i racconti del parco 4
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The evergreen taleUn racconto “sempreverde”per Un ambiente sempre più verde
premio letterario
del Parco
Congregazione MiseriCordiaMaggiore BergaMowww.parcocollibergamo.it CoMune di BergaMo
Con il patroCinio di:
Raccolta dei migliori racconti
1
INDICEINDICEINDICEINDICE
CATEGORIA SCUOLE MEDIECATEGORIA SCUOLE MEDIECATEGORIA SCUOLE MEDIECATEGORIA SCUOLE MEDIE
Alessandra Felli “Le quattro stagioni” Alessandra Felli “Le quattro stagioni” Alessandra Felli “Le quattro stagioni” Alessandra Felli “Le quattro stagioni” – Prima Classificata
Giulia Maffettone “Plastic life” Giulia Maffettone “Plastic life” Giulia Maffettone “Plastic life” Giulia Maffettone “Plastic life” – Seconda Classificata
Anna Colosio “Lupo Bee” Anna Colosio “Lupo Bee” Anna Colosio “Lupo Bee” Anna Colosio “Lupo Bee” – Racconto Segnalato
Robert Sebastian Gaina “Mi ricordo una storia”Robert Sebastian Gaina “Mi ricordo una storia”Robert Sebastian Gaina “Mi ricordo una storia”Robert Sebastian Gaina “Mi ricordo una storia” – Racconto Segnalato
CATEGORIA SCUOLE SUPERIORICATEGORIA SCUOLE SUPERIORICATEGORIA SCUOLE SUPERIORICATEGORIA SCUOLE SUPERIORI
Brian Belotti “Mi guardo un po’ in giro” Brian Belotti “Mi guardo un po’ in giro” Brian Belotti “Mi guardo un po’ in giro” Brian Belotti “Mi guardo un po’ in giro” – Primo Classificato
Paola Longoni “Un piccolo cuore, un grande sogno” Paola Longoni “Un piccolo cuore, un grande sogno” Paola Longoni “Un piccolo cuore, un grande sogno” Paola Longoni “Un piccolo cuore, un grande sogno” – Seconda Classificata
Elisa Piantoni “Grigio” Elisa Piantoni “Grigio” Elisa Piantoni “Grigio” Elisa Piantoni “Grigio” – Racconto Segnalato
Letizia Radici “Simbiosi” Letizia Radici “Simbiosi” Letizia Radici “Simbiosi” Letizia Radici “Simbiosi” – Racconto Segnalato
CATEGORIA SCUOLA IN PIGIAMACATEGORIA SCUOLA IN PIGIAMACATEGORIA SCUOLA IN PIGIAMACATEGORIA SCUOLA IN PIGIAMA
Marco Acerbis Marco Acerbis Marco Acerbis Marco Acerbis “Il parco” “Il parco” “Il parco” “Il parco” – Primo Classificato
Alberto MarzonaAlberto MarzonaAlberto MarzonaAlberto Marzona “Eco“Eco“Eco“Eco----loquio” loquio” loquio” loquio” – Secondo Classificato
Fabiola ViFabiola ViFabiola ViFabiola Viganòganòganòganò ““““Villa ConcordiaVilla ConcordiaVilla ConcordiaVilla Concordia” ” ” ” – Terza Classificata
CATEGORIA ADULTICATEGORIA ADULTICATEGORIA ADULTICATEGORIA ADULTI
Massimo Nicoli “Amica ortica” Massimo Nicoli “Amica ortica” Massimo Nicoli “Amica ortica” Massimo Nicoli “Amica ortica” – Prima Classificato
Alessandro Pelicioli “Tre noci, un giorno” Alessandro Pelicioli “Tre noci, un giorno” Alessandro Pelicioli “Tre noci, un giorno” Alessandro Pelicioli “Tre noci, un giorno” – Seconda Classificato
Silvia Valagussa “Il giudizio naturale” Silvia Valagussa “Il giudizio naturale” Silvia Valagussa “Il giudizio naturale” Silvia Valagussa “Il giudizio naturale” – Racconto Segnalato
Claudia Moietta “Ciamarulà” Claudia Moietta “Ciamarulà” Claudia Moietta “Ciamarulà” Claudia Moietta “Ciamarulà” – Racconto Segnalato
2
CATEGORIA NANORACCONTICATEGORIA NANORACCONTICATEGORIA NANORACCONTICATEGORIA NANORACCONTI
Aurora Cantini Aurora Cantini Aurora Cantini Aurora Cantini – Prima Classificata
Balducchi AuroraBalducchi AuroraBalducchi AuroraBalducchi Aurora – Nanoracconto Segnalato Categoria Scuole medie
Angela Giovanna AmicoAngela Giovanna AmicoAngela Giovanna AmicoAngela Giovanna Amico – Nanoracconto Segnalato Categoria Adulti
Cristian MadaschiCristian MadaschiCristian MadaschiCristian Madaschi – Nanoracconto Segnalato Categoria Adulti
Stefano CuterStefano CuterStefano CuterStefano Cuter – Nanoracconto Segnalato Categoria Scuola in Pigiama
3
“Le quattro stagioni”“Le quattro stagioni”“Le quattro stagioni”“Le quattro stagioni”
ddddi Alessandra Felli i Alessandra Felli i Alessandra Felli i Alessandra Felli
Prima Classificata - Categoria Scuole Medie
C’era una volta, nei pressi di una grande città, un bosco, popolato da molte specie di animali a cui però
non interessava quello che succedeva al bosco durante l’anno. Solo quattro di questi animali talvolta si
incontravano per parlare di ciò che avevano osservato.
Si trattava di uno scoiattolo, un orso, un cervo e un anatra.
In riunione decisero di parlare dei vari periodi dell’ anno.
Lo scoiattolo disse:” Io amo quando arriva la neve, quando gli alberi sono spogli perché ci si arrampica
meglio e si possono effettuare salti magnifici.
Posso scorrazzare libero nel bosco, pattinare sul lago ghiacciato e soprattutto alla sera posso ammirare
come il cielo stellato si riflette sulla neve così candida e soffice da sembrare zucchero filato …
Questo periodo lo chiamerò inverno”
Il cervo rispose: ”Inverno … Pfeu! Lo odio.
A me oiace quando dopo tanto freddo e ghiaccio, torna quel bel calduccio, i prati si colorano di un verde
tenero e pian piano spuntano le prime margherite, un tiepido profumo di fresco risplende nell’ aria.
Anche gli alberi cambiano colore: da bruni e spogli diventano verdi e folti con fiori dai colori vivaci che
rendono questo periodo adatto a chiamarsi…
Primavera!”
“Non male” disse lo scoiattolo.
Fu il turno dell’ anatra che con la sua goffaggine disse:” Io penso che le vostre siano buone idee, ma
anche io ne ho una, sentite.
Avete presente quando comincia quel caldo tremendo, quando tutto è al massimo splendore? Ecco,
quello per me è il periodo più bello, perché è bello stare immersi nell’ acqua tutto il giorno, nell’acqua
così cristallina, trasparente e fresca che tutti gli animali mi fanno compagnia per un po’ di spazio in
quel paradiso.
Non solo, la mattina la sveglia è sempre bene accetta grazie al canto dell’ usignolo o alla bellezza del
pettirosso; insomma, questo periodo così bello lo chiamerò estate!
Tutti furono d’accordo.
4
L’ orso parlò: ”ma brava anatroccola mia, bell’idea, ma per me ti sbagli, il periodo più bello è quando ci
si prepara per il letargo.
Tutto diventa intonato al colore della mia pelliccia e poi mi piace vedere come quegli stolti dei
cacciatori cercano nel bosco animali come me.
Ma io sono furbo quando arriva quel periodo vado a dormire, dormo e dormo e dormo e mi risvegli che
siamo nella così detta primavera quando il cibo abbonda.
Questo periodo sarà l’autunno.
Gli animali si erano messi d’accordo e andarono a riferire le nuove scoperte a tutti gli altri.
Dissero a tutti di aver inventato le quattro stagioni.
