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ALMA MATER STUDIORUM Università degli studi di Bologna FACOLTA’ DI AGRARIA Dipartimento di Scienze degli Alimenti Corso di Laurea in Scienze Agrarie Materia di tesi: Zootecnica speciale I VALORIZZAZIONE DELLE RAZZE BOVINE AUTOCTONE NELLA PRODUZIONE DEL PARMIGIANO-REGGIANO Tesi di Laurea di: KATIA BERNABEI Relatore: Chiar.mo Prof. FRANCESCO RICCI BITTI PAROLE CHIAVE: RAZZE AUTOCTONE, REGGIANA, BIANCA VAL PADANA, CASEINA, PARMIGIANO-REGGIANO Sessione II Anno Accademico 2000-2001 1

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ALMA MATER STUDIORUM

Università degli studi di Bologna

FACOLTA’ DI AGRARIA

Dipartimento di Scienze degli Alimenti

Corso di Laurea in Scienze Agrarie

Materia di tesi:

Zootecnica speciale I

VALORIZZAZIONE DELLE RAZZE BOVINE AUTOCTONE

NELLA PRODUZIONE DEL PARMIGIANO-REGGIANO

Tesi di Laurea

di:

KATIA BERNABEI

Relatore:

Chiar.mo Prof.

FRANCESCO RICCI BITTI

PAROLE CHIAVE: RAZZE AUTOCTONE, REGGIANA, BIANCA VAL PADANA, CASEINA,

PARMIGIANO-REGGIANO

Sessione II

Anno Accademico 2000-2001

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Indice

Premessa 3

1-Introduzione 4

1.1 Cenni storici 5

1.2 Area di diffusione 8

2-Attuale procedura per la produzione del Parmigiano-

Reggiano 10

2.1 Lo standard del formaggio Parmigiano-Reggiano 11

2.2 I contrassegni e i marchi di garanzia del Parmigiano Reggiano 13

2.3 Regolamento per l’alimentazione delle bovine 19

2.4 Il latte e le sue caratteristiche 30

2.5 La trasformazione casearia 61

3-Influenza del tipo di caseina sulla formazione della

cagliata 67

4-Principali razze bovine allevate in provincia di Modena

e Reggio Emilia 84

4.1 Evoluzione numerica 85

4.2 Riqualificazione delle razze bovine autoctone 92

4.3 Caratteristiche morfologiche e fisiologiche 96

4.4 Trend fenotipico 104

4.5 Miglioramento genetico 108

5-Attuale situazione 112

5.1 Sistemi di allevamento 113

5.2 I riscontri al caseificio 131

6-Prospettive 134

7-Bibliografia 138

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Premessa

La lunga storia del Parmigiano Reggiano oltre ad essere legata

ad un ambiente con caratteristiche pedo-climatiche peculiari

che permette di estrinsecarne tutte le caratteristiche fisiche

chimiche e organolettiche, s’intreccia con quella di due razze

bovine autoctone: la Bianca Val Padana e la Reggiana. Si è

instaurata attraverso i secoli una stretta connessione tra

ambiente, tipi genetici e prodotto. Ciò garantisce la genuinità,

la tipicità e più in generale la qualità del prodotto in questione.

Per questo e per altri motivi di ordine biologico e culturale è

importante, e allo stesso tempo può risultare interessante,

mettere in evidenza le caratteristiche e le potenzialità di queste

due “storiche” razze bovine.

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1-Introduzione

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1.1 Cenni storici

Secondo la classificazione dello svizzero Duerst la popolazione bovina viene

suddivisa in tre raggruppamenti fondamentali: Bos taurus macroceros

(longicorni), Bos taurus brachiceros (brevicorni) e Bos taurus akeratos

(acorni). Dal Bos taurus brachiceros ha origine il Bos primigenius o Uro del

sud da cui deriveranno tutte le razze europee e che si estinse intorno alla metà

del secolo XVII.

Decisivo, nell’evoluzione del patrimonio zootecnico, più in particolare quello

bovino, fu un evento storico di grande portata: la caduta dell’ impero romano

d’occidente (476). Subito dopo ebbero inizio le invasioni barbariche. Queste

popolazioni provenivano dal sud-est europeo; tra queste vi furono i

Longobardi i quali ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione di nuove

razze bovine in Italia. I Longobardi provenivano dalla Pannonia e, dopo aver

invaso nel 568 il Friuli, dilagarono in tutta la Padania e conquistarono molti

territori dell’Italia centro-meridionale. Durante le loro migrazioni utilizzavano

numerosi bovini, indispensabili per il trasporto dei familiari e delle masserizie.

Questi bovini erano stati razziati nei territori che avevano attraversato prima

di scendere in Italia, cioè nella Russia meridionale, nella Podolia e nella

Pannonia. Si può quindi ritenere che quei bovini portati in Italia

appartenessero all’antica razza podolica.

Secondo recenti studi, il pigmento rosso del mantello, che è un carattere

dominante, sarebbe stato trasmesso dalle antiche vacche rosse della steppa

russa cha ancora oggi vivono nell’Ucraina e nell’est della Romania. Nel

volgere di pochi secoli, la razza fromentina sostituì le razze indigene e

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mantenne la supremazia fino alla prima metà del ’900. Fu proprio questa

razza, a partire dal secolo XII, la protagonista della cosiddetta “rivoluzione

casearia“ con la quale si ebbe la produzione dei primi formaggi a base di latte

vaccino, i “caci parmigiani“ poi parmesan, ad opera dei monaci benedettini.

A questo punto occorre fare un precisazione: la razza definita “fromentina“

comprende diverse sottorazze che si formarono nei territori pianeggianti e

collinari compresi fra la provincia di Modena e l’Oltrepò pavese. Queste

sottorazze avevano in comune il mantello rosso, seppure in diverse tonalità, ed

elevata adattabilità alle diverse condizioni ambientali, ma si differenziavano

tra loro per la taglia, per la diversa attitudine alla produzione di latte e carne e,

in certi casi, per una minore resistenza ai lavori pesanti. Attualmente alcune di

queste sottorazze sono ridotte allo stato di reliquia e rischiano l’estinzione. In

particolare sono: Cabannina, Ottonese e Pontremolese. La Bianca Val Padana

e la Reggiana invece hanno una consistenza numerica più elevata; il rischio

però di un ulteriore calo del numero di capi sussiste ancora per la Bianca Val

Padana.

Tornando alla storia della razza fromentina, tra il Po e l’ Enza (Piacenza e

Parma) il mantello era di colore rosso accentuato, la mole media e la

produzione del latte particolarmente ricercata; fra l’Enza e il Secchia (Reggio

Emilia) il mantello rosso tendeva al pallido, perciò detto fromentino, la mole

maggiore e una più spiccata attitudine lattifera; fra Secchia e Reno (Modena)

la popolazione bovina, assai eterogenea come mantello, tipo e mole, era

invece a più spiccata attitudine alla produzione di carne, ma, fin dal ’700,

cominciò a prevalere la razza di tipo reggiano cioè a triplice attitudine (ma più

lattifera) e a mantello fromentino. L’illustre Filippo Re, riferendosi ai bovini

di Reggio, ma che simili si ritrovavano anche nel modenese, affermava:

“Il bovino di mantello fromentino (cioè rosso chiaro) è da tutti preferito ad ogni altro. Il

bovino latteo (segno che già all’ inizio dell’’800 vi erano soggetti di colore bianco) è da

tutti ricusato siccome indicante animale debole“.

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Verso la metà dell’800, dal gruppo di bovini di cui si è parlato poc’anzi, si

differenziò una popolazione a mantello bianco con centro Carpi e perciò detta

anche “carpigiana“ che si estese poi nella restante pianura modenese, nelle

zone confinanti della pianura di Reggio con centro Correggio e nell’Oltrepò

mantovano, per questo assunse anche il nome “modenese“ poi “Bianca Val

Padana“.

Dalla seconda metà dell’800 con esposizioni zootecniche la Società Fiere e

Corse di Modena incoraggiò l’allevamento dei bovini del tipo modenese

premiando i soggetti migliori, ben sviluppati, con mantello tra il fromentino e

il bianco, di buon accrescimento, con attitudine al lavoro e provviste di buone

masse muscolari. Solo alla fine del secolo, con la comparsa dei primi caseifici

nel modenese, si è cominciato a valorizzarne l’attitudine lattifera e quindi

casearia.

La Cattedra Ambulante di Agricoltura, dopo l’Esposizione Zootecnica di

Mirandola del 1905, iniziò un metodico lavoro di selezione. Da allora si

costituì la Commissione Zootecnica Provinciale della quale fecero parte

tecnici ed allevatori incaricati di coordinare e uniformare i criteri di scelta dei

riproduttori, si moltiplicarono le esposizioni zootecniche circondariali e

comunali e nel 1913 si costituì la Commissione Provinciale per

l’approvazione dei tori.

Le prime informazioni accreditate sulla vacca rossa reggiana provengono

invece da uno studio datato 1809 ad opera del Bolognini relativo al bestiame

bovino allevato nel Dipartimento del Crostolo. In questi anni vengono

importate dalla Svizzera vacche “lugane” per essere fecondate da tori reggiani

per la vendita dei nati al macello (eccetto le vitelle di buona conformazione).

Intorno al 1860, secondo Guardasoni (1931) era già iniziata una prima opera

di miglioramento della Reggiana volta ad eliminare alcuni difetti morfologici

della razza, come la linea dorsale avvallata e la coscia di pollo al fine di

ottenere animali dotati di una migliore attitudine alla produzione di carne e di

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più armonica conformazione. Allo scopo vennero introdotti e utilizzati per l’

incrocio bovini di ceppo Simmenthal dai cantoni di Friburgo e Berna. Tale

incrocio fu effettuato soprattutto nella tenuta dei conti Spalletti presso S.

Donnino di Casalgrande. I risultati furono ottimi, tanto da generare quasi una

sottorazza, molto apprezzata, detta “razza Spalletti“. Per la monta pubblica

oltre ai tori Simmenthal furono introdotti tori Durham, tori di razza Bruna

Alpina e persino olandesi.

Allo scopo di ottenere un miglioramento più rapido della produzione di latte e

carne venne addirittura presa la delibera di intraprendere l’incrocio di

sostituzione della Reggiana con la Simmenthal, ma l’ obiettivo della

sostituzione della razza autoctona non fu mai raggiunto. La Simmenthal aveva

innegabili qualità superiori, rispetto alla Reggiana nei riguardi della

produzione di latte e carne, ma aveva ridotto le capacità di resistere alle

fatiche dei lavori agricoli a cui era destinata. Dal momento che gli ibridi

presentavano una minore consistenza del tessuto corneo ungueale ed un netto

peggioramento dell’attitudine dinamica rispetto al ceppo autoctono, la tecnica

dell’ incrocio venne abbandonata e s’iniziò l’opera di miglioramento della

razza locale con la costituzione di nuclei di allevamento di bovini di razza

selezionata tra i quali scegliere i riproduttori.

Infine, il XIII Congresso Internazionale di Agricoltura, svoltosi a Roma nel

1927, avvalorò l’ opinione che il miglioramento delle razze locali andasse

ricercato con la selezione e non con l’incrocio con altre razze. (1), (2), (3), (4)

1.2 Area di diffusione

Attualmente la distribuzione dei bovini di razza Reggiana e di Bianca Val

Padana copre le province di Modena e Reggio Emilia (figura 1); in particolare

gli allevamenti di vacche reggiane sono ubicati sia in aree montane

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dell’Appennino Reggiano (Baiso, Casina, Carpineti, Castelnovo ne’ Monti)

delimitate, come una sorta di confine naturale, dal fiume Enza (che separa la

provincia di Reggio Emilia da Parma) e dal fiume Secchia che tagliando fuori

Villa Minozzo (altra zona di allevamento di Reggiane) divide Modena da

Reggio Emilia, sia anche nella pianura di Reggio e provincia (Cavriago,

Cadelbosco di Sopra, Coviolo, Quattro Castella, Castelnovo di Sotto, Viano,

Guastalla). I capi di Bianca Val Padana invece sono per lo più concentrati

nelle aree appenniniche di Prignano, Zocca, Palagano, e Montefiorino; ve ne

sono anche alcuni nuclei ‘sostanziosi’ nella pianura reggiana (Albinea) e in

quella Modenese (Spilamberto e Sassuolo).

Figura 1. Distribuzione geografica della razza Reggiana e della Val Padana (ridisegnata

da Atlante Mondiale Omnia De Agostini)

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2-Attuale procedura per la produzione del

Parmigiano Reggiano

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2.1 Lo standard del formaggio Parmigiano–

Reggiano

Formaggio semigrasso, a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto

con coagulo ad acidità di fermentazione dal latte di vacca proveniente da

animali, in genere a periodo di lattazione stagionale, la cui alimentazione base

è costituita da foraggi di prato polifita o di medicaio. Viene impiegato il latte

delle mungiture della sera, riposato e parzialmente scremato per affioramento,

e del mattino. La cagliatura è effettuata con caglio di vitello. Non è ammesso

l’impiego di sostanze antifermentative. Dopo qualche giorno si procede alla

salatura, che viene praticata per 20-30 giorni circa.La maturazione è naturale e

deve protrarsi almeno fino al termine dell’estate dell’anno successivo a quello

di produzione, per quanto la resistenza alla maturazione sia anche superiore. Il

formaggio stagionato è usato da tavola o da grattugia e presenta le seguenti

caratteristiche:

forma cilindrica, a scalzo leggermente convesso o quasi diritto, con facce

piane, leggermente orlate;

dimensioni: diametro da 35 a 45 cm. , altezza dello scalzo da 18 a 24 cm.;

peso minimo di una forma: kg. 24 (massimo kg. 40);

confezione esterna: tinta oscura ed oleatura o giallo dorato naturale;

colore della pasta: da leggermente paglierino a paglierino;

aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato, saporito, ma

non piccante;

struttura della pasta: minutamente granulosa, frattura a scaglia;

occhiatura: minuta, appena visibile;

spessore della crosta: circa 6 mm;

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grasso sulla sostanza secca: minimo 32%;

zona di produzione: territori delle province di Bologna alla sinistra del

fiume Reno, Mantova alla destra del fiume Po, Modena, Parma, Reggio

nell’Emilia (fig. 2). (21)

Figura 2. Comprensorio del Parmigiano-Reggiano

(da www.sirio.com/fanticini/pr.comefa-it.html)

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2.2 I contrassegni e i marchi di garanzia del

Parmigiano-Reggiano

Figura 3. I marchi e i contrassegni di garanzia del Parmigiano-Reggiano

(rielaborato da www.bassaparmense.it)

La Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 235 del 9 ottobre 2001

riporta il comunicato del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali

(Mipaf) in merito alla modifica al disciplinare di produzione del formaggio a

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D.O.P. Parmigiano-Reggiano, avanzata dal Consorzio in all’Assemblea

Generale dei Delegati del 20 luglio scorso.

Tale modifica riguarda il Regolamento di alimentazione delle bovine da latte,

lo Standard di produzione e il Regolamento di marchiatura, per aggiornare gli

stessi documenti che già facevano parte del Disciplinare di produzione del

Parmigiano-Reggiano, inoltrato alla Commissione CEE a seguito del Reg.

CEE 2081/92 che ha introdotto a livello comunitario il riconoscimento delle

D.O.P. e delle I.G.P.

La modifica specifica meglio l’uso di latte crudo, il divieto dell’uso di

additivi, le norme per l’alimentazione delle bovine da latte, indicando i

foraggi e i mangimi ammessi e quelli vietati. Inoltre introduce

l’identificazione all’origine di ogni singola forma mediante l’apposizione di

un codice e introduce una distinzione nel marchio di selezione, indicando il

Parmigiano-Reggiano idoneo alla prima stagionatura (circa 12-15 mesi) e

quello idoneo alla lunga stagionatura (circa 24 mesi).

A proposito della marchiatura si riportano le disposizioni generali e le

definizioni:

UI marchi (art.1)

I segni distintivi del formaggio Parmigiano-Reggiano sono rappresentati dai

marchi d’origine e dai marchi di selezione (fig.3).

1. La marchiatura d’origine è eseguita a cura dei singoli caseifici mediante:

a) l’apposizione di una placca di caseina recante la scritta “Parmigiano-

Reggiano” o “CFPR” e i codici identificativi della forma;

b) l’impiego di apposite matrici (fasce marchianti) imprimenti sulla

superficie dello scalzo di ogni forma la dicitura a puntini

“Parmigiano-Reggiano”, nonché la matricola del caseificio

produttore, l’annata e il mese di produzione.

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2. La marchiatura di selezione è effettuata dal Consorzio del Formaggio

Parmigiano-Reggiano mediante l’apposizione di marchi indelebili, come

riportato nei successivi art. 4, 5, 6, 7 e 8.

UDefinizione dei lotti produttivi e operazione di espertizzazione (art.4)

1. La produzione del caseificio è divisa in lotti e più precisamente:

a) 1° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da gennaio ad aprile;

b) 2° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da maggio ad agosto;

c) 3° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da settembre a dicembre.

2. Prima della marchiatura di selezione tutte le forme di formaggio

Parmigiano-Reggiano sono esaminate da una Commissione composta da

almeno due esperti nominati dal Consorzio. Questa operazione è detta

“espertizzazione”.

3. Tutte le operazioni di espertizzazione e di apposizione dei marchi devono

avvenire all’interno della zona di origine.

UEspertizzazione (art.5)U

1. Le operazioni di espertizzazione sono espletate per i tre lotti di produzione

in tre periodi secondo il seguente calendario:

a. Il formaggio del primo lotto è espertizzato a partire dal 1° dicembre

dello stesso anno;

b. Il formaggio del secondo lotto è espertizzato a partire dal 1° aprile

dell’anno successivo;

c. Il formaggio del terzo lotto è espertizzato a partire dal 1° settembre

dell’anno successivo.

UClassificazione del formaggio (art.6)U

1. L’espertizzazione del formaggio avviene attraverso la valutazione

dell’aspetto esterno, della struttura e delle caratteristiche olfattive della

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pasta, avvalendosi dell’esame con il martello e dell’esame con l’ago con

riferimento agli usi e alle consuetudini e secondo la classificazione

riportata nell’Allegato.

2. Al fine di approfondire l’oggettività dell’espertizzazione, le commissioni

devono procedere al taglio di almeno una forma per lotto e, comunque, non

meno di una ogni mille o frazione di mille, per valutarne le caratteristiche

strutturali ed organolettiche. Ai caseifici è fatto obbligo di mettere a

disposizione le forme indicate dagli esperti da sottoporre al taglio e di

consentire l’eventuale prelievo di una porzione delle stesse.

UApposizione dei bolli ad inchiostro (art.7)U

1. Contestualmente alle operazioni di espertizzazione, di cui all’art. 6, alle

forme sono applicati bolli provvisori ad inchiostro indelebile per

caratterizzare le seguenti categorie:

a) Prima categoria, costituita dalle forme classificate in Allegato come

“formaggio scelto sperlato” e “formaggio scelto mercantile” (forme

qualificate come “uno” e come “zero”);

b) seconda categoria, costituita dalle forme classificate come

“formaggio mezzano”;

c) terza categoria costituita dalle forme classificate come “formaggio

scarto” o “formaggio scartone”.

UApposizione dei bolli a fuoco (art.8)U

1. Sulle forme di “prima categoria” e su quelle di “seconda categoria” si

appone un bollo ovale a fuoco imprimente la dicitura “Parmigiano-

Reggiano Consorzio Tutela” e l’anno di produzione;

2. il formaggio di seconda categoria è sottoposto all’identificazione mediante

un contrassegno indelebile da applicarsi sullo scalzo della forma;

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3. l’applicazione del bollo a fuoco può essere effettuata dopo sette giorni

dall’avvenuta espertizzazione.

UAnnullamento dei marchi d’origine (art.9)U

1. Sulle forme di terza categoria, unitamente a quelle con gravi difetti

strutturali che non ne hanno consentito la stagionatura e a quelle che hanno

subito correzioni tali da compromettere l’estetica della forma e la qualità

della pasta o i contrassegni identificativi del mese, dell’anno di produzione

e della matricola del caseificio, saranno asportati i marchi di origine a cura

degli addetti del Consorzio o le stesse dovranno essere consegnate a una o

più strutture di trasformazione convenzionate con il Consorzio. Per tali

forme il caseificio dovrà conservare la documentazione prodotta dalle

suddette strutture da cui risulti l’avvenuto annullamento dei marchi di

origine. L’annullamento dei marchi è effettuato anche per le forme sulle

quali non sono stati correttamente applicati i marchi di origine.

UAllegatoU

Classificazione merceologica del formaggio

1. Formaggio scelto sperlato

Tale qualifica viene attribuita a quelle forme immuni da qualsiasi difetto sia

esterno che interno (pezzatura, crosta, martello, ago, struttura della pasta,

aroma,sapore) in qualsiasi modo rilevabile, sia alla vista sia al collaudo

dell’ago e del martello.

2. Formaggio scelto mercantile 0-1

In questa classe sono comprese le forme classificate come:

Zero: le forme che, pur rispondendo alle caratteristiche di scelto,

presentano sulla crosta fessure superficiali, piccole erosioni, spigoli

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leggermente rovinati e qualche piccola correzione senza che la forma

risulti deformata.

Uno: le forme aventi leggere anomalie di struttura e in particolare:

- uno o due vescicotti (cavità di forma circolare od oblunga creatasi nella

pasta) di diametro non superiore ai 3-4 cm e sempre che, sondato il

vescicotto con l’ago, questo non riveli difetti olfattivi;

- -vespaio localizzato (zona di pasta spugnosa) di pochi centimetri senza

difetti olfattivi;

- alcune “bocche di pesce” e cioè occhi di forma oblunga, non superiori

ai 3-4 cm;

- leggere sfoglie, costituite di alcune fessurazioni della pasta, di

lunghezza non superiore ai 3-4 cm;

- occhi radi e non eccessivamente ripetuti,

- le forme cosiddette “lente”, e cioè quelle che alla percussione con il

martello rivelano un suono sordo.

3. Formaggio mezzano (uno lungo)

In questa classe sono comprese le forme con:

- vescicotti di diametro superiore ai 3-4 cm immuni da difetti olfattivi;

- vespai immuni da difetti olfattivi;

- occhiatura diffusa nella forma (occhi lucidi, rotondi, di diametro

medio- piccolo);

- alcune fessurazioni e spacchi disposti orizzontalmente;

- fessurazioni e spacchi orizzontali localizzati in prossimità di un piatto

e/o interessanti parte dello scalzo;

- correzioni in scalzo o in piatto, in assenza di difetti olfattivi, eseguite a

regola d’arte di entità tale da non compromettere significativamente

l’aspetto esteriore della forma.

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4. Formaggio scarto

In questa classe sono comprese le forme con:

- bombatura molto accentuata dei piatti della forma;

- pasta spugnosa con grande e diffusa occhiatura;

- fessurazioni orizzontali multiple e diffuse con conformazioni a “libro”;

- grosse fenditure e spacchi diffusi su gran parte della forma;

- grossa cavità localizzata al centro o in zona sub-centrale a forma sferica

od oblunga con o senza pasta spugnosa;

- correzioni in scalzo e/o in piatto profonde ed estese;

- forme con evidenti difetti olfattivi.

5. Formaggio scartone

A questa classe appartengono tutte le forme nelle quali si nota la presenza di

numerosi e gravi difetti e cioè tutte quelle che non possono per la loro qualità

essere comprese nelle categorie sopra specificate. (10)

2.3 Regolamento per l’alimentazione delle bovine

L’ultimo aggiornamento del regolamento per l’alimentazione delle bovine

risale al 1999 (Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano)

Il razionamento delle vacche il cui latte è destinato alla produzione di

Parmigiano-Reggiano si basa sull’utilizzazione di foraggi locali, il che

consente di mantenere vivo l’imprescindibile rapporto che lega il prodotto al

territorio.

Per questa ragione:

almeno il 35% della sostanza secca dei foraggi utilizzati deve essere di

produzione aziendale;

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almeno il 75% della sostanza secca dei foraggi deve provenire dal

Comprensorio;

non più del 25% della sostanza secca dei foraggi (ivi compresi tutti quelli

ottenuti per disidratazione ad alta temperatura) può provenire da territori

collocati al di fuori dell’area del Parmigiano-Reggiano, purché prodotti

nelle regioni contigue a quelle del Comprensorio di produzione.

