ai miei nonni e a bene - core
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Università di Pisa
Facoltà di Farmacia
Corso di Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche
Tesi di Laurea
Ruolo delle varianti geniche della DPD nella tossicità in pazienti in trattamento
con fluoropirimidine
Candidata
Silvia Magagna
Relatore
Chiar. mo Prof. Romano Danesi
Anno Accademico 2010/2011
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Indice
RIASSUNTO ………………………………………………………………... Pag. 5
PREMESSA ………………………………………………………….……… Pag. 7
INTRODUZIONE …………………………………………………............... Pag. 9
1. 5-fluorouracile …………………………………………………..………… Pag. 9
1.1. Anabolismo …………………………………………………………. . Pag. 11
1.2. Meccanismo d’azione ………………………………………………. Pag. 13
1.3. Catabolismo ………………………………………………………… Pag. 16
1.4. Farmacocinetica …………………………………………………….. Pag. 18
1.5. Impieghi terapeutici ………………………………………………... Pag. 21
1.6. Meccanismi di resistenza …………………………………………… Pag. 30
1.7. Reazioni avverse ……………………………………………………. Pag. 33
2. Profarmaci del 5-FU ………………………………………………….…. Pag. 35
2.1. Capecitabina …………………………………………………….….. Pag. 35
2.2. Tegafur …………………………………………………………….…. Pag. 37
3. Cause di variabilità di risposta al trattamento con 5-FU ………………….. Pag. 40
3.1. Tossicità ………………………………………………………………. Pag. 41
3.1.1 Diidropirimidina deidrogenasi ………………………………..… Pag. 41
3.1.2 Metodi per la valutazione del deficit DPD …………………...…. Pag. 44
3.2. Efficacia ………………………………………………………………. Pag. 49
3.2.1 Timidina fosforilasi (TP) ………………………………………. Pag. 49
3.2.2 Timidilato sintetasi (TS) ………………………………….……... Pag. 50
SCOPO DELLA TESI ……………………………………………….…… Pag. 55
MATERIALI E METODI ………………………………………………… Pag 56
1. Pazienti ………………………………………………………………… Pag. 56
2. Estrazione del DNA genomico ………………………………….……. Pag. 56
4
3. Amplificazione PCR del DNA genomico ……………………………. Pag. 58
4. Rilevazione delle mutazioni mediante DHPL ……………………….. Pag. 61
5. Analisi dei polimorfismi con sequenziamento automatico ………….. Pag. 63
6. Real Time PCR ……………………………………………….………... Pag 68
RISULTATI ………………………………………………………..………. Pag. 73
DISCUSSIONE ……………………………………………………………. Pag. 87
BIBLIOGRAFIA ………………………………………………….………..Pag. 94
5
RIASSUNTO
Le fluoropirimidine (5-Fluorouracile ed il suo profarmaco capecitabina) sono tra i
farmaci più utilizzati in oncologia per il trattamento di molti tumori solidi. Il loro uso,
tuttavia, può essere associato a grave tossicità nel paziente e, talvolta, può rivelarsi
letale. La diidropirimidina deidrogenasi (DPD) è il principale enzima coinvolto nel
metabolismo delle fluoropirimidine ed agisce inattivandole. Esistono varianti geniche
della DPD ad attività enzimatica ridotta o nulla ed il paziente portatore del deficit
enzimatico può manifestare gravi tossicità in seguito al trattamento chemioterapico,
tra cui diarrea, stomatite, neutropenia e sindrome hand-foot. Non esiste un metodo
sicuro per identificare i pazienti a rischio, a questo scopo è stato svolto uno studio
farmacogenetico volto a valutare i polimorfismi associati a tossicità, che può essere
impiegato per chiarire i motivi di una tossicità manifestata in seguito alle prime
somministrazioni del farmaco o per escludere i pazienti a rischio da un trattamento
potenzialmente letale. Lo studio si è composto di due fasi: una retrospettiva, dove
sono stati genotipizzati pazienti che hanno sviluppato tossicità grave per identificare i
polimorfismi associati ad eventi avversi, ed una fase prospettica nella quale i pazienti
sono stati esaminati per la presenza della mutazione maggiormente implicata nelle
reazioni avverse gravi. L’analisi è stata effettuata a partire da un campione di sangue
periferico da cui è stato estratto DNA genomico, amplificato con PCR, analizzato in
DHPLC e sequenziato, oppure analizzato in PCR Real Time. Sono stati evidenziati
sette polimorfismi maggiormente associati a tossicità: 496A>G, 1601G>A,
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1627A>G, 1896T>C, IVS14+1G>A, 2194G>A, 2846A>T. Il risultato della
genotipizzazione potrà essere utilizzato come screening pre-trattamento per i pazienti,
consigliando per quelli con genotipo a rischio una dose ridotta rispetto a quella
standard o uno schema terapeutico alternativo.
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PREMESSA
Il 5-fluorouracile ed i suoi profarmaci tegafur e capecitabina sono molto utilizzati
nella terapia adiuvante post-chirurgica di neoplasie del colon in seguito alla
rimozione completa della massa tumorale e in stadi avanzati della malattia. Il loro
meccanismo di azione è molto selettivo e consiste nell’inibizione dell’enzima
timidilato sintetasi, coinvolto nella sintesi ex novo dei nucleotidi, con conseguente
deplezione del pool cellulare della timidina ed arresto della sintesi di DNA e della
proliferazione cellulare. Tuttavia l’effetto del trattamento è variabile e limitato ad una
percentuale della popolazione trattata.
La variabilità di risposta e di tollerabilità alla terapia con fluoropirimidine può
dipendere da varie cause, tra cui fattori specifici del paziente (stato generale, età) e
della malattia (stadio di diffusione del tumore, grading istologico). In particolare, la
tollerabilità del trattamento assume un ruolo molto importante nella pratica clinica e
può diventare un fattore limitante l'utilizzo delle fluoropirimidine; l'imprevedibile
comparsa di gravi effetti avversi nel paziente in seguito alla somministrazione del
farmaco spesso rende necessaria la riduzione di dose del trattamento o la sospensione
della terapia; per questo motivo diventa utile l'identificazione delle cause della
comparsa di tossicità.
La diidropirimidina deidrogenasi (DPD) è il principale enzima coinvolto nel
metabolismo delle fluoropirimidine ed agisce inattivandole. Esistono varianti geniche
della DPD ad attività enzimatica ridotta o nulla ed il paziente portatore del deficit
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enzimatico può manifestare effetti avversi gravi in seguito al trattamento
chemioterapico, tra cui diarrea, stomatite, neutropenia e sindrome hand-foot.
Le mutazioni riscontrate a carico del gene codificante l’enzima DPD riportate in
letteratura sono numerose e spesso associate a singoli casi di tossicità, quindi risulta
difficile attribuire un ruolo specifico a ciascuna della varianti geniche della DPD;
inoltre, resta da chiarire quale sia il metodo migliore per riuscire ad identificare i
pazienti a rischio, che potrebbero sviluppare tossicità in seguito al trattamento con
fluoropirimidine. Diversi lavori propongono l’impiego di un modello farmacocinetico
basato sul calcolo del rapporto uracile/diidrouracile come metodo di screening per i
pazienti a rischio, altri invece suggeriscono l’analisi farmacogenetica.
Per tali motivi, in questa tesi è stato sviluppato un metodo affidabile di
genotipizzazione da applicare in clinica per la caratterizzazione molecolare dei
pazienti oncologici candidati alla terapia con fluoropirimidine.
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INTRODUZIONE
1. 5-fluorouracile
Il 5-fluorouracile (5-FU) è un antimetabolita, analogo delle basi pirimidiniche,
ampiamente utilizzato in terapia per il trattamento di varie neoplasie maligne , quali
tumori del tratto gastroenterico, della mammella e dell’area testa-collo, da solo o in
associazione con altri farmaci (Punt, 1998).
Figura 1. 5-fluorouracile
La molecola del 5-FU (Figura 1) è stata progettata sulla base di conoscenze sulla
biochimica dei tumori. Studi sperimentali avevano infatti dimostrato che alcuni
tumori (epatomi del ratto) utilizzano l’uracile esogeno per la sintesi di acidi nucleici
più attivamente dei tessuti sani (Rutman et al.,1954). Sulla base di queste
osservazioni sono stati quindi sintetizzati analoghi strutturali delle pirimidine, con
proprietà chimico-fisiche analoghe a quelle dell’uracile, capaci di interferire con la
sintesi degli acidi nucleici e di rallentare la crescita del tumore (Heidelberg, 1975).
Il 5-FU, sintetizzato nel 1957 a partire da precursori aciclici dell’uracile (Duschinsky
et al., 1957), differisce da questo per la sostituzione dell’idrogeno in posizione 5 con
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un atomo di fluoro. La presenza del fluoro conferisce elevata tossicità alla molecola
(Lubecq e Peters, 1949). La sostituzione comporta un effetto minimo sulla
conformazione della molecola dell’uracile in quanto il raggio dell’atomo di fluoro
(1,34 Å) è simile a quello dell’idrogeno (1,2 Å); questo aumenta la probabilità che il
5-FU venga metabolizzato dagli stessi enzimi coinvolti nel metabolismo dell’uracile.
Inoltre, la sostituzione dell’atomo di idrogeno in posizione 5 appare particolarmente
interessante dal momento che la maggior parte delle cellule di mammifero sintetizza
la timidina-5’-trifosfato (dTTP), necessaria per la sintesi del DNA, a partire dalla 2’-
deossiuridina-5’-monofosfato (dUMP) mediante sostituzione dell’idrogeno in
posizione 5 con un gruppo metilico per formare la deossitimidina-5’-monofosfato
(dTMP) (Heidelberger, 1975).
Il meccanismo d’azione molecolare del 5-fluorouracile non è stato ancora
completamente chiarito, tuttavia appare evidente che, dal punto di vista
farmacodinamico, l’efficacia terapeutica e l’induzione di effetti tossici siano
strettamente correlati al rapporto tra i processi anabolici e catabolici (Myers, 1981). Il
farmaco, infatti, può seguire diversi destini metabolici in seguito alla
somministrazione: circa l’80% della dose somministrata viene inattivata dal
metabolismo epatico, mentre il 15-20% circa viene eliminato come tale nelle urine;
solo una piccola frazione resta disponibile per esercitare l’azione citotossica. Questi
processi, anabolici e catabolici, presentano una notevole variabilità interindividuale,
con conseguenze importanti sulla risposta clinica dei diversi pazienti alla terapia.
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1.1 Anabolismo
Il 5-FU come tale è una molecola inattiva sia nei confronti delle cellule normali
che tumorali, che acquisisce attività citotossica in seguito alle biotrasformazioni che
subisce all'interno della cellula (Figura 2).
La molecola penetra all’interno della cellula per diffusione passiva oppure
sfruttando il sistema di trasporto dell’uracile (Bajetta et al., 1996). Nella cellula, il 5-
FU segue le stesse vie metaboliche dell’uracile, in quanto la presenza del fluoro non
interferisce con l’anabolismo.
Figura 2. Metabolismo del 5-fluorouracile
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Le principali fasi del metabolismo del 5-FU sono le seguenti:
La conversione, ad opera della timidina-fosforilasi (TP) e della timidina-
chinasi (TK) in 5-fluorodesossiuridina monofosfato (FdUMP), la quale agisce
inibendo l’enzima timidilato-sintetasi (TS) e determinando così il blocco della
sintesi di timidina e di DNA;
la conversione diretta in fluorouridilmonofosfato (FUMP) ad opera della
orotidina-5’monofosfato-fosforibosiltransferasi (OPRT) in presenza di 5-
fosforibosil-1.pirofosfato (PRPP), o per attività dell’uridin-fosforilasi (UP) e
uridinchinasi (UK). Il FUMP viene successivamente fosforilato a
fluorouridiltrifosfato (FUTP), che viene incorporato nell’RNA nucleare e
citoplasmatico con conseguente alterazione delle sue funzioni;
la conversione di FUMP nel corrispondente desossiribonucleotide , che viene
successivamente fosforilato a fluorodesossiuridina trifosfato (FdUTP), il quale
viene incorporato nel DNA compromettendone la stabilità.
In conclusione, l’attività citotossica del 5-FU è dovuta all’attivazione della
molecola mediante trasformazione negli analoghi nucleosidici trifosfati, i quali
vengono incorporati negli acidi nucleici come basi errate, o alla formazione di
cataboliti attivi.
Inoltre le fluoropirimidine possono essere utilizzate come substrato nella biosintesi
degli zuccheri fluorouridildifosfato (FUDP) quali FUDP-esosi e FUDP-N-
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acetilesosoamine, necessari per la glicosilazione di proteine e lipidi implicati nel
metabolismo di membrane nucleari e citoplasmatiche. Non sono stati, tuttavia,
definiti gli effetti biologici di questi zuccheri contenenti sostituzioni
fluoropirimidiniche che potrebbero alterare le funzioni delle membrane cellulari (Chu
et al., 1993; Bajetta et al., 1996).
1.2 Meccanismo d’azione
Il 5-fluorouracile è un farmaco antitumorale ciclo-specifico che agisce sia sulle
cellule normali che tumorali in fase di replicazione, bloccando la fase S del ciclo
cellulare.
In base ai numerosi studi svolti e alle conoscenze finora acquisite, il meccanismo
d’azione più studiato e meglio conosciuto del 5-FU si basa sull’inibizione
dell’enzima timidilato sintetasi (TS) ad opera del FdUMP (Machover, 1991). La
maggior parte delle cellule di mammifero utilizza la TS per la sintesi di dTMP a
partire da dUMP: questo processo prevede la metilazione dell'anello pirimidinico in
posizione 5 della dUMP, in presenza del coenzina N5-10
-metilentetraidrofolato (CH2-
THF) che si comporta da donatore di gruppi metilici (Grem, 1990).
Poiché FdUMP è caratterizzato da un’elevata affinità per l’enzima, maggiore
rispetto a quella di dUMP, TS viene bloccata provocando una riduzione della sintesi
di dTMP, che rappresenta uno dei precursori impiegati nella sintesi di DNA. In
particolare, l’nibizione avviene attraverso la formazione di un complesso ternario tra
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FdUMP, l’enzima TS ed il cofattore folato, stabilizzato da legami covalenti (Figura
3).
Figura 3. Inibizione dell’enzima timidilato sintetasi
Risulta quindi fondamentale la disponibilità di un’adeguata concentrazione di
folati ridotti all’interno della cellula (Santi e McHenry, 1972; Santi et al., 1974;
Danenberg e Danenberg, 1978). Questa osservazione suggerisce che la mancanza di
efficacia antitumorale può essere in alcuni casi superata per mezzo della
somministrazione di folati ridotti, ad esempio l’acido folinico. Questa ipotesi è stata
confermata da studi clinici e sperimentali, (Hakala, 1984; Grem et al., 1987; De Lap,
1988). L’importanza del ruolo di TS nel meccanismo d’azione del 5-FU deriva inoltre
dalla dimostrazione che l'esposizione delle cellule neoplastiche al farmaco induce un
aumento dell’espressione dell’ enzima stesso, modificando il fenotipo cellulare da
sensibile a resistente (Johnston et al., 1995).
