“amoris laetitia” lo sguardo dell’amore non è sogno · il vangelo della famiglia. lo...

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2 riflessioni Mirafiori Sud Mirafiori Sud “Amoris Laetitia” Lo sguardo dell’amore non è sogno L’esperienza dell’amore che si realizza nella famiglia è fatta di momenti, parole, gesti, di difficoltà Sono passati alcuni mesi dalla prima presentazione di Amoris laetitia. C’eravamo fermati sulla porta di quella casa che idealmente il primo capitolo di Amoris laetitia ci aveva permesso di socchiu- dere, preparandoci all’incon- tro con l’esperienza dell’a- more che si realizza nella fa- miglia. Se varchiamo quella porta, incontriamo la ricchezza del- la vita quotidiana, fatta di momenti, parole, gesti, fatta di difficoltà e successi, ma soprattutto siamo chiamati a soffermarci dinanzi alla va- rietà di situazioni, ognuna di- versa, con cui si realizza il dono fecondo dell’amore che due sposi si sono promessi e che insieme si impegnano a realizzare. Proprio quest’infinita va- rietà è ciò che Francesco ci invita a incontrare e tenere presente, non per giudicare o per creare una teoria, ma, sempre rimanendo con i pie- di per terra, per accogliere la sfida di crescere e realizzare il vangelo della famiglia. Lo sguardo, allora, non si perde negli infiniti particolari, ma si concentra sull’essenziale, su ciò che è al centro e diven- ta sorgente inesauribile di tutto. Per questo motivo al cen- tro dell’Amoris laetitia, nel- la prima parte del capitolo quarto, troviamo il lungo commento all’inno alla ca- futuro» (n. 116) perché «com- prende la certezza di una vita oltre la morte» (n. 117), e «non si lascia dominare dal rancore, dal disprezzo verso le persone, dal desiderio di fe- rire o di far pagare qualcosa. L’ideale cristiano, e in modo particolare nella famiglia, è amore malgrado tutto» (n. 119). È davvero difficile rendere la bellezza e l’intensità di queste riflessioni. Ma potremmo ancora pen- sare che Francesco ci propon- ga un ideale irraggiungibile che si realizza solo con gesti straordinari. Ed invece il Papa ci invita a riscoprire i gesti semplici e veri della vita quo- tidiana, delle nostre relazioni, come in questo passaggio do- ve egli stesso concretizza il modo di “fare pace” in fami- glia: «E come devo fare la pa- ce? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo ge- sto, una cosina così, e l’armo- nia familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace!» (n. 104). Varcando, allora, la soglia della porta delle nostre fa- miglie, non troviamo nulla di straordinario, ma risco- priamo la gioia dell’amore, sorgente inesauribile che ci rende capaci di prenderci cura gli uni degli altri, senza soffocare il bene o ingigan- tire il male… a quell’amore abbiamo bisogno di ritorna- re, quando il cuore è ferito, stanco, sfiduciato, perché è l’unica luce che, rischiaran- do ogni tenebra, permette di non aver paura di uscire e fa crescere il desiderio di tor- nare… È l’amore, intessuto in in- finiti momenti ricchi di paro- le, gesti, attenzioni, silenzi, che ci fa essere casa, che ci sentire a casa, che trasforma le nostre case… don Sandro Giraudo Don Ennio Bossù Ileana Mesaros (segue a pag. 6) Uomo di preghiera, moderno evangelizzatore Ricordo di un sacerdote che ha messo la sua cultura al servizio delle genti di Guatemala Cultura e tradizioni La cerimonia funebre in Romania Venerdì 5 agosto in Guate- mala è tornato alla Casa del Padre don Ennio Bossù: Ha avuto un malore improvviso mentre si trovava a Coban, nella diocesi de la Verapaz, per il conferimento di un ri- conoscimento per il suo la- voro di traduzione nella lin- gua indigena. Don Ennio, nato nel 1939, dopo gli anni di formazione nei Seminari di Giaveno e Rivoli è stato ordinato sacer- dote il 29 giugno del 1963. Laureato in lettere moderne, ha insegnato nel Seminario di Giaveno ed è stato anima- tore nel Seminario di Rivoli. Ha svolto anche il ministero sacerdotale in alcune parroc- chie della diocesi. Partito co- me “Fidei Donum” nel 1973 ha lavorato per più di trent’anni in Guatemala (per un periodo anche in Papua Nuova Guinea) dove, oltre agli impegni pastorali, si è occupato della formazione dei seminaristi della diocesi de la Verapaz e della tradu- zione della Parola di Dio nel- le lingue locali degli