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Appunti di acustica con esperimenti da effettuare nelle scuole secondarie
Isidoro Ferrante
Fisica e musica Fisica e musica sono legati da legami profondi: prima di essere espressione artistica, il suono è un fenomeno
della natura complesso. Gli strumenti musicali sono a loro volta complessi sistemi vibranti, le cui proprietà,
sebbene stabilite empiricamente nel corso dei secoli, sono giustificabili tramite le leggi della fisica. Anche le leggi
dell’armonia sono giustificabili sulla base di principi fisici, supportati da motivazioni biologiche e psicologiche. In
questa lezione vengono spiegati alcuni fenomeni sonori, e vengono proposti semplici esperimenti e misure che
permettono di verificarne il funzionamento.
Il suono Il suono è una vibrazione delle molecole dell’aria che si propaga da una molecola all’altra sotto forma di onde. Le
vibrazioni delle molecole non avvengono indipendente l’una dall’altra, ma collettivamente, e generano nell’aria
oscillazioni di densità e pressione che si espandono a velocità definita.
La velocità con cui viaggia il suono è comunemente indicata con il simbolo cs (c è l’iniziale ella parola latina
celeritas), e dipende dalla temperatura dell’aria, dalla sua composizione (e quindi in particolare dalla
concentrazione di vapore acqueo) ma non dalla pressione.
A temperatura ambiente standard, in assenza di umidità, la velocità del suono è di circa 344 m/s, ma in
condizioni particolari di umidità e temperatura può variare tra 330 e 350 m/s.
Una misura della velocità del suono può essere effettuata con grande semplicità tramite un computer,
adoperando una “linea di ritardo” costituito da un tubo di gomma di una decina di metri di lunghezza avvolto su
sé stesso, in modo che le estremità si trovino a piccola distanza tra di loro. Oltre al tubo, serve solamente un
computer dotato di microfono ed un programma che
permette di registrare e visualizzare i suoni (ad
esempio Audacity). Si piazza il microfono davanti ad
una delle estremità, e si produce un suono secco e
rapido in corrispondenza dell’altra dopo avere avviato
la registrazione (basta schioccare le dita o battere le
mani).
In questo modo al microfono giungeranno sia il suono
diretto, ovvero quello che dalla sorgente giunge
direttamente al microfono, e quello ritardato, che ha Figura 1 Schema della misura della velocità del suono
attraversato il tubo in tutta la sua lunghezza. Quest’ultimo sarà anche deformato, a causa delle riflessioni interne
al tubo, ma comunque riconoscibile.
Vediamo un esempio in questa figura:
Figura 2 Suono registrato dal microfono. Si nota l'impulso diretto e quello che ha attraversato il tubo, fortemente deformato
Possiamo misurare il ritardo tra l’arrivo del primo e del secondo suono aiutandoci con il cursore: vediamo dalla
figura che questo risulta uguale a 46 msec. Il tubo adoperato era lungo circa 16 m, mentre la distanza diretta tra
la sorgente ed il microfono era di circa 50 cm: la velocità che corrisponde al ritardo misurato risulta pertanto:
𝑐𝑠 = (16 − 0,50)/0,046 ≅ 337 m/s
che è un valore perfettamente in linea con quanto atteso, soprattutto se si tiene conto degli errori nella misura.
Vibrazioni Le onde sonore sono prodotte dalle vibrazioni di oggetti estesi che colpiscono le molecole d’aria circostanti. Per
parlare di suono, dobbiamo cominciare a studiare le vibrazioni.
Il più semplice moto oscillatorio è quello detto moto armonico semplice: è il moto di un pendolo, o quello di un
oggetto attaccato ad una molla. Per descrivere il moto armonico semplice, si comincia col considerare un
oggetto avente una posizione di equilibrio stabile: questo vuol dire che spostando l’oggetto dalla posizione di
equilibrio di una certa quantità x, si genera una forza che tende a riportarlo indietro verso il punto di equilibrio.
Se questa forza è proporzionale allo spostamento, ovvero se è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza dal
punto di equilibrio, allora la forza è detta elastica. In formule:
𝐹 = −𝑘𝑥
Dove il segno – sta ad indicare che la forza è in direzione opposta allo spostamento, e la costante k è detta
costante elastica.
Un corpo soggetto ad una forza elastica ha equazioni del moto:
𝐹 = 𝑚𝑎 = −𝑘𝑥
La legge oraria che soddisfa questa equazione del moto è della forma:
𝑥(𝑡) = 𝐴 sin(2𝜋𝑓 𝑡 + 𝜑)
La quantità è detta fase: ai nostri scopi non è interessante, e quindi non ne parleremo; la quantità A è detta
ampiezza, ed è uguale al massimo spostamento del corpo dalla posizione di equilibrio; infine f è la frequenza del
moto, ovvero il numero di oscillazioni compiute in un secondo.