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È noto che il 5-FU, così come l’uracile, può essere incorporato nel DNA al posto
di dTTP in seguito alla trasformazione nei rispettivi nucleotidi trifosfati (Ingraham et
al., 1982). L’inibizione di TS da parte di FdUMP può favorire questa incorporazione
in quanto viene bloccata la produzione di dTTP e, di conseguenza, aumenta il pool di
FdUMP e di dUMP e quindi, rispettivamente, di FdUTP e dUTP disponibili per la
sintesi (Myers et al., 1975; Tanaka et al., 1981; Cheng e Nakayama, 1983; Schuetz et
al., 1984). Dopo l’incorporazione di FdUTP e di dUTP nel DNA ad opera della DNA
polimerasi, l’uracilglicosilasi, un enzima di riparazione del DNA, può rimuovere
l’uracile o il 5-FU incorporato (Caradonna e Cheng, 1980). Tuttavia, se il 5-FU o
l’uracile sono incorporati in quantità notevoli, si ha frammentazione del DNA e
danno cellulare (Lonn e Lonn, 1984; Schuetz e Diasio, 1985; Lonn e Lonn, 1986;
Schuetz et al., 1988A; Schuetz et al., 1988B).
Per quanto riguarda l’interazione tra 5-FU ed RNA, molti studi hanno dimostrato
che FUTP viene inserito nell’RNA ribosomiale, messaggero e transfer, al posto di
UTP (Mandel, 1969; Ramberg et al., 1978; Dolnick e Pink, 1983; Herrick e Kufe,
1984; Cohen e Glezer, 1985; Armstrong et al., 1986). In accordo con tali conoscenze,
uno studio più recente di farmacogenomica realizzato utilizzando la tecnica del
microarray, ha evidenziato che il 5-FU è caratterizzato da un profilo molecolare più
simile a farmaci che agiscono sull’RNA piuttosto che a quello di inibitori puri di TS
(Scherf et al., 2000). Rimane comunque da chiarire quale specifico danno funzionale
possa essere causato da questa incorporazione e la conseguente correlazione con la
citotossicità delle fluoropirimidine.
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Il 5-FU causa variazioni del potenziale elettrico transmembranario che provocano
alterazioni delle funzioni e della struttura della membrana cellulare (Walliser e
Redman, 1978), inoltre interferisce con la sintesi delle glicoproteine (Kessel, 1980).
Alcuni autori hanno dimostrato che questo effetto può essere associato ad un aumento
del volume cellulare che rende le cellule più suscettibili alla lisi. L'importanza degli
effetti del 5-FU sulla membrana cellulare ed il loro contributo all’ azione
antitumorale è ancora oggetto di studio.
1.3 Catabolismo
La frazione di farmaco disponibile per l’interazione con le cellule-bersaglio
dipende principalmente dal catabolismo del farmaco nei tessuti, infatti circa l’80%
della dose somministrata subisce un processo di clearance metabolica (Haggie et al.,
1987). Nelle cellule eucariote, la prima tappa del catabolismo delle basi pirimidiniche
timina e uracile, seguita anche dal 5-FU, è mediata dall’enzima diidropirimidina
deidrogenasi (DPD). La reazione enzimatica catalizzata dalla DPD, che costituisce la
tappa limitante dell’intero processo biochimico (Shiotani e Weber, 1981), consiste
nella riduzione del doppio legame dell’anello pirimidinico con formazione di 5-
fluoro-5,6-diidrouracile (5-FDHU).
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5-FU
DPD
5-FdUMP
5-FDHU
TS
Attività antitumorale
Figura 4. Catabolismo del 5-FU
Il 5-FDHU è un composto instabile in soluzione acquosa e viene rapidamente
convertito in acido 5-fluoro-ureidopropionico (FUPA) ad opera della
diidropirimidinasi, successivamente viene trasformato in α-fluoro-β-alanina (FBAL)
ad opera della β-ureidopropionasi; FBAL rappresenta il principale metabolita urinario
del 5-FU (Sanno et al., 1979).
L’enzima DPD è un enzima citosolico ubiquitario espresso principalmente a livello
epatico, ma anche in altri tessuti quali, ad esempio, la mucosa intestinale (Diasio e
Lu, 1994) : la degradazione del farmaco nei siti extraepatici spiega come in alcuni
pazienti con funzione epatica alterata non sia necessario ridurre le dosi di 5-FU. Una
piccola quantità di 5-FU, corrispondente al 2-3% della dose somministrata, è escreta
anche attraverso la bile (Sweeny et al., 1987): a questo livello si ritrova un composto
che deriva dalla coniugazione di FBAL con l’acido colico ad opera dell’enzima n-
acil-CoA transferasi (Vassey, 1979).
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1.4 Farmacocinetica
Lo studio della farmacocinetica del 5-FU riveste particolare importanza in quanto
influenza la scelta della modalità di somministrazione più adatta tra le numerose
possibilità disponibili per questo farmaco.
La somministrazione orale del 5-FU è stata abbandonata a causa della notevole
variabilità interindividuale nella biodisponibilità, nella concentrazione massimale
plasmatica e nel tempo necessario per raggiungerla (Cohen et al., 1974; Christophidis
et al., 1987). Dopo somministrazione orale, infatti, una frazione variabile di 5-FU,
inferiore al 75%, raggiunge la circolazione sistemica. Le cause di questa variabilità
dipendono probabilmente dalle diverse condizioni di pH del tratto gastroenterico
prossimale o dal catabolismo promosso dalla DPD presente nella mucosa intestinale
(Naguib et al., 1985).
Per questa ragione il 5-FU è generalmente somministrato per via endovenosa:
attraverso questa via il farmaco entra rapidamente nello spazio extracellulare,
compreso il liquido cerebrospinale, apparentemente per diffusione semplice. Il 5-FU
raggiunge livelli elevati e persistenti nei versamenti pleurici e nell’ascite (Clarkson et
al., 1964) e quantità significative penetrano anche nel sistema nervoso centrale, dove
generalmente il 5-FU diffonde nel tessuto neoplastico più rapidamente rispetto al
tessuto sano, che presenta una captazione piuttosto lenta (Bourke et al., 1973). Il
volume di distribuzione è pari al 12-38% del peso corporeo, valore leggermente
superiore a quello dello spazio extracellulare (MacMillan et al., 1978).
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La somministrazione endovenosa del 5-FU può essere effettuata in bolo o mediante
infusione continua. Dopo iniezioni in bolo di dosi standard di 400-600 mg/m2/die
(10-15 mg/Kg/die) si raggiunge un picco dei livelli plasmatici di 5-FU pari a 0,1-1
µM. Come per altri antimetaboliti, il decremento delle concentrazioni ematiche del 5-
FU è rapida, con una emivita di eliminazione (t1/2) di 6-20 min; la clearance
plasmatica del 5-FU varia da 500 a 1.500 ml/min (30-90 l/h), valore che eguaglia o
supera il flusso epatico (Cohen et al., 1974). La farmacocinetica del 5-FU è di tipo
non lineare (Collins et al., 1980): all’aumentare della dose, infatti, si osservano una
riduzione della quota di estrazione epatica, un aumento della biodisponibilità e del t1/2
e una riduzione della clearance totale. La non linerarità della cinetica del 5-FU
riflette probabilmente la saturabilità dei processi metabolici o di trasporto a
concentrazioni più elevate di farmaco e non permette di predire i livelli plasmatici o
la tossicità ad alte dosi.
La somministrazione per infusione endovenosa continua di 1.100 mg/m2/die
determina livelli plasmatici di steady-state di 0,5-2,5 µM. Questi valori possono
associarsi ad effetti indesiderati quali mucositi e diarrea, ma generalmente si
osservano scarsi segni di tossicità midollare. Ciò conferma le evidenze riportate in
letteratura secondo cui il rapporto fra il contenuto di 5-FU nel midollo osseo e i livelli
plasmatici risulta molto più basso nell’infusione endovenosa continua rispetto alla
somministrazione in bolo (Fraile et al., 1980). La somministrazione endovenosa
continua di 5-FU viene effettuata mediante l’impiego di pompe per infusione che
consentono un controllo adeguato delle concentrazioni plasmatiche di farmaco e
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offrono la possibilità di realizzare anche infusioni cronomodulate, permettendo una
maggiore tollerabilità al trattamento con 5-FU (Lokich et al., 1983).
Le vie di somministrazione intracarotidea e intratecale non sono raccomandate in
quanto si associano ad aumentata formazione di metaboliti neurotossici quali il
fluoroacetato e il fluorocitrato (Koenig e Patel, 1979). Notevole interesse ha invece
suscitato la possibilità di una somministrazione mediante infusione intrarteriosa
epatica, nel tentativo di aumentare l’esposizione al farmaco delle lesioni tumorali
epatiche primarie o secondarie e minimizzare la tossicità sistemica (Tono et al,
2000). Questo metodo di somministrazione è particolarmente interessante
considerando che le metastasi epatiche di molti tumori primitivi quali, ad esempio, gli
adenocarcinomi del tratto gastroenterico, sono sensibili al 5-FU. Inoltre, poiché il 5-
FU è rapidamente captato e degradato dal fegato (l’estrazione epatica di primo
passaggio è pari al 19-51%), l’infusione intrarteriosa epatica alla dose di 1.110
mg/m2/die determina livelli di concentrazione sistemica del farmaco compresi tra
0,13 e 0,35 µM, circa il 60% di quelli che si ottengono per infusione endovenosa
periferica (Ensminger et al., 1978).
Studi clinici hanno dimostrato che l’efficacia dell’infusione intrarteriosa epatica
può raggiungere una percentuale di risposta maggiore del 50% rispetto al trattamento
sistemico (Ensminger e Gyves, 1983; Hohn et al., 1986; Balch e Levin, 1987); la
principale tossicità è stata evidenziata a livello biliare, dove il metabolita del 5-FU,
FBAL, coniugandosi con gli acidi biliari, determina colestasi (Hohn et al., 1985;
Sweeny et al., 1988A; Sweeny et al., 1988B). Un’alternativa alla somministrazione
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intrarteriosa di 5-FU è rappresentata dalla perfusione venosa portale: le metastasi di
più piccole dimensioni possono, infatti, ricevere sostanze nutritizie dal circolo portale
anziché da quello arterioso.
Il 5-FU può essere somministrato per via intraperitoneale nel trattamento delle
neoplasie che coinvolgono il peritoneo quali, ad esempio, i tumori gastrointestinali.
In questo modo, in relazione al drenaggio nel circolo portale e alla rapida
metabolizzazione epatica, si ottiene una riduzione dell’esposizione sistemica al
farmaco e una riduzione della tossicità in termini di mielosoppressione e mucosite.
L’efficacia di questo metodo di somministrazione resta tuttavia incerta a causa,
soprattutto, delle frequenti alterazioni della superficie peritoneale indotte dal tumore
stesso o da aderenze post-chirurgiche e post-radioterapiche che possono
compromettere l’assorbimento e la clearance peritoneale del farmaco (Speyer et al.,
1980).
Il 5-FU è stato utilizzato anche nel trattamento topico di varie lesioni cancerose e
pre-cancerose della pelle; questa via di somministrazione si è dimostrata utile nel
trattamento della cheratosi attinica e nel carcinoma basocellulare (Stoll, 1979; Haynes
et al., 1985).
1.5 Impieghi terapeutici
Il 5-FU induce risposte parziali nel 10-30% dei pazienti con carcinoma metastatico
della mammella e del tratto gastrointestinale; effetti terapeutici sono stati riportati
anche nei tumori del fegato (sia primitivi che metastatici, soprattutto nel caso di
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neoplasie del tratto gastroenterico), del pancreas, dell’endometrio, della cervice
uterina, dell’ovaio, della vulva e della vagina (per applicazioni topiche), della vescica
e della regione testa-collo. Il 5-FU è indicato anche nel trattamento di carcinomi
cutanei e lesioni precancerose della cute, corionepiteliomi, sindrome da carcinoide e
malattie non neoplastiche, quali il cheratoacantoma (Peters, 1995).
L’impiego principale del 5-FU è rappresentato dalla terapia adiuvante post-
chirurgica di neoplasie del colon, che consiste nella somministrazione del 5-FU dopo
l’exeresi chirurgica del tumore. In un paziente operato di carcinoma del colon-retto
senza evidenza clinica di malattia, l’opzione di un trattamento chemioterapico
adiuvante, deve essere presa in considerazione solo dopo un attento esame della
situazione clinica del paziente, seguendo le linee guida internazionali e considerando
i risultati ottenuti in studi clinici controllati. Infatti, in questa tipologia di pazienti, è
necessario valutare bene il rapporto costo/beneficio rispetto ad una posizione
attendistica che consiste nel sottoporre i pazienti a visite ed esami di controllo
periodici presso un centro specializzato per almeno 5 anni (follow-up). La scelta fra le
due opzioni si basa principalmente sulla classificazione anatomo-patologica dello
stadio del tumore (pTNM), sul performance status (PS), sull’età e sulla presenza o
meno di perforazione o di occlusione intestinale.
Nella classificazione pTNM (Tabella 1), T indica l’infiltrazione locale per
estnsione dirette del tumore primitivo asportato; N rappresenta l’interessamento
linfonodale ed ha valore uguale a 0 nel caso in cui tutti i linfonodi asportati durante
l’intervento chirurgico siano indenni da infiltrazione neoplastica; con M, infine, viene
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indicata la presenza (M1) o l’assenza (M0) di metastasi a distanza. In questa tabella
viene fatto un confronto tra il sistema pTNM e la precedente classificazione di
Dukes, ancora oggi molto usata in oncologia. Questa classificazione assume una
notevole rilevanza clinica e terapeutica permettendo di determinare, tramite l’analisi
di questi parametri, la prognosi del paziente, sulla base della quale verrà deciso anche
l’ iter terapeutico da seguire (Tabella 2, Zaniboni et al., 2004).
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Tabella 2. Stadio della malattia e prognosi del paziente
(i numeri indicano la percentuale di sopravvivenza a 5 anni)
Ad esempio, negli stadi 0 ed I il paziente verrà sottoposto a visite periodiche
(follow-up), mentre nello stadio III può essere indicato un trattamento farmacologico
adiuvante. Lo stadio II comprende pazienti a prognosi migliore (T3N0M0 o IIA) e altri
a prognosi peggiore (T4N0M0 o IIB). Per i pazienti con carcinoma del retto in stadio
IIA e IIB il trattamento standard prevede, rispettivamente, il follow-up per il primo ed
un trattamento chemioterapico precauzionale, per il secondo.
Per quanto riguarda il carcinoma del colon, l’impiego di un trattamento adiuvante in
pazienti in stadio II è ancora oggetto di discussione e le diverse linee guida spesso
non forniscono indicazioni univoche per questo stadio di malattia. In questo caso, è
quindi necessario prendere in considerazione altri criteri oltre a quelli già descritti,
quali il grading (cioè il grado di differenziazione istologica del tumore primitivo), il
numero totale dei linfonodi esaminati, l’invasione vascolare e le eventuali patologie
26
concomitanti, al fine di trattare soltanto quei pazienti che presentano fattori di rischio
indicativi di una prognosi peggiore.
In ogni caso, è sempre necessario valutare, da un lato, a quale percentuale
ammonta il beneficio che il paziente può ottenere dal trattamento chemioterapico, in
termini di sopravvivenza libera da malattia (Disease Free Survival, DFS) e
sopravvivenza totale (Overall Survival, OS); dall’altro, devono essere presi in
considerazione i rischi che tale trattamento comporta sia in termini di tossicità acuta o
cronica, come la neurotossicità, che di eventi avversi attesi o inattesi.