Indios. In particolare ha tradotto la Bibbia in lingua kekchì, una delle 23 lingue indigene (di origine Maya) che si parlano in Guatemala, insieme allo spagnolo, la lingua ufficiale. Rientrato in Italia è stato per quasi un anno, come collabo- ratore a fianco di don Matteo nella parrocchia di San Luca i cui parrocchiani ne ricorda- no la gentilezza, la profonda umanità e la disponibi- lità all’a- scolto di chi a lui si ri- volgeva. Da “La Vo ce del Popolo” ri- portiamo un brano che raccon- ta del gior- no del suo funerale: “Con la presenza e partecipa- zione di ve- ra fede di fedeli cal- colati in circa dieci- mila perso- ne, 3 vesco- Il corteo funebre che ha accompagnato la salma di Don Ennio per le vie di La Verapaz La scomparsa di una per- sona porta dolore e tanta tri- stezza, e lascia un grande vuoto nella famiglia e nella comunità. Ma nonostante tutto questo in Romania la tradizione viene mantenuta viva, costituisce un elemento di unione per superare la per- dita della persona cara. In ogni angolo del paese la tra- dizione varia per cui mi rife- rirò a quella della provincia di Maramures di cui sono originaria. Un funerale ha delle spese non indifferenti e ogni fami- glia ricca o povera lo affronta e la comunità apporta il suo contributo. Al momento del decesso viene avvisato il prete che farà suonare le campane tre volte al giorno fino al giorno della sepoltura. In questa fase nel cortile della casa del defunto le don- ne parenti più strette intone- ranno dei canti sulla vita del deceduto. Nella mia zona si prepara- no diversi cibi che verranno condivisi con i parenti, con la comunità e con chi parteci- perà alla funzione. Il sarcofago viene costruito sul momento dal falegname del villaggio in maniera spar- tana, con del legno povero. La sera prima del funerale rità della prima lettera ai Corinzi di San Paolo (al cap. 13), un brano molto in- tenso della Parola di Dio, che presenta un modello quasi irraggiungibile di amore, ma che Francesco ci invita a riscoprire come pie- namente realizzabile nei ge- sti quotidiani del nostro amarci. Provo a ripercorrere in modo molto sintetico la ricchezza di alcuni passaggi che ognuno di noi potrà ri- leggere con calma, magari meditandoli nella preghiera personale. Francesco ci ricorda che l’amore, innanzitutto, è pa- ziente e che «se non coltivia- mo la pazienza, avremo sem- pre delle scuse per rispondere con ira… e la famiglia si tra- sformerà in un campo di bat- taglia» (n. 92). Un amore che «non è solo un sentimento, ma che si deve intendere nel sen- so … “fare il bene”» (n. 94), per cui «il vero amore apprez- za i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro del- l’invidia» (n. 95). Francesco ci ricor- da anche che «quello che ci ren- de grandi è l’amo- re che comprende, cura, sostiene il debole» (n. 97), con quell’amabi- lità che già nel lin- guaggio non cerca di umiliare, rattri- stare, irritare, di- sprezzare l’altro (cfr. n. 100), per- ché l’amore non cerca il proprio in- teresse (cfr. n. 101-102), cerca la pace (cfr. n. 104), sa perdonare (cfr. n. 105-108), «si rallegra per il be- ne dell’altro» (n. 109) al punto che «la famiglia dev’essere sempre il luogo in cui chiunque faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui» (n. 110). Lo sguardo dell’amore non è sogno o illusione, per- ché vede bene i difetti dell’al- tro, ma ricorda che essi «sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro» (n. 113). Amare è, allora, dare fiducia, quella fiducia che «rende possibile una relazio- ne di libertà… rende possibili la sincerità e la trasparenza, perché quando uno sa che gli altri confidano in lui e ne ap- prezzano la bontà di fondo, allora si mostra com’è, senza occultamenti» (n. 115). L’a- more, infine, «non dispera del Papa Francesco incontra la famiglia nel giorno del giubileo a loro dedicato vi e 50 sacerdoti, si è celebra- ta la Santa Messa di sepoltu- ra dove il popolo ha espresso la profonda fede acquisita grazie alla grande opera di traduzione della Parola di Dio. Per volontà del popolo di la Verapaz le spoglie mor- tali di don Ennio riposano per sempre in terra di Guate- mala dove è ricordato come un santo: uomo di preghie- ra,di grande cultura e di dia- logo, attento ai bisogni dei poveri, ed ai giovani”. Ricordiamolo nella pre- ghiera. A.Z.