5
“Plastic life” “Plastic life” “Plastic life” “Plastic life”
di Giulia Maffettone di Giulia Maffettone di Giulia Maffettone di Giulia Maffettone
Seconda Classificata - Categoria Scuole Medie
Mi ero svegliato insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle sotto una calda coperta di plastica colorata. Mi
guardai attorno e notai un piccolo prato verde con piccoli fiori molto colorati. Ero seduto su una
comoda tovaglia a quadri rossi e bianchi e attorno a me, oltre ai miei fratelli, vedevo sei persone molto
grandi, direi quasi sproporzionate, che parlavano e ridevano. Contenevo una bevanda colorata e
frizzantina e ogni tanto una di quelle persone, che io definivo “ I Giganti”, si avvicinava a me e mi dava
un tenero bacino facendo sparire pian piano tutto quello strano liquido che avevo al mio interno. Non
so come facessero, magari erano dei giganti molto speciali. Passò circa un’ ora o forse due, quando lo
stesso gigante che faceva sparire magicamente la bevanda mi abborracciò ( pensate con una sola
mano!!) e si diresse verso un grande contenitore verde impiantato nell’ erba e mi abbandonò al suo
interno e se ne andò. Mi trovavo sola e isolata, triste e al buio.
Non riuscivo a credere che solo un istante prima mi sentivo tanto utile e adesso venivo lasciata qui
come un qualsiasi rifiuto, un insulso rifiuto. Passarono ore e ore prima che sentissi dei passi di un
gigante, avvicinarsi alla mia nuova “casa”, e aprire ciò che io potevo definire “tetto” e prendere quel
sacco nero che io utilizzavo come coperta provvisoria. Avvolse in un nodo senza un minimo riguardo la
mia coperta, portandomi via con se. Stavo pensando alla mia sorte, quando sentii che quello stesso
gigante che aveva fatto quell’improbabile nodo gettarmi da qualche parte, probabilmente a terra. Ma,
per mia sfortuna, non fu così: dopo pochi secondi sentii delle fitte molto dolorose e intense e,
guardando cosa mi fosse accaduto, scorsi dei denti meccanici che trafiggevano in continuazione il mio
piccolo corpo e capii che ormai era tempo che io lasciassi questo mondo ingiusto. Ma non fu così.
Mentre mi agitavo e cercavo di ottenere delle risposte sul perché fosse capitato proprio a me, i denti
meccanici smisero di trafiggermi.
E io capii che per me non era la fine: almeno per adesso. Stavo cercando di trovare una soluzione al mio
problema, quando un pensiero mi trafisse la mente: mi ricordavo mia madre, quando ero un piccolo
bicchierino che mi diceva sempre: “ piccolo mio, stammi bene a sentire: spera per te e per i tuoi fratelli e
sorelle di non essere mai utilizzati da…” non poté finire la frase perché venne estratta dalla coperta che l’
avvolgeva e scomparve per sempre. Sembrerà una storia drammatica, ma dato che ero molto piccolo
non ne soffersi molto. Ritornando alla realtà mi accorsi che un raggio di sole entrava da una fessura del
sacco: la via della libertà era vicina. Cercai di arrampicarmi sull ammasso di rifiuti per riuscire a
intravedere al di là del sacco e quando ci riuscii, non riuscivo a credere ai miei occhi: c’ era un
paesaggio diverso da come me lo aspettavo. Da una parte piena di rifiuti e l’ altra parte piena di edifici e
di persone, una divisione impressionante. Sentii la gente esclamare: “ Ma guarda che schifo!” oppure “
Che tanfo insopportabile!”, ma come era possibile che nessuno capisse che ciò che definivano schifo e
pattume era ciò che loro consumavano ogni giorno? Magari bisognava ricordaglielo che il detto fa: chi
è causa del suo mal pianga a se stesso, e che quindi non dovevano lamentarsi di ciò che avevano fatto
6
con le loro azioni? E poi: perché ci avrebbero dovuto lasciarci qui a marcire se potevano riciclarci
riuscendo così a pulire lo “schifo” e a far scomparire il “ tanfo”? Probabilmente non era di moda in
questi tempi riciclare. Stavo continuando alle continue domande che mi facevo e all’ ignoranza dell’
umanità, quando una voce molto forte proveniente da dei microfoni attirarono l’ attenzioni di tutti, me
compreso.
Se non avevo frainteso la voce stava parlando proprio su come salvare e rispettare l’ ambiente e, come
se mi avesse letto nella mente, elencò tutte le mie domande e possibili risposte a questi quesiti.
La gente continuava a esultare entusiasta come se la cosa fosse una novità assoluta e che nessuno
avrebbe potuto pensarci prima.
Io però non ci credevo affatto: com’ era possibile che le persone si potevano solo lamentare e non
comprendere di dover risolvere il problema? Ma non è questo l’ importante. L’ importante era salvare la
vita dell’ ambiente. Salvare la vita che ci da la vita.
I giorni seguenti fummo trasportati in dei cassonetti appositi per il riciclo dei materiali e da lì iniziai la
mia nuova vita. Dopo alcune settimane mi ritrovai nella stessa situazione della prima volta: ricontenevo
la stessa bevanda frizzantina e colorata e ritrovai gli stessi giganti-maghi che facevano sparire le
bevande, ma rispetto alla prima volta c’ era qualcosa di diverso, sapete qual’ è? Era la sicurezza di
essere riutilizzato e di rispettare la vita dell’ ambiente che è l’ impegno che ci deve stare più a cuore per
vivere una vita sana.
7
“Lupo Bee”“Lupo Bee”“Lupo Bee”“Lupo Bee”
didididi Anna ColosioAnna ColosioAnna ColosioAnna Colosio
Categoria Scuole Medie - Racconto Segnalato
Era un caldo, anzi caldissimo pomeriggio d’estate. I fiori profumavano, il sole splendeva sulle alte vette
… In quel paesaggio da fiaba, un lupetto con dei lunghi baffi neri, stava passeggiando nel bosco. Era
molto buono nonostante la sua specie, aveva nel cuore un grande desiderio: diventare una pecora e
avere tanti amici animali.
Amava molto la natura e trascorreva ore a contemplarla nei suoi svariati colori , ma si sentiva solo. Un
giorno questo dolce lupetto andò in cerca di amici, incontrò molti animali: lepri, cerbiatti, uccellini,
scoiattoli … anch’essi molto buoni. Quando lo videro, però, scapparono tutti, uno più spaventato
dell’altro; anche gli uccellini volarono sulla chioma più alta. Il lupo fu molto rattristato, ci rimase
davvero male, perché già si immaginava di unirsi a loro, in un grande girotondo in mezzo al bosco.
Sdraiato sull’erba, tra gli alberi, sognava in quel cielo azzurro, di essere una pecora e di avere tanti
amici. Ad un tratto, in questo sogno, il cielo si fece grigio, la terra anche e così pure tutti gli animali. Si
preoccupò molto e scoprì che per salvare la natura avrebbe dovuto andare alla sorgente magica, un
luogo però molto lontano da quello.
Deciso partì e dopo lunghe ore di camminata incontrò sul sentiero un grosso orso che voleva
mangiarlo. Si rifugiò , veloce come un fulmine, su una grande quercia e lì passò la notte. Si fece alba,
anch’essa tinta di grigio, e il lupo si rimise in cammino. La terra scottava e il piccolo affrontò il dolore
alle zampe pur di raggiungere con determinazione quella sorgente magica.
“Eccola!”, gridò e improvvisamente il grigio scomparve: l’erba era color verde smeraldo, tenerissima e il
sole splendeva giallo più che mai. Prese l’acqua dalla sorgente e sulla strada del ritorno incontrò una
mandria di cinghiali poi, correndo, raggiunse senza fiato il suo amato bosco. Sparse l’acqua e tutto ebbe
di nuovo vita : gli uccellini cantavano allegri, i cerbiatti correvano, l’erba profumava e ad un tratto si
svegliò … sì, esatto, era davvero un sogno! Ma proprio da lì iniziò il sogno più bello della sua vita: vide
con meraviglia che attorno a lui c’erano tutti gli animaletti che lo accudivano e lo ammiravano per il
suo amore verso loro e la natura.
