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I Promessi Sposi Edizione integrale a cura di A. Jacomuzzi e A.M. Longobardi Alessandro Manzoni

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Page 1: Alessandro Manzoni I Promessi Sposi · Capitolo IV rr. 1-36.Fra Cristoforo si avvia a casa di Lucia.All’alba del gior-no dopo, fra Cristoforo esce dal convento diretto a casa di

I Promessi SposiEdizione integrale

a cura di A. Jacomuzzi e A.M. Longobardi

Alessandro Manzoni

Page 2: Alessandro Manzoni I Promessi Sposi · Capitolo IV rr. 1-36.Fra Cristoforo si avvia a casa di Lucia.All’alba del gior-no dopo, fra Cristoforo esce dal convento diretto a casa di

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Capitolo IV

rr. 1-36. Fra Cristoforo si avvia a casa di Lucia. All’alba del gior-no dopo, fra Cristoforo esce dal convento diretto a casa di Lucia.La dolcezza del panorama naturale fa da contrasto con la miseriadelle figure umane che incontra, segno evidente della carestia chesta minacciando il paese.

rr. 37-237. La giovinezza di fra Cristoforo e il duello. Qui l’Autoreinserisce l’avventurosa biografia di fra Cristoforo. Figlio di un ricco mer-cante, si chiamava Lodovico ed era giovane di forti passioni. Il deside-rio di primeggiare, unito a un innato senso della giustizia, lo portò ainimicarsi i potenti della sua città. Il momento decisivo della sua vita ècostituito dal duello e dall’omicidio di un aristocratico prepotente.

rr. 238-418. La vocazione religiosa di fra Cristoforo. Il rimorso perl’atto compiuto lo induce alla conversione religiosa e alla dedizioneverso il prossimo. Entra nell’ordine dei cappuccini e inizia una vita di atti-va santità in difesa degli umili.

rr. 419-452. Fra Cristoforo arriva a casa delle donne. Turbato dalpensiero dei pericoli che può correre Lucia, fra Cristoforo si affret-ta e giunge a casa delle donne.

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Capitolo IV 87

• Rispetto alla vicenda principale, nel capitolo si svolge un’unica azione, di significatomolto marginale: il cammino di fra Cristoforo dal convento di Pescarenico a casa diLucia.Ma il tempo reale del percorso è occupato dal tempo ideale dell’articolato reso-conto sulla vita del frate, primo personaggio storico che Manzoni introducenella sua storia inventata.Il racconto è di fondamentale interesse per:a. conoscere la complessa personalità di questo “eroe del bene” protagonista del

romanzo, principale aiutante di Renzo e Lucia; b. illustrare i principali valori di fede e di morale che costituiscono la struttura ideo-

logica del romanzo.

• La biografia del padre cappuccino è organizzata secondo un ordine preciso: ilritratto personale, le origini e la formazione giovanile, la conversione e la vita reli-giosa. Ma dal punto di vista narrativo due episodi spiccano sugli altri: quello delduello con il prepotente gentiluomo suo nemico, e quello della festa del perdono.

• La religione. Attraverso il modello cristiano di fra Cristoforo, l’Autore dichiara perla prima volta in modo esplicito i valori assoluti della religione come riferimento prima-rio nell’esistenza di ogni individuo.La tormentata vicenda del frate svela infatti come le contraddizioni della vita possano tro-vare risposta solo in un senso superiore di carità e in una fede nella Provvidenza divina.

• La mentalità del tempo. I valori della fede cristiana si affermano in contrapposizio-ne alla mentalità e ai costumi laici del tempo, già più volte denunciati nella loro vanità,nella loro violenza e nella loro ingiustizia. La “festa del perdono” è una delle rare situa-zioni, nel romanzo, in cui le due dimensioni vengono a contatto e si conciliano(momentaneamente) nel riconoscimento della virtù.

• La carestia. Nell’apertura del capitolo compaiono i primi cenni alla carestia, unadelle grandi piaghe sociali presenti nel corso di tutto il romanzo, e che determinerannole vicende dei nostri personaggi.

• Il flash-back. È la tecnica di scrittura più evidente nel capitolo. Viene usata per rico-struire la vita di fra Cristoforo, e consiste nel tornare indietro nel tempo e nel narrare fattiavvenuti prima del momento “presente” del racconto. La incontreremo spesso nei prossimicapitoli, soprattutto in occasione delle vite dei maggiori personaggi (ad esempio, ai capp. IX-X,a proposito della monaca di Monza).

• La descrizione. Breve ma significativo esempio di sequenza descrittiva è la prima pagina delcapitolo, costruita sul contrasto fra la serenità del paesaggio naturale e la drammaticità del pae-saggio umano, caratterizzato dalle tante persone sofferenti a causa della carestia.

La narrazione

I temi

Le forme

Mappa del capitolo

▼▼

personaggi

tempo

luoghi

mattina del 9 novembre 1628; flash-back: dalla giovinezza di fraCristoforo alla sua conversione, fino all’epoca dei fatti narrati

strada dal convento di Pescarenico alla casa di Lucia; città (non precisa-ta) di origine di fra Cristoforo (strada, chiesa e convento dei cappuccini,palazzo del fratello del rivale ucciso); casa di Lucia

fra Cristoforo (Lodovico); il padre di Lodovico; il servo Cristoforo; il genti-luomo rivale; il fratello del gentiluomo; il padre guardiano; Lucia; Agnese

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Il sole non era ancor tutto apparso sull’orizzonte, quando il padre Cri-stoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov’era aspettato. È Pescarenico una terricciola,1 sulla riva sinistra del-l’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto dicase, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli2 edi reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussistetuttavia)3 al di fuori, e in faccia all’entrata della terra,4 con di mezzo lastrada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di ma-no in mano che il sole s’alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dallesommità de’ monti opposti, scendere, come spiegandosi5 rapidamente peri pendii, e nella valle. Un venticello d’autunno, staccando da’ rami le foglieappassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dal-l’albero. A destra e a sinistra, nelle vigne sui tralci ancor tesi, brillavan lefoglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccavabruna e distinta ne’ campi di stoppie6 biancastre e luccicanti dalla guazza.7 La scena era lieta; ma ogni figura d’uomo che vi apparisse, rat-tristava lo sguardo e il pensiero. Ogni tanto, s’incontravano mendichi la-ceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessitàa tender la mano.8 Passavano zitti accanto al padre Cristoforo, lo guarda-vano pietosamente, e, benché non avesser nulla a sperar da lui, giacchéun cappuccino non toccava mai moneta, gli facevano un inchino di rin-graziamento per l’elemosina che avevan ricevuta, o che andavano a cer-care al convento. Lo spettacolo de’ lavoratori sparsi ne’ campi, aveva qual-cosa d’ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade,9

con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo glipreme; altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano svogliata-mente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vac-cherella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a ru-barle, per cibo della famiglia qualche erba, di cui la fame aveva insegnatoche anche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, aogni passo, la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo presen-timento in cuore, d’andar a sentire qualche sciagura.

1. una terricciola: un piccolo villaggio.2. tramagli: strumenti da pesca costi-tuiti da tre reti sovrapposte, di cuiquella centrale ha maglie strette ed èpoco tesa, mentre le altre hannomaglie più larghe; consentono la cattu-ra di pesci di diverse dimensioni.3. la fabbrica ne sussiste tuttavia: l’e-

dificio esiste ancora.4. al di fuori, e in faccia all’entratadella terra: fuori dall’abitato, di fronteal villaggio.5. spiegandosi: diffondendosi.6. stoppie: residui di steli e di foglie dicereali rimasti sul campo dopo la mie-titura.

7. guazza: rugiada.8. mendichi laceri … tender lamano: uomini miseri e affamati chemendicavano o per mestiere o perchécostretti dalla recente povertà.9. rade: scarse.

Le grandi biografieComincia, con la figura di fra Cristoforo, la serie dellegrandi biografie del romanzo. Il Narratore inter-rompe il racconto della vicenda principale, e dedicaampio spazio alla relazione sulla vita di personaggievidentemente centrali tanto per la storia narrataquanto per la rilevanza della loro personalità. Si trat-ta sempre di personaggi storici, cioè realmente vis-suti, che però Manzoni traveste e adatta alle esigen-

ze della trama romanzesca, facendoli intervenire einteragire con le situazioni e i personaggi di fantasia.Ne muta anche i nomi (tranne nel caso del cardina-le Federigo Borromeo), pur lasciando chiari segniper la loro identificazione: come nel caso di fraCristoforo, costruito sulla figura del padre cappucci-no Cristoforo Picenardi da Cremona. Questa è lasequenza di tali esemplari biografie romanzate:

L’innominato(capp. XIX e XXIX)

La monaca diMonza (capp. IX -X)

Cardinale FederigoBorromeo (cap. XXII)

▲ ▲ ▲Fra Cristoforo(cap. IV)

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La descrizione sottolinea il contrasto tra la serenitàdella natura e la miseriadell’umanità, scandito dalla congiunzione “ma” (r. 16).

Fra Cristoforo si avvia a casa di Lucia

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– Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo avvi-so10 s’era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padreprovinciale?11 E chi era questo padre Cristoforo? – Bisogna soddisfare atutte queste domande.Il padre Cristoforo da ***12 era un uomo più vicino ai sessanta che ai cin-quant’anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi gi-rava intorno, secondo il rito cappuccinesco,13 s’alzava di tempo intempo,14 con un movimento che lasciava trasparire un non so che d’alteroe d’inquieto; e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà. La barbabianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più ri-saltare le forme rilevate della parte superiore del collo, alle quali un’asti-nenza, da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità chetolto d’espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, matalvolta sfolgoravano, con vivacità repentina;15 come due cavalli bizzarri,condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, chenon si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto,che scontan subito, con una buona tirata di morso.Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato Cri-stoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d’un mer-cante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mioanonimo) che, ne’ suoi ultim’anni, trovandosi assai fornito di beni, e conquell’unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico,16 e s’era dato a viver dasignore.Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una gran vergogna ditutto quel tempo che aveva speso a far qualcosa in questo mondo. Pre-dominato da una tal fantasia, studiava tutte le maniere di far dimenticarech’era stato mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui. Ma ilfondaco, le balle, il libro, il braccio,17 gli comparivan sempre nella me-moria, come l’ombra di Banco a Macbeth,18 anche tra la pompa dellemense, e il sorriso de’ parassiti.19 E non si potrebbe dire la cura20 che do-vevano aver que’ poveretti, per schivare21 ogni parola che potesse parereallusiva all’antica condizione del convitante. Un giorno, per raccontarne

Prima dell’alba, padre Cristoforo uscì dal conventodi Pescarenico per andare verso la casa di Lucia.Il cielo era sereno e soffiava un leggero vento d’au-tunno. Lungo il cammino, si vedevano campi lavo-rati e tristi figure di uomini affamati che chiedeva-no l’elemosina, contadini che gettavano nella terrasementi scarse o zappavano a fatica, animali magriche mangiavano la stessa erba di cui si nutrivanogli uomini.

Padre Cristoforo era un uomo di circa sessant’anni,con un piccolo cerchio di capelli intorno al capo, labarba bianca e lunga che ricopriva le guance e ilvolto magro; i suoi occhi vivaci e inquieti eranospesso rivolti a terra in segno di umiltà.Prima di diventare frate, il suo nome era Lodovico.Era l’unico figlio di un ricco mercante che negliultimi anni di vita aveva cominciato a vivere dasignore e a vergognarsi del suo passato.

10. al primo avviso: al primo richia-mo.11. padre provinciale: il superioregerarchico dell’ordine religioso deicappuccini, in ciascuna provincia.12. Il padre Cristoforo da ***: l’usodegli asterischi, attribuito dall’Autorealla discrezione delle sue fonti docu-mentarie, serve per dare verosimiglian-za storica al personaggio, per il qualeManzoni sembra essersi ispirato allafigura di padre Cristoforo Picenardi daCremona che, nel 1630, era morto pre-stando aiuto ai malati di peste.

13. rito cappuccinesco: regola del-l’ordine dei cappuccini.14. di tempo in tempo: ogni tanto.15. repentina: improvvisa.16. traffico: commercio.17. il fondaco, le balle, il libro, ilbraccio: termini tecnici che si riferi-scono al commercio: il magazzino (ilfondaco), i tessuti pronti per la spedi-zione (le balle), il registro dei conti (illibro), l’unità di misura per le stoffe (ilbraccio).18. come l’ombra di Banco aMacbeth: nella tragedia shakespearia-

na Macbeth, Banco, ucciso daMacbeth, appare come fantasma a tor-mentare il suo assassino. La spropor-zione del paragone viene utilizzatadall’Autore per ironizzare sull’ossessi-va vergogna del mercante nei confron-ti del proprio passato.19. la pompa delle mense, e il sorri-so de’ parassiti: il lusso dei banchettie l’allegra adulazione degli invitati.20. la cura: l’attenzione, la preoccupa-zione.21. schivare: evitare.

in altre parole

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Come si chiama la tecnicautilizzata dall’Autore per presentare al lettore la vita di fra Cristoforo?

La giovinezza di fra Cristoforo e il duello

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una, un giorno, sul finir della tavola, ne’ momenti della più viva e schiettaallegria, che non si sarebbe potuto dire chi più godesse, o la brigata disparecchiare, o il padrone d’aver apparecchiato,22 andava stuzzicando,con superiorità amichevole, uno di que’ commensali, il più onesto man-giatore del mondo. Questo, per corrispondere alla celia,23 senza la mi-nima ombra di malizia, proprio col candore d’un bambino, rispose: «eh!Io fo l’orecchio del mercante.»24 Egli stesso fu subito colpito dal suonodella parola che gli era uscita di bocca: guardò, con faccia incerta, allafaccia del padrone, che s’era rannuvolata: l’uno e l’altro avrebber volutoriprender quella di prima; ma non era possibile. Gli altri convitati pensa-vano, ognun da sé, al modo di sopire il piccolo scandolo,25 e di fare unadiversione;26 ma, pensando, tacevano, e, in quel silenzio, lo scandolo erapiù manifesto. Ognuno scansava27 d’incontrar gli occhi degli altri; ognunosentiva che tutti eran occupati del pensiero che tutti volevan dissimu-lare.28 La gioia, per quel giorno, se n’andò; e l’imprudente o, per parlarcon più giustizia, lo sfortunato, non ricevette più invito. Così il padre diLodovico passò gli ultimi suoi anni in angustie continue, temendo sempred’esser schernito, e non riflettendo mai che il vendere non è cosa più ridi-cola che il comprare, e che quella professione di cui allora si vergognava,l’aveva pure esercitata per tant’anni, in presenza del pubblico, e senza ri-morso. Fece educare il figlio nobilmente, secondo la condizione de’tempi, e per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini; glidiede maestri di lettere e d’esercizi cavallereschi; e morì, lasciandolo riccoe giovinetto.Lodovico aveva contratte29 abitudini signorili; e gli adulatori, tra i qualiera cresciuto, l’avevano avvezzato30 ad esser trattato con molto rispetto.Ma, quando volle mischiarsi coi principali31 della sua città trovò un fareben diverso da quello a cui era accostumato;32 e vide che, a voler esseredella lor compagnia, come avrebbe desiderato, gli conveniva fare unanuova scuola di pazienza e di sommissione, star sempre al di sotto, e in-gozzarne una,33 ogni momento. Una tal maniera di vivere non s’accor-dava, né con l’educazione, né con la natura di Lodovico. S’allontanò da

22. la brigata di sparecchiare, o ilpadrone d’aver apparecchiato: i con-vitati a consumare tutto ciò che eraservito o l’ospite ad aver imbanditolautamente la tavola.23. celia: scherzo.24. Io fo l’orecchio del mercante:“faccio finta di non sentire”, modo di

dire ancora in uso.25. sopire il piccolo scandolo: atte-nuare, minimizzare la gaffe.26. di fare una diversione: di cambia-re argomento.27. scansava: evitava. 28. dissimulare: nascondere.29. aveva contratte: aveva preso.

30. l’avevano avvezzato: l’avevanoabituato.31. coi principali: con le classi domi-nanti.32. era accostumato: era abituato.33. ingozzarne una: subire, soppor-tare.

L’istruzione mercantileIl personaggio di Lodovico è esemplare di quella classe di borghesi e mercanti che pur godendo della ricchezza patisce l’e-sclusione e il rifiuto per ceto sociale da parte degli aristocratici. Lo scontro di classe ha origini lontane, che si consolida-no anche nei diversi tipi di istruzione loro riservata.«Oltre alle università che accoglievano una parte ridot-ta e privilegiata della popolazione, dall’XI secolo sorse-ro scuole in cui bene o male si insegnava a leggere escrivere in una lingua diversa da quella parlata, a cal-colare sull’abaco il prezzo delle cose e a misurare.Erano scuole molto modeste, che fornivano le cognizio-ni elementari a coloro che non sarebbero mai andatioltre ma che avrebbero svolto attività economiche esarebbero stati spesso chiamati ad attività politiche.Chi andava “a bottega”, se seguiva il padre, si trovavain posizione di vantaggio; ma la consuetudine era che

chi aveva più figli li avviasse ad arti diverse, per divide-re il rischio che avrebbe comportato affidare le sortidella famiglia ad una sola e unica attività professionale.Fatta la scelta, bisognava trovare un maestro dispo-sto a prendere il ragazzo come discepolo; spesso ilragazzo andava ad abitare in casa del maestro, chegli doveva passare il vitto ed il vestiario; quando ci siera intesi si andava dal notaio e si redigeva un attoche regolava tutte le clausole dell’accordo».

(rid. da G. FASOLI, La vita quotidiana nel Medioevo italiano,in AA.VV., Nuove questioni di storia medievale,

Milano, Marzorati, 1976)

Le rigide distinzioni socialiescludono il giovane figliodel mercante.

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essi indispettito. Ma poi ne stava lontano con rammarico; perché gli pa-reva che questi veramente avrebber dovuto essere i suoi compagni; sol-tanto gli34 avrebbe voluti più trattabili. Con questo misto d’inclinazione edi rancori, non potendo frequentarli famigliarmente, e volendo pure averche far con loro in qualche modo, s’era dato a competer con loro di sfoggie di magnificenza, comprandosi così a contanti35 inimicizie, invidie e ri-dicolo. La sua indole, onesta insieme e violenta, l’aveva poi imbarcato pertempo in altre gare più serie. Sentiva un orrore spontaneo e sincero perl’angherie36 e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualitàdelle persone che più ne commettevano alla giornata;37 ch’erano appuntocoloro coi quali aveva più di quella ruggine.38 Per acquietare, o per eser-citare tutte queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d’undebole sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore,39 s’intromet-teva in una briga, se ne tirava addosso un’altra; tanto che, a poco a poco,venne a costituirsi come un protettor degli oppressi, e un vendicatore de’torti. L’impiego era gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovicoavesse nemici, impegni e pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi tribo-lato40 continuamente da contrasti interni; perché, a spuntarla in un im-pegno41 (senza parlare di quelli in cui restava al di sotto), doveva anchelui adoperar raggiri e violenze, che la sua coscienza non poteva poi appro-vare. Doveva tenersi intorno un buon numero di bravacci; e, così per lasua sicurezza, come per averne un aiuto più vigoroso, doveva scegliere ipiù arrischiati,42 cioè i più ribaldi; e vivere co’ birboni, per amor della giu-stizia. Tanto che, più d’una volta, o scoraggito, dopo una trista riuscita,43

o inquieto per un pericolo imminente, annoiato del continuo guardarsi,stomacato della sua compagnia, in pensiero dell’avvenire, per le sue so-stanze che se n’andavan, di giorno in giorno, in opere buone e in braverie,più d’una volta gli era saltata la fantasia44 di farsi frate; che, a que’ tempi,era il ripiego più comune, per uscir d’impicci. Ma questa, che sarebbeforse stata una fantasia per tutta la sua vita, divenne una risoluzione acausa d’un accidente,45 il più serio che gli fosse ancor capitato.Andava un giorno per una strada della sua Città, seguito da due bravi, eaccompagnato da un tal Cristoforo, altre volte giovine di bottega46 e, do-po chiusa questa, diventato maestro di casa.47 Era un uomo di circa cin-quant’anni, affezionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto na-scere, e che, tra salario e regali, gli dava non solo da vivere, ma di chemantenere e tirar su una numerosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da

Il padre di Lodovico fece educare suo figlio come inobili e quando morì lasciò al giovane molte ricchezze.Lodovico si era abituato a vivere come un signore,ma quando volle frequentare i nobili della cittàcapì che non era accettato e cercò di gareggiare conla nobiltà in generosità, facendosi molti nemici. Lodovico non sopportava le prepotenze e cosìdiventò un difensore di deboli e di oppressi, ma perraggiungere questo risultato aveva bisogno dell’aiu-

to di bravi violenti e privi di scrupoli: perciò,inquieto e insoddisfatto, più di una volta avevapensato di farsi frate.Questa idea diventò una decisione quando glicapitò l’incidente più serio della sua vita.Un giorno Lodovico camminava per le vie della suacittà insieme a due bravi e a un certo Cristoforo, unuomo di cinquant’anni che lo conosceva dallanascita e gli era affezionato.

34. gli: li.35. comprandosi così a contanti:andando a cercarsi apposta, in modoevidente.36. l’angherie: le prepotenze.37. alla giornata: quotidianamente.38. ruggine: rancore, risentimento.39. si piccava di farci stare un sover-chiatore: aveva la pretesa di mettere al

suo posto un prepotente.40. era poi tribolato: era poi ango-sciato.41. a spuntarla in un impegno: perraggiungere il suo scopo.42. i più arrischiati: i più coraggiosi, ipiù intraprendenti.43. scoraggito, dopo una trista riu-scita: scoraggiato per non aver conse-

guito il proprio scopo.44. gli era saltata la fantasia: avevapensato.45. accidente: incidente.46. altre volte giovine di bottega:un tempo, commesso nel negoziopaterno.47. maestro di casa: maggiordo-mo.

