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S. Bergia, Dip di Fisica, BolognaINFN, Sezione di Bologna

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Un confronto fra l’elaborazione fisico-matematica di modelli e le osservazioni astronomiche ed astrofisiche con valenza cosmologica nella cosmologia del ventesimo secolo.

•Osservazioni con valenza cosmologica e speculazioni fisico-matematiche sull’universo hanno proceduto inizialmente lungo cammini largamente indipendenti.

•In cosmologia l’elaborazione fisico-matematica presupponesistematicamente un’opzione iniziale fortissima.

•La cosmologia è anche necessariamente cosmogonia? Un’espansione implica necessariamente un’evoluzione? Due concezioni contrapposte alla prova dei fatti.

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Si tenderebbe probabilmente a pensare la materia dell’universo essenzialmente contenuta nelle stelle, e a ritenere queste ultime distribuite grosso modo uniformemente nell'universo.

Il fatto che i nostri cieli notturni siano solcati dalla Via Lattea è un primo elemento fortemente discordante con l'idea appena espressa.

Negli anni fra il 20 e il 30 del secolo passato, essendosi trovati, nelle stelle variabili note come Cefeidi, dei buoni misuratori (o marcatori) di distanza si poté stabilire che quelle che allora si chiamavano nebulose a spirale erano oggetti extragalattici, cioè non appartenenti alla Via Lattea. E nel giro di pochi anni si raggiunse la conclusione che essi costituivano altrettante Vie Lattee, o meglio galassie.

Inizio secolo – Le prime tappe della cosmologia osservativa: le distanze galattiche; i costituenti elementari dell’universo.

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Le modalità della loro distribuzione nello spazio sono tuttora oggetto di studi osservativi ...

... e di discussione teorica.

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Ma, mentre per le stelle quanto accennato esclude subito che si possa parlare di una loro distribuzione uniforme nello spazio, questo è apparso plausibile per le galassie sulla base delle osservazioni condotte fino dall’epoca accennata.

Sono dunque le galassie, in quanto appaiono poter essere frutto di una distribuzione casuale, che si candidano a formare i costituenti elementari dell'universo.

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Nel 1912, l’astronomo statunitense Vesto M. Slipher osservò che lerighe spettrali emesse dalla nebulosa in Andromeda apparivano spostate verso il violetto. Veniva più che naturale interpretare tale spostamento come dovuto ad un effetto Doppler, e quindi a un avvicinamento della sorgente emittente alla Terra.

Egli misurò in seguito gli spettri di altre galassie, e trovò che la maggior parte di essi mostrava uno spostamento verso il rosso (redshift), interpretato consistentemente come dovuto ad un moto di allontanamento.

Slipher pubblicò una lista di 13 velocità nel 1914. Lo scetticismo iniziale degli astronomi di fronte agli alti valori delle velocità si dissolse mano a mano che nuovi dati erano accumulati da parte dello stesso Slipher edi altri autori.

Inizio secolo – Le prime tappe della cosmologia osservativa:la deteminazione delle velocità galattiche.

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Gradualmente si fece poi strada la conclusione che i maggiori redshifts erano presentati dagli oggetti più lontani.

Fu l’astronomo americano Edwin Hubble nel 1929 a indicare l'esistenza di una correlazione (lineare) fra velocità e distanze galattiche (legge di Hubble).

Le prime tappe della cosmologia osservativa: una correlazione fra distanze e velocità

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In seguito il campo dei redshifts e delle corrispondenti distanze esplorati si estese enormemente, con una sostanziale conferma di questa prima indicazione.

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Come si è detto, i redshifts galattici furono letti, inizialmente, in termini di un effetto Doppler, dovuto a un moto effettivo di recessione delle galassie attraverso lo spazio.

Ci sono due ragioni per le quali una lettura in questi termini non appare accettabile. In primo luogo, in questa ipotesi, le galassie sarebbero animate di un moto proprio di allontanamento dalla nostra galassia, che dunque, in questo senso, si collocherebbe, senza che per questo sia riscontrabile alcun motivo plausibile, al centro dell’universo.

In secondo luogo, si dovrebbe trovare una ragione per l’aumento della velocità di allontanamento con la distanza.

L’universo in espansione

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Questi problemi scompaiono immediatamente se si assume il punto di vista che il redshift non deve essere interpretato in termini di un effettivo moto di recessione delle galassie attraverso lo spazio, bensì di una dilatazione dello stesso spazio intergalattico.

Secondo questa lettura non si è quindi in presenza diun’espansione della materia in uno spazio prefissato, ma di un'espansione dello spazio stesso.

Essa è diventata comune, e la legge di Hubble è assunta come documento chiave testimoniante l’espansione dell’universo.

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Le riflessioni di carattere fisico-matematico sull'universopresero corpo quasi contemporaneamente agli sviluppiosservativi ricordati, ma ne furono a lungo ampiamenteindipendenti.

Le prime speculazioni teoriche sull’universo: il modello statico di Einstein del 1917.

