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Una definizione universalmente accettata del rapporto fra le amministrazioni pubbliche e le politiche economiche non esiste.
Possiamo partire da una considerazione di fondo:
una buona amministrazione pubblica deve porsi quale strumento di sviluppo nell’ambito della politica economica di un Paese.
Le politiche economiche
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Quando in Italia si parla di politiche economiche, si tende a suddividere la scienza economica sottostante in due rami: •un ramo positivo (l’economia politica) •un ramo normativo (la politica economica)
L’economia politica studia il funzionamento concreto del sistema economico o di uno specifico operatore
La politica economica studia gli strumenti con i quali l’azione pubblica può raggiungere determinati obiettivi.
Le politiche economiche
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La storia reale del pensiero economico fornisce ampie prove del condizionamento storico delle amministrazioni pubbliche.
Poiché l’economia è una scienza applicata, strettamente legata ai giudizi sui sistemi e sulle politiche reali, la cosa non deve apparire sorprendente; sarebbe piuttosto sorprendente il contrario, ovvero la totale assenza di tracce tra le teorie economiche, i condizionamenti sociali e l’evoluzione delle amministrazioni pubbliche.
La storia del pensiero economico
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Le determinanti del Funzionamento delle A. P.
In dottrina, il sistema istituzionale, politico e aziendale, può essere definito come l’insieme delle regole tramite cui si persegue un equilibrio di diritti - doveri dei comportamenti; sia tramite cui si persegue un equilibrio tra valori della società e scelte finalizzate a consentire la piena espressione di tali valori e tramite cui si realizzano forme di composizione, mediazione, contemperamento, convivenza di valori e culture diverse; sia tramite cui si persegue un equilibrio tra bisogni e risorse limitate rispetto agli stessi, tra domanda e offerta di beni.
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TEORIA
ECONOMICA
DETERMINA
NUOVE POLITICHE
ECONOMICHE
SISTEMA
ECONOMICO
SISTEMA
POLITICO
SISTEMA
AZIENDALE
CONDIZIONANO INCIDE SU
I condizionamenti delle teorie economiche
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Segue…le determinanti delle A. P.
SISTEMA ISTITUZIONALE
SISTEMA POLITICO
SISTEMA AZIENDALE
SISTEMA ECONOMICO
SISTEMA TERRITORIALE
SISTEMA SOCIALE
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Segue…le determinanti delle A. P.
L’analisi combinata del sistema economico, sociale e territoriale, determina l’insieme delle variabili che: caratterizzano, contraddistinguono e condizionano
in termini di bisogni, aspettative, priorità, risorse disponibili e attivabili, il comportamento delle amministrazioni pubbliche;
grazie alla sana contaminazione con il sistema aziendale, incidono sulle scelte del sistema politico e istituzionale nella formulazione delle proposte di cambiamento, di governo e sviluppo del territorio.
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LE TEORIE ECONOMICHE
CONTESTO TERRITORIALE
DI RIFERIMENTOPERIODO
STORICO DI RIFERIMENTO
DEFINIZONE DEL RUOLO
DELL’ATTORE PUBBLICO
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ADAM SMITH - XVIII SECOLO
Pone le basi dell’economia politica partendo dalla considerazione che ogni ricchezza è prodotta dal lavoro e che ogni individuo è il miglior giudice del proprio interesse.
Elabora la teoria della mano invisibile, secondo cui, attraverso il meccanismo degli scambi, gli interessi dei differenti individui e quindi della società in quanto somma di individui, sono realizzati con la massima efficienza.
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Se ciascun soggetto è libero di decidere il suo comportamento, se a ciascuna merce si applica il medesimo prezzo (operando in un mercato concorrenziale), ogni individuo troverà l’impiego più vantaggioso per il capitale di cui dispone e, pur perseguendo esclusivamente il proprio interesse, egli, spinto da una mano invisibile, accrescerà contemporaneamente il benessere collettivo.
…Smith
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Pertanto, se il mercato, lasciato libero da
impedimenti e costrizioni, è in grado di
raggiungere risultati positivi per l’intera
società, diviene compito dello Stato e quindi
delle amministrazioni pubbliche, quello di
giocare un ruolo il più possibile neutrale in
campo economico.