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Quali sono le caratteristiche della complessa personalitàdi Lodovico (rr. 104-125)?

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lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col qualenon aveva mai parlato in vita sua, ma che gli era cordiale nemico, e alquale rendeva, pur di cuore, il contraccambio: giacché è uno de’ vantag-gi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi.Costui, seguito da quattro bravi, s’avanzava diritto, con passo superbo,con la testa alta, con la bocca composta all’alterigia e allo sprezzo.48 Tutt’edue camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo stri-sciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto(dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, perdar passo a chi si fosse;49 cosa della quale allora si faceva gran caso. L’al-tro pretendeva, all’opposto, che quel diritto competesse50 a lui, come a no-bile, e che a Lodovico toccasse d’andar nel mezzo; e ciò in forza d’un’altraconsuetudine. Perocché,

51in questo, come accade in molti altri affari,

erano in vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse deciso qualdelle due fosse la buona; il che dava opportunità di fare una guerra, ognivolta che una testa dura s’abbattesse

52in un’altra della stessa tempra.

Que’ due si venivano incontro, ristretti alla muraglia,53 come due figure dibasso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale,squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio imperioso,54 gli disse, inun tono corrispondente di voce: «fate luogo.»55

«Fate luogo voi,» rispose Lodovico. «La diritta è mia.»56

«Co’ vostri pari,57 è sempre mia.»«Sì, se l’arroganza de’ vostri pari fosse legge per i pari miei.»I bravi dell’uno e dell’altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il padrone,guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe,58 preparati alla batta-glia. La gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservareil fatto; e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il punti-glio59 de’ contendenti.«Nel mezzo, vile meccanico;60 o ch’io t’insegno una volta come si trattaco’ gentiluomini.»«Voi mentite ch’io sia vile.»

48. con la bocca composta all’alteri-gia e allo sprezzo: con la bocca cheesprimeva superbia e disprezzo.49. per dar passo a chi si fosse: perdar la precedenza a chi passava.50. competesse: toccasse.51. Perocché: perché.52. s’abbattesse: si imbattesse, incon-trasse.

53. ristretti alla muraglia: a ridosso,costeggiando il muro.54. col cipiglio imperioso: conespressione volitiva e determinata.55. fate luogo: fate passare.56. La diritta è mia: la precedenza èmia.57. Co’ vostri pari: con le persone delvostro rango. Il nobile sostiene che le

regole della cavalleria non vadanoapplicate con i borghesi.58. daghe: spade. La daga è una spadaa due tagli corta e piuttosto larga.59. il puntiglio: l’ostinazione.60. vile meccanico: l’appellativo siriferisce alle persone che compionolavori manuali, considerate pertantorozze e spregevoli.

Il duello «Nell’antichità i duelli erano singole tenzoni, combat-tute prima, durante o dopo le battaglie; solo dalmedioevo divennero anche competizioni di bravura edi valore svolte nel corso di tornei o giostre.In origine, il duello giudiziario fu una forma attenuatadi vendetta familiare: considerato dagli antichiGermani come un giudizio di Dio, fu praticato e rima-se in vigore soprattutto dal X al XII secolo.Le parti contrastanti, soltanto se liberi e nobili, siimpegnavano a sfidarsi in singolo duello; il combatti-mento aveva luogo pubblicamente davanti ai giudici dicampo e il vinto era ritenuto colpevole e subiva lapena. A partire dal IX secolo nella Chiesa si manifestò un

movimento ostile al duello e nei secc. XII e XIII prima ilpapa, poi diversi sovrani, limitarono o proibirono ilduello giudiziario, che tuttavia continuò fino al XVI sec.Nel frattempo però si sviluppò rapidamente il duelloprivato, destinato a risolvere le questioni d’onore:questo, fino alla fine del XVI secolo, ebbe il caratteredi combattimento disordinato e divenne frequente trala nobiltà, al punto di essere severamente proibitosoprattutto nella Francia di Richelieu, che giunse adapplicare la pena capitale ai duellanti. Soltanto nel XVIII sec. incominciarono ad esistereregole precise di combattimento, che richiamavanoquelle delle competizioni medievali».

(Enciclopedia Rizzoli Larousse, 2000)

Il tono di questaconsiderazione dell’Autore è:a) formaleb) ironicoc) realistico

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Capitolo IV 93

«Tu menti ch’io abbia mentito.» Questa risposta era di prammatica.61 «E,se tu fossi cavaliere, come son io,» aggiunse quel signore, «ti vorrei farvedere, con la spada e con la cappa,62 che il mentitore sei tu.»«È un buon pretesto per dispensarvi di sostener co’ fatti l’insolenza dellevostre parole.»«Gettate nel fango questo ribaldo,» disse il gentiluomo, voltandosi a’ suoi.«Vediamo!» disse Lodovico, dando subitamente un passo indietro, e met-tendo mano alla spada.«Temerario!» gridò l’altro, sfoderando la sua: «Io spezzerò questa, quando sarà macchiata del tuo vil sangue.»Così s’avventarono l’uno all’altro; i servitori delle due parti si slanciaronoalla difesa de’ loro padroni. Il combattimento era disuguale, e per il nu-mero, e anche perché Lodovico mirava piuttosto a scansare i colpi, e di-sarmare il nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva la morte di lui, aogni costo. Lodovico aveva già ricevuta al braccio sinistro una pugnalatad’un bravo, e una sgraffiatura leggiera in una guancia, e il nemico prin-cipale gli piombava addosso per finirlo; quando Cristoforo, vedendo il suopadrone nell’estremo pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Que-sto, rivolta tutta la sua ira contro di lui, lo passò con la spada. A vista, Lo-dovico, come fuor di sé, cacciò la sua nel ventre del feritore, il qualecadde moribondo, quasi a un punto63 col povero Cristoforo. I bravi delgentiluomo, visto ch’era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di Lo-dovico, tartassati e sfregiati anche loro, non essendovi più a chi dare enon volendo trovarsi impicciati nella gente, che già accorreva, scantona-rono64 dall’altra parte: e Lodovico si trovò solo, con que’ due funesti com-pagni ai piedi, in mezzo a una folla.«Com’è andata? – È uno. – Son due. – Gli ha fatto un occhiello65 nel ven-tre. – Chi è stato ammazzato? – Quel prepotente. – Oh santa Maria, chesconquasso! – Chi cerca trova. – Una le paga tutte. – Ha finito anche lui. –Che colpo! – Vuol essere66 una faccenda seria. – E quell’altro disgraziato!– Misericordia! che spettacolo! – Salvatelo, salvatelo. – Sta fresco anchelui. – Vedete com’è concio! butta sangue da tutte le parti – Scappi, scappi.Non si lasci prendere.»Queste parole, che più di tutte si facevan sentire nel frastono confuso diquella folla, esprimevano il voto67 comune; e, col consiglio, venne anchel’aiuto. Il fatto era accaduto vicino a una chiesa di cappuccini, asilo, comeognun sa, impenetrabile allora a’ birri,68 e a tutto quel complesso di cosee di persone, che si chiamava la giustizia. L’uccisore ferito fu quivi con-dotto o portato dalla folla, quasi fuor di sentimento;69 e i frati lo ricevet-

Vide arrivare da lontano un signore superbo esprezzante, seguito da quattro bravi.Lodovico toccava il muro con la spalla destra e pensa-va di potere passare per primo; l’altro invece era sicurodi avere la precedenza per la sua nobiltà. I due si trova-rono di fronte e, dopo uno scambio di insulti, il signo-re ordinò ai suoi bravi di buttare Lodovico nel fango.I due cominciarono a battersi mentre i servitoricombattevano tra loro. Quando Cristoforo vide il

suo padrone in pericolo, andò con un pugnaleverso il nobile che lo colpì con la spada.Allora Lodovico colpì a sua volta il signore checadde a terra, contemporaneamente a Cristoforo.I bravi fuggirono e Lodovico fu circondato dallafolla che gli gridava di scappare nella vicina chiesadei cappuccini, dove i rappresentanti della giusti-zia non potevano entrare. Lo portarono lì ferito e sconvolto.

61. di prammatica: di consuetudine.62. cappa: mantello.63. quasi a un punto: quasi contem-poraneamente.64. scantonarono: si allontanarono.

65. un occhiello: un buco, una ferita.66. Vuol essere: deve essere.67. esprimevano il voto: consigliava-no.68. impenetrabile allora a’ birri: si

riferisce al diritto d’asilo (cfr. cap. I,nota 94).69. fuor di sentimento: privo di sensi.

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Qual è il giudizio della follasull’accaduto?

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tero dalle mani del popolo, che glielo raccomandava, dicendo: «è unuomo dabbene che ha freddato un birbone superbo: l’ha fatto per sua di-fesa: c’è stato tirato per i capelli.»Lodovico non aveva mai, prima d’allora, sparso sangue; e, benché l’omicidiofosse, a que’ tempi, cosa tanto comune, che gli orecchi d’ognuno eranoavvezzi a sentirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l’impressione ch’egli ri-cevette dal veder l’uomo morto per lui, e l’uomo morto da lui,70 fu nuova eindicibile; fu una rivelazione di sentimenti ancora sconosciuti. Il cadere delsuo nemico, l’alterazione di quel volto che passava, in un momento, dallaminaccia e dal furore, all’abbattimento e alla quiete solenne della morte, fuuna vista che cambiò, in un punto,71 l’uccisore. Strascinato al convento, nonsapeva quasi dove si fosse, né cosa si facesse; e, quando fu tornato in sé, sitrovò in un letto dell’infermeria, nelle mani del frate chirurgo (i cappuccinine avevano ordinariamente uno in ogni convento), che accomodava fal-delle72 e fasce sulle due ferite ch’egli aveva ricevute nello scontro. Un padre,il cui impiego particolare era d’assistere i moribondi, e che aveva spessoavuto a render questo servizio sulla strada, fu chiamato subito al luogo delcombattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell’infermeria, e, avvici-natosi al letto dove Lodovico giaceva, «consolatevi,» gli disse: «almeno èmorto bene, e m’ha incaricato di chiedere il vostro perdono, e di portarvi ilsuo.» Questa parola fece rinvenire affatto73 il povero Lodovico, e gli risve-gliò più vivamente e più distintamente i sentimenti ch’eran confusi e affollatinel suo animo: dolore dell’amico, sgomento e rimorso del colpo che gli erauscito di mano, e, nello stesso tempo, un’angosciosa compassione dell’uomoche aveva ucciso. «E l’altro?» domandò ansiosamente al frate.«L’altro era spirato, quand’io arrivai.»Frattanto, gli accessi e i contorni del convento74 formicolavan di popolocurioso: ma, giunta la sbirraglia, fece smaltir la folla, e si postò75 a unacerta distanza dalla porta, in modo però che nessuno potesse uscirneinosservato. Un fratello del morto, due suoi cugini e un vecchio zio, ven-nero pure, armati da capo a piedi, con grande accompagnamento dibravi; e si misero a far la ronda intorno, guardando, con aria e con atti didispetto minaccioso, que’ curiosi, che non osavan dire: gli sta bene; mal’avevano scritto in viso.

70. l’uomo morto da lui: l’uomo ucci-so da lui.71. in un punto: improvvisamente.72. accomodava faldelle: sistemavabende.

73. fece rinvenire affatto: fece ripren-dere subito conoscenza.74. gli accessi e i contorni del con-vento: le vie che portavano al conven-to e la zona circostante.

75. la sbirraglia … si postò: gli sbir-ri fecero allontanare la gente e siappostarono. Si avverte un certodisprezzo nell’utilizzo del terminesbirraglia.

Il diritto d’asiloPer sfuggire alla persecuzione pubblica e privata, Lodovico si rifugia presso un convento di cappuccini, facendo appel-lo al diritto d’asilo, consuetudine con valore legale cui spesso facevano ricorso le persone ricercate, a ragione o atorto, dalla legge (e spesso, l’abbiamo già letto, vi ricorrevano malviventi come i bravi). Di che cosa si tratta?

«Il diritto d’asilo ha origini molto antiche: nellaGrecia classica il termine asylìa indicava l’immunitàconcordata da due città nei confronti dei rispettivicittadini o concessa agli ambasciatori, mentre l’ásy-lon definiva l’immunità che proteggeva il fuggitivoqualora si fosse rifugiato in determinati templi.A Roma il numero dei luoghi muniti di questa pre-rogativa fu limitato. Nell’alto medioevo il diritto diasilo fu sostanzialmente rispettato dagli imperato-ri che però lo abolirono per i reati più gravi. L’applicazione di questo diritto fu uno dei punti di

maggiore attrito fra Chiesa e Stato: la Chiesa accon-sentiva in casi estremi alla consegna dei malfattoria condizione che lo Stato si impegnasse a non ucci-derli e a non sottoporli a torture o a mutilazioni.Nel XVIII secolo il contenuto del diritto di asilo dimi-nuì notevolmente e infine esso venne soppresso inPiemonte dalla legge Siccardi del 1850, estesa atutta l’Italia dopo l’unificazione.Attualmente un particolare tipo di diritto di asilo èquello di cui godono le ambasciate, in quanto sediextraterritoriali». (Enciclopedia Rizzoli Larousse, 2000)

L’esito del duello trasformaradicalmente la vita di Lodovico.

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Capitolo IV 95

Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri, chiamato unfrate confessore, lo pregò che cercasse della vedova di Cristoforo, le chie-desse in suo nome perdono d’esser stato lui la cagione,76 quantunque bencerto involontaria, di quella desolazione, e, nello stesso tempo, l’assicu-rasse ch’egli prendeva la famiglia sopra di sé. Riflettendo quindi a casisuoi, sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frate,che altre volte gli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l’a-vesse messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo ca-pitare in un convento, in quella congiuntura;77 e il partito fu preso.78 Fecechiamare il guardiano,79 e gli manifestò il suo desiderio. N’ebbe in rispo-sta, che bisognava guardarsi dalle risoluzioni precipitate;80 ma che, se per-sisteva, non sarebbe rifiutato. Allora, fatto venire un notaro, dettò una do-nazione di tutto ciò che gli rimaneva (ch’era tuttavia un bel patrimonio)alla famiglia di Cristoforo: una somma alla vedova, come se le costituisseuna contraddote,81 e il resto a otto figliuoli che Cristoforo aveva lasciati.La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i suoi ospiti, iquali, per cagion sua, erano in un bell’intrigo. Rimandarlo dal convento,ed esporlo così alla giustizia, cioè alla vendetta de’ suoi nemici, non era dametter neppure in consulta.82 Sarebbe stato lo stesso che rinunciare a’propri privilegi, screditare il convento presso il popolo, attirarsi il biasimo di tutti i cappuccini dell’universo, per aver lasciato violare il diritto ditutti, concitarsi83 contro tutte l’autorità ecclesiastiche, le quali si conside-ravan come tutrici di questo diritto. Dall’altra parte, la famiglia dell’uc-ciso, potente assai, e per sé, e per le sue aderenze,84 s’era messa al puntodi voler vendetta; e dichiarava suo nemico chiunque s’attentasse di met-tervi ostacolo. La storia non dice che a loro dolesse molto dell’ucciso, enemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado:dice soltanto ch’eran tutti smaniosi d’aver nell’unghie85 l’uccisore, o vivo omorto. Ora questo, vestendo l’abito di cappuccino, accomodava ognicosa. Faceva, in certa maniera, un’emenda,86 s’imponeva una penitenza,si chiamava implicitamente in colpa, si ritirava da ogni gara; era insomma un nemico che depon l’armi. I parenti del morto potevano poianche, se loro piacesse, credere e vantarsi che s’era fatto frate per dispe-razione, e per terrore del loro sdegno. E, ad ogni modo, ridurre un uomoa spropriarsi del suo,87 a tosarsi la testa, a camminare a piedi nudi, a dor-mir sur un saccone,88 a viver d’elemosina, poteva parere una punizionecompetente, anche all’offeso il più borioso.

In quel momento decise di cambiare vita. Quando si riprese, un padre cappuccino gli disseche Cristoforo e il nobile erano morti.Nel frattempo, fuori dal convento erano arrivati glisbirri e alcuni parenti del nobile, armati e accom-pagnati dai bravi, per vendicarsi.Dopo aver riflettuto, Lodovico chiamò un padreconfessore e lo pregò di cercare la vedova diCristoforo, di chiederle perdono e di dirle che si

sarebbe occupato di lei e della sua famiglia;chiamò poi il padre guardiano e gli disse che avevadeciso di diventare frate e di donare tutte le ric-chezze alla famiglia di Cristoforo.La sua decisione era molto utile ai cappuccini, per-ché così Lodovico ammetteva la sua colpa, rinuncia-va alle ricchezze, si umiliava camminando a piedinudi e dormendo su un saccone e tutto ciò era unrisarcimento adeguato per la famiglia dell’ucciso.

in altre parole

76. la cagione: la causa.77. in quella congiuntura: in quellaoccasione, situazione.78. il partito fu preso: fu presa ladecisione.79. il guardiano: il superiore in unconvento francescano.80. risoluzioni precipitate: decisionifrettolose.

81. una contraddote: donazione fattadal marito alla moglie alla vigilia dellenozze; in questo caso, risarcimento.82. non era da metter neppure inconsulta: non era da prendere nem-meno in considerazione.83. concitarsi: provocare le reazioniviolente.84. per le sue aderenze: per le sue

potenti alleanze.85. nell’unghie: tra le mani.86. Faceva … un’emenda: riparava iltorto commesso.87. a spropriarsi del suo: a rinuncia-re alle sue ricchezze.88. un saccone: grosso sacco di tessutopesante riempito di paglia o di foglie digranturco, usato come materasso.

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Perché la famiglia dell’ucciso cerca vendetta? a) per compensare il dolore

della perditab) per motivi di prestigio

e di onore

La vocazione religiosa di fra Cristoforo

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96 Capitolo IV

Il padre guardiano si presentò, con un’umiltà disinvolta, al fratello delmorto e, dopo mille proteste di rispetto89 per l’illustrissima casa, e di de-siderio di compiacere ad essa in tutto ciò che fosse fattibile, parlò delpentimento di Lodovico, e della sua risoluzione, facendo garbatamentesentire che la casa poteva esserne contenta, e insinuando poi soavemente,e con maniera ancor più destra,90 che, piacesse o non piacesse, la cosa do-veva essere. Il fratello diede in ismanie, che il cappuccino lasciò svapo-rare, dicendo di tempo in tempo: «è un troppo giusto dolore.» Fece inten-dere che, in ogni caso, la sua famiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazione: e il cappuccino, qualunque cosa ne pensasse, non disse dino. Finalmente richiese, impose come una condizione, che l’uccisor disuo fratello partirebbe subito da quella città. Il guardiano, che aveva giàdeliberato che questo fosse fatto, disse che si farebbe, lasciando che l’altrocredesse, se gli piaceva, esser questo un atto d’ubbidienza: e tutto fu con-cluso. Contenta la famiglia, che ne usciva con onore; contenti i frati, chesalvavano un uomo e i loro privilegi, senza farsi alcun nemico; contenti idilettanti di cavalleria, che vedevano un affare terminarsi lodevolmente;contento il popolo, che vedeva fuor d’impiccio un uomo ben voluto, e che,nello stesso tempo, ammirava una conversione, contento finalmente, epiù di tutti, in mezzo al dolore, il nostro Lodovico, il quale cominciavauna vita d’espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare, pagarealmeno il mal fatto, e rintuzzare il pungolo intollerabile91 del rimorso. Ilsospetto che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura, l’afflisse un mo-mento; ma si consolò subito, col pensiero che anche quell’ingiusto giudi-zio sarebbe un gastigo per lui, e un mezzo d’espiazione. Così, a trent’anni,si ravvolse nel sacco;92 e, dovendo, secondo l’uso, lasciare il suo nome, eprenderne un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni momento,ciò che aveva da espiare: e si chiamò fra Cristoforo.Appena compita la cerimonia della vestizione, il guardiano gl’intimò chesarebbe andato a fare il suo noviziato93 a ***, sessanta miglia lontano, eche partirebbe all’indomani. Il novizio s’inchinò profondamente, e chieseuna grazia. «Permettetemi, padre,» disse, «che, prima di partir da questacittà, dove ho sparso il sangue d’un uomo, dove lascio una famiglia cru-delmente offesa, io la ristori almeno dell’affronto, ch’io mostri almeno il

89. mille proteste di rispetto: moltedichiarazioni di rispetto.90. più destra: più abile.91. rintuzzare il pungolo intollerabi-le: tenere a bada l’acuto senso di

rimorso.92. si ravvolse nel sacco: indossò ilsaio.93. il suo noviziato: periodo di prepa-razione alla vita religiosa e all’osser-

vanza della regola, prescritto dal dirit-to canonico, per tutti coloro che aspi-rano a entrare in un ordine o in unacongregazione, come prova della lorovocazione e attitudine.

La festa del perdono

Il rapporto tra il clero e la nobiltà secentesca richiede una continua opera di mediazione diplomatica (rr. 275-289).

