a graceland, dove vive il mito di elvis presley

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C irca 15 km di una strada qualunque che si autoce- lebra come Elvis Boule- vard conducono da Mem- phis downtown a Whitehaven. Poi, al numero 3734, una villa dal vago southern style domina una colli- netta con il suo prato all’inglese. Ogni anno, vi accorrono in pelle- grinaggio 600.000 visitatori. È Gra- celand, la seconda “Casa Bianca” (seconda soltanto a quella di Wa- shington Dc). “I’m going to Grace- land, for reasons I cannot explain”, cantava nel 1986 un malinconico Paul Simon, evocando un universo musicale costellato di versi, cita- zioni e rimandi a una pop cultu- re che ha creato un mito: quello di Elvis. Vent’anni dopo, il 27 marzo 2006 il governo degli Stati Uniti conferiva a Graceland il prestigioso riconoscimento di National Histo- ric Landmark. Per di più, quel gior- no, il presidente George W. Bush lo scelse come luogo dove incontrare il premier giapponese Junichiro Koizumi, che omaggiò il suo idolo A Graceland, dove vive il mito di Elvis Presley Un luogo che ospita una serie di musei e gift shop e che rappresenta un’accademia delle tecniche di comunicazione, di promozione, di organizzazione del punto di vendita, di visual merchandising, di customer experience OSSERVATORIO POPAI di Daniele Tirelli* cantando e mimando le contorsio- ni di “The Pelvis”. Graceland entrò così a far parte delle pochissime sedi ufficiali per incontri diploma- tici. Ma per quale ragione abbia- mo costeggiato per tante miglia il Mississippi sino a Memphis? Solo per contemplare ciò che Internet ci avrebbe mostrato nel dettaglio? No. Per chi si occupa di marketing Graceland è una delle più sofisti- cate dimostrazioni dell’arte tutta americana di vendere, oltre che di creare il prodotto dal nulla. Tutto marzo 2012 03 Pm Pm maggio 2014 03 maggio 2014 02 Pm

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Page 1: A Graceland, dove vive il mito di Elvis Presley

Circa 15 km di una strada qualunque che si autoce-lebra come Elvis Boule-vard conducono da Mem-

phis downtown a Whitehaven. Poi, al numero 3734, una villa dal vago southern style domina una colli-netta con il suo prato all’inglese. Ogni anno, vi accorrono in pelle-grinaggio 600.000 visitatori. È Gra-celand, la seconda “Casa Bianca” (seconda soltanto a quella di Wa-shington Dc). “I’m going to Grace-land, for reasons I cannot explain”,

cantava nel 1986 un malinconico Paul Simon, evocando un universo musicale costellato di versi, cita-zioni e rimandi a una pop cultu-re che ha creato un mito: quello di Elvis. Vent’anni dopo, il 27 marzo 2006 il governo degli Stati Uniti conferiva a Graceland il prestigioso riconoscimento di National Histo-ric Landmark. Per di più, quel gior-no, il presidente George W. Bush lo scelse come luogo dove incontrare il premier giapponese Junichiro Koizumi, che omaggiò il suo idolo

A Graceland, dove viveil mito di Elvis Presley

Un luogo che ospita una serie di musei e gift shop e che rappresenta un’accademia delle tecniche di comunicazione, di promozione, di organizzazione del punto di vendita, di visual merchandising, di customer experience

OSSERVATORIO POPAI di Daniele Tirelli*

cantando e mimando le contorsio-ni di “The Pelvis”. Graceland entrò così a far parte delle pochissime sedi ufficiali per incontri diploma-tici. Ma per quale ragione abbia-mo costeggiato per tante miglia il Mississippi sino a Memphis? Solo per contemplare ciò che Internet ci avrebbe mostrato nel dettaglio? No. Per chi si occupa di marketing Graceland è una delle più sofisti-cate dimostrazioni dell’arte tutta americana di vendere, oltre che di creare il prodotto dal nulla. Tutto