La frequenza f sarà centrale nei nostri ragionamenti. L’inverso della frequenza è detto periodo dell’oscillazione,
ed indica il tempo impiegato per compiere una oscillazione: T=1/f. La frequenza di oscillazione si misura in cicli di
oscillazioni al secondo, unità a cui viene dato il nome di Hertz. Un periodo di 1 millisecondo corrisponde quindi a
1000 oscillazioni al secondo, ovvero ad una frequenza di 1000 Hz
Il moto armonico semplice è il mattone su cui viene costruita la teoria delle vibrazioni: vedremo che ogni
vibrazione, più complessa, può essere descritta a partire da una somma di moti armonici semplici.
Il suono prodotto da un oggetto che i muove di
moto armonico semplice è detto suono puro. I
suoni perfettamente puri sono quasi tutti
artificiali, ma esistono oggetti in grado di
produrre suoni molto puri, come ad esempio il
diapason o il flauto dolce.
Modi di oscillazione di un oggetto esteso Consideriamo un oggetto più complicato: due pendoli identici collegati da una molla. Un oggetto di questo tipo
può oscillare in due modi: i due pendoli possono andare dalla stessa
parte, oppure da parti opposte. Nel primo caso, la molla non interviene
nel moto, e la frequenza rimane invariata; nel secondo caso la molla si
comprime e si allunga, e fornisce una forza aggiuntiva che determina un
moto più rapido dei due pendoli.
Ciascuna delle due oscillazioni però costituisce un moto armonico
semplice.
Generalizzando, quando si considera un oggetto esteso, composto da più parti, si possono formare diversi modi
di vibrazione. Ognuno di questi modi è un moto armonico semplice, ed ognuno ha una sua frequenza, in
principio diversa da quella degli altri modi.
Il numero di modi di oscillazione di un oggetto esteso è in teoria infinito: in realtà, solamente i modi di frequenza
più bassa sono importanti.
Quando un oggetto viene posto in vibrazione, ad esempio colpendolo o pizzicandolo, tutti questi modi si
mettono in vibrazione contemporaneamente: il suono prodotto sarà quindi la somma di tanti suoni puri. Il suono
a frequenza più bassa è detto fondamentale, mentre gli altri, posti in ordine di frequenza crescente, sono detti
parziali.
Possiamo dividere i suoni prodotti da un oggetto esteso in due grandi categorie:
1. Suoni armonici
Sono suoni in cui le parziali hanno frequenze che sono multipli intere della frequenza fondamentale F0:
le parziali, dette in questo caso armoniche, hanno pertanto frequenza 2F0, 3F0, 4F0 etc.
Le vibrazioni che generano suoni armonici sono vibrazioni periodiche, che si ripetono identiche dopo un
tempo T=1/F0. I suoni armonici sono percepiti come un suono unico: l’orecchio non è in grado di
distinguere le varie armoniche. Producono un suono di questo tipo la voce umana (le vocali), le corde
vibranti, gli strumenti a fiato, anche se la vibrazione non è mai perfettamente periodica e cambia
leggermente in ampiezza e\o frequenza.
2. Suoni enarmonici
Anche i suoni enarmonici sono la somma di suoni puri di frequenza diversa: ma stavolta la relazione tra
le parziali non è così semplice come nel caso dei suoni armonici, anzi può risultare molto difficile da
comprendere. I suoni enarmonici possono essere percepiti come un unico suono dall’orecchio umano,
Figura 3 Moto armonico semplice. Nella figura si ha una oscillazione di ampiezza 0,9, periodo 1 s e frequenza 1 Hz.
Figura 4 I due modi di oscillazione di un pendolo accoppiato
ma possono anche essere percepiti come somma di suoni diversi, come accade nel caso del gong.
Producono suoni enarmonici quasi tutti gli strumenti a percussione.
Suoni casuali Oltre ai suoni puri, armonici ed enarmonici esistono anche quelli casuali, prodotti da vibrazioni imprevedibili,
come quelle che si ottengono sfregando tra loro due superfici ruvide, o versando un barattolo di fagioli secchi, o
soffiando contro il microfono. Suoni di questo tipo sono ad esempio le consonanti s ed f, in rumore della
pioggia, il suono delle maracas.
Volume ed ampiezza La sensazione di volume di un suono è legata alla ampiezza delle oscillazioni di pressione dell’aria. A parità di
ampiezza, però, può capitare che un suono complesso sia percepito più intensamente di un suono puro, o che la
sensazione di volume dipenda anche dalla frequenza. La sensazione di volume è una sensazione logaritmica:
ovvero, due sorgenti non danno l’impressione di volume doppio, ma di un aumento minore.