…Smith
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In Adam Smith, c’è la consapevolezza
che lo Stato ha il compito di assicurare i
servizi pubblici essenziali allo sviluppo della
società (giustizia, difesa, sanità, opere
pubbliche) che non potrebbero essere affidati
ai privati poiché questi non sarebbero in
grado di porvi mano o per mancanza di mezzi
o perché il profitto previsto e’ troppo basso o
alternativamente se troppo alto
provocherebbe scompensi d’altro tipo.
…Smith
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Con Smith nasce il liberismo economico e vi
sono gli embrioni dei primi condizionamenti
tra teorie economiche e funzionamento della
pubblica amministrazione
…Smith
14
Ricardo approfondisce per primo un tema che sarebbe divenuto
di grande attualità:
il problema della scelta tra finanziamento della spesa pubblica
con imposta straordinaria
o con debito pubblico
Egli non ha mai concordato con quanti hanno ritenuto che a
causa degli interessi dovuti sul capitale da rimborsare, il ricorso
all’indebitamento trasferisce l’onere della spesa pubblica sulle
generazioni future.
DAVID RICARDO - XVIII-XIX
SECOLO
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Secondo le sue teorie, in caso di ricorso al debito, solo
il capitale viene sottratto alla ricchezza produttiva
della nazione e non gli interessi; negli anni successivi
all’emissione del prestito, infatti, vi saranno da un lato
persone tenute a pagare tributi per gli interessi e
dall’altro, individui che riceveranno il pagamento di
tali interessi (i detentori del debito pubblico).
…Ricardo
16
In definitiva, per Ricardo le generazioni
future non sopportano alcun onere
aggiuntivo; indubbiamente, le sue teorie
hanno influenzato le amministrazioni
pubbliche del tempo.
…Ricardo
17
Egli aggiunge inoltre che per la generazione presente
imposta straordinaria e debito pubblico sono equivalenti
perché nel primo caso la collettività sopporta la spesa nel
momento in cui l’imposta è istituita; nel secondo caso,
invece, la pubblica amministrazione dovrà aumentare le
imposte future per pagare gli interessi del debito.
…Ricardo
18
Mill, mitiga il rigore di Smith e le sue drastiche
concezioni sulla necessaria neutralità
dell’attività finanziaria pubblica, ipotizzando
la possibilità di un intervento pubblico nei casi
in cui tale attività fosse in grado di migliorare
le condizioni sociali della collettività.
JOHN STUART MILL – XIX SECOLO
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Con Mill si cominciano ad approfondire i legami tra l’attività finanziaria e l’attività economica. Mill è stato anche il primo economista a dare basi solide teoriche alla cosiddetta teoria del “sacrificio uguale”, in base al quale il sacrificio che ogni contribuente deve affrontare per il pagamento delle imposte deve risultare proporzionale per tutti.
…Mill
20
Si ha così uguaglianza di carico tributario quando i tributi imposti determinano ai contribuenti un eguale sacrificio.
Il prelievo tributario, effettuato in relazione al principio di decrescenza di utilità economica della ricchezza, per Mill deve pesare sui più abbienti. In tal modo, oltre a ripartire equamente le imposte, si addossa alla collettività il minor sacrificio possibile.
…Mill
21
Alla fine del diciannovesimo secolo, il
pensiero economico classico viene
letteralmente ripudiato e anche se
“neoclassico” sembra indicare una certa
affinità, le teorie hanno ben poco a che
vedere con Smith e Ricardo.
Il Neoclassicismo
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Per i neoclassici, il valore di un prodotto non è dovuto solo alla quantità di lavoro in esso compreso, ma risiede anche nell’utilità attribuita dal consumatore all’ultima unità acquistata.
La teoria finanziaria neoclassica concentra la propria attenzione prevalentemente su due problemi:
•l’allocazione ottimale delle risorse
•la ripartizione del carico fiscale
…Il Neoclassicismo
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Mentre la scuola neoclassica inglese concentra, alla
fine del diciannovesimo secolo, la propria
attenzione sulla ripartizione delle imposte, la stessa
teoria neoclassica, in altri paesi dell’Europa
continentale (come Italia e Francia), conserva un
approccio più ampio non scindendo mai il problema
delle imposte e quindi della determinazione delle
entrate da quello delle spese; il tutto incidendo
pesantemente sulla struttura dell’amministrazione
pubblica e sul suo funzionamento.
