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ALMA MATER STUDIORUM
Università degli studi di Bologna
FACOLTA’ DI AGRARIA
Dipartimento di Scienze degli Alimenti
Corso di Laurea in Scienze Agrarie
Materia di tesi:
Zootecnica speciale I
VALORIZZAZIONE DELLE RAZZE BOVINE AUTOCTONE
NELLA PRODUZIONE DEL PARMIGIANO-REGGIANO
Tesi di Laurea
di:
KATIA BERNABEI
Relatore:
Chiar.mo Prof.
FRANCESCO RICCI BITTI
PAROLE CHIAVE: RAZZE AUTOCTONE, REGGIANA, BIANCA VAL PADANA, CASEINA,
PARMIGIANO-REGGIANO
Sessione II
Anno Accademico 2000-2001
1
Indice
Premessa 3
1-Introduzione 4
1.1 Cenni storici 5
1.2 Area di diffusione 8
2-Attuale procedura per la produzione del Parmigiano-
Reggiano 10
2.1 Lo standard del formaggio Parmigiano-Reggiano 11
2.2 I contrassegni e i marchi di garanzia del Parmigiano Reggiano 13
2.3 Regolamento per l’alimentazione delle bovine 19
2.4 Il latte e le sue caratteristiche 30
2.5 La trasformazione casearia 61
3-Influenza del tipo di caseina sulla formazione della
cagliata 67
4-Principali razze bovine allevate in provincia di Modena
e Reggio Emilia 84
4.1 Evoluzione numerica 85
4.2 Riqualificazione delle razze bovine autoctone 92
4.3 Caratteristiche morfologiche e fisiologiche 96
4.4 Trend fenotipico 104
4.5 Miglioramento genetico 108
5-Attuale situazione 112
5.1 Sistemi di allevamento 113
5.2 I riscontri al caseificio 131
6-Prospettive 134
7-Bibliografia 138
2
Premessa
La lunga storia del Parmigiano Reggiano oltre ad essere legata
ad un ambiente con caratteristiche pedo-climatiche peculiari
che permette di estrinsecarne tutte le caratteristiche fisiche
chimiche e organolettiche, s’intreccia con quella di due razze
bovine autoctone: la Bianca Val Padana e la Reggiana. Si è
instaurata attraverso i secoli una stretta connessione tra
ambiente, tipi genetici e prodotto. Ciò garantisce la genuinità,
la tipicità e più in generale la qualità del prodotto in questione.
Per questo e per altri motivi di ordine biologico e culturale è
importante, e allo stesso tempo può risultare interessante,
mettere in evidenza le caratteristiche e le potenzialità di queste
due “storiche” razze bovine.
3
1-Introduzione
4
1.1 Cenni storici
Secondo la classificazione dello svizzero Duerst la popolazione bovina viene
suddivisa in tre raggruppamenti fondamentali: Bos taurus macroceros
(longicorni), Bos taurus brachiceros (brevicorni) e Bos taurus akeratos
(acorni). Dal Bos taurus brachiceros ha origine il Bos primigenius o Uro del
sud da cui deriveranno tutte le razze europee e che si estinse intorno alla metà
del secolo XVII.
Decisivo, nell’evoluzione del patrimonio zootecnico, più in particolare quello
bovino, fu un evento storico di grande portata: la caduta dell’ impero romano
d’occidente (476). Subito dopo ebbero inizio le invasioni barbariche. Queste
popolazioni provenivano dal sud-est europeo; tra queste vi furono i
Longobardi i quali ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione di nuove
razze bovine in Italia. I Longobardi provenivano dalla Pannonia e, dopo aver
invaso nel 568 il Friuli, dilagarono in tutta la Padania e conquistarono molti
territori dell’Italia centro-meridionale. Durante le loro migrazioni utilizzavano
numerosi bovini, indispensabili per il trasporto dei familiari e delle masserizie.
Questi bovini erano stati razziati nei territori che avevano attraversato prima
di scendere in Italia, cioè nella Russia meridionale, nella Podolia e nella
Pannonia. Si può quindi ritenere che quei bovini portati in Italia
appartenessero all’antica razza podolica.
Secondo recenti studi, il pigmento rosso del mantello, che è un carattere
dominante, sarebbe stato trasmesso dalle antiche vacche rosse della steppa
russa cha ancora oggi vivono nell’Ucraina e nell’est della Romania. Nel
volgere di pochi secoli, la razza fromentina sostituì le razze indigene e
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mantenne la supremazia fino alla prima metà del ’900. Fu proprio questa
razza, a partire dal secolo XII, la protagonista della cosiddetta “rivoluzione
casearia“ con la quale si ebbe la produzione dei primi formaggi a base di latte
vaccino, i “caci parmigiani“ poi parmesan, ad opera dei monaci benedettini.
A questo punto occorre fare un precisazione: la razza definita “fromentina“
comprende diverse sottorazze che si formarono nei territori pianeggianti e
collinari compresi fra la provincia di Modena e l’Oltrepò pavese. Queste
sottorazze avevano in comune il mantello rosso, seppure in diverse tonalità, ed
elevata adattabilità alle diverse condizioni ambientali, ma si differenziavano
tra loro per la taglia, per la diversa attitudine alla produzione di latte e carne e,
in certi casi, per una minore resistenza ai lavori pesanti. Attualmente alcune di
queste sottorazze sono ridotte allo stato di reliquia e rischiano l’estinzione. In
particolare sono: Cabannina, Ottonese e Pontremolese. La Bianca Val Padana
e la Reggiana invece hanno una consistenza numerica più elevata; il rischio
però di un ulteriore calo del numero di capi sussiste ancora per la Bianca Val
Padana.
Tornando alla storia della razza fromentina, tra il Po e l’ Enza (Piacenza e
Parma) il mantello era di colore rosso accentuato, la mole media e la
produzione del latte particolarmente ricercata; fra l’Enza e il Secchia (Reggio
Emilia) il mantello rosso tendeva al pallido, perciò detto fromentino, la mole
maggiore e una più spiccata attitudine lattifera; fra Secchia e Reno (Modena)
la popolazione bovina, assai eterogenea come mantello, tipo e mole, era
invece a più spiccata attitudine alla produzione di carne, ma, fin dal ’700,
cominciò a prevalere la razza di tipo reggiano cioè a triplice attitudine (ma più
lattifera) e a mantello fromentino. L’illustre Filippo Re, riferendosi ai bovini
di Reggio, ma che simili si ritrovavano anche nel modenese, affermava:
“Il bovino di mantello fromentino (cioè rosso chiaro) è da tutti preferito ad ogni altro. Il
bovino latteo (segno che già all’ inizio dell’’800 vi erano soggetti di colore bianco) è da
tutti ricusato siccome indicante animale debole“.
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Verso la metà dell’800, dal gruppo di bovini di cui si è parlato poc’anzi, si
differenziò una popolazione a mantello bianco con centro Carpi e perciò detta
anche “carpigiana“ che si estese poi nella restante pianura modenese, nelle
zone confinanti della pianura di Reggio con centro Correggio e nell’Oltrepò
mantovano, per questo assunse anche il nome “modenese“ poi “Bianca Val
Padana“.
Dalla seconda metà dell’800 con esposizioni zootecniche la Società Fiere e
Corse di Modena incoraggiò l’allevamento dei bovini del tipo modenese
premiando i soggetti migliori, ben sviluppati, con mantello tra il fromentino e
il bianco, di buon accrescimento, con attitudine al lavoro e provviste di buone
masse muscolari. Solo alla fine del secolo, con la comparsa dei primi caseifici
nel modenese, si è cominciato a valorizzarne l’attitudine lattifera e quindi
casearia.
La Cattedra Ambulante di Agricoltura, dopo l’Esposizione Zootecnica di
Mirandola del 1905, iniziò un metodico lavoro di selezione. Da allora si
costituì la Commissione Zootecnica Provinciale della quale fecero parte
tecnici ed allevatori incaricati di coordinare e uniformare i criteri di scelta dei
riproduttori, si moltiplicarono le esposizioni zootecniche circondariali e
comunali e nel 1913 si costituì la Commissione Provinciale per
l’approvazione dei tori.
Le prime informazioni accreditate sulla vacca rossa reggiana provengono
invece da uno studio datato 1809 ad opera del Bolognini relativo al bestiame
bovino allevato nel Dipartimento del Crostolo. In questi anni vengono
importate dalla Svizzera vacche “lugane” per essere fecondate da tori reggiani
per la vendita dei nati al macello (eccetto le vitelle di buona conformazione).
Intorno al 1860, secondo Guardasoni (1931) era già iniziata una prima opera
di miglioramento della Reggiana volta ad eliminare alcuni difetti morfologici
della razza, come la linea dorsale avvallata e la coscia di pollo al fine di
ottenere animali dotati di una migliore attitudine alla produzione di carne e di
7
più armonica conformazione. Allo scopo vennero introdotti e utilizzati per l’
incrocio bovini di ceppo Simmenthal dai cantoni di Friburgo e Berna. Tale
incrocio fu effettuato soprattutto nella tenuta dei conti Spalletti presso S.
Donnino di Casalgrande. I risultati furono ottimi, tanto da generare quasi una
sottorazza, molto apprezzata, detta “razza Spalletti“. Per la monta pubblica
oltre ai tori Simmenthal furono introdotti tori Durham, tori di razza Bruna
Alpina e persino olandesi.
Allo scopo di ottenere un miglioramento più rapido della produzione di latte e
carne venne addirittura presa la delibera di intraprendere l’incrocio di
sostituzione della Reggiana con la Simmenthal, ma l’ obiettivo della
sostituzione della razza autoctona non fu mai raggiunto. La Simmenthal aveva
innegabili qualità superiori, rispetto alla Reggiana nei riguardi della
produzione di latte e carne, ma aveva ridotto le capacità di resistere alle
fatiche dei lavori agricoli a cui era destinata. Dal momento che gli ibridi
presentavano una minore consistenza del tessuto corneo ungueale ed un netto
peggioramento dell’attitudine dinamica rispetto al ceppo autoctono, la tecnica
dell’ incrocio venne abbandonata e s’iniziò l’opera di miglioramento della
razza locale con la costituzione di nuclei di allevamento di bovini di razza
selezionata tra i quali scegliere i riproduttori.
Infine, il XIII Congresso Internazionale di Agricoltura, svoltosi a Roma nel
1927, avvalorò l’ opinione che il miglioramento delle razze locali andasse
ricercato con la selezione e non con l’incrocio con altre razze. (1), (2), (3), (4)
1.2 Area di diffusione
Attualmente la distribuzione dei bovini di razza Reggiana e di Bianca Val
Padana copre le province di Modena e Reggio Emilia (figura 1); in particolare
gli allevamenti di vacche reggiane sono ubicati sia in aree montane
8
dell’Appennino Reggiano (Baiso, Casina, Carpineti, Castelnovo ne’ Monti)
delimitate, come una sorta di confine naturale, dal fiume Enza (che separa la
provincia di Reggio Emilia da Parma) e dal fiume Secchia che tagliando fuori
Villa Minozzo (altra zona di allevamento di Reggiane) divide Modena da
Reggio Emilia, sia anche nella pianura di Reggio e provincia (Cavriago,
Cadelbosco di Sopra, Coviolo, Quattro Castella, Castelnovo di Sotto, Viano,
Guastalla). I capi di Bianca Val Padana invece sono per lo più concentrati
nelle aree appenniniche di Prignano, Zocca, Palagano, e Montefiorino; ve ne
sono anche alcuni nuclei ‘sostanziosi’ nella pianura reggiana (Albinea) e in
quella Modenese (Spilamberto e Sassuolo).
Figura 1. Distribuzione geografica della razza Reggiana e della Val Padana (ridisegnata
da Atlante Mondiale Omnia De Agostini)
9
2-Attuale procedura per la produzione del
Parmigiano Reggiano
10
2.1 Lo standard del formaggio Parmigiano–
Reggiano
Formaggio semigrasso, a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto
con coagulo ad acidità di fermentazione dal latte di vacca proveniente da
animali, in genere a periodo di lattazione stagionale, la cui alimentazione base
è costituita da foraggi di prato polifita o di medicaio. Viene impiegato il latte
delle mungiture della sera, riposato e parzialmente scremato per affioramento,
e del mattino. La cagliatura è effettuata con caglio di vitello. Non è ammesso
l’impiego di sostanze antifermentative. Dopo qualche giorno si procede alla
salatura, che viene praticata per 20-30 giorni circa.La maturazione è naturale e
deve protrarsi almeno fino al termine dell’estate dell’anno successivo a quello
di produzione, per quanto la resistenza alla maturazione sia anche superiore. Il
formaggio stagionato è usato da tavola o da grattugia e presenta le seguenti
caratteristiche:
forma cilindrica, a scalzo leggermente convesso o quasi diritto, con facce
piane, leggermente orlate;
dimensioni: diametro da 35 a 45 cm. , altezza dello scalzo da 18 a 24 cm.;
peso minimo di una forma: kg. 24 (massimo kg. 40);
confezione esterna: tinta oscura ed oleatura o giallo dorato naturale;
colore della pasta: da leggermente paglierino a paglierino;
aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato, saporito, ma
non piccante;
struttura della pasta: minutamente granulosa, frattura a scaglia;
occhiatura: minuta, appena visibile;
spessore della crosta: circa 6 mm;
11
grasso sulla sostanza secca: minimo 32%;
zona di produzione: territori delle province di Bologna alla sinistra del
fiume Reno, Mantova alla destra del fiume Po, Modena, Parma, Reggio
nell’Emilia (fig. 2). (21)
Figura 2. Comprensorio del Parmigiano-Reggiano
(da www.sirio.com/fanticini/pr.comefa-it.html)
12
2.2 I contrassegni e i marchi di garanzia del
Parmigiano-Reggiano
Figura 3. I marchi e i contrassegni di garanzia del Parmigiano-Reggiano
(rielaborato da www.bassaparmense.it)
La Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 235 del 9 ottobre 2001
riporta il comunicato del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
(Mipaf) in merito alla modifica al disciplinare di produzione del formaggio a
13
D.O.P. Parmigiano-Reggiano, avanzata dal Consorzio in all’Assemblea
Generale dei Delegati del 20 luglio scorso.
Tale modifica riguarda il Regolamento di alimentazione delle bovine da latte,
lo Standard di produzione e il Regolamento di marchiatura, per aggiornare gli
stessi documenti che già facevano parte del Disciplinare di produzione del
Parmigiano-Reggiano, inoltrato alla Commissione CEE a seguito del Reg.
CEE 2081/92 che ha introdotto a livello comunitario il riconoscimento delle
D.O.P. e delle I.G.P.
La modifica specifica meglio l’uso di latte crudo, il divieto dell’uso di
additivi, le norme per l’alimentazione delle bovine da latte, indicando i
foraggi e i mangimi ammessi e quelli vietati. Inoltre introduce
l’identificazione all’origine di ogni singola forma mediante l’apposizione di
un codice e introduce una distinzione nel marchio di selezione, indicando il
Parmigiano-Reggiano idoneo alla prima stagionatura (circa 12-15 mesi) e
quello idoneo alla lunga stagionatura (circa 24 mesi).
A proposito della marchiatura si riportano le disposizioni generali e le
definizioni:
UI marchi (art.1)
I segni distintivi del formaggio Parmigiano-Reggiano sono rappresentati dai
marchi d’origine e dai marchi di selezione (fig.3).
1. La marchiatura d’origine è eseguita a cura dei singoli caseifici mediante:
a) l’apposizione di una placca di caseina recante la scritta “Parmigiano-
Reggiano” o “CFPR” e i codici identificativi della forma;
b) l’impiego di apposite matrici (fasce marchianti) imprimenti sulla
superficie dello scalzo di ogni forma la dicitura a puntini
“Parmigiano-Reggiano”, nonché la matricola del caseificio
produttore, l’annata e il mese di produzione.
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2. La marchiatura di selezione è effettuata dal Consorzio del Formaggio
Parmigiano-Reggiano mediante l’apposizione di marchi indelebili, come
riportato nei successivi art. 4, 5, 6, 7 e 8.
UDefinizione dei lotti produttivi e operazione di espertizzazione (art.4)
1. La produzione del caseificio è divisa in lotti e più precisamente:
a) 1° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da gennaio ad aprile;
b) 2° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da maggio ad agosto;
c) 3° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da settembre a dicembre.
2. Prima della marchiatura di selezione tutte le forme di formaggio
Parmigiano-Reggiano sono esaminate da una Commissione composta da
almeno due esperti nominati dal Consorzio. Questa operazione è detta
“espertizzazione”.
3. Tutte le operazioni di espertizzazione e di apposizione dei marchi devono
avvenire all’interno della zona di origine.
UEspertizzazione (art.5)U
1. Le operazioni di espertizzazione sono espletate per i tre lotti di produzione
in tre periodi secondo il seguente calendario:
a. Il formaggio del primo lotto è espertizzato a partire dal 1° dicembre
dello stesso anno;
b. Il formaggio del secondo lotto è espertizzato a partire dal 1° aprile
dell’anno successivo;
c. Il formaggio del terzo lotto è espertizzato a partire dal 1° settembre
dell’anno successivo.
UClassificazione del formaggio (art.6)U
1. L’espertizzazione del formaggio avviene attraverso la valutazione
dell’aspetto esterno, della struttura e delle caratteristiche olfattive della
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pasta, avvalendosi dell’esame con il martello e dell’esame con l’ago con
riferimento agli usi e alle consuetudini e secondo la classificazione
riportata nell’Allegato.
2. Al fine di approfondire l’oggettività dell’espertizzazione, le commissioni
devono procedere al taglio di almeno una forma per lotto e, comunque, non
meno di una ogni mille o frazione di mille, per valutarne le caratteristiche
strutturali ed organolettiche. Ai caseifici è fatto obbligo di mettere a
disposizione le forme indicate dagli esperti da sottoporre al taglio e di
consentire l’eventuale prelievo di una porzione delle stesse.
UApposizione dei bolli ad inchiostro (art.7)U
1. Contestualmente alle operazioni di espertizzazione, di cui all’art. 6, alle
forme sono applicati bolli provvisori ad inchiostro indelebile per
caratterizzare le seguenti categorie:
a) Prima categoria, costituita dalle forme classificate in Allegato come
“formaggio scelto sperlato” e “formaggio scelto mercantile” (forme
qualificate come “uno” e come “zero”);
b) seconda categoria, costituita dalle forme classificate come
“formaggio mezzano”;
c) terza categoria costituita dalle forme classificate come “formaggio
scarto” o “formaggio scartone”.
UApposizione dei bolli a fuoco (art.8)U
1. Sulle forme di “prima categoria” e su quelle di “seconda categoria” si
appone un bollo ovale a fuoco imprimente la dicitura “Parmigiano-
Reggiano Consorzio Tutela” e l’anno di produzione;
2. il formaggio di seconda categoria è sottoposto all’identificazione mediante
un contrassegno indelebile da applicarsi sullo scalzo della forma;
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3. l’applicazione del bollo a fuoco può essere effettuata dopo sette giorni
dall’avvenuta espertizzazione.
UAnnullamento dei marchi d’origine (art.9)U
1. Sulle forme di terza categoria, unitamente a quelle con gravi difetti
strutturali che non ne hanno consentito la stagionatura e a quelle che hanno
subito correzioni tali da compromettere l’estetica della forma e la qualità
della pasta o i contrassegni identificativi del mese, dell’anno di produzione
e della matricola del caseificio, saranno asportati i marchi di origine a cura
degli addetti del Consorzio o le stesse dovranno essere consegnate a una o
più strutture di trasformazione convenzionate con il Consorzio. Per tali
forme il caseificio dovrà conservare la documentazione prodotta dalle
suddette strutture da cui risulti l’avvenuto annullamento dei marchi di
origine. L’annullamento dei marchi è effettuato anche per le forme sulle
quali non sono stati correttamente applicati i marchi di origine.
UAllegatoU
Classificazione merceologica del formaggio
1. Formaggio scelto sperlato
Tale qualifica viene attribuita a quelle forme immuni da qualsiasi difetto sia
esterno che interno (pezzatura, crosta, martello, ago, struttura della pasta,
aroma,sapore) in qualsiasi modo rilevabile, sia alla vista sia al collaudo
dell’ago e del martello.
2. Formaggio scelto mercantile 0-1
In questa classe sono comprese le forme classificate come:
Zero: le forme che, pur rispondendo alle caratteristiche di scelto,
presentano sulla crosta fessure superficiali, piccole erosioni, spigoli
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leggermente rovinati e qualche piccola correzione senza che la forma
risulti deformata.
Uno: le forme aventi leggere anomalie di struttura e in particolare:
- uno o due vescicotti (cavità di forma circolare od oblunga creatasi nella
pasta) di diametro non superiore ai 3-4 cm e sempre che, sondato il
vescicotto con l’ago, questo non riveli difetti olfattivi;
- -vespaio localizzato (zona di pasta spugnosa) di pochi centimetri senza
difetti olfattivi;
- alcune “bocche di pesce” e cioè occhi di forma oblunga, non superiori
ai 3-4 cm;
- leggere sfoglie, costituite di alcune fessurazioni della pasta, di
lunghezza non superiore ai 3-4 cm;
- occhi radi e non eccessivamente ripetuti,
- le forme cosiddette “lente”, e cioè quelle che alla percussione con il
martello rivelano un suono sordo.
3. Formaggio mezzano (uno lungo)
In questa classe sono comprese le forme con:
- vescicotti di diametro superiore ai 3-4 cm immuni da difetti olfattivi;
- vespai immuni da difetti olfattivi;
- occhiatura diffusa nella forma (occhi lucidi, rotondi, di diametro
medio- piccolo);
- alcune fessurazioni e spacchi disposti orizzontalmente;
- fessurazioni e spacchi orizzontali localizzati in prossimità di un piatto
e/o interessanti parte dello scalzo;
- correzioni in scalzo o in piatto, in assenza di difetti olfattivi, eseguite a
regola d’arte di entità tale da non compromettere significativamente
l’aspetto esteriore della forma.
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4. Formaggio scarto
In questa classe sono comprese le forme con:
- bombatura molto accentuata dei piatti della forma;
- pasta spugnosa con grande e diffusa occhiatura;
- fessurazioni orizzontali multiple e diffuse con conformazioni a “libro”;
- grosse fenditure e spacchi diffusi su gran parte della forma;
- grossa cavità localizzata al centro o in zona sub-centrale a forma sferica
od oblunga con o senza pasta spugnosa;
- correzioni in scalzo e/o in piatto profonde ed estese;
- forme con evidenti difetti olfattivi.
5. Formaggio scartone
A questa classe appartengono tutte le forme nelle quali si nota la presenza di
numerosi e gravi difetti e cioè tutte quelle che non possono per la loro qualità
essere comprese nelle categorie sopra specificate. (10)
2.3 Regolamento per l’alimentazione delle bovine
L’ultimo aggiornamento del regolamento per l’alimentazione delle bovine
risale al 1999 (Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano)
Il razionamento delle vacche il cui latte è destinato alla produzione di
Parmigiano-Reggiano si basa sull’utilizzazione di foraggi locali, il che
consente di mantenere vivo l’imprescindibile rapporto che lega il prodotto al
territorio.
Per questa ragione:
almeno il 35% della sostanza secca dei foraggi utilizzati deve essere di
produzione aziendale;
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almeno il 75% della sostanza secca dei foraggi deve provenire dal
Comprensorio;
non più del 25% della sostanza secca dei foraggi (ivi compresi tutti quelli
ottenuti per disidratazione ad alta temperatura) può provenire da territori
collocati al di fuori dell’area del Parmigiano-Reggiano, purché prodotti
nelle regioni contigue a quelle del Comprensorio di produzione.