I tumori del colon-retto di stadio II rappresentano il 30% dei casi di neoplasie del
colon totali, con una OS che non è significativamente diversa fra chemioterapia e
follow-up (78% vs 70% con terapia di 12 mesi, mentre lo standard è di 6 mesi; Taal et
al., 2001).
Studi clinici condotti su un ampio numero di pazienti neoplastici hanno dimostrato
un modesto, ma significativo aumento della sopravvivenza libera da malattia nei
pazienti con carcinoma del colon in stadio Dukes C, che corrisponde ad ogni grado di
T, N1-3, M0, sottoposti a trattamento con 5-FU associato a levamisolo, rispetto a
quelli sottoposti al solo trattamento chirurgico (Moertel et al., 1975; Laurie et al.,
1989). I pazienti con neoplasia al colon di stadio Dukes A e B1, corrispondenti a T1-
2, N0, M0, mostrano un vantaggio minimo derivante dal trattamento adiuvante con 5-
FU e una prognosi relativamente favorevole associata al trattamento chirurgico da
solo, per questi motivi non sono consideranti buoni candidati a questo tipo di terapia.
Maggiori indicazioni possono presentarsi per i pazienti con stadio Dukes B2 che
27
presentano un rischio maggiore di recidiva di malattia a causa della infiltrazione
della tonaca muscolare.
I carcinomi rettali in stadio Dukes C,corrispondente a ogni grado di T, N1-3, M0, e
B2 (T3-4, N0, M0) presentano un alto rischio di recidiva locale di malattia, pertanto
in questo caso e indicato il trattamento adiuvante con 5-FU, in associazione con
radioterapia.
Nei carcinomi rettali il 5-FU in associazione al trattamento radioterapico è indicato
anche come terapia neoadiuvante (prima dell’intervento chirurgico), per ridurre le
dimensioni della massa tumorale in modo da effettuare un trattamento chirurgico
meno demolitivo e con minori probabilità di recidive post-chirurgiche.
Il 5-FU è in grado di interagire con vari farmaci e alcune di queste interazioni
sono sfruttate per aumentare l’efficacia del trattamento antineoplastico. A questo
scopo possono essere impiegati farmaci che mancano di una attività propria
antitumorale, ma che determinano una biomodulazione del 5-FU favorendo, con vari
meccanismi, la sua azione.
L’associazione di due farmaci è utilizzata nel trattamento adiuvante del carcinoma
mammario sia primario che metastatico e, occasionalmente, nel trattamento dei
carcinomi della testa e del collo.
Tra le principali interazioni del 5-FU le più note sono quelle con il metotressato e
con il leucovorin. L’efficacia del metotressato in associazione con il 5-FU dipende
dalla sequenza con cui i due farmaci sono somministrati: infatti, solo la
somministrazione di metotressato seguita da 5-FU ha un effetto sinergico, mentre i
28
due farmaci somministrati nella sequenza opposta interagiscono in maniera
antagonista (Bertino et al., 1977; Bowen et al., 1978). Le basi biochimiche del
sinergismo tra metotressato e 5-FU somministrati in sequenza sono rappresentate
dall’aumento dell’uptake cellulare di 5-FU, con incremento dell’incorporazione
nell’RNA e della formazione di FdUMP. Si pensa che la biomodulazione del 5-FU
sia secondaria all’aumento della disponibilità di 5-fosforibosil-1-pirofosfato che fa
seguito al pretrattamento con metotressato (Cadman et al., 1979).
Sulla base dell’osservazione che l’inibizione di TS richiede la disponibilità di
un’adeguata concentrazione di folati ridotti all’interno della cellula,recentemente è
cresciuto l’interesse per l’associazione del 5-FU con acido folinico (leucovorin, LV)
(Ullmann et al 1978). Esperimenti su linee cellulari in vitro e studi clinici hanno
dimostrato che la somministrazione di LV aumenta la citotossicità del 5-FU, ma non
conferisce una maggiore selettività (Hakala, 1984; De Lap, 1988); questa
associazione è indicata soprattutto nella terapia del carcinoma del colon-retto, anche a
scopo adiuvante, nella dose di 370 mg/m2 di 5-FU e 20-100 mg/m
2 di LV. Altre
possibilità per la biomodulazione del 5-FU sono rappresentate dalla somministrazione
di altre pirimidine, quali timina e uracile, che competono con la stessa via catabolica
del 5-FU e determinano un aumento di concentrazione e del tempo di permanenza in
circolo del 5-FU, oppure l’uso di farmaci che interferiscono con la biosintesi delle
pirimidine (Martin et al., 1978; Au et al., 1982).
Gli studi più recenti sono rivolti alla valutazione dell’associazione del 5-FU con
oxaliplatino e/o irinotecano. L’oxaliplatino (LOHP) è un complesso di coordinazione
29
diamminocicloesano del platino che esercita il proprio effetto citotossico mediante la
formazione di addotti nel DNA. In studi condotti su pazienti affetti da carcinoma
colorettale metastatico pretrattati con 5-FU, l’LOHP somministrato in dose di 130
mg/m2 e.v. ogni 3 settimane ha prodotto risposte obiettive nel 10-11% dei casi
(Machover et al., 1996). In seguito studi di fase II hanno valutato l’attività e la
fattibilità dell’associazione dell’LOHP al 5-FU/LV in pazienti con carcinoma colo-
rettale metastatico, dimostrando una percentuale di risposte obiettive del 20-30% in
pazienti pretrattati con 5-FU e del 40-50% in pazienti naive (De Gramont et al.,
1997). Le tossicità dose-limitanti sono risultate essere la neutropenia di grado 3-4
(40% dei pazienti) e la neuropatia periferica di grado 2-3 (30-40% dei pazienti).
L’irinotecano (CPT-11) è un inibitore dell’enzima topoisomerasi I, grazie al suo
innovativo meccanismo di azione, si è rivelato attivo sia in prima linea che in pazienti
pretrattati con 5-FU, con un tasso di remissioni obiettive del 10-25%. Di particolare
rilievo sono i risultati di due studi randomizzati di fase III che hanno confrontato un
trattamento di prima linea con CPT-11+5-FU/LV con il solo 5-FU/LV (Douillard et
al., 2000; Saltz et al., 2000). Il dato più interessante che emerge da questi due studi è
l’evidenza che trattare pazienti con carcinoma colon-rettale avanzato con una terapia
di prima linea più attiva comprendente CPT-11 e 5-FU/LV determina un significativo
prolungamento della sopravvivenza, nonostante che in entrambi gli studi circa i 2/3
dei pazienti trattati con il solo 5-FU/LV avessero ricevuto una terapia di seconda
linea spesso comprendente anche il CPT-11.
30
Più recentemente studi preclinici hanno dimostrato che la triplice associazione di
irinotecano, oxaliplatino e 5-FU possiede una attività sinergica nel carcinoma colon-
rettale (Fischel et al., 2001). Inoltre studi clinici evidenziano che questi tre farmaci
possiedono differenti tossicità dose-limitanti e, soprattutto, dimostrano come, nel
carcinoma colon-rettale metastatico, un trattamento di prima linea più attivo è
associato ad un incremento della sopravvivenza e consente sottoporre a rimozione
chirurgica una quota di pazienti con malattia metastatica inizialmente non resecabile
e che questi pazienti avranno una sopravvivenze a 5 anni del 30-40%, risultati del
tutto sovrapponibili a quelli dei pazienti operabili sin dall’inizio (Buyse et al., 2000;
Adam et al., 2001). È stato inoltre evidenziato che, in quei pazienti che vengono
esposti a tutti e tre i farmaci, si ottiene un miglior controllo della malattia (Goldberg
et al., 2004).
1.6 Meccanismi di resistenza
Tutte le tappe dell'anabolismo e del catabolismo del 5-FU possono essere alterate
in modo da determinare resistenza nei confronti del farmaco; a questo riguardo, sono
stati descritti vari meccanismi di resistenza al 5-FU, sia naturale che acquisita.
I meccanismi di resistenza più studiati sono quelli correlati ad alterazioni
nell’espressione o nell’attività degli enzimi della via anabolica; fra i più importanti
ricordiamo:
Deficit (assenza o ridotta attività) degli enzimi richiesti per l’attivazione del 5-
FU (timidina fosforilasi, uridinchinasi, uridinfosforilasi, acido orotico-
31
fosforilasi) (Reichard et al., 1959; Reichard et al., 1962; Skold, 1963;
Goldberg et al., 1966; Ardalan et al., 1978);
Riduzione dell’incorporazione del 5-FU nell’RNA e nel DNA per ridotta
attività della pirimidina-monofosfato-chinasi o per maggiore tolleranza verso
l'incorporazione di analoghi fluorurati (Chu et al., 1991);
Alterazioni strutturali dell’enzima TS, che lo rendono insensibile all'inibizione
da parte di FdUMP (Barbour et al., 1990), consentendogli, ad esempio, di
discriminare con maggiore selettività il substrato naturale rispetto agli analoghi
fluorurati e riducendo quindi l’affinità per FdUMP (Houghton e Houghton,
1984).
Eccessiva produzione di enzima TS. Questo fenomeno di resistenza è ben
conosciuto e può dipendere da meccanismi di amplificazione genica (Berger et
al., 1985; Clark et al., 1987). È stato infatti dimostrato che l’espressione di TS
è controllata da un meccanismo di autoregolazione a feedback, per mezzo del
quale è la proteina stessa a controllare l’efficienza della traduzione del proprio
mRNA. Questo meccanismo provvede ad una rapida modulazione della
quantità di TS necessaria per la divisione cellulare, ma può anche essere un
importante meccanismo attraverso il quale le cellule maligne riducono
rapidamente la loro sensibilità agli effetti del 5-FU (Swain et al., 1989; Chu e
Takimoto, 1993, Figura 5).
32
Figura 5. Influenza dell’espressione di TS sull’effetto citotossico del 5-FU
Un’ulteriore causa di resistenza al 5-FU è rappresentata dalla carenza di
folati ridotti all’interno della cellula, che non consente la stabilizzazione
del complesso ternario con TS (Ullman et al., 1978). Studi preclinici e
clinici hanno dimostrato che l’impiego di 5-formiltetraidrofolato
(leucovorin) in associazione al 5-FU, aumenta l’efficacia della
fluoropirimidina.
Fra tutti i meccanismi descritti, la carenza di folati e la sovraespressione di TS sono
gli unici per cui sia stata dimostrata una correlazione con la resistenza al farmaco in
ambito clinico (Grem et al., 1987). L’incremento delle conoscenze sui meccanismi di
resistenza ha creato, quindi, le basi scientifiche per lo studio di combinazioni
farmacologiche più efficaci.
33
1.7 Reazioni avverse
La tossicità del 5-FU si può manifestare a carico di vari organi e apparati e, nella
maggior parte dei casi, compare dopo alcuni giorni dall’inizio del trattamento.
I primi sintomi che compaiono nel corso del trattamento interessano generalmente
l’apparato gastroenterico, i più frequenti sono nausea,vomito,stomatite e diarrea.
La tossicità del 5-FU, soprattutto se somministrato per via endovenosa in bolo, a
carico del midollo emopoietico può manifestarsi in mielodepressione con leucopenia
e trombocitopenia, che determinano un aumento del rischio di infezioni e una
maggiore suscettibilità alla comparsa di fenomeni emorragici, con conseguenze
talvolta mortali; si osservano anche casi di anemia,che sono tuttavia meno frequenti.
Il massimo livello di depressione midollare viene raggiunto dopo 10-14 giorni
dall’inizio della terapia, con ritorno alla normalità dopo circa 1 mese.
Sono possibili alterazioni degli annessi cutanei con modesta perdita di capelli (che
raramente progredisce fino alla totale alopecia), distrofie ungueali, dermatiti,
aumentata pigmentazione e atrofia della cute e, infine, pellagra per inibizione della
conversione di triptofano ad acido nicotinico. Una grave manifestazione di tossicità
secondaria alla somministrazione di 5-FU e profarmaci è la sindrome hand-foot,
caratterizzata da infiammazione e desquamazione cutanea delle mani e dei piedi
(eritrodisestesia palmo-plantare).
34
Figura 6. Hand-foot syndrome
In seguito a somministrazione topica il 5-FU può provocare cloasma e acne
rosacea transitorie. Altri effetti avversi indotti dal 5-FU sono rappresentati da reazioni
allergiche con rash cutanei, dermatiti eritemato-maculose e fotosensibilizzazione.
Il 5-FU può determinare alterazioni a carico del sistema nervoso centrale, che
possono atassia cerebellare acuta (circa nel 2% dei casi) ed altri sintomi quali
confusione mentale, difficoltà di concentrazione, riduzione della memoria e
deterioramento mentale nei pazienti anziani; questi disturbi sono reversibili dopo
sospensione del trattamento ed è importante la diagnosi differenziale con
l’interessamento metastatico del cervelletto. Un’altra possibile manifestazione
neurologica è infine la mielopatia.
Il 5-FU può provocare anche reazioni avverse a carico dell’apparato visivo quali
congiuntiviti e fibrosi del dotto lacrimale mentre a carico dell’apparato
35
cardiovascolare sono stati riportati dolore toracico acuto e alterazioni di tipo
ischemico all’ECG, infarto miocardico acuto, tachicardia, edema polmonare.
2. Profarmaci del 5-fu
2.1 Capecitabina
La capecitabina (Figura 7) è un profarmaco del 5-FU che, dopo somministrazione
orale è caratterizzato da un elevato assorbimento intestinale, con una biodisponibilità
che supera l’80% della dose somministrata.
Figura 7. Struttura chimica della capecitabina
A differenza della doxifluridina (5-DFUR), un altro profarmaco del 5-FU, la
molecola di capecitabina supera immodificata la mucosa intestinale evitando, in
questo modo, i problemi di tossicità locale che si hanno con la 5-DFUR.
La capecitabina come tale, infatti, non ha effetto citotossico e gli enzimi della
mucosa intestinale non sono in grado di attivarla, come invece avviene con 5-DFUR.
La capecitabina, pertanto, compare nel circolo portale nella sua forma inattiva e, a
livello epatico, avviene la conversione in 5’-deossi-5-fluorocitidina (5-DFCR) ad
opera dell’isoenzima A della acilamidasi epatica, per il quale ha un’affinità
36
particolarmente elevata. A livello del tessuto neoplastico, la 5-DFCR, viene a sua
volta trasformata in 5-DFUR dalla citidina deaminasi ed infine convertita in 5-FU, ad
opera della timidina fosforilasi (TP). L’attivazione intratumorale del profarmaco
consente di minimizzare l’esposizione dei tessuti al 5-FU e quindi di ridurre gli effetti
tossici sistemici (Bajetta et al., 1996).
Figura 8. Attivazione del profarmaco capecitabina
L’attività antitumorale della capecitabina è stata dimostrata in vivo in modelli
tumorali sensibili e resistenti al 5-FU; in particolare è stato osservato che l’efficacia
antitumorale della capecitabina nei confronti di tumori umani xenotrapiantati in topi
atimici è maggiore rispetto al 5-FU e alla 5-DFUR.
La capecitabina viene somministrata per via orale; la massima concentrazione
plasmatica in seguito alla somministrazione di una dose di farmaco di 2.500 mg/m2
viene raggiunta dopo 1-2 ore, con un t1/2 di 0,77 ore. La conversione in 5-DFCR e
successivamente in 5-DFUR è estremamente rapida e questi profarmaci rimangono in
circolo per un periodo molto breve.
