articolo 21 - aprile 2011
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Sudoku
Medio
No, cioè, guarda. . . .
se non ci riesci fatti
del le domande. . . . no
perchè le cose vanno
dette. . .
2
Se ti impegni ce la
puoi fare
Non è che voglio mettere in
discussione le tue abil ità,
ma questo è proprio tosto
Il professor Grilli di Cortona rappresenta la Facoltà
di Scienze Politiche all'interno della Commissione
che si sta occupando di riscrivere lo statuto di Ro-
ma Tre, al fine di renderlo conforme alle regole
introdotte dalla Riforma Gelmini.
Abbiamo deciso di intervistarlo per avere alcuni
chiarimenti sugli effetti della Riforma e per sentire il
suo parere su alcuni argomenti del mondo
dell’istruzione: ne è scaturita una conversazione
affascinante che, come in ogni buona intervista, dal
“particolare” un po’ specifico della Riforma è arri-
vata a spaziare su argomenti più generali – e forse
anche più degni di interesse.
Per iniziare, abbiamo parlato della cosiddetta “fi-
ne delle Facoltà” che la riforma Gelmini avrebbe
decretato. Che cosa significa?
<<Con la legge 240 le Facoltà in effetti non esisteranno più: tutte le funzioni verranno affidateai Dipartimenti, strutture che prima si occupavano soltanto della ricerca. Dall’anno prossimonon avremo la Facoltà di Scienze Politiche, mauno o due Dipartimenti che si occuperanno siadella ricerca sia della didattica. La legge prevede al più delle “strutture di raccordo” facoltative con fini di coordinamento deidipartimenti.>>Abbiamo incluso nel discorso anche il più recente
DM17, che prevede nuovi limiti, numerici e
organizzativi, alla proliferazione di Corsi di Laurea
ritenuti “non necessari” – ad esempio quelli con
pochi iscritti. Considerando che le nuove regole
varranno già dal prossimo anno accademico, gli
Atenei avranno il tempo di mettere a punto le
opportune modifiche o saranno costretti a fare i
salti mortali ? Cos’accadrà all’offerta formativa, ad
esempio, nella nostra Facoltà?
<< In realtà gli aggiustamenti alle offerteformative per l'anno prossimo sono stati già decisi. Quanto ai corsi, saranno diversi solo pergli immatricolati del prossimo anno. La didatticain sé non cambierà moltissimo, d’altronde i professori sono specializzati in campi precisi: non èche mi alzo la mattina e decido di cambiaremateria.>>
Il decreto dunque produrrà un nuovo ordina-
mento (DM 17) che si andranno ad aggiungere al
vecchio ciclo unico, al DM509 e al DM270. Se è
vero che per gli studenti e per i docenti la didatti-
ca cambierà poco, la presenza di quattro ordina-
menti diversi potrebbe invece essere motivo di
caos e di problemi burocratici? Ad esempio, si ri-
schia di avere per ogni esame ben 4 tipi diversi di
verbalizzazioni a seconda del numero di crediti.
<<In realtà gli ordinamenti saranno solo tre
Riforma dell'Universitàil parere del Prof. Grilli di Cortona
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perché gli studenti del vecchio ciclo unico finiranno presto – mi auguro –, ma il problema c’è.Noi docenti ci troviamo in ogni corso studentiche devono dare l’esame da 6 crediti, altri da 8,altri da 9, e questo è motivo di confusione sia pernoi che per gli studenti, sui quali ricade la responsabilità di controllare che i propri esamisiano stati verbalizzati correttamente. I dati,infatti, mostrano che il tasso di errori nelleverbalizzazioni è in continuo aumento.>>
Lei trova positivo che ogni Governo metta conti-
nuamente mano all’Università? Non è sempre
stato così...
