a mio padre - specus alchemicus · 2020. 3. 20. · (religione) di dottrine e rituali riservati ai...
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A mio padre
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ALESSANDRO BENATI
DAI MISTERI ANTICHI ALLA
SCUOLA DI MICHELE
VOL. I
Origine delle dottrine esoteriche: Egitto e Grecia
2018
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I volumi di questa collana sono il riadattamento in forma scritta di un
ciclo di conferenze tenute a Padova tra novembre 2017 e marzo 2018.
Un particolare ringraziamento a Franca De Rossi, per averlo reso
possibile.
Stampato in proprio
nel mese di febbraio 2018
con Kindle Direct Printing
ISBN 9781977054548
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SOMMARIO
Introduzione 7
Esoterismo 7
Iniziazione 11
Allegoria e simbolo 14
Esoterismo dell’Antico Egitto 19
Cosmogonia e Teogonia 19
Il mito di Osiride 23
Significati occulti del mito 28
I Misteri nell’antica Grecia 33
I principali Misteri Greci 34
Misteri del Padre 35
Misteri della Madre 36
Misteri Ctonî 39
Considerazioni alla luce dell’Antroposofia 43
Perché partire dall’esoterismo egizio 43
Ringraziamenti 51
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INTRODUZIONE
Prima di affrontare i temi specifici di questa e delle altre
conferenze che seguiranno, è opportuno definire alcuni concetti
che verranno ripresi spesso durante questa e le altre conferenze
del ciclo.
Esoterismo
Iniziamo con il termine “esoterismo”. Il dizionario Treccani
riporta:1
[derivato di esoterico]. – Carattere esoterico: l’esoterismo di
una dottrina, degli antichi misteri. Più particolarmente,
norma religiosa che vieta di rivelare, a chi non sia iniziato,
certe parti segrete di un rito o di una dottrina religiosa.
Come si può notare, il sostantivo deriva dall’aggettivo, che è
appunto: esoterico. Infatti, secondo una storica tedesca, 2 il
sostantivo sarebbe apparso per la prima volta nel 1792, nel
contesto del dibattito sugli insegnamenti segreti di Pitagora e le
origini della Massoneria.
L’altra cosa che notiamo subito è che ha a che fare con gli
antichi misteri e con l’iniziazione, di cui parleremo più avanti.
1 http://www.treccani.it/vocabolario/esoterismo/ 2 Monika Neugebauer-Wölk, cfr. Antoine Faivre, in Western esotericism – A concise history, SUNY Press, NY 2010, Introduction, pag. 1.
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Se ora guardiamo all’aggettivo da cui deriva, il dizionario
Treccani riporta:3
[dal latino tardo esoterĭcus, greco esōterikós, derivato di ésō
“dentro”] – 1. (filosofia) dell’insegnamento riservato dagli
antichi filosofi greci e specialmente da Aristotele ai soli
discepoli. 2. (religione) di dottrine e rituali riservati ai soli
iniziati, la cui conoscenza non è comunicata ai profani. 3.
(per estensione) detto di ciò che può essere inteso solo dai
più preparati: linguaggio esoterico.
Andando all’origine del termine, vediamo che deriva dal verbo
greco είσωθέω (eisotheo), che significa io faccio entrare; da cui
il significato di «aprire una porta, offrire agli uomini la
possibilità di penetrare nell’interiore attraverso l’esteriore;
simbolicamente, è rivelare una verità nascosta, un senso
occulto».4
Questo concetto, che oggi verrebbe considerato quanto
meno anti-democratico, era invece largamente accettato in
epoca antica, quando l’anima e la coscienza degli esseri umani
erano molto più ben disposte di oggi ad affidarsi alla saggezza
delle cosiddette “guide”, fossero esse Rishi, filosofi, sacerdoti o
condottieri.
In antico non costituiva infatti scandalo considerare il popolo
“ignorante” e soggetto solamente agli istinti, in
contrapposizione ai saggi e agli iniziati, che nell’isolamento delle
scuole misteriche trasmettevano oralmente ai propri adepti i
segreti per il governo delle masse, la conduzione delle guerre o
la conoscenza delle leggi di natura.
3 http://www.treccani.it/vocabolario/esoterico/ 4 Cfr. Jean Marquès-Rivière, Storia delle dottrine esoteriche, Edizioni Mediterranee, Roma 1997, Introduzione, pag. 7.
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Tale contrapposizione tra ciò che era considerato “esoterico”
e ciò che, al contrario, era invece “essoterico” (o exoterico, cioè
manifesto) si poteva ritrovare in ogni aspetto delle strutture
sociali antiche. Ad esempio nella sua Accademia, Aristotele
teneva lezioni esoteriche a cui erano ammessi solo gli allievi, e
lezioni exoteriche, alle quali poteva partecipare chiunque.
Anche le lingue dell’antichità riflettevano tale contrapposizione:
si pensi ad esempio all’antico Egitto, in cui esisteva la scrittura
geroglifica, fatta di simboli e usata dai sacerdoti e dai faraoni
solo per scopi sacri, e quella demotica, per testi destinati al
popolo, all’amministrazione e ai commerci.
Il fatto che esistesse una tale demarcazione era anzi una
domanda che proveniva dal popolo stesso, il quale non
considerava un’ingiustizia il non essere ammesso ai Misteri.
Anzi, questa distinzione di attribuzioni entro l’ordine sociale
(che potremmo semplificare grossolanamente come: ai saggi la
conoscenza e al popolo gli istinti) rispecchiava in realtà una
concezione molto più profonda della società, intesa come
«riflesso fedele dell’ordine cosmico».5 Secondo il principio di
analogia, che pervadeva ogni aspetto del vivere, e che recita
«come in alto, così in basso» 6 , la stabilità della società
(microcosmo, il “basso”) era garanzia stessa dell’ordine del
“macrocosmo”, che il popolo vedeva rappresentato
allegoricamente nel pantheon della religione omerica. I miti
greci sono infatti pieni di narrazioni in cui il popolo teme che
una guerra iniqua o un disordine sociale qualunque possa
turbare la pace dell’Olimpo, e scatenare quindi l’ira degli dèi.
5 Ibid. 6 Cfr. Ermete Trismegisto, Tabula Smaragdina.
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Pertanto, erano benvenuti gli uomini saggi, gli “iniziati alla
magia del buon governo”, ovvero ai Misteri, poiché essi erano
in grado non solo di garantire la pacifica e giusta convivenza, ma
al contempo la pace nei cieli.
La corrispondenza analogica tra il microcosmo e il
macrocosmo è un tratto comune di qualunque scuola esoterica,
e si trova anche alla base di una definizione recente di
esoterismo. Nel 1992 Antoine Faivre,7 all’epoca titolare della
cattedra di “Storia delle correnti esoteriche nell’Europa
moderna e contemporanea” alla Sorbona, ha proposto che si
definisca esoterica ogni dottrina e forma di pensiero che si basi
sui seguenti quattro principi:
– l’esistenza di una corrispondenza analogica tra il
microcosmo e il macrocosmo (l’uomo e l’universo sono
l’uno il riflesso dell’altro);
– l’idea di una natura viva, animata;
– la nozione di esseri angelici, di mediatori tra l’uomo e Dio,
ovvero di una serie di livelli cosmici intermedi tra la
materia e lo spirito puro;
– il principio della trasmutazione interiore.
A questi quattro principi fondamentali vanno aggiunti i due
seguenti, considerati complementari:
– la pratica della confluenza delle fonti dottrinali;
– il principio della trasmissione iniziatica.
Con questa definizione, è facile verificare come le principali
espressioni del cosiddetto “esoterismo occidentale”, ad esempio
alchimia, cabala e teosofia, vi ricadano. Curiosamente, altre
7 Antoine Faivre (Reims, 5 giugno 1934) storico dell’esoterismo e ricercatore francese. È direttore emerito dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi.
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grandi espressioni di ricerca esoterica, come la Massoneria, ne
restano escluse.8
In conclusione, dall’antichità ad oggi i termini esoterismo ed
esoterico si riferiscono a quel patrimonio di conoscenze che non
sono direttamente accessibili con i sensi o con i metodi della
moderna scienza intellettuale e materialistica, e che ambiscono
a fare luce sulle verità fondamentali dell’Uomo e del Cosmo,
come espresso ad esempio in questa affermazione di Schuré:
...i sapienti e i profeti delle età più diverse sono venuti a
conclusioni identiche nella sostanza, seppure dissimili nella
forma, sulle verità fondamentali e finali, seguendo tutti lo
stesso sistema dell’iniziazione interiore e della meditazione.9
Ritornando nuovamente alla definizione Treccani, gli altri
elementi che vengono citati sono gli antichi Misteri e
l’iniziazione. Vediamoli in dettaglio.