37
Gli effetti collaterali che si possono presentare in seguito alla somministrazione di
capecitabina sono qualitativamente sovrapponibili a quelli descritti per il 5-FU. Studi
preclinici e clinici hanno, però, dimostrato un elevato indice terapeutico per la
capecitabina con effetti collaterali rilevanti, soprattutto diarrea e tossicità
ematologica, solo per dosaggi superiori a 179,7 mg/Kg/die (Bajetta et al., 1996).
2.2 Tegafur
Il tegafur (Figura 9) è un profarmaco del 5-FU, che diventa attivo in seguito alla
somministrazione orale.
Figura 9. Struttura chimica del tegafur
È presente in due preparazioni farmaceutiche, in combinazione con uracile (UFT),
e con 5-cloro-2,4-diidrossipiridina e acido oxonico (S-1). Il tegafur viene
metabolizzato lentamente per idrossilazione a 5-FU, e questo permette di mantenere
costanti le concentrazioni di 5-FU nelle cellule tumorali, prolungandone l’effetto
chemioterapico (Punt, 1998). In studi clinici condotti negli Stati Uniti, l’UFT non ha
dimostrato evidenti benefici clinici rispetto al 5-FU e la sperimentazione è stata
interrotta a causa delle tossicità indotte dal trattamento.
38
Ulteriori ricerche hanno, infatti, dimostrato che in seguito all’attivazione del
tegafur a 5-FU, l’uracile può inibire l’attività dell’enzima DPD a livello epatico,
causando un aumento delle concentrazioni di 5-FU e conseguente tossicità; tale
inibizione avviene anche nelle cellule tumorali, comportando un aumento
dell’esposizione delle cellule stesse al 5-FU. In studi condotti sugli animali è stato
dimostrato che il miglior rapporto molare tra uracile e tegafur è di 4:1 (Punt, 1998).
Studi clinici di fase I con UFT hanno permesso di stabilire uno schema terapeutico
ottimale, che prevede la somministrazione del farmaco alla dose di 400 mg/m2/die in
tre dosi distinte, ogni 4 settimane. Inoltre, studi farmacocinetici hanno dimostrato che
le variazioni della distribuzione dell’UFT sono linearmente correlate alla dose
somministrata, con un’emivita terminale di 6-7 ore. La comparsa di gravi effetti
tossici, simili a quelli comunemente osservati dopo somministrazione di altre
fluoropirimidine, è stata superata mediante frazionamento della dose giornaliera
totale. Un aspetto interessante di UFT, è che questo farmaco induce risposte cliniche
anche in pazienti nei quali il precedente trattamento con 5-FU non aveva prodotto
alcun miglioramento clinico. Altri schemi di trattamento prevedono la
somministrazione di 800 mg/m2/die per 5 giorni o 360 mg/m
2/die per 28 giorni, con
tossicità dose-limitanti costituite, rispettivamente, da granulocitopenia e diarrea
(Punt, 1998).
L’analisi farmacocinetica mostra che i parametri di distribuzione ottenuti
somministrando UFT in associazione con acido folinico sono paragonabili a quelli
calcolati dopo impiego del solo UFT, suggerendo che i folati non sono in grado di
39
alterare la cinetica di tegafur, uracile o 5-FU. La dose massima tollerabile di UFT, in
associazione con acido folinico, è stata 390 mg/m2/die in uno schema terapeutico
bisettimanale e 350 mg/m2/die in uno schema di 28 giorni. In studi clinici di fase II,
la percentuale di risposte parziali in pazienti non precedentemente trattati è stata del
25-42%, con una sopravvivenza media di 12-13 mesi, mentre la percentuale di
risposta completa in questi studi, variava tra il 2 ed il 9%. Negli Stati Uniti sono stati
approvati studi clinici randomizzati di fase III con lo scopo di valutare l’efficacia
dell’associazione UFT/LV confrontandola con quella di 5-FU/LV sia nel trattamento
adiuvante che in quello di prima o seconda linea del carcinoma del colon-retto (Punt,
1998).
L’S-1 è una formulazione attiva per via orale costituita dall’associazione tra il
tegafur, la 5-cloro-2,4-diidrossipiridina (inattivatore dell’enzima DPD) e acido
oxonico (un inibitore della fosforilazione del 5-FU nel tratto gastrointestinale) in un
rapporto molare rispettivamente di 1:0,4:1 (Punt, 1998). Come per UFT, lo scopo
della somministrazione di S-1 è duplice: quello di attuare un trattamento orale con
fluoropirimidine e di produrre un’esposizione plasmatica e tissutale prolungata al 5-
FU. In modelli di tumore di colon umano, S-1 ha un’attività antitumorale maggiore
rispetto al 5-FU o all’UFT e, a causa della modulazione biochimica di DPD, ha
mostrato un’attività citotossica sinergica con il cisplatino (Punt, 1998).
L’S-1 viene somministrato alla dose di 45 mg/m2 secondo uno schema terapeutico
che prevede due dosi giornaliere per 4 settimane seguite da una settimana di pausa. I
risultati preliminari degli studi di fase I indicano che questo farmaco inibisce
40
efficacemente la DPD; la diarrea rappresenta l’effetto tossico principale. In uno
studio di fase II, la frequenza di risposte tumorali era del 17% in 30 pazienti con
carcinoma del colon-retto trattati con S-1 alla dose di 100 mg/die per 4 settimane
(Punt, 1998).
3. Cause della variabilità di risposta al trattamento con 5-FU
Tra i determinanti molecolari della risposta al 5-FU, quelli più studiati sono
rappresentati dagli enzimi diidropirimidina deidrogenasi (DPD), timidilato sintetasi
(TS) e timidina fosforilasi (TP).
Figura 10. Principali determinanti molecolari dell’attività del 5-FU
L’attività enzimatica della DPD è soggetta a variabilità interindividuale, a cui è
associato lo sviluppo di tossicità in seguito al trattamento con fluoropirimidine,
mentre alterazioni nell’espressione o nella funzione degli enzimi TS e TP, possono
fornire indicazioni sulla variabilità della risposta al trattamento farmacologico.
41
3.1 Tossicità
3.1.1 Diidropirimidina deidrogenasi (DPD)
La diidropirimidina deidrogenasi (DPD) è il principale enzima coinvolto nel
metabolismo del 5-FU, poichè catalizza la tappa limitante della sua inattivazione. I
substrati fisiologici di questo enzima sono rappresentati dalle pirimidine uracile e
timina che vengono degradati con formazione finale di β-alanina.
La DPD è un omodimero con un peso molecolare che varia da 200 a 216 kDa a
seconda della specie di mammifero considerata, localizzato prevalentemente a livello
citosolico (Van Kuilenburg et al., 1997A). La reazione enzimatica catalizzata dalla
DPD implica una riduzione NADPH-dipendente delle pirimidine. Il clonaggio e il
sequenziamento del cDNA suino e umano hanno evidenziato che DPD è una proteina
composta da 1.025 aminoacidi con un peso molecolare stimato di 111 kDa. Nella
sequenza della proteina DPD ci sono alcune porzioni conservate che corrispondono ai
siti di legame per NADPH, FAD e per due gruppi ferro-solfuro [4Fe-4S]. Una
sequenza di 17 aminoacidi inizia con l’aminoacido valina in posizione 335 e termina
con l’aminoacido alanina in posizione 351, tale sequenza è posizionata nella metà
NH2-terminale della proteina e contiene il sito di legame per NADPH. Il sito di
legame per il FAD è rappresentato, invece, da una sequenza di 11 aminoacidi che
inizia con l’aminoacido treonina in posizione 471 e termina con l’aminoacido
aspartato in posizione 481 (Eggink et al., 1990). All’estremità COOH-terminale è
localizzata una sequenza di 12 aminoacidi che lega i gruppi [4Fe-4S] rispettivamente
tra i residui 953 e 964 e i residui 986 e 997 (Dupuis et al., 1991). Il sito di legame per
42
l’uracile si trova tra il sito di legame per il FAD e quello per i gruppi [4Fe-4S] in una
regione corrispondente alla sequenza compresa fra l’aminoacido glicina in posizione
661 e l’aminoacido arginina in posizione 678 (Yokota et al., 1994).
Studi di cinetica enzimatica hanno dimostrato che il 5-FU costituisce un substrato a
maggior affinità rispetto all’uracile. Naguib e collaboratori (1985) hanno misurato
l’attività dell'enzima DPD in vari tessuti normali e neoplastici, trovando valori più
elevati nel fegato e nei leucociti, rispetto a quelli riscontrati in altri tessuti quali il
polmone, il pancreas e la mucosa intestinale. Le cellule mononucleate del sangue
periferico possono essere utilizzate come tessuto facilmente accessibile per la
valutazione ex vivo dell’attività DPD; tuttavia, l’accuratezza nel predire la capacità
del tumore di catabolizzare il 5-FU con questa metodica è ancora oggetto di studio
(McLeod et al., 1998).
Il gene che codifica per l'enzima DPD è localizzato sul cromosoma 1, nella
posizione 22 del suo braccio corto (1p22); tale gene è costituito da 23 esoni e 22
introni che, nell’insieme, formano una sequenza nucleotidica pari a circa 150 Kb
(Fernandez-Salguero et al., 1994; Johnson et al., 1997). L’esone 15, costituito da 69
bp, è l’esone più piccolo, mentre l’esone 23, costituito da 1.404 bp, è quello più
grande. Il sito d’inizio della traslazione è rappresentato dal codone ATG (start
codon), che è stato individuato nell’esone 1; l’esone 23 contiene 168 nucleotidi della
sequenza codificante seguiti dal codone di stop della trascrizione (TAA) e da una
regione non tradotta di 1.236 nucleotidi all’estremità 3’. Oltre agli esoni, sono state
determinate la lunghezza e la sequenza degli introni e delle regioni di confine fra
43
introni ed esoni (siti di splicing). La conoscenza della struttura e dell’organizzazione
del gene DPD ha consentito l’identificazione e l’analisi molecolare di mutazioni che
possono interferire con la regolare espressione e dell’attività catalitica dell’enzima.
La più comune fra le mutazioni a carico del gene DPD è l’ IVS14+1G>A (o
DPYD*2A), che consiste in una mutazione puntiforme con sostituzione della guanina
(G) in posizione 1986, con una adenina (A). La mutazione, non permette il
riconoscimento del sito di splicing nella sequenza GT all’estremità 5’ dell'introne 14,
causando la delezione dell’intero esone che precede la mutazione, con conseguente
perdita di 165 bp (Meinsma et al., 1995; Wei et al., 1996; Vreken et al., 1996A;
Vreken et al., 1996B; Van Kuilenburg et al., 1997B). La presenza di un enzima
funzionalmente inattivo, comporta una parziale riduzione dell’attività della DPD, in
condizione di eterozigosi, che diventa completa nei soggetti omozigoti, con un rischio
elevato di sviluppare una grave tossicità a seguito del trattamento con 5-FU.
Questo particolare polimorfismo è stato riscontrato in circa il 25% dei pazienti che
hanno manifestato grave tossicità dopo trattamento con 5-FU (Fogli e Caraglia,
2009).
44
Figura 11. Mutazione nel sito di splicing dell’esone 14 del gene DPD
Oltre alla variante DPYD*2A sono state descritte in letteratura altre mutazioni del
gene DPD, sebbene non tutte associate a un deficit enzimatico. La presenza di diversi
polimorfismi nel gene che codifica per la DPD potrebbe spiegare la diversa
suscettibilità nei pazienti oncologici allo sviluppo di tossicità in seguito a trattamento
con fluoropirimidine.
3.1.2 Metodi per la valutazione del deficit DPD
Il deficit DPD nei pazienti oncologici può essere valutato misurando l’attività
enzimatica tissutale o cellulare, o tramite il dosaggio dei livelli plasmatici dei prodotti
del metabolismo della DPD. Ad esempio, la valutazione dell’attività DPD nelle
cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) è stata impiegata come
parametro indicativo della tollerabilità al 5-FU, in quanto correlata all’attività
enzimatica nel tessuto epatico (Lu et al., 1993; Chazal et al., 1996). L’impiego di
questo metodo nella pratica clinica risulta, tuttavia, piuttosto complesso in quanto
45
prevede l’incubazione ex vivo delle PBMCs con 5-FU radiomarcato e la successiva
determinazione del catabolita risultante mediante HPLC (Van Kuilenburg et al.,
1999A; Di Paolo et al., 2001). Inoltre, ci sono numerosi fattori di variabilità che
possono ridurre l’accuratezza dei risultati ottenuti manipolazione, quali la
manipolazione ed il processamento del campione, l’instabilità in ambiente acquoso
del prodotto di reazione e l’eterogeneità cellulare (l’attività enzimatica varia tra
monociti, linfociti e neutrofili) (Van Kuilenburg et al., 1999B).
Poichè la quantità di DPD nei tessuti dipende dall’attività trascrizionale del gene,
la determinazione quantitativa dei livelli di epressione dell’mRNA, mediante PCR
real-time, è stata proposta come marker surrogato di attività enzimatica. Tuttavia, i
dati presenti in letteratura sulla correlazione tra mRNA cellulare ed attività DPD sono
discordanti, rendendo questo metodo di screening inappropriato (Johnson et al., 2000;
Seck et al., 2005; Johnson et al., 2002; Boisdron‐Celle et al., 2007). Infatti, il deficit
DPD nei pazienti può essere causato anche da fattori che non modificano i livelli di
espressione genica quali, ad esempio, la presenza di polimorfismi non sinonimi o le
interazioni con farmaci inibitori dell’enzima (e.g., sorivudina e brivudina). Per questi
motivi, sono state prese in considerazione altre strategie per la determinazione di una
riduzione dell'attività della DPD quali, ad esempio, la misurazione del rapporto dei
livelli endogeni di uracile/5,6-diidrouracile (U/UH2) nelle matrici biologiche (plasma
o urine) mediante HPLC. Recenti studi hanno dimostrato che in pazienti sottoposti al
trattamento con 5-FU, la presenza di livelli elevati di uracile nel plasma sono
46
associati ad una diminuzione della clearance del farmaco e al conseguente sviluppo
di tossicità (Jiang et al., 2004; Garg et al., 2002).
Un altro metodo è il breath test, che si basa sulla valutazione del metabolismo del
2‐13C‐uracile con la misurazione dei livelli di
13CO2 e
12CO2 nell’espirato dei pazienti,
mediante spettrometria infrarossa. Il test non è invasivo e facilmente eseguibile,
basandosi sullo stesso principio dell’urea breath test per l’H. pylori e fornisce risultati
accurati sull’attività enzimatica della DPD: i livelli di 13
CO2 ridotti sono correlati al
parziale o completo deficit DPD. Inoltre, l’isotopo radioattivo è stabile nell’espirato
un’ora dopo la somministrazione di 2‐13C-uracile e (Mattison et al., 2004). Gli
svantaggi di questo metodo di analisi consistono nella disponibilità limitata
dell’isotopo radioattivo da impiegare come substrato e nella scarsa riproducibilità dei
risultati nei diversi laboratori dove il test viene eseguito. Infine, non sono stati ancora
chiaramente definiti i valori limite necessari per discriminare i pazienti con un’attività
enzimatica normale e quelli caratterizzati da deficit della DPD.