<<Le riforme sono iniziate poco più di diecianni fa: nel 1998 la Moratti, poi Berlinguerecc… Da quel momento quasi ogni Ministro hafatto una propria riforma. Lo scopo di queste riforme è il taglio dei costi, ed effettivamentec’erano troppi corsi di laurea e specializzazioni inutili. La Gelmini ha voluto tagliare ancora di più. Inrealtà, più che esserci qualcosadi sbagliato nelle riforme in sé,più spesso è l’applicazionedelle stesse che non vienemessa in pratica come si deve.>>
Lei concorda con chi,
criticando la riforma
– soprattutto in ri-
ferimento al DM17
– ,afferma che ponendo gli stessi vincoli e limiti
per tutti gli Atenei si attenta all’autonomia delle
Università italiane?
<<Io credo che ”l’autonomia degli atenei”, inItalia, abbia avuto effetti devastanti: l’autonomia è stata davvero la fine dell’Università italiana. In nome dell'autonomia ognuno si è sentitolibero di fare i propri comodi. Ogni volta chearriva una riforma che pone dei vincoli le università protestano dicendo di proteggere la propria autonomia.Se vogliamo veramente che gli atenei siano autonomi, andiamo fino in fondo: aboliamo il valore legale del titolo di studio. Se l’universitàfunziona bene ed è virtuosa viene premiata automaticamente dalla propria fama e dal proprioprestigio, e quindi verrà sostenuta con più finanziamenti. Quello che c’è oggi è invecel’appiattimento: qualunque Ateneo, anche il più
scadente, rilascia lo stesso identico pezzo dicarta.
Si dovrebbero creare criteri credibili e finanziare le Università più brave, ma lameritocrazia in questo paese non funziona: tutti vogliono aiuti dallo statoanche se non dovrebbero
riceverli.>>
E quanto al co-
siddetto “ingresso
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dei privati” nelle università?
<<Anche qui si sta decisamentedrammatizzando troppo. Negli altri paesi – sipensi all’America – i finanziamenti privati sonola normalità: c’è troppa agitazione per un problema inesistente. Questo “ingresso dei privati”significa che nel consiglio d’amministrazione diun ateneo entrano due o al massimo tre privatisu dieci membri. Non si tratta della legge, comedicevo prima, ma dell’applicazione. Perché unabanca non può sponsorizzare un master inscienza delle finanze? Il problema sorge se questi due privati sono semplicemente dei raccomandati o esponenti di qualche potentato locale.La legge prevede che siano gli Atenei stessi ascegliere, dunque è su di noi che ricade la responsabilità di chi entra nel CDA.>>
Quanto all’aspetto economico, lei crede che la ri-
forma permetterà di risparmiare denaro?
<<Il 75% del budget delle Università sta negli stipendi, che non si posso ridurre ulteriormente; il restate 2530% va alla ricerca e ai servizi, come adesempio la biblioteca.I tagli ci sono stati: per la biblioteca sono stati tagliati il 30% dei costi, con effetti pessimi. Adessochiude alle cinque [fortunatamente non più, NDR],
prima chiudeva alle 7: dovrebbe stare aperta almeno fino alle 10 di sera. Senza contare che per i variservizi vengono spesso utilizzati i borsisti, che nonhanno certo le stesse competenze di una personaassunta appositamente, il che si traduce in un ulteriore riduzione della qualità. C’è un’assolutamancanza di finanziamenti, sia pubblici che privati.Il budget, però, non dipende dallo schieramentopolitico del governo: né la destra né la sinistra loaumenterebbero. Anziché finanziare le Università ela ricerca, riforma dopo riforma, i Governi decidono di tirare sempre di più la cinghia e questo ovviamente non dà alle università italiane la possibilitàdi stare al passo con quelle di altri paesi. Il problema più grande però, come accennato precedentemente, sono i furbi e i potenti all’interno degliAtenei, e in Italia ne esistono tanti.>>
Al di là delle opinioni personali, le parole del
professor Grilli ci sono sembrate pesate e piene di
buon senso: ma soprattutto sembrano andare
oltre la vetusta ottica destra-sinistra che in Italia
inquina ogni discussione e ha impedito più volte
un confronto serio e costruttivo su questa
riforma. In questo clima, purtroppo, le “riforme
condivise” continuano a sembrare un’utopia.