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mio rammarico di non poter risarcire il danno, col chiedere scusa al fra-tello dell’ucciso, e gli levi, se Dio benedice la mia intenzione, il rancoredall’animo.» Al guardiano parve che un tal passo, oltre all’esser buono insé, servirebbe a riconciliar sempre più la famiglia col convento; e andòdiviato94 da quel signor fratello, ad esporgli la domanda di fra Cristoforo.A proposta così inaspettata, colui sentì, insieme con la maraviglia, un ri-bollimento di sdegno, non però senza qualche compiacenza. Dopo averpensato un momento, «venga domani,» disse; e assegnò l’ora. Il guar-diano tornò, a portare al novizio il consenso desiderato.Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella soddisfazione95 fossesolenne e clamorosa, tanto più accrescerebbe il suo credito presso tutta laparentela, e presso il pubblico; e sarebbe (per dirla con un’eleganza mo-derna) una bella pagina nella storia della famiglia. Fece avvertire in frettatutti i parenti che, all’indomani, a mezzogiorno, restassero serviti (così sidiceva allora) di venir da lui,96 a ricevere una soddisfazione comune. Amezzogiorno, il palazzo brulicava di signori d’ogni età e d’ogni sesso: eraun girare, un rimescolarsi di gran cappe, d’alte penne, di durlindane pen-denti,97 un moversi librato di gorgiere inamidate e crespe,98 uno strascicointralciato di rabescate zimarre.99 Le anticamere, il cortile e la strada for-micolavan di servitori, di paggi, di bravi e di curiosi. Fra Cristoforo videquell’apparecchio,100 ne indovinò il motivo, e provò un leggier turba-mento; ma, dopo un istante, disse tra sé: – sta bene: l’ho ucciso in pub-blico, alla presenza di tanti suoi nemici: quello fu scandolo, questa è ri-parazione. – Così, con gli occhi bassi, col padre compagno al fianco,passò la porta di quella casa, attraversò il cortile, tra una folla che losquadrava con una curiosità poco cerimoniosa; salì le scale, e di mezzoall’altra folla signorile, che fece ala al suo passaggio, seguito da centosguardi, giunse alla presenza del padron di casa; il quale, circondato da’parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo della sala, con lo sguardo aterra, e il mento in aria, impugnando, con la mano sinistra, il pomo dellaspada, e stringendo con la destra il bavero della cappa sul petto.C’è talvolta, nel volto e nel contegno d’un uomo, un’espressione così im-mediata, si direbbe quasi un’effusione101 dell’animo interno, che, in unafolla di spettatori, il giudizio sopra quell’animo sarà un solo. Il volto e ilcontegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti,102 che non s’era fattofrate, né veniva a quell’umiliazione per timore umano: e questo cominciòa concigliarglieli103 tutti. Quando vide l’offeso, affrettò il passo, gli si pose

Il padre guardiano andò subito dal fratello delmorto per informarlo e, dopo una lunga discussio-ne, il nobile si dichiarò soddisfatto.Così Lodovico divenne frate e per ricordare il suopeccato scelse il nome Cristoforo.Prima di partire per il convento, Cristoforo chieseil permesso di domandare perdono alla famigliadell’ucciso.Il padre guardiano tornò dal fratello del morto cheaccettò di vedere Cristoforo il giorno dopo, perché

pensava che le scuse di Cristoforo potesseroaumentare il prestigio della sua famiglia.A mezzogiorno il palazzo era pieno di nobili, dibravi, di paggi, di servitori e di curiosi. FraCristoforo entrò con gli occhi bassi, accompagnatodal padre guardiano, passando tra i presenti che loguardavano con curiosità.Salì le scale e giunse davanti al padrone di casa chelo aspettava in mezzo alla sala, con espressionesuperba.

94. diviato: direttamente.95. quella soddisfazione: quelmomento di pubbliche scuse.96. restassero serviti … di venir dalui: si considerassero invitati al suopalazzo.97. durlindane pendenti: spade appe-se ai fianchi (dal termine durlindana,

nome della leggendaria spada diOrlando nei poemi cavallereschi).98. un moversi librato di gorgiereinamidate e crespe: un movimentoleggero di colletti rigidi di lino arric-ciato.99. uno strascico intralciato di rabe-scate zimarre: un lungo strascico di

abiti arabescati.100. quell’apparecchio: quell’acco-glienza teatrale.101. un’effusione: l’emergere, ilmostrarsi.102. agli astanti: ai presenti.103. concigliarglieli: conciliarglieli.

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L’atteggiamento del nobileesprime disprezzo e superbia.

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inginocchioni104 ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testarasa, disse queste parole: «Io sono l’omicida di suo fratello. Sa Iddio sevorrei restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro chefarle inefficaci e tarde scuse, la supplico d’accettarle per l’amor di Dio.»Tutti gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli par-lava; tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s’alzò, pertutta la sala, un mormorio di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stavain atto di degnazione forzata, e d’ira compressa,105 fu turbato da quelleparole; e, chinandosi verso l’inginocchiato, «alzatevi,» disse, con voce al-terata: – l’offesa... il fatto veramente... ma l’abito che portate... non soloquesto, ma anche per voi... S’alzi, padre... Mio fratello... non lo posso ne-gare... era un cavaliere... era un uomo... un po’ impetuoso... un po’ vivo.Ma tutto accade per disposizion di Dio. Non se ne parli più... Ma, padre,lei non deve stare in codesta positura.»106 E, presolo per le braccia, lo sol-levò. Fra Cristoforo, in piedi, ma col capo chino, rispose: «Io posso dun-que sperare che lei m’abbia concesso il suo perdono! E se l’ottengo da lei,da chi non devo sperarlo? Oh! s’io potessi sentire dalla sua bocca questaparola, perdono!» «Perdono?» disse il gentiluomo. «Lei non ne ha più bisogno. Ma pure,poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono di cuore, e tutti...»«Tutti! tutti!» gridarono, a una voce, gli astanti. Il volto del frate s’aprì auna gioia riconoscente, sotto la quale traspariva però ancora un’umile eprofonda compunzione107 del male a cui la remissione108 degli uomininon poteva riparare. Il gentiluomo, vinto da quell’aspetto, e trasportatodalla commozione generale, gli gettò le braccia al collo, e gli diede e ne ri-cevette il bacio di pace. Un «bravo! bene!» scoppiò da tutte le parti della sala; tutti si mossero, e sistrinsero intorno al frate. Intanto vennero servitori, con gran copia109 dirinfreschi. Il gentiluomo si raccostò110 al nostro Cristoforo, il quale facevasegno di volersi licenziare,111 e gli disse: «padre, gradisca qualche cosa;mi dia questa prova d’amicizia.» E si mise per servirlo prima d’ogni altro;ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, «queste cose,»disse, «non fanno più per me; ma non sarà mai ch’io rifiuti i suoi doni. Iosto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io

104. inginocchioni: in ginocchio.105. in atto di degnazione forzata, ed’ira compressa: con l’atteggiamentodi chi è infastidito dalla situazione etrattiene a stento l’ira.

106. in codesta positura: in questaposizione.107. compunzione: pentimento.108. remissione: perdono.109. gran copia: abbondanza.

110. si raccostò: si avvicinò.111. volersi licenziare: volersi allon-tanare.

I valori della fede

Per la prima volta nel romanzo (e dovremo aspettare molto prima che siripeta una situazione simile) i valori della fede e del bene si affermano suquelli della prepotenza e dell’ipocrisia. La commozione comune e pubblicasuscitata da fra Cristoforo di fronte alla folla di nobili è dimostrazione diquanta forza abbiano nella realtà la sincerità e la professione di principi diamore e solidarietà, il coraggio di riconoscere i propri errori e di chiedereperdono, gli atteggiamenti di riconciliazione e mansuetudine.Sono virtù quasi eroiche, che Manzoni riserva solo ad alcuni personaggieccellenti, e che subito sa realisticamente mitigare e riportare alla dimen-sione più quotidiana delle persone comuni: l’effetto dell’incontro con padreCristoforo non durerà per sempre e con la stessa intensità nell’animo delnobile suo antagonista, ma continuerà comunque ad agire e a influire suisuoi pensieri e sui suoi gesti. Ed è questo uno degli aspetti fondamentalidella “morale” realistica presente in tutto il romanzo.

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Le frammentarie parole delfratello dell’ucciso indicano: a) la rabbia, a stento

trattenuta, nei confrontidi fra Cristoforo

b) la commozione di frontea un pentimento autentico e sincero

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possa dire d’aver goduto la sua carità, d’aver mangiato il suo pane, eavuto un segno del suo perdono.» Il gentiluomo, commosso, ordinò checosì si facesse; e venne subito un cameriere, in gran gala, portando unpane sur un piatto d’argento, e lo presentò al padre; il quale, presolo e rin-graziato, lo mise nella sporta.112 Chiese quindi licenza; e, abbracciato dinuovo il padron di casa, e tutti quelli che, trovandosi più vicini a lui, po-terono impadronirsene un momento, si liberò da essi a fatica; ebbe acombatter nell’anticamere, per isbrigarsi113 da’ servitori, e anche da’ bravi,che gli baciavano il lembo dell’abito, il cordone, il cappuccio; e si trovònella strada, portato come in trionfo, e accompagnato da una folla di po-polo, fino a una porta della città; d’onde uscì, cominciando il suo pedestreviaggio,114 verso il luogo del suo noviziato.Il fratello dell’ucciso, e il parentado, che s’erano aspettati d’assaporare inquel giorno la trista gioia dell’orgoglio, si trovarono in vece ripieni dellagioia serena del perdono e della benevolenza. La compagnia si trattenneancor qualche tempo, con una bonarietà e con una cordialità insolita, inragionamenti ai quali nessuno era preparato, andando là. In vece di sod-disfazioni prese, di soprusi vendicati, d’impegni spuntati,115 le lodi del no-vizio, la riconciliazione, la mansuetudine furono i temi della con-versazione. E taluno, che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontatocome il conte Muzio suo padre aveva saputo, in quella famosa congiun-tura, far stare a dovere116 il marchese Stanislao, ch’era quel rodomonte117

che ognun sa, parlò in vece delle penitenze e della pazienza mirabile d’unfra Simone, morto molt’anni prima. Partita la compagnia, il padrone,ancor tutto commosso, riandava tra sé, con maraviglia, ciò che aveva in-teso, ciò ch’egli medesimo aveva detto; e borbottava tra i denti: – diavolod’un frate! (bisogna bene che noi trascriviamo le sue precise parole) – dia-volo d’un frate! se rimaneva lì in ginocchio, ancora per qualche momento,quasi quasi gli chiedevo scusa io, che m’abbia ammazzato il fratello. – Lanostra storia nota espressamente che, da quel giorno in poi, quel signorefu un po’ men precipitoso, e un po’ più alla mano.Il padre Cristoforo camminava, con una consolazione che non aveva maipiù provata, dopo quel giorno terribile, ad espiare il quale tutta la sua vitadoveva esser consacrata. Il silenzio ch’era imposto a’ novizi, l’osservava,senza avvedersene, assorto com’era, nel pensiero delle fatiche, delle pri-vazioni e dell’umiliazione che avrebbe sofferte, per iscontare il suo fal-lo.118 Fermandosi, all’ora della refezione, presso un benefattore, mangiò,con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, elo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordo perpetuo.

Si inginocchiò e gli chiese di accettare le sue scuse,per amore di Dio.Il signore, turbato dalle parole di Cristoforo, sichinò, gli chiese di alzarsi e gli disse che lui e tuttala famiglia lo avevano perdonato; infine lo abbrac-ciò e i due si scambiarono un bacio di pace. I presenti esultarono e i servitori portarono i rinfre-schi; Cristoforo non accettò nulla, chiese solo unpane, come segno di perdono.

Abbracciò di nuovo il padrone di casa e si allontanò afatica, circondato da invitati, servitori e bravi che vole-vano toccarlo e lo accompagnarono fino a una portadella città da cui, a piedi, prese la via del convento.Fra Cristoforo camminava finalmente con il cuorepiù leggero e pensava con gioia a tutte le rinunce ei sacrifici che avrebbe fatto in futuro. Lungo il cammino mangiò il pane del perdono mane conservò un pezzo come ricordo.

112. sporta: contenitore con duemanici fatto di vari materiali.113. isbrigarsi: liberarsi.114. pedestre viaggio: viaggio a piedi.115. d’impegni spuntati: di successiconseguiti.

116. far stare a dovere: sconfiggere,umiliare.117. rodomonte: prepotente, spacco-ne. Rodomonte è il nome proprio di unpersonaggio di molti poemi cavallere-schi tra cui l’Orlando innamorato di

Boiardo e l’Orlando furioso di Ariosto,divenuto poi nome comune per defini-re le persone arroganti.118. il suo fallo: la sua colpa.

in altre parole

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Il sincero e umile pentimento di Cristofororiescono a scalfire la superficiale arroganzadella nobile famiglia.

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Nel corso della sua vita da monaco, Cristoforoeseguì con grande energia i compiti assegnati atutti i frati, la predicazione e l’assistenza ai mori-bondi. A questi ne aggiunse altri due che si era dato dasolo: risolvere le liti e proteggere gli oppressi,continuando in questo modo la sua vecchia abi-tudine.Per questo motivo aveva risposto così velocemen-

te alla chiamata di Lucia, che conosceva e ammi-rava per la sua innocenza; così, molto preoccupa-to per lei, arrivò alla casetta dove le donne filava-no aspettandolo.

in altre parole

100 Capitolo IV

Non è nostro disegno di far la storia della sua vita claustrale:119 diremosoltanto che, adempiendo, sempre con gran voglia, e con gran cura, gliufizi120 che gli venivano ordinariamente assegnati, di predicare e d’assi-stere i moribondi, non lasciava mai sfuggire un’occasione d’esercitarnedue altri che s’era imposti da sé: accomodar differenze,121 e proteggereoppressi. In questo genio122 entrava, per qualche parte, senza ch’egli sen’avvedesse, quella sua vecchia abitudine, e un resticciolo123 di spiritiguerreschi, che l’umiliazioni e le macerazioni non avevan potuto spegnerdel tutto. Il suo linguaggio era abitualmente umile e posato; ma, quandosi trattasse di giustizia o di verità combattuta,124 l’uomo s’animava, a untratto, dell’impeto antico, che, secondato e modificato da un’enfasi so-lenne, venutagli dall’uso del predicare, dava a quel linguaggio un carat-tere singolare. Tutto il suo contegno, come l’aspetto, annunziava unalunga guerra, tra un’indole focosa, risentita, e una volontà opposta, abi-tualmente vittoriosa, sempre all’erta, e diretta125 da motivi e da ispirazionisuperiori. Un suo confratello ed amico, che lo conosceva bene, l’aveva unavolta paragonato a quelle parole troppo espressive nella loro forma natu-rale, che alcuni, anche ben educati, pronunziano, quando la passione tra-bocca, smozzicate,126 con qualche lettera mutata; parole che, in quel tra-visamento, fanno però ricordare della loro energia primitiva.Se una poverella sconosciuta, nel tristo caso di Lucia, avesse chiestol’aiuto del padre Cristoforo, egli sarebbe corso immediatamente. Trattan-dosi poi di Lucia, accorse con tanta più sollecitudine, in quanto conosce-va e ammirava l’innocenza di lei, era già in pensiero per i suoi pericoli, esentiva un’indegnazione127 santa, per la turpe persecuzione della qualeera divenuta l’oggetto. Oltre di ciò, avendola consigliata, per il menomale, di non palesar nulla e di starsene quieta, temeva ora che il consigliopotesse aver prodotto qualche tristo effetto; e alla sollecitudine di carità,ch’era in lui come ingenita,128 s’aggiungeva, in questo caso, quell’angustiascrupolosa che spesso tormenta i buoni.Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, èarrivato, s’è affacciato all’uscio; e le donne, lasciando il manico del-l’aspo129 che facevan girare e stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce:«oh padre Cristoforo! sia benedetto!»

119. vita claustrale: vita monastica.120. gli ufizi: i compiti, gli incarichi.121. accomodar differenze: pareg-giare torti.122. genio: volontà, inclinazione.

123. resticciolo: residuo.124. verità combattuta: verità ostaco-lata, messa in discussione.125. diretta: spinta, indirizzata.126. smozzicate: incomplete, fram-

mentate.127. un’indegnazione: un’indignazione.128. ingenita: spontanea, naturale.129. aspo: arnese per avvolgere in ma-tasse il filo di fibre tessili.

Quali tratti della personalità di Lodovicoemergono nella nuova vitadi Cristoforo?

Fra Cristoforo arriva a casa delledonne

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Capitolo IV 101

Dentro il testoLaboratorio

1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

V F

a. Fra Cristoforo esce dal convento all’alba.

b. Il paesaggio che attraversa mostra chiaramente la ricchezza dei contadini.

c. Lodovico è figlio di un nobile milanese decaduto.

d. Fin dalla giovinezza Lodovico si dedica alle elemosine e alla carità.

e. Cristoforo è un fedele servitore di Lodovico.

f. Lodovico e un nobile signore si sfidano a duello per motivi di precedenza.

g. La morte del nobile e del fedele Cristoforo spinge Lodovico alla fuga.

h. Quando Lodovico si reca al palazzo del fratello del morto, l’uomo lo insulta e lo minaccia.

2. Compila la seguente “carta d’identità” di padre Cristoforo:

Nome di battesimo

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Età

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Origini sociali

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Aspetto fisico

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Motivi della sua scelta religiosa

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Tratti del carattere

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3. Completa la tabella inserendo i luoghi in cui si svolgono le azioni indicate nella prima colonna e i personaggiprotagonisti dei diversi momenti.

Azioni Luoghi Personaggi

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Il duello

La conversione

Il perdono

La narrazione

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102 Capitolo IV

4. Individua e riporta le strategie diplomatiche utilizzate dal padre guardiano per contenere l’ira del nobile eindurlo ad accettare la soluzione proposta, con l’indicazione delle righe di testo di riferimento.

a. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

b. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

c. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

d. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

5. Che cos’è il “pane del perdono” di cui si parla alle rr. 379-418?

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6. Rileggi le rr. 419-438, e individua da un lato le caratteristiche del fra Cristoforo “rinnovato” dall’esperienzareligiosa, e dall’altro la sopravvivenza di quelle del “vecchio” Lodovico:

Lodovico Fra Cristoforo

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7. Nella descrizione della campagna lombarda (rr. 8-30) quali aggettivi e avverbi utilizza il Narratore per evoca-re nel lettore lo spettro della miseria e della carestia?

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8. Il dialogo tra Lodovico e il nobile contiene una serie di formule stereotipate tipiche della sfida e del duello: indi-viduale e riportale con l’indicazione delle relative righe di riferimento.

a. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

b. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

c. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

d. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

9. Il disprezzo dei nobili nei confronti delle classi inferiori si manifesta anche nell’atteggiamento fisico; ripercor-ri il capitolo e individua i momenti in cui il volto e il corpo dei diversi personaggi esprimono, prima ancoradelle parole, la scarsa considerazione di cui godono coloro che non appartengono alla nobiltà.

a. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

b. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

c. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

d. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

10. Per la prima volta nel romanzo, si afferma positivamente la forza della Fede. Indica almeno due situazioni nelcapitolo in cui questo risulti evidente:

a. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

b. ......................................................................................................................................................................................................... rr. …..........…..……..

I temi

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Capitolo IV 103

11. Quasi tutto il capitolo è costituito da:

un flash-back una relazione storica un monologo interiore

12. Quale figura retorica è riconoscibile nelle rr. 46-49?

................................................................................................................................................................................................................................................................

................................................................................................................................................................................................................................................................

Le forme

13.

Il dizionario di Manzoni

Spiega il significato delle seguenti espressioni.

a. «ingozzarne una» (rr. 94-95): .........................................................................................................................................................................

b. «guardandosi in cagnesco» (r. 158): ..........................................................................................................................................................

c. «c’è stato tirato per i capelli» (r. 206): ...................................................................................................................................................

Passato ➔ Presente

Leggere ➔ Scrivere

In quale momento della vita quotidiana è possibile riconoscere la stessa dinamica di aggressività e disprezzo recipro-co presente nella sfida tra il nobile e Lodovico?

Trasforma l’incontro tra il padre provinciale e il fratello del nobile ucciso in discorso diretto, riproducendo il più pos-sibile le espressioni formali e cerimoniose dei due interlocutori.

Oltre il testo

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Capitolo XXVIII

rr. 1-120. L’aggravarsi della situazione sociale nel milanese. Dopole sommosse popolari per il pane, a Milano si crea un breve e arti-ficiale periodo di abbondanza alimentare, che porta ben prestoall’aggravarsi della situazione, con la definitiva penuria di risorse.

rr. 121-326. A Milano scoppia la carestia. Lo spettacolo dellacittà riflette la gravità della situazione: botteghe e case chiuse, stra-de affollate di mendicanti provenienti anche dalla campagna, mise-ria diffusa, epidemie, cadaveri abbandonati nelle vie. All’inefficienzadelle autorità compensa in parte la carità di privati cittadini e l’assi-stenza dei religiosi, primo fra tutti il cardinale Federigo.

rr. 327-465. Mendicanti e malati vengono rinchiusi nel lazzaretto.Di fronte al pericolo del contagio, i governanti impongono la reclusionedi mendicanti e malati nel lazzaretto; ma cattive condizioni, peggioreorganizzazione e oggettive difficoltà aggravano la situazione, e provoca-no un sempre maggior numero di morti. Finalmente giunge l’estatecon un nuovo raccolto di grano, che potrebbe riportare la normalità.

rr. 466-632. La guerra delle Nazioni e la calata dei lanzichenecchi.Ma un nuovo flagello incombe: i difficili rapporti politici fra i diversistati e alleanze rincrudiscono lo scontro bellico, e si fa imminente lacalata delle temute truppe imperiali, tristemente famose per i lorobrutali saccheggi. Il panico si diffonde soprattutto fra la gente dellacampagna. I lanzichenecchi stanno per giungere anche al paese deipromessi sposi.