Iniziazione
Riguardo agli antichi Misteri, o scuole misteriche, è importante
sottolineare che, se si potesse ripercorre la storia dell’umanità a
ritroso, è possibile ritrovare in tutte le civiltà che si sono
succedute un anelito alla conoscenza delle verità fondamentali
del Cosmo e dell’Uomo.
Tale anelito poteva trovare soddisfazione proprio in queste
scuole, a cui – come già detto – venivano ammessi solo quegli
uomini e donne che, oltre a tale desiderio di conoscenza,
possedessero anche determinate qualità psico-fisiche (come si
direbbe al giorno d’oggi), tra cui la capacità di mantenere il
silenzio assoluto sugli insegnamenti che vi ricevevano.
8 Pur essendo stato lo stesso Faivre un massone, N.d.A. 9 Édouard Schuré, I grandi iniziati, Laterza, 1973, p. 10.
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Al contrario, coloro che non vi erano ammessi, i cosiddetti
profani (letteralmente coloro che stavano “pro fanum”, cioè
“davanti al tempio”), degnavano della massima ammirazione e
rispetto gli adepti di tali scuole, e consideravano anche il solo
parlarne come qualcosa di pericoloso, non fosse altro per il fatto
che da essi non trapelava alcuna notizia a riguardo. Si aggiunga
anche che, generalmente, queste scuole si trovavano in luoghi
distanti e isolati dalla città, e che i contatti con esse erano ridotti
al minimo.
Tutto questo, e le voci sulle terribili sorti che toccavano a chi
avesse tradito i Misteri, contribuivano a circondare queste
scuole di un’aura che oggi definiremmo appunto “misteriosa”!
Attualmente, infatti, mistero significa qualcosa che non si
spiega o comprende. La parola invece viene dal verbo greco
μυεο, μυειν (müéo, müéin), che si usava, ad esempio, per
descrivere le ferite quando si rimarginano, e in generale tutto
ciò che si chiude. Successivamente indicò l’atto di chiudere la
bocca per non essere costretto a parlare, ovvero non rispondere.
Quest’ultimo significato è proprio ciò che in antico si intendeva
comunemente per mistero: non tanto la inspiegabilità o
incomprensibilità di una cosa (significato dato oggi), bensì il
non volerne parlare, l’atto appunto chiudere la bocca nel
momento stesso in cui la si vorrebbe aprire. Il mistero è tale
perché deve restare segreto.
Consideriamo allora in dettaglio l’atto di chiudere la bocca
nel momento in cui, invece, si vorrebbe parlare. Esso
corrisponde a un atto di volontà che si impone su quell’impulso
dell’anima che invece indurrebbe a parlare. Questo fa
comprendere come tale atto di volontà richieda necessariamente
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forza. E fa anche immaginare quali qualità venissero ricercate
negli adepti, e quali poi venissero coltivate.
Gli adepti di tali scuole venivano pertanto chiamati mistés,
ma in generale erano anche detti telesti, ossia “coloro che
guardano alla meta”, in quanto avevano ricevuto la τελετή
(teleté), termine con cui si indicava l’iniziazione, ma che
letteralmente significa “lo scopo”, in greco τελος (télos), ossia
la meta dell’intera evoluzione dell’uomo.
Successivamente il verbo greco myeō è stato reso in latino
con ineo, che significa “andare dentro”, che in un certo senso
rende l’idea di conservare il segreto andando all’interno di sé, in
modo che l’osservazione del più assoluto silenzio riguardo ai
misteri diventi disposizione naturale dell’anima. Al contempo
tale traduzione ha fatto però sparire tutti i significati relativi al
télos. Infatti in epoca tardo-romana venne sempre più in uso il
termine initiatione, derivato appunto dal verbo inire, che ha
sostituito termini come telesti, teleté, ecc., e che ha assunto il
significato attuale di “rivelare gradualmente qualcosa a
qualcuno”. Non c’è dubbio che tra i significati della
terminologia attuale e quelli del terminologia greca qualcosa sia
andato perso.
A prescindere dalle evoluzioni lessicali dei termini, in
estrema sintesi, ciò che le antiche scuole iniziatiche insegnavano
era che dietro agli enigmi della natura, del cosmo e dell’uomo,
stanno cause ed esseri di natura esclusivamente spirituale, che
possono essere indagate solo distaccandosi o elevandosi dalle
normali condizioni di vita e coscienza.
Se infatti all’improvviso si presentasse una divinità, nelle
normali condizioni di coscienza – specialmente quelle
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dell’uomo moderno – probabilmente nessuno sarebbe in grado
di riconoscerla, come mirabilmente espresso da Paolo di Tarso:
…videmus nunc per speculum et in aenigmate, tunc autem
facie ad faciem.10
Quello che essa è o che ha da dire potrebbe non sfiorarci
minimamente, se non si entra nella disposizione d’animo
esemplificata dal monito impresso sul tempio di Delfi: “Conosci
te stesso!”. Solo accogliendo tale esortazione diventa allora
possibile riconoscere la divinità e rispondere come si conviene:
“Tu sei!”.
Allegoria e simbolo
Il linguaggio dell’esoterismo, così come tramandato dalla
maggior parte delle correnti occidentali, è spesso velato e
racchiuso entro simboli. Gli iniziati erano quindi chiamati a
“decifrare” i simboli, schiudendone i concetti, affinché
potessero diventare comprensibili e “operativi”.
Per fare ciò si ricorreva a vari metodi, tuttora validi, quali
l’osservazione, la contemplazione, la meditazione e qualsiasi
altro mezzo che consentisse anzitutto di interiorizzare il
simbolo. Una volta interiorizzato, e divenuto così operante
entro l’anima dell’adepto, il simbolo poteva così “iniziare” a
rivelare gradualmente i suoi significati, come un seme che si
schiude e dà origine alla pianta.
Tale prassi, di nascondere un significato più profondo o
apparentemente non correlato con il discorso, durò ben oltre la
chiusura dei Misteri, anzi, consentì ai contenuti di quelle scuole
10 Cor I, 12: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia”.
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di superare indenni le inside del tempo e giungere fino a noi.
Ancora in epoca medievale, infatti, si era soliti dire:
aliud dicitur, aliud demonstratur
Lo stesso Dante, esorta i migliori intelletti, ossia gli iniziati, a
fare attenzione a ciò che sta dietro al significato letterale dei suoi
versi:
O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame de li versi strani.11
Cos’è quindi un simbolo? Come si presenta? Come può
essere interpretato? Per comprendere anzitutto il significato di
simbolo è opportuno introdurre un altro concetto, ad esso
molto simile, che è quello di allegoria.
La definizione di allegoria del dizionario Treccani recita:
[greco ἀλληγορία, composto di ἄλλος «altro» e tema di
ἀγορεύω «parlare»]. – 1. Figura retorica, per la quale si
affida a una scrittura (o in genere a un contesto, anche orale)
un senso riposto e allusivo, diverso da quello che è il
contenuto logico delle parole: le allegorie della «Divina
Commedia». Diversamente dalla metafora, la quale consiste
in una parola, o tutt’al più in una frase, trasferita dal concetto
a cui solitamente e propriamente si applica ad altro che abbia
qualche somiglianza col primo, l’allegoria è il racconto di
una azione che dev’essere interpretata diversamente dal suo
significato apparente. 2. Figurazione pittorica o plastica di
un concetto astratto: l’allegoria della Calunnia, di Apelle e
del Botticelli.
Vediamo allora, come esempio, un’allegoria di Dante, che si
trova proprio all’inizio della Commedia, nel I canto
11 Dante, Commedia, Inferno, IX, 61-63.
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dell’Inferno. Qui troviamo il celeberrimo passo in cui Dante
incontra tre belve nella selva oscura. Esse sono una lonza (lince),
un leone e una lupa.
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggiera e presta molto, che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza.
E qual è quei che volentieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti i suoi pensier piange e s’attrista,
tal mi fece la bestia sanza pace, che venendomi ’ncontro a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Il significato allegorico generalmente accolto è che le tre fiere
che ostacolano il cammino del pellegrino Dante rappresentino i
vizi. La lonza, dal pelo macchiato e dal corpo flessuoso, è il
simbolo della lussuria, il primo dei cosiddetti “peccati di
incontinenza”, che Dante attribuisce massimamente alla sua
città, Firenze. Il leone rappresenta invece la superbia, ritenuta
da Dante il principio di ogni male assieme all’invidi; infine la
lupa, che rappresenta l’avidità degli uomini verso i beni
materiali e verso gli onori, da cui sono affetti specialmente i
governanti e gli ecclesiastici.