Qualora l’azienda non disponga di un adeguato rapporto terra/bestiame (SAU

pari 0,33 ha per vacca da latte in pianura e 0.66 ha per vacca da latte in

montagna), il produttore deve documentare la provenienza dei foraggi

acquistati. La razione di base, costituita dai foraggi, viene convenientemente

integrata con mangimi complementari in grado di bilanciare gli apporti

energetici, proteici, minerali e vitaminici della dieta.

I foraggi

Sono da ritenersi idonei per l’alimentazione delle vacche da latte:

i foraggi freschi ottenuti da buoni prati stabili naturali polifiti o artificiali

purché falciati asciutti, all’inizio della fioritura e somministrati

prontamente. In particolare si possono impiegare: erba medica; erba di

prato naturale; erba di trifoglio; erbai di loietto, segale, avena, orzo,

granturchino, sorgo da ricaccio, panico, dactilis, festuca, fleolo, sulla,

lupinella, somministrati singolarmente o associati tra loro o con pisello,

veccia e favino a giusta maturazione;

i fieni ottenuti a mezzo dell’essiccamento in campo o per aeroessiccazione

delle essenze foraggere predette;

il foraggio ottenuto dalla coltura della pianta intera del mais raccolto a

maturazione latteo-cerosa o cerosa e sottoposto a trinciatura (tale foraggio

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deve essere immediatamente somministrato alle bovine onde ridurre al

massimo i processi fermentativi);

le paglie di cereali e i foraggi di buona qualità disidratati ad alta

temperatura.

Limitazioni d’impiego dei foraggi

Al fine di realizzare un corretto razionamento è necessario che l’utilizzazione

dei foraggi avvenga nel rispetto delle seguenti regole:

le quantità massime di foraggi freschi, nel loro insieme, non devono

superare i 30 kg per vacca al giorno;

la quantità di trinciato di mais, di sorgo e di granturchino non deve

superare, complessivamente, i 10 kg/capo/giorno;

il fieno di medica non deve essere associato agli erbai di leguminose;

i prodotti ottenuti per disidratazione con alte temperature non devono

eccedere i 2 kg per bovina al giorno. Il trattamento termico provoca infatti

una drastica caduta della flora lattica autoctona e profonde modificazioni

chimico-fisiche dei diversi principi alimentari;

l’impiego dei fieni di medica e di trifoglio ottenuti a mezzo di

aeroessiccazione va associato a foraggi secchi di graminacee, per

migliorare le qualità dietetiche, stimolare la masticazione e regolare la

ruminazione.

I mangimi

Nel razionamento è necessario tenere conto che i trattamenti tecnologici

(macinazione, schiacciamento, fioccatura, micronizzazione, estrusione…)

modificano, anche in modo radicale, le caratteristiche chimico-fisiche dei

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prodotti, rendendoli differenti da quelli da cui originano. Per il razionamento

delle bovine in lattazione non è ammesso l’impiego di diete che abbiano come

fonte di amido un unico cereale. Per valutarne la conformità, i mangimi

devono essere corredati da “cartellini” in cui siano indicate le singole materie

prime e non le sole categorie di materie prime affini. Inoltre, al fine di

predisporre un corretto razionamento,è necessario che sia riportato, per ogni

ingrediente, il trattamento termico o idrotermico cui, eventualmente, è stato

sottoposto. I mangimi devono essere conservati in modo adeguato sia per

preservare le caratteristiche dietetico-nutrizionali, sia per evitare che possano

contaminare l’ambiente quindi il latte. A tal fine:

i sili devono essere periodicamente svuotati completamente, puliti

e disinfettati;

i mangimi non possono essere conservati all’interno della stalla.

Tabella 1. Mangimi semplici utilizzabili e dosi massime d’impiego

materie prime% max nei mangimi Kg/capo/die

MAIS IN FARINA 35 4

MAIS SCHIACCIATO 30 3

MAIS FIOCCATO E\O ESTRUSO 20 2

MAIS TOTALE (FARINA+SCHIACCIATO+FIOCCATO+ESTRUSO) 50 6

ORZO (schiacciato e/o farina) 30 3,5

ORZO (fioccato) 20 2

FRUMENTO+TRITICALE+SEGALE: in totale 20 2

SORGO 15 1,5

AVENA 10 1CRUSCA,CRUSCHELLO, TRITELLO, GERME, FARINACCIO E FARINETTA DI FRUMENTO: in totale 30 3

POLPE SECCHE DI BIETOLA (in fettucce e/o pellet) 15 2

FARINA DI ESTRAZIONE DI SOIA (inegrale e/o decorticata) 25 2,5

SOIA INTEGRALE (fioccata,tostata,estrusa o micronizzata): in totale 10 1

FARINA DI ESTRAZ. GIRASOLE (minimo 30% proteine) 10 1

FARINE DI ESTRAZIONE E/O EXPELLER E/O PANELLI DI LINO E DI GERME

DI MAIS: in totale 10 1

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TRINCIATO DI CEREALI CEROSI DISIDRATATI (mas, orzo, frumento, segalee triticale): in totale 20 2

FAVA E/O FAVINO 10 1

PISELLO PROTEICO 10 1

SEMOLA GLUTINATA, GLUTINE DI MAIS E BUCCETTE DI SOIA: in totale 10 1

SEME INTEGRALE DI LINO 3 0,3

ALTRE FORAGGERE DISIDRATATE: in totale 20 2

CARRUBA (come appetizzante) 3 0

MELASSO (come legante) 3 0

Note: le percentuali massime delle materie prime si riferiscono ai mangimi complementari che da soli

integrano la razione dei foraggi e non si applicano ai concentrati ad alto contenuto proteico, minerale e

vitaminico (i cosiddetti “nuclei”), utilizzati in dosi inferiori a 4 kg capo/giorno.

Il contenuto di lipidi grezzi, dopo idrolisi acida, non deve superare il 4,5% nei mangimi complementari,

ad esclusione dei “nuclei”. Non è consentita l’umidificazione delle polpe secche di bietola.

Probiosi (probiotici e prebiotici)

I probiotici ed i prebiotici autorizzati esplicano la loro attività,

prevalentemente se non interamente, a livello del distretto rumine-reticolo. Per

la loro efficacia nel mantenimento delle regolari funzioni digestive, l’impiego

di lieviti vivi e di batteri lattici , utilizzati in preparati concentrati ed in piccole

dosi, è ammesso nei cambiamenti di dieta, in presenza di turbe digestive e nei

momenti di stress alimentare, gestionale ed ambientale. Anche l’impiego di

oligopeptidi, di aminoacidi liberi (ruminoprotetti e non), di oligoelementi

chelati, di oligosaccaridi non digeribili e di lieviti secchi, tutti in qualità di

prebiotici, è consentito per i positivi effetti esercitati sulle funzioni digestive e

sull’ ”igiene” del tratto digerente.

Acqua di bevanda

E’ necessario che le fonti di abbeverata siano facilmente accessibili agli

animali e che l’acqua sia di buona qualità e ben appetita, non arrechi turbe

digestive o metaboliche alla lattifera e non contamini il latte. In assenza di una

specifica normativa in merito, l’acqua di bevanda deve soddisfare almeno i

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requisiti minimi riportati in tabella 2. Particolare attenzione deve essere posta

alla “clorazione” nell’intento di evitare la presenza di quantità eccessive di

cloro libero che potrebbe interferire negativamente con l’attività microbica

ruminale.

Tabella 2. Principali caratteristiche delle acque di bevanda

Valori guida Valori estremi

Durezza totale 25 10-50

Acidità pH 6.5-8.5 6-9

Solidi totali disciolti (residuo fisso

g/l)

1 3

Solfati (mg/l) 25 250

Fosforo (mg PB2BOB5B) 0.40 5.00

Ammoniaca (mg/l) 0.1 0.50

Nitrati (mg/l NOB3B) 5 50.0

Nitriti (mg/l NOB2B) assente 0.5

Flora fecale (coliformi, clostridi

solfito riduttori, streptococchi)

assente assente

Cloro (mg/l) breakpoint 0.2

Alimenti non ammessi

Gli alimenti che non risultano espressamente ammessi sono da considerare

non autorizzati. In ogni caso l’eventuale approvazione di alimenti non

contemplati e le variazioni delle dosi d’impiego di quelli consentiti sono

condizionate dall’esito favorevole delle osservazioni e delle

sperimentazioni promosse e avallate dal Consorzio del Parmigiano-

Reggiano.

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Alimenti il cui impiego è vietato:

Foraggi e sottoprodotti freschi e conservati

1. Insilati di ogni genere, ivi compresi i pastoni.

2. Foraggi in fermentazione, anche se appassiti; foraggi trattati con additivi

per migliorarne la conservabilità.

3. Erbai di sorgo zuccherino a maturazione estiva e di sorgo ibrido non

maturo.

4. Colza, ravizzone, senape, fieno greco, foglie di piante da frutto e non, aglio

selvatico, coriandolo.

5. Stocchi di mais e di sorgo, brattee e tutoli di mais paglia di soia.

6. Ortaggi in genere (cavoli, rape, patate, pomodori,…) ivi compresi scarti,

cascami e sottoprodotti vari allo stato fresco e conservati.

7. Frutta fresca e conservata (mele, pere, pesche, uva, agrumi,…) nonché tutti

i sottoprodotti freschi della relativa lavorazione.

8. Trebbie fresche di birra, distiller, borlande, vinacce, graspe ed altri

sottoprodotti umidi provenienti dalla produzione della birra, dall’industria

enologica e saccarifera e dalle distillerie.

9. Barbabietole da zucchero e da foraggio nonché le foglie ed i colletti.

10. Tutti i sottoprodotti liquidi della macellazione (contenuto ruminale ed

intestinale, sangue, ecc.) e della caseificazione (siero, latticello,…).

Mangimi semplici

1. Tutti gli alimenti di origine animale (pesce, carne, sangue, penne,

sottoprodotti vari della macellazione) nonché i sottoprodotti essiccati della

lavorazione del latte (siero, latticello, farine lattee).

2. Grassi ed olii di origine animale e vegetale, compresi i saponi.

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3. Semi di: cotone, veccia (comprese le svecchiature), fieno greco, lupino,

colza, ravizzone e vinaccioli.

4. Sottoprodotti della lavorazione del riso: lolla, pula, puletta, farinaccio,

gemma e granaverde.

5. Farine di estrazione, panelli ed expeller di: arachide, colza, ravizzone,

cotone, semi di pomodoro, girasole con meno del 30% di proteine,

babassu, malva, neuk, cocco, tabacco, sesamo, papavero,palmisto, olive,

mandorle e noci.

6. Manioca, patate e derivati.

7. Alimenti disidratati ottenuti da ortaggi e sottoprodotti della loro

lavorazione (buccette e semi di pomodoro ecc.) nonché frutta secca o

essiccata di qualsiasi tipo (è consentito l’uso di carruba come appetizzante)

e sottoprodotti della relativa lavorazione (marchi, pastazzi, buccette sanse,

vinacce, vinaccioli e fecce.

8. Saccarosio, glucosio e tutti i sottoprodotti dell’industria saccarifera (il

melasso può essere utilizzato solo come legante nei mangimi) cioè le

borlande e delle birrerie (trebbie essiccate).

9. Urea e derivati, sali di ammonio, concentrato proteico di bietole (CPB) e

borlande di ogni tipo e provenienza.

10.Antibiotici, terreni di fermentazione e qualsiasi principio attivo ed additivo

non ammesso dalla vigente normativa nazionale e comunitaria.

Non possono inoltre essere somministrati alle vacche da latte:

alimenti provenienti da colture geneticamente modificate;

foraggi e mangimi riscaldati, rancidi, ammuffiti, infestati da parassiti,

deteriorati, imbrattati oppure contaminati da sostanze tossiche, radioattive

o comunque nocive (anticrittogamici, insetticidi, micotossine, metalli

pesanti, …);

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foraggi provenienti da terreni irrigati con acque di scarico di allevamenti,

di industrie, di insediamenti urbani, da acquitrini, da terreni sommersi, da

rive di fossi, nonché da terreni adiacenti alle grandi arterie stradali.

Insilati

La conservazione dei foraggi a mezzo dell’insilamento comporta la selezione

e lo sviluppo di specie microbiche pericolosi per la buona riuscita del

formaggio ed in particolare di batteri anaerobi sporigeni (Cl. tyrobutyricum e

Cl. sporogenes) che, attraverso la catena alimentare, possono contaminare

l’ambiente di stalla e trasferirsi al latte e alla pasta del formaggio. Per queste

ragioni l’impiego di ogni tipo d’insilato è vietato tanto per l’alimentazione

delle vacche in lattazione quanto per quelle in asciutta. Soltanto alle manze

(ed eventualmente agli animali da carne) potranno essere somministrati

insilati di mais (silomais e pastoni) alle seguenti condizioni:

l’allevamento di questi animali deve attuarsi in ambienti diversi da quelli

in cui si trovano le vacche da latte e la gestione dell’insilato deve avvenire

in modo da non imbrattare le aree e gli attrezzi adibiti al governo delle

lattifere;

al prelevamento e alla distribuzione degli insilati devono essere destinati

attrezzature e personale diversi da quelli utilizzati per le vacche da latte; in

ogni caso devono essere adottati tutti gli accorgimenti per evitare le

possibili contaminazioni;

lo spandimento delle deiezioni provenienti dalle stalle in cui si fa uso di

insilati non deve avvenire sui prati in produzione, per evitare la

contaminazione delle foraggere e l’effetto di accumulo legato al ciclo delle

spore.

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Le manze e gli animali alimentati con insilati di mais possono essere introdotti

nell’allevamento delle vacche in lattazione solo dopo due mesi dalla

sospensione della somministrazione degli insilati; in questo periodo gli

animali devono essere tenuti in locali nettamente separati da in cui vivono i

soggetti che continuano ad assumere insilato. E’ vietata anche la semplice

detenzione in azienda degli insilati di erba e di quelli a base di alcuni

sottoprodotti (polpe di bietola, erba di pisello da seme, trebbie di birra,

buccette di pomodoro, ecc…), conservati in balloni fasciati, platee o con

altre tecniche. Questi alimenti, per le loro caratteristiche, presentano altissimi

contenuti di spore appartenenti a specie particolarmente virulente e, pertanto,

non possono essere utilizzati nemmeno per le manze e per gli animali da

carne. E’ comunque da sottolineare che anche la presenza di insilati di mais in

azienda (silomais e pastone) rappresenta un potenziale rischio per la riuscita

qualitativa del Parmigiano-Reggiano. La preparazione, la conservazione e la

somministrazione di tali alimenti alle manze e agli animali da carne deve

pertanto avvenire con la massima attenzione e con le dovute precauzioni.

Rapporto foraggi/mangimi

Gli elevati fabbisogni calorici delle bovine, particolarmente nelle fasi iniziali

della lattazione, inducono ad aumentare la concentrazione energetica della

razione con l’impiego di quantità crescenti di mangimi. Tuttavia, l’eccesso di

concentrati è fonte di turbe digestive e metaboliche (acidosi ruminale,

assorbimento di sostanze tossiche, ecc…) ed è causa, altresì, di alterazione

della composizione e delle caratteristiche casearie del latte. Pertanto, in ogni

fase della lattazione, la sostanza secca dei mangimi nel loro complesso non

deve superare quella globalmente apportata dai foraggi (rapporto

foraggi/mangimi non inferiore a 1). Il soddisfacimento delle crescenti

esigenze nutritive delle bovine ad alta produzione deve pertanto essere

raggiunto migliorando la qualità dei foraggi (dei fieni in particolare), piuttosto

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che attraverso aumenti, non di rado a rischio, di mangimi generalmente ricchi

di amido e di proteine.

Il “Piatto Unico”

Circa le modalità di preparazione e di somministrazione degli alimenti

mediante la tecnica del “Piatto Unico” ci si deve attenere alle seguenti

prescrizioni:

non è consentita la preparazione del carro con foraggi verdi, nemmeno nel

caso in cui s’impieghi il trinciato fresco di mais. Se si utilizzano foraggi

verdi, questi vanno somministrati a parte;

il “Piatto Unico” deve essere preparato all’interno dell’azienda che lo

utilizza;

la preparazione del “Piatto Unico” non può avere luogo all’interno della

stalla o nei pressi della sala di mungitura o del locale di raccolta del latte;

se si procede all’umidificazione della massa, la miscelazione deve essere

effettuata almeno due volte al giorno e la distribuzione deve seguire

immediatamente la preparazione;

il carro deve essere dotato di un sistema autonomo di pesatura, provvisto,

preferibilmente, di dispositivi per la registrazione dei dati;

le greppie su cui viene distribuita la miscelata devono essere facilmente

pulibili e lavabili;

nel caso in cui si usino insilati di mais per i vitelloni o per le manze, non

può essere utilizzato lo stesso carro anche per le vacche in lattazione e

nemmeno per quelle in asciutta.

Va posta particolare attenzione alla contaminazione dei foraggi con terra, in

quanto la probabilità che questa sia ingerita dall’animale aumenta con

l’applicazione della tecnica del “Piatto Unico” .In ogni caso, qualora si

somministrino agli animali alimenti ottenuti miscelando i foraggi secchi

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trinciati in modo grossolano (lunghezza degli steli superiore a 2 cm) con i

mangimi, la loro preparazione deve avvenire esclusivamente all’interno

dell’azienda, al fine di verificare la provenienza e la rispondenza delle materie

prime ed il rispetto del rapporto foraggi/mangimi.

Modalità di distribuzione degli alimenti

Nella scelta degli alimenti che possono essere utilizzati per il razionamento

delle bovine e nell’adozione delle modalità di somministrazione è necessario

tenere in considerazione che dal rispetto dei processi biochimici che

avvengono all’interno del rumine dipendono lo stato di salute dell’animale e

la quantità e la qualità del latte prodotto. Nell’alimentazione delle vacche da

latte è necessario seguire le seguenti indicazioni:

somministrare i vari alimenti più volte nell’arco della giornata, alternando i

foraggi ai mangimi;

distribuire i foraggi freschi ed i fieni prima della somministrazione dei

mangimi. Il fieno può essere lasciato in continuazione a disposizione degli

animali;

somministrare i foraggi freschi immediatamente dopo lo sfalcio, per

evitare che, con l’ammucchiamento, s’inneschino pericolosi processi

fermentativi;

frazionare uniformemente la distribuzione dei mangimi nell’arco delle 24

ore con l’ausilio, se possibile, di automatismi (autoalimentatori);evitare

frequenti cambiamenti di dieta, responsabili di profonde alterazioni del

biochimismo ruminale e, quando necessario, effettuare le variazioni in

modo graduale e preferibilmente nell’arco di una settimana. (22)

30

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2.4 Il latte e le sue caratteristiche

Il latte è il prodotto secreto ed elaborato dalla ghiandola mammaria che nella

bovina presenta mediamente le seguenti caratteristiche (tab.3):

Tabella 3. Composizione del latte vaccino

Classe % media nel latte Costituenti (% di ogni classe)

Acqua 87,1 (85-90)

Lipidi 3.8 (3,5-5,5) Grassi veri (trigliceridi) 95-96

di e monogliceridi 1,452

Fosfolipidi (lecitine, cefaline

e sfingomieline) 0,6-0,8

Steroli 0,3

Proteine 3,31 (3-5) % N totale

Caseine (a, b, k) 76-86

Siero proteine 18

-lattoglobulina 8

-lattoalbumina 4

proteoso-peptoni 3,5

immunoglobuline 1,6

siero albumine 0,9

Azoto non proteico 6

Lattosio 5,06 (4,5-5) Glucosio 7mg/100 l

Galattosio 2mg/100 l

Nel latte inoltre vi sono :

Pigmenti:

Carotene e carotenoidi, xantofille e riboflavine

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Vitamine:

Liposolubili

Vitamina A e carotenoidi

Vitamina D (colecalciferolo e ergocalciferolo)

Vitamina E (a-tocoferolo)

Vitamina K

Idrosolubili

Vitamina C (acido L-ascorbico e deidroascorbico)

Vitamine del gruppo B

Tiamina BB1B

Riboflvina BB2B

Niacina o acido nicotinico

Acido pantotenico

Piridossina BB6B

Vitamina BB12

Biotina

Inositolo

Colina

Acido para-ammino-benzoico

Folocina

Enzimi:

aldolasi, amilasi, lipasi, esterasi (A, B e C), catalasi per ossidasi

(lattoperossidasi), Proteasi, fosfatasi alcalina, fosfatasi acida (riduttasi),

xantinossidasi, ribonucleasi, lisozima, anidrasi carbonica, salolasi,

rodonasi,lattasi

Vari:

Gas: COB2B, NB2 B e OB2B

Urea, creatina, creatinina, acido urico, ammoniaca

Costituenti cellulari:

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frammenti delle cellule di secrezione, materiale nucleare, leucociti

batteri.

Aromi: vari in funzione del tipo di alimentazione

I principali componenti del latte sono presenti in tre differenti stati fisici:

1. fase di emulsione

2. fase di sospensione colloidale

3. fase di soluzione vera e propria.

Le fasi si differenziano in base all’omogeneità e alle dimensioni delle

particelle che le costituiscono: le particelle in soluzione hanno diametri

inferiori a 10 mm, quelle in sospensione colloidale hanno diametri compresi

tra 10 mm e alcune centinaia di mm e le particelle in emulsione hanno

diametri di 0.2-20 mm.

1) Fase di emulsione: è la fase in cui si trova il grasso. Esso si trova in forma

di globuli di 0,5-10 mm di diametro.

2) Fase di sospensione colloidale: è la fase caratteristica della principale

proteina del latte: la caseina. Essa è presente in forma di micelle costituite da

subunità di dimensioni minori. Il diametro delle micelle caseiniche è di 100-

300 mm mentre quello delle subunità è di 5-10 mm.

3) Fase di soluzione vera e propria: in questa fase si trovano i sali, gli

zuccheri, le proteine a basso peso molecolare. Le particelle hanno un diametro

inferiore a 10 mm.

Più propriamente si può dire che il latte è un’emulsione di sostanze grasse in

un plasma latteo, che a sua volta è una dispersione colloidale di proteine

(caseine) in una soluzione vera e propria (siero) di altre proteine, sali,

zuccheri, vitamine ed enzimi in acqua. Le tre fasi sono instabili e tendono a

separarsi e ciò si può dimostrare facilmente lasciando riposare il latte per un

po’ di tempo. Infatti dopo alcune ore si separa la fase in emulsione e si ha

l’affioramento del grasso che ha un peso specifico minore; il liquido

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sottostante impoverito del grasso è inizialmente allo stato di sol. Con il

passare del tempo si verifica un passaggio dallo stato di sol a quello di gel a

causa delle interazioni tra le particelle proteiche di caseina. In un primo

momento il gel occupa tutto il volume precedentemente occupato dal sol, poi

per azioni enzimatiche e chimiche il gel si contrae e si deposita sul fondo del

recipiente separandosi dal siero. Se il latte è sterile il passaggio da sol a gel e

da gel a coagulo contratto non avviene per la mancanza di enzimi attivi e di

microrganismi. Per quanto riguarda il numero delle diverse particelle, vi sono

per ogni ml di latte:

-10P

10P globuli di grasso;

-10P

4P micelle caseiniche;

-10P

17P siero proteine.

L’estensione della superficie di queste particelle è notevole e ne determina la

loro elevata reattività. Il volume occupato dalle micelle caseiniche rappresenta

il 16% del totale, che è un valore alto in rapporto al loro peso (2,8%). Questo

significa che le micelle caseiniche sono molto idratate e sono molto vicine tra

di loro: la loro distanza grosso modo è pari al loro diametro. Le micelle

possono interagire in seguito a modificazioni enzimatiche e dare un gel che

occupa tutto il volume del latte. Se la quantità delle micelle fosse minore,

l’interazione non sarebbe possibile, oppure si avrebbe un coagulo molle ed

inconsistente o al limite si avrebbe una flocculazione. Quanto più il coagulo è

consistente (ciò dipende in gran parte dalla percentuale di caseina nel latte),

tanto più alta sarà la resa in formaggio, la sua qualità e la facilità della sua

lavorazione. Al contrario, quanto minore è il volume occupato dalle micelle

presenti, tanto maggiore sarà la distanza tra di loro e di conseguenza minore

l’interazione e la facilità di formazione dei gel.

