo l’uscita della riforma, intitolerà il suo saggio di commento «In memoria del “falso in bilancio”». Il suo saggio è rinvenibile in Rivista delle Società, 2001, p. 1371 ss.11 V.MANES, La nuova disciplina della false comunicazioni sociali, cit., p. 8.12 Cfr. C. BENUSSI, I nuovi delitti di false comunicazioni sociali e la rilevanza penale delle false comunicazioni , cit., p. 3; in tal senso Cass., Sez. Un., n.33216, ud. 31/03/2016: “La legge 27 maggio 2015, n.69[…], s’inserisce nell’ambito di una strategia anticorruzione, atteso che proprio il falso in bilancio viene considerato come un “reato spia” dei fenomeni corruttivi. Invero attraverso l’appostazione contabile di false scritturazioni vengono costituiti i cc.dd. “fondi neri”.13 Cfr. A. LANZI, La riforma del reato di falso in bilancio: la nuova frontiera del diritto penale societario , in Le società, 2002, 3, p. 270. 14La distinzione tra tipologie societarie resta presente relativamente alla severità della pena: la cornice edittale per una società “non quotata” va da 1 a 5 anni, mentre per le società “quotate” la pena lievita da 3 a 8 anni.

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2. La riforma del 2015 fra contrasti giurisprudenziali ed interpretazioni dottrinali

2.1. Le modifiche testuali agli articoli 2621 e 2622 c.c.

In seguito all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015 il testo degli articoli 2621 e 2622 c.c. ha

subito delle modifiche.

Si propongo, per un confronto, i testi precedenti e successivi ad una riforma.

Questi i testi precedenti:

Articolo 2621 c.c. (False comunicazioni sociali): «Salvo quanto previsto dall'articolo 2622, gli amministratori, i

direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali,

con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci,

nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti

materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è

imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa

appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a due

anni.

La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per

conto di terzi.

La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione

economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque

esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle

imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate,

differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.

Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa

da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni,

dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione

dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o

dell'impresa».

Articolo 2622 c.c. (False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori):

«Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i

liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto

profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico,

esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui

comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al

quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno

patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi

a tre anni.

Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi

dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.

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Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al  decreto

legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al primo comma e' da uno a

quattro anni e il delitto e’ procedibile d'ufficio.

La pena è da due a sei anni se, nelle ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave nocumento ai risparmiatori.

Il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della

popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella distruzione o riduzione del valore di

titoli di entita' complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo.

La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni

posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo

sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale

essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato

economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non

superiore all'1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate,

differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.

Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa

da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni,

dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione

dei documenti contabili societari, nonché' da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o

dell'impresa».

Questi i nuovi testi:

Articolo 2621 c.c. (False comunicazioni sociali):

«Fuori dai casi previsti dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei

documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto,

nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge,

consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la

cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del

gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena

della reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per

conto di terzi».

Articolo 2622 c.c. (False comunicazioni sociali delle società quotate):

«Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i

liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di

altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle

relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non

rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione

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economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente

idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.

Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:

1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in

un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;

2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione

italiano;

3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato

regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;

4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o

amministrati dalla società per conto di terzi».

Saltano subito all’occhio le modifiche consistenti nella soppressione dell’inciso «ancorché oggetto

di valutazione», che il previgente articolato accostava all’espressione «fatti materiali non

rispondenti al vero» e che contribuiva a delimitare l’oggetto della condotta, e nella sostituzione del

sintagma «informazioni non rispondenti al vero» con quello di «fatti materiali non rispondenti al

vero».

La scomparsa della formula «ancorché oggetto di valutazione», unitamente alla mancata

riproposizione delle soglie di punibilità riguardante le valutazioni estimative già menzionata, ha

fatto sorgere una questione interpretativa concernente il dubbio se nell’espressione «fatti materiali»

debbano considerarsi ricompresi i fatti valutativi o se essi, in virtù della soppressione dell’inciso,

debbano considerarsi esclusi dall’area del penalmente rilevante15.

15 Si vedano, fra gli altri, A. ALESSANDRI, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni Unite, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc.3, luglio-settembre 2016, pp. 1479 e ss.; C. BENUSSI, I nuovi delitti di false comunicazioni sociali e la rilevanza penale delle false comunicazioni, cit.; P. GUALTIERI, Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale, cit., pp. 153 e ss.; V. MANES, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 febbraio 2016; M.N. MASULLO, Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi, in rivista trimestrale Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 4, 1 febbraio 2016 pp. 142 e ss.; E. MEZZETTI, La “torre di Babele” della punibilità del nuovo falso in bilancio, in Diritto Penale Contemporaneo, 10 novembre 2016; F. MUCCIARELLI, Falso in bilancio e valutazioni: la legalità restaurata dalla Cassazione, in Diritto Penale Contemporaneo, 18 gennaio 2016 e Id., Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra legalità e ‘ars interpretandi’, in rivista trimestrale Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 4, 13 luglio 2016, pp. 174 e ss.; D. PULITANÒ, Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, in rivista trimestrale Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 4, 4 luglio 2016, pp. 204 e ss.; M. SCOLETTA, Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale, in rivista trimestrale Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 4, 2 marzo 2016, pp. 163 e ss.