Le basi del principio cosmologico: in cosmologia bisogna far proprio l’atteggiamento dei geodeti “che, per mezzo di un ellissoide, si approssimano alla forma della superficie terrestre, che su piccola scala è invece molto complicata.” Le singole galassie devono dunque, per così dire, sparire, e, con esse, ogni traccia di una distribuzione granulare della materia, sostituita da un fluido (il fluido cosmico).

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Il fluido cosmico deve avere

1) in qualunque regione sufficientemente estesa dell’universo una densità pari alla densità media della materia in quel volume;

2) ovunque nell’universo la stessa densità e le stesse altre proprietà generali. Osserviamo che, una volta formulata l’ipotesi dell’omogeneità della distribuzione della materia, una teoria geometrica della gravitazione quale quella einsteiniana ci darà come conseguenza l’omogeneità dello spazio che la alberga quanto alle sue proprietà geometriche.

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La caratteristiche dell’universo einsteiniano:

Staticità

Geometria spaziale ipersferica

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La staticità non poteva emergere dalle sue equazioni dicampo, che Einstein si vide costretto a modificare.

Le radici di queste equazioni si ritovano in quella di Poisson:

L’aggiunta della costante cosmologica:

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Caratterizzati da una visione immediatamente dinamica furono invece gli studi successivi condotti dal matematico Russo Alexander Friedmann (1922, 1924) e dall'astrofisico belga Georges Lemaître (1926).

L’universo è assimilato ad un sistema dinamico, il cui stato di moto è determinato dalle forze agenti e dalle condizioni iniziali.

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L’universo eisteiniano diventa un sistema dinamico ad un solo grado di libertà.

Friedmann e Lemaître, concordemente, scelgono uno stato iniziale caratterizzato da una velocità d’espansione.

Un universo spazialmente euclideo può essere affrontato negli stessi termini.

N.B.: siintroduceun tempocosmico

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L’equazione di Friedmann per un universo di “polvere”:

Un classico problema:

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I modelli di Friedmann

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La legge di Hubble

non può valere rigorosamente, perché la velocità d’espansione varia col tempo cosmico.

Per k=0

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L’universo di Einstein-de Sitter

La si integra immediatamente:

Confrontando la

si vede che “la costante di Hubble” H deve diventare “il parametro di Hubble” H(t), del quale rappresenta il valore attuale.

con la

Se siamo in un universo di Einstein-de Sitter, l’andamento coltempo cosmico di H(t) è determinato, e altrettanto, per la

quella della densità.

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In particolare, al tempo cosmico attuale,

Dunque, se siamo in un universo di Einstein-de Sitter, la densità media della materia deve avere un valore fissato,determinato da quello della costante di Hubble.

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I due cammini confluiscono

Venuto a conoscenza dei risultati di Hubble, Arthur Eddington riscopre (~1930) l’articolo di Lemaître . Grazie alla sua opera di mediazione e diffusione di idee e risultati cosmologa osservativa e fisico-matematca iniziarono un processo di fecondazione mutua.

I lavori di Friedmann e Lemaître furono a lungo ignorati.

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Il punto di vista del geodeta diventa un principio:

L’universo dev’essere spazialmente omogeneo. Non potrà esserlo che ad ogni dato istante di tempo cosmico.

Nei primi anni trenta, come conseguenza dell'opera di fisici matematici come Howard Percy Robertson e Arthur Geoffrey Walker, fu stabilito quello che si può chiamare il paradigma della cosmologia dell'universo in espansione, noto come Principio cosmologico.

Ma la teoria si assiomatizza

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La richiesta di omogeneità riduce le geometrie possibili a quelle della congruenza, le geometrieper le quali il trasporto di una figura geometrica non ne altera forma e dimensioni.

In termini alternativi, le varietà spaziali possibili sono quelle a curvatura costante (la condizione si traduce in quella di costanza dello scalare di curvatura R), positiva, nulla o negativa.

Queste condizioni sono sufficienti a determinare un’espressione per la metrica dell'universo (Metrica di Robertson-Walker, o di Friedmann-Lemaître-Robertson-Walker) a meno del valore della costante di curvatura e del fattore di scala a(t).

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Ma in che universo viviamo?

Il principio cosmologico inquadra, in prima battuta, i tre semplici modelli di Friedmann.

Qualche osservazione di carattere generale. La prima:

per tutti e tre i casi, l'universo ha avuto un'origine nel tempo; un'origine più o meno remota in dipendenza dalla curvatura dell'universo.

Mandando la tangente alle tre curve in corrispondenza del valore attuale del tempo cosmico, la sua intercetta con l’asse dei tempi di dà un tetto per l’età dell’universo.

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Curvatura e destino dell’universo.

La seconda: fin che ci si ferma a questi modelli, il destino dell’universo appare determinato dalla curvatura dello spazio: espansione indefinita per curvatura costante positiva o nulla, con velocità residua all'infinito nel primo caso, espansione seguita da contrazione per curvatura costante positiva.

Piuttosto che “determinato dalla” sarebbe più opportuno dire “collegato alla”: le due proprietà hanno infatti una comune origine.