…Il Neoclassicismo
24
La causa di tale diversità va ricercata nelle
differenti condizioni di sviluppo sociale ed
economico dei vari paesi europei in questo
determinato periodo storico.
Mentre in Inghilterra il processo di
industrializzazione della struttura economica
può considerarsi concluso agli inizi del ‘900,
con il ruolo di propulsione dello Stato ridotto
al minimo, ...
…Il Neoclassicismo
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… in Italia lo Stato interviene nello stesso
periodo con vigore a difesa delle nascenti (e
molto deboli) industrie; tutto avviene con un
aumento considerevole della spesa pubblica.
…Il Neoclassicismo
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Arriviamo così all’economia del benessere, quel filone della teoria economica che valuta il gradimento sociale di situazioni economiche alternative. L’economia del benessere, trae origine da un’opera dell’economista Pigou ma è l’italiano Pareto che la rende organica definendone i criteri fondamentali:
l’efficienza e l’equità
Criteri che oggi, a distanza di un secolo, ritroviamo su due livelli differenti e con maggiore sofisticazione, nell’analisi della determinazione, per l’azienda pubblica, del valore pubblico.
Economia del Benessere - XIX-XX secolo
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ARTHUR PIGOU
Ritiene che il benessere sociale coincida con il reddito e pertanto con il benessere economico, e il reddito così come ogni altro bene economico, ha un’utilità marginale decrescente. Per tale motivo egli dice che una politica redistributiva, che sposta il reddito dalle fasce più ricche a quelle più povere della popolazione, accresce inevitabilmente il benessere sociale. Tutto questo a patto di non ridurre il volume complessivo del reddito.
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VILFREDO PARETO
Per Pareto è stato sufficiente dimostrare
che un sistema è efficiente se non è
possibile aumentare il benessere di un
individuo senza diminuire il benessere di
qualcun altro.
29
Egli fissa in tre condizioni l’efficienza:
• efficiente combinazione dei fattori
produttivi,
• l’ottima combinazione del prodotto
• massima efficienza negli scambi.
Con queste tre condizioni, la società
raggiunge la frontiera della possibilità,
costituita dalle infinite combinazioni che
assicurano l’efficiente allocazione delle risorse
disponibili.
…Pareto
30
I tentativi di Pigou non hanno trovato,
nel contesto storico ed economico di inizio
diciannovesimo secolo, il favore degli
studiosi. In particolar modo è stato
contestata l’impossibilità di comparare le
variazioni di benessere tra persone diverse;
per tale motivo ogni giudizio su una politica
redistributiva non può essere frutto che di
un giudizio di valore.
Pigou
31
L’influenza maggiore sulla politica neoclassica appartiene senza ombra di dubbio all’economista Say. La legge di Say afferma che l’offerta di beni crea la domanda e pertanto non può esserci sovrapproduzione rispetto alla domanda per un lungo periodo di tempo.
Say
32
Secondo questa teoria, se su un mercato c’è
un’insufficienza di domanda, è necessario
ammettere che su qualche altro mercato c’è
un’insufficienza dell’offerta.
…Say
33
Se la legge di Say è considerata
accettabile, non si può non dedurre che tutto
quello che viene prodotto è certamente venduto,
a qualsiasi livello complessivo di produzione.
S’intende pertanto che l’azienda ha sempre
interesse a produrre al massimo della capacità
del sistema economico; l’unico limite potrebbe
essere dato dalla forza lavoro disponibile.
…Say
34
Egli ha liquidato la legge di Say, affermando che in un sistema capitalistico, la moneta non è solo mezzo di scambio, ma anche capitale.
In un sistema di questo tipo, non tutta la moneta riscossa viene spesa.
•coloro che hanno redditi appena sufficienti ai loro bisogni, utilizzano tutta la moneta disponibile;
•coloro che invece hanno redditi elevati, non spendono tutto subito ma risparmiano in attesa di situazioni maggiormente vantaggiose.
Poiché gli imprenditori acquistano beni strumentali quando ritengono ci sia convenienza, ne consegue che non sempre si verifica la legge di Say.
CARLO MARX - XIX secolo
35
Marx, variamente giudicato, criticato, al
tempo stesso osannato e detestato,
rappresenta il primo grande esempio di
quanto una teoria economica possa incidere
sulla costruzione di nuove politiche che a
loro volta caratterizzano l’intero
funzionamento del sistema economico,
privato e pubblico.