Il latte è di colore bianco a causa della presenza della caseina, le cui micelle,

grazie al loro diametro, riflettono la luce. Nel burro è presente il b-carotene e

la provitamina A, che impartisce il colore giallo al grasso del latte; in caso di

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carenza di carotenoidi nel foraggio (alimentazione invernale) il grasso è più

bianco, e di conseguenza è più bianco anche il burro ottenuto da latte

invernale. Il latte scremato è di colore più chiaro (bianco-azzurrognolo); il

siero ha un colore tendente al giallo-verde a causa della presenza di

riboflavina, vitamina BB2B idrosolubile. La composizione chimica del latte può

variare a causa di fattori endogeni o esogeni all’animale e sono ricollegabili a

fattori genetici (specie, razza, individuo) e a fattori fisiologici (salute, n.

lattazione,momento della lattazione) i primi; a fattori ambientali

(alimentazione, clima, tecniche di allevamento) i secondi. (5), (9)

Fattori endogeni di tipo genetico

Oltre che per le prestazioni riproduttive e sanitarie (in senso lato) e nondimeno

per la quantità di latte prodotto, il patrimonio etnico e individuale (tab.4) delle

bovine da latte interessa i seguenti parametri:

% di proteine del latte;

% di grasso del latte;

quantità di proteina (kg di proteina/lattazione);

quantità di grasso (kg di grasso/lattazione).

Il grasso è il componente del latte che presenta la maggiore variabilità a

seconda di razza e individuo: il tenore lipidico nel latte di razze bovine diverse

varia dal 3,5 al 5,7 %; anche la variabilità individuale è elevata (deviazione

standard da 0,54 a 0,80). Il contenuto in proteine varia nelle diverse razze da

3,1 % a 3,9 %, ma diminuiscono gli scostamenti dalla media che vanno da

0,34 a 0,53. I componenti che variano di meno per fattori genetici sono il

lattosio ed i sali minerali. (5), (7)

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Tabella 4. Composizione media del latte di alcune razze bovine

Razza Acqua

%

Residuo secco

%

Grasso

%

Lattosio

%

Proteine

%

Caseine

%

Bruna alpina 87.25 12.75 3,90 5,15 3,45 2,57

Frisona 87,50 12,50 3,58 4,80 3,25 2,49

Jersey 85,85 14,15 5,64 4,70 4,08 2,86

Simmenthal 86.69 13.16 3,89 5,00 3,37 2,63 *

Reggiana 87,24 12,76 3,55 4,94 3,37 2,61

Bianca Val

padana

3,34 3,40 2,58

* Il contenuto di caseina del latte della razza Simmenthal è quello teorico ricavato sapendo che la caseina

è il 78% circa della proteina totale.

Il patrimonio genetico di ciascun individuo inoltre si esprime in termini di

produzione lattea più o meno elevata mediante gli ormoni. Infatti:

le lattifere che portano un feto ad elevata potenzialità lattifera ricevono

dalla placenta più ormoni necessari allo sviluppo ghiandolare e quindi

producono più latte (Eley e coll. 1981);

oltre alla prolattina, l’aumento del GH (ormone dell’accrescimento)

innalza sensibilmente la produzione di latte (Bines e Hart. 1982);

l’insulina si riduce nel sangue dopo il parto ed una sua somministrazione

esogena causa un calo produttivo (Bertoni e coll. 1986);

gli ormoni tiroidei se vengono aumentati con interventi esterni causano un

calo produttivo (Giuseppe Bertoni, da dati non pubbl.).(6)

Fattori endogeni di tipo fisiologico

Nel corso della lattazione si verificano dei cambiamenti nella composizione

chimica del latte: nei primi giorni dopo il parto viene emesso un latte, il

colostro, che presenta una composizione chimica particolare, adatta a

soddisfare, le esigenze del vitello. La composizione standard del latte viene

raggiunta circa una settimana dal parto. Nelle prime ore dopo il parto il

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contenuto di proteine è elevatissimo (17,57%) ed è dovuto soprattutto alle

sieroproteine che forniscono al neonato i fattori immunitari

(immunoglobuline). In seguito il contenuto in proteine diminuisce. Nel

colostro si hanno anche un maggior contenuto di grassi e di sali minerali e un

minor contenuto di lattosio rispetto al latte normale. Anche nei mesi

successivi della lattazione si ha un’evoluzione diversa del contenuto di

lattosio, grassi e sostanze azotate. Il contenuto di lattosio è correlato alla

produzione giornaliera di latte:

aumenta e raggiunge un massimo verso il 45° giorno, per diminuire poi

lentamente ed in seguito più rapidamente verso la fine della lattazione.

Al contrario, grasso e proteine diminuiscono molto fino ad un minimo

intorno al 45° giorno e poi aumentano andando verso il periodo di asciutta.

Stesso comportamento si registra per l’acidità, l’attitudine alla

coagulazione e la fermetescibilità del latte (buoni ad inizio lattazione, tali

parametri peggiorano fino circa ai tre mesi dopo il parto e solo

successivamente, gradualmente, recuperano).

Nel corso della lattazione le variazioni che si possono registrare sono anche di

ordine quantitativo. La massima produzione di latte viene raggiunta a 30-35

giorni dal parto; ad essa segue una fase costante di circa due mesi dopo i quali

la produzione diminuisce circa del 10% ogni mese; circa 60 gg prima del

nuovo parto la vacca viene messa in asciutta attuando particolari tecniche che

inibiscono la secrezione lattea, per favorire la ricostituzione delle riserve

corporee in vista del parto e del primo periodo di grossa produzione.

L’età dell’animale esercita il suo effetto tanto sulla quantità prodotta (è

maggiore nei parti successivi al 1°) quanto sui tenori di grasso e proteine

(calanti a partire dal 2°-3° parto).

Anche lo stato di salute influenza la produzione di latte sia per quantità che

per qualità. Alcuni componenti del latte vengono elaborati dalla mammella a

partire da sostanze contenute nel sangue (prodotti di sintesi: grasso, caseina,

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lattosio e alcune sieroproteine), altri passano direttamente dal sangue al latte

(prodotti di filtrazione: altre sieroproteine e cloruri). La forma patologica più

grave che interessa la mammella, e di conseguenza la produzione di latte, è la

mastite. Tale malattia, dovuta a stafilococchi o streptococchi, provoca una

diminuzione della capacità di sintesi da parte della ghiandola mammaria: ciò

fa sì che la composizione del latte mastitico si avvicini a quella del sangue ,

verificandosi una diminuzione dei prodotti di sintesi ed un aumento di quelli

di filtrazione. (5), (7)

Fattori esogeni

L’esempio più lampante dell’importanza del fattore umano è dato dalla

costituzione dei Disciplinari del Consorzio del Parmigiano-Reggiano che

garantiscono la sanità e la genuinità del latte e quindi del formaggio.

L’alimentazione svolge un ruolo di primaria importanza tra i fattori ambientali

tanto sotto l’aspetto quantitativo quanto sotto quello qualitativo e nella

modalità di distribuzione.

Per ciò che attiene il contenuto in grasso è ben noto che i principali precursori

dei lipidi del latte (acido acetico e acido butirrico) vengono prodotti a livello

ruminale ad opera della micropopolazione ivi ospitata e che la loro quantità ed

i rapporti tra acidi grassi volatili che si producono dipendono in larga misura

dal tipo di razionamento. Se infatti si abbassa il rapporto foraggi/concentrati si

riduce la quantità di grasso.

C’è inoltre da tenere in considerazione la composizione e la forma fisica della

razione:

1. grasso. tenore in fibra grezza ( se 16% diminuisce il tenore in grasso)

2. tenore in NDF (se 28% il tenore in grasso diminuisce)

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3. una trinciatura troppo corta ( 4 mm) comporta diminuzione in grasso

(diminuisce il tempo di masticazione e la salivazione influendo sulle

fermentazioni che vengono sfavorite)

4. impiego di cerali fioccati di fibra grossolana aumentano il grasso

5. tecnica UNIFEED aumenta il grasso

6. la somministrazione frazionata dei concentrati aumenta il grasso

7. amidi e zuccheri facilmente fermentescibili diminuiscono il contenuto in

grasso (si ha aumento di acido propionico e lattico con conseguente

abbassamento del pH e quindi deperimento dei batteri cellulosolitici)

8. un eccesso di foraggi verdi diminuisce il grasso

9. la presenza di proteine ad elevata degradabilità diminuisce il contenuto in

grasso.

La sintesi delle proteine del latte avviene principalmente a livello della

mammella (solo il 3% circa, in condizioni normali, proviene direttamente dal

sangue) e richiede le disponibilità, in questa sede, di energia e aminoacidi. Ciò

premesso, è necessario specificare che i margini d’incremento del tenore

proteico del latte a mezzo dell’alimentazione sono molto più ridotti di quelli

del grasso. Ciononostante qualche risultato si può ottenere.

Innanzitutto occorre garantire la buona funzionalità del rumine e quindi

consentire il massimo sviluppo della flora simbionte. Quindi, pur nel rispetto

di opportuni equilibri, è proficuo “estremizzare” il livello energetico della

razione, soprattutto a mezzo di carboidrati fermentescibili.

Senza risultato sul tasso proteico del latte è l’aumento del tenore proteico della

dieta. Esso deve essere comunque elevato (senza eccessi) perché favorisce

l’ingestione di sostanza secca e quindi di energia con positivi risultati. Ottimo

indicatore della correttezza della nutrizione azotata della vacca è il tasso di

urea del latte.

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Per concludere il discorso sull’effetto del fattore alimentazione, è importante

sottolineare come si possa equilibrare i componenti del latte con un adeguato

razionamento che tenga conto dei reali fabbisogni dell’animale. I fabbisogni

di una bovina possono essere determinati con le seguenti formule:

FABBISOGNO ENERGETICO

Mantenimento UFL = 0,8 X ql di peso vivo

Produzione UFL = 0,44 X kg di latte

FABBISOGNO PROTEICO

Mantenimento PD = 60 g X ql di peso vivo

Produzione PD = 50 g X kg di latte

Un altro fattore da tenere in considerazione per la sua influenza sulle

caratteristiche del latte è il clima. La temperatura della stalla influenza molto

la produzione di latte, che presenta un optimum intorno ai 10°C: oltre i 27°C

la produzione diminuisce fino a ridursi a un quinto di quella massima quando

la temperatura supera i 40°C. Il caldo-umido determina il calo di grasso e

proteine riducendo anche l’acidità titolabile; le giornate ventose generalmente

inducono questi stessi effetti.

Il fotoperiodo naturale e l’illuminazione non sembrano modificare, nella

sostanza, il contenuto di proteine,il grasso però può diminuire con l’aumento

delle ore di luce.

I tipi di allevamento possono essere a stabulazione libera oppure fissa. Il latte

prodotto in stalle chiuse e senza luce ha una minore attitudine alla

caseificazione, perché in assenza di luce non viene sintetizzata la vitamina D

che, essendo calcio-fissatrice, aumenta il tenore di calcio nel latte. Si ritiene

quindi sia migliore la stabulazione libera, all’aperto, che favorisce un aumento

della quantità di latte prodotto, grazie alla ginnastica funzionale.

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Tutti questi fattori (compreso lo stato di salute dell’animale), influiscono sulla

secrezione di ormoni (e sulla loro efficacia periferica dovuta ai recettori) i

quali a loro volta controllano, oltre a molte funzioni vitali, la ripartizione delle

sostanze nutritive fra le diverse funzioni e l’eiezione lattea. (5), (7), (8)

Principali costituenti del latte vaccino

Zuccheri

Gli zuccheri nel latte sono presenti come monosaccaridi o disaccaridi, con

peso molecolare variabile tra 170 e 350 (nel caso dei disaccaridi, CB12BHB22BOB11B).

Alcuni fra gli zuccheri del latte sono legati a sostanze ad alto peso molecolare

(le proteine, principalmente la K-caseina). Essi costituiscono l’1% della

caseina e lo 0.03% in peso del latte. Il lattosio, zucchero tipico del latte,

chimicamente è un disaccaride costituito da glucosio e galattosio. Esso è

responsabile del sapore dolce del latte, sebbene il suo potere dolcificante non

sia molto grande (circa un sesto di quello del saccarosio). La produzione del

latte ha come fattore limitante la sintesi del lattosio: gli individui che

sintetizzano poco lattosio producono anche poco latte. Il lattosio viene

sintetizzato a partire dal glucosio presente nel sangue e dal galattosio, che

viene in parte prodotto da una trasformazione del glucosio e in parte

sintetizzato direttamente. La concentrazione del lattosio nel latte varia dal

4.7% al 4,9%, mentre nel colostro è molto bassa (2,2-3%) e nei latti mastitici

può scendere anche sotto al 3% nei casi più gravi. Il lattosio è il principale

substrato delle principali fermentazioni microbiche che avvengono nel latte e

nei formaggi. E’ anche uno dei responsabili delle alterazioni del colore, sapore

e odore che avvengono nel latte durante i processi di risanamento

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(specialmente a seguito di sterilizzazione): infatti il latte pastorizzato è bianco,

mentre il latte a lunga conservazione è di colore più giallino.(5), (9)

Lipidi

I lipidi sono tra i maggiori costituenti del latte ed acquistano un elevato pregio

commerciale con la trasformazione in burro. Il grasso è presente nel latte sotto

forma di emulsione in globuli di diametro variabile: il 20% dei globuli ha un

diametro di 2-8 m (in media 5 m) e rappresenta in peso il 99% del grasso; il

restante 80% dei globuli rappresenta in peso solo l’1% del grasso e ha un

diametro di 0.5-1 m. Il latte magro (totalmente scremato) è ottenuto

separando i globuli di maggiore diametro: restano comunque quelli con

piccolo diametro che sono numerosi e, anche se il loro peso percentuale è

irrilevante, hanno una superficie complessiva elevata. Il globulo di grasso non

ha una struttura omogenea, ma ha una struttura lamellare concentrica dovuta

alla sovrapposizione di strati di trigliceridi a diverso punto di fusione: quelli

altofondenti si dispongono nella parte esterna del globulo, quelli

bassofondenti all’interno. Il globulo di grasso è inoltre racchiuso da una

membrana, dello spessore di circa 10 nm, che può essere paragonata alle

membrane cellulari. Essa è costituita da una struttura chimica complessa, con

la parte idrofila verso l’esterno e lipofila verso l’interno. La presenza della

membrana nel globulo di grasso implica conseguenze molto importanti:

1. relativa stabilità dell’emulsione plasma latteo-lipidi:

la parte idrofila della membrana instaura legami con la componente

acquosa del latte cosicché i globuli di grasso, malgrado il loro minor peso

specifico, per tempi limitati non affiorano. In altre parole la membrana

funziona da emulsionante come le lecitine nelle sostanze alimentari

confezionate.

2. protezione dalle alterazioni:

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la membrana, racchiudendo i trigliceridi, li protegge dalle più frequenti

alterazioni: il burro, infatti, irrancidisce più facilmente della panna, perché

durante la zangolatura le membrane dei globuli si disgregano.

3. agglutinazione con altre sostanze:

i fenomeni di agglutinazione non avvengono solo tra globulo e globulo, ma

anche tra globuli e altre sostanze presenti nel plasma latteo, come ad

esempio le micelle caseiniche o le spore di microrganismi (es. spore di

Clostridi butirrici).

4. problemi nella burrificazione della crema:

per burrificare una crema occorre agire meccanicamente in modo da

rompere i globuli.

5. interazioni tra globuli di grasso e micelle caseiniche.

A differenza dell’agglutinazione (che avviene grazie a fenomeni

spontanei), questo tipo d’interazione avviene in seguito a trattamenti a

caldo del latte. Con il trattamento termico le micelle caseiniche subiscono

una parziale denaturazione e interagiscono con le proteine della membrana

del globulo di grasso; le interazioni sono tanto maggiori quanto più

energico è il trattamento termico: legati alle proteine i globuli di grasso

aumentano molto la loro densità, per cui la velocità di affioramento della

crema, che segue la legge di Stokes diminuisce anche drasticamente; è

dunque più difficile scremare un latte pastorizzato che uno crudo.

Dal punto di vista chimico il 98% del grasso presente nel latte è costituito da

trigliceridi, circa, l’1% è costituito da fosfolipidi e la restante parte comprende

sostanze diverse, come gli steroli, tra cui il colesterolo (0,3% del grasso), e le

vitamine liposolubili: la vitamina A, che si trova come il -carotene nel latte

di vacca, e le vitamine E, D e K. Il -carotene dà il colore al grasso del latte;

la quantità di - carotene varia stagionalmente a seconda dell’alimentazione: il

contenuto minimo si ha in inverno, in assenza di alimentazione verde. Per

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quanto riguarda la composizione in acidi grassi, o composizione acidica, il

grasso del latte è uno dei più complessi, essendo costituito da 150 acidi grassi

diversi, legati chimicamente con la glicerina a formare i trigliceridi. In

maggioranza sono presenti in concentrazioni minori dello 0,01%, ma una

ventina di acidi grassi sono quantitativamente importanti. (5), (9)

Sostanze azotate

Le sostanze azotate presenti nel latte possono essere suddivise in tre porzioni

fondamentali (fig.5 e tab.5):

a) caseine

b) proteine solubili del siero

c) sostanze azotate non proteiche

Le proteine del latte costituite comunemente da 18 aminoacidi, sono per

l’80% costituite da caseine. Le caseine , e possono formare aggregati per

azione degli ioni calcio, mentre la K-caseina agisce come colloido-protettore

impedendo alle micelle di aggregarsi. La rennina, labfermento o caglio scinde

dalla K-caseina un peptide ricco di acido sialico e pertanto crea le condizioni

per la formazione del coagulo. L’azione della rennina viene bloccata dalla -

lattoalbumina denaturata.

Il latte con maggior quantità di K-caseina e quindi con micelle più piccole, ha

la caratteristica di avere un minor tempo di coagulazione rispetto al latte che

contiene micelle di maggiori dimensioni; di conseguenza la K-caseina

migliora le proprietà casearie del latte. La K-caseina presenta due varianti

genetiche A e B ed il “latte K-caseina B” determina una migliore attitudine

alla formazione del coagulo.

A questo punto le caratteristiche del coagulo della Bruna e della Reggiana

risultano migliori rispetto a quelle della Frisona. Non tutti i protidi presenti nel

latte sono frutto di sintesi mammaria. In condizioni normali circa il 3%

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proviene tal quale dal sangue, ma durante il periodo colostrale questa

percentuale aumenta notevolmente così come in caso di processi infiammatori

della mammella.

Sostanze azotate

K

caseina* (77%)

minori

proteina vera (94%)

lattoalb.

Proteine (100%) sieroproteine (17%) lattoglob.

siero-alb.

azoto non proteico (6%) immunoglob.

*caseina + = massa cagliata KBAB: coagulo lento

minor velocità di rassodamento

minore consistenza della cagliata

caseina K = sensibilità alla cagliata

KBBB: coagulo veloce

maggiore velocità di rassodamento

maggiore velocità di cagliata

Figura 4. Schema delle principali sostanze azotate presenti nel latte

Anche l’urea deriva direttamente dal sangue e le sue concentrazioni nel latte

non dovrebbero superare i 25-30 mg per 100 g (tab.5). La quantità di urea nel

latte può costituire un interessante mezzo per stimare alcuni aspetti alimentari

e nutrizionali della bovina. Infatti essa tenderà ad aumentare in caso di

eccessive concentrazioni delle sostanze azotate nella dieta.

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Tabella 5 . Distribuzione delle principali sostanze azotate nel latte vaccino

(5)

g/l proporzioni percentuale

medie

Protidi totali 32 100

1 PROTEINE

A- UCASEINA ISOELETU. 25 78

a. caseina Bs1 B9,0 36

b. caseina Bs2 B2,5 10

c. caseina 8,5 34

d. caseina K 3,2 13

e. caseina 1, 2, 3 1,75 7

B- USIEROPROTEINEU 5,4 17

B 1 albumine

a- -lattoalbumina 2,7 50

b- -lattoglobulina 1,2 22

c- albumina del siero 0,25 5

B 2 immunoglobuline 0,65 12

B 3 proteoso-peptoni 0,6 10

2 SOSTANZE AZOTATE

NON PROTEICHE 1,6 5

Il contenuto in proteina ed in caseina è determinato da fattori genetici ed

ambientali e ad essi può essere fatto risalire uno dei parametri essenziali nel

definire l’attitudine casearia del latte, strettamente connessa al tipo di reologia

della cagliata presamica da cui dipende in gran parte la riuscita del formaggio,

specie di quelli a pasta dura e semidura. Soprattutto la costanza di questa

attitudine è di fondamentale importanza per la standardizzazione del prodotto.

Inoltre la conoscenza tempestiva di questo parametro permette di intervenire

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con modifiche nella tecnologia tali da ricondurre i tempi di coagulazione ma

soprattutto la forza del coagulo nel range della normalità.

I cambiamenti di reologia del coagulo avvengono oltre che per fattori genetici

anche per cambi di alimentazione, di stagione ed anche di ora di mungitura

(tab.6); sono infatti diversi perfino i latti della sera rispetto a quelli del

mattino. (5), (24)

Tabella 6. Fattori che influenzano le proprietà del latte (23)

FATTORI CHE INFLUENZANO LE PROPRIETA’ CASEARIE DEL LATTE

Aumento dell’acidità (iperacidità)

Alimentazione:

- carenza di calcio e di vitamina D;

- eccesso di principi alimentari facilmente fermentescibili.

Riduzione dell’acidità (ipoacidità)

Gestione dell’allevamento:

- elevata quota di vacche pluripare;

- elevata quota di vacche nella seconda fase della lattazione.

Ambiente:

- temperature elevate.

Alimentazione:

- carenza di proteine;

- carenza di energia;

- carenza di fosforo.

Modifiche nella struttura della micella caseinica e nell’equilibrio salino fanno

cambiare sensibilmente anche l’acidità del latte e di conseguenza la sua

capacità a reagire all’enzima coagulante. Si incontrano frequentemente latti

ipoacidi, dalla lenta coagulazione e scarsa forza di eliminazione del siero, e

latti con acidità eccessive e valori di pH pure anomali. In entrambi i casi

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comunque ci si deve garantire che l’irregolarità non sia da attribuire a

sviluppo di microflore varie, acidificanti od alcalinizzanti.

Si può ricordare che anomalie nel contenuto proteico del latte si sono

riscontrate in allevamenti di ogni regione italiana e come esempio si può citare

il confronto fra area Padana ed Emiliana di produzione del Grana: in entrambe

si allevano bovine Frisone alte produttrici, nella prima zona ad alimentazione

senza vincoli particolari, nella seconda dove l’insilato è escluso; qualora

l’alimentazione sia stata impostata inseguendo un’alta produttività, senza il

rispetto di alcuni equilibri (per esempio il rapporto Ca/P) o di un corretto

apporto energetico o proteico, si sono manifestate irregolarità nell’attitudine

alla coagulazione.

UFrazioni della caseina

BsB: “s” indica che questa frazione è “sensibile” alla presenza del CaP

++P(ionico),

con cui forma grossi aggregati, perciò la frazione BsB, in presenza di CaP

++P

diventa insolubile in un ampio intervallo di temperatura e precipita come sale

di calcio.

: è fortemente idrofobica (cioè non è affine con l’acqua) ed è insolubile in

presenza di CaP

++P a temperatura ambiente (20°C), mentre è solubile a

temperatura di frigorifero (quindi non floccula a temperature inferiori a 10°C).

Le frazioni BsB e sono molto ricche di fosforo.

K: è una glicoproteina che si considera costituita da due parti, la para-K-

caseina (parte insolubile che, dopo l’aggiunta del caglio, resta unita alle altre

frazioni caseiniche) e il glicomacropeptide, detto anche caseinoglicopeptide

(contiene il 75% degli zuccheri legati alla caseina e molti amminoacidi con

gruppi idrofili). La frazione K costituisce il substrato specifico nella

coagulazione presamica. La frazione K è solubile, in presenza di CaP

++P, in un

ampio intervallo di temperature, anche se nella composizione amminoacidica

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prevalgono i gruppi idrofobi: la frazione K è idrofila in quanto gli zuccheri

sono disposti nella parte esterna e quindi questa frazione funge da colloide

protettore dell’intera caseina, consentendone la dispersione in acqua.

: sembra che le frazioni -caseiniche siano frammenti terminali della caseina

che probabilmente vengono separati da enzimi specifici già nella ghiandola

mammaria.

Per la trasformazione del latte in formaggio è importante il contenuto di

caseina. I latti con basso tenore di caseina danno rese in formaggio minori e

coaguli meno consistenti che incidono anche sulla qualità del formaggio:

infatti nel passaggio da sol a gel la minor concentrazione di micelle, che sono

quindi più distanti,dà luogo ad un numero minore di interazioni e quindi ad un

coagulo meno consistente, che ingloba meno grasso e siero.