L’allegoria nasce nel momento in cui il linguaggio simbolico
perde la propria forma espressiva. Si pensi alle già citate forme
di scrittura egizie: quella geroglifica, che trova corrispondenze
con quella ideogrammatica cinese, era una forma di scrittura
simbolica che era appannaggio esclusivo della casta sacerdotale
per scopi esclusivamente sacri. La complessità dello strumento
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di scrittura era di per se stessa garanzia che alcun contenuto
esoterico potesse cadere in mani profane.
Ma anche questa forma di scrittura si perse, per l’uso invalso
tra i sacerdoti di preferirle quella ieratica, che traduceva in
parole, i significati dei simboli geroglifici. La convergenza tra le
due forme espressive si ha nel greco e in tutte le lingue di origine
fenicia, compreso l’ebraico.
Esistendo quindi un unico alfabeto e un’unica lingua, ecco la
necessità di “dire una cosa con l’intento di significarne
un’altra”, come afferma il motto latino citato pocanzi.
Ancora nel Medioevo vediamo che i termini allegoria e
simbolo rimangono sinonimi. La prima distinzione è apparsa
attorno al Settecento, nel primo romanticismo, con Goethe: 12
L’allegoria trasforma il fenomeno in un concetto e il
concetto in una immagine, ma in modo che il concetto
nell’immagine sia da considerare sempre circoscritto e
completo nell’immagine e debba essere dato ed esprimersi
attraverso di essa.
Il simbolismo trasforma il fenomeno in idea, l’idea in una
immagine, in tal modo che l’idea nell’immagine rimanga
sempre infinitamente efficace e inaccessibile e, anche se
pronunciata in tutte le lingue, resti tuttavia inesprimibile.13
definizione che a nostro avviso rappresenta tanto la distinzione
tra i due, che i singoli concetti.
Sopra tutto ciò, rimane però il valore del simbolo come
potenziale mediatore tra i diversi piani dell’essere: quello
“volgare” dell’esistenza, in cui esso stesso si manifesta, e quelli
12 Cfr. Umberto Eco, Scritti sul pensiero medievale, Bompiani, Milano 2012. 13 J. W. von Goethe, Maximen und Reflectionen, Lipsia 1926, 1.112 e 1.113.
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superiori in cui vivono gli archetipi in esso racchiusi, come
afferma Olimpiodoro:
la potenza del simbolo è più grande della potenza degli
uomini.14
14 Olimpiodoro.
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ESOTERISMO DELL’ANTICO EGITTO
Cosmogonia e Teogonia
Sebbene la religione egizia sia abbondantemente conosciuta nei
suoi riti dagli storici, per l’innumerevole quantità di documenti
e reperti che ci sono giunti, altrettanto non si può dire per i
significati e gli scopi. Per tentare di comprenderli è
fondamentale conoscere la cosmogonia, che è allo stesso tempo
una teogonia, dato che le divinità nascono poco dopo che il
mondo è stato creato.
Secondo la tradizione egizia, in principio esisteva era solo un
grande oceano primordiale, conosciuto con il nome di Nw
(pronunciato Nun), entro il quale non esisteva alcuna forma di
contrapposizione, dualismo o complementarietà: l’alto e il
basso, il chiaro e lo scuro, la luce e l’ombra, la vita o la morte, il
cielo e la terra, la presenza o l’assenza; nemmeno alcuna nozione
di spazio e di tempo. Le acque di questo oceano circondavano
un uovo cosmico. Entro l’uovo era contenuta tutta la vita.
A questo punto Atum «stabilì nel suo cuore il desiderio di
manifestarsi». Il grande mistero della creazione consiste nel
passaggio dalla Potenza all’Atto, dall’invisibile al visibile,
dall’Uno al molteplice, dall’assenza alla manifestazione. Il primo
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impulso di questo passaggio consiste nella proiezione verso
l’esterno dell’intimo desiderio del Creatore. I simboli di questa
potenza creatrice sono diversi, a cominciare da quello del cuore,
il vaso alchemico entro cui è contenuta tutta la vita – l’uovo
cosmico stesso, mentre il risultato dell’atto creatore è il divenire,
rappresentato dallo scarabeo Khepri, l’insetto alato che deve
passare attraverso i tre stadi di: uovo – larva – ninfa.
Fig. 1 – Da sinistra: vasi funerari a forma di cuore e gioiello a forma di
scarabeo
I tre stadi che vanno dal desiderio di manifestazione al
divenire, si imprimono per così dire in maniera permanente
nella natura di Atum, conferendole una natura ternaria o
trinitaria, come espresso nell’ultimo verso di un inno tratto dal
Libro dei Morti:
Sono Khepri al mattino, Ra a mezzogiorno, Atum alla sera.
Il mito della creazione prosegue dicendo che Atum (in
potenza) come primo atto di manifestazione-separazione si levò
al di fuori delle acque limacciose di Nun, sorgendo come una
montagna piramidale, sulla cui sommità sbocciò un fiore di loto.
L’uovo si dischiuse e dai petali fuoriuscì una grande Luce: Ra,
che si contrappose alle tenebre e riportò il caos indistinto Nun
a una condizione di inerzia. Questo fu il primo atto creativo: il
dio nasce e si manifesta come altro da sé.
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I papiri indicano poi che ciò avvenne per mezzo della Voce.
Si noti l’analogia con il Logos del Vangelo di Giovanni e, ancora
più calzante, con la Vha (o Vāc) dei Veda.
Io sono colui che è venuto in esistenza in forma di Kheper,
io sono divenuto il creatore di ciò che viene in esistenza,
il creatore di ciò che venne in esistenza in tutti gli esseri dopo il mio esser diventato tutte le cose in molti esseri,
esse furono create venendo fuori dalla mia bocca.
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Come secondo atto, Atum “sputò fuori” Shu, il principio
maschile dell’Aria e dello Spazio. Quale terzo atto, “espettorò”
Tefnet, il principio femminile del Fuoco, rappresentato da una
donna con la testa di leonessa.
A questo punto, la generazione diretta ebbe termine e
iniziarono le generazioni “indirette”, compiute cioè dalle
divinità nate da Atum stesso. Shu e Tefnet generarono un’altra
coppia: Geb (la Terra) e Nut (il Cielo). E anche Geb e Nut si
accoppiarono, suscitando però la gelosia di Atum, che scagliò
una maledizione su Nut che non le avrebbe consentito di
partorire in nessuno dei 360 giorni che componevano l’anno
egizio. La dea, disperata, si rivolse allora al dio della saggezza
Thoth, il quale architettò un elaborato stratagemma per farla
partorire, che è curiosamente anche alla base del fatto che l’anno
solare sia passato da 360 a 365 giorni.
Esso consisté nello sfidare Khonsu, figlio di Atum, al gioco
del senet, una specie di dama, avendo cura però di fissare come
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posta in gioco un settantaduesimo della luce lunare di cui il
giovane figlio di Atum era portatore. Ovviamente il saggio
Thoth sconfisse il giovane Khonsu, ed ottenne quanto pattuito.
Tutto ciò, in realtà, implicò l’aver guadagnato tempo, in quanto
in Egitto, come in molte culture antiche, questo veniva misurato
proprio con le fasi lunari, di cui il giovane Khonsu era signore.
Quindi Toth vinse un settantaduesimo dell’anno lunare di 360
giorni, e cioè cinque giorni extra, che donò subito a Nut perché
ella potesse dare alla luce i figli avuti da Geb. Per tale ragione
poi, quei cinque supplementari vennero considerati come un
periodo di festa.
In quei giorni Nut poté quindi partorire i suoi figli: il primo
giorno nacque Osiride, il secondo Seth, poi Iside ed infine Nefti.
Questa quarta e ultima generazione divina (teogonia) si
distinse dalle precedenti per il fatto che se le prime tre possono
considerarsi come un movimento di manifestazione “dall’uno al
molteplice”, questa ultima rappresenta invece il ritorno “dal
molteplice all’uno”, a causa del ruolo fondamentale che
assumerà Osiride, come sarà chiaro dopo l’esposizione del mito
sulla sua morte e resurrezione.