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Capitolo XXVIII 487

• Come annunciato nella chiusa del capitolo precedente, comincia qui la più lunga e significativasezione del romanzo incentrata sulle condizioni storiche del periodo. Si protrarrà fino a tuttoil capitolo XXXII (con gli inserti narrativi dei capp. XXIX e XXX, direttamente dipendenti comunquedalle contingenze sociali), e farà relazione dettagliata e commentata di tre memorabili “flagelli” diquegli anni: la carestia, la guerra con la calata dei lanzichenecchi, e la peste.

• Il capitolo è suddiviso in due macrosequenze:a. descrizione della carestia in Milano nel suo processo economico-sociale (rr. 121-464);b. digressione sull’evoluzione della guerra tra Francia e Spagna, e sul passaggio delle truppe

imperiali in territorio lombardo (rr. 465-632).

• Sono presenti in queste pagine i due spazi tipici del romanzo: a. la città di Milano, luogo ideale per analizzare in modo dettagliato e circoscritto un fermento

altrimenti troppo generico quale la carestia;b. la campagna, luogo meno difeso e quindi destinato a subire le più gravi conseguenze delle deva-

stazioni belliche.

• A mettere “fisicamente” in relazione città e campagna è un’importante categoria di personaggi: icontadini, che affollano le strade di Milano in tempo di carestia. Come loro, protagonisti del capi-tolo sono i diversi gruppi sociali che compongono la popolazione della città, dagli strati più umilia quelli dei governanti, contro i quali si rivolge la polemica di Manzoni. Sono presenti nella rela-zione importanti figure storiche (dal cardinale Richelieu al generale Wallenstein), mentre sonodel tutto assenti i personaggi della trama principale.

• Continua la dilatazione del tempo della narrazione. I fatti esposti ricoprono infatti quasi unanno di storia: la carestia si estende dal novembre 1628 all’estate del ’29, le vicende della guerra ela calata dei lanzichenecchi dal marzo all’autunno del 1629.

• La trattazione sulla carestia e sulla guerra, oltre a illustrare gli interessi storici di Manzoni, è l’occa-sione per una costante e documentata polemica contro i governanti e i potenti, e si risolve in unademistificazione, in una denuncia di falsi miti e falsi valori della storia: i governanti di Milano nonsanno gestire l’emergenza della carestia, e non intuiscono i gravissimi rischi che il passaggio deglieserciti imperiali costituisce per il territorio e per la stessa città; i massimi responsabili della politicaeuropea attuano i loro piani e le loro strategie militari noncuranti delle realtà sociali e indifferenti aibisogni popolari, e per di più dimostrando incompetenza e irresponsabilità nelle loro stesse “arti”.

• Il capitolo è condotto tutto sul piano della relazione oggettiva e storica, ricorrendo dunque aun linguaggio prevalentemente scientifico e facendo riferimento costante a documenti e fontiscritte contemporanee agli avvenimenti (dal Ripamonti al Tadino). La vivacità e il gusto narrati-vo del discorso nasce dall’intersecarsi fra sequenze descrittive ed espositive da una parte, esequenze argomentative dall’altra, cioè con interventi diretti e aneddotica da parte dell’Autore.

• Tanto rispetto ai giudizi su fatti e personaggi storici, quanto sui modi dell’esposizione, ha gran-de rilievo nel capitolo il ricorso all’ironia con cui il Narratore descrive gli irrespon-sabili comportamenti della popolazione e dei funzionari milanesi nell’imminenzadella carestia, e la supposta intelligenza diplomatica dei grandi statisti.

• Il finale del capitolo ripropone un interessante aspetto propriamente narrativo: lacreazione dell’aspettativa, con la descrizione dell’incombente e temuto arri-vo dei lanzichenecchi dal punto di vista degli abitanti dei paesi minacciati.

La narrazione

I temi

Le forme

Mappa del capitolo

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personaggi

tempo

luoghi

dall’11 novembre 1628 al settembre 1629

Milano; il lazzaretto; i territori attraversati dai lanzichenecchi

gli abitanti di Milano; i governanti; i mendicanti; il cardinale Borromeo; ilanzichenecchi; i medici della sanità

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488 Capitolo XXVIII

Dopo quella sedizione del giorno di san Martino e del seguente,1 parveche l’abbondanza fosse tornata in Milano, come per miracolo. Pane inquantità da tutti i fornai; il prezzo, come nell’annate migliori; le farine aproporzione.2 Coloro che, in que’ due giorni, s’erano addati3 a urlare o a far anche qualcosa di più, avevano ora (meno alcuni pochi stati presi)4 diche lodarsi: e non crediate che se ne stessero,5 appena cessato quel primospavento delle catture. Sulle piazze, sulle cantonate, nelle bettole, era untripudio palese, un congratularsi e un vantarsi tra’ denti6 d’aver trovata lamaniera di far rinviliare7 il pane. In mezzo però alla festa e alla baldanza,c’era (e come non ci starebbe stata?) un’inquietudine, un presentimentoche la cosa non avesse a durare. Assediavano i fornai e i farinaioli,8 comegià avevan fatto in quell’altra fattizia9 e passeggiera abbondanza prodottadalla prima tariffa d’Antonio Ferrer; tutti consumavano senza risparmio;chi aveva qualche quattrino da parte, l’investiva in pane e in farine; face-van magazzino delle casse, delle botticine, delle caldaie.10 Così, facendo agara a goder del buon mercato presente, ne rendevano, non dico impos-sibile la lunga durata, che già lo era per sé, ma sempre più difficile anchela continuazione momentanea. Ed ecco che, il 15 di novembre, AntonioFerrer, De orden de Su Excelencia,11 pubblicò una grida, con la quale, achiunque avesse granaglie o farine in casa, veniva proibito di comprarnené punto né poco, e ad ognuno di comprar pane, per più che il bisogno didue giorni, sotto pene pecuniarie e corporali, all’arbitrio di Sua Eccel-lenza;12 intimazione a chi toccava per ufizio, e a ogni persona, di denun-ziare i trasgressori;13 ordine a’ giudici, di far ricerche nelle case che po-tessero venir loro indicate; insieme però, nuovo comando a’ fornai ditener le botteghe ben fornite di pane, sotto pena, in caso di mancamento,di cinque anni di galera, et maggiore, all’ arbitrio di S. E. Chi sa immagi-narsi una grida tale eseguita, deve avere una bella immaginazione; e

1. sedizione del giorno di sanMartino e del seguente: la ribellionedell’11 e del 12 novembre, che si eraconclusa con l’assalto ai forni (cfr.capp. XII e XIII).2. a proporzione: nella stessa propor-zione.3. addati: accaniti, adoperati.4. meno alcuni pochi stati presi:tranne quei pochi che erano stati cat-turati.5. se ne stessero: si accontentassero.

6. tra’ denti: sotto voce, senza farsinotare.7. rinviliare: far ribassare il prezzo.8. farinaioli: venditori di farina.9. fattizia: fittizia, artificiosa. L’Autoresi riferisce al provvedimento con cuiAntonio Ferrer aveva imposto che ilpane venisse venduto a un prezzo mas-simo (la meta) giusto e accessibile, mamolto inferiore al costo reale del grano.10. facevan magazzino … delle cal-daie: riempivano di grano e di farina

tutti i contenitori disponibili.11. De orden de Su Excelencia: perordine di Sua Eccellenza: è la formulaufficiale con cui cominciavano le gride.12. all’arbitrio di Sua Eccellenza: adiscrezione del governatore.13. intimazione … di denunziare itrasgressori: con l’ordine di denuncia-re i trasgressori sia a quelli che doveva-no farlo per dovere d’ufficio che aicomuni cittadini.

Protagonista principale: il SeicentoComincia ora la sezione più consistente di capitoli dedicati alla società del tempo,sotto forma di veri e propri saggi storici. L’ambientazione storica e culturale deiPromessi Sposi nel ’600 costituisce un elemento così significativo e determinan-te nella narrazione della storia privata di Renzo e Lucia da assumere, secondomolti lettori accorti, un ruolo fondamentale, se non addirittura principale. Se neaccorse subito, all’uscita della prima edizione nel 1827, il magistrato milaneseParide Zajotti, che così commentò il romanzo sulla rivista “La biblioteca italiana”.

«I casi di Renzo e Lucia posson sembrare principali soltanto a chi vuole appli-care a questo romanzo la solita norma: ma chi ben lo considera, tosto s’ac-corge che il primo scopo sta nel descrivere l’andamento della civile societànel ducato di Milano sul cominciare del secolo decimosettimo. Questo è ilpunto a cui tutte le fila convergono, di qui bisogna partire per trovare la spie-gazione di tanti episodi, coi quali il Manzoni è digresso dalla sua storia».

(Paride Zajotti, 1827)

Il Narratore è polemico: si tratta di un’abbondanzasolo apparente. Perché?

L’aggravarsi dellasituazione socialenel milanese

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certo, se tutte quelle che si pubblicavano in quel tempo erano eseguite, ilducato di Milano doveva avere almeno tanta gente in mare, quanta nepossa avere ora la gran Bretagna.14

Sia com’esser si voglia,15 ordinando al fornai di far tanto pane, bisognavaanche fare in modo che la materia del pane non mancasse loro. S’era im-maginato (come sempre in tempo di carestia rinasce uno studio di ri-durre16 in pane de’ prodotti che d’ordinario si consumano sott’altraforma), s’era, dico immaginato di far entrare il riso nel composto delpane detto di mistura.17 Il 23 di novembre, grida che sequestra, agli or-dini del vicario e de’ dodici di provvisione,18 la metà del riso vestito,19 (ri-sone lo dicevano qui, e lo dicon tuttora) che ognuno possegga; pena achiunque ne disponga senza il permesso di que’ signori, la perdita delladerrata, e una multa di tre scudi per moggio. È, come ognun vede, la piùonesta.Ma questo riso bisognava pagarlo, e un prezzo troppo sproporzionato20

da quello del pane. Il carico di supplire all’enorme differenza era stato im-posto alla città; ma il Consiglio de’ decurioni, che l’aveva assunto per essa,deliberò, lo stesso giorno 23 di novembre, di rappresentare21 al governa-tore l’impossibilità di sostenerlo più a lungo. E il governatore, con gridadel 7 di dicembre, fissò il prezzo del riso suddetto a lire dodici il moggio:a chi ne chiedesse di più, come a chi ricusasse22 di vendere, intimò la per-dita della derrata e una multa d’altrettanto valore, et maggior pena pecu-niaria et ancora corporale sino alla galera, all’arbitrio di S. E., secondo laqualità de’ casi et delle persone.Al riso brillato era già stato fissato il prezzo prima della sommossa; comeprobabilmente la tariffa o, per usare quella denominazione celeberrimanegli annali moderni, il maximum23 del grano e dell’altre granaglie più or-dinarie sarà stato fissato con altre gride, che non c’è avvenuto di vedere.Mantenuto così il pane e la farina a buon mercato in Milano, ne veniva diconseguenza che dalla campagna accorresse gente a processione a com-prarne. Don Gonzalo, per riparare a questo, come dice lui, inconve-niente,24 proibì, con un’altra grida del 15 di dicembre, di portar fuori dellacittà pane, per più del valore di venti soldi; pena la perdita del pane me-

Dopo la rivolta, a Milano pane e farina tornarono abuon prezzo, ma c’era il presentimento che la cosanon sarebbe durata e chi aveva quattrini da partecomprava questi alimenti e li conservava.Cominciò così a scarseggiare la merce.Il 15 novembre Antonio Ferrer pubblicò unagrida che proibiva di comprare più farina e panedel necessario, ordinava a tutti di denunziare itrasgressori e ai fornai di mantenere le botteghefornite di pane. Questo però era impossibile, per-

ché per fare il pane bisognava avere la farina.Si pensò allora di mescolare il riso nel composto:una grida ordinò a tutti di consegnare la metà del riso in loro possesso e un’altra grida fissò ilprezzo e una serie di punizioni per chi chiedevadi più.Poiché a Milano i prodotti erano a buon mercato,molta gente accorse dalla campagna e allora altregride proibirono di portare pane, farina e granofuori della città.

14. il ducato di Milano … la gran Bre-tagna: in modo ironico Manzoni sottoli-nea l’impossibilità di eseguire gli ordinidel governatore: se fossero stati arrestatie condannati a remare sulle galere tutti itrasgressori, il ducato di Milano avrebbeavuto una flotta più consistente di quel-la della Gran Bretagna nel XIX secolo.15. Sia com’esser si voglia: comun-que sia, in ogni caso.16. studio di ridurre: sforzo di tra-sformare.17. mistura: fatta dalla mescolanza di

farine diverse.18. dodici di provvisione: erano idodici nobili, scelti tra la magistraturadei decurioni e presieduti dal vicario,che avevano il compito di approvvigio-nare la città (cfr. cap. XII).19. riso vestito: riso grezzo, non bril-lato, ancora rivestito del suo involucro.20. troppo sproporzionato: tropposuperiore a quello con cui si metteva invendita il pane.21. rappresentare: spiegare.22. ricusasse: rifiutasse.

23. il maximum: il prezzo massimoimposto per legge. Il termine fu larga-mente utilizzato durante laRivoluzione francese: nel 1793Robespierre impose il calmiere ai prez-zi dei cereali per favorire l’alimentazio-ne delle città a buon mercato.24. inconveniente: don Gonzalo si mo-stra incapace di comprendere la gravitàdella situazione e considera un sempli-ce “inconveniente” il massiccio flusso dicontadini che, per la carestia, si sposta-no dalle campagne verso la città.

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Il carattere scientifico e saggistico del racconto èsostenuto anche dalla citazione diretta dei documenti storici.

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desimo, e venticinque scudi, et in caso di inhabilità,25 di due tratti di cordain pubblico, et maggior pena ancora, secondo il solito, all’arbitrio di S. E. Il22 dello stesso mese (e non si vede perché così tardi) pubblicò un ordinesomigliante per le farine e per i grani.La moltitudine aveva voluto far nascere l’abbondanza col saccheggio econ l’incendio; il governo voleva mantenerla con la galera e con la corda.I mezzi erano convenienti26 tra loro; ma cosa avessero a fare col fine, illettore lo vede: come valessero in fatto ad ottenerlo, lo vedrà a momenti.È poi facile anche vedere, e non inutile l’osservare come tra quegli straniprovvedimenti ci sia però una connessione necessaria: ognuno era unaconseguenza inevitabile dell’antecedente, e tutti del primo, che fissava alpane un prezzo così lontano dal prezzo reale, da quello cioè che sarebberisultato naturalmente dalla proporzione tra il bisogno e la quantità. Allamoltitudine un tale espediente è sempre parso, e ha sempre dovuto pa-rere, quanto conforme all’equità,27 altrettanto semplice e agevole a met-tersi in esecuzione: è quindi cosa naturale che, nell’angustie e ne’ pati-menti della carestia, essa lo desideri, l’implori e, se può, l’imponga. Dimano in mano poi che le conseguenze si fanno sentire, conviene che co-loro a cui tocca,28 vadano al riparo di ciascheduna, con una legge la qualeproibisca agli uomini di far quello a che eran portati dall’antecedente. Cisi permetta d’osservar qui di passaggio una combinazione singolare. Inun paese e in un’epoca vicina, nell’epoca la più clamorosa e la più nota-bile della storia moderna,29 si ricorse, in circostanze simili, a simili espe-dienti (i medesimi, si potrebbe quasi dire, nella sostanza, con la sola dif-ferenza di proporzione, e a un di presso nel medesimo ordine)30 ad ontade’ tempi tanto cambiati, e delle cognizioni cresciute31 in Europa, e inquel paese forse più che altrove; e ciò principalmente perché la granmassa popolare, alla quale quelle cognizioni non erano arrivate, poté farprevalere a lungo il suo giudizio, e forzare, come colà si dice, la mano aquelli che facevan la legge.Così, tornando a noi, due erano stati, alla fin de’ conti, i frutti principali

25. in caso di inhabilità: nel casosiano impossibilitati a pagare.26. convenienti: corrispondenti, coe-renti. La coerenza tra le violente impo-sizioni popolari e i coercitivi provvedi-menti governativi sta nella loro inade-guatezza a risolvere la situazione enella loro irrazionalità, che lo spirito

illuminista del Manzoni non può checondannare.27. quanto conforme all’equità: inquanto giusto.28. coloro a cui tocca: i governanti.29. In un paese … della storiamoderna: nella Francia tra il 1789 e1799, nel momento più rivoluzionario

dell’epoca moderna.30. a un di presso nel medesimo ordi-ne: all’incirca nella stessa successione.31. ad onta de’ tempi tanto cambia-ti, e delle cognizioni cresciute: nono-stante fossero mutati i tempi e fosseroaumentate le conoscenze in campoeconomico.

Le piaghe d’Egitto, a Milano e dintorniAnnunciata fin dalle prime pagine del libro (cfr. cap. IV, rr. 1-32), irrompe nellastoria la carestia. È il primo dei tre “flagelli” che devasteranno lo scenario e lapopolazione del romanzo, uno dietro l’altro, uno collegato all’altro: la carestia, laguerra, la peste.Le tre straordinarie disgrazie sociali vengono descritte nel loro concreto aspettostorico, ma assumono anche il carattere di avvenimenti apocalittici e fatali, quasiintervenissero per un imperscrutabile volere divino a stravolgere le vicende pub-bliche e private, per portare e stabilire un nuovo ordine, un nuovo scenario.Per questo, in simili occasioni, si usa l’immagine e l’espressione delle “piaghe d’Egitto”, il più antico eautorevole esempio culturale di tale fenomeno nella tradizione religiosa occidentale. Nella Bibbia si leggeinfatti che il patriarca ebreo Mosè, per liberare il suo popolo schiavizzato dal Faraone, scatenò controil popolo egiziano, e grazie all’intervento di Dio, dieci tremende “piaghe”: l’acqua mutata in sangue; l’in-vasione delle rane; l’invasione delle zanzare; l’invasione dei mosconi; la morte del bestiame; l’epidemiadi ulcere; la grandine; l’invasione delle cavallette; le tenebre perpetue; la strage dei primogeniti.

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Il Narratore critica i comportamenti del popoloe dei governanti per la loro:a) diplomazia e ambiguitàb) violenza

e contraddittorietàc) violenza e inadeguatezza

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della sommossa; guasto32 e perdita effettiva di viveri, nella sommossamedesima; consumo, fin che durò la tariffa, largo, spensierato, senza mi-sura, a spese di quel poco grano, che pur doveva bastare fino alla nuovaraccolta. A questi effetti generali s’aggiunga quattro disgraziati, impiccaticome capi del tumulto: due davanti al forno delle grucce, due in cimadella strada dov’era la casa del vicario di provvisione.Del resto, le relazioni storiche di que’ tempi son fatte così a caso, che nonci si trova neppur la notizia del come e del quando cessasse quella tariffaviolenta.33 Se, in mancanza di notizie positive, è lecito propor congetture,noi incliniamo a credere che sia stata abolita poco prima o poco dopo il24 di dicembre, che fu il giorno di quell’esecuzione. E in quanto allegride, dopo l’ultima che abbiam citata del 22 dello stesso mese, non netroviamo altre in materia di grasce;34 sian esse perite, o siano sfuggite allenostre ricerche, o sia finalmente35 che il governo, disanimato,36 se nonammaestrato dall’inefficacia di que’ suoi rimedi, e sopraffatto dalle cose,le abbia abbandonate al loro corso. Troviamo bensì37 nelle relazioni di piùd’uno storico (inclinati, com’erano, più a descriver grand’avvenimenti chea notarne le cagioni e il progresso)38 il ritratto del paese, e della città prin-cipalmente, nell’inverno avanzato e nella primavera, quando la cagion delmale,39 la sproporzione cioè tra i viveri e il bisogno, non distrutta, anziaccresciuta da’ rimedi che ne sospesero temporariamente gli effetti, eneppure da un’introduzione sufficiente di granaglie estere, alla qualeostavano l’insufficienza40 de’ mezzi pubblici e privati, la penuria de’ paesicirconvicini, la scarsezza, la lentezza e i vincoli del commercio, e le leggistesse tendenti a produrre e mantenere il prezzo basso, quando, dico, lacagion vera della carestia, o per dir meglio, la carestia stessa operavasenza ritegno, e con tutta la sua forza. Ed ecco la copia di quel ritratto do-loroso.A ogni passo, botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile41 spettacolo, un corso incessante di miserie, un sog-giorno perpetuo di patimenti. Gli accattoni di mestiere,42 diventati ora ilminor numero, confusi e perduti in una nuova moltitudine, ridotti a liti-gar l’elemosina con quelli talvolta da cui in altri giorni l’avevan ricevuta.

Tutti quei provvedimenti erano una conseguenzadel primo, che fissava un prezzo del pane inferiorea quello reale; al popolo, questo modo di risolvereil problema è sempre apparso giusto, ma i gover-nanti dovrebbero trovare dei rimedi man mano chele conseguenze si fanno sentire.Gli esiti della sommossa erano stati la distruzio-ne di grano e il consumo eccessivo di quello chedoveva bastare fino al nuovo raccolto. Un’altraconseguenza fu l’impiccagione di quattro

disgraziati condannati come capi del tumulto.Dopo la loro uccisione fu abolito il prezzo massimodel pane e non ci furono altre gride; ci furono inve-ce relazioni di storici sulle condizioni della città,nel periodo in cui la carestia operava con tutta lasua forza.A ogni passo c’erano botteghe e fabbriche abban-donate; le strade erano uno spettacolo di miseria edi sofferenza; gli accattoni litigavano per l’elemosi-na. Si vedevano garzoni licenziati dai padroni...