…Marx
36
Egli mostra l’analogia che esiste tra
situazioni in cui l’appropriazione di
plusvalore è sancita politicamente o in cui è
riconosciuta di fatto, come “nella forma
capitalistica di sfruttamento”
…Marx
37
Nel diciannovesimo secolo, per Marx, il problema
economico non consiste nel dimostrare
l’appropriazione, bensì nel conciliarla con la
legge del valore: nello spiegare, in altri termini,
come essa si verifichi nel regno della concorrenza
e della “mano invisibile” di Adam Smith del
secolo precedente, sino a quel momento punto di
riferimento del liberismo economico
…Marx
38
Verso la fine del secondo libro del capitale,
prima di affrontare la questione del prezzo e
del valore, Marx sviluppa il concetto delle
due principali sezioni della produzione
sociale e l’analisi dei loro rapporti.
L’attenzione si concentra in questa fase nella
connessione con i rapporti strutturali dello
sviluppo economico.
…Marx
39
Con Keynes si arriva ad un’unica soluzione:
“se il mercato si dimostra incapace di raggiungere autonomamente l’equilibrio, occorre che lo Stato svolga un ruolo più attivo nella vita economica”.
In sostanza, per Keynes, la finanza pubblica deve agire sul sistema economico trasformandosi da semplice attività di raccolta di denaro per affrontare la spesa, in un’attività di direzione politica e sociale. In quest’accezione (senza dubbio molto forte) si è anche parlato di finanza funzionale come strumento di programmazione e sviluppo.
JOHN MAYNARD KEYNES - prima metà del XX secolo
40
Keynes ha pertanto ritenuto che la finanza
pubblica potesse eliminare gli squilibri
territoriali, correggere gli andamenti dei
cicli economici, incrementare il reddito
nazionale, mantenere in pieno regime
occupazionale le varie forme di produzione e
infine prevedere le esigenze delle
generazioni future.
…Keynes
41
La tesi dominante di Keynes è che un deficit
di bilancio determina comunque effetti
espansionistici per il sistema economico,
anche se finanziato attraverso
l’indebitamento dello Stato (ovviamente
senza l’emissione di carta moneta addizionale
che invece provocherebbe effetti
inflazionistici).
…Keynes
42
Nella visione degli economisti classici, la politica di bilancio era semplicemente un mezzo straordinario d’intervento pubblico; per i keynesiani, diventa lo strumento permanente dell’attività finanziaria dello Stato. Il meccanismo che per Keynes consente la regolazione dei cicli economici è il moltiplicatore che stimola il sistema economico in periodi di crisi e rallenta l’espansione nelle fasi di boom.
…Keynes
43
Nell’impostazione Keynesiana, l’assenza di
investimenti privati in periodi di crisi
economica può essere compensata da un
aumento della spesa pubblica, che grazie
all’effetto del moltiplicatore, può stimolare
una crescita dell’intero sistema economico
del Paese.
…Keynes
44
Nel modello di Keynes il reddito nazionale è
dato dalla somma di tre differenti componenti:
•la domanda di consumi indispensabili indicata con
Co;
•la domanda per consumi strettamente legata al
reddito indicata con cY;
•gli investimenti, influenzati dal tasso d’interesse (i)
e dalle aspettative degli imprenditori (a), sono
indicati con I(i,a).
Y= Co + cY + I (i,a)
…Keynes
45
Se si indica con A la parte della domanda non
legata al reddito e quindi Co e I (i,a), si
potrebbe scrivere la formula precedente con:
Y= cY + A, anche invertendo l’equazione con
Y-cY= A
…Keynes
46
La spesa pubblica è una componente della
domanda aggregata poiché risponde
prevalentemente a esigenze di carattere
politico; la conseguenza è che un incremento
della spesa, attraverso il moltiplicatore,
determina un aumento del reddito.
…Keynes
47
Per Keynes, la spesa non deve pertanto essere finanziata con l’emissione di carta moneta, al fine di evitare effetti inflazionistici, ma solo attraverso deficit spending, convertendo i risparmi in investimenti; oppure facendo ricorso al tradizionale sistema della tassazione riducendo però gli effetti del moltiplicatore.