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Sulla questione, alla quale hanno dato il loro contributo alcune fra le più autorevoli voci della

dottrina penale, è stata chiamata a giudicare la Corte di Cassazione, che, in diverse pronunce16, ha

dato risposte differenti e di segno opposto fra loro.

Si procede pertanto a richiamare brevemente le differenti argomentazioni delle sentenze.

2.2.Le tesi “abrogazioniste”: le sentenze Crespi e Banca Popolare Alto Adige

Nella sentenza Crespi (Cass., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 33774), la prima pronuncia di legittimità

sul tema, così come nella successiva pronuncia Banca Popolare Alto Adige (Cass., Sez. V, 22

febbraio 2016, n. 6916) [che alla sentenza Crespi dichiara di aderire pienamente e nella quale sono

impiegate le medesime argomentazioni] la quinta Sezione penale della Corte di Cassazione sostiene

che la nuova formulazione degli articoli 2621 e 2622 c.c. abbia determinato una successione di

leggi con effetto abrogativo limitato alle condotte di falsa valutazione di una realtà effettivamente

sussistente.

La Suprema Corte giunge a tale conclusione attraverso una valorizzazione del dato testuale dei

sopracitati articoli, derivante dalla riforma del 2015, e mediante il raffronto, da un lato, con il testo

della previgente norma e, dall’altro, con quello del delitto di «Ostacolo all’esercizio delle funzioni

delle autorità pubbliche di vigilanza» nell’articolo 2638 c.c.

Difatti, il Giudice di legittimità sostiene che la soppressione nel nuovo testo degli articoli 2621 e

2622 c.c. dell’inciso «ancorché oggetto di valutazione», riferito ai «fatti materiali non rispondenti al

vero», manifesti la volontà del legislatore di circoscrivere l’area del penalmente rilevante alle

condotte che non costituiscono falsi valutativi17. Volontà questa confermata, ad avviso della Corte,

16 Si vedano le tre sentenze che verranno trattate nel in questo paragrafo: Crespi (Cass., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 33774), consultabile in: https://www.iusexplorer.it/Dejure/Sentenze?idDocMaster=4694657&idDataBanks=3&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagina=1&NavId=1575676230&pid=19&IsCorr=False; Banca Popolare Alto Adige, (Cass., Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 6916), consultabile in: https://www.iusexplorer.it/Dejure/Sentenze?idDocMaster=4902325&idDataBanks=3&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagina=1&NavId=1566854592&pid=19&IsCorr=False, le quali sostengono la tesi dell’irrilevanza penale del falso valutativo; Giovagnoli (Cass., Sez. V, n. 890 del 12 gennaio 2016), consultabile in: http://www.penalecontemporaneo.it/d/4412-falso-in-bilancio-e-valutazioni-la-legalita-restaurata-dalla-cassazione che afferma la persistenza della rilevanza penale delle false valutazioni. Si veda inoltre la sentenza Beccari, (Cass., Sez. V, 2 marzo 2016, n. 12793), [inedita] la quale giunge alla stessa conclusione della pronuncia Giovagnoli utilizzando le medesime argomentazioni, motivo per cui non si è ritenuto necessario analizzarla nel presente lavoro. 17 Cfr. sentenza Crespi (Cass., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 33774), par. 2.1.c e 2.1.g.

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dalla scelta del legislatore di mantenere detto inciso nella formulazione dell’articolo 2638 c.c.18,

ipotesi per la quale la rilevanza penale dei falsi valutativi deve invece considerarsi ferma19.

Nelle sentenze Crespi e Banca Popolare Alto Adige, la Corte di cassazione afferma come

l’intenzione del legislatore di escludere la rilevanza penale delle condotte di falsa valutazione sia

manifestata dalla scelta di menzionare, nel nuovo testo degli articoli 2621 e 2622 c.c., «fatti

materiali rilevanti», laddove, nella precedente formulazione, si faceva riferimento, relativamente

alla condotta omissiva, a «informazioni» («ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è

imposta dalla legge»)20. La decisione di espungere dal nuovo testo un termine quale «informazioni»,

concetto idoneo a ricomprendere i falsi valutativi, contribuirebbe a vincolare l’interprete ad una

lettura restrittiva della norma incriminatrice, dal momento che lo stesso rapporto di continenza

sussistente fra il concetto di “informazioni” e quello di “fatti valutativi” non può riscontrarsi con

certezza fra il concetto di «fatti materiali» e quello di «valutazioni».