Altri studi hanno valutato questa importante causa di variabilità determinando i
livelli plasmatici del 5-FU e/o dei suoi cataboliti e dimostrando l’esistenza di
variazioni significative nella clearance del farmaco e nell’area sotto la curva (AUC),
tra i pazienti che manifestavano una tossicità da moderata a grave e quelli che
tolleravano bene il trattamento con fluoropirimidine [Di Paolo et al., 2001; Mattison
et al., 2004). In particolare, il rapporto tra i valori di AUC del 5-FU e del 5-FDHU è
stato associato al grado di tossicità, soprattutto gastrointestinale.
47
L’analisi farmacocinetica sembra caratterizzata da una minore variabilità rispetto
all’analisi dell’attività enzimatica; tuttavia, il principale inconveniente di tale
approccio è la necessità di esporre il paziente almeno ad una dose terapeutica di 5-
FU, con il rischio di sviluppare una grave tossicità. L’impiego di una dose sub-
terapeutica di 5-FU (dose-test) per la caratterizzazione del fenotipo enzimatico è stata
ideata per ridurre al minimo tale rischio (Di Paolo et al., 2002; Bocci et al., 2006).
Infine, alcuni dati della letteratura suggeriscono che, a seguito della
somministrazione di una dose-test di 5FU, la determinazione dei livelli plasmatici di
FBAL (il prodotto finale del catabolismo del farmaco), consente di valutare
indirettamente l’attività della DPD nei pazienti oncologici. In particolare, livelli
plasmatici di FBAL ridotti sono correlati ad una ridotta attività enzimatica (Furuhata
et al., 2006).
La farmacogenetica è la disciplina che studia le basi genetiche della risposta ai
farmaci. Le cause più frequenti di variabilità genetica consistono nella presenza di
polimorfismi nella regione 5’-UTR e negli esoni; queste alterazioni possono, con
maggiore probabilità rispetto ai polimorfismi intronici e della regione 3’-UTR,
causare un’alterazione funzionale di proteine coinvolte nel metabolismo e/o nel
meccanismo d’azione dei farmaci, modificando sensibilmente la tossicità o la risposta
al trattamento farmacologico.
48
Figura 12. Cause di variabilità genetica
A parte la mutazione IVS14+1G>A, di cui è stato chiarito il ruolo associato al
deficit enzimatico,in letteratura sono stati evidenziati diversi polimorfismi a carico
del gene codificante per la DPD, la cui relazione con la tossicità manifestata dai
pazienti neoplastici in trattamento con fluoropirimidine risulta ancora oggetto di
studio.
Figura 13. Polimorfismi della DPD
49
3.2 Efficacia
3.2.1 Timidina fosforilasi (TP)
La timidina fosforilasi (TP) è un enzima che metabolizza i nucleosidi pirimidinici,
catalizzando la reazione reversibile di fosforolisi della timidina, della dosossiiuridina
e dei loro analoghi, che porta alla formazione delle rispettive basi e di 2-
desossiribosio-1-fosfato. L’enzima può anche determinare il trasferimento del residuo
di desossiribosio da un desossinucleotide a una base per formare un secondo
desossinucleotide.
Nelle cellule di mammifero la proteina consiste in un omodimero, formato da due
subunità identiche, ognuna di peso molecolare pari a 55 kDa e non legate da ponti
disolfuro. La proteina è labile al calore e instabile in ambiente acido, ha un punto
isoelettrico di 4,5 e non contiene residui glicosilati. Il gene che codifica per l'enzima
TP è localizzato sul cromosoma 22, nella posizione 13 del suo braccio lungo (22q13).
Tale gene è costituito da 10 esoni e 9 introni.
L’enzima TP ha un ruolo importante nell’attivazione metabolica del 5-FU,
catalizzando la conversione dell’analogo pirimidinico in 5-fluoro-2’-desossiuridina,
che rappresenta la prima tappa della via anabolica del 5-FU (Birnie et al., 1963).
L’enzima catalizza, inoltre, la trasformazione nella forma attiva di alcuni profarmaci
del 5-FU quali, ad esempio, la capecitabina, la quale, dopo conversione in 5’-deossi-
5-fluorocitidina (5-DFCR) ad opera dell’isoenzima A della acilamidasi epatica, viene
convertita in doxifluridina (5-DFUR) dalla citidina deaminasi nel tessuto neoplastico
ed infine attivata a 5-FU da TP.
50
Il livello di espressione di TP varia fino a 15 volte nei diversi tessuti umani
(Zimmerman et al., 1964; Yoshimura et al., 1990; Luccioni et al., 1994) e tra
individui diversi, suggerendo che TP potrebbe essere un importante determinante
molecolare in grado di predire la responsività interindividuale al 5-FU. In accordo
con tale ipotesi, è stato osservato che elevati livelli di TP sono associati ad una
maggiore efficacia della terapia con fluoropirimidine, a causa dell’aumentata
produzione del metabolita attivo FdUMP (Schwartz et al., 1995); al contrario, la
riduzione dell’attività enzimatica è frequentemente correlata alla resistenza al 5-FU
(Mader et al., 1997). L’attività di TP può essere modulata da altri farmaci
antitumorali quali, ad esempio, la ciclofosfamide e i taxani che esercitano un effetto
induttivo sull’enzima, creando così il presupposto molecolare per l’effetto sinergico
che è stato osservato quando questi farmaci sono associati al 5-FU e, soprattutto, alle
fluoropirimidine capecitabina e doxifluridina (Endo et al., 1999; Fukushima et al.,
2002).
3.2.2 Timidilato sintetasi (TS)
TS rappresenta il principale enzima coinvolto nella sintesi ex novo della 2’-
deossitimidina-5’-monofosfato (dTMP), catalizzando la reazione di metilazione della
2’-deossiuridina-5’-monofosfato (dUMP) a dTMP, nella quale i gruppi metilici sono
forniti dalla molecola di 5,10-metilen-tetraidrofolato (CH2-THF).
51
Figura 14. Attività enzimatica della timidilato sintetasi
dTMP viene successivamente metabolizzato a livello intracellulare nella forma
fosforilata dTTP, un precursore della biosintesi del DNA importante per la
proliferazione e la crescita cellulare.
La conversione di dUMP in dTMP è essenziale per la produzione di timidina, un
nucleotide necessario per la sintesi e la riparazione del DNA. L’altra sorgente di
dTMP possibile è costituita dalla trasformazione della timidina in dTMP, reazione
catalizzata dalla timidina chinasi citosolica (TK1) o mitocondriale (TK2).
L’inibizione di TS da parte di FdUMP è considerato il principale meccanismo
d’azione del 5-FU. Tale inibizione avviene attraverso la formazione di un complesso
ternario covalente tra TS, FdUMP e CH2-THF. Le linee cellulari e i tumori maligni
che esprimono alti livelli di TS, sono relativamente più resistenti all’effetto
citotossico dei farmaci antitumorali che hanno come bersaglio TS. Inoltre, esiste una
significativa correlazione tra l’inibizione dei livelli di TS nei pazienti trattati con 5-
52
FU e la risposta clinica (Swain et al., 1989). L’elevata risposta osservata con la
combinazione di 5-FU e leucovorin (LV), un precursore del 5,10-
metilentetraidrofolato (CH2-THF), è stata confrontata con la singola
somministrazione di 5-FU, dimostrando così che l’inibizione dell’enzima TS è
massima quando si verifica un incremento della concentrazione di CH2-THF (Santi et
al., 1974).
La resistenza tumorale al 5-FU è in larga parte dipendente dalla insufficiente
inibizione dell’enzima TS, come riportato nella Tabella 3. La stabilità del complesso
ternario è altamente dipendente dalla disponibilità di CH2-THF o di una sua forma
poliglutammata (5,10-CH2H4PteGlun) (Houghton e Houghton, 1983), sintetizzata
dall’enzima folilpoliglutammato sintetasi (FPGS). Il leucovorin può causare aumento
delle concentrazioni tissutali di CH2-THF. Il passaggio di LV attraverso la membrana
è mediato da un trasportatore di folati ridotti (Jansen et al., 1999), successivamente
LV viene metabolizzato a CH2-THF e poliglutammato causando così una maggiore
inibizione di TS (Radparvar et al., 1989). Una minore attività dell’enzima FPGS e
una sua bassa espressione genica conferiscono resistenza al 5-FU (Wang et al., 1993),
probabilmente perché la riduzione delle concentrazioni intracellulari di 5,10-
CH2H4PteGlun destabilizzano il complesso ternario inibitore TS-FdUMP-5,10-
CH2H4PteGlun; per questo motivo anche un alterato legame di FdUMP a TS è
associato ad una resistenza acquisita al 5-FU (Priest et al., 1980). Un pool di folati
ridotti e un alto livello di enzima TS prima del trattamento determinano quindi
53
resistenza intrinseca al 5-FU (Peters et al., 1996), mentre l’amplificazione del gene
TS o la comparsa di mutazioni portano a resistenza acquisita (Berger et al., 1988).
Tabella 3. Meccanismi di resistenza al 5-FU
Ridotto accumulo di metaboliti attivi Ridotta produzione
Aumentata inattivazione
Fattori legati al bersaglio Ridotto effetto sull’RNA
Ridotta inibizione di TS a causa di:
Cinetica enzimatica anormale
Aumentati livelli di dUMP
Ridotto accumulo di FdUMP
Ridotta stabilità del complesso ternario
Deplezione dei folati intracellulari
Ridotta poliglutamazione dei folati
Amplificazione genica
Induzione enzimatica
Resistenza farmacocinetica Aumentata eliminazione
Alterata distribuzione del farmaco
Scarsa distribuzione del farmaco nel tessuto tumorale
Molti enzimi coinvolti nella sintesi dei nucleotidi sono maggiormente espressi nei
tumori rispetto ai tessuti normali corrispondenti e questo si verifica anche per TS.
Tuttavia il rapporto dell’espressione di TS nei tumori del colon rispetto alla mucosa
normale varia da valori poco superiori a 1 a valori anche molto più elevati (Peters et
al., 1991); l’espressione di TS è inoltre sempre più alta nelle metastasi rispetto ai
54
tumori del colon primari (Banerjee et al., 2000). Questo aumento è stato associato
con l’aumento di p53 e delle proteine del ciclo cellulare. Di conseguenza, nelle linee
cellulari tumorali di colon e nei tumori è stata osservata una ampia variabilità dei
livelli di TS (Van der Wilt et al., 1999).
55
SCOPO DELLA TESI
Con questa tesi abbiamo cercato di identificare dei fattori genetico-molecolari
utilizzabili per prevedere lo sviluppo di tossicità in pazienta trattati con
fluoropirimidine e per sviluppare un test genetico utile per la personalizzazione della
terapia.
I dati della letteratura scientifica suggeriscono che la genotipizzazione possa
rappresentare un metodo più affidabile, rispetto all’analisi farmacocinetica e alla
valutazione dell’attività enzimatica nei tessuti periferici, per identificare i pazienti
oncologici a rischio di sviluppare gravi reazioni avverse.
Con questa tesi abbiamo esaminato una popolazione di pazienti oncologici che ha
manifestato gravi effetti tossici in seguito al trattamento con regimi standard a base di
fluoropirimidine, verificando la presenza di polimorfi a carico del gene codificante
l’enzima diidropirimidina deidrogenasi (DPD).
56
MATERIALI E METODI
1. Pazienti
I pazienti coinvolti nello studio sono stati reclutati presso reparti di Oncologia
Medica, previa adesione mediante consenso informato scritto all’interno di un
protocollo di valutazione del deficit DPD previsto dalla regione toscana e inserito nel
nomenclatore sanitario generale per le prestazioni di laboratorio. La partecipazione
allo studio consisteva nella donazione di circa 5 ml di sangue impiegato per l’analisi
del genotipo; il sangue intero è stato raccolto in un contenitore sterile tipo
Vacutainer® contenente sodio EDTA e mantenuto a 4°C. Tutti i campioni ematici
sono stati spediti, entro 48 ore dal prelievo, all’U.O. Citogenetica e Genetica
Molecolare (Direttore Dott. Paolo Simi) e U.O. Farmacologia (Direttore: Prof.
Romano Danesi) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP). In totale
sono stati esaminati 190 pazienti oncologici che erano stati trattati con regimi
standard di fluoropirimidine e avevano manifestato almeno tossicità di grado ≥2
secondo i criteri NCI CTC (National Cancer Institute Common toxicity Criteria).
2. Estrazione del DNA genomico
Il DNA di ciascun paziente è stato estratto da sangue impiegando il QUAamp® DNA
Mini Kit (QIAGEN). 200 µl di campione sono stati trasferiti in una provetta da 1,5
ml contenente 20 µl di Proteasi QIAGEN e 200 µl di buffer di lisi AL. I campioni
sono stati agitati su vortex per 15 secondi ed incubati per almeno 10 minuti a 56°C.
57
Dopo raffreddamento a temperatura ambiente sono stati aggiunti 200 µl di etanolo
assoluto, i campioni sono stati di nuovo agitati su vortex per 15 secondi e il lisato è
stato trasferito nella provetta contenente la colonna Quiamp. Dopo aver centrifugato
per 1 minuto a 8000 rpm (6000g), il filtrato è stato eliminato e sono stati aggiunti 500
µl del primo buffer di lavaggio AW1. I campioni sono stati nuovamente centrifugati a
8000 rpm per 1 minuto. Senza eliminare il filtrato sono stati aggiunti 500 µl del
secondo buffer di lavaggio AW2 e le colonne sono state centrifugate per 3 minuti a
14000 rpm. Successivamente le colonne sono state trasferite su provette da 2 ml e
sono state centrifugate a 14000 rpm (20 000 g) per 1 minuto. Infine il campione è
stato trasferito in provette da 1,5 ml e sono stati aggiunti 200 µl di buffer di eluizione
AE. Le colonne sono state centrifugate a 8000 rpm per 1 minuto e il DNA eluito è
stato trasferito in una provetta sterile da 1,5 ml e quantificato allo spettrofotometro.
La concentrazione del DNA nella soluzione ottenuta, espressa in ng/µl, è stata
determinata attraverso la misurazione della densità ottica per mezzo di uno
spettrofotometro Nanodrop 2000 alla lunghezza d’onda di 260 nm. La concentrazione
di DNA è stata calcolata per mezzo della seguente formula: Concentrazione = (
A260nm × 50 × 500 ) / 1000 dove A260nm rappresenta il valore dell’assorbanza misurata
alla lunghezza d’onda di 260 nm, 50 il coefficiente di assorbimento del DNA a
doppio filamento a 260 nm e 500 il fattore di diluizione della soluzione di DNA. È
stata inoltre effettuata una stima di purezza del DNA estratto sulla base del rapporto
tra l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 260 nm (lunghezza d’onda di assorbimento
degli acidi nucleici) e quella alla lunghezza d’onda di 280 nm (lunghezza d’onda di
58
assorbimento delle proteine). Il DNA veniva considerato puro quando tale rapporto
era compreso tra 1,6 e 2,0. Infine l’integrità del DNA genomico è stata valutata
mediante elettroforesi su gel di agarosio al 2%. Il DNA è stato utilizzato per l’analisi
dei poimorfismi del gene che codifica per la DPD.