In sostanza, la cosmogonia egizia, in accordo con le altre
culture che l’anno preceduta come ad esempio quella indiana,
descrive un cosmo che prende forma da un processo di
manifestazione e sdoppiamento dell’unità che giunge però solo
fino a un certo grado di molteplicità, oltre il quale inizia poi un
processo inverso di riassorbimento, come è possibile riscontrare
in questa iscrizione:
Sono l’Uno che si trasforma in Due
Sono il Due che si trasforma in Quattro
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Sono il Quattro che si trasforma in Otto
E dopo ciò sono l’Uno.15
In questo modo si completa la più nota delle enneadi teologiche
dell’antico Egitto, la cosiddetta Grande Enneade eliopolitana,
dal nome della città di Eliopoli, presso i cui santuari era venerata
e conosciuta, e che fu di ispirazione per molte teologie
successive anche di altre culture.
Demiurgo (l’uno)
Râ, il sole creatore
e maschio, e femmina
Prima coppia
↓ Maschile ↓ Femminile
Shu (l’aria) + Tefnet, (l’umidità),
sua sposa
Seconda coppia Geb (la terra) + Nut (il cielo), sua
sposa
Terza coppia Osiride + Iside, sua sposa
Quarta coppia Seth (il Caos), fratello di Osiride
+ Nefti (la morte), sua sposa
Tab. 1 – Enneade eliopolitana
Il mito di Osiride
Ai fini dell’indagine sull’esoterismo egizio, è fondamentale
parlare del mito di Osiride.
Osiride è il dio-uomo. Generato dal Demiurgo-Atum, gli
viene affidata la speciale funzione di “maestro” degli uomini: a
lui infatti sono attribuite le principali abilità e scienze umane
quali l’agricoltura, la metallurgia, l’allevamento e anche la
scrittura. Egli è sacro e santo e il suo nome è ineffabile o almeno
impronunciabile, come riporta anche Erodoto:
15 Sarcofago di Petamon, Cairo.
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C’è anche, a Sais, il sepolcro di colui di cui, in siffatta
occasione, non ritengo pio pronunziare il nome. Si trova nel
santuario di Atena, dietro il tempio, contiguo per tutta la
lunghezza del muro.16
Osiride è sposato con sua sorella Iside, e questa coppia
rappresenta la guida ancestrale nei confronti della quale il
popolo egizio è debitore della propria civiltà, come possiamo
ritrovare in molte tradizioni ancestrali, ad esempio in quella
cinese; il parallelo con Fu Xi e sua sorella Nüwa è infatti
sorprendente.
Fig. 2 – A sinistra: la coppia Osiride- Iside; a destra: Fu Xi e Nüwa
Essi sono spesso rappresentati come esseri aventi la parte
superiore del corpo umana, mentre la parte inferiore di serpente
o di drago, spesso avvinghiati tra loro. Lui regge una squadra e
lei un compasso. Ad essi sono attribuite tanto l’origine di tutte
le conoscenze umane, che la stessa discendenza dell’umanità
intera.
Così come Fu Xi è considerato il primo imperatore della
mitica dinastia dei Tre Augusti, anche Osiride è considerato il
16 Erodoto, Storie, Libro II, 170.
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primo faraone-dio, a cui dopo varie vicissitudini – narrate
proprio dal mito – seguirà il primo faraone uomo (o forse è il
caso di dire semi-dio), Menes il Tinnita, che tradizionalmente
dà inizio alle dinastie regali.
Il mito-tragedia di Osiride narra che Nefti, sorella di Osiride
e sposa di Seth-Tifone, anch’egli fratello di Osiride, decise un
giorno di porre fine al proprio dolore, causato dalla sterilità del
marito e dal carattere decisamente intemperante di questi,
stabilendo che avrebbe dovuto avere un figlio a tutti i costi.
Attraverso l’inganno, assumendo le sembianze della sorella
Iside, si presentò di notte ad Osiride con il vino, allo scopo di
farlo ubriacare e giacere di conseguenza con lui senza che lui
potesse accorgersi del tranello.
Così accadde e Nefti rimase gravida e partorì poi Anubi, il
dio dalla testa di sciacallo, preposto al controllo dell’oltretomba.
Quando Seth scoprì l’accaduto, la sua collera aumentò a
dismisura, soprattutto quando Osiride, dovendo partire per un
lungo viaggio in tutto l’Egitto con lo scopo di portare progresso
e civiltà alle genti, stabilì che Iside avrebbe governato in sua
vece, durante la sua assenza. Seth si sentì umiliato e tradito dal
fratello al punto da pianificare di ucciderlo.
Prima che il fratello partisse, indisse un grande banchetto in
suo onore, nel quale mise in palio tra i partecipanti un grande
sarcofago di legno finemente intagliato e ornato: chiunque fosse
stato in grado di infilarvicisi dentro lo avrebbe ricevuto in dono.
In molti provarono, ma Seth lo aveva costruito in modo tale
che solo Osiride potesse entrarvi dentro. Quando il dio vi entrò,
colmo di gioia per il fatto che ora il fratello glielo avrebbe
dovuto donare, Seth si scagliò sul coperchio e chiuse Osiride nel
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sarcofago, dando poi ordine ai suoi servitori di legarlo con funi
e catene e gettarlo in fondo all’Oceano.
E così accadde. La cassa galleggiò tra le onde, venendo
trasportata fino alle coste di Byblos, dove s’incastrò tra le radici
di un enorme tamerice che il re di Byblos aveva notato e
desiderava abbattere per utilizzarla come pilastro nel suo
palazzo.
Nel frattempo, Iside cominciava a preoccuparsi per l’assenza
del marito mentre sua sorella Nefti, collegando la cassa costruita
dal marito con l’accaduto, le confidò i suoi timori. Iside allora
partì alla ricerca della cassa che conteneva il marito, sperando
di ritrovarlo ancora vivo. Con l’aiuto di sua sorella Nefti, dopo
lunghe peregrinazioni e dopo aver perlustrato ogni angolo di
terra e di mare, riuscì a individuare il sarcofago che giaceva
inosservato tra le radici del grande albero di Byblos.
Iside, allora, si trasformò in colomba per poter osservare
indisturbata gli uomini del re che si stavano avvicinando al
tronco del tamarisco per abbatterlo, senza essersi minimamente
accorti della cassa incastrata nelle radici. In seguitò, quando gli
uomini ebbero segato il tronco e trasportatolo a palazzo, la dea
assunse le sembianze di un’ancella che portava in dono profumi
e unguenti sublimi, e si presentò alla regina Nemano, moglie del
re di Byblos, con lo scopo di attirarne l’attenzione.
Giunta quindi al cospetto della regina, riuscì nel suo intento
a tal punto che questa le affidò le cure del proprio figlio appena
nato. La dea, riconoscente, pensò di celebrare un rituale che
avrebbe reso il piccolo un immortale. Una notte prese quindi il
bimbo dalla culla e lo portò nei giardini dove, acceso un fuoco
su di un braciere, pronunciò le parole magiche e poi depose il
neonato sui carboni ardenti, senza che questi soffrisse o
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tantomeno piangesse. La regina Nemano, però, a causa
dell’insonnia, pensò di fare una passeggiata e passò proprio nel
punto in cui la dea che stava gettando il suo adorato bambino
sulle braci roventi.
Appena vide la scena la regina corse angosciata verso Iside e
le strappò il bimbo di mano. La dea tentò di giustificarsi invano,
e alla collera crescente della regina decise di sciogliere
l’incantesimo che la faceva sembrare un’ancella e si mostrò nella
sua vera essenza divina. La regina a quel punto si prostrò
costernata ai piedi della dea, implorandola di perdonare la sua
incredulità: che le chiedesse pure qualsiasi cosa avesse
desiderato.
Iside, compassionevole, colse l’occasione per raggiungere lo
scopo della sua presenza in quel luogo, indicando alla regina il
tronco di tamerice, dove ancora si trovava incastrata la cassa
contenente suo marito.
Finalmente la dea riuscì a mettere le mani sul sarcofago dove
suo marito era stato rinchiuso, e piena d’ansia si accinse ad
aprirla con la massima cautela, ma quando l’aprì scoprì che i
suoi timori erano fondati: Osiride era morto!