Ad ulteriore conferma di tale chiave di lettura, ad avviso del Giudice di legittimità, conduce un

raffronto delle norme in esame con la disciplina in tema di frode fiscale ed in particolare con

l’articolo 4, lett. f, della legge n. 154 del 1991, nel quale l’inserimento dell’espressione «fatti

materiali» è finalizzato ad evitare conseguenze penali derivanti da «valutazioni»21.

Nella sentenza Banca Popolare Alto Adige la Suprema Corte specifica che l’aggettivo «materiali»

riferito ai «fatti non rispondenti al vero» esige la stretta oggettività dei fatti. Quindi non si

contrappone solo al termine “immateriali”, ma anche alle “valutazioni”.

In detta pronuncia il Giudice di legittimità conclude pertanto che la soppressione dell’inciso

«ancorché oggetto di valutazione» «ha ridotto l’estensione incriminatrice della norma alle

18 Articolo 2638 c.c. «Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza»: «Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità consapevolmente ne ostacolano le funzioni.La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 3-bis. Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza».19 Cfr. sentenza Crespi (Cass., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 33774), par. 2.1.h e 2.1.i.20 Ivi, par. 2.1.f e 2.1.g.21 Ivi, par. 2.1.g.

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appostazioni contabili che attengono a fatti economici materiali, escludendone quelle prodotte da

valutazioni, pur se moventi da fatti oggettivi»22.

2.3. La tesi della perdurante rilevanza penale del falso valutativo: la sentenza Giovagnoli

Fra le due pronunce appena trattate si inserisce la sentenza Giovagnoli (Cass., Sez. V, n. 890 del 12

gennaio 2016), la quale, facendo propri alcuni argomenti utilizzati dall’Ufficio del Massimario23,

afferma l’esatto contrario. Cioè la permanenza della rilevanza penale del falso valutativo.

Al fine di negare che le differenze terminologiche emergenti dal raffronto fra l’articolato derivante

dalla riforma del 2015 ed il dato testuale previgente, la sentenza Giovagnoli sposa alcune delle

argomentazioni sostenute da numerose voci della dottrina che si erano espressi a favore della

permanente rilevanza24.

Nella pronuncia in esame il Giudice di legittimità detta anzitutto delle indicazioni sul piano

metodologico, in base alle quali «l’interpretazione deve, primariamente, confrontarsi con il dato

attuale, nella sua pregnante significazione, e con la voluntas legis quale obiettivizzata e

“storicizzata” nel testo vigente, da ricostruire anche sul piano sistematico – nel contesto normativo

di riferimento – senza che possano assumere alcun valore le contingenti intenzioni del legislatore di

turno»25, dovendosi pertanto seguire per l’attività ermeneutica i criteri fissati dall’articolo 12 delle

“Preleggi” e dovendosi dunque limitare il ricorso ad altri parametri interpretativi di supporto ai soli

casi di ambiguità dell’interpretazione letterale.

Secondo la Corte nei casi in cui una sia stata redatta in termini indeterminati, sorge in capo al giudice il compito di

delinearne i contenuti rispetto al caso oggetto di giudizio, al fine di accertare la rilevanza e materialità dei fatti che si

presumono falsi.

Parte della dottrina ha individuato quale matrice di simile argomentazione il concetto di legalità rivisitato dalla Corte

EDU, a valle di una reinterpretazione dell’articolo 7 CEDU, in base alla quale si pongono, come presupposti alla

legalità, l’accessibilità e la prevedibilità delle possibili conseguenze della norma per il destinatario, in un’ottica

garantistica e di autodeterminazione.

Il requisito della prevedibilità risulta infatti soddisfatto per la Corte EDU anche nel caso in cui sia il giudice, attraverso

la sua attività interpretativa, a fornire alla norma quella determinatezza di cui è priva, in un rapporto necessario fra la

Statute Law e la Case Law.

22 Sentenza Banca Popolare Alto Adige (Cass., Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 6916), par. 2.9.1.23 Relazione del 15 ottobre 2015, rinvenibile in Diritto Penale Contemporaneo, 30 novembre 2015.24 Si vedano, fra gli altri, S. SEMINARA, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc.3, luglio-settembre 2015, p. 814; ID. False comunicazioni sociali e false valutazioni in bilancio: il difficile esordio di una riforma, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 3, luglio-settembre 2015, pp. 1406 e ss; F. MUCCIARELLI, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in rivista trimestrale Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 2, 18 giugno 2015, pp. 1 e ss. 25 Sentenza Giovagnoli (Cass., Sez. V, 12 gennaio 2016, n. 890), par. 3.

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Partendo dal dato testuale-sintattico, la sentenza Giovagnoli afferma la sostanziale irrilevanza della

rimozione dell’inciso di carattere concessivo «ancorché oggetto di valutazioni», al quale attribuisce

una funzione meramente esplicativa e chiarificatrice di un contenuto tipico del concetto di «fatti

materiali», che ricomprenderebbe già in sé le valutazioni. La rimozione della locuzione sarebbe

quindi da attribuire all’intento, da parte del legislatore, di ripulire la norma da un’espressione

ridondante26.