Per questo motivo, piuttosto che utilizzare l’ampiezza, si preferisce definire una intensità sonora a partire dal
logaritmo dell’ampiezza delle oscillazioni di pressione. Questa definizione però non va bene, perché cambiando
le unità di misura della pressione cambierebbe anche il suo logaritmo. Quindi deve essere specificata anche
l’unità di misura, in corrispondenza della quale l’intensità vale zero. Una scelta comune, è quella di prendere
come unità di misura la minima ampiezza di pressione udibile. Con questa scelta, l’intensità del suono viene
definita come:
𝐼𝑑𝐵 = 20 log10 (𝑃
𝑃𝑚𝑖𝑛)
Ovvero 20 volte il logaritmo in base dieci del rapporto tra la massima variazione di pressione e la minima
pressione udibile, pari per convenzione a 20 microPascal. Nel seguito, non adopereremo molto il concetto di
intensità, per cui rimandiamo ad altri testi per gli approfondimenti.
Altezza e frequenza L’altezza di un suono è una sensazione ben precisa, prodotta dal cervello in risposta allo stimolo sonoro. Si può
facilmente verificare, toccando ad esempio un altoparlante, che suoni gravi corrispondono a vibrazioni lente,
mentre suoni acuti corrispondono a vibrazioni rapide. Si può sperimentare che, per suoni puri, la sensazione di
altezza è legata alla frequenza, ovvero al numero di vibrazioni effettuate in un secondo. Per vibrazioni più
complesse, il legame non è così semplice, e può dipendere dalla psicologia del fenomeno uditivo.
L’orecchio è sensibile a frequenze comprese tra circa 20 e 20.000 Hz. Al di sotto di 20 Hz, le vibrazioni vengono
percepite singolarmente, e non si ha la sensazione di un suono. Il limite superiore, invece, è un limite estremo
raggiungibile solo da alcuni individui in giovane età: solitamente, il limite per un adolescente si colloca intorno ai
16.000 Hz, mentre per una persona matura senza problemi particolari può scendere anche fino a 10.000 Hz.
Vediamo qualche esempio:
• La tensione della rete elettrica domestica oscilla con una frequenza di circa 50 Hz. Questo produce nelle
apparecchiature connesse alla rete un ronzio facilmente udibile, di frequenza pari a 50 o 100 Hz, a
seconda del tipo di apparecchiatura.
• Il tasto più basso del pianoforte oscilla a circa 28 Hz.
• La voce parlata di un uomo adulto ha una frequenza intorno a 100-1500 Hz; quella femminile una
frequenza pressappoco doppia.
• Il La centrale del pianoforte ha una frequenza di 440 Hz. Il suono di centrale di un telefono ha una
frequenza intorno a 450 Hz.
• Intorno ai 1000 Hz l’orecchio ha un massimo della sensibilità.
• La voce parlata, per consentire il riconoscimento delle vocali, deve contenere frequenze fino a circa
3000 Hz.
• Il tasto più acuto del pianoforte ha una frequenza di circa 4190 Hz.
• La maggior parte dei suoni prodotti da una orchestra ha frequenza massima di circa 10.000 Hz.
Le frequenze maggiori non sono udibili da tutti, e spesso risultano in suoni fastidiosi. Sono comunque presenti
nel suono di molti strumenti, e a volte servono a caratterizzarne il timbro.
Anche i suoni armonici producono una sensazione di altezza ben definita: questa è legata alla frequenza della
fondamentale e non dipende dalle armoniche.
I suoni enarmonici, invece, non hanno in generale una altezza precisa, come nel caso del tamburo, del triangolo
o dei piatti. In di casi particolari, è possibile ricorrere ad espedienti che rendono l’altezza chiaramente
percepibile: questi vengono sfruttati nella costruzione di strumenti musicali come lo xilofono, la marimba o i
timpani.
I suoni casuali non hanno, in generale, una altezza ben definita, e vengono adoperati solamente nelle sezioni
ritmiche (maracas, “caccavella”, etc.)
Timbro e spettro: Il teorema di Fourier Il teorema di Fourier fornisce un metodo per scomporre ogni vibrazione, e quindi ogni suono, in una somma di
vibrazioni armoniche semplici aventi ognuna una propria frequenza ed ampiezza. Una volta scomposto il suono,
è possibile effettuare un grafico, in cui in ascissa va la frequenza del suono, ed in ordinata l’ampiezza
corrispondente: la figura ottenuta è detta spettro della vibrazione o del suono.
Il concetto di timbro di un suono è legato al concetto di spettro: suoni aventi uno spettro simile presentano
timbri simili. Tuttavia, nel definire il timbro, intervengono altri fattori, come ad esempio il cosiddetto “tempo di
attacco”, ovvero la fase iniziale in cui il suono si forma.