Disperata, decise allora di riportare il corpo in Egitto, per
fargli avere la sepoltura degna di un re, e una volta giunta in
Egitto, per timore che Nefti o Seth potessero compiere qualche
altra follia, vegliò il cadavere giorno e notte. Mentre stava
vegliando il marito morto, le si avvicinò Toth proponendole di
riportare in vita Osiride per mezzo della magia. Il dio della
saggezza le spiegò che erano necessari una serie di balsami ed
ingredienti, e che ci sarebbe stato anche bisogno della
partecipazione di altre divinità in qualità di assistenti, poiché si
trattava di un lavoro lungo e complicato. Iside ascoltò
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attentamente le disposizioni di Toth, quindi ritornò a pregare
davanti al corpo di Osiride, attendendo con ansia il momento
cui si sarebbero potuti riabbracciare. Ma la gioia di questa attesa
si tramutò in orrore quando si accorse che il corpo era stato
trafugato. Seth aveva approfittato del suo colloquio con Thoth
per rubarlo e portarlo lontano.
Il dio del caos aveva intuito il piano del dio della saggezza e
della magia, e mosso da una furia incontenibile, smembrò il
corpo di Osiride in quattordici pezzi che sparpagliò per tutto
l’Egitto, certo che né Iside, né alcun altro sarebbe stato in grado
di recuperarli. Una di queste parti, il fallo, cadde nel Nilo e
venne divorata da un pesce e non fu quindi mai più recuperata.
Tutti gli dei, mossi a compassione dalla triste vicenda del
corpo mutilato di Osiride, si misero alla disperata ricerca delle
tredici parti rinvenute vennero ricomposte ed Iside, sfinita e
disperata, chiese a Thoth di aiutarla a dare una sepoltura
definitiva ai resti di Osiride. Il dio della conoscenza si apprestò
dunque ad eseguire il primo rituale di mummificazione di tutti
i tempi. Da questo rituale di ricomposizione del cadavere
nacque così il figlio tanto desiderato di Iside e Osiride, il dio
Horus, che sarà colui che vendicherà il padre uccidendo Seth.
Osiride venne così mummificato e pianto in tutto quanto
l’Egitto. Gli dèi, che assistettero commossi e impotenti alla
manifestazione di dolore e devozione nei confronti di Osiride,
visto che questi aveva regnato con giustizia e bontà, decisero che
sarebbe dovuto risorgere, e al contempo lo posero a capo del
Duat, il regno dei morti, affinché con la stessa saggezza
giudicasse le anime dei morti. Questo è il mito, la cui
drammaturgia veniva celebrata nei templi egizi, come riporta
anche Erodoto:
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Viene rappresentata di notte presso questo lago la sua passione,
con mimi che gli Egiziani chiamano misteri. Io ne conosco ogni
minimo particolare; ma osserverò religioso silenzio. E osserverò
religioso silenzio – tranne per quanto non sia empietà il parlarne
– anche sulla festa di Demetra chiamata dagli Elleni
Tesmoforie.17
Significati occulti del mito
Osiride diviene il dio dei vivi e dei morti, il dio dei Misteri per
antonomasia, colui che dopo aver guidato l’umanità sulla Terra,
sperimenta la morte e la resurrezione; quindi l’iniziato. Il suo
simbolo è il famoso pilastro djd di Busiride (trascritto dad o
zed), che ha suscitato le più disparate interpretazioni.
Fig. 3 – Varie rappresentazioni dello zed e spina dorsale
In realtà il djd è la colonna vertebrale umana, organo occulto
importantissimo per le tradizioni della fisiologia mistica; è
l’«albero della vita» della Cabala, è la Kundalini delle tradizioni
vediche.
In ogni epoca la fisiologia occulta ha attribuito un enorme valore
a quegli esercizi meditativi che implicavano centri situati lungo
17 Ibidem, 171.
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la colonna vertebrale; Osiride, Signore dell’Iniziazione e
Principe degli adepti, era quindi simboleggiato dal centro
fisiologico iniziatico dell’uomo.
La leggenda di questo dio sta alla base di tutto
l’insegnamento esoterico e dell’iniziazione egizia, come
confermano anche gli storici dell’epoca. Dice ad esempio
Diodoro che: «Iside inventò il rimedio che dona l’immortalità».
L’aspetto iniziatico era quindi legato a quello medico, ma non
nel senso che noi oggi diamo a questo termine: in antico infatti
scienza e culto religioso erano unite in un’unica scienza, che era
scienza dello spirituale nel senso più ampio.
Gli iniziati ai misteri di Osiride accettavano allora che venisse
loro applicato questo rimedio, ma per fare ciò, subir e cioè la
«osirizzazione» e quindi «divenire Osiride», dovevano subire
delle prove terribili di morte simbolica, per poi poter rinascere
come dèi. Per chi ha conoscenza della Massoneria, non sarà
difficile verificare come alcuni aspetti dell’elevazione al grado di
Maestro non siano che pallidi echi delle antiche iniziazioni
egizie.
Nei rituali l’iniziato doveva praticare le abluzioni e le
purificazioni prima di poter essere ammesso al cospetto della
statua del dio, A questo punto avviene l’importante cerimonia
detta della «apertura degli occhi e della bocca» del dio, che
diventa così una statua «vivente».
Il significato di questa cerimonia, che ha una interessante
analogia con il rituale dell’effatà 18 ancora oggi praticato nel
18 Effatà significa «Apriti», ed è la parola pronunciata da Cristo nella guarigione del sordomuto, in Mc 7,31-35.
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sacramento del Battesimo cristiano, era quello di restituire al dio
morto, rappresenta restituire alla statua il suo cuore e il suo Ka.
Questo rituale ha a che vedere con la concezione di
resurrezione e reincarnazione profondamente radicata nella
cultura egizia. Dice infatti Erodoto: i primi a parlare di un’anima
immortale nell’uomo sono stati gli Egiziani. Dice infatti:
Gli Egiziani sono anche stati i primi ad enunciare la dottrina per
cui l’anima dell’uomo sarebbe immortale; entrerebbe, quando il
corpo perisce, in un altro animale di volta in volta nascente, e, fatto
il giro di tutti gli animali terrestri, marini, ed alati, rientrerebbe in
un uomo che nasce, compiendo il suo giro in tremila anni.19
Nella loro complessa concezione dell’uomo e dell’anima, gli
Egizi, che “amavano la vita e detestavano la morte”, come
attestano numerosissime iscrizioni funebri, credevano che
l’immortalità dell’anima fosse una condizione meritoria, non
automatica, da conseguirsi attraverso una vita giusta.
Alla fine dell’esistenza infatti, l’anima del defunto doveva
sottostare alla “cosiddetta pesatura del cuore”, o psicostasia,
che veniva posto su di un piatto della bilancia, mentre nell’altro
era posta la piuma di Maath, la dea della giustizia appunto. Solo
se il cuore (ib) fosse risultato più leggero, allora l’anima
immortale sarebbe tornata a rivestirsi di un corpo; mentre
all’empio dal cuore pesante sarebbe toccata in sorte la “seconda
morte”, che corrisponde all’annientamento del Ka.
Il Ka è quindi la “vita che sopravvive alla vita”. Rappresenta
il nucleo profondo che ogni uomo porta con sé nell’oltretomba
per essere sottoposto al giudizio di Osiride, e che poi riporta
indietro in una nuova ulteriore vita, al fine di perfezionarlo.
Spesso viene tradotto con il significato di “doppio” umano,
19 Erodoto, Storie, Libro II, 123, 2.
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bassamente legato ai piaceri terreni, ma rappresenta in realtà il
germe della vita eterna.
L’iniziazione era allora la via della “autorealizzazione” del
Ka, di vita in vita, per trasformarlo in He-Ka, che è
rappresentato con il medesimo geroglifico del Ka, ma con al
centro due serpenti intrecciati, simbolo antichissimo
quest’ultimo in cui possiamo ritrovare la kundalini o anche il
caduceo di Mercurio.
He-Ka viene solitamente tradotto con “magia”, e tale
significato è in relazione con l’atto magico con cui Toth intende
riportare in vita Osiride, una volta aperto il sarcofago. He-Ka
significa letteralmente “colui che attiva il Ka”, ossia l’anima che
incorpora la personalità e la rende imperitura. Nei due serpenti
intrecciati inoltre è possibile vedere la medicina intrecciata alla
religione, ossia la teologia, la teurgia e la taumaturgia, che erano
due rami della magia sacerdotale egizia.
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I MISTERI NELL’ANTICA GRECIA
Nell’Antica Grecia si porta alla massima espressione quanto già
affermato sui criteri meritori di ammissione ai misteri. Il
principio con cui si veniva scelti era quello aristocratico, dal
termine ariston, che significa “ottimo”.