La Suprema Corte sostiene poi che alla locuzione «fatti materiali rilevanti» non debba essere

attribuito il significato comune, ma un’accezione di carattere tecnico contabile, derivante dalla

trasposizione letterale di espressioni utilizzate nelle scienze economiche anglo-americane e nella

disciplina comunitaria27.

Specificamente il termine «materiali» deriverebbe dal concetto di materiality, da leggersi come

“essenzialità” dei dati informativi riportati nel bilancio, nel senso che, nella redazione delle scritture

contabili, devono essere inserite le informazioni utili e necessarie a garantire la rappresentazione

veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società.

L’aggettivo «rilevanti», derivante dal lessico della legislazione comunitaria, indicherebbe l’idoneità

delle informazioni a condizionare le decisioni dei destinatari. Letto in relazione al parametro della

correttezza dell’informazione societaria, l’aggettivo svolgerebbe dunque una funzione tipizzante di

quelle informazioni che, in caso di loro omissione o della loro errata indicazione, assumono un

carattere decettivo e sono, quindi, idonee a fuorviare le decisioni dei destinatari.

Al termine «fatti», infine, andrebbe attribuito il significato tecnico di “dato informativo” che le

comunicazioni sociali sono destinate a veicolare verso l’esterno. Ad avviso della sentenza

Giovagnoli, dal momento che nel contesto tipico delle comunicazioni contabili i dati informativi

non possono prescindere dalle componenti estimative, nel concetto di «fatti» debbono

necessariamente essere ricompresi i dati valutativi, tanto più quando essi sono ancorati a parametri

predeterminati e normativizzati – quali quelli preposti alla redazione del bilancio fissati dagli

articoli 2423 e ss. del Codice Civile –, che costituiscono un modello in virtù del quale può essere

valutata la verità/falsità del dato informativo28.

Per sostenere la propria tesi ‘anti-abrogazionista’, la Suprema Corte nella sentenza Giovagnoli si

basa inoltre su un argomento teleologico. Essa afferma infatti che dall’esclusione della rilevanza

penale dei fatti valutativi deriverebbe una sostanziale abrogazione della norma in esame, poiché

gran parte dei dati informativi veicolati dalle comunicazioni sociali hanno un’imprescindibile

componente valutativa. Escludere la rilevanza penale dei dati informativi che presentano una

26 Ivi, par. 4.27 Ivi, par. 4.1.28 Ivi, par. 6.

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componente valutativa determinerebbe quindi una irrimediabile frustrazione della tutela dei beni

giuridici tutelati dalla disciplina sul falso in bilancio. Cioè la veridicità e compiutezza

dell’informazione societaria, la quale incide sul ragionevole affidamento dei destinatari delle

comunicazioni sociali.

Nella sentenza Giovagnoli, svolgendo infine un’analisi di carattere sistematico, la Corte richiama la

norma dettata dall’articolo 2638 c.c. – già utilizzata come termine di paragone, con finalità che

definiremmo opposte, nella sentenza Crespi –, per evidenziare come una soppressione della

rilevanza penale dei falsi valutativi nell’ambito delle comunicazioni sociali determinerebbe

un’irragionevole divergenza rispetto alla norma incriminatrice dell’«Ostacolo all’esercizio delle

funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza», nella quale la rilevanza penale delle false valutazioni

sussiste. Da tale differente disciplina deriverebbe una situazione per la quale le false valutazioni

contenute nello stesso bilancio sarebbero penalmente rilevanti allorché indirizzate alle pubbliche

autorità ma non quando destinate ai privati29.

Parte della dottrina accolse con entusiasmo la sentenza Giovagnoli, giungendo ad affermare che,

con essa, si assisteva alla restaurazione della legalità30.

Non mancarono d’altronde voci dottrinali che, analizzando le pronunce di cui si è trattato,

sottolinearono l’assenza di argomenti concludenti sia delle tesi “abrogazioniste” che di quelle

opposte e affermarono – in virtù di argomenti che saranno analizzati nel paragrafo conclusivo del

presente lavoro – che, se la sentenza Giovagnoli aveva prodotto un risultato soddisfacente nella

prospettiva della “legalità sostanziale” – in virtù della quale, compatibilmente con gli “ideali di

giustizia”, le norme in oggetto dovevano essere interpretate in senso estensivo –, essa destava alcuni

dubbi sotto il profilo della “legalità formale” – che impone la necessità di un’interpretazione delle

norme fedele al dato letterale –31.

La diatriba era lungi dal concludersi, poiché la dottrina, di lì a poco, avrebbe avuto modo di

commentare le risposte fornite sulla questione in esame dalle Sezioni Unite, chiamate con ordinanza

della V Sezione32 a risolvere il dilemma.