Decisero allora di fargli una grande sorpresa, chiedendo all’anziana del bosco di cucire per lui una
tutina di lana di pecora . Fu così che il lupetto, chiamato da quel momento Lupo Bee , perché così
vestito sembrava proprio una pecora, visse insieme alle sue adorate compagne, guidando l’intero
gregge come un dignitoso pastore. Tutti nel bosco si volevano bene, si rincorrevano tra i caldi raggi del
sole , tuffandosi nella sorgente magica, giocando tra schizzi che spruzzavano di qua e di là .
8
“Mi ricordo una storia”“Mi ricordo una storia”“Mi ricordo una storia”“Mi ricordo una storia”
Di Di Di Di Robert SebastianRobert SebastianRobert SebastianRobert Sebastian GainaGainaGainaGaina
Categoria Scuole Medie – Racconto Segnalato
All’inizio ero un atomo, sì mi ricordo bene : ero L’Atomo Primordiale! Non proprio bello, nemmeno
brutto ma ero forte e molto, molto intelligente !
Viaggiavo lentamente nell’immensità dello Spazio senza la paura del Tempo ,in sù e in giù, da destra a
sinistra, sempre nello stesso posto. Tantissime volte, quando riposavo mi domandavo : ma questo
mondo senza fine è davvero uguale o in realtà è così
piccolo che riesco a muovermi soltanto intorno a me?
E così una volta ,in quella notte infinita, pensando, chiedendomi, lambiccandomi il cervello, incominciai
ad agitarmi.
Iniziai a saltellare e diventai gonfio, così gonfio che in un lampo mi spaccai in innumerevoli pezzi
magici: le Stelle del Big Bang! Non ero più lo stesso ma mi sentivo di esistere in tutte quelle meraviglie
come ricordo dell’Unico, del Primo…
Poi, mi ricordo che ero leggero e molto bollente, perciò temevo per il mio “essere” anche quando
riposavo e ne avevo motivo.
Accadde che i miei simili per gioco si mescolarono, cambiando a vicenda il posto dove galleggiavano.
Un’esplosione fortissima ci fece fuori e ognuno di noi si ritrovò lontano dal Sole, la culla che ci ospitò
per tanto tempo. Odiavo i miei simili, fui gettato nell’oscurità bollente insieme agli sconosciuti che non
gradivo…
Poi, mi ricordo un pianeta, la Terra ! Qui vivevo abbastanza Tranquillo, non avevo tanti vizi perchè
l’aria odorava di veleno, il cielo era rosa e il mare era vestito di un rosso ruggine, ma mi divertivano
tutte le scosse, perché mi facevano ballare.
E poi, che spettacolo le cascate incandescenti che finivano in mare! Un giorno però, guardando la
pioggia che si scioglieva nel magma rossiccio, un fulmine mi fece barcollare e persi i sensi…
Poi, poi mi ricordo l’acqua, tanta acqua, avevo cambiato casa? Ero in mare! E riuscivo a respirare senza
danneggiarmi!
Ero più grande, ma ancora piccolo. Ero…ero diverso!
E qui in acqua per tanto tempo fui un’alga azzurra che lavorava con le altre per produrre l’ossigeno che
colora il cielo e lo stesso mare, poi fui una spugna, una medusa e, finalmente un pesce!
9
Mi piaceva nuotare, però il freddo e il buio delle profondità mi mandavano in ansia e facevo brutti sogni
sull’origine del mondo. Scelsi un altro posto, più vicino alla riva.
Ricordai come respirare l’aria, adesso molto più pulita, perciò riuscii a fare una doppia vita: in acqua e
sulla terraferma.
Col tempo, rinunciai all’umido, preferendo le carezze del sole. Adesso avevo delle zampette e potevo
muovermi toccando il suolo, cacciavo e dormivo al calduccio.
Più tardi, diventai grande, magari troppo grande. Per come ero partito tempo fa ero altissimo quasi un
gigante.
Ero una bellezza di dinosauro! E volavo anche!
Oh, quando mi ricordo il volo! Avevo tutto ai miei piedi: il mare, le montagne, le pianure, le foreste,
amavo questa libertà, mi dava l’impressione di dominare la Terra.
Purtroppo, una notte, finì tutto. Una luce spaventosa e un urto fortissimo fece sparire la mia voglia di
vivere…
Poi, poi mi ricordo la giungla, un’infinità di verde e di aria fresca, ero una scimmia molto curiosa e
sempre in movimento. Mi piaceva saltellare sugli alberi insieme ai miei fratelli.
A volte, la mamma ci sgridava e noi facevamo finta di vergognarci, ma subito dopo, ci allontanavamo in
silenzio e rincominciava il divertimento!
I ricordi di quel periodo sono più forti e durante la notte mi assalgono chiedendomi di tornare indietro e
di rivivere tutta quella gioia, senza timori, senza pensieri. Tranne un episodio,
una cosa orrenda che non riesco a ricordare, ma io lo so, lo so che c’è stato qualcosa, qualcosa di brutto,
perchè ogni volta quando piove, il profumo di fresco, di verde, anche se mi piace, mi fa star male e mi
viene voglia di piangere. Mi vedo grande, ma mi sento debole. So fare tantissime cose, ma non so dire
chi sono. Guardo sempre il cielo per trovare risposte e di notte cerco di contare le candele che
abbelliscono la volta celeste e mi chiedo: ma chi abita lì e perchè non scende da me per parlarmi? Poi,
chiudo gli occhi e piango, e tutto diventa buio…
E poi, poi mi ricordo me UOMO!
Corro nella foresta inseguendo un capriolo. Ma che tipo di gioco faccio? E perchè me la prendo con
quella bestiola?
Alzo il braccio, prendo la mira e…tiro. Mi sento forte! La lancia si è fermata dove volevo. Mi avvicino e
guardo l’animale, non è ancora morto. Bella pelliccia !E per niente rovinata. Magari riesco a cambiarla
per una manciata di semi.
Prendo il bottino e torno nel mio piccolo villaggio.
I bimbi saranno felici, mi salteranno addosso e mi chiederanno il codino del capriolo.
10
Arrivo sulla mia terra, mi sento stanco, sono partito sei giorni fa e la famiglia mi è mancata. Ma adesso
riposerò e festeggerò insieme a loro.
Ecco la mia casa fatta di terriccio e foglie, ecco mia moglie circondata dai figli, ecco anche mia madre
che, per prima mi vede arrivare con il pranzo per tutta la comunità.
E poi, la sera tutti intorno al focolare soddisfatti: i bambini coricati per terra stanchi ma affascinati dal
mio racconto di caccia, il piccolino addormentato con il codino stretto nel pugno, per non farselo rubare
da nessuno, i vecchi parlano tra di loro e io, io che mi ritiro un po’ in disparte, per guardare le stelle.
E lì mi vengono tante domande. Mi chiedo tante cose e non capisco più le storielle raccontate da mio
nonno, non sono più sicuro che un giorno, una grande stella si divise in tantissimi pezzi e che la sua
polvere brillante scese sulla Terra generando la vita.
Perchè anche se sono così forte e veloce che a volte posso cacciare a mani nude, non riesco a spiegarmi
molte cose.
E allora, per far andar via la nostalgia, mi ricordo che sono vivo, che mi piace ballare la nostra danza di
guerra, che adoro il profumo di pioggia, che non smetterò di guardare le stelle per capire chi le ha
messe nel cielo, che non morirò mai davvero perchè i miei figli e i loro successori mi porteranno
nell’anima per sempre. Ma soprattutto che strano! Mi ricordo che dentro di me porto una storia, una
storia che mi fa sentire nel mio piccolo fortissimo unico padrone e padre del mondo, magari perchè
all’inizio sono stato un atomo. Non proprio bello, nemmeno brutto , ma molto, molto intelligente :
l’Atomo Primordiale!