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il contrario dell’Italia, dove spesso l’inefficienza commerciale rende nullo un grande prodotto. Ma il punto non è (solo) questo. Il luogo è un’accademia delle tecniche di comunicazione, di promozione, di organizzazione del punto di vendi-ta, di visual merchandising, di cu-stomer experience e di ogni altro jargon term vi piaccia.Spiegare i meccanismi socio-psi-cologici che spingono centinaia di migliaia di persone a omaggiare (a fronte di un sostanzioso ticket d’in-gresso) questo mondo fermo al 16 agosto del 1977 è complesso. Quel giorno si consacrava il mito di El-vis “The King” Presley e, come Paul Simon, in tanti cominciarono a inseguire “ghosts and empties”: alcuni scimmiottandone le sem-bianze, altri ostinandosi a non vo-lerlo creder morto. Non stupiscono allora le cifre da capogiro inanellate da un business frutto di un marketing da manua-le. La magistrale orchestrazione di licensing e merchandising è gestita da Epe (Elvis Presley Enterprises). Fondata nel 1954 da Bob Neal, all’e-poca suo manager e promoter, frut-ta oggi oltre 30 milioni di dollari l’anno. Dopo una tormentata serie di battaglie legali fra parenti (la moglie Priscilla e la figlia Lisa Ma-rie, che oggi detiene il 15% della compagnia e l’intera proprietà im-mobiliare) e collaboratori vari, la villa rischiò di essere svenduta sul mercato. Sull’orlo della bancarotta per gli esorbitanti oneri fiscali e i costi di mantenimento (oltre mezzo milione di dollari l’anno), Priscilla ebbe un’intuizione: mantenere ben stretta la proprietà trasformandola in un “museo-simulacro”. Proget-to rischioso, dal ritorno incerto, poiché legato alla longevità icono-grafica di un artista in apparenza messo in ombra da nuove rockstar. Idea geniale, invece , come in tante storie americane. Jack Soden (oggi

degli anni ’70, e ammirare perfino i chopper e il mower da giardino. Ancor più suggestivo è poi salire a bordo degli aerei personali di Elvis. L’Hound Dog II e il jet Lisa Marie sono perfettamente conser-vati con le loro poltrone, avvolte, come nelle case borghesi d’un tem-po, nella plastica trasparente. È qui che si estrinseca uno smaccato feticismo: in una teca, le bottiglie di Gatorade e Dr.Pepper con cui Elvis si reidratava dopo le celebri sudate sotto i riflettori sembrano attendere di essere stappate. Stu-piscono ancora la camera da letto, il bagno con i rubinetti d’oro, l’area relax e tutto ciò che rendeva sop-portabile la sequenza terribile di show quotidiani da una città all’al-tra. Certamente altre rockstar più giovani (i Led Zappelin, Michael Jackson, Lady Gaga) si concessero lussi ancora maggiori, ma questo mondo improntato al populuxe disinibito e chiassoso della prima vera rockstar multigenerazionale conserva un che d’inimitabile.L’altro museo parallelo è il “Live from Vegas”, che custodisce deci-ne e decine di sontuose carnascia-lesche “jumpsuit” indossate nelle celeberrime performance nella Sin City.Nel 1997 la money machine di

Graceland fu potenziata da due nuovi innesti. Prima, il Graceland Crossing, uno shopping center sorto nelle immediate vicinanze. Poi, nel 1999, l’Elvis Presley’s He-artbreak Hotel. Il magnete turisti-co di Graceland rivitalizzava così l’intera area di Memphis, con un vero e proprio boom di visitatori in una città divenuta una “major mu-sic destination”. Oggi, l’impatto di Graceland sull’economia locale è stimato in oltre 150 milioni di dol-lari l’anno. Non è un caso che fra le mete più visitate della città – oltre alla celebre Beale Street – vi siano i leggendari Sun Studios, dove nel 1954 Sam Phillips intravide in El-vis “colui che avrebbe contaminato l’audience dei bianchi con le sono-rità e lo spirito della black music”. Questa residenza esclusiva e impe-netrabile rivela una straordinaria capacità evocativa quando si riper-corrono i corridoi che portano in cucina, nella stanza da letto o nel-la living room, immaginando Elvis nell’intimità della sua famiglia. E così il tour, dopo le eccentriche sale di registrazione e del leisure, immette nella sorprendente Rac-quetball Trophy Room. L’ambiente esibisce la pletora degli award tri-butati a The King durante la sua epopea: innumerevoli dischi d’oro