Tutte le frazioni caseiniche possono presentare delle “varianti genetiche”, cioè

delle piccolissime differenze nella sequenza degli amminoacidi, che

influiscono in maniera determinante sul processo di caseificazione a seconda

del tipo. Si tratterà più approfonditamente di questo aspetto nel capitolo

successivo.(5), (9)

USieroproteine U(fig.4)

Il latte contiene lo 0,6% di sieroproteine e queste rappresentano circa il 20%

delle proteine totali del latte. Le sieroproteine hanno un peso molecolare

compreso tra 15000 e 150000, molto minore rispetto a quello della caseina:

per questo sono in soluzione e non precipitano per acidificazione. Le

sieroproteine al contrario della caseina che ha struttura lassa, hanno una

struttura compatta. Le sieroproteine vengono così classificate (tab.7). L’ -

lattoalbumina e la -lattoglobulina sono proteine di sintesi, cioè prodotte dalla

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ghiandola mammaria; l’albumina del siero del sangue e le globuline sono

proteine di filtrazione, cioè provenienti dal sangue.

Tabella 7. Classificazione delle sieroproteine

PM %

Albumine (75%) -lattoalbumina 14000 22

-lattoglobulina 18000 48

albumina del siero di sangue 70000 5

Globuline (15%) euglobine 150000 7,5

Pseudoglobuline 150000 7,5

Le immunoglobuline hanno la funzione di attivatori di anticorpi: vengono

trasmesse di madre in figlio, con il primo latte (nel colostro il rapporto

albumine/globuline è spostato a favore delle globulina). Caratteristiche delle

sieroproteine:

1 non contengono fosforo e calcio a differenza della caseina;

2 non formano aggregati proteici;

3 sono oloproteine, ad eccezione delle immunoglobuline che sono

glicoproteine;

4 sono più ricche, rispetto alla caseina, di amminoacidi contenenti zolfo:

hanno quindi un valore nutritivo superiore a quello della caseina. Da

questi amminoacidi dipende anche l’instabilità delle sieroproteine al

riscaldamento;

5 non precipitano per azione enzimatica;

6 coagulano per riscaldamento

Con il riscaldamento le sieroproteine si destabilizzano e possono interagire; se

gli aggregati che si formano raggiungono dimensioni sufficienti si ha la

flocculazione. Ovviamente le dimensioni iniziali delle particelle influiscono

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sulla velocità del processo per cui in un siero sottoposto a riscaldamento

precipitano prima le globuline, poi l’albumina del siero del sangue, poi la -

lattoglobulina e per ultima la -lattoalbumina.

Con il riscaldamento del latte inoltre le sieroproteine possono legarsi con la

frazione K-caseina, se al riscaldamento segue l’acidificazione a pH 4,6

l’aggregato precipita formando il coprecipitato. Questa interazione ostacola

l’azione del caglio sulla K-caseina ed è uno dei motivi per cui i latti sottoposti

a riscaldamento coagulano meno bene dei latti crudi: un latte sterile, che ha

subito perciò un drastico trattamento termico non coagula affatto. (5), (9)

Sali minerali

I sali minerali costituiscono circa lo 0,9-1% del latte vaccino. Il potassio è

l’elemento presente in quantità maggiore (0,16%); seguono il calcio (0,12%) e

il fosforo (0,11%).

Questi tre elementi sono presenti nel latte in varie forme: solubile, colloidale e

ionica. Il potassio si trova per più del 90% in forma solubile e circa un terzo di

calcio e fosforo sono in forma solubile. I principali composti salini del latte

sono presenti alle seguenti concentrazioni:

calcio = 1,30 g/l

fosforo = 1,00 g/l

sodio = 0,50 g/l

potassio = 1,60 g/l

cloro = 1,10 g/l

magnesio = 0,14 g/l

acido citrico e citrati = 1,80 g/l

Gli elementi che prendono parte alla costituzione delle micelle caseiniche

sono: calcio, fosforo, citrati e magnesio. Le forme ioniche solubili e colloidali

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di calcio e fosforo sono tra loro in equilibrio. Il rapporto tra le diverse forme

varia in funzione del pH, della temperatura e della concentrazione. (9)

Indici chimico-fisici

Gli indici chimico-fisici (5) sono parametri analitici che permettono di rilevare

rapidamente in laboratorio le caratteristiche qualitative per valutare se:

è un latte patologico;

ha subito alterazioni successive alla mungitura;

ha subito sofisticazioni;

è idoneo al consumo diretto o alla trasformazione industriale.

Gli indici chimico-fisici si possono dividere in tre grandi gruppi.

U1) Indici che dipendono dall’insieme delle sostanze presenti nel latte:

- densità 1,030-1,033, g/l a 20°C;

- acidità 6-8° SH/100 ml;

- viscosità 2,2 centipoise a 20°C(1)

- calore specifico 0,94 cal/g°C (da 14,5°C a 15,5°C);

- tensione superficiale 47-53 dine/cm a 15°C.

2) UIndici che dipendono solo dalle sostanze in soluzione:U

- indice di rifrazione 1,35;

- punto di congelamento –0,55°C;

- punto di ebollizione 100,15-100,17°C.

3) UIndici che dipendono dagli ioni presenti o da altre sostanze:

- pH 6,5-6,7;

- conducibilità elettrica 40 10P

4P mho a 25°C;

- potenziale di ossido-riduzione +0,20-0,30 volt.

52

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pH

Il latte di vacca ha una reazione debolmente acida dovuta principalmente alla

presenza della caseina (proteina acida) e degli anioni degli acidi fosforico e

citrico. I valori dei pH di un latte normale varia da 6,5 a 6,7 secondo il periodo

di lattazione e di alimentazione. In particolare se il pH è minore di 6,5 si tratta

di un latte acidificato oppure di un latte di un latte colostrale (pH 6,5-6,4). Se

invece il pH è maggiore di 6,7 si è in presenza di un latte mastitico (pH 6,9-

7,0) oppure di un latte di fine lattazione.

In entrambi i casi si osserva un aumento delle proteine di filtrazione e una

diminuzione della caseina che determina appunto l’innalzamento del pH. Il

pH rappresenta l’acidità attuale del latte: da essa dipendono importanti

proprietà come la stabilità della caseina. (5)

Acidità

Per acidità del latte s’intende l’acidità di titolazione, cioè i millilitri di una

soluzione alcalina a titolo noto necessari per portare il pH di una certa quantità

di latte al pH di viraggio di un indicatore. Per il latte si usa la fenolftaleina,

che vira dall’incolore al rosa verso pH 8,4. Per mezzo della misura dell’acidità

di titolazione del latte si può avere un’idea della quantità di funzioni che si

dissociano tra il pH normale del latte (6,5-6,7) e il punto di viraggio

dell’indicatore (pH 8,4). L’acidità naturale del latte appena munto, o

comunque non alterato,è dovuta a sostanze diverse:

1 in piccola parte ad acidi organici (principalmente citrati);

2 per i 2/5 a sostanze minerali (fosfati, acido carbonico);

3 per i 2/5 dalla caseina;

4 in parte alla terza funzione dell’acido fosforico nelle reazioni di

over-run.

53

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L’acidità è una misura indiretta del contenuto in caseina e fosfati del latte

fresco: per titolare un latte non acidificato occorrono tanti più alcali, quanto

più il latte è ricco in caseina e fosfati. L’acidità di sviluppo è dovuta all’acido

lattico e agli altri acidi provenienti dalla degradazione microbica del lattosio,

ed eventualmente dei lipidi, nel latte in via di alterazione.(5), (9)

La sintesi del latte

La mammella sintetizza gran parte o tutti i componenti organici del latte

partendo da loro precursori presenti nel sangue:

glucosio per il lattosio;

amminoacidi per le proteine;

trigliceridi, acidi acetico e -ossi-butirrico per i grassi.

Non vengono riportati i minerali, ma è chiaro che anche per essi la cellula

mammaria attinge al sangue (pur senza svolgere alcuna attività di sintesi se

non per la fosforilazione delle caseine). E’ evidente che, a parità di capacità

sintetiche delle cellule integre (in buona parte regolate geneticamente ma

comunque sotto controllo ormonale) la quantità prodotta di ciascun

componente dipenderà da quattro fattori:

1 la concentrazione nel sangue dei principi nutritivi da cui la mammella

parte per la sintesi del latte;

2 la quantità di sangue che passa nella mammella;

3 la capacità delle cellule mammarie di appropriarsi delle sostanze contenute

nel sangue;

4 l’entità delle “forze” contrastanti la sintesi, specie la pressione

intramammaria che riduce la circolazione sanguigna e le attività cellulari.

C’è un meccanismo che lega questi fattori e ciò spiega le differenze di

composizione del latte. Nel latte si distinguono:

componenti a concentrazione fissa o quasi (lattosio, K, Na e Cl);

54

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componenti a concentrazione variabile (proteine, Ca, P, Mg e acido

citrico);

componenti a concentrazione estremamente variabile (grasso);

componenti che non sono frutto del metabolismo cellulare, ma sono

scambiati “liberamente” col sangue e la cui concentrazione è quindi in

relazione diretta con quella del sangue (es. urea, progesterone ecc.).

Ecco le ragioni del comportamento dei primi tre gruppi:

il lattosio è la sostanza osmoticamente attiva e che quindi richiama acqua

sino ad avere un equilibrio fra “latte” in formazione (nelle vescicole del

Golgi) ed i liquidi cellulari (dunque indirettamente col sangue). Se le altre

componenti osmoticamente attive (K, Na,Cl…) cambiano poco in quanto

la loro immissione nelle stesse vescicole è di tipo passivo, appare evidente

che verrà prodotto tanto più latte quanto più sarà il lattosio sintetizzato e

dunque la sua concentrazione resterà relativamente costante. Da notare

infine che, a livello della secrezione cellulare, le quantità di Na, K e Cl

sono assai poco variabili alla pari del lattosio; tuttavia esiste un

meccanismo extracellulare di variazione: per addizione di Na e Cl

(aumentano) con sottrazione di K (diminuisce), che s’instaura solo in caso

di alterazione nella integrità del tessuto secernente, per cui vi è passaggio

negli spazi intercellulari. E’ così che si spiegano le differenze di

composizione del latte prodotto da ghiandola “infiammata” ed

analogamente si spiegano taluni metodi per individuare il latte mastitico

(pH, conduttività elettrica, tenori di Na e/o Cl ecc…);

le proteine, alcuni minerali in buona misura correlati (Ca, P e Mg

direttamente legati alle molecole proteiche o alle micelle caseiniche per

circa 2/3) e l’acido citrico possono variare nel loro tenore assai più del

lattosio in quanto non condizionano in senso stretto la quantità del latte:

almeno per quanto concerne il richiamo d’acqua. E’ tuttavia ovvio ritenere

55

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che fra la produzione di proteine e quella di lattosio esista una relazione;

infatti il lattosio è prodotto da enzimi (es. lattosio-sintetasi) la cui quantità

dipende in generale dalla sintesi proteica;

i lipidi (per la gran parte trigliceridi avvolti da membrane lipoproteiche a

formare i globuli) sono invece sintetizzati ed escreti dalle cellule con

meccanismo ed in luoghi totalmente diversi rispetto ai precedenti.

Nonostante ciò, esiste una relazione con la quantità di lattosio (dunque di

latte), per cui comunemente il loro tenore varia entro limiti non amplissimi

Ciò appare ovvio se si considera che comunque la produzione dei vari

sistemi enzimatici, la disponibilità globale di energia e l’attività generale

delle cellule, interessano la sintesi di tutti i componenti del latte. Per

quanto riguarda i fattori che influenzano il contenuto in grasso valgono le

considerazioni fatte a proposito dei fattori esogeni ed endogeni. Esistono

anche fattori particolari quale il fatto che il grasso, durante la mungitura,

scende in larga misura con l’ultimo latte e se non venisse attuata una

corretta sgocciolatura andrebbe “perso” inoltre si avrebbe una valutazione

inesatta se il latte dell’intera mungitura non fosse ben rimescolato.

Per concludere, in condizioni ottimali la mammella è in grado di produrre

taluni quantitativi di lattosio, grasso e proteine che insieme ai minerali

formano una certa quantità di latte con una ben precisa composizione (tipica

per specie, razza, ceppo ed individuo). In condizioni non ottimali, a seconda

che queste riguardino tutti o solo alcuni componenti si avranno possibilità

diverse tra due estremi fondamentali:

minor produzione di tutti i componenti (meno latte ma con produzione

pressoché invariata);

minor produzione di uno dei componenti da cui: a) se si tratta del lattosio,

avremo calo del latte e relativamente più elevate concentrazioni di grasso

(e talora proteine); b) se si tratta delle proteine o del grasso, si avrà la

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stessa quantità di latte, ma con minori concentrazioni di questi componenti.

(6)

Coagulazione presamica del latte

Viene detta coagulazione presamica del latte quella ottenuta per via

enzimatica mediante l’utilizzo del caglio o presame o rennina. Questo enzima

è presente naturalmente nella mucosa superficiale dell’abomaso dei vitelli di

un mese: l’abomaso viene essiccato, pellettato e messo a macerare in una

soluzione di NaCl al 15-20%. L’attività primaria del caglio è la rottura del

legame Met-Phe con cui si stacca il glicomacropeptide dalla micella; in un

secondo tempo presenta anche una certa attività proteolitica aspecifica. La

coagulazione presamica avviene schematicamente in tre fasi che in realtà non

sono distinte.

Fase primaria

Essa è caratterizzata dall’azione enzimatica specifica sulla frazione K-caseina.

In essa non avviene nessun cambiamento dello stato fisico del latte, ma solo

destabilizzazione delle micelle che non sono più protette dai gruppi polari del

glicomacropeptide (minor idratazione). Questa fase dipende dall’attività

dell’enzima e può avvenire in condizioni molto ampie di pH (da 5,5 a 7) e di

temperatura (da 4 a 45°C). L’azione del caglio può essere ostacolata, per

esempio, in seguito a un riscaldamento del latte troppo energico: oltre i 70°C

infatti avvengono interazioni tra le sieroproteine e la K-caseina che rendono

difficile il distacco del glicomacropeptide (tab.8).

Fase secondaria

Rappresenta il passaggio di stato della caseina da sol (micelle in sospensione

colloidale) a gel (cagliata semisolida) che occupa tutto il volume inizialmente

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occupato dal latte. I legami chimici che governano questa fase si possono

formare ad una temperatura maggiore di 15°C, e la concentrazione di calcio

ionico deve essere sufficiente da tener unite le micelle.

In realtà le fasi primaria e secondaria avvengono contemporaneamente, ma il

cambiamento di stato da sol a gel risulta visibile solo quando la fase primaria

è avvenuta praticamente al 100% (tab.8).

Nella produzione dei formaggi è importante la temperatura a cui viene

condotta la coagulazione, al fine di ottenere paste con diversa struttura. Il

caglio ha una temperatura ottimale di azione intorno ai 40°C (temperatura

corporea del vitello).

Tabella 8. Le principali proprietà chimico-fisiche e biochimiche che

influenzano la fase primaria e secondaria della coagulazione presamica

del latte (25)

Formazione coagulo e sineresi Caratteristiche del

latte e del sistema

micellare

Fase

primaria o

enzimatica Sviluppo Consistenza Contrazione

Proporzioni delle

caseine

PH-acidità

Varianti e K-caseina

Dimensione micelle

Ioni calcio

Fosfato colloidale

Concentrazione

caseina

+ + +

+

+ +

+ +

+ + +

+

+ +

+

+ + +

+ +

+

+ +

+

+

+

+ +

+ + +

+ + +

+ +

+

+ + +

+ +

Un formaggio a pasta dura si ottiene con un elevato spurgo di siero, per cui si

utilizza una temperatura di coagulazione subottimale (es. 32°C per il

formaggio Grana): si forma un coagulo a consistenza blanda che viene poi

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disgregato in piccoli frammenti (struttura granulare); un formaggio a pasta

molle, in cui lo spurgo deve essere poco spinto, si ottiene con un coagulo

consistente, perciò la temperatura di coagulazione utilizzata sarà quella

ottimale (es. 39°C per la Crescenza).

Fase terziaria

Durante questa fase avvengono due fenomeni molto importanti: la contrazione

della cagliata e la proteolisi aspecifica.

a) UContrazione della cagliataU: a mano a mano che aumentano i legami tra le

micelle, queste si avvicinano e avviene l’espulsione del siero dagli spazi

interni (sineresi o spurgo del gel). La sineresi può essere spontanea o indotta:

il processo spontaneo è lentissimo, mentre alcuni fattori possono favorire lo

spurgo della cagliata e vengono utilizzati nella produzione dei formaggi. Essi

sono: acidificazione, riscaldamento e rottura del coagulo.

Acidificazione: la fermentazione lattica che si verifica con l’aggiunta

dell’innesto fa abbassare il pH con conseguente tendenza alla

demineralizzazione della caseina, contrazione della struttura e spurgo

uniforme del siero.

Riscaldamento: aumentano le interazioni idrofobiche che fanno avvicinare

le micelle. I grumi caseosi diventano sempre più consistenti. Per i

formaggi a pasta dura si usano le temperature più alte.

Rottura del coagulo: aumenta la superficie di espulsione del siero. Tanto

più duro deve essere il formaggio, tanto più piccoli dovranno essere i pezzi

di cagliata.

b) UProteolisi aspecifica:U è l’attività del caglio sulle frazioni caseiniche diverse

dalla K. Avviene soprattutto a carico della frazione BsB e porta alla liberazione

di peptidi che influenzano il sapore del formaggio; inoltre influenza anche la

struttura e la consistenza dei formaggi a pasta molle (es. Crescenze più

59

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cremose). La proteolisi avviene se si lasciano maturare i formaggi per diverso

tempo a temperature superiori a 1-2°C. Nel Grana dopo 12 mesi di

stagionatura il 30% delle proteine si trova in forma di amminoacidi liberi e

questo ne aumenta la digeribilità e quindi il valore alimentare.(5).

60

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2.5 La trasformazione casearia

Nel corso dei secoli “l’arte casearia” ha subito un’evoluzione che è stata frutto

di molteplici cambiamenti dovuti al progresso e ai mutamenti socio-economici

che hanno rivoluzionato la vita dell’uomo. I cambiamenti che interessano il

Parmigiano-Reggiano riguardano:

1) Ule razze bovineU: la selezione e il miglioramento genetico hanno portato

ad avere animali più produttivi sia in termini di latte che di formaggio;

2) Ugli allevamentiU: sono più grandi e arricchiti di strumenti tecnologici che

facilitano il lavoro e favoriscono il benessere (non sempre) animale;

3) Uil latteU: anch’esso è cambiato (non sempre in meglio);

4) Ugli allevatoriU: hanno acquistato professionalità e cercano di sfruttare al

massimo le potenzialità degli animali;

5) Uil mercato;U

6) Ui caseifici, Udove il progresso tecnologico ne ha migliorato e facilitato

gli aspetti tecnico-gestionali.

Nonostante tutto il Parmigiano-Reggiano ha mantenuto intatte le qualità di

tipicità e genuinità originarie che sono garantite dai Disciplinari del CFPR

(Consorzio Formaggio Parmigiano-Reggiano) e dall’attività di controllo della

conformità ai Disciplinari, ai controlli analitici sul prodotto e delle procedure

di espertizzazione del DCQPR (Dipartimento Controllo Qualità del

Parmigiano-Reggiano). Si richiamano brevemente i Disciplinari che

riguardano il caseificio (5), (21), (10):

1. Zona produzione: territori delle province di BO (alla sinistra del fiume

Reno), MN (alla destra del fiume Po), MO, PR, RE;

2. Impiego del latte di due mungiture: sera e mattina;

3. Impiego di latte crudo;

4. Scrematura parziale per affioramento naturale;

61

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5. Impiego di vasche rettangolari aperte per l’affioramento e il riposo del

latte;

6. Divieto uso antifermentativi;

7. Impiego di siero innesto naturale autoctono;

8. Impiego di caglio di vitello;

9. Schema del processo tecnologico;

10.Caldaie di lavorazione in rame di forma tronco conica per la

produzione di non più di due forme.

Come si “fa” il Parmigiano-Reggiano

Il latte munto la sera viene posto in vasconi rettangolari da 10-20 q e dotati di

un impianto di raffreddamento per mantenere il latte ad una temperatura

costante (la temperatura è controllata da sonde) compresa tra i 18 e i 23°C. La

parte liquida di questo latte, (che è quindi parzialmente scremato in seguito

all’affioramento) che ha un pH di 6,75, viene messo insieme a quello della

mungitura del mattino in ragione di 50/50 in una caldaia di 10-11 q. Il latte

della mungitura mattutina è intero e ha un pH circa come quello della sera.

Le caldaie in cui vengono messi insieme il latte scremato della sera e quello

della mattina, hanno una forma tronco-conica e sono detti “doppi fondi”

perché costituiti da una parte interna di rame e una esterna d’acciaio tra le

quali c’è un’intercapedine nella quale passa vapore ad alte temperature per

fare avvenire la coagulazione. Per cominciare quindi si rilevano i valori del

pH e della temperatura.

Si aggiunge il siero-innesto: si tratta di una coltura naturale di flora lattica

sviluppata sul siero della lavorazione precedente. E’ una pratica antichissima

che innalza il grado acidimetrico del latte e, per così dire, guida il formaggio

verso una fermentazione appropriata. A questo punto la temperatura del latte

62

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si porta da 26,8 a 32,5°CTP

1PT agitandolo lentamente e aggiungendo

contemporaneamente il caglio (abomaso di vitello polverizzato).

La coagulazione si realizza in 10-15 minuti. Il prodotto della coagulazione si

chiama “cagliata” e costituisce la parte più nutritiva del latte addensatasi per

effetto del caglio; il liquido che resta si chiama siero. Si fa la prova

dell’alizarina cioè si preleva un campione di 2 cc di latte e lo si mette in una

provetta con una soluzione idroalcolica di alizarina al 68% e a pH 7,20. Da

questa prova si osserva la flocculazione delle caseine: se è troppo marcata

vuol dire che c’è troppo siero innesto, se invece è scarsa ce ne vuole di più. In

questo modo è stata testata la stabilità delle caseine.

Un minuto dopo la coagulazione si effettua la spinatura,(fig. 6) cioè la rottura

della cagliata con una lunga asta alla cui estremità si hanno dei fili metallici

che formano una sfera, più propriamente questo attrezzo è detto “spino”.

Questa operazione deve avvenire in 2-3 minuti fino ad avere dei granelli

(coaguli) non più grandi di un chicco di frumento e uniformi.

Il coagulo deve essere morbido e la massa caseosa è tenuta in movimento da

un agitatore. Nella caldaia poi viene messo un frangi-flutti per evitare che si

formi il vortice. L’agitatore serve a evitare la precipitazione dei coaguli. Se il

coagulo è troppo tenero si hanno striature troppo accentuate sul piatto (piatto

di metallo usato come un “setaccio”).

In questa fase avviene lo spurgo (o sineresi) cioè i granelli (coaguli) espellono

liquido dall’interno. L’entità dello spurgo si vede dalla schiuma prodotta. Un

buon latte ha molto spurgo. Mescolando il tutto poi si procede alla cottura ad

una temperatura di 44,2-44,4° RéaumurTP

2PT. Più velocemente si muove

l’agitatore più aumenterà lo spurgo. Se i coaguli galleggiano significa che la

temperatura è troppo alta. Si definisce latte con poca forza se porta ad avere

TP

1PT i valori di temperatura e pH riportati sono stati dedotti con gli appositi strumenti in un caseificio dove

sono state osservate direttamente le fasi di lavorazione del Parmigiano-Reggiano

TP

2PT 44,2° Réaumur corrispondono a 55,25°C cioè 1° C corrisponde a 0,8° Réaumur.

63

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un coagulo ruvido di scarsa consistenza e di conseguenza nella forma si hanno

microcchiature o strappiTP

3PT.

La fase successiva è la sosta sotto siero durante la quale si aggregano i granuli

i quali, rimanendo sul fondo dai 45 minuti a un’ora, si liberano ulteriormente

del siero in eccesso. Successivamente, con l’aiuto di una pala in legno, la

cagliata viene sollevata e fatta passare in una tela di canapa e poi estratta (fig.

6).