11
“Mi guardo un po’ in giro”“Mi guardo un po’ in giro”“Mi guardo un po’ in giro”“Mi guardo un po’ in giro”
di di di di Brian BelottiBrian BelottiBrian BelottiBrian Belotti
Categoria Scuole Superiori - Prima Classificato
Finalmente ho visto la luce, la rugiada mi scivola dolcemente addosso facendomi rabbrividire;
finalmente posso respirare, la terra mi soffocava e mi impediva di vedere il mondo. Ma la mia prima
immagine non è come me l’hanno raccontata, non ho fratelli, né sorelle, né genitori, l’unica cosa che mi
tiene compagnia sono i ragnetti che mi tessono un vestito di seta che mi riscalda e mi rafforza. Sono
rinchiuso da mattoni mi impediscono di vedere bene; per ora ammiro il cielo, ci sono poche stelle
accecanti tutte in fila , ho paura. Fa di nuovo giorno, e poi notte, e poi giorno e…. finalmente riesco a
vedere davanti a me, il mio corpo si sta indurendo , i vestiti di seta non vanno più…qualcuno s’avvicina
mi annusa con grande clamore e poi…È stata l’esperienza più orribile della mia vita , mi sento bagnato
sporco e puzzolente, ma dicono che passerà.
Una cosa che ho capito con il passare dei giorni è la tremenda monotonia dell’uomo; vedo degli automi
che passano senza pensare veramente a quello che stanno facendo. Camminano senza osservare ciò
che hanno intorno perché sono in ritardo per il loro appuntamento; chiacchierano di argomenti stupidi
e fanno finta di ascoltare, perché si ha paura di parlare di ciò che è importante, o perché è noioso parlare
di cultura; si baciano perché l’amico che gli sta accanto li veda, magari si ingelosisca, oppure vada a
raccontare a tutti che loro sono “fighi”. Una routine continua che annoierebbe chiunque se ne deve
stare fermo per forza. Finalmente qualcuno si è accorto di me, non è conciato molto bene e zoppica un
po’, ma soprattutto porta con se una di quelle bestie malefiche canine; si è appoggiato a me ormai
stanco della giornata che ha passato in centro città sotto il sole cocente per raccogliere i pochi spiccioli
per vivere. Sento il suo respiro caldo e affannato da una vita disadattata che sale e scende per tutto il
corpo e piano piano le sue palpebre pesanti come macigni si chiudono abbandonandolo ad un mondo
di speranze e di sogni.
È tornato il sole e l’uomo non c’è già più, partito per la sua nuova avventura. Adesso si avvicinano due
ragazzi… i loro occhi si incrociano e le loro labbra si toccano con una delicatezza innaturale, con una
passione che non avevo mai visto da nessuno. Ad un tratto il ragazzo mi punta un coltello addosso;
sono un po’ spaventato all’idea di essere inciso, ma l’amore che vedo nei loro occhi rende la mia
corteccia morbida… “non dimenticherò mai B. e D.”. Questa notte sono molto preoccupato, ho delle
brutte sensazioni, l’aria è gelida e pungente e qualcuno ha vomitato sulle mie radici; sento una voce in
lontananza, sembra una musica, la solita compagnia che torna dalla discoteca …. Ehi! ma che succede …
nooooo…. Mi ritrovo a testa all’aria in pochi secondi e sono poggiato in un lago di sangue, tutto tace.
Riesco a intravedere corpi senza vita sballottati qua e là come pupazzi e una massa metallica che mi
perfora il corpo; immediatamente la monotonia umana che li rendeva così tranquilli è stata turbata e
noto un altro tipo di emozioni nell’uomo, il dolore: quella sensazione che ti brucia dentro, che ti uccide,
che divide. Restando qui fermo non sono diventato un grande personaggio nè un qualcosa di
12
importante, ma… ho compreso … che l’uomo sa amare e distruggere in un solo, unico e interminabile
secondo.
13
“Un“Un“Un“Un piccolo cuore, un grande sogno”piccolo cuore, un grande sogno”piccolo cuore, un grande sogno”piccolo cuore, un grande sogno”
di di di di Paola LongoniPaola LongoniPaola LongoniPaola Longoni
Categoria Scuola Superiori - Seconda Classificata
Esistono attimi che entrano inaspettatamente a far parte delle nostre vite e ci cambiano per sempre. Era
una giornata come tante. Il cielo era sereno e un sole caldo mi scaldava deliziosamente. In realtà niente
era come volevo, e mi sembrava che nella mia vita mancasse qualcosa. I giorni passavano e nulla
pareva cambiare. Avrei tanto voluto essere qualcun’ altro; certo, ogni giorno, mi scaldavo al sole e mi
rinfrescavo all’ombra; ma ero solo in mezzo a tanti. Osservavo sempre come i semi riuscissero, a poco a
poco, a divenire imponenti alberi o rigogliosi fiori. Mi meravigliavo sempre di come una cosa così
piccola e apparentemente insignificante, potesse diventare lo specchio della bellezza.
Ecco, io avrei voluto essere proprio un seme; avrei voluto, come loro, poter sfoggiare dei bellissimi
colori, poter sentire dentro di me la vita, alimentare le foglie della mia chioma, essere capace di
sostenere frutti nella stagione estiva o accudire le mie gemme fino a che non fosse arrivato per loro il
momento di sbocciare. Sfortunatamente la vita non va sempre come vogliamo, e non ci da neanche la
possibilità di cambiare il nostro futuro. Molti possono pensare che il mio pensiero sia superficiale, ma la
verità è che se per caso nasci uomo e vorresti essere un ghepardo non potrai fare altro che aprire gli
occhi e renderti conto che non potrai mai diventare quell’ animale, non vivrai mai la vita di qualcun’
altro.
Ecco, questo è quello che è capitato a me, io vorrei tanto essere un seme, ma la verità è che sono solo un
sasso e non posso fare niente per cambiare la realtà. I sassi non hanno la possibilità di avere sentimenti,
come invece li hanno le piante e i fiori; i sassi sono oggetti inanimati, destinati a essere insignificanti.
Eppure perché mi pongo queste domande? Forse non dovrei. Già, proprio non dovrei. Ad un tratto, una
goccia di pioggia interruppe i miei pensieri, si schiantò contro di me e fu un attimo, prima che
evaporasse sotto la luce del sole. Ho sentito le tue preghiere mi disse, le tue speranze, i tuoi sogni, tu sei
molto di più di quello che credi. E’ vero, sei solo in mezzo a tanti, ma come me hai una vita da vivere. Io
ti dono quello che ho di più grande: l’amore, il coraggio e la forza di non arrendersi mai; fai buon uso del
tuo tempo, e accettati per come sei, perché tu ora sei cieco e non puoi vedere il miracolo che sei sempre
stato.
Concluse così il suo discorso; Non scorderò mai le sue parole, arrivata dal nulla, quella goccia, mi diede
la serenità. Non molto tempo dopo, ci fu un temporale e poi venne sera. Qualcosa era cambiato, sentì
che il mio corpo si stava modificando non di forma ma di aspetto. Ad ogni goccia di pioggia avevo
sentito il mio corpo trasformarsi; su di esso, infatti, la pioggia aveva inciso dei bellissimi disegni; ormai
avevo preso l’aspetto di un ciottolo di quarzo. Era mezzogiorno, quando un bambino mi prese
accuratamente tra le sue mani e disse: “Mamma, mamma vieni a vedere! Guarda, è un Lithops! Questa
specie, ha dei disegni che sono come le impronte digitali, non esistono due uguali. Forse lui non lo sa,
ma è unico”. Mi rimise delicatamente in terra e corse via. Il tempo passava e la vita scorreva
imperterrita. Di piogge non ce n’erano più state da quel giorno, fino ad ora. La luna dominava il cielo, il
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vento era fresco e nell’aria pungente c’era qualcosa di particolare, sarebbe venuto a piovere di sicuro
dopo pochi minuti, ne ero certo. Ero così emozionato come lo è solo un bambino alla vigilia di Natale,
sapevo che tra poco sarebbe venuto a piovere e l’attesa sarebbe stato il momento più bello; assaporare
quegli attimi! Riuscivo a vivere davvero ogni secondo che passava.
Ed ecco le prime gocce. Non so come, ma ciò che mi stava accadendo era una magia. Sentì che dal
centro del mio corpicino, una serie di colori impregnati di vita si facevano spazio e a poco a poco, ogni
petalo si apriva. Erano bastati un paio di minuti. Ero sbocciato. Ero piccolo piccolo, con solo due
foglioline, ma queste erano carnose e resistenti capaci di conservare l’acqua per mesi. Vivevo raso al
suolo, non possedevo né un tronco né una chioma e vivevo per metà infossato. Sbocciavo alla fine di
ogni estate, quando il sole era è alto sull’orizzonte. Non possedevo molto, ma tutto quello che avevo, che
ho e che avrò, sarà il mio piccolo miracolo: un ombrello di colori rivolto al cielo.