…Keynes
48
Dopo lo shock petrolifero del 1973, anche le
teorie di Keynes sono apparse poco valide e in
alcuni casi assolutamente inadeguate.
La comparsa sullo scenario della stagflazione,
ovvero della contemporanea presenza di
inflazione e stagnazione ha, di fatto,
determinato un ripensamento delle nuove
finalità dell’intervento pubblico.
…Keynes
49
La critica più dura alle teorie Keynesiane è
arrivata dalla cosiddetta scuola monetarista
nata a Chicago.
Per i monetaristi, le grandezze monetarie non
influenzano le grandezze reali ed il sistema
economico è sempre in grado di assicurare il
pieno impiego dei fattori produttivi.
I MONETARISTI
50
Per molti, la teoria monetarista è una riproposizione raffinata e meglio articolata della teoria neoclassica. L’esponente di maggior rilievo della scuola monetarista è sicuramente Friedman, che a chiare lettere dice che l’inflazione è sempre un fenomeno monetario.
L’unico obiettivo raggiungibile attraverso una politica monetaria è quello del controllo dell’inflazione attraverso il controllo del tasso di incremento annuo della quantità di moneta.
I MONETARISTI
51
Per quanto concerne invece le politiche
fiscali, per i monetaristi, la spesa pubblica
aumenta in corrispondenza delle entrate
fiscali disponibili e pertanto, è opportuno
intervenire con tagli fiscali come mezzo di
riduzione della spesa pubblica.
I MONETARISTI
52
Questo pensiero ha certamente influenzato
numerosi interventi di politica economica
soprattutto negli USA nel periodo
dell’amministrazione Reagan (che ha
proceduto a una riduzione delle imposte ancor
prima di diminuire la spesa) e in Inghilterra
durante i governi Thatcher.
I MONETARISTI
53
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha spesso imposto, negli anni ’80 un maggior controllo della politica monetaria e fiscale. Si può tranquillamente asserire che l’analisi delle esperienze dimostra come la politica monetaria riduca certamente l’inflazione, producendo facilmente recessione. Infatti, la riduzione dell’inflazione in Inghilterra nel periodo 1980-1985 e quella degli USA tra il 1981 e il 1986, sono state seguite da profondissime recessioni.
I MONETARISTI
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Negli anni ’80 si sviluppa la nuova macroeconomia classica, che riprende le tematiche portanti del pensiero economico classico, inserendolo in un contesto macroeconomico. Questa scuola che annovera tra i maggiori esponenti Robert Lucas negli Stati Uniti e Patrick Minford in Inghilterra, porta alle estreme conseguenze le idee dei monetaristi concentrando l’attenzione su due aspetti particolari del sistema economico come la flessibilità dei salari e dei prezzi e il ruolo delle aspettative razionali nell’influenzare l’operato dei soggetti economici.
LA MACROECONOMIA CLASSICA
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Mentre i monetaristi ammettono che la
flessibilità dei prezzi e dei salari c’è nel lungo
periodo ma nel breve è possibile avere una
situazione di squilibrio temporaneo, gli
economisti della macroeconomia classica
negano la possibilità che il sistema economico
possa essere in squilibrio anche nel breve
periodo; pertanto ogni livello di disoccupazione
che si realizza nel sistema economico
rappresenta un tasso di disoccupazione di
equilibrio o di disoccupazione volontaria.
LA MACROECONOMIA CLASSICA
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Sempre negli anni ottanta, c’è stata una
scuola di pensiero che ha vissuto un momento
di grande notorietà.
E’ la scuola che ha accomunato diversi
economisti (Laffer e Boskin tra tutti), meglio
conosciuta come ECONOMIA DELL’OFFERTA.
L’ECONOMIA DELL’OFFERTA
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L’idea centrale è costituita dalla convinzione
che la crescita economica è determinata da
fattori reali e non monetari; la crescita è
pertanto influenzata da fattori propri del
mercato come:
•la mobilità dei lavoratori,
•il tasso di crescita della popolazione,
•l’utilizzo di un’efficiente combinazione
produttiva che impattano sul settore reale.
…Economia dell’offerta
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La supply side ha pertanto ripreso gli
argomenti del cosiddetto liberismo
economico, affermando che quando vi è il
perfetto funzionamento del mercato, c’è una
conseguente piena occupazione ed una
crescita del sistema.