Qualora l’azienda non disponga di un adeguato rapporto terra/bestiame (SAU
pari 0,33 ha per vacca da latte in pianura e 0.66 ha per vacca da latte in
montagna), il produttore deve documentare la provenienza dei foraggi
acquistati. La razione di base, costituita dai foraggi, viene convenientemente
integrata con mangimi complementari in grado di bilanciare gli apporti
energetici, proteici, minerali e vitaminici della dieta.
I foraggi
Sono da ritenersi idonei per l’alimentazione delle vacche da latte:
i foraggi freschi ottenuti da buoni prati stabili naturali polifiti o artificiali
purché falciati asciutti, all’inizio della fioritura e somministrati
prontamente. In particolare si possono impiegare: erba medica; erba di
prato naturale; erba di trifoglio; erbai di loietto, segale, avena, orzo,
granturchino, sorgo da ricaccio, panico, dactilis, festuca, fleolo, sulla,
lupinella, somministrati singolarmente o associati tra loro o con pisello,
veccia e favino a giusta maturazione;
i fieni ottenuti a mezzo dell’essiccamento in campo o per aeroessiccazione
delle essenze foraggere predette;
il foraggio ottenuto dalla coltura della pianta intera del mais raccolto a
maturazione latteo-cerosa o cerosa e sottoposto a trinciatura (tale foraggio
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deve essere immediatamente somministrato alle bovine onde ridurre al
massimo i processi fermentativi);
le paglie di cereali e i foraggi di buona qualità disidratati ad alta
temperatura.
Limitazioni d’impiego dei foraggi
Al fine di realizzare un corretto razionamento è necessario che l’utilizzazione
dei foraggi avvenga nel rispetto delle seguenti regole:
le quantità massime di foraggi freschi, nel loro insieme, non devono
superare i 30 kg per vacca al giorno;
la quantità di trinciato di mais, di sorgo e di granturchino non deve
superare, complessivamente, i 10 kg/capo/giorno;
il fieno di medica non deve essere associato agli erbai di leguminose;
i prodotti ottenuti per disidratazione con alte temperature non devono
eccedere i 2 kg per bovina al giorno. Il trattamento termico provoca infatti
una drastica caduta della flora lattica autoctona e profonde modificazioni
chimico-fisiche dei diversi principi alimentari;
l’impiego dei fieni di medica e di trifoglio ottenuti a mezzo di
aeroessiccazione va associato a foraggi secchi di graminacee, per
migliorare le qualità dietetiche, stimolare la masticazione e regolare la
ruminazione.
I mangimi
Nel razionamento è necessario tenere conto che i trattamenti tecnologici
(macinazione, schiacciamento, fioccatura, micronizzazione, estrusione…)
modificano, anche in modo radicale, le caratteristiche chimico-fisiche dei
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prodotti, rendendoli differenti da quelli da cui originano. Per il razionamento
delle bovine in lattazione non è ammesso l’impiego di diete che abbiano come
fonte di amido un unico cereale. Per valutarne la conformità, i mangimi
devono essere corredati da “cartellini” in cui siano indicate le singole materie
prime e non le sole categorie di materie prime affini. Inoltre, al fine di
predisporre un corretto razionamento,è necessario che sia riportato, per ogni
ingrediente, il trattamento termico o idrotermico cui, eventualmente, è stato
sottoposto. I mangimi devono essere conservati in modo adeguato sia per
preservare le caratteristiche dietetico-nutrizionali, sia per evitare che possano
contaminare l’ambiente quindi il latte. A tal fine:
i sili devono essere periodicamente svuotati completamente, puliti
e disinfettati;
i mangimi non possono essere conservati all’interno della stalla.
Tabella 1. Mangimi semplici utilizzabili e dosi massime d’impiego
materie prime% max nei mangimi Kg/capo/die
MAIS IN FARINA 35 4
MAIS SCHIACCIATO 30 3
MAIS FIOCCATO E\O ESTRUSO 20 2
MAIS TOTALE (FARINA+SCHIACCIATO+FIOCCATO+ESTRUSO) 50 6
ORZO (schiacciato e/o farina) 30 3,5
ORZO (fioccato) 20 2
FRUMENTO+TRITICALE+SEGALE: in totale 20 2
SORGO 15 1,5
AVENA 10 1CRUSCA,CRUSCHELLO, TRITELLO, GERME, FARINACCIO E FARINETTA DI FRUMENTO: in totale 30 3
POLPE SECCHE DI BIETOLA (in fettucce e/o pellet) 15 2
FARINA DI ESTRAZIONE DI SOIA (inegrale e/o decorticata) 25 2,5
SOIA INTEGRALE (fioccata,tostata,estrusa o micronizzata): in totale 10 1
FARINA DI ESTRAZ. GIRASOLE (minimo 30% proteine) 10 1
FARINE DI ESTRAZIONE E/O EXPELLER E/O PANELLI DI LINO E DI GERME
DI MAIS: in totale 10 1
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TRINCIATO DI CEREALI CEROSI DISIDRATATI (mas, orzo, frumento, segalee triticale): in totale 20 2
FAVA E/O FAVINO 10 1
PISELLO PROTEICO 10 1
SEMOLA GLUTINATA, GLUTINE DI MAIS E BUCCETTE DI SOIA: in totale 10 1
SEME INTEGRALE DI LINO 3 0,3
ALTRE FORAGGERE DISIDRATATE: in totale 20 2
CARRUBA (come appetizzante) 3 0
MELASSO (come legante) 3 0
Note: le percentuali massime delle materie prime si riferiscono ai mangimi complementari che da soli
integrano la razione dei foraggi e non si applicano ai concentrati ad alto contenuto proteico, minerale e
vitaminico (i cosiddetti “nuclei”), utilizzati in dosi inferiori a 4 kg capo/giorno.
Il contenuto di lipidi grezzi, dopo idrolisi acida, non deve superare il 4,5% nei mangimi complementari,
ad esclusione dei “nuclei”. Non è consentita l’umidificazione delle polpe secche di bietola.
Probiosi (probiotici e prebiotici)
I probiotici ed i prebiotici autorizzati esplicano la loro attività,
prevalentemente se non interamente, a livello del distretto rumine-reticolo. Per
la loro efficacia nel mantenimento delle regolari funzioni digestive, l’impiego
di lieviti vivi e di batteri lattici , utilizzati in preparati concentrati ed in piccole
dosi, è ammesso nei cambiamenti di dieta, in presenza di turbe digestive e nei
momenti di stress alimentare, gestionale ed ambientale. Anche l’impiego di
oligopeptidi, di aminoacidi liberi (ruminoprotetti e non), di oligoelementi
chelati, di oligosaccaridi non digeribili e di lieviti secchi, tutti in qualità di
prebiotici, è consentito per i positivi effetti esercitati sulle funzioni digestive e
sull’ ”igiene” del tratto digerente.
Acqua di bevanda
E’ necessario che le fonti di abbeverata siano facilmente accessibili agli
animali e che l’acqua sia di buona qualità e ben appetita, non arrechi turbe
digestive o metaboliche alla lattifera e non contamini il latte. In assenza di una
specifica normativa in merito, l’acqua di bevanda deve soddisfare almeno i
23
requisiti minimi riportati in tabella 2. Particolare attenzione deve essere posta
alla “clorazione” nell’intento di evitare la presenza di quantità eccessive di
cloro libero che potrebbe interferire negativamente con l’attività microbica
ruminale.
Tabella 2. Principali caratteristiche delle acque di bevanda
Valori guida Valori estremi
Durezza totale 25 10-50
Acidità pH 6.5-8.5 6-9
Solidi totali disciolti (residuo fisso
g/l)
1 3
Solfati (mg/l) 25 250
Fosforo (mg PB2BOB5B) 0.40 5.00
Ammoniaca (mg/l) 0.1 0.50
Nitrati (mg/l NOB3B) 5 50.0
Nitriti (mg/l NOB2B) assente 0.5
Flora fecale (coliformi, clostridi
solfito riduttori, streptococchi)
assente assente
Cloro (mg/l) breakpoint 0.2
Alimenti non ammessi
Gli alimenti che non risultano espressamente ammessi sono da considerare
non autorizzati. In ogni caso l’eventuale approvazione di alimenti non
contemplati e le variazioni delle dosi d’impiego di quelli consentiti sono
condizionate dall’esito favorevole delle osservazioni e delle
sperimentazioni promosse e avallate dal Consorzio del Parmigiano-
Reggiano.
24
Alimenti il cui impiego è vietato:
Foraggi e sottoprodotti freschi e conservati
1. Insilati di ogni genere, ivi compresi i pastoni.
2. Foraggi in fermentazione, anche se appassiti; foraggi trattati con additivi
per migliorarne la conservabilità.
3. Erbai di sorgo zuccherino a maturazione estiva e di sorgo ibrido non
maturo.
4. Colza, ravizzone, senape, fieno greco, foglie di piante da frutto e non, aglio
selvatico, coriandolo.
5. Stocchi di mais e di sorgo, brattee e tutoli di mais paglia di soia.
6. Ortaggi in genere (cavoli, rape, patate, pomodori,…) ivi compresi scarti,
cascami e sottoprodotti vari allo stato fresco e conservati.
7. Frutta fresca e conservata (mele, pere, pesche, uva, agrumi,…) nonché tutti
i sottoprodotti freschi della relativa lavorazione.
8. Trebbie fresche di birra, distiller, borlande, vinacce, graspe ed altri
sottoprodotti umidi provenienti dalla produzione della birra, dall’industria
enologica e saccarifera e dalle distillerie.
9. Barbabietole da zucchero e da foraggio nonché le foglie ed i colletti.
10. Tutti i sottoprodotti liquidi della macellazione (contenuto ruminale ed
intestinale, sangue, ecc.) e della caseificazione (siero, latticello,…).
Mangimi semplici
1. Tutti gli alimenti di origine animale (pesce, carne, sangue, penne,
sottoprodotti vari della macellazione) nonché i sottoprodotti essiccati della
lavorazione del latte (siero, latticello, farine lattee).
2. Grassi ed olii di origine animale e vegetale, compresi i saponi.
25
3. Semi di: cotone, veccia (comprese le svecchiature), fieno greco, lupino,
colza, ravizzone e vinaccioli.
4. Sottoprodotti della lavorazione del riso: lolla, pula, puletta, farinaccio,
gemma e granaverde.
5. Farine di estrazione, panelli ed expeller di: arachide, colza, ravizzone,
cotone, semi di pomodoro, girasole con meno del 30% di proteine,
babassu, malva, neuk, cocco, tabacco, sesamo, papavero,palmisto, olive,
mandorle e noci.
6. Manioca, patate e derivati.
7. Alimenti disidratati ottenuti da ortaggi e sottoprodotti della loro
lavorazione (buccette e semi di pomodoro ecc.) nonché frutta secca o
essiccata di qualsiasi tipo (è consentito l’uso di carruba come appetizzante)
e sottoprodotti della relativa lavorazione (marchi, pastazzi, buccette sanse,
vinacce, vinaccioli e fecce.
8. Saccarosio, glucosio e tutti i sottoprodotti dell’industria saccarifera (il
melasso può essere utilizzato solo come legante nei mangimi) cioè le
borlande e delle birrerie (trebbie essiccate).
9. Urea e derivati, sali di ammonio, concentrato proteico di bietole (CPB) e
borlande di ogni tipo e provenienza.
10.Antibiotici, terreni di fermentazione e qualsiasi principio attivo ed additivo
non ammesso dalla vigente normativa nazionale e comunitaria.
Non possono inoltre essere somministrati alle vacche da latte:
alimenti provenienti da colture geneticamente modificate;
foraggi e mangimi riscaldati, rancidi, ammuffiti, infestati da parassiti,
deteriorati, imbrattati oppure contaminati da sostanze tossiche, radioattive
o comunque nocive (anticrittogamici, insetticidi, micotossine, metalli
pesanti, …);
26
foraggi provenienti da terreni irrigati con acque di scarico di allevamenti,
di industrie, di insediamenti urbani, da acquitrini, da terreni sommersi, da
rive di fossi, nonché da terreni adiacenti alle grandi arterie stradali.
Insilati
La conservazione dei foraggi a mezzo dell’insilamento comporta la selezione
e lo sviluppo di specie microbiche pericolosi per la buona riuscita del
formaggio ed in particolare di batteri anaerobi sporigeni (Cl. tyrobutyricum e
Cl. sporogenes) che, attraverso la catena alimentare, possono contaminare
l’ambiente di stalla e trasferirsi al latte e alla pasta del formaggio. Per queste
ragioni l’impiego di ogni tipo d’insilato è vietato tanto per l’alimentazione
delle vacche in lattazione quanto per quelle in asciutta. Soltanto alle manze
(ed eventualmente agli animali da carne) potranno essere somministrati
insilati di mais (silomais e pastoni) alle seguenti condizioni:
l’allevamento di questi animali deve attuarsi in ambienti diversi da quelli
in cui si trovano le vacche da latte e la gestione dell’insilato deve avvenire
in modo da non imbrattare le aree e gli attrezzi adibiti al governo delle
lattifere;
al prelevamento e alla distribuzione degli insilati devono essere destinati
attrezzature e personale diversi da quelli utilizzati per le vacche da latte; in
ogni caso devono essere adottati tutti gli accorgimenti per evitare le
possibili contaminazioni;
lo spandimento delle deiezioni provenienti dalle stalle in cui si fa uso di
insilati non deve avvenire sui prati in produzione, per evitare la
contaminazione delle foraggere e l’effetto di accumulo legato al ciclo delle
spore.
27
Le manze e gli animali alimentati con insilati di mais possono essere introdotti
nell’allevamento delle vacche in lattazione solo dopo due mesi dalla
sospensione della somministrazione degli insilati; in questo periodo gli
animali devono essere tenuti in locali nettamente separati da in cui vivono i
soggetti che continuano ad assumere insilato. E’ vietata anche la semplice
detenzione in azienda degli insilati di erba e di quelli a base di alcuni
sottoprodotti (polpe di bietola, erba di pisello da seme, trebbie di birra,
buccette di pomodoro, ecc…), conservati in balloni fasciati, platee o con
altre tecniche. Questi alimenti, per le loro caratteristiche, presentano altissimi
contenuti di spore appartenenti a specie particolarmente virulente e, pertanto,
non possono essere utilizzati nemmeno per le manze e per gli animali da
carne. E’ comunque da sottolineare che anche la presenza di insilati di mais in
azienda (silomais e pastone) rappresenta un potenziale rischio per la riuscita
qualitativa del Parmigiano-Reggiano. La preparazione, la conservazione e la
somministrazione di tali alimenti alle manze e agli animali da carne deve
pertanto avvenire con la massima attenzione e con le dovute precauzioni.
Rapporto foraggi/mangimi
Gli elevati fabbisogni calorici delle bovine, particolarmente nelle fasi iniziali
della lattazione, inducono ad aumentare la concentrazione energetica della
razione con l’impiego di quantità crescenti di mangimi. Tuttavia, l’eccesso di
concentrati è fonte di turbe digestive e metaboliche (acidosi ruminale,
assorbimento di sostanze tossiche, ecc…) ed è causa, altresì, di alterazione
della composizione e delle caratteristiche casearie del latte. Pertanto, in ogni
fase della lattazione, la sostanza secca dei mangimi nel loro complesso non
deve superare quella globalmente apportata dai foraggi (rapporto
foraggi/mangimi non inferiore a 1). Il soddisfacimento delle crescenti
esigenze nutritive delle bovine ad alta produzione deve pertanto essere
raggiunto migliorando la qualità dei foraggi (dei fieni in particolare), piuttosto
28
che attraverso aumenti, non di rado a rischio, di mangimi generalmente ricchi
di amido e di proteine.
Il “Piatto Unico”
Circa le modalità di preparazione e di somministrazione degli alimenti
mediante la tecnica del “Piatto Unico” ci si deve attenere alle seguenti
prescrizioni:
non è consentita la preparazione del carro con foraggi verdi, nemmeno nel
caso in cui s’impieghi il trinciato fresco di mais. Se si utilizzano foraggi
verdi, questi vanno somministrati a parte;
il “Piatto Unico” deve essere preparato all’interno dell’azienda che lo
utilizza;
la preparazione del “Piatto Unico” non può avere luogo all’interno della
stalla o nei pressi della sala di mungitura o del locale di raccolta del latte;
se si procede all’umidificazione della massa, la miscelazione deve essere
effettuata almeno due volte al giorno e la distribuzione deve seguire
immediatamente la preparazione;
il carro deve essere dotato di un sistema autonomo di pesatura, provvisto,
preferibilmente, di dispositivi per la registrazione dei dati;
le greppie su cui viene distribuita la miscelata devono essere facilmente
pulibili e lavabili;
nel caso in cui si usino insilati di mais per i vitelloni o per le manze, non
può essere utilizzato lo stesso carro anche per le vacche in lattazione e
nemmeno per quelle in asciutta.
Va posta particolare attenzione alla contaminazione dei foraggi con terra, in
quanto la probabilità che questa sia ingerita dall’animale aumenta con
l’applicazione della tecnica del “Piatto Unico” .In ogni caso, qualora si
somministrino agli animali alimenti ottenuti miscelando i foraggi secchi
29
trinciati in modo grossolano (lunghezza degli steli superiore a 2 cm) con i
mangimi, la loro preparazione deve avvenire esclusivamente all’interno
dell’azienda, al fine di verificare la provenienza e la rispondenza delle materie
prime ed il rispetto del rapporto foraggi/mangimi.
Modalità di distribuzione degli alimenti
Nella scelta degli alimenti che possono essere utilizzati per il razionamento
delle bovine e nell’adozione delle modalità di somministrazione è necessario
tenere in considerazione che dal rispetto dei processi biochimici che
avvengono all’interno del rumine dipendono lo stato di salute dell’animale e
la quantità e la qualità del latte prodotto. Nell’alimentazione delle vacche da
latte è necessario seguire le seguenti indicazioni:
somministrare i vari alimenti più volte nell’arco della giornata, alternando i
foraggi ai mangimi;
distribuire i foraggi freschi ed i fieni prima della somministrazione dei
mangimi. Il fieno può essere lasciato in continuazione a disposizione degli
animali;
somministrare i foraggi freschi immediatamente dopo lo sfalcio, per
evitare che, con l’ammucchiamento, s’inneschino pericolosi processi
fermentativi;
frazionare uniformemente la distribuzione dei mangimi nell’arco delle 24
ore con l’ausilio, se possibile, di automatismi (autoalimentatori);evitare
frequenti cambiamenti di dieta, responsabili di profonde alterazioni del
biochimismo ruminale e, quando necessario, effettuare le variazioni in
modo graduale e preferibilmente nell’arco di una settimana. (22)
30
2.4 Il latte e le sue caratteristiche
Il latte è il prodotto secreto ed elaborato dalla ghiandola mammaria che nella
bovina presenta mediamente le seguenti caratteristiche (tab.3):
Tabella 3. Composizione del latte vaccino
Classe % media nel latte Costituenti (% di ogni classe)
Acqua 87,1 (85-90)
Lipidi 3.8 (3,5-5,5) Grassi veri (trigliceridi) 95-96
di e monogliceridi 1,452
Fosfolipidi (lecitine, cefaline
e sfingomieline) 0,6-0,8
Steroli 0,3
Proteine 3,31 (3-5) % N totale
Caseine (a, b, k) 76-86
Siero proteine 18
-lattoglobulina 8
-lattoalbumina 4
proteoso-peptoni 3,5
immunoglobuline 1,6
siero albumine 0,9
Azoto non proteico 6
Lattosio 5,06 (4,5-5) Glucosio 7mg/100 l
Galattosio 2mg/100 l
Nel latte inoltre vi sono :
Pigmenti:
Carotene e carotenoidi, xantofille e riboflavine
31
Vitamine:
Liposolubili
Vitamina A e carotenoidi
Vitamina D (colecalciferolo e ergocalciferolo)
Vitamina E (a-tocoferolo)
Vitamina K
Idrosolubili
Vitamina C (acido L-ascorbico e deidroascorbico)
Vitamine del gruppo B
Tiamina BB1B
Riboflvina BB2B
Niacina o acido nicotinico
Acido pantotenico
Piridossina BB6B
Vitamina BB12
Biotina
Inositolo
Colina
Acido para-ammino-benzoico
Folocina
Enzimi:
aldolasi, amilasi, lipasi, esterasi (A, B e C), catalasi per ossidasi
(lattoperossidasi), Proteasi, fosfatasi alcalina, fosfatasi acida (riduttasi),
xantinossidasi, ribonucleasi, lisozima, anidrasi carbonica, salolasi,
rodonasi,lattasi
Vari:
Gas: COB2B, NB2 B e OB2B
Urea, creatina, creatinina, acido urico, ammoniaca
Costituenti cellulari:
32
frammenti delle cellule di secrezione, materiale nucleare, leucociti
batteri.
Aromi: vari in funzione del tipo di alimentazione
I principali componenti del latte sono presenti in tre differenti stati fisici:
1. fase di emulsione
2. fase di sospensione colloidale
3. fase di soluzione vera e propria.
Le fasi si differenziano in base all’omogeneità e alle dimensioni delle
particelle che le costituiscono: le particelle in soluzione hanno diametri
inferiori a 10 mm, quelle in sospensione colloidale hanno diametri compresi
tra 10 mm e alcune centinaia di mm e le particelle in emulsione hanno
diametri di 0.2-20 mm.
1) Fase di emulsione: è la fase in cui si trova il grasso. Esso si trova in forma
di globuli di 0,5-10 mm di diametro.
2) Fase di sospensione colloidale: è la fase caratteristica della principale
proteina del latte: la caseina. Essa è presente in forma di micelle costituite da
subunità di dimensioni minori. Il diametro delle micelle caseiniche è di 100-
300 mm mentre quello delle subunità è di 5-10 mm.
3) Fase di soluzione vera e propria: in questa fase si trovano i sali, gli
zuccheri, le proteine a basso peso molecolare. Le particelle hanno un diametro
inferiore a 10 mm.
Più propriamente si può dire che il latte è un’emulsione di sostanze grasse in
un plasma latteo, che a sua volta è una dispersione colloidale di proteine
(caseine) in una soluzione vera e propria (siero) di altre proteine, sali,
zuccheri, vitamine ed enzimi in acqua. Le tre fasi sono instabili e tendono a
separarsi e ciò si può dimostrare facilmente lasciando riposare il latte per un
po’ di tempo. Infatti dopo alcune ore si separa la fase in emulsione e si ha
l’affioramento del grasso che ha un peso specifico minore; il liquido
33
sottostante impoverito del grasso è inizialmente allo stato di sol. Con il
passare del tempo si verifica un passaggio dallo stato di sol a quello di gel a
causa delle interazioni tra le particelle proteiche di caseina. In un primo
momento il gel occupa tutto il volume precedentemente occupato dal sol, poi
per azioni enzimatiche e chimiche il gel si contrae e si deposita sul fondo del
recipiente separandosi dal siero. Se il latte è sterile il passaggio da sol a gel e
da gel a coagulo contratto non avviene per la mancanza di enzimi attivi e di
microrganismi. Per quanto riguarda il numero delle diverse particelle, vi sono
per ogni ml di latte:
-10P
10P globuli di grasso;
-10P
4P micelle caseiniche;
-10P
17P siero proteine.
L’estensione della superficie di queste particelle è notevole e ne determina la
loro elevata reattività. Il volume occupato dalle micelle caseiniche rappresenta
il 16% del totale, che è un valore alto in rapporto al loro peso (2,8%). Questo
significa che le micelle caseiniche sono molto idratate e sono molto vicine tra
di loro: la loro distanza grosso modo è pari al loro diametro. Le micelle
possono interagire in seguito a modificazioni enzimatiche e dare un gel che
occupa tutto il volume del latte. Se la quantità delle micelle fosse minore,
l’interazione non sarebbe possibile, oppure si avrebbe un coagulo molle ed
inconsistente o al limite si avrebbe una flocculazione. Quanto più il coagulo è
consistente (ciò dipende in gran parte dalla percentuale di caseina nel latte),
tanto più alta sarà la resa in formaggio, la sua qualità e la facilità della sua
lavorazione. Al contrario, quanto minore è il volume occupato dalle micelle
presenti, tanto maggiore sarà la distanza tra di loro e di conseguenza minore
l’interazione e la facilità di formazione dei gel.