I suoni si possono classificare anche con l’aiuto del loro spettro:
1) I suoni puri hanno uno spettro costituito da un picco isolato in corrispondenza della frequenza del
suono.
2) I suoni armonici presentano uno spettro “a pettine”, formato da tante righe equispaziate, una per ogni
armonica. Occasionalmente, possono mancare una o più righe nello spettro. Raramente può risultare
assente anche la fondamentale.
3) I suoni enarmonici presentano una serie di righe, che però non risultano equispaziate.
4) I suoni casuali presentano infine uno spettro senza righe.
Per osservare l’evoluzione temporale dello spettro di un suono, si ricorre ad un tipo di rappresentazione detto
spettrogramma: nello spettrogramma sono presenti due assi, quello del tempo (solitamente in ascissa) e quello
delle frequenze. L’ampiezza di ogni frequenza viene resa graficamente tramite una scala di colori, in cui il blu
corrisponde a zero, ed il rosso all’ampiezza massima misurabile. In questo modo è possibile seguire l’andamento
di una melodia o anche dell’intonazione di una frase.
Esistono molti programmi in grado di mostrare in tempo reale gli spettri dei suoni: personalmente consiglio
Friture, per Windows e Linux, e Sound Analyzer per Android, entrambi in grado di mostrare in tre finestre
contemporaneamente la forma dell’onda registrata, lo spettro e lo spettrogramma.
Anche Audacity è in grado di fornire spettro e spettrogramma, ma solamente per suoni precedentemente
registrati: è pertanto adatto per una analisi offline accurata. Un programma molto buono, adoperato per le
figure del prossimo capito, è WaveSurfer.
Esempi Vediamo adesso alcuni esempi, per i qualsi è stato adoperato il software wavesurfer.exe
Suono puro:
Il diapason genera un suono quasi puro, come si può notare osservando l’ingrandimento in alto a destra. La
finestra mostrata è di 1/100 di secondo a destra e a sinistra della linea rossa, e da ciascuna delle due parti si
possono contare circa 4 cicli di vibrazione: pertanto in un secondo si avranno intorno a 450 cicli, cioè la
frequenza è circa 450 Hz. In realtà, come si potrebbe andare a vedere esaminando in dettaglio lo spettro in
basso a destra, la frequenza vera è di esattamente 440 Hz, corrispondente al La centrale. Lo spettro mostra
anche la presenza di una riga di frequenza doppia, ad 880 Hz, corrispondente alla seconda armonica del suono:
questo dimostra che il suono non è esattamente puro.
Figura 5 Suono prodotto dal diapason
Suono armonico.
Nella figura seguente viene mostrato il suono della seconda corda di un violino, suonata a vuoto. Il suono del
violino è quasi periodico, quindi consiste in una vibrazione che si ripete ad intervalli regolari. L’inserto in alto a
destra della figura, che mostra un ingrandimento della forma d’onda, mostra bene questa proprietà. Lo spettro
di un suono di questo tipo è formato da tante linee equispaziate, come si vede nell’inserto in basso a destra: la
fondamentale si trova a circa 440 Hz, che corrisponde alla nota La.
Lo spettrogramma mostra che la nota suonata è stabile.
Figura 6 Suono della seconda corda del violino suonata a vuoto
Suono anarmonico.
Nella figura successiva è mostrato il suono di un gong. Il gong produce un suono anarmonico: come si vede
dall’ingrandimento della forma d’onda, non sono presenti evidenti regolarità nelle oscillazioni. Lo spettro è
costituito da tante linee, ma queste non mostrano una particolare regolarità, come nel caso del violino. Infine, si
nota che il suono si smorza, ovvero la sua ampiezza diminuisce gradatamente. L’intensità delle frequenze più
alte è inizialmente maggiore di quelle più basse, ma diminuisce rapidamente, per cui dopo un po’ rimangono
solo le frequenze più basse. Come si vede, non esiste una frequenza che spicca sulle altre, pertanto non è
possibile individuare una nota ben precisa. Tuttavia, al passare del tempo, la maggior parte delle frequenze
scompare, ed alla fine rimane una nota bassa ben distinguibile.
Figura 7 Suono del gong
Suono casuale.
Infine, nella figura seguente, è mostrato un suono casuale, ottenuto registrando il rumore all’uscita di un
condotto dell’aria condizionata. Come si vede, l’andamento è estremamente irregolare: nell’ingrandimento si
vede come il suono sia la combinazione di una oscillazione casuale lenta di grande ampiezza, più una oscillazione
più rapida di piccola ampiezza: entrambi le oscillazioni sono però casuali. Lo spettro, infatti, mostra che non sono
presenti picchi, quindi nessuna oscillazione domina rispetto alle altre. Un suono di questo tipo non avrà mai una
altezza definita, anche se verrà percepito come un rombo grave.