…Economia dell’offerta
59
Questa teoria è stata, come del resto è accaduto
anche alle altre, diffusamente e variamente
interpretata.
Ed allora ci si è ritrovati con casi differenziati: da un
lato casi con misure di politica economica
caratterizzate da immediata riduzione del prelievo
fiscale e vendita di aziende dello stato, dall’altro
interpretazioni che hanno dimostrato che l’obiettivo
della crescita non implica necessariamente la
cessione delle imprese pubbliche.
…Economia dell’offerta
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L’azienda pubblica, può infatti raggiungere
l’obiettivo di una crescita del sistema
economico purché la sua esistenza sia
coerente con le trasformazioni del sistema e
con le esigenze del mercato.
L’AZIENDA PUBBLICA
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1. I sistemi economici condizionano le determinanti del funzionamento delle amministrazioni pubbliche;
2. Le teorie economiche vivono in simbiosi con le altre determinanti caratterizzanti un Sistema Paese e ne subiscono a loro volta i condizionamenti;
3. Sin dalla nascita delle prime teorie, l’oggetto di analisi, valutazione e critica è comunque stato il comportamento del soggetto pubblico.
L’AZIENDA PUBBLICA
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Pur non mancando coloro che sottolineano come l’intervento pubblico comporti necessariamente effetti negativi, è bene evidenziare che invece lo scopo dell’intervento pubblico nella vita economica è semplicemente quello di accrescere il benessere collettivo; ed è su questo che va valutata l’azione pubblica e il funzionamento delle amministrazioni.
L’INTERVENTO PUBBLICO
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E’ possibile riassumere le moderne teorie
politico-economiche dello Stato in tre
principali tipi di intervento pubblico
nell’economia:
• la redistribuzione dei prodotti;
• la stabilizzazione macroeconomica;
• la regolazione del mercato.
L’INTERVENTO PUBBLICO
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La redistribuzione include tutti i trasferimenti
di risorse da un gruppo di individui, di
imprese, di enti locali, regioni o Paesi verso
altri gruppi, altri territori, altri Paesi; così
come anche l’offerta di beni cosiddetti
meritori, quali l’istruzione primaria, le
assicurazioni sociali, i servizi sanitari e tanti
altri beni simili, sono parte integrante della
redistribuzione.
LA REDISTRIBUZIONE
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La stabilizzazione macroeconomica tenta di
raggiungere e sostenere livelli
soddisfacenti di crescita economica e e di
occupazione; gli strumenti principali sono la
politica fiscale e quella monetaria, insieme
con la politica del mercato del lavoro e
quella industriale.
LA STABILIZZAZIONE MACROECONOMICA
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Le politiche di regolazione del mercato sono
finalizzate alla correzione dei vari tipi di
“fallimento del mercato” come:
• gli effetti del monopolio,
• l’informazione incompleta,
• le esternalità negative,
• l’insufficiente offerta di beni pubblici e
così via.
LA REGOLAZIONE DEL MERCATO
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Da questo punto di vista va sottolineata la
nascita e la crescita, nel mondo anglosassone,
della scuola delle cosiddette “scelte
pubbliche” conosciuta come PUBLIC CHOICE.
Il punto chiave della scuola di public choice è
la convinzione che tutti gli operatori politici
operano come dei soggetti economici
LA PUBLIC CHOICE
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Per tale impostazione, l’elettore cerca sempre
di far fruttare al meglio la propria scelta
politica, così come il politico tenta di
massimizzare il consenso attraverso l’adozione
di specifiche policies.
LA PUBLIC CHOISE
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L’obiettivo più importante delle analisi di public choice è lo studio dei comportamenti degli operatori coinvolti a vario titolo nell’assunzione di determinate scelte politiche e della loro influenza sui diversi livelli finanziari (entrate e spese) dello Stato.
I soggetti sono ovviamente
•i gruppi di pressione
•le imprese, i sindacati
•la burocrazia
•i politici
•gli stessi elettori
LA PUBLIC CHOISE
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Questa impostazione in qualche modo cambia
ancora l’impostazione di tipo Keynesiano che
vede lo Stato come soggetto che opera al fine
di massimizzare il benessere della collettività.
La public choice consente di rileggere
complessivamente il ruolo dell’attore pubblico
territoriale e le riforme in fase di attuazione.
LA PUBLIC CHOISE
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