Il latte è di colore bianco a causa della presenza della caseina, le cui micelle,
grazie al loro diametro, riflettono la luce. Nel burro è presente il b-carotene e
la provitamina A, che impartisce il colore giallo al grasso del latte; in caso di
34
carenza di carotenoidi nel foraggio (alimentazione invernale) il grasso è più
bianco, e di conseguenza è più bianco anche il burro ottenuto da latte
invernale. Il latte scremato è di colore più chiaro (bianco-azzurrognolo); il
siero ha un colore tendente al giallo-verde a causa della presenza di
riboflavina, vitamina BB2B idrosolubile. La composizione chimica del latte può
variare a causa di fattori endogeni o esogeni all’animale e sono ricollegabili a
fattori genetici (specie, razza, individuo) e a fattori fisiologici (salute, n.
lattazione,momento della lattazione) i primi; a fattori ambientali
(alimentazione, clima, tecniche di allevamento) i secondi. (5), (9)
Fattori endogeni di tipo genetico
Oltre che per le prestazioni riproduttive e sanitarie (in senso lato) e nondimeno
per la quantità di latte prodotto, il patrimonio etnico e individuale (tab.4) delle
bovine da latte interessa i seguenti parametri:
% di proteine del latte;
% di grasso del latte;
quantità di proteina (kg di proteina/lattazione);
quantità di grasso (kg di grasso/lattazione).
Il grasso è il componente del latte che presenta la maggiore variabilità a
seconda di razza e individuo: il tenore lipidico nel latte di razze bovine diverse
varia dal 3,5 al 5,7 %; anche la variabilità individuale è elevata (deviazione
standard da 0,54 a 0,80). Il contenuto in proteine varia nelle diverse razze da
3,1 % a 3,9 %, ma diminuiscono gli scostamenti dalla media che vanno da
0,34 a 0,53. I componenti che variano di meno per fattori genetici sono il
lattosio ed i sali minerali. (5), (7)
35
Tabella 4. Composizione media del latte di alcune razze bovine
Razza Acqua
%
Residuo secco
%
Grasso
%
Lattosio
%
Proteine
%
Caseine
%
Bruna alpina 87.25 12.75 3,90 5,15 3,45 2,57
Frisona 87,50 12,50 3,58 4,80 3,25 2,49
Jersey 85,85 14,15 5,64 4,70 4,08 2,86
Simmenthal 86.69 13.16 3,89 5,00 3,37 2,63 *
Reggiana 87,24 12,76 3,55 4,94 3,37 2,61
Bianca Val
padana
3,34 3,40 2,58
* Il contenuto di caseina del latte della razza Simmenthal è quello teorico ricavato sapendo che la caseina
è il 78% circa della proteina totale.
Il patrimonio genetico di ciascun individuo inoltre si esprime in termini di
produzione lattea più o meno elevata mediante gli ormoni. Infatti:
le lattifere che portano un feto ad elevata potenzialità lattifera ricevono
dalla placenta più ormoni necessari allo sviluppo ghiandolare e quindi
producono più latte (Eley e coll. 1981);
oltre alla prolattina, l’aumento del GH (ormone dell’accrescimento)
innalza sensibilmente la produzione di latte (Bines e Hart. 1982);
l’insulina si riduce nel sangue dopo il parto ed una sua somministrazione
esogena causa un calo produttivo (Bertoni e coll. 1986);
gli ormoni tiroidei se vengono aumentati con interventi esterni causano un
calo produttivo (Giuseppe Bertoni, da dati non pubbl.).(6)
Fattori endogeni di tipo fisiologico
Nel corso della lattazione si verificano dei cambiamenti nella composizione
chimica del latte: nei primi giorni dopo il parto viene emesso un latte, il
colostro, che presenta una composizione chimica particolare, adatta a
soddisfare, le esigenze del vitello. La composizione standard del latte viene
raggiunta circa una settimana dal parto. Nelle prime ore dopo il parto il
36
contenuto di proteine è elevatissimo (17,57%) ed è dovuto soprattutto alle
sieroproteine che forniscono al neonato i fattori immunitari
(immunoglobuline). In seguito il contenuto in proteine diminuisce. Nel
colostro si hanno anche un maggior contenuto di grassi e di sali minerali e un
minor contenuto di lattosio rispetto al latte normale. Anche nei mesi
successivi della lattazione si ha un’evoluzione diversa del contenuto di
lattosio, grassi e sostanze azotate. Il contenuto di lattosio è correlato alla
produzione giornaliera di latte:
aumenta e raggiunge un massimo verso il 45° giorno, per diminuire poi
lentamente ed in seguito più rapidamente verso la fine della lattazione.
Al contrario, grasso e proteine diminuiscono molto fino ad un minimo
intorno al 45° giorno e poi aumentano andando verso il periodo di asciutta.
Stesso comportamento si registra per l’acidità, l’attitudine alla
coagulazione e la fermetescibilità del latte (buoni ad inizio lattazione, tali
parametri peggiorano fino circa ai tre mesi dopo il parto e solo
successivamente, gradualmente, recuperano).
Nel corso della lattazione le variazioni che si possono registrare sono anche di
ordine quantitativo. La massima produzione di latte viene raggiunta a 30-35
giorni dal parto; ad essa segue una fase costante di circa due mesi dopo i quali
la produzione diminuisce circa del 10% ogni mese; circa 60 gg prima del
nuovo parto la vacca viene messa in asciutta attuando particolari tecniche che
inibiscono la secrezione lattea, per favorire la ricostituzione delle riserve
corporee in vista del parto e del primo periodo di grossa produzione.
L’età dell’animale esercita il suo effetto tanto sulla quantità prodotta (è
maggiore nei parti successivi al 1°) quanto sui tenori di grasso e proteine
(calanti a partire dal 2°-3° parto).
Anche lo stato di salute influenza la produzione di latte sia per quantità che
per qualità. Alcuni componenti del latte vengono elaborati dalla mammella a
partire da sostanze contenute nel sangue (prodotti di sintesi: grasso, caseina,
37
lattosio e alcune sieroproteine), altri passano direttamente dal sangue al latte
(prodotti di filtrazione: altre sieroproteine e cloruri). La forma patologica più
grave che interessa la mammella, e di conseguenza la produzione di latte, è la
mastite. Tale malattia, dovuta a stafilococchi o streptococchi, provoca una
diminuzione della capacità di sintesi da parte della ghiandola mammaria: ciò
fa sì che la composizione del latte mastitico si avvicini a quella del sangue ,
verificandosi una diminuzione dei prodotti di sintesi ed un aumento di quelli
di filtrazione. (5), (7)
Fattori esogeni
L’esempio più lampante dell’importanza del fattore umano è dato dalla
costituzione dei Disciplinari del Consorzio del Parmigiano-Reggiano che
garantiscono la sanità e la genuinità del latte e quindi del formaggio.
L’alimentazione svolge un ruolo di primaria importanza tra i fattori ambientali
tanto sotto l’aspetto quantitativo quanto sotto quello qualitativo e nella
modalità di distribuzione.
Per ciò che attiene il contenuto in grasso è ben noto che i principali precursori
dei lipidi del latte (acido acetico e acido butirrico) vengono prodotti a livello
ruminale ad opera della micropopolazione ivi ospitata e che la loro quantità ed
i rapporti tra acidi grassi volatili che si producono dipendono in larga misura
dal tipo di razionamento. Se infatti si abbassa il rapporto foraggi/concentrati si
riduce la quantità di grasso.
C’è inoltre da tenere in considerazione la composizione e la forma fisica della
razione:
1. grasso. tenore in fibra grezza ( se 16% diminuisce il tenore in grasso)
2. tenore in NDF (se 28% il tenore in grasso diminuisce)
38
3. una trinciatura troppo corta ( 4 mm) comporta diminuzione in grasso
(diminuisce il tempo di masticazione e la salivazione influendo sulle
fermentazioni che vengono sfavorite)
4. impiego di cerali fioccati di fibra grossolana aumentano il grasso
5. tecnica UNIFEED aumenta il grasso
6. la somministrazione frazionata dei concentrati aumenta il grasso
7. amidi e zuccheri facilmente fermentescibili diminuiscono il contenuto in
grasso (si ha aumento di acido propionico e lattico con conseguente
abbassamento del pH e quindi deperimento dei batteri cellulosolitici)
8. un eccesso di foraggi verdi diminuisce il grasso
9. la presenza di proteine ad elevata degradabilità diminuisce il contenuto in
grasso.
La sintesi delle proteine del latte avviene principalmente a livello della
mammella (solo il 3% circa, in condizioni normali, proviene direttamente dal
sangue) e richiede le disponibilità, in questa sede, di energia e aminoacidi. Ciò
premesso, è necessario specificare che i margini d’incremento del tenore
proteico del latte a mezzo dell’alimentazione sono molto più ridotti di quelli
del grasso. Ciononostante qualche risultato si può ottenere.
Innanzitutto occorre garantire la buona funzionalità del rumine e quindi
consentire il massimo sviluppo della flora simbionte. Quindi, pur nel rispetto
di opportuni equilibri, è proficuo “estremizzare” il livello energetico della
razione, soprattutto a mezzo di carboidrati fermentescibili.
Senza risultato sul tasso proteico del latte è l’aumento del tenore proteico della
dieta. Esso deve essere comunque elevato (senza eccessi) perché favorisce
l’ingestione di sostanza secca e quindi di energia con positivi risultati. Ottimo
indicatore della correttezza della nutrizione azotata della vacca è il tasso di
urea del latte.
39
Per concludere il discorso sull’effetto del fattore alimentazione, è importante
sottolineare come si possa equilibrare i componenti del latte con un adeguato
razionamento che tenga conto dei reali fabbisogni dell’animale. I fabbisogni
di una bovina possono essere determinati con le seguenti formule:
FABBISOGNO ENERGETICO
Mantenimento UFL = 0,8 X ql di peso vivo
Produzione UFL = 0,44 X kg di latte
FABBISOGNO PROTEICO
Mantenimento PD = 60 g X ql di peso vivo
Produzione PD = 50 g X kg di latte
Un altro fattore da tenere in considerazione per la sua influenza sulle
caratteristiche del latte è il clima. La temperatura della stalla influenza molto
la produzione di latte, che presenta un optimum intorno ai 10°C: oltre i 27°C
la produzione diminuisce fino a ridursi a un quinto di quella massima quando
la temperatura supera i 40°C. Il caldo-umido determina il calo di grasso e
proteine riducendo anche l’acidità titolabile; le giornate ventose generalmente
inducono questi stessi effetti.
Il fotoperiodo naturale e l’illuminazione non sembrano modificare, nella
sostanza, il contenuto di proteine,il grasso però può diminuire con l’aumento
delle ore di luce.
I tipi di allevamento possono essere a stabulazione libera oppure fissa. Il latte
prodotto in stalle chiuse e senza luce ha una minore attitudine alla
caseificazione, perché in assenza di luce non viene sintetizzata la vitamina D
che, essendo calcio-fissatrice, aumenta il tenore di calcio nel latte. Si ritiene
quindi sia migliore la stabulazione libera, all’aperto, che favorisce un aumento
della quantità di latte prodotto, grazie alla ginnastica funzionale.
40
Tutti questi fattori (compreso lo stato di salute dell’animale), influiscono sulla
secrezione di ormoni (e sulla loro efficacia periferica dovuta ai recettori) i
quali a loro volta controllano, oltre a molte funzioni vitali, la ripartizione delle
sostanze nutritive fra le diverse funzioni e l’eiezione lattea. (5), (7), (8)
Principali costituenti del latte vaccino
Zuccheri
Gli zuccheri nel latte sono presenti come monosaccaridi o disaccaridi, con
peso molecolare variabile tra 170 e 350 (nel caso dei disaccaridi, CB12BHB22BOB11B).
Alcuni fra gli zuccheri del latte sono legati a sostanze ad alto peso molecolare
(le proteine, principalmente la K-caseina). Essi costituiscono l’1% della
caseina e lo 0.03% in peso del latte. Il lattosio, zucchero tipico del latte,
chimicamente è un disaccaride costituito da glucosio e galattosio. Esso è
responsabile del sapore dolce del latte, sebbene il suo potere dolcificante non
sia molto grande (circa un sesto di quello del saccarosio). La produzione del
latte ha come fattore limitante la sintesi del lattosio: gli individui che
sintetizzano poco lattosio producono anche poco latte. Il lattosio viene
sintetizzato a partire dal glucosio presente nel sangue e dal galattosio, che
viene in parte prodotto da una trasformazione del glucosio e in parte
sintetizzato direttamente. La concentrazione del lattosio nel latte varia dal
4.7% al 4,9%, mentre nel colostro è molto bassa (2,2-3%) e nei latti mastitici
può scendere anche sotto al 3% nei casi più gravi. Il lattosio è il principale
substrato delle principali fermentazioni microbiche che avvengono nel latte e
nei formaggi. E’ anche uno dei responsabili delle alterazioni del colore, sapore
e odore che avvengono nel latte durante i processi di risanamento
41
(specialmente a seguito di sterilizzazione): infatti il latte pastorizzato è bianco,
mentre il latte a lunga conservazione è di colore più giallino.(5), (9)
Lipidi
I lipidi sono tra i maggiori costituenti del latte ed acquistano un elevato pregio
commerciale con la trasformazione in burro. Il grasso è presente nel latte sotto
forma di emulsione in globuli di diametro variabile: il 20% dei globuli ha un
diametro di 2-8 m (in media 5 m) e rappresenta in peso il 99% del grasso; il
restante 80% dei globuli rappresenta in peso solo l’1% del grasso e ha un
diametro di 0.5-1 m. Il latte magro (totalmente scremato) è ottenuto
separando i globuli di maggiore diametro: restano comunque quelli con
piccolo diametro che sono numerosi e, anche se il loro peso percentuale è
irrilevante, hanno una superficie complessiva elevata. Il globulo di grasso non
ha una struttura omogenea, ma ha una struttura lamellare concentrica dovuta
alla sovrapposizione di strati di trigliceridi a diverso punto di fusione: quelli
altofondenti si dispongono nella parte esterna del globulo, quelli
bassofondenti all’interno. Il globulo di grasso è inoltre racchiuso da una
membrana, dello spessore di circa 10 nm, che può essere paragonata alle
membrane cellulari. Essa è costituita da una struttura chimica complessa, con
la parte idrofila verso l’esterno e lipofila verso l’interno. La presenza della
membrana nel globulo di grasso implica conseguenze molto importanti:
1. relativa stabilità dell’emulsione plasma latteo-lipidi:
la parte idrofila della membrana instaura legami con la componente
acquosa del latte cosicché i globuli di grasso, malgrado il loro minor peso
specifico, per tempi limitati non affiorano. In altre parole la membrana
funziona da emulsionante come le lecitine nelle sostanze alimentari
confezionate.
2. protezione dalle alterazioni:
42
la membrana, racchiudendo i trigliceridi, li protegge dalle più frequenti
alterazioni: il burro, infatti, irrancidisce più facilmente della panna, perché
durante la zangolatura le membrane dei globuli si disgregano.
3. agglutinazione con altre sostanze:
i fenomeni di agglutinazione non avvengono solo tra globulo e globulo, ma
anche tra globuli e altre sostanze presenti nel plasma latteo, come ad
esempio le micelle caseiniche o le spore di microrganismi (es. spore di
Clostridi butirrici).
4. problemi nella burrificazione della crema:
per burrificare una crema occorre agire meccanicamente in modo da
rompere i globuli.
5. interazioni tra globuli di grasso e micelle caseiniche.
A differenza dell’agglutinazione (che avviene grazie a fenomeni
spontanei), questo tipo d’interazione avviene in seguito a trattamenti a
caldo del latte. Con il trattamento termico le micelle caseiniche subiscono
una parziale denaturazione e interagiscono con le proteine della membrana
del globulo di grasso; le interazioni sono tanto maggiori quanto più
energico è il trattamento termico: legati alle proteine i globuli di grasso
aumentano molto la loro densità, per cui la velocità di affioramento della
crema, che segue la legge di Stokes diminuisce anche drasticamente; è
dunque più difficile scremare un latte pastorizzato che uno crudo.
Dal punto di vista chimico il 98% del grasso presente nel latte è costituito da
trigliceridi, circa, l’1% è costituito da fosfolipidi e la restante parte comprende
sostanze diverse, come gli steroli, tra cui il colesterolo (0,3% del grasso), e le
vitamine liposolubili: la vitamina A, che si trova come il -carotene nel latte
di vacca, e le vitamine E, D e K. Il -carotene dà il colore al grasso del latte;
la quantità di - carotene varia stagionalmente a seconda dell’alimentazione: il
contenuto minimo si ha in inverno, in assenza di alimentazione verde. Per
43
quanto riguarda la composizione in acidi grassi, o composizione acidica, il
grasso del latte è uno dei più complessi, essendo costituito da 150 acidi grassi
diversi, legati chimicamente con la glicerina a formare i trigliceridi. In
maggioranza sono presenti in concentrazioni minori dello 0,01%, ma una
ventina di acidi grassi sono quantitativamente importanti. (5), (9)
Sostanze azotate
Le sostanze azotate presenti nel latte possono essere suddivise in tre porzioni
fondamentali (fig.5 e tab.5):
a) caseine
b) proteine solubili del siero
c) sostanze azotate non proteiche
Le proteine del latte costituite comunemente da 18 aminoacidi, sono per
l’80% costituite da caseine. Le caseine , e possono formare aggregati per
azione degli ioni calcio, mentre la K-caseina agisce come colloido-protettore
impedendo alle micelle di aggregarsi. La rennina, labfermento o caglio scinde
dalla K-caseina un peptide ricco di acido sialico e pertanto crea le condizioni
per la formazione del coagulo. L’azione della rennina viene bloccata dalla -
lattoalbumina denaturata.
Il latte con maggior quantità di K-caseina e quindi con micelle più piccole, ha
la caratteristica di avere un minor tempo di coagulazione rispetto al latte che
contiene micelle di maggiori dimensioni; di conseguenza la K-caseina
migliora le proprietà casearie del latte. La K-caseina presenta due varianti
genetiche A e B ed il “latte K-caseina B” determina una migliore attitudine
alla formazione del coagulo.
A questo punto le caratteristiche del coagulo della Bruna e della Reggiana
risultano migliori rispetto a quelle della Frisona. Non tutti i protidi presenti nel
latte sono frutto di sintesi mammaria. In condizioni normali circa il 3%
44
proviene tal quale dal sangue, ma durante il periodo colostrale questa
percentuale aumenta notevolmente così come in caso di processi infiammatori
della mammella.
Sostanze azotate
K
caseina* (77%)
minori
proteina vera (94%)
lattoalb.
Proteine (100%) sieroproteine (17%) lattoglob.
siero-alb.
azoto non proteico (6%) immunoglob.
*caseina + = massa cagliata KBAB: coagulo lento
minor velocità di rassodamento
minore consistenza della cagliata
caseina K = sensibilità alla cagliata
KBBB: coagulo veloce
maggiore velocità di rassodamento
maggiore velocità di cagliata
Figura 4. Schema delle principali sostanze azotate presenti nel latte
Anche l’urea deriva direttamente dal sangue e le sue concentrazioni nel latte
non dovrebbero superare i 25-30 mg per 100 g (tab.5). La quantità di urea nel
latte può costituire un interessante mezzo per stimare alcuni aspetti alimentari
e nutrizionali della bovina. Infatti essa tenderà ad aumentare in caso di
eccessive concentrazioni delle sostanze azotate nella dieta.
45
Tabella 5 . Distribuzione delle principali sostanze azotate nel latte vaccino
(5)
g/l proporzioni percentuale
medie
Protidi totali 32 100
1 PROTEINE
A- UCASEINA ISOELETU. 25 78
a. caseina Bs1 B9,0 36
b. caseina Bs2 B2,5 10
c. caseina 8,5 34
d. caseina K 3,2 13
e. caseina 1, 2, 3 1,75 7
B- USIEROPROTEINEU 5,4 17
B 1 albumine
a- -lattoalbumina 2,7 50
b- -lattoglobulina 1,2 22
c- albumina del siero 0,25 5
B 2 immunoglobuline 0,65 12
B 3 proteoso-peptoni 0,6 10
2 SOSTANZE AZOTATE
NON PROTEICHE 1,6 5
Il contenuto in proteina ed in caseina è determinato da fattori genetici ed
ambientali e ad essi può essere fatto risalire uno dei parametri essenziali nel
definire l’attitudine casearia del latte, strettamente connessa al tipo di reologia
della cagliata presamica da cui dipende in gran parte la riuscita del formaggio,
specie di quelli a pasta dura e semidura. Soprattutto la costanza di questa
attitudine è di fondamentale importanza per la standardizzazione del prodotto.
Inoltre la conoscenza tempestiva di questo parametro permette di intervenire
46
con modifiche nella tecnologia tali da ricondurre i tempi di coagulazione ma
soprattutto la forza del coagulo nel range della normalità.
I cambiamenti di reologia del coagulo avvengono oltre che per fattori genetici
anche per cambi di alimentazione, di stagione ed anche di ora di mungitura
(tab.6); sono infatti diversi perfino i latti della sera rispetto a quelli del
mattino. (5), (24)
Tabella 6. Fattori che influenzano le proprietà del latte (23)
FATTORI CHE INFLUENZANO LE PROPRIETA’ CASEARIE DEL LATTE
Aumento dell’acidità (iperacidità)
Alimentazione:
- carenza di calcio e di vitamina D;
- eccesso di principi alimentari facilmente fermentescibili.
Riduzione dell’acidità (ipoacidità)
Gestione dell’allevamento:
- elevata quota di vacche pluripare;
- elevata quota di vacche nella seconda fase della lattazione.
Ambiente:
- temperature elevate.
Alimentazione:
- carenza di proteine;
- carenza di energia;
- carenza di fosforo.
Modifiche nella struttura della micella caseinica e nell’equilibrio salino fanno
cambiare sensibilmente anche l’acidità del latte e di conseguenza la sua
capacità a reagire all’enzima coagulante. Si incontrano frequentemente latti
ipoacidi, dalla lenta coagulazione e scarsa forza di eliminazione del siero, e
latti con acidità eccessive e valori di pH pure anomali. In entrambi i casi
47
comunque ci si deve garantire che l’irregolarità non sia da attribuire a
sviluppo di microflore varie, acidificanti od alcalinizzanti.
Si può ricordare che anomalie nel contenuto proteico del latte si sono
riscontrate in allevamenti di ogni regione italiana e come esempio si può citare
il confronto fra area Padana ed Emiliana di produzione del Grana: in entrambe
si allevano bovine Frisone alte produttrici, nella prima zona ad alimentazione
senza vincoli particolari, nella seconda dove l’insilato è escluso; qualora
l’alimentazione sia stata impostata inseguendo un’alta produttività, senza il
rispetto di alcuni equilibri (per esempio il rapporto Ca/P) o di un corretto
apporto energetico o proteico, si sono manifestate irregolarità nell’attitudine
alla coagulazione.
UFrazioni della caseina
BsB: “s” indica che questa frazione è “sensibile” alla presenza del CaP
++P(ionico),
con cui forma grossi aggregati, perciò la frazione BsB, in presenza di CaP
++P
diventa insolubile in un ampio intervallo di temperatura e precipita come sale
di calcio.
: è fortemente idrofobica (cioè non è affine con l’acqua) ed è insolubile in
presenza di CaP
++P a temperatura ambiente (20°C), mentre è solubile a
temperatura di frigorifero (quindi non floccula a temperature inferiori a 10°C).
Le frazioni BsB e sono molto ricche di fosforo.