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“Grigio”“Grigio”“Grigio”“Grigio”
di di di di Elisa PiantoniElisa PiantoniElisa PiantoniElisa Piantoni
Categoria Scuole Superiori – Racconto Segnalato
Rosso. E’ strana la sensazione che si prova ad essere privi di una copertura. Un giorno si è li , imponenti
e maestosi , e quello dopo completamente spogli. Ma si sa , la ruota gira e prima o poi tutto torna anche
se non allo stesso modo. La prima impressione della giornata è stata rosso. Rosso è il manto che riveste
il terreno intorno a me , rosso è il colore dei riflessi di questa alba tanto attesa. Tutto ora è rosso , di un
tono caldo, riposante , sereno. Che allevia questo senso di fragilità e disagio.
Poi tutto diventa giallo , giallo come il sole che dona vita, giallo fonte di calore. Grazie ad esso, pian
piano, nascono nuovi colori. Si accendono di nuova luce i verdi , restii ad abbandonare il loro spazio
duramente conquistato nel corso della scorsa stagione. Compaiono gli arancioni, i rosa e quelle
sfumature azzurre cosi improvvise che scandiscono inesorabili lo scorrere del tempo. Tutto è un colore,
tutto è una festa ed io ne sono partecipe. Pur nel mio piccolo so di giocare un ruolo importante e questo
dona nuova vita e nuove speranze nel futuro.
Blu , i colori si intensificano, quelle chiazze scure che seguono con precisione i nostri contorni si fanno
più lunghe. Giocano con il loro proprietario nascondendosi, deformandosi, ma restando ugualmente
sincere. Tutto si fa più scuro e i colori si fondono.
Nero. La luna tarda a farsi vedere aumentando le attese di chi tanto la ama.
Bianco, un colore quasi panna, limpido, accarezza le superfici e il paesaggio dona nuove suggestioni.
Chi è il mio vicino ? Quasi non lo riconosco più ! Sembra una figura eterea, darò anche io questa
impressione ?
Grigio. E’ un colore nuovo, non lo capisco. Davanti a me c’è una tinta piatta. Dove è sparita tutta
l’allegria ? Questo vuoto è straziante. Passa ancora del tempo ed altro grigio compare intorno a me. Il
rosso ormai è un sogno, il giallo pare sempre più lontano. Bianco, ma non quello della luna. Questo è un
bianco metallico, innaturale e fisso. Non gioca con me con i suoi riflessi, non crea emozioni.
Prima lo chiamavano polmone verde questo colle. Era bello essere associati a quel colore, che nella sua
varietà riusciva ad unire tutti noi. Ora ci sono solo io, piccolo puntino colorato circondato da grigio.
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“Simbiosi”“Simbiosi”“Simbiosi”“Simbiosi”
di di di di Letizia RadiciLetizia RadiciLetizia RadiciLetizia Radici
Categoria Scuole Superiori – Racconto Segnalato
Ho guardato il sole,
mi ha dato una carezza tiepida,
un raggio mi si è impigliato tra i denti: ho sorriso;
ho guardato una foglia in autunno,
l'ho vista morire, mentre danzava per me fino a toccare la terra,
ho guardato dietro l'albero da cui cadeva e ci ho trovato nascosto il profumo della primavera,
venato di resina e di voglia di rinascita;
ho guardato una foglia in estate, piena di linfa, profumata di vento e limone,
ho toccato l'acqua e lei mi ha stretto la mano,
mi ha permesso di nuotargli nel ventre,
di ascoltare il silenzio del mare ...
una pausa tra le note del mondo.
Ho appoggiato la schiena ad una fresca rupe,
gli ho lasciato il calore dell'estate,
ho corso nell'erba alta,
mi ci sono nascosta, con le mie fantasie leggere,
ali della mente che mi sollevavano fino al cielo;
Ho camminato all'alba, al tramonto e perfino nella notte,
ho visto il cielo cambiare il suo sguardo senza mai invecchiare,
mentre con il suo ciclo scandiva l'esistenza degli esseri viventi;
ho visto il vento solleticare l'animo sensibile di un bambino che giocava in giardino,
ho sorpreso un fulmine, mentre con la fugace decisione di un secondo,
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cercava di catturare l'attenzione...
Ho ascoltato la pioggia,
cadeva sulle corolle dei fiori, ne riempiva i calici,
ma quell'ebbrezza pesante il fiore la pagò con la sua bellezza;
ho visto un arcobaleno,
ponte fragile tra mente e sogno;
ho calpestato le ceneri calde di un vulcano,
ne ho percepito la forza, poche volte, pellegrina dell'animo umano...
Ho guardato la terra sotto i miei piedi, nella vasta gamma dei suoi volti ,
persa a rimirarsi negli specchi dei nostri occhi,
Terra madre, amante e ora figlia da accudire.
Ho respirato e i miei polmoni si sono gonfiati d'aria,
come lenzuola stese sopra un terrazzo al mare che il vento ingrossa.
Ho incontrato un uomo, gli ho chiesto di guardare e di riuscire a trovare la sua poesia.
Ho parlato a quell'uomo e gli ho detto: tutto puoi, sei uomo! ma non dimenticare chi lo permette.
Poi ho parlato a me stesso e ho deciso: voglio consacrarmi alla natura, trovare la mia strada
nell'origine.
“Il parco”“Il parco”“Il parco”“Il parco”
di di di di Marco AcerbisMarco AcerbisMarco AcerbisMarco Acerbis
Categoria Scuola in Pigiama – Prima Classificato
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“Eco“Eco“Eco“Eco----loquio”loquio”loquio”loquio”
di di di di Alberto MarzonaAlberto MarzonaAlberto MarzonaAlberto Marzona
Categoria Scuola in Pigiama – Seconda Classificato
Buio...oscurità, forse...oppure PAURA?
...sì, sì...paura va benissimo per descrivere questo nuovo colore che vedo, anzi: che non vedo e da cui
sono tanto spaventato.
Uhh... mi sento a pezzi... non ricordo bene, ma devo essere stato un tipo cresciuto sempre al sole e
all'aria aperta: ad assaporare le stagioni che passano, gli uccellini che cinguettano per metà della
giornata, la pioggia che ti rinfresca le fronde...LE FRONDE?!?!? Chi posso mai essere io per avere dei
ricordi del genere?
Ih, hi...magari sono stato una pianta! Magari una quercia; una di quelle belle grandi, grosse e antiche
alte fino ai 15-20 metri. Una di quelle che hanno visto svelarsi sotto le proprie chiome intrighi, storie
d'amore, oppure una di quelle sotto le cui ombre, i bambini si siedono a mangiare il proprio pranzo al
sacco preparato dalle madri in fretta e furia un quarto d'ora prima della partenza della comitiva
scolastica.
Ma ora, basta pensare, che fa venir sonno ed io che sono tanto stanco, magari se ci penso bene arrivo a
capire chi sono e dove sono..............ma ora che ci rifletto...ORA RICORDO! Sono carn... volevo dire, legno
da macello! Dove sono quegli uomini che hanno osato far di me legna da ardere, stuzzicadenti, un
tagliere da cucina o un pezzo da mobilio?
Ehi, chi mi spinge? Ah! Allora non sono solo! Dimmi ragazzo che pianta sei... sì, sì, scusami eri? Una
pianta di sambuco? Ah, finalmente uno che sa di latino e mi può spiegare la situazione con chiarezza...
ti posso chiamare don?
No, no calmati, non diventeremo legna da bruciare, né un sostituto del filo interdentale dopo un pranzo
abbondante: sono sicuro che diverremo antichi e imponenti mobili , a me piacerebbe divenire un bel
pianoforte! Mi renderei nuovamente utile e poi... Cosa vuoi tu, invece caro signor ...olmo? Oh, grazie.
Come? Non posso divenire un pianoforte? E perché? Cosa ne sai che non sono un bel pezzo d'ebano
bello resistente e pregiato: non mi vedi! AHAHAHAHA!
Ahia, ma cosa fai? Come mai mi hai scheggiato? Ah... l'ebano non sente dolore...cosa sei: un medico?!?!?