2.4. La sentenza a Sezioni Unite n. 22474 del 2016

Le Sezioni Unite, nell’affermare la rilevanza penale delle false valutazioni nelle comunicazioni

sociali, enunciano il seguente principio di diritto: «Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali,

29 Ivi, par. 7.1.30 Esemplare in questo senso F. MUCCIARELLI, Falso in bilancio e valutazioni: la legalità restaurata dalla Cassazione, cit.31 M. SCOLETTA, Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale, cit. 32 Ordinanza 2 marzo 2016 n. 676.

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con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di

criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da

tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo

concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni»33.

Dopo un excursus normativo e un’analisi della giurisprudenza in materia,34 la Corte prende le mosse

dalle considerazioni effettuate nella sentenza Beccari – che a sua volta si rifaceva alla sentenza

Giovagnoli35 – , in base alla quale: «negare la possibilità che il falso possa realizzarsi mediante

valutazioni significa negare lo stesso veicolo con il quale si realizza il falso, posto che il bilancio si

struttura di per sé necessariamente anche in un procedimento valutativo, i cui criteri sono indicati

dalla legge, come chiaramente evincibile dal disposto di cui all’art.2426 c.c.».36 Il bilancio

costituisce infatti un documento composto quasi interamente da valutazioni, negare che queste

possano realizzare un falso equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione della norma. Per la Corte,

quindi, quella della rilevanza penale del falso valutativo sembra essere l’unica strada percorribile.

Le Sezioni Unite criticano l’eccessiva enfatizzazione che la sentenza Crespi e Alto Adige danno alla

interpretazione letterale, dal momento che, l’interpretazione della norma passa non solo dall’esegesi

testuale37, ma anche dall’analisi del profilo logico-sistematico38.

Nel caso di specie, dunque, si devono prendere in considerazione i principi in materia societaria

delineati nel Codice Civile agli artt. 2423 e ss., nonché i criteri imposti dalle direttive europee39 e

dalla elaborazione dottrinale40. Pertanto la Corte identifica l’idoneità di una valutazione con la

rispondenza di essa a suddetti criteri.

Rispetto alla questione della soppressione dell’inciso «ancorché oggetto di valutazioni» e

all’introduzione dell’espressione «fatti materiali», la Suprema Corte abbraccia nella sua interezza la

posizione della sentenza Giovagnoli41, secondo la quale il termine «ancorché oggetto di valutazioni»

aveva, nella norma redatta con la riforma del 2002, un carattere meramente concessivo, con la

conseguenza che la sua successiva rimozione non comporta un’esclusione delle valutazioni

33Sentenza Passarelli, (Cass. Sez. Un., 27 maggio 2016, n.22474), par.12.34In ordine cronologico: Crespi, n.33774 del 2015; Banca Alto Adige, n.6916 del 2016; Giovagnoli, n.890 del 12/11/2015, dep.2016; Beccari, n.12793 del 2016.35Per le argomentazioni sulla sentenza Giovagnoli, vedi supra par 2.3.36Sentenza Passarelli, (Cass. Sez. Un., 27 maggio 2016, n.22474), par.6.37 Articolo 12, Disposizioni sulla Legge in generale: « Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato».38Sentenza Passarelli, (Cass. Sez. Un., 27 maggio 2016, n.22474), par.8.1.39Nello specifico si tratta della Direttiva 2013/34/UE, recepita dal d.lgs. 18 agosto 2015, n.139.40Tale dottrina è resa ufficiale da appositi organismi di certificazione posti a livello nazionale (OIC) e sovranazionale (IFRS).41Si rimanda al precedente paragrafo, vedi 2.3.

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dall’area del penalmente rilevante. Mentre il termine «fatti materiali» è idoneo a ricomprendere

anche le valutazioni perché compiute secondo una cosiddetta “discrezionalità tecnica”, propria delle

scienze contabili utilizzate per comporre i bilanci. Secondo le Sezioni Unite, tali discipline

«appartengono senz’altro al novero delle scienze a ridotto margine di opinabilità; pertanto la

“valutazione” dei fatti oggetto di falso investe la loro “materialità”».

La sentenza Passarelli continua poi dando una definizione del concetto di “rilevanza”, accostato a

«fatti materiali» nella riforma. Anche in questo caso la Cassazione abbraccia quanto affermato nella

sentenza Giovagnoli, ribadendo che il significato di tale parola, accostato a fatti materiali, sottolinea

la necessità che le informazioni omesse o false abbiano un’effettiva idoneità decettiva tale da

fuorviare il processo decisionale del destinatario.42 Poiché si tratta di una fattispecie di reato di

pericolo concreto, eliminate le soglie percentuali di non punibilità della riforma del 2002 l’idoneità

dovrà essere valutata dal giudice mediante una analisi ex ante di concreta messa in pericolo del bene

giuridico.

Sebbene le Sezioni Unite avessero dato la propria risposta alla problematica del falso valutativo,

essa aveva fatto sorgere diversi dubbi circa rilevanti questioni inerenti l’interpretazione e riguardo

al ruolo assunto in taluni frangenti dal giudice penale.