La cagliata viene tagliata in due parti; ciascuna di queste “future forme” viene

messa in uno stampo di legno o di metallo sagomato detto “fascera” e

leggermente pressata per far uscire il siero (fig. 6). Le fascere vengono girate

ogni 2,5 ore e la sera dopo l’ultima girata,si toglie la tela e viene messa una

fascera di plastica con il marchio PARMIGIANO-REGGIANO, data, N°

matricola del caseificio e N° di caldaia. Una volta appiattite, le forme vengono

messe per due giorni in fascere di acciaio per prendere la bombatura poi

vengono immerse in soluzione salina a 25 Bomait di NaCl, a temperatura di

16°C. Rimangono a bagno in soluzione per circa 18 giorni e periodicamente

devono essere girate. Le forme poi vengono messe in camera calda per

l’asciugatura e spigolate (smussate agli angoli). A questo punto vengono

portate nel magazzino dove, una volta poste su scaffalature in legno

massiccio, vengono pulite e voltate con pulitrici automatiche, nei primi tre

mesi, una volta alla settimana, poi una volta ogni 15 giorni. La temperatura

del magazzino è di 16°C in inverno e 18-20°C in estate con umidità pari al 75-

80%. Infine al 12° mese le forme vengono controllate dagli ispettori del CFPR

(Consorzio del formaggio Parmigiano-Reggiano) e se risultano conformi allo

standard e quindi ai parametri qualitativi vengono marchiate a fuoco oppure,

se non conformi, vengono retinate. (10)

TP

3PT Le microcchiature e gli strappi sono rispettivamente cavità e fessurazioni e sono difetti a volte

riscontrabili all’interno delle forme.

64

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PROCESSO TECNOLOGICO DI PRODUZIONETP

1PT

Figura 5. Diagramma riassuntivo delle fasi della caseificazione (10)

65

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1 2

3

Figura 6: 1 spinatura; 2 estrazione della cagliata; 3 messa in fascera (da

opuscolo pubblicitario del Parmigiano-Reggiano).

66

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3- Influenza del tipo di caseina sulla

formazione della cagliata

67

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Nel 1954 la razza Reggiana e la Bianca Val Padana contavano nelle rispettive

province ben 92.000 e 120.000 capi, la Frisona invece, fino ad allora

sconosciuta era in forte ascesa. Trommellini e Coll. nello stesso anno fecero

delle prove di caseificazione sul latte di 60 bovine di razza Reggiana e 43 di

razza Frisona lavorato a Parmigiano-Reggiano. I risultati di queste prove con

il latte dei due gruppi messi a confronto dimostrarono la superiorità della

Reggiana. In particolare le differenze di resa in formaggio e in burro per 100

kg di latte lavorato furono rispettivamente di +0,982 kg e di 0,140 kg. Le

maggiori percentuali di grasso (+0,58%), di sostanze proteiche (+0,43%) e di

caseina (+0,35%) tutte a vantaggio delle bovine Reggiane spiegano le

maggiori rese in burro e formaggio ottenuto. Tra il 55’ e il 56’ Semprini e

Coll. presero in considerazione anche il latte di bovine di razza Bianca Val

Padana Bruna Alpina che analogamente alla Reggiana diedero rese in

formaggio nettamente maggiori rispetto alla Frisona. Nella seguente tabella

sono riassunti i risultati di queste prove di caseificazione (11):

Tabella 9. Rese medie in formaggio e in burro nelle razze Reggiana, BVP,

Bruna e Frisona (26)

Rese medie in kg negli

anni 1955-56’Reggiana

BiancaVal

PadanaBruna Frisona

Resa in formaggio 1955P

Resa in burro 1955

Resa in formaggio 1956

Resa in burro 1956

7,583

2,071

7,747

1,866

7,577

1,863

7,735

1,620

7,598

1,564

7,769

1,725

7,054

1,646

7,230

1,599

68

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Negli anni 60’ si accentuò il declino di Bianca Val Padana e Reggiana per una

serie di motivi (4):

- la migliore attitudine produttiva delle nuove razze introdotte sia dal

punto di vista quantitativo (producono di più) che dal punto di vista

funzionale (le Frisone si prestano meglio alla mungitura meccanica di

recente introduzione);

- il prezzo del latte in salita;

- pagamento del latte su parametri quantitativi anziché qualitativi;

- la costante domanda di manovalanza dell’industria che ha creato un

vero e proprio “esodo” dalle campagne;

- la meccanizzazione agricola che ha in breve tempo sostituito il lavoro

animale.

Il 1964 fu una data cruciale per gli studi sul latte: fu scoperto il polimorfismo

della K-caseina. Mediante elettroforesi a pH alcalino, con opportuni

accorgimenti analitici (27), (28), furono individuate due distinte bande o

frazioni di K-caseina, denominate A e B, la cui sintesi è controllata da geni

autosomici codominanti (29-32). Esse differiscono tra loro per la sostituzione

di due dei 169 amminoacidi che costituiscono la proteina. Questa sostituzione

determina una differenza di carica netta, che conferisce alla variante A una

maggiore mobilità elettroforetica (33) (34) in campo alcalino nei confronti

della B. Le frazioni minori di ciascuna variante differiscono, a loro volta,

soprattutto per il grado di glicosilazione e quindi presentano anch’esse una

differente mobilità elettroforetica. La prima indicazione circa un possibile

ruolo delle varianti genetiche della K-caseina nella coagulazione presamica

del latte risale al 1967 (35). Le successive ricerche, effettuate in diversi Paesi,

dimostrarono che tali varianti possono influenzare anche in misura importante

il comportamento della caseina nei riguardi del caglio. Negli anni 70’ si fecero

diverse prove di caseificazione (ne furono promotori diversi studiosi tra cui: P.

Mariani, G. Losi, V. Russo, G.B. Castagnetti, L. Grazia, D. Morini, E. Fossa,

69

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Resmini e altri) tra le quali, a titolo esemplificativo, è interessante accennare a

quelle effettuate con latte caratterizzato dalle varianti A e B della K-caseina

nella produzione del Parmigiano-Reggiano e ai rilievi sul formaggio

stagionato (13) (14): esse dimostrarono ancora una volta la superiorità dal

punto di vista qualitativo del latte delle razze bovine autoctone in questione. A

proposito del polimorfismo genetico del latte, furono osservate notevoli

differenze tra la razza Frisona, Bruna Alpina, Reggiana e Bianca Val Padana

nella frequenza delle varianti delle caseine e in particolare in quelle della K-

caseina (36-39), in cui A e B risultarono presenti, rispettivamente, con

frequenze pari a 0,73 e 0,37 nella prima e comprese tra 0,56-0,51 e 0,49-0,44

nelle altre tre razze. Queste differenze possono spiegare in parte le

osservazioni di tecnici ed esperti caseari, secondo cui in seguito alla

sostituzione delle razze locali prima e della Bruna Alpina poi con la razza

Frisona si verificarono cambiamenti nelle caratteristiche casearie del latte, con

diminuzione di resa e peggioramento della qualità del formaggio. In una prima

ricerca (40) si vide che le varianti genetiche della K-caseina hanno una

notevole influenza sui parametri lattodinamometrici: tempo di coagulazione

(r), velocità di rassodamento del coagulo (KB20B) e consistenza del coagulo (aB30B)

i quali rivestono un grande interesse sotto il profilo tecnologico. In particolare

si notarono differenze sensibili e statisticamente significative nella velocità di

rassodamento (KB20B) e nella consistenza del coagulo (aB30B) tra il latte di vacche

omozigoti per K-CnTP

1PT B e quello di vacche omozigoti per K-Cn A, a favore

del tipo B, a parità di costituzione genetica dei loci Bs1B-Cn, -LgTP

2PT e di

condizioni fisiologiche e ambientali. Il latte KB è risultato migliore nella fase

di formazione e nelle caratteristiche del coagulo (minor tempo di coagulazione

e maggiore consistenza), nelle fasi di frantumazione e di cottura della cagliata

(grana più uniforme) e nelle caratteristiche reologiche della massa caseosa

TP

1PT Cn è l’abbreviazione di caseina

TP

2PT Lg è l’abbreviazione di lattoglobulina

70

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(maggiore contrazione ed espulsione del siero). Esso, rispetto al latte KA, si è

dimostrato nel complesso, più idoneo per la lavorazione a formaggio

Parmigiano-Reggiano. I due tipi di latte sono risultati diversi anche nella

composizione chimica e nella ripartizione elettroforetica delle caseine e delle

sieroproteine Il latte KBB ha presentato un maggior contenuto di caseina

calcio e fosforo, rispetto al latte KA, che invece, è risultato più ricco di acido

citrico. Successivamente, in una ricerca condotta con l’impiego del

microscopio elettronico (41) è stato possibile dimostrare che le micelle

caseiniche del latte KBB sono più omogenee nella dimensione, rispetto a

quelle del KAA e, inoltre, che le prime hanno anche una maggiore superficie

micellare complessiva (42). Tutto ciò fa supporre che vi sia anche una

relazione diretta tra tipo genetico della K-caseina e composizione del latte e,

di conseguenza, una relazione indiretta tra varianti genetiche e caratteristiche

tecnologico-casearie del latte. Sono stati infine analizzati i formaggi ottenuti

dalla lavorazione separata dei due latti: il formaggio KB, nelle prime 24 ore,

ha dimostrato di possedere una maggiore capacità di sineresi, mentre nel corso

della stagionatura ha subito una minore perdita percentuale di acqua rispetto al

KA. Il formaggio KB, per unità di proteina, ha trattenuto quantità lievemente

superiori di grasso (tab.10 e 11). La proteolisi è risultata più precoce e più

intensa nel formaggio KA, che ha presentato un coefficiente di maturazione

più elevato rispetto a quello del formaggio KB (36,6% per KA e 34,3% per

KB). In quest’ultimo è apparsa più degradata la Bs1B-caseina, mentre nel

formaggio KA, la -caseina. Il formaggio KB, ad una valutazione

organolettico-commerciale, è risultato di qualità leggermente superiore al KA

(tab.10 e 11). (14)

71

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Tabella 10. Rese in formaggio del latte in caldaia e cali a diversi stadi

della stagionatura (1° ciclo).

1° ciclo di 8 caseificazioni (giugno-agosto)

formaggio KA formaggio KB KA=100

Latte lavorato kg 340,1 36,3 (1) 351,8 23,6 (1) (1)

Peso forme a 24 ore kg 25,2 2,4 28,2 1,6 (1)

Peso forme all’uscita dal sale kg 23,7 2,4 26,6 1,5 (1)

Peso forme al 6° mese kg 22,0 2,3 24,9 1,3 (1)

Peso forme stagionate (2) kg 20,6 2,2 23,3 1,3 (1)

Resa a 24 ore (resa p. d.) % 7,41 0,21 8,04 0,26 108,5

Resa all’uscita dal sale % 6,97 0,19 7,58 0,27 108,7

Resa al 6° mese % 6,47 0,19 7,07 0,27 109,3

Resa formaggio stagionato (2) % 6,05 0,16 6,64 0,24 109,7

Calo 24P

aP ora-uscita dal sale % 5,86 1,17 5,70 1,22 97,3

Calo uscita dal sale-6° mese % 7,20 1,13 6,63 0,47 92,1

Calo nel periodo finale % 6,52 0,81 6,21 0,57 95,2

Calo complessivo (dalla 24P

aP ora) % 18,33 1,90 17,42 1,40 95,0

Nota: il calo nelle prime 24 ore dopo la lavorazione è risultato 7,81% per KA e 9,00%

per KB nel primo ciclo e, rispettivamente, 7,45% e 9,49% nel 2° ciclo.

(1) La differenza nelle quantità di latte lavorato, dovuta alla mancanza accidentale

di una parte di latte KA nella lavorazione del 15 luglio, non permette di fare un

confronto valido tra le quantità di formaggio.

(2) Stagionatura di 17-19 mesi per il formaggio del primo ciclo e di 15 mesi per il

formaggio del 2° ciclo.

72

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Tabella 11. Rese in formaggio del latte in caldaia e cali a diversi stadi

della stagionatura (2° ciclo).

2° ciclo di 4 caseificazioni (settembre)

formaggio KA formaggio KB e AB KA=100

Latte lavorato kg 386,8 24,0 386,8 24,0 100,0

Peso forme a 24 ore kg 31,4 1,2 33,1 1,8 105,4

Peso forme all’uscita dal sale kg 29,7 1,1 31,3 1,8 105,4

Peso forme al 6° mese kg 28,2 0,9 29,6 1,5 105,0

Peso forme stagionate (2) kg 26,6 0,9 28,1 1,5 105,6

Resa a 24 ore (resa p. d.) % 8,12 0,34 8,55 0,07 105,3

Resa all’uscita dal sale % 7,69 0,32 8,09 0,18 105,2

Resa al 6° mese % 7,30 0,29 7,66 0,13 104,9

Resa formaggio stagionato (2) % 6,88 0,27 7,26 0,11 105,5

Calo 24P

aP ora-uscita dal sale % 5,21 0,74 5,44 1,66 104,4

Calo uscita dal sale-6° mese % 5,16 0,71 5,25 0,83 101,7

Calo nel periodo finale % 5,76 0,25 5,21 0,56 90,4

Calo complessivo(dalla 24P

aP ora) % 15,29 0,68 17,08 1,05 98,6

Negli anni 80’ vennero aboliti i contratti di mezzadria e ciò fu un ulteriore

colpo inflitto al settore zootecnico e a quello agricolo in generale. In questi

anni Reggiana e Bianca Val Padana registrarono una forte contrazione

numerica: in tutta Italia, secondo dati A.I.A, si contano 1320 capi di Reggiana

e1790 capi di Bianca Val Padana. Ciò che comunque è di notevole rilievo è il

peggioramento qualitativo del latte e ad un aumento notevole della

produzione. Nei seguenti grafici sono riportati gli andamenti delle percentuali

in grasso, della caseina, del rapporto grasso/caseina e dell’acidità dai primi

anni del 900’ agli anni 80’. Fatta eccezione per il grasso che si è mantenuto ad

una percentuale costante (grafico 1), le caseine invece sono diminuite quasi di

un punto (grafico 2) di conseguenza il rapporto grasso/caseina è aumentato di

0,38 punti (grafico 3) inoltre anche l’acidità è passata da circa 4 a 3,25 punti

73

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(grafico 4). Un latte con queste caratteristiche cioè più povero in caseine e con

acidità più bassa, dal punto di vista caseario, dà più problemi al momento

della lavorazione (minore spurgo e minore coesione della cagliata maggiori

perdite nel siero ecc.), un peggioramento delle caratteristiche reologiche della

cagliata (minore elasticità, consistenza e permeabilità) e minore qualità e resa

in formaggio. (5), (15)

GRASSO%

3,6%3,6%3,6%3,6%

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 1. Andamento delle percentuali in grasso nel latte dai primi del

900’ agli anni 80’

CASEINA%

>3,22,9

2,62,37

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 2. Andamento delle percentuali in caseina nel latte dai primi del

900’ agli anni 80’

74

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GRASSO/CASEINA%

1,511,391,241,13

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 3. Andamento delle percentuali del rapporto grasso/caseina nel

latte dai primi del 900’ agli anni 80’

ACIDITA’%

3,30

3,25

3,53,8

>4,0

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 4. Andamento delle percentuali di acidità nel latte dai primi del

900’ agli anni 80’

Contemporaneamente al calo qualitativo si è avuto però un notevole aumento

quantitativo del latte prodotto. La produzione media di latte della razza

Frisona aumentò da 4764 kg per lattazione nel 1973 ai 6008 kg nel 1988

mentre Reggiana e Bianca Val Padana passarono rispettivamente da 4311 e

3944 kg a 5006 e 4500 kg. Riprendendo il discorso fatto poc’anzi, il mutato

quadro chimico e anche biologico del latte ha avuto notevoli ripercussioni

sulla qualità del formaggio. Per prima cosa la minore percentuale di caseina

(parametro chimico più importante per il giudizio d’idoneità casearia del latte)

e quindi di fosforo ha comportato calo di acidità; il latte ipoacido (l’acidità del

latte dipende molto anche dallo stato igienico-sanitario dell’animale) è

75

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caratterizzato da una minore attitudine alla coagulazione presamica (tempi di

coagulazione più lunghi) e quindi occorre una maggiore quantità di siero

innesto e una temperatura di cottura più elevata al fine di favorire lo spurgo ed

evitare la formazione di granuli caseosi friabili e scarsamente elastici.

L’eccesso di siero però può condurre alla formazione di cagliate

prevalentemente lattiche, poco elastiche, friabili e insufficientemente spurgate.

Ciò trova conferma nella maggiore diffusione di taluni difetti nel formaggio

grana caratterizzati da paste “slegate”, “friabili”, “biancastre” con numerose

fessurazioni e tagli, molto probabilmente conseguenti ad una eccessiva

distruzione dello stato micellare per l’eccessiva demineralizzazione dello

stesso (15). Ulteriori prove effettuate in questi anni (41-47) (tra 1984 e 1987)

supportate da quelle condotte nel decennio precedente e svolte su soggetti di

razza Reggiana e Bianca Val Padana, dal momento che presentano una

maggiore frequenza di soggetti KBB, confermano il primato di queste due

razze in merito alle caratteristiche casearie del latte. Più precisamente il latte

dei capi che presentano una maggiore frequenza dell’allele B nella K-caseina,

al momento della coagulazione presamica, ha tempi di coagulazione e di

rassodamento inferiori a quello dei soggetti A e AB (grafico 6 e 7) inoltre,

rispetto a questi ultimi il coagulo presenta una maggiore consistenza (grafico

5). (12)

B

AB

A

100 136 167

Grafico 5. Tipi di K-caseina e consistenza del coagulo (k-A=100).

76

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A AB B

100 87 76

Grafico 6. Tipi di K-caseina e tempo di coagulazione del latte (k-A=100).

A

AB B

100 77 57

Grafico 7. Tipi di K-caseina e tempo di rassodamento o velocità di

formazione del coagulo.

Altre prove (48-53) (46) svolte sul latte di soggetti di diverse razze (Frisona,

Ayrshire, Bruna, Simmenthal, Modenese, Rendena e meticce) nonostante il

peggioramento qualitativo del latte di cui si è parlato in precedenza, non

hanno messo in evidenza cambiamenti significativi del quadro proteico e delle

rese in formaggio (tab. 12 e 13) rispetto alle prove effettuate in precedenza.

(14)

Tabella 12. Contenuto di proteina e di caseina del latte (14)

tipi di K-caseina

KA KAB KB

Contenuto medio di proteine

nel latte (g/100g/100ml) 3,28 3,34 3,35

Contenuto medio di caseina

(g/100g/100ml) 2,57 2.67 2,65

77

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Tabella 13. Tipi di K-caseina e rese in formaggio (14)

tipi di K-caseina

KA e KAB KB

Kg formaggio/100 kg latte (%) 7,4 8,04

Grasso formaggio/grasso latte “ 69,7 82,10

Proteina formaggio/proteina latte “ 67,0 67,60

Proteina formaggio/caseina latte “ 87,5 89,20

Caseina formaggio/caseina latte “ 87,3 89,90

In questi ultimi dieci anni la nascita dell’UE (1-11-1993) ha permesso la

creazione di accordi e di strategie economiche che riguardano anche il settore

lattiero-caseario. Si cerca in particolare di risolvere il problema delle quote

latte cioè di rivedere le ammende che l’Italia deve pagare per aver ecceduto

del 20% la quota assegnatale dalla CEE nel 1984 e di innalzare questa di

600000 ton. tra il 2000 e il 2002 tenendo sotto controllo i prezzi del latte i

quali ovviamente tendono a scendere per l’incremento dell’offerta. Questo

unito anche ai casi di BSE (encefalopatia spongiforme) riscontrati nel 1996

nel Regno Unito e nel 2000 soprattutto in Francia e anche, in misura minore,

in Italia ha messo in crisi la categoria degli allevatori. Come mostrano i

grafici, la produzione lattiero-casearia, nonostante tutto tende a crescere. Il

numero di caseifici invece ha subito una diminuzione del 32,5% (grafici 8 e 9

e tab 14). Nonostante questo è interessante notare che dall’81’ al 98’ le

produzioni casearie sono aumentate del 50% (i grana sono cresciuti del 74%).

Questa crescita ha generato forti surplus produttivi e un’acuta crisi del

comparto sfociata in un naturale e forzato ridimensionamento della

produzione tra il 90’ e il 93’ (-11,6%).

78

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PRODUZIONE MEDIA ANNUA LATTE

0

2000000

4000000

6000000

8000000

1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002

anno

ton

. la

tte

Grafico 8. Produzione media annua di latte dall’85 al 2000 (17)

Grafico 9. Produzione di Parmigiano-Reggiano 1990-2000 (10)

79

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Tabella 14. Numero di caseifici attivi dal 1990 al 2000 (10)

PROVINCE 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

BOLOGNA 23 20 19 19 17 16 16 14 14 13 13

MANTOVA 75 74 67 61 54 52 52 48 48 48 47

MODENA 222 212 199 175 160 154 153 149 142 138 134

PARMA 282 278 266 253 243 231 229 223 221 218 218

REGGIO EMILIA 259 253 236 228 211 199 199 192 187 181 169

COMPRENSORIO 861 837 787 736 685 652 649 626 612 598 581

Attualmente le ultime ricerche svolte sul latte di Reggiana e di Bianca Val

Padana hanno avuto come fine il recupero di queste razze minori giustificato e

basato sulla valorizzazione tecnico-economica del latte. A ciò bisogna

aggiungere l’esigenza di un aggiornamento delle conoscenze sulla qualità e

sulle caratteristiche del latte in modo da verificarne la corrispondenza con i

risultati delle precedenti ricerche. Si riportano a questo proposito i risultati di

analisi effettuate sul latte nel corso di un’intera annata e le osservazioni

ricavate seguendo alcune caseificazioni di confronto tra Reggiana, Bianca Val

Padana e Frisona (tab.15, 16 e 17). (16)

80

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Tabella 15. Dati medi annuali relativi alla composizione chimica, chimico-

fisica, proprietà di coagulazione e conteggio leucociti del latte delle tre

razze considerate. (16)

Latte di:

parametri Frisona Reggiana Bianca Val

Padana

Acidità titolabile

°SH/50ml

3,32

ds 0,16

3,32

ds 0,11

3,33

ds 0,10

Grasso % 3,69

ds 0,35

3,56

ds 0,50

3,62

ds 0,19

Proteina % 3,23 3,30 3,29

Caseina % 2,49

ds 0,16

2,61

ds 0,15

2,58

ds 0,09

Indice di caseina 77,0 0,7 79,0 0,5 78,5 0,5

Grasso/Caseina 1,48

ds 0,14

1,36

ds 0,18

1,40

ds 0,09

LDG (freq %)

A

B

C

D

E

66,80

3,20

-

15,50

14,50

79,00

4,70

4,65

7,00

4,65

73,70

-

-

20,30

6,00

Cellule

somatiche10P

3/Pml

340

ds 30

310

ds 30

320

ds 15

Urea mg/100 ml 25

ds 4,73

23

ds 5,44

27,5

ds 5,51

81

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Tabella 16. Composizione chimica, chimico-fisica, attitudine alla

coagulazione del latte di caldaia delle tre razze considerate.(16)

Latte di:

parametri Frisona Reggiana Bianca Val

Padana

Acidità titolabile

°SH/50ml

3,24 ds 0,10 3,39 ds 0,23 3,31 ds 0,39

Grasso % 2,63 ds 0,17 2,66 ds 0,18 2,60 ds 0,17

Proteina % 3,23 3,30 3,29

Caseina % 2,44 ds 0,05 2,61 ds 0,06 2,61 ds 0,07

Grasso/Caseina 1,08 0,07 1,02 0,06 0,99 0,04

Parametri

lattodinamometrici

Tempo di

coagulazione r, min

18,20 ds 2,00 16,10 ds 2,28 16,54 ds 1,21

Tempo di

rassodamento KB20B,

min

7,45 ds 1,90 4,93 ds 1,55 5,55 ds 1,51

Consistenza del

coagulo aB30B, mm

27,40 ds 5,30 37,51 ds 3,70 34,66 ds 2,50

82

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Tabella 17. Dati tecnologici relativi ad alcune prove di caseificazione

comparative del latte delle tre razze considerate. (16)

Latte di:

parametri Frisona Reggiana Bianca Val Padana

Acidità titolabile

°SH/50ml

3,30 ds 0,1 3,40 ds 0,15 3,35 ds 0,10

Grasso % 2,50 ds 0,12 2,60 ds 0,10 2,60 ds 0,10

Acidità della

miscela °SH/50 ml

4,20 ds 0,05 4,10 ds 0,08 4,20 ds 0,05

Caseina % 2,38 ds 0,7 2,57 ds 0,10 2,55 ds 0,11

Grasso/Caseina 1,06 ds 0,05 1,01 ds 0,06 1,02 ds 0,06

Caglio

(1:125000)g/100kg

2,50 ds ,08 2,60 ds 0,07 2,60 ds 0,05

Temperatura di

coagulazione °C

33,75 33,12 33,12

Durata

coagulazione min

12,2 ds 1,10 11,00 ds 1,20 11,50 ds 1,00

Durata

rassodamento min

1,50 ds 0,30 2,00 ds 0,27 2,00 ds 0,30

Durata spinatura

min

2,30 ds 0,30 2,45 ds 0,27 2,50 ds 0,35

Temperatura di

cottura °C

55,00 ds 0,30 55,60 ds 0,35 55,60 ds 0,30

Durata totale

lavorazione min

20,00 ds

1,50

23,00 ds 1,80 24,00 ds 1,50

Durata giacenza

min

60,00 ds

10,00

60,00 ds 10,00 60,00 ds 10,00

Acidità siero dolce

°SH/50ml

2,80 ds 0,18 2,70 ds 0,15 2,70 ds 0,15

Grasso nel siero % 0,40 ds 0,05 0,33 ds 0,03 0,30 ds 0,03

Resa in formaggio

a 24 ore %

7,47 ds 0,16 7,95 ds 0,23 7,90 ds 0,20

Ancora una volta Reggiana e Bianca Val Padana non smentiscono le loro

migliori performance tecnologico-casearie: è quindi auspicabile un’attività di

salvaguardia dell’immenso patrimonio genetico ma anche storico-culturale

delle razze autoctone (non solo bovine).