Questo fatto sembra stridere ancora di più all’interno di una
civiltà che ha inventato la forma di convivenza sociale che
tutt’oggi pratichiamo, la polis, da cui l’arte di governarla: la
politica, ma – come già fatto notare – era connaturato alla
concezione stessa di polis il fatto che ci fosse una classe di
“iniziati” in grado di riprodurre anche sul piano sociale
l’armonia esistente nel macrocosmo.
Molti di questi iniziati erano i grandi condottieri o anche i
filosofi. È infatti provato che quasi tutti i filosofi fossero degli
iniziati a uno o più Misteri: fu così per Platone e per il suo
maestro Socrate. Platone poi, avendo individuato nel giovane
Aristotele il successore alla guida della sua Accademia, gli
disvela tutto il suo sapere exoterico ed esoterico.
Nel passaggio successivo, Aristotele si trova ad avere due
grandi allievi: il fedele Teofrasto, cui va il merito di avere
trascritto gli insegnamenti filosofici del suo maestro che ci sono
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giunti, e Alessandro Magno, che beneficiò invece degli
insegnamenti di natura esoterica, specialmente di quelli legato
all’iniziazione eleusina, che furono tra l’altro uno dei motivi
occulti che lo portarono a conquistare una larga parte di mondo,
con un percorso – che di seguito assumerà altri significati – che
va dall’Egitto fino all’India.
L’elemento più importante dei culti misterici greci, come del
panteon della religione omerica, è che la pressoché totalità delle
divinità greche ha un omologo in quelle egizie. Lo stesso
Erodoto lo attesta:
[2] Dicevano i sacerdoti che le denominazioni dei dodici Dei erano
stati gli Egiziani i primi a metterle in uso; dai quali gli Elleni le
avevano derivate; e che erano stati gli Egiziani i primi ad assegnare
altari, statue e templi agli Dei, e a scolpire figure in pietra. E della
maggior parte di queste asserzioni esibivano prove concrete.20
Si può infatti trovare tanto nei miti che nelle dottrine interiori
delle scuole misteriche una analogia con l’equivalente mito o
dottrina esoterica presente nell’antico Egitto. Di seguito
vedremo qualche analogia, all’interno di una classificazione
molto ampia dei culti misterici.
I principali Misteri greci
Nell’Antica Grecia i culti misterici erano di due tipi
fondamentali, quelli che miravano a educare l’uomo verso la
direzione spirituale dell’universo e quelli che si occupavano di
indagare i segreti della natura. I primi erano i cosiddetti Misteri
del Padre, mentre i secondi erano detti i Misteri della Madre.
Sorsero poi dei Misteri nei quali questi due campi di conoscenza
venivano assommati al massimo grado, ed erano i cosiddetti
20 Erodoto, op. cit., Libro II, 4, 2.
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Misteri Ctonici (da χθονίη, ctonie, ovvero sotterra, a sua volta
derivato dall’aggettivo greco χθόνιος che significa appunto
sotterraneo).
Misteri del Padre
Alla prima categoria di misteri appartenevano i Misteri
Apollinei che ebbero la loro massima espressione nell’Oracolo
di Delfi. Apollo, il dio del Sole, era la divinità – idealmente
ubicata al nord del paese – che rappresentava la realtà spirituale
che è possibile esperire attraverso la via dei sensi esteriori. In un
certo senso nel culto di Apollo il popolo greco presentì la realtà
del Cristo.
Una delle leggende più antiche a riguardo narra che il dio
sarebbe nato presso un popolo collocato genericamente
all’estremo nord dell’Europa, oltre il fiume Eridano, che alcuni
identificano col il Reno, altri con il Rodano e altri ancora con il
Danubio.
È interessante riportare cosa accadde, secondo Omero,
quando Apollo scelse Delfi quale luogo del tempio a lui
dedicato. Dopo la nascita sulla Terra, Apollo era ritornato
sull’Olimpo tra gli altri dei, ma ne discese nuovamente –
provenendo sempre da nord – alla ricerca di un luogo dove
fondare il suo santuario.
Trovatolo ai piedi del monte Parnaso, decise di fermarsi lì.
Vicino al monte scorreva una fonte di acqua purissima, che era
custodita da un terribile drago di sesso femminile, chiamato
Dracena o Delfine (da cui probabilmente il nome del luogo).
Apollo, non volendo dividere il luogo con quella bestia
immonda, portatrice di distruzione e morte, la affrontò in
un’aspra battaglia, uccidendola con le sue frecce dorate. Dopo
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questa vittoria prese l’appellativo di Apollo Pitico, poiché la
bestia era anche chiamata Pitone e rappresentata come un
serpente; e per lo stesso motivo la sacerdotessa del suo oracolo
prese il nome di Pizia. Dice Omero:
...un mostro enorme carnivoro, selvaggio,
che molto male faceva agli uomini della terra,
e al bestiame dalle solide zampe sanguinosa rovina….
…finché il signore Apollo arciere la colpì
con la sua potente freccia. E lei cadde, dilaniata da dolori
insopportabili, e ansimava e si contorceva sul terreno.
E levò un urlo spaventoso, infinito, e nella selva
di qua e di là strisciava rotolando, finché la vita
abbandonò, spirando sangue. E così si vantò Febo Apollo:
“Qui ora imputridisci, sulla terra nutrice di uomini.
Non sarai più una peste per gli uomini mortali,
che mangiano il frutto della terra feconda:
essi qui verranno, a portare splendide offerte…”
…Così disse e si vantò…e gli uomini chiamano Pizio il
dio…21
Misteri della Madre
Alla seconda categoria di Misteri appartenevano invece Culti
Dionisiaci, nei quali l’abbandono completo del dominio sul
corpo, oltretutto accentuato dall’uso del vino, è l’esasperazione
in chiave già occidentalizzata della fuga dalla maya di eco
buddista. La ricerca dell’estasi dionisiaca comportava, dal
punto di vista sociale, l’abbandono del vivere civile, dell’ordine
della polis, e di conseguenza un ritorno alla vita selvaggia, ossia
un ritorno al caos primordiale in funzione di rigenerazione
vitale, di rinnovamento.
21 Cfr. Omero, Inni, disponibile online.
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Secondo alcuni 22 l’etimologia di Dioniso deriverebbe
dall’iranico div-an-aosha, “il dio (della bevanda)
dell’immortalità”. È interessante notare come anche nelle
culture nordiche la bevanda alcoolica è associata al concetto di
vita eterna; il distillato di cereali oggi noto come whisky (o
whiskey) deve il suo nome alla locuzione celto-gaelica di uische
beatha (pronunciato üskie biahe). Come si vedrà in seguito,
anche il fatto che l’alcool sia ricavato dal cereale è un fatto
misterico di per se stesso.
La letteratura storico-religiosa ha evidenziato una notevole
somiglianza tra Dioniso e la divinità vedica Shiva, preposta alla
forza della shakti, la potenza creativa immanente.
Secondo Omero, Dioniso era figlio di Zeus e di Semele, la
bellissima figlia di Cadmo, re di Tebe. Siccome era un dio molto
chiassoso veniva chiamato anche Bacco, che in greco significa
“clamore”, da cui deriva la parola italiana baccan0.
Venutolo a sapere, Era, si ingelosì e decise di farla morire:
prese le sembianze della sua nutrice e insinuò nell’animo della
fanciulla che Zeus non l’amasse davvero, e che pertanto doveva
metterlo alla prova. Siccome il dio le si mostrava sempre sotto
l’aspetto di un mortale, alla prima occasione Semele chiese a
Zeus di mostrarsi nella sua vera natura, se la amava davvero.
Zeus cercò di dissuaderla, spiegandole il pericolo a cui andava
incontro, ma Semele insistette, e quando Zeus le si mostrò in
tutto il suo splendore, la povera ragazza morì incenerita dalla
luce emessa da Zeus.
Il dio allora, si preoccupò di salvare il figlio che ella portava
in grembo e lo cucì nella propria coscia fino al momento della
22 Autran, riportato da Jean Marquès-Rivieère, op. cit., pag. 49.
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nascita. Compiuti i nove mesi, Zeus fece uscire Dioniso dalla
propria coscia e lo affidò ad Hermes, che lo portò dalle ninfe,
affinché lo nutrissero e allevassero. Il luogo dove fu portato il
piccolo Dioniso era una montagna sconosciuta ai più, compresa
la vendicativa Era.
