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Storia di copertina
CASTELBASSOPAESAGGI E DETTAGLI DI UNBORGO INCANTATO
èabruzzoèappennino
ProtagonistiSTORIA DI ASSUNTA, L’ARCHEOLOGA CHEFILA LA LANA
Luoghi dell’animaSANTA MARIA IN VALLE POLCRANETA
Un concorso per nostri lettori: racconta e fotografa l’Appennino
rivista trimestraledell’appennino abruzzesespedizione in abbonamento postale
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Direttore ResponsabileAntonio Di Fonso
RedazioneMassimo ColangeloLuca Del MonacoRiziero Zaccagnini
Segreteria di redazioneValerio Zinni
Progetto EditorialeMassimo Colangelo
Ufficio StampaStrada Statale 17, 1Sulmona 67039 (AQ)c/o Sviluppo Italiatel/fax 0864.2508310
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Progetto graficoZOEDESIGN • Andrea Padovani
FotografiaLuca Del Monaco
Hanno collaboratoMassimo DattiloItalia GualtieriMassimo MaioranoTommaso PaoliniGiovanni PaoliniPiero SavaresiAngela StanisciGiuliana Susi
Comunità Montana Peligna
Iniziativa comunitaria LEADER PLUS PSL e GAL ABRUZZO ITALICOREGIONE ABRUZZO, Osservatorio Regionale della Montagna Abruzzese
numero 16 anno 2012Registrazione Tribunale di Sulmonan. 3 del 13-12-2006
REGIONE
ABRUZZO
Iniziativa editoriale
Comunità Montana AltosangroAltipiano delle Cinque Miglia
L’EDITORIALESTORIA DICOPERTINACASTELBASSOPAESAGGI E DETTAGLI DI UN BORGOINCANTATO
I PROTAGONISTISTORIA DI ASSUNTAL’ARCHEOLOGA CHE FILA LA LANA
I LUOGHI DELL’ANIMADOVE L’ORIENTE È VICINOMAGIA E MISTERO DI SANTA MARIA INVALLE POLCRANETA
SCENARICOME CENTO PICCOLE CAPITALI. UN CONVEGNOPER L’APPENNINOUN DISEGNO DI LEGGE E MOLTEPROPOSTE PER LO SVILUPPODELLA MONTAGNA
PERCORSILE REGINE DI SCANNO
PERCORSIA VOLO D’ANGELO NELLAVALLE DEL SAGITTARIO
ORMALA MAJELLA SENTINELLADEL CLIMA
PRIMO PIANOIL SENTIERO DELLALIBERTÀ: LA STORIA INCAMMINOPROGETTO “PECUNIA”. FIBRE NATURALI PER ILMERCATO INTER-NAZIONALELA FESTA DEI SERPARI ACOCULLO IL 1 MAGGIOA PESCOCOSTANZO ILBOSCO È UN’OPERAD’ARTE
COLORI E SAPORIIL FORMAGGIOSTORIA DI UN PRODUTTOREDI MONTAGNA
SPORT E NATURAIL “GIRO” DI PASSOSAN LEONARDOIN BICI TRA CAMPI DI GENZIANA EACQUE SORGIVE
PIANO DI PEZZAUN’ESCURSIONE DAL SAPOREDI AVVENTURA NEL PARCOSIRENTE VELINO
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Fondazione Malvina Menegaz 7Convento 8
Rosciolo e l’anziana gioventù 16
Le regine di Scanno 21
Lo scaffale 24
Il Parco Sirente Velino 31
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rivista trimestrale dell’appennino abruzzesespedizione in abbonamento postale
www.abruzzoeappennino.com
Sviluppo sul webFederico Bonasia
stampa PUBLISH pre&stampaSambuceto (CH)
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I nostri lettori diventano protagonisti.Una iniziativa destinata a coinvolgeresempre di più il pubblico degli affezio-
nati di “Abruzzoèappennino”, per una più stretta collaborazione tra chi scrive e fotografa larivista e chi la legge. Una integrazione auspicata che diventa realtà, perché quelli che guarda-no e sfogliano le pagine, cartacee e virtuali, della rivista e del sito hann la stessa attenzione ecuriosità di chi ha animato la nostra avventura editoriale. Abbiamo deciso così di promuove-re il concorso “Raccontare l’Appennino. Parole e immagini”. Il soggetto da descrivere e foto-grafare sarà la montagna abruzzese, l’Appennino in tutte le sue sfaccettature e interpretazio-ni. Attraverso un racconto o scattando una fotografia, i lettori potranno rappresentare il loroAppennino.a le possibilità di sviluppare quella traccia saranno molteplici e varie e affidate allafantasia di ciascuno dei partecipanti. L’Appennino potrà essere un borgo tra i monti, un pae-saggio alle prime luci dell’alba o del tramonto, un viandante – come si diceva una volta – chepercorre un sentiero, un ciclista che si arrampica su una strada di montagna, o un pastore chesvetta su un colle e guarda il fondo di una vallata. Saranno i lettori a trovare le parole giustee le immagini adatte per raccontarlo. Le migliori foto e i testi più interessanti saranno pubbli-cati nei prossimi numeri di “Abruzzoèappennino” e sul sito della rivista. A proposito del sito,sarà on line da oggi una nuova versione più ricca di notizie, aggiornamenti e rubriche, in unaveste grafica rinnovata e ancora più intrigante. L’indirizzo è sempre quello: www.abruzzoeap-pennino.com. Nel sito troverete anche il dettaglio completo del bando di concorso e le moda-lità di partecipazione. Buona lettura. E buon Appennino.
45L’EDITORIALE
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Prima di tutto si arriva a Castellalto, su quelloche chiamano il balcone d’Abruzzo. Affacciatidal parapetto guardiamo il paesaggio, losguardo si distende su un panorama che corredalle montagne fino al mare. È da qui che sicoglie il senso di questo breve viaggio sul ver-sante sinistro del Vomano, proprio tra gli ulive-ti secolari e i borghi costruiti con le pietre delfiume arriva la spiegazione, la chiave d’accessoal genius loci, allo spiritello che regna sulle col-line. Bisogna osservare dall’alto il posto checerchiamo, disegnare il percorso da seguireprima con la mente e poi con lo sguardo, asse-condare la geografia generale, il campo lungoe soltanto alla fine soffermarsi sui dettagli,intuire le sfumature, indugiare sulla cura deiparticolari: l’arco di un portale, il rosso di ungeranio sulla pietra grigia, la statua di unainstallazione di arte moderna incavata nellarocca di un bastione medievale. Sono i ritmiobbligati che devono accompagnare il viaggia-tore alle prese con i territori di confine, quellicompresi tra la montagna e il mare, dove siinsediano i borghi medievali di questa partedella provincia teramana. Laggiù sullo sfondo ilGran Sasso, in basso vicinissime le colline mor-bide che degradano verso la pianura dovecorre la superstrada per Teramo. La giornataprimaverile anche se a tratti nuvolosa ci favori-sce, la foschia è diafana, non nasconde masfuma il paesaggio. Dall’antico Castro Veteresuperiore di Castellalto riscendiamo lambendoper un breve tratto le mura della fortezzaormai cancellata dal tempo, divenute oggi fon-damenta di case costruite sulla loro possanza.Il balcone d’Abruzzo che ci lasciamo alle spalleha un nome importante, si chiama Belvedere
Sandro Pertini. La scritta – Presidente e parti-giano – rivela rispetto civico e affetto popolare. Dopo aver chiesto indicazioni, ci dirigiamoverso Castelbasso, la frazione di Castellalto, ilborgo incantato, conosciuto anche per un festi-val di grande fama e popolarità che si organiz-za ogni estate. All’altezza del bivio prima diimmetterci nel centro di Castelbasso la nostracuriosità si sofferma su una casa di terra, esem-pio intatto di un’antica tecnica di costruzione. Lasciamo la macchina e proseguiamo a piedilungo via San Martino. Le stradine sono stret-te, la pietra delle case e delle mura è quellacaratteristica dei mattoni e delle pozzolane difiume: poche persone in giro, il silenzio è inter-rotto solo da improvvise incursioni di gatti chebalzano rapidi come felpati signori dei vicoli.Arriviamo davanti a palazzo Clemente dove èstata allestita una mostra intitolata “Attraversol’arte del 900 italiano. Pop art, Arte povera etendenze del Contemporaneo”. La giovaneaddetta ci guida nelle sale dell’esposizione,«una selezione di capolavori rappresentatividell’arte italiana dagli anni 60 alle tendenze piùattuali». Le opere appartengono a una colle-zione privata “il cui illuminato artefice in oltretrent’anni di ricerca ha messo insieme opered’arte fondamentali”, realizzando una speciedi “museo ideale delle arti visive del XX seco-lo”. Tra esse suscita la nostra curiosità la famo-sa “Merda d’artista” di Piero Manzoni, unadelle dissacrazioni divenute proverbiali nell’a-vanguardia italiana, ma ci sono anche lavori diBruno Munari e Enzo Cucchi, il maestro dellaTransavanguardia, fortunata corrente battez-zata dal critico Achille Bonito Oliva. L’ambienteè accogliente, in una delle sale la luce che
CASTELBASSOPAESAGGI E DETTAGLI DI UN BORGO INCANTATO
STORIA DICOPERTINAAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca Del Monaco ANTONIO DI FONSO
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Fondazione Malvina MenegazLa mostra “Attraverso l’arte del 900 italiano”dedicata alla Pop art all’Arte povera e alle tenden-ze del contemporaneo è un progetto dellaFondazione ed è stato realizzato in collaborazionecon l’Associazione culturale Viaindustriae diFoligno. Nell’esposizione sono presenti i principalimovimenti e le tendenze più significative dell’artedell’avanguardia della seconda metà delNovecento, in una scansione cronologica che vada Mimmo Rotella e Piero Manzoni fino all’ultimodecennio degli anni 80. A corredo della mostrasono stati anche organizzati percorsi educativi,laboratori per le scuole di ogni ordine e grado. Lamostra, inaugurata il 17 marzo, resterà apertafino al 6 maggio. C’è ancora qualche giorno ditempo per visitarla, altrimenti sarà possibile richie-dere il catalogo, intitolato uno, du2, tr3… tocca ate. Per informazioni e contatti: 0861. 508000;[email protected]
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penetra dalla vetrata disegna arabeschi e giochi dicolori che si riflettono sulle teche. Usciamo dalpalazzo e riprendiamo il cammino nei vicoli medie-vali, sorpresi di aver scoperto una mostra di autoricontemporanei e d’avanguardia nel cuore di unborgo antico, ma è incertezza di un attimo, rifles-so condizionato di pigrizie mentali, perché propriosugli opposti e sui contrasti Castelbasso – e moltidei nostri paesi appenninici – hanno costruito laloro identità, rinnovandosi nel tempo senza perde-re l’anima. Arriviamo alla chiesa di San Pietro eAndrea, sostiamo davanti al portale dove spiccanodue piccoli piccoli leoni di pietra. Dalla stradinachiamata via del Forno, compaiono tre bikers cherisalgono leggeri, pedalando in scioltezza il lororapporto di passisti abituati alla fatica della strada.Sono turisti, stanno girando l’Abruzzo in bicicletta,hanno l’accento tedesco, guardano le pietre deivicoli, scrutano il portale della chiesa, si fermanoun attimo, procedono oltre. Nella piazzetta Ailini un pino troneggia, intornole case chiudono in cornice il raccolto ambientedi vita quotidiana, da uno scorcio si intravede il
piccolo campanile. Scendiamo i gradoni dellastradina per giungere in via San Pietro e Andrea,dove una iscrizione su una facciata di una casadichiara l’anno di gloria 1549. A sinistra prose-guiamo verso il palazzo De Santis che accogliedurante il Festival incontri convegni e spettacoli. Idue grandi riflettori puntati sulla facciata sonospenti, ma lasciano intendere l’effetto spettacola-re e inondante che devono avere sull’edificio,nelle ore notturne e nelle circostanze mondane.Una installazione residuale, due statue neoclassi-che in simmetrica distanza tra loro, spiccanoaccanto alle mura tardo medievali, accanto a unafinestra turrita che spalanca improvvise vedute. Ilpaesaggio torna ad aprirsi, la prospettiva si rial-larga, la fuga dello sguardo che cerca di nuovol’orizzonte ci consente di ritrovare le coordinategenerali, la veduta d’insieme. Dopo aver indugia-to nei dettagli del borgo antico di Castelbasso,adesso la linea delle nuvole basse nel mattinoormai inoltrato, le montagne lontane e le collineche degradano verso il mare ci ricordano che ètempo di riprendere il viaggio.