K: è una glicoproteina che si considera costituita da due parti, la para-K-
caseina (parte insolubile che, dopo l’aggiunta del caglio, resta unita alle altre
frazioni caseiniche) e il glicomacropeptide, detto anche caseinoglicopeptide
(contiene il 75% degli zuccheri legati alla caseina e molti amminoacidi con
gruppi idrofili). La frazione K costituisce il substrato specifico nella
coagulazione presamica. La frazione K è solubile, in presenza di CaP
++P, in un
ampio intervallo di temperature, anche se nella composizione amminoacidica
48
prevalgono i gruppi idrofobi: la frazione K è idrofila in quanto gli zuccheri
sono disposti nella parte esterna e quindi questa frazione funge da colloide
protettore dell’intera caseina, consentendone la dispersione in acqua.
: sembra che le frazioni -caseiniche siano frammenti terminali della caseina
che probabilmente vengono separati da enzimi specifici già nella ghiandola
mammaria.
Per la trasformazione del latte in formaggio è importante il contenuto di
caseina. I latti con basso tenore di caseina danno rese in formaggio minori e
coaguli meno consistenti che incidono anche sulla qualità del formaggio:
infatti nel passaggio da sol a gel la minor concentrazione di micelle, che sono
quindi più distanti,dà luogo ad un numero minore di interazioni e quindi ad un
coagulo meno consistente, che ingloba meno grasso e siero.
Tutte le frazioni caseiniche possono presentare delle “varianti genetiche”, cioè
delle piccolissime differenze nella sequenza degli amminoacidi, che
influiscono in maniera determinante sul processo di caseificazione a seconda
del tipo. Si tratterà più approfonditamente di questo aspetto nel capitolo
successivo.(5), (9)
USieroproteine U(fig.4)
Il latte contiene lo 0,6% di sieroproteine e queste rappresentano circa il 20%
delle proteine totali del latte. Le sieroproteine hanno un peso molecolare
compreso tra 15000 e 150000, molto minore rispetto a quello della caseina:
per questo sono in soluzione e non precipitano per acidificazione. Le
sieroproteine al contrario della caseina che ha struttura lassa, hanno una
struttura compatta. Le sieroproteine vengono così classificate (tab.7). L’ -
lattoalbumina e la -lattoglobulina sono proteine di sintesi, cioè prodotte dalla
49
ghiandola mammaria; l’albumina del siero del sangue e le globuline sono
proteine di filtrazione, cioè provenienti dal sangue.
Tabella 7. Classificazione delle sieroproteine
PM %
Albumine (75%) -lattoalbumina 14000 22
-lattoglobulina 18000 48
albumina del siero di sangue 70000 5
Globuline (15%) euglobine 150000 7,5
Pseudoglobuline 150000 7,5
Le immunoglobuline hanno la funzione di attivatori di anticorpi: vengono
trasmesse di madre in figlio, con il primo latte (nel colostro il rapporto
albumine/globuline è spostato a favore delle globulina). Caratteristiche delle
sieroproteine:
1 non contengono fosforo e calcio a differenza della caseina;
2 non formano aggregati proteici;
3 sono oloproteine, ad eccezione delle immunoglobuline che sono
glicoproteine;
4 sono più ricche, rispetto alla caseina, di amminoacidi contenenti zolfo:
hanno quindi un valore nutritivo superiore a quello della caseina. Da
questi amminoacidi dipende anche l’instabilità delle sieroproteine al
riscaldamento;
5 non precipitano per azione enzimatica;
6 coagulano per riscaldamento
Con il riscaldamento le sieroproteine si destabilizzano e possono interagire; se
gli aggregati che si formano raggiungono dimensioni sufficienti si ha la
flocculazione. Ovviamente le dimensioni iniziali delle particelle influiscono
50
sulla velocità del processo per cui in un siero sottoposto a riscaldamento
precipitano prima le globuline, poi l’albumina del siero del sangue, poi la -
lattoglobulina e per ultima la -lattoalbumina.
Con il riscaldamento del latte inoltre le sieroproteine possono legarsi con la
frazione K-caseina, se al riscaldamento segue l’acidificazione a pH 4,6
l’aggregato precipita formando il coprecipitato. Questa interazione ostacola
l’azione del caglio sulla K-caseina ed è uno dei motivi per cui i latti sottoposti
a riscaldamento coagulano meno bene dei latti crudi: un latte sterile, che ha
subito perciò un drastico trattamento termico non coagula affatto. (5), (9)
Sali minerali
I sali minerali costituiscono circa lo 0,9-1% del latte vaccino. Il potassio è
l’elemento presente in quantità maggiore (0,16%); seguono il calcio (0,12%) e
il fosforo (0,11%).
Questi tre elementi sono presenti nel latte in varie forme: solubile, colloidale e
ionica. Il potassio si trova per più del 90% in forma solubile e circa un terzo di
calcio e fosforo sono in forma solubile. I principali composti salini del latte
sono presenti alle seguenti concentrazioni:
calcio = 1,30 g/l
fosforo = 1,00 g/l
sodio = 0,50 g/l
potassio = 1,60 g/l
cloro = 1,10 g/l
magnesio = 0,14 g/l
acido citrico e citrati = 1,80 g/l
Gli elementi che prendono parte alla costituzione delle micelle caseiniche
sono: calcio, fosforo, citrati e magnesio. Le forme ioniche solubili e colloidali
51
di calcio e fosforo sono tra loro in equilibrio. Il rapporto tra le diverse forme
varia in funzione del pH, della temperatura e della concentrazione. (9)
Indici chimico-fisici
Gli indici chimico-fisici (5) sono parametri analitici che permettono di rilevare
rapidamente in laboratorio le caratteristiche qualitative per valutare se:
è un latte patologico;
ha subito alterazioni successive alla mungitura;
ha subito sofisticazioni;
è idoneo al consumo diretto o alla trasformazione industriale.
Gli indici chimico-fisici si possono dividere in tre grandi gruppi.
U1) Indici che dipendono dall’insieme delle sostanze presenti nel latte:
- densità 1,030-1,033, g/l a 20°C;
- acidità 6-8° SH/100 ml;
- viscosità 2,2 centipoise a 20°C(1)
- calore specifico 0,94 cal/g°C (da 14,5°C a 15,5°C);
- tensione superficiale 47-53 dine/cm a 15°C.
2) UIndici che dipendono solo dalle sostanze in soluzione:U
- indice di rifrazione 1,35;
- punto di congelamento –0,55°C;
- punto di ebollizione 100,15-100,17°C.
3) UIndici che dipendono dagli ioni presenti o da altre sostanze:
- pH 6,5-6,7;
- conducibilità elettrica 40 10P
4P mho a 25°C;
- potenziale di ossido-riduzione +0,20-0,30 volt.
52
pH
Il latte di vacca ha una reazione debolmente acida dovuta principalmente alla
presenza della caseina (proteina acida) e degli anioni degli acidi fosforico e
citrico. I valori dei pH di un latte normale varia da 6,5 a 6,7 secondo il periodo
di lattazione e di alimentazione. In particolare se il pH è minore di 6,5 si tratta
di un latte acidificato oppure di un latte di un latte colostrale (pH 6,5-6,4). Se
invece il pH è maggiore di 6,7 si è in presenza di un latte mastitico (pH 6,9-
7,0) oppure di un latte di fine lattazione.
In entrambi i casi si osserva un aumento delle proteine di filtrazione e una
diminuzione della caseina che determina appunto l’innalzamento del pH. Il
pH rappresenta l’acidità attuale del latte: da essa dipendono importanti
proprietà come la stabilità della caseina. (5)
Acidità
Per acidità del latte s’intende l’acidità di titolazione, cioè i millilitri di una
soluzione alcalina a titolo noto necessari per portare il pH di una certa quantità
di latte al pH di viraggio di un indicatore. Per il latte si usa la fenolftaleina,
che vira dall’incolore al rosa verso pH 8,4. Per mezzo della misura dell’acidità
di titolazione del latte si può avere un’idea della quantità di funzioni che si
dissociano tra il pH normale del latte (6,5-6,7) e il punto di viraggio
dell’indicatore (pH 8,4). L’acidità naturale del latte appena munto, o
comunque non alterato,è dovuta a sostanze diverse:
1 in piccola parte ad acidi organici (principalmente citrati);
2 per i 2/5 a sostanze minerali (fosfati, acido carbonico);
3 per i 2/5 dalla caseina;
4 in parte alla terza funzione dell’acido fosforico nelle reazioni di
over-run.
53
L’acidità è una misura indiretta del contenuto in caseina e fosfati del latte
fresco: per titolare un latte non acidificato occorrono tanti più alcali, quanto
più il latte è ricco in caseina e fosfati. L’acidità di sviluppo è dovuta all’acido
lattico e agli altri acidi provenienti dalla degradazione microbica del lattosio,
ed eventualmente dei lipidi, nel latte in via di alterazione.(5), (9)
La sintesi del latte
La mammella sintetizza gran parte o tutti i componenti organici del latte
partendo da loro precursori presenti nel sangue:
glucosio per il lattosio;
amminoacidi per le proteine;
trigliceridi, acidi acetico e -ossi-butirrico per i grassi.
Non vengono riportati i minerali, ma è chiaro che anche per essi la cellula
mammaria attinge al sangue (pur senza svolgere alcuna attività di sintesi se
non per la fosforilazione delle caseine). E’ evidente che, a parità di capacità
sintetiche delle cellule integre (in buona parte regolate geneticamente ma
comunque sotto controllo ormonale) la quantità prodotta di ciascun
componente dipenderà da quattro fattori:
1 la concentrazione nel sangue dei principi nutritivi da cui la mammella
parte per la sintesi del latte;
2 la quantità di sangue che passa nella mammella;
3 la capacità delle cellule mammarie di appropriarsi delle sostanze contenute
nel sangue;
4 l’entità delle “forze” contrastanti la sintesi, specie la pressione
intramammaria che riduce la circolazione sanguigna e le attività cellulari.
C’è un meccanismo che lega questi fattori e ciò spiega le differenze di
composizione del latte. Nel latte si distinguono:
componenti a concentrazione fissa o quasi (lattosio, K, Na e Cl);
54
componenti a concentrazione variabile (proteine, Ca, P, Mg e acido
citrico);
componenti a concentrazione estremamente variabile (grasso);
componenti che non sono frutto del metabolismo cellulare, ma sono
scambiati “liberamente” col sangue e la cui concentrazione è quindi in
relazione diretta con quella del sangue (es. urea, progesterone ecc.).
Ecco le ragioni del comportamento dei primi tre gruppi:
il lattosio è la sostanza osmoticamente attiva e che quindi richiama acqua
sino ad avere un equilibrio fra “latte” in formazione (nelle vescicole del
Golgi) ed i liquidi cellulari (dunque indirettamente col sangue). Se le altre
componenti osmoticamente attive (K, Na,Cl…) cambiano poco in quanto
la loro immissione nelle stesse vescicole è di tipo passivo, appare evidente
che verrà prodotto tanto più latte quanto più sarà il lattosio sintetizzato e
dunque la sua concentrazione resterà relativamente costante. Da notare
infine che, a livello della secrezione cellulare, le quantità di Na, K e Cl
sono assai poco variabili alla pari del lattosio; tuttavia esiste un
meccanismo extracellulare di variazione: per addizione di Na e Cl
(aumentano) con sottrazione di K (diminuisce), che s’instaura solo in caso
di alterazione nella integrità del tessuto secernente, per cui vi è passaggio
negli spazi intercellulari. E’ così che si spiegano le differenze di
composizione del latte prodotto da ghiandola “infiammata” ed
analogamente si spiegano taluni metodi per individuare il latte mastitico
(pH, conduttività elettrica, tenori di Na e/o Cl ecc…);
le proteine, alcuni minerali in buona misura correlati (Ca, P e Mg
direttamente legati alle molecole proteiche o alle micelle caseiniche per
circa 2/3) e l’acido citrico possono variare nel loro tenore assai più del
lattosio in quanto non condizionano in senso stretto la quantità del latte:
almeno per quanto concerne il richiamo d’acqua. E’ tuttavia ovvio ritenere
55
che fra la produzione di proteine e quella di lattosio esista una relazione;
infatti il lattosio è prodotto da enzimi (es. lattosio-sintetasi) la cui quantità
dipende in generale dalla sintesi proteica;
i lipidi (per la gran parte trigliceridi avvolti da membrane lipoproteiche a
formare i globuli) sono invece sintetizzati ed escreti dalle cellule con
meccanismo ed in luoghi totalmente diversi rispetto ai precedenti.
Nonostante ciò, esiste una relazione con la quantità di lattosio (dunque di
latte), per cui comunemente il loro tenore varia entro limiti non amplissimi
Ciò appare ovvio se si considera che comunque la produzione dei vari
sistemi enzimatici, la disponibilità globale di energia e l’attività generale
delle cellule, interessano la sintesi di tutti i componenti del latte. Per
quanto riguarda i fattori che influenzano il contenuto in grasso valgono le
considerazioni fatte a proposito dei fattori esogeni ed endogeni. Esistono
anche fattori particolari quale il fatto che il grasso, durante la mungitura,
scende in larga misura con l’ultimo latte e se non venisse attuata una
corretta sgocciolatura andrebbe “perso” inoltre si avrebbe una valutazione
inesatta se il latte dell’intera mungitura non fosse ben rimescolato.
Per concludere, in condizioni ottimali la mammella è in grado di produrre
taluni quantitativi di lattosio, grasso e proteine che insieme ai minerali
formano una certa quantità di latte con una ben precisa composizione (tipica
per specie, razza, ceppo ed individuo). In condizioni non ottimali, a seconda
che queste riguardino tutti o solo alcuni componenti si avranno possibilità
diverse tra due estremi fondamentali:
minor produzione di tutti i componenti (meno latte ma con produzione
pressoché invariata);
minor produzione di uno dei componenti da cui: a) se si tratta del lattosio,
avremo calo del latte e relativamente più elevate concentrazioni di grasso
(e talora proteine); b) se si tratta delle proteine o del grasso, si avrà la
56
stessa quantità di latte, ma con minori concentrazioni di questi componenti.
(6)
Coagulazione presamica del latte
Viene detta coagulazione presamica del latte quella ottenuta per via
enzimatica mediante l’utilizzo del caglio o presame o rennina. Questo enzima
è presente naturalmente nella mucosa superficiale dell’abomaso dei vitelli di
un mese: l’abomaso viene essiccato, pellettato e messo a macerare in una
soluzione di NaCl al 15-20%. L’attività primaria del caglio è la rottura del
legame Met-Phe con cui si stacca il glicomacropeptide dalla micella; in un
secondo tempo presenta anche una certa attività proteolitica aspecifica. La
coagulazione presamica avviene schematicamente in tre fasi che in realtà non
sono distinte.
Fase primaria
Essa è caratterizzata dall’azione enzimatica specifica sulla frazione K-caseina.
In essa non avviene nessun cambiamento dello stato fisico del latte, ma solo
destabilizzazione delle micelle che non sono più protette dai gruppi polari del
glicomacropeptide (minor idratazione). Questa fase dipende dall’attività
dell’enzima e può avvenire in condizioni molto ampie di pH (da 5,5 a 7) e di
temperatura (da 4 a 45°C). L’azione del caglio può essere ostacolata, per
esempio, in seguito a un riscaldamento del latte troppo energico: oltre i 70°C
infatti avvengono interazioni tra le sieroproteine e la K-caseina che rendono
difficile il distacco del glicomacropeptide (tab.8).
Fase secondaria
Rappresenta il passaggio di stato della caseina da sol (micelle in sospensione
colloidale) a gel (cagliata semisolida) che occupa tutto il volume inizialmente
57
occupato dal latte. I legami chimici che governano questa fase si possono
formare ad una temperatura maggiore di 15°C, e la concentrazione di calcio
ionico deve essere sufficiente da tener unite le micelle.
In realtà le fasi primaria e secondaria avvengono contemporaneamente, ma il
cambiamento di stato da sol a gel risulta visibile solo quando la fase primaria
è avvenuta praticamente al 100% (tab.8).
Nella produzione dei formaggi è importante la temperatura a cui viene
condotta la coagulazione, al fine di ottenere paste con diversa struttura. Il
caglio ha una temperatura ottimale di azione intorno ai 40°C (temperatura
corporea del vitello).
Tabella 8. Le principali proprietà chimico-fisiche e biochimiche che
influenzano la fase primaria e secondaria della coagulazione presamica
del latte (25)
Formazione coagulo e sineresi Caratteristiche del
latte e del sistema
micellare
Fase
primaria o
enzimatica Sviluppo Consistenza Contrazione
Proporzioni delle
caseine
PH-acidità
Varianti e K-caseina
Dimensione micelle
Ioni calcio
Fosfato colloidale
Concentrazione
caseina
+ + +
+
+ +
+ +
+ + +
+
+ +
+
+ + +
+ +
+
+ +
+
+
+
+ +
+ + +
+ + +
+ +
+
+ + +
+ +
Un formaggio a pasta dura si ottiene con un elevato spurgo di siero, per cui si
utilizza una temperatura di coagulazione subottimale (es. 32°C per il
formaggio Grana): si forma un coagulo a consistenza blanda che viene poi
58
disgregato in piccoli frammenti (struttura granulare); un formaggio a pasta
molle, in cui lo spurgo deve essere poco spinto, si ottiene con un coagulo
consistente, perciò la temperatura di coagulazione utilizzata sarà quella
ottimale (es. 39°C per la Crescenza).
Fase terziaria
Durante questa fase avvengono due fenomeni molto importanti: la contrazione
della cagliata e la proteolisi aspecifica.
a) UContrazione della cagliataU: a mano a mano che aumentano i legami tra le
micelle, queste si avvicinano e avviene l’espulsione del siero dagli spazi
interni (sineresi o spurgo del gel). La sineresi può essere spontanea o indotta:
il processo spontaneo è lentissimo, mentre alcuni fattori possono favorire lo
spurgo della cagliata e vengono utilizzati nella produzione dei formaggi. Essi
sono: acidificazione, riscaldamento e rottura del coagulo.
Acidificazione: la fermentazione lattica che si verifica con l’aggiunta
dell’innesto fa abbassare il pH con conseguente tendenza alla
demineralizzazione della caseina, contrazione della struttura e spurgo
uniforme del siero.
Riscaldamento: aumentano le interazioni idrofobiche che fanno avvicinare
le micelle. I grumi caseosi diventano sempre più consistenti. Per i
formaggi a pasta dura si usano le temperature più alte.
Rottura del coagulo: aumenta la superficie di espulsione del siero. Tanto
più duro deve essere il formaggio, tanto più piccoli dovranno essere i pezzi
di cagliata.
b) UProteolisi aspecifica:U è l’attività del caglio sulle frazioni caseiniche diverse
dalla K. Avviene soprattutto a carico della frazione BsB e porta alla liberazione
di peptidi che influenzano il sapore del formaggio; inoltre influenza anche la
struttura e la consistenza dei formaggi a pasta molle (es. Crescenze più
59
cremose). La proteolisi avviene se si lasciano maturare i formaggi per diverso
tempo a temperature superiori a 1-2°C. Nel Grana dopo 12 mesi di
stagionatura il 30% delle proteine si trova in forma di amminoacidi liberi e
questo ne aumenta la digeribilità e quindi il valore alimentare.(5).
60
2.5 La trasformazione casearia
Nel corso dei secoli “l’arte casearia” ha subito un’evoluzione che è stata frutto
di molteplici cambiamenti dovuti al progresso e ai mutamenti socio-economici
che hanno rivoluzionato la vita dell’uomo. I cambiamenti che interessano il
Parmigiano-Reggiano riguardano:
1) Ule razze bovineU: la selezione e il miglioramento genetico hanno portato
ad avere animali più produttivi sia in termini di latte che di formaggio;
2) Ugli allevamentiU: sono più grandi e arricchiti di strumenti tecnologici che
facilitano il lavoro e favoriscono il benessere (non sempre) animale;
3) Uil latteU: anch’esso è cambiato (non sempre in meglio);
4) Ugli allevatoriU: hanno acquistato professionalità e cercano di sfruttare al
massimo le potenzialità degli animali;
5) Uil mercato;U
6) Ui caseifici, Udove il progresso tecnologico ne ha migliorato e facilitato
gli aspetti tecnico-gestionali.
Nonostante tutto il Parmigiano-Reggiano ha mantenuto intatte le qualità di
tipicità e genuinità originarie che sono garantite dai Disciplinari del CFPR
(Consorzio Formaggio Parmigiano-Reggiano) e dall’attività di controllo della
conformità ai Disciplinari, ai controlli analitici sul prodotto e delle procedure
di espertizzazione del DCQPR (Dipartimento Controllo Qualità del
Parmigiano-Reggiano). Si richiamano brevemente i Disciplinari che
riguardano il caseificio (5), (21), (10):
1. Zona produzione: territori delle province di BO (alla sinistra del fiume
Reno), MN (alla destra del fiume Po), MO, PR, RE;
2. Impiego del latte di due mungiture: sera e mattina;
3. Impiego di latte crudo;
4. Scrematura parziale per affioramento naturale;
61
5. Impiego di vasche rettangolari aperte per l’affioramento e il riposo del
latte;
6. Divieto uso antifermentativi;
7. Impiego di siero innesto naturale autoctono;
8. Impiego di caglio di vitello;
9. Schema del processo tecnologico;
10.Caldaie di lavorazione in rame di forma tronco conica per la
produzione di non più di due forme.
Come si “fa” il Parmigiano-Reggiano
Il latte munto la sera viene posto in vasconi rettangolari da 10-20 q e dotati di
un impianto di raffreddamento per mantenere il latte ad una temperatura
costante (la temperatura è controllata da sonde) compresa tra i 18 e i 23°C. La
parte liquida di questo latte, (che è quindi parzialmente scremato in seguito
all’affioramento) che ha un pH di 6,75, viene messo insieme a quello della
mungitura del mattino in ragione di 50/50 in una caldaia di 10-11 q. Il latte
della mungitura mattutina è intero e ha un pH circa come quello della sera.
Le caldaie in cui vengono messi insieme il latte scremato della sera e quello
della mattina, hanno una forma tronco-conica e sono detti “doppi fondi”
perché costituiti da una parte interna di rame e una esterna d’acciaio tra le
quali c’è un’intercapedine nella quale passa vapore ad alte temperature per
fare avvenire la coagulazione. Per cominciare quindi si rilevano i valori del
pH e della temperatura.
Si aggiunge il siero-innesto: si tratta di una coltura naturale di flora lattica
sviluppata sul siero della lavorazione precedente. E’ una pratica antichissima
che innalza il grado acidimetrico del latte e, per così dire, guida il formaggio
verso una fermentazione appropriata. A questo punto la temperatura del latte
62
si porta da 26,8 a 32,5°CTP
1PT agitandolo lentamente e aggiungendo
contemporaneamente il caglio (abomaso di vitello polverizzato).
La coagulazione si realizza in 10-15 minuti. Il prodotto della coagulazione si
chiama “cagliata” e costituisce la parte più nutritiva del latte addensatasi per
effetto del caglio; il liquido che resta si chiama siero. Si fa la prova
dell’alizarina cioè si preleva un campione di 2 cc di latte e lo si mette in una
provetta con una soluzione idroalcolica di alizarina al 68% e a pH 7,20. Da
questa prova si osserva la flocculazione delle caseine: se è troppo marcata
vuol dire che c’è troppo siero innesto, se invece è scarsa ce ne vuole di più. In
questo modo è stata testata la stabilità delle caseine.
Un minuto dopo la coagulazione si effettua la spinatura,(fig. 6) cioè la rottura
della cagliata con una lunga asta alla cui estremità si hanno dei fili metallici
che formano una sfera, più propriamente questo attrezzo è detto “spino”.
Questa operazione deve avvenire in 2-3 minuti fino ad avere dei granelli
(coaguli) non più grandi di un chicco di frumento e uniformi.