3. Questioni aperte

3.1. Problemi interpretativi e possibili soluzioni dottrinali

Francesco Mucciarelli, fra i più convinti e autorevoli sostenitori dell’interpretazione teleologica in

materia di false comunicazioni sociali, ritiene che persistano – anche a seguito della sentenza

Passarelli –, all’interno delle figure d’incriminazione di nuovo conio43, dei problemi inerenti alla

fase interpretativa. Secondo l’autore , le problematiche che la tanto attesa sentenza delle Sezioni

Unite lascia aperte riguardano, rispettivamente, il valore da assegnare all’aggettivo «rilevanti» e la

tipizzazione dei criteri che permettano di identificare le fattispecie di falso penalmente rilevanti44.

Per quanto attiene all’aggettivo «rilevanti», il dubbio interpretativo sorge in quanto rintracciare il

disvalore della condotta – a seguito dell’esclusione delle soglie di non punibilità – «nella

componente della idoneità decettiva fa assurgere tale ultimo estremo a elemento che riassume ed

esaurisce pressoché totalmente il disvalore del medesimo fatto»45. Secondo Mucciarelli, per

sciogliere l’appena menzionata quaestio interpretativa è senza dubbio necessario far riferimento ad

42Il termine “rilevanza” è contenuto nella Direttiva 2013/34/UE, recepita dal d.lgs. 18 agosto 2015, n.139. 43 Si tratta degli Artt. 2621-2622 c.c. a seguito della riforma operata dalla l. n. 69 del 27 maggio 2015, recante “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.44 F. MUCCIARELLI, Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra legalità e ars interpretandi, in Diritto Penale Contemporaneo, 13 luglio 2016, p. 182.45 Cit. F. MUCCIARELLI, Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra legalità e ars interpretandi, in Diritto Penale Contemporaneo, 13 luglio 2016, p.185.

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un processo esegetico di tipo sistematico: scopo ultimo perseguito dalla riforma del 2015

risulterebbe essere la valenza informativa delle comunicazioni sociali e, sulla linea tracciata da tale

obiettivo, risulterebbero rilevanti solo falsità delle quali sia predicabile l’idoneità decettiva46.

Attraverso una lettura orientata in tal senso, i confini dell’area del penalmente rilevante si

riappropriano di un soddisfacente grado di determinatezza, tale da poter consentire all’interprete

una corretta lettura della norma.

Per quanto concerne invece i criteri d’apprezzamento del falso valutativo, Mucciarelli avverte che

tale operazione estimativa non deve suggerire il timore di un approccio creativo dell’organo

giudicante nella selezione dei fatti oggetto di incriminazione, poiché esso, in sede di processo

esegetico, dovrà necessariamente calibrare il suo operato sulla scorta di parametri tecnici

predefiniti47. Un approccio interpretativo corrispondente a quello appena descritto, ad avviso del

giurista, non può far sorgere alcun dubbio di incompatibilità con il principio di legalità.

3.2. La nuova disciplina contabile come possibile fattore di crisi della materialità dei fatti

valutativi

Un’affermazione della Suprema Corte che ha lasciato non poche perplessità è stata la presentazione

della disciplina contabile come una «scienza a basso margine di opinabilità»48.

Considerando la disciplina nel dettaglio, possiamo vedere come questa sia attualmente in piena fase

di aggiornamento: l’Organismo Italiano di Contabilità è stato infatti delegato dalla Direttiva

europea49 alla nuova formulazione “analitica” dei nuovi principi contabili.

All’interno di questo contesto si inserisce inoltre il principio, sancito dalla IFRS50, della prevalenza

della sostanza sulla forma, che prevede la non necessità di redigere il bilancio secondo i principi

contabili internazionali. Infine, i principi internazionali stessi stanno subendo una trasformazione: si

frantuma il principio dell’unitarietà del bilancio. Le nuove trasformazioni economico-sociali hanno

reso necessaria la distinzione tra categorie di società, assoggettandole a discipline di bilancio e

contabili tra loro diverse. Le categorie sono quattro: le grandi imprese, assoggettate all’applicazione

degli IAS/IFRS; le medie imprese, soggette alla disciplina nazionale; le piccole imprese, con facoltà

46Si osservino gli articoli 2621 e 2622 c.c. dove tale requisito è espresso nella formula «[…] in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore».47 I criteri interpretativi cui si fa riferimento sono presenti, rispettivamente, a livello nazionale negli artt. 2623 e s.s. del c.c., a livello europeo nella Direttiva 2013/34/UE recepita dal d.lgs. 18 agosto 2015, n.139 e a livello sovranazionale nella dottrina certificata dall’ International Financial Reporting Standard. In tal senso, sentenza Passarelli, (Cass. Sez. Un., 27 maggio 2016, n.22474), par. 9.48 Sentenza Passarelli, (Cass. Sez. Un., 27 maggio 2016, n.22474), par.9.7.49 Direttiva 2013/34/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 «relativa ai bilanci di esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recente modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio».50 L’International Financial Reporting Standards ha l’obiettivo di costruire standard mondiali in grado di portare trasparenza, efficienza e accountability all’interno dei mercati finanziari di tutto il mondo.