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2 riflessioniMirafiori SudMirafiori Sud

“Amoris Laetitia”

Lo sguardo dell’amore non è sognoL’esperienza dell’amore che si realizza nella famigliaè fatta di momenti, parole, gesti, di difficoltà

Sono passati alcuni mesidalla prima presentazione diAmoris laetitia. C’eravamofermati sulla porta di quellacasa che idealmente il primocapitolo di Amoris laetitia ciaveva permesso di socchiu-dere, preparandoci all’incon-tro con l’esperienza dell’a-more che si realizza nella fa-miglia.

Se varchiamo quella porta,incontriamo la ricchezza del-la vita quotidiana, fatta dimomenti, parole, gesti, fattadi difficoltà e successi, masoprattutto siamo chiamati asoffermarci dinanzi alla va-rietà di situazioni, ognuna di-versa, con cui si realizza ildono fecondo dell’amore chedue sposi si sono promessi eche insieme si impegnano arealizzare.

Proprio quest’infinita va-rietà è ciò che Francesco ciinvita a incontrare e tenerepresente, non per giudicare oper creare una teoria, ma,sempre rimanendo con i pie-di per terra, per accogliere lasfida di crescere e realizzareil vangelo della famiglia. Losguardo, allora, non si perdenegli infiniti particolari, masi concentra sull’essenziale,su ciò che è al centro e diven-ta sorgente inesauribile ditutto.

Per questo motivo al cen-tro dell’Amoris laetitia, nel-la prima parte del capitoloquarto, troviamo il lungocommento all’inno alla ca-

futuro» (n. 116) perché «com-prende la certezza di una vitaoltre la morte» (n. 117), e«non si lascia dominare dalrancore, dal disprezzo versole persone, dal desiderio di fe-rire o di far pagare qualcosa.L’ideale cristiano, e in modoparticolare nella famiglia, èamore malgrado tutto» (n.119).

È davvero difficile renderela bellezza e l’intensità diqueste riflessioni.

Ma potremmo ancora pen-sare che Francesco ci propon-ga un ideale irraggiungibileche si realizza solo con gestistraordinari. Ed invece il Papaci invita a riscoprire i gestisemplici e veri della vita quo-tidiana, delle nostre relazioni,come in questo passaggio do-ve egli stesso concretizza ilmodo di “fare pace” in fami-glia: «E come devo fare la pa-ce? Mettermi in ginocchio?No! Soltanto un piccolo ge-sto, una cosina così, e l’armo-nia familiare torna. Bastauna carezza, senza parole.Ma mai finire la giornata infamiglia senza fare la pace!»(n. 104).