3. Amplificazione PCR del DNA genomico
L’analisi dei polimorfismi del gene che codifica per l’enzima DPD è stata effettuata
sul DNA genomico proveniente da campioni ematici con la tecnica PCR e mediante
sequenziamento. La tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) è una tecnica di
biologia molecolare che permette di amplificare frammenti di acidi nucleici dei quali
si conoscano le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali. La PCR sintetizza un
segmento di DNA a doppio filamento a partire da un filamento a singola elica; il
filamento mancante viene sintetizzato ad opera della DNA-polimerasi che utilizza
desossiribonucleotidi trifosfati (dNTP), i quali vengono disposti nella corretta
sequenza,complementare a quella del DNA interessato. È necessario identificare con
precisione le estremità della sequenza da amplificare per poter sintetizzare gli
oligonucleotidi che saranno ibridizzati ad esse . Una piccola quantità della sequenza
da amplificare deve essere disponibile per dare inizio alla reazione, non è necessario
che sia in forma pura, ma può anche far parte di una miscela complessa. Il prodotto
della reazione sarà una molecola di dsDNA con estremità corrispondenti a quelle 5’
degli oligonucleotidi utilizzati. I primers per la reazione sono stati scelti nelle regioni
59
introniche del gene della DPD, in modo da includere nell’amplificato le intere
sequenze degli esoni che compongono la DPD. Le sequenze dei primers utilizzati
sono le seguenti:
Figura 15. Primers utilizzati per l’amplificazione PCR
La lunghezza dei frammenti amplificati era di 300 bp. La reazione di PCR è stata
eseguita in un volume totale di 50 µl.
Il protocollo che è stato seguito per gli esoni 3-23 è il seguente:
DNA genomico (0,1 µg) 5 µl
Acqua DNAsi/RNAsi free 29,75 µl
Tampone per Taq DNA polimerasi (10×) 10µl
60
Desossinucleotidi trifosfati (dNTPs 10 mM) 4 µl
Primer senso (20 pmol/µl) 1 µl
Primer antisenso (20 pmol/µl) 1 µl
GoTaq pol 0,25 µl
Per gli esoni 1 e 2 sono stati aggiunti alla miscela di reazione 5 μl di dimetil
solfossido (DMSO) ed è stato eseguito il seguente protocollo:
DNA genomico (0,2 μg) 5 µl
Acqua DNAsi/RNAsi free 24,75 µl
tampone per Taq DNA polimerasi (10 X) 10 μl
Deossinucleotidi trifosfati (dNTPs10 mM) 4 μl
DMSO 5 μl
primer senso (20 pmol/μl) 1 μl
primer antisenso (20 pmol/μl) 1 μl
GoTaq pol 0,25 µl
Per gli esoni 3-23 l’amplificazione è stata eseguita nelle condizioni di PCR touch
down : denaturazione iniziale a 95 °C per 5 minuti seguita da denaturazione a 95 °C
per 30 secondi, annealing a 61 °C per 30 secondi, sintesi a 68 °C per 30 secondi per
10 cicli con un decremento della temperatura di 0,5°C ad ogni ciclo; 95°C per 30
61
secondi, 56°C per 30 secondi e 68°C per 30 secondi per 30 cicli, con estensione
finale a 72 °C per 7 minuti. Per gli esoni 1 e 2, le condizioni di PCR sono state le
seguenti: denaturazione iniziale a 95 °C per 5 minuti seguita da denaturazione a 95
°C per 30 secondi, annealing a 64 °C per 30 secondi, sintesi a 68 °C per 30 secondi
per 35 cicli, con estensione finale a 72 °C per 7 minuti.
Per la reazione è stato utilizzato un termociclatore GENE AMP PCR SYSTEM
9700 (Applied Biosystems). Il prodotto di PCR è stato visualizzato tramite
elettroforesi su gel di agarosio al 3%.
4. Rilevazione delle mutazioni mediante DHPLC
Gli amplificati ottenuti dalla reazione di PCR sono stati in seguito analizzati su
DHPLC (Denaturing High Performance Liquid Chromatography) al fine di
individuare gli esoni contenenti i polimorfismi ed analizzarli successivamente con
sequenziamento automatico. La DHPLC si basa sulla differente velocità di
migrazione in una colonna cromatografica degli eteroduplex e degli omoduplex. La
formazione dei duplex avviene denaturando termicamente due frammenti amplificati
di DNA, uno non mutato ed uno incognito, e lasciandoli ricombinare. Una qualsiasi
variazione tra la molecola originale (wild type) e quella mutata porta alla formazione
di un eteroduplex, caratterizzato dalla presenza di una forcella nel punto in cui è
presente la mutazione. L'eteroduplex si comporta cromatograficamente in modo
differente dall'omoduplex non mutato con tempi di ritenzione diversi (l’eteroduplex
62
solitamente esce più rapidamente dalla colonna), e ciò consente di caratterizzare il
campione per la presenza o meno della mutazione. La rilevazione della differenza tra
omoduplex ed eteroduplex avviene perchè i frammenti, nel DHPLC, vengono
sottoposti ad una temperatura definita di “quasi – denaturazione” calcolata sulla base
della loro composizione in basi azotate per mezzo dell’algoritmo di Stanford;
l’omoduplex risulta ancora sotto forma di doppia elica, mentre l'eteroduplex mostra
una parziale denaturazione in corrispondenza del sito dove si è verificato il mismatch.
Il monitoraggio delle separazioni ottenute in colonna è stato realizzato mediante una
lettura spettrofotometrica a 260 nm. Come risultato di questa analisi, la presenza di
una mutazione si evidenzia graficamente per la presenza di picchi ulteriori, rispetto
all'omoduplex non mutato (Figura 15).
Per lo screening dei campioni in DHPLC è stato seguito il seguente protocollo: 15 μl
del prodotto di PCR del campione incognito sono stati aggiunti a 15 μl del prodotto di
PCR di un campione wild type. Dopo denaturazione a 95°C e raffreddamento lento
(da 95°C a 65 °C in 30 minuti), i campioni sono stati inseriti nella piastra per DHPLC
e quelli portatori di mutazioni sono stati successivamente sequenziati.
63
Figura 16. DHPLC: l’omoduplex è rappresentato da un solo picco (linea tratteggiata);
l’eteroduplex è rappresentato da più picchi (tratto intero)
5. Analisi dei polimorfismi con sequenziamento automatico
Il sequenziamento automatico si basa sul metodo enzimatico di Sanger. Questa
tecnica si basa sull’utilizzo di nucleotidi modificati (dideossitrifosfato) Questa tecnica
si basa sull’utilizzo di nucleotidi modificati (dideossitrifosfato, ddNTPs) ,molecole
artificiali corrispondenti ai nucleotidi naturali, ma mancanti del gruppo ossidrilico sul
carbonio 2’ e 3’ della molecola. I dideossinucleotidi,a causa della loro
conformazione,non possono formare legami fosfodiesterici, impedendo che un altro
nucleotide si leghi ad essi ed interrompendo quindi la reazione di sintesi in posizioni
specifiche. Il materiale di partenza è un frammento di DNA amplificato tramite PCR.
Per far avvenire la reazione si usa l’enzima DNApol del fago T7 caratterizzato da
elevata processività, attività nucleasica 3’>5’ e 5’>3’ praticamente nulla ebassa
discriminazione tra ddNTPs e dNTPs. Si utilizza un oligomero che viene usato come
64
primer,per permettere l’inizio della reazione di polimerizzazione della DNApol. Dal
momento che la DNApol sintetizza nella direzione 5’>3’, il primer dovrà avere
un’estremità 3’-OH libera da cui inizierà la polimerizzazione. Nella miscela di
reazione vengono aggiunti i quattro dNTPs naturali che consentono di sintetizzare il
nuovo filamento di DNA. Nel corso della polimerizzazione i nucleotidi vengono
aggiunti all’estremità 3’-OH del nucleotide precedentemente inserito. Insieme ai
dNTPs naturali verranno aggiunti nella miscela di reazione anche i dideossiNTPs
(ddNTPs) ovvero i terminatori di catena. Questi, non presentando il gruppo OH sul
C3’ del ribosio; una volta inseriti nel filamento nascente di DNA bloccano la
DNApol e la reazione si arresterà in corrispondenza del ddNTP inserito. La
concentrazione dei ddNTPs sarà inferiore ai dNTPs naturali in quanto la reazione
deve essere parziale per permettere comunque un’elongazione del DNA sintetizzato.
Il risultato sarà quello di avere una miscela di nucleotidi che terminano la sintesi del
DNA in tutte le posizioni in cui sul template era presente una T, A, G o C. I ddNTPs
sono marcati con 4 diversi fluorocromi che assorbono tutti alla stessa lunghezza
d’onda (λ1) in modo da permettere l’uso di un solo laser per l’eccitazione. I
fluorocromi emettono la radiazione fluorescente a λ2 distinguibili tra di loro con
spettri di emissione non sovrapposti; questo permette di eseguire la marcatura di un
singolo campione di DNA con le quattro basi contenute nella stessa miscela di
reazione e distinguere i nucleotidi in base alle diverse emissioni. I frammenti di DNA
risultanti vengono separati con elettroforesi capillare e le emissioni fluorescenti,
risultanti dall’eccitazione dei fluorocromi legati ai ddNTPs, vengono trasformate in
65
segnali leggibili per mezzo di algoritmi di rilevazione. Il tracciato elettroforetico
risultante sarà costituito da una serie di picchi di fluorescenza parzialmente
sovrapposti l’uno all’altro corrispondenti ciascuno ad un segnale che viene emesso da
un singolo frammento di DNA. L’algoritmo di base-coding (rivelazione) è un
algoritmo di analisi del segnale che consente di identificare con precisione i picchi,
separarli e attribuire loro direttamente le basi.
È necessario purificare il DNA ottenuto dalla reazione di PCR per rimuovere
elementi contaminanti come dNTPs liberi, primers, enzima Taq pol e Sali delle
soluzioni tampone prima della reazione di Cycle sequencing. Senza purificazione il
sequenziamento verrebbe compromesso dal rumore di fondo,da picchi sovrapposti e
dal segnale generalmente debole e non leggibile. La purificazione del prodotto di
PCR è stata eseguita mediante il “Purification Kit QIAGEN” utilizzando colonne
Centricon-100, in cui sono stati aggiunti 20 µl di campione di PCR e 200 µl di buffer
di lavaggio PB. Le colonne sono state centrifugate a 13000 rpm per 1 minuto ed il
filtrato è stato eliminato. Successivamente sono stati aggiunti 750 µl di un secondo
buffer di lavaggio PE ed il campione è stato nuovamente centrifugato a 13000 rpm
per 1 minuto. Il Dna purificato è stato successivamente sottoposto alle reazione di
Cycle sequencing, utilizzando il BigDye Terminator Cycle Sequencing kit v. 3.1 di
Applied Biosystems. I primers per il sequenziamento sono gli stessi utilizzati per il
l’amplificazione con PCR. La reazione di sintesi e marcatura è stata eseguita in un
volume di 20 µl contenenti:
66
Template di DNA da PCR (20 ng) 6 µl
H2O DNAsi/RNAsi free 5,8 µl
Tampone BigDye Sequencing 3 μl
Ready Reaction Premix 2 μl
Primer F/R (20 pmol/μl) 3,2 μl
Le provette contenenti i campioni di DNA e le miscele di reazione sono state
sottoposte al seguente ciclo termico (Figura 13) in un termociclatore GENE AMP
PCR SYSTEM 9700 (Applied Biosystems):
Denaturazione iniziale a 96 °C per 1 minuto
25 cicli di denaturazione a 96 °C per 10 secondi
Annealing a 53 °C per 6 secondi
Sintesi a 60 °C per 2 minuti
Figura 17. Schema del ciclo termico per amplificazione di DPD
67
I campioni marcati sono stati nuovamente purificati con colonnine CentriSep
contenenti un gel, per eliminare sostanze contaminanti che possono interferire con la
lettura in fluorescenza. Le colonne sono state preparate aggiungendo 800 µl di acqua
deionizzata, successivamente sono state agitate su vortex e poi lasciate e riposo per
30 minuti per permettere l’idratazione del gel. Deve essere posta particolare
attenzione all’eliminazione completa di bolle d’aria nel gel. L’acqua in eccesso è
stata completamente rimossa e la colonna è stata inserita nella provetta di lavaggio e
posta in centrifuga a 730×g per 2 minuti per eliminare il liquido residuo. La colonna è
stata, infine, rimossa dalla provetta di lavaggio e inserita in una nuova provetta da 1,5
ml per la raccolta del campione. Il campione è stato trasferito nella colonna di
purificazione ed è stato centrifugato a 730×g per 2 minuti. A 10 µl di campione
purificato sono stati aggiunti 5 µl di formammide per permettere la separazione del
doppio filamento di DNA, i filamenti sono stati successivamente denaturati a 95°C
per 2 minuti. Il prodotto della reazione è stato processato con ABI PRISM® 3100-
Avant Genetic Analyzer, dal quale è stato ottenuto l’elettroferogramma:
Figura 18. Tracciato grafico di sequenziamento automatico (elettroferogramma)
( nel caso riportato si nota il polimorfismo 496 A>G in eterozigosi)
68
6. Real Time PCR
La valutazione dei polimorfismi dell’enzima DPD è stata effettuata mediante
un’analisi di PCR quantitativa, detta Real Time PCR, utilizzando lo strumento ABI
PRISM 7900HT sequence detection system (Applied Biosystem). Questa tecnica è
una recente variante della PCR che permette di quantificare il DNA dopo ogni ciclo
di amplificazione. In questo modo la Real Time PCR rende possibile seguire
l’evolversi della reazione in tempo reale; a differenza della PCR classica con la quale
il risultato dell’amplificazione può essere verificato solo alla fine dell’esperimento.