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di redigere il “bilancio in forma abbreviata” e le micro imprese, con un trattamento ancora più

semplificato.51 Quindi, a situazioni diverse corrispondono esigenze informative diverse; il vecchio

concetto di unitarietà della trasparenza non è più in grado di soddisfare le nuove richieste di

informazione e lascia quindi spazio ad una sua forma “frammentata” e più elastica, in grado dunque

di adattarsi alle nuove fattispecie del caso.

In virtù della nuove caratteristiche della disciplina contabile, parte della dottrina52 non condivide la

posizione della Corte sul «basso margine di opinabilità» delle scienze contabili, rilevando anzi,

all’interno della disciplina, un alto grado di incertezza circa i parametri, gli indici e i metodi che

essa utilizza.

In base a quanto appena affermato, non sembra così pacifica l’idoneità del concetto di «fatti

materiali» a ricomprendere quello di “false valutazioni”. Difatti, dal venir meno del presupposto del

«basso margine di opinabilità» dovrebbe derivare il riconoscimento di un più alto grado di

discrezionalità delle scienze contabili, il quale si pone in contrasto con un’idea di obiettività e

materialità delle valutazioni presenti nel bilancio.

È anche per questa ragione che, secondo tale impostazione, l’interpretazione degli articoli 2621 e

2622 c.c. di nuovo conio non dovrebbe portare a ricomprendere il falso valutativo nell’area del

penalmente rilevante.

3.3. Il nuovo ruolo del giudice penale: fra interpretazione estensiva teleologicamente orientata

e riserva di legge

Come è noto in materia penale l’attività interpretativa, in base all’articolo 12 delle preleggi, deve

svolgersi all’interno della cornice costituita dal dato testuale, nei limiti del senso che può essere

attribuito ai termini, secondo il significato proprio, ricavabile anche attraverso la connessione fra le

parole e attraverso la ricerca dell’intenzione del legislatore.

Come già ricordato, la Cassazione giunge ad affermare che, in virtù del contesto tecnico alla luce

del quale deve essere letto, il sintagma «fatti materiali» è idoneo ad assumere il significato di “dati

informativi” e ad abbracciare, dunque, anche i “dati valutativi”53. In base a tale presupposto

dobbiamo concludere che quella effettuata dalla Suprema Corte costituisce un’interpretazione

estensiva, poiché, pur non attribuendo ai termini il loro significato più immediato, viene loro

assegnato un senso ricompreso nel ventaglio di quelli effettivamente attribuibili al concetto di «fatti

51 La disciplina nello specifico può rinvenirsi all’interno degli artt. 2423 e ss. c.c.52 Tra queste voci, spicca A. ALESSANDRI, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni Unite, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura. Penale, fasc.3, luglio-settembre 2016, pp. 1479 e ss.53 Cfr. supra par. 3.

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materiali». Non si cadrebbe dunque in un’interpretazione analogica in malam partem che è esclusa,

in materia penale, dagli articoli 25 co. 2 della Costituzione54 e 14 delle “Preleggi”55.

Come sottolineato da parte della dottrina56, però, l’interpretazione estensiva rischia, in taluni casi, di

porsi in contrasto con alcuni fondamentali canoni ermeneutici.

Il primo di detti modelli consiste nel così detto “argomento storico”, in base al quale, in assenza di

esplicite indicazioni in senso contrario, ad un testo normativo deve essere attribuito il medesimo

significato che era attribuito al precedente enunciato normativo che disciplinava la stessa materia.

Il secondo parametro è quello delle “costanza terminologica” secondo il quale si deve presumere

una continuità e razionalità linguistica del legislatore ed attribuire pertanto alle enunciazioni

normative il significato che era loro attribuito nelle precedenti esperienze legislative.

Il terzo canone è quello dell’argomento ab exemplo, in virtù del quale nell’interpretare un testo

normativo, e nell’assegnare un significato ai termini che lo compongono, ci si dovrebbe basare sul

senso ad esso attribuito precedentemente dalla giurisprudenza o dalla dottrina.

Nel caso trattato in questa relazione, dunque, a ciascuno dei termini «fatti», «fatti materiali» e

«informazioni» si sarebbe dovuto attribuire un significato differente, se non altro in virtù del

confronto con il testo normativo vigente prima della riforma del 2015.

La decisione sul falso valutativo sembra tuttavia indicare che suddetti parametri, nei casi in cui ciò

sia necessario per assicurare la razionalità e l’efficacia delle norme incriminatrici, debbano essere

sacrificati sull’altare della “legalità sostanziale”. Gli unici limiti da prendere in considerazione

nell’interpretazione di un dettato normativo consisterebbero quindi in quelli fissati dagli articoli 12

e 14 delle Preleggi, inerenti alla compatibilità con il dato letterale.