e di platino, medaglie, premi, tar-ghe e riconoscimenti di ogni tipo debordano da tutte le pareti e dalle teche che contengono i costumi di scena sfacciati, irriverenti, eccessi-vi nel loro purissimo kitsch. E di fronte al troppo non sono infre-quenti i casi di pianti, crisi d’isteria o atti di venerazione quasi religiosa dei fan più integralisti e inconso-labili. Frequenti sono anche le file interminabili di visitatori (nei pe-riodi di picco se ne contano fino a 4.000 al giorno) che, proprio come ai tempi dei leggendari concerti, at-tendono ordinati e devoti l’apertura dei famosi cancelli a forma di spar-tito musicale. È il 6 agosto di ogni anno, però, che a Graceland si rac-colgono i fan di tutto il mondo per la veglia commemorativa a lume di candela. Questa massa eterogenea di visitatori proviene da ogni area geografica, fascia di reddito, livel-lo d’istruzione, estrazione sociale (molti gli aspiranti artisti, ma an-che celebri rock star). La metà di essi risulta curiosamente sotto i 35 anni, a evidenziare l’ecumeni-cità del brand Elvis, che affascina persino chi non ha mai vissuto di persona la sua epoca.Dunque, Graceland è la metafora narrativa delle sue mutevoli cifre stilistiche: la Jungle Room, il Ver-non’s Office e il malinconico Medi-tation Garden dove The King riposa insieme ai familiari. Graceland è il crocevia di un flusso cosmopoli-ta accomunato dall’immaginario collettivo. Molti sono gli inter-rogativi che suscita questo luogo fondamentalmente inesplicabile, ma forse più di ogni altra conside-razione valgono le parole stesse di The King: “I love you for a hundred thousand reasons... but most of all, I love you ‘cause you’re you”.* Presidente di Popai ItalyAlla concezione e alle ricerche neces-sarie per l’articolo ha contribuito Mar-co Tirelli

ceo della compagnia) gestì magi-stralmente il progetto ispirandosi ad altre celebri case-museo come quella di Thomas Edison. I risulta-ti sbalordirono tutti: il grand ope-ning nel giugno del 1982 attirò oltre 3.000 persone, incredule di poter varcare finalmente l’inaccessibile “casa dei sogni”. Un mese dopo, Graceland aveva già incassato oltre mezzo milione di dollari.Epe pertanto acquistò anche l’area di uno shopping center limitrofo ribattezzandolo Graceland Plaza e corredandolo di ristoranti a tema (Elvis Presley’s Chrome Grille, Rockabilly’s Burger Shop, Shake, Split & Dip, Rock ‘n Roll Café…). Soprattutto l’arte del marketing si dichiarò nella produzione e nella vendita dell’enorme assortimen-to di gadget/reliquie allineati nei numerosi gift shop. L’intuizione dell’impresa risiede però nel con-cetto di musei paralleli entro cui

sviluppare la Graceland experien-ce. Il principio è: a ognuno secondo la propria disponibilità di tempo e di denaro. La full immersion nel mondo di Elvis può durare anche più di un giorno, qualora si vo-glia ripercorrere meticolosamente ogni aspetto della sua vita e della sua carriera, nei più piccoli det-tagli: dall’infanzia a Tupelo (Ms), agli esordi nel mitico Sun Studio di Memphis, sino ai trionfi di Las Vegas. Oppure si può godere di una sintesi o di pochi, essenziali aspetti circa l’esistenza e l’attività di questa “divinità” terrena. Il Car Museum presenta la sua sfa-villante collezione di automobili davanti alle quali posare per una foto, sfiorare la celeberrima Pink Cadillac Fleetwood del ’55, am-mirare la lucente carrozzeria viola della Eldorado Convertible, fanta-sticare sulle vicende custodite dal-le conturbanti Stutz Blackhawks

Il Car Museum presenta la sfavillante collezione di automobili di Elvis, tra cui la celeberrima Pink Cadillac Fleetwood del ’55.

La Racquetball Trophy Room esibisce la pletora degli award tributati a The King durante la sua epopea (innumerevoli dischi d’oro e di platino, medaglie, premi, targhe e riconoscimenti di ogni tipo) insieme alle teche che contengono i suoi costumi di scena.

Ogni aspetto della vita e della carriera di Elvis, dall’infanzia a Tupelo (Ms), agli esordi nel mitico Sun Studio di Memphis, sino ai trionfi di Las Vegas, è meticolosamente rappresentato a Graceland.

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