Cosa? Un eucalipto ti ha dato lezioni di medicina e hai pure la laurea? Mostra qua... sì, sì, sento la carta,
te lo concedo.
Comunque, tornando a noi signor sambuco... e la smetta di pregare, glielo ripeto: ormai siamo legna da
macello, mi sente? Guardi che le ritiro il rosario, eh...oh, bravo, reagisca, metta via la bibbia, la croce... ok
ci siamo. Le stavo dicendo... ancora?!? Perché tutti mi interrompono?!? Cosa mi deve dire lei, signor
...gramigna? Oh grazie. Come? Lei sa dove siamo? Oh, finalmente qualcuno che dispone di pettegolezzi
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utili, anche se a dirla tutta, lo sospettavo che sapesse qualcosa, d'altronde, la gramigna è dovunque e
sente tutto! Pettegolo! AHAHAHAH!
Tornando a noi, mi dica che siamo in una fabbrica dell' ikea o di una qualsiasi casa costruttrice di
mobili.......... COSA?!? In una fabbrica di stuzzicadenti... oh , cavolo!
No, no, no, calmati sambuco non piangere... ecco, vedi cosa hai combinato gramigna! Un po' di umanità,
caspita! Serviva dirlo a così alta voce?!? Ma cosa ci fai, tu qui? Con la gramigna non si fanno gli
stuzzicadenti!...Ah!... Sei qui per sbaglio, eh...stavi andando a chiedere in prestito dello zucchero ai vicini,
eh... FALSO! Alla forca! C'è qualche stuzzicadenti con competenze legislative, qui? Come? Ah perfetto,
che pianta eri? Come? Una pianta degli impiccati come quelle dei film western?!? Lieto di conoscerla
signor VIP dei film western, faccia giustizia a questa spia.
Ecco, legatelo bene, che non succeda che gramigna scampi dall'impiccagione come quel burattino del
libro di Collodi.
Ora, se mi date un po' di vino...grazie signor...vite? Ecco, non fare il tirchio, riempi bene bene il
bicchiere.. e se qualcuno mi dà qualcosa con cui pasteggiare...miele ad esempio, grazie signorina...
acacia? Io, dato che mi sembrate molto curiosi di sapere a cosa servono gli stuzzicadenti vi dirò che
servono a grattar via la sporciz... ah, preferite evitare... ve lo spiegherà allora quell' intelligentone del
signor quercia che è vecchio come il cucco e che MI STA PARLANDO SOPRA DA 2 ORE della storia
della sua vita e nessuno lo ascolta! AHAHAHAHA!
Come? Volete sapere cosa ero io, prima di arrivare in questa fabbrica? Inizio subito, aspettate, che
sistemo sambuco che vomita ancor prima di aver svolto il suo compito di stuzzicadenti! Oh bravo, così
si fa, dagli un po' di vino vite... cosa “buco”? Sei minorenne? E non ti preoccupare, che è “succo
d'arancia”(fidati, eh)! AHAHAHAHAH!
Ehi, vip del western, mi porti a fare un giro la vecchia quercia, che se no continua a parlare a vuoto e mi
dà fastidio? Ecco, bravo...cosa acacia? Sì, fidati, il nonno torna, ih, ih, ih.
Allora: ero una bella pianta, una di quelle grandi grandi grandi ,e poi...
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“Amica ortica”“Amica ortica”“Amica ortica”“Amica ortica”
di di di di Massimo NicoliMassimo NicoliMassimo NicoliMassimo Nicoli
Categoria Adulti – Primo Classificato
Era cresciuta vivace e rigogliosa, il fusto eretto e i peli irti e gagliardi. Ma più cresceva, più
attorno a lei si faceva il vuoto. Così la giovane ortica era rimasta ben presto sola.
“Perché tutti si allontanano? Non mi piace stare sola.”
Con tenacia e con un certo sforzo, trascinandosi lungo il suo fusto, raggiunse il portico di una
cascina.
“Vattene” le disse il portico “qui passa un sacco di gente. Appena ti vedranno di taglieranno o
peggio ancora ti calpesteranno. Che brutto spettacolo! ortica maciullata. E poi proprio qui: io sono
un portico rispettabile. Allontanati!”
A malincuore l’ortica si trascinò più in là fino a raggiungere un orto.
“Quante erbe rigogliose e che terra morbida! Questo è un posto bellissimo. Conoscerò molte
piante e mi farò tanti amici”.
L’ortica si sistemò vicino alle carote.
“Certo ci vuole un bel coraggio!” disse una voce dura.
“Che sfacciata!” aggiunse un’altra voce arancione.
“Sei irritante!” sentenziò una terza carota con voce profonda.
“Non faccio nulla di male!” si difese l’ortica, “cercavo solo un posto dove continuare a crescere in
compagnia.”
Le carote si consultarono tra loro poi si rivolsero di nuovo all’ortica:
“Questo non è posto per ortiche”
“Qui cresciamo noi carote. Il contadino ci cura perché siamo buone, croccanti e succose.”
“Tu sei solo urticante. Sai cosa vuol dire urticante?”
!?!
“Che pungi” dissero le tre carote in coro.
“Io pungo?” domandò sorpresa l’ortica.
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“Certo, non te l’ha mai detto nessuno?”
“Pungi, pungi, pungi,” cominciò a canzonarla un gruppo di ravanelli, “pungi, pungi, pungi…”
In quell’istante la terra tremò. Due grossi stivaloni si avvicinarono minacciosi. L’ortica sentì la
zolla di terra attorno sradicarsi e poi per aria, in un vortice, scaraventata via.
Un tonfo, per terra, di là dalla strada sterrata, in un fosso, franata, umiliata. Ancora sola e
abbandonata.
Scese la notte. L’ortica induriva. Pensava ai torti subiti e il suo fusto induriva, la linfa induriva.
Al mattino l’ortica era incattivita.
“Così io pungo?” pensava “e allora me la pagheranno tutti quanti. D’ora in poi niente più amici.
Farò soffrire tutti. Così avranno la punizione che si meritano”.
L’ortica rimase in attesa della prima vittima. Sentiva di odiare tutto e tutti.
Dopo un po’ di tempo passò di lì una formica che non s’interessò minimamente di lei, indaffarata
com’era a spingere una briciolona di pane.
“Ehi, formicuccia, vieni qua!”
“Qua qua”
“Qua!” insistette l’ortica.
”Qua qua, qua qua!”
L’ortica vide tre oche che razzolavano nel campo, "qua, qua, qua", si avvicinavano, "qua, qua"
presto sarebbero state abbastanza vicine per toccarle e pungerle. "Qua!" Improvvisamente si
girarono e sempre quaquaraquando cambiarono direzione.
“Ehi, voi tre, oche, perché non passate di qua?” urlò l’ortica.
“Siamo tre anatre, non tre oche e abbiamo imparato a stare alla larga da quelle come te.”
Anche stavolta era andata male!
Passarono molte ore. Il sole scottava e l’ortica, ormai stanca, si addormentò.
Si svegliò verso sera con il sole che stava tramontando. In quello stesso istante si accorse che
alcuni ciuffi d’erba si muovevano, l’ondulazione continuava e si dirigeva proprio verso di lei.
“Questa è la volta buona. Non mi sfuggirà, chiunque esso sia”.
Si preparò all’agguato, più avvelenata che mai. La preda non aveva più scampo. Bastava lasciarsi
sfiorare e magari adagiarsi un po’.
“Ci siamo… ora!… ahi, ahi, ahi, ahi!”, si ritrasse l’ortica ferita.
Un riccio e i suoi tre piccoli procedevano in fila indiana, lungo il fossato, in cerca di cibo.
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“Non vale, ero io che dovevo pungervi!” protestò l’ortica.
“Dilettante!” fu la secca risposta di mamma riccio.
La giovane ortica si accasciò demoralizzata. Il sole ormai basso l’abbagliava. Perfino la dolce
brezza della sera la infastidiva. Quasi non si accorse di quei passi che si avvicinarono, di quella
mano guantata che la raccolse, no, senza strapparla con disprezzo, cogliendola delicatamente.
Venne messa in un contenitore trasparente, conservata e osservata.