Questa è la prima nascita di Dioniso. Successivamente fu
catturato dai Titani, smembrato, bollito, arrostito e mangiato;
solo il cuore fu salvato, grazie al provvido intervento di Atena,
che lo portò ancora palpitante a Zeus, il quale fu aiutato da Rea,
la Madre Terra a ricomporre il piccolo. Zeus poi, per punizione,
folgorò e incenerì i Titani, dalle cui ceneri nacque il genere
umano. Da questo si può ricavare che nell’uomo è presente una
componente dionisiaca, che attesta ulteriormente l’origine
divina dell’umanità.
È la forma orfica del mito della caduta: nell’uomo alberga
una scintilla divina, un’anima immortale destinata a tornare agli
dèi, che vive la vita nel corpo in modo doloroso, come in una
prigione. Ecco allora che lo scopo dei riti orfici è quello di
liberare l’anima dall’esilio corporeo, e reintegrarla al mondo
degli dèi, cui appartiene per natura, origine e destino.
Le valenze simboliche delle tre nascite si possono vedere in
questo senso: la prima è il mito dell’origine dell’umanità e della
nostalgia della propria origine divina; la seconda, invece,
rappresenta la dinamicità della creazione: gli arti inferiori sono
preposti alla funzione del movimento; il mito pertanto
simboleggia l’aspetto dinamico del principio divino che anela a
manifestarsi, in analogia con il già citato dio Shiva danzante. La
terza nascita simboleggia invece il passaggio dall’Uno al
molteplice (lo squartamento), e il successivo ritorno dal
molteplice all’Uno (il cuore), grazie all’intervento di Rea – ossia
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il principio femminile – in perfetta analogia con il mito di
Osiride.
In sintesi due sono le principali valenze dell’orfismo:
“antisomatismo”: la concezione negativa del corpo
(soma), inteso come prigione (da cui la ricerca della
libertà estatica data dall’ebbrezza), e la conseguente
“nostalgia del Centro”, ossia il desiderio dell’anima
(psiche) “esiliata” di reintegrarsi al divino;
“metempsicosi”, ovvero la credenza nella
reincarnazione, nella trasmigrazione in altri corpi,
secondo un “ciclo, una ruota delle nascite”, che sarà
possibile interrompere, per riapprodare agli dèi, solo
purificando l’anima, ovvero astenendosi da ogni
rapporto e legame con il corpo (ascetismo, rinuncia a
carne animale, ma anche ai vegetali, riti purificatori ed
educazione alla musica, è la cosiddetta “vita orfica”).
Nell’orfismo pertanto troviamo uno dei paralleli più importanti,
anche ai fini del nostro discorso, che attesta come nella storia
delle dottrine esoteriche la medesima conoscenza venga
tramandata da un’epoca di cultura “dominante” a quella
successiva, affinché nulla vada disperso, sebbene continui
trasmutato a comunicare la verità di cui è portatrice.
Misteri Ctonî
I Misteri Ctonî, come già detto, sono quelli che hanno a che fare
con tutto ciò che è sottoterra, ma non sono in senso figurato con
l’Ade – il regno dei morti –, ma anche con il sottosuolo fisico
della Terra. I Culti che rappresentano al meglio questa tipologia
di misteri sono i Misteri Eleusini, che prendono il nome
dall’omonima città in cui, secondo il mito, furono istituiti dalla
dea Demetra.
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In essi, oltre a celebrare l’archetipo della ierogamia, le nozze
sacre (da ἱερὸς γάμος), si celebravano i misteri della fertilità
della Terra. Come la scienza moderna ha scoperto, questa
dipende dalla presenza o meno di sostanze che chimicamente
sono chiamate metalli, e che non sono solo l’oro, l’argento e così
via, ma anche e soprattutto ferro, sodio, magnesio e così via.23
Il mito omerico delle “due Dee” alla base di culti misterici di
Eleusi, narra che un giorno Kore, mentre raccoglieva fiori nella
pianura di Nyse (in prossimità dell’Etna), fu rapita da Ade, dio
degli Infero. La madre Demetra, accortasi della scomparsa, la
cercò disperatamente per nove giorni, durante i quali, tanto
erano il dolore e l’angoscia di non ritrovare la figlia, non si cibò
e soprattutto dimenticò di gustare l’ambrosia, il nettare degli dei
che conferiva loro l’immortalità. Solo Elios, mosso a
compassione dal dolore della madre, ebbe il coraggio di rivelarle
la tremenda verità: Kore era stata rapita da Ade con il benestare
del fratello Zeus, affinché la potesse avere in sposa.
Mossa da un’ira furibonda, Demetra abbandonò così
l’Olimpo e discese sulla terra, dove vagò sola e disperata verso
Eleusi, nelle sembianze di una vecchia. Giunta a Eleusi, si fermò
a sedere vicino al Pozzo delle Vergini, dove fu vista e interrogata
dalle figlie del re del luogo, Ceneo.
Ella rispose che il suo nome era Doso e che proveniva da
Creta, dove era sfuggita a un rapimento. Accettò quindi l’invito
di fare da nutrice dell’ultimo figlio della regina Metanira. Il mito
poi racconta che per i primi tempi stette a lungo seduta in
silenzio su di uno sgabello24 finché una serva riuscì a farla ridere
23 La conoscenza occulta della funzione dei metalli per il corpo umano è alla base della particolare medicina omeopatica di Rudolf Steiner. 24 allusione simbolica all’importanza rituale del silenzio
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con i suoi scherzi grossolani,25 rifiutando però il vino che le
veniva offerta dalla regina Metanira.
La dea non pertanto iniziò a occuparsi di Demofonte,
l’ultimo figlio del re e della regina, ma senza allattarlo, bensì
iniziò a spalmargli l’ambrosia sul corpo e a nasconderlo nelle
braci ardenti di notte. In seguito a questo “rituale”, il bambino
crescendo assomigliava sempre più ad un dio, finché una notte
la regina Metanira, a causa dell’insonnia, scoprì ciò che la dea
stava facendo al figlio e glielo strappò di mano. La dea, adirata,
si svela a Metanira e esclama: «Uomini ignoranti, insensati, che
non sapete vedere il vostro destino di ventura o di sventura!».
Detto questo, sparì. Demofonte non potrà più sfuggire al suo
destino mortale.
L’epilogo del mito narra che Demetra ritrova sua figlia Kore,
grazie all’intervento di Zeus e di alcuni contadini. Ade
acconsente a riconsegnare la figlia, ma con l’inganno introduce
nella bocca di Persefone un chicco di melagrana e la costringe
poi ad inghiottirlo; in tal modo la legherà per sempre al regno
degli inferi ed ella sarà perciò costretta e ritornare ciclicamente,
per quattro mesi all’anno, presso il suo sposo Ade.
Demetra, ritrovata la figlia, acconsente a ritornare
nell’Olimpo e il mito narra poi che per la gioia e la gratitudine
verso chi l’ha aiutata in questa missione, la terra si ricopre di
vegetazione lussureggiante e fiori. Inoltre, prima di tornare, la
dea rivela i misteri di quanto accaduto agli uomini, che colmi di
gratitudine fonderanno i Misteri in suo onore a Eleusi.
***
25 (dal silenzio iniziatico all’euforia, l’unione dei miti apollinei con quelli dionisiaci dell’estasi
-
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In conclusione, da questa carrellata veloce sulle principali
tipologie di culti misterici dell’antica Grecia, che non vuole
naturalmente essere definitiva né esaustiva, possiamo trarre
almeno una considerazione: la cultura Greca, per quanto
portatrice di un impulso completamente nuovo – la filosofia –
ed avente a che fare con una facoltà umana fino ad allora mai
esplorata appieno – il pensiero razionale – è stata in grado di
assommare le grandi verità esoteriche tramandatele da tutte le
culture precedenti, comprese quelle qui non considerate come
la cultura babilonese, quella indo-iranica e l’indiana antica.
Per ragioni che potranno essere più chiare successivamente,
il compito di questa epoca di cultura, a differenza delle altre, fu
proprio quello di gettare le basi di qualcosa di nuovo per
l’uomo, che non procedesse nel solco delle tradizioni ataviche
precedenti. Questo fu proprio la filosofia.
Come si vedrà in seguito, questa attività preparatoria
esteriore, fu un unicum a cui corrisponde un evento storico
altrettanto unico, e cioè l’incarnazione del Cristo nel corpo
fisico di Gesù di Nazareth, avvenuta nel medesimo periodo
culturale che la tradizione chiama “greco-romano”.
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CONSIDERAZIONI ALLA LUCE
DELL’ANTROPOSOFIA
Perché partire dall’esoterismo egizio?