32. guasto: distruzione.33. tariffa violenta: il prezzo del paneimposto con la forza dalla massa inrivolta.34. grasce: vettovaglie, viveri (dal lati-no volgare crassia, plurale del latinoclassico crassum, grasso).35. finalmente: alla fine.36. disanimato: scoraggiato.37. bensì: invece.38. più a descriver grand’avveni-menti che a notarne le cagioni e ilprogresso: la polemica di Manzoni si

rivolge a una storiografia che, intentasolo a raccontare grandi eventi e azio-ni di singoli individui, non indaga sullecause dei fatti e non si occupa delleconseguenze di questi sulla vita degli“umili”.39. la cagion del male: la vera causadella carestia.40. alla quale ostavano l’insufficien-za: che era ostacolata dall’inadeguatez-za.41. indicibile: indescrivibile. Inizia iltragico affresco manzoniano di una

città ridotta allo stremo dalla mancan-za di cibo e dalle malattie, nella qualela miseria travolge tutti, i più povericome coloro che prima della carestiagodevano di una situazione economicasicura o addirittura privilegiata.42. accattoni di mestiere: coloro chegià prima della crisi facevano i mendi-canti.

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Gli stessi governanti noncredono più nell’efficaciadelle leggi.

A Milano scoppiala carestia

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Garzoni e giovani43 licenziati da padroni di bottega, che, scemato44 omancato affatto il guadagno giornaliero, vivevano stentatamente degliavanzi e del capitale; de’ padroni stessi, per cui il cessar delle faccende45

era stato fallimento e rovina; operai, e anche maestri d’ogni manifattura ed’ogn’arte, delle più comuni come delle più raffinate, delle più necessariecome di quelle di lusso, vaganti di porta in porta, di strada in istrada, ap-poggiati alle cantonate, accovacciati sulle lastre, lungo le case e le chiese,chiedendo pietosamente l’elemosina, o esitanti tra il bisogno e una vergo-gna non ancor domata, smunti, spossati, rabbrividiti dal freddo e dallafame ne’ panni logori e scarsi, ma che in molti serbavano46 ancora i segnid’un’antica agiatezza; come nell’inerzia e nell’avvilimento, compariva nonso quale indizio d’abitudini operose e franche.47 Mescolati tra la deplora-bile48 turba, e non piccola parte di essa, servitori licenziati da padroni ca-duti allora dalla mediocrità nella strettezza, o che quantunque facoltosis-simi49 si trovavano inabili, in una tale annata, a mantenere quella solitapompa50 di seguito. E a tutti questi diversi indigenti s’aggiunga un nu-mero d’altri, avvezzi in parte a vivere del guadagno di essi: bambini,donne, vecchi, aggruppati51 co’ loro antichi sostenitori, o dispersi in altreparti all’accatto.52

C’eran pure, e si distinguevano ai ciuffi arruffati, ai cenci sfarzosi,53 oanche a un certo non so che nel portamento e nel gesto, a quel marchio54

che le consuetudini stampano su’ visi, tanto più rilevato e chiaro, quantopiù sono strane, molti di quella genìa55 de’ bravi che, perduto, per la con-dizion comune, quel loro pane scellerato, ne andavan chiedendo per ca-rità. Domati dalla fame, non gareggiando con gli altri che di preghiere,spauriti, incantati,56 si strascicavan per le strade che avevano per tantotempo passeggiate57 a testa alta, con isguardo sospettoso e feroce, vestitidi livree ricche e bizzarre, con gran penne, guarniti di ricche armi, attil-lati, profumati; e paravano58 umilmente la mano, che tante volte avevanoalzata insolente a minacciare, o traditrice a ferire.Ma forse il più brutto e insieme il più compassionevole spettacolo erano i

43. Garzoni e giovani: apprendisti eaiutanti.44. scemato: ridotto.45. faccende: affari.46. serbavano: conservavano.47. indizio d’abitudini operose efranche: i segni di una vita laboriosa eonesta.48. deplorabile: miserevole.49. facoltosissimi: ricchissimi.

50. solita pompa: abituale sfarzo.51. aggruppati: insieme.52. all’accatto: a chiedere l’elemosina.53. si distinguevano ai ciuffi arruffa-ti, ai cenci sfarzosi: i bravi, che sidistinguevano per il ciuffo e per gli abitiun tempo eleganti. La tragedia che col-pisce la popolazione assume una fun-zione livellatrice poiché pone nelle stes-se condizioni oppressori e oppressi.

54. marchio: segno indelebile.55. genìa: specie malvagia.56. incantati: con lo sguardo perso nelvuoto.57. passeggiate: percorse.58. paravano: stendevano. L’umilegesto di richiesta d’aiuto da parte diviolenti prevaricatori sancisce il capo-volgimento totale della normalità pro-vocato dalla carestia.

Il prezzo della vita

Nel Seicento, il bilancio annuale di spese di una famiglia media (composta da cinque persone) era di circa250 lire. Secondo le statistiche, erano così suddivise:

• Pane, cerali, legumi lire 200 • Imposte lire 3• Ortaggi e frutta lire 2 • Spese di culto e confraternite lire 5• Carne e latticini lire 6 • Vestiario lire 6• Sale lire 13 • Illuminazione e riscaldamento lire 6• Abitazione lire 9

Il bene d’uso primario, la spesa più significativa, era quella del pane: da questo possiamo comprenderemeglio la gravità della carestia di cui si parla nel romanzo.

La triste “giustizia” del flagello: tutte le classisociali subiscono i mali della carestia.

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contadini, scompagnati,59 a coppie, a famiglie intere; mariti, mogli, conbambini in collo, o attaccati dietro le spalle, con ragazzi per la mano, convecchi dietro. Alcuni che, invase e spogliate le loro case dalla soldatesca,alloggiata lì o di passaggio, n’eran fuggiti disperatamente; e tra questi cen’era di quelli che, per far più compassione, e come per distinzione di mi-seria,60 facevan vedere i lividi e le margini61 de’ colpi ricevuti nel difen-dere quelle loro poche ultime provvisioni,62 o scappando da una sfrena-tezza63 cieca e brutale. Altri, andati esenti da quel flagello particolare, maspinti da que’ due da cui nessun angolo era stato immune, la sterilità e legravezze,64 più esorbitanti65 che mai per soddisfare a ciò che si chiamavai bisogni della guerra, eran venuti, venivano alla città, come a sede anticae ad ultimo asilo di ricchezza e di pia munificenza.66 Si potevan distin-guere gli arrivati di fresco, più ancora che all’andare incerto e all’arianuova, a un fare maravigliato e indispettito di trovare una tal piena, unatale rivalità di miseria, al termine dove avevan creduto di comparire67 og-getti singolari di compassione, e d’attirare a sé gli sguardi e i soccorsi. Glialtri che da più o men tempo giravano e abitavano le strade della città, te-nendosi ritti co’ sussidi ottenuti o toccati come in sorte, in una tantasproporzione tra i mezzi e il bisogno, avevan dipinta ne’ volti e negli attiuna più cupa e stanca costernazione.68 Vestiti diversamente, quelli che an-cora si potevano dir vestiti; e diversi anche nell’aspetto: facce dilavate delbasso paese,69 abbronzate del pian di mezzo70 e delle colline, sanguigne dimontanari; ma tutte affilate e stravolte, tutte con occhi incavati, conisguardi fissi, tra il torvo e l’insensato; arruffati i capelli, lunghe e irsute lebarbe: corpi cresciuti e indurati71 alla fatica, esausti ora dal disagio; rag-grinzata la pelle sulle braccia aduste72 e sugli stinchi e sui petti scarniti,che si vedevan di mezzo ai cenci scomposti. E diversamente, ma nonmeno doloroso di questo aspetto di vigore abbattuto, l’aspetto d’una na-tura più presto vinta, d’un languore e d’uno sfinimento più abbandonato,nel sesso e nell’età più deboli.73

Qua e là per le strade, rasente ai muri delle case, qualche po’ di pagliapesta, trita e mista d’immondo ciarpume.74 E una tal porcheria era peròun dono e uno studio della carità; eran covili75 apprestati a qualchedunodi que’ meschini, per posarci il capo la notte. Ogni tanto, ci si vedeva,

... che vivevano degli avanzi; operai e artigiani chechiedevano l’elemosina, servitori licenziati e ungran numero di bambini, donne e vecchi.Si distinguevano per gli sfarzosi abiti consumatii bravi, che chiedevano la carità, ma lo spettaco-lo più pietoso erano i contadini: alcuni eranofuggiti dai soldati e per fare compassionemostravano le ferite; altri che, spinti dalla care-stia e dalle tasse, erano venuti in città pensando

a un luogo ricco, erano meravigliati di trovaretanta miseria.Quelli che giravano da tempo per le strade dellacittà avevano la disperazione dipinta nei volti e neigesti. Tutti erano magri e stravolti, con gli occhiincavati, gli sguardi fissi, i capelli arruffati, le barbelunghe e irsute, i corpi esausti, la pelle rugosa.Vicino ai muri delle case, si vedevano i giacigli perla notte fatti di paglia mista a immondizia.

59. scompagnati: soli.60. come per distinzione di miseria:per rendere più visibile la loro miseriarispetto a quella degli altri.61. le margini: le cicatrici.62. provvisioni: provviste.63. sfrenatezza: violenza gratuita.64. la sterilità e le gravezze: la man-canza di raccolto e le imposte.65. esorbitanti: eccessive, insosteni-bili.66. munificenza: generosità.67. al termine dove avevan creduto

di comparire: nel luogo dove pensava-no di apparire.68. stanca costernazione: un abbatti-mento privo di speranze. Dopo la pro-strazione fisica, la carestia comincia aindebolire l’animo degli uomini,togliendo loro ogni speranza.69. facce dilavate del basso paese:volti pallidi della pianura.70. del pian di mezzo: della mezzacollina.71. indurati: irrobustiti.72. aduste: riarse dal sole.

73. nel sesso e nell’età più deboli:donne, vecchi e bambini.74. paglia pesta, trita e mista d’im-mondo ciarpume: paglia schiacciata emescolata a rifiuti di ogni genere. Ilcrudo realismo dell’immagine rimandaal lettore la condizione ormai animale-sca nella quale gli abitanti sopravvi-vono.75. covili: giacigli, ma il termine evocapiù l’esistenza degli animali che quelladegli uomini (cfr. nota precedente).

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È il tragico spettacolodell’“esodo”, che accompagna tutte le grandi calamità sociali.

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anche di giorno, giacere o sdraiarsi taluno a cui la stanchezza o il digiunoaveva levate le forze e tronche76 le gambe: qualche volta quel tristo lettoportava un cadavere: qualche volta si vedeva uno cader come un cencioall’improvviso, e rimaner cadavere sul selciato.Accanto a qualcheduno di que’ covili, si vedeva pure chinato qualche pas-seggiero o vicino, attirato da una compassion subitanea. In qualche luogoappariva un soccorso ordinato con più lontana previdenza,77 mosso dauna mano ricca di mezzi, e avvezza a beneficare in grande; ed era lamano del buon Federigo. Aveva scelto sei preti ne’ quali una carità viva e perseverante fosse accom-pagnata e servita da una complessione robusta;78 gli aveva divisi in coppie,e ad ognuna assegnata una terza parte della città da percorrere con dietrofacchini carichi di vari cibi, d’altri più sottili e più pronti ristorativi,79 e divesti. Ogni mattina, le tre coppie si mettevano in istrada da diverse parti,s’avvicinavano a quelli che vedevano abbandonati per terra, e davano a cia-scheduno aiuto secondo il bisogno. Taluno già agonizzante e non più incaso di ricevere alimento, riceveva gli ultimi soccorsi e le consolazioni dellareligione. Agli affamati dispensavano minestra, ova, pane, vino; ad altri,estenuati da più antico digiuno, porgevano consumati, stillati,80 vino piùgeneroso, riavendoli prima, se faceva di bisogno, con cose spiritose.81 In-sieme, distribuivano vesti alle nudità più sconce e più dolorose.Né qui finiva la loro assistenza: il buon pastore aveva voluto che, almenodov’essa poteva arrivare, recasse un sollievo efficace e non momentaneo.Ai poverini a cui quel primo ristoro avesse rese forze bastanti per reggersie per camminare, davano un po’ di danaro, affinché il bisogno rinascentee la mancanza d’altro soccorso non li rimettesse ben presto nello stato diprima; agli altri cercavano ricovero e mantenimento, in qualche casadelle più vicine. In quelle de’ benestanti, erano per lo più ricevuti per ca-rità, e come raccomandati dal cardinale; in altre, dove alla buona volontàmancassero i mezzi, chiedevan que’ preti che il poverino fosse ricevuto adozzina,82 fissavano il prezzo, e ne sborsavan subito una parte a conto.Davano poi, di questi ricoverati, la nota83 ai parrochi, acciocché li visitas-sero; e tornavano essi medesimi a visitarli.

76. tronche: spezzate, infiacchite (dalverbo “troncare”).77. lontana previdenza: previsionelungimirante. L’intervento caritatevoledi Federigo Borromeo si distingue perla sua razionalità e supplisce, come èpossibile, l’assenza dello stato.

78. complessione robusta: corpora-tura forte.79. più sottili … ristorativi: sostanzepiù liquide e di più immediato effetto.80. consumati, stillati: brodi ristretti(corrisponde al francese consommè) etonici rinforzanti.

81. cose spiritose: bevande a base al-colica per rianimare i più deboli.82. fosse ricevuto a dozzina: fossealloggiato a pagamento.83. la nota: l’elenco.

Morire di fame e di seteLa carestia si verifica ogni volta che in una regione oin un paese vengono a mancare viveri sufficienti agarantire la sopravvivenza della popolazione, comeaccadde appunto nel milanese negli anni in cui si svol-ge la nostra storia. Si tratta di un fenomeno quasiscomparso in Europa (l’ultima carestia di grandi pro-porzioni fu quella del 1921 in Russia), ma che flagel-la ancora molte zone della Terra. Le cause sono sem-pre le stesse: negative contingenze naturali, malgo-verno, epidemie, guerre. Le conseguenze sono sem-pre le stesse: morti per fame, sete, malattia. Le vitti-me principali sono sempre le stesse: i più deboli, i piùpoveri, i più fragili come i bambini. Ecco due esempi didrammatica attualità, da notizie di agenzia di stampa.

Corea del NordAllarme carestia per il 2005

Il Paese resta in una gravissima situazione di carestia:per il 2005 mancano 500mila tonnellate di cibo, ovvero

oltre sei milioni di persone (un quarto della popolazione)potranno essere ridotte alla fame se tale deficit non verràcolmato grazie agli aiuti stranieri.

Dafur, SudanRoma, 20 maggio 2004 -Secondo una recente indagi-ne condotta da Medici SenzaFrontiere in Darfur (Sudanoccidentale), sulla regioneincombe la minaccia di unacarestia. Lo studio mostratassi di mortalità e malnutri-zione pericolosamente alti,con un rapido deterioramento

della situazione alimentare.Già si registrano alti livelli dimortalità e malnutrizione – el’intera popolazione vacillasull’orlo di una carestia diproporzioni enormi. Lo studioha trovato che circa il 5% deibambini sotto i cinque annisono morti durante gli ulti-mi tre mesi.

Il lessico usato in queste righe è:a) realisticob) macabro

Nelle situazioni di drammasociale, risalta sempre in positivo il ceto degli ecclesiastici.

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Non c’è bisogno di dire che Federigo non ristringeva le sue cure a questaestremità di patimenti,84 né l’aveva aspettata per commoversi. Quella ca-rità ardente e versatile doveva tutto sentire,85 in tutto adoprarsi, accorreredove non aveva potuto prevenire, prender, per dir così, tante forme, inquante variava il bisogno. Infatti, radunando tutti i suoi mezzi, rendendopiù rigoroso il risparmio, mettendo mano a risparmi destinati ad altre li-beralità,86 divenute ora d’un’importanza troppo secondaria, aveva cercatoogni maniera di far danari, per impiegarli tutti in soccorso degli affamati.Aveva fatte gran compre di granaglie, e speditane una buona parte ai luo-ghi della diocesi, che n’eran più scarsi; ed essendo il soccorso troppo in-feriore al bisogno, mandò anche del sale, «con cui,» dice, raccontando lacosa, il Ripamonti, «l’erbe del prato e le cortecce degli alberi si conver-tono in cibo.»87 Granaglie pure e danari aveva distribuiti ai parrochi dellacittà; lui stesso la visitava, quartiere per quartiere, dispensando elemo-sine; soccorreva in segreto molte famiglie povere; nel palazzo arcivesco-vile, come attesta uno scrittore contemporaneo, il medico Alessandro Ta-dino,88 in un suo Ragguaglio che avremo spesso occasion di citare andando avanti, si distribuivano ogni mattina due mila scodelle di mine-stra di riso.Ma questi effetti di carità, che possiamo certamente chiamar grandiosi,quando si consideri che venivano da un sol uomo e dai soli suoi mezzi(giacché Federigo ricusava, per sistema, di farsi dispensatore delle libera-lità altrui);89 questi, insieme con le liberalità d’altre mani private, se noncosì feconde, pur numerose; insieme con le sovvenzioni che il Consigliode’ decurioni aveva decretate, dando al tribunal di provvisione l’incom-benza di distribuirle; erano ancor poca cosa in paragone del bisogno.Mentre ad alcuni montanari vicini a morir di fame, veniva, per la caritàdel cardinale, prolungata la vita, altri arrivavano a quell’estremo; i primi,finito quel misurato soccorso, ci ricadevano; in altre parti, non dimenti-cate, ma posposte, come meno angustiate,90 da una carità costretta a sce-gliere, l’angustie divenivan mortali; per tutto si periva, da ogni parte s’ac-correva alla città. Qui, due migliaia, mettiamo, d’affamati più robusti edesperti a superar la concorrenza e a farsi largo, avevano acquistata unaminestra, tanto da non morire in quel giorno; ma più altre migliaia rima-nevano indietro, invidiando quei, diremo noi, più fortunati, quando, tra irimasti indietro, c’erano spesso le mogli, i figli, i padri loro? E mentre in

Ogni tanto qualcuno si sdraiava per la stanchezzao moriva all’improvviso.Per soccorrere i bisognosi, Federigo Borromeoaveva scelto sei preti, li aveva divisi in coppie e aognuna aveva assegnata una parte della città dapercorrere con cibi e vesti. A quelli che avevano laforza per camminare davano un po’ di danaro, pergli altri cercavano ricovero in qualche casa vicina.Federigo non limitava le sue cure alle situazioni

estreme: per il soccorso degli affamati aveva com-prato grano e sale e lo aveva spedito nei luoghi piùpoveri della diocesi; aveva distribuito grano e dena-ro ai parroci della città; dava elemosine e soccorre-va in segreto molte famiglie; nel palazzo arcivesco-vile si distribuivano ogni mattina duemila scodelledi minestra di riso.Ma questa carità, grandiosa per un solo uomo, eraancora poco rispetto al bisogno. Dappertutto si moriva.

84. non ristringeva le sue cure aquesta estremità di patimenti: nonlimitava il suo intervento alle situazio-ni estreme. 85. doveva tutto sentire: si accorgevadi tutto.86. altre liberalità: altre forme dicarità.87. «con cui … si convertono incibo»: la citazione, che rispecchia la

gravità della situazione con la gentecostretta a cibarsi di erbe e corteccesalate, è presa dal trattato HistoriaPatria (V, libro VI) di GiovanniRipamonti, lo storico milanese checostituisce per Manzoni la principalefonte sulla vita sociale del ’600.88. Alessandro Tadino: medico mila-nese (1580-1661) che fece parte delTribunale della sanità.

89. ricusava, per sistema, di farsidispensatore delle liberalità altrui:evitava, per principio e come sistemadi comportamento, di distribuire ledonazioni altrui.90. in altre parti, non dimenticate,ma posposte, come meno angustiate:in altri luoghi dove le condizioni eranomeno drammatiche e che venivano visi-tati in un secondo momento.

in altre parole

La carità del cardinale si realizza in molti modi;quali?

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alcune parti della città, alcuni di quei più abbandonati e ridotti all’e-stremo venivan levati di terra, rianimati, ricoverati e provveduti per qual-che tempo; in cent’altre parti, altri cadevano, languivano o anche spira-vano, senza aiuto, senza refrigerio.91

Tutto il giorno, si sentiva per le strade un ronzìo confuso di voci suppli-chevoli: la notte, un susurro di gemiti, rotto di quando in quando da altilamenti scoppiati all’improvviso, da urli, da accenti profondi d’invoca-zione, che terminavano in istrida acute.È cosa notabile che, in un tanto eccesso di stenti, in una tanta varietà di querele,92 non si vedesse mai un tentativo, non iscappasse mai un grido disommossa: almeno non se ne trova il minimo cenno. Eppure, tra coloroche vivevano e morivano in quella maniera, c’era un buon numero d’uo-mini educati a tutt’altro che a tollerare; c’erano a centinaia, di que’ mede-simi che, il giorno di san Martino, s’erano tanto fatti sentire. Né si puòpensare che l’esempio de’ quattro disgraziati che n’avevan portata lapena93 per tutti, fosse quello che ora li tenesse tutti a freno: qual forza po-teva avere, non la presenza, ma la memoria de’ supplizi sugli animi d’unamoltitudine vagabonda e riunita, che si vedeva come condannata a unlento supplizio, che già lo pativa? Ma noi uomini siam in generale fatticosì: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani,94 e ci cur-viamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati ma stu-pidi, il colmo95 di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile.Il vòto96 che la mortalità faceva ogni giorno in quella deplorabile moltitu-dine, veniva ogni giorno più che riempito: era un concorso97 continuo,prima da’ paesi circonvicini, poi da tutto il contado, poi dalle città dellostato, alla fine anche da altre. E intanto, anche da questa partivano ognigiorno antichi abitatori; alcuni per sottrarsi alla vista di tante piaghe;altri, vedendosi, per dir così, preso il posto da’ nuovi concorrenti d’ac-catto, uscivano a un’ultima disperata prova di chieder soccorso altrove,dove si fosse, dove almeno non fosse così fitta e così incalzante la folla ela rivalità del chiedere. S’incontravano nell’opposto viaggio questi e que’pellegrini, spettacolo di ribrezzo gli uni agli altri, e saggio doloroso, au-gurio98 sinistro del termine a cui gli uni e gli altri erano incamminati. Ma

91. senza refrigerio: senza soccorso.92. querele: lamenti.93. n’avevan portata la pena: ave-vano pagato per tutti; si riferisce aiquattro rivoltosi arrestati e impiccati.