Figura 8 Rumore registrato all'uscita di un condotto dell'aria condizionata.
Lo spettrogramma
Negli esempi visti finora, la frequenza del suono rimaneva stabile, mentre l’ampiezza variava. Vediamo adesso
un esempio di un suono in cui varia anche la frequenza. Quello che segue è lo spettrogramma del vocalizzo di un
soprano, senza l’accompagnamento dell’orchestra. Si vede come la frequenza della voce cambia rapidamente,
dando luogo ad un fenomeno detto vibrato.
Figura 9 Spettrogramma del vocalizzo di un soprano
La scala musicale. L’origine della scala musicale viene fatta risalire a Pitagora, anche se si tratta probabilmente di una leggenda.
Pitagora parte da uno strumento musicale semplice, formato da una sola corda, usualmente detto monocordo. Il
monocordo è formato da una corda tesa con tensione data, su una cassa di risonanza.
La corda ha una lunghezza L, ma la parte vibrante può essere accorciata bloccandone una parte, ad esempio
tramite un ponticello. Pitagora comincia con l’osservare che dimezzando la lunghezza della corda, la nota che si
ottiene fornisce all’orecchio una sensazione molto simile a quella ottenuta con la corda intera, al punto che,
ascoltando contemporaneamente la nota della corda intera e quella della corda dimezzata, queste vengono
confuse dall’orecchio. Alle due note viene dato lo stesso nome, e si dice che queste si trovano a distanza di una
ottava.
Pitagora continua pizzicando la corda di lunghezza 2/3: si trova che in questo caso la nota ottenuta è fortemente
consonante, ovvero suona molto bene assieme, con la nota della corda a vuoto. L’intervallo tra le due note è
detto intervallo di quinta.
Infine, si considera la corda di lunghezza 3/4: anche in questo caso si ottiene una nota fortemente consonante
con la corda a vuoto, e l’intervallo è detto intervallo di quarta.
Si nota inoltre che partendo dalla lunghezza 2/3, e salendo di un intervallo di quarta, ovvero accorciando
ulteriormente la corda a 3/4 del valore intermedio, si arriva a metà esatta (2/3 * 3/ 4 = 1/2): ovvero, un
intervallo di quarta più un intervallo di quinta danno un intervallo di ottava.
A questo punto, possiamo costruire la scala musicale: se la corda vuota è, ad esempio, un do, la corda a 2/3
suona un sol, mentre la corda di lunghezza ¾ suona il fa. Se da sol scendo di un intervallo di quarta, trovo
un’altra nota, il re. Salendo dal re di una quinta trovo il la, e scendendo nuovamente di una quarta trovo il mi.
Salendo infine di una quinta si trova il si, che è la settima ed ultima nota della scala musicale.
La situazione è riassunta nella figura:
Figura 10 Costruzione della scala pitagorica. I rapporti si riferiscono alla lunghezza della corda.
Si nota che per passare da do al re, o dal re al mi, o ancora dal fa al sol dal sol al la o infine dal la al si, la corda
deve ogni volta essere accorciata agli 8/9 della sua lunghezza: a questo intervallo viene dato il nome di tono;
invece per passare dal mi al fa, o dal si al do, la corda deve essere accorciata a 243/256 della lunghezza: questo
intervallo è detto semitono, e corrisponde, uditivamente, a circa metà di un tono, in realtà un po’ di più. La scala
risulta quindi formata da dodici semitoni non perfettamente uguali tra di loro.
Nelle trattazioni moderne si preferisce ragionare in termini di frequenza, ovvero di numero di vibrazioni al
secondo della corda. Visto che la frequenza di vibrazione della corda è inversamente proporzionale alla
lunghezza, si ha che:
• Salire di un’ottava corrisponde a raddoppiare la frequenza.
• Salire di una quinta corrisponde a moltiplicare la frequenza per 3/2.
• Salire di una quarta corrisponde a moltiplicare la frequenza per 4/3
• Salire di un tono corrisponde a moltiplicare la frequenza di 8/9
• Salire di un semitono corrisponde a moltiplicare la frequenza per 243/256.
Il metodo adoperato per suddividere l’ottava in toni e semitoni è detto temperamento. Quello descritto è il
temperamento pitagorico. Nel corso dei secoli sono stati adoperati vari tipi di temperamento, il più famoso dei
quali è il cosiddetto temperamento naturale, che introduce le note alterate (diesi e bemolle). A partire dal
Seicento si è però diffuso enormemente il cosiddetto temperamento equabile.