83

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4- Principali razze bovine allevate in

provincia di Modena e Reggio Emilia

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4.1 Evoluzione numerica

Attualmente le razze bovine più diffuse in provincia di Modena e Reggio

Emilia sono la Frisona italiana e la Bruna. Nella provincia di Reggio Emilia la

popolazione bovina è più variegata perché presenta (oltre alla razza Reggiana)

anche un piccolo nucleo di vacche di razza Pezzata rossa e di Jersey le quali

danno un discreto contributo alla produzione di latte. A Modena invece il

quadro è più omogeneo e la razza Bianca Val Padana occupa uno spazio

irrisorio. Nelle seguenti tabelle viene illustrata la composizione della

popolazione bovina in entrambe le province in ordine decrescente.

Tabella 18. Principali razze bovine allevate in provincia di Reggio Emilia

(17)

Razza Numero vacche Produzione latte q.li

Frisona italiana

Bruna

Reggiana

Pezzata rossa italiana

Jersey

59939

3141

765

622

487

3615671

147799

31172

29770

20726

Tabella 19. Principali razze bovine allevate in provincia di Modena (17)

Razza Numero vacche Produzione latte q.li

Frisona italiana

Bruna

Bianca Val Padana

31129

758

239

1811154

36128

8381

85

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Da quanto emerge dall’ultimo censimento dell’agricoltura il maggior numero

di bovini è concentrato nelle province di Reggio Emilia Modena e Parma.

Bovini e bufalini / SAU (%) . Comuni

Figura 7. Mappa tematica del V° censimento generale dell’agricoltura

2000. Elaborazioni a cura della Regione Emilia Romagna su dati

provvisori ISTAT.

Negli ultimi dieci anni la consistenza numerica bovina è notevolmente

aumentata: nella provincia di Reggio Emilia l’aumento è stato pari a circa

20% e ha interessato tutte le fasce altimetriche, nella provincia di Modena

invece si è concentrato nelle fasce pianeggianti e collinari con valori compresi

tra il 30 e 50% (fig. 7)

86

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Variazioni % 2000-1990

Dimin. % capi bovini e bufalini 2000/1990

Figura 8. Mappa tematica del V° censimento generale dell’agricoltura

2000. Elaborazioni a cura della Regione Emilia Romagna su dati

provvisori ISTAT.

Anche la fisionomia delle aziende è cambiata: il numero di capi per azienda è

aumentato di conseguenza pian piano le grandi aziende hanno sostituito quelle

piccole (tab.20). L’allevamento bovino quindi è divenuto un’attività a

carattere intensivo come dimostrano anche i dati della seguente tabella dove

viene messo in evidenza il calo progressivo del numero di bovini rispetto alla

SAU e parallelamente l’aumento dello stesso rispetto al numero di aziende.

87

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Numero medio capi bovini e bufalini. Comuni

Capi bovini e bufalini / numero

aziendeBovini e bufalini / SAU PROVINCE E

COMUNI

1970 1982 1990 2000 1970 1982 1990 2000

Piacenza 16,0 30,6 39,9 58,8 1,1 1,2 1,0 0,7

Parma 13,0 24,5 37,1 58,1 1,1 1,1 1,2 1,2

Reggio Emilia 13,9 29,7 43,6 65,1 1,5 1,7 1,7 1,5

Modena 11,6 25,4 35,7 50,4 1,1 1,1 1,0 0,8

Bologna 11,0 22,5 25,9 31,4 0,6 0,5 0,3 0,2

Ferrara 18,2 72,7 96,9 104,8 0,4 0,4 0,3 0,1

Ravenna 9,4 20,0 22,6 25,0 0,5 0,4 0,2 0,1

Forli-Cesena 7,4 15,1 19,3 30,6 0,5 0,4 0,3 0,2

Rimini 4,5 10,2 12,6 11,6 0,5 0,3 0,2 0,1

EMILIA-

ROMAGNA 12,1 26,2 36,3 52,3 0,8 0,8 0,7 0,6

Tabella 20. Numero medio percentuale di capi bovini e bufalini per

azienda e SAU. Elaborazioni a cura della Regione Emilia-Romagna su

dati provvisori ISTAT.

Da queste osservazioni si può individuare un’ulteriore causa del declino delle

razze bovine autoctone; il fatto che vi siano grandi allevamenti con economia

di scala e che fino all’inizio degli anni novanta il pagamento del latte fosse

impostato senza i parametri di qualità ha influito sensibilmente

sull’evoluzione numerica di Reggiana e Bianca Val Padana.

88

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0

200

400

600

800

1000

1200

1960 1970 1980 1990 2000 2010

anno

n.

ca

pi

BVP

Grafico 10 Evoluzione numerica delle vacche Bianche Val Padana in

provincia di Modena (17)

Tabella 21. Evoluzione numerica della razza Bianca Val Padana nella

provincia di Modena. (18)

Anno n. capi %

1950

1955

1960

1965

1968

1971

1974

1979

100.212

120.166

109.797

79.789

49.000

35.000

15.000

15.00

49,4

51,1

46,0

38,9

24,5

17,7

7,8

-

89

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0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1960 1970 1980 1990 2000 2010anno

n.

cap

i

Reggiana

Grafico 11. Evoluzione numerica delle vacche Reggiane in provincia di

Reggio Emilia (17)

Tabella 22. Evoluzione numerica della razza Reggiana nella provincia di

Reggio Emilia. (18) (4)

Anno n. capi %

1950

1955

1960

1965

1968

1971

1974

1978

1981

84031

91858

70525

55364

13560

6716

3850

1320

985

45,3

41,1

31,0

25,8

6,4

3,5

2,0

0,8

0,6

90

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10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

anno

n. cap

i

Reggiana

Frisona

Bruna

Grafico 12. Evoluzione numerica delle vacche allevate in provincia di

Reggio Emilia (17)

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

anno

n. cap

i

BVP

Frisona

Bruna

Grafico 13. Evoluzione numerica delle vacche in provincia di Modena

(17)

91

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La Bianca Val Padana come si deduce dalla tabella 21 ha raggiunto il numero

massimo di capi nel 55’ e da allora in poi ha continuato a diminuire fino a

rischiare l’estinzione, nell’ultimo controllo infatti conta solo 307 capi. La

Frisona invece è quasi triplicata e costituisce circa il 97% dei bovini allevati

in provincia di Modena mentre la Bruna dopo aver subito una consistente

diminuzione tra il 70’ e il 75’(da 2181 capi a 773) si è mantenuta su cifre

oscillanti tra 600 e 700 capi (graficoTP

2PT 12). Per quanto riguarda la Reggiana ha

raggiunto la maggiore consistenza numerica nel 1954 in quanto contava

139695 capi pian piano ha cominciato a scendere fino a toccare il minimo

storico negli anni 80’ con circa un migliaio di capi in tutto (graficoP

1P 11 e

tab.22). Negli ultimi dieci anni, grazie ad una attenta opera di riqualificazione,

il numero totale di capi stimati si aggira intorno ai 1700 (le sole vacche

controllate rappresentano l’1,16% di quelle totali). La Frisona ha avuto lo

stesso andamento riscontrato nella provincia di Modena, per essere più precisi

il numero di vacche dal 70 ad oggi è quasi quintuplicato anche se, rispetto

rappresenta il 91% dell’intera popolazione bovina della provincia di Reggio

Emilia contro il 95% di Modena. La Bruna ha un andamento altalenante e si è

stabilizzata a una quota di 3000 capi (graficoP

1P 13). (17)

4.2 Riqualificazione delle razze bovine autoctone

L’attività di ricerca, come si è detto nel precedente capitolo, ha contribuito in

maniera determinante al riconoscimento del valore qualitativo e tecnologico

del latte di Reggiana e di Bianca Val Padana; naturalmente questo è stato il

primo passo per portare avanti un progetto di riqualificazione (20) e di

TP

2PT Nota: i dati riportati nei grafici fanno riferimento ad animali controllati quindi il numero totale delle

vacche è maggiore.

92

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salvaguardia di queste due razze ma sono comunque indispensabili un’altra

serie di elementi:

1. effettuare un censimento, il più esatto e completo possibile sulla

consistenza delle razze in tutte le categorie (vacche, manze, tori, vitelli,

ecc.) e contemporaneamente l’assegnazione di un numero

d’identificazione;

2. prelievo di sangue e conseguente testificazione eritrocitaria mediante la

quale è possibile accertare il grado di consanguineità all’interno della razza

per l’identificazione della variabilità genetica;

3. congelamento del materiale seminale dei tori (soprattutto ma non solo per i

tori portatori di caratteri interessanti;

4. accoppiamenti programmati per aumentare la variabilità genetica;

5. controllo funzionale del latte anche per le bovine non iscritte al Libro

Genealogico;

6. aumentare il numero di capi allevati e creazione di una o più stalle dove

concentrare le bovine più interessanti;

7. caseificazione del latte separata.

Per quanto concerne la razza Reggiana si può dire che il pericolo di estinzione

è scongiurato e che si sta portando avanti un’efficiente programma di

valorizzazione del formaggio prodotto con il latte di bovine Reggiane. Più

precisamente nel 90’ un gruppo di allevatori ha preso in considerazione

l’ipotesi di caseificazione separata del latte di Reggiana. La fattiva

collaborazione tra l’Associazione provinciale e il C.R.P.A (Centro ricerche

produzioni animali) di Reggio Emilia ha portato alla formulazione del

suddetto programma di caseificazione. Questo programma è stato presentato

dall’APA al ministero Agricoltura e Foreste, che lo ha finanziato per l’80%.

Dal momento che l’APA non era in grado di gestire la lavorazione e la

trasformazione di questo latte, gli allevatori di Reggiana nel 91’ hanno dato

vita al Consorzio di valorizzazione prodotti antica razza Reggiana (CVPARR)

93

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che si è incaricato della gestione pratica del programma. Oltre a ciò il

CVPARR, in linea con quanto detto a proposito del lavoro di riqualificazione

e salvaguardia della razza (19), si propone di:

- valorizzare il formaggio Parmigiano-Reggiano prodotto

elusivamente con questo latte;

- favorire lo studio, la sperimentazione e l’applicazione di nuovi

metodi che valorizzino la lavorazione del latte di Reggiana;

- aumentare il numero di soggetti allevati;

- svolgere programmi di ricerca e di sperimentazione agricola,

avvalendosi di istituti di ricerca e universitari;

- divulgare i risultati delle prove sperimentali;

- intraprendere azioni di marketing a favore dei prodotti della razza

Reggiana;

- ampliare il numero di soci e degli allevatori;

- favorire lo sviluppo della fecondazione artificiale, dei piani di

accoppiamento programmati ecc., in collaborazione con AIA,

Istituto per la difesa e valorizzazioni del germoplasma animale,

APA e CRPA;

- provvedere all’approvvigionamento e alla vendita, per conto dei

soci, di animali di razza Reggiana.

Per quanto riguarda invece la razza Bianca Val Padana la situazione non è

proprio rassicurante perché, dal momento che il numero di allevatori “fedeli”

a questa razza si contano sulle dita di una mano e i loro allevamenti sono

distanti, non è ancora stato possibile attuare un vero e proprio programma di

riqualificazione come per la razza Reggiana. Per il momento esiste un

comitato direttivo di gestione della razza Bianca Val Padana coordinato

dall’APA di Modena mediante il quale è stato possibile perlomeno prendere in

considerazione la salvaguardia della razza. Attualmente l’APA di Modena ha

provveduto al congelamento e allo stoccaggio di materiale seminale e di

94

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embrioni di Bianca Val Padana inoltre l’UE stanzia un piccolo contributo

annuale per incentivare l’allevamento delle razze autoctone. Queste misure

non sono di certo una panacea ma sono comunque un timido tentativo di

conservare il patrimonio genetico di questa razza.

95

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4.3 Caratteristiche morfologiche e fisiologiche

Standard della razza Reggiana

Tale standard fu elaborato dal prof. Mario Guadasoni e approvato il 29 giugno

1935. Recentemente è servito come linea guida nella redazione del

Disciplinare del Libro Genealogico della Razza Bovina Reggiana con D.M.

n.21838 del 26/3/1996.

Vacche

1) - Mantello: fromentino uniforme, variante tra il fromentino carico ed il

fromentino chiaro, più o meno attenuato alle parti interne ed inferiori degli

arti, al contorno degli occhi, attorno al musello ed alla faccia interna della

coda, senza macchie di qualunque grandezza in qualunque parte del corpo.

Ciuffo del sincipite, peli all’interno del margine del padiglione

dell’orecchio, ciglia, crini della coda, sono dello stesso colore del mantello.

Rosei sono: musello, epiteli, palato, lingua e superficie interna delle

guance, cute perianale e perivulvare. Sono tollerate sfumature tendenti al

colore ardesia. Cute delle mammelle e capezzoli, senza macchie.

2) – Pelle: di medio spessore, elastica, ben sollevabile, pelo fine, liscio e

lucente.

3) – Statura e taglia: statura superiore alla media della specie, con, tronco

lungo, solido impianto scheletrico e masse muscolari ben sviluppate ma

non arrotondate. Taglia medio grande. Le misure indicative dell’altezza al

garrese per le femmine sono:

cm 130 per soggetti dell’età di 24 mesi

cm 135 per soggetti dell’età di 36 mesi.

96

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4) – Testa: sempre molto distinta e piuttosto lunga, fronte sufficientemente

spaziosa e lievemente concava, sincipite con profilo ad emme molto

schiacciato; profilo fronto-nasale rettilineo e non turbato dalle arcate

sopraorbitarie leggermente sopraelevate rispetto al piano della fronte;

occhi grandi, con rima palpebrale sempre “adagiata”, sguardo mite della

vacca; orecchie abbastanza grandi, portate orizzontalmente, munite

internamente di abbondante pelame; narici a fosse nasali rettilinee; musello

ampio con labbra pronunciate; mascelle robuste ma non grossolane; corna

a sezione leggermente ellittica, dirette prima in fuori, poi leggermente in

avanti e quindi in alto, di media grossezza e lunghezza, di colore giallo con

la punta scura o rosso intenso. E’ ammessa la decornificazione.

5) - Anteriore: collo ben unito al garrese, spalla e testa, di media lunghezza;

garrese piuttosto ampio, non appuntito, spalle ben conformate mediamente

muscolose; petto e torace mediamente larghi, torace lungo e profondo,

raramente cinghiato, di altezza superiore alla metà della statura; arti

robusti, ma non grossolani, ginocchio largo, garretto forte largo forte e

asciutto, pastoie corte e robuste; piedi ben sviluppati, robusti, corno degli

unghioni di colore rosso scuro o nero, a volte striato di nero, dotato di

particolare durezza, raramente si verifica rilasciamento dei legamenti

interungueali.

6) – Linea dorsale: rettilinea o leggermente avallata, lombi mediamente

larghi e con attacco alla regione sacrale mediamente robusto;

7) – Groppa : trapezoidale, abbastanza larga alle articolazioni coxo-femorali,

più o meno inclinata indietro e leggermente spiovente lateralmente, anche

sporgenti, cresta sacrale alquanto rilevata; attacco coda, sempre alto; coda

di fusto grossolano all’attacco, fornita di abbondante nappa a crini di

colore biondo o rosso.

8) – Arti posteriori: cosce con muscolatura mai abbondante o troppo chiuse

posteriormente; garretti asciutti, larghi e forti, stinchi solidi ma non

97

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grossolani, spesso l’arto posteriore risulta leggermente falciato; pastoie e

piedi come gli anteriori.

9) – Mammella: di forma e sviluppo normale con quarti posteriori

generalmente ben sviluppati spesso rimontanti lungo il perineo abbastanza

largo e fornito di duplicatore di pelle; vene ben sviluppate, cute fine e

raramente molto pelosa, capezzoli a volte abbondanti per lunghezza e

spessore. (foto 1)

Tori

Nei tori adulti il mantello è di colore più carico nel treno anteriore specie in

corrispondenza del collo e delle spalle, occhio vivace e fiero, le corna sono

più grosse e meno incurvate che nella vacca; collo con linea cervicale dalla

testa al garrese piuttosto convessa, peli del pisciolare dello stesso colore del

mantello, cute dello scroto senza macchie, testicoli molto pronunciati e ben

penduli, frequenti i capezzoli rudimentali. Le misure indicative per i maschi

sono:

cm 128 per soggetti dell’età di 12 mesi

cm 142 per soggetti dell’età di 24 mesi (foto 2)

I difetti morfologici che si possono ancor oggi riscontrare nella razza sono:

- a livello della mammella relativi all’equilibrio tra quarti anteriori e

posteriori, alle dimensioni e forma dei capezzoli e la forza dei

legamenti;

- anomalie del mantello, quali la presenza di rabicanature diffuse,

macchie bianche sternali o del fiocco della coda, commistione di peli

neri con quelli rossi in prossimità del musello e delle conche auricolari

(le vacche con questa tipica colorazione erano dette volgarmente

“magnane” ed erano rinomate per le grandi capacità lattifere). (4)

98

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Standard della razza Bianca Val Padana

1) Mantello:

Ufemmine: Ubianco latteo

UtoriU: bianco con gradazioni grigie al collo, alle spalle, all’avambraccio o

alla coscia.

2) Pelle: sottile, morbida, facilmente distaccabile con cute non pigmentata.

3) Statura e taglia:

taglia: mole e buon peso

altezza al garrese: tori adulti cm 130-160

vacche adulte cm 125-140

4) Testa: piuttosto leggera a profilo rettilineo o leggermente concavo fra le

orbite all’inserzione della fronte con la faccia, sincipite poco rilevato con

profilo a M allungato; fronte ampia e faccia corta nei tori, di media

lunghezza nelle vacche; occhi grandi con ciglia grigie; orecchie piuttosto

ampie; narici ampie; musello largo color ardesia con depigmentazione

centrale a V rovesciato (spaccatura); mascelle larghe; corna piuttosto corte,

specialmente nei tori, a sezione ellittica, uscenti lateralmente e volte in

avanti e leggermente in alto, di colore bianco giallognolo alla base e nere

in punta nei soggetti di età superiore alla prima rotta.

5) Anteriore: armonico; collo corto e muscoloso nei tori, più lungo e sottile

nelle femmine; giogaia poco pronunciata; garrese muscoloso nei tori, più

sottile nelle vacche; spalle muscolose e ben aderenti al torace; petto largo e

muscoloso, profondo con costole ben distanziate; arti ben diritti, con

articolazioni ampie, specialmente quelle del ginocchio e delle falangi;

piedi forti con unghioni ben sviluppati e serrati.

99

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6) Linea dorsale: rettilinea, con dorso largo muscoloso e lungo; lombi larghi

e di media lunghezza e ben attaccati alla regione sacrale.

7) Groppa: larga e lunga, poco inclinata con spina dorsale poco rilevata;

coda ben attaccata, sottile, con vertebre non oltre il garretto, con fiocco

poco abbondante, nero.

8) Arti posteriori: ben diritti, con articolazioni ampie, specialmente del

garretto e delle falangi; cosce muscolose, specialmente nei tori; garretti

asciutti; piedi di media grossezza, forti e serrati con unghioni neri; pastoie

corte e forti.

10) Mammella: ampia e globosa, estesa sotto il ventre e all’indietro, ricoperta

di pelle fine con vene mammarie evidenti; quarti regolari; capezzoli ben

disposti in quadrato, piuttosto sviluppati; vene sottocutanee grosse e

tortuose.

11)Altre caratteristiche: sono tollerati: pelle leggermente grossa, purché

distaccabile facilmente, ciuffo fromentino chiaro, palato e lingua moscati,

fiocco della coda grigio, unghioni anteriori giallognoli con striature nere;

epitelio ardesia chiaro con ciglia bianche e cute leggermente marezzata nei

capi adulti; la testa può essere leggermente camusa, con sincipite rilevato,

corna relativamente grosse e di colore giallo-nero; collo con gibbosità e

giogaia abbondante nei tori, leggera depressione retroscapolare; ventre

retratto; attacco di coda moderatamente alto, spina sacrale leggermente

rilevata (nelle vacche), mammella cascante. (foto 3 e 4)

I difetti che si possono a volte riscontrare sono:

- mammella con capezzoli lunghi e grossi che comportano difficoltà

nella mungitura meccanica;

- il carattere della “doppia coscia” che sul piano commerciale è un pregio

ma comporta difficoltà al momento del parto. (3)

100

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Foto n. 1: vacca Reggiana

Foto n. 2: toro Reggiano (da ANABORARE)

101

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Foto n. 3: vacca Bianca Val Padana (foto personale)

Foto n. 4: toro bianco Val Padana (foto personale)

102

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Fisiologia

Rispetto alle razze cosmopolite Reggiana e Bianca Val Padana hanno una

maggiore rusticità longevità e fecondità. La Reggiana raggiunge la massima

produzione di latte oltre il 4° parto mentre la Bianca Val Padana al 3° parto

come più o meno Bruna e Frisona. La permanenza in stalla per Reggiana e

Bianca Val Padana in media va dai 5 ai 7 anni ma questo limite può essere

spesso superato (questi aspetti verranno approfonditi ulteriormente nel

capitolo successivo). Bruna e Frisona hanno invece una media di 4-5 anni.

103

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4.4 Trend fenotipico

Nel 3° capitolo si faceva notare il generale andamento qualitativo del latte,

vediamo ora l’andamento delle percentuali in proteine e grasso e i Kg di latte

delle razze allevate in provincia di Modena e Reggio Emilia (grafici 14, 15,

16, 17, 18 e 19).