94. mali mezzani: sofferenze di mediaintensità.95. il colmo: il massimo.96. Il vòto: il vuoto, la diminuzionedegli abitanti causata dal gran numero

di morti.97. un concorso: un’affluenza.98. augurio: presagio.

L’anno terribile

L’amara considerazione critica:a) la stoltezza umanab) la fatalità del destinoc) la violenza

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seguitavano ognuno la sua strada, se non più per la speranza di mutarsorte, almeno per non tornare sotto un cielo divenuto odioso, per non ri-vedere i luoghi dove avevan disperato. Se non che taluno, mancandogliaffatto le forze, cadeva per la strada, e rimaneva lì morto: spettacoloancor più funesto ai suoi compagni di miseria, oggetto d’orrore, forse dirimprovero agli altri passeggieri. «Vidi io,» scrive il Ripamonti, «nellastrada che gira le mura, il cadavere d’una donna... Le usciva di bocca del-l’erba mezza rosicchiata, e le labbra facevano ancora quasi un atto disforzo rabbioso... Aveva un fagottino in ispalla, e attaccato con le fasce alpetto un bambino, che piangendo chiedeva la poppa... Ed erano soprag-giunte persone compassionevoli, le quali, raccolto il meschinello di terra,lo portavan via, adempiendo così intanto il primo ufizio materno.»Quel contrapposto di gale e di cenci, di superfluità e di miseria, spettacoloordinario de’ tempi ordinari, era allora affatto99 cessato. I cenci e la mise-ria eran quasi per tutto; e ciò che se ne distingueva, era appena un’appa-renza di parca100 mediocrità. Si vedevano i nobili camminare in abitosemplice e dimesso, o anche logoro e gretto; alcuni, perché le cagioni co-muni della miseria avevan mutata a quel segno anche la loro fortuna, odato il tracollo a patrimoni già sconcertati:101 gli altri, o che temessero diprovocare col fasto la pubblica disperazione, o che si vergognassero d’in-sultare alla pubblica calamità.102 Que’ prepotenti odiati e rispettati, solitia andar in giro con uno strascico di bravi, andavano ora quasi soli, a capobasso, con visi che parevano offrire e chieder pace. Altri che, anche nellaprosperità, erano stati di pensieri più umani, e di portamenti più modesti,parevano anch’essi confusi, costernati, e come sopraffatti dalla vista con-tinua d’una miseria che sorpassava, non solo la possibilità del soccorso,ma direi quasi, le forze della compassione. Chi aveva il modo di far qual-che elemosina, doveva però fare una trista scelta tra fame e fame, tra ur-genze e urgenze. E appena si vedeva una mano pietosa avvicinarsi allamano d’un infelice, nasceva all’intorno una gara d’altri infelici; coloro acui rimaneva più vigore, si facevano avanti a chieder con più istanza; gliestenuati, i vecchi, i fanciulli, alzavano le mani scarne; le madri alzavanoe facevan veder da lontano i bambini piangenti, mal rinvoltati103 nellefasce cenciose, e ripiegati per languore104 nelle loro mani.Così passò l’inverno e la primavera: e già da qualche tempo il tribunaledella sanità andava rappresentando a quello della provvisione il pericolodel contagio, che sovrastava alla città, per tanta miseria ammontata105 inogni parte di essa; e proponeva che gli accattoni venissero raccolti in di-versi ospizi. Mentre si discute questa proposta, mentre s’approva, mentresi pensa ai mezzi, ai modi, ai luoghi, per mandarla ad effetto, i cadaveri

Per le strade, di giorno, si sentivano voci suppliche-voli, di notte gemiti interrotti da lamenti e da urli.Ogni giorno arrivava gente dai paesi vicini e ognigiorno dalla città partivano abitanti che facevanoun ultimo disperato tentativo di chiedere soccorsoaltrove.Ognuno seguiva la sua strada, ma qualcuno cadevamorto senza forze ed era uno spettacolo ancora piùfunesto per i suoi compagni.

A un certo punto la miseria era quasi dappertutto echi poteva fare qualche elemosina doveva sceglieretra fame e fame; coloro a cui rimaneva più forza, sifacevano avanti a chiedere; i vecchi, i fanciulli alza-vano le mani scarne, le madri facevano vedere dalontano i bambini piangenti.Così passò l’inverno e la primavera e aumentò ilpericolo di malattie.

99. affatto: del tutto.100. parca: modesta, sobria.101. sconcertati: poco solidi, dissesta-ti.102. o che temessero … alla pubbli-

ca calamità: o perché avevano paurache il loro lusso provocasse la reazionedei disperati o perché non volevanooffendere le disgrazie altrui con l’esibi-zione del proprio benessere.

103. mal rinvoltati: avvolti malamen-te.104. languore: debolezza.105. ammontata: ammucchiata.

in altre parole

L’aneddoto di cronaca accentua il realismo e l’interesse dell’esposizionestorica.

Mendicanti e malati vengono rinchiusi nel lazzaretto

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crescono nelle strade ogni giorno più; a proporzion di tutto l’altro am-masso di miserie. Nel tribunale di provvistone vien proposto, come piùfacile e più speditivo,106 un altro ripiego, di radunar tutti gli accattoni,sani e infermi, in un sol luogo, nel lazzeretto,107 dove fosser mantenuti ecurati a spese del pubblico; e così vien risoluto, contro il parere della Sa-nità, la quale opponeva che, in una così gran riunione, sarebbe cresciutoil pericolo a cui si voleva metter riparo.Il lazzeretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani diqualcheduno che non lo conoscesse, né di vista né per descrizione) è unrecinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra dellaporta detta orientale, distante dalle mura lo spazio della fossa, d’una strada di circonvallazione, e d’una gora108 che gira il recinto medesimo. Idue lati maggiori son lunghi a un di presso cinquecento passi; gli altridue, forse quindici meno; tutti, dalla parte esterna, son divisi in piccolestanze d’un piano solo; di dentro gira intorno a tre di essi un portico con-tinuo a volta, sostenuto da piccole e magre colonne.Le stanzine eran dugent’ottantotto, o giù di lì: a’ nostri giorni, una grandeapertura fatta nel mezzo, e una piccola, in un canto della facciata del latoche costeggia la strada maestra, ne hanno portate via non so quante.109 Altempo della nostra storia, non c’eran che due entrature;110 una nel mezzodel lato che guarda le mura della città, l’altra di rimpetto, nell’opposto.Nel centro dello spazio interno, c’era, e c’è tutt’ora, una piccola chiesa ot-tangolare.La prima destinazione di tutto l’edifizio, cominciato nell’anno 1489, co’danari d’un lascito privato, continuato poi con quelli del pubblico e d’al-tri testatori e donatori, fu, come l’accenna il nome stesso, di ricoverarvi,all’occorrenza, gli ammalati di peste; la quale, già molto prima di quel-l’epoca, era solita, e lo fu per molto tempo dopo, a comparire quelle due,quattro, sei, otto volte per secolo, ora in questo, ora in quel paese d’Eu-ropa, prendendone talvolta una gran parte, o anche scorrendola tutta,per il lungo e per il largo. Nel momento di cui parliamo, il lazzeretto non

106. speditivo: sbrigativo.107. lazzeretto: era un luogo di isola-mento per il ricovero di ammalati incu-rabili e ritenuti pericolosi per la conta-giosità del loro male. Il termine derivadal nome dell’isola veneziana S. Mariadi Nazareth (così chiamata dall’omoni-mo monastero), dove nel 1423 venneistituito un luogo di quarantena per

accogliere i reduci di Terrasanta affettida malattie contagiose; alla parola si èpoi sovrapposto il nome di san Lazzaro,protettore degli appestati. Il lazzarettodi Milano fu fondato nel 1489, nellazona compresa tra l’attuale corsoBuenos Aires, viale Vittorio Veneto, viaSan Gregorio e via Lazzaretto, fu porta-to a termine nel 1630 e demolito nella

seconda metà dell’800.108. gora: canale.109. a’ nostri giorni … non soquante: nel momento in cui l’Autorescrive era cominciata la demolizionedell’edificio, che aveva fatto sparireuna parte delle stanze riservate ai ma-lati.110. entrature: ingressi.

Il lazzaretto

Così appariva l’entrata dellazzaretto di Milano, anco-ra a metà dell’Ottocento.L’intero edificio venne ven-duto nel 1881 alla Bancadi Credito di Milano, eabbattuto nel decenniosuccessivo per la costru-zione di case popolari.

La dettagliata descrizionedel lazzaretto sottintendel’importanza di questo luogo nel proseguimentodell’opera.

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serviva che per deposito delle mercanzie soggette a contumacia.111

Ora, per metterlo in libertà,112 non si stette al rigor delle leggi sanitarie, efatte in fretta in fretta le purghe113 e gli esperimenti prescritti, si rilascia-ron tutte le mercanzie a un tratto. Si fece stender della paglia in tutte lestanze, si fecero provvisioni di viveri, della qualità e nella quantità che sipotè; e s’invitarono, con pubblico editto, tutti gli accattoni a ricoverarsi lì.Molti vi concorsero volontariamente; tutti quelli che giacevano infermiper le strade e per le piazze, ci vennero trasportati; in pochi giorni, ce nefu, tra gli uni e gli altri, più di tre mila. Ma molti più furon quelli cherestaron fuori. O che ognun di loro aspettasse di veder gli altri andarsene, edi rimanere in pochi a goder l’elemosine della città; o fosse quella naturalripugnanza alla clausura, o quella diffidenza de’ poveri per tutto ciò chevien loro proposto da chi possiede le ricchezze e il potere (diffidenzasempre proporzionata all’ignoranza comune di chi la sente e di chi l’i-spira, al numero de’ poveri, e al poco giudizio delle leggi),114 o il saper difatto quale fosse in realtà il benefizio offerto, o fosse tutto questo insieme,o che altro, il fatto sta che la più parte, non facendo conto dell’invito, con-tinuavano a strascicarsi stentando per le strade. Visto ciò, si credé bene dipassar dall’invito alla forza. Si mandarono in ronda birri che cacciasserogli accattoni al lazzeretto, e vi menassero115 legati quelli che resistevano;per ognun de’ quali fu assegnato a coloro il premio di dieci soldi: ecco se,anche nelle maggiori strettezze, i danari del pubblico si trovan sempre,per impiegarli a sproposito. E quantunque, com’era stata congettura, anziintento espresso della Provvisione, un certo numero d’accattoni sfrat-tasse116 dalla città, per andare a vivere o a morire altrove, in libertà al-meno; pure la caccia fu tale che, in poco tempo, il numero de’ ricoverati,tra ospiti e prigionieri, s’accostò a dieci mila.Le donne e i bambini, si vuol supporre che saranno stati messi in quar-tieri separati, benché le memorie del tempo non ne dican nulla. Regolepoi e provvedimenti per il buon ordine, non ne saranno certamente man-cati; ma si figuri ognuno qual ordine potesse essere stabilito e mantenuto,in que’ tempi specialmente e in quelle circostanze, in una così vasta evaria riunione, dove coi volontari si trovavano i forzati;117 con quelli percui l’accatto era una necessità, un dolore, una vergogna, coloro di cui erail mestiere; con molti cresciuti nell’onesta attività de’ campi e dell’officine,molti altri educati nelle piazze, nelle taverne, ne’ palazzi de’ prepotenti, al-l’ozio, alla truffa, allo scherno, alla violenza.Come stessero poi tutti insieme d’alloggio e di vitto, si potrebbe trista-mente congetturarlo, quando non n’avessimo notizie positive; ma le ab-

Allora il tribunale di provvisione decise di raduna-re tutti nel lazzaretto, un recinto separato dallacittà, con duecentottantotto stanze, due ingressi euna piccola chiesa al centro.Il lazzaretto serviva come deposito di merci sottopo-ste a quarantena: fecero una veloce disinfestazione,tolsero le merci, misero paglia nelle stanze, feceroprovvista di viveri e invitarono lì tutti gli accattoni.Molti vi andarono volontariamente e i malati vennerotrasportati: in pochi giorni ce ne furono più di tremila.

Molti però restarono fuori o perché speravano dirimanere in pochi a chiedere l’elemosina o perpaura di essere richiusi o per diffidenza nei con-fronti dei potenti.Allora gli sbirri portarono via con la forza gli accat-toni che resistevano e per ognuno che veniva presofurono assegnati dieci soldi. La caccia fu tale che,in poco tempo, il numero dei ricoverati arrivò a die-cimila.

111. soggette a contumacia: sottopo-ste a quarantena. Erano le merci cheprovenivano da paesi colpiti da malat-tie contagiose.112. metterlo in libertà: svuotarlo,sgomberarlo.

113. le purghe: la disinfestazione.114. diffidenza … delle leggi:Manzoni individua nell’ignoranza del-l’intera società e nell’irrazionalità delleleggi la causa principale della diffiden-za e della resistenza popolare all’attua-

zione dei provvedimenti decisi daipotenti.115. vi menassero: vi conducessero.116. sfrattasse: si allontanasse.117. i forzati: coloro che erano statiportati al lazzaretto con la forza.

in altre parole

La violenza è presente sempre e comunque negli avvenimenti sociali.

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biamo. Dormivano ammontati a venti a trenta per ognuna di quelle cel-lette, o accovacciati sotto i portici, sur un po’ di paglia putrida e fetente, osulla nuda terra: perché, s’era bensì ordinato che la paglia fosse fresca e asufficienza, e cambiata spesso; ma in effetto118 era stata cattiva, scarsa, enon si cambiava. S’era ugualmente ordinato che il pane fosse di buonaqualità: giacché, quale amministratore ha mai detto che si faccia e si di-spensi roba cattiva? ma ciò che non si sarebbe ottenuto nelle circostanzesolite, anche per un più ristretto servizio, come ottenerlo in quel caso, eper quella moltitudine? Si disse allora, come troviamo nelle memorie, cheil pane del lazzeretto fosse alterato con sostanze pesanti e non nutrienti:ed è pur troppo credibile che non fosse uno di que’ lamenti in aria.119

D’acqua perfino c’era scarsità; d’acqua, voglio dire, viva e salubre: il pozzocomune, doveva esser la gora che gira le mura del recinto, bassa, lenta,dove anche motosa,120 e divenuta poi quale poteva renderla l’uso e la vici-nanza d’una tanta e tal moltitudine.A tutte queste cagioni di mortalità, tanto più attive, che operavano sopracorpi ammalati o ammalazzati,121 s’aggiunga una gran perversità dellastagione; piogge ostinate, seguite da una siccità ancor più ostinata, e conessa un caldo anticipato e violento. Ai mali s’aggiunga il sentimento122 de’mali, la noia e la smania della prigionia, la rimembranza dell’antiche abi-tudini, il dolore di cari perduti, la memoria inquieta di cari assenti, il tor-mento e il ribrezzo vicendevole, tant’altre passioni d’abbattimento o dirabbia, portate o nate là dentro; l’apprensione poi e lo spettacolo continuodella morte resa frequente da tante cagioni, e divenuta essa medesimauna nuova e potente cagione. E non farà stupore che la mortalità cre-scesse e regnasse in quel recinto a segno123 di prendere aspetto e, pressomolti, nome di pestilenza: sia che la riunione e l’aumento di tutte quellecause non facesse che aumentare l’attività d’un’influenza puramente epi-demica; sia (come par che avvenga nelle carestie anche men gravi e menprolungate di quella) che vi avesse luogo un certo contagio, il quale ne’corpi affetti e preparati dal disagio e dalla cattiva qualità degli alimenti,dall’intemperie, dal sudiciume, dal travaglio e dall’avvilimento trovi latempera,124 per dir così, e la stagione sua propria, le condizioni necessariein somma per nascere, nutrirsi e moltiplicare (se a un ignorante è lecito

118. in effetto: in realtà.119. lamenti in aria: chiacchiereprive di fondamento.120. motosa: fangosa.

121. ammalazzati: malaticci.122. il sentimento: la consapevolezza.Oltre all’oggettiva sofferenza fisica, iricoverati del lazzaretto soffrono per la

coscienza della loro tragica condi-zione.123. a segno: al punto.124. la tempera: il terreno adatto.

I gemiti dei malati

«Durante il giorno per l’essere vista, durante la notte con l’ululato e il grida-re aiuto questa turba infelice accresceva le pene della città». Così descrivela gente derelitta per le strade di Milano lo storico Ripamonti, principale fontedi Manzoni nella descrizione della carestia e poi della peste. Il suono, la vocedella sofferenza dei mendicanti e dei malati fa da “colonna sonora” allo spet-tacolo di desolazione e morte, in un coro che li accomuna. Di fronte alla care-stia (sarà diverso nel caso della peste), Manzoni si pone infatti come scopoprincipale quello di riportare i patimenti della gente in un ambito di pietà e disolidarietà, al di là delle critiche per i suoi comportamenti irrazionali. «In una Milano oppressa dalla carestia ci sono i nuovi e i vecchi mendichi, i con-tadini e i montanari, i garzoni, gli operai, i servitori e i padroni; non c’è tra di lorointerlocuzione, e anzi si creano anche situazioni di rivalità nell’accattonaggio; mail narratore è in grado di evocare un quadro caratterizzato dal senso di un comu-ne soffrire, anche al di là degli intenti dei sofferenti». (Vincenzo Di Benedetto)

Riassumi le principali cause di mortalità.

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buttar là queste parole, dietro l’ipotesi proposta da alcuni fisici125 e ripro-posta da ultimo, con molte ragioni e con molta riserva, da uno, diligentequanto ingegnoso):126 sia poi che il contagio scoppiasse da principio nellazzeretto medesimo, come, da un’oscura e inesatta relazione, par chepensassero i medici della Sanità; sia che vivesse e andasse covando primad’allora (ciò che par forse più verisimile, chi pensi come il disagio era giàantico e generale, la mortalità già frequente), e che portato in quella follapermanente, vi si propagasse con nuova e terribile rapidità. Qualunquedi queste congetture sia la vera, il numero giornaliero de’ morti nel lazze-retto oltrepassò in poco tempo il centinaio.Mentre in quel luogo tutto il resto era languore, angoscia, spavento, ram-marichìo,127 fremito, nella Provvisione era vergogna, stordimento, incer-tezza. Si discusse, si sentì il parere della Sanità; non si trovò altro che di-sfare ciò che s’era fatto con tanto apparato,128 con tanta spesa, con tantevessazioni.129 S’aprì il lazzeretto, si licenziaron130 tutti i poveri non am-malati che ci rimanevano, e che scapparon fuori con una gioia furibonda.La città tornò a risonare dell’antico lamento, ma più debole e interrotto;rivide quella turba più rada e più compassionevole, dice il Ripamonti, peril pensiero del come fosse di tanto scemata. Gl’infermi furon trasportati aSanta Maria della Stella, allora ospizio di poveri; dove la più parte peri-rono.Intanto però cominciavano que’ benedetti campi a imbiondire. Gli accat-toni venuti dal contado se n’andarono, ognuno dalla sua parte, a quellatanto sospirata segatura.131 Il buon Federigo gli accomiatò con un ultimosforzo, e con un nuovo ritrovato di carità: a ogni contadino che si presen-tasse all’arcivescovado, fece dare un giulio,132 e una falce da mietere.Con la messe finalmente cessò la carestia: la mortalità, epidemica o con-tagiosa, scemando di giorno in giorno, si prolungò però fin nell’autunno.Era sul finire, quand’ecco un nuovo flagello.Molte cose importanti, di quelle a cui più specialmente si dà titolo di sto-riche, erano accadute in questo frattempo. Il cardinal di Richelieu, presa,come s’è detto, la Roccella, abborracciata alla meglio una pace col re d’In-ghilterra,133 aveva proposto e persuaso con la sua potente parola, nel Con-siglio di quello di Francia, che si soccorresse efficacemente il duca di Ne-vers; e aveva insieme determinato134 il re medesimo a condurre in persona la spedizione. Mentre si facevan gli apparecchi,135 il conte di Nas-sau, commissario imperiale, intimava in Mantova al nuovo duca, chedesse gli stati in mano a Ferdinando, o questo manderebbe un esercito

Dormivano in venti o trenta per cella o accovaccia-ti sotto i portici, il pane era di cattiva qualità e c’erascarsità d’acqua.A questo si aggiunse un periodo di piogge, seguito dasiccità e caldo violento; ai mali fisici si unì il fastidiodella prigionia e dei ricordi, il dolore per l’assenza dellepersone care, la reciproca ripugnanza e la paura; in

poco tempo, i morti superarono il centinaio al giorno.Allora il tribunale della provvisione decise di fare

uscire tutti i poveri non ammalati, mentre i malatifurono portati all’ospizio, dove morirono per lamaggior parte.Intanto il grano incominciava a maturare e la care-stia finì, mentre l’epidemia si prolungò fino all’au-tunno, quando arrivò un nuovo flagello.In questo periodo Richelieu aveva firmato la pacel’Inghilterra e aveva convinto il re di Francia adaiutare Carlo Gonzaga, minacciato dall’imperatore.