La scala moderna. Il temperamento equabile, utilizzato negli strumenti moderni, richiede che gli intervalli di semitono siano tutti
uguali tra di loro, ed i toni esattamente uguali a due semitoni: in questo modo, salendo di un semitono, la
frequenza di una nota viene moltiplicata per un certo numero r>1, mentre per salire di un tono bisogna salire di
un fattore r2. Visto che dodici semitoni formano una ottava, che corrisponde ad un raddoppio di frequenza,
bisogna avere r12=2, e quindi 𝑟 = √212
≅ 1.0595. Con questa scelta gli intervalli di quarta e di quinta risultano
leggermente stonati (infatti nella scala moderna l’intervallo di quarta corrisponde ad un fattore r4=1,3348,
mentre l’intervallo di quinta corrisponde a r7=1,4983), ma d’altro canto tutti gli intervalli rimangono uguali e
risulta facile cambiare tonalità.
Per fissare tutte le note della scala, basta fissare la frequenza di una di queste: per convenzione, si è deciso di
fissare il valore del la dell’ottava centrale del pianoforte (la3) alla frequenza di 440 Hz: a partire da questa,
salendo e scendendo di un semitono alla volta, si trovano tutte le note.
Verifichiamo con la tastiera Verifichiamo quanto appreso con uno strumento a tastiera: qui è stata adoperata una tastiera elettronica, che
non presenta problemi di accordatura. Con un piano, soprattutto se leggermente scordato, i risultati potrebbero
essere diversi.
Il suono della tastiera considerata appartiene alla categoria dei suoni armonici: è periodico, ha quindi una
frequenza ben definita data dalla fondamentale. Per misurare la frequenza possiamo ricorrere a diversi
programmi: qui ne presento due, uno su smartphone Android ed uno su PC. Per quanto riguarda lo smartphone,
esistono diverse applicazioni in grado di misurare la frequenza. Si trovano in genere cercando la parola chiave
tuner, cioè accordatore: attenzione, perché non tutte riportano la frequenza misurata in Hz: talvolta adoperano
la notazione musicale in centesimi di semitono.
Se invece disponiamo di un PC e di una connessione internet possiamo collegarci al sito
https://www.alexdemartos.es/wtuner/ ed abilitare il microfono.
La misura della frequenza di una nota non è eccessivamente precisa, si nota come già la cifra prima della virgola
balla all’interno di una stessa misura. Per evitare di appesantire questo testo, non sono state riportate le
incertezze di misura: si tenga presente però che l’incertezza sulla frequenza è di circa 1 Hz.
Ecco i risultati ottenuti sulla ottava centrale del pianoforte, arrotondati all’Hertz:
Nota Frequenza (Hz)
Do3 131
Do#3 139 1,061
Re3 147 1,058
Re#3 156 1,061
Mi3 165 1,058
Fa3 175 1,061
Fa#3 185 1,057
Sol3 196 1,059
Sol#3 208 1,061
La3 220 1,058
La#3 233 1,059
Si3 247 1,060
Do4 262 1,061
Vediamo che quanto detto prima è immediatamente verificabile: il rapporto tra le frequenze di due tasti
successivi è intorno a 1,06, entro la precisione della misura; il rapporto tra le frequenze del do e del do
successivo è 2, il rapporto tra il sol e il do è 1,496, molto vicino a 3/2, e infine il rapporto tra il fa e il sol è 1,334,
ovvero poco più di 3/4.
La corda vibrante Per capire il funzionamento degli strumenti a corda, possiamo adoperare una corda di grandi dimensioni, lunga
qualche metro, e poco tesa, in modo tale da rallentare il più possibile la frequenza di vibrazione.
Pizzicando una corda di questo tipo ad un estremo, si osserva chiaramente come il punto di piegatura si propaga
rapidamente da un estremo all’altro, dopodiché viene riflesso e torna indietro. Il moto della corda è pertanto
periodico, e il periodo del moto è uguale al tempo impiegato dall’impulso a percorrere due volte la corda, avanti
ed indietro. Questo tempo è dato dal doppio della lunghezza della corda diviso per la velocità dell’onda lungo la
corda. La formula che fornisce la velocità dell’impulso si ricava solitamente al secondo anno di università: si
trova che è uguale alla radice quadrata del rapporto tra la tensione N della corda, misurata in Newton, e la
massa m di un metro di corda, misurata in Kg:
𝑣 = √𝑁
𝑚
Per cui il periodo P risulta uguale a:
𝑃 = 2𝐿√𝑚
𝑁
E la frequenza fondamentale viene ad essere:
𝑓𝑓𝑜𝑛𝑑 =1
2𝐿√
𝑁
𝑚
Si ritrova il risultato ben noto, per cui aumentando la tensione T l’altezza del suono della corda aumenta, e lo
stesso accade diminuendone la lunghezza, oppure alleggerendo la corda.
Essendo il moto periodico, e quindi armonico, la corda vibra alla frequenza fondamentale, ma vibra anche alla
frequenza doppia, a quella tripla e ad ogni frequenza multipla della fondamentale.