Varcando, allora, la sogliadella porta delle nostre fa-miglie, non troviamo nulladi straordinario, ma risco-priamo la gioia dell’amore,sorgente inesauribile che cirende capaci di prendercicura gli uni degli altri, senzasoffocare il bene o ingigan-tire il male… a quell’amoreabbiamo bisogno di ritorna-re, quando il cuore è ferito,stanco, sfiduciato, perché èl’unica luce che, rischiaran-do ogni tenebra, permette dinon aver paura di uscire e facrescere il desiderio di tor-nare…

È l’amore, intessuto in in-finiti momenti ricchi di paro-le, gesti, attenzioni, silenzi,che ci fa essere casa, che cisentire a casa, che trasformale nostre case…

don Sandro Giraudo

Don Ennio Bossù

Ileana Mesaros(segue a pag. 6)

Uomo di preghiera, moderno evangelizzatoreRicordo di un sacerdote che ha messo la sua cultura al servizio delle genti di Guatemala

Cultura e tradizioni

La cerimonia funebre in Romania

Venerdì 5 agosto in Guate-mala è tornato alla Casa delPadre don Ennio Bossù: Haavuto un malore improvvisomentre si trovava a Coban,nella diocesi de la Verapaz,per il conferimento di un ri-conoscimento per il suo la-voro di traduzione nella lin-gua indigena.

Don Ennio, nato nel 1939,dopo gli anni di formazionenei Seminari di Giaveno eRivoli è stato ordinato sacer-dote il 29 giugno del 1963.Laureato in lettere moderne,ha insegnato nel Seminariodi Giaveno ed è stato anima-tore nel Seminario di Rivoli.Ha svolto anche il ministerosacerdotale in alcune parroc-chie della diocesi. Partito co-me “Fidei Donum” nel 1973ha lavorato per più ditrent’anni in Guatemala (perun periodo anche in PapuaNuova Guinea) dove, oltreagli impegni pastorali, si èoccupato della formazionedei seminaristi della dioceside la Verapaz e della tradu-zione della Parola di Dio nel-le lingue locali degli Indios.In particolare ha tradotto laBibbia in lingua kekchì, unadelle 23 lingue indigene (diorigine Maya) che si parlanoin Guatemala, insieme allospagnolo, la lingua ufficiale.

Rientrato in Italia è stato perquasi un anno, come collabo-ratore a fianco di don Matteonella parrocchia di San Luca

i cui parrocchiani ne ricorda-no la gentilezza, la profondaumanità e ladisponibi-lità all’a-scolto di chia lui si ri-volgeva.

Da “LaVo ce delPopolo” ri-p o r t i a m oun branoche raccon-ta del gior-no del suof u n e r a l e :“Con lapresenza epartecipa-zione di ve-ra fede difedeli cal-colati incirca dieci-mila perso-ne, 3 vesco-

Il corteo funebre che ha accompagnato la salma

di Don Ennio per le vie di La Verapaz

La scomparsa di una per-sona porta dolore e tanta tri-stezza, e lascia un grandevuoto nella famiglia e nellacomunità. Ma nonostantetutto questo in Romania latradizione viene mantenutaviva, costituisce un elementodi unione per superare la per-dita della persona cara. Inogni angolo del paese la tra-dizione varia per cui mi rife-rirò a quella della provinciadi Maramures di cui sonooriginaria.

Un funerale ha delle spesenon indifferenti e ogni fami-glia ricca o povera lo affrontae la comunità apporta il suocontributo.

Al momento del decessoviene avvisato il prete chefarà suonare le campane trevolte al giorno fino al giornodella sepoltura.

In questa fase nel cortiledella casa del defunto le don-ne parenti più strette intone-ranno dei canti sulla vita deldeceduto.