Come si può notare dai grafici 18 e 19 la quantità di latte prodotto ha

andamento crescente mentre le percentuali di grasso e proteine in provincia di

Modena hanno avuto una caduta notevole a partire dal 1975 fino al 1986

(grafici 15 e 16), a Reggio Emilia invece il calo si è avuto, per i due

componenti del latte, a partire dalla metà degli anni 80’ fino ai primi anni 90’

(grafici 14 e 17), periodo in cui il pagamento del latte ha cominciato a

prendere in considerazione i parametri di qualità. (17)

104

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3

3,1

3,2

3,3

3,4

3,5

3,6

1960 1970 1980 1990 2000 2010

anno

% p

rote

ine

Reggiana

Frisona

Bruna

Grafico 14. Andamento percentuale delle proteine nel latte delle razze

allevate in provincia di Reggio Emilia (17)

3

3,05

3,1

3,15

3,2

3,25

3,3

3,35

3,4

3,45

3,5

1960 1970 1980 1990 2000 2010

anno

% p

rote

ine

BVP

Frisona

Bruna

Grafico 15. Andamento delle percentuali di proteine nel latte delle razze

bovine allevata in provincia di Modena (17)

105

Page 106: ALMA MATER STUDIORUM Università degli studi di Bologna2.4 Il latte e le sue caratteristiche 30 2.5 La trasformazione casearia 61 3-Influenza del tipo di caseina sulla formazione della

3,2

3,3

3,4

3,5

3,6

3,7

3,8

3,9

1960 1970 1980 1990 2000 2010anno

% g

rasso BVP

Frisona

Bruna

Grafico 16. Evoluzione delle percentuali in grasso del latte delle razze

bovine allevate in provincia di Modena (17)

3,3

3,4

3,5

3,6

3,7

3,8

3,9

4

4,1

1960 1970 1980 1990 2000 2010anno

% g

rasso

Reggiana

Frisona

Bruna

Grafico n. 17 Evoluzione delle percentuali di grasso nel latte delle razze

bovine allevate in provincia di Reggio Emilia (17)

106

Page 107: ALMA MATER STUDIORUM Università degli studi di Bologna2.4 Il latte e le sue caratteristiche 30 2.5 La trasformazione casearia 61 3-Influenza del tipo di caseina sulla formazione della

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

1960 1970 1980 1990 2000 2010anno

Kg

la

tte

Reggiana

Frisona

Bruna

Grafico 18. . Andamento della produzione di latte delle razze allevate in

provincia di Reggio Emilia (17)

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

1960 1970 1980 1990 2000 2010anno

Kg

la

tte

BVP

Frisona

Bruna

Grafico 19. Andamento della produzione di latte delle razze allevate in

provincia di Modena (17)

107

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4.5 Miglioramento genetico

In base a quanto detto sull’importanza del fattore genetico, allevatori e

associazioni preposte (AIA e associazioni di razza ad essa affiliate) compiono

la scelta degli animali (dei riproduttori) secondo precisi criteri; attuano cioè

una selezione razionale secondo “indici” che nel tempo, conduce ad una

evoluzione della popolazione animale nel senso desiderato. Il problema risiede

nella scelta degli indici di selezione. I principali caratteri riguardanti la

produzione del latte (Kg proteina, Kg grasso, Kg latte, % proteina, % grasso,

ecc.) sono tra loro geneticamente correlati a vario grado. Ciò vuol dire che una

parte più o meno numerosa di geni che controllano un carattere interviene

contemporaneamente nell’espressione di un altro carattere. Tanto maggiore è

la quota dei geni in comune, tanto più importante sarà la correlazione genetica

tra due caratteri e viceversa. Quando l’azione è concorde, cioè favorevole

all’espressione di entrambi i caratteri, la correlazione è positiva. Viceversa,

quando gli stessi geni agiscono in direzioni opposte, cioè a favore di un

carattere e a sfavore dell’altro, allora la correlazione si definisce negativa. Tra

i principali caratteri riguardanti la produzione di latte si annoverano alcune

correlazioni genetiche di segno positivo e altre di segno negativo: (7)

Tabella 23. Correlazioni indicative tra i principali caratteri riguardanti la

produzione di latte

Correlazioni genetiche positive Correlazioni genetiche negative

Kg latte-Kg grasso +0,75 Kg latte-% grasso -0,37

Kg latte-Kg proteine +0,87 Kg latte-% proteina -0,37

% grasso-% proteine +0,58 Kg proteina-% grasso

Kg proteine-% proteine +0,39

Kg grasso-Kg proteine +0,84

108

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Nel programma di selezione adottato per la razza Reggiana si è preso in

considerazione il carattere Kg proteina. Le correlazioni genetiche positive tra

il carattere Kg proteina ed i caratteri Kg latte e Kg grasso consentono il

miglioramento anche di questi ultimi due. Questo programma presuppone:

- disponibilità degli indici genetici

- scelta dei tori

- predisposizione dei piani di accoppiamento.

Gli indici genetici sono elaborati dall’Ufficio Studi dell’AIA a fine anno, sono

relativi ai caratteri Kg latte, Kg proteina, Kg grasso, % proteina, % grasso e

sono ottenuti con il metodo Blup Animal Model. Nel calcolo di questi indici è

sempre stata considerata solo la prima lattazione mentre con la nuova

procedura, studiata per le razze a limitata diffusione, considera, quando è

possibile, 5 lattazioni per una maggiore attendibilità dell’indice stesso. Per i

soggetti di razza Reggiana, maschi e femmine, nati dal 1982 al 1998, è stato

calcolato il trend genetico. Per i caratteri Kg latte, Kg proteina, Kg grasso il

trend è positivo (grafico 20). La scelta dei tori viene effettuata fra i migliori

soggetti classificati per l’indice Kg proteina. La razza Bianca Val Padana

purtroppo non può per il momento usufruire di veri e propri programmi di

miglioramento genetico dato l’esiguo numero di tori disponibili per la

fecondazione artificiale (solo 2!) e dei capi in generale. Bruna e Frisona

vengono valutate mediante ILQM (indice latte qualità morfologia) e prove di

progenie. I caratteri più interessanti dal punto di vista caseario sono le

percentuali di K-cn BB: il miglioramento genetico ha dato un buon contributo

su questo fronte. Si vedano a questo proposito i grafici 22, 23 e 24.

109

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Grafico 20. Trend genetico femmine di vacca Reggiana, elaborazione

indici con 5 lattazioni, kg latte, grasso e proteine (54)

frequenze genotipiche K-caseine

nella razza Reggiana

KBB

27%

KAB

47%

KAA

26%

KBB

KAB

KAA

Grafico 22. Frequenze genotipiche delle K-caseine nella razza Reggiana

(54), (4)

110

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Frequenze genotipiche K-caseina

nella razza Bruna

KBB

39%

KAB

47%

KAA

14%

KBB

KAB

KAA

Grafico 23. Frequenze genotipiche della K-caseina nella razza Bruna (55)

Frequenza genotipica K-caseina nella

razza Frisona

KBB

4% KAB

29%

KAA

67%

KBB

KAB

KAA

Grafico 24. Frequenza genotipica della K-caseina nella razza Frisona (56)

111

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5 – Attuale situazione

In questo capitolo verranno riportati i risultati delle osservazioni fatte da me a

partire dal settembre del 1999 al novembre del 2001 in diversi allevamenti e

caseifici dislocati nelle province di Modena e Reggio Emilia. In particolare ho

visitato due allevamenti di Reggiane, uno a Coviolo di Reggio Emilia e uno a

Quattro Castella, quattro allevamenti di Bianca Val Padana di cui uno si trova

a Spilamberto, uno a Saltino di Prignano, uno a Susano di Palagano e un altro

a Castelvetro, tre allevamenti di Brune di cui due si trovano a Montefiorino e

uno a Montecavolo di Quattro Castella e infine due allevamenti di Frisone,

uno a Campogalliano e uno a Pavullo nel Frignano. I caseifici li ho citati nel

paragrafo 5.2.

112

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5.1 Sistemi di allevamento

La Bianca Val Padana

Caratteristica comune a tutti gli allevamenti di Bianca Val Padana in generale

è la dimensione aziendale medio-piccola; infatti questi allevamenti vanno da

un minimo di 35 ad un massimo di 65 capi. Altro aspetto comune è la

presenza, nello stesso allevamento, di altre razze bovine (Frisona Bruna e

meticce) e da questo punto di vista è possibile rilevare le differenti esigenze

alimentari e le relative performance produttive. La maggior parte degli

allevamenti di Bianca Val Padana, come si diceva nel primo capitolo, (ad

eccezione di due consistenti nuclei ubicati uno a Spilamberto e l’altro ad

Albinea) sono distribuiti nella fascia altimetrica submontana appenninica

compresa tra i 500 e i 1000 m (zona di colore verde più chiaro con frecce

indicanti le località come indicato nella figura 9).

Figura 9 Cartina fisica dell’Appennino (da Omnia Atlante Mondiale, De

Agostini)

113

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In questa zona i foraggi presentano caratteristiche organolettiche e quindi

nutrizionali migliori rispetto a quelli coltivati nelle fasce altimetriche inferiori

in quanto l’epoca di sfalcio cade nel periodo in cui è minore il rischio di

incorrere in giornate piovose e le temperature sono più basse e rallentano i

processi di lignificazione dei tessuti vegetali di conseguenza è più ampio il

margine di tempo per eseguire lo sfalcio ed è meno probabile il distacco delle

foglie durante i processi di rivoltamento e andanatura del foraggio a terra. In

genere si effettuano tre sfalci: il primo si effettua intorno al 10-12 maggio, il

secondo circa 40 giorni dopo (quindi intorno al 20 giugno) il terzo infine si

effettua verso i primi di agosto. In merito all’effetto del ritardo dello sfalcio

(57) sulla qualità del foraggio, vale la pena ricordare che, nella medica, ogni

giorno successivo alla fase fenologica di inizio fioritura, comporta una

diminuzione della digeribilità della sostanza organica pari allo 0,5%.

Considerando anche la minore ingestione di sostanza secca da parte

dell’animale, si arriva ad una perdita di valore nutritivo pari all’1% per ogni

giorno di ritardo del taglio, equivalente a mezzo kg di latte al giorno. Altro

aspetto da sottolineare, legato alla zona, è la disponibilità di pascoli erbosi.

Nonostante in questi allevamenti di montagna prevalga la stabulazione fissa,

ho potuto constatare che alcuni allevatori portano al pascolo manze e manzette

in modo tale da poter utilizzare terreni che per diversi motivi non possono

essere coltivati. I foraggi sono per il 90% di produzione aziendale e sono

composti per lo più da erba medica e prato stabile. Proprio in merito

all’alimentazione nella tabella 24 ho riportato i valori medi dei quantitativi di

foraggio e di concentrati che vengono normalmente somministrati alle vacche

Bianche Val Padana con riferimento agli allevamenti che ho visitato nella

zona di Prignano e Palagano nei quali sono presenti anche Brune e Frisone e

quindi è stato possibile operare un confronto fra le diverse razioni. Ho preso in

considerazione le stagioni perché con il foraggiamento verde cambia

114

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notevolmente la composizione della razione e questo ha delle ripercussioni

sulla composizione e sulla quantità di latte prodotto (tab. 26.).

Tabella 24. Esempio di razionamento stagionale delle vacche Bianca Val

Padana, Bruna e Frisona di allevamenti di montagna.

Razze Stagioni Foraggi (kg) Concentrati (kg)

Primavera

Estate

Foraggio verde di 1° e

2° taglio 20

6-7Bianca Val

Padana

Autunno

inverno

Fieno di prato polifita

15

6-7

Primavera

Estate

Foraggio verde di 1° e

2° taglio 15

8-9Bruna e Frisona

Autunno

Inverno

Fieno di prato polifita

15

8-9

Dalla tabella inoltre si evince anche un altro dato importante: la differente

dose di foraggi e concentrati a seconda della razza. Infatti la razione

giornaliera di una Bianca Val Padana è costituita da 15 kg di foraggio e 6,5-7

kg di concentrati, mentre quella di Bruna e Frisona è di 17 kg di foraggio e 8

kg di concentrato. La composizione media del concentrato è riportata nella

seguente tabella:

115

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Tabella 25. Composizione chimica media del mangime somministrato alle

vacche Bianche Val Padana

Analisi chimica del mangime %

Umidità 13,00-13,50

Proteina greggia 15,50-22,00

Grassi greggi 3,00-4,00

Cellulosa greggia 6,00-9,00

Ceneri gregge 8,00-8,50

Vitamina A (integrazione) 40000-50000 U.I.

Si sospende la somministrazione dei concentrati durante l’asciutta (questo

periodo dura 70-60 giorni fino al parto) e si alimenta l’animale con foraggio di

prato stabile: il giorno prima del parto si ricomincia a somministrare

concentrati nella dose di 2 kg e il giorno del parto ne vengono somministrati

4-6 kg. Le performance produttive e qualitative che si ottengono da questa

alimentazione di tipo tradizionale sono riassunte nella tabella 26 dove sono

anche riportati anche dati relativi a Bruna e Frisona. Come si può vedere la

percentuale di grasso nelle tre razze considerate presenta variazioni molto più

accentuate dall’estate all’inverno rispetto a quella delle proteine: ciò è dovuto

principalmente al foraggio il quale durante la stagione invernale, essendo

somministrato solo come fieno, ha un più alto contenuto in fibra e per il fatto

che le proteine sono più strettamente correlate al fattore genetico che a quello

ambientale. Anche la quantità di latte, come il grasso, dipende in maniera

determinante dai fattori ambientali: infatti la maggiore produzione di latte

coincide con periodi dell’anno in cui non vengono somministrati foraggi verdi

e quindi è maggiore l’ingestione di sostanza secca.

116

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Tabella 26 Andamento stagionale delle percentuali in grasso e proteine

nelle razze Frisona, Bianca Val Padana e Bruna (dati aziendali del 2000)

RazzeStagioni %

Grasso

%

Proteine

%

Caseina

Kg latte

primavera 3,57 3,11 2,43 28 kg/gg

Frisonaestate 3,6 3,18 2,48 28 kg/gg

autunno 3,75 3,16 2,46 27 kg/gg

inverno 3,9 3,2 2,50 28,6 kg/gg

primavera 3,17 3,47 2,71 24,6 kg/gg

BVPestate 3,26 3,53 2,75 23,6 kg/gg

autunno 3,81 3,56 2,78 21.5 kg/gg

inverno 3,46 3,63 2,83 24 kg/gg

primavera 4,12 3,35 2,61 26 kg/gg

Brunaestate 3,8 3,31 2,58 23 kg/gg

autunno 3,83 3,48 2,71 23 kg/gg

inverno 4,18 3,42 2,67 23,5 kg/gg

Vediamo ora i dati di allevamento relativi alla Bianca Val Padana delle

aziende campione (tab 27). In uno di questi allevamenti si è raggiunta la

quantità di 60 q di latte per lattazione ma sostanzialmente la media in generale

è di 50 q.(tab. 28). La situazione di questi allevamenti è piuttosto variegata

ma, per quanto riguarda la percentuale in grasso e proteine, gli scostamenti

dalla media, in particolare nelle aziende di montagna, sono lievi.

117

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Tabella 27. Dati medi aziendali di allevamento relativi ad alcuni

allevamenti di vacche Bianche Val Padana

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

tein

e %

Mungitura

Effettiva gg

Periodo

parto

concepimento gg

Età al parto

primipare

A M

Inse

min

.N

6114 3,48 3,58 265 122 2 4 1,6

4192 3,34 3,48 279 193 2 7 2,4

4942 3,19 3,31 252 63 2 2 1,2

Analizzando inoltre altri dati di allevamento ho potuto notare altre peculiarità

della Bianca Val Padana (tab.28). La prima cosa che ho notato è l’elevata

fertilità che con un intervallo di tempo più basso (126 giorni), rispetto alle

altre razze cosmopolite, tra il parto e il concepimento permettono un numero

di parti che va dai 6 ai 10 per l’intera carriera produttiva dell’animale. Ciò

implica anche una permanenza in stalla che va dai 7 ai 10 anni e, data l’alta

fecondità e anche rusticità di questi animali, un notevole risparmio sulle spese

veterinarie. Da notare inoltre che la massima produzione viene raggiunta al

terzo parto e i valori massimi di proteine e grasso si hanno al primo parto. Le

primipare di Bianca Val Padana producono dai 15 ai 18 kg di latte al giorno:

se si assestano sui 15 kg di latte giornalieri possono arrivare a produrne 20-25

kg, se invece superano i 18 kg possono produrre anche 30-35 kg di latte al

giorno. Il parto spesso posticipa addirittura di 20-25 giorni (il vitello infatti è

anche più grosso perché alla nascita può pesare da un minimo di 35 ad un

massimo di 45 kg) mentre Brune e Frisone possono ritardare il parto

rispettivamente di 10-15 giorni e 3-4 giorni (i vitelli alla nascita pesano in

media non più di 30-35 kg). A volte quando nascono i “fascioni” è necessario

il taglio cesario ma normalmente dopo il parto non si verificano casi di

collasso puerperale.

118

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Tabella 28. Dati provinciali di allevamento della Bianca Val Padana

(bollettino AIA 2000)

n. la

ttazi

on

e

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

tein

e %

Età parto

A M

Periodo parto

concepimento

gg

Lunghezza

lattazione

Inse

min

. N

.

1 4421 3,46 3,46 2 5 102 285 1,6

2 5204 3,22 3,43 3 6 152 290 2,0

3 5466 3,35 3,39 4 5 132 278 1,7

4 e oltre 5029 3,38 3,35 7 119 275 1,5

MEDIE 5008 3,35 3,40 4 7 126 282 1,7

Lo svezzamento del vitello si ha a circa 70 giorni di vita (i “fascioni” a 90

giorni); alcuni allevatori continuano a somministrare il latte al vitello fino alla

fine dello svezzamento passando da 6 litri di latte al giorno nel primo mese di

vita per poi scendere a 4 dai 30 ai 50 giorni e arrivare a 2 litri al giorno dai 50

alla fine dello svezzamento; altri invece somministrano il latte solo fino a due

mesi. A partire dai 15 giorni si comincia a somministrare mangime in pellets e

a 20-25 giorni si mette foraggio (solo di primo taglio) a disposizione

dell’animale. I vitelloni di Bianca Val Padana costituiscono una fonte di

reddito, benché la paura della BSE freni i consumi, in quanto forniscono carni

di buona qualità con rese al macello del 58-60%; un vitellone di 18 mesi pesa

infatti circa 380 kg quindi la resa al macello è sui 228 kg e l’incremento

medio giornaliero è stimato intorno a 1100 g. Anche la carcassa dell’animale a

fine carriera dà rese al macello superiori del 5% circa alle razze cosmopolite.

Sempre riguardo alle rese, si sono dimostrati validi, sia sotto l’aspetto

quantitativo che qualitativo, i soggetti ottenuti dall’incrocio tra Bianca Val

Padana e Marchigiana. Buoni risultati sono stati ottenuti, in termini di

produzione di latte, da soggetti ottenuti dall’incrocio tra Bianca Val Padana e

Frisona; questi animali, con denominazioni “clericali” per il colore del

119

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mantello (sono detti “preti” gli individui ottenuti con toro di razza Frisona e

vacca Bianca Val Padana e “frati” quelli ottenuti facendo l’incrocio al

contrario) producono infatti 35-40 kg di latte al giorno. Per quanto concerne la

mungitura, la Bianca Val Padana richiede tempi più lunghi perché tende a

trattenere il latte e sembra che ciò dipenda dall’indole diffidente e scontrosa

dell’animale; a volte la forma dei capezzoli che possono essere lunghi e grossi

crea problemi alla mungitura.

La Reggiana

Gli allevamenti di Reggiana sono più di 200 e sono distribuiti in maniera

uniforme in tutta la provincia di Reggio Emilia. Le aziende che allevano

bestiame di razza Reggiana in generale non superano i 70 capi quindi sono di

medie dimensioni. Anche in questi allevamenti è facile rilevare la

compresenza di altre razze bovine, in particolare, la Frisona. La maggior parte

di questi allevamenti sono a stabulazione libera quindi foraggi e concentrati

sono distribuiti ad libitum. I foraggi aziendali coprono totalmente o quasi i

fabbisogni dell’allevamento e sono composti per lo più da essenze di prato

stabile che rappresentano il 50 e anche il 65% del foraggio totale e da erba

medica che non supera in genere il 50%; i foraggi inoltre vengono

somministrati anche allo stato fresco dall’inizio della primavera all’autunno

inoltrato a seconda dell’andamento stagionale (tab. 29). I pascoli sono

praticamente scomparsi per la difficoltà di gestione del bestiame che

comportano e per il carattere intensivo dell’agricoltura (soprattutto in

pianura). Come per la Bianca Val Padana l’alimentazione è di tipo

tradizionale. Durante l’asciutta in genere si eliminano totalmente i concentrati

perché l’animale tende ad ingrassare facilmente e si somministra solo fieno di

prato stabile; il giorno del parto si riprende l’uso di concentrato nella dose di

120

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1,5-2 kg e pian piano si aumenta fino alla razione normale di 7-8 kg

giornalieri.

Tabella 29. Razionamento medio stagionale delle vacche Reggiane

Stagioni Foraggi (kg) Concentrati (kg)

Primavera Fieno di medica 3

Fieno di prato stabile 6

Foraggio verde 6

6,5-7

Estate Fieno di medica 4,5

Fieno di prato stabile 4,5

Foraggio verde 6

6,5-7

Autunno Fieno di medica 4

Fieno di prato stabile 6

Foraggio verde 5

6,5-7

Inverno Fieno di medica 5

Fieno di prato stabile 10

6,5-7

Nella tabella 33 ho riportato la composizione media dei concentrati che

vengono somministrati negli allevamenti che ho visitato:

Tabella 30. Composizione chimica media del mangime somministrato alle

vacche Reggiane

Analisi chimica del mangime %

Umidità 12,00-12,90

Proteina greggia 15,00-16,80

Grassi greggi 3,80-4,25

Cellulosa greggia 6,00-6,50

Ceneri gregge 8,00-9,00

Vitamina A (integrazione) 52000-80000 U.I.

Le primipare producono giornalmente dai 15 ai 20 kg e una peculiarità di

questa razza è che la massima produzione di latte viene raggiunta a partire dal

4° parto. Si riportano a scopo comparativo la tabella 31 con i dati aziendali

121

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degli allevamenti oggetto delle mie osservazioni e la tabella 32 con le medie

provinciali a lattazione.

Tabella 31. Dati medi aziendali di allevamento relativi ad allevamenti di

vacche Reggiane

n. la

ttazi

on

e

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

tein

e %

Ca

sein

a %

Mungitura

effettiva gg

Età

parto

A M

Periodo parto

concepimento

gg

Inse

min

. n

.

1 4576 3,42 3,42 2,67 282 2 2 86 1,3

2 6073 3,45 3,40 2,65 285 3 4 84 1,2

3 6672 3,40 3,32 2,60 281 4 3 90 1,3

4 7030 3,33 3,30 2,57 288 5 2 106 1,2

5 5822 3,21 3,22 2,51 287 6 3 89 1,3

6 6964 3,29 3,21 2,50 298 7 3 93 1

7 6231 3,09 3,30 2,57 291 7 11 103 1,3

MEDIE 6195 3,31 3,31 2,58 287 5 2 93 1,2

Tabella 32. Medie provinciali a lattazione della Reggiana (bollettino AIA

2000)

n.

latt

azi

on

e

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

t. %

Età parto

A M

Periodo parto

concepimento

gg

Lunghezza

lattazione

Inse

min

. n

.

1 4997 3,59 3,36 2 3 118 286 1,6

2 5515 3,58 3,41 3 5 107 287 2,0

3 5860 3,57 3,40 4 5 119 287 1,7

4 e oltre 5970 3,51 3,33 6 11 116 284 1,5

MEDIE 5562 3,55 3,37 4 5 115 286 1,7

122

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Dal confronto tra la tabella 31 e 32 si può notare che riguardo alla percentuale

di proteine i valori sono quasi alla pari anche se nell’allevamento preso in

esame la quantità di latte prodotto è maggiore alla media e il numero di

interventi fecondativi è minore. A dimostrazione di quanto detto nel

precedente capitolo (tab. 23) a proposito della correlazione genetica negativa

tra alcuni caratteri, dai dati riportati nelle tabelle 31 e 32 si può vedere come

all’aumentare dei kg di latte contemporaneamente diminuiscano le percentuali

di grasso e proteine. Data la compresenza di Frisone nel medesimo

allevamento ho potuto mettere a confronto i dati presenti nella tabella 33.

Tabella 33. Dati medi aziendali di allevamento relativi alla Reggiana e

alla Frisona in uno stesso allevamento

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

tein

e %

Ca

sein

a %

Mungitura

Effettiva

gg

Periodo

parto

concepimento

gg

Età al

parto

primipare

A M Inse

min

. N

.

Reggiana 6195 3,31 3,31 2,58 287 93 2 2 1,2

Frisona 7678 3,20 3,02 2,36 283 126 2 2 2,0

A parità di condizioni ambientali la Frisona produce un più elevato

quantitativo di latte ma con percentuali in proteine e grasso sensibilmente

inferiori e una minore fecondità. La rusticità della Reggiana, oltre alla

fecondità (gli interventi fecondativi in media per la rzza sono 1,6), si esprime

anche in termini di longevità: anche se la media è di 5-6 anni molte vacche

permangono in stalla anche 7-8 anni. Queste vacche inoltre non hanno

problemi al momento del parto: l’attacco alto della coda favorisce l’espulsione

del vitello. I vitelli alla nascita pesano in media circa 40 kg perché spesso le

vacche ritardano il parto di alcuni giorni (in media di 10-15 giorni). Lo

svezzamento dei vitelli si compie in 70-90 giorni; il latte nei primi 15 giorni di

123

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vita viene somministrato nella dose circa di 5-6 litri a pasto e alla fine dello

svezzamento la dose si riduce a 2 litri; il foraggio (fieno di prato stabile) viene

somministrato a partire dai 15 giorni di vita e i concentrati invece a un mese.