Andrea Alesiani - Giulia Rompel
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Ad oggi, gli Atenei sfornano un numero di laureati
che il mercato del lavoro non è in grado di assorbi-
re. Partendo da questa constatazione, tutto
sommato piuttosto veritiera, i Governi che si sono
succeduti nel corso degli anni hanno tentato in vari
modi di imbrigliare l'Università nelle maglie del
mercato: il tentativo più rilevante in questo senso
è stato l'introduzione del 3+2, il quale, attraverso
la possibilità di abbreviare la propria carriera uni-
versitaria avendo comunque un titolo di studio in
mano, aveva come obiettivo dichiarato l'aumento
della forza-lavoro al di sotto dei 25 anni. Il proble-
ma è molto più complesso di quello che sembra,
perchè se da una parte non è possibile costringere
le persone a non studiare, dall'altra la nostra socie-
tà non può più mantenere un numero elevato di
studenti come quello attuale.
Le mosse dell'attuale Governo in materia di Istru-
zione sono state piuttosto contraddittorie; da un
lato il Ministro Gelmini e diversi parlamentari si
sono prodigati nell'agitare lo spettro della merito-
crazia come panacea di tutti i mali, ma dall'altro
hanno dato vita a una riforma e a un ampio co-
rollario di decreti che di meritocratico hanno ben
poco. Mi riferisco soprattutto ai tagli alle borse di
studio (basta ricordare, giusto per non allonta-
narci troppo, che i fondi per le borse di studio
ADISU hanno subito un taglio del 90% nell'attua-
le anno accademico) e al taglio dell'offerta formati-
va come unico strumento, perdente, per
fronteggiare le sfide che gli Atenei esteri ci
impongono. La Sinistra, dal canto suo, è riuscita a
trasformare quella che poteva essere la Caporetto
del centro-destra in una nuova disfatta totale; pure
noi studenti ne siamo usciti piuttosto malconci, vi-
sto che lo slogan che dominava le piazze in questo
triste inverno 2010 era “Siamo tutti eccellenti”, uno
slogan tanto bello quanto stupido e pericoloso. Le
cifre parlano chiaro: più della metà degli studenti
iscritti nelle Università italiane è fuori corso, e tanto
basta per dimostrare che molti di noi (compreso il
sottoscritto) sono ben lontani dall'eccellenza. Se poi
mettiamo in conto che per qualcuno l'Università
rappresenta ne' più né meno che un luogo dove
intrattenere le proprie relazioni sociali, capiamo be-
ne che continuando a ripeterci che siamo tutti buo-
ni, belli e bravi non arriveremo mai da nessuna
parte. L'attuale trend, d'altronde, non desta alcuno
stupore: dal momento che l'Università fornisce un
pezzo di carta anche al termine di lunghi calvari
decennali, è logico aspettarsi che chiunque possa
permettersi di pagare la retta preferisca prendersi
tutta la calma del caso.
Cara Destra, continuare ad aumentare le tasse è
un buon modo per limitare il numero degli stu-
denti, ma è anche il migliore per azzerare la mobi-
lità sociale, oltre a calpestare in modo palese il
concetto di “diritto allo studio”. Cara Sinistra, toglia-
Un'idea di Università
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moci il paraocchi: non possiamo più permetterci di
tenere in piedi questo sistema in perdita, ineffi-
ciente e oltretutto fortemente diseducativo e anti-
meritocratico (chi ha i soldi continua a pascolare,
chi non ce li ha è costretto ad abbandonare e a
trovarsi un lavoro).
All'Università ci dovrebbe studiare solo chi se lo
merita veramente. Dobbiamo necessariamente fis-
sare un numero massimo di studenti, ma evitiamo
di scadere nei soliti test d'ingresso farlocchi: si po-
trebbe dare a tutti la possibilità di frequentare il
primo anno, per esempio, e al termine di questo
fare accedere al secondo soltanto gli studenti con i
voti più alti. Una selezione vera, insomma, che pe-
rò eviti i pericoli dei test calibrati su parametri folli.