I motivi dell’inizio di questa indagine proprio dall’epoca di
cultura egizia, risiedono in una concezione dell’evoluzione che
appartiene alle più antiche tradizioni esoteriche, ed è riapparsa
in una nuova forma, resa accessibile all’uomo moderno prima
nella Teosofia, poi nell’Antroposofia di Rudolf Steiner.
Nel suo testo fondamentale “La Scienza Occulta”26, Rudolf
Steiner identifica (in accordo con la tradizione induista) un ciclo
principale di sette “incarnazioni planetarie”. Per ognuna di
queste si sviluppano sette cosiddette “razze radicali” (che non
hanno nulla a che vedere con le razze biologiche, ma riguardano
epoche evolutive dell’umanità); per ciascuna razza radicale si
svolgono poi sette periodi di cultura, che rappresentano le
epoche storiche in cui una determinata civiltà ha avuto o avrà in
un certo senso il ruolo di “guida” spirituale e materiale
dell’evoluzione dell’umanità intera.
26 Rudolf Steiner, La Scienza Occulta nelle sue linee generali, GA 13, Editrice Antroposofica, Milano 1998.
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Le incarnazione planetarie sono in totale sette, e sono
chiamate con i nomi dei pianeti dell’astrologia classica:
1. Antico Saturno
2. Antico Sole
3. Antica Luna
4. Terra
5. Futuro Giove
6. Futuro Venere
7. Futuro Vulcano
Con esse non vanno intesi i pianeti fisici che occupano uno
spazio nell’attuale sistema solare; i nomi usati stanno a
rappresentare delle particolari condizioni evolutive che il nostro
pianeta ha attraversato, che tutti i miti hanno raccontato in
forme analoghe, dai miti cosmogonici norreni a quelli greci.27 In
accordo con la tradizione vedica, ad ogni incarnazione
planetaria segue un periodo di riposo, o riassorbimento,
chiamato pralaya. Attualmente il nostro pianeta sta
attraversando la quarta metamorfosi.
27 Per un parallelo con quanto esposto ne La Scienza Occulta, si veda ad esempio il mito “delle cinque età” di Esiodo in Le opere e i giorni.
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Fig. 4 – Disegno di Rudolf Steiner delle prime quattro incarnazioni
planetarie
Ogni incarnazione planetaria, a sua volta, si sviluppa secondo
il ritmo del numero sette, e può pertanto essere suddivisa in
periodi che la Scienza Occulta chiama razze radicali.
Considerando solo l’attuale incarnazione planetaria, chiamata
volgarmente Terra, ma che la scienza esoterica chiama invece
Marte –Mercurio), le sette razze radicali già compiutesi e che si
compieranno sono:
1. Polare
2. Iperborea
3. Lemurica
4. Atlantica
5. Ariana
6. Sesta
7. Settima
Attualmente ci troviamo nella V razza radicale, detta Post-
Atlantica.
Entro ogni razza radicale, poi, si svolgono sette epoche di
cultura. Per quanto riguarda la nostra attuale razza Ariana, le
epoche di cultura sono:
1. Paleo-Indiana: Età del Cancro (7.227–5.067 a.C.)
2. Paleo-Persiana: Età dei Gemelli (5.067–2.907 a.C.)
3. Egizio-Caldaica: Età del Toro (2.907–747 a.C.)
4. Greco-Romana: Età dell’Ariete (747 a.C.–1.413 d.C.)
(alla sua metà si ha l’incarnazione di Cristo e tre anni dopo, il
Mistero del Golgota)
5. Ariana: Età dei Pesci (1.413–3.573 d.C.)
6. Russo-Slava: Età dell’Aquario (3.573–5.733 d.C.)
7. Settima: Età del Capricorno (5.733–7.893 d.C.)
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Il diagramma semplificato di insieme di come si svolge il
flusso evolutivo secondo il ritmo settenario, è quindi il seguente:
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Fig. 5 – Diagramma di insieme dell’evoluzione occulta
Una caratteristica di questo ritmo settenario, che è propria di
ciascuno dei periodi descritti, è che ognuna delle prime tre
epoche è in relazione con la corrispettiva delle ultima tre, come
è espresso mirabilmente nel simbolo della menorah, in cui il
primo braccio è in relazione con il settimo, il secondo con il
sesto e il terzo con il quinto e viceversa.
Il quarto periodo invece è il braccio centrale, il quale non è
in relazione di collegamento con nessuno dei precedenti o dei
successori, e rappresenta pertanto un unicum, quello stesso a
cui si è accennato in chiusura del capitolo precedente per
l’epoca di cultura greco-romana.
Fig. 6 – Le sette epoche di cultura post-atlantiche
SET
TIM
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ERIO
DO
SEST
O P
ERIO
DO
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PER
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O
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Se infatti disponiamo sui bracci della menorah i periodi di
cultura entro cui si è sviluppata e si sta sviluppando l’attuale
razza radicale, appaiono ancora più evidenti due fatti: che
l’epoca di cultura greco-romana sia stato un “perno” attorno a
cui l’umanità ha compiuto una svolta epocale (l’incarnazione di
Cristo e il conseguente Mistero del Golgota); che l’attuale epoca
di cultura, la quinta, sia in relazione con quella egizio-caldaica,
ossia la terza, e viceversa.
Quest’ultimo fatto, questa corrispondenza tra epoca
presente ed antico Egitto, va inteso nel senso generale della
legge occulta dell’evoluzione, nota fin dall’antichità, secondo la
quale la “relazione” significata dai bracci della menorah consiste
in una ripetizione a un “livello di coscienza” superiore di quanto
avvenuto nella precedente.
Considerando quanto fu conquistato, nel bene e nel male,
dall’antichissima e saggissima cultura egizia, in quest’epoca
l’umanità è chiamata a ripeterlo con uno sguardo della coscienza
più ampio e, soprattutto, alla luce di quanto avvenuto
nell’epoca-perno greco-romana, in cui si è incarnato il Cristo,
che ha portato agli uomini una coscienza nuova e un
comandamento nuovo. Nell’antico Egitto, con il mito di Osiride
(Sole), che muore e risorge, non si voleva forse indicare all’uomo
quale sarebbe stato il suo cammino evolutivo futuro, con la
venuta del Cristo-Sole in terra (si pensi alla pala di Isenheim del
Grünewald) che – primo uomo nella storia – muore e risorge
veramente?
Ma non è solo il processo di osirizzazione ciò a cui ogni uomo
è chiamato, ma anche a prestare attenzione a ciò che fu posto
con la sua mummificazione, la prima in assoluto della storia, ci
dice il mito. Secondo le comunicazioni di Rudolf Steiner, infatti,
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con tale processo furono gettati i semi in quell’epoca di ciò che
poi, nell’epoca con cui essa è in relazione, cioè la nostra, si
sarebbe manifestato come il più cieco materialismo.
È superfluo notare come in questo inizio del terzo millennio
tutte le azioni dell’uomo, nella sfera della libertà, della comunità
e della solidarietà (leggi libertà, uguaglianza e fratellanza o
anche cultura, politica ed economia) siano state risucchiate
gravitazionalmente nel buco nero dell’economia, in un processo
che un autore contemporaneo definisce slittamento laterale
degenerativo.28
Ciò che l’Umanità è chiamata pertanto a ripetere è la via del
“diventare Osiride”, attraverso la trasmutazione del Ka in He-
Ka, in un contesto non più individuale o ristretto e isolato come
quello delle scuole misteriche antiche, ma anche e soprattutto a
livello sociale, nella comunità in cui ciascuno vive, con gli
uomini e donne che ha al proprio fianco. Un messaggio,
dirompente per l’epoca ma di lungo respiro, che il Cristo rese
accessibile ad ogni uomo da lì a venire, nel quarto periodo di
cultura greco-romano.
28 Cfr. Andrea Di Furia, Sudditi e schiavi… consapevoli?, Ed. CambiaMenti, Bologna 2010.
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RINGRAZIAMENTI
Questo mio primo lavoro scritto ha origini molto lontane nel
tempo, ragione per cui dovrei elencare molte persone, alcune
delle quali non fanno più parte del mio presente per diversi
motivi.
A tutte loro va un pensiero di gratitudine costante.
Alcune persone dell’oggi invece, voglio ringraziare
esplicitamente, e con loro voglio condividere i meriti, se ve ne
sono, di questa piccola opera: Roberto, mio maestro e medico;
Fiorella, mia moglie e anima gemella.
L’Autore
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