ConventoUna piccola sosta lungo la strada in un’oasi diaffinità spirituale e di pace, tra gli ulivi e i segnidella storia. A pochi chilometri da Castelbasso,c’è la frazione di Mosciano che prende il nomedal convento degli Zoccolanti con annessa lachiesa degli Angeli. All’ingresso, prima di visita-re il chiostro con gli affreschi, leggete le targhe
in bella mostra che ricordano il passaggio deipapi, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, ilquale ha insignito nel 2009 la chiesa “del vin-colo di spiritualità con la Basilica di San Pietrodi Roma”. Nello stesso anno il convento haricevuto anche l’indulgenza plenaria, in questomodo una volta all’anno “il pellegrino puòemendare i suoi peccati” in questi luoghi di
raccoglimento. Un’altra targa, datata 1994 eposta sulla facciata laterale della chiesa, ricor-da invece le vittime dei bombardamenti dell’ul-tima guerra e di come tra queste mura “lapopolazione abbia ricevuto accoglienza e pro-tezione”. Spiritualità, memoria civile e senso dipace rappresentano le ragioni per fare unapausa di ristoro a Convento.
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STORIA DI ASSUNTAL’ARCHEOLOGA CHE FILA LA LANAI PROTAGONISTIAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLUCA DEL MONACO GIULIANA SUSI
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1011A un lato il telaio e tutto intorno, nella stanza, un mondo fatto dimoderne creazioni artigianali che raccontano di talenti e territori,di passioni e folklori, tra passato e presente, in cui è la lana a fareda regina. Sciarpe, borse, cuscini, vestiti, raffinato tovagliato dilino, bellissime coperte fedeli a trame della tradizione abruzzese.Come piccole opere d’arte. Con gli strumenti di ieri.
È qui che lavora Assunta Perilli, quarantatreen-ne di Campotosto, paesino aquilano stretto trale montagne che incastonano quel lago a cui ilcomune presta il nome. È la trua (spoletta in cuisi posiziona il filo) l’interprete più fedele dellasua creatività, dei suoi stati d’animo, della suacultura e dei suoi studi. «Muta la spola chepassa e ripassa» scriveva Pascoli, ma i lavoriparlano di Assunta, raccontano la sua storia ele sue giornate passate a dar vita alle tele, allume di una piccola lampadina che raccogliel’atmosfera e agevola la concentrazione tra licci(che determinano il disegno della tela) e pedac-chie (rotelle), cavicchia (arnese utile a girare),pedali e fili di una lana naturale rigorosamentefornita da pastori locali, al costo di cento euroal chilo.
Una brillante e vulcanica tessitrice, che ha tra-sformato il suo lavoro da arido mezzo disopravvivenza a fonte di soddisfazione, trasmi-grando in esso tutto il suo entusiasmo e ilbagaglio culturale acquisito negli anni post uni-versitari, quando era archeologa. Non unadonna d’altri tempi, come ci si potrebbe aspet-tare. Undici anni fa arrivò la svolta, con il ritro-vamento di un reperto, non negli scavi dellenecropoli di Fossa e Bazzano, a cui stava lavo-rando con in tasca una laurea in Lettere conse-guita alla D’Annunzio, ma nella cantina di casasua. Un telaio dei primi del 900 appartenente asua nonna, un oggetto prezioso che le ha per-messo di tessere i fili della sua vita rendendolaradiosa con umile mestiere che nessuno fa più,abitando in un paesino a 1400 metri di quota,
dai paesaggi mozzafiato, ma dalla viabilitàimpervia. Caparbia resistette ai continui tentati-vi di scoraggiamento da parte delle sue mae-stre, le «nonne» del paese gelose detentrici deisegreti dell’antica arte. Osservando, imbastendoe sfasciando, tra lacrime e tenacia, rubando eassimilandone metodi e memoria. «È stato unostimolo questa dura gavetta durata due anni,senza soldi e con le “nonne” che mi mettevanocontinuamente alla prova» afferma Assunta, unfiume in piena di aneddoti e racconti, con gliocchi che le brillano, mentre tenta di spiegarequanto sia legata a Vincenza, di 90 anni, checontinua ancora oggi ad aiutarla con il telaio, ea Dea Maria, centenaria, che non esce più dicasa, ma è sempre pronta a dare un consiglio.Speranzose, come tipico di nonne alla finestra,
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che quel telaio porti Ulisse alla suaPenelope per vederla maritata. La prima tela, un lungo rotolo di strofi-naccio, divenuto simbolo della sua botte-ga insieme alla conocchia (nel teramanoveniva appesa fuori la porta quandonasceva una bambina come buon augu-rio), poi la sua prima mostra e fu subitol’entusiasmo a prendere il sopravvento,intrecciando tradizione e innovazione, suifili di un antico mondo artigianale, fattodi pazienza e creatività, riuscendo adaccontentare la sua variegata clientela.Non si tratta solo di filare la lana e ven-dere la merce. Meccanismo troppo brulloper una come Assunta che rende vivo ilsuo lavoro, legando al saper fare lo stu-dio e la passione. Dopo l’esperienzacome consulente al museo di Rieti, oggitiene lezioni a Bazzano a 15 donne tra i23 e i 70 anni, insegna «filatura» all’uni-versità La Sapienza di Roma, con uncorso di 25 ore compreso di laboratorioin archeologia sperimentale. Proprio dal-l’archeologia ha ereditato sete di cono-scenza e amore per la ricerca, ecco, dun-que, che su commissione della
Soprintendenza, affonda le mani nelpassato abruzzese, alla ricerca di unatecnica ormai scomparsa, viaggiando neipaesi come Scanno e Pietracamela, sulletracce di particolari tessuti che poi cata-loga con schedature. Come una linguaracconta la storia di un popolo, così iltessuto svela i mos maiorum di epocheremote, come il barakà, abito dall’orditodi cotone e trama di lana, uno spigatotinto con mallo di noce, che gli uominidel suo paese usavano indossare sola-mente nel giorno del matrimonio, per lafesta patronale e su letto di morte. Nonle piace parlare di reddito e guadagni,ma di gratificazione e soddisfazioni.”Èmia madre che mi aiuta a vendere”.Seleziona la clientela in base alla capa-cità di apprezzare il pregio dei manufat-ti, guardando, invece, con diffidenzaverso chi fa solo del marchio la qualitàsenza capirne il prodotto. Una creazionesempre nuova, mai uguale, nessunaripetizione, il tessuto prende forma eassorbe cultura e sapere, umori, pensie-ri, come una pagina di diario da cui, poi,fa fatica a separarsi. Libertà di spazio e
tempo. Dal pezzo più costoso, un’elegan-te tovaglia di lino (200 euro al metro), aquello più economico, lo strofinaccio50x50 (25 euro). Nel mezzo ci sono lesciarpe: dai 40 ai 200 euro. Ma Assuntapreferisce realizzare bisacce. Impiega daidieci ai trenta giorni circa per acconten-tare le diverse generazioni che la contat-tano attraverso il web o bussando allasua bottega, ordinando abiti da confezio-nare, come i molti turisti romani che d’e-state invadono il paese o come un distin-to compratore straniero, che, stregato dalsuo stile, le commissiona complementid’arredo per la sua casa. Semplice emodesta, ironica e schietta, non gradiscel’egocentrismo, temendo di finire nellacerchia di furbastri in cerca di gloria epubblicità, anche quando ci chiede dinon citare i personaggi famosi che ave-vamo scoperto nella lista dei suoi clienti.Entusiasmo contagioso quello diAssunta, che portiamo con noi mentrelasciamo Campotosto e percorriamo aritroso la strada a serpentina che costeg-gia il lago ghiacciato dalle larghe crepeche riflettono il tramonto.
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DOVE L’ORIENTE È VICINOMAGIA E MISTERO DI SANTA MARIA IN VALLE POLCRANETAI LUOGHI DELL’ANIMAAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca Del Monaco Riziero Zaccagnini
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Don Vincenzo ci aspetta al centro della piaz-
za di Rosciolo. Ottantanove anni e uno
sguardo luminoso sotto il cappello nero, ci
guida in auto lungo un breve tragitto, tra
querce e fazzoletti di terra arata, attraverso la stretta
valle Polcraneta fino ai piedi del monte Velino, a 1022
metri. Giungiamo alle spalle di un edificio in pietra
rozza che solo un’abside poligonale decorata distin-
gue dai casolari sparsi intorno. Di Santa Maria ci sor-
prende subito la facciata spoglia: una struttura a
“capanna”, immersa in un ambiente agreste e rurale,
lasciata per secoli all’abbandono, utilizzata, prima del
suo restauro, come riparo per gli armenti e così
immortalata nei diari di viaggiatori e scrittori stranieri
del secolo scorso. Don Vincenzo indugia qualche
minuto al centro del piazzale, poi ci indica il tetto: il
colpo d’occhio è stupefacente, le falde ripetono con
perfezione irreale le pendenze dei clivi del monte
retrostante. Una prima suggestione, accompagnata
dai particolari decorativi degli archetti ciechi dell’absi-
de e della bifora trilobata laterale, richiami di un’arte
che giunge da Est. Con la lunga chiave in ferro, don
Vincenzo ci invita a fissare gli occhi della Madonna
raffigurata nell’affresco quattrocentesco del timpano:
ovunque ci spostiamo all’interno del pronao, il suo
sguardo sembra seguirci. Quando, spingendo l’anti-
co portone, il parroco cita un vecchio studio su
Santa Maria e sussurra: “Qui l’oriente è vicino”, il
gioco delle suggestioni è completo. Neppure l’imma-
ginazione più fervida potrebbe lasciar sperare che
una piccola struttura, dall’esterno più simile a un
pagliaio che ad un tempio, racchiuda un vero e pro-
prio tesoro. In un istante ci ritroviamo immersi nel
mistero di questo luogo dell’anima, che non chiede
nessuno sforzo evocativo alla fantasia esoterica oggi
tanto in voga.
L’epigrafe, posta sul pilastro destro dell’arco del nar-
tece, accenna a un Berardo, conte dei Marsi, bene-
fattore della chiesa. Siamo a metà dell’XI secolo: i
conti di Celano avevano stretto un forte legame con il
monachesimo benedettino, e uno di loro raggiunse la
reggenza dell’abbazia di Montecassino, il centro cul-
turale dell’Occidente cristiano in strette relazioni con
l’Impero d’Oriente. Qui confluivano artisti da ogni
parte del Mediterraneo, e in questo intreccio di rap-
porti trova ragione quel mescolarsi di stili che rende
unica Santa Maria in valle Polcraneta.
Una seconda epigrafe sul pilastro sinistro del nartece
ci presenta “Nicolò”, “per le mani” del quale “quest’o-
pera è stata fatta”. Personaggio di cui ci resta solo il
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lascito artistico, nella struttura della chiese, nelle rudi-
mentali sculture abbozzate dei capitelli, nel sarcofago
posto nella navata destra dove nell’antichità erano le
sue spoglie e che, ai tempi del sequestro Moro, fu
profanato inspiegabilmente. Don Vincenzo non dice
oltre, ma da queste parti si narra di una parentela tra
un vecchio custode di Santa Maria e uno dei membri
della banda della Magliana. Nessuno sa cosa cer-
casse chi ruppe il sarcofago, e questa vicenda sem-
bra ormai dimenticata.
Poco di più sappiamo di Roberto e Nicodemo, la cui
scuola artistica attraversò l’Abruzzo intorno al 1100
per scomparire misteriosamente meno di un secolo
dopo. A Santa Maria incisero i loro nomi sullo splen-
dido ambone, capolavoro d’arte scultorea.
L’iscrizione ci è giunta monca, conservando il mistero
di questi due personaggi che seppero fondere ele-
menti orientali, bizantini e arabeggianti, con lo stile più
classico dell’epoca. Così, se sulla balaustra della
gradinata troviamo incisa la storia di Giona, nei bas-
sorilievi del parapetto i riferimenti figurativi lasciano più
spazio alle interpretazioni: un diacono che potrebbe
essere San Giovanni o Santo Stefano, un personag-
gio sul trono e una danzatrice (per alcuni Erode e
Salomè, per altri David che assiste alla danza sacra),
un uomo che lotta con una belva armato di bastone
( Sansone o David?). Scene e simboli comunque
della tradizione biblica, incorniciati in un ornato dal
gusto orientale. La scalinata dell’ambone è appog-
giata all’iconostasi, che nelle sculture dei plutei, nelle
splendide lavorazioni delle colonne e dei capitelli, nel-
l’unicità del coronamento ligneo giunto intatto fino a
noi, conferma il forte influsso della cultura bizantina e
accenna ad atmosfere di arte islamica. Ma, più di
ogni altro elemento, è il ciborio a far emergere in tutta
la sua forza evocativa i richiami all’arte orientale,
mutuati da quello stile iraniano che, come ci ricorda
don Vincenzo, influenzava gli artisti provenienti da
Bisanzio. Gli architravi tondi trilobati; l’intricato labirinto
dei bassorilievi in cui si intrecciano immagini zoomor-
fe e figure umane in abiti orientali o nude, contorte; le
decorazioni dei capitelli, con volti, braccia e gambe di
uomini in pose improbabili; il traforo che adorna la
cupola ottagonale: tutto concorre a destare stupore
e meraviglia per questo monumento che sembra
“rubato” a qualche tempio d’oriente.
Tra le tante raffigurazioni pittoriche, notiamo le due
crocifissioni: una in stile bizantino, che mette in
risalto la sovranità di Cristo e la serenità di un dio
sorridente anche nel dolore dell’ultimo sacrificio;
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l’altra, del trecento, in cui nel volto reclinato di
un Cristo piegato sulle ginocchia emerge
tutta la sofferenza umana su cui si è concen-
trata l’iconografia occidentale.
Ancora due affreschi, una probabile santa
Rosalia, figlia del conte Sinibaldo, e un san
Leonardo di Noblat, riconoscibile dalla cate-
na appesa al braccio destro, il cui culto è
stato introdotto a sud Italia proprio dai
Normanni, testimoniano di quell’intenso
scambio di relazioni costruito dai conti dei
Marsi. Ogni particolare in Santa Maria in val
Polcraneta sembra colorarsi di un richiamo,
un rinvio ad altre storie o a luoghi lontani. Ma
più dell’analisi di ogni singolo elemento artisti-
co, sapientemente raccontato da don
Vincenzo in un libro, è la visione d’insieme a
rendere palpabile quell’atmosfera magica che
si lascia cogliere solo oltre le parole, nel
silenzio che ci avvolge mentre camminiamo
lentamente tra le colonne, sfioriamo la pietra
fredda e dura dei capitelli, ci perdiamo nel
seguire con lo sguardo il perfetto ordito degli
arabeschi.
Un’atmosfera resa ancor più emozionante da
un sordo scampanellio proveniente dalla vec-
chia mulattiera, dal fischio dei pastori e dallo
schiocco dei primi zoccoli sul selciato, che
rompono il silenzio e ci invitano ad uscire
fuori, per l’ultima suggestione che questa
giornata ci riserva. Un gregge di pecore inva-
de il piazzale e il prato dinanzi la chiesa, per
abbeverarsi alla vasca sottostante prima di
continuare la salita verso i pascoli più in alto.
Il riflesso di un sole primaverile negli occhi del
giovane pastore venuto dall’Est è l’immagine
più vivida e struggente di una storia sempre
uguale di cui questo incantevole luogo si fa
da secoli testimone.
Scopriamo il paese attraverso gli sguardi e igesti di una coppia di anziani seduti al sole pri-maverile di una panchina, all’ingresso delborgo antico; nelle donne appoggiate al muroche scrutano “lo straniero”; negli avventori cheindugiano al bar. Rosciolo è la squillante voceal telefono della signora Costanza, spigliata“perpetua” ottantenne che vuole conoscere idettagli della nostra visita prima di metterci incontatto con il parroco. È il sorriso sincero didon Vincenzo che ci insegue in automobile perdonarci la foto ricordo della visita “segreta” delPapa. Uno spaccato di Abruzzo vero, sospeso su unavalle luminosa che un tempo era un lago, cir-condato da boschi e vette spoglie. Un borgoimmerso nella natura dove, oltre i resti dellemura di cinta, si innalzano possenti e fragili le
“case mura”, interrotte dalle enormi arcate cheuna volta erano le porte d’ingresso all’abitato.Sotto una di queste, troviamo la Locanda del-l’arco. Il locale è chiuso, ma la nostra perpetuaCostanza che ci ha guidato suona al campanel-lo di casa dei proprietari. In una scena d’altritempi la signora Angela, sigaretta tra le dita, sisporge dal balcone di un palazzo del ‘400.Così, in questo paese nascosto della Marsica,abbiamo la fortuna di incontrare anche la gen-tilezza vanto delle nostre genti. L’accento delnord della signora Angela e di suo figlio Luca,intento alle cucine, tradisce un passato da emi-granti e la sfida che affronta chi decide di tor-nare. Ci accolgono in un ambiente confortevo-le, per un pranzo veloce ma gustoso, accom-pagnato dai loro racconti ogni tanto interrottidai paesani che passano di qui per un saluto.
Basterebbero le piccole storie che ascoltiamo,le escursioni notturne che già ricordava a inizi‘900 Anne MacDonell nel suo Viaggio inAbruzzo, i percorsi sul Velino, la tradizione dellunedì dell’Angelo, la corsa delle rotelle di for-maggio; basterebbe promuovere l’unicità di unluogo come Santa Maria in Valle Polcraneta ogli affreschi sconosciuti della splendida chiesaparrocchiale, per far vincere ad Angela e a suofiglio la loro scommessa.Il coro che proviene dalla parrocchia ci ricordal’ora tarda e ci lascia immaginare la presenza dinumerosi fedeli. Invece si rivela essere il cantodi poche anziane donne custodi di una giovi-nezza dello spirito che, forse, solo in questiangoli appartati di mondo si riesce a conserva-re negli anni. (R. Z.)
Rosciolo e l’anziana gioventù
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1617«...COME CENTO PICCOLECAPITALI DEI MONTI»UN CONVEGNO PER L’APPENNINOUn disegno di legge e molte proposteper lo sviluppo della montagna
SCENARIAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca Del Monaco Giuliana Susi
Parte dalla splendida Abbazia celestiniana a Sulmona undisegno di legge per lo sviluppo del territorio montanoabruzzese teso anche a frenare lo spopolamento delle zonedi montagna, con una cabina di regia che eviti la dispersionedelle risorse. È quanto emerso nell’interessante e corposoconvegno che si è svolto lo scorso 2 marzo all’internodell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone. Non un sempliceincontro fatto di chiacchiere, ma un intelligente confrontosui problemi veri tra chi opera sul campo, con le proprieesperienze e proposte, e le istituzioni.
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Apertura e chiusura del mee-ting intitolato “...come centopiccole capitali dei monti”sono state affidate all’asses-
sore regionale Carlo Masci. Nel mezzo:talenti e territori, testimoni e protagoni-sti delle tante piccole realtàdell’Abruzzo interno per una prospetti-va di rilancio dell’Appennino abruzze-se. “La Regione riconosce il sistemamontagna quale risorsa di preminenteinteresse per lo sviluppo socio-econo-mico nell’ambito delle priorità generalidella programmazione regionale nelrispetto dei principi di sostenibilità” haaffermato Masci, soffermandosi adascoltare con interesse e partecipazio-ne, annotando anche casi e idee diimprenditori del tursimo, amministratorie associazioni. L’assessore ha eviden-ziato l’importanza per l’Abruzzo mon-tano dei campionati mondiali di scijunior che si stavano svolgendo pro-prio in quella settimana a Roccaraso,in una zona di montagna di grandesviluppo turistico conosciuta in tutto ilmondo. “C’è però anche un altroAbruzzo montano” ha detto Masci “piùmarginale, più lento che si occupa dicultura, tradizione e storia, di verde edi enogastronomia ed è quello chevogliamo esaltare e mettere in eviden-za perché c’è un turismo di nicchia ilquale richiede quelle caratteristicheuniche che l’Abruzzo ha”. Secondo
l’assessore “il convegno serve ancheper centrare alcuni obiettivi: parlaredella nuova legge che farà in modoche si stabiliscano priorità chiare suldiscorso montano, per far sì che lerisorse vengano allocate in manierapuntuale e soprattutto con la collabo-razione tra i vari enti locali, protagonistidel territorio. C’è un’attenzione nuovaper queste zone” spiega l’assessore“Sono quelle dov’è nato l’Abruzzo.Flaiano parlava di due grandi cattedra-li, il Gran Sasso e la Maiella, le nostremontagne. Vogliamo esaltarle e voglia-mo porre in risalto le caratteristicheper produrre economia e ricchezza. Ilproblema non è che non arrivano ifondi, perché arrivano attraverso il set-tore dell’agricoltura, della formazione edello sviluppo economico, ma non esi-ste un’unica cabina di regia che per-metta di stabilire priorità e interessi sulterritorio montano. Dobbiamo far inmodo, quindi, che ci sia un’unica voceche parli di montagna e che abbiacome protagonisti i territori, i piccolicomuni, queste «cento piccole capita-li» che possano stabilire insieme lepriorità e necessità della montagnaaffinché risorse che ci sono arrivino inmaniera puntuale per raggiungere que-gli obiettivi”. A coordinare i lavori il pre-sidente della Comunità MontanaPeligna, Antonio Carrara, il quale haripercorso le tappe del progetto
“AbruzzoèAppennino”, la rivista trime-strale e il nuovo sito web, nati per rea-lizzare un sistema informativo dellezone montane “non localistico, ma piùampio”, ha detto in incipit Carrara allapresenza di sindaci, amministratoripubblici dei comuni montani e delvicepresidente del Consiglio regionale,Giovanni D’Amico. “Un progetto di svi-luppo non in senso classico, ma dicomunicazione, condiviso e partecipa-to con la Regione” ha precisato il pre-sidente della Comunità Montana, par-lando del periodico e del sito internetricco di informazioni, racconti, archivifotografici, rubriche dedicate alla natu-ra, allo sport, alle tradizioni, all’enoga-stronomia, agli eventi tipici, istruzioniper accedere al cuore dell’Abruzzo egoderlo appieno, notizie che lo rac-contano attraverso lo strumento dellacomunicazione, in linea con le trasmis-sioni targate Rete 8 “Talenti e Territori”e “Territori e Tentazioni” (entrambe inonda ogni martedi sera dalle 20.30),riportando esperienze significative eimportanti eccellenze figlie di questaterra. L’idea è quella di rimettere alcentro dell’attenzione le aree montane.“Non a caso abbiamo scelto l’Abbaziacome location” ha precisato Carrara“un luogo significativo di cui ci siamooccupati più volte in quanto risorsaincredibile ancora poco utilizzata”.Secondo quanto annunciato dall’as-
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sessore Masci “a breve la Giuntaregionale licenzierà, quindi, un disegnodi riordino della governance della mon-tagna che sarà presentata al Consiglioregionale per la discussione e appro-vazione. I punti cardini: sviluppo soste-nibile della montagna e una precisa especifica attività di programmazionecon il compito principale di migliorarela qualità della vita al fine di frenare ilfenomeno dello spopolamento. Pianoregionale della montagna, quindi, conlo sguardo verso la Consulta ad hoc,composta dai rappresentanti dei terri-tori, a cui dovranno essere poste all’at-tenzione tutte le necessità e le esigen-ze che arrivano proprio dai paesi mon-tani. La nuova legge, inoltre dovràcomunque rafforzare la pratica dell’as-sociazionismo dei piccoli comuni, inossequio anche ad una tendenza dellegislatore nazionale, e favorire l’aggre-gazione sociale”. Diverse le esperienzeesposte durante il convegno. Dal pro-getto pilota finalizzato alla valorizzazio-ne del territorio montano“Reconnection Maja” dell’architettoAlessandro Sonsini a quella espostada Daniele Kihlgren, Sexantio Albergodiffuso, il quale ha rimarcato, nel suodiscorso, la necessità delle zone inter-ne di connotarsi per le diverse e fortientità. Si sono susseguiti gli interventidi Manuela Cozzi, Bioagriturismo LaPorta dei Parchi, a favore di una siner-
gia tra pubblico e privato, al fine dicreare un circuito proponibile, “perchèisolati non si è nessuno”. Per SusannaSalvati, Rifugio della Rocca, bisogne-rebbe inserire nella redazione dellalegge una consulta della montagnaaperta a tutti gli attori dello sviluppomontano. Marco Manilla, Cia TurismoVerde, ha sottolineato la scarsa com-prensione di politici e burocrati dei realiproblemi di chi opera sul territorio, eha lanciato proposte come una sortadi borsa di studio per studenti chevivono nelle realtà montane, sulmodello delle regioni alpine, oppure larivalutazione della biodiversità econo-mica, con cui molti giovani stannoriscoprendo l’agricoltura reinventandoun lavoro e promuovendo il territorio.Secondo Domenico Pasetti, imprendi-tore azienda vitivinicola, nella nuovalegge dovrebbe essere inclusa unanuova ridefinizione del territorio intornoalle esigenze degli interessati, indivi-duando obiettivi precisi. In manieraprovocatoria ha poi affermato: “Nondateci soldi ma investite in servizi cheservono per lo sviluppo interno”.Porta, inoltre, la sua esperienza di sin-daco in un piccolo comune montanoIleana Schipani, primo cittadino diScontrone, evidenziando la situazionedei paesini interni con servizi scadentie spesso inesistenti, assenza di incen-tivi per evitare lo spopolamento dei
centri storici, proponendo, di contro,un ritorno alla montagna non nostalgi-co, ma moderno, facendo leva sull’in-novazione per il turismo e sulla culturaper l’occupazione. Elio Torlontano,Touring club italiano, dopo aver solle-vato il problema di chi legge il territoriosenza studiarlo, ha premuto sull’impor-tanza del paesaggio e dell’ambiente, incui incombe degrado, con capannonidismessi e zone di pregio abbandona-te, ricordando quando, ai tempi delGran tour, gli Abruzzi erano ancoraterra da scoprire. Tra gli interventianche quello di Nello Rapini, AbruzzoSviluppo, al quale è seguito il dibattitodove associazioni locali hanno preso laparola evidenziando criticità che osta-colano i giovani intenzionati ad avviareimprese. Comun denominatore tra gliospiti l’utilità di questo convegno,tanto da aver ringraziato l’assessoreper aver permesso un confrontocostruttivo coronato, infine, dal lavoroculinario firmato dagli studentidell’Istituto alberghiero di Roccaraso edalla visita guidata alla scoperta dellesuggestive e magnifiche bellezzearchitettoniche dell’Abbazia voluta daCelestino V.
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Èraro ormai incontrarle per ilpaese, sorprendersi ad ogni vico-lo per l’abito e le usanze cheincantarono i viaggiatori sin dal
tempo del Grand Tour. Ma le “antichedonne” di Scanno restano il simboloautentico, l’icona più riconosciuta diquesto lembo di montagna dove l’iden-tità e la memoria sono vive dimensioninon ancora trasmutate in bene da salva-re. Non sono più di qualche decina,dicono cinquanta. Le scorgi con un po’di fortuna quando la primavera riscaldala strada; le immagini lontane nella lorovecchiaia a ricordare il bosco, lo stazzo,la gioia della festa, protette nel bozzolo,ora più leggero, dell’antica vestitura. Lesole, le ultime. Fragili portatrici di una
preziosa unicità. Epigone di una consue-tudine antichissima che ha mosso studi efavole suggestive e in cui è racchiuso l’e-nigma di un luogo rimasto intatto nellasua più scoperta espressione. È meravi-glioso il costume di Scanno, fin dalnome della sua parte più famosa: “jucappellitte d’uore”, quella corona di setafilata d’oro e d’argento che conferivaalla sposa, insieme al panno sontuosodell’abito, l’immagine di una regina. Esplendido, ancora, per i grembiuli daicolori iridati, i merletti, i nastri lucenti trai capelli, le mille forme dei gioielli di fili-grana. E la foggia non meno solenne delvestire quotidiano, una ricchezza di lanetessute mirabilmente dalle stesse scan-nesi, che per quest’arte si resero famose
e innalzarono sulle altre il loro modo divestire. Ma non si pensi ad una pittore-sca stravaganza, quella che, in unaScanno quasi inviolata dallo sguardo del“forestiero”, faceva scrivere nel 1907 adAnne McDonnel: “ (…) non ho mai vistotante regine tutte insieme come in que-sto posto”. A Scanno il costume tradizio-nale non fu solo il riflesso di un’eccentri-ca fantasia femminile ma il segno di unsistema e di un tempo, quello eroico eprosperoso della pastorizia, in cui ladonna rappresentò il fondamento dellavita sociale. Montanara orgogliosa, fortecompagna, era questa che, nell’assenzaperenne dell’uomo transumante, mante-neva la saldezza e l’economia del focola-re. Lei che, narravano, badava alla casa e
LE REGINE DI SCANNOPERCORSIAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOMauro Vitale Italiana Gualtieri
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alla calza ma sapeva produrre e colorare stof-fe; che raccoglieva la legna per il lungo inver-no, che lavorava nei campi, guardava le greg-gi e, all’occorrenza, diventava muratore. Lei,soprattutto, che nutriva il cuore della suagente custodendo le antiche tradizioni.Quando l’epoca buona declinò, facendoconoscere ai pastori l’angoscia della perdita edi un futuro sconosciuto, fu ancora questadonna, allenata alla rinuncia e all’autosuffi-cienza, a farsi àncora di mariti e di figli trasci-nati dalla deriva di un mondo che tramontavae, più tardi, dall’emigrazione. E quel costume
che, da remote fantasmagorie di colori, viròproprio allora nel nero e nel verde cupo checonosciamo, accolse anch’esso nuove funzio-ni, diventando non più solo il simbolo di unpassato prestigioso ma anche il sigillo dell’i-dentità del paese, quasi a rappresentare ilriparo di una comunità attraversata dai millecontrasti del cambiamento. Singolari, quasiirreali, le donne di Scanno hanno accompa-gnato il tempo come sentinelle tenaci. La lorovicenda, che lentamente si conclude, non èsolo la storia di una meraviglia di stoffa ma unframmento di una cultura che ci appartiene.
LE REGINE DI SCANNO
Scanno e le sue donne vivono ogginelle foto di Cesidio Silla che da oltretrent’anni racconta il suo paese coneleganza e composta nostalgia. Delresto Scanno è uno dei luoghi diculto della Fotografia grazie soprat-tutto alle immagini di Henri Cartier-Bresson e Mario Giacomelli chehanno portato in tutto il mondo ilfascino di questo luogo unico, tra-sformandolo nel passaggio obbligatodi chiunque coltivi questa arte. Dal25 aprile al 6 maggio fotografi e cul-tori dell’obiettivo rinnovano questorito dandosi convegno per il 1°Concorso Fotografico Nazionale“Trofeo Scanno”. L’iniziativa, organiz-zata nell’ambito della VI° edizione deL’Appuntamento con la Tradizione-Vivi il Costume, nasce con l’intentodi aggregare quanti cercano nel sin-golare borgo montano una rispostaalle tematiche della fotografia.L’esposizione dei lavori sarà accom-pagnata da mostre ed eventi tra iquali la premiazione, sabato 5 mag-gio, e il corteo in costume tradiziona-le de Ju Catenacce che concluderà lamanifestazione.
www.costumediscanno.org
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A VOLO D’ANGELONELLA VALLE DELSAGITTARIOPERCORSIAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca del Monaco Massimo Dattilo
Raggiungere l’abitato di Anversa degli
Abruzzi e successivamente Castrovalva
significa già immergersi nella valle del
Sagittario, percorrendo la strada in auto
e iniziando ad apprezzare la singolarità
di questo posto, per poi goderne a
pieno, come un pittore paesaggista
dell’800, intrufolandosi a piedi sui vari
sentieri, rifocillandosi di prodotti tipici
nelle varie locande e pernottando per la
notte in un B & B, da dove sarà possibi-
le affacciarsi al mattino da una finestrella
a picco sulla valle.
Il percorso che descriviamo è costituito
da due sentieri: più in basso troviamo
quello naturalistico della valle del
Sagittario mentre nella parte superiore si
snoda il sentiero che porta a pizzo
Marcello. Al centro di questo spazio,
come in una proiezione immaginaria e
fantasiosa, è incastonato il borgo medie-
vale di Anversa degli Abruzzi, arroccato
sulle pareti verticali, affiancato più in alto
da Castrovalva, caratteristico nucleo di
case poggiato su di una cresta scosce-
sa.
Chi guarda per la prima volta questi
posti dal fondo della valle del Sagittario
pensa che siano irraggiungibili, tanto è
evidente la verticalità delle rocce su cui
sorgono i centri abitati, e la stessa
impressione si coglie ammirando pizzo
Marcello che offre una visione di inaces-
sibilità grazie alle pareti a picco che par-
tono dalla valle e salgono verticalmente,
attraversando la strada e costringendola
a tortuosi passaggi sospesi nel vuoto o
obbligandola a traforare la montagna per
proseguire il percorso.
Il sentiero che porta a pizzo Marcello si
può imboccare dall’abitato di Anversa,
anche se è possibile partire da altri
posti: non starò qui a dilungarmi nella
sua descrizione poiché è molto ben
segnalato e vi porterà agilmente fino alla
“piscina” quindi al pizzo; il sentiero è
stato evidentemente “costruito”, e ve ne
accorgerete dai muri a secco che lo
proteggono e che permettono di oltre-
passare situazioni altrimenti pericolose,
consentendo a chiunque di godere della
splendida vista a volo d’angelo della
valle del Sagittario, del lago di san
Domenico e degli abitati di Anversa e
Castovalva.
Nella valle ci sono alcuni sentieri che
partono dalle sorgenti del Cavuto e rag-
giungono anche Castrovalva, tutti
segnati e di facile percorribilità, è pre-
sente un giardino botanico ben curato
che ospita oltre 400 specie di piante
alcune della quali rientrano tra le specie
in via di estinzione, compreso il
Fiordaliso del Sagittario specie esclusiva
di questa zona.
La fauna presente è quella tipica appen-
ninica rappresentata nella sua varietà di
esemplari quasi in toto, ma in particolar
modo si può ammirare il Picchio
Muraiolo, che è anche il simbolo della
riserva: una scelta non casuale proprio
perché questo uccello, grande come un
passero e con le ali che presentano
un’ampia zona rossa, trova in questi
posti il suo habitat naturale e più conge-
niale. Il picchio, strettamente legato alle
pareti rocciose sulle quali nidifica, si
nutre di insetti che trova tra le rocce o li
cattura esibendosi in spettacolari voli
radenti lungo le pareti.
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2223Anche l’Appenninocentrale e la catenadella Majella sono statiposti sotto osservazio-ne nell’ambito del pro-getto di rilevamentomondiale sulle variazio-ni climatiche. Il proget-to internazionale si
chiama G.L.O.R.I.A. (Global ObservationResearch Initiative in Alpine environments) edopo dieci lunghi anni di ricerca e monitoraggioha dato i suoi primi frutti.È di questi giorni la pubblicazione dei risultatisulla prestigiosa rivista scientifica NatureClimate Change (http://www.nature.com/ncli-mate/index.html).Il progetto di ricerca, partito nel 2001, si pre-figgeva di dimostrare scientificamente l’esisten-za del riscaldamento del clima e verificare glieffetti che provoca sulla flora e la vegetazionedi alta quota.Il Dipartimento S.T.A.T. della Università degliStudi del Molise e il Giardino della FloraAppenninica di Capracotta, insieme ad altri 16gruppi di ricercatori che lavorano in altrettante
regioni montuose europee, dalla gelidaNorvegia alla mediterranea isola di Creta,hanno aderito al progetto e fornito un sostan-ziale contributo al raggiungimento di importantirisultati ecologici su scala continentale. Sessantale vette montuose europee monitorate per undecennio attraverso dati di temperatura e cen-simenti della flora. L’Appennino centrale e laMajella sono stati posti sotto osservazione erecentemente è stato inserito anche il massic-cio del Matese: una stazione di rilevamento sitrova nei pressi della cima del Monte Miletto.Gli scienziati hanno riscontrato, su scala euro-pea, il fenomeno chiamato termofilizzazione.Consiste nella contrazione degli habitat altomontani che subiscono, a causa del continuoaumento della temperatura dell’atmosfera, unacostante riduzione della loro estensione e unosconvolgimento della struttura della loro vege-tazione.Le piante tipiche delle quote più basse, a causadel riscaldamento del clima, riescono a spinger-si e a crescere a quote più elevate entrando incompetizione diretta con la vegetazione dellevette.Questo sconvolgimento degli equilibri naturali
potrebbe determinare la scomparsa di alcunespecie di alta quota che, osteggiate dalle nuovearrivate e dalle mutate condizioni ambientali,potrebbero estinguersi in tempi brevi.I risultati si dimostrano attendibili. Sono stateposte sotto osservazione 764 specie di piante eutilizzati i dati di oltre 130 termometri digitali.In 42 vette montuose, delle 60 considerate, ilfenomeno della termofilizzazione è evidente.I dati termici hanno dimostrato un aumentodella temperatura minima, nell’arco di diecianni, di 0,76°C e una conseguente variazionedella struttura e della composizione della vege-tazione d’alta quota.Uno studio di così ampio respiro ha richiesto,negli anni, un costante contributo finanziario,anche se di modesta entità, e un attento escrupoloso lavoro degli scienziati nel condurrericerche che hanno assicurato la fiducia e ilsostegno delle istituzioni.Si auspica che questo grande progetto di moni-toraggio ecologico a lungo termine possa conti-nuare a godere dei finanziamenti indispensabiliper fornire ulteriori risultati sulle trasformazionie sulle dinamiche ecologiche in atto sulle mon-tagne d’Italia e d’Europa.
LA MAJELLA SENTINELLADEL CLIMAIMMAGINI TESTOLuca del Monaco Giovanni Pelino e Angela Stanisci
ORMAL’INSERTODELL’OSSERVATORIOREGIONALE DELLAMONTAGNAABRUZZESE
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PRIMOPIANO
“Era il percorso che da Sulmona, durante
la seconda guerra mondiale, attraversando
il Guado di Coccia sulla Majella, giungeva a
Taranta Peligna e Casoli; la via di fuga di
numerosi prigionieri di guerra anglo-ameri-
cani, di soldati italiani e di giovani che si
schieravano dalla parte degli Alleati per lib-
erare l’Italia”.
Oggi il tracciato montano che attraversava
la Linea Gustav è, come sottolineano gli
organizzatori del Freedom trail, “la metafora
del cammino di ogni uomo e di ogni soci-
età per conquistare e difendere i valori
della libertà, della solidarietà, della pace”.
Giunto alla dodicesima edizione, il “Sentiero
della Libertà” è ormai una tradizione nel cal-
endario abruzzese. Ogni anno, intorno al
25 Aprile, festa della liberazione dal nazifas-
cismo, l’associazione culturale che porta il
nome della manifestazione organizza tre
giorni di cammino seguendo le orme degli
ex-prigionieri di varie nazionalità fuggiti dal
campo di concentramento di Sulmona,
degli antifascisti e partigiani che dal nord
cercavano un varco per ricongiungersi con
gli alleati, di tutti coloro che, dopo l’8 set-
tembre del ’43, attraversarono i nostri monti
andando incontro alla storia.
Dal 2001, quando insegnanti e studenti del
Liceo Scientifico “Enrico Fermi” di Sulmona
raccolsero l’invito di alcuni reduci inglesi,
ideatori del “Freedom Trail” internazionale,
sono trascorsi dodici anni in cui la manifes-
tazione è riuscita a conservare i tratti di
originalità della prima edizione, inaugurata
dall’allora Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi, uno tra i tanti partiti una
notte da Sulmona, scampati al fuoco
tedesco e giunti a Casoli, avamposto degli
alleati.
Quest’anno le adesioni sono state
moltissime. Oltre 600 i partecipanti:
assieme ai numerosi studenti allievi del
liceo “Fermi”, si metteranno in marcia 48
studenti da Brescia, 25 dal Liceo “Federico
Caffé” di Roma, 50 dal “Galilei” di Pescara,
15 da Castel di Sangro e 48 da Cuneo.
Poi, ancora, allievi del Classico di Sulmona,
studenti di Popoli e Firenze, la parteci-
pazione di 3 inglesi e 3 olandesi, singoli
aderenti, gruppi, famiglie.
Il 27 aprile si partirà da Sulmona alla volta di
Campo di Giove, per giungere a Casoli nel
pomeriggio del 29 aprile. Tre giorni per
“un’esperienza di vita in cammino, per ricor-
dare e non ripetere gli sbagli della storia”.
lo scaffale
Opera aperta, U. Eco, Bompiani, Milano1962
Nuovo realismo, P. Restany, Preparo,Milano 1973
L’ultima avanguardia, L. Vergine,Mazzotta, Milano 1983
The italian trans – avantgarde, Politi,Milano 1980
Anni novanta (catalogo della mostra) acura di R. Barilli, Elemond EditoriAssociati, 1991
Mario Schifano. Il colore e la luce.Catalogo della mostra (Castelbasso2006), Skira. 2006
Mirycae, G. Pascoli, a cura di P. V.Mengaldo, Bur Rizzoli, 1981
Canti di Castelvecchio, G. Pascoli,Rusconilibri 2004
Storia della mia gente, E. Nesi,Bompiani, 2010
Attraverso gli Appennini e le terredell’Abruzzo, E. Canziani, Synapsi 2009
Fuga in Italia, M. Soldati, Sellerio, 2004
Viaggio in Italia, G. Piovene, Dalai 2007
La favola pitagorica, G. Manganelli,Adelphi, 2005
Il segreto del bosco vecchio, D.Buzzati, Mondadori, 2010
Abruzzo, Touring 2011
Formaggi d’Italia. Storia, produzione,assaggi. Slow Food, 2009
Henry Cartier Bresson. Fotografo,Alinari 2010
I banditi della libertà. La straordinariastoria della Brigata Majella, M.Patricelli, Utet, 2005
E si divisero il pane che non c’era, acura Liceo scientifico “Fermi”, Qualevita
Storia dell’Italia partigiana, G. Bocca,Mondatori, 2010
L’avocatt in bicicletta. Il romanzo dicinquant’anni di ciclismo, G. Brera,Book time, 2010
Il Paradiso in bicicletta, T. Paolini, Macedizioni 2012
Santa Maria in Valle Polcraneta. Storia,arte, leggende e tradizioni, donVincenzo Angeloni, Edizioni Sogeas2000
Santa Maria delle Grazie. Storia e Artedi una chiesa del Mille, don VincenzoAngeloni, Edizioni Sogeas 2009
Il sentiero delle libertà, Laterza 2003
PRIMOIL SENTIERO
DELLALIBERTÀ LA STORIAIN CAMMINO
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Non più ogni primo giovedì di maggio, come da secolare
tradizione, ma la festa dei serpari a Cocullo dedicata a san
Domenico Abate si svolgerà il 1 maggio. Un cambiamento
deciso dal Consiglio comunale, che renderà l’edizione 2012
punto di svolta nella storia dell’antico rito in onore del santo
patrono, che vanta oltre tre secoli di tradizione. “Abbiamo
voluto dare una data fissa alla festa” ha affermato il sindaco
Nicola Risio, spiegando che si tratta di una decisione adottata
di concerto con associazioni locali e cittadini. Lo scopo dello
spostamento del giorno, in sostanza, è quello di agevolare il
più possibile quanti decidono di partecipare alla suggestiva e
particolare manifestazione in onore di san Domenico, che
ogni anno richiama migliaia di fedeli in pellegrinaggio, semplici
visitatori, studiosi di antropologia, fotografi, cineamatori, oper-
atori televisivi, che giungono da ogni parte d’Italia e dall’es-
tero. Il rito pagano s’intreccia con la devozione cristiana. Il
culto di san Domenico, protettore dal morso dei serpenti,
incontra il rito arcaico dei “serpari”, manipolatori dei rettili, nel-
l’affascinante quanto unica processione in cui sfila la statua
del santo addobbata con serpenti aggrovigliati.
2425Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dopo i
lusinghieri risultati ottenuti nelle due passate campagne di
tosa, anche nel 2012 dà seguito al progetto «Pecunia», con
l’obiettivo di valorizzare, le lane prodotte nell’area protetta
continuando, il partenariato con l’associazione regionale
Allevatori d’Abruzzo e l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità
(UTB) dell’Aquila. L’obiettivo dell’iniziativa è di raccogliere
almeno 50 mila chilogrammi di lana proveniente dalla tosa di
pecore di qualsiasi razza, da inviare al nuovo Centro Unico di
Stoccaggio e Cernita istituito presso il Centro Pilota San
Marco di Castel del Monte del Corpo Forestale dello Stato -
Ufficio Territoriale per la Biodiversità. Da questa struttura la
lana, dopo una classificazione generale ed una prima pres-
satura, sarà trasportata in un centro specializzato in
selezione, per essere poi collocata sul mercato nazionale e
internazionale. Gli utili derivanti dalla vendita della lana saran-
no completamente ridistribuiti tra gli allevatori aderenti. L’Ente
ha perciò pubblicato un avviso pubblico, scaricabile dal sito
www.gransassolagapark.it che mira a ricercare e selezionare
un gruppo di allevatori ovini che si impegnino a fornire la pro-
pria lana.
PRIMO
PIANO
LA FESTADEI SERPARIA COCULLOIL 1 MAGGIO
PROGETTO“PECUNIA”FIBRE NATURALIPER IL MERCATOINTERNAZIONALE
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PRIMO
PIANO
Al bosco di Sant’Antonio il XXIII premio
internazionale «Carlo Scarpa per il
Giardino», istituito dalla fondazione
Benetton Studi Ricerche di Treviso, che
promuove campagna di attenzioni verso
un luogo “denso di valori di natura, di
memoria e invenzione”. Dopo il sito di Dura
Europos in Siria (2010) e il villaggio di
Taneka Beri in Benin (2011), il riconosci-
mento, teso alla salvaguardia di patrimoni
autentici e naturali, torna in Italia e omaggia
l’Abruzzo. L’iniziativa è stata presentata
prima a Roma e poi, il 30 marzo, a
Pescocostanzo, location naturale, alla pre-
senza del sindaco Pasquale Del Cimmuto,
del presidente onorario dell’Accademia
della Crusca e illustre pescolano,
Francesco Sabatini, del coordinatore del
Premio e del comitato scientifico
Domenico Luciani, del botanico Aurelio
Manzi e del direttore fondazione Benetton
Marco Tamaro, di fronte a studiosi dell’arte,
della natura, dell’economia locale che
hanno gremito l’auditorium San Nicola. Il
Bosco di Sant’Antonio, definito da Sabatini
“grandiosa opera della natura” e “monu-
mento della civiltà umana”, legato alla stra-
ordinaria fioritura culturale di
Pescocostanzo, secondo la giuria «offre
preziosa occasione di conoscere meglio,
attraverso l’intensità della sua speciale
vicenda, la storia più generale dei boschi,
le diverse fasi della loro evoluzione, le
aggressioni subite, i cicli di degrado e
rinascita». Per Manzi è il “biotopo forestale
più bello e famoso dell’Italia centrale”.
Tipico bosco difesa, in cui pascolavano
animali da lavoro, meravigliosa faggeta con
secolari giganti verdi e paesaggi suggestivi
in ogni stagione, si estende su 550 ettari a
un’altitudine di 1400 metri. “Con questo
premio vogliamo tentare di inserire il Bosco
in una campagna culturale, in un filone
delle bellezze naturali, proseguendo la
battaglia tesa alla sua salvaguardia, come
negli anni cinquanta» ha affermato Luciani.
Soddisfatto Del Cimmuto, per il quale il
premio è “un’ottima vetrina per il territorio»
e il bosco «un’ importante offerta turistica».
Il sigillo di Scarpa sarà consegnato alla
comunità di Pescocostanzo, quale respon-
sabile del Bosco, il 12 maggio in giornata
di studi a Treviso, dove sarà allestita una
mostra fino al 1 luglio.
ph Gianluigi Qua
raglia
A PESCOCOSTANZOIL BOSCO È UN’OPERA D’ARTE
ph Gianluigi Qua
raglia
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IL FORMAGGIOSTORIA DI UN PRODUTTORE DI MONTAGNACOLORI E SAPORIAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca Del Monaco Massimo Maiorano
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l formaggio è così diffuso sullenostre tavole che neanche ciaccorgiamo di quanto sia stato –e ancora lo è - importante nella
cultura e nell’economia della nostrasocietà.Lo è stato da sempre, soprattuttofin dalla sua scoperta, quando fudecisivo nello sviluppo della civiltàcontadina e pastorale: si potevafinalmente conservare il lattemunto dagli animali - pecore ecapre per lo più. Non si puòdefinire una data di nascita per ilformaggio, probabilmente nato dauna cattiva conservazione in unotre fatto di stomaco di animale,ma comunque abbastanza lontanonel tempo visto che già cinquemilaanni orsono i Sumeri scrivevano il«Fregio della latteria», un vero eproprio trattato sulla produzionedel formaggio.È importante anche oggi, nel terzomillennio, nella nostra realtà dimontagna abruzzese, disseminatada bravi imprenditori zootecnici ebravi casari. A volte pastore ecasaro sono la stessa persona e nel-l’immaginario collettivo rappresen-tano la sintesi della naturalità delprodotto; ma possono altresì esseredue distinti soggetti e quando for-mano un tutt’ uno riescono a trarreil meglio da ciò che la natura cimette a disposizione.Un esempio di questo «tutt’uno»lo troviamo a Lucoli, vicino all’Aquila, dove in uno dei diciottopiccoli borghi che insieme costituis-cono questo comune «diffuso»,Collimento, opera una realtàcasearia che si trova ai vertici della
qualità non soltanto abruzzese.Parliamo del Caseificio CampoFelice, dove Edoardo, Marco eMichele Di Carlo conducono la pro-pria azienda nel segno di unatradizione declinata al nostrotempo, utilizzando solo il latteproveniente dalla conca aquilana.Una tradizione che affonda le pro-prie radici in storie di emigrazione,quella emigrazione che aveva por-tato il primo fondatore dell’aziendaGino Ammannito a partire perl’Africa per impiantare un caseificionelle colonie, ed una volta avutosuccesso tornare tanti anni dopoper ricominciare l’attività nel pro-prio paese natale.Nel 1977 i fratelli Lello, Arturo eClaudio Di Carlo rilevano l’attività,stanchi degli innumerevoli viaggi inSardegna dove andavano per fareformaggio.Oggi la seconda generazione mettein pratica l’esperienza per produrrenel pieno rispetto della tradizione ilfior di latte, la scamorza, il pro-volone a pasta morbida e tanti altriprodotti. Ma i giovani hanno trattodai genitori non solo l’esperienza ela manualità, ma anche il coraggiodi innovare e di sperimentare che liha portati a produrre formaggi alatte crudo, rigorosamente legati alterritorio ed allo stesso tempoinnovativi. Ne sono esempi lacaciotta con il lievito madre delpane, il misto vaccino-ovino conpepe nero e zafferano di Navellioppure il delizioso erborinatostracchinato Campo Felice.Purtroppo o per fortuna, le pro-duzioni sono limitate ed i prodotti
non sono facili da trovare. Si possono degustare nei migliori ris-toranti ed osterie del capoluogo,oppure acquistare nei negozi spe-cializzati o direttamente in caseificio.Piccolo consiglio: almeno una voltafare una capatina sulla piana diCampo Felice dove in una bellabaita in legno direttamente gestitadai titolari del caseifico si possonocomprare e degustare tutte letipologie di formaggio, accompag-nato da tanti altri prodotti abruzze-si di qualità, dai salumi aquilani alleconfetture, ai mieli, ai vini tipiciabruzzesi ed alle birre artigianali.È un modo di ritemprare sia lo spir-ito, contemplando la natura dellemontagne che circondano la baita,sia... lo stomaco. Buon formaggio atutti!
LinkCaseificio Campo FeliceVia dell’Aquila, 1667045 Collimento di LUCOLI (AQ)tel. 0862/73100caseificiocampofelice.com
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IL “GIRO” DI PASSO SAN LEONARDOIN BICI TRA CAMPI DI GENZIANA E ACQUE SORGIVESPORT E NATURAAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca Del Monaco Tommaso Paolini
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er cercare di alleviare, non dico elimi-nare, lo stress, il logorio, la consun-zione, la frenesia, il sovraccarico dellavita moderna e per contrastare la
modestia della nostra quotidianità, il miglio-re antidoto è forse un’uscita in bicicletta, dasoli o in compagnia. Permette di tonificare ilcorpo e liberare la mente, ma anche di pen-sare, perché non di rado in bici si sale con iproblemi che trovano, come d’incanto, legiuste soluzioni al momento di metterepiede a terra. Scegliere un percorso in bici non è difficile.Ce ne sono tanti, di bassa, media e alta dif-ficoltà. Ne racconto uno dell’Abruzzo inter-no a difficoltà media che può essere fattocon la bici da corsa da fine aprile a metàottobre. È il giro che noi biker chiamiamo diPasso San Leonardo.Da Sulmona (405 m s.l.m.) si imbocca la SR487. È in leggera salita e si spinge il 34/15alzandosi sui pedali ogni tanto più che altroper scaldare un po’ i muscoli e preservarei glutei. Prima del bivio per Cansano,dopo quattro chilometri e mezzo, uncartello informa che si sta per entrare nelParco Nazionale della Majella, mentre unaltro, che indica la biforcazione con la SP12a, attira l’attenzione perché contiene invernice bianca, ora coperto di un rossotenue, l’aggiunta “W il pelo”. Seguendosempre la SR 487 e spingendo con regola-rità il 34/15: solo i due tornanti proprioall’ingresso dell’abitato richiedono uno sfor-zo maggiore, si raggiunge Pacentro (690 ms.l.m.) stretto tra i monti che limitano l’oriz-zonte. Si attraversa in piano percorrendo lavia principale: un po’ scoscesa per via deilastroni di pietra malfermi, e poi la piccolapiazza, dove sulla sinistra c’è una grandefontana di bell’aspetto che getta copiosa-mente una limpida acqua. Il noto ristorante“Li Caldora” proprio vicino l’arco ci ricordal’importanza della gastronomia di questeparti basata essenzialmente sui prodottilocali. Quando la fila delle belle case, moltedelle quali in pietra a vista, lascia spazio allosguardo, ammiriamo a ponente la vastaValle Peligna con i campi coltivati e il verdeargentato degli ulivi sui declivi del Morrone.Inizia l’ascesa verso Passo San Leonardo. Sipuò salire leggeri sulla SR 487 spingendo il
34/17. Prima di lasciare il paese sulla destrafa bella mostra il possente, snello e altocampanile della chiesa parrocchiale di SantaMaria Maggiore, con cuspide piramidale ebifore nella cella campanaria, che fa il paiocon quello dell’Annunziata di Sulmona, eappena dopo il maestoso castello deiCaldora a pianta quadrilatera, cinto da unlargo e profondo fossato, con le slanciatetorri quadrate da poco restaurate, due dellequali quasi intatte, che riescono ancora asorprenderci per l’audacia dell’impostazionee della realizzazione. Si sale in silenzio sulla strada serpeggianteaccompagnati da una leggera brezza e dal-l’aria mistica dei luoghi respirando a pienipolmoni il profumo dei fiori e quello delleerbe aromatiche: il timo è quello più forte.Il traffico è inesistente. Dopo sette chilome-tri da Pacentro, superato il tratto più duro,sulla sinistra si può vedere l’area faunisticadel camoscio appenninico inaugurata dapoco.Percorsa la parte finale della strada che siincunea nella montagna, dopo una decinadi chilometri da Pacentro, si svetta. Sul retti-filo prima del bivio per Sant’Eufemia aMajella c’è una fonte, vicino la casa canto-niera, da cui sgorga un’acqua freschissima.Bisogna approfittarne per dissetarsi e perriempire le borracce. I campi in quota sonotavole di colori: la genziana appenninica dalcolore viola, l’aquilegia, il cardo, il doronico,
la ginestra, il maggiociondolo, la peonia, larosa selvatica, la rosa di San Giovanni e ilcisto rosa la fanno da padrone all’inizio del-l’estate nel periodo di fioritura.Ripresa la marcia al bivio del Passo si imboc-ca a destra la SP 54. Dopo neanche duechilometri si raggiunge Fonte Romana(1236 m s.l.m.). A sinistra c’è il sentiero checostituisce la base per percorsi escursionisti-ci di alto valore paesaggistico. Dopo ottochilometri immersi nel verde sulla strada indiscesa si arriva a Campo di Giove (1071 m.s.l.m.) ai piedi della Majella, immerso in uncontesto naturalistico di tutto rispetto. Siattraversa in centro dove i sanpietrini crea-no problemi di stabilità. Dalla ricca fontananella piazza del paese sgorga copiosa l’ac-qua. Si possono seguire ora le indicazioniper Sulmona. La strada è in discesa, il traffi-co è scarso. Si può spingere il 50/11 perraggiungere una velocità che può superareanche i 60 chilometri orari. In un battibale-no si arriva a Cansano (835 m s.l.m.) e poial bivio di Pacentro dove è necessario forte-mente rallentare: c’è lo stop. Per evitare dimettere il piede a terra, ci si può teneresulla sinistra in contromano e vista la stradasgombra si può riprendere la cavalcataverso Sulmona. Si può spingere ancora ilrapporto massimo perché la strada è in leg-gera discesa. Il giro di Passo San Leonardo èlungo una sessantina di chilometri che pos-sono essere percorsi in un paio d’ore.
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Raggiunto il paese di Rocca Di Mezzo, daRovere, si incontra una prima grande rotondache occorrerà percorrere completamente finoad imboccare la strada più a sinistra, questa,
una lunga striscia di asfalto salendo in direzione Sud-Ovest, terminerà la sua corsa all’ingresso del Piano DiPezza, un brullo altipiano posto a circa 1500 m, dovesono presenti alcuni rifugi di cui uno di recentissimacostruzione. L’asfalto, come detto, finisce qui. È ancorapresto per lasciare l’auto, con molta prudenza occorreaggirare a sinistra i rifugi e piegare immediatamente adestra percorrendo, la non troppo confortevole stradasterrata fino a parcheggiare poco prima che la valle sistringa trasformandosi in un budello boscoso.L’evidente sterrato che prosegue lungo la strozzaturaterminale del Piano non deve trarre in inganno, esso
costituirà la via di ritorno, occorre dunque dirigere ilpasso verso il bosco a destra in direzione Ovest, doveuna evidente tabella segnaletica aiuterà ad identificareil corretto tracciato da seguire, indicando il primo deiluoghi che occorrerà raggiungere, il rifugio Sebastiani. Ilrifugio, raggiungibile in 50 minuti di stretto e facile sen-tiero, è ben gestito dalla sezione CAI di Roma; aperto inestate permette, all’escursionista, un completo ristoro ela possibilità di assistere a suggestivi concerti e romanti-che osservazioni stellari oltre all’acquisto di guide e librirelativi al parco. Da osservare e fotografare, durante l’a-scesa, i panorami di enorme contrasto che la fredda egrigia roccia delle vette disegna e che circondano il gio-vane e rigoglioso bosco, che in prossimità del rifugiodiraderà fino a sparire del tutto. Arrivati al rifugio, postoai piedi del Costone sul pendio che separa il Piano Di
PIANO DI PEZZAUN’ESCURSIONE DAL SAPORE DI AVVENTURA NEL PARCO SIRENTE VELINOSPORT E NATURAAPR/GIU 2012IMMAGINI TESTOLuca Del Monaco Piero Savaresi
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3031Il Parco Regionale Naturale del Sirente-Velino, un vasto sistema di monti, valli edaltipiani di origine carsica e glaciale, montibrulli e dolomitici con notevoli pareti roccio-se solcate da profonde rave che spesso sonofonte di divertimento per innumerevoli scial-pinisti. Il complesso territorio, macchiato daboschi di faggio, è un ambiente difficile, pie-tre marce e fragili costituiscono le pareti dimonti severamente segnate dal clima, ampipendii erbosi ed assolati in cui solo pochesparute piante sembrano avere il coraggio diergersi come strani ed incomprensibili totemsolitari, rilievi brulli che sembrano nemicidella vita e infine altipiani vasti e spogli, unambiente selvaggio e solitario, che nel 2007si è fatto dimora (grazie al ripopolamento)per uno splendido e maestoso rapace, ilGrifone.Il Parco del Sirente Velino, duro, selvaggio esolitario, in grado quindi di affascinare qual-siasi escursionista, è il luogo ideale doverealizzare una escursione dal sapore diavventura.
[Link]
Come arrivareDall’uscita del casello autostradale diCelano dell’A25 (autostrada dei parchi) sisvolta a destra per immettersi nella ss5Tiburtina Valeria in direzione di Avezzano,immediamente dopo occorre nuovamentesvoltare verso destra per Celano e da qui,senza soluzione di continuità si guadagnaquota fino a raggiungere la località diOvindoli, posta all’estrema propagine Suddell’Altipiano Delle Rocche, proseguendolungo la SR5 bis (direzione Nord) si attra-versa il piccolo borgo di Rovere fino a rag-giungere Rocca Di Mezzo.
Scheda trekking:Tipologia percorso: Anello.Livello di difficoltà: EE (Escursionisti esper-ti)Dislivello totale: 1070 m.Lunghezza: 12.500 m.Durata: 5,30 h.Esposizione al vuoto: NO.Presenza sorgenti d’acqua: NO.
Pezza dallo stretto catino che, aggirando lo splendidoMonte Puzzillo (Nord, Nord-Est) si tuffa nel noto altipia-no di Campo Felice, si possono osservare, guardandoverso Nord, l’incombente Cimata Di Puzzillo (m.2140),verso Nord, Nord-Est le ruvide e verticali pareti delCostone Occidentale (m.2239) al di là del quale si troval’ampia depressione che ospita il lago della Duchessa.Abbandonando il rifugio in direzione Sud e dopo pochimetri percorsi in piano si tornerà rapidamente a salirefino a raggiungere la vetta del Costone (m.2271) la cuicima è caratterizzata da un’esile e gialla croce metallica,il sentiero dopo aver aggirato il ripido pendio che gravasul rifugio si fa non particolarmente evidente ed ha latendenza a complicare eccessivamente l’ascesa, convie-ne, dunque, salire sul Costone puntando direttamenteverso la vetta.Dalla cima del Costone, una breve sosta consentirà digodere appieno della vista delle principali vette delgruppo, la caratteristica piramide del Monte Velino(m.2486), il re di questo sistema montuoso che domi-na a Sud, ad Ovest, la profonda, lunga e selvaggia ValDi Teve dominata poco più a destra dallo splendidoMuro Lungo (m.2184) che costituisce, con il CostoneOccidentale, il confine della regione Abruzzo con ilLazio.Dirigendo verso Sud-Est, lungo lo stretto e panoramicoprofilo di Cresta, si raggiungeranno dapprima PuntaTrento (m.2242) e successivamente Punta Trieste(m.2230) fino a terminare la lunga e suggestiva pas-seggiata su Capo Di Pezza (m.2177), individuabile per
la presenza di una piccola croce lignea. Il sentiero nonè particolarmente evidente ma la possibilità di perder-si, se non negli splendidi panorami rocciosi di questomonumentale angolo d’Abruzzo, è nulla. L’ampia ValleMajelama che poco più a Sud termina nella estesaconca Marsicana si farà ammirare in tutta la sua bel-lezza e con un pò di attenzione in più sarà possibileintravedere i maestosi Grifoni librarsi nell’aria sfruttan-do le forti correnti termiche che spazzano questi ripidiluoghi. Da qui seguire il sentiero si farà più arduo, letracce, prima evidenti, diverranno d’un tratto assentima con un pò di attenzione sarà comunque abbastan-za semplice riuscire ad orientarsi.Discendendo il ripido crinale di Capo Di Pezza in dire-zione Nord si raggiungerà il Vado Di Castellaneta(2099 m.), una piccola tabella costituirà un buonpunto di riferimento, voltando verso Nord, Nord-Oveste poi guadagnando il canale più profondo della valle,costituita dai fianchi di Capo Di Pezza e Punta Trieste,si raggiungerà il bosco a quota 1900 m circa, tenendosulla destra la piccola vetta rocciosa che svetta nelcentro della valle (La Castelluccia) si raggiungerà,dopo venti minuti, il confine terminale Ovest delrastremato Piano Di Pezza. Dieci minuti di camminosepareranno l’escursionista dalle auto, dieci minutitutti da godere lungo un canale contornato dal boscoorlato superiormente dalle rocciose e maestose vetteche hanno riempito e saziato gli sguardi dell’escursio-nista lungo tutto il trekking.Alla prossima avventura.
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