La tecnica della Real Time PCR prevede l’utilizzo di una sonda complementare al
DNA da amplificare, la quale è marcata ad una estremità con un fluoroforo e
all’estremità opposta porta un “quencher”, una molecola che, quando è vicina al
fluoroforo, è in grado di inibirne la fluorescenza. Il parametro misurato nella Real
Time PCR è l’aumento di fluorescenza: all’inizio della reazione la sonda è ibridizzata
al DNA stampo e la fluorescenza rilevata è nulla in quanto il quencher assorbe
l’emissione del fluoroforo. Col procedere della reazione di amplificazione della
sequenza stampo, la sonda viene gradualmente degradata nei suoi singoli nucleotidi
ad opera dell’ enzima AmpliTaq GoldR DNA polimerasi, che possiede attività
esonucleasica 5’-3’. Questo determina il progressivo allontanamento del quencher, il
quale si non si troverà più sufficientemente vicino al fluoroforo per assorbirne
l’emissione. Si osserverà dunque un aumento della fluorescenza, che sarà
proporzionale alla quantità di DNA stampo contenuto nel campione. In questo caso
sono state usate 2 sonde marcate con 2 diversi fluorofori (VIC e FAM), ciascuna
69
specifica per uno dei due alleli dello SNP da analizzare. La reazione è stata eseguita
su piastre da 96 pozzeti in un volume di 25 µl contenente:
TaqMan Universal PCR Master Mix 12,50 µl
SNP 1,25 µl
DNA 20ng in un volume totale di 11.25µl
Figura 19. PCR REAL TIME
La piastra è stata posta nello strumento ABI PRISM 7900HT ,nel quale i campioni
sono sottoposti a 40 cicli di PCR di questo tipo:
Fase di denaturazione a 95°C per 15 secondi
Annealing e sintesi a 60°C per 1 minuto
Al termine della PCR Real Time si ottiene un grafico che può assumere aspetti
diversi:
70
a) Se si osserva un solo picco il campione in esame è omozigote
b) Se si osservano 2 picchi il campione in esame è eterozigote
DPD DPYD14+1 G VIC Ct. 24.596.802
DPD DPYD14+1 A FAM Ct. Undetermined
Figura 20. Genotipo omozigote wild-type per il polimorfismo IVS14+1G>A: IVS14+1 GG
71
19 DPD 3516 DPYD14+1 G VIC Ct. 26.213.152
19 DPD 3516 DPYD14+1 A FAM Ct. 26.328.201
Figura 21. Genotipo eterozigote per il polimorfismo IVS14+1G>A: IVS14+1 GA
72
DPD DPYD14+1 G VIC Ct. Undetermined
DPD DPYD14+1 A FAM Ct. 2.432.791
Figura 22. Genotipo omozigote mutato per il polimorfismo IVS14+1G>A: IVS14+1AA
73
RISULTATI
Sono stati esaminati 190 pazienti neoplastici che hanno manifestato tossicità in
seguito ad un trattamento con uno dei seguenti schemi terapeutici:
5-FU (De Gramont): L-leucovorin 100 mg/m2 in 2 ore giorni 1 e 2, 5-
FU 400 mg/m2 in bolo giorni 1 e 2 e 600 mg/m
2 in 22 ore giorni 1 e 2
ogni 2 settimane;
Capecitabina 2500 mg/m² per 14 giorni, seguiti da un periodo di 7 giorni
di intervallo;
FOLFIRI: irinotecano 180 mg/m² giorno 1, L-leucovorin 100 mg/m2 in 2
ore giorni 1 e 2, 5-FU 400 mg/m2 in bolo giorni 1 e 2 e 600 mg/m
2 in 22
ore giorni 1 e 2 ogni due settimane;
FOLFOX-4: oxaliplatino 85 mg/mq in 2 ore giorno 1, L-leucovorin 100
mg/m2 in 2 ore giorni 1 e 2, 5-FU 400 mg/m
2 in bolo giorni 1 e 2 e 600
mg/m2 in 22 ore giorni 1 e 2 ogni due settimane;
FOLFOXIRI: irinotecano 165 mg/m2 seguito da oxaliplatino 85 mg/m
2 e
L-leucovorin 100 mg/m2 in ore seguito da 5-FU 3200 mg/m
2 infusione
continua in 48 ore ogni 2 settimane;
CAPOX: capecitabina 2000 mg/m2 al giorno per 14 giorni, seguiti da un
periodo di 7 giorni di intervallo e oxaliplatino 130 mg/ m2 giorno 1;
74
Taxotere-cisplatino-5-FU: taxotere 80 mg/m2
al giorno 1; cisplatino 80
mg/m2 al giorno 2 e 3; 5-FU 800 mg/m
2 die nei giorni 1-4;
XELIRI: irinotecano 250 mg/m2 2 al giorno 1; capecitabina 1000 mg/m
2
2 volte al giorno per 2 settimane;
EOX: epirubicina 50 mg/m2
al giorno 1; oxaliplatino 130 mg/m2
al
giorno 1; capecitabina 625 mg/m2 2 volte al giorno.
(Tutti i farmaci sono stati somministrati e.v., con l’eccezione della capecitabina.)
In accordo con l’indicazione terapeutica principale delle fluoropirimidine, 3/4 dei
pazienti reclutati per lo studio aveva un carcinoma del colon-retto, 1/5 un carcinoma
gastrico e la restante parte, un carcinoma mammario. Le caratteristiche generali dei
pazienti sono elencate nella tabella 4.
75
Tabella 4. Caratteristiche dei pazienti
Totale 190
Sesso (M/F) 77/113
Età (anni) 35-80
Patologia
Carcinoma del colon-retto 142 (75%)
Carcinoma gastrico 38 (20%)
Carcinoma della mammella 10 (5%)
Trattamento
5-FU (De Gramont) 34 (18%)
Capecitabina 38 (20%)
FOLFIRI 25 (13%)
FOLFOX-4 33 (17%)
FOLFOXIRI 9 (5%)
CAPOX 35 (18%)
Taxotere-cisplatino-5-FU 8 (4%)
XELIRI 5 (3%)
EOX 3 (2%)
Come risulta dalla tabella, il 5-FU è la fluoropirimidina più utilizzata in
monoteapia o in associazione ed è stata somministrata a 109 pazienti dei 190 totali; il
76
suo profarmaco capecitabina, da solo o in associazione, è stato somministrato ai
restanti 81 pazienti.
Dall’analisi genetica effettuata sul DNA dei pazienti reclutati in questo studio, sono
stati evidenziati ed identificati 7 polimorfismi a carico delle sequenze codificanti del
gene. Le varianti geniche erano localizzate negli esoni 6, 13, 14, 18 e 22. In
particolare, negli esoni 13 e 14 sono state identificate 4 delle 7 mutazioni riscontrate.
Figura 23. Polimorfismi del gene DPD riscontrati nei pazienti neoplastici
Il genotipo 1627 A>G, sia in omozigosi che in eterozigosi, è stato identificato in 73
pazienti tra i 190 esaminati, risultando così il polimorfismo più frequentemente
associato a tossicità, seguito dalle varianti 2194 G>A (riscontrato in 49 pazienti) e
496 A>G (presente in 47 pazienti).
Nella tabella 5 sono state riportate le frequenze genotipiche riscontrate nei pazienti
esaminati nel corso di questo studio.
77
Tabella 5. Frequenza genotipica (%) dei polimorfismi DPD associati a tossicità
Polimorfismo Omozigote wild-type Eterozigote Omozigote variante
496A>G AA (75,3%) AG (23,7%) GG (1%)
1601G>A GG (86,8%) GA (13,2%) AA (0%)
1627A>G AA (61,6%) AG (34,7%) GG (3,7%)
1896T>C TT (94,2%) TC (5,8%) CC (0%)
IVS14+1G>A GG (94,8%) GA (4,7%) AA (0,5%)
2194G>A GG (74,2%) GA (23,2%) AA (2,6%)
2846A>T AA (99%) AT (1%) TT (0%)
I pazienti portatori di un deficit DPD totale o parziale manifestano gravi tossicità in
seguito al trattamento chemioterapico con fluoropirimidine. Gli effetti avversi si
manifestano generalmente nei primi cicli di terapia e sono caratterizzati da una
tossicità di grado 3- 4 (WHO) e rischio di morte. I sintomi più frequentemente
manifestati dei pazienti trattati con fluoropirimidine sono stati: nausea/vomito,
diarrea, stomatite, neutropenia di gradi 3-4 e sindrome hand-foot.
Complessivamente, l’82% dei pazienti che avevano manifestato tossicità grave in
seguito a trattamento con fluoropirimidine in monoterapia o in associazione con altri
farmaci, era portatore di uno o più polimorfismi a carico del gene codificante per
l’enzima DPD.
Nella tabella 6 sono riportate le tossicità e i genotipi associati.
78
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati
Paziente Tossicità Genotipo
1 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 3
1601 GA
2 Diarrea 2
Hand-foot syndrome 2 1627 AG
3
Stomatite 4
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Neutropenia febbrile 2
Anemia 4
Piastrinopenia 4
496 AG
4 Neutropenia 3 496 AG 1896 TC
5 Nausea/vomito 3
Diarrea 2
Stomatite 3
2194 GA
6
Nausea/vomito2
Diarrea 3
Stomatite 2
Febbre 2
1627 GG 2194 GA
7 Diarrea 2
Hand-foot syndrome 3
Astenia 2
1601 GA
8 Nausea/vomito 2
Diarrea 3 496 AG
9 Nausea/vomito 3
Diarrea 3 1601 GA 1627 AG
10 Leucopenia 3
Astenia2 1601 GA 1627 AG 1896 TC
11
Nausea/vomito 3
Stomatite 4
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Anemia 2
Piastrinopenia 4
2194 GA
12 Nausea/vomito 3
Diarrea 2
Stomatite 2
1627 AG 2194 GA
13 Nausea/vomito 2
Diarrea 2 1627 AG 2194 GA
14 Diarrea 3 1601 GA 2194 GA
15 Diarrea 3 1627 AG
16
Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Stomatite 4
Leucopenia 4
Neutropenia febbrile 3
Piastrinopenia 3
IVS14+1 GA
17
Dermatite 2
Febbre 2
Piastrinopenia 2
Rabdomiolisi 2
496 AG 2194 GA
18 Diarrea 3 1601 GA
19 Nausea/vomito 3
Diarrea 3 1896 TC
20 Nausea/vomito 3
Diarrea 3 1896 TC 2194 GA
79
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
21
Diarrea 2
Stomatite 3
Dermatite 3
Leucopenia 3
Neutropenia 3
Hand-foot syndrome 3
Astenia 2
2194 GA
22 Diarrea 3 496 AG
23 Hand-foot syndrome 3 1627 AG
24 Nausea/vomito 2
Diarrea 3 1627 AG
25 Diarrea 2 1627 AG
26 Nausea/vomito 2
Diarrea 2 1627 AG
27 Diarrea 3
Leucopenia 2 496 AG 1627 AG 2194 GA
28 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Neutropenia 2
1627 AG
29 Diarrea 2 496 AG
30 Ipertransaminasemia 2 496 AG
31 Diarrea 3 1627 AG
32
Diarrea 3
Stomatite 4
Alopecia 2
Febbre 3
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Neutropenia febbrile 2
Anemia 3
Piastrinopenia 4
Hand-foot syndrome 2
1601 GA IVS14+1 GA 2194 AG
33 Diarrea 4
Stometite 2
Hand-foot syndrome 2
496 GG 1601 GA
34 Diarrea 3
Neutropenia 2 496 AG 1601 GA
35 Diarrea 3 1601 GA
36 Diarrea 4
Febbre 3 1601 GA 1627 AG
37 Diarrea 2 1627 AG 2194 GA
38 Nausea/vomito 2
Diarrea 3 1627 AG
39 Diarrea 4
Neutropenia 3
Mucosite 3
496 AG
40 Diarrea 3 1601 GA
41 Diarrea 3 496 AG 1601 GA
42 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 2
1627 AG 2194 GA
43 Neutropenia 3
Neutropenia 3
Anemia 2
1627 AG 2194 GA
80
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
44 Diarrea 2
Dolori addominali 2 496 AG
45 Diarrea 3 1627 AG
46
Nausea/vomito 2
Diarrea 2
Stomatite 2
Alopecia 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Iperbilirubinemia 2
2194 GA
47 Nausea/vomito 2
Neutropenia 2 496 AG 1627 AG
48 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Leucopenia 3
2194 GA
49 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Neutropenia 2
1627 AG 1896 TC
50 Diarrea 3
Neutropenia 2 1627 AG
51 Nausea/vomito 2
Diarrea 3 1627 AG
52 Nausea/vomito 3
Stomatite 3
Alopecia 3
1627 AG 2194 GA
53 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Ipercreatinemia 2
1627 AG
54
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 4
Hand-foot syndrome 3
2194 AA
55
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 3
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Piastrinopenia 2
1896 TC
56 Diarrea 3 496 AG 1601 GA
57 Nausea/vomito 2
Diarrea 2
Neutropenia 3
1896 TC
58 Neutropenia 4
Peritoneite 4 1627 AG
59 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Neutropenia 2
1627 AG
60 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Hand-foot syndrome 2
1627 AG
61 Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Hand-foot syndrome 2
1627 AG
81
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
62
Nausea/vomito 4
Diarrea 4
Stomatite 3
Febbre 4
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Neutropenia
febbrile 4
Anemia 2
2194 GA
63 Diarrea 3 1627 AG
64 Diarrea 4 2194 AA
65
Nausea/vomito 3
Diarrea 2
Stomatite 2
Leucopenia 3
Neutropenia 4
Anemia 2
496 AG 1627 AG
66
Nausea/vomito 2
Diarrea 4
Stomatite 3
Dermatite 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Anemia 2
Piastrinopenia 2
496 AG
67 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Neutropenia 3
1896 TC
68
Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Dolori addominali
2
Anoressia 2
1627 GG 2194 GA
69
Nausea/vomito 3
Diarrea 4
Stomatite 2
Leucopenia 3
Neutropenia 3
Anemia 2
1627 GG
70 Dermatite 3
Hand-foot
syndrome 3
496 AG
71
Stomatite 3
Alopecia 2
Leucopenia 2
Neutropenia 4
Neutropenia
febbrile 4
Piastrinopenia 2
496 AG 1601 GA
82
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
72
Nausea/vomito 3
Diarrea 4
Stomatite 3
Febbre 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Neutropenia febbrile 4
Anemia 2
Piastrinopenia 2
1896 TC
73 Stomatite 2
Dermatite 2
Congiuntivite 2
1627 AG
74 Dermatite 2
Leucopenia 3
Piastrinopenia 2
2194 GA
75 Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Stomatite 3
496 AG
76
Nausea/vomito 3
Diarrea 4
Stomatite 3
Neutropenia 2
IVS14+1 GA
77
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Neutropenia 2
Anemia 2
1627 AG
78
Nausea/vomito 3
Diarrea 4
Stomatite 3
Leucopenia 3
Neutropenia 3
Neutropenia febbrile 2
Hand-foot syndrome 2
Astenia 3
2194 GA
79
Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Stomatite 3
Neutropenia 3
80 Diarrea 4
Stomatite 2 IVS14+1 GA
81 Nausea/vomito 2
Diarrea 2
Neutropenia 2
496 AG
82 Nausea/vomito 2
Diarrea 3 496 AG
83 Diarrea 3
Stomatite 2 1627 AG
84
Nausea/vomito 2
Diarrea 2
Stomatite 4
Dermatite 2
Alopecia 2
Febbre 3
Astenia 3
496 AG
85
Nausea/vomito 3
Diarrea 2
Secchezza delle fauci 2
1601 GA 1627 AG
83
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
86 Hand-foot syndrome 3 1627 AG
87
Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Stomatite 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Neutropenia febbrile 2
Anemia 3
Hand-foot syndrome 2
1627 AG 2846 AT
88
Nausea/vomito 2
Diarrea 2
Leucopenia 2
Neutropenia 3
Letargia 2
496 AG 2194 GA
89 Nausea/vomito 3
Diarrea 3 496 AG
90 Pancreatite 2 496 AG 1627 AG
91
Stomatite 3
Dermatite 3
Alopecia 2
Leucopenia 3
Neutropenia 3
Neutropenia febbrile 3
Hand-foot syndrome 2
Ipertransaminasemia 2
2194 GA
92 Nausea/vomito 2
Diarrea 3 496 AG
93 Diarrea 4
Leucopenia 2 496 AG 1627 AG 2194 AA
94 Stomatite 4
Piastrinopenia 2 1627 AG
95
Diarrea 3
Stomatite 3
Leucopenia 3
Neutropenia 4
Anemia 3
Hand-foot syndrome 2
Astenia 2
496 AG 1627 AG 2194 GA
96 Diarrea 3 496 AG
97 Diarrea 3
Stomatite 2 1627 AG
98
Nausea/vomito 3
Diarrea 2
Stomatite 2
Febbre 2
Hand-food syndrome 4
496 AG 2194 GA
99
Diarrea 3
Alopecia 4
Neutropenia 4
Neutropenia febbrile 4
Mucosite 3
IVS14+1 AA
100 Diarrea 3 1601 GA 2194 GA
101 Nausea/vomito 4
Diarrea 4
Hand-foot syndrome 3
496 AG 2194 GA
84
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
102 Diarrea 3
Neutropenia 3
Piastrinopenia 2
IVS14+1 GA
103
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Leucopenia 3
Neutropenia 3
2194 AA
104
Nausea/vomito 3
Diarrea 4
Stomatite 3
Dermatite 3
Febbre 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Neutropenia febbrile 2
Hand-foot syndrome 2
1627 GG