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Riprendiamo l’equazione di Friedmann

Per k=0 (universo di Einstein-de Sitter), si è visto che è prescritto l’andamento della densità ρ col tempo cosmico; se k è rispettivamente maggiore o minore di zero, si toglie o aggiunge qualcosa a secondo membro.

Corrispondentemente dovrà, per ogni istante di tempo cosmico, essere rispettivamente maggiore o minore la densità.

Per questo motivo la densità Einstein-de Sitter è detta critica: un universo caratterizzato da una densità media pari a quella critica sarebbe spazialmente piatto e desinato ad espansione indefinita con velocità residua nulla; per k<0 si avrebbe un universo iperbolico (espansione indefinita); per k>o universo ellittico destinato a ricontrarsi.

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Ritorniamo alla

Come si diceva, in un universo di Einstein-de Sitter la densità media della materia deve avere, al tempo attuale, un valore critico fissato, determinato da quello della costante di Hubble.

Come si raffronta il valore della densità media con quello della densità critica al tempo attuale?

e alla sua versione per il tempo attuale:

Qual è il valore del rapporto

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Gli astronomi ci dicono che la densità media attuale della materia visibile – nel senso che emette onde elettromagnetiche – è circa l’un per cento della densità critica determinata dal valore attuale del parametro di Hubble.

Stando a questo dato, e beninteso ipotizzando che viviamo in ogni caso in un universo descritto da uno dei tre modelli di Friedmann tratteggiati, dovremmo concludere che viviamo in un universo a curvatura costante negativa.

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Ci sono però da parecchio tempo molteplici evidenze di varia natura per l’esistenza di “materia oscura”, cioè materia non visibile nel senso specificato sopra.

Dal complesso degli effetti gravitazionali ad essa attribuiti si è arrivati in epoche più recenti a stabilire che essa porterebbe il valore della densità media ad un valore dell’ordine del trenta per cento di quella critica, cosa che certamente non chiude la questione a favore di un universo di Einstein-de Sitter ma cambia notevolmente le cose.

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Eppure …

La o

dovrebbe essere sostituita dalla

Osserviamo ora che, al tendere di a(t), dunque di t, a 0, la densità cresce come 1/a^3 . Dunque, in quel limite, il termine di densità domina su quello di curvatura. Sulla base dei dati allora disponibili circa la densità media della materia nell’universo, nel 1979 Dicke e Peebles concludevano che al tempo di un secondo – “sufficiente perché si sia già prodottala maggior parte dell’elio dell’universo” – il termine di densità doveva già essere 24 ordini di grandezza più grande del termine di curvatura.

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Un universo in evoluzione?

Che ci sia evoluzione su scala locale è indubbio. Ma qui si parla di evoluzione su scala globale.

In conseguenza dell’espansione, la materia si rarefà. Ripercorrendo mentalmente a ritroso la storia dell’universo si deve pensare a densità tali per cui la materia non poteva esistere negli stati consueti di aggregazione.

Un’evoluzione globale sembra conseguenza inevitabile dell’espansione.

O no?

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Un’espansione implica necessariamente un’evoluzione?

Nel 1948 Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle, formularono una teoria alternativa, nota come teoria dello stato stazionario. La conclusione sulla densità della materia poteva essere elusa ipotizando forme di “creazione‘” di materia localizzate nello spazio e nel tempo. Bastava, per ripristinare l’equilibrio, la “creazione‘” di un atomo d’idrogeno all'anno in un cubo di sessanta chilometri di spigolo.

La teoria venne formalizzata e vide gradualmente aumentare i consensi nei suoi confronti, al punto che, per un certo periodo, apparve prevalere sulla concezione rivale.

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Un segnale in senso opposto emerse dalle osservazioni delle radiosorgenti, galassie emittenti prevalentemente nel campo delle onde radio (si deve ricordare al proposito che la radioastronomia, che aveva mosso i primi passi negli anni trenta, era giunta per quell’epoca a piena maturità).

Era diventato possibile valutarne la distribuzione nello spazio al variare della distanza; avendo ben presente che guardare (molto) lontano nello spazio comporta guardare molto lontano nel passato del cosmo, sottoscrivendo che le radiosorgenti costituissero una classe di oggetti che contribuiscono in qualche modo a caratterizzare l’universo nel suo complesso, una variazione col tempo cosmico della densità della loro distribuzione nello spazio avrebbe documentato il sussistere di una forma di evoluzione complessiva dell’universo stesso.

Due concezioni contrapposte alla prova dei fatti.

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1953: Il radioastronomo britannico Martin Ryle, raggiunge la convinzione che le radiosorgenti conteggiate non erano stelle ma oggetti extragalattici;

- verificato che la loro densità appariva crescere con la distanza, ritenne che si dovesse ritenere confutata la teoria dello stato stazionario;

-seguì un breve periodo di osservazioni contrastanti, ma, nel corso degli anni sessanta, l’effetto fu confermato, anche con il contributo del primo radiotelescopio italiano, “La Croce del Nord” di Medicina (Bologna), uno strumento che aveva tutte le caratteristiche necessarie per permettere un salto di qualità e dare una risposta definitiva;

- sarebbero seguiti altri - e ancor più decisivi – eventi.