Siffatta impostazione pone tuttavia dei problemi. Se l’unico vincolo per l’interprete è costituito dal

mero dato letterale, dal quale possono derivare interpretazioni differenti sia su un piano sincronico

che diacronico, i giudici possono, in virtù dell’approccio teleologico, estrarre dal testo norme

giuridiche nuove al fine di ovviare a lacune o incoerenze dell’ordinamento giuridico, in virtù di

quello che Pulitanò definisce «autoritarismo benintenzionato»57. A tale attività non potrebbero porsi

come ostacolo né un confronto fra l’enunciato normativo vigente e quello precedente, né le

precedenti interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali. In base a detta impostazione, nulla vieta che

si verifichino delle improvvise ed imprevedibili virate interpretative, che comportano un

54 «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».55 «Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati».56 Chi, a nostro avviso, ha evidenziato nella maniera più lucida i problemi scaturiti dalla pronuncia delle Sezioni Unite è M. SCOLETTA, in Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale, cit. Si rimanda quindi a detto articolo per una più ampia trattazione degli argomenti sviluppati in questo sotto-paragrafo.57 D. PULITANÒ, Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, cit., pp. 204 e ss.

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discostamento dal parametro della prevedibilità del significato di una norma, che è alla base del

principio di legalità penale.

Il caso delle false valutazioni pone evidenti problematiche sul piano del rapporto fra

l’interpretazione estensiva del giudice e la riserva di legge. Difatti, se in un enunciato normativo

sono state utilizzate – come nel caso di specie – espressioni suscettibili di assumere significati

differenti, l’interprete dovrebbe avere cura di indagare la volontà del legislatore58 al fine di attribuire

al dettato normativo il significato corrispondente a detta volontà, anche se da ciò derivi

un’interpretazione non coerente con le finalità di tutela della norma incriminatrice. Così, nel caso di

specie, alla luce del già menzionato canone della “costanza terminologica”, il giudice avrebbe

dovuto riconoscere, nella scelta di inserire il termine «fatti materiali» al posto della ben diversa

espressione «informazioni» e nell’espunzione dell’inciso «ancorché oggetto di valutazioni», la

volontà del legislatore di restringere il campo di applicazione della norma incriminatrice,

escludendone il falso valutativo. Seppure, come afferma Pulitanò, l’interprete deve presumere la

razionalità del legislatore e quindi cercare quell’ermeneutica che risulti coerente sul piano

intrasistematico e compatibile con la ragionevolezza teleologica – tale cioè da evitare una esegesi

che determini una sostanziale sterilizzazione della norma incriminatrice –59, un’interpretazione

estensiva deve comunque rimanere ancorata al dato letterale. Ciò che invece è avvenuto nel caso in

esame, attraverso l’interpretazione estensiva, è stata una sostanziale assimilazione delle espressioni

«fatti», «fatti materiali», «fatti materiali ancorché oggetto di valutazioni» e «informazioni», che con

il parametro della “costanza terminologica” si pone indubbiamente in contrasto.

Si deve allora riconoscere l’assunzione di un nuovo ruolo da parte del giudice penale, il quale, al

fine di fornire effettività alle norme incriminatrici e di colmare le lacune della disciplina penale, si

sostituisce al legislatore adeguando e ‘correggendo’ i testi normativi e ponendosi talora in contrasto

con la stesse scelte politico-criminali del legislatore parlamentare. Questa attività, tuttavia, si pone

in contrasto con i principi basilari del diritto penale costituiti dalla riserva di legge, in base al quale

è attribuita al legislatore una discrezionalità nelle scelte di criminalizzazione che non è vincolata

alla coerenza sistematica e alla adeguatezza rispetto agli scopi di tutela, e dalla frammentarietà

penale60, in base alla quale la presenza di lacune è fisiologica alla materia penale.

58 Come riportato da F. MUCCIARELLI in Oltre un discusso «ancorché» le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche nota in Diritto Penale Contemporaneo, 16 marzo 2016, p. 3, riguardo all’indagine sulla volontà del legislatore, la risposta del relatore di maggioranza al Senato concernente la rilevanza penale del falso valutativo: «sarà opera dell’interpretazione giurisprudenziale stabilire se le valutazioni debbano essere considerate ai fini della sussistenza del requisito della non rispondenza al vero», ha fatto sorgere forti dubbi sulla voluntas legis. Una siffatta scelta si pone quanto meno ai limiti del principio di riserva di legge parlamentare e quindi di legalità. 59 D. PULITANÒ, Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, cit., p. 207.60 Si menziona, a riguardo, la felice metafora in base alla quale il diritto penale si estende non a macchia d’olio, ma a “macchia di leopardo”.

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Dal momento che l’unico limite cui è sottoposta la legge penale consiste nel rispetto della

Costituzione, la censura di eventuali violazioni da parte del legislatore dovrebbe spettare alla Corte

Costituzionale e non al giudice penale.

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