Il coagulo deve essere morbido e la massa caseosa è tenuta in movimento da
un agitatore. Nella caldaia poi viene messo un frangi-flutti per evitare che si
formi il vortice. L’agitatore serve a evitare la precipitazione dei coaguli. Se il
coagulo è troppo tenero si hanno striature troppo accentuate sul piatto (piatto
di metallo usato come un “setaccio”).
In questa fase avviene lo spurgo (o sineresi) cioè i granelli (coaguli) espellono
liquido dall’interno. L’entità dello spurgo si vede dalla schiuma prodotta. Un
buon latte ha molto spurgo. Mescolando il tutto poi si procede alla cottura ad
una temperatura di 44,2-44,4° RéaumurTP
2PT. Più velocemente si muove
l’agitatore più aumenterà lo spurgo. Se i coaguli galleggiano significa che la
temperatura è troppo alta. Si definisce latte con poca forza se porta ad avere
TP
1PT i valori di temperatura e pH riportati sono stati dedotti con gli appositi strumenti in un caseificio dove
sono state osservate direttamente le fasi di lavorazione del Parmigiano-Reggiano
TP
2PT 44,2° Réaumur corrispondono a 55,25°C cioè 1° C corrisponde a 0,8° Réaumur.
63
un coagulo ruvido di scarsa consistenza e di conseguenza nella forma si hanno
microcchiature o strappiTP
3PT.
La fase successiva è la sosta sotto siero durante la quale si aggregano i granuli
i quali, rimanendo sul fondo dai 45 minuti a un’ora, si liberano ulteriormente
del siero in eccesso. Successivamente, con l’aiuto di una pala in legno, la
cagliata viene sollevata e fatta passare in una tela di canapa e poi estratta (fig.
6).
La cagliata viene tagliata in due parti; ciascuna di queste “future forme” viene
messa in uno stampo di legno o di metallo sagomato detto “fascera” e
leggermente pressata per far uscire il siero (fig. 6). Le fascere vengono girate
ogni 2,5 ore e la sera dopo l’ultima girata,si toglie la tela e viene messa una
fascera di plastica con il marchio PARMIGIANO-REGGIANO, data, N°
matricola del caseificio e N° di caldaia. Una volta appiattite, le forme vengono
messe per due giorni in fascere di acciaio per prendere la bombatura poi
vengono immerse in soluzione salina a 25 Bomait di NaCl, a temperatura di
16°C. Rimangono a bagno in soluzione per circa 18 giorni e periodicamente
devono essere girate. Le forme poi vengono messe in camera calda per
l’asciugatura e spigolate (smussate agli angoli). A questo punto vengono
portate nel magazzino dove, una volta poste su scaffalature in legno
massiccio, vengono pulite e voltate con pulitrici automatiche, nei primi tre
mesi, una volta alla settimana, poi una volta ogni 15 giorni. La temperatura
del magazzino è di 16°C in inverno e 18-20°C in estate con umidità pari al 75-
80%. Infine al 12° mese le forme vengono controllate dagli ispettori del CFPR
(Consorzio del formaggio Parmigiano-Reggiano) e se risultano conformi allo
standard e quindi ai parametri qualitativi vengono marchiate a fuoco oppure,
se non conformi, vengono retinate. (10)
TP
3PT Le microcchiature e gli strappi sono rispettivamente cavità e fessurazioni e sono difetti a volte
riscontrabili all’interno delle forme.
64
PROCESSO TECNOLOGICO DI PRODUZIONETP
1PT
Figura 5. Diagramma riassuntivo delle fasi della caseificazione (10)
65
1 2
3
Figura 6: 1 spinatura; 2 estrazione della cagliata; 3 messa in fascera (da
opuscolo pubblicitario del Parmigiano-Reggiano).
66
3- Influenza del tipo di caseina sulla
formazione della cagliata
67
Nel 1954 la razza Reggiana e la Bianca Val Padana contavano nelle rispettive
province ben 92.000 e 120.000 capi, la Frisona invece, fino ad allora
sconosciuta era in forte ascesa. Trommellini e Coll. nello stesso anno fecero
delle prove di caseificazione sul latte di 60 bovine di razza Reggiana e 43 di
razza Frisona lavorato a Parmigiano-Reggiano. I risultati di queste prove con
il latte dei due gruppi messi a confronto dimostrarono la superiorità della
Reggiana. In particolare le differenze di resa in formaggio e in burro per 100
kg di latte lavorato furono rispettivamente di +0,982 kg e di 0,140 kg. Le
maggiori percentuali di grasso (+0,58%), di sostanze proteiche (+0,43%) e di
caseina (+0,35%) tutte a vantaggio delle bovine Reggiane spiegano le
maggiori rese in burro e formaggio ottenuto. Tra il 55’ e il 56’ Semprini e
Coll. presero in considerazione anche il latte di bovine di razza Bianca Val
Padana Bruna Alpina che analogamente alla Reggiana diedero rese in
formaggio nettamente maggiori rispetto alla Frisona. Nella seguente tabella
sono riassunti i risultati di queste prove di caseificazione (11):
Tabella 9. Rese medie in formaggio e in burro nelle razze Reggiana, BVP,
Bruna e Frisona (26)
Rese medie in kg negli
anni 1955-56’Reggiana
BiancaVal
PadanaBruna Frisona
Resa in formaggio 1955P
Resa in burro 1955
Resa in formaggio 1956
Resa in burro 1956
7,583
2,071
7,747
1,866
7,577
1,863
7,735
1,620
7,598
1,564
7,769
1,725
7,054
1,646
7,230
1,599
68
Negli anni 60’ si accentuò il declino di Bianca Val Padana e Reggiana per una
serie di motivi (4):
- la migliore attitudine produttiva delle nuove razze introdotte sia dal
punto di vista quantitativo (producono di più) che dal punto di vista
funzionale (le Frisone si prestano meglio alla mungitura meccanica di
recente introduzione);
- il prezzo del latte in salita;
- pagamento del latte su parametri quantitativi anziché qualitativi;
- la costante domanda di manovalanza dell’industria che ha creato un
vero e proprio “esodo” dalle campagne;
- la meccanizzazione agricola che ha in breve tempo sostituito il lavoro
animale.
Il 1964 fu una data cruciale per gli studi sul latte: fu scoperto il polimorfismo
della K-caseina. Mediante elettroforesi a pH alcalino, con opportuni
accorgimenti analitici (27), (28), furono individuate due distinte bande o
frazioni di K-caseina, denominate A e B, la cui sintesi è controllata da geni
autosomici codominanti (29-32). Esse differiscono tra loro per la sostituzione
di due dei 169 amminoacidi che costituiscono la proteina. Questa sostituzione
determina una differenza di carica netta, che conferisce alla variante A una
maggiore mobilità elettroforetica (33) (34) in campo alcalino nei confronti
della B. Le frazioni minori di ciascuna variante differiscono, a loro volta,
soprattutto per il grado di glicosilazione e quindi presentano anch’esse una
differente mobilità elettroforetica. La prima indicazione circa un possibile
ruolo delle varianti genetiche della K-caseina nella coagulazione presamica
del latte risale al 1967 (35). Le successive ricerche, effettuate in diversi Paesi,
dimostrarono che tali varianti possono influenzare anche in misura importante
il comportamento della caseina nei riguardi del caglio. Negli anni 70’ si fecero
diverse prove di caseificazione (ne furono promotori diversi studiosi tra cui: P.
Mariani, G. Losi, V. Russo, G.B. Castagnetti, L. Grazia, D. Morini, E. Fossa,
69
Resmini e altri) tra le quali, a titolo esemplificativo, è interessante accennare a
quelle effettuate con latte caratterizzato dalle varianti A e B della K-caseina
nella produzione del Parmigiano-Reggiano e ai rilievi sul formaggio
stagionato (13) (14): esse dimostrarono ancora una volta la superiorità dal
punto di vista qualitativo del latte delle razze bovine autoctone in questione. A
proposito del polimorfismo genetico del latte, furono osservate notevoli
differenze tra la razza Frisona, Bruna Alpina, Reggiana e Bianca Val Padana
nella frequenza delle varianti delle caseine e in particolare in quelle della K-
caseina (36-39), in cui A e B risultarono presenti, rispettivamente, con
frequenze pari a 0,73 e 0,37 nella prima e comprese tra 0,56-0,51 e 0,49-0,44
nelle altre tre razze. Queste differenze possono spiegare in parte le
osservazioni di tecnici ed esperti caseari, secondo cui in seguito alla
sostituzione delle razze locali prima e della Bruna Alpina poi con la razza
Frisona si verificarono cambiamenti nelle caratteristiche casearie del latte, con
diminuzione di resa e peggioramento della qualità del formaggio. In una prima
ricerca (40) si vide che le varianti genetiche della K-caseina hanno una
notevole influenza sui parametri lattodinamometrici: tempo di coagulazione
(r), velocità di rassodamento del coagulo (KB20B) e consistenza del coagulo (aB30B)
i quali rivestono un grande interesse sotto il profilo tecnologico. In particolare
si notarono differenze sensibili e statisticamente significative nella velocità di
rassodamento (KB20B) e nella consistenza del coagulo (aB30B) tra il latte di vacche
omozigoti per K-CnTP
1PT B e quello di vacche omozigoti per K-Cn A, a favore
del tipo B, a parità di costituzione genetica dei loci Bs1B-Cn, -LgTP
2PT e di
condizioni fisiologiche e ambientali. Il latte KB è risultato migliore nella fase
di formazione e nelle caratteristiche del coagulo (minor tempo di coagulazione
e maggiore consistenza), nelle fasi di frantumazione e di cottura della cagliata
(grana più uniforme) e nelle caratteristiche reologiche della massa caseosa
TP
1PT Cn è l’abbreviazione di caseina
TP
2PT Lg è l’abbreviazione di lattoglobulina
70
(maggiore contrazione ed espulsione del siero). Esso, rispetto al latte KA, si è
dimostrato nel complesso, più idoneo per la lavorazione a formaggio
Parmigiano-Reggiano. I due tipi di latte sono risultati diversi anche nella
composizione chimica e nella ripartizione elettroforetica delle caseine e delle
sieroproteine Il latte KBB ha presentato un maggior contenuto di caseina
calcio e fosforo, rispetto al latte KA, che invece, è risultato più ricco di acido
citrico. Successivamente, in una ricerca condotta con l’impiego del
microscopio elettronico (41) è stato possibile dimostrare che le micelle
caseiniche del latte KBB sono più omogenee nella dimensione, rispetto a
quelle del KAA e, inoltre, che le prime hanno anche una maggiore superficie
micellare complessiva (42). Tutto ciò fa supporre che vi sia anche una
relazione diretta tra tipo genetico della K-caseina e composizione del latte e,
di conseguenza, una relazione indiretta tra varianti genetiche e caratteristiche
tecnologico-casearie del latte. Sono stati infine analizzati i formaggi ottenuti
dalla lavorazione separata dei due latti: il formaggio KB, nelle prime 24 ore,
ha dimostrato di possedere una maggiore capacità di sineresi, mentre nel corso
della stagionatura ha subito una minore perdita percentuale di acqua rispetto al
KA. Il formaggio KB, per unità di proteina, ha trattenuto quantità lievemente
superiori di grasso (tab.10 e 11). La proteolisi è risultata più precoce e più
intensa nel formaggio KA, che ha presentato un coefficiente di maturazione
più elevato rispetto a quello del formaggio KB (36,6% per KA e 34,3% per
KB). In quest’ultimo è apparsa più degradata la Bs1B-caseina, mentre nel
formaggio KA, la -caseina. Il formaggio KB, ad una valutazione
organolettico-commerciale, è risultato di qualità leggermente superiore al KA
(tab.10 e 11). (14)
71
Tabella 10. Rese in formaggio del latte in caldaia e cali a diversi stadi
della stagionatura (1° ciclo).
1° ciclo di 8 caseificazioni (giugno-agosto)
formaggio KA formaggio KB KA=100
Latte lavorato kg 340,1 36,3 (1) 351,8 23,6 (1) (1)
Peso forme a 24 ore kg 25,2 2,4 28,2 1,6 (1)
Peso forme all’uscita dal sale kg 23,7 2,4 26,6 1,5 (1)
Peso forme al 6° mese kg 22,0 2,3 24,9 1,3 (1)
Peso forme stagionate (2) kg 20,6 2,2 23,3 1,3 (1)
Resa a 24 ore (resa p. d.) % 7,41 0,21 8,04 0,26 108,5
Resa all’uscita dal sale % 6,97 0,19 7,58 0,27 108,7
Resa al 6° mese % 6,47 0,19 7,07 0,27 109,3
Resa formaggio stagionato (2) % 6,05 0,16 6,64 0,24 109,7
Calo 24P
aP ora-uscita dal sale % 5,86 1,17 5,70 1,22 97,3
Calo uscita dal sale-6° mese % 7,20 1,13 6,63 0,47 92,1
Calo nel periodo finale % 6,52 0,81 6,21 0,57 95,2
Calo complessivo (dalla 24P
aP ora) % 18,33 1,90 17,42 1,40 95,0
Nota: il calo nelle prime 24 ore dopo la lavorazione è risultato 7,81% per KA e 9,00%
per KB nel primo ciclo e, rispettivamente, 7,45% e 9,49% nel 2° ciclo.
(1) La differenza nelle quantità di latte lavorato, dovuta alla mancanza accidentale
di una parte di latte KA nella lavorazione del 15 luglio, non permette di fare un
confronto valido tra le quantità di formaggio.
(2) Stagionatura di 17-19 mesi per il formaggio del primo ciclo e di 15 mesi per il
formaggio del 2° ciclo.
72
Tabella 11. Rese in formaggio del latte in caldaia e cali a diversi stadi
della stagionatura (2° ciclo).
2° ciclo di 4 caseificazioni (settembre)
formaggio KA formaggio KB e AB KA=100
Latte lavorato kg 386,8 24,0 386,8 24,0 100,0
Peso forme a 24 ore kg 31,4 1,2 33,1 1,8 105,4
Peso forme all’uscita dal sale kg 29,7 1,1 31,3 1,8 105,4
Peso forme al 6° mese kg 28,2 0,9 29,6 1,5 105,0
Peso forme stagionate (2) kg 26,6 0,9 28,1 1,5 105,6
Resa a 24 ore (resa p. d.) % 8,12 0,34 8,55 0,07 105,3
Resa all’uscita dal sale % 7,69 0,32 8,09 0,18 105,2
Resa al 6° mese % 7,30 0,29 7,66 0,13 104,9
Resa formaggio stagionato (2) % 6,88 0,27 7,26 0,11 105,5
Calo 24P
aP ora-uscita dal sale % 5,21 0,74 5,44 1,66 104,4
Calo uscita dal sale-6° mese % 5,16 0,71 5,25 0,83 101,7
Calo nel periodo finale % 5,76 0,25 5,21 0,56 90,4
Calo complessivo(dalla 24P
aP ora) % 15,29 0,68 17,08 1,05 98,6
Negli anni 80’ vennero aboliti i contratti di mezzadria e ciò fu un ulteriore
colpo inflitto al settore zootecnico e a quello agricolo in generale. In questi
anni Reggiana e Bianca Val Padana registrarono una forte contrazione
numerica: in tutta Italia, secondo dati A.I.A, si contano 1320 capi di Reggiana
e1790 capi di Bianca Val Padana. Ciò che comunque è di notevole rilievo è il
peggioramento qualitativo del latte e ad un aumento notevole della
produzione. Nei seguenti grafici sono riportati gli andamenti delle percentuali
in grasso, della caseina, del rapporto grasso/caseina e dell’acidità dai primi
anni del 900’ agli anni 80’. Fatta eccezione per il grasso che si è mantenuto ad
una percentuale costante (grafico 1), le caseine invece sono diminuite quasi di
un punto (grafico 2) di conseguenza il rapporto grasso/caseina è aumentato di
0,38 punti (grafico 3) inoltre anche l’acidità è passata da circa 4 a 3,25 punti
73
(grafico 4). Un latte con queste caratteristiche cioè più povero in caseine e con
acidità più bassa, dal punto di vista caseario, dà più problemi al momento
della lavorazione (minore spurgo e minore coesione della cagliata maggiori
perdite nel siero ecc.), un peggioramento delle caratteristiche reologiche della
cagliata (minore elasticità, consistenza e permeabilità) e minore qualità e resa
in formaggio. (5), (15)
GRASSO%
3,6%3,6%3,6%3,6%
Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI
Grafico 1. Andamento delle percentuali in grasso nel latte dai primi del
900’ agli anni 80’
CASEINA%
>3,22,9
2,62,37
Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI
Grafico 2. Andamento delle percentuali in caseina nel latte dai primi del
900’ agli anni 80’
74
GRASSO/CASEINA%
1,511,391,241,13
Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI
Grafico 3. Andamento delle percentuali del rapporto grasso/caseina nel
latte dai primi del 900’ agli anni 80’
ACIDITA’%
3,30
3,25
3,53,8
>4,0
Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI
Grafico 4. Andamento delle percentuali di acidità nel latte dai primi del
900’ agli anni 80’
Contemporaneamente al calo qualitativo si è avuto però un notevole aumento
quantitativo del latte prodotto. La produzione media di latte della razza
Frisona aumentò da 4764 kg per lattazione nel 1973 ai 6008 kg nel 1988
mentre Reggiana e Bianca Val Padana passarono rispettivamente da 4311 e
3944 kg a 5006 e 4500 kg. Riprendendo il discorso fatto poc’anzi, il mutato
quadro chimico e anche biologico del latte ha avuto notevoli ripercussioni
sulla qualità del formaggio. Per prima cosa la minore percentuale di caseina
(parametro chimico più importante per il giudizio d’idoneità casearia del latte)
e quindi di fosforo ha comportato calo di acidità; il latte ipoacido (l’acidità del
latte dipende molto anche dallo stato igienico-sanitario dell’animale) è
75
caratterizzato da una minore attitudine alla coagulazione presamica (tempi di
coagulazione più lunghi) e quindi occorre una maggiore quantità di siero
innesto e una temperatura di cottura più elevata al fine di favorire lo spurgo ed
evitare la formazione di granuli caseosi friabili e scarsamente elastici.
L’eccesso di siero però può condurre alla formazione di cagliate
prevalentemente lattiche, poco elastiche, friabili e insufficientemente spurgate.
Ciò trova conferma nella maggiore diffusione di taluni difetti nel formaggio
grana caratterizzati da paste “slegate”, “friabili”, “biancastre” con numerose
fessurazioni e tagli, molto probabilmente conseguenti ad una eccessiva
distruzione dello stato micellare per l’eccessiva demineralizzazione dello
stesso (15). Ulteriori prove effettuate in questi anni (41-47) (tra 1984 e 1987)
supportate da quelle condotte nel decennio precedente e svolte su soggetti di
razza Reggiana e Bianca Val Padana, dal momento che presentano una
maggiore frequenza di soggetti KBB, confermano il primato di queste due
razze in merito alle caratteristiche casearie del latte. Più precisamente il latte
dei capi che presentano una maggiore frequenza dell’allele B nella K-caseina,
al momento della coagulazione presamica, ha tempi di coagulazione e di
rassodamento inferiori a quello dei soggetti A e AB (grafico 6 e 7) inoltre,
rispetto a questi ultimi il coagulo presenta una maggiore consistenza (grafico
5). (12)
B
AB
A
100 136 167
Grafico 5. Tipi di K-caseina e consistenza del coagulo (k-A=100).
76
A AB B
100 87 76
Grafico 6. Tipi di K-caseina e tempo di coagulazione del latte (k-A=100).
A
AB B
100 77 57
Grafico 7. Tipi di K-caseina e tempo di rassodamento o velocità di
formazione del coagulo.
Altre prove (48-53) (46) svolte sul latte di soggetti di diverse razze (Frisona,
Ayrshire, Bruna, Simmenthal, Modenese, Rendena e meticce) nonostante il
peggioramento qualitativo del latte di cui si è parlato in precedenza, non
hanno messo in evidenza cambiamenti significativi del quadro proteico e delle
rese in formaggio (tab. 12 e 13) rispetto alle prove effettuate in precedenza.
(14)
Tabella 12. Contenuto di proteina e di caseina del latte (14)
tipi di K-caseina
KA KAB KB
Contenuto medio di proteine
nel latte (g/100g/100ml) 3,28 3,34 3,35
Contenuto medio di caseina
(g/100g/100ml) 2,57 2.67 2,65
77
Tabella 13. Tipi di K-caseina e rese in formaggio (14)
tipi di K-caseina
KA e KAB KB
Kg formaggio/100 kg latte (%) 7,4 8,04
Grasso formaggio/grasso latte “ 69,7 82,10
Proteina formaggio/proteina latte “ 67,0 67,60
Proteina formaggio/caseina latte “ 87,5 89,20
Caseina formaggio/caseina latte “ 87,3 89,90
In questi ultimi dieci anni la nascita dell’UE (1-11-1993) ha permesso la
creazione di accordi e di strategie economiche che riguardano anche il settore
lattiero-caseario. Si cerca in particolare di risolvere il problema delle quote
latte cioè di rivedere le ammende che l’Italia deve pagare per aver ecceduto
del 20% la quota assegnatale dalla CEE nel 1984 e di innalzare questa di
600000 ton. tra il 2000 e il 2002 tenendo sotto controllo i prezzi del latte i
quali ovviamente tendono a scendere per l’incremento dell’offerta. Questo
unito anche ai casi di BSE (encefalopatia spongiforme) riscontrati nel 1996
nel Regno Unito e nel 2000 soprattutto in Francia e anche, in misura minore,
in Italia ha messo in crisi la categoria degli allevatori. Come mostrano i
grafici, la produzione lattiero-casearia, nonostante tutto tende a crescere. Il
numero di caseifici invece ha subito una diminuzione del 32,5% (grafici 8 e 9
e tab 14). Nonostante questo è interessante notare che dall’81’ al 98’ le
produzioni casearie sono aumentate del 50% (i grana sono cresciuti del 74%).
Questa crescita ha generato forti surplus produttivi e un’acuta crisi del
comparto sfociata in un naturale e forzato ridimensionamento della
produzione tra il 90’ e il 93’ (-11,6%).