Nella mia zona si prepara-no diversi cibi che verrannocondivisi con i parenti, con lacomunità e con chi parteci-perà alla funzione.

Il sarcofago viene costruitosul momento dal falegnamedel villaggio in maniera spar-tana, con del legno povero.

La sera prima del funerale

rità della prima lettera aiCorinzi di San Paolo (alcap. 13), un brano molto in-tenso della Parola di Dio,che presenta un modello

quasi irraggiungibile diamore, ma che Francesco ciinvita a riscoprire come pie-namente realizzabile nei ge-sti quotidiani del nostroamarci. Provo a ripercorrerein modo molto sintetico laricchezza di alcuni passaggiche ognuno di noi potrà ri-leggere con calma, magarimeditandoli nella preghierapersonale.

Francesco ci ricorda chel’amore, innanzitutto, è pa-ziente e che «se non coltivia-mo la pazienza, avremo sem-pre delle scuse per rispondere

con ira… e la famiglia si tra-sformerà in un campo di bat-taglia» (n. 92). Un amore che«non è solo un sentimento, mache si deve intendere nel sen-so … “fare il bene”» (n. 94),per cui «il vero amore apprez-za i successi degli altri, non lisente come una minaccia, e silibera del sapore amaro del-

l’invidia» (n. 95).Francesco ci ricor-da anche che«quello che ci ren-de grandi è l’amo-re che comprende,cura, sostiene ildebole» (n. 97),con quell’amabi-lità che già nel lin-guaggio non cercadi umiliare, rattri-stare, irritare, di-sprezzare l’altro(cfr. n. 100), per-ché l’amore noncerca il proprio in-teresse (cfr. n.101-102), cerca lapace (cfr. n. 104),sa perdonare (cfr.n. 105-108), «sirallegra per il be-ne dell’altro» (n.109) al punto che«la famigliadev’essere sempreil luogo in cuichiunque facciaqualcosa di buononella vita, sa che lìlo festeggerannoinsieme a lui» (n.

110). Lo sguardo dell’amorenon è sogno o illusione, per-ché vede bene i difetti dell’al-tro, ma ricorda che essi «sonosolo una parte, non sono latotalità dell’essere dell’altro»(n. 113). Amare è, allora, darefiducia, quella fiducia che«rende possibile una relazio-ne di libertà… rende possibilila sincerità e la trasparenza,perché quando uno sa che glialtri confidano in lui e ne ap-prezzano la bontà di fondo,allora si mostra com’è, senzaoccultamenti» (n. 115). L’a-more, infine, «non dispera del

Papa Francesco incontra la famiglia nel giorno del giubileo a loro dedicato

vi e 50 sacerdoti, si è celebra-ta la Santa Messa di sepoltu-ra dove il popolo ha espressola profonda fede acquisitagrazie alla grande opera ditraduzione della Parola diDio. Per volontà del popolodi la Verapaz le spoglie mor-tali di don Ennio riposanoper sempre in terra di Guate-mala dove è ricordato comeun santo: uomo di preghie-ra,di grande cultura e di dia-logo, attento ai bisogni deipoveri, ed ai giovani”.

Ricordiamolo nella pre-ghiera.

A.Z.

“Beato è il cuore che perdona! Misericordia riceverà da Dio in cielo!”Questo è stato il ritornello dell'inno ufficiale della GMG (Giornata Mondiale della Gio-

ventù) di Cracovia 2016. Più di 100 mila italiani hanno gridato al cielo questa frase, sventolando il nostro tricolore o

sollevando le candele a illuminare la notte. Più di 2 milioni di voci si sono unite alle stessenote, ripetendo nelle loro diverse lingue la stessa frase.

La notte del 31 luglio questo coro da record si è stretto nella veglia guidata da Papa France-sco, offrendo a Dio i sogni, i dubbi e le paure dei giovani cristiani che si sono mossi da 190nazioni diverse per raggiungere la Polonia, chi in aereo, chi in treno, chi in pullman.