Pensate che, in questo modo, si potrebbe anche
raggiungere l'obiettivo tanto rincorso dalle forze
politiche di Sinistra di lasciare da parte il reddito:
meno studenti, in concorrenza tra loro e con
carriere più brevi, porterebbero molte meno spese
e quindi molti più soldi per le borse di studio. A
questo punto non farebbe alcuna differenza se un
ipotetico Ateneo fosse composto da mille studenti
poveri o mille studenti ricchi: se nessuno avesse i
mezzi per pagarla, l'Università potrebbe anche
permettersi di non far pagare la retta ad alcuno
studente. Il che, credo, sarebbe il giusto riflesso
del diritto allo studio visto come un privilegio.
Nella mia Università ideale, lo studente dovrebbe
pensare solo a studiare. Non so se qualcuno di
voi si è mai fermato a pensare a quante sca-
denze gravano sopra alle nostre teste: prenota-
zioni degli esami, presentazioni moduli Erasmus,
modello ISEE, scadenze CLA, bandi per ottenere
rimborsi e agevolazioni, piani di studio, assegna-
zione tesi... e se una di queste scadenze salta, il
danno rischia di essere molto serio. Per non
parlare degli studenti fuori sede, che devono
anche pensare a trovare una casa e che ogni ulti-
ma settimana del mese si nutrono esclusiva-
mente di pasta al tonno, il tutto mentre sono
costantemente circondati da contratti e pile di
bollette in scadenza.
Dobbiamo cominciare a pretendere di più dai no-
stri Atenei: più servizi, più alloggi, più mense, più
borse di studio per chi non può pagare la retta,
più personale che si occupi di rendere la vita degli
studenti il più semplice possibile.
Il tutto, ça va sans dire, per chi se lo merita.Marcello Moi
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Vedevo i discorsi alle manifestazioni contro il DDL
Gelmini da parte degli studenti universitari e mi
domandavo se un giorno arriverò mai a vedere
uno di questi studenti all’amministrazione del go-
verno o di qualche importante città. Sono
dell’idea che la politica la debbano fare i giovani, il
futuro non può essere deciso da settantenni, o
quasi, come accade ora. Ebbene, vi do una
grande notizia, ed è un peccato che debba essere
io a darvela: per le elezioni comunali del 2011,
nella città di Milano, è stato scelto come candi-
dato sindaco uno studente universitario, e più
precisamente uno studente di Scienze Politiche
come noi. Si chiama Mattia Calise, ha 20 anni, ed
è presentato dal Movimento 5 Stelle. Ho seguito
attentamente la sua presentazione, i suoi discorsi
e l’evoluzione intera di questo movimento politico
che si sviluppa in rete, senza l’appoggio dei me-
dia e rifiutando l’utilizzo di fondi pubblici (erogati
sotto forma di rimborsi elettorali o di iscrizioni al
partito). Questo movimento è l’unico che mette in
atto la democrazia partecipativa: Mattia è stato
scelto attraverso le votazioni degli attivisti, che
inoltre prenderanno tutte le decisioni, tra le quali
anche lo stipendio che il futuro consigliere dovrà
percepire. Mattia diventa un terminale della rete
costituita da migliaia di cittadini che sia attraverso
il web, che, direttamente dagli incontri, coordina-
no il lavoro dei candidati eletti. Il metodo funzio-
na, e “nell’ombra” dei media, senza segretari di
partito né sedi fisiche, è attuato in molte città ita-
liane con ottimi risultati. Lo stesso programma
politico è stato elaborati dai cittadini attraverso la
rete, e basta consultarlo per capire la differenza…
Allora la domanda è: può un cittadino riprendersi
in mano la politica attraverso gli strumenti prece-
dentemente elencati? O
abbiamo ancora bi-
sogno di questa
classe dirigente?
Luca Moretti
Uno studente al Governo
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La nostra Costituzione è sacra, una delle più belle al
mondo, un’opera letteraria, e come qualsiasi
oggetto sacro andrebbe maneggiata con cura. Es-
sendo il frutto di una mente collettiva è certamente
soggetta alle leggi dell'uomo, e quindi può essere
modificata, ma solo per un fine “nobile”, stretta-
mente necessario e in vista di miglioramenti.