78
PRODUZIONE MEDIA ANNUA LATTE
0
2000000
4000000
6000000
8000000
1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002
anno
ton
. la
tte
Grafico 8. Produzione media annua di latte dall’85 al 2000 (17)
Grafico 9. Produzione di Parmigiano-Reggiano 1990-2000 (10)
79
Tabella 14. Numero di caseifici attivi dal 1990 al 2000 (10)
PROVINCE 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
BOLOGNA 23 20 19 19 17 16 16 14 14 13 13
MANTOVA 75 74 67 61 54 52 52 48 48 48 47
MODENA 222 212 199 175 160 154 153 149 142 138 134
PARMA 282 278 266 253 243 231 229 223 221 218 218
REGGIO EMILIA 259 253 236 228 211 199 199 192 187 181 169
COMPRENSORIO 861 837 787 736 685 652 649 626 612 598 581
Attualmente le ultime ricerche svolte sul latte di Reggiana e di Bianca Val
Padana hanno avuto come fine il recupero di queste razze minori giustificato e
basato sulla valorizzazione tecnico-economica del latte. A ciò bisogna
aggiungere l’esigenza di un aggiornamento delle conoscenze sulla qualità e
sulle caratteristiche del latte in modo da verificarne la corrispondenza con i
risultati delle precedenti ricerche. Si riportano a questo proposito i risultati di
analisi effettuate sul latte nel corso di un’intera annata e le osservazioni
ricavate seguendo alcune caseificazioni di confronto tra Reggiana, Bianca Val
Padana e Frisona (tab.15, 16 e 17). (16)
80
Tabella 15. Dati medi annuali relativi alla composizione chimica, chimico-
fisica, proprietà di coagulazione e conteggio leucociti del latte delle tre
razze considerate. (16)
Latte di:
parametri Frisona Reggiana Bianca Val
Padana
Acidità titolabile
°SH/50ml
3,32
ds 0,16
3,32
ds 0,11
3,33
ds 0,10
Grasso % 3,69
ds 0,35
3,56
ds 0,50
3,62
ds 0,19
Proteina % 3,23 3,30 3,29
Caseina % 2,49
ds 0,16
2,61
ds 0,15
2,58
ds 0,09
Indice di caseina 77,0 0,7 79,0 0,5 78,5 0,5
Grasso/Caseina 1,48
ds 0,14
1,36
ds 0,18
1,40
ds 0,09
LDG (freq %)
A
B
C
D
E
66,80
3,20
-
15,50
14,50
79,00
4,70
4,65
7,00
4,65
73,70
-
-
20,30
6,00
Cellule
somatiche10P
3/Pml
340
ds 30
310
ds 30
320
ds 15
Urea mg/100 ml 25
ds 4,73
23
ds 5,44
27,5
ds 5,51
81
Tabella 16. Composizione chimica, chimico-fisica, attitudine alla
coagulazione del latte di caldaia delle tre razze considerate.(16)
Latte di:
parametri Frisona Reggiana Bianca Val
Padana
Acidità titolabile
°SH/50ml
3,24 ds 0,10 3,39 ds 0,23 3,31 ds 0,39
Grasso % 2,63 ds 0,17 2,66 ds 0,18 2,60 ds 0,17
Proteina % 3,23 3,30 3,29
Caseina % 2,44 ds 0,05 2,61 ds 0,06 2,61 ds 0,07
Grasso/Caseina 1,08 0,07 1,02 0,06 0,99 0,04
Parametri
lattodinamometrici
Tempo di
coagulazione r, min
18,20 ds 2,00 16,10 ds 2,28 16,54 ds 1,21
Tempo di
rassodamento KB20B,
min
7,45 ds 1,90 4,93 ds 1,55 5,55 ds 1,51
Consistenza del
coagulo aB30B, mm
27,40 ds 5,30 37,51 ds 3,70 34,66 ds 2,50
82
Tabella 17. Dati tecnologici relativi ad alcune prove di caseificazione
comparative del latte delle tre razze considerate. (16)
Latte di:
parametri Frisona Reggiana Bianca Val Padana
Acidità titolabile
°SH/50ml
3,30 ds 0,1 3,40 ds 0,15 3,35 ds 0,10
Grasso % 2,50 ds 0,12 2,60 ds 0,10 2,60 ds 0,10
Acidità della
miscela °SH/50 ml
4,20 ds 0,05 4,10 ds 0,08 4,20 ds 0,05
Caseina % 2,38 ds 0,7 2,57 ds 0,10 2,55 ds 0,11
Grasso/Caseina 1,06 ds 0,05 1,01 ds 0,06 1,02 ds 0,06
Caglio
(1:125000)g/100kg
2,50 ds ,08 2,60 ds 0,07 2,60 ds 0,05
Temperatura di
coagulazione °C
33,75 33,12 33,12
Durata
coagulazione min
12,2 ds 1,10 11,00 ds 1,20 11,50 ds 1,00
Durata
rassodamento min
1,50 ds 0,30 2,00 ds 0,27 2,00 ds 0,30
Durata spinatura
min
2,30 ds 0,30 2,45 ds 0,27 2,50 ds 0,35
Temperatura di
cottura °C
55,00 ds 0,30 55,60 ds 0,35 55,60 ds 0,30
Durata totale
lavorazione min
20,00 ds
1,50
23,00 ds 1,80 24,00 ds 1,50
Durata giacenza
min
60,00 ds
10,00
60,00 ds 10,00 60,00 ds 10,00
Acidità siero dolce
°SH/50ml
2,80 ds 0,18 2,70 ds 0,15 2,70 ds 0,15
Grasso nel siero % 0,40 ds 0,05 0,33 ds 0,03 0,30 ds 0,03
Resa in formaggio
a 24 ore %
7,47 ds 0,16 7,95 ds 0,23 7,90 ds 0,20
Ancora una volta Reggiana e Bianca Val Padana non smentiscono le loro
migliori performance tecnologico-casearie: è quindi auspicabile un’attività di
salvaguardia dell’immenso patrimonio genetico ma anche storico-culturale
delle razze autoctone (non solo bovine).
83
4- Principali razze bovine allevate in
provincia di Modena e Reggio Emilia
84
4.1 Evoluzione numerica
Attualmente le razze bovine più diffuse in provincia di Modena e Reggio
Emilia sono la Frisona italiana e la Bruna. Nella provincia di Reggio Emilia la
popolazione bovina è più variegata perché presenta (oltre alla razza Reggiana)
anche un piccolo nucleo di vacche di razza Pezzata rossa e di Jersey le quali
danno un discreto contributo alla produzione di latte. A Modena invece il
quadro è più omogeneo e la razza Bianca Val Padana occupa uno spazio
irrisorio. Nelle seguenti tabelle viene illustrata la composizione della
popolazione bovina in entrambe le province in ordine decrescente.
Tabella 18. Principali razze bovine allevate in provincia di Reggio Emilia
(17)
Razza Numero vacche Produzione latte q.li
Frisona italiana
Bruna
Reggiana
Pezzata rossa italiana
Jersey
59939
3141
765
622
487
3615671
147799
31172
29770
20726
Tabella 19. Principali razze bovine allevate in provincia di Modena (17)
Razza Numero vacche Produzione latte q.li
Frisona italiana
Bruna
Bianca Val Padana
31129
758
239
1811154
36128
8381
85
Da quanto emerge dall’ultimo censimento dell’agricoltura il maggior numero
di bovini è concentrato nelle province di Reggio Emilia Modena e Parma.
Bovini e bufalini / SAU (%) . Comuni
Figura 7. Mappa tematica del V° censimento generale dell’agricoltura
2000. Elaborazioni a cura della Regione Emilia Romagna su dati
provvisori ISTAT.
Negli ultimi dieci anni la consistenza numerica bovina è notevolmente
aumentata: nella provincia di Reggio Emilia l’aumento è stato pari a circa
20% e ha interessato tutte le fasce altimetriche, nella provincia di Modena
invece si è concentrato nelle fasce pianeggianti e collinari con valori compresi
tra il 30 e 50% (fig. 7)
86
Variazioni % 2000-1990
Dimin. % capi bovini e bufalini 2000/1990
Figura 8. Mappa tematica del V° censimento generale dell’agricoltura
2000. Elaborazioni a cura della Regione Emilia Romagna su dati
provvisori ISTAT.
Anche la fisionomia delle aziende è cambiata: il numero di capi per azienda è
aumentato di conseguenza pian piano le grandi aziende hanno sostituito quelle
piccole (tab.20). L’allevamento bovino quindi è divenuto un’attività a
carattere intensivo come dimostrano anche i dati della seguente tabella dove
viene messo in evidenza il calo progressivo del numero di bovini rispetto alla
SAU e parallelamente l’aumento dello stesso rispetto al numero di aziende.
87
Numero medio capi bovini e bufalini. Comuni
Capi bovini e bufalini / numero
aziendeBovini e bufalini / SAU PROVINCE E
COMUNI
1970 1982 1990 2000 1970 1982 1990 2000
Piacenza 16,0 30,6 39,9 58,8 1,1 1,2 1,0 0,7
Parma 13,0 24,5 37,1 58,1 1,1 1,1 1,2 1,2
Reggio Emilia 13,9 29,7 43,6 65,1 1,5 1,7 1,7 1,5
Modena 11,6 25,4 35,7 50,4 1,1 1,1 1,0 0,8
Bologna 11,0 22,5 25,9 31,4 0,6 0,5 0,3 0,2
Ferrara 18,2 72,7 96,9 104,8 0,4 0,4 0,3 0,1
Ravenna 9,4 20,0 22,6 25,0 0,5 0,4 0,2 0,1
Forli-Cesena 7,4 15,1 19,3 30,6 0,5 0,4 0,3 0,2
Rimini 4,5 10,2 12,6 11,6 0,5 0,3 0,2 0,1
EMILIA-
ROMAGNA 12,1 26,2 36,3 52,3 0,8 0,8 0,7 0,6
Tabella 20. Numero medio percentuale di capi bovini e bufalini per
azienda e SAU. Elaborazioni a cura della Regione Emilia-Romagna su
dati provvisori ISTAT.
Da queste osservazioni si può individuare un’ulteriore causa del declino delle
razze bovine autoctone; il fatto che vi siano grandi allevamenti con economia
di scala e che fino all’inizio degli anni novanta il pagamento del latte fosse
impostato senza i parametri di qualità ha influito sensibilmente
sull’evoluzione numerica di Reggiana e Bianca Val Padana.
88
0
200
400
600
800
1000
1200
1960 1970 1980 1990 2000 2010
anno
n.
ca
pi
BVP
Grafico 10 Evoluzione numerica delle vacche Bianche Val Padana in
provincia di Modena (17)
Tabella 21. Evoluzione numerica della razza Bianca Val Padana nella
provincia di Modena. (18)
Anno n. capi %
1950
1955
1960
1965
1968
1971
1974
1979
100.212
120.166
109.797
79.789
49.000
35.000
15.000
15.00
49,4
51,1
46,0
38,9
24,5
17,7
7,8
-
89
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1960 1970 1980 1990 2000 2010anno
n.
cap
i
Reggiana
Grafico 11. Evoluzione numerica delle vacche Reggiane in provincia di
Reggio Emilia (17)
Tabella 22. Evoluzione numerica della razza Reggiana nella provincia di
Reggio Emilia. (18) (4)
Anno n. capi %
1950
1955
1960
1965
1968
1971
1974
1978
1981
84031
91858
70525
55364
13560
6716
3850
1320
985
45,3
41,1
31,0
25,8
6,4
3,5
2,0
0,8
0,6
90
0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
70000
1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005
anno
n. cap
i
Reggiana
Frisona
Bruna
Grafico 12. Evoluzione numerica delle vacche allevate in provincia di
Reggio Emilia (17)
0
5000
10000
15000
20000
25000
30000
35000
1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005
anno
n. cap
i
BVP
Frisona
Bruna
Grafico 13. Evoluzione numerica delle vacche in provincia di Modena
(17)
91
La Bianca Val Padana come si deduce dalla tabella 21 ha raggiunto il numero
massimo di capi nel 55’ e da allora in poi ha continuato a diminuire fino a
rischiare l’estinzione, nell’ultimo controllo infatti conta solo 307 capi. La
Frisona invece è quasi triplicata e costituisce circa il 97% dei bovini allevati
in provincia di Modena mentre la Bruna dopo aver subito una consistente
diminuzione tra il 70’ e il 75’(da 2181 capi a 773) si è mantenuta su cifre
oscillanti tra 600 e 700 capi (graficoTP
2PT 12). Per quanto riguarda la Reggiana ha
raggiunto la maggiore consistenza numerica nel 1954 in quanto contava
139695 capi pian piano ha cominciato a scendere fino a toccare il minimo
storico negli anni 80’ con circa un migliaio di capi in tutto (graficoP
1P 11 e
tab.22). Negli ultimi dieci anni, grazie ad una attenta opera di riqualificazione,
il numero totale di capi stimati si aggira intorno ai 1700 (le sole vacche
controllate rappresentano l’1,16% di quelle totali). La Frisona ha avuto lo
stesso andamento riscontrato nella provincia di Modena, per essere più precisi
il numero di vacche dal 70 ad oggi è quasi quintuplicato anche se, rispetto
rappresenta il 91% dell’intera popolazione bovina della provincia di Reggio
Emilia contro il 95% di Modena. La Bruna ha un andamento altalenante e si è
stabilizzata a una quota di 3000 capi (graficoP
1P 13). (17)
4.2 Riqualificazione delle razze bovine autoctone
L’attività di ricerca, come si è detto nel precedente capitolo, ha contribuito in
maniera determinante al riconoscimento del valore qualitativo e tecnologico
del latte di Reggiana e di Bianca Val Padana; naturalmente questo è stato il
primo passo per portare avanti un progetto di riqualificazione (20) e di
TP
2PT Nota: i dati riportati nei grafici fanno riferimento ad animali controllati quindi il numero totale delle
vacche è maggiore.
92
salvaguardia di queste due razze ma sono comunque indispensabili un’altra
serie di elementi:
1. effettuare un censimento, il più esatto e completo possibile sulla
consistenza delle razze in tutte le categorie (vacche, manze, tori, vitelli,
ecc.) e contemporaneamente l’assegnazione di un numero
d’identificazione;
2. prelievo di sangue e conseguente testificazione eritrocitaria mediante la
quale è possibile accertare il grado di consanguineità all’interno della razza
per l’identificazione della variabilità genetica;
3. congelamento del materiale seminale dei tori (soprattutto ma non solo per i
tori portatori di caratteri interessanti;
4. accoppiamenti programmati per aumentare la variabilità genetica;
5. controllo funzionale del latte anche per le bovine non iscritte al Libro
Genealogico;
6. aumentare il numero di capi allevati e creazione di una o più stalle dove
concentrare le bovine più interessanti;
7. caseificazione del latte separata.
Per quanto concerne la razza Reggiana si può dire che il pericolo di estinzione
è scongiurato e che si sta portando avanti un’efficiente programma di
valorizzazione del formaggio prodotto con il latte di bovine Reggiane. Più
precisamente nel 90’ un gruppo di allevatori ha preso in considerazione
l’ipotesi di caseificazione separata del latte di Reggiana. La fattiva
collaborazione tra l’Associazione provinciale e il C.R.P.A (Centro ricerche
produzioni animali) di Reggio Emilia ha portato alla formulazione del
suddetto programma di caseificazione. Questo programma è stato presentato
dall’APA al ministero Agricoltura e Foreste, che lo ha finanziato per l’80%.
Dal momento che l’APA non era in grado di gestire la lavorazione e la
trasformazione di questo latte, gli allevatori di Reggiana nel 91’ hanno dato
vita al Consorzio di valorizzazione prodotti antica razza Reggiana (CVPARR)
93
che si è incaricato della gestione pratica del programma. Oltre a ciò il
CVPARR, in linea con quanto detto a proposito del lavoro di riqualificazione
e salvaguardia della razza (19), si propone di:
- valorizzare il formaggio Parmigiano-Reggiano prodotto
elusivamente con questo latte;
- favorire lo studio, la sperimentazione e l’applicazione di nuovi
metodi che valorizzino la lavorazione del latte di Reggiana;
- aumentare il numero di soggetti allevati;
- svolgere programmi di ricerca e di sperimentazione agricola,
avvalendosi di istituti di ricerca e universitari;
- divulgare i risultati delle prove sperimentali;
- intraprendere azioni di marketing a favore dei prodotti della razza
Reggiana;
- ampliare il numero di soci e degli allevatori;
- favorire lo sviluppo della fecondazione artificiale, dei piani di
accoppiamento programmati ecc., in collaborazione con AIA,
Istituto per la difesa e valorizzazioni del germoplasma animale,
APA e CRPA;
- provvedere all’approvvigionamento e alla vendita, per conto dei
soci, di animali di razza Reggiana.
Per quanto riguarda invece la razza Bianca Val Padana la situazione non è
proprio rassicurante perché, dal momento che il numero di allevatori “fedeli”
a questa razza si contano sulle dita di una mano e i loro allevamenti sono
distanti, non è ancora stato possibile attuare un vero e proprio programma di
riqualificazione come per la razza Reggiana. Per il momento esiste un
comitato direttivo di gestione della razza Bianca Val Padana coordinato
dall’APA di Modena mediante il quale è stato possibile perlomeno prendere in
considerazione la salvaguardia della razza. Attualmente l’APA di Modena ha
provveduto al congelamento e allo stoccaggio di materiale seminale e di
94
embrioni di Bianca Val Padana inoltre l’UE stanzia un piccolo contributo
annuale per incentivare l’allevamento delle razze autoctone. Queste misure
non sono di certo una panacea ma sono comunque un timido tentativo di
conservare il patrimonio genetico di questa razza.
95
4.3 Caratteristiche morfologiche e fisiologiche
Standard della razza Reggiana
Tale standard fu elaborato dal prof. Mario Guadasoni e approvato il 29 giugno
1935. Recentemente è servito come linea guida nella redazione del
Disciplinare del Libro Genealogico della Razza Bovina Reggiana con D.M.
n.21838 del 26/3/1996.
Vacche
1) - Mantello: fromentino uniforme, variante tra il fromentino carico ed il
fromentino chiaro, più o meno attenuato alle parti interne ed inferiori degli
arti, al contorno degli occhi, attorno al musello ed alla faccia interna della
coda, senza macchie di qualunque grandezza in qualunque parte del corpo.
Ciuffo del sincipite, peli all’interno del margine del padiglione
dell’orecchio, ciglia, crini della coda, sono dello stesso colore del mantello.
Rosei sono: musello, epiteli, palato, lingua e superficie interna delle
guance, cute perianale e perivulvare. Sono tollerate sfumature tendenti al
colore ardesia. Cute delle mammelle e capezzoli, senza macchie.
2) – Pelle: di medio spessore, elastica, ben sollevabile, pelo fine, liscio e
lucente.
3) – Statura e taglia: statura superiore alla media della specie, con, tronco
lungo, solido impianto scheletrico e masse muscolari ben sviluppate ma
non arrotondate. Taglia medio grande. Le misure indicative dell’altezza al
garrese per le femmine sono:
cm 130 per soggetti dell’età di 24 mesi
cm 135 per soggetti dell’età di 36 mesi.
96
4) – Testa: sempre molto distinta e piuttosto lunga, fronte sufficientemente
spaziosa e lievemente concava, sincipite con profilo ad emme molto
schiacciato; profilo fronto-nasale rettilineo e non turbato dalle arcate
sopraorbitarie leggermente sopraelevate rispetto al piano della fronte;
occhi grandi, con rima palpebrale sempre “adagiata”, sguardo mite della
vacca; orecchie abbastanza grandi, portate orizzontalmente, munite
internamente di abbondante pelame; narici a fosse nasali rettilinee; musello
ampio con labbra pronunciate; mascelle robuste ma non grossolane; corna
a sezione leggermente ellittica, dirette prima in fuori, poi leggermente in
avanti e quindi in alto, di media grossezza e lunghezza, di colore giallo con
la punta scura o rosso intenso. E’ ammessa la decornificazione.
5) - Anteriore: collo ben unito al garrese, spalla e testa, di media lunghezza;
garrese piuttosto ampio, non appuntito, spalle ben conformate mediamente
muscolose; petto e torace mediamente larghi, torace lungo e profondo,
raramente cinghiato, di altezza superiore alla metà della statura; arti
robusti, ma non grossolani, ginocchio largo, garretto forte largo forte e
asciutto, pastoie corte e robuste; piedi ben sviluppati, robusti, corno degli
unghioni di colore rosso scuro o nero, a volte striato di nero, dotato di
particolare durezza, raramente si verifica rilasciamento dei legamenti
interungueali.
6) – Linea dorsale: rettilinea o leggermente avallata, lombi mediamente
larghi e con attacco alla regione sacrale mediamente robusto;
7) – Groppa : trapezoidale, abbastanza larga alle articolazioni coxo-femorali,
più o meno inclinata indietro e leggermente spiovente lateralmente, anche
sporgenti, cresta sacrale alquanto rilevata; attacco coda, sempre alto; coda
di fusto grossolano all’attacco, fornita di abbondante nappa a crini di
colore biondo o rosso.
8) – Arti posteriori: cosce con muscolatura mai abbondante o troppo chiuse
posteriormente; garretti asciutti, larghi e forti, stinchi solidi ma non
97
grossolani, spesso l’arto posteriore risulta leggermente falciato; pastoie e
piedi come gli anteriori.
9) – Mammella: di forma e sviluppo normale con quarti posteriori
generalmente ben sviluppati spesso rimontanti lungo il perineo abbastanza
largo e fornito di duplicatore di pelle; vene ben sviluppate, cute fine e
raramente molto pelosa, capezzoli a volte abbondanti per lunghezza e
spessore. (foto 1)
Tori
Nei tori adulti il mantello è di colore più carico nel treno anteriore specie in
corrispondenza del collo e delle spalle, occhio vivace e fiero, le corna sono
più grosse e meno incurvate che nella vacca; collo con linea cervicale dalla
testa al garrese piuttosto convessa, peli del pisciolare dello stesso colore del
mantello, cute dello scroto senza macchie, testicoli molto pronunciati e ben
penduli, frequenti i capezzoli rudimentali. Le misure indicative per i maschi
sono:
cm 128 per soggetti dell’età di 12 mesi
cm 142 per soggetti dell’età di 24 mesi (foto 2)
I difetti morfologici che si possono ancor oggi riscontrare nella razza sono:
- a livello della mammella relativi all’equilibrio tra quarti anteriori e
posteriori, alle dimensioni e forma dei capezzoli e la forza dei
legamenti;
- anomalie del mantello, quali la presenza di rabicanature diffuse,
macchie bianche sternali o del fiocco della coda, commistione di peli
neri con quelli rossi in prossimità del musello e delle conche auricolari
(le vacche con questa tipica colorazione erano dette volgarmente
“magnane” ed erano rinomate per le grandi capacità lattifere). (4)
98
Standard della razza Bianca Val Padana
1) Mantello:
Ufemmine: Ubianco latteo
UtoriU: bianco con gradazioni grigie al collo, alle spalle, all’avambraccio o
alla coscia.
2) Pelle: sottile, morbida, facilmente distaccabile con cute non pigmentata.
3) Statura e taglia:
taglia: mole e buon peso
altezza al garrese: tori adulti cm 130-160
vacche adulte cm 125-140
4) Testa: piuttosto leggera a profilo rettilineo o leggermente concavo fra le
orbite all’inserzione della fronte con la faccia, sincipite poco rilevato con
profilo a M allungato; fronte ampia e faccia corta nei tori, di media
lunghezza nelle vacche; occhi grandi con ciglia grigie; orecchie piuttosto
ampie; narici ampie; musello largo color ardesia con depigmentazione
centrale a V rovesciato (spaccatura); mascelle larghe; corna piuttosto corte,
specialmente nei tori, a sezione ellittica, uscenti lateralmente e volte in
avanti e leggermente in alto, di colore bianco giallognolo alla base e nere
in punta nei soggetti di età superiore alla prima rotta.
5) Anteriore: armonico; collo corto e muscoloso nei tori, più lungo e sottile
nelle femmine; giogaia poco pronunciata; garrese muscoloso nei tori, più
sottile nelle vacche; spalle muscolose e ben aderenti al torace; petto largo e
muscoloso, profondo con costole ben distanziate; arti ben diritti, con
articolazioni ampie, specialmente quelle del ginocchio e delle falangi;
piedi forti con unghioni ben sviluppati e serrati.
99
6) Linea dorsale: rettilinea, con dorso largo muscoloso e lungo; lombi larghi
e di media lunghezza e ben attaccati alla regione sacrale.
7) Groppa: larga e lunga, poco inclinata con spina dorsale poco rilevata;
coda ben attaccata, sottile, con vertebre non oltre il garretto, con fiocco
poco abbondante, nero.
8) Arti posteriori: ben diritti, con articolazioni ampie, specialmente del
garretto e delle falangi; cosce muscolose, specialmente nei tori; garretti
asciutti; piedi di media grossezza, forti e serrati con unghioni neri; pastoie
corte e forti.
10) Mammella: ampia e globosa, estesa sotto il ventre e all’indietro, ricoperta
di pelle fine con vene mammarie evidenti; quarti regolari; capezzoli ben
disposti in quadrato, piuttosto sviluppati; vene sottocutanee grosse e
tortuose.