Possiamo visualizzare il modo fondamentale della corda scuotendo una estremità ad una frequenza pari alla
fondamentale. Vediamo che la corda assume una forma simile alla prima della figura a lato. Aumentando la
velocità di scuotimento, cercando di raddoppiarla, si
vede che la corda assume una forma simile alla
seconda figura: le due metà della corda oscillano in
direzione opposta, mentre il punto centrale rimane
fermo. Il punto medio è detto nodo del modo,
mentre i punti in cui l’oscillazione è massima sono
detti ventri. Scuotendo più velocemente, possiamo
riuscire a triplicare la frequenza: in questo caso, la
corda appare divisa in tre parti uguali: le due
estreme oscillano in un verso, mentre quella
centrale oscilla in verso opposto; i due punti di
separazione, posti ad 1/3 e 2/3 , rimangono
pressoché immobili e costituiscono pertanto due
nodi. Se riuscissimo a quadruplicare la frequenza,
osserveremmo una figura simile alla quarta, con tre
nodi e quattro ventri. I modi di oscillazione mostrati
sono detti onde stazionarie, in quanto si tratta di
onde in cui le posizioni delle creste e delle valli non si
spostano lungo la corda, ma oscillano in alto ed in
basso.
Figura 11 Modi di vibrazione della corda tesa tra le due estremità.
L’oscillazione che si ottiene pizzicando la corda è la somma di tutti questi modi di oscillazione separati.
Misuriamo una chitarra. Guardiamo adesso in dettaglio una chitarra. La chitarra è uno strumento a sei corde. La tensione delle corde è
molto simile, come si può verificare ad esempio appendendo un piccolo peso al punto centrale della chitarra, e
osservando che ogni corda si piega più o meno della stessa quantità. Le corde sono anche della stessa lunghezza:
per questo motivo, le corde associate alle note più gravi sono più spesse, mentre quelle associate alle note più
acute sono più leggere. Le corde tese poggiano su una sbarretta detta ponticello, che poggia sulla cassa
armonica. Il compito del ponticello è quello di trasmettere le vibrazioni delle corde alla cassa armonica, che a sua
volta la trasmette all’aria circostante. Il compito della cassa di risonanza non è quello di amplificare il suono,
come spesso si dice, ma di rendere più efficiente la trasmissione delle vibrazioni all’aria circostante.
Le sei corde sono numerate da 1 a 6 dalla più acuta alla più grave, e sono accordate alle frequenze:
Corda Nota Frequenza F_n/F_n+1
6 Mi 82,41
5 La 110 1,33
4 Re 146,83 1,33
3 Sol 196,00 1.33
2 Si 246,94 1,26
1 Mi 329,63 1.33
Come si vede, il rapporto in frequenza tra due corde successive è circa 4/3, ovvero un intervallo di quarta. Fa
eccezione il rapporto tra la seconda e terza corda, che corrisponde ad un rapporto più piccolo, pari a 4 semitoni
(intervallo di terza maggiore).
Per eseguire una melodia, come è noto, bisogna bloccare la corda contro una successione di sbarrette in rilievo,
dette tasti, che si trovano lungo il manico. Cominciamo a misurare la distanza di ogni tasto dal ponticello.
Successivamente misuriamo la frequenza delle note prodotte in corrispondenza di ogni tasto. Il tasto 0
corrisponde alla corda libera. Per questa misura è stata adoperata la prima corda, in quanto frequenze più alte
consentono precisione maggiore.
Tasto Lunghezza (cm) Ln/Ln-1 Frequenza (Hz) Fn/Fn-1
0 54,7
333
1 51,5 0,941 354 1,063
2 48,6 0,944 375 1,059
3 45,9 0,944 397 1,059
4 43,3 0,943 421 1,060
5 40,7 0,940 446 1,059
6 38,4 0,943 474 1,063
7 36,3 0,945 502 1,059
8 34,2 0,942 534 1,064
9 32,3 0,944 563 1,054
10 30,5 0,944 599 1,064
11 28,7 0,941 634 1,058
12 27,1 0,944 673 1,062
13 25,5 0,941 719 1,068
14 24,1 0,945 758 1,054
15 22,7 0,942 803 1,059
16 21,4 0,943 852 1,061
17 20,2 0,944 908 1,066
18 19 0,941 962 1,059
Come si vede, i tasti non sono spaziati regolarmente, ma sono disposti in modo tale che il rapporto tra le
distanze di due tasti successivi sia sempre circa uguale a 0.94 Corrispondentemente, le frequenze aumentano
regolarmente del fattore 1.06, corrispondente ad un semitono, esattamente come succedeva nella tastiera.
Possiamo effettuare un grafico riportando in ascissa la lunghezza della corda ed in ordinata la frequenza.
Per renderlo più chiaro, possiamo calcolare il periodo in millisecondi
T(msec)=1000/F
ed effettuare un grafico di T in funzione di L: il risultato è chiaramente una retta che passa per l’origine, il che
dimostra appunto che T è proporzionale ad L, e quindi F è inversamente proporzionale ad L
0
200
400
600
800
1000
1200
0 10 20 30 40 50 60
Freq
uen
za (
Hz)
Lunghezza corda (cm)
Frequenza in funzione della lunghezza
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
0 10 20 30 40 50 60
Per
iod
o T
(m
sec)
Lunghezza corda (cm)
Periodo in funzione della lunghezza
Inoltre, quando la corda dimezza di lunghezza, la frequenza raddoppia, mentre quando è ridotta a 2/3 la
frequenza viene moltiplicata per circa 3/2.
In questo modo viene verificato che la frequenza è inversamente proporzionale alla frequenza.
Strumenti a fiato Per comprendere il principio di funzionamento degli strumenti a fiato, consideriamo un impulso sonoro, formato
da una zona di alta pressione e densità delle molecole, che si propaga all’interno di un tubo di lunghezza L. Come
sappiamo, l’impulso si propaga con la velocità del suono lungo il tubo, fino a raggiungere una delle due
estremità. Se l’estremità è chiusa, l’impulso viene riflesso e torna indietro. Se l’estremità invece è aperta, le cose
si complicano: l’eccesso di molecole si diffonde all’esterno, generando un’onda sonora, e lasciando al suo posto
una regione di bassa pressione e bassa densità di molecole, che torna indietro verso la zona di provenienza: si
dice che l’impulso viene riflesso e torna indietro invertito.
Vediamo adesso, a partire da queste considerazioni, cosa avviene ad un impulso che si propaga all’interno di un
tubo aperto da entrambe le estremità: l’impulso ad esempio si propaga verso destra, raggiunge l’estremità,
viene riflesso e torna indietro invertito. A questo punto raggiunge l’altra estremità, dove viene nuovamente
riflesso, e nuovamente invertito, tornando nella posizione e configurazione iniziale. Il moto dell’aria all’interno
del tubo è pertanto periodico, ed il periodo è dato dal tempo necessario perché l’impulso percorra due volte il
tubo alla velocità del suono, ovvero:
𝑇 =2𝐿
𝑐𝑠
Quindi il suono prodotto dalla vibrazione dell’aria all’interno di un tubo è un suono armonico, dove la frequenza
fondamentale è data da:
𝐹0 = 1/𝑇 =𝑐𝑠
2𝐿
Consideriamo adesso un tubo chiuso ad una sola estremità: stavolta il suono si propaga verso l’estremità aperta,
viene riflesso invertito e torna indietro, raggiunge l’estremità chiusa e viene nuovamente riflesso, ma stavolta
senza inversione: per tornare nella situazione di partenza, bisogna che l’impulso venga invertito una seconda
volta, e che percorra quindi il tubo altre due volte avanti ed indietro. Quindi il periodo è il doppio del caso
precedente, e la frequenza la metà: il tubo semiaperto produce un suono un’ottava sotto il tubo aperto.
In formule,
𝑇 =4𝐿
𝑐𝑠
𝐹0 = 1/𝑇 =𝑐𝑠
4𝐿
Anche stavolta il suono è armonico, ma una caratteristica dei tubi semiaperti (che questo ragionamento non
consente di identificare) è l’assenza delle armoniche pari: si hanno pertanto solamente le frequenze F0, 3F0, 5F0,
etc.
Il flauto, dolce o traverso, corrisponde ad un tubo aperto ad entrambe le estremità: infatti l’imboccatura
costituisce una estremità aperta. Invece il clarinetto, l’oboe, il flauto di Pan, corrispondono a tubi aperti da una
sola estremità: l’ancia dell’oboe e quella del clarinetto costituiscono una chiusura a tutti gli effetti. La tromba,
invece, ha un funzionamento particolare.
Conclusioni Quello visto sopra è solo un breve assaggio di quelli che sono i collegamenti della fisica con la musica. Le ricerche
e gli studi in proposito sono vastissimi, e spesso coinvolgono altri campi quali la fisiologia, la psicologia,
l’informatica o la matematica. Si va dalla fisica degli strumenti musicali allo studio della voce umana, dalla sintesi
del suono digitale allo sviluppo di algoritmi per la compressione della musica. Chi vuole coniugare le passioni per
la musica e per la scienza può provare a sperimentare adoperando computer e telefonino col le applicazioni
suggerite nel testo, o con altre tra le tante che si trovano in rete. Per chi volesse approfondire, consiglio infine la
lettura del testo di Andrea Frova, La Fisica nella musica. Non è un testo facilissimo, ma gli argomenti cui ho qui
accennato sono spiegati bene ed in dettaglio.
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