A osservarla dapprima fu l’uomo che l’aveva raccolta, un botanico, Giacinto Spina (che sarebbe
divenuto botanico ce l’aveva scritto nel nome), ma nei giorni seguenti la osservarono molti
bambini incuriositi. Facevano numerose domande e il professor Spina, (come lo chiamavano
loro), rispondeva. Fu così che l’ortica seppe molte cose sul suo conto. Innanzitutto si chiamava
Urtica Dioica e possedeva molte proprietà curative. Grazie a lei si potevano curare alcune
infiammazioni, si poteva rendere più puro il sangue e fare tanta pipì. Attorno a lei i bambini
erano sempre più numerosi e la esaminavano entusiasti.
“Che stupida son stata a odiare il mondo.”
Da quel giorno fu orgogliosa di essere un’ ortica, sapeva di essere utile e non si sentì mai più sola.
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““““Tre noci, un giorno”Tre noci, un giorno”Tre noci, un giorno”Tre noci, un giorno”
di di di di Alessandro PelicioliAlessandro PelicioliAlessandro PelicioliAlessandro Pelicioli
Categoria Adulti – Secondo Classificato
Le “Rogazioni”Le “Rogazioni”Le “Rogazioni”Le “Rogazioni” “Tre noci, un giorno” è un breve racconto che s’impernia sul tema di un rito, ormai caduto in disuso, che legava strettamente l’uomo e la sua sopravvivenza alla natura: le rogazioni. Le Rogazioni (dal latino rogare: chiedere, pregare) erano particolari processioni primaverili con le quali la civiltà contadina manifestava la propria fede nei confronti dei Santi e Dio, affinché costoro proteggessero i campi dalle malattie così come dalla grandine, dalle tempeste e dalle disgrazie. Le Rogazioni Minori avevano avvio alla festa di San Marco (il 25 aprile ed i due giorni seguenti): all’alba di quelle mattine tutta la gente del paese si radunava davanti la chiesa principale da cui poi si snodava la processione, della durata di alcune ore, che andava a lambire tutto il territorio della parrocchia. In questo modo tutte le terre coltivate potevano assistere ad un segno tangibile dell’umana fede posta in Dio, fede che veniva espressa attraverso litanie e benedizioni. L’entusiasmo e la foga dei miei undici anni mi tennero sveglio tutta la notte: come si poteva dormire al
pensiero di quanto sarebbe accaduto?
Da sotto le coperte aspettavo di sentire la casa destarsi e appena scorsi i passi di mio padre, in un sol vento mi alzai, mi lavai al catino e pur essendo lunedì, indossai l’abito della festa. Il tempo di un
bicchiere di latte e mi buttai fuori di casa: camminavo, soprattutto per evitare le urla di mia madre, ma appena superato il muro della cascina, cominciai a correre in quella distesa di campi bagnati
d’albeggiare e di rugiada. Correvo, sì, ma tutto storto e se qualcuno mi avesse visto avrebbe creduto ch’ero diventato zoppo tutto d’un tratto: la mia andatura, invece, era strana solo perché tenevo una
mano nella tasca dei pantaloni dov’erano tre noci – poteva forse non apprezzarle e sorriderne? - rubate dal tavolo della cena, la sera prima.
Arrivai alla chiesa con il fiatone. Feci giusto in tempo a tirare un grande respiro che le campane
buttarono il loro suono sul primo raggio di sole: mi guardai intorno. Ero il primo.
Entrai nella canonica tutto felice - Don Aldo mi aveva già promesso il più ambito dei ruoli per quella
mattina, così come per i due giorni seguenti – e mi bastò scorgerlo, con il suo abito nero da suora, per
ritrovarmi a chiedere:
- “Dov’è la mia croce?”
Don Aldo strabuzzò gli occhi - non s’aspettava che fossi già li e tanto meno una simile domanda - quindi si mise a ridere e senza ribattere posò la sua mano sulla spalla, per poi incamminarci insieme
verso la sacrestia.
In una manciata di minuti arrivarono anche gli altri chierichetti: i loro occhi si riempirono d’invidia quando appresero che per loro v’erano solo i due candelabri, il campanello e l’aspersorio,
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poiché il prestigio della croce sarebbe toccato a me. Circondati dal silenzio, da quadri ex-voto e santi
sofferenti, indossammo le vesti per la cerimonia: mi veniva da sghignazzare, perchè quel prepararci avveniva in un’atmosfera da trattoria, dove tutti gli avventori fingevano di ignorare - pur gettando,
sguardi di sospetto e cattiveria - quello ch’era il farabutto, il brigante ch’era nei dintorni. Me.
Poteva interessarmi? Macché… A me solo importava la gloria di guidare con la croce in mano, la processione lungo quelle strade di polvere che attraversando campi e prati, avrebbe raggiunto ogni
santella. Senza dimenticare poi, che assolvendo quel compito mi sarei anche ingraziato Dio: se era in
grado di aiutare quella terra dandogli frutto e sostanza, perché non avrebbe dovuto aiutare anche me,
dopo quella collaborazione? Sarebbero già bastati questi ragionamenti per sentirmi al settimo cielo,
ma c’era di più… C’era infatti modo di mettersi in luce agli occhi di Maria. Maria, sì, più bella della madre di Gesù, Maria, la figlia del prestinaio.
Scoccarono le sei e Don Aldo ci invitò a seguirlo: uscimmo sul sagrato dove - giusto il tempo di organizzare il da farsi - sarebbe cominciata la rogazione: passammo quindi in mezzo alla gente per
guadagnare la testa della processione ed in quel breve tragitto - proprio come prevedevo – incrociai Maria ed il suo sguardo. Ci sorridemmo con le labbra e con gli occhi e vista l’autorità del mio ruolo, mi
fermai quel tanto per sussurrarle: “Quando abbiamo finito tutto, ho una sorpresa per te: seguimi fin
fuori dalla sacrestia!”.
Mi misi allora alla testa del corteo, in attesa che Don Aldo cominciasse la cerimonia: io ancora mi stavo
chiedendo cosa Maria avrebbe deciso di fare, quando la sua voce svuotò il silenzio e ci muovemmo.
Kyrie elèison
Christe elèison
Kyrie…
Passo dopo passo la guazza mattutina e l’aria primaverile lambivano le mie scarpe, mentre il mio sguardo vagava richiamato dalle nuvole, dal volo degli uccelli o dagli alberi in fiore.
Sancte Nicolae, ora pro nobis
Sancte Antonine, ora…
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Chissà se tutti quei campi, dispiegati intorno a noi, sentivano che il nostro camminare era diverso dal
solito: non il quotidiano incedere di aratura o mietitura; ma piuttosto un camminare di passi carezza, di andatura attenzione, di piedi premura auguranti solo abbondanza?
Sancte Bernarde, ora pro nobis
Sancte Francisce, ora…
II bello però, avveniva allorquando ci fermavamo vicino alle tribuline e tutta la processione si disponeva a semicerchio intorno agli officianti, permettendo così a noi chierichetti di guardare tutti i
fedeli. In quei frangenti cercavo sempre di scorgere Maria, ma non ci riuscivo mai, perché il mio sguardo veniva risucchiato da quegli abiti scuri - puliti anche se sporchi di vita - dai quali sporgevano
volti che, ne ero certo, nella vita quotidiana dovevano esprimere maggior felicità per la nascita di
vitellino che per quella di un bambino, maggior premura per la terra che non per la propria moglie.
Il gomitolo di gente si attorcigliava intorno a noi, poi Don Aldo attendeva che il brusio si spegnesse: solo a quel punto, gli passavo la croce e mentre la liturgia s’accendeva, io verificavo che nella tasca vi
fosse ancora il suo preziosissimo contenuto.
Il sacerdote una volta presa la croce, l’alzava, gettando prima una occhiata al cielo e poi a tutti quei
campi, seguendo chissà quali invisibili segnali: forse l’impercettibile battito d’ali di una farfalla?
Oppure il suono della terra crepata da un lombrico o magari il cigolio ch’era lo schiudersi dei fiori? E
così continuava a fare: lo sguardo in alto a raccogliere dei semi, riabbassandolo poi per spargerli, finché a semenza divina finita, poteva finalmente nascere il grido ch’era intimazione e dolcissimo canto:
A improviísa morte.