11)Altre caratteristiche: sono tollerati: pelle leggermente grossa, purché
distaccabile facilmente, ciuffo fromentino chiaro, palato e lingua moscati,
fiocco della coda grigio, unghioni anteriori giallognoli con striature nere;
epitelio ardesia chiaro con ciglia bianche e cute leggermente marezzata nei
capi adulti; la testa può essere leggermente camusa, con sincipite rilevato,
corna relativamente grosse e di colore giallo-nero; collo con gibbosità e
giogaia abbondante nei tori, leggera depressione retroscapolare; ventre
retratto; attacco di coda moderatamente alto, spina sacrale leggermente
rilevata (nelle vacche), mammella cascante. (foto 3 e 4)
I difetti che si possono a volte riscontrare sono:
- mammella con capezzoli lunghi e grossi che comportano difficoltà
nella mungitura meccanica;
- il carattere della “doppia coscia” che sul piano commerciale è un pregio
ma comporta difficoltà al momento del parto. (3)
100
Foto n. 1: vacca Reggiana
Foto n. 2: toro Reggiano (da ANABORARE)
101
Foto n. 3: vacca Bianca Val Padana (foto personale)
Foto n. 4: toro bianco Val Padana (foto personale)
102
Fisiologia
Rispetto alle razze cosmopolite Reggiana e Bianca Val Padana hanno una
maggiore rusticità longevità e fecondità. La Reggiana raggiunge la massima
produzione di latte oltre il 4° parto mentre la Bianca Val Padana al 3° parto
come più o meno Bruna e Frisona. La permanenza in stalla per Reggiana e
Bianca Val Padana in media va dai 5 ai 7 anni ma questo limite può essere
spesso superato (questi aspetti verranno approfonditi ulteriormente nel
capitolo successivo). Bruna e Frisona hanno invece una media di 4-5 anni.
103
4.4 Trend fenotipico
Nel 3° capitolo si faceva notare il generale andamento qualitativo del latte,
vediamo ora l’andamento delle percentuali in proteine e grasso e i Kg di latte
delle razze allevate in provincia di Modena e Reggio Emilia (grafici 14, 15,
16, 17, 18 e 19).
Come si può notare dai grafici 18 e 19 la quantità di latte prodotto ha
andamento crescente mentre le percentuali di grasso e proteine in provincia di
Modena hanno avuto una caduta notevole a partire dal 1975 fino al 1986
(grafici 15 e 16), a Reggio Emilia invece il calo si è avuto, per i due
componenti del latte, a partire dalla metà degli anni 80’ fino ai primi anni 90’
(grafici 14 e 17), periodo in cui il pagamento del latte ha cominciato a
prendere in considerazione i parametri di qualità. (17)
104
3
3,1
3,2
3,3
3,4
3,5
3,6
1960 1970 1980 1990 2000 2010
anno
% p
rote
ine
Reggiana
Frisona
Bruna
Grafico 14. Andamento percentuale delle proteine nel latte delle razze
allevate in provincia di Reggio Emilia (17)
3
3,05
3,1
3,15
3,2
3,25
3,3
3,35
3,4
3,45
3,5
1960 1970 1980 1990 2000 2010
anno
% p
rote
ine
BVP
Frisona
Bruna
Grafico 15. Andamento delle percentuali di proteine nel latte delle razze
bovine allevata in provincia di Modena (17)
105
3,2
3,3
3,4
3,5
3,6
3,7
3,8
3,9
1960 1970 1980 1990 2000 2010anno
% g
rasso BVP
Frisona
Bruna
Grafico 16. Evoluzione delle percentuali in grasso del latte delle razze
bovine allevate in provincia di Modena (17)
3,3
3,4
3,5
3,6
3,7
3,8
3,9
4
4,1
1960 1970 1980 1990 2000 2010anno
% g
rasso
Reggiana
Frisona
Bruna
Grafico n. 17 Evoluzione delle percentuali di grasso nel latte delle razze
bovine allevate in provincia di Reggio Emilia (17)
106
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
9000
1960 1970 1980 1990 2000 2010anno
Kg
la
tte
Reggiana
Frisona
Bruna
Grafico 18. . Andamento della produzione di latte delle razze allevate in
provincia di Reggio Emilia (17)
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
1960 1970 1980 1990 2000 2010anno
Kg
la
tte
BVP
Frisona
Bruna
Grafico 19. Andamento della produzione di latte delle razze allevate in
provincia di Modena (17)
107
4.5 Miglioramento genetico
In base a quanto detto sull’importanza del fattore genetico, allevatori e
associazioni preposte (AIA e associazioni di razza ad essa affiliate) compiono
la scelta degli animali (dei riproduttori) secondo precisi criteri; attuano cioè
una selezione razionale secondo “indici” che nel tempo, conduce ad una
evoluzione della popolazione animale nel senso desiderato. Il problema risiede
nella scelta degli indici di selezione. I principali caratteri riguardanti la
produzione del latte (Kg proteina, Kg grasso, Kg latte, % proteina, % grasso,
ecc.) sono tra loro geneticamente correlati a vario grado. Ciò vuol dire che una
parte più o meno numerosa di geni che controllano un carattere interviene
contemporaneamente nell’espressione di un altro carattere. Tanto maggiore è
la quota dei geni in comune, tanto più importante sarà la correlazione genetica
tra due caratteri e viceversa. Quando l’azione è concorde, cioè favorevole
all’espressione di entrambi i caratteri, la correlazione è positiva. Viceversa,
quando gli stessi geni agiscono in direzioni opposte, cioè a favore di un
carattere e a sfavore dell’altro, allora la correlazione si definisce negativa. Tra
i principali caratteri riguardanti la produzione di latte si annoverano alcune
correlazioni genetiche di segno positivo e altre di segno negativo: (7)
Tabella 23. Correlazioni indicative tra i principali caratteri riguardanti la
produzione di latte
Correlazioni genetiche positive Correlazioni genetiche negative
Kg latte-Kg grasso +0,75 Kg latte-% grasso -0,37
Kg latte-Kg proteine +0,87 Kg latte-% proteina -0,37
% grasso-% proteine +0,58 Kg proteina-% grasso
Kg proteine-% proteine +0,39
Kg grasso-Kg proteine +0,84
108
Nel programma di selezione adottato per la razza Reggiana si è preso in
considerazione il carattere Kg proteina. Le correlazioni genetiche positive tra
il carattere Kg proteina ed i caratteri Kg latte e Kg grasso consentono il
miglioramento anche di questi ultimi due. Questo programma presuppone:
- disponibilità degli indici genetici
- scelta dei tori
- predisposizione dei piani di accoppiamento.
Gli indici genetici sono elaborati dall’Ufficio Studi dell’AIA a fine anno, sono
relativi ai caratteri Kg latte, Kg proteina, Kg grasso, % proteina, % grasso e
sono ottenuti con il metodo Blup Animal Model. Nel calcolo di questi indici è
sempre stata considerata solo la prima lattazione mentre con la nuova
procedura, studiata per le razze a limitata diffusione, considera, quando è
possibile, 5 lattazioni per una maggiore attendibilità dell’indice stesso. Per i
soggetti di razza Reggiana, maschi e femmine, nati dal 1982 al 1998, è stato
calcolato il trend genetico. Per i caratteri Kg latte, Kg proteina, Kg grasso il
trend è positivo (grafico 20). La scelta dei tori viene effettuata fra i migliori
soggetti classificati per l’indice Kg proteina. La razza Bianca Val Padana
purtroppo non può per il momento usufruire di veri e propri programmi di
miglioramento genetico dato l’esiguo numero di tori disponibili per la
fecondazione artificiale (solo 2!) e dei capi in generale. Bruna e Frisona
vengono valutate mediante ILQM (indice latte qualità morfologia) e prove di
progenie. I caratteri più interessanti dal punto di vista caseario sono le
percentuali di K-cn BB: il miglioramento genetico ha dato un buon contributo
su questo fronte. Si vedano a questo proposito i grafici 22, 23 e 24.
109
Grafico 20. Trend genetico femmine di vacca Reggiana, elaborazione
indici con 5 lattazioni, kg latte, grasso e proteine (54)
frequenze genotipiche K-caseine
nella razza Reggiana
KBB
27%
KAB
47%
KAA
26%
KBB
KAB
KAA
Grafico 22. Frequenze genotipiche delle K-caseine nella razza Reggiana
(54), (4)
110
Frequenze genotipiche K-caseina
nella razza Bruna
KBB
39%
KAB
47%
KAA
14%
KBB
KAB
KAA
Grafico 23. Frequenze genotipiche della K-caseina nella razza Bruna (55)
Frequenza genotipica K-caseina nella
razza Frisona
KBB
4% KAB
29%
KAA
67%
KBB
KAB
KAA
Grafico 24. Frequenza genotipica della K-caseina nella razza Frisona (56)
111
5 – Attuale situazione
In questo capitolo verranno riportati i risultati delle osservazioni fatte da me a
partire dal settembre del 1999 al novembre del 2001 in diversi allevamenti e
caseifici dislocati nelle province di Modena e Reggio Emilia. In particolare ho
visitato due allevamenti di Reggiane, uno a Coviolo di Reggio Emilia e uno a
Quattro Castella, quattro allevamenti di Bianca Val Padana di cui uno si trova
a Spilamberto, uno a Saltino di Prignano, uno a Susano di Palagano e un altro
a Castelvetro, tre allevamenti di Brune di cui due si trovano a Montefiorino e
uno a Montecavolo di Quattro Castella e infine due allevamenti di Frisone,
uno a Campogalliano e uno a Pavullo nel Frignano. I caseifici li ho citati nel
paragrafo 5.2.
112
5.1 Sistemi di allevamento
La Bianca Val Padana
Caratteristica comune a tutti gli allevamenti di Bianca Val Padana in generale
è la dimensione aziendale medio-piccola; infatti questi allevamenti vanno da
un minimo di 35 ad un massimo di 65 capi. Altro aspetto comune è la
presenza, nello stesso allevamento, di altre razze bovine (Frisona Bruna e
meticce) e da questo punto di vista è possibile rilevare le differenti esigenze
alimentari e le relative performance produttive. La maggior parte degli
allevamenti di Bianca Val Padana, come si diceva nel primo capitolo, (ad
eccezione di due consistenti nuclei ubicati uno a Spilamberto e l’altro ad
Albinea) sono distribuiti nella fascia altimetrica submontana appenninica
compresa tra i 500 e i 1000 m (zona di colore verde più chiaro con frecce
indicanti le località come indicato nella figura 9).
Figura 9 Cartina fisica dell’Appennino (da Omnia Atlante Mondiale, De
Agostini)
113
In questa zona i foraggi presentano caratteristiche organolettiche e quindi
nutrizionali migliori rispetto a quelli coltivati nelle fasce altimetriche inferiori
in quanto l’epoca di sfalcio cade nel periodo in cui è minore il rischio di
incorrere in giornate piovose e le temperature sono più basse e rallentano i
processi di lignificazione dei tessuti vegetali di conseguenza è più ampio il
margine di tempo per eseguire lo sfalcio ed è meno probabile il distacco delle
foglie durante i processi di rivoltamento e andanatura del foraggio a terra. In
genere si effettuano tre sfalci: il primo si effettua intorno al 10-12 maggio, il
secondo circa 40 giorni dopo (quindi intorno al 20 giugno) il terzo infine si
effettua verso i primi di agosto. In merito all’effetto del ritardo dello sfalcio
(57) sulla qualità del foraggio, vale la pena ricordare che, nella medica, ogni
giorno successivo alla fase fenologica di inizio fioritura, comporta una
diminuzione della digeribilità della sostanza organica pari allo 0,5%.
Considerando anche la minore ingestione di sostanza secca da parte
dell’animale, si arriva ad una perdita di valore nutritivo pari all’1% per ogni
giorno di ritardo del taglio, equivalente a mezzo kg di latte al giorno. Altro
aspetto da sottolineare, legato alla zona, è la disponibilità di pascoli erbosi.
Nonostante in questi allevamenti di montagna prevalga la stabulazione fissa,
ho potuto constatare che alcuni allevatori portano al pascolo manze e manzette
in modo tale da poter utilizzare terreni che per diversi motivi non possono
essere coltivati. I foraggi sono per il 90% di produzione aziendale e sono
composti per lo più da erba medica e prato stabile. Proprio in merito
all’alimentazione nella tabella 24 ho riportato i valori medi dei quantitativi di
foraggio e di concentrati che vengono normalmente somministrati alle vacche
Bianche Val Padana con riferimento agli allevamenti che ho visitato nella
zona di Prignano e Palagano nei quali sono presenti anche Brune e Frisone e
quindi è stato possibile operare un confronto fra le diverse razioni. Ho preso in
considerazione le stagioni perché con il foraggiamento verde cambia
114
notevolmente la composizione della razione e questo ha delle ripercussioni
sulla composizione e sulla quantità di latte prodotto (tab. 26.).
Tabella 24. Esempio di razionamento stagionale delle vacche Bianca Val
Padana, Bruna e Frisona di allevamenti di montagna.
Razze Stagioni Foraggi (kg) Concentrati (kg)
Primavera
Estate
Foraggio verde di 1° e
2° taglio 20
6-7Bianca Val
Padana
Autunno
inverno
Fieno di prato polifita
15
6-7
Primavera
Estate
Foraggio verde di 1° e
2° taglio 15
8-9Bruna e Frisona
Autunno
Inverno
Fieno di prato polifita
15
8-9
Dalla tabella inoltre si evince anche un altro dato importante: la differente
dose di foraggi e concentrati a seconda della razza. Infatti la razione
giornaliera di una Bianca Val Padana è costituita da 15 kg di foraggio e 6,5-7
kg di concentrati, mentre quella di Bruna e Frisona è di 17 kg di foraggio e 8
kg di concentrato. La composizione media del concentrato è riportata nella
seguente tabella:
115
Tabella 25. Composizione chimica media del mangime somministrato alle
vacche Bianche Val Padana
Analisi chimica del mangime %
Umidità 13,00-13,50
Proteina greggia 15,50-22,00
Grassi greggi 3,00-4,00
Cellulosa greggia 6,00-9,00
Ceneri gregge 8,00-8,50
Vitamina A (integrazione) 40000-50000 U.I.
Si sospende la somministrazione dei concentrati durante l’asciutta (questo
periodo dura 70-60 giorni fino al parto) e si alimenta l’animale con foraggio di
prato stabile: il giorno prima del parto si ricomincia a somministrare
concentrati nella dose di 2 kg e il giorno del parto ne vengono somministrati
4-6 kg. Le performance produttive e qualitative che si ottengono da questa
alimentazione di tipo tradizionale sono riassunte nella tabella 26 dove sono
anche riportati anche dati relativi a Bruna e Frisona. Come si può vedere la
percentuale di grasso nelle tre razze considerate presenta variazioni molto più
accentuate dall’estate all’inverno rispetto a quella delle proteine: ciò è dovuto
principalmente al foraggio il quale durante la stagione invernale, essendo
somministrato solo come fieno, ha un più alto contenuto in fibra e per il fatto
che le proteine sono più strettamente correlate al fattore genetico che a quello
ambientale. Anche la quantità di latte, come il grasso, dipende in maniera
determinante dai fattori ambientali: infatti la maggiore produzione di latte
coincide con periodi dell’anno in cui non vengono somministrati foraggi verdi
e quindi è maggiore l’ingestione di sostanza secca.
116
Tabella 26 Andamento stagionale delle percentuali in grasso e proteine
nelle razze Frisona, Bianca Val Padana e Bruna (dati aziendali del 2000)
RazzeStagioni %
Grasso
%
Proteine
%
Caseina
Kg latte
primavera 3,57 3,11 2,43 28 kg/gg
Frisonaestate 3,6 3,18 2,48 28 kg/gg
autunno 3,75 3,16 2,46 27 kg/gg
inverno 3,9 3,2 2,50 28,6 kg/gg
primavera 3,17 3,47 2,71 24,6 kg/gg
BVPestate 3,26 3,53 2,75 23,6 kg/gg
autunno 3,81 3,56 2,78 21.5 kg/gg
inverno 3,46 3,63 2,83 24 kg/gg
primavera 4,12 3,35 2,61 26 kg/gg
Brunaestate 3,8 3,31 2,58 23 kg/gg
autunno 3,83 3,48 2,71 23 kg/gg
inverno 4,18 3,42 2,67 23,5 kg/gg
Vediamo ora i dati di allevamento relativi alla Bianca Val Padana delle
aziende campione (tab 27). In uno di questi allevamenti si è raggiunta la
quantità di 60 q di latte per lattazione ma sostanzialmente la media in generale
è di 50 q.(tab. 28). La situazione di questi allevamenti è piuttosto variegata
ma, per quanto riguarda la percentuale in grasso e proteine, gli scostamenti
dalla media, in particolare nelle aziende di montagna, sono lievi.
117
Tabella 27. Dati medi aziendali di allevamento relativi ad alcuni
allevamenti di vacche Bianche Val Padana
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
tein
e %
Mungitura
Effettiva gg
Periodo
parto
concepimento gg
Età al parto
primipare
A M
Inse
min
.N
6114 3,48 3,58 265 122 2 4 1,6
4192 3,34 3,48 279 193 2 7 2,4
4942 3,19 3,31 252 63 2 2 1,2
Analizzando inoltre altri dati di allevamento ho potuto notare altre peculiarità
della Bianca Val Padana (tab.28). La prima cosa che ho notato è l’elevata
fertilità che con un intervallo di tempo più basso (126 giorni), rispetto alle
altre razze cosmopolite, tra il parto e il concepimento permettono un numero
di parti che va dai 6 ai 10 per l’intera carriera produttiva dell’animale. Ciò
implica anche una permanenza in stalla che va dai 7 ai 10 anni e, data l’alta
fecondità e anche rusticità di questi animali, un notevole risparmio sulle spese
veterinarie. Da notare inoltre che la massima produzione viene raggiunta al
terzo parto e i valori massimi di proteine e grasso si hanno al primo parto. Le
primipare di Bianca Val Padana producono dai 15 ai 18 kg di latte al giorno:
se si assestano sui 15 kg di latte giornalieri possono arrivare a produrne 20-25
kg, se invece superano i 18 kg possono produrre anche 30-35 kg di latte al
giorno. Il parto spesso posticipa addirittura di 20-25 giorni (il vitello infatti è
anche più grosso perché alla nascita può pesare da un minimo di 35 ad un
massimo di 45 kg) mentre Brune e Frisone possono ritardare il parto
rispettivamente di 10-15 giorni e 3-4 giorni (i vitelli alla nascita pesano in
media non più di 30-35 kg). A volte quando nascono i “fascioni” è necessario
il taglio cesario ma normalmente dopo il parto non si verificano casi di
collasso puerperale.
118
Tabella 28. Dati provinciali di allevamento della Bianca Val Padana
(bollettino AIA 2000)
n. la
ttazi
on
e
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
tein
e %
Età parto
A M
Periodo parto
concepimento
gg
Lunghezza
lattazione
Inse
min
. N
.
1 4421 3,46 3,46 2 5 102 285 1,6
2 5204 3,22 3,43 3 6 152 290 2,0
3 5466 3,35 3,39 4 5 132 278 1,7
4 e oltre 5029 3,38 3,35 7 119 275 1,5
MEDIE 5008 3,35 3,40 4 7 126 282 1,7
Lo svezzamento del vitello si ha a circa 70 giorni di vita (i “fascioni” a 90
giorni); alcuni allevatori continuano a somministrare il latte al vitello fino alla
fine dello svezzamento passando da 6 litri di latte al giorno nel primo mese di
vita per poi scendere a 4 dai 30 ai 50 giorni e arrivare a 2 litri al giorno dai 50
alla fine dello svezzamento; altri invece somministrano il latte solo fino a due
mesi. A partire dai 15 giorni si comincia a somministrare mangime in pellets e
a 20-25 giorni si mette foraggio (solo di primo taglio) a disposizione
dell’animale. I vitelloni di Bianca Val Padana costituiscono una fonte di
reddito, benché la paura della BSE freni i consumi, in quanto forniscono carni
di buona qualità con rese al macello del 58-60%; un vitellone di 18 mesi pesa
infatti circa 380 kg quindi la resa al macello è sui 228 kg e l’incremento
medio giornaliero è stimato intorno a 1100 g. Anche la carcassa dell’animale a
fine carriera dà rese al macello superiori del 5% circa alle razze cosmopolite.
Sempre riguardo alle rese, si sono dimostrati validi, sia sotto l’aspetto
quantitativo che qualitativo, i soggetti ottenuti dall’incrocio tra Bianca Val
Padana e Marchigiana. Buoni risultati sono stati ottenuti, in termini di
produzione di latte, da soggetti ottenuti dall’incrocio tra Bianca Val Padana e
Frisona; questi animali, con denominazioni “clericali” per il colore del
119
mantello (sono detti “preti” gli individui ottenuti con toro di razza Frisona e
vacca Bianca Val Padana e “frati” quelli ottenuti facendo l’incrocio al
contrario) producono infatti 35-40 kg di latte al giorno. Per quanto concerne la
mungitura, la Bianca Val Padana richiede tempi più lunghi perché tende a
trattenere il latte e sembra che ciò dipenda dall’indole diffidente e scontrosa
dell’animale; a volte la forma dei capezzoli che possono essere lunghi e grossi
crea problemi alla mungitura.
La Reggiana
Gli allevamenti di Reggiana sono più di 200 e sono distribuiti in maniera
uniforme in tutta la provincia di Reggio Emilia. Le aziende che allevano
bestiame di razza Reggiana in generale non superano i 70 capi quindi sono di
medie dimensioni. Anche in questi allevamenti è facile rilevare la
compresenza di altre razze bovine, in particolare, la Frisona. La maggior parte
di questi allevamenti sono a stabulazione libera quindi foraggi e concentrati
sono distribuiti ad libitum. I foraggi aziendali coprono totalmente o quasi i
fabbisogni dell’allevamento e sono composti per lo più da essenze di prato
stabile che rappresentano il 50 e anche il 65% del foraggio totale e da erba
medica che non supera in genere il 50%; i foraggi inoltre vengono
somministrati anche allo stato fresco dall’inizio della primavera all’autunno
inoltrato a seconda dell’andamento stagionale (tab. 29). I pascoli sono
praticamente scomparsi per la difficoltà di gestione del bestiame che
comportano e per il carattere intensivo dell’agricoltura (soprattutto in
pianura). Come per la Bianca Val Padana l’alimentazione è di tipo
tradizionale. Durante l’asciutta in genere si eliminano totalmente i concentrati
perché l’animale tende ad ingrassare facilmente e si somministra solo fieno di
prato stabile; il giorno del parto si riprende l’uso di concentrato nella dose di
120
1,5-2 kg e pian piano si aumenta fino alla razione normale di 7-8 kg
giornalieri.
Tabella 29. Razionamento medio stagionale delle vacche Reggiane
Stagioni Foraggi (kg) Concentrati (kg)
Primavera Fieno di medica 3
Fieno di prato stabile 6
Foraggio verde 6
6,5-7
Estate Fieno di medica 4,5
Fieno di prato stabile 4,5
Foraggio verde 6
6,5-7
Autunno Fieno di medica 4
Fieno di prato stabile 6
Foraggio verde 5
6,5-7
Inverno Fieno di medica 5
Fieno di prato stabile 10
6,5-7
Nella tabella 33 ho riportato la composizione media dei concentrati che
vengono somministrati negli allevamenti che ho visitato:
Tabella 30. Composizione chimica media del mangime somministrato alle
vacche Reggiane
Analisi chimica del mangime %
Umidità 12,00-12,90
Proteina greggia 15,00-16,80
Grassi greggi 3,80-4,25
Cellulosa greggia 6,00-6,50
Ceneri gregge 8,00-9,00
Vitamina A (integrazione) 52000-80000 U.I.
Le primipare producono giornalmente dai 15 ai 20 kg e una peculiarità di
questa razza è che la massima produzione di latte viene raggiunta a partire dal
4° parto. Si riportano a scopo comparativo la tabella 31 con i dati aziendali
121
degli allevamenti oggetto delle mie osservazioni e la tabella 32 con le medie
provinciali a lattazione.