Dopo oltre 23 ore di viaggio, anche una rappresentanza dei giovani delle nostre parrocchieha raggiunto il paese natale di papa Wojtyla, guidata da don Corrado Fassio e dalle Figlie del-la Sapienza.

Abbiamo urlato “Sì!” quando il Papa ci ha chiesto se avevamo voglia di sognare. Abbiamourlato “Sì!” quando ci ha chiesto se avevamo voglia di cambiare il mondo. E lo urliamo ognigiorno quando ci impegniamo nell’aiutare, nel metterci in gioco o nel vivere la nostra fede,ma soprattutto quando invitiamo i nostri cuori al perdono. “Il mondo ha bisogno di Miseri-cordia” ha sottolineato Papa Bergoglio, alzando lo sguardo dal foglio per rivolgersi a tutti ipresenti. Ci ha incitati a urlare più forte quel “Sì!”, perché non aveva sentito bene.

“Dio è buono e tutti noi abbiamo qualcosa di buono dentro” è stata una delle frasi chiavedel 27 luglio, a ricordare che non ci sono scuse che giustifichino chi rinuncia a fare del bene,chi non si sente all'altezza e non si impegna per vivere seguendo Cristo.

Papa Francesco parla senza tanti giri di parole, è abituato a mirare dritto al cuore del di-scorso. Ha sempre dimostrato particolare abilità nel rivolgersi ai giovani, nel comunicarealla folla, con la dolcezza e con la gentilezza che hanno conquistato i nostri cuori. E per laGMG si è riservato alcune delle sue migliori orazioni. Uno dei suoi cavalli di battaglia,presentato anche durante il discorso tenuto a Torino, durante l'ostensione della Sacra Sin-done, è il tema dei “giovani pensionati”. “Mi addolora” ha confidato per la seconda voltain pubblico “incontrare giovani che sembrano ‘pensionati’ prima del tempo. Mi preoccu-pa vedere giovani che hanno ‘gettato la spugna’ prima di iniziare la partita. Che si sono‘arresi’ senza aver cominciato a giocare”. Parole che inevitabilmente rimbombano nellementi di noi ragazzi, costringendoci ad esaminare le nostre abitudini e le nostre debolezze,ma che possono toccare tutti coloro che abbiano la forza di fermarsi a riflettere, mettendo-si in discussione.

Solo chi l’ha vissuto sulla sua pelle può ricordare la stanchezza del viaggio, la gioiadell’incontro, i colori delle bandiere e i suoni di Cracovia, ma la GMG è la diffusione en-tusiasta del messaggio evangelico, l’invito caloroso a prender parte al grande coro checanta in tutte le lingue il proprio amore per la vita e per Dio. Tutti possono urlare il pro-prio “Sì!”, tutti devono trovare la forza di urlarlo. Ognuno nella propria lingua, ognunonella propria vita.

Viviana Pasquero

temi e dibattiti 3Mirafiori SudMirafiori Sud

LA CARICA DEI 500 DI ESTATE RAGAZZI DELLE NOSTRE PARROCCHIE

I ragazzi della Parrocchia San Luca

I ragazzi delle Parrocchie Santi Apostoli e San Barnaba

I ragazzi della Parrocchia Beati Parroci

I giovani delle nostre parrocchie che hanno partecipato alla GMG in Polonia

Giornata Mondiale della Gioventù 2016

“Beato il cuore che perdona. Misericordia riceverà da Dio in cielo”

Il trauma da rientro dalle vacanzeBelle le vacanze, ma al rientro a casa ed al lavoro cominciano i disturbi emotivi. Che fare? Risponde lo psicologo

Ogni anno la stessa storia,si parte entusiasti per le va-canze, si godono in pieno i ri-sultati di riposo, distrazionee divertimento e poi l’inevi-tabile rientro scatena un veroe proprio trauma psicologi-co. “L’estate sta finendo”,cosi diceva una famosa can-zone di qualche decennio fa,che ritorna a riecheggiarepuntuale ogni anno, dopo ilmeritato riposo rigeneranteper la mente ed il corpo dellenostre agognate vacanze esti-ve. Per circa 11 mesi di impe-gni, lavoro, ménage, vita quo-tidiana, tempi serrati, lotta econvivenza con lo stress, arri-vano le vacanze, che sonovissute da ognuno di noi co-me tappa necessaria di pausavitale, per ritrovare la qualitàdella vita.