125. fisici: medici.126. uno, diligente quanto ingegno-so: il medico milanese Enrico Acerbi(1785-1827), autore di un trattato sullemalattie epidemiche.127. rammarichìo: dispiacere.128. apparato: preparativi.

129. vessazioni: violenze.130. si licenziaron: si fecero uscire.131. segatura: mietitura.132. giulio: moneta d’argento fattaconiare dal papa Giulio II.133. abborracciata alla meglio unapace col re d’Inghilterra: stipulato in

tutta fretta un trattato di pace conCarlo I Stuart.134. determinato: deciso.135. si facevan gli apparecchi: sifacevano i preparativi.

in altre parole

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In questo vano alternarsi di provvedimenti contraddittori, si manifestala colpevole incompetenza e ignoranza delle autorità.

La guerra delle Nazioni e la calata dei lanzichenecchi

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ad occuparli. Il duca che, in più disperate circostanze, s’era schermito136

d’accettare una condizione così dura e così sospetta, incoraggito137 ora dalvicino soccorso di Francia, tanto più se ne schermiva; però con termini incui il no fosse rigirato e allungato,138 quanto si poteva, e con proposte disommissione,139 anche più apparente, ma meno costosa. Il commissario sen’era andato, protestandogli che si verrebbe alla forza.140 In marzo, il car-dinal di Richelieu era poi calato infatti col re, alla testa d’un esercito: avevachiesto il passo al duca di Savoia, s’era trattato; non s’era concluso; dopouno scontro, col vantaggio de’ Francesi, s’era trattato di nuovo, e conclusoun accordo, nel quale il duca, tra l’altre cose, aveva stipulato che il Cordovaleverebbe l’assedio da Casale; obbligandosi, se questo ricusasse,141 a unirsico’ Francesi, per invadere il ducato di Milano. Don Gonzalo, parendoglianche d’uscirne con poco, aveva levato l’assedio da Casale, dov’era subitoentrato un corpo di Francesi, a rinforzar la guarnigione.Fu in questa occasione che l’Achillini142 scrisse al re Luigi quel suo fa-moso sonetto:

Sudate, o fochi, a preparar metalli:e un altro, con cui l’esortava a portarsi subito alla liberazione di Terrasanta. Ma è un destino che i pareri de’ poeti non siano ascoltati: e se nellastoria trovate de’ fatti conformi a qualche loro suggerimento, dite purfrancamente ch’eran cose risolute prima.143 Il cardinal di Richelieu avevain vece stabilito di ritornare in Francia, per affari che a lui parevano piùurgenti. Girolamo Soranzo, inviato de’ Veneziani, poté bene addurre ra-gioni144 per combattere quella risoluzione; che il re e il cardinale, dandoretta alla sua prosa come ai versi dell’Achillini, se ne ritornarono col grosso dell’esercito, lasciando soltanto sei mila uomini in Susa, per man-tenere il passo, e per caparra del trattato.145

Mentre quell’esercito se n’andava da una parte, quello di Ferdinandos’avvicinava dall’altra; aveva invaso il paese de’ Grigioni e la Valtellina;si disponeva a calar nel milanese. Oltre tutti i danni che si potevan te-mere da un tal passaggio, eran venuti espressi avvisi al tribunale dellasanità, che in quell’esercito covasse la peste, della quale allora nelle

136. s’era schermito: si era rifiutato.137. incoraggito: incoraggiato.138. rigirato e allungato: contorto etirato per le lunghe.139. sommissione: sottomissione.140. protestandogli che si verrebbealla forza: minacciando il ricorso allearmi.141. obbligandosi, se questo ricusas-se: impegnandosi, in caso di rifiuto.142. Achillini: Alessandro Achillini,poeta barocco bolognese (1574-1640).143. risolute prima: decise già in pre-cedenza, non certo per suggerimentodei letterati.144. addurre ragioni: portare validimotivi.145. caparra del trattato: garanziadel trattato.

I signori della guerra

Il cardinale Richelieu, primo ministro del re di Francia Luigi XIII.

Il re Filippo IV di Spagna.

Il Narratore ricompone il quadro delle forze in campo e delle operazionimilitari.

Primi cenni alla futura epidemia di peste.

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truppe alemanne146 c’era sempre qualche sprazzo, come dice il Var-chi,147 parlando di quella che, un secolo avanti, avevan portata in Fi-renze. Alessandro Tadino, uno de’ conservatori della sanità (eran sei,oltre il presidente: quattro magistrati e due medici), fu incaricato daltribunale, come racconta lui stesso, in quel suo ragguaglio già citato, dirappresentare al governatore lo spaventoso pericolo che sovrastava alpaese, se quella gente ci passava, per andare all’assedio di Mantova,come s’era sparsa la voce. Da tutti i portamenti148 di don Gonzalo, pareche avesse una gran smania d’acquistarsi un posto nella storia, la qualeinfatti non poté non occuparsi di lui;149 ma (come spesso le accade) nonconobbe, o non si curò di registrare l’atto di lui più degno di memoria,la risposta che diede al Tadino in quella circostanza. Rispose che nonsapeva cosa farci; che i motivi d’interesse e di riputazione, per i qualis’era mosso quell’esercito, pesavan più che il pericolo rappresentato;che con tutto ciò si cercasse di riparare alla meglio, e si sperasse nellaProvvidenza.Per riparar dunque alla meglio, i due medici della Sanità (il Tadino sud-detto e Senatore Settala, figlio del celebre Lodovico) proposero in queltribunale che si proibisse sotto severissime pene di comprar roba di nes-suna sorte da’ soldati ch’eran per passare; ma non fu possibile far inten-dere la necessità d’un tal ordine al presidente,150 «uomo,» dice il Tadino,«di molta bontà, che non poteva credere dovesse succedere incontri dimorte di tante migliaia di persone, per il comercio di questa gente, et lororobbe.»151 Citiamo questo tratto per uno de’ singolari di quel tempo: chédi certo, da che ci son tribunali di sanità, non accadde mai a un altro pre-sidente d’un tal corpo, di fare un ragionamento simile; se ragionamento sipuò chiamare.In quanto a don Gonzalo, poco dopo quella risposta, se n’andò da Milano;e la partenza fu trista per lui, come lo era la cagione. Veniva rimosso peri cattivi successi della guerra, della quale era stato il promotore e il capi-tano; e il popolo lo incolpava della fame sofferta sotto il suo governo.(Quello che aveva fatto per la peste, o non si sapeva, o certo nessuno sen’inquietava, come vedremo più avanti, fuorché il tribunale della sanità, ei due medici specialmente.) All’uscir dunque, in carrozza da viaggio, dalpalazzo di corte, in mezzo a una guardia d’alabardieri, con due trom-betti152 a cavallo davanti, e con altre carrozze di nobili che gli facevan se-guito, fu accolto con gran fischiate da ragazzi ch’eran radunati sulla piazza del duomo, e che gli andaron dietro alla rinfusa. Entrata la comi-

In marzo i francesi arrivarono in Italia e, dopo unaccordo di Richelieu col duca di Savoia, donGonzalo de Cordova levò l’assedio da Casale; alloraRichelieu tornò in Francia, lasciando soltanto sei-mila uomini a garanzia del trattato, mentre stavaper arrivare a Milano l’esercito di Ferdinando, incui si contavano casi di peste.Il governatore fu avvisato del rischio, ma donGonzalo rispose che l’interesse e la reputazionepesavano più del pericolo di malattie; disse di

cercare rimedi e di sperare nella provvidenza.Due medici proposero di proibire il commercio coni soldati, ma il presidente del Tribunale della sanitànon credeva che si potesse morire per il solo con-tatto con i malati.Poco dopo, don Gonzalo fu allontanato da Milanoper l’insuccesso della guerra e perché il popolo loincolpava della fame sofferta sotto il suo governo.Quando uscì dalla città fu accompagnato dai fischidei ragazzi che lo seguivano disordinatamente.

146. alemanne: germaniche.147. Varchi: Benedetto Varchi (1503-1565), storico fiorentino.148. portamenti: comportamenti.149. la quale infatti non poté nonoccuparsi di lui: con pungente ironiaManzoni sottolinea che la storia ha

potuto occuparsi del governatoreGonzalo de Cordova solo a causa deisuoi errori politici e della sua inettitu-dine. 150. al presidente: il marchese Arco-nati.151. incontri di morte di tante

migliaia di persone, per il comerciodi questa gente, et loro robbe: noncredeva possibile che potessero moriretante persone per il semplice contattocon i soldati.152. trombetti: trombettieri.

in altre parole

L’ironia vela una polemicaaspra e una grave accusa di irresponsabilità nei confronti del Governatore...

... e degli altri alti funzionariresponsabili della salutepubblica.

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tiva nella strada che conduce a porta ticinese, di dove si doveva uscire,cominciò a trovarsi in mezzo a una folla di gente che, parte era lì adaspettare, parte accorreva; tanto più che i trombetti, uomini di forma-lità,153 non cessaron di sonare, dal palazzo di corte, fino alla porta. E nelprocesso che si fece poi su quel tumulto, uno di costoro, ripreso che, conquel suo trombettare, fosse stato cagione di farlo crescere, risponde:«caro signore, questa è la nostra professione; et se S. E. non hauessehauuto a caro che noi hauessimo sonato, doveva comandarne che taces-simo.»154 Ma don Gonzalo, o per ripugnanza a far cosa che mostrasse ti-more, o per timore di render con questo più ardita la moltitudine, o per-ché fosse in effetto un po’ sbalordito, non dava nessun ordine. La moltitudine, che le guardie avevan tentato in vano di respingere, prece-deva, circondava, seguiva le carrozze, gridando: «la va via la carestia, vavia il sangue de’ poveri,» e peggio. Quando furon vicini alla porta, comin-ciarono anche a tirar sassi, mattoni, torsoli, bucce d’ogni sorte, la muni-zione solita in somma di quelle spedizioni; una parte corse sulle mura, edi là fecero un’ultima scarica sulle carrozze che uscivano. Subito dopo sisbandarono.In luogo di don Gonzalo, fu mandato il marchese Ambrogio Spinola,155 ilcui nome aveva già acquistata, nelle guerre di Fiandra, quella celebritàmilitare che ancor gli rimane. Intanto l’esercito alemanno, sotto il comando supremo del conte Ram-baldo di Collalto, altro condottiere italiano, di minore, ma non d’ultimafama, aveva ricevuto l’ordine definitivo di portarsi all’impresa156 di Man-tova; e nel mese di settembre, entrò nel ducato di Milano. La milizia, a que’ tempi, era ancor composta in gran parte di soldati diventura arrolati da condottieri di mestiere, per commissione di questo odi quel principe, qualche volta anche per loro proprio conto, e per ven-dersi poi insieme con essi. Più che dalle paghe, erano gli uomini attirati aquel mestiere dalle speranze del saccheggio e da tutti gli allettamenti dellalicenza.157 Disciplina stabile e generale non ce n’era; né avrebbe potutoaccordarsi così facilmente con l’autorità in parte indipendente de’ vari

153. uomini di formalità: uominiattenti al cerimoniale, al punto di noncomprendere la situazione in cui si tro-vano.154. se S. E. non hauesse hauuto acaro che noi hauessimo sonato, dove-va comandarne che tacessimo: se non

avesse voluto farci suonare, dovevaordinarcelo. L’Autore riprende la grafiasecentesca, come se avesse copiato l’ov-via e ottusa affermazione dei trombet-tieri da un documento dell’epoca.155. il marchese Ambrogio Spinola:condottiero genovese (1569-1630) che

aveva partecipato alla guerra nelleFiandre.156. portarsi all’impresa: partire allaconquista.157. allettamenti della licenza: i van-taggi della libertà di depredare senzaregole.

La guerra vista dal basso

La condanna di Manzoni nei confronti della guerra èassoluta, senza alcuna concessione a spiriti guerrie-ri ed eroici. Il suo punto di vista è quello di chi nesubisce le violenze. Nessuna luce fa brillare spade elance, i soldati sono sempre e solo “soldatacci”, conintenzione spregiativa; nessun tratto marziale, nes-sun apprezzamento di coraggio, di vigore, di forza.Basta leggere la pagina finale del capitolo per avereun quadro tutto oscuro e senza alcun minimoriscatto della professione delle armi, e accorgersicome il suono dei tamburi o delle trombe non attirisu di sé che un unico ripetuto aggettivo: “male-detto”.

Protagonisti del capitolosono tutti personaggi storici.

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condottieri. Questi poi in particolare, né erano molto raffinatori158 in fattodi disciplina, né, anche volendo, si vede come avrebbero potuto riuscire astabilirla e a mantenerla; ché soldati di quella razza, o si sarebbero rivol-tati contro un condottiere novatore159 che si fosse messo in testa d’abolireil saccheggio; o per lo meno, l’avrebbero lasciato solo a guardar le ban-diere. Oltre di ciò, siccome i principi, nel prendere, per dir così, ad affittoquelle bande, guardavan più ad aver gente in quantità, per assicurar l’im-prese, che a proporzionare il numero alla loro facoltà di pagare, per il so-lito molto scarsa; così le paghe venivano per lo più tarde, a conto, a spiz-zico; e le spoglie160 de’ paesi a cui la toccava, ne divenivano come un supplimento161 tacitamente convenuto. È celebre, poco meno del nome diWallenstein,162 quella sua sentenza: esser più facile mantenere un esercitodi cento mila uomini, che uno di dodici mila. E questo di cui parliamo erain gran parte composto della gente che, sotto il suo comando, aveva de-solata la Germania, in quella guerra163 celebre tra le guerre, e per sé e peri suoi effetti, che ricevette poi il nome da’ trent’anni della sua durata: e al-lora ne correva l’undecimo. C’era anzi, condotto da un suo luogotenente,il suo proprio reggimento; degli altri condottieri, la più parte avevan co-mandato sotto di lui, e ci si trovava più d’uno di quelli che, quattr’annidopo, dovevano aiutare a fargli far quella cattiva fine che ognun sa.164

Eran vent’otto mila fanti, e sette mila cavalli; e, scendendo dalla Valtellinaper portarsi nel mantovano, dovevan seguire tutto il corso che fa l’Addaper due rami di lago, e poi di nuovo come fiume fino al suo sbocco in Po,e dopo avevano un buon tratto di questo da costeggiare: in tutto otto gior-nate nel ducato di Milano.Una gran parte degli abitanti si rifugiavano su per i monti, portandoviquel che avevan di meglio, e cacciandosi innanzi le bestie; altri rimane-vano, o per non abbandonar qualche ammalato, o per preservar la casadall’incendio, o per tener d’occhio cose preziose, nascoste, sotterrate; altriperché non avevan nulla da perdere, o anche facevan conto d’acqui-stare.165 Quando la prima squadra arrivava al paese della fermata, si span-deva subito per quello e per i circonvicini, e li metteva a sacco166 addirit-tura: ciò che c’era da godere o da portar via, spariva; il rimanente, lodistruggevano o lo rovinavano; i mobili diventavan legna, le case, stalle:senza parlar delle busse,167 delle ferite, degli stupri. Tutti i ritrovati, tuttel’astuzie per salvar la roba, riuscivano per lo più inutili, qualche volta por-

Per strada, si trovò in mezzo alla folla che gridava,e vicino a Porta Ticinese la gente cominciò a tiraresassi, mattoni e bucce contro la carrozza.Al posto di Gonzalo fu inviato Ambrogio Spinola.Nel mese di settembre l’esercito germanico entrò nelducato di Milano. A quei tempi la milizia era ancoracomposta di soldati mercenari, attirati dalla speranzadi saccheggio, considerato un supplemento di paga.In otto giorni di cammino, ventottomila fanti e sette-

mila cavalli seguirono il corso dell’Adda fino allosbocco nel Po. Al loro arrivo, molti abitanti si rifugia-vano sui monti, portandovi quello che avevano; altririmanevano per non abbandonare qualche ammala-to, per difendere la casa dall’incendio o per tenered’occhio cose preziose; altri perché non avevano nullada perdere o speravano di guadagnarci qualcosa.Quando la prima squadra arrivava, saccheggiava ilpaese e quelli vicini e distruggeva il rimanente...

158. raffinatori: esigenti.159. novatore: innovatore.160. le spoglie: il bottino.161. supplimento: un contributo, unsupplemento alla paga insufficiente eirregolare.162. Wallenstein: Albert von Wallen-stein (1583-1634), nobile boemo al ser-vizio dell’imperatore, sostenitore di

una rigida disciplina di accampamentoe dell’idea che “la guerra sostenta laguerra”, per cui il pagamento dei sol-dati deve avvenire grazie alle devasta-zioni dei territori conquistati.163. in quella guerra: la guerra deiTrent’anni (1618-48).164. far quella cattiva fine cheognun sa: nel 1634 Wallenstein fu

assassinato a Eger dal colonnello deidragoni, l’irlandese Butler, per ordinedello stesso imperatore.165. d’acquistare: di guadagnarciqualcosa.166. li metteva a sacco: li saccheg-giava.167. busse: percosse.

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Che significato ha questaaffermazione di Wallenstein?

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... picchiando, ferendo e stuprando gli abitanti.Tutte le astuzie per salvare la roba erano inutili. Isoldati frugavano per tutti i buchi delle case, demo-livano, riconoscevano facilmente la terra smossanegli orti; andavano sui monti a rubare il bestiame,andavano nelle grotte in cerca di qualche ricco fug-gito, lo trascinavano nella sua casa e lo costringe-vano a indicare i tesori nascosti.Quando finalmente se ne andavano, si sentiva da

lontano il suono dei tamburi e delle trombe; passa-vano alcune ore, poi un nuovo maledetto suono ditrombe annunziava un’altra squadra.Questa, non trovando nulla, bruciava le case e maltrat-tava le persone, e così di peggio in peggio, per ventigiorni, perché l’esercito era diviso in tante squadre.Invasero prima Colico poi Bellano, di là si sparseronella Valsassina, da dove giunsero al territorio diLecco.

in altre parole

506 Capitolo XXVIII

tavano danni maggiori. I soldati, gente ben più pratica degli stratagemmianche di questa guerra, frugavano per tutti i buchi delle case, smura-vano,168 diroccavano; conoscevan169 facilmente negli orti la terra smossadi fresco; andarono fino su per i monti a rubare il bestiame; andarononelle grotte, guidati da qualche birbante del paese, in cerca di qualchericco che vi si fosse rimpiattato;170 lo strascinavano alla sua casa, e contortura di minacce e di percosse, lo costringevano a indicare il tesoro na-scosto.Finalmente se n’andavano; erano andati; si sentiva da lontano morire ilsuono de’ tamburi o delle trombe; succedevano alcune ore d’una quietespaventata; e poi un nuovo maledetto batter di cassa, un nuovo maledettosuon di trombe, annunziava un’altra squadra. Questi, non trovando piùda far preda, con tanto più furore facevano sperpero del resto, bruciavanle botti votate da quelli, gli usci delle stanze dove non c’era più nulla,davan fuoco anche alle case; e con tanta più rabbia, s’intende, maltratta-van le persone; e così di peggio in peggio, per venti giorni: ché in tantesquadre era diviso l’esercito.Colico fu la prima terra del ducato, che invasero que’ demòni; si getta-rono poi sopra Bellano; di là entrarono e si sparsero nella Valsassina, dadove sboccarono nel territorio di Lecco.171

168. smuravano: demolivano.169. conoscevan: distinguevano.170. rimpiattato: nascosto.171. Colico … Bellano … Valsassina… Lecco: Colico e Bellano sono duepaesi collocati nella parte settentriona-le del ramo lecchese del lago di Como;la Valsassina è il territorio che costeg-gia il versante orientale del lago, finoalla città di Lecco.

L’atmosfera di attesa, di minaccia, di ansia è portata in rilievo dall’usodella paratassi, dell’asindeto, e del punto di vista dei paesani.

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Capitolo XXVIII 507

1. Completa lo schema del capitolo, riportando l’argomento generale e le righe di riferimento delle parti indicate:

Dentro il testo

La narrazione

Laboratorio

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.............................................................................................................................................................................

.............................................................................................................................................................................

1ª parte

2ª parte

Finale

rr. ............................

rr. ............................

rr. ............................

2. Quale arco temporale occupa la vicenda narrata nel capitolo?dal novembre 1628 al settembre 1629novembre e dicembre 1628dalla primavera all’autunno del 1629

3. Riporta dal testo tre date che scandiscono l’avanzare degli avvenimenti, e per ognuna di loro indica sinteti-camente a che cosa si riferisce:

a. rr. ......................... data: ......................... avvenimento: ..............................................................................................................................

b. rr. ......................... data: ......................... avvenimento: ..............................................................................................................................

c. rr. ......................... data: ......................... avvenimento: ..............................................................................................................................

4. Chiarisci quali siano gli schieramenti in campo, e quali i motivi di contrasto, nella guerra di cui si parla nellaseconda parte del capitolo (rr. 466-504).

Schieramento “francese”

.............................................................................................

.............................................................................................

Motivi di contrasto:

....................................................................................................................................................................................................

....................................................................................................................................................................................................

Schieramento “spagnolo”

.............................................................................................

.............................................................................................