La mungitura in genere viene effettuata con impianti a spina di pesce e salvo

qualche eccezione procede normalmente senza problemi di lentezza: anche da

questo si vedono i positivi risultati della selezione in quanto una ventina di

anni fa le vacche Reggiane presentavano dei capezzoli più corti che davano

problemi per il fatto che non permettevano un adeguato svuotamento della

mammella con il conseguente pericolo di mastite causata dal latte residuale.

Per quanto riguarda gli incroci con altre razze è stata presa in considerazione

la Rossa Danese: i risultati però non sono stati soddisfacenti.

La Frisona

Dal momento che la Frisona è la razza più diffusa in tutto il comprensorio del

Parmigiano-Reggiano viene spontaneo chiedersi il perché di un tale successo:

tutto si riconduce ad una serie di motivi che sono in parte emersi nel corso

della trattazione e sono strettamente legati al declino delle razze bovine

autoctone. Più precisamente le ragioni che hanno portato la maggior parte

degli allevatori a preferire la Frisona sono:

1. la maggiore produttività (oggi la media per la razza è di circa 85 q di latte

per lattazione);

2. la buona qualità del latte: il contenuto medio in grasso è 3,57% e quello in

proteine è 3,24%;

3. raggiungimento dei massimi livelli produttivi già a partire dal 2°-3° parto;

4. buon adattamento alle condizioni ambientali (soprattutto a quelle legate

all’allevamento).

Tutto ciò ha portato ad un’evoluzione sia strutturale che gestionale delle

aziende che operano in questo settore. Il primo carattere distintivo di questi

124

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allevamenti è la dimensione medio-grande che va dai 70 a oltre 100 capi, che

conferisce all’azienda una tipologia a carattere intensivo, inoltre si ha la

stabulazione libera. In questo tipo di allevamenti, viste le premesse, è

possibile fare investimenti in nuove tecnologie che facilitano le operazioni di

pulizia, mungitura, somministrazione degli alimenti ecc. e consentono un

risparmio di manodopera, e avere un più frequente ricambio del bestiame.

Persiste ancora l’alimentazione tradizionale, soprattutto in montagna ma non

si fa più foraggiamento verde; in pianura invece si sta diffondendo

l’UNIFEED (“piatto unico”) che è un particolare tipo di razionamento nel

quale sono presenti sia i foraggi (trinciati) che i concentrati miscelati insieme.

Ecco schematizzata la composizione di una razione giornaliera di UNIFEED:

Tabella 34. Miscela tipo di una razione UNIFEED

componenti alimentari dell’UNIFEED kg

Fieno maggengo 3

Fieno di medica 4

Orzo schiacciato 2

Mais schiacciato 6

Polpe pellettate 1

Soia 1

Glicole 0,3

Mangime complementare 3

Medica disidratata 3

Fieno di loietto 1

125

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Tabella 35. Composizione chimica dell’UNIFEED

Analisi chimica del mangime %

Sostanza secca 52

Proteina greggia 14

Grassi greggi 2,4

Cellulosa greggia 20

Ceneri gregge 8

Vitamina A (integrazione) 80000 U.I.

Per il fatto che vi è una maggiore possibilità di utilizzo di sottoprodotti di

scadente qualità, difficoltà nel valutare la qualità dei foraggi e una maggiore

ingestione di terra, ne consegue che la tecnica è a più elevato rischio, pertanto,

per sfruttare i vantaggi connessi all’UNIFEED occorrono maggiori cure

igieniche nella scelta degli ingredienti, nella preparazione e nella

somministrazione della miscelata. Come ho detto prima l’alimentazione

tradizionale è ancora largamente impiegata negli allevamenti di montagna

anche se non si fa più foraggiamento verde; una razione di tipo tradizionale è

costituita da 16-17 kg di fieno composto per 70% da prato stabile e da un 30%

di medica e da 8 kg di concentrato la cui composizione è riportata nella tabella

36.

Tabella 36. Composizione chimica del mangime somministrato a vacche

Frisone

Analisi chimica del mangime %

Umidità 13,00

Proteina greggia 15,50

Grassi greggi 3,50

Cellulosa greggia 5,50

126

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Ceneri gregge 8,00

Vitamina A (integrazione) 50000 U.I.

Vediamo in media i dati produttivi e di allevamento:

Tabella 37. Dati medi aziendali di allevamento relativi a vacche Frisone

alimentate in maniera tradizionale e con l’UNIFEED e medie provinciali

relative all’anno 2000 e alla provincia di Modena e Reggio Emilia.

Tipo

alimentaz.

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

tein

e %

Mungitura

Effettiva gg

Periodo

parto

concepimento

gg

Età al

parto

primipare

A M

Inse

min

.

tradizionale 7688 3,12 3,15 297 153 2 3 1,9

UNIFEED 8821 3,40 3,37 309 156 2 1 2,7

MEDIE PROVINCIALI

MODENA 7493 3,46 3,22 292 159 2 6 2,1

REGGIO E 7656 3,50 3,16 293 152 2 4 2,1

Come risulta dalla tabella 37 l’alimentazione UNIFEED presenta rendimenti

sia quantitativi che qualitativi superiori all’alimentazione tradizionale proprio

per il fatto che si ha una maggiore ingestione di sostanza secca. Questo tipo di

alimentazione però comporta un numero di interventi fecondativi superiore.

Rispetto alle medie, che differiscono tra loro in particolare nella percentuale di

proteine (in provincia di Modena sono superiori di 0,06 punti), i quantitativi di

latte prodotto dell’allevamento con alimentazione UNIFEED sono superiori di

ben circa 10 q e la percentuale di proteina è 0,15 punti superiore alla media di

Modena e ben 0,21 superiore a quella di Reggio Emilia. Per quanto riguarda la

gestione dell’asciutta normalmente ha una durata di 60 giorni e dal punto di

vista alimentare si somministrano nel primo mese foraggi di prato stabile e

mangime complementare alla dose di 2-2,5 kg per capo al giorno fino a due

settimane prima del parto; in quest’ultimo lasso di tempo si adotta la tecnica

127

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dello steaming-up che consiste nel sostituire il mangime dell’asciutta con

quello da latte. Il vitello alla nascita pesa sui 35 kg e lo svezzamento si compie

in 60-90 giorni; già dopo la prima settimana si comincia a somministrare il

pellet e il foraggio e la dose di latte (6 litri al giorno) viene diminuita

gradualmente. La permanenza media in stalla di una Frisona è di circa 4-5

anni e il massimo della produzione viene raggiunto intorno al 2°-3° parto. La

mungitura viene effettuata in impianti a spina di pesce e non presenta in

genere difficoltà legate alle caratteristiche della mammella. La Frisona quindi

è una razza che si presta molto bene ad allevamenti di tipo intensivo

soprattutto per la sua grande produttività (in alcuni allevamenti si raggiungono

anche i 120 q) che è il risultato di anni di miglioramento genetico il quale l’ ha

resa una vera e propria “macchina da latte” ma le ha fatto perdere longevità e

rusticità.

La Bruna

Per quanto riguarda la razza Bruna, nonostante sia una buona lattifera sia sul

piano quantitativo che qualitativo (si veda il capitolo 4), non ha avuto lo stesso

successo della Frisona; infatti il numero di capi allevati tende a rimanere sugli

stessi valori se non a diminuire. In provincia di Modena le aziende che

presentano un numero più consistente di Brune sono di medie dimensioni (60-

70 capi) e sono ubicate in aree montane. In queste zone le manze sono allevate

a stabulazione libera, le vacche invece a stabulazione fissa. L’alimentazione è

di tipo tradizionale ma non si fa più foraggiamento verde; in media le aziende

riescono a sopperire ai fabbisogni aziendali di foraggio circa per l’80%. Nel

Reggiano le aziende che allevano Brune sono distribuite in maniera più

omogenea ma, a parte qualche eccezione, presentano al loro interno una

consistenza numerica di questa razza dai 10 ad un massimo di 60 capi. Il

128

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motivo di questa situazione un po’ stagnante della razza nelle due province va

ricercato in alcuni problemi a carattere fisiologico-sanitario; è abbastanza

frequente infatti la presenza di ulcerazioni negli unghioni, problema

probabilmente legato all’originario carattere di pascolatrice della razza Bruna,

e spesso si hanno difficoltà nel riscontrare i calori (calori silenti). Per quanto

riguarda l’alimentazione, negli allevamenti che ho visitato a Montefiorino per

esigenza di caseificio non si fa foraggiamento verde mentre nell’allevamento

di Quattro Castella, il quale conferisce il latte ad un caseificio che pratica la

caseificazione separata del latte di Bruna, si somministrano foraggi freschi.

Schematicamente una razione giornaliera è così composta:

Tabella 38. Razionamento medio giornaliero della Bruna

Foraggi kg Concentrati kg

Alimentazione con

foraggio verde

Prato polifita con 60% di

medica 8

Fieno di prato stabile 8

6,5-7

Alimentazione senza

foraggio verde

Fieno di prato stabile 8

Fieno di medica 8

7

I concentrati presentano la seguente composizione chimica (tab.39):

Tabella 39. Composizione chimica del mangime somministrato a vacche

Brune

Analisi chimica del mangime %

Umidità 12,00-13,50

Proteina greggia 16,20-18,00

Grassi greggi 3,00-4,50

Cellulosa greggia 6,00-8,00

Ceneri gregge 8,00-8,80

Vitamina A (integrazione) 40000-70000 U.I.

129

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Nei mangimi impiegati dagli allevatori di montagna la percentuale in proteina

greggia è più alta (17,50-18,00%): ciò può essere dovuto alla minore presenza

di medica nel foraggio. Vediamo ora le medie dei dati di allevamento (tab.40).

Tabella 40. Performance produttive e dati di allevamento di tre aziende

che allevano Brune

Latt

e k

g

Gra

sso %

Pro

tein

e %

Mungitura

Effettiva

gg

Periodo

parto

concepimento

gg

Età al

parto

primipare

A M Inse

min

.N.

6200 4,01 3,43 273 139 2 4 1,7

5373 3,78 3,49 285 106 2 7 1,5

6794 3,95 3,64 302 176 2 5 1,7

MEDIE PROVINCIALI

MODENA 6354 3,77 3,48 289 145 2 5 1,8

REGGIO E 5929 3,87 3,40 287 135 2 4 1,8

Dalla tabella si deduce che la Bruna ha un latte molto ricco in grasso e di

proteine quindi, come le razze bovine autoctone, possiede i requisiti per essere

definita la vacca “ideale” per il Parmigiano-Reggiano. Non si riscontrano

grosse differenze tra dati aziendali e medie provinciali. La gestione

dell’asciutta e lo svezzamento del vitello seguono più o meno le stesse

modalità della Frisona; il vitello alla nascita pesa circa 35 kg e a seconda che

sia maschio o femmina il parto può essere ritardato rispettivamente di 10-15

giorni e di 20 giorni. La massima produzione di latte viene raggiunta intorno

al terzo parto e la permanenza media in stalla è di circa 6-7 anni. Sono stati

sperimentati degli incroci tra Bruna e Rossa Danese con scarsi risultati; si è

invece dimostrato buono l’ibrido ottenuto da Bruna e Blu Belga per il

vitellone da carne.

130

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5.2 I riscontri al caseificio

Dopo aver illustrato le caratteristiche di queste quattro razze mi è sembrato

opportuno verificare le diverse rese in formaggio per ognuna di esse tranne la

Bianca Val Padana per la quale purtroppo non esiste ancora la caseificazione

separata. Ho compiuto le mie osservazioni presso tre diversi caseifici presso i

quali veniva conferito il latte degli allevamenti da visitati: il Caseificio Notari

di Coviolo dove viene effettuata la caseificazione separata del latte di

Reggiana, la Latteria Matilde di Canossa a Montecavolo dove allo stesso

modo viene fatta la caseificazione separata ma con latte di Bruna infine il

Caseificio Sociale di Albareto che lavora latte di Frisona.

Nella tabella ho riportato i dati relativi al latte in caldaia mediante i quali ho

potuto calcolare le rese in burro e formaggio:

Tabella 41. Analisi dei latti in caldaia

Razze LDG

Gra

sso

% Ca

sein

a

%

Rapp.

Gr/Cas

% Grasso nel

siero cotto

Frisona E (unifeed)

AE (tradiz.)

2,54

2,68

2,73

2,69

0,93

1,00

0,33

0,37

Reggiana A 2,82 2,75 1,03 0,41

Bruna AE 2,48 2,45 1,01 0,37

L’LDG è un tipo di analisi che serve per valutare le caratteristiche di

coagulazione del latte per mezzo di uno strumento denominato

lattodinamografo; le caratteristiche di coagulazione del latte vengono

suddivise in classi contrassegnate dalle lettere A, B, C, D, E, F (tab 42). Si

può vedere che il latte della Reggiana ha un tempo di coagulazione inferiore

rispetto a Frisona e Bruna in quanto il tipo A ha una coagulazione della durata

131

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compresa tra 11,30 e 18 minuti mentre il tipo AE ha dei tempi che vanno dai

18,30 ai 19 minuti.

Tabella 42. Classi per la valutazioni delle caratteristiche di coagulazione

del latte relative all’esame LDG

rTP

1PT (min.) kTP

2PTB20 B(min.) aTP

3PTB30 B(mm) Classe

6 0 - DD

6 r 10,30 <9 - D

6 r 10,30 9 - C

10,30 r 11,30 <9 - AD

10,30 r 11,30 9 - AC

11,30 r 18,00 - - A

18,30 r 19,00 - - AE

19,00 r 25,00 5,30 - E

19,00 r 25,00 <5,30 - B

25,00 r 26,00 - - EF

26,00 r 30,00 - - F

>30 - - FF

11,30 r<15,00 - 50 D

15,00 r 18,30 - 40 B

18 - <20 E

Il rapporto grasso/caseina risulta essere vicino a 1 nel caso della Reggiana: è

un dato ritenuto ottimale per una buona caseificazione. I riscontri che ho

cercato in caseificio sono relativi ai dati riscontrati direttamente in caldaia

(termine che sottintende il locale in cui avviene la lavorazione del latte) e sono

riportati nella tabella 41. I successivi controlli che ho effettuato hanno

riguardato la resa da 24 ore dalla cagliata, la resa dopo salamoia e, dato più

importante la resa dopo 12 mesi, data in cui viene effettuata la scelta delle

TP

1PT tempo di coagulazione in minuti (dall’inizio della prova fino a che il tracciato lattodinamografico

raggiunge un’apertura di un mm).

TP

2PT velocità di formazione del coagulo in minuti: si calcola misurando la distanza fra l’inizio della

formazione del coagulo e l’apertura a 20 mm delle branche del tracciato lattodinamografico.

TP

3PT consistenza del coagulo a 30’ (corrisponde ala distanza in mm fra le due estremità del tracciato).

132

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forme che andranno alla stagionatura. Questi dati vengono riportati nella

tabella 43.

Tabella 43. Rese in burro e formaggio in tre caseificazioni separate

Reggiana Frisona Bruna

Resa dopo 24 ore 8,73 8,45 tradiz.

8,35 unifeed

8,32

Resa % dopo il

sale

8,29 8,03 tradiz.

7,93 unifeed

7,90

Resa dopo 12

mesi

7,86 7,58 tradiz.

7,48 unifeed

7,55

Resa in burro 1,50 1,41 tradiz.

1,32 unifeed

1,45

% scarti 1-2 3-5 1-2

Dall’analisi della tabella 43 si può notare come tutti i dati relativi alla

Reggiana siano, anche se leggermente, costantemente superiori rispetto a

Bruna e a Frisona. Per quanto riguarda le rese in burro abbiamo dati che si

equivalgono tra le razze anche se, a detta dei casari, i dati della Reggiana e

della Bruna sono sottostimati. Circa la percentuale di scarti si può vedere

come la Frisona abbia un dato peggiore rispetto alle due razze che può essere

spiegato proprio dalla diversa costituzione caseinica del latte.

133

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6 – Prospettive

134

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In questa trattazione ho voluto mettere in evidenza l’insieme di potenzialità

della razza Reggiana e della Bianca Val Padana che sono andate

configurandosi all’interno del quadro zootecnico in continua evoluzione del

Comprensorio del Parmigiano-Reggiano. Da questo lavoro è emerso un

problema che interessa un po’ tutte le specie animali autoctone: il rischio di

erosione genetica. Come ho detto nel capitolo 4 a proposito della

riqualificazione delle due razze, il pericolo di estinzione nel caso della

Reggiana è per ora scongiurato mentre per la Bianca Val Padana è più che mai

imminente. I risultati ottenuti dallo studio di queste due razze nel loro contesto

zootecnico-locale mi hanno dunque condotta a trarre le seguenti conclusioni:

1. La qualità del latte delle razze bovine autoctone è indubbiamente superiore

a quella delle razze cosmopolite: ciononostante le differenze che si

riscontrano sul formaggio, a parità di condizioni (zona di allevamento,

alimentazione delle bovine e tecnica casearia), non sono poi così marcate

in termini di caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore,

consistenza ecc.) che sono i parametri di orientamento di noi consumatori.

Differenze significative si riscontrano invece al momento della

caseificazione: infatti, da quanto è emerso dall’esperienza dei casari, il

latte delle bovine autoctone si lavora meglio perché la coagulazione

avviene più velocemente così come la sineresi la quale è quindi più

abbondante, inoltre la resa di 100 l di latte è di un kg in più.

2. La quantità di latte prodotto delle razze bovine autoctone è sensibilmente

inferiore a quella delle razze cosmopolite e questo implica una maggiore

economicità di queste ultime.

3. Il permanere dell’alimentazione tradizionale garantisce la tipicità e la

genuinità dei prodotti lattiero-caseari e da anche prova di una certa cura da

parte degli allevatori nello svolgere il loro lavoro.

135

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Viste queste conclusioni a cui sono giunta ritengo giusto salvaguardare

l’immenso patrimonio genetico della Reggiana e della Bianca Val Padana per

una serie di motivi:

Dalla genetica abbiamo appreso che un individuo (fenotipo) è il risultato

dell’interazione tra genotipo cioè una base genetica e l’ambiente; com’è

noto l’ambiente è in continua evoluzione quindi un individuo per

sopravvivere deve adattarsi ad esso e quindi disporre di un grande numero

di geni e di conseguenza una maggiore possibilità di ricombinazione. Nel

momento in cui quest’ultima venga a diminuire per la perdita di materiale

genetico si avrebbero minori possibilità di sopravvivenza per la specie. In

pratica se scomparissero a poco a poco gli elementi di variabilità di una

specie quali possono essere le diverse razze si avrebbe un impoverimento

dell’ecosistema e un indebolimento della specie stessa.

Il secolare legame tra razza prodotto e ambiente è garanzia di tipicità e

genuinità inoltre è una parte di storia in quanto è il risultato dell’intensa

attività di selezione umana e naturale e dell’evoluzione socio-culturale del

mondo rurale.

L’evoluzione dei gusti dei consumatori e quindi del mercato; in questi

ultimi anni il consumatore è alla ricerca di prodotti sani, naturali e che

abbiano buone proprietà nutritive quindi un prodotto di “nicchia” come il

Parmigiano-Reggiano delle razze bovine autoctone può essere una valida

risposta a questo tipo di esigenze.

Dal momento che questi animali conservano caratteristiche di rusticità e

frugalità possono contribuire al ripopolamento di aree montane incolte e

difficilmente meccanizzabili (questo vale in particolare per la Bianca Val

Padana) in modo tale da valorizzare terreni altrimenti destinati a dissesto

idrogeologico.

I motivi che hanno portato le due razze bovine in questione molto vicine al

rischio di estinzione sono già stati ampiamente dibattuti; resta però da

136

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chiedersi quale futuro si prospetta per l’inestimabile patrimonio genetico di

cui sono depositarie Reggiana e Bianca Val Padana. Attualmente la salvezza

delle razze bovine autoctone è nelle mani di alcuni coraggiosi allevatori e

all’attività di organizzazioni intergovernative (FAO) tra i cui obiettivi vi è la

conservazione in situ ed ex situ della biodiversità. Senza voler fare del

“romanticismo zootecnico” salvare queste razze vuol dire anche conservare il

ricordo delle nostre tradizioni e soprattutto difendere il Parmigiano-Reggiano

da chi vuole equipararlo a quegli “pseudo-formaggi” che ne sono

un’imitazione solo verbale (Parmesan) ma soprattutto dalla “globalizzazione”

del gusto.

137

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7 – Bibliografia

138

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1- Mario Iotti La vacca rossa pietra angolare del formaggio parmigiano-

Reggiano Reggio Emilia 1999

2- G. Arlotti, B. Varicelli,. L’oro delle vacche rosse. I luoghi, la cucina, i

segreti di un formaggio unico: il Parmigiano-Reggiano dell’antica razza

Reggiana. C.V.P.A.R.R

3- E. Bergozini O. Parisi I bovini di razza modenese Istituto sperimentale

per la zootecnia (sezione operativa di Modena)

4- C. Villa Reggiana: una razza antica che guarda al futuro.

5- A. Mavrulis R. Mora A.Carletti Corso di perfezionamento e

specializzazione: introduzione al corso e informazioni di base. Arte

Casearia: gestione qualità ricerca e sviluppo

6- G. Bertoni Incidenza della componente genetica e ambientale sulla

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7- http://www.crpa.it/documenti/settori/divulgazione/pim_new/latte/lat3.html

8- F. Ricci-Bitti Appunti delle lezioni di zootecnica speciale

9- O. Salvatori del Prato Trattato di tecnologia casearia Edagricole

10- http://www.parmigiano-reggiano.it

11-V. Russo G. Losi Le peculiarità del latte della razza Reggiana per la

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13-P. Mariani G. Losi e Coll. Prove di caseificazione con latte caratterizzato

dalle varianti A e B della K-caseina nella produzione del Parmigiano-

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dalle varianti A e B della K-caseina: rilievi sul formaggio stagionato.

Scienza e Tecnica Lattiero-Casearia 1979

15-M. Pecorari Poca caseina nel latte? Colpa della selezione. Informatore

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17- Bollettino dei controlli della produttività del latte 1970-2000 A.I.A

18-S. Feroci Salviamo la Modenese. Informatore Zootecnico n. 2 1980

19-L. Catellani La rossa strega gli allevatori. Informatore Zootecnico n. 12

1992

20-C. Tarocco Come salvare le razze bovine italiane. Informatore Zootecnico

n. 3 1975

21-D.P.R. 30 ottobre 1955, n. 1269 e D.P.R. 15 luglio 1983

22-Regolamento per l’alimentazione delle bovine Consorzio del Formaggio

Parmigiano-Reggiano 1999

23-G. Piva G. Fusconi Come influire sul contenuto in proteine e sulle

proprietà casearie Informatore Agrario n. 13 1989

24-.La vacca da latte Città degli studi Milano

25-P. Mariani 1989 O.D.V.

26-Semproni e Coll. Sulle rese al caseificio di 4 razze bovine nelle zone del

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28-D.G. Schmidt Starch-gel electrophoresis of K-casein Biochim. Biophys.

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39-V. Russo P. Mariani Polimorfismo genetico delle caseine e della -

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40-G. Losi e Coll. Influenza delle varianti genetiche della caseina K sulla

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41-D. Morini e Coll. Influenza delle varianti genetiche della K- caseina sulla

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42-G. Losi e Coll. . Influenza delle varianti genetiche delle proteine del latte

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43-P. Mariani Dati non pubblicati, relativi ad indagini effettuate nel 1970-71

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44-P. Mariani M. Leoni Il tempo di coagulazione del latte in rapporto alle

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53-R. Aleandri e Coll. The effects of milk protein polymorphism of milk

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54-Materiale informativo a cura dell’Associazione Nazionale Allevatori

Bovini di Razza Reggiana

55-L’oro bianco dal produttore al consumatore Razza Bruna Italiana Atti

Tavola Rotonda Verona 14 febbraio 1997

56- www.anafi.it

57-G. Negrini Il fieno scopre il punteggio alimentare Informatore Zootecnico

n. 18 1992

143