Ab ira, et odio, et omni mala…
L’elencazione continuava senza esitazioni e Don Aldo era così concentrato a sgranare latinismi, -
impegnato com’era a rivelare, strappare e rendere innocui tutti i timori di quella gente – che sembrava nemmeno aspettasse il “Libera nos Domine” dell’assemblea.
A fulgure, et tempestate,
A peste, fame, et bello…
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Solo quando non v’era più alcunché di cui liberarsi, don Aldo s’interrompeva per prendere l’aspersorio
ed annaffiare tutto e tutti: l'aria tersa gaia di primavera, quegli uomini di terra e tutti i loro poderi colti od incolti che fossero, affinché tutto divenisse inattaccabile pala d’altare sulle invisibili pareti della
chiesa ch’è la natura.
Questa cerimonia dell’andare-fermarsi-benedire la ripetemmo più volte: era straordinaria!
Straordinario era anche il comportamento di quegli uomini che seguendo il gesticolare del prete, mutavano la loro rozza apparenza nella meraviglia di un bambino dinanzi all’arcobaleno o alla neve;
così come straordinarie erano le bocche delle anziane, quando tessevano quelle preghiere mute, nate
e morte sulle loro labbra apparentemente tremanti dal freddo. Ma dopo un po’ tutto questo straordinario
mi venne a noia: dolevano i piedi, le braccia erano stanche e dentro quel vestito da chierichetto iniziava a far caldo… Ma soprattutto avevo una voglia matta di capire cosa avrebbe fatto Maria.
Grazie al cielo, il campanile non era troppo lontano e vedendolo sempre più vicino, riuscii a farmi forza
e a resistere: mi sentii quasi miracolato quando giungemmo sul sagrato della chiesa.
Agnus Dei, qui tollis peccàta mundi.
Agnus Dei, qui tollis….
Un’ultima benedetta benedizione, quindi il corteo si sciolse e l’intero paese andò lentamente incontro alle sue faccende di fatica e di mani.
Tirando le somme: nessuna titubanza nello scegliere le strade e tanto meno sballottamenti o cadute alla
croce. Ero stato bravissimo! Malgrado questo, però, le farfalle nello stomaco mi rendevano irrequieto impedendomi di capire se tenevo più paura di incontrare o di non incontrare Maria. Che malefica
congiura: se solo mi fossi deciso, avrei potuto chiedere l’intervento divino che, alla luce della mia professionalità di chierichetto, non sarebbe certamente venuto meno. Ed invece…
Ed invece ci incamminammo verso la chiesa: io titubante e impaziente, Don Aldo sorridente e gli altri
chierichetti ancora in combutta con me, per la faccenda della croce portata da me, per di più, senza disastri. Stavamo per varcare la porta della sacrestia quando sentimmo una voce chiamare:
“Alessandro!”
Siiii!
Noooo…
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Era solo la maestra, che m’invitava a spicciarmi ad andare a scuola. Rimasi deluso e di stucco, tant’è che
continuai a fissarla sconsolato. Fu a quel punto che avvenne la visione: appena la maestra si voltò e tornò sui suoi passi, intravidi alle sue spalle Maria - la donna copriva la bambina, poiché sulla stessa
linea prospettica - in procinto a raggiungermi.
Scoppiai in un sorriso e senza sapere dove andò a finire la croce – tenuta gelosamente, fino a un attimo prima, fra le mani – mi ritrovai dinanzi a lei.
Dissi: - Chiudi gli occhi, e non aprirli finche non mi senti dire “Sorpresa!”. Va bene?
- Va bene. – Rispose lei.
Infilai la mano in tasca, vi tolsi quanto c’era da togliere.
Presi la mano di Maria, gli aprii le dita e vi poggia le tre noci.
Le guardai, guardai il suo viso e poi…
E poi corsi verso la sacrestia, gridando a squarciagola: “Sorpresaaa!”.
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“Il giudizio naturale”“Il giudizio naturale”“Il giudizio naturale”“Il giudizio naturale”
didididi Silvia ValSilvia ValSilvia ValSilvia Valagussaagussaagussaagussa
Categoria Adulti – Racconto Segnalato
PERSONAGGI: Madre Natura, il Tempo, la Betularia bianca, la Betularia nera, il Corvo, il Cielo, la Terra SCENA: un'aula di tribunale, circa duecento Rivoluzioni fa. Tempo In piedi, entra il giudice! Buongiorno Vostro Onore. [Offrendole la sedia] S'accomodi, mi permetta.
M. Nat. Grazie, molto gentile. Sa, lei è un assistente davvero prezioso, non credo che potrei combinare
un bel niente senza di lei... Ma mi fa sentire più vecchia ogni volta che la vedo.
Tempo Dovere, Vostro Onore. Ora, se mi consente di dare avvio al procedimento...
M. Nat. Vede? Sempre a mettermi fretta.
Tempo Non oserei mai. Vorrei solamente ricordarle che dobbiamo presiedere anche a molti altri
processi: la deriva dei Continenti, la fioritura del Ciliegio...
M. Nat. Cerca di insegnarmi il mio mestiere...? Ma lo sa, lei, da quante Rivoluzioni mando avanti questa
famiglia?? Saranno almeno... almeno...
Tempo Quattro miliardi, cinquecentocinquantun milioni e...
M. Nat. Ehm, sì, ecco, appunto... E comunque nessuno dei miei figli si è mai lamentato, mi pare...
Bet. bianca Hem-hem...!!
Tempo Veramente questo processo è stato istruito proprio dietro lamentela della sua figlia qui
presente...
M. Nat. Ah, ma allora la faccenda è grave...! Dica, cosa aspettava a dirmelo? Avanti, cominciamo!
Tempo Chiamo a testimoniare la Farfalla delle Betulle.
[La Betularia bianca e quella nera, spintonandosi in volo, fanno a gara per arrivare prime al banco dei
testimoni.]
M. Nat. Ma che succede?? Su, bambine, non litigate...!!
Tempo Domando scusa, la Farfalla bianca delle Betulle.
[La Betularia nera torna mesta al suo posto mentre quella bianca si posa sul banco.]
Tempo Prego, faccia presente al giudice il motivo per cui l'ha convocata.
Bet. bianca Ciao mammina, come va?
M. Nat. Non c'è male, cara. Tu, piuttosto, come stai...?
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Bet. bianca Male, mamma, molto male. Non so come, ma la mia sorellastra nera ha convinto il
Corvaccio cattivo ad attaccare me, quando invece fino a poco fa lui mi lasciava bella tranquilla sul mio tronco di Betulla e si pappava proprio lei, che è nera e brutta e cattiva come lui...
M. Nat. Ma povera bimba mia, cosa mi dici mai...? Fra l'altro, non mi ricordo di averti fatto una sorella
nera...
Tempo Mi permetta, Vostro Onore, di chiamare a testimoniare la Farfalla delle Betulle nera.
M. Nat. Oh, ma la prego...! Son proprio curiosa di salutare questa mia figlioletta dimenticata. Vieni
avanti, cara!
[La Betularia bianca lascia il posto a quella nera, facendole una linguaccia.]
Bet. nera Ciao, mamma. Lo sapevo che non ti ricordavi di me. Lo so che lei è sempre stata la tua preferita, lo so perché quando stavamo tutte e due vicine sulla Betulla il Corvo mangiava sempre me e
mai lei...
M. Nat. Piccola, mi spiace tanto, ma sai bene che dopotutto anche il Corvo è tuo fratello... però, in effetti,
mi sembrano un po' strani questi suoi gusti alimentari...
Bet. nera Io però non lo so perché non mi mangia più... io continuo solo a star lì sulla Betulla, come prima...!!
M. Nat. Su cara, ti credo, non piagnucolare. Beh, suppongo che ora dovremmo sentire cos'ha da dire il
Corvo.
Tempo Chiamo a testimoniare il Corvo.
[La Betularia nera raggiunge quella bianca ed entrambe si nascondono strillando al passaggio in volo
del Corvo.]
M. Nat. Suvvia, bambine! Il Corvo è qui per parlarci della sua colazione, non per cacciarla. Dunque, figliolo, cosa mi combini...?? Prima ti piace la