105 Neutropenia 4
Piastrinopenia 3 1627 AG
106 Nausea/vomito 2
Diarrea 2 1627 AG
107 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 3
1627 AG 2194 GA
108 Nausea/vomito 3
Diarrea 4 1601 GA 1627 AG
109
Nausea/vomito 4
Diarrea 2
Stomatite 2
Leucopenia 2
Ipertransaminasemia 2
1627 AG
110
Diarrea 4
Stomatite 4
Dermatite 3
Alopecia 2
Febbre 2
Leucopenia 3
Neutropenia 4
Anemia 2
Hand-foot 2
496 AG 2194 GA
111 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 2
1601 GA
112 Nausea/vomito 4
Diarrea 3 1627 AG
113
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Dermatite 4
Febbre 2
2194 GA
114 Diarrea 3 1627 AG
115 Nausea/vomito 2
Diarrea 2 1896 TC
116
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Febbre 2
Hand-foot syndrome 3
496 AG 2194 GA
117 Nause/vomito 3
Diarrea 3 1627 AG 2194 GA
85
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
118 Diarrea 3 1627 AG
119 Nausea/vomito
2
Diarrea 4
1601 GA
120 Stomatite 3 1627 AG 2194 GA
121 Diarrea 3 1627 AG
122
Nausea/vomito
3
Diarrea 3
Stomatite 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
1627 GG
123 Diarrea 2 2194 GA
124 Diarrea 3
Leucopenia 3 2194 GA
125 Diarrea 3 496 GG
126
Nausea/vomito
2
Diarrea 3
Stomatite 2
Hand-foot
syndrome 2
1627 AG 2194 GA
127 Diarrea 3 496 AG 1627 AG 2194 GA
128 Nausea/vomito
3
Diarrea 3
496 AG 1601 GA
129 Diarrea 4 1627 AG
130 Nausea/vomito
3
Diarrea 4
496 AG 1601 GA
131 Diarrea 3 496 AG
132
Diarrea 3
Stomatite 4
Leucopenia 4
Anemia 3
Piastrinopenia
4
IVS14+1 GA
133 Diarrea 2 1627 AG
134
Nausea/vomito
2
Diarrea 2
Stomatite 2
Neutropenia
febbrile 3
Piastrinopenia
2
1627 AG
135 Diarrea 3
Neutropenia 3 496 AG 1601 GA
136 Diarrea 3 1627 AG
137 Diarrea 3
Stomatite 2 1627 AG
138 Diarrea 2 1601 GA
139 Neutropenia 4 1627 AG
140 Diarrea 3 1627 AG
86
Tabella 6. Tossicità e genotipi associati (continua)
Paziente Tossicità Genotipo
141 Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Piastrinopenia 2
496
AG IVS14+1GA 2194GA
142
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 2
Hand-foot syndrome 2
496
AG IVS14+1 GA 2194 GA
143 Nausea/vomito 3
Diarrea 3 1627 GG
144 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 2
1627 GG
145 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
496
AG
146 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
496
AG
147 Diarrea 2 1601 GA 2194 GA
148
Diarrea 3
Stomatite 2
Dermatite 2
Hand-foot syndrome 2
1627 AG 2194 GA
149 Dermatite 4
Fotosensibilità 2
496
AG 1896 TC 2194 GA 2846 AT
150 Nausea/vomito 3
Diarrea 3
Stomatite 2
1627 AG 2194 GA
151
Diarrea 4
Stomatite 2
Alopecia 2
Leucopenia 4
Neutropenia 4
Piastrinopenia 2
496
AG
152
Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Stomatite 2
Leucopenia 2
Neutropenia 3
2194 AA
153 Diarrea 3 1627 AG
154 Nausea/vomito 2
Diarrea 3
Ipercreatinemia 2
496
AG
155 Diarrea 3 IVS14+1 GA 2194 GA
87
DISCUSSIONE
L’attività farmacologia degli agenti citotossici nei confronti delle cellule tumorali è
invariabilmente associata ai fenomeni di tossicità contro i tessuti sani. Per questa
ragione assume molta importanza la valutazione dell’indice terapeutico del farmaco
come elemento critico di sicurezza del trattamento. Inoltre i nuovi chemioterapici
disegnati per inibire specifiche vie molecolari determinanti per la sopravvivenza delle
cellule neoplastiche, come imatinib e gefitinib, sono teoricamente suscettibili di
fallimento terapeutico a causa di mutazioni del bersaglio o downregulation con
attivazione di sistemi alternativi di trasduzione del segnale. I recenti progressi delle
metodologie analitiche e il sequenziamento del genoma hanno permesso la scoperta
di varianti alleliche di geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci, nella
farmacocinetica o nella farmacodinamica; queste alterazioni possono essere correlate
alla chemiosensibilità o alla tolleranza nei confronti dei farmaci.
Sono emerse due nuove discipline farmacologiche: la farmacogenetica, che studia le
basi genetiche delle risposta ai farmaci, e la farmacogenomica, che consiste
nell’analisi dell’intero genoma di cellule e tessuti per identificare le complesse
alterazioni genetiche responsabili delle risposte terapeutiche che non sono spiegabili
con il metodo farmacogenetico del gene candidato o per scoprire nuovi bersagli da
utilizzare per lo sviluppo dei chemioterapici.
Una semplice classificazione della variabilità genetica comprende:
88
mutazioni geniche: sono poco frequenti; gli effetti si manifestano
inaspettatamente e influenzano negativamente la funzione cellulare (i.e.,
mutazioni che inattivano geni che codificano per enzimi coinvolti nel
metabolismo dei farmaci);
varianti delle sequenze geniche, situate in posizioni ben definite lungo i geni;
comprendono i polimorfismi del singolo nucleotide, detti single nucleotide
polymorphisms, (SNPs), che sono presenti a più alta frequenza nella
popolazione rispetto alle mutazioni. Gli SNPs possono interessare gli esoni
(i.e., l’effetto può essere il cambiamento della sequenza aminoacidica), oppure
possono essere a carico degli introni (ad esempio possono causare l’inserzione
di siti alternativi di splicing) o della porzione regolatoria dei geni (con
conseguente alterazione dell’espressione genica).
La scoperta di correlazioni fra mutazioni geniche e differenti profili di
espressione e suscettibilità dei tumori nei confronti dei farmaci dovrebbe rendere
possibile una scelta più razionale del tipo di trattamento. Le analisi genetiche possono
essere effettuate con un’ampia gamma di tecnologie adatte ad individuare le
alterazioni del materiale genico (SNP, delezioni o duplicazioni di geni o
riarrangiamenti cromosomici). Infine, il recente sviluppo della metodologia dei
microarray del DNA permette lo screening dell’intero genoma con finalità
diagnostiche.
89
L’identificazione di geni candidati per le analisi farmacogenetiche è un processo
complesso poichè l’attività dei chemioterapici antitumorali è influenzata da diversi
fattori, tra cui:
attivazione ed inattivazione metabolica;
espressione dei bersagli farmacologici;
integrità dei sistemi di trasduzione che riconoscono le lesioni cellulari e
promuovono o inibiscono l’apoptosi;
efficacia dei sistemi di riparazione del DNA;
attività dei trasportatori attivi dei farmaci al di fuori delle cellule.
Un numero rilevante di determinanti genetici sono stati identificati nelle neoplasie
ma la rilevanza clinica di molti di questi deve essere ancora confermata, in quanto la
correlazione delle alterazioni genetiche con la sopravvivenza e la risposta alla terapia
tumorale è stata limitata da varie cause:
il basso numero di pazienti esaminati, a causa della difficoltà di ottenere
campioni tissutali tumorali adeguati;
la mancanza di studi disegnati allo scopo di verificare le correlazione tra
l’anomalia genica e la risposta ai farmaci o la prognosi;
la variabilità delle metodiche analitiche utilizzate;
la mancanza di controlli di qualità.
TP53 e ErbB2 rappresentano un buon esempio dei problemi legati alla scelta della
metodologia di riferimento per la determinazione dell’utilità clinica di questi
importanti marcatori. I geni TP53 e ErbB2 possono essere analizzati in diversi modi,
90
tra cui sequenziamento, ibridizzazione in situ e immunoistochimica, ma anche per un
singolo tipo di analisi la specificità della procedura metodologica e i criteri di
interpretazione possono essere soggetti ad una considerevole variabilità. TP53 è il
gene più studiato nei tumori gastrointestinali; non è stato tuttavia ancora validato
come un fattore prognostico nonostante il grande numero di articoli pubblicati nella
letteratura scientifica su questo argomento e l’ interesse nel miglioramento
metodologico con la finalità di realizzare un test genetico per l’utilizzo in clinica.
Infatti, non esiste una singola linea guida nell’oncologia gastroenterica che
raccomandi l’analisi di TP53 in modo routinario per la valutazione della risposta e
della prognosi, nonostante l’alta percentuale di mutazioni di TP53 nei tumori colo-
rettali (fino al 73,4% dei casi) e l’evidenza statistica che la mutazione di TP53 è un
indicatore indipendente e significativo di prognosi negativa nei tumori del colon-
retto. Per facilitare la transizione dei marker molecolari dal laboratorio alla clinica
sono richieste rigorose standardizzazioni dei metodi analitici, delle banche di tessuto
e la loro applicazione in studi clinici con numerosità campionaria adeguata. La
realizzazione di accurati profili genetici del tumore e di trials clinici ottimali sono
condizioni essenziali per applicazioni future della farmacogenetica alla gestione del
paziente oncologico. In riferimento al profilo genico del tumore, sarà importante
identificare le anormalità genetiche coinvolte nella carcinogenesi e nella prognosi, i
geni collegati alla risposta ai farmaci, c) il grado di sovrapposizione tra i due gruppi.
In relazione al disegno degli studi clinici, la rilevanza dei markers genetici associati
alla progressione e prognosi della malattia può essere definita per mezzo di studi
91
caso-controllo, mentre studi retrospettivi sono utilizzati per identificare le alterazioni
associate all’efficacia dei farmaci. Per esempio, recenti risultati ottenuti in una
popolazione di pazienti di uno studio caso-controllo ha dimostrato la presenza di un
polimorfismo comune A870G nel gene della ciclina D1 (CCND1); la variante
genetica CCND1 870A è associata ad una maggiore aggressività del tumore colo-
rettale. Studi retrospettivi hanno mostrato un’importante correlazione tra MSI,
sopravvivenza e beneficio della terapia adiuvante con 5-FU del cancro del colon-retto
in stadio II e III. I pazienti che non hanno ricevuto la chemioterapia adiuvante, i cui
tumori manifestavano alta frequenza di MSI (H-MSI), hanno avuto una
sopravvivenza a 5 anni migliore rispetto ai pazienti con bassa frequenza di MSI (L-
MSI) o stabilità dei microsatelliti (MSS). Al contrario, la chemioterapia adiuvante
con 5-FU aumenta la sopravvivenza tra i pazienti con tumori con MSS o L-MSI
mentre non è stato ottenuto nessun beneficio con la chemioterapia adiuvante nel
gruppo con H-MSI. Una rivalutazione critica del ruolo clinico delle numerose
anomalie genetiche rilevate nei tumori solidi è quindi necessaria. Nonostante lo
straordinario avanzamento nella comprensione dei meccanismi molecolari e genetici
alla base dei tumori solidi, tali progressi conoscitivi non sono ancora stati trasferiti
nella regolare gestione del paziente con il cancro e il ruolo predittivo della
farmacogenetica è stato messo in discussione. È auspicabile che la difficoltà a
trasferire le nuove conoscenze nella routine clinica possa essere superate dai risultati
di studi clinici prospettici, ben disegnati, in cui si esegua un confronto diretto tra la
92
scelta del trattamento sulla base dei criteri convenzionali e in base al genotipo del
tumore e dell’ospite.
Prima di essere stabilmente integrata nella pratica clinica, deve ancora essere
provata la capacità della farmacogenetica di migliorare la risposta e la tollerabilità dei
trattamenti affinché si possano accettare gli alti costi dell’applicazione delle tecniche
di genetica alla gestione dei pazienti. L’identificazione dei geni implicati nella
risposta ai farmaci antitumorali ha creato la basi scientifiche per nuove tecnologie, in
particolare la proteomica, per valutare il ruolo dei prodotti genici nella risposta al
trattamento farmacologico. È necessario tenere presente che:
molte mutazioni sono silenti e non interferiscono con la funzione dei
prodotti genici;
gli SNP di un gene possono essere molti e la loro combinazione (aplotipo)
può essere così complessa che la valutazione della funzione della proteina
può essere più semplice e più informativa;
ciascun gene è caratterizzato da una regolazione post-trascrizionale, come
la timidilato-sintetasi, perciò l’espressione genica può non essere
direttamente correlata alla sintesi proteica;
molti elementi possono contribuire alla funzione della proteina, rendendo
difficile la valutazione dell’effetto finale di tutti i fattori considerati nella
loro interezza soltanto sulla base del genotipo.
In questa tesi è stata osservata un’associazione tra polimorfismi del gene DPD e
tossicità grave da 5-FU somministrato in monoterapia o in combinazione con altri
93
chemioterapici nell’ 82% dei pazienti esaminati. Questo risultato indica che i
polimorfismi DPD hanno un significato funzionale importante e possono essere
impiegati nella diagnosi causale di tossicità. Sulla base di questi risultati è possibile
scegliere la dose adeguata di chemioterapico da somministrare in terapia.
In conclusione, l’avanzamento delle tecniche molecolari ha permesso di
individuare i fattori genetici collegati alla sensibilità o resistenza delle cellule
tumorali nonché alle reazioni avverse. Il fine ultimo della farmacogenetica sarà la
classificazione dei pazienti in categorie in base alla loro probabilità di rispondere al
trattamento con i farmaci e al rischio di tossicità in seguito al trattamento
chemioterapico.
94
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RINGRAZIAMENTI
Ringrazio il Prof. Romano Danesi e la Dott.ssa Marzia Del Re per avermi guidato
nella realizzazione di questa tesi con disponibilità e pazienza.
Grazie ai miei compagni di corso che hanno reso piacevoli gli anni universitari.
Grazie a Valentina, con cui ho condiviso piacevoli giornate in laboratorio e che in
poco tempo si è rivelata un’amica sincera.
Un ringraziamento speciale a Martina, Serena, Caterina e Virginia, le amiche che mi
sono state vicine nei momenti difficili.
Un grazie a Elisa, Veronica R., Daria, Veronica M., Annalisa, Nicolò, al maestro
Rolando Rigoli e a tutti gli amici dell’U.S. Pisascherma con cui sono cresciuta e da
ognuno dei quali ho imparato qualcosa.
Un ringraziamento particolare a Stefania che ha curato il look e a Oliviero per la
location...
Infine devo ringraziare la mia famiglia; non serve spiegare perché.