Tabella 31. Dati medi aziendali di allevamento relativi ad allevamenti di
vacche Reggiane
n. la
ttazi
on
e
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
tein
e %
Ca
sein
a %
Mungitura
effettiva gg
Età
parto
A M
Periodo parto
concepimento
gg
Inse
min
. n
.
1 4576 3,42 3,42 2,67 282 2 2 86 1,3
2 6073 3,45 3,40 2,65 285 3 4 84 1,2
3 6672 3,40 3,32 2,60 281 4 3 90 1,3
4 7030 3,33 3,30 2,57 288 5 2 106 1,2
5 5822 3,21 3,22 2,51 287 6 3 89 1,3
6 6964 3,29 3,21 2,50 298 7 3 93 1
7 6231 3,09 3,30 2,57 291 7 11 103 1,3
MEDIE 6195 3,31 3,31 2,58 287 5 2 93 1,2
Tabella 32. Medie provinciali a lattazione della Reggiana (bollettino AIA
2000)
n.
latt
azi
on
e
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
t. %
Età parto
A M
Periodo parto
concepimento
gg
Lunghezza
lattazione
Inse
min
. n
.
1 4997 3,59 3,36 2 3 118 286 1,6
2 5515 3,58 3,41 3 5 107 287 2,0
3 5860 3,57 3,40 4 5 119 287 1,7
4 e oltre 5970 3,51 3,33 6 11 116 284 1,5
MEDIE 5562 3,55 3,37 4 5 115 286 1,7
122
Dal confronto tra la tabella 31 e 32 si può notare che riguardo alla percentuale
di proteine i valori sono quasi alla pari anche se nell’allevamento preso in
esame la quantità di latte prodotto è maggiore alla media e il numero di
interventi fecondativi è minore. A dimostrazione di quanto detto nel
precedente capitolo (tab. 23) a proposito della correlazione genetica negativa
tra alcuni caratteri, dai dati riportati nelle tabelle 31 e 32 si può vedere come
all’aumentare dei kg di latte contemporaneamente diminuiscano le percentuali
di grasso e proteine. Data la compresenza di Frisone nel medesimo
allevamento ho potuto mettere a confronto i dati presenti nella tabella 33.
Tabella 33. Dati medi aziendali di allevamento relativi alla Reggiana e
alla Frisona in uno stesso allevamento
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
tein
e %
Ca
sein
a %
Mungitura
Effettiva
gg
Periodo
parto
concepimento
gg
Età al
parto
primipare
A M Inse
min
. N
.
Reggiana 6195 3,31 3,31 2,58 287 93 2 2 1,2
Frisona 7678 3,20 3,02 2,36 283 126 2 2 2,0
A parità di condizioni ambientali la Frisona produce un più elevato
quantitativo di latte ma con percentuali in proteine e grasso sensibilmente
inferiori e una minore fecondità. La rusticità della Reggiana, oltre alla
fecondità (gli interventi fecondativi in media per la rzza sono 1,6), si esprime
anche in termini di longevità: anche se la media è di 5-6 anni molte vacche
permangono in stalla anche 7-8 anni. Queste vacche inoltre non hanno
problemi al momento del parto: l’attacco alto della coda favorisce l’espulsione
del vitello. I vitelli alla nascita pesano in media circa 40 kg perché spesso le
vacche ritardano il parto di alcuni giorni (in media di 10-15 giorni). Lo
svezzamento dei vitelli si compie in 70-90 giorni; il latte nei primi 15 giorni di
123
vita viene somministrato nella dose circa di 5-6 litri a pasto e alla fine dello
svezzamento la dose si riduce a 2 litri; il foraggio (fieno di prato stabile) viene
somministrato a partire dai 15 giorni di vita e i concentrati invece a un mese.
La mungitura in genere viene effettuata con impianti a spina di pesce e salvo
qualche eccezione procede normalmente senza problemi di lentezza: anche da
questo si vedono i positivi risultati della selezione in quanto una ventina di
anni fa le vacche Reggiane presentavano dei capezzoli più corti che davano
problemi per il fatto che non permettevano un adeguato svuotamento della
mammella con il conseguente pericolo di mastite causata dal latte residuale.
Per quanto riguarda gli incroci con altre razze è stata presa in considerazione
la Rossa Danese: i risultati però non sono stati soddisfacenti.
La Frisona
Dal momento che la Frisona è la razza più diffusa in tutto il comprensorio del
Parmigiano-Reggiano viene spontaneo chiedersi il perché di un tale successo:
tutto si riconduce ad una serie di motivi che sono in parte emersi nel corso
della trattazione e sono strettamente legati al declino delle razze bovine
autoctone. Più precisamente le ragioni che hanno portato la maggior parte
degli allevatori a preferire la Frisona sono:
1. la maggiore produttività (oggi la media per la razza è di circa 85 q di latte
per lattazione);
2. la buona qualità del latte: il contenuto medio in grasso è 3,57% e quello in
proteine è 3,24%;
3. raggiungimento dei massimi livelli produttivi già a partire dal 2°-3° parto;
4. buon adattamento alle condizioni ambientali (soprattutto a quelle legate
all’allevamento).
Tutto ciò ha portato ad un’evoluzione sia strutturale che gestionale delle
aziende che operano in questo settore. Il primo carattere distintivo di questi
124
allevamenti è la dimensione medio-grande che va dai 70 a oltre 100 capi, che
conferisce all’azienda una tipologia a carattere intensivo, inoltre si ha la
stabulazione libera. In questo tipo di allevamenti, viste le premesse, è
possibile fare investimenti in nuove tecnologie che facilitano le operazioni di
pulizia, mungitura, somministrazione degli alimenti ecc. e consentono un
risparmio di manodopera, e avere un più frequente ricambio del bestiame.
Persiste ancora l’alimentazione tradizionale, soprattutto in montagna ma non
si fa più foraggiamento verde; in pianura invece si sta diffondendo
l’UNIFEED (“piatto unico”) che è un particolare tipo di razionamento nel
quale sono presenti sia i foraggi (trinciati) che i concentrati miscelati insieme.
Ecco schematizzata la composizione di una razione giornaliera di UNIFEED:
Tabella 34. Miscela tipo di una razione UNIFEED
componenti alimentari dell’UNIFEED kg
Fieno maggengo 3
Fieno di medica 4
Orzo schiacciato 2
Mais schiacciato 6
Polpe pellettate 1
Soia 1
Glicole 0,3
Mangime complementare 3
Medica disidratata 3
Fieno di loietto 1
125
Tabella 35. Composizione chimica dell’UNIFEED
Analisi chimica del mangime %
Sostanza secca 52
Proteina greggia 14
Grassi greggi 2,4
Cellulosa greggia 20
Ceneri gregge 8
Vitamina A (integrazione) 80000 U.I.
Per il fatto che vi è una maggiore possibilità di utilizzo di sottoprodotti di
scadente qualità, difficoltà nel valutare la qualità dei foraggi e una maggiore
ingestione di terra, ne consegue che la tecnica è a più elevato rischio, pertanto,
per sfruttare i vantaggi connessi all’UNIFEED occorrono maggiori cure
igieniche nella scelta degli ingredienti, nella preparazione e nella
somministrazione della miscelata. Come ho detto prima l’alimentazione
tradizionale è ancora largamente impiegata negli allevamenti di montagna
anche se non si fa più foraggiamento verde; una razione di tipo tradizionale è
costituita da 16-17 kg di fieno composto per 70% da prato stabile e da un 30%
di medica e da 8 kg di concentrato la cui composizione è riportata nella tabella
36.
Tabella 36. Composizione chimica del mangime somministrato a vacche
Frisone
Analisi chimica del mangime %
Umidità 13,00
Proteina greggia 15,50
Grassi greggi 3,50
Cellulosa greggia 5,50
126
Ceneri gregge 8,00
Vitamina A (integrazione) 50000 U.I.
Vediamo in media i dati produttivi e di allevamento:
Tabella 37. Dati medi aziendali di allevamento relativi a vacche Frisone
alimentate in maniera tradizionale e con l’UNIFEED e medie provinciali
relative all’anno 2000 e alla provincia di Modena e Reggio Emilia.
Tipo
alimentaz.
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
tein
e %
Mungitura
Effettiva gg
Periodo
parto
concepimento
gg
Età al
parto
primipare
A M
Inse
min
.
tradizionale 7688 3,12 3,15 297 153 2 3 1,9
UNIFEED 8821 3,40 3,37 309 156 2 1 2,7
MEDIE PROVINCIALI
MODENA 7493 3,46 3,22 292 159 2 6 2,1
REGGIO E 7656 3,50 3,16 293 152 2 4 2,1
Come risulta dalla tabella 37 l’alimentazione UNIFEED presenta rendimenti
sia quantitativi che qualitativi superiori all’alimentazione tradizionale proprio
per il fatto che si ha una maggiore ingestione di sostanza secca. Questo tipo di
alimentazione però comporta un numero di interventi fecondativi superiore.
Rispetto alle medie, che differiscono tra loro in particolare nella percentuale di
proteine (in provincia di Modena sono superiori di 0,06 punti), i quantitativi di
latte prodotto dell’allevamento con alimentazione UNIFEED sono superiori di
ben circa 10 q e la percentuale di proteina è 0,15 punti superiore alla media di
Modena e ben 0,21 superiore a quella di Reggio Emilia. Per quanto riguarda la
gestione dell’asciutta normalmente ha una durata di 60 giorni e dal punto di
vista alimentare si somministrano nel primo mese foraggi di prato stabile e
mangime complementare alla dose di 2-2,5 kg per capo al giorno fino a due
settimane prima del parto; in quest’ultimo lasso di tempo si adotta la tecnica
127
dello steaming-up che consiste nel sostituire il mangime dell’asciutta con
quello da latte. Il vitello alla nascita pesa sui 35 kg e lo svezzamento si compie
in 60-90 giorni; già dopo la prima settimana si comincia a somministrare il
pellet e il foraggio e la dose di latte (6 litri al giorno) viene diminuita
gradualmente. La permanenza media in stalla di una Frisona è di circa 4-5
anni e il massimo della produzione viene raggiunto intorno al 2°-3° parto. La
mungitura viene effettuata in impianti a spina di pesce e non presenta in
genere difficoltà legate alle caratteristiche della mammella. La Frisona quindi
è una razza che si presta molto bene ad allevamenti di tipo intensivo
soprattutto per la sua grande produttività (in alcuni allevamenti si raggiungono
anche i 120 q) che è il risultato di anni di miglioramento genetico il quale l’ ha
resa una vera e propria “macchina da latte” ma le ha fatto perdere longevità e
rusticità.
La Bruna
Per quanto riguarda la razza Bruna, nonostante sia una buona lattifera sia sul
piano quantitativo che qualitativo (si veda il capitolo 4), non ha avuto lo stesso
successo della Frisona; infatti il numero di capi allevati tende a rimanere sugli
stessi valori se non a diminuire. In provincia di Modena le aziende che
presentano un numero più consistente di Brune sono di medie dimensioni (60-
70 capi) e sono ubicate in aree montane. In queste zone le manze sono allevate
a stabulazione libera, le vacche invece a stabulazione fissa. L’alimentazione è
di tipo tradizionale ma non si fa più foraggiamento verde; in media le aziende
riescono a sopperire ai fabbisogni aziendali di foraggio circa per l’80%. Nel
Reggiano le aziende che allevano Brune sono distribuite in maniera più
omogenea ma, a parte qualche eccezione, presentano al loro interno una
consistenza numerica di questa razza dai 10 ad un massimo di 60 capi. Il
128
motivo di questa situazione un po’ stagnante della razza nelle due province va
ricercato in alcuni problemi a carattere fisiologico-sanitario; è abbastanza
frequente infatti la presenza di ulcerazioni negli unghioni, problema
probabilmente legato all’originario carattere di pascolatrice della razza Bruna,
e spesso si hanno difficoltà nel riscontrare i calori (calori silenti). Per quanto
riguarda l’alimentazione, negli allevamenti che ho visitato a Montefiorino per
esigenza di caseificio non si fa foraggiamento verde mentre nell’allevamento
di Quattro Castella, il quale conferisce il latte ad un caseificio che pratica la
caseificazione separata del latte di Bruna, si somministrano foraggi freschi.
Schematicamente una razione giornaliera è così composta:
Tabella 38. Razionamento medio giornaliero della Bruna
Foraggi kg Concentrati kg
Alimentazione con
foraggio verde
Prato polifita con 60% di
medica 8
Fieno di prato stabile 8
6,5-7
Alimentazione senza
foraggio verde
Fieno di prato stabile 8
Fieno di medica 8
7
I concentrati presentano la seguente composizione chimica (tab.39):
Tabella 39. Composizione chimica del mangime somministrato a vacche
Brune
Analisi chimica del mangime %
Umidità 12,00-13,50
Proteina greggia 16,20-18,00
Grassi greggi 3,00-4,50
Cellulosa greggia 6,00-8,00
Ceneri gregge 8,00-8,80
Vitamina A (integrazione) 40000-70000 U.I.
129
Nei mangimi impiegati dagli allevatori di montagna la percentuale in proteina
greggia è più alta (17,50-18,00%): ciò può essere dovuto alla minore presenza
di medica nel foraggio. Vediamo ora le medie dei dati di allevamento (tab.40).
Tabella 40. Performance produttive e dati di allevamento di tre aziende
che allevano Brune
Latt
e k
g
Gra
sso %
Pro
tein
e %
Mungitura
Effettiva
gg
Periodo
parto
concepimento
gg
Età al
parto
primipare
A M Inse
min
.N.
6200 4,01 3,43 273 139 2 4 1,7
5373 3,78 3,49 285 106 2 7 1,5
6794 3,95 3,64 302 176 2 5 1,7
MEDIE PROVINCIALI
MODENA 6354 3,77 3,48 289 145 2 5 1,8
REGGIO E 5929 3,87 3,40 287 135 2 4 1,8
Dalla tabella si deduce che la Bruna ha un latte molto ricco in grasso e di
proteine quindi, come le razze bovine autoctone, possiede i requisiti per essere
definita la vacca “ideale” per il Parmigiano-Reggiano. Non si riscontrano
grosse differenze tra dati aziendali e medie provinciali. La gestione
dell’asciutta e lo svezzamento del vitello seguono più o meno le stesse
modalità della Frisona; il vitello alla nascita pesa circa 35 kg e a seconda che
sia maschio o femmina il parto può essere ritardato rispettivamente di 10-15
giorni e di 20 giorni. La massima produzione di latte viene raggiunta intorno
al terzo parto e la permanenza media in stalla è di circa 6-7 anni. Sono stati
sperimentati degli incroci tra Bruna e Rossa Danese con scarsi risultati; si è
invece dimostrato buono l’ibrido ottenuto da Bruna e Blu Belga per il
vitellone da carne.
130
5.2 I riscontri al caseificio
Dopo aver illustrato le caratteristiche di queste quattro razze mi è sembrato
opportuno verificare le diverse rese in formaggio per ognuna di esse tranne la
Bianca Val Padana per la quale purtroppo non esiste ancora la caseificazione
separata. Ho compiuto le mie osservazioni presso tre diversi caseifici presso i
quali veniva conferito il latte degli allevamenti da visitati: il Caseificio Notari
di Coviolo dove viene effettuata la caseificazione separata del latte di
Reggiana, la Latteria Matilde di Canossa a Montecavolo dove allo stesso
modo viene fatta la caseificazione separata ma con latte di Bruna infine il
Caseificio Sociale di Albareto che lavora latte di Frisona.
Nella tabella ho riportato i dati relativi al latte in caldaia mediante i quali ho
potuto calcolare le rese in burro e formaggio:
Tabella 41. Analisi dei latti in caldaia
Razze LDG
Gra
sso
% Ca
sein
a
%
Rapp.
Gr/Cas
% Grasso nel
siero cotto
Frisona E (unifeed)
AE (tradiz.)
2,54
2,68
2,73
2,69
0,93
1,00
0,33
0,37
Reggiana A 2,82 2,75 1,03 0,41
Bruna AE 2,48 2,45 1,01 0,37
L’LDG è un tipo di analisi che serve per valutare le caratteristiche di
coagulazione del latte per mezzo di uno strumento denominato
lattodinamografo; le caratteristiche di coagulazione del latte vengono
suddivise in classi contrassegnate dalle lettere A, B, C, D, E, F (tab 42). Si
può vedere che il latte della Reggiana ha un tempo di coagulazione inferiore
rispetto a Frisona e Bruna in quanto il tipo A ha una coagulazione della durata
131
compresa tra 11,30 e 18 minuti mentre il tipo AE ha dei tempi che vanno dai
18,30 ai 19 minuti.
Tabella 42. Classi per la valutazioni delle caratteristiche di coagulazione
del latte relative all’esame LDG
rTP
1PT (min.) kTP
2PTB20 B(min.) aTP
3PTB30 B(mm) Classe
6 0 - DD
6 r 10,30 <9 - D
6 r 10,30 9 - C
10,30 r 11,30 <9 - AD
10,30 r 11,30 9 - AC
11,30 r 18,00 - - A
18,30 r 19,00 - - AE
19,00 r 25,00 5,30 - E
19,00 r 25,00 <5,30 - B
25,00 r 26,00 - - EF
26,00 r 30,00 - - F
>30 - - FF
11,30 r<15,00 - 50 D
15,00 r 18,30 - 40 B
18 - <20 E
Il rapporto grasso/caseina risulta essere vicino a 1 nel caso della Reggiana: è
un dato ritenuto ottimale per una buona caseificazione. I riscontri che ho
cercato in caseificio sono relativi ai dati riscontrati direttamente in caldaia
(termine che sottintende il locale in cui avviene la lavorazione del latte) e sono
riportati nella tabella 41. I successivi controlli che ho effettuato hanno
riguardato la resa da 24 ore dalla cagliata, la resa dopo salamoia e, dato più
importante la resa dopo 12 mesi, data in cui viene effettuata la scelta delle
TP
1PT tempo di coagulazione in minuti (dall’inizio della prova fino a che il tracciato lattodinamografico
raggiunge un’apertura di un mm).
TP
2PT velocità di formazione del coagulo in minuti: si calcola misurando la distanza fra l’inizio della
formazione del coagulo e l’apertura a 20 mm delle branche del tracciato lattodinamografico.
TP
3PT consistenza del coagulo a 30’ (corrisponde ala distanza in mm fra le due estremità del tracciato).
132
forme che andranno alla stagionatura. Questi dati vengono riportati nella
tabella 43.
Tabella 43. Rese in burro e formaggio in tre caseificazioni separate
Reggiana Frisona Bruna
Resa dopo 24 ore 8,73 8,45 tradiz.
8,35 unifeed
8,32
Resa % dopo il
sale
8,29 8,03 tradiz.
7,93 unifeed
7,90
Resa dopo 12
mesi
7,86 7,58 tradiz.
7,48 unifeed
7,55
Resa in burro 1,50 1,41 tradiz.
1,32 unifeed
1,45
% scarti 1-2 3-5 1-2
Dall’analisi della tabella 43 si può notare come tutti i dati relativi alla
Reggiana siano, anche se leggermente, costantemente superiori rispetto a
Bruna e a Frisona. Per quanto riguarda le rese in burro abbiamo dati che si
equivalgono tra le razze anche se, a detta dei casari, i dati della Reggiana e
della Bruna sono sottostimati. Circa la percentuale di scarti si può vedere
come la Frisona abbia un dato peggiore rispetto alle due razze che può essere
spiegato proprio dalla diversa costituzione caseinica del latte.
133
6 – Prospettive
134
In questa trattazione ho voluto mettere in evidenza l’insieme di potenzialità
della razza Reggiana e della Bianca Val Padana che sono andate
configurandosi all’interno del quadro zootecnico in continua evoluzione del
Comprensorio del Parmigiano-Reggiano. Da questo lavoro è emerso un
problema che interessa un po’ tutte le specie animali autoctone: il rischio di
erosione genetica. Come ho detto nel capitolo 4 a proposito della
riqualificazione delle due razze, il pericolo di estinzione nel caso della
Reggiana è per ora scongiurato mentre per la Bianca Val Padana è più che mai
imminente. I risultati ottenuti dallo studio di queste due razze nel loro contesto
zootecnico-locale mi hanno dunque condotta a trarre le seguenti conclusioni:
1. La qualità del latte delle razze bovine autoctone è indubbiamente superiore
a quella delle razze cosmopolite: ciononostante le differenze che si
riscontrano sul formaggio, a parità di condizioni (zona di allevamento,
alimentazione delle bovine e tecnica casearia), non sono poi così marcate
in termini di caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore,
consistenza ecc.) che sono i parametri di orientamento di noi consumatori.
Differenze significative si riscontrano invece al momento della
caseificazione: infatti, da quanto è emerso dall’esperienza dei casari, il
latte delle bovine autoctone si lavora meglio perché la coagulazione
avviene più velocemente così come la sineresi la quale è quindi più
abbondante, inoltre la resa di 100 l di latte è di un kg in più.
2. La quantità di latte prodotto delle razze bovine autoctone è sensibilmente
inferiore a quella delle razze cosmopolite e questo implica una maggiore
economicità di queste ultime.
3. Il permanere dell’alimentazione tradizionale garantisce la tipicità e la
genuinità dei prodotti lattiero-caseari e da anche prova di una certa cura da
parte degli allevatori nello svolgere il loro lavoro.
135
Viste queste conclusioni a cui sono giunta ritengo giusto salvaguardare
l’immenso patrimonio genetico della Reggiana e della Bianca Val Padana per
una serie di motivi:
Dalla genetica abbiamo appreso che un individuo (fenotipo) è il risultato
dell’interazione tra genotipo cioè una base genetica e l’ambiente; com’è
noto l’ambiente è in continua evoluzione quindi un individuo per
sopravvivere deve adattarsi ad esso e quindi disporre di un grande numero
di geni e di conseguenza una maggiore possibilità di ricombinazione. Nel
momento in cui quest’ultima venga a diminuire per la perdita di materiale
genetico si avrebbero minori possibilità di sopravvivenza per la specie. In
pratica se scomparissero a poco a poco gli elementi di variabilità di una
specie quali possono essere le diverse razze si avrebbe un impoverimento
dell’ecosistema e un indebolimento della specie stessa.
Il secolare legame tra razza prodotto e ambiente è garanzia di tipicità e
genuinità inoltre è una parte di storia in quanto è il risultato dell’intensa
attività di selezione umana e naturale e dell’evoluzione socio-culturale del
mondo rurale.
L’evoluzione dei gusti dei consumatori e quindi del mercato; in questi
ultimi anni il consumatore è alla ricerca di prodotti sani, naturali e che
abbiano buone proprietà nutritive quindi un prodotto di “nicchia” come il
Parmigiano-Reggiano delle razze bovine autoctone può essere una valida
risposta a questo tipo di esigenze.
Dal momento che questi animali conservano caratteristiche di rusticità e
frugalità possono contribuire al ripopolamento di aree montane incolte e
difficilmente meccanizzabili (questo vale in particolare per la Bianca Val
Padana) in modo tale da valorizzare terreni altrimenti destinati a dissesto
idrogeologico.
I motivi che hanno portato le due razze bovine in questione molto vicine al
rischio di estinzione sono già stati ampiamente dibattuti; resta però da
136
chiedersi quale futuro si prospetta per l’inestimabile patrimonio genetico di
cui sono depositarie Reggiana e Bianca Val Padana. Attualmente la salvezza
delle razze bovine autoctone è nelle mani di alcuni coraggiosi allevatori e
all’attività di organizzazioni intergovernative (FAO) tra i cui obiettivi vi è la
conservazione in situ ed ex situ della biodiversità. Senza voler fare del
“romanticismo zootecnico” salvare queste razze vuol dire anche conservare il
ricordo delle nostre tradizioni e soprattutto difendere il Parmigiano-Reggiano
da chi vuole equipararlo a quegli “pseudo-formaggi” che ne sono
un’imitazione solo verbale (Parmesan) ma soprattutto dalla “globalizzazione”
del gusto.
137
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