5. Che cosa determina l’atmosfera di tensione e aspettativa che chiude il capitolo?il dilagare della carestia il timore della peste l’avanzare delle truppe mercenarie

6. Perché il saccheggio delle truppe è uso comune e accettato dai governanti?

................................................................................................................................................................................................................................................................

7. In assenza dei protagonisti della vicenda di fantasia, indica tre fra i personaggi storici presenti nel capitoloche tu consideri di maggiore importanza:

1. .........................................................................................................................................................................................................................................................

2. .........................................................................................................................................................................................................................................................

3. .........................................................................................................................................................................................................................................................

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508 Capitolo XXVIII

8. Il capitolo appena letto deve essere definito “storico” e “saggistico” perché:

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................................................................................................................................................................................................................................................................

9. Ricostruisci il processo degli avvenimenti che, nel loro concatenarsi di causa-effetto, portano all’esplosionedella carestia (rr. 1-120).

................................................................................................................................................................................................................................................................

................................................................................................................................................................................................................................................................

10. La carestia travolge tutti i ceti e tutti i gruppi sociali; individuane almeno tre, citando una frase dal testo cheli descriva:

a. .........................................................................................................................................................................................................................................................

b. .........................................................................................................................................................................................................................................................

c. .........................................................................................................................................................................................................................................................

11. Riporta dal testo una frase che sia esemplare della colpevole incapacità dei governanti, della irrazionalità delpopolo e della carità dei religiosi di fronte al fenomeno della carestia:

Incapacità dei governanti: ..................................................................................................................................................................................................

Irrazionalità del popolo: .......................................................................................................................................................................................................

Carità religiosa: .........................................................................................................................................................................................................................

12. Qual è l’atteggiamento di Manzoni nei confronti della “guerra del Monferrato”?esposizione oggettiva degli avvenimentipolemica condannasostegno di una delle parti in lotta

Spiega i motivi della tua risposta.................................................................................................................................................................................................................................................................

I temi

13. Il saggio storico di Manzoni è composto da esposizioni, descrizioni, narrazioni (gli aneddoti di cronaca) e argo-mentazioni (cioè gli interventi e i commenti diretti del Narratore). Riporta un esempio per ognuna di questetipologie:

sequenza espositiva: rr. .........................: ...............................................................................................................................................................

sequenza descrittiva: rr. .........................: ...............................................................................................................................................................

sequenza narrativa: rr. .........................: ...............................................................................................................................................................

sequenza argomentativa: rr. .........................: ...............................................................................................................................................................

14. Spiega in che cosa consistano le seguenti tecniche espressive presenti nel testo:

a. l’inizio del capitolo è un flash-back, perché .....................................................................................................................................................

.........................................................................................................................................................................................................................................................

b. l’espressione «cenci sfarzosi» (r. 145) è un ossimoro, perché ......................................................................................................

.........................................................................................................................................................................................................................................................

c. alle rr. 489-495 e 516-522 il testo è di tono ironico, rispettivamente nei confronti di ............................................

e di .....................................................................................................

Le forme

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Capitolo XXVIII 509

15.

Il dizionario di Manzoni

Spiega il significato delle seguenti espressioni.

a. «quel loro pane scellerato» (r. 149): .........................................................................................................................................................

................................................................................................................................................................................................................................................

b. «il tribunale della sanità andava rappresentando a quello della provvisione il pericolo del contagio»

(rr. 327-329): ............................................................................................................................................................................................................

................................................................................................................................................................................................................................................

c. «altri perché non avevan nulla da perdere» (rr. 605-606): ......................................................................................................

................................................................................................................................................................................................................................................

d. «i mobili diventavan legna» (r. 610): ..........................................................................................................................................................

e. «un nuovo maledetto batter di cassa» (r. 623): .................................................................................................................................

................................................................................................................................................................................................................................................

Passato ➔ Presente

Leggere ➔ Scrivere

La descrizione della carestia di Milano nel 1629 è sicuramente lontana nel tempo per chi vive in Italia, ma è unaimmagine di miseria e desolazione che, per motivi analoghi o diversi, sappiamo appartenere al presente, e in luoghinon così lontani da noi. Individua una realtà di questo tipo nella società contemporanea, e riferiscine i tratti essenziali.

Oltre il testo

La fotografia sopra riportata si riferisce a .............................................................................................................................................................................Descrivila nei suoi aspetti esteriori, usando dove possibile espressioni riprese dal capitolo appena letto.

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Una gita scolastica

Materiali per un itinerario nei luoghi manzoniani

In queste pagine, forniamo informazioni, indicazioni, dati concreti e culturali per realizzareuna “visita d’istruzione” negli spazi e negli ambienti del romanzo: troveremo lungo il per-corso i luoghi naturali e urbani, gli edifici, le “scenografie” nelle quali si svolgono le azionidella storia, e che hanno creato le atmosfere in cui si muovono i personaggi della vicenda.Si tratta di una “gita” reale e virtuale. Reale, perché con il materiale a disposizione, sia purenella sua essenzialità, è concretamente possibile ideare e organizzare una visita (ipotizzabilein due giornate, una a Lecco e l’altra a Milano) ai luoghi manzoniani. Virtuale, perché anchedurante la lettura, in classe o personale, e nei momenti di studio, potrà risultare utile e sti-molante immaginare lo sviluppo della storia nei reali spazi in cui si svolge.

L’itinerario della Gita scolastica è qui strutturata in tre “tappe”:1. la città e il territorio di Lecco;2. Milano;3. la casa-museo Manzoni, a Milano.

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Prima tappa: Lecco e il suo territorio

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1. Tabernacolo dei bravi. È il bivio dovedon Abbondio incontra i bravi (cap. I),che gli imporranno di non celebrare ilmatrimonio tra Renzo e Lucia, dandocosì il via all’intera vicenda. Noto oggicome “cappella di via Croce”, il taber-

nacolo si è trasformato nel tempo, e non vi troviamo più di-pinte quelle figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta,e che, nell’intenzion dell’artista, volevan dir fiamme, e nep-pure cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevandire anime del purgatorio.

2. Acquate, paese dei “promessi sposi”.Acquate è uno dei due rioni di Lecco(l’altro è Olate) in cui sarebbe statoidentificato il paese di Renzo e Lucia.

3. Casa di Lucia. Rispetto al paese, lacasa di Lucia era in fondo, anzi un po’fuori. Aveva quella casetta un piccolocortile dinanzi, che la separava dallastrada, ed era cinto da un murettino(cap. II).

4. Chiesa e canonica di don Abbondio.Situata in fondo al paese, l’ombradella chiesa, e più in fuori l’ombralunga ed acuta del campanile, sistendeva bruna e spiccata sul pianoerboso e lucente della piazza. (…)Contiguo però al muro laterale della

chiesa, e appunto dal lato che rispondeva verso la casaparrocchiale, era un piccolo abituro, un bugigattolo, dovedormiva il sagrestano (cap. VIII). Se percorriamo tutta lavia centrale del rione di Olate, sbuchiamo sul sagrato dellaparrocchia di san Vitale e santa Valeria: questa, secondola tradizione, è la chiesa di cui era curato don Abbondio.Appoggiata alla chiesa c’è la casa parrocchiale: qui si puòvedere quell’usciolino che metteva sulla piazzetta, e dalquale fuggirono don Abbondio con Agnese e Perpetua al-l’arrivo dei lanzichenecchi.

5. Palazzotto di don Rodrigo. Il palaz-zotto di don Rodrigo sorgeva isolato,a somiglianza d’una bicocca, sullacima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e ri-levata quella costiera. Il luogo era piùin su del paesello degli sposi, discosto

da questo forse tre miglia (cap. V). La casa di don Rodrigo èstata identificata con un palazzo del ’500 della nobile famigliaArrigoni, situata sul promontorio dello Zucco: per raggiun-gerlo si deve percorrere, per l’appunto, una viuzza a chioc-ciola, come quella imboccata da fra Cristoforo. L’edificiovenne abbattuto nel 1937, per lasciar posto a una villa di di-versa natura architettonica.

6. Pescarenico. È Pescarenico unaterricciola, sulla riva sinistra del-l’Adda, o vogliam dire del lago, pocodiscosto dal ponte: un gruppetto dicase, abitate la più parte da pesca-tori, e addobbate qua e là di tramagli

e di reti tese ad asciugare (cap. IV). Era dunque il quartieredei pescatori, e il suo vecchio nucleo è rimasto quasi intatto.

7. Chiesa e convento di fra Cristoforo.Il convento era situato (e la fabbricane sussiste tuttavia) al di fuori, in fac-cia all’entrata della terra, con di mezzola strada che da Lecco conduce a Ber-gamo. Continuarono in silenzio la loro

strada, e poco dopo, sboccarono finalmente sulla piazzettadavanti alla chiesa del convento. Il convento non c’è più: tra-sformato in caserma nel 1798, fu venduto a privati nel 1810,e poi abbattuto. Resta invece la chiesa del convento, l’attualeparrocchia del quartiere, consacrata nel 1600: lo slargo sucui si affaccia si chiama oggi piazza fra Cristoforo.

8. Torre Viscontea. Ai tempi in cui ac-caddero i fatti che prendiamo a rac-contare, quel borgo, già considerabile,era anche un castello, e aveva perciòl’onore d’alloggiare un comandante, eil vantaggio di possedere una stabile

guarnigione di soldati spagnoli (cap. I). La Torre si affacciaoggi sulla piazza XX settembre, ed è sede del Museo del Ri-sorgimento.

9. Ponte Azzone Visconti. Nella descri-zione iniziale del lago di Como e delpunto in cui vicino a Lecco si restringefin quasi ad assumere forma di fiume,Manzoni parla del ponte che ivi con-giunge le due rive, e par che renda

ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione (cap. I): èil ponte Azzone Visconti, ancor oggi una delle principali en-trate della città, e che risale agli anni 1336-1338. I lecchesilo conoscono come il “ponte grande”.

10. Bastione di Porta Nuova. Sono iresti delle mura erette intorno al1340 da Azzone Visconti (lo stessoche fece costruire il “ponte grande” eche fortificò l’intera città), e abbattutenel 1782.

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Seconda tappa: Milano

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Porta Orientale.L’attuale piazza Oberdan è la porta da cui Renzo entra nel suoprimo viaggio a Milano (capp. XI-XV), in coincidenza con i motiper il pane, noti anche come “moti di san Martino”: Fece lastrada che gli era stata insegnata, e si trovò a porta orien-tale. La porta consisteva in due pilastri, con sopra una tet-toia, per riparare i battenti, e da una parte, una casucciaper i gabellini (cap. XI). Renzo ripasserà per quella porta allafine del cap. XXXIV, durante l’infuriare della peste, diretto al laz-zaretto.

Convento dei Cappuccini (Palazzo Saporiti).Da piazza Oberdan percorrendo l’attuale corso Venezia (ai tempidella storia, era il corso di Porta Orientale) al n. 40 si incontra pa-lazzo Saporiti, eretto dopo il 1810 sul terreno dell’antico conventodei cappuccini dove è diretto Renzo: non vi troverà subito il padreBonaventura cui l’ha indirizzato fra Cristoforo, e questo banale con-trattempo gli provocherà molti problemi (cap. XI).

Forno delle grucce.Da corso di Porta Venezia si arriva a piazza san Babila, e qui si pro-segue per corso Vittorio Emanuele, l’antica Corsia dei Servi: tra lecontrade di S. Raffaele e dell’Agnello si presume sorgesse, fino al se-colo scorso, quel panificio che divenne simbolo della sommossa mila-nese “di san Martino”, cui assistette Renzo (cap. XII).

Piazza del Duomo.Tirando dritto per corso Vittorio Emanuele, si giunge sulla piazza delDuomo, ancora in costruzione negli anni del romanzo. Qui si riunisconoi rivoltosi dopo il saccheggio del forno, e fanno un falò con le suppellet-tili. Renzo vi arriva seguendo il flusso della folla (cap. XII).

Forno del Cordusio.L’attuale ampia piazza Cordusio era, ai tempi della storia, una piaz-zetta o un crocicchio. Lì si dirige la folla, per dare l’assalto a unaltro forno (cap. XII).

Palazzo del vicario di provvisione.Nel cap. XIII leggiamo dell’assalto della folla inferocita alla casa del vi-cario di provvisione, cui Renzo partecipò in modo attivo. La residenzadel funzionario pubblico era in uno dei palazzi che sorgevano dietro lapiazza del Cordusio, presubimilmente in via Negri.

Osteria della luna piena.Nelle vie vicine al Cordusio si trovava l’osteria dove Renzo trascorsela sera e la notte, tra inganni e ubriacature (cap. XIV).

Casa della famiglia di Gertrude (Palazzo Marino).La storia di Gertrude, la monaca di Monza, rimanda alla vicendareale di Marianna de Leyva, e quindi permette di individuare la di-

mora di famiglia con uno dei più prestigiosi edifici della città, pa-lazzo Marino, attuale sede dell’amministrazione comunale.

Piazza San Marco.Arrivato allo sbocco di quella strada, scoprendoseli davanti lapiazza di san Marco, la prima cosa che gli diede nell’occhio, furondue travi ritte, con una corda, e con certe carrucole; e non tardòa riconoscere (ch’era cosa famigliare in quel tempo) l’abbomi-nevole macchina della tortura (cap. XXXIV). È una delle prime “tappe”del secondo viaggio di Renzo a Milano, durante la peste.

Rione Borgonuovo.Renzo s’abbatteva appunto a passare per una delle parti piùsquallide e più desolate: quella crociata di strade che si chiamavail carrobio di porta Nuova (cap. XXXIV), è la zona di Borgonuovo, oggiuna delle più decorose ed eleganti della città.

Casa della madre di Cecilia.In via Verri, al numero 10, è stata individuata quella che forse fu lacasa di Cecilia, la bambina morta di peste, resa famosa proprio dalpasso di alta commozione in cui la madre la depone sul carro deimonatti (cap. XXXIV): Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, eveniva verso il convoglio, una donna…

Casa di don Ferrante.Al numero 11 di via del Gesù doveva trovarsi il palazzo signorile didon Ferrante e donna Prassede, che ospitò per più di un anno Lucia,e dove Renzo giunge con l’ansia di ritrovare la fidanzata nei giornidella peste (cap. XXXIV).

Lazzaretto. Il nome della via ricorda l’ampia zona in cui sorgeva il laz-zaretto, trasformato oggi in quartiere residenziale. Ne resta in piedisolo una minima parte, di una ventina di metri di lunghezza, a memo-ria storica dell’antica costruzione.

Chiesa di San Carlino al Lazzaretto (antica cappella del lazzaretto).Al centro di largo Bellintani, si tratta dell’unica struttura del lazza-retto rimasta intatta e in uso (cap. XXXVI).

Casa Manzoni - Museo manzoniano.In via Morone 1, si trova la casa dove Manzoni visse dal 1813 allasua morte. La casa è oggi un museo, dove si concluderà il nostroitinerario manzoniano.

Porta Nuova.Da qui (attuale piazzale Principessa Clotilde) entra Renzo in Milanonel suo secondo viaggio: Stato lì alquanto, prese la diritta, alla ven-tura, andando, senza saperlo, verso porta Nuova. (...): dietroc’era uno stecconato, e dietro quello, la porta, cioè due alacce dimuro, con una tettoia sopra, per riparare i battenti (cap. XXXIV).

ITINERARIO A (primo viaggio di Renzo Milano, capp. XI-XVI)Renzo entra a Milano da Porta Orientale e raggiunge il Cordusio, percorrendo dunque le attuali piazza Oberdan, corso Venezia, corso Vittorio Emanuele,piazza del Duomo, via Mercanti, e piazza Cordusio; nell’immediato circondario di piazza Cordusio trascorrerà la notte all’osteria della luna piena. Il giornodopo compie a ritroso lo stesso percorso. Sulla cartina, si potranno seguire i seguenti punti: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7

ITINERARIO B (secondo viaggio di Renzo Milano, capp. XXXIV-XXXVI)Renzo entra in Milano da Porta Nuova-Piazzale Principessa Clotilde, percorre la prima parte di corso di Porta Nuova, gira a destra in via Moscova(stradone di santa Teresa), poi in via san Marco fino alla piazza. Giunge ai navigli, prende prima via Fatebenefratelli e quindi via Borgonuovo fino al-l’incrocio con via Monte Napoleone. Qui prende l’attuale via Manzoni, poi via Bigli, via Verri (al n. 10 c’è la casa della madre di Cecilia), via Gesù (al n.11 c’è la casa di don Ferrante). Qui, scambiato per un untore, Renzo salterà su un convoglio di monatti, che lo riporterà fino al corso di Porta Orien-tale, cioè corso Venezia: a questo punto egli scenderà dal carro e si recherà dritto al lazzaretto, la zona oggi compresa fra via san Gregorio e via Ta-dino. Sulla cartina, si potranno seguire i seguenti punti: 16 - 9 - 10 - 11 - 12 - 1 - 13 - 14

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Terza tappa: Casa del ManzoniL’itinerario dei luoghi manzoniani non poteva che portarci, infine, a casa dello scrittore. In viaMorone 1, nel pieno centro di Milano, Manzoni prese casa nel 1813, e vi rimase per tuttala vita. Oggi, quell’elegante e appartata dimora ospita il Museo Manzoni, diretto dal CentroStudi Manzoniani. Qui, oltre alla più ricca delle biblioteche sullo scrittore, ritroviamo nell’am-biente suo familiare, i documenti, le fotografie, gli oggetti e le lettere personali, tutto ciò chein definitiva ricostruisce e racconta la sua vita. E al centro ideale del museo possiamo trovarei segni concreti della storia dei Promessi Sposi, che conferiscono ancor maggiore vitalità e in-teresse alla sua lettura, e che forniscono ulteriori strumenti per la conoscenza dell’opera.

Informazioni

Casa del ManzoniVia Morone, 1 - 20121 MilanoOrario: martedì-venerdì 9.00-12.00 14.00-16.00Telefono: 0286460403 - fax 02875618e-mail: [email protected]

Come arrivareMetropolitana Linea 1 (Duomo), Linea 3 (Duomo)Bus: 61 Tram: 1-2Ingresso gratuito

Biblioteca: stessi orari del Museo

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Sala 1Studio di Manzoni. È lo studio dello scrittore, conservatoesattamente come quando era in vita, dagli arredi ai libri e aglioggetti personali, ancora poggiati sulla scrivania: i guanti, latabacchiera, le penne, il calamaio.Qui, vicino alle finestre che danno sul giardino, o intorno al ca-mino, si appartava per leggere e lavorare, e riceveva gli amicie gli ospiti: tra i primi, ricordiamo Tommaso Grossi, GiovanniBerchet, Massimo d’Azeglio; tra i secondi, Giuseppe Garibaldi,Cavour, Verdi.

Sala 2Sala Tommaso Grossi. Tommaso Grossi (1790-1853), scrit-tore fra i maggiori dell’Ottocento italiano, fu amico e collabo-ratore fraterno di Manzoni, che gli affittò per alcuni anni que-sto appartamento. Qui sono conservati volumi e altridocumenti e testimonianze della famiglia e dell’opera di Grossi.

Sala 3Sala da pranzo. La sala è ricca di documenti che permettonodi ricostruire le vicende e gli affetti familiari della prima partedella vita di Manzoni. I numerosi disegni, dipinti e fotografie allepareti, o conservati in bacheche, ritraggono lo scrittore dal-l’età giovanile all’età matura, così come gli altri componentidella sua famiglia, il suo matrimonio con Enrichetta Blondel, egli amici della cerchia intima. In mezzo a tanta iconografia, ri-troviamo anche lettere e documenti personali.

Piano terreno1) Studio di Manzoni2) Sala Tommaso Grossi

Primo piano3) Sala da pranzo4) Sala di conversazione5) Camera da letto matrimoniale6) Camera da letto di Manzoni7) Galleria

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Sala 4Sala di conversazione. Era la stanza in cui Manzoni si ritro-vava, soprattutto la sera, con i familiari e gli amici. Questa cer-chia reale e spirituale di rapporti è testimoniata da una galleriadi ritratti alle pareti; tra gli altri, quello dello scrittore NiccolòTommaseo, quello del padre spirituale monsignor Tosi, e so-prattutto quello del grande poeta tedesco Goethe con dedica.

Sala 5Camera da letto matrimoniale. Era la stanza coniugale delsecondo matrimonio di Manzoni, quello con Teresa Stampa.Sono qui conservati ed esposti ora documenti e dipinti dellamoglie, della sua famiglia e della loro vita matrimoniale.Fra gli oggetti di interessante curiosità, vi è esposto l’ultimo ri-camo eseguito in prigione dalla regina di Francia, Maria Anto-nietta, prima dell’esecuzione; l’oggetto fu regalato a Giulia Bec-caria, madre di Manzoni, da Sophie de Condorcet.

Sala 6Camera da letto di Manzoni. Tutto in questa stanza, comenello studio, è stato mantenuto nella sua disposizione origi-nale. Qui, in questa stanza di raccolta severità, AlessandroManzoni morì, a ottantotto anni, nel maggio del 1873.

Sala 7Galleria. L’ultima stanza è la più interessante di tutte, per chivisita la casa cercando le “tracce” dei Promessi sposi. Sono in-fatti esposti alle pareti e nelle bacheche, le più rare edizionidelle sue opere, collezioni delle principali illustrazioni del ro-manzo, manifesti e spartiti che documentano le varie versioniteatrali e in musica del romanzo, oltre a cartoline illustrate, fi-gurine e altri oggetti che testimoniano il grande successo po-polare della sua opera. E molti altri “cimeli” personali.Sulla parete di fondo, a sinistra, proprio prima di uscire, sitrova il ritratto del cardinale Federigo Borromeo.