Fin qui tutto bene, ma chedire del fatidico rientro? Cheè un trauma bello e buono, unvero choc emotivo! Vi sonoanche persone che non rie-scono a staccarsi completa-mente dal loro lavoro o dallacittà, e quindi dopo una setti-mana di vacanza sentono unostato di malinconia per lapropria casa o per il propriolavoro. La psicologia socia-le, che studia e valuta gliaspetti di relazione uomo-

ambiente, ci aiuta a com-prendere, come la permanen-za per almeno 3 settimane inun luogo diverso dal consue-to favorisce nell’individuo lapercezione di un cambia-mento totale da un ambientead un altro. Ventuno giornisono il tempo minimo indi-spensabile per ottenere siapsicologicamente che biolo-gicamente delle modifica-zioni nel ciclo bioritmico. Nelperiodo di permanenza indi-cato, è possibile notare comeil turista non solo si sia estra-niato completamente dallapropria vita di città, ma addi-rittura si sia completamenteintegrato e adattato nel luogodi vacanza. Se a questi mec-canismi di coinvolgimento eadattamento psico-sociale,aggiungiamo i non meno fre-quenti fenomeni di socialità edi rapporti interpersonali,con vicini di tenda, di roulot-te, di camera o ancora di om-brellone e di sdraio, con tuttele situazioni di amicizia e,perché no, di storie senti-mentali estive, capite bene,che staccarsi da queste situa-zioni vacanziere così benefi-che e idilliache significa es-sere davvero sottoposti aduno choc, propriamente defi-nibile da senso di privazione

e dell’abbandono di un luogoamato.

Non può che instaurarsiuna sorta di sindrome de-pressiva, la malinconia, unaspecie di lutto per qualcosache necessariamente devesottrarsi a noi, al nostro prin-cipio di piacere. L’annichili-mento che ne deriva, scatenasempre e comunque reazionipiuttosto pesanti e fastidioseaccompagnate da un certo ri-fiuto di coinvolgersi nuova-mente, nell’atto del rientro,con lo stile di vita consueto.

Si può reagire ai disagiemotivi e comportamentalicon l’aiuto di Louise Hay edella psicoenergetica, disci-plina che insegna l’uso ener-getico delle parole giuste perottenere equilibrio, benesse-re e buon funzionamento psi-cofisico.

A esempio se al rientrodalle vacanze avvertite unostato di malinconia, sappiateche si tratta di un disturbodel tono dell’umore. Sieterimasti agganciati al luogo ealle persone conosciute invacanza. Al rientro a casa iriferimenti di sicurezza sva-niscono e vanno incontro a

Angelo Musso(segue a pag. 6)

Belli, sfrenati, gioiosi circa 500 ragazzi in età scolare dalla 2a elementare alla 2a mediahanno rallegrato, con i loro canti e schiamazzi, i cortili delle nostre parrocchie dell’U.P. 20.Giochi, canti, gite, li hanno tenuti impegnati dalla mattina alle 8,30 al pomeriggio inoltratonei mesi di giugno e luglio. Contenti gli animatori (più di un centinaio) anche se molto stan-chi a fine attività, felici i ragazzi che avrebbero continuato per altri mesi, e le famiglie chehanno dato fiducia affidando i loro “pargoli” in mani sicure. Arrivederci alla prossima estate.Ora potete incontrarvi all’Oratorio!