Prendiamo la Riforma della Giustizia, una maxiri-
forma costituzionale proposta recentissimamente
dal nostro Governo, della quale in realtà già si discu-
teva da anni e che rivela gli enormi problemi in se-
no al potere giudiziario. In parte il problema è le-
gato alla durata dei nostri processi, ma con la
legge sul Processo Breve, che obbliga il giudice ad
emettere una sentenza entro sei anni (2 anni per
ogni appello), si vuole far credere che questo pro-
blema sia stato risolto; in realtà la legge si limita
all'imposizione, senza mettere a disposizione alcun
mezzo per far rispettare la Giustizia e permettendo
a processi importantissimi di cadere in prescrizione.
Personalmente, preferisco avere tempi lunghi ma
risultati giusti piuttosto che far finta di essere in li-
nea con gli standard di Francia o
USA.
Ben vengano le riforme costi-
tuzionali: se sono buone
tutto può essere discus-
so civilmente, appro-
vato, ed eseguito,
e sicura-
mente il po-
tere
giudiziario
potrebbe es-
sere più effi-
ciente ( anche
se ricordo che da
Niente Giustizia negli intenti, niente Giustizianel contenuto.
Progetto di modifica costituzionale promosso dal Governo: è giunto il
momento per il Titolo IV , LaMagistratura.
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alcuni anni i magistrati lavorano solo di mattina per
mancanza di fondi e, dato che la legge in questo
paese non mette quasi mai a disposizione soldi
bensì li taglia, non c’è da stare allegri). Mi chiedo,
però, se un Governo con gravi problemi di credibili-
tà abbia la legittimità di modificare una sezione di
ben 13 articoli scritta con ardore e bontà di intenti
da una Costituente composta da una grande varie-
tà di orientamenti.13 articoli, per giunta, che sono
parte di una Costituzione approvata con l’88% dei
voti favorevoli.
Io non riesco a fidarmi (forse perché dentro dentro
sono “conservatrice”) di un ministro della Giustizia
che sembra essere portavoce di un “provvedi-
mento punitivo”, come hanno affermato Di Pietro e
l'Associazione Nazionale dei Magistrati; il presidente
di quest’ultima è andato oltre, dicendo che si tratta
di “una riforma punitiva, il cui disegno complessivo
mina l’autonomia e l’indipendenza della magistratu-
ra e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i
poteri dello Stato. È una riforma contro i giudici che
riduce le garanzie per i cittadini».
Si legge infatti all’art 12 del progetto di riforma
« Il giudice e il pubblico ministero dispongono della
polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla
legge.», contro l’originale : <<L’autorità giudiziaria
dispone direttamente della polizia giudiziaria>>;
non è forse un'ingerenza dell’esecutivo in un
compito della magistratura, che in questo modo
potrebbe non essere più libera di portare avanti le
indagini secondo il proprio modus operandi?
Sembra quasi che la nostra Giustizia abbia stufato
qualcuno: troppe dita nella piaga, troppi processi
fastidiosi, troppi accanimenti. Ergo, basta con la to-
tale libertà; ancora una volta un potere, indi-
pendente da qualsiasi altro dai tempi di
Montesquie, sarà messo in parte al guinzaglio.
Perché tutto ciò che è scomodo, e per i criminali la
Legge lo è assai, deve essere eliminato senza
pensare alle conseguenze.
Per mettere le mani in un ambito così delicato pre-
tendo persone affidabili, che si muovano prudente-
mente partendo da modifiche concrete e arrivando
a piccoli passi ad una Revisione Costituzionale. Ci
sarebbero fin troppe cose da fare senza tirare in
ballo la Costituzione, in un momento in cui la Legi-
slatura è allo stallo.
Invito tutti a leggere il progetto, a metterlo a
confronto con la nostra Costituzione e, ad ogni ri-
mando ad altre leggi , a dare un'occhiata pure a
quelle per sondarne il contenuto.
La conoscenza è la nostra arma migliore, e la Costi-
tuzione il nostro Testamento.
Elisabetta Tatì
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