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ABLAZIONE TRANSCATERE DELLA SINDROME DI WOLFF‐PARKINSON‐WHITE: QUANDO CONVIENE INSISTERE. UN CASO CLINICO ED UNA REVISONE DELLA LETTERATURA Alterini B.,Ricciardi G.,Checchi L., Cartei S., Ciervo D., Biagioli M., Pantaleo P. AOUC Firenze Email:[email protected] Ipotesi. L’ablazione transcatetere è la terapia di scelta della sindrome di Wolf‐Parkinson‐White (WPW), condizione patologica in cui i ventricoli sono pre‐eccitati a causa della presenza di una via accessoria atrio‐ventricolare. Tuttavia, a differenza delle altre vie accessorie, quelle situate in profondità nel tessuto miocardico sono particolarmente difficili da trattare, soprattutto quelle a sede postero‐settale, con elevato rischio di insuccesso della procedura. Materiali e metodi. Presentiamo il caso di un soggetto di 17 anni con una via accessoria postero‐settale, sintomatico per tachicardia parossistica sopraventricolare, trattato con successo mediante ablazione transcatetere a radiofrequenza. Per ottenere l’interruzione di tale via, è stato necessario effettuare due differenti lesioni: una nella regione postero‐settale dell’atrio destro ed un’altra, dopo aver effettuato una puntura trans‐settale ecoguidata, nella zona speculare dell’atrio sinistro. Risultati. Abbiamo osservato che, per ottenere l’interruzione di vie accessorie situate in profondità nel setto interatriale, può essere necessario effettuare due lesioni situate in regioni speculari del setto. Conclusioni. Il trattamento di vie accessorie a sede postero‐settale può essere condotto con efficacia solo mediante lesioni multiple in regioni speculari del setto. Questo propone la necessità di effettuare procedure più complesse e lunghe al fine di ridurre il numero di insuccessi e di recidive.
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POSTER PRESTO E BENE: MIGLIORE UTILIZZO DELLE RISORSE CON LA GIUSTA TECNOLOGIA. VANTAGGI DEL MAPPAGGIO ELETTRO-ANATOMICO CARTO (R) PER OPERATORI E PAZIENTI. UN CASO CLINICO Alterini B., Ricciardi G., Cartei S., Checchi L., Ciervo D. Pigozzi C., Biagioli M., Pantaleo P. AOUC Email: [email protected] Ipotesi. Il CARTO ® (Biosense-Webster Israel Ltd., Tirat Carmel, Israel) è un sistema di mappaggio elettronico tri-dimensionale delle camere cardiache che permette di derivare in tempo reale l’esatta posizione dei cateteri introdotti per via percutanea a scopo diagnostico o ablativo, e di creare quindi una mappa elettro-anatomica del cuore. Tale metodica è utilmente impiegata nelle procedure elettrofisiologiche che necessitino di un approccio anatomico particolarmente preciso, come accade nel caso della ablazione del flutter atriale tipico. Questo sistema permette infatti una ricostruzione della geometria dell’istmo cavo-tricuspidalico, substrato di quest’aritmia. Materiali e metodi. Riportiamo il caso di un paziente maschio di 63 anni con un flutter atriale tipico trattato con successo mediante ablazione a radiofrequenza dell’istmo cavo-tricuapidalico condotta dopo aver eseguito il mappaggio elettroanatomico dell’atrio destro con il sistema CARTO. Risultati. Con questo approccio abbiamo ottenuto una riduzione del tempo di scopia (solo 7 minuti) senza un aumento significativo del tempo totale della procedura. Conclusioni. Questa strategia permette, con costi di risorse e di tempo contenuti, di ottenere risultati molto più affidabili con minore rischio generale e radiologico per il paziente.
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INSUFFICIENZA MULTIORGANO IN CORSO DI CRISI TIREOTOSSICA IN PAZIENTE AFFETTO DA MALATTIA DI GRAVES
Amendola A.*, Cercignani M.*, De Crescenzo V.*, Magaldi M.*, Pasetti G.°°, Prugnola C.*, Casadio C. °°, Manini M.* Area Funzionale Medica Presidio Ospedaliero “ Colline dell’Albegna”, U.O.C. Medicina Interna Orbetello‐ Pitigliano °° U.O. Rianimazione P.O. Orbetello, USl 9 Grosseto Email: m. [email protected]
Introduzione: la crisi tireotossica è un evento raro ad esordio improvviso; diagnosi precoce e trattamento tempestivo sono fondamentali nel ridurre morbilità e mortalità. Il caso descrive una crisi tireotossica con grave insufficienza multiorgano che ha richiesto ricovero in terapia intensiva. Caso clinico: M.O., 38 anni, uomo; riferita tireopatia non precisata, no terapia in atto. Giunge per algie addominali e febbre. EO: esoftalmo bilaterale, gozzo, anasarca, tachicardia. Si sviluppa rapidamente un quadro di insufficienza multiorgano (scompenso cardiaco acuto in tachiaritmia da FA con ipotensione; insufficienza renale ed epatica acuta) che rende necessario il ricovero in terapia intensiva. Il dosaggio degli ormoni tiroidei conferma il sospetto di ipertiroidismo: TSH soppresso, spiccato incremento di FT4 (>73.5 pmoli/l) e FT3 (19.8 pmoli/l). viene impostato trattamento con metimazolo, propranololo, perclorato di potassio, idrocortisone. Progressivamente si instaura un quadro di stabilità cardiorespiratoria ed il pz viene trasferito in area medica; si assiste a risoluzione dell’insufficienza multiorgano. Alla dimissione persiste marcata ipotrofia muscolare con deficit funzionale tale da richiedere percorso riabilitativo. Risultati: marcato incremento degli anticorpo antirecettore del TSH (TRAb) e antiTPO, quadro ecografico e scintigrafico caratteristico per malattia di Graves. Conclusioni: il notevole incremento del volume ghiandolare, gli elevati valori dei TRAb e la crisi tireotossica hanno posto indicazione a successiva terapia con radioiodio dopo normalizzazione della funzionalità tiroidea con metimazolo. La crisi tireotossica rappresenta una emergenza medica che può essere a rischio di vita, richiede un trattamento intensivo per la cui gestione è necessaria la competenza di varie figure specialistiche.
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IL DOLORE INUTILE NELL'ANZIANO FRAGILE MARIA CRISTINA ANDEUCCI. GIOVANNI BRUNELLESCHI Ospedale Civile di Lucca Email: [email protected] Ipotesi. Il dolore cronico o persistente, indicato come quello superiore a tre mesi, connota spesso in senso fortemente negativo la vecchiaia, perchè con l'avanzare dell'età aumenta il numero di condizioni algogene, associate a quadri complessi di comorbilità. Nell'anziano le manifestazioni cliniche del dolore sono spesso atipiche e complesse così come le interconnessioni tra fattori fisiologici e psicologici che modulano l'espressività clinica della sintomatologia dolorosa. Spesso la valutazione è difficile e il sintomo può venire sottostimato, come pure risulta problematico il riscontro della risposta terapeutica. L'inquadramento e la gestione del problema è resa ancora più complessa dalla frequente presenza di disturbi cognitivi e sensoriali. Nell'anziano fragile sono molteplici le conseguenze associate alla presenza di dolore: depressione,ansia, disturbi del sonno e dell'appetito, ridotta socializzazione e, in generale, decadimento fisico‐funzionale e cognitivo. Materiali e metodi. Oggetto del lavoro è un campione di cento pazienti selezionati in random nel reparto di medicina interna tra tutti quelli nella cui cartella clinica era stata allegata la scheda di valutazione del dolore. La scheda in oggetto prevedeva la rilevazione ad orario del sintomo dolore in ogni singolo tuno infermieristico ( tre volte al giorno) e durante il turno medico (una volta al giorno). Vi erano indicate il nome della specialità eventualmente somministrata, la posologia e l'orario della somministrazione. Il dolore veniva valutato secondo la scala NRS (0‐10) Il campione era costituito da una poplazione di età compresa tra 60 e 89 anni. Risultati. Dalle rilevazioni effettuate risultava che 10 pazienti presentavano un dolore di tipo continuo; 60 un dolore continuo con riacutizzazioni e 30 un dolore di tipo episodico. I farmaci utilizzati secondo le indicazioni dell'OMS (schema a gradini) risultavano così distribuiti: 21 preparati transdermici, 36 FANS, 27 oppioidi forti, 18 oppioidi deboli, 60 paracetamolo anche in associazione, 18 tramadolo, 33 adiuvanti. i farmaci indicati erano usati da soli o in varia associazione. Di particolare utilità si è rivelata la premedicazione con oppioidi forti ad assorbimento rapido nelle medicazione delle piaghe da decubito e nelle ulcere arteriose degli arti inferiori. Tutti i pazienti sia durante il ricovero, che alla dimissione, presentavano una riduzione del valore della scala NRS rispetto alla valutazione effettuata all'ingresso. Conclusioni. Per una terapia antalgica ottimale è necessario conoscere le terapie eventualmente instaurate in precedenza, la loro efficacia e gli effetti collaterali riscontrati. Nella lotta al dolore cronico l'obiettivo da raggiungere non è tanto la completa remissione, non sempre ottenibile, ma il miglioramento dei sintomi in modo da rendere accettabile la qualità di vita: l'attenuazione della sintomatologia può quindi considerarsi un obiettivo terapeutico ragionevole.L'efficacia del trattamento dipende dipende dalle condizioni cliniche del paziente, che possono rendere meno certa e prevedibilela risposta terapeutica; da qui la necessità di un trattamento medico personalizzato, elaborato secondo le indicazioni OMS e delle Linee Guida Internazionali che raccomandano anzitutto l'utilizzo di varie classi di farmaci(FANS, oppioidi deboli, oppioidi medi, oppioidi forti e farmaci adiuvanti) da impiegare da soli o in associazione, secondo l'intensità del dolore.
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UNA GRAVE COMPLICANZA IN UN CASO DI CATHETER RELATED BLOOD STREEM INFECTION IN PAZIENTE DIALIZZATA Antonielli E., Biagioni C., Fintoni T., Ciucciarelli L., Pieralli F., Nozzoli C. Medicina Iinterna Careggi – Firenze Email: [email protected] Riportiamo il caso di una donna di 63 anni che giunge alla nostra osservazione per episodi febbrili recidivanti di breve durata accompagnati da brivido intenso e decadimento delle condizioni cliniche generali. All'ingresso la paziente si presentava piretica,pallida,ipotesa. All'esame obbiettivo soffio sistolico ad alta frequenza udibile all'apice. Agli esami ematochimici leucocitosi neutrofila, incremento degli indici di flogosi (PCT 10,88 ng/ml). All'ecocardiogramma transtoracico documentazione di formazione endocarditica tricuspidalica in continguità con apice del CVC determinante insufficienza valvolare severa. Alla TC torace presenza di focolai ascessuali multipli. Emocolture prelevate da CVC tunnellizzato e vena periferica positive per MRSA e VRE. Rimosso CVC Tesio e instaurata politerapia antibiotica mirata sulla base dell'antibiogramma.Nonostante gli opportuni interventi di carattere farmacologico lo stato di compenso emodinamico si è andato progressivamente deteriorando, un ETE ha mostrato coinvolgimento mitralico con formazione di ascesso anulare mitralico,per cui la paziente è stata trasferita presso il Reparto di CardioChirurgia dove è stata sottoposta a sostituzione valvolare tricuspidalica e mitralica. E' sempre piu' importante la diffusione nei reparti ospedalieri, specialmente nei centri di emodialisi, di infezioni da MRSA e VRE correlate al CVC. Nei pazienti uremici anche per lo stato di immunodeficienza presente, l'accesso vascolare rappresenta un'importante porta di ingresso per i microorganismi. Le complicanze secondarie alle Catheter Related Blood Streem Infection (CR‐BSI), prima tra tutte l'endocardite, devono essere considerate precocemente e sempre escluse in quanto possono rappresentare un'importante causa di mortalità.
Abstract POSTER OSTEOCLASTOMA DEL CALCAGNO COME PRIMA MANIFESTAZIONE DI IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO Armento R.A., Cameron Smith M., Meola N., Micheli B., Pettinà G. U.O Medicina Interna 1, USL 3 Pistoia Email: [email protected] Ipotesi. IL CASO: Paziente (Z.P.) di sesso maschile ,di anni 43, venuto in DEA per comparsa di dolore all’anca dx e alla caviglia sinistra, quest’ultima sede di pregresso intervento per tumore osseo (circa 10 mesi prima). La radiografia dell’anca eseguita in PS evidenziava una lesione osteolitica, per cui il paziente veniva ricoverato nel reparto di Medicina Interna I. Il referto dell’esame istologico esibito relativo al pregresso intervento ,eseguito in altra sede, riportava la diagnosi di osteoclastoma. Materiali e metodi. Degli esami ematochimici eseguiti durante la degenza risultavano alterati la calcemia (14.7 mg/dl) e il paratormone plasmatico (831 pg/mL). Ulteriori radiografie eseguite mostravano lesioni cistiche a carico della branca ileo‐pubica, dell’ala iliaca dx e delle scapole bilateralmente. L’ecografia del collo evidenziava un nodulo ipoecogeno di 3 cm di diametro in sede polare inferiore al lobo sinistro della tiroide sospetto per adenoma paratiroideo. La scintigrafia con sesta‐MIBI risultatava positiva per tessuto paratiroideo iperfunzionante nella stessa sede e assenza di captazione anomala in altre sedi. L’eco renale dimostrava un calcolo di 6 mm a livello del calice medio a dx. Risultati. Il paziente è stato quindi sottoposto a intervento chirurgico di paratiroidectomia e l’esame istologico del tessuto asportato dimostrava la presenza di adenoma paratiroideo. Nel post‐intervento il paziente ha manifestato la “sindrome dell’osso affamato”, con ipocalcemia persistente che si è gradualmente risolta con la somministrazione di calcio e vitamina D attivata. Conclusioni. in base alla sintomatologia, agli esami di laboratorio e di imaging e al referto istologico è stata posta diagnosi di iperparatiroidismo primitivo inveterato complicato da osteite fibroso‐cistica. L’osteoclastoma di cui il paziente era stato operato, e che è difficilmente distinguibile dalle altre lesioni a cellule giganti dell’osso, costituiva probabilmente una manifestazione scheletrica dell’iperparatiroidismo primitivo. Pertanto, di fronte ad un caso di osteoclastoma, sembra sempre opportuno effettuare lo studio del metabolismo calcio‐fosforo allo scopo di escludere la presenza di iperparatiroidismo primitivo.
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UN CASO DI EDEMA GENERALIZZATO IN UN PAZIENTE CON STORIA DI IPERTENSIONE DIASTOLICA Bazzini C., Verdiani V., Castelli M., Del Re C., Pieralli F., Nozzoli C. Medicina Interna AOU Careggi – Firenze Email: : [email protected] Riportiamo il caso di un uomo di 46 anni ricoveratosi per la comparsa da 3 mesi di edema del tronco, del volto e successivamente degli arti inferiori associato a dispnea da sforzo. Anamnesi: Familiarita’ per ipertensione arteriosa; rilievo da circa 2 anni di ipertensione arteriosa prevalentemente diastolica in terapia con sartanico con scarso controllo dei valori pressori negli ultimi mesi; non assunzione di altri farmaci. Decorso: All’ingresso in reparto paziente eupnoico, facies lunaris, gibbo di bufalo; PA 150/95 mmHg. Edemi improntabili fino al ginocchio bilateralmente; non altri reperti di rilievo all’E.O. All’ECG RS, PR e QRS nei limiti, onda U. Agli esami ematici: ipokaliemia (2,3 mEq/L), alterata glicemia a digiuno, funzionalita’ epatica e renale nella norma, NT‐proBNP e TSH nei limiti. Ai dosaggi ormonali rilievo di ipercortisolismo ACTH indipendente. La TC torace‐addome con MDC ha mostrato massa surrenalica destra disomogenea a margini irregolari (12x10x10cm) e nodularita’ polmonari verosimilmente ripetitive. E’ stato corretto lo squilibrio elettrolitico, potenziata la terapia antipertensiva, intrapresa terapia diuretica con risparmiatori di potassio e successivamente il paziente e’ stato sottoposto ad intervento chirurgico di surrenalectomia e nefrectomia destra. Discussione: Le ipertensioni secondarie endocrine rappresentano < 5% dei casi di ipertensione arteriosa ma e’ opportuno ricercarle nei soggetti giovani ipertesi anche in presenza di familiarita’ perche’ questo puo’ incidere sull’iter terapeutico e sulla prognosi. E’ altresì vero che il carcinoma surrenalico e’ una malattia rara (0,5‐2 casi/milione/anno), nel 75% dei casi diagnosticato allo stadio III‐IV di malattia e nel 30‐60% si tratta di forme non secernenti.
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POSTER MORBO DI CROHN DELL'ILEO TERMINALE COMPLICATO DA MALATTIA FISTOLIZZANTE: UN CASO COMPLESSO Belcari C., Rocchi M., Cecchetti R., Faloppa C., Gigliotti A., Levantino G. Macelloni R., Mariotti F., Andreini R. ASL5 Pisa ospedale di Pontedera Email: [email protected] Ipotesi. la malattia di crohn comprende un insieme di manifestazioni cliniche e patologiche quali infiammazione focale, asimmetrica, transmurale e, occasionalmente, granulomatosa, che colpiscono il tratto gastrointestinale e che possono causare complicazioni sistemiche ed extraintestinali. In accordo alla classificazione di vienna per la malattia di crohn vengono distinti 3 sottogruppi di pazienti in base al comportamnto della malattia: infiammatoria, penetrante, stenosante. Il fattore tempo risulta importante: nel corso degli anni si assiste ad un significativo ed inesorabile cambiamento da forme di malattia prevalentemente di tipo infiammatorio alla diagnosi di forme di malattia più complicata (stenosante, penetrante) e potenzialmente a rischio chirurgico. Materiali e metodi. Si descrive il caso clinico di un apaziente C.R. di anni 37 affetta da malattia di crohn da alcuni in anni; nel maggio 2010 veniva ricoverata per un episodio subocclusivo per cui venivano eseguiti approfondimentii diagnostici che evidenziavano stenosi dell'ileo terminale con dilatazione a monte e presenza di una fistola enterica a ridosso della cupola vescicale.veniva quindi impostata terapia steroidea sistemica associata a mesalazina, senza alcun miglioramento della sintomatologia.nel settembre 2010 iniziava terapia con biologici, ottenendo un lieve miglioramento clinico ( sospeso nel marzo 2011 per reazione allergica ritardata (laringospasmo e rush cutaneo). nel febbraio 2011 RM di approfondimento e successiva entero-RM che confermavano ispessimento dell'ileo distale per oltre 10 cm e rapporti fistolosi dell'ileo medio con la vescica. da tale periodo eseguiva cicli di antibiotici (chinolonici) con lieve beneficio. Risultati. nel settembre 2011, in seguito al peggioramento delle condizioni cliniche, la paziente viene ricoverata ed in data 03.10. 2011 é stata sottoposta ad intervento chirurgico di resezione dell'ultima ansa ileale e del cieco con confezionamento di ileo-ascendente anastomosi: riscontro dia scesso addominale sottombelicale adeso alla vescica per cui hanno proceduto a distacco di tale massa ascessualizzata, curretage del muscolo retto dell'addome e della cupola vescicale. attualmente la paziente é in buone condizioni cliniche. controllo eco programmato tra 1 mese, colnscopia tra 6 mesi. Alla luce della severa attività di malattia, peraltro già complicata, della giovane età della paziente, abbiamo ritenuto opportuno intraprendere terapia con immunosoppressore per os (azatioprina: iniziare con 50 mg 1/2 cp. al die; il dosaggio sarà ottimizzato a 2-2.5 mg/Kg/die in base alla tollerabilità ed agli esami ematici) previo esami di screening Conclusioni. la malattia di crohn ha un rilevante impatto negativo sulla qualità di vita, in particolare per i pazienti con malattia da moderata a severa che richiedono spesso un intervento chirurgico precoce nel corso della malattia. questo é vero in particolare quando si evidenzia che la maggior parte dei pazienti viene colpito dalla malattia di crohn da giovane, un periodo critico in cui i coetanei non hanno problemi salute, quando l'aspetto fisico é cruciale per il benessere e quando essi si trovano nel pieno dell'età produttiva, con prospettive educazionali, sociali e di carriera.
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POSTER L’ECOCARDIOGRAFIA NELLO SCOMPENSO CARDIACO: ESISTE UN TIMING DEFINITO ? Paolo Biagi ( gruppo CONFINE) USL7 Medicina Montepulciano Email: [email protected] Ipotesi. Introduzione L’ecocardiografia è essenziale nella definizione diagnostica e nella stratificazione prognostica dello Scompenso Cardiaco ( SC ), in tal senso è ben noto l’effetto predittivo sulla mortalità delle variazioni dei parametri ecocardiografici ( soprattutto della LVEF ) in esami seriati nel tempo (in follow up ). La LVEF viene considerata comunemente il parametro di più facile accessibilità e definizione sia mediante algoritmi di calcolo dello strumento ( in genere il metodo Simpson) sia mediante valutazione eye ball che per operatori esperti risulta altamente paragonabile alla LVEF calcolata ( ). E’ peraltro il parametro di più diffusa conoscenza proprio perché in base ad esso vengono ricavate informazioni sul tipo di SC ( a funzione sistolica conservata o depressa ) e, come accennato, sulla stratificazione prognostica. Il timing di quando effettuare l’ecocardiografia in corso di un episodio di HF non è definito. Qualora esistesse un termine temporale oltre il quale l’esecuzione dell’esame fosse meno utile per la definizione della causa e la stratificazione prognostica, ciò renderebbe il percorso del ricovero stesso del paziente con SC più rigido, impattandosi con le quotidiane difficoltà organizzative/gestionali di un reparto di degenza. Ciò a maggior ragione se si considera uni reparto di Medicina Interna in cui, è noto, vengono ricoverati la maggior parte dei casi di SC de novo e in rericovero ed in cui la gestione giornaliera di un numero notevole di pazienti potrebbe rendere impossibile rispondere in modo tempisticamente utile a quanto richiesto. Lo scopo del ns lavoro è stato pertanto quello di valutare eventuali modificazioni in esami ecocardiografici ripetuti durante la fase di ricovero in pazienti affetti da SC per definire in particolare se tali modificazioni fossero significativamente differenti si da indurre modifiche nell’approccio clinico terapeutico e quindi tali da suggerire un timing per l’effettuazione dell’esame al ricovero del paziente . L’analisi è stata effettuata sulla casistica proveniente da 91 UO di Medicina Interna in Italia e quindi soffre della limitazione di non provenire da un solo laboratorio di ecocardiografia. D’altro canto proprio aver effettuato sul territorio nazionale ( quindi in molte sedi ) tale indagine potrebbe permettere di considerare i dati come estrapolabili nel mondo reale ed sostanzialmente operatore e macchina indipendenti. Materiali e metodi. Lo studio Confine (Comorbidities and outcome in Patients with Chronic Heart Failure: A Study in Internal Medicine units ) è uno studio multicentrico osservazionale effettuato secondo il metodo della spot analysis in 91 UO di Medicina Interna distribuite omogeneamente in Italia, che ha arruolato tutti i pazienti che fossero ricoverati nei reparti in 5 giorni ( giorni indice ) nel 2006-2007 (1) Veniva lasciata ampia libertà ai centri partecipanti di effettuare l’esame ecocardiografico o più esami secondo eventuale necessità e comunque secondo la propria organizzazione interna. Non era rilevante ai fini dello studio che gli esami stessi fossero effettuati autonomamente dai reparti di Medicina Interna che disponessero al loro interno di tale possibilità o che, secondo la prassi consolidata del centro, venissero effettuati dai servizi di Cardiologia dei singoli ospedali. In ogni caso veniva specificamente richiesto nel protocollo di attenersi alle modalità di esecuzione dell’esame secondo le raccomandazioni della Soc. Italiana di Cardiologia: in particolare il calcolo della LVEF doveva esser sempre effettuato mediante il metodo Simpson.
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POSTER Sono stati presi in esame soggetti che avevano effettuato durante la degenza due o più esami ecocardiografici. In ragione della metodologia della raccolta dei dati dello studio Confine ( tre schede per paziente ) si potevano avere pertanto tempistiche diversi: alcuni avrebbero potuto esser eseguiti al momento dell’arruolamento ( giorni indice ) altri già stati eseguiti in precedenza ( al momento del ricovero se questo precedeva la data dell’arruolamento) altri infine avrebbero potuto esser eseguiti alla dimissione o poco prima. Risultati. Abbiamo preso in esame 1411 soggetti la cui età media è 78,7 + 9,6, più precisamente 692 (48,4%) maschi e 737 (51,6%) femmine. Di questi 329 pari al 22,9% avevano un'età maggiore di 85 anni e addirittura 125 pari al 8,7% del totale avevano un’età > di 90 anni (max 103 anni). La classe NYHA é riportata in Tab I NYHA Class Ingresso Dimissione I 2,1 11,5 II 16,2 58,1 III 45,7 23,7 IV 36,0 6,7 L’esame ecocardiografico è stato effettuato in 827 soggetti ( 57,1%) con una LVEF complessiva del 43,1 + 12,3. e con una stratificazione della LVEF come riportato in Tab.III Ecocardiografia (LVEF%) 827 (57,1%) <30% 72 (18%) 30%-40% 78 (19,6%) >40% 247 (62,3%) * 40%-50% 136( 34,3%) >50% 111 (28%) Di questo gruppo 146 soggetti hanno effettuato almeno un ulteriore esame ecocardiografico durante la degenza: il valore di LVEF alle due rilevazioni definite prima e seconda è riportato in Tab Sono state eseguite complessivamente 973 Eco a 827 pazienti. . Prima LVEF (%) Seconda LVEF (%) P Intervallo( gg ) ** 43,91 + 13,19 44,82 + 12,67 0,59 ( ns) 8,88 + 6,0 ** calcolato su 44 soggetti in cui era documentata la data di esecuzione di almeno due ecocardiogrammi La degenza media è risultata essere di 14.1±10.3 giorni senza differenza fra maschi e femmine. Ottantanove pazienti (6,3%) hanno presentato in degenza un outcome sfavorevole ( morte o deterioramento clinico ). Aver effettuato l’esame ecocardiografico è ( non è ) correlato a outcome sfavorevole mentre lo è una bassa frazione di eiezione alla prima rilevazione. Discussione Lo SC è ricoverato soprattutto nei reparti di Medicina Interna in Italiae, in questi ultimi anni, non si è modificata sostanzialmente la possibilità di effettuare l’esame ecocardiografico rispetto a 6 anni fa ( studio Temistocle ). Per chi ha autonoma disponibilità della metodica difficoltà gestionali ( carichi di lavoro, molteplicità dei ricoveri/pazienti, loro pluri patologia e al conseguente complesso il percorso assistenziale ) rendono questo aspetto del problema difficilmente modificabile. D’altro canto per chi non dispone della metodica, il rivolgersi ad ambulatori ecocardiografici delle Cardiologie non è sempre facile ed è legato a tempistiche non direttamente governabili per cui spesso chi richiede l’esame sa che verrà fatto “…quanto prima “ o talora si trova costretto a non richiederlo affatto.
Abstract
POSTER In definitiva un esame ecocardiografico eseguito senza un preciso timing è ugualmente efficace a definire la tipologia dello HF e a stratificarne la prognosi o che comunque effettuato questo esame si dimostrerà utile al percorso clinico terapeutico. Si sa che pazienti con edema polmonare acuto e ipertensione la LVEF e il wall motion index non si modificano sia durante l’episodio acuto che dopo tre gg. per cui la conclusione che Gandhi e coll. hanno tratto fu che se viene registrata una LVEF normale dopo tre gg da un episodio di edema polmonare acuto da causa ipertensiva, è molto probabile che l’edema polmonare sia stato indotto da transitoria disfunzione ventricolare diastolica (1) Lo stesso termine delle 72 ore vale per la definizione di Vasan di alta probabilità dello scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata o no. (2). Nessun timing peraltro viene suggerito dalle linee Guida Europee ma solo la raccomandazione di eseguire l’esame nel più breve tempo possibile dopo il sospetto diagnostico (3). Nulla si sa di che cosa accada nello SC da causa ischemica, se cioè la LVEF depressa al ricovero recuperi velocemente dopo terapia: tale possibilità è plausibile ma non dimostrata nel breve periodo ( quello del ricovero ), ma solo in esami seriati in un più lungo follow up. I nostri datihanno evidenziato che , almeno per la tipologia dei pazienti che si ricoverano in Medicina Interna, non esistono sostanziali differenze della LVEF misurata in (minimo) due tempi del ricovero ospedaliero(media di 15 gg) e ciò vale anche per la etiologia ischemica . In particolare si evidenzia in questo gruppo che la LVEF non si modifica in un l’intervallo medio di tempo di circa 9 gg fra un esame e l’altro ( nel sottogruppo in cui c’è stata la certificazione della data dell’esecuzione ) che ci sembra adeguato per far si che un’eventuale ischemia miocardica possa esser stata controllata ed avere indotto un miglioramento della LVEF. Mentre si registra un significativo passaggio di Classe NYHA da quelle a maggior impegno funzionale a quelle a minor impatto, la LVEF complessivamente non si modifica, confermando quello che già è noto e cioè che la LVEF non è correlata con la sintomatologia clinica. E’ comunque da ricordare come una bassa LVEF all’ingresso (primo esame ) sia predittore di outcome avverso durante la degenza ospedaliera. Quanto sopra ci induce a dire che l’ecocardiografia, pur tenendo conto delle raccomandazioni ESC, può esser effettuata in qualsiasi momento del ricovero del paziente con SC eliminando quindi l’affanno di doverla effettuare in una definita finestra temporale Ciò vale per tutte le etiologie dello SC. Poiché la prima LVEF è forte predittore di mortalità intraospedaliera si raccomanda comunque l’esecuzione di un esame in rapporto “ anche non stretto in senso temporale “ con l’episodio che ha condotto al ricovero: occorre cioè un punto di partenza, che si è visto esser poco influenzato dal timing durante il ricovero, per il follow up dello SC ai fini della stratificazione prognostica (4,5) Bibliografia: 1)Gandhi S K, Power J C, Nomeir AM, Fowle K, Kitzman D, Rankin K M, Little W C- The pathogenesis of acute pulmonary edema associated with Hypertension.New Eng J Med 2001;344; 17-22. 2) Vasan R S,Levy D- Defining diastolic Heart failure. A Call for standardized diagnostic criteria. Circulation 2000, 101:2118-2121 3)ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2008. The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure 2008 of the European Society of Cardiology. Developed in collaboration with the Heart Failure Association of the ESC (HFA) and endorsed by the European Society of Intensive Care Medicine (ESICM) European Heart Journal 2008 29, 2388–2442). 4)Moreo A, De Chiara B, Cataldo G, Piccalò G, Lobiati E, Parolini M et al. Prognostic Value of serial Measurement of left ventricula Function and exercise Performance in Chronic Heart Falure Rev Esp Cardiol 2006,59:905-910);
Abstract
POSTER 5) Herbert K, Bulcao Macedo F Y,Trahan P, Tamariz L, Dias A,. Palacio A, Archement L M. Routine serial Echocardiography in systolic heart failure: It is time for the Heart Failure Guidelines to Change?Congest Heart Fail 2011;17:84
Abstract
POSTER EOSINOPHILIC GASTROENTERITIS: A CASE REPORT Biagi P., Abate L., Carmine Mellone C., Nardi P., Mucci L USL7 UO Medicina Montepulciano Email: [email protected] Ipotesi. INTRODUCTION Eosinophilic gastrointestinal diseases (EGIDs) are a heterogeneous group of diseases (eosinophilic esophagitis [EoE], eosinophilic gastroenteritis, and eosinophilic colitis) characterized by gastrointestinal symptoms and increased eosinophils in the intestinal parietal wall. EGIDs patients may be schematically divided into subtypes with respect to the anatomical location affected by eosinophilia; ie, mucosal (with the ensuing prevalent symptoms of diarrhea and bleeding), muscular (obstruction), and serosal (ascites) disease. The diagnosis for EGIDs is established after ruling out other causes of an eosinophilic disease, particularly atopy, parasitic infestations, vasculitis, and hypereosinophilic syndrome (HES). We report a case of widespread EG with associated involvement of colonic mucosa (EC) in which symptoms dramatically responded to a course of steroids, as demonstrated by careful follow up. Materiali e metodi. CASE REPORT A 64-year-old man was admitted in the Internal Medicine department complaining of two months lasting watery diarrhea ( about 20 stool passages/d ), weight loss, no abdominal pain and vomiting. He denied taking any drugs or herbal medicines. A physical examination of the abdomen was negative. Initial laboratory investigations showed a white cell count of 7600/mm3 with 60% neutrophils, 32% lymphocytes, 6% monocytes, and 1% eosinophils (an absolute eosinophil count of 76/mm3), low albumin ( 3g/dL), low IgG (497 mg/dL) and increased IgE level ( 282 U/ml). Tests for antinuclear factor, rheumatoid factor, antineutrophilic cytoplasmic autoantibody, were all negative. Coeliac disease antibodies tests were negative, so were thyroid in vitro function tests, hepatitis A,B and C markers. CEA was 23 ng/ml ( NV< 5ng/ml), Ca 19-9; Ca 125, Ca 15,3 and AFP were within normal range. Stool examination for ova and parasites were within normal limits RAST testing for a battery of allergens, including common foods, was negative. Abdomen TC scan was negative apart from minimal widening of the abscending colonic wall (above all coecum) and small lymphnodes at the ilum hepatis. A gastroscopy was performed: it showed marked edema of the gastric antrum and narrowing of the pyloric ring. The duodenum also showed mucosal edema with erythema. Biopsies of the gastric antrum and proximal and distal duodenum revealed flattening of microvilli, inflammation with eosinophilic infiltration. A colonoscopy showed patched marked erytema and mucosal edema, and some small sigmoid diverticula. Biopsies of rectum, sigma and abscending colon revealed architrectural distortion and dilatation of cryptae, microabscesses and eosinophilic infiltration of the colonic mucosa. Prednisolone 50 mg/die was prescribed with complete remission of diarrhea in about one week and the patient discharged in follow up. About a month later the patient’s bowel habit were still normal (one passage of well formed stool a day), he had gained 2 Kg. A new gastroscopy was near normal with histologic pattern of minimal fibrosis of lamina propria without eosinophils, while the endoscopic pattern of colonic mucosa was near the same and biopsies showed cryptae with eosinophil microabscesses, eosinophil infiltration of tonaca propria: a picture not different from the first examination. Prednisone was continued at the same dosage and mesalazine was added ( 800mg/d/os).
Abstract
POSTER After two months, while the patient was still asymptomatic, a further endoscopic investigation was performed. Endoscopic esofageal, gastric and duodenal patterns as well histologic findings were still normal , colonscopy still showed mild erythema at the sigmoid mucosa but no edema. Biopsies showed minimal / near normal presence of eosinophils in the middle layers of the mucosa At six months the patient is well. Risultati. DISCUSSION Four criteria are required for the diagnosis of EG namely presence of gastrointestinal symptoms, eosinophilic infiltration of gastrointestinal tract, exclusion of parasitic disease or other identifiable cause of eosinophilia and absence of other systemic involvement. The presence of peripheral eosinophilia is not a universal phenomenon. To date the epidemiology of other EGIDs is unknown; about 300 cases have been reported in medical literature since the initial description of this disease by Kaiser and data are limited to case reports and small series but is reasonably possible that it may be more frequent . Approximately 50% of patients with EG have a history of allergy (eg, asthma, rhinitis, drug and food allergy and eczema ). An immune mechanism for eosinophilic inflammation with a potential role for food allergens and a critical role for cytokines has been postulated . The presence of peripheral eosinophilia, abundant eosinophils in the gastrointestinal tract, the T cells proliferation in lamina propria in response to milk protein and secretion of IL13 and finally dramatic response to steroids provide some support that the disease is mediated by a Ig-E mediated mechanism. In our there was no history of allergy. No positive food allergen could be demonstrated in our case, and the associated mild colonic involvement makes it in this way akin to the pure eosinophilic colitis ( EC ) than to the more frequent form of EG for it is well known that rarely EC is associated with a positive IgE RAST test. Otherwise we observed in this patient a six folds increase of total IgE and although we have not supportive tests for food-induced allergy nor we tried elimination diets, the very good clinical response to steroids make plausible, that is not definitely exclude, the hypothesis of an IgE-mediated phenomenon. TabI.- Classification and differential diagnosis of eosinophilic gastroenteritis. Primary eosinophilic gastroenteritis
Mucosal
Muscular
Serosal
Secondary eosinophilic gastroenteritis and/or differential diagnosis
Infections and parasitic infestations
Hypereosinophilia syndrome
Inflammatory bowel disease
Celiac disease
Autoimmune disease, vasculitis
Connective tissue disease
Medications
Transplantation
Inflammatory fibroid polyps Modified from Khan S, Eosinophilic gastroenteritis Best Practice & Research Clinical Gastroenterology Vol. 19, No. 2, pp. 177–198, 2005
Abstract
POSTER Conclusioni: So the concluding remarks of this case may be summarized in the following issues: 1) widespread involvement of the intestine mucosa with involvemnent to the entire colon 2) scant symptomatology characterized only by watery diarrhea with a minimal malabsorption syndrome 3) rapid clinical response to steroids 4) persistence of an inflammatory pattern of colonic mucosa can raise the suspect that the clinical picture could be consequence of an an overlap disease REFERENCES 1. EGIDs Working Group: Furuta G T, Forbes D, Boey C, Dupont C, Putnam P, Roy S K, Sabra A, Salvatierra A, Yamashiro Y, Husby S. Eosinophilic Gastrointestinal Diseases (EGIDs)Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition, 2008, 47:234–238) 2. Chang JY, Choung RS, Lee RM, Locke GR, Schleck CD, Zinsmeister AR, Smyrk TC, Talley NJ. A shift in the clinical spectrum of eosinophilic gastroenteritis toward the mucosal disease type. Clin Gastroenterol Hepatol. 2010;8:669) 3. Khan S, Orenstein SR. Eosinophilic gastroenteritis. Gastroenterol Clin North Am 2008; 37: 333-348, 4. Straumann A, Simon HU. The physiological and pathophysiological roles of eosinophils in the gastrointestinal tract. Allergy 2004; 59: 15–25.) 5. Kaijser R. Zur Kenntnis der allergischen Affektionen des Verdauungskanals vom Standpunkt des Chirurgen aus. Arch; Klin Chir 1937;188:36–64 6. Conus S, Simon H. General laboratory diagnostics of eosinophilic GI diseases Best Practice & Research Clinical GastroenterologyVol. 22, No. 3, pp. 441–453, 2008 7. Wedemeyer J, Vosskuhl K. Role of gastrointestinal eosinophils in inflammatory bowel disease and intestinal tumours. Best Pract Res Clin Gastroenterol 2008;22:537–49.) 8. Katsanos KH, Zinovieva E, Lambri E, Tsianos E V. Eosinophilic-Crohn overlap colitis and review of the literature, Journal of Crohn's and Colitis (2011),doi:10.1016/j.crohns.2011.02.009 9. Ingle S B, Patle Y G. Murdeshwar H G, Pujari G P A case of early eosinophilic gastroenteritis with dramatic response to steroids ( letter to editor ) Journal of Crohn's and Colitis (2011) 5, 71–72).
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IL SEGNO DI TROISIER. ANALISI DI UNA DIAGNOSI DIFFICILE DI ADENOCARCINOMA GASTRICO Boccacci S. (1); Bisogno S.(1); Campanella G.(1); Gobbini A.(1); Picone A.(2) (1)Medicina Interna; (2)Sez. Radiologia ‐ Ospedale Abbadia S.Salvatore ‐ U.S.L. 7 Siena Email: [email protected] CASO CLINICO: donna di 38 anni, si ricovera per tosse secca e persistente, associata a neusea ed episodi di vomito. In anamnesi: una gravidanza, nessun aborto, frequenti episodi di cefalea, nessun altro dato di rilievo. Esame obiettivo: al torace crepitazioni in campo polmonare medio sin. e basale destro; linfoadenopatie palpabili in sede sopraclaveare e laterocervicale sin. Per il resto nulla di rilevante. L'RX Torace mostrava estese opacità di entrambi i polmoni, apparentemente di pertinenza interstiziale con quadro di tipo reticolo‐micronodulare. Gli esami di laboratorio di routine risultavano sostanzialmente nella norma ad esclusione della VES=57 e della calcemia=7,9 mg/dl. Una HRTC del torace documentava numerose aree di ground‐glass omogeneamente distribuite e linfoadenopatie mediastiniche. La successiva broncoscopia diagnostica evidenziava intensa flogosi della mucosa bronchiale e venivano effettuati broncolavaggio nel LSD ed agoaspirato di linfonodo laterocervicale sin. Nel frattempo mentre la paziente praticava terapia antibiotica e sintomatica, erano stati dosati i marcatori neoplastici tra i quali risultavano positivi CEA , CA 125 , CA 15.3. Sono stati quindi richiesti una EGDS nella quale si evidenziavano, a livello antrale, papule erosive sulle quali venivano effettuati prelievi bioptici ed una TC addome dove emergevano la presenza di linfoadenopatie e di numerose aree di addensamento a livello dei corpi vertebrali La diagnosi istologica è stata di adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, confermata nell'istologia del linfonodo. CONCLUSIONI: la linfoadenopatia metastatica sovraclaveare sinistra associata frequentemente alla patologia tumorale dello stomaco era stata descitta da Troisier nel 1886. Trattandosi di un segno tardivo, il suo riconoscimento non ha modificato il decorso clinico e la prognosi infausta, tuttavia in questo caso a presentazione atipica è risultato utile per lo sviluppo di un corretto iter diagnostico.
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LA PATOLOGIA ATEROSCLEROTICA DEL DISTRETTO MESENTERICO Brunelleschi G., Andreucci MC, Neri F., Taddei P., Natali A., Ercolini L. Ospedale Civile Di Lucca Email: [email protected] Ipotesi. LA PATOLOGIA ATEROSCLEROTICA DEL DISTRETTO MESENTERICO L'incremento della vita media ha evidenziato come la patologia aterosclerotica non sia solo a carico dei "Classici Distretti" come l'Encefalo, il Cuore, i Reni e gli Arti Inferiori, ma anche a carico di organi ed apparati "apparentemente meno nobili" come quello Gastrointestinale Materiali e metodi. Negli ultimi tempi abbiamo "focalizzato" la nostra attenzione sui alcuni pazienti che presentavano sintomatologia dolorosa addominale, prevalentemente post‐prandiale, in cui non avevamo riscontrato alterazioni endoscopicamente significative. A 2 pazienti di sesso femminile G.R. e P.S., rispettivamente di 91 e 80 aa, giunte alla nostra osservazione per dolore addominale (risolvibile con uso di nitroderivati) e notevole riduzione del peso corporeo (fino a 10 kg), è stato eseguito uno studio vascolare addominale completo con Ecografo Acuson Sonda Convex sia durante la fase di digiuno che a distanza di 2 ore dal pasto. Vari erano le comorbilità emerse in fase anamnestica: Diabete Mellito Non Insulino Trattato, Cardiopatia Ischemica Cronica, Ipertensione Arteriosa Essenziale, pregressa Mastectomia Radicale e Colecistectomia. Risultati. Lo studio Ecocolordoppler Addominale della paziente G.R. é stato relativamente semplice in quanto già a digiuno presentava un quadro di Stenosi Emodinamica, segmentaria, a carico della Arteria Mesenterica Superiore con velocità di picco sistolico oltre i 4.5 m/sec. Lo studio Ecocolordoppler Addominale della paziente P.S. é stato invece più complesso in quanto a digiuno venivano evidenziate solo modeste e "poco significative" alterazioni emodinamiche pur in presenza di ateromasia stenosante a carico della porzione iniziale del Tripode Celiaco. Il successivo studio post‐prandiale ha invece evidenziato un netto incremento della velocità di picco sistolico oltre i 4 m/sec. indicativa per Stenosi Emodinamica. Le due pazienti sono state inviate in Chirurgia Vascolare per eseguire studio angiografico (che ha confermato il quadro descritto dall'esame ecografico) e per il posizionamento di Stent a cui è seguita la rapida scomparsa della sintomatologia dolorosa post‐prandiale. Conclusioni. Sempre più pazienti anziani presentano disturbi digestivi legati alla "difficile" vascolarizzazione del distretto mesenterico e spesso misconosciti in quanto è consuetudine andare alla ricerca di cause endoscopicamente rilevabili. Occorre pertanto porre più "attenzione" alla patologia vascolare del distretto mesenterico nell'inquadramento clinico e strumentale del paziente anziano con disturbi digesti "non ben definiti".
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EPIDEMIOLOGIA DELLE ANEMIE GRAVI: UN REPORT PRELIMINARE. Cei M., Mumoli N., Camaiti A. UO Medicina 1 Email: [email protected] Ipotesi. Le anemie sono patologie che, secondo la normativa, dovrebbero essere gestite senza ricorso al ricovero in degenza. Tuttavia, non esiste letteratura a supporto di questa raccomandazione, ed anzi sono disponibili studi che rimarcano come gradi crescenti di anemizzazione siano associati ad incrementata mortalità e morbilità. Questo studio si propone di esaminare le principali variabili epidemiologiche associate alle forme più gravi di anemia. Materiali e metodi. Sono stati inclusi tutti i casi di anemia ricoverati in Medicina Interna per la diagnosi e il trattamento di anemie gravi. Il criterio di inclusione è stato la presenza di un’Hb < 6.0 g/dL, scelto arbitrariamente visto il continuum di rischio associato alla progressiva anemizzazione. Per tutti i casi abbiamo registrato età, genere, provenienza, valore di Hb, MCV, presenza di piastrinopenia e leucopenia, numero assoluto di linfociti, trasfusioni effettuate, durata ed esito della degenza, numero delle procedure invasive richieste. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico Locale Risultati. Sono stati registrati 45 casi di anemia grave in pazienti prevalentemente anziani (età media 79.9 anni, range 37‐98), in gran parte di genere femminile (F:M = 3.5:1). L’Hb media è stata di 5.1 g/dL (range, 3.4‐6). Le anemie microcitiche sono risultate più frequenti, rispetto a quelle normocitiche e macrocitiche (23, 13 e 9 casi rispettivamente). In 10 casi era presente anche leucopenia e in 10 piastrinopenia. In 23 casi era presente una conta linfocitaria (intesa come marcatore surrogato di denutrizione) < 1500/mmc. In totale i pazienti hanno richiesto la trasfusione di 175 unità di emazie concentrate (media, 3.9 per paziente; range 0‐8) e una degenza media piuttosto lunga (11 giorni, range 1‐33), durante la quale sono andati incontro, in media, a una procedura invasiva. L’8.9% dei pazienti è deceduto durante il ricovero e il 6.7% è stato trasferito in UO a più alto regime assistenziale. Conclusioni. Questi dati preliminari evidenziano come le anemie gravi dell’anziano frequentemente siano associate a mortalità e morbilità non trascurabili, e di importante consumo di risorse. La decisione di deospedalizzare questi pazienti dovrebbe individualizzata piuttosto che essere stabilita a priori senza una stratificazione del rischio.
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LE INFEZIONI DA GERMI ESKAPE IN MEDICINA INTERNA. Cei M., Mumoli N., Mantellassi M., Pardelli R., Sani S. UO Medicina 1 Email: [email protected] Ipotesi. Il Registro Infezioni in Medicina Interna (REGIMEN) è uno studio osservazionale di tutti gli isolati batterici e fungini registrati in un reparto di Medicina Interna. Attraverso l’analisi del registro è possibile conoscere l'epidemiologia delle infezioni da microrganismi del gruppo ESKAPE (Enterococcus, S. aureus, Klebsiella, Acinetobacter, Pseudomonas, Enterobacter), la cui diffusione pone sempre maggiori problemi di antibiotico resistenza. Materiali e metodi. Tutti gli isolati microbici dall’ottobre 2009 all’agosto 2011 sono stati esaminati per rilevare la frequenza dei germi del gruppo ESKAPE. Sono state registrate le principali variabili epidemiologiche. La sensibilità agli antibiotici è stata valutata secondo i criteri CLSI. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico Locale. Risultati. 504 campioni microbiologici sono stati esaminati nel REGIMEN: 244 da urine, 189 da sangue, 71 da cute ed essudati vari. In un terzo delle infezioni batteriche (156/469, 33.3%) sono stati isolati microrganismi del gruppo ESKAPE. Queste infezioni sono state più frequentemente acquisite in ospedale che in comunità (55.7 vs. 48.8%) e la mortalità è stata doppia nei confronti del reparto in generale (22.4 vs. 11.3%; OR 2.56, 95% CI 1.73‐3.78, p<0.01). 20/26 (77%) casi di resistenza ai carbapenemici sono stati attribuiti a germi di questo gruppo. Conclusioni. I microrganismi del gruppo ESKAPE sono frequentemente implicati in infezioni correlate all’assistenza nei pazienti ammessi in Medicina, presentano speciali problemi di antibiotico‐resistenza e sono causa di elevata mortalità
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UN CASO DI CANCRO DEL COLON CON METASTASI OSSEE ISOLATE Ciucciarelli L., Verdiani V., Mancini A., Pieralli F., Bazzini C., Antonielli E., Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOUC – Firenze Email: [email protected] Ipotesi. Il cancro del colon metastatizza in genere a fegato, polmoni ed encefalo, raramente all’ osso. Solitamente le metastasi ossee sono diffuse e si trovano in prossimità di metastasi di altri organi. Molto raramente sono descritti casi di metastasi ossee isolate. Materiale e Metodi. Descriviamo il caso di un uomo di 64 anni, con storia di cancro del colon destro sottoposto ad emicolectomia e a chemioterapia. Il paziente era affetto da gammopatia monoclonale IgM lambda, Bence Jones negativa. Il paziente è giunto alla nostra osservazione un anno dopo l’intervento chirurgico per il rilievo di anemia normocromica normocitica e piastrinopenia con eritroblasti nello striscio periferico e dolori ossei diffusi. Risultati. Una TC torace‐addome ha documentato metastasi ossee, senza interessamento epatico e polmonare. Una scintigrafia ossea e una PET hanno mostrato lesioni ossee diffuse, in assenza di altre lesioni parenchimali. Una BOM ha evidenziato una massiva infiltrazione cancerigna di origine colica. Il paziente è deceduto dopo due settimane per insufficienza respiratoria acuta. Conclusioni. Con l’aumento della sopravvivenza legato ai trattamenti chemioterapici, si assiste ad un aumento dell’ incidenza di metastasi ossee isolate da cancro del colon.
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IL BNP NELLA DIAGNOSI DELLA SINCOPE CARDIOGENA.WORK‐UP DIAGNOSTICO NEL DIPARTIMENTO DI EMERGENZA Cuomo A., Lagi A. DEA SMN ‐ Firenze Email: [email protected] Ipotesi. Il Peptide cerebrale Natriuretico (BNP) si adatta bene allo screening del paziente con sincope in Pronto Soccorso (dove deve essere fatta una diagnostica tempo‐dipendente della transitoria perdita di coscienza) in quanto e’ in grado di individuare una cardiopatia strutturale ed inoltre aumentando nelle aritmie parossistiche sia ventricolari che atriali puo’ essere indicatore di una possibile recente aritmia non più evidenziabile al momento dell’osservazione. Nel nostro studio l’ outcome primario fu quello di confrontare differenti cut‐off del BNP con la diagnosi di Sincope cardiogena e l’ outcome secondario fu individuare una differenza di valori del BNP all’interno delle sincopa cardiogena, fra cardiopatia strutturale e aritmica. Materiali e metodi. Sono stati arruolati i pazienti consecutivi di età > 18 aa presentati presso il DEA dell’Ospedale S. Maria Nuova di Firenze per episodio di perdita di coscienza transitoria. Tutti i pazienti selezionati sono stati sottoposti a work up diagnostico secondo le indicazioni della Società Europea di Cardiologia e al dosaggio del BNP entro l’ottava ora dalla transitoria perdita di coscienza. Il cut‐off usato per valutare la sensibilità, la specificità e il valore predittivo del BNP fu per valori > 100 pg/ml e > 300 pg/ml (il primo è riferito ai valori di normalità della metodica, il secondo ai livelli di sensibilità e specificità considerati più adeguati per lo screening dell’insufficienza cardiaca Risultati. Da Luglio 2010 a Dicembre 2010 sono stati arruolati 195 casi consecutivi con T‐LOC. Alla fine del work up diagnostico si ebbe una diagnosi definita in 165 pazienti (84%) con la seguente distribuzione: la Sincope cardiogena aritmica primitiva o aritmica secondaria a cardiopatia organica (21%), la Sincope ortostatica o disautonomica (20%), la Sincope neuromediata (29%), la Sincope psicogena (3%), la Sincope indeterminata (15%), l’Epilessia (12%). I pazienti furono stratificati in base all’ ECG patologico, all’ Anamnesi di cardiopatia, al numero di soggetti con BNP > 100 pg/ml e ciascun tipo di sincope fu correlato ai valori medi di BNP. Il maggior numero di pazienti con BNP elevato si trova nella sincope cardiogena (64%), cosi come anche i valori medi (507 pg/ml) e di range piu’ alti (142‐996 pg/ml). Il dato fondamentale che appare dal nostro lavoro è che il BNP è da considerarsi come un rule out nella diagnosi di sincope cardiogena, sulla base dell’elevato valore predittivo negativo (VPN) (90 % con cut off 100 pg/ml). L’ utilizzazione di un differente cut off, 300 pg/ml invece di 100 pg/ml, permette di migliorare la specificità della diagnosi di sincope cardiogena (94 % vs 82%) eliminando la maggior parte dei casi di sincope riflessa e di sincope ortostatica, però peggiora la sensibilità e non migliora il VPN. Il dato non migliora se si considera la combinazione ECG patologico, Anamnesi di cardiopatia e BNP positivo a causa della riduzione del numero di pazienti che presentano le tre combinazioni, fatto che aumenta la specificità ( 94% ), peggiora la sensibilità e non migliora il VPN. Il BNP è risultato elevato nelle sincopi vere ed è sempre rimasto nella normalità nelle Syncope – like (sincope psicogena ed epilessia ).
Abstract POSTER
Non fu trovata alcuna correlazione fra valori patologici di BNP e tipo di cardiopatia, in particolare nessuna differenza fra le cardiopatie strutturali e aritmiche Conclusioni. Nel complesso vi sono elementi per sostenere l’idea che il BNP nel ED possa diventare un Test di primo impiego, volto ad escludere che un paziente sia affetto da sincope cardiogena. Il dato appare statisticamente forte, di facile utilizzazione e quindi destinato almeno ad affiancare le indagini strumentali
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LESIONE FOCALE EPATICA: DIFFICILE DIAGNOSI DIFFERENZIALE De Crescenzo V., Amendola A., Cercignani M., Magaldi M., Prugnola C., Manini M. Area funzionale Medica, Presidio Ospedaliero "Colline dell'Albegna" UOC Med. Int. USL 9 Grosseto Email: [email protected] Ipotesi. Introduzione: il riscontro di una lesione focale epatica solida in donna che ha assunto estroprogestinici deve far considerare come prima ipotesi diagnostica quella di un adenoma o di una iperplasia nodulare focale (FNH); Talii lesioni si riscontrano quasi esclusivamente nelle donne in età fertile, dopo una gravidanza o terapia ormonale. La prevalenza della FNH è superiore a quella dell’adenoma con rapporto 8:1. E’ fondamentale differenziare le due lesioni perchè prognosi e la terapia sono diverse. L’adenoma ha la tendenza ad accrescersi lentamente ed ha tendenza al sanguinamento; può anche degenerare in HCC. La FNH non tende ad accrescersi, regredisce nel 50% dei casi dopo sospensione di estroprogestinico. Non presenta rischio di sanguinamneto ne degenerazione neoplastica. L’adenoma non possiede aspetto ecografico tipico, pertanto ne ecografia ne altri esami di imaging (TC ed RMN) hanno sicuro potere diagnostico differenziale. Se la diagnosi rimane incerta la biopsia ecoguidata con ago sottile riveste un ruolo importante nella diagnosi di adenoma ma comporta possibilità di sanguinamento. Materiali e metodi. si riscontratrava occasionalmente, in una donna di 45 anni, durante una ecografia addome superiore la presenza di una leisone a carico dei IV segmento epatico di non univoca interpretazione compatibile con adenoma epatico ma meritevole di rmn con mdc; la paziente eseguiva tc addome che suggeriva natura maligna di suddetta lesione ed rmn addome suggestiva per adenoma; non veniva eseguita biopsia ecoguidata poichè vi era il forte sospetto si trattasse di adenoma al alto rischio di sanguinamento. Risultati. Risultati: Paziente sottoposta ad epatectomia sinistra per lesione solida in diagnosi differenziale tra HCC ed adenoma con quadro istologico indicativo di iperplasia focale nodulare. La nostra paziente era nullipara e non aveva mai assunto estroprogestinici. Conclusioni. Conclusioni: L’iperplasia nodulare focale (FNH) è uno pseudotumore costituito da lamine di epatocili tipici separati da sinusoidi contenenti sia dotti biliari che cellule di Kupffer; Solitamente singoli, raramente coinvolgono il fegato massivamente. Diversamente dall’adenoma epatico la FNH ha solitamente caratteristiche ecografiche tipiche: cicatrice stellata centrale ed aspetto Doppler “a ruota di carro”. In alcuni casi tuttavia tale aspetto può non essere evidenziabile ed è necessario eseguire ulteriori indagini per differenziarla da adenoma e/o da HCC. Nel nostro caso solo l’esame istologico ha definito la diagnosi.
Abstract POSTER RARO CASO DI GANGLIONEUROBLASTOMA IN ADOLESCENTE CON ANEMIA SIDEROPENICA De Crescenzo V., Dr. Cascinelli I., Gori E., Guglielmi S., Marietti P., Mazzi A. Nardi M., Rossi F., Manini M. Area Funzionale Medica, Presidio Opedaliero "Colline dell'Albegna" UOC Med. Int. usl 9 Grosseto Email: [email protected] Ipotesi. Introduzione: il neuroblastoma (NB ) ha come sede principale di malattia la midollare del surrene (40%) e i gangli spinali midollari (25%); sedi meno frequenti sono il torace (20%), pelvi (5%) ed altre. L’età media di esordio è di circa 22 mesi, il 90% dei casi è diagnosticato prima di sei anni; è eccezionale nell’adolescenza e nell’adulto.istologicamente è distinto in tre tipi: A) NB classico (istotipo maligno); B) neuroganglioblastoma distinto in forma nodulare ed intermixed (forma intermedia potenzialmente maligno e metastatico); C) NB (benigno); nella localizzazione addominale nel 60‐70% dei casi è presente una massa fissa che determina anoressia e dolori addominali. Sono descritte due importanti sindromi paraneoplastiche: diarrea secretiva, legata alla produzione di VIP e l’opso‐mioclono presente nel 4% dei casi. I metodi diagnostici per definire massa primaria ed estensione di malattia sono: indagini radiologiche (TC e/o RMN), nucleari (scintigrafia), indagini metaboliche (dosaggio catecolamine urinarie), e valutazione dell’infiltrazione del midollo osseo (BOM). Materiali e metodi. Caso clinico: giovane donna di 17 anni, si recava in ps per diarrea persistente da alcuni giorni, associata a malessere generalizzato, febbricola ed artralgie. Obiettività cardiorespiratoria ed addominale negativa. Gli esami evidenziavano una anemia ipocromica microcitica significativa (Hb pari a 7 g/dl) e pertanto la paziente veniva ricoverata in area medica; indagini laboratoristiche: anticorpi per celiachia negativi; SOF negativi; ferritina 6 ng/dl; la valutazione ginecologica escludeva correlazione tra flusso mestruale ed anemia ferropriva; rx del torace negativo, ecografia dell’addome che evidenziava una massa solida e disomogenea di circa 9 cm, localizzata tra il lobo epatico destro e la regione polare superiore del rene destro. Veniva pertanto a completamento diagnostico richiesta una RMN addome e pelvi. Risultati. Risultati: la RMN addome superiore con mdc evidenziava una massa retroperitoneale debolmente vascolarizzata di circa 11 cm, collocata posteriormente al lobo epatico destro, tra questa faccia vascolare e polo renale superiore senza alcun segno infiltrativo. Il reperto deponeva per neoformazione retroperitoneale primitiva. Per stadiazione eseguiva: TC torace‐addome con mdc che non mostrava lesioni secondarie; agobiopsia tc guidata suggestiva per neuroblastoma con abbondante stroma schwannico ed elementi neuronali maturi ed in via di maturazione; dosaggio urinario di VAM 4,6 mg/urine 24 ore (vn 0.10 – 0.18 mg/Kg peso corporeo/24 ore) e NSE 14,7 ng/mL (vn < 13) Veniva eseguito intervento chirurgico: asportazione della massa con surrenectomia destra ed appendicectomia complementare; l’esame istologico definitivo deponeva per un tumore neuroblastico intermixed; la neoplasia non coinvolgeva i frammenti surrenalici asportati contestualmente ne l’appendice; S 100+; MIB<1%. Ricerca amplificazione N‐MYC:assente. Non è stata necessaria altra terapia. Attualmente libera da malattia, assenza dii anemia sideropenica e dei restanti sintomi (compresa la diarrea). Conclusioni. La particolarità del caso clinico sopra riportato è riferibile alla assoluta rarità dell’età in cui è stata diagnosticata la patologia e dalla singolare presentazione clinica con diarrea ed anemia ferropriva che ha portato la paziente al ricovero.
Abstract
POSTER TROMBOSI ACUTA E ESTESA DELLA VENA PORTA NEL PUERPERIO Degl'Innocenti D. ASL N.4 PRATO Email: [email protected] Ipotesi. La trombosi della vena porta è una condizione spesso multifattoriale. Materiali e metodi. Paziente di sesso femminile, razza caucasica, di anni trentacinque, non fumatrice, afferisce al DEA per sintomatologia dolorosa, presente da circa cinque giorni, localizzata in sede epigastrica con carattere trafittivo-gravativo, continuo, che si acuisce con i colpi di tosse, gli atti respiratori e in decubito supino e si associa a modesta sensazione di nausea; circa quindici giorni prima aveva partorito una bambina con parto eutocico e attualmente la stava allattando.La paziente era stata sottoposta a splenectomia circa un mese prima l’inizio della gravidanza per neoformazioni cistiche spleniche che all’esame istologico (“splenopatia fibrocongestizia”) risultavano a prognosi benigna. Risultati. Dalla revisione della cartella ostetrica si rileva epatogestosi con presenza di colalemia elevata e comparsa dell’incremento della conta piastrinica intorno a 500.000 al terzo trimestre della gravidanza.Obiettivamente alla palpazione superficiale e profonda dell’addome si evoca dolorabilità in sede epi-mesogastrica.Gli esami ematochimici permettevano di documentare:VES 97,conta piastrinica pari a 744(10^3μL).La valutazione ginecologica segnala: utero in involuzione dimensionale nei limiti per l’epoca puerperale; profilo dell’organo regolare con piccola fluidità anecogena endometriale.L’ecocografia dell’addome documenta esteso processo di trombosi acuta che interessa il tronco della vena porta e la vena mesenterica superiore con estensione parziale in sede intraepatica;fegato nei limiti per morfologia e dimensioni ,esente da lesioni focali. Conclusioni. Lo stato di gravidanza e il puerperio,la pregressa splenectomia ,la piastrinosi hanno concorso allo sviluppo della trombosi dell’asse venoso portale-mesenterico.
Abstract POSTER
EFFETTI CLINICI, BIOCHIMICI ED ECOCARDIOGRAFICI DOPO AGGIUNTA DI IVABRADINA ALLA TERAPIA CONVENZIONALE DELLO SCOMPENSO CARDIACO CON FUNZIONE SISTOLICA CONSERVATA IN PAZIENTI CON CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA Foretic M., Bartoli D., Vecchiarino S., Corradi F., Innocenti R. Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi Email:[email protected] Ipotesi. Le malattie cardiovascolari e lo scompenso cardiaco restano la principale causa di morte della popolazione generale. Sebbene lo scompenso cardiaco sistolico rimanga, in termini di incidenza, la patologia cardiovascolare più comune, nei reparti di medicina interna si osserva un incremento di pazienti affetti da scompenso cardiaco con funzione sistolica conservata. L’incidenza dello scompenso cardiaco con caratteristiche cliniche ed ecocardiografiche compatibili con una diagnosi di scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata nei reparti di Medicina Interna, secondo lo studio PRESYF‐HF (PREserved Systolic Function‐Heart Failure‐Toscana), è pari a circa 1/3 dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco (33,1 vs 66,9%). Il substrato fisiopatologico è rappresentato dalla disfunzione diastolica, documentata da un esame ecocardiografico. L’approccio terapeutico allo scompenso cardiaco diastolico è, attualmente, empirico e si basa, essenzialmente sulle indicazioni fornite sulle principali Linee Guida Nazionali e Internazionali per lo scompenso cardiaco sistolico. L’ivabradina è un farmaco appartenente ad una nuova classe (inibitori f‐canali) il cui effetto anti ischemico è conseguente ad una modulazione della frequenza cardiaca, ad una riduzione del consumo di ossigeno, ma anche ad un miglioramento del flusso coronarico in fase diastolica, grazie ad un “prolungamento” della diastole. L’ipotesi di studio è stata verificare se l’ivabradina potesse esercitare nei pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata un effetto favorevole anche sulla fase diastolica con miglioramento, oltre che dei parametri clinici, di performance status, di qualità di vita e dei parametri biochimici, anche degli indici di disfunzione diastolica misurati con esame ecocardiografico.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati e arruolati pazienti di età compresa fra 50‐90 anni ricoverati presso la Medicina Interna 1 dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi e dimessi con diagnosi di sconpenso cardiaco diastolico di vario grado documentato con un ecocardiogramma basale eseguito durante il ricovero stesso. L’eziopatogenesi dello scompenso doveva essere riconducibile ad una cardiopatia ischemica cronica documentata angiograficamente o mediante test provocativo e/o a una cardiopatia ipertensiva. I pazienti sono stati sottoposti ad una visita ambulatoriale basale nel corso della quale sono stati eseguiti valutazione clinica con assegnazione a specifica classe NYHA, prelievo dell’NTpro‐BNP, esecuzione del 6 minutes walk corridor test e somministrazione del questionario sulla qualità di vita e stato di salute (questionario Sf36) ed ecocardiogramma con studio approfondito degli indici di disfunzione diastolica (E/A, E/E’, DT, IVRT, S/D) con assegnazione della disfunzione diastolica ad una classe I (alterato rilasciamento diastolico), II (moderata), III (severa). La classe di disfunzione diastolica veniva meglio definita, tuttavia, dalla congruenza multiparametrici degli indici diastolici. I pazienti, dopo la prima visita, sono stati suddivisi in due gruppi, i “Controlli”, mantenuti in terapia medica ottimale convenzionale ed un gruppo “trattati” dove l’ivabradina veniva aggiunta, on top, secondo le modalità previste dal piano terapeutico, all’usuale posologia. Il follow‐up dei pazienti si è concluso con una seconda visita a distanza di 6 mesi da quella basale durante la quale sono state ripetute tutte le valutazioni cliniche, strumentali e biochimiche suddette. Nel nostro studio sono stati esaminati 24 pazienti dei quali 9 esclusi per comparsa di FA cronica (2), deterioramento delle condizioni generali conseguenti alle altre importanti comorbilità (3), rifiuto di proseguire lo studio per motivi personali (3), decesso per insufficienza renale end‐stage (1). Il
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campione in esame è stato, pertanto, di 15 pazienti di cui il 46,7% di sesso femminile, con età media 77,7 anni+/‐8,5 e mediana 79. L’eziopatogenesi era riconducibile ad una cardiopatia ischemica cronica (46%) ed una cardiopatia ischemica‐ipertensiva nel 54%. Il 67% aveva più di 4 patologie, il 13% tre e il 20% due.
Risultati. Sono stati selezionati e arruolati pazienti di età compresa fra 50‐90 anni ricoverati presso la Medicina Interna 1 dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi e dimessi con diagnosi di sconpenso cardiaco diastolico di vario grado documentato con un ecocardiogramma basale eseguito durante il ricovero stesso. L’eziopatogenesi dello scompenso doveva essere riconducibile ad una cardiopatia ischemica cronica documentata angiograficamente o mediante test provocativo e/o a una cardiopatia ipertensiva. I pazienti sono stati sottoposti ad una visita ambulatoriale basale nel corso della quale sono stati eseguiti valutazione clinica con assegnazione a specifica classe NYHA, prelievo dell’NTpro‐BNP, esecuzione del 6 minutes walk corridor test e somministrazione del questionario sulla qualità di vita e stato di salute (questionario Sf36) ed ecocardiogramma con studio approfondito degli indici di disfunzione diastolica (E/A, E/E’, DT, IVRT, S/D) con assegnazione della disfunzione diastolica ad una classe I (alterato rilasciamento diastolico), II (moderata), III (severa). La classe di disfunzione diastolica veniva meglio definita, tuttavia, dalla congruenza multiparametrici degli indici diastolici. I pazienti, dopo la prima visita, sono stati suddivisi in due gruppi, i “Controlli”, mantenuti in terapia medica ottimale convenzionale ed un gruppo “trattati” dove l’ivabradina veniva aggiunta, on top, secondo le modalità previste dal piano terapeutico, all’usuale posologia. Il follow‐up dei pazienti si è concluso con una seconda visita a distanza di 6 mesi da quella basale durante la quale sono state ripetute tutte le valutazioni cliniche, strumentali e biochimiche suddette. Nel nostro studio sono stati esaminati 24 pazienti dei quali 9 esclusi per comparsa di FA cronica (2), deterioramento delle condizioni generali conseguenti alle altre importanti comorbilità (3), rifiuto di proseguire lo studio per motivi personali (3), decesso per insufficienza renale end‐stage (1). Il campione in esame è stato, pertanto, di 15 pazienti di cui il 46,7% di sesso femminile, con età media 77,7 anni+/‐8,5 e mediana 79. L’eziopatogenesi era riconducibile ad una cardiopatia ischemica cronica (46%) ed una cardiopatia ischemica‐ipertensiva nel 54%. Il 67% aveva più di 4 patologie, il 13% tre e il 20% due.
Conclusioni. La nostra ipotesi, seppure con i limiti dettati dall’esiguità del campione che ha inficiato la possibilità di ottenere una significatività statistica, secondo cui l’ivabradina è in grado di influenzare positivamente anche la disfunzione diastolica, risulta, nel complesso, soddisfatta e ciò può rappresentare uno stimolo all’organizzazione di trial clinci randomizzati di più ampie dimensioni ed orientati specificatamente alla terapia dei pazienti con scompenso cardiaco diastolico. L’ivabradina, pertanto, potrebbe rivelarsi un presidio terapeutico utile e specifico per questa popolazione di pazienti sempre più numerosa in conseguenza dell’incrementarsi dell’età media della popolazione generale ed ospedaliera affetta da multiple comorbilità.
Abstract POSTER MODELLO DI INTEGRAZIONE MULTIDISCIPLINARE: L’ESPERIENZA DELLA TRAUMATOLOGIA DELL’AOU CAREGGI. Giovannini V., Gensini G.F., Gusinu R., Franchi S., Rostagno C., Petrucci F., Puggelli F. Porchia B., Presicce G., Matarrese D. AOU CAREGGI Email: segreteriads@aou‐careggi.toscana.it Ipotesi. L’Azienda Ospedaliero‐Universitaria Careggi nell’ambito del processo di riorganizzazione del CTO sta implementando un nuovo modello organizzativo che prevede la realizzazione di un’area traumatologica con gestione integrata del paziente da parte di un team clinico multiprofessionale (ortopedici, internisti, geriatri, cardiologi, medici della continuità assistenziale, infermieri, fisioterapisti, operatori socio‐sanitari e assistenti sociali). La scelta deriva dall’esigenza di porre il paziente al centro dell’assistenza e di integrare i diversi apporti professionali in un progetto coordinato di presa in carico del paziente. Materiali e metodi. Il modello prevede che dal momento dell’accesso il team prenda in carico il paziente che proviene dal Pronto Soccorso e decida un percorso condiviso e personalizzato in risposta ai bisogni di cura. L’internista predispone gli esami necessari e gli approfondimenti diagnostici sia nel decorso pre che post operatorio fornendo le indicazioni insieme agli altri professionisti sugli obiettivi da raggiungere dopo la dimissione; quando necessario prende contatto con le strutture di lungodegenza. L’ortopedico ha così la possibilità di concentrarsi maggiormente sugli aspetti pertinenti alla fase chirurgica. È prevista inoltre una valutazione multidimensionale geriatrica per i pazienti di età superiore a 65 anni con comorbosità o disabilità pre‐ricovero, al fine di valutare l’autonomia pre‐frattura e il supporto socio‐familiare. Ciò consente di elaborare, fin dai primi giorni di ricovero, un coerente progetto riabilitativo per prevenire le complicanze mediche del post‐operatorio e predisporre una precoce mobilitazione del paziente. Risultati. Il modello sopradescritto è stato progettato nel 2010 dalla Direzione Sanitaria ed adottato dal settembre 2011 dopo uno studio accurato sulla fattibilità finanziaria ed organizzativa. Si è proceduto con il trasferimento di un medico internista presso la SOD di Traumatologia, punto di riferimento per l’intero staff; dall’ottobre 2011 è stata inserita nel team multidisciplinare una figura geriatrica per far fronte ad una domanda che riguarda spesso la popolazione anziana. Conclusioni. Gli sforzi aziendali sono volti sia a ridurre la degenza preoperatoria, la degenza media, la mobilitazione precoce del paziente, che a minimizzare i casi di complicanze e di riospedalizzazioni precoci. Per i pazienti anziani, inoltre, gli obiettivi principali del progetto sono sintetizzati dagli esiti favorevoli in termini di mortalità, morbosità, disabilità e istituzionalizzazione.
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PSICOSI ACUTA “AUTUNNALE” IN TURISTA GHIOTTO MA POCO ESPERTO DI FRUTTI DI BOSCO Giusti M., Rimediotti R., Dini F., Lelli A., Giovacchini MC., Palandri F., Nardi M., Torracchi O., Frati M., Sichi ML. U.O. Medicina Interna III ‐ Ospedale di San Marcello Pistoiese Email: [email protected] Abbiamo osservato un caso di intossicazione da Atropa belladonna in un soggetto di 75 anni che, durante una escursione in montagna nei boschi dell’Abetone, aveva ingerito alcune bacche credendo che si trattasse di mirtilli; nelle ore successive , durante il ritorno all’albergo, aveva iniziato a manifestare secchezza delle fauci “resistente” all’ingestione di acqua, visione non chiara, incertezza nella deambulazione, malessere generale e confusione mentale. Accompagnato in pronto soccorso dalla moglie, veniva ricoverato in osservazione perché, nonostante un esame obiettivo sostanzialmente nei limiti con parametri vitali normali e senza segni neurologici di rilievo (a parte una midriasi poco responsiva alla luce, a proposito della quale il paziente insisteva sul fatto di un recente intervento chirurgico per cataratta), presentava uno psichismo alterato: nell’esposizione dei dati anamnestici infatti raccontava eventi del passato remoto come accaduti da poche ore; ad es. l’appendicectomia subita in età infantile come eseguita dalla dottoressa di guardia medica che lo aveva visitato un’ora prima; e presentava un allentamento dei normali nessi logici ed associativi ed un eloquio eccessivamente fluente e a tratti deragliante. Dopo una notte di normale riposo, il giorno successivo il quadro clinico e neuropsichico si era normalizzato e le indagine ematiche (con TSH e VDRL) e strumentali (TC del cranio, ecodoppler dei vasi del collo, ecocardiogramma, ecg, rx torace) erano nei limiti. Nelle ore successive il paziente, con l’aiuto dei familiari, ha fornito il dato anamnestico risolutore per la diagnosi: ha ricordato, infatti, di aver ingerito un numero considerevole di “bacche” di colorito scuro di un arbusto che egli ha creduto essere di mirtillo e che invece è Atropa belladonna. Il caso documenta il ruolo diagnostico insostituibile dell’anamnesi : questa dovrebbe essere più completa possibile, reiterata nel tempo, estesa ai familiari, comprensiva anche di notizie “di contorno” . Emerge, inoltre, come un corretto inquadramento clinico possa talvolta richiedere la conoscenza dei rischi “ambientali” , anche quando questi siano solo stagionali (la presenza di bacche è tipica solo del periodo fine estate‐ inizio autunno )
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1. 1 Caksen H et al, Hum Exp Tossicol 2003 Dec;22(12):665‐8 Deadly nightshade (Atropa belladonna) intoxication: an analysis of 49 children. 2. Laffargue F et al, Arch Pediatr. 2011 Feb;18(2):186‐8. Deadly nightshade (Atropa belladonna) intoxication in a 2‐year‐old child. 3. .Bogan R et al, Clin Toxicol (Phila). 2009 Jul;47(6):602‐ 604 Plasma level of atropine after accidental ingestion of Atropa belladonna. 4. Lee MR, J R Coll Physicians Edinb. 2007 Mar;37(1):77‐84. Solanaceae IV: Atropa belladonna, deadly nightshade. 5. Joshi P et al, Postgrad Med J 2003;79:239‐240 Recurrent autumnal psychosis
Abstract POSTER INFEZIONI DA ACINETOBACTER BAUMANNII E PSEUDOMONAS AERUGINOSA MULTIRESISTENTI NEL PAZIENTE CRITICO RICOVERATO IN MEDICINA INTERNA: MARKER O KILLER? Grazzini M., Mancini A., Pieralli F., Vannucchi V., Luise F., Zerini M., Nozzoli C. Ospedale Careggi Email [email protected] Ipotesi. Le infezioni dovute a Acinetobacter baumannii (Ab) e Psuedomonas aeruginosa (Pa) multiresistenti (MDR) sono un problema emergente in particolare nel paziente critico. Non vi sono al momento dati riguardo alla loro incidenza all’interno dei reparti di medicina interna. Riportiamo una casistica riguardante pazienti ricoverati presso il nostro reparto di medicina interna ricoverati da gennaio 2010 a febbraio 2011 con positività per Ab e/o Pa su emocolture, escreato o urinocolture. Abbiamo valutato incidenza, implicazioni prognostiche e terapeutiche di tali infezioni. Materiali e metodi. Studio retrospettivo su 270 pazienti consecutivamente ricoverati presso il nostro reparto. Risultati. Ab e/o Pa sono stati isolati in 39/270 pazienti (25/39 provenivano da un reparto di terapia intensiva). Positività per Ab 72%, per Pa 60%. Incidenza di polmonite 95%. Uso di antibiotici durante l’ospedalizzazione: fluorochinoloni (FQ) 56%, carbapenemi (CP) 66%, cefalosporine (CS) 33%. Mortalità 18%. Sensibilità a colisitina 100%. Conclusioni. Le infezioni nosocomiali dovute ad Ab o Pa sono prevalentemente rappresentate da polmonite associate a ventilazione. L’uso di CP, CS e FQ è associato ad incrementato rischio di sviluppare queste infezioni. Non è chiaro al momento se l’isolamento di Ab o Pa in pazienti ospedalizzati sia solo un marcatore di criticità o un predittore indipendente di mortalità.
Abstract POSTER IL MODELLO PER INTENSITÀ DI CURA NEL DIPARTIMENTO DEL CUORE E DEI VASI DELL’AOU CAREGGI: LO STATO DELL’ARTE. Gusinu R., Franchi S., Matarrese D., Petrucci F., Piccinini C., Tanzini P., Giovannini V., Porchia B., Gensini G.F. AOU Careggi Email: gusinur@aou‐careggi.toscana.it Ipotesi. Il modello di ospedale per intensità di cura prevede la definizione di differenti aree di attività con responsabilità diretta di erogazione di cure al fine di rispondere in modo adeguato ai diversi gradi di instabilità clinica e assistenziale dei pazienti mediante tre livelli quali: • Alta intensità: terapia intensiva, sub‐intensiva, sale operatorie / interventistiche; • Medio‐alta intensità: degenza ordinaria; • Medio‐bassa e bassa intensità: degenza, DH, ambulatori. Nell’AOUC il Dipartimento (DAI) Cuore e Vasi dal 2007 ha riorganizzato le proprie attività per sviluppare tale modello creando un’area di attività di interventistica cardiovascolare in cui si sono registrati nel 2010 più di 1600 ricoveri; dai dati ricavati dai DRG si rileva che la casistica trattata è quasi esclusivamente ad alta complessità. Materiali e metodi. Il DAI Cuore e Vasi ha sviluppato un modello in cui sia organizzativamente che strutturalmente i diversi livelli di intensità di cura sono coincidenti con tre differenti piani di uno specifico Padiglione. Il terzo piano del Padiglione è dedicato alla medio‐bassa intensità di cura (DO) con 34 posti letto (p.l.) per accogliere i pazienti cardiologici medici e chirurgici in attesa/rientro dalle procedure diagnostico‐interventistiche; il secondo piano alla media intensità cardiovascolare (S.I.) con 16 p.l. mentre il primo piano all’alta intensità di cura con 20 p.l.. La distribuzione del personale infermieristico è modulata secondo le esigenze dei tre livelli, mentre le equipe mediche sono multi professionali in quanto composte da cardiologi, cardioanestesisti, cardiochirurghi ed internisti. Risultati. Il modello sta rispondendo alla finalità di centrare le attività sulle necessità del paziente, superando le tradizionali modalità di assistenza. È in corso di perfezionamento l’integrazione multidisciplinare per formulare un percorso condiviso da tutte le professionalità. Inizialmente l’impatto della nuova organizzazione negli operatori ha comportato un incremento del carico di lavoro ed uno stravolgimento delle modalità operative, per la cui risoluzione si è avviato un percorso di condivisione e formazione del personale. Conclusioni. Dopo la fase di riorganizzazione iniziale, il Dipartimento sta prestando particolare attenzione alla rilevazione delle criticità esistenti al fine di rendere ancora più efficace ed efficiente il percorso assistenziale. Gli sforzi si stanno concentrando sul miglioramento del modello in previsione di una possibile applicazione ad altre aree di attività dell’Azienda.
Abstract POSTER CONFRONTO DEI FARMACI ANTIPERTENSIVI AMLODIPINA, BISOPROLOLO, DOXAZOSINA, RAMIPRIL E VALSARTAN NEL MODIFICARE I LIVELLI DEL BNP NEL TRATTAMENTO DI PAZIENTI IPERTESI ESSENZIALI CON DISFUNZIONE DIASTOLICA VENTRICOLARE SINISTRA S. Lenti, Francioni S. Leonardi M., Tufi A., Vessilli A., Zuccone A., M. Felici Medicina Interna e Geriatria – Ospedale San Donato USL8 Arezzo Email: [email protected] I peptidi natriuretici (ANP, BNP) si sono rivelati di utilità nelle patologie caratterizzate da una espansione del volume plasmatico come avviene nell’ipertensione arteriosa fino alla (LVD). La nostra ipotesi è quella di valutare l’efficacia dei farmaci antipertensivi (Amlodipina, Bisoprololo, Doxazosina, Ramipril e Valsartan) nell’indurre modulazioni dei livelli plasmatici del BNP nei pazienti ipertesi essenziali con LVD. Sono stati arruolati 108 pazienti ipertesi non in trattamento (60 M, 48 F) con un’età media di 58.2 +/‐ 2.3 anni, BMI di 24.2 +/‐ 1.4, con PAS 158.2 +/‐1.2 e PAD 92.4 +/‐ 1.1 (Riva Rocci), con LVD misurata con metodo ecocardiografico (rapporto Vmax E/A < 1) e con BNP > di 50 pg/mL (range: 10‐20). Inoltre sono stati effettuati: ECG, ABPM 24 ore (Spacelabs 90207), esami ematici per valutazione assetto lipidico, funzionalità renale ed epatica, omocisteina, PCR e Microalbuminuria. Stati stati randomizzati in aperto e trattati 18 pazienti con Amlodipina 5 mg, 22 con Bisoprololo 5 mg, 18 con Doxazosina 4 mg, 26 con Ramipril 5 mg e 24 con Valsartan 80 mg. Dopo 1 mese di terapia il 90% dei pazienti ha avuto una diminuzione della PA (p<0.0001) ed hanno continuato la posologia iniziale del farmaco, mentre al rimanente 10% è stata aumentata la posologia. Dopo 6 mesi abbiamo ottenuto una diminuzione della PAS 138.5 +/‐ 1.1 e della PAD 84.6 +/‐ 1.2 e della PAM all’ABPM (da 134.5 +/‐ 1.2 a 106.1 +/‐ 1.0) in tutti i pazienti trattati. Nei gruppi trattati con Valsartan, Ramipril e Bisoprololo abbiamo ottenuto un miglioramento della LVD e una diminuzione del BNP (12.4 +/‐ 1.3), mentre nei gruppi trattati con Amlodipina e Doxazosina non abbiamo registrato alcun miglioramento della LVD e solo nel gruppo trattato con Doxazosina si è avuta una diminuzione del BNP (15.5 +/‐ 1.2). I risultati sono stati espressi come medie e lo studio tra variabili è stato effettuato con l’analisi di regressione lineare multipla. Con i nostri dati abbiamo voluto dimostrare l’azione di alcuni farmaci antipertensivi sulla modulazione della concentrazione del BNP rispetto alla LVD, identificando il BNP come un utile fattore prognostico per LVD in pazienti ancora asintomatici sotto il profilo clinico.
Abstract POSTER EFFETTO DELLA TERAPIA CON ROSUVASTATINA IN UN PAZIENTE AD ALTO RISCHIO CARDIOVASCOLARE S. Lenti, Francioni S. Leonardi M., Tufi A., Vessilli A., Zuccone A., M. Felici Medicina Interna e Geriatria – Ospedale San Donato USL8 Arezzo Email: [email protected] Case Report. Uomo di 60 anni. All’anamnesi da segnalare padre deceduto per marasma senile all’età di 85 anni, madre diabetica deceduta all’età di 77 anni per infarto del miocardio. Pensionato da circa 5 anni, ha lavorato per 30 anni come autotrasportatore. Ex fumatore da circa dieci anni (fumava circa 20 sigarette al giorno), potus alcolico (beve un bicchiere di vino ai pasti principali, caffè e saltuariamente superalcolici). All’età di 40 anni diagnosi di diabete mellito tipo 2, in terapia con insulina (XV UI di Intermedia al mattino, X UI di Lispro a pranzo, XV UI di Intermedia prima di cena). In seguito alla diagnosi di diabete ha modificato la sua dieta da un’alimentazione ipercalorica ricca di carboidrati e lipidi a una dieta normocalorica ed inoltre, dopo il pensionamento ha modificato anche il suo stile di vita: ha iniziato a fare lunghe camminate al mattino e nel pomeriggio. Negli ultimi cinque anni ha manifestato nefropatia diabetica con aumento di creatinina, azotemia e presenza di proteinuria in particolar modo albuminuria. Al fondo oculare retinopatia diabetica (grado II). Affetto da ipertensione arteriosa (valori medi 170/100 mm Hg) in terapia da 5 anni con ramipril‐idroclorotiazide (5 mg/2,5 mg) e da circa due mesi ASA 75mg. Viene inviato in ambulatorio dal Pronto Soccorso, dove era giunto per dolore toracico oppressivo retrosternale irradiato al braccio sinistro comparso da circa un’ora, che aveva dato esito negativo per patologia cardiaca, con markers cardiaci seriati nelle 12 ore ed ECG da sforzo negativi (1). Esame obiettivo:
Peso:76 Kg; altezza 170 cm; BMI:26,3 Kg/m2
Circonferenza addominale: 102 cm
P.A: 170/100 mm Hg senza particolari variazioni tra braccio dx e braccio sx
Riduzione del visus riferita dal pz stesso, da associarsi presumibilmente alla nota retinopatia diabetica
Al torace niente di patologico da rilevare, non soffi cardiaci ed aia cardiaca ai limiti della norma
Addome trattabile e non dolente alla palpazione, con organi ipocondriaci apparentemente nella norma
Presenza dei riflessi osteo‐tendinei e assenza di edemi agli arti inferiori. Esami di laboratorio:
Glicemia a digiuno 130 mg/ml, 2 ore dopo pranzo 145 mg/ml e 2 ore dopo cena 150 mg/ml
HbA1c 7,2%
Trigliceridi 200 mg/ml
Colesterolo totale 320 mg/ml
HDL 40 mg/ml
LDL 240 mg/ml
Creatinina 1,7 mg/dl
Azotemia 74 mg/dl
Sodiemia 138 mEq/ml
Potassiemia 4,6 mEq/ml
Abstract POSTER
AST 20U/l
ALT 23U/l
Gamma GT 36U/l Esami Strumentali:
Ecocuore: Ipertrofia Ventricolare Sinistra con normale Frazione di Eiezione
ECG: ritmo sinusale con FC 75 bpm e segni ecg di IVS (indice di Sokolow 35 mm)
Ecodoppler arterie renali con indice di resistenza 0,50 a dx e 0,55 a sx
Monitoraggio della pressione nelle 24 ore (ABPM): da segnalare una Pressione Arteriosa Media (PAM) di 142/92 mmHg
Raccolta delle urine nelle 24 h: Filtrazione glomerulare (GFR) di 45ml/min
Fondo oculare: retinopatia di 2°grado secondo Keith‐Wagener‐Barker. Terapia: Dopo un primo inquadramento diagnostico si decide per una sospensione dell’ASA (in quanto i valori della PA non erano stabilizzati) e si inizia terapia con: Ramipril 10 mg 1cpr al mattino, Rosuvastatina 10 mg 1 cp alla sera Valutazione del caso. Il paziente oltre ad essere diabetico presenta una situazione di ipertensione e dislipidemia mista, inquadrabili in una sindrome metabolica. Questa combinazione aumenta ulteriormente il rischio di esiti vascolari cardiaci e cerebrali. L’aggiunta di Rosuvastatina alla terapia è stata adottata per ridurre l’ipercolesterolemia. La scelta sul tipo di statina è ricaduta sulla Rosuvastatina perché rispetto ad altre statine, secondo recenti studi clinici (2) oltre a ridurre la concentrazione di lipidi, presenta minori effetti collaterali e favorisce la funzionalità renale migliorandone le prestazioni. L’utilizzo della statina dovrebbe ridurre il rischio cardiovascolare favorendo assieme ai farmaci impiegati in terapia l’istaurarsi di una stabilizzazione dei parametri che influenzano l’assetto vascolare. Il paziente viene sottoposto ad un follow‐up e a distanza di tre mesi viene effettuata una rivalutazione dell’ assetto lipidico, glicemico, renale e pressorio con valori di :
HbA1c 6,9%,
Trigliceridi 170 mg/ml
Colesterolo totale 280 mg/ml
HDL 42 mg/ml
LDL 204 mg/ml
Creatinina 1,5 mg/dl
Azotemia 60 mg/dl
Sodiemia 138 mEq/l
Potassiemia 3,8 mEq/l
AST 20 U/l
ALT 24 U/l
Gamma GT 33U/l Ripetuto il monitoraggio pressorio nelle 24 ore ha mostrato una PAM di 138/82 mm Hg, la raccolta delle urine nelle 24 ore ha evidenziato un miglioramento del GRF equivalente a 60 ml/min. In riferimento a questi dati si decide per un proseguimento della terapia già in atto con l’aggiunta di ASA 75 mg una bustina al giorno in quanto si è avuta una normalizzazione della PA. Il paziente riferisce di non avere manifestato nessun effetto collaterale legato all’uso della statina tranne una leggera nausea nei primi giorni di somministrazione. A distanza di sei mesi vengono nuovamente ripetuti gli esami effettuati in precedenza con una PAM pari a 122/72mmHg ed un GFR di 72 ml/min e:
Abstract POSTER
HbA1c 6,5%
Trigliceridi 130 mg/ml
Colesterolo totale 208 mg/ml
HDL 44 mg/ml
LDL 138 mg/ml
Creatinina 1,3 mg/ml
Azotemia 50 mg/dl
AST 21 U/l
ALT 25 U/l
gamma GT 35 U/l A distanza di sei mesi il recupero della funzionalità renale è ipotizzabile che sia da associarsi proprio a una delle funzioni della Rosuvastatina, che sembra avere un effetto nefroprotettivo riducendo i processi di flogosi a carico dell’endotelio delle arterie, promuovendo un rallentamento del processo aterosclerotico. La riduzione dei lipidi circolanti è legata all’alta affinità che la Rosuvastatina ha nei confronti dell’enzima HMG‐CoA rispetto alle altre statine (3). Essa inibisce maggiormente la sintesi del colesterolo migliorando ulteriormente l’assetto vascolare. Il paziente continua a prendere i farmaci prescritti, ripete esami ematochimici, funzionalità renale e controllo della PA attraverso l’automisurazione in maniera ciclica. Conclusioni. Nonostante si tratti di un unico caso, la terapia impiegata sembra avere migliorato le condizioni cliniche del paziente, specialmente nei confronti dell’assetto lipidico e della funzionalità renale. Ciò riduce quelli che sono i rischi cardiovascolari legati alla condizione clinica con cui il paziente è giunto prima in Pronto Soccorso e poi in ambulatorio. E’ importante sottolineare come ad una terapia costituita da Ramipril 10 mg, ASA 75 mg, Rosuvastatina 10 mg e insulina, sia stato associato un corretto comportamento alimentare da parte del paziente .
Abstract POSTER PRIMARY ALDOSTERONISM IN YOUNG WOMAN: AN CASE CLINICAL ESSAY WITH SURGERY ROBOTICS Lenti S. *, Sbrana F. **, Nassi R. ***, Felici M. * * Centre Hypertension Internal Medicine and Geriatrics, ** Surgery Robotics, *** Section of Endocrinology Hospital San Donato USL8 Arezzo Email: [email protected] Primary aldosteronism has a relatively high prevalence in hypertensive patients and an high cardiovascular morbidity and mortality. We report a 40 years old woman who had a family history of hypertension and presented hypertension afterwards her second pregnancy (blood pressure > 140/90 mmHg): at that time she was 36 years old. Because a poor control of hypertension she was on three anthypertensive drugs and she had mild hypokaliemia (3.4 mmol/l). The renal arteries stenosis and pheochromocytoma were excluded; after washout of all interfering antihypertensive medications, a plasma aldosterone and rennin assay was performed. The patient had suppressed plasma renin and high plasma aldosterone standing and laying. A saline infusion loading test showed an inappropriate increase of plasma aldosterone and not suppressed plasma renin, whereas an adrenal 15 mm large mass was found at the adrenal MRI. A left adrenalectomy was performed and the histology report showed an adrenocortical adenoma. After Surgery Robotics the patient is fine, she does not need of replacement glucocorticoid therapy and antihypertensive drugs; her blood pressure is normal. We recommend the primary aldosteronism screening in young people with drug resistant hypertension regardless of hypokaliemia and family history of hypertension.
Abstract POSTER LA TOMBA DEL MEDICO: IL DOLORE ADDOMINALE ??? Longobardi U. Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza – Ospedale San Donato USL8 Arezzo Email: [email protected], Caso Clinico. Paziente di aa 69 , sesso femminile. Si presenta in PS alle ore 10 circa per dolore addominale , riferita lipotimia. Viene presa in carico al codice giallo dopo 20 min. All'ingresso pa 140‐80,fc 63, sat 94 % alla visita . Buone condizioni generali, al torace mv normale, al cuore toni validi , ritmici , normofrequenti, addome dolente e dolorabile alla palapzione sup e prof in epigastrio, Murphy positivo. Viene eseguito : eco addome, esami ematici, rx torace Viene somministrato toradol+ nexium 1 fl . Agli esami: hgb 12,7, K 2,9, nella norma lipasi, amilasi, tranasmainasi, bilirubina. All'eco addome: non focalità epatiche, colecisti distes, non calcoli, falda fluida pericolecistica e periepatica. Inizia infusione di sol fis 500 cc +40 meq kcl. Alle ore 17 passa in OBI, dove, mentre si reca in bagno, ha un episodio prelipotimico con dolore ipocondrio dx. Vengono prescritti orudis 2 fl + nexium 1 fl, plasil 1 fl. Alle 18 presenta schok con PA 60, viene idratata con 500 cc sf+ 500 cc emagel con normalizzazione dei valori pressori (120‐70). Alle 19,30 esegue emocormo di controlo con risocntro di hgb 7. Vien trasfusa e chiamato il chirurgo che, dopo dimostrazione ecogrfica di liquido libero addominale, pone indicazione a laparotomia in urgenza. In sala operatoria si riscontra emoperitoneo, si esegue egds intraoperatoria che esclude sanguinamento gastrico, si esplora la regione retroperitoneale duodenale dove si evidenzia sanguinamento da sospetta rottira aa gastroduodenale. La paziente viene dimessa in 10° giornata post ‐operatoria Considerazioni : ‐ Incidenza aneurismi arterie splanchiche(s):0,01‐0,2 % della popolazione generale;di questi il meno frequente e’ quello dell’ a. gastroduodenale(g.d.)con il 3,5 % sul totale dei casi (0,00035‐0,007 % nella popolazione generale). Il 22% degli a. splanchici si diagnostica in emergenza in seguito a rottura. Nell’85 % dei casi la rottura da’ emorragia digestiva;nel 15 % emoperitoneo. Il 78 % degli a. s. resta misconosciuto o viene diagnosticato incidentalmente in corso di esami eseguiti per altra patologia. Il caso in questione e’quindi fra i meno frequenti . Inoltre la diagnosi e’ stata posta solo mediante ecografia intraoperatoria del retro peritoneo in quanto: 1. La egds intraoperatoria era negativa; 2. La rottura dell’aneurisma e’ avvenuta nel tratto retro peritoneale della a. gd (evento ancora meno frequente!!!!! ) Conclusione: al momento della visita in PS l'unico dato che poteva far sospettare una patologia emorragica era l'anamnesi di lipotimia. Il quadro ecografico di versamento pericolecistico era compatibile con colecistite alitiasica, anche se il laboratorio non confermava il dato (enzimi epatici normali, gb normali); al momento della lipotmia in OBI poteva essere rifatta un eco fast ed un emocromo di controllo. Il chirurgo ha fatto bene a operare la paziente senza eseguire ulteriore esame diagnostico. Il dolore addominale è da considerare la tomba del medico ??
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EDEMA DELLA PAPILLA OTTICA IN GIOVANE DONNA Lucchesi I., Napoli N., Bassu R., Pugliese N., Checchi M., Panigada G. Ospedale di Pescia Email: [email protected] Ipotesi. L’edema della papilla ottica è un aspetto oftalmoscopico bilaterale caratterizzato da iperemia, congestione venosa e protrusione del disco ottico che assume margini sfumati e perdita della fisiologica escavazione centrale.E’ causato da qualsiasi condizione che ostacoli il drenaggio venoso o assoplasmatico della retina. L’ ipertensione endocranica è la causa principale. Essa è conseguenza di lesioni intracraniche occupanti spazio; condizioni di maggior produzione o di ostacolato deflusso del liquor cefalo rachidiano (LCR) per malformazioni, processi infettivi/ infiammatori, diminuizione del riassorbimento del LCR da parte delle granulazioni aracnoidali che si protendono nelle vene diploiche e nei seni cavernosi per trombosi e vasculiti cerebrali. Vi è poi l’ ipertensione endocranica benigna con varie cause:.tetracicline, estroprogestinici, etc). Clinicamente determina cefalea, annebbiamento visivo a visus conservato (almeno nelle fasi iniziali di edema papillare) diplopia ( compressione sul VI nc,) Materiali e metodi. Scopo dello studio è stata la valutazione di un caso di edema della papilla ottica e cefalea persistente in giovane donna femmina, 20 anni, in abs, menarca a 11 anni con cicli regolari, normopeso, modesta fumatrice, pillola estroprogestinica sospesa da 2 mesi, non storia personale e/o familiare di trombosi venosa. Giunge a valutazione per cefalea persistente da almeno quattro mesi associata a parestesie all’emivolto di sx, diplopia nello sguardo laterale Sx e successiva comparsa di aftosi recidivante del cavo orale, episodio di poliartralgie, febbre ed eritema nodoso agli arti inferiori. E’stata valutata con TC/Rm encefalo mdc, esame del fundus oculi, campimetria, FAG, Rx torace, ECG/ ecocuore, esami ematici di routine, tests per trombofilia, esami di autoimmunità reumatica, TAS, Quantiferon TB, ACE test, markers tiroidei, tipizzazione HLA Risultati. Negli esami ematici si evidenzia solo alterazione degli indici di flogosi ( VES 77, PCR 1.7, Fibrinogeno 403), si conferma papilledema bilaterale con FAG negativo per vasculite retinica, diplopia da foria scompensata.Tc/RM encefalo negative per alterazioni parenchimali, all’angioRM encefalo segni di trombosi parziale del seno traverso dx. In considerazione del responso degli esami vengono escluse tutte le cause di edema papillare di origine orbitaria e cerebrale da massa occupante spazio così come da patologie da alterata secrezione e riassorbimento del LCR. La congestione papillare appare correlabile all’ ostacolato deflusso venoso intracranico da trombosi parziale del seno traverso in assenza di trombofilia, ne’altre cause secondarie di ipercoagulabilità, o traumatismi(estroprgestinici sospesi da due mesi). L’alterazione degli indici di flogosi con HLA B51+, in associazione al corteo sintomatologico di aftosi orale ricorrente, eritema nodoso, poliartralgie, esclude anche una possibile diagnosi di papilledema da ipertensione endocranica benigna correlata a farmaci e fa orientare la diagnosi verso una vasculite. Conclusioni. In particolar modo il quadro clinico è suggestivo per Sindrome di Behcet non sussistendo tuttavia criteri conclusivi per la diagnosi.
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La paziente è stata trattata con Fenamide, EBPM a dose anticoagulante e steroide ( prednisolone 500mg/dì EV x3 gg e poi a scalare fino a dose di mantenimento di 8mg/dì) ottenendo la remissione della sintomatologia neurologica, vasculitica cutanea e mucosa e normalizzazione degli indici di flogosi . Il follow‐up a 3 mesi del neuroimaging.mostra risoluzione della trombosi nel seno trasverso. La malattia di Behcet è una Vasculite sistemica da causa sconosciuta coinvolgente le arterie e le vene di qualsiasi calibro. La diagnosi, poichè non può avvalersi di nessun test specifico, è essenzialmente clinica e, proprio per questo, richiede spesso mesi, se non anni ed è spesso retrospettiva.
Abstract POSTER METODI DI VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE Mariotta D., Vannucci C., Zeuli F., Venturi S., Broccardi Schelmi S. Medicina1 ASL3 Pistoia Email:[email protected] Ipotesi. I pazienti che si ricoverano in reparto medico sono frequentemente anziani e affetti da più patologie. Dei più comuni disturbi dell’alimentazione, obesità e malnutrizione, quest’ultima appare sottovalutata . In questo studio abbiamo valutato lo stato nutrizionale di pazienti ricoverati attraverso due metodiche: l'MNA( mini nutritional assesment) e la bioimpedenziometria. Materiali e metodi. l'MNA viene eseguito effettuando delle misurazioni antropometriche e rivolgendo al paziente e/o care‐giver domande riportate sulle 4 sezioni di un questionario che ci consente di ottenere un punteggio finale. 1valutazione antropometrica: peso, altezza, perdita di peso, circonferenza braccio e polpaccio. 2 valutazione generale: stile di vita, cure mediche e mobilità. 3 valutazione dietetica: n° pasti, assunzione alimenti solidi e liquidi, autosufficienza nell’alimentazione. 4 valutazione soggettiva: auto‐percezione dello stato di salute e nutrizionale. La bioimpedenziometria è’ una metodica non invasiva che attraverso la valutazione del rapporto fra la reattanza (X/H, Ohm/m) e la resistenza (R/H, Ohm/m) al passaggio della corrente elettrica attraverso i tessuti consente di analizzare la composizione corporea in termini di liquidi e massa solida.Questa misurazione viene effettuata attraverso il posizionamento di 4 elettrodi, da applicare sul dorso di una mano e di un piede; gli elettrodi sono collegati all’apparecchio attraverso dei fili conduttori. Dopo aver acceso l’impedenziometro viene inviata un’impercettibile scarica elettrica, tramite la quale si evidenzia il grafico sul display dell’apparecchio. Una volta eseguito l’esame è possibile scaricare i risultati attraverso un computer.Infine lo studio nutrizionale viene ad essere completato attraverso il prelievo di esami ematochimici (creatinina, elettroliti, conta linfociti, prealbumina, transferrina).
Abstract POSTER FATTORI DI RISCHIO DI RAPIDO DETERIORAMENTO NEUROLOGICO NEI PAZIENTI CON EMORRAGIA CEREBRALE INTRAPARENCHIMALE SPONTANEA. Masotti L., Pennati P., Antonelli F., Pampana A., Landini G.C., Di Napoli M. UO Medicina Interna Ospedale Di Cecina Email: [email protected] Ipotesi. Più di un terzo dei pazienti con emorragia cerebrale intraparenchimale spontanea (ICHs) presentano un rapido deterioramento dello stato di vigilanza nelle prime ore dall’insorgenza dei sintomi, principalmente dovuto all’espansione dell’ematoma e testimoniato da un peggioramento nel punteggio della Glasgow Coma Scale (GCS). Lo scopo del nostro studio è stato pertanto quello di valutare i fattori di rischio associati a rapido deterioramento neurologico nei pazienti con ICHs. Materiali e metodi. Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati clinici, radiologici e di laboratorio di 124 pazienti consecutivamente ricoverati nel nostro Reparto dal 2006 al 30 Settembre 2011 con diagnosi di ICHs. E’ stata valutata la GCS all’arrivo in Pronto Soccorso (PS) e quella all’arrivo in Reparto. Sono stati valutati come dati clinici l’età dei pazienti, i valori di pressione arteriosa sistolica (PAS) e diastolica (PAD) all’arrivo in PS, l’anamnesi ed il tipo di terapia antitrombotica assunta prima del ricovero; come dati radiologici sono stati analizzati la sede ed il volume dell’ICHs, la presenza di sanguinamento ventricolare (IVH), effetto massa e shift della linea mediana riscontrati alla TC encefalo effettuata in urgenza al PS; come dati di laboratorio i valori di glicemia (Gly), proteina C reattiva (PCR) e globuli bianchi (WBC) alla prima misurazione effettuata. Il deterioramento neurologico precoce è stato ritenuto essere presente se veniva soddisfatta una delle seguenti condizioni: GCS all’arrivo in PS o in Reparto ≤4 e/o peggioramento della GCS ≥ 3 punti dal PS al Reparto indipendentemente dal punteggio e/o peggioramento della GCS ≤ 2 punti dal PS al Reparto ma con valore di GCS in Reparto ≤4. I dati dei pazienti con deterioramento neurologico precoce sono stati confrontati con quelli dei pazienti con stabilità neurologica dal PS all’arrivo in Reparto. Risultati. La mediana del tempo trascorso dai pazienti in PS è stata di 140 minuti (media 153.1 ± 72.7 min). All’arrivo in PS le percentuali dei pazienti con GCS ≤4, 5‐8, 9‐12, ≥13 sono risultate rispettivamente 4.1%, 11.3%, 21.7%, 62.9%. All’arrivo in Reparto le percentuali sono risultate rispettivamente 25.8%, 8.1%, 9.7%, 56.4%. 43 pazienti (34.6%) hanno presentato un deterioramento cerebrale precoce come definito nei criteri di inclusione. Di questi 14 presentavano all’arrivo in PS un GCS 5‐8, 15 un GCS 9‐12, 9 un GCS ≥14. La mortalità intra‐ospedaliera dei pazienti con deterioramento cerebrale precoce è risultata del 76.7% (mortalità attribuibile alla ICHs 94%) contro il 8.6% dei pazienti con stabilità neurologica (mortalità attribuibile alla ICHs 50%). L’età ≥ 80 anni (74.4% vs 41.9%), il sesso femminile (65.2% vs 48.2%), l’assunzione di terapia anticoagulante orale (30.2% vs 14.8%), la presenza di IVH (86.0% vs 14.8%), effetto massa (79.0% vs 33.3%), shift della linea mediana (74.4% vs 9.8%), sede lobare (46.5% vs 28.3%) o infratentoriale (16.2% vs 4.9%) sono risultate variabili significativamente più frequenti nei pazienti con deterioramento cerebrale precoce. I valori medi di Gly, PCR e WBC, ma non i valori mediani di PAS e PAD, sono risultati significativamente più elevati nei pazienti con deterioramento cerebrale precoce. Conclusioni. Nei pazienti con ICHs il rapido deterioramento neurologico si associa ad elevata mortalità intra‐ospedaliera. Il riconoscimento dei fattori di rischio di rapido deterioramento neurologico rappresenta un punto chiave nel disease management di questa patologia.
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IL FUNC SCORE È PREDITTORE DI OUTCOME NEGATIVO NEI PAZIENTI CON EMORRAGIA INTRACEREBRALE SPONTANEA Masotti L., Gori S., Ubaldi E., Bellizzi A.M., Cannistraro D., Mannucci A.M., Gianchecchi D. Corchia A., Scotto F.P., Bini C., Pampana A. UO Medicina Interna Ospedale di Cecina Email: [email protected] Ipotesi. Stratificare la mortalità e la disabilità residua rappresenta un punto chiave nel disease management dell’emorragia intracerebrale spontanea (ICHs) in fase acuta. Il FUNC, recentemente introdotto, è uno score predittivo di indipendenza funzionale a 3 mesi e prende in considerazione 6 variabili clinico‐strumentali raccolte al momento dell’arrivo in ospedale: età del paziente (< 70, 70‐79, ≥80 anni), volume dell’emorragia (<30, 30‐60, >60 cc), Glasgow Coma Scale (>9, ≤8), sede (lobare, nucleo‐capsulare, sottotentoriale), assenza o presenza di deterioramento cerebrale prima dell’evento. Il punteggio totale varia da 0 (outcome negativo) a 11 (outcome positivo). Lo scopo del presente studio è stato quello valutare la distribuzione del FUNC score in una coorte di pazienti affetti da ICHs e la correlazione tra FUNC score e mortalità e disabilità a 30 giorni. Materiali e metodi. Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati clinico‐radiologici di 124 pazienti consecutivamente ricoverati nel nostro Reparto dal 2006 al 30 settembre 2011 con diagnosi di ICHs. Il volume dell’ICH è stato calcolato mediante il metodo ABC/2; il punteggio alla Glasgow Coma Scale considerato è stato quello rilevato all’arrivo in Pronto Soccorso. La presenza di deterioramento cerebrale è stata valutata sulla base dell’anamnesi raccolta al ricovero. Come outcomes prognostici sono stati valutati quali endpoints mortalità e disabilità calcolata con la modified Rankin Scale (mRS) a 30 giorni. Un punteggio alla mRS ≥4 è considerato indice di severa dipendenza da altre persone (mRS=6 paziente deceduto, mRS=0 paziente completamente recuperato ed indipendente). Risultati. Il 21% dei pazienti al momento del ricovero presentava FUNC score ≤ 4, il 52.5% FUNC score 5‐8, il 26.5% FUNC score ≥9. La mortalità totale a 30 giorni è risultata del 32.2%, rispettivamente: 84.6% nei pazienti con FUNC score ≤ 4, 24.6% in quelli con FUNC score 5‐8, 6% in quelli con FUNC score ≥ 9. Il 34.6% dei paziente presentava a 30 giorni una mRS 4‐5. Considerati gli endpoints in maniera combinata, il 67% dei pazienti è risultato deceduto o severamente dipendente da altre persone. A 30 giorni il 100% dei pazienti con FUNC ≤ 4 è risultato deceduto o severamente dipendente contro il 70,7% dei pazienti con FUNC 5‐8 ed il 33% dei pazienti con FUNC ≥ 9. Il FUNC score è risultato correlato significativamente in maniera inversa alla mRS (indice di correlazione di Pearson ‐0.66). Conclusioni. Il FUNC score è un semplice strumento prognostico che predice mortalità e disabilità residua a 30 giorni. La sua diffusione è auspicabile.
Abstract POSTER UNA VACANZA IN RIVIERA Mastriforti R., Lucarini M., Mercatelli S., Nassi R. Medicina Interna Valtiberina USL 8 Arezzo Email: [email protected] Il vibrio vulnificus è un batterio gram negativo presente nelle acque salmastre e marine. Il contagio avviene mediante il contatto o l’ingestione di acqua di mare contaminata o attraverso il consumo di animali marini infetti. Paziente di 87 anni di sesso femminile affetta da diabete mellito di tipo 2, insufficienza venosa cronica con ulcerazione perimalleolare presente da tempo, giungeva alla nostra osservazione per febbre, diarrea, ipotensione, riduzione del sensorio e comparsa di ulcerazioni degli arti inferiori associate a flittene. Aveva trascorso recentemente le vacanze al mare. Le emocolture hanno consentito di isolare il vibrio vulnificus; veniva iniziata terapia con cefalosporine e tetracicline. Questo batterio può causare due distinte sindromi: 1) setticemia primaria provocata dal consumo di frutti di mare crudi o poco cotti, 2) infezione necrotizzante di ferite preesistenti esposte all’acqua di mare. I pazienti possono sviluppare sepsi, cellulite severa, fascite necrotizzante con mortalità del 50% nella setticemia primaria del 15% nelle infezioni delle ferite. L’incremento di incidenza in Italia e la potenziale letalità ci deve indurre a sospettare questa infezione nei pazienti con patologie croniche e immunocompromessi che hanno consumato frutti di mare crudi o che sono venuti in contatto con acqua di mare contaminata.
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EPATITE TOSSICA DA BOSENTAN Mazzetti M., Cappelli F., Genovesi M., Kassapaki A., Raimondi L., Rosito M.P., Stanganini S., Santoro E. Medicina Interna Ospedale del Casentino, ASL 8 Email: [email protected]
Ipotesi. L'aumento delle transaminasi associato all'usodel bosentan è un effetto dose correlato. Variazioni dei livelli enzimatici epatici si verificano normalmente entro le prime 26 settimane del trattamento ma possono anche verificarsi più tardi nel trattamento. È probabile che tali aumenti siano in parte dovuti all’inibizione competitiva dell’eliminazione dei sali biliari dagli epatociti ma altri meccanismi, che non sono stati ancora chiaramente definiti, contribuiscono probabilmente all’insorgenza della disfunzione epatica. Non sono esclusi l’accumulo di bosentan negli epatociti che porta alla citolisi con danno potenzialmente grave alla funzionalità epatica o un meccanismo immunologico
Materiali e metodi. Descriviamo il caso di M.A. donna di 62 anni affetta da sclerosi sistemica complicata da ipertensione polmonare che recentemente, per il peggioramento dell'ipertensione polmonare, aveva iniziato terapia con bosentan Giungeva alla nostra osservazione per la comparsa di malessere e ittero, con il rilievo di netto incremento degli indici di colestasi e citonecrosi epatica; in assenza che alterazioni strutturali venissero evidenziate agli esami eseguiti in PS e in degenza in turno medico, In considerazione dei dati clinici e laboratoristici, nel sospetto di epatite da farmaci (la paziente da 12 settimane era in trattamento con bosentan) abbiamo provveduto alla sospensione della terapia ottenendo, nel successivo follow‐up, una completa normalizzazione biochimica
Risultati. L'incidena della tossicità epatica da bosentan resta un effetto raro; maggiore di 1 caso su 1000 e minore di 1 caso su 10000. E' comunque molto importante che la segnalazione degli eventi avversi avvenga anche nella fase post marketing, per garantire una corretta e costante osservazione clinica
Conclusioni. Nel caso in cui i livelli di ALT/AST siano maggiori di 3 volte e minori di 5 il test dovrebbe essere ripetuto. Qualora il risultato sia confermato, è necessario ridurre il dosaggio giornaliero o interrompere il trattamento e monitorare i livelli di aminotransferasi almeno ogni 2 settimane. Se i livelli di aminotransferasi ritornano a valori pre‐trattamento, la terapia può essere continuata. Nel caso in cui i valori ALT/AST siano maggiori di 5 volte e minori di 8 il dosaggio dovrebbe essere ripetuti per la conferma e se questi venissero riconfermati, il trattamento deve essere interrotto e gli enzimi monitorati. Una volta che i livelli di aminotransferasi ritornano ai livelli pre‐trattamento, può essere riconsiderata l’opportunità di riprendere la terapia. Quando i valori ALT/AST superano le 8 volte i valori normali il trattamento deve essere interrotto ed il farmaco non deve essere risomministrato.
Abstract POSTER ACIDOSI METABOLICA IPERCLOREMICA Mazzetti M., Cappelli F., Genovesi M., Kassapaki A., Raimondi L., Rosito M.P., Stanganini S., Santoro E. Medicina Interna Ospedale del Casentino, ASL 8 Email: [email protected] Ipotesi. L'acidosi metabolica si determina quando è presente un processo che conduce all'accumulo di equivalenti acidi nell'organismo. Se il carico acido supera la capacità respiratoria (pH arterioso < 7,35), ne risulta acidosi. L'acidosi metabolica può essere dovuta all'aumento della produzione di acidi o alla somministrazione esogena di acidi. Materiali e metodi. Descriviamo il caso di G.G 88 anni. In anamnesi veniva riferita una eteroplasia vescicale già sottoposta in passatao al confezionamento di una ureterosigmoidostomia, una IRC di grado lieve ed una BPCO II classe GOLD. il paziente giungeva in PS in stato di coma, GCS 4, con il riscontro di una gravissima acidosi metabolica e la presenza di segni di una disidratazione ipertonica, in assenza di alcuna alterazione strumentale agli esami effettuati in DEA. recentemente, il paziente, per difficoltà gestinali era stato istituzionalizzato in RSA. Lo studio dell'equilibrio acido base ed idroelettrolitico ha messo in luce la presenza di una acidosi ipercloremica per cui abbiamo ricercato le possibili cause, dalle notizione anamnestiche a disposizone abbiamo evento che in concomitanza della recente locazione in RSA il paziente aveva sospeso il trattamento con citrato di potassio che effettuava in cronico per l'intervento effettuato in passato. La sospensione del farmaco visto che l'urina liberata nel sigma, secondo un meccanisomo complesso di trasporto trans‐epiteliale si scambia con ioni Na, Cl, H e HCO3. Con la sola terapia idratante e medica di supporto e la re‐introduzione del citrato di potassio abbiamo ottenuto il reintegro dello status quo del paziente Risultati. Nelle diversioni del tratto urinario, come l'ureterosigmoidostomia, il Cl nelle urine viene scambiato con il HCO3‐ per mezzo del colon, e viene anche assorbito l'ammonio urinario. A causa dei problemi associati alle infezioni dell'apparato urinario e ai tumori dell'ansa sigmoidea, l'ureterosigmoidostomia viene eseguita di rado. I pazienti portatori di ureteroileostomia (condotti ileali) o sottoposti a ricostruzione di vescica ortotopica hanno molti meno problemi legati all'acidosi metabolica, in particolare se la funzionalità renale non è compromessa. Tuttavia, se una disfunzione dell'ansa o della vescica determina ritenzione urinaria, si può verificare acidosi metabolica. Conclusioni. Il caso descritto è un esempio che pone l'attenzione a come, dati semplici come quelli anamnestici, oltre al calcolo di parametri facilmente ottenibili, come il gap anionico e quello osmolare consentano una semplice soluzione di una situazione che all'inizio si è presentata come insidiosa
Abstract POSTER UN CASO DI IPOPITUITARISMO ED INSUFFICIENZA SURRENALICA ACUTA Mazzetti M., Cappelli F., Genovesi M., Kassapaki A., Riamondi L., Rosito M.P., Stanganini S., Santoro E. Medicina Interna Ospedale del Casentino ASL8 Arezzo Email: [email protected] Ipotesi. Per ipopituitarismo si intende il quadro clinico conseguente a ridotta o assente secrezione di ormoni dell’ipofisi anteriore. Se è compromessa la secrezione di tutte gli ormoni ipofisari si parla di panipopituitarismo. Se, invece, è compromessa solo la secrezione di alcune tropine ipofisarie si parla di ipopituitarismo parziale. Se infine il deficit riguarda un solo ormone viene definito ipopituitarismo unitropico o isolato. Un’ulteriore classificazione dell’ipopituitarismo viene effettuata in base alla clinica: se il deficit ormonale è clinicamente evidente si definisce ipopituitarismo palese, se invece si manifesta solo in determinate condizioni cliniche (stress) o viene svelato solo mediante alcuni test ormonali specifici, viene definito ipopituitarismo latente. La ridotta funzionalità delle ghinadole bersaglio comprende sia le forme di insufficienza di origine ipotalamica (ipopituitarismo terziario) che le forme di insufficienza di origine ipofisaria (ipopituitarismo secondario). La diagnosi differenziale fra le due forme non è sempre agevole e per questo si preferisce parlare di ipopituitarismo secondario. Materiale e Metodi. La paziente giungeva alla nostra osservazione trasferitaci dalla terapia intensiva di Arezzo dove era stata trasferita dalla Neurologia dello stesso ospedale per progressivo deperimento organico, numerosi episodi sincopali e rilievo laboratoristico di iponatremia, iperkaliemia ed ipoglicemia. tutti i dati a disposizione suggerivano il sospetto di una insufficienza surrenalica abbiamo sosttoposto la signora ad una Rm per valutareescludere una forma primaria che ha confermato la presenza, a carico della sella turcica di un adenoma ipofisario con emorragia consensuale. il dosaggio del TSH è risultato soppresso, come pure i valori di FSH e LH e dell'ACTH e dell'IGF1. E' stato iniziato un trattamento suppletivo con ottima risposta clinica con miglioramento delle condizioni generali della cenestesi e dell'appetito. La consulenza neurochirurgica ha posto indicazione solo a follow‐up clinico. Attualmente la paziente è asintomatica conducendo una vita normale. Risultati. Le cause dell’ipopituitarismo sono numerose. Fra queste ricordiamo: lesioni invasive (adenomi ipofisari), infartuali (sindrome di Sheehan), infiltrative (istiocitosi, granulomatosi), immunologiche (ipofisiti autoimmuni), infettive (tubercolosi), traumatiche (traumi cranici), forme idiopatiche, forme isolate e forme iatrogene (secondarie a farmaci). Solitamente i sintomi dell’ipopituitarismo parziale o del panipopituitarismo si sviluppano in modo lento e variano a seconda dell’entità dell’insufficienza ipofisaria ed in rapporto all’età di insorgenza. Se il danno ipofisario è progressivo, si assiste solitamente ad un coinvolgimento degli assi funzionali ipofisari che riguardano progressivamente prima il GH, poi l’LH e l’FSH, poi il TSH ed infine l’ACTH. Conclusioni. In alcuni casi,come quello in esame, l’insufficienza ipofisaria può manifestarsi in modo acuto e drammatico, e sembra che l'andamento sia attribuibile all'emorragia sviluppata nel contesto dell'adeno che ha indotto un rapido e progressivo peggioramento clinico.
Abstract POSTER
ILOPROST E BMES: PROPOSTA DI RITRATTAMENTO PRECOCE IN CASI PARZIALMENTE RESPONDERS. UN CASE REPORT. Meini S., Tafi A. Osp Santa Maria Maddalena di Volterra. ASL 5 Pisa. [email protected] Ipotesi. L’Avascular necrosis (AVN) è definita come morte cellulare dei componenti ossei dovuta a alterazione della perfusione ematica, risultando in edema del midollo osseo (bone marrow edema‐BME), collasso strutturale e distruzione dell’architettura ossea. In stadi avanzati necessita di chirurgia ortopedica, al momento l’intervento classicamente effettuato in casi non tendenti alla guarigione: l’unico trattamento di tipo medico ad oggi dimostrato essere efficace, seppur supportato da una scarsa casistica in letteratura, è rappresentato dall’infusione endovenosa di iloprost, off‐label. Materiali e metodi. Una donna di 38 anni si è presentata alla nostra attenzione con un severo BME dell’anca sx (forma primitiva), persistente da 6 settimane, e in attesa di intervento chirurgico di decompressione. Dopo acquisizione del consenso informato, è stata trattata con iloprost ev a 2 ng/kg/min per 6 ore/die per 5 giorni, successivamente, dopo 4 settimane, ripetuto nuovamente a 1,5 ng/kg/min per 6 ore/die per 5 giorni a causa di una risposta non completa al primo ciclo, ottenendo la guarigione completa del quadro, documentata sia clinicamente che con RM. L’HHS (Harris Hip Score) è aumentato da 29,90 a 97. Non è stato registrato alcun effetto avverso significativo a iloprost, solo il classico flushing al volto e una forma di cefalea che al secondo ciclo ha fatto propendere per una dose leggermente più bassa. Non è stata in seguito necessaria alcuna procedura chirurgica. Risultati. Conclusioni. Nella maggior parte delle esperienze in letteratura iloprost è stato somministrato come singolo ciclo di 5 giorni a 1‐2 ng/kg/min per 6 ore al giorno, ma nessuna esperienza ha valutato la possibilità di ritrattamento precoce dopo un primo ciclo risultato solo parzialmente efficace. Inoltre solo pochi lavori su pochi pazienti hanno esaminato iloprost in pazienti con AVN/BME, preferendo nella maggior parte dei casi la dose di 1 ng/kg/min, ottenendo miglioramenti clinici sia in caso di BME syndrome sia in caso di franca AVN, peraltro sovrapponibili a quelli ottenuti con la decompressione chirurgica. Questo case report mostra l’efficacia e la sicurezza del trattamento effettuato con la massima dose di iloprost e del ritrattamento precoce, prima che i casi di BME evolvano in AVN conclamata, anche in casi inizialmente severi e candidati alla chirurgia.
Abstract POSTER HIGH TOUCH AND LOW TECHNOLOGY: UN MODELLO DI APPROCCIO AL PAZIENTE DI LUNGODEGENZA NELLA REALTÀ SOCIO‐ECONOMICA ATTUALE C. Mugelli, P. Fuligni, D. Bartoli, L. Gargani, M. Giaquinta, B. Lombardini, I. Barbitta, F. Sequi, C. Panunzi, L. Buzzigoli, A. Gori, E. D'Areglia, F. Bramanti, P. Beneforti, V. Ciambrone. IFCA Firenze Email: [email protected] Ipotesi. La necessità di un inquadramento rapido a 360 gradi del paziente di lungodegenza è stata riportata. Le caratteristiche di questi pazienti (spesso anziani con disabilità fisiche, mentali e funzionali, poco adatti ad esami invasivi o complessi) nonché i ridotti budget destinati a questi pazienti, orientano verso un approccio che privilegi valutazioni cliniche individuando poi percorsi diagnostico‐terapeutici specifici più complessi e costosi “di II livello” per ciascun soggetto. Materiali e metodi. I pazienti sono valutati all'inizio in modo globale: anamnesi, E.O., valutazione infermieristica, Scala di Braden, CIRS (Cumulative Illness Rating Scale), Mini Mental, Screning Nutrizionale (MUST), Swallow Test per disfagia, valutazione fisioterapica. I pazienti vengono quindi inseriti in percorsi specifici mirati (programma fisioterapico,nutrizionale, logopedia e quanto indicato). Durante la degenza valutazioni “bed‐side” precedono eventuali controlli più complessi (es. Valutazione eco‐bed‐side del residuo postminzionale). Alla dimissione i soggetti vengono nuovamente valutati. Risultati. Il modello da noi adottato, derivante dall'esperienza della Casa di Cura Santa Chiara è ora in fase di attuazione nel nostro reparto. Stiamo verificando i risultati sull'outcome del paziente e sui costi del reparto ottenuti con questo approccio. L'analisi dei risultati in programma a fine anno porterà precisazioni in proposito. Conclusioni. In un momento socialmente e economicamente difficile riteniamo comunque necessario uno sforzo per ottimizzare percorsi che permettano una corretta gestione di questi pazienti contenendo per quanto possibile i costi.
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COLECISTITE GANGRENOSA IN MEDICINA INTERNA Napoli N., Bassu R., Pugliese N., Straniti M., Pierotello R., Panigada G. Ospedale di Pescia Email: [email protected] Ipotesi. E’ormai sempre più frequente ricoverare e gestire pazienti con diagnosi chirurgiche nei reparti di Medicina Interna sia nel pre‐ che nel post‐intervento. Si descrive un caso patognomonico di recente osservazione. Materiali e metodi. I.A. uomo di 78 anni. Anamnesi: M. di Parkinson avanzato, neoplasia prostatica in terapia ormonale e anemia microcitica cronica per cui esegue periodicamente emotrasfusioni. Viene portato in Pronto Soccorso per dolore addominale e stipsi da 5 giorni. Obiettivamente si rileva tachicardia, febbre elevata, dolore diffuso a tutto l’addome. Gli esami ematici mostrano un grave quadro di acidosi metabolica con incremento dei lattati, marcata leucocitosi neutrofila, incremento di LDH, GOT, bilirubina diretta e creatinina e alterazione del profilo coagulativo. Viene eseguita un’Rx addome che mostra distensione gassosa delle anse digiunali e dello stomaco con associati livelli idro‐aerei. All’RX del torace non addensamenti. Il consulente chirurgo, posizionato sondino naso‐gastrico e sonda rettale, non ritiene indicato intervento chirurgico in urgenza. Non viene eseguita un’ecografia dell’addome bed‐side. Risultati. Il paziente viene quindi ricoverato in Medicina Interna con diagnosi di sepsi. All’ingresso risulta gravemente compromesso, ipoteso, con presenza di vomito fecaloide. Viene somministrata terapia idratante, soluzioni colloidi, terapia antibiotica ad ampio spettro ed emotrasfusioni per calo emoglobinico. Il quadro addominale rende necessaria una TC dell’addome che mostra un’idrope della colecisti con all’interno fango biliare e micro litiasi, associata al noto quadro di occlusione intestinale. Solo dopo ulteriore sollecitazione, a 24 ore, il paziente viene sottoposto a intervento chirurgico con rilievo di colecistite gangrenosa. Dopo l’intervento si rende necessario il ricovero in livello 1 intensivo per supporto ventilatorio e cardiovascolare. Dopo stabilizzazione e risoluzione delle problematiche chirurgiche, il paziente viene nuovamente inviato in Medicina Interna dove gradualmente migliorano le condizioni cliniche, si normalizzano i parametri ematici e si ottiene una progressiva riattivazione. Quali complicanze post‐chirurgiche il paziente ha presentato sepsi da staphylococcus capitis ed enterococcus faecium trattate con antibiotici specifici. Il paziente è stato dimesso in discrete condizioni generali con supporto nutrizionale parenterale. Conclusioni. La gestione internistica del paziente chirurgico, polipatologico ed anziano è sicuramente efficiente ed efficace, ma la tempistica chirurgica non deve essere dilazionata al fine di evitare ulteriori complicanze. Si ribadisce l’importanza dell’ecografia bed‐side che può indirizzare nelle scelte terapeutiche.
Abstract POSTER TUTTO PER UN CALCOLO Napoli N., Bassu R., Teghini L., Lucchesi I., Alessandrì I., Checchi M., Panigada G. UO Medicina Interna, Ospedale di Pescia Email: g.panigada@ usl3.toscana.it Ipotesi. La litotrissia extracorporea (ESWL) per il trattamento della calcolosi renale è una procedura non priva di complicanze. Per la maggior parte si tratta di sintomi quali nausea, vomito, dolore o ematuria che si autorisolvono. Ma sono descritti anche casi di perforazione intestinale, insufficienza renale acuta e decessi. Si descrive un caso di recente osservazione. Materiali e Metodi. G.F. uomo di 47 anni. Anamnesi: storia di poliposi nasale e nefrolitiasi per cui nel 2001 era stato sottoposto a ESWL. Riferiva successivi episodi di infezioni delle vie urinarie e coliche renali. In data 1‐2‐2011 è stato sottoposto a nuova seduta di ESWL. Il giorno seguente, per comparsa di febbre elevata e ipotensione, è stato ricoverato in reparto di terapia intensiva con il sospetto di shock settico. Durante la degenza il paziente è stato trattato con antibiotici a largo spettro, ventilazione invasiva, farmaci vasoattivi e ultrafiltrazione. Un’emocoltura eseguita all’ingresso è risultata positiva per Escherichia Coli. Dopo stabilizzazione clinica il paziente è stato trasferito nel nostro reparto. All’ingresso l’esame obiettivo risultava normale, parametri emodinamici stabili. Agli esami ematici lieve leucocitosi neutrofila, emocolture di controllo negative. E’ stato dimesso con diagnosi di shock settico da E. Coli. Dopo due settimane il paziente viene nuovamente ricoverato per comparsa di febbre. RX torace, ecografia dell’addome, urinocoltura ed emocolture: negativi. Agli esami ematici lieve leucocitosi neutrofila. Trattato con terapia antibiotica e dimesso. Risultati. Tre giorni dopo comparsa di deviazione della rima buccale e ipostenia dell’arto superiore sinistro. L’imaging neuroradiologico mostra una lesione di 7 cm in regione parietale‐frontale destra compatibile con ascesso cerebrale. Il paziente è stato quindi sottoposto ad intervento neuro‐chirurgico di evacuazione dell’ascesso il cui esame colturale è risultato positivo per E.Coli. Le emocolture ancora una volta sono risultate negative. Attualmente il paziente non presenta deficit neurologici. Non ha più manifestato episodi febbrili. Conclusioni. In letteratura non sono descritti casi di ascesso cerebrale da E.Coli dopo procedura di ESWL, mentre è descritto un caso da Klebsiella pneumoniae. In una review sono stati valutati i rischi di batteriemia in corso di ESWL con evidenza di colture negative nella quasi totalità dei pazienti e solo pochi casi di contaminazione. Questo caso tuttavia richiama la necessità di effettuare adeguata terapia antibiotica come dosaggio e durata in caso di complicanza infettiva per qualsiasi procedura invasiva.
Abstract POSTER SINDROME DI CUSHING SUBCLINICA Nassi R., Ladu C.*, Mastriforti R., Vezzosi C.*, Lucarini M. Medicina Interna Sansepolcro (AR) ‐ *Endocrinologia USL 8 Email: [email protected] La sindrome di Cushing subclinica (SCS) è un disordine comune che si calcola sia presente nel 20% circa dei pazienti con incidentaloma surrenalico. La SCS si ha quando, dopo la scoperta casuale di una massa surrenalica, in assenza di chiari segni clinici di ipercortisolismo, i dati ormonali sono compatibile con secrezione cortisolica autonoma. La SCS pone tuttora problemi diagnostici e di gestione, in particolare relativi al suo trattamento chirurgico. Riportiamo un caso osservato recentemente: donna di 59 anni, in follow up post‐chirurgico per melanoma dell’arto inferiore, effettua TC dell’addome con evidenza di massa del surrene destro di 36 mm con caratteristiche di adenoma e con piccola analoga formazione a sinistra. La paziente, normotesa, non diabetica né dislipidemica, con elettroliti normali e senza nessun segno clinico di ipersecrezione surrenalica, effettua dosaggio delle metanefrine urinarie , aldosterone plasmatico/renina plasmatica, risultati nella norma. DHEAs basso. Ai limiti superiori il cortisolo plasmatico e urinario, ai limiti inferiori ACTH. Al test di soppressione con Desamentazone (DST) overnight (1 mg alla sera) riscontro di cortisolo plasmatico = 152 nmol/ ( cortisolemia <50 nmol/l esclude l’autonomia nelle secrezione cortisolica, valori > 138 la confermano) . Anche al DST ad alte dosi (8 mg X 2 gg) segue inadeguata soppressione del cortisolo (162 nmol/). La paziente viene seguita nel tempo: nonostante valori sopra la norma di cortisoluria e la conferma dei DST ripetuti, rimangono del tutto assenti non solo i segni clinici caratteristici della sindrome di Cushing (facies lunaris, strie rubre, obesità centrale ecc) ma anche le alterazioni elettrolitiche, gli elementi compatibili con sindrome metabolica (la paziente viene sottoposta anche a OGTT risultata normale). Riguardo al danno osseo la MOC mostra osteopenia più marcata a livello femorale (collo T‐score ‐2.2 ) Ai test di imaging invariata la piccola formazione del surrene sinistro mentre la massa di destra aumenta di mezzo cm nell’arco di tre anni. Viene effettuata anche scintigrafia con I131‐colesterolo (sotto soppressione con desametazone ) con evidenza di ipercaptazione a destra e comparsa tardiva di relativa fissazione anche a sinistra. Il caso in esame è emblematico: di fronte ad un secrezione cortisolica autonoma, non si osservano a distanza di anni, manifestazioni cliniche né alterazioni metaboliche. La stessa osteopenia potrebbe essere correlata all’età postmenopausale. D’altra parte il volume raggiunto dalla massa a destra e la sua tendenza alla crescita possono rafforzare l’indicazione chirurgica (surrenectomia dx laparoscopica). Da monitorizzare successivamente il comportamento della masserella analoga a sinistra.
Abstract POSTER UTILIZZO DEL “TERMOMETRO DEL DISTRESS”, COME STRUMENTO DI ANALISI E VALUTAZIONE DEL DISAGIO EMOTIVO E DELLE PROBLEMATICHE DEL PAZIENTE RICOVERATO O IN REGIME DI DAY HOSPITAL Nesi E., Cappelli F., Cardelli C., Genovesi M., Mazzetti M., Ozzola G., Raimondi L., Rosito MP., Stanganini S., Santoro E. Medicina Interna – Ospedale del Casentino ASL8 Arezzo Email: [email protected] Ipotesi. La valutazione del disagio psichico e delle preoccupazioni del paziente viene di fatto oggi considerata un indicatore di qualità e completezza dell’assistenza ai pazienti in medicina ed in oncologia in particolare, sia sul versante clinico sia su quello organizzativo all’interno dei percorsi di accreditamento delle strutture. Dal 1997 ill National Comprehensive Cancer Network ha stabilito linee‐guida specifiche che includono l’assessment e la gestione del distress in oncologia, la cui più recente edizione è del 2010. Il distress è stato proposto come “sesto parametro vitale” da monittorare regolarmente nell’attività clinica, al pari dei classici parametri vitali fisiologici quali temperatura corporea, frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e dolore. Per il distress in oncologia è stato sviluppato uno strumento specifico – il Termometro del Distress (TD) – che “misura” in modo rapido ill livello di sofferenza emozionale e le sue possibili cause (fisiche, familiari, relazionali, spirituali e pratiche). Il DT è stato inserito nelle linee‐guida come strumento di screening, in ambulatorio e day‐hospital oncologico, per individuare precocemente quei pazienti che hanno bisogno di un supporto psicosociale specialistico. Nella prospettiva di una medicina centrata sul paziente sarebbe opportuno dunque adottare di routine la valutazione del distress emozionale. Obiettivi: Abbiamo cercato di applicare il “Termometro del distress” validato in Italia da L. Grassi ed utilizzato nei Day Hospital Oncologici, anche ad un Reparto di Medicina Generale. Con questo studio pilota abbiamo cercato di portare i bisogni e le problematiche del paziente ospedalizzato o in regime di day hospital, al centro del nostro interesse, in funzione di una medicina di tipo patient centered. Obiettivo secondario: Indagare come questo questionario, possa essere utilizzato e somministrato oltre a pazienti oncologici, per cui è nato, anche per pazienti non necessariamente oncologici. Materiali e Metodi. La somministrazione dei questionari del Distress ai pazienti afferenti al Day Hospital Oncologico o ricoverati nel Reparto di Medicina Interna dell'Ospedale del Casentino in Bibbiena(Arezzo) è stata effettuata dalla Psicologa – Psiconcologa. Sono stati arruolati 26 pazienti del Day Hospital Oncologico e 30 pazienti ricoverati nel Reparto di Medicina Interna, per un totale di 56. I criteri di inclusione dei soggetti allo studio sono stati:
(I) età compresa tra i 18 e gli 80 anni; (II) diagnosi di patologia oncologica con tumori solidi in tutti gli stadi di malattia o ricovero presso il
reparto di Medicina Interna; (III) buona padronanza della lingua italiana
I criteri di esclusione dei soggetti allo studio sono stati:
presenza di disturbi cognitivi medio/gravi
limitazioni fisiche/gravità della malattia in grado di precludere la compilazione delle scale di valutazione e quindi la partecipazione allo studio.
E' stato utilizzato il questionario di auto‐somministrazione “Termometro del Distress” già validato per l'Italia (Distress Thermometer and Problem List strutturato nel 1997), e riproposto nella sua più recente
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edizione del 2008, dal National Comprehensive Cancer Network (NCCN). Il questionario del Distress è stato somministrato dal 12 settembre al 24 Ottobre 2011 ogni lunedì mattina ai pazienti che acconsentissero alla compilazione per un totale di 7 somministrazioni. Risultati. Il TD si è dimostrato sufficientemente sensibile nell'individuare i pazienti con problematiche psicopatologiche. L’analisi del questionario ha consentito di far avere un colloquio psicologico con la psicologa di reparto ai pazienti che indicassero un disagio pari o superiore a 6 o che avessero segnato problematiche emozionali come depressione, preoccupazioni o nervosismo, tali per cui si ritenesse utile un colloquio con la psicologa o la richiesta di consulto con uno psichiatra. Conclusioni. Abbiamo notato dei limiti all’utilizzo del questionario: uno di questi è la difficoltà di auto‐somministrazione per molti pazienti afferenti alla UOC di Medicina Interna, correlabile a difficoltà cognitive o condizionate dalla situazione di ricovero e dalla “destabilizzazione cognitiva” che spesso il paziente porta con sé. Tali limiti suggeriscono l'ipotesi di elaborare uno strumento più agevole per il reparto di medicina interna,anche in considerazione dell'età anziana prevalente negli ospiti.
Abstract POSTER VALUTAZIONE DI UN MARCATORE DI RIASSORBIMENTO OSSEO: STUDIO PRELIMINARE Ozzola G., Gasbarri L., Genovesi M., Migali E., Rosito MP., Santoro E. Ospedale del Casentino USL8 Arezzo Email: [email protected] Ipotesi. L'osso è caratterizzato da un rimaneggiamento periodico con un equilibrio fisiologico tra la formazione di nuovo tessuto ed il riassorbimento di quello vecchio. Tale equilibrio è soggetto a controllo da parte di ormoni, citochine,presenza di minerali...La sintesi della matrice organica inizia con la produzione, da parte degli osteoblasti,di collagene cui segue, a distanza di pochi giorni la mineralizzazione che a sua volta consente lo stabilizzarsi di legami covalenti crociati ( cross‐links) fra le fibre di collagene.Le patologie legate al metabolismo osseo sono numerose (osteoporosi, iperparatiroidismo, Paget, ipertiroidismo, metastasi...) per cui è importante per la loro diagnosi ed il monitoraggio della terapia avere a disposizione, oltre ai mezzi di diagnostica per immagini,anche dei metodi biochimici in grado di indicare il livello di neoformazione ossea e di riassorbimento osseo. Recentemente sono stati messi in commercio dei kit per esami di laboratorio in grado di eseguire con metodo automatizzato dei test in grado di valutare il riassorbimento osseo. Si tratta del dosaggio dei telopeptidi c‐terminali beta isomerizzati del collagene di tipo I(CTX) e quindi si tratta di un marcatore altamente specifico per degradazione ossea. Con questo lavoro si vuole valutare se questo marcatore biochimico può essere utile nella diagnostica e nel monitoraggio terapeutico di alcune malattie ossee. Materiali e Metodi. La CTX è stata misurata tramite strumento Roche 601 in 50 soggetti suddivisi in: 5 dializzati, 15 osteoporotici già diagnosticati, 15 oncologici con metastasi ossee ed in terapia con bifosfonati, 15 donne prive di fattori di rischio per osteoporosi. Risultati. Nelle donne prive di fattori di rischio il valore medio del CTX è risultato di 0,32ng/ml; negli osteoporotici 0,7, nei dializzati 0,99,nei soggetti con metastasi ossee ma in terapia con bifosfonati 0,1.Vista la scarsità della casistica non è stato fatto il confronto statistico. Conclusioni. Appare evidente che il dosaggio del CTX sia utile nel differenziare i soggetti sani da quelli con osteoporosi e da quelli in terapia con bifosfonati.
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PERCORSO ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI IN VALDINIEVOLE Panigada G., Napoli N., Alessandrì A., Becherini R., Comeglio M., Viti S., Sabato A. Ospedale di Pescia Email: [email protected] Ipotesi. L’ischemia critica degli arti inferiori è una patologia in aumento, in rapporto all’invecchiamento della popolazione e alla crescente prevalenza delle malattie croniche. E’ altamente invalidante, con prognosi grave in termini di durata e qualità di vita. E’ frequentemente una malattia orfana, in quanto più specialisti sono coinvolti nella gestione ma spesso viene persa la unicità del percorso. La malattia tuttavia è trattabile con successo se la diagnosi non è tardiva ed è effettuato un iter diagnostico-terapeutico efficace che garantisca la presa in carico complessiva del paziente attraverso un network operativo multidisciplinare con finalità di rivascolarizzazione se indicata e del trattamento delle comorbilità. Il management di questa patologia negli ultimi anni è migliorato nella nostra azienda: il tasso di amputazione si è ridotto negli ultimi 2 anni dall’ 8 al 6%, in rapporto all’incremento delle procedure di rivascolarizzazione passate dal 18 al 31%. Materiali e metodi. Nella nostra Azienda è stato predisposto un network operativo multidisciplinare per la presa in carico e il follow-up del paziente con ischemia critica che garantisce da parte dell’internista, la gestione complessiva dalla diagnosi, al trattamento, al follow-up. Fondamentale è stato il coinvolgimento della Medicina Generale per la segnalazione dei sospetti e l’invio, con accesso facilitato all’ambulatorio vaqscolare che rappresenta il punto d’ingresso nel percorso. Il management si realizza in Day Service e prevede -Imaging di II° livello ECD dettagliato, Angio TC o Angio RNM( per casi selezionati con criteri condivisi), -Studio polidistreuttualità aterosclerotica, -Terapia infusionale con prostanoidi ( secondo criteri EBM) -Controllo del dolore, -Trattamento locale delle lesioni, -Diagnosi e trattamento delle comorbilità, -Condivisione del caso con del Chirurgo Vascolare e Emodinamista per scelta di procedura di rivascolarizzazione. -Indicazione ad amputazione primaria per quadri non rivascolarizzabili in anchilosi antalgica. -Indicazione a trattamento con cellule staminali Le procedure di rivascolarizzazione vengono effettuate con ricovero in Medicina Interna se procedura endovascolare; in Chirurgia Vascolare(altro ospedale nella stessa azienda o di Area Vasta) se trattamento open. Amputazione maggiore, minore, debridement a cura di Ortopedico o Diabetologo per le competenze specifiche in Day service o con ricovero in Medicina Interna. Presa in carico internistica post trattamento per le comorbilità ed il follow-up. Risultati. Analisi della casistica 2010: pazienti trattati 75, età media 78, maschi 53. diabetici 60, IRC 12. Rivascolarizzazioni open 3 , endovascolari 35. Infusioni di prostanoidi 30, cellule staminali 1. Deceduti 5, amputazioni maggiori 6, controllo del dolore 98%, guarigione delle lesioni 51.
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POSTER Conclusioni. L’iter diagnostico/terapeutico descritto risulta efficace ed ha migliorato, nella nostra azienda il management di questi pazienti. I risultati sono stati ottenuti con una terapia integrata multidisciplinare che ha coinvolto i vari specialisti e le diverse professionalità mediante l’utilizzo di protocolli condivisi e standardizzati preordinati. Il paziente con ischemia critica è un paziente internistico con polipatologia in cui la procedura di rivascolarizzazione è solo un passaggio del suo complesso iter di trattamento. Il Day service rappresenta il setting ideale per il disease management di questi pazienti, permette una terapia completa e flessibile abbattendo i costi e i disagi di ricovero. Risulta tuttavia necessario un ulteriore miglioramento organizzativo, soprattutto rivolto ad intercettare i pazienti in fase più precoce, ridurre la necessità di ricorso all’ amputazione primaria, e ottenere migliori risultati in termini di durata e qualità di vita.
Abstract POSTER TROMBOLISI SISTEMICA NEL PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE PER LA GESTIONE DELLO STROKE Panigada G., Giovannetti R., Lucchesi I., Napoli N., Pierotello R., Straniti M., Teghini L.,Tonarelli L., Gentili R. a nome degli infermieri UO Medicina Interna, Ospedale di Pescia Email: g.panigada@ usl3.toscana.it Ipotesi. La trombolisi è un’ opportunità per il paziente con stroke ischemico sicuramente efficace, ma ancora troppo poco utilizzata. Per poterla utilizzare è necessario predisporre un percorso non solo territorio‐ospedale ma anche intraospedaliero efficace ed efficiente per ottimizzare la tempistica e definire il personale dedicato. La sua attuazione richiede impegno costante medico infermieristico e collaborazione tra le diverse strutture, per l’adeguata selezione del paziente e la monitorizzazione richiesta. E’ altresì necessaria una continua implementazione della procedura utilizzando l’applicazione costante dei protocolli, strumenti quali gli audit clinici e gli aggiornamenti costanti, al fine di ottenere adeguata motivazione in tutto il personale coinvolto. Materiale e Metodi. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione Regionale a tale procedura per renderla possibile nel nostro ospedale, organizzato per intensità di cure con Stroke Unit a tutoraggio internistico collocata nel livello 2 nel setting a più alta intensità , abbiamo predisposto un percorso che coinvolge Pronto Soccorso, Radiologia, Laboratorio e Medicina Interna, col fine di ottimizzare la tempistica. Nel 2011 il percorso Stroke comprensivo del trattamento trombolitico, nell’Area Medica organizzata per intensità di cure ha ottenuto la certificazione ISO 9001/2008 da ente esterno dopo diffusione, valutazione e mappaggio di tutte le fasi tra gli operatori coinvolti. Sono state altresì effettuate attività di Audit col personale medico, infermieristico e riabilitativo per la monitorizzazione del processo, il miglioramento dello stesso e la misurazione degli indicatori definiti. Tutti i casi di trombolisi sono comunque soggetti a revisione e vengono registrati su sitsinternational.org e data base Stroke FADOI Toscana wwwfadoitoscana.com.: Analisi della casistica effettuata mediante percorso caratterizzato dalla rapida presa in carico da parte dell’internista con attivazione di infermiere dedicato in Area medica Setting Alta intensità.
Risultati. Pazienti trattati 17, età media 64.2a, maschi 7, femmine 10, tipo di ictus: aterotrombotici 5, cardioembolici 7, lacunari 4, indeterminati 1., NIHSS all’ingresso 13.media 14, deceduti 1, molto migliorati 8, migliorati 4, immodificati 4, complicanze emorragiche sintomatiche 2, follow‐up a 3 mesi 14 pazienti: Rankin 0‐1: 10 , 2‐3: 2 , > 3:2.
Conclusioni. La certificazione del Percorso Diagnostico‐ terapeutico assistenziale del paziente con Stroke ha permesso di diffondere linee guida e clinical patways comprensivi del corretto utilizzo della trombolisi che rimane comunque un’opportunità ancora poco utilizzata. Nella nostra realtà la casistica presentata dimostra che la trombolisi sistemica è procedura fattibile, sicura ed efficace anche in ambito internistico nel livello 2, purchè si predisponga un percorso adeguato , siano disponibili competenze specifiche e aree di degenza dedicate alla cura dello stroke.
Abstract POSTER I FARMACI BIOLOGICI, ARMA A DOPPIO TAGLIO NELLE MANI DELL'INTERNISTA Pantaleo P., Biagioli M., Ciervo D., Pigozzi C., Cartei S., Alterini B. AOUC Firenze Email: [email protected] Ipotesi. L'Artrite Reumatoide è una malattia infiammatoria cronica sistemica, progressiva ed invalidante, che colpisce prevalentemente donne tra i 35 e i 50 anni, manifestandosi sia con un quadro articolare, caratterizzato da poliartrite simmetrica e progressivamente destruente a carico delle piccole articolazioni, sia con manifestazioni extra‐articolari. Da alcuni anni, il trattamento di fondo dell'AR si giova dei farmaci biologici anti‐TNF che inibiscono la produzione di questa citochina, efficaci soprattutto nei non responder alla terapia tradizionale con immunosoppressori. Nonostante la loro efficacia, tali farmaci non sono scevri da possibili effetti collaterali di altra natura, da quella infettiva a quella neoplastica. Presentiamo il caso di C.S, uomo di 48 anni affetto da artrite reumatoide in trattamento con Infliximab e GCC a basso dosaggio. Dall'anamnesi patologica emerge una comorbità per infezione da HBV, HCV e TBC (trattata con Isoniazide‐Rifampicina). Materiali e metodi. Il paziente giunge alla nostra attenzione per febbre elevata (40°C) e dolore toracico aspecifico, insorti dopo ripetuti episodi febbrili paracetamolo‐sensibili. Esami ematici e strumentali (TC ed ECOCARDIOGRAMMA) hanno rivelato un rialzo di VES e PCR, multipli e bilaterali addensamenti di natura verosimilmente flogistica a livello dei lobi inferiori ed un piccolo versamento pericardico. Risultati. Data la sospetta natura infettiva del quadro, abbiamo sospeso il farmaco biologico e iniziato una terapia antibiotica a largo spettro con remissione della sintomatologia e normalizzazione dei parametri ematici e strumentali, senza che si riuscisse ad avere evidenza di patologia infettiva. Conclusioni. Il quadro clinico manifestato è interpretabile come effetto collaterale della terapia biologica la cui ripresa andrà rivalutata in sede specialistica.
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INSOLITI RISVOLTI DELLE SOLITE DIAGNOSI. FUO. Pantaleo P., Biagioli M., Ciervo D., Pigozzi C., De Matteis A., Cartei S., Alterini B. AOUC [email protected] Ipotesi. La Febbre di Origine Sconosciuta è un’entità nosologica caratterizzata da episodi febbrili intermittenti superiori ai 38,3°C, che si protraggono per più di tre settimane e per cui non è possibile stabilire una diagnosi eziologica nonostante l’esecuzione delle indagini diagnostiche dedicate. Nella maggior parte dei casi di FUO, la mancata diagnosi è dovuta all’elevato numero di patologie che possono essere chiamate in causa e alla possibilità di una loro manifestazione “atipica”. Ragazzo di 22 anni con febbre intermittente (Tmax = 38,5°C), da circa un anno, associata a dolore crampiforme in fossa iliaca destra e linfadenopatia reattiva inguinale e bilaterale, che regredisce in pochi giorni con la sola terapia antipiretica. In anamnesi si segnala pregresso contatto con Bacillo di Koch. Materiali e metodi. Un soggetto maschio di 22 anni giunge alla nostra osservazione con febbre intermittente (Tmax = 38,5°C), da circa un anno, associata a dolore crampiforme in fossa iliaca destra e linfadenopatia reattiva inguinale e bilaterale, che regredisce in pochi giorni con la sola terapia antipiretica. In anamnesi si segnala pregresso contatto con Bacillo di Koch. Il paziente viene sottoposto ad esami ematochimici e sierologici per virus e batteri e al test Quantiferon, tutti negativi. Successivamente sono stati eseguiti Eco‐addome anch’esso negativo, Ecocardiogramma che ha rivelato ispessimento nodulare della cuspide posteriore della valvola mitralica in assenza di insufficienza valvolare e di un quadro infettivologico significativo e TC torace‐addome che ha evidenziato linfadenopatia lungo il decorso dell’asse vascolare ileo‐colico in assenza di alterazioni dei visceri. Risultati. E’ stata infine eseguita una pancolonscopia con riscontro di alcune ulcerazioni a fondo fibrinoso e petecchie della muscosa ileale compatibili con ileite ma con valvola ileo‐cecale indenne. Sono state eseguite biopsie della mucosa ileale. La natura dell’ileite è ancora incerta. In attesa della diagnosi isto‐patologica, è stata programmata sia la ripetizione del test Quantiferon che l’esecuzione dell’esame colturale delle feci per Bacillo di Koch. Conclusioni. Concludendo, le cause più probabili di febbre in questo caso sono rappresentate dall’ileite terminale di Crohn e dalla forma intestinale di TBC a dimostrazione che, nella maggior parte dei casi, la FUO non è dovuta a cause rare ma solo a manifestazioni “atipiche” di patologie comuni.
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TBC: UN “NEMICO” LATENTE. ATTENZIONE A NON ABBASSARE LA GUARDIA! Pantaleo P., Biagioli M., Ciervo D., Pigozzi C., Cartei S., De Matteis A., Alterini B. AOUC Firenze Email: p.pantaleo@ gmail.com Ipotesi. Negli ultimi decenni, le numerose ondate migratorie e la crescente diffusione dell’HIV, hanno determinato la ricomparsa della malattia tubercolare nei Paesi industrializzati dove più interessati sono gli anziani. Secondo l’OMS, circa 2 miliardi di persone nel mondo, sono state esposte al Micobacterium tubercolosis; di queste ogni anno 8 milioni si ammalano di tubercolosi, e 2 milioni muoiono a causa della malattia. Materiali e Metodi. Presentiamo il caso di B.G, un uomo di 41 anni, giunto alla nostra attenzione dopo trasferimento dalla S.O.D di Malattie Infettive dove, a seguto di TC‐torace e addome e EcocolorDoppler degli arti inferiori, era stata posta diagnosi di embolia polmonare dei rami segmentari di destra in paziente con TVP bilaterali delle vene soleari e gemellari sinistre associata a focolai broncompneumonici bilaterali non responsivi al trattamento antibiotico. Risultati. Durante la degenza presso il nostro reparto, il paziente è stato sottoposto ad ulteriori accertamenti come test Quantiferon che è risultato positivo e l’esame dell’escreato, di cui la batterioscopia per BK è ancora in corso di refertazione. Per lo scarso miglioramento del quadro clinico del paziente, è stata eseguita una nuova TC‐torace che ha evidenziato la presenza di una lobite tubercolare, presumibilmente aperta poiché localizzata in prossimità di un bronco e non rilevata all’esame precedente. Conclusioni. Considerato l’accaduto, una maggiore cautela nella interpretazione delle indagini strumentali potrà evitare, in futuro, esposizioni potenzialmente pericolose per il personale sanitario.
Abstract POSTER LA "SOLITA" LOMBALGIA... Para O., Castelli M., Sammicheli L., Bacci F., Rocchi F., Pieralli F., Nozzoli C. Medicina Interna e D'Urgenza, AUOC Careggi ‐ Firenze Email: [email protected] Introduzione. La spondilodiscite, ed in particolare la sua localizzazione dorsale, è una patologia relativamente rara, spesso misdiagnosticata, con un rischio elevato di morbilità e mortalità. Materiali e metodi. Caso clinico: Uomo di 42 anni cingalese, immunocompetente, da circa un mese riferisce lombalgia, iporessia e calo ponderale. Accede in DEA per esacerbazione della lombalgia: RX rachide nella norma, viene rinviato al domicilio con terapia antalgica. Per la persistenza della sintomatologia, resistente al trattamento con FANS e oppiacei, e la comparsa di febbricola serotina, accede nuovamente in DEA dopo 10 giorni: la TC del rachide rileva ampia banda di tessuto paravertebrale avvolgente le vertebre con irregolarità del profilo osseo di D9 e D10 con spazio discale slargato e fenomeni di erosione ossea associati. Alla RMN impregnazione del tessuto patologico, con forte sospetto diagnostico di linfoma. Emocolture e quantiferon negativi. L’esame microscopico e colturale per germi comuni e BK eseguito su ago aspirato mostra positività a bassa carica per S. Aureus multisensibile. Biopsia non dirimente. Il paziente viene trattato con Rifampicina e Trimetoprim/Sulfametoxazolo per 60 giorni, in assenza di miglioramento clinico, con peggioramento del quadro TC. Evidenza inoltre alla TC torace‐addome di addensamento polmonare apicale sinistro con linfonodi mediastinici e laterocervicali di significato patologico. E’ stata pertanto ripetuta biopsia midollare in wash out farmacologico , negativa per patologia neoplastica, con persistenza di positività per S. Aureus. Risultati. E’ stata pertanto prolungato il trattamento antibiotico, con risoluzione del quadro. Conclusioni. Conclusioni: Il dolore lombare è motivo frequente di accesso in DEA. La spondilodiscite è un’eziologia rara, potenzialmente invalidante e fatale se non diagnosticata precocemente e che necessita di lunghi periodi di trattamento. Con l’incremento della popolazione immigrata da paesi in via di sviluppo, questa patologia precedentemente rara deve essere sempre presa in considerazione nella diagnostica differenziale, anche nel paziente senza apparenti fattori di rischio.
Abstract POSTER TROMBOSI ISOLATA DELLA VENA MESENTERICA SUPERIORE IN CORSO DI INFEZIONE DA CMV Pieri A., Cruciani G., Lusini C., Passaleva M.T., Tatini S., Laureano R. Medicina Interna – ASF Firenze Email: [email protected] Ipotesi. Una donna di anni 34, viene ricoverata d’urgenza per dolore epigastrico insorto acutamente, senza vomito e modica febbre; l’addome si presenta disteso e dolente con intenso meteorismo, alvo aperto a gas. Materiali e metodi. Anamnesi patologica remota negativa per patologie degne di nota; attualmente in allattamento dopo gravidanza regolare con parto eutocico diciassette mesi prima. Una precedente gravidanza regolare. Terapia estroprogestinica per molti anni e attualmente ripresa da dodici mesi. Recente infezione delle prime vie aeree. Risultati. Esegue all’ingresso ecografia dell’addome con rilievo di formazione ipoecogena rotondeggiante, confermata alla TC addome con mdc , da trombosi della vena mesenterica superiore. Presenza di massa peri venosa attribuita ad adenopatie perivascolari. Si rileva linfocitosi relativa. Nessun precedente di malattie tromboemboliche neppure nella sua storia familiare. Si pratica terapia anticoagulante con Eparina sodica ev; dieta assoluta, NPT. Gli esami per la ricerca di cause della trombosi risultano tutti negativi (EGDS, pancoloscopia, mammografia); risultano positivi gli Ac anti CMV della classe IgM, con conferma di infezione in fase acuta con tecnica ELFA, e mutazione in eterozigosi del fattore V Leiden. Dopo 4 giorni inizia terapia anticoagulante orale, miglioramento progressivo della sintomatologia addominale; graduale ripresa della alimentazione; viene dimessa in TAO in 12° giornata. A 20 giorni il controllo ECD venoso mostra iniziale ricanalizzazione della vena mesenterica superiore. Prosegue TAO. Conclusioni. La trombosi venosa mesenterica è prevalentemente correlata alla presenza di patologie addominali severe (neoplasie, appendicite, diverticolite, cirrosi epatica, pancreatite), la forma isolata è una patologia rara che può essere molto grave soprattutto per il ritardo con cui viene formulata la diagnosi, dal momento che i pazienti spesso presentano sintomi addominali aspecifici, non corredati da reperti obiettivi altrettanto significativi. L’infezione da CMV può causare vasculopatie e trombosi nei pazienti immunocompromessi ma raramente anche negli individui immunocompetenti: in letteratura sono stati riportati numerosi casi di trombosi venosa del distretto splacnico associata ad infezione acuta da CMV nei pazienti immunocompetenti, la maggior parte dei quali presentava fattori predisponenti come l’uso di contraccettivi orali e alterazioni genetiche della coagulazione. Nel nostro caso coesistevano la terapia estroprogestinica e la mutazione del V Leiden, che pure per anni non avevano determinato eventi clinici tromboembolici, verificatisi in occasione della infezione da CMV.
Abstract POSTER PROTOCOLLO DI PREVENZIONE E MONITORAGGIO DELLA NEFROPATIA DA MEZZO DI CONTRASTO IODATO Piluso A., Del Corso C., Moreschi L., Vannucchi L., Comeglio M. U.O. Nefrologia e Dialisi Azienda USL3 Pistoia
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Ipotesi. Il moltiplicarsi di tecniche radiologiche e la crescente diffusione della radiologia interventistica, estesa anche a pazienti più anziani e affetti da comorbidità, hanno determinato un aumentato utilizzo dei mezzi di contrasto (MdC) iodati nella pratica clinica e l’aumentata incidenza di una entità patologica ormai ben conosciuta e nota come Nefropatia da Mezzo di Contrasto, contraddistinta con l’acronimo CIN (Contrast‐Induced Nephropathy). La CIN è riconosciuta come terza causa di insufficienza renale acuta (IRA) acquisita in ambito ospedaliero (11% dei casi di IRA) dopo il danno da ipoperfusione renale e l’impiego di farmaci nefrotossici come gli antinfiammatori non steroidei; si associa ad aumento della morbilità (aumento del 5.5 % di ospedalizzazione) e mortalità (da 2 a 3 volte, 35% dei casi di CIN), tanto da far considerare la CIN come un fattore predittivo indipendente di mortalità a lungo termine e contribuisce significativamente ad un aumento dei costi sanitari. L’incidenza di CIN è compresa tra il 3% e il 20‐25% e può raggiungere valori fino al 50% nel caso di pazienti con importanti fattori di rischio come l’insufficienza renale cronica (IRC) ed il diabete mellito. Il numero di casi di insufficienza renale con necessità di dialisi potenzialmente attribuibili all’esposizione a MdC iodato è strettamente legato alle comorbidità presenti nel singolo paziente e varia dall’1% al 10% per quelli già affetti da IRC. Materiali e Metodi. Dai dati forniti dal Controllo Gestione della nostra Azienda USL3 si calcola che nel corso del biennio 2009 ‐ 2010 siano state eseguite complessivamente n° 24990 procedure diagnostiche o interventistiche con MdC iodato, così suddivise: pazienti esterni 16559 e pazienti ricoverati 8431. Se si ipotizza un rischio dallo 0.04% al 48% (sulla base del GFR da 50 a 10 ml/min) si ottiene una stima di almeno 140 casi anno di CIN. Abbiamo costituito un Gruppo di Lavoro (GdL) multidiscliplinare allo scopo di stabilire un’interazione fra coloro che gestiscono questa tipologia di esami e procedure, condividere la diagnostica più appropriata e mettere in atto le misure più adatte per ridurre il rischio di CIN. Definizione clinica di CIN: Compromissione acuta della funzione renale che avviene a distanza di 48‐72 ore dopo l’iniezione di mezzo di contrasto (MdC) iodato, in assenza di altre possibili cause di IRA. Definizione laboratoristica: Aumento assoluto ( >0,5 mg/dl) o relativo (> 25%) della Creatinina sierica rispetto al valore basale, precedente la somministrazione del mezzo di contrasto. Il GdL ha conocrdato di individuare e stratificare i pazienti per livello di rischio sulla base del filtrato glomerulare renale (GFR) e della creatinina: GFR > 60 ml/min ‐ Rischio di CIN basso ‐ Non è necessaria profilassi nè follow‐up. GFR 60‐30 ml/min ‐ Rischio di CIN moderato ‐ Valutare la necessità di profilassi e follow up. GFR < 30 ml/min ‐ Rischio di CIN elevato ‐ Necessari profilassi e follow‐up Creatinina ≥ 1,5 mg/dl ‐ Rischio di CIN variabile da moderato ad alto ‐ Valutare il rischio e la necessità di profilassi e follow‐up. Sono state concordate inoltre misure preventive da instaurare nel periodo periprocedurale rappresentate dalla sospensione di farmaci potenzialmente nefrotossici e dall’utilizzo e del mezzo di contrasto più appropriato. Risultati. Il Gruppo di Lavoro ha elaborato un Protocollo di Prevenzione e monitoraggio della CIN che prevede: 1) IDRATAZIONE (compatibilmente con i parametri emodinamici e la diuresi) a base di: Soluzione Fisiologica 0,9 % alla dose di 1 ml/kg/h iniziando 8‐12 ore prima dell’esame (monitorando la diuresi)
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Bicarbonato di Sodio 1.4% (1/6 molare) alla dose di 3 ml/kg/h nell’ora precedente la somministrazione del mezzo di contrasto; dopo l’esame e/o la procedura continuare con: Bicarbonato di Sodio 1.4% alla dose di 1 ml/kg/h per le 6 ore successive 2) ACETILCISTEINA 600 mg 2 cpr la mattina e 2 cpr la sera il giorno prima del MdC; 2 cpr subito dopo il MdC e 2 cpr dopo 6 ore successive. Conclusioni. Il Protocollo è stato approvato dalla U.O. Qualità ed è diventato un documento ufficiale aziendale (PA.DS.08); è stato quindi pubblicato sul sito Aziendale in modo da poter essere consulatto da tutti gli operatori sanitari. Sono stati effettuati incontri formativi per la presentazione e la condivisione del documento stesso all’interno delle varie aree funzionali aziendali; inoltre è stata presentata la scheda di rilevazione e monitoraggio della CIN, dalla quale attendiamo i risultati che confermino come il protocollo possa prevenire o almeno ridurre l'incidenza della CIN. il Procollo è rivolto essenzialmente ai pazienti ricoverati, ma con le opportune variazioni (idratazione e somministrazione di bicarbonato per via orale) può essere applicato anche ai pazienti ambulatoriali.
Abstract POSTER HTA: ASSESSMENT E MANAGEMENT NELL’AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA CAREGGI Porchia B., Gusinu R., Franchi S., Matarrese D., Virgili G. Presicce G., Giovannini V., Dori F., Gensini G.F. Dipartimento Igiene e Sanità Pubblica – Università di Firenze Email: [email protected] Ipotesi. L’Azienda Ospedaliero‐Universitaria Careggi (AOUC) rientra fra le strutture aziendali che effettuano attività di HTA. Dall’inizio del 2011 è stata attivata la SOD HTA che si occupa delle aree di valutazione delle tecnologie indicate dalla delibera della Giunta Regionale Toscana n. 229 del 25/03/2008. L’obiettivo primario è quello di utilizzare le tecnologie mediche a forte impatto assistenziale ed organizzativo per ottimizzare i processi clinico‐chirurgici. Materiali e metodi. L’HTA attraverso un approccio multidisciplinare ha lo scopo di documentare l’impatto clinico, economico, organizzativo ed etico della introduzione di una tecnologia. Il processo di valutazione consta delle seguenti fasi: definizione degli obiettivi principali, condivisione delle informazioni disponibili, formalizzazione di una metodologia di lavoro, analisi dei gap informativi, valutazione del quadro dei bisogni di salute, cure disponibili e costi associati, valutazione della nuova tecnologia in termini di caratteristiche, evidenze esistenti, piani di ricerca, impatto clinico, economico e organizzativo e aspetti bioetici. Risultati. Nell’AOUC sono stati compiuti diversi studi tra cui l’analisi sull’uso della CRRT (Continuous Renal Replacement Therapy) nella Terapia Intensiva Cardiologica Medico‐Chirurgica del DAI Cuore e Vasi e l’analisi del TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation), procedura innovativa, utilizzabile in pazienti affetti da stenosi valvolare aortica severa “non operabili” con l’approccio tradizionale di sostituzione chirurgica di valvola. La SOD HTA sta compiendo anche un’attenta valutazione dell’impatto dell’edilizia ospedaliera. Entro il 2014 è infatti prevista la creazione nell’AOUC dei poli di Emergenza Urgenza Generale e Cardiocerebrovascolare, Oncologico, Materno‐Infantile, Chirurgico Elettivo, Neurortopedico e Polispecialistico. A tal fine sono state avviate le fasi di studio tecnologico‐organizzativo con particolare attenzione al miglioramento dell’efficienza dei percorsi clinico‐chirurgici. Ad oggi in questo senso sono state condotte diverse esperienze, con notevoli risultati nell’ambito del “percorso formativo per la gestione del percorso chirurgico” e dei “modelli di ottimizzazione per la pianificazione di interventi chirurgici”. Conclusioni. Grazie ad un approccio multidisciplinare, sono state coinvolte diverse figure professionali che hanno contribuito all’introduzione di nuovi strumenti tecnologici applicabili in ambito sanitario. L’azienda si è dimostrata disponibile a promuovere e sperimentare modelli matematici creati al di fuori dei confini aziendali e che hanno trovato applicazione all’interno dei percorsi clinico assistenziali.
Abstract POSTER MALATTIA EMOLITICA DA DEFICIT DI GPD AD ESORDIO SENILE Rocchi M., Belcari C., Cecchetti R., Andreini R. Ospedale Lotti U.O. Medicina 1 Pontedera (PI) Email: [email protected] Ipotesi. L'anemia emolitica da carenza di G‐6‐PD è una condizione clinica eterogenea, nella quale l'insufficiente attività enzimatica si traduce in una minore capacità delle emazie di resistere al danno ossidativo con accorciamento della loro vita media in circolo. E' descritta una forma ad esordio precoce, che si manifesta talora già alla nascita e che può simulare la malattia emolitica del neonato da incompatibilità Rh, ed una forma giovanile con emolisi cronica parzialmente compensata che può sviluppare crisi emolitiche in corso di esposizione a farmaci ossidanti, fave, piselli. Materiali e metodi. Si descrive il caso clinico di un uomo di 74 aa ricoverato nel ns reparto perché da due giorni lamenta dolore epigastrico e retrosternale con minime alterazioni di troponina I; l’ECG dimostra voltaggi positivi per ipertrofia ventricolare sinistra, l’Ecocardiogramma esclude anomalie della cinesi regionale, conferma l’ipertrofia ventricolare sinistra . L’Ecografia addome mostra solo lieve splenomegalia. Gli esami ematochimici evidenziano macrocitosi (MCV 103 fl) con Hb 13 g%, iperbilirubinemia Indiretta (3 mg%), LDH 862 U/L. In prima giornata di degenza le condizioni cliniche del paziente rapidamente peggiorano con comparsa di astenia e stato di torpore; gli esami ematochimici mostrano grave anemizzazione (Hb 6 g%, trattato con emotrasfusioni di emazie concentrate) con MCV sempre > 100 fl, ulteriore aumento di bilirubina indiretta (6 mg%), LDH > 4000, reticolocitosi (>100.000 mmc), test di Coombs D e I negativi, ferritina 3000 ng/ml, ematuria. Rapido declino della funzione renale (creatininemia >6 mg%) che richiede trattamento emodialitico. Risultati. Anamnesi positiva per ipertensione arteriosa , iperlipidemia, due precedenti episodi di minor stroke, iperuricemia asintomatica, ipertrofia prostatica. In trattamento cronico con atenololo, ramipril, ticlopidina, furosemide, atorvastatina, allopurinolo. Riferita in passato lieve anemia microcitica trattata con sali di ferro; EGDS e Colonscopia precedentemente eseguite hanno escluso alterazioni organiche significative.I dati di laboratorio orientano per un quadro emolitico non immune acuto, complicato da insufficienza renale acuta. Si esegue dosaggio di Glucosio 6 fosfato Deidrogenasi che risulta pari a 10 mU/mmc (vn 146‐376). Conclusioni. il pz nei gg precedenti il ricovero aveva mangiato fave in modica quantità; altre volte, nel corso della sua vita aveva assunto tali alimenti senza sintomi significativi. Da uno studio esteso ai familiari di primo grado, risulta che un fratello è affetto da deficit di G6PD in assenza di sintomi clinici .
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TUBERCOLOSI UNA PATOLOGIA MAI SCOMPARSA. GIOVANE DONNA CON LOCALIZZAZIONE POLMONARE Rossi F.*, Marietti P.*, Nardi M.*, De Crescenzo V.*, Cascinelli I.*, Mazzi A.*, Guglielmi S.*, Gori E.*, Croci L.*1, Manini M.* Area Funzionale Medica Presidio Ospedaliero “ Colline dell’Albegna”, U.O.C. Medicina Interna Pitigliano‐Orbetello *1U.O. Malattie Infettive, Grosseto Email: [email protected] Introduzione: la TBC, causata da batteri del complesso M. tubercolosis, di solito interessa i polmoni, in 1/3 dei casi altri organi. Notifiche annuali ad OMS: 4 milioni. 90% in paesi in via di sviluppo. Caso clinico: B.O.A., donna, 24 anni, rumena, ricoverata per dolore emitorace destro da mesi. Anamnesi: polmonite basale destra otto mesi prima, trattata con Azitromicina. Successivi RX: persistenza patologia. E.O.: crepitii base polmonare destra. Parametri vitali normali. Risultati: esami ematici ed EGA normali. Ab anti‐Mycoplasma: IgM ‐, IgG +; negativi Ag urinario Legionella e Pneumococco. Rx torace: ipodiafania sovrabasale posteriore a dx. TC torace: LID: area consolidativa parenchimale con broncogramma aereo e contatto pleurico, noduli cavitati. LM: aspetto ad albero in fiore sub pleurico; LSD: nodulo da coalescenza unità minori. Normale broncoscopia. BAL: microscopico micobatteri, citologico e colturale negativi. Colturale BK positivo. Paziente ricoverata in Malattie Infettive per 7 giorni. Terapia giornaliera: [Rifampicina 600 mg+Isoniazide 300 mg+Etambutolo 800 mg+Piraldinomide 500 mg]/2 mesi; quindi con Rifampicina+Isoniazide (stesse dosi)/4 mesi con guarigione. Conclusioni: indispensabile precoce riconoscimento della TBC per trattamento e prevenzione complicanze specie in persone provenienti da aree ad elevata incidenza.
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EMOFTOE RECIDIVANTE: UN CASO INUSUALE. Sbaragli S., Fabbroni A.A., Tavernese G., Vacirca D., Marchi L., Vannucchi P.L., Fortini A. U.O. Medicina Interna Ospedale Serristori Figline Valdarno Azienda Sanitaria Firenze Email: [email protected] Ipotesi. L'emoftoe è un sintomo allarmante che riconosce numerose cause e richiede spesso una complessa valutazione diagnostica. Descriviamo un caso di emoftoe recidivante da causa inusuale. Materiali e metodi. Nel luglio 2010 un uomo di 63 anni viene ricoverato per emoftoe. Episodi simili, di minor entità, erano occorsi già nei 3 mesi precedenti. In anamnesi tubercolosi ossea del ginocchio destro nel 2006 trattata con terapia specifica per un anno; recente impianto di protesi di tale ginocchio per cui stava assumendo FANS e eparina a basso pm. Risultati. Non febbre, obiettività negativa. Gli esami ematici documentano solo lieve incremento degli indici di flogosi (ves 30 mm, PCR 1,64 m/dL). LaTC torace mostra esiti specifici apicali sinistri con presenza di alcune bolle aeree e la fibrobroncoscopia con esame colturale e citologico su BAL mostra solo flogosi cronica bronchiale. In particolare, negativi gli esami microscopico, colturale e l'amplificazione genica per BK. Nel febbraio 2011 nuovo ricovero per emoftoe recidivante; la TC torace questa volta evidenzia una lesione escavata a livello polmonare apicale sinistro con all'interno una formazione sospetta per micetoma. Il BAL risulta positivo per l’antigene galattomannano e viene posta diagnosi di aspergilloma polmonare. Inviato presso la UO Malattie Infettive AO Careggi, viene iniziata terapia medica con voriconazolo ma, per episodi recidivanti di emoftoe, il paziente nel luglio 2011 viene sottoposto ad intervento di resezione del lobo polmonare superiore sinistro. L’esame istopatologico sul pezzo operatorio conferma la diagnosi di aspergilloma polmonare. A distanza di 4 mesi le condizioni generali e respiratorie risultano soddisfacenti. Conclusioni. L’aspergilloma è una vegetazione fungina che si può formare in oltre il 20% delle cavità polmonari di diametro superiore a 2 cm. Una recente classificazione suggerisce di dividere l’aspergilloma in due categorie: aspergilloma cronico cavitario e aspergilloma singolo. Il caso di nostra osservazione è da inquadrare come aspergilloma singolo, nel quale la terapia chirugica è di prima scelta, in quanto i farmaci antimicotici non sono in grado di raggiungere concentrazioni efficaci all'interno delle lesioni cavitarie polmonari. L'analisi di questo caso clinico suggerisce di prendere in attenta considerazione l'infezione da aspergillo nella diagnostica differenziale dell'emoftoe e di eseguire quindi le appropriate indagini, quali la ricerca dell'antigene galattomannano nel BAL.
Abstract POSTER RELATION OF RISK FOR HYPERTENSION TO BODY COMPOSITION IN OBESE PEOPLE. Seghieri G., Fabbri G., Tesi F. UO Medicina 2, Spedali Riuniti, Az USL 3, Pistoia Email: [email protected] As known hypertension (HT) is linearly linked to obesity, while poorly understood is the relation between blood pressure (BP) and body mass composition. Since body weight can be considered as a two‐compartment model where fatty mass (FM) is a low‐resistance compartment paralleling the high‐resistance fat‐free mass (FFM), the question asked by this study is whether FM and FFM interact to modulate BP in overweight/obese people. For this purpose we studied 292[80M/212F] overweight‐obese people [BMI≥25‐≤40Kg*m‐2], who consequently came to our outpatient clinic to obtain dietetic advice. In all patients we measured body composition through bioelectrical impedance and BP by standardised methods. According to diagnostic criteria used for metabolic syndrome HT was defined as systolic BP≥130mmHg and/or diastolic BP≥85mmHg. In the whole group mean‐blood‐pressure was weakly related to FFM after adjusting for FM, age, waist, BMI and gender (β‐coefficient=0.31; p=0.04). HT prevalence was similar across FM tertiles and within each tertile the adjusted HT risk, expressed as Odds Ratio (HT‐OR, 95%CI) for each 1 SD augment in FM progressively decreased from 1st (0.527, 0.302‐0.979) to 2nd tertile (0.355, 0.184‐0.628) and augmented in the upper one (1.862; 1.081‐3.364), being linked to FM by a J‐shaped model. On the other hand, after doing the same operation across FFM tertiles, FFM was significantly related with HT risk only in the third FM tertile (HT‐OR=2.383, 1.110‐5.815). In conclusion in overweight‐obese people FM modulates the relation HT‐body weight through a J‐shaped curve, since FM reduces HTrisk in the lower FM tertiles, raising it, synergistically with FFM, in the upper one.
Abstract POSTER ARTERITE DI HORTON Seravalle C., Lotti E., Landini G. Medicina SMN ‐ Firenze Email: [email protected] Ipotesi. Donna di 64 anni, ipertesa, sindrome ansioso‐depressiva.Non patologie fino al 2007. Comparsa di lesioni nodulari agli arti inferiori con esame istologico: “infiltrato linfoistiocitario prevalentemente a disposizione interstiziale con cellule giganti multinucleate e focali aspetti microgranulomatosi, del derma superfiale e profondo. E’ stata posta diagnosi di sarcoidosi cutanea ed eseguita per 18 mesi terapia steroidea con scomparsa del quadro cutaneo. Nel 2010 comparsa di artralgie diffuse: visita immunologica con diagnosi di poliartrosi non trattata farmacologicamente. Nell’aprile 2011 comparsa di febbre e cefalea persistente associate ad incremento degli indici di flogosi resistenti a terapia medica. Eseguite TC cranio e rachicentesi nella norma. Visita centro cefalee, prescritta terapia antidepressiva con scarso beneficio. Luglio 2011 comparsa di claudicatio mandibolare e dell’arto inferiore destro associata a parestesie, autonomia di marcia di circa 50 metri. Materiali e metodi. Ricovero.EO generale negativo, assenza di pulsazione delle arterie temporali (non possibile eseguire biopsia). Esami ematici: incremento dei reattanti di fase acuta e anemia normocromica normocitica. Esami strumentali: ecocolordoppler arterioso arti inferiori:arteriopatia obliterante bilaterale con ischemia precritica a destra per stenosi femoro‐poplitea. ECD: ispessimento diffuso a livello delle carotidi comuni. Immagini Doppler suggestive per ispessimento concentrico di tipo arteritico. Angio‐Tc arti inferiori: diffuso ispessimento parietale dell’aorta con saltuari restringimenti concentrici fino a stenosi dell’80% dell’arteria femorale e poplitea bilateralmente.Tp: metilprednisolone in bolo (1 g/die per 5gg) poi prednisone 25 mg/die, alprostadil e.v. per 20 giorni, ASA 100 mg/die, pregabalin 150 mg/die. Risultati. Controllo a 30 gg: intervallo di marcia libero > 200 m. ECD: riduzione dell’ispessimento delle pareti arteriose a livello femoropopliteo e carotideo con aspetto trifasico e riduzione demodulazione a livello tibiale. Dopo 40 gg, previa sospensione della terapia, PET FDG: sfumata ipercaptazione a livello delle carotidi e dell’aorta. Aggiunta terapia con metotrexate 15 mg.L’arterite a cellule giganti è una vasculite sistemica. L’approccio selettivo dei singoli sintomi da parte dei vari specialisti, ha ritardato la diagnosi e quindi la terapia. Solo mediante un’approccio globale del caso clinico è stato possibile porre corretta diagnosi ed intraprendere terapia specifica. Conclusioni. L’arterite a cellule giganti è una vasculite sistemica. L’approccio selettivo dei singoli sintomi da parte dei vari specialisti, ha ritardato la diagnosi e quindi la terapia. Solo mediante un’approccio globale del caso clinico è stato possibile porre corretta diagnosi ed intraprendere terapia specifica.
Abstract POSTER CASE REPORT: TROMBOLISI E.V. IN UN PAZIENTE CON SINDROME DI DOWN E ICTUS ISCHEMICO ACUTO Spolveri S., Beltrame C., Bracci S., Monsacchi L., Spolveri F.* Medicina Interna – Stroke Unit Ospedale San Giovanni di Dio – Firenze * Università degli Studi di Firenze Email: [email protected] L’aspettativa di vita degli individui con sindrome di Down (SD) è aumentata nel corso degli ultimi decenni, raggiungendo oggi circa 60 anni di età (Bittles & Glasson, 2004) . Pertanto una popolazione maggiore di individui con SD va incontro a prematuri cambiamenti dello stato di salute, età correlati. Gli adulti con SD hanno un maggior rischio di demenza, alterazioni della pelle e dei capelli, menopausa precoce, deficit della vista e dell’udito, epilessia a insorgenza tardiva, distiroidismo, diabete, obesità, sindrome delle apnee notturne e problemi muscolo scheletrici. Le patologie cardiovascolari sono comuni cause di morte negli adulti con SD (Esbensen et al, 2007), ma studi epidemiologici sulla incidenza e prevalenza di ictus non sono disponibili. La SD può essere determinare l’ ictus ischemico in età pediatrica e giovanile per l’associazione con la malattia di Moyamoya, nella quale la stenosi o l’occlusione dell’ACI distale determina lo sviluppo di numerosi piccoli vasi collaterali che nell’insieme, all’angiografia, assomigliano ad uno “sbuffo di fumo” ; inoltre è associata alla Angiopatia Amiloide Cerebrale determinata dalla deposizione della proteina amiloide, congofila, βA4 immunoreattiva, nelle arteriole e nei capillari del parenchima cerebrale e delle leptomeningi. L’AAC può contribuire al deterioramento cognitivo dovuto all’ischemia cerebrale ed a microemorragie ed è la causa principale delle emorragie lobari. Descriviamo il caso di un uomo di 54 anni affetto da SD, epilessia nell’infanzia, epatopatia HBV correlata in trattamento con lamivudina e adefovir‐dipivoxil, presentatosi al PS‐DEA del nostro Ospedale con emiplegia destra e afasia insorte da circa 1 ora (NIHSS 9>12). Dopo la TC Cranio eseguita d’urgenza che mostrava lieve spianamento dei solchi in sede temporo‐parietale sinistra ed esiti lacunari bilaterali, valutazione degli esami ematici (ALT 32, AST 30, INR 1,18, plt 201000) e somministrazione di bolo e.v. di labetololo 20 mg per rialzo ipertensivo, veniva praticata trombolisi sistemica con rt‐PA 57 mg (5 mg bolo, 52 mg in 1 h; p.c. 65 Kg). Dopo 50’ l’infusione veniva interrotta per peggioramento delle condizioni cliniche. La TC ripetuta mostrava la comparsa di focolai emorragici in sede temporo‐parietale destra (PH2) e pertanto venivano trasfuse 2 sacche di plasma. Nelle ore successive le condizioni cliniche peggioravano per la comparsa di iperpiressia (39,5 °C) e crisi convulsive generalizzate, stato di coma sino al decesso avvenuto a distanza di 20 ore dall’insorgenza dei sintomi. A nostro parere, questo è il primo caso descritto in letteratura di paziente con SD trattato con trombolisi e.v. per ictus ischemico acuto. La possibile coesistenza di patologie che favoriscono le complicazioni emorragiche sconsigliano l’uso di trombolitici e.v. in questo sottogruppo di pazienti.
Abstract POSTER VALUTAZIONE dello STATO NUTRIZIONALE in PAZIENTI RICOVERATI per SCOMPENSO CARDIACO e per BPCO CON INSUFFICIENZA RESPIRATORIA Suppressa S., Armento R.A. Medicina Interna – Pistoia Email: [email protected] Numerosi studi dimostrano che l’outcome clinico dei pazienti affetti da scompenso cardiaco e BPCO è influenzato dallo stato nutrizionale.In particolare il valore di BMI ( body mass index ) <21 Kg/m2 e una riduzione del FFM ( Fat Free Body mass index )correlano con aumentato rischio di mortalità. Scopo dello Studio. Identificare i pazienti malnutriti o a rischio di malnutrizione fra i ricoverati per scompenso cardiaco e per BPCO con insufficienza respiratoria utilizzando indicatori di primo livello : BMI , M.N.A. (Mini Nutritional Assessment), dosaggio della prealbumina e della transferrina, conta dei linfociti ematici totali e di secondo livello : FFM calcolato con bioimpedenziometria. Confrontare la potenzialità diagnostica del BMI,dei parametri biochimici ,del M.N.A e della bioimpedenziometria nella identificazione dei pazienti malnutriti o a rischio di malnutrizione . Materiali e Metodi. Sono stati studiati 40 pazienti (26 maschi e 14 femmine) di età media 79.5 (51‐93 anni) ricoverati consecutivamente nell’U.O.Medicina Interna 1 (ASL3 – Pistoia) nel periodo 27 aprile 2011 ‐ 30 settembre 2011 per scompenso cardiaco (27) e per BPCO con insufficienza respiratoria(13).9 pz (22,5%) presentavano 3 o più comorbilità. Il gruppo dei pazienti è stato sottoposto a valutazione dello stato nutrizionale utilizzando il calcolo del B.M.I,la compilazione del M.N.A.(Mini nutritional assessment),il dosaggio della transferrina e della prealbumina sierica, la conta dei linfociti ematici totali ,la bioimpedenziometria per il calcolo del FFM (bioimpedenziometro Bodygram Pro 3.0 Akern Bioresearch).L’MNA (Mini Nutritiotnal Assessment) è un sistema di valutazione a punti dello stato nutrizionale che considera: indici antropometrici ( 8 punti), indici dietetici ( 9 punti)valutazione soggetiva(4 punti), valutazione globale ( 9 punti).24‐30 punti : soggetto ben nutrito .23,5‐17 punti :soggetto a rischio di malnutrizione.<17punti :soggetto malnutrito. LA BIOIMPEDENZIOMETRIA valuta la percentuale di massa grassa espressa come FFM (fat free body) rispetto a quella attesa per un soggetto con uguali caratteri antropometrici e in buona forma fisica . Risultati. BMI valore medio 23,6 ( range 17‐37,5 ) .<21 in 12 pazienti (30%).Conta linfocitaria ematica totale valore medio 1386/ cc. <1500/cc in 33 pazienti ( 82%).Transferrina sierica < 265microgm/dl in19 pazienti ( 47.5% )Prealbumina sierica valore medio di 20,5 mg/dl.< a 18 mg/dl in15 pazienti (37,5%).Il punteggio globale dell’MNA è risultato di 19,9 (range 5‐26,5).Uno score <a17 indicativo di malnutrizione in10 pazienti (25%),uno score >17 e < 23.5 indicativo di rischio di malnutrizione19 pazienti (47,5%).I due gruppi costituiscono il 72.5% dei pazienti studiati.La bioimpedenziometria ha evidenziato una percentuale di FFM inferiore a quella correlata ad una buona forma fisica individuale in 28 pazienti (70% del totale). Conclusioni. 1) per individuare fra i pazienti con scompenso cardiaco e BPCO quelli malnutriti o a rischio di malnutrizione, la valutazione del BMI ha una potenzialità diagnostica inferiore rispetto alla compilazione del MNA e alla valutazione del FFM tramite bioimpedenziometria. 2) L’MNA(Mini nutritional assessment) come metodica diagnostica di primo livello e quindi di basso costo è risultata efficace come la bioimpedenziometria ( metodica diagnostica di secondo livello a più alto costo ) nella diagnosi di malnutrizione calorico –proteica nel gruppo dei pazienti studiati con scompenso cardiaco e BPCO. 3) La conta totale dei linfociti totali (<1500/mm3) è risultato l’esame ematochimico che più precocemente si correla alla malnutrizione.
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Abstract POSTER IL DELIRIUM IN PAZIENTI ANZIANI RICOVERATI IN UN REPARTO DI MEDICINA PER ACUTI. Tavernese G., Colasanti L., Vietti F., Fabbroni A.A., Mallamaci C., Sbaragli S. Suor Alice Mani, Fortini A. U.O. Medicina Interna P.O. Serristori ‐ Firenze Email: [email protected] Ipotesi. Il delirium è una sindrome psico‐organica di comune rilievo nei pazienti anziani ricoverati in ospedale ed è descritta avere un impatto sfavorevole su molti outcomes clinici, quali la durata dell’ospedalizzazione, le performances cognitive e funzionali, il rischio di re‐ospedalizzazione, l’istituzionalizzazione e il decesso. Gran parte degli studi sul delirium hanno valutato pazienti ricoverati in lungo‐degenza, in reparti di geriatria o in reparti di terapia intensiva, mentre sono relativamente pochi i dati disponibili sui pazienti ricoverati in reparto di medicina per acuti. Scopo di questo studio è valutare in maniera prospettica l’incidenza e le caratteristiche clinico‐anamnestiche del delirium nei pazienti ricoverati in un reparto di medicina interna. Materiali e metodi. L’indagine è stata condotta su tutti i pazienti con età > 65anni, ricoverati presso l’U.O. di Medicina dell’Ospedale Serristori di Figline Valdarno nel corso di 30 giorni. All’ingresso in reparto per ogni paziente è stata compilata una scheda con valutazione della funzione cognitiva (Short Portable Mental Status Questionare‐SPMSQ), delle patologie in atto e pregresse e della terapia farmacologica domiciliare. E’ stata poi eseguita, durante il periodo di degenza, un’attenta sorveglianza medico‐infermieristica della comparsa di manifestazioni di delirium, la cui diagnosi è stata posta utilizzando il Confusion Assessment Method. In questi pazienti sono stati analizzati la possibile causa scatenante il delirium, le comorbosità ed il tipo di trattamento eseguito. Risultati. Nel 30 giorni di studio sono stati valutati 132 pazienti con età>65 anni (61 M, 71 F), su un totale di 158 ricoveri. Episodi di delirium durante la degenza sono stati osservati in 16 dei 132 pazienti (12,1%), con una prevalenza nel sesso maschile (10/61, 16,4%) rispetto al sesso femminile (6/71, 8,4%, p<0,01). Le cause scatenanti più frequenti sono risultate la sepsi urinaria o respiratoria (6/16, 37,5%), il dolore (5/16, 21,25%), la disidratazione (2/16, 12,5%) ed episodi ischemici cerebrali (2/16, 12,5%). In tutti i casi è stata richiesta la collaborazione dei familiari e la contenzione si è resa necessaria in 2 casi. Il trattamento è stato mirato sulle cause rilevate (antibiotici, antipiretici, antidolorifici, idratazione) associando farmaci neurolettici nel 69% dei casi. Il gruppo dei 16 pazienti con episodi di delirium presentava rispetto al gruppo degli altri 116 pazienti un'età media più elevata (83,4vs80,4 anni, p<0,01), un maggior grado di decadimento cognitivo (score SPMSQ 6,3vs3,3, p<0,01) e un maggior numero di comorbilità. Inoltre in questi pazienti è stato osservato un maggior numero di giornate di degenza (9,3vs6,6, p<0,01). Conclusioni. I risultati di questo studio osservazionale prospettico indicano un'elevata incidenza di episodi di delirium (12%) nei pazienti anziani ricoverati in un reparto di medicina interna per acuti. Questi pazienti sono risultati essere particolamente fragili, essendo caratterizzati rispetto agli altri da un'età più elevata, da un maggior grado di deficit cognitivo e da un maggiore numero di comorbilità. Tenendo conto delle conseguenze negative per il paziente e dell'elevato carico assistenziale per il personale sanitario, è necessario approntare procedure sistematiche medico‐infermieristiche per prevenire, diagnosticare e trattare appropriatamente gli episodi di delirium.
Abstract POSTER IL SERVIZIO HOLTER ECG IN UN REPARTO DI MEDICINA INTERNA: VALUTAZIONE DEI CASI DI TRE ANNI E CONSIDERAZIONI ORGANIZZATIVE Tintori G., Fabbri A., Passaglia C. AOUP Medicina Generale 5° ‐ Pisa Email: [email protected] Ipotesi. In questo lavoro abbiamo riassunto i risultati clinici derivanti dagli esami Holter ECG eseguiti in tre anni da un servizio dedicato presente nel nostro reparto con lo scopo di valutarne l’impatto clinico e discuterne l’utilità per un reparto di medicina interna. Materiali e metodi. Nel nostro reparto è operativo un servizio autonomo Holter ECG dotato di due registratori digitali e di un sistema computerizzato di lettura dei tracciati con modalità sia automatica che manuale. Abbiamo valutato gli esami eseguiti in tre anni considerandone le indicazioni e la ricaduta clinica. Risultati. Tra il 1 luglio 2008 e il 30 giugno 2011 sono stati sottoposti ad Holter ECG con registrazione di 24 ore 172 pazienti (92 maschi, età media 64.8 anni, range 10‐86 anni). Le indicazioni all’esame erano costituite da: palpitazioni (62 pazienti), presenza di tachiaritmie all’ECG basale (51), storia di sincope/lipotimia (28), bradiaritmie all’ECG basale (17), ricerca di episodi di ischemica miocardica silente (8), ricerca di episodi di fibrillazione atriale asintomatica (6). Sulla base dei risultati dell’esame sono stati presi i seguenti provvedimenti terapeutici: 8 impianti di pacemaker; 49 modifiche della terapia farmacologia. Nei restanti casi non è stata posta indicazione a modificare la terapia in atto. Conclusioni. L’opportunità di avere dei servizi di diagnostica strumentale autonomi all’interno di una U.O. di Medicina Interna rappresenta un argomento controverso. Da una parte ci sono degli indiscutibili vantaggi, tra cui la possibilità di avere a disposizione un esame diagnostico senza lista d’attesa, con conseguente velocizzazione delle degenze, la possibilità di avere l’esame in tempo reale e a letto del paziente, opportunità molto efficace nelle urgenze, lo sviluppo di competenze specifiche condivisibili all’interno del reparto con miglioramento della cultura generale. Di contro ci sono aspetti negativi: i costi di acquisizione della tecnologia, il “time consuming” del personale dedicato, il rischio di scarsa expertise se il numero annuo di esami svolti è basso, l’ostilità delle specialistiche a cui la metodica fa primariamente riferimento. Negli ultimi anni però si è assistito ad una tendenza generale verso l’acquisizione di queste metodiche (in particolar modo l’ecocardiografia, l’ecografia internistica e l’ecocolordoppler vascolare) considerando generalmente prevalenti gli aspetti favorevoli rispetto a quelli sfavorevoli. L’ECG Holter può essere considerata una metodica “minore” per un reparto di medicina interna. Ciononostante, nella nostra esperienza avere tale servizio a disposizione ha costituito un vantaggio organizzativo per l’U.O. non trascurabile, specialmente nei casi più acuti in cui ha permesso una rapida decisione terapeutica.
Abstract POSTER SINDROME UREMICO EMOLITICA ATIPICA – A CASE REPORT Trucillo P., Norpoth M., Scopetani N., Meini S., Tafi A. U.O.C. Medicina Interna A.V.C. ‐ Volterra Email: [email protected] Ipotesi. La Sindrome Uremico‐Emolitica Atipica (aHUS) è una patologia eterogenea causata dalla anomala attivazione della via alternativa del complemento cui consegue un corteo di manifestazioni micro‐vascolari responsabili della comparsa di insufficienza renale acuta (IRA), anemia emolitica micro‐angiopatica e trombocitopenia (TCP). Materiali e metodi. Caso clinico: Maschio di anni 43, elettricista, fumatore di circa 40 sig/die, bevitore di 2 superalcoolici/die, con riferito abuso di FANS (ibuprofene) nelle ultime settimane per intensa cefalea, giunge alla nostra osservazione per la comparsa di una profonda astenia. Agli esami ematochimici si rileva una IRA (Creat = 10,6 mg/dl), una severa anemia (Hb=5,6 gr/dl) normocromico‐normocitica poi identificata come emolitica, valori di piastrine inizialmente nella norma (175000/dl), che si riducono nei 3 giorni successivi a 90000/dl, bilirubinemia tot = 1,6 mg/dl; C3 ridotto; ANA ,Anca, Markers Epatite ed HIV negativi. Nelle urine: presenza di catene leggere kappa e lambda; Proteinuria 24h : 1,4 gr. Alla visita: Pressione Arteriosa = 210/120 mmHg; F.C. = 72b/min; Assenza di rumori umidi all’auscultazione del torace; assenza di edemi declivi. Esame neurologico nella norma. Si sottopone ad eco addome che mostra reni di normali dimensioni con iperecogenicità corticale. Si procede a trasfusioni di emazie concentrate, si inizia trattamento antipertensivo ed in terza giornata trattamento emodialitico. Si esegue biopsia renale che evidenzia una GN membrano‐proliferativa tipo I e biopsia midollare che rileva una iperplasia eritroide. Si inizia terapia steroidea 1gr/die e.v. x 3 giorni, poi 75 mg/die x o.s. Risultati. Dopo due mesi di terapia cortisonica ad alte dosi, il paziente non presenta più segni di emolisi con normalizzazione dei valori della LDH, aptoglobina, piastrine, assenza di schistociti in circolo. Non sono state più necessarie trasfusioni sanguigne. La funzione renale rimane compromessa per cui viene sottoposto a tre sedute emodialitiche/settimana. Dagli studi genetici e biochimici effettuati, non si sono rilevate mutazioni a carico del Fattore H, la cui concentrazione è però inferiore ai limiti della norma Conclusioni. Pensare ad una aHUS in presenza di IRA, Anemia grave, C3 ridotto e moderata TCP. Il trattamento cortisonico ad alte dosi ci ha consentito di controllare il danno micro‐angiopatico e di conseguenza l’emolisi. Le basse concentazioni di Fattore H rilevate, sono quasi sicuramente da attribuire alla presenza di anticorpi anti‐Fattore H. A tal riguardo sono in corso ulteriori analisi.
Abstract POSTER UN RARO CASO DI FEBBRE DI ORIGINE SCONOSCIUTA Vannucchi V., Verdiani V., Pieralli F., Turchi V., Para O., Grazzini M., Nozzoli C. Medicina Interna e D'Urgenza, AUOC Careggi ‐ Firenze Email: [email protected] Ipotesi. La linfoistiocitosi emofagocitica è una rara causa di febbre di origine sconosciuta, caratterizzata da un stato “iper‐infiammatorio” con livelli elevati di citochine determinanti una disfunzione della risposta immunitaria. Materiale e Metodi. Donna di 57 anni con febbre ricorrente da 2 anni trattata a domicilio con cicli di steroidi a basso dosaggio, associata a pancitopenia (ipoplasia midollare ad una BOM eseguita 3 mesi prima), si presenta presso il nostro reparto per nuovo episodio febbrile associata ad epatosplenomegalia e linfoadenopatie palpabili a livello femorale bilateralmente. Risultati. Agli esami ematici pancitopenia e incremento dei valori di LDH, transaminasi, trigliceridi e ferritina. Negative le emocolture e la sierologia per virus e batteri. Autoanticorpi negativi. Una Tc collo‐torace‐addome con mdc evidenziò linfadenopatie ascellari e femorali bilateralmente per cui fu eseguita biopsia linfonodale che risultò compatibile con quadro di linfoistiocitosi emofagocitica. La paziente fu trasferita presso il reparto di Ematologia per iniziare trattamento specifico con immunosoppressori. Conclusioni. Sebbene l’emofagocitosi macrofagica sia un fenomeno riscontrabile anche in altre malattie, nella linfoistiocitosi emofagocitica tale processo si contestualizza all’interno di una sindrome clinica “sepsis‐like” causata da una severa ipercitochinemia come conseguenza di una iperstimolazione inefficace del sistema immunitario (linfociti T e cellule NK). Nei pazienti con febbre prolungata che non risponde ad antibiotici ed associata a pancitopenia, epato‐splenomegalia, valori elevati di ferritina ed ipertrigliceridemia, la diagnosi di linfoistiocitosi emofagocitica dovrebbe essere presa in considerazione per intraprendere rapidamente una terapia con immunosoppressori.
Abstract POSTER
INTERESSAMENTO INTESTINALE NELLA MALATTIA DI BECHET: DESCRIZIONE DI UN CASO Vannucci P., Brunelleschi G. U.O. Medicina‐ Lucca‐ Email: [email protected] Ipotesi. Interessamento intestinale nella Malattia di Behcet: descrizione di un caso. Si descrive il caso di una donna di 57 anni con precedente diagnosi di Malattia di Behcet (MB) che giungeva alla nostra osservazione per presenza di diarrea persistente. Materiali e metodi. La paziente in sede anamnestica riferiva storie di iridocicliti ricorrenti, aftosi orale ricorrente, artriti e dermatiti oltre ad episodi febbrili di natura criptogenetica. Per tale sintomatologia era stata posta in precedenza diagnosi di MB e la paziente veniva regolarmente seguita presso il nostro ambulatorio reumatologico ed era in terapia con basse dosi di steroide. Risultati. Per la sintomatologia diarroica veniva sottoposta ad una serie di accertamenti ed ad una colonscopia. Gli esami ematici evidenziavano incremento della PCR. La colonscopia mostrava la presenza di multiple ulcere interessanti in modo segmentario tutto il colon (dal sigma al ceco). Sulla base della storia clinica della paziente e delle lesioni intestinali fu formulata la diagnosi di “Entero‐Behcet”. Veniva incrementata la terapia steroidea con miglioramento clinico e regressione delle lesioni endoscopiche. Conclusioni. Si descrive il caso soprattutto per la rarità del coinvolgimento intestinale nella MB nella popolazione occidentale. Nel caso descritto non era presente una correlazione cronologica tra il coinvolgimento intestinale e gli altri sintomi tipici della malattia. Si discutono la diagnosi differenziale con le Malattie Infiammatorie Intestinali e le opzioni terapeutiche nei casi di coinvolgimento intestinale nella MB.
Abstract
POSTER ANALISI DI UNA CASISTICA DI PAZIENTI CON POLMONITE SOTTOPOSTI A NIV IN UTSI. Zerini M., Pieralli F., Luise F., Nozzoli C. AOUC Careggi [email protected] Ipotesi. la NIV è un presidio frequentemente utilizzato nella pratica clinica che ha mostrato vantaggio per il miglioramento clinico e la riduzione di necessità di IOT in pazienti con riacutizzazione di BPCO, nell’edema polmonare cardiogeno e nei pazienti immunocompromessi. Invece il suo ruolo in altre condizioni cliniche è meno definito. In particolare la polmonite è una causa molto frequente di insufficienza respiratoria acuta che richiede frequentemente il ricorso all’IOT con ventilazione invasiva. Il ruolo della NIV in questa condizione è ancora poco chiaro, per questo abbiamo voluto analizzare retrospettivamente una coorte di pazienti consecutivi con insufficienza respiratoria da polmonite trattati con NIV per valutarne l’outcome in termini di mortalità ospedaliera e/o necessità di IOT e ventilazione meccanica in UTSI. Materiali e metodi. sono stati inclusi nello studio 55 pazienti sottoposti a NIV per insufficienza respiratoria acuta da polmonite in un periodo di 18 mesi. I criteri di indicazione alla NIV erano: IRA (pO2< 60 mmhg), acidosi respiratoria (pH<7.35), tachipnea ed evidenza radiografica di addensamenti polmonari di natura flogistica. Di tutti i pazienti abbiamo raccolto le caratteristiche demografiche, cliniche ed i risultati di alcuni valori bioumorali (TnI e BNP) ed emogasanalitici seriati (pH, pO2, pCO2, HCO3, Lattato). Sono stati divisi quindi in due gruppi in relazione all’outcome favorevole (rientro a domicilio e ad istituto di riabilitazione pneumologia) o sfavorevole (decesso o trasferimento in UTI per eseguire ventilazione meccanica invasiva). Risultati. i nostri pazienti avevavo tutti un’età media avanzata (74.4 + 14.7) ed erano in prevalenza donne. Oltre il 90% dei pazienti era affetto contemporaneamente da due o più comorbilità (ipertensione arteriosa, diabete mellito, BPCO, immunodepressione, neoplasie, patologie neuromuscolari, obesità). La mortalità è stata del 25.5% e la necessità di IOT del 12.7%. Sono stati inseriti i parametri bioumorali ottenuti mediante emogasanalisi delle prime 24 ore ed è emerso come il gruppo di pazienti con outcome sfavorevole avesse livelli di acido lattico più elevati al basale e alle misurazioni successive con incremento del rischio di 2.64 volte al controllo a 24 ore. Anche i livelli di bicarbonato risultavano inferiori al basale e alle misurazioni successive nel gruppo con peggior out come. Tra le variabili cliniche solo l’immunodepressione è risultata associata a peggiore prognosi con un aumento del rischio di morte o necessità di IOT di circa 5 volte. Conclusioni. il nostro studio conferma che l’insufficienza respiratoria da polmonite che necessita di NIV è una condizione clinica ad elevata mortalità ed elevato tasso di insuccesso. La valutazione di alcuni parametri clinic e bioumorali è utile nel predire la prognosi. I pazienti immunocompromessi hanno un rischio 5 volte maggiore di morte o di ricorso all’IOT con ricovero in UTI. Elevati valori di lattato sierico al basale e a 24 ore sono predittivi di peggior outcome. La misurazione seriata del lattato sierico è facilmente e rapidamente ottenibile e potrebbe essere intergrata con altri parametri clinici e strumentali per aiutare il medico nel predire il fallimento della NIV e quindi adottare tempestivamente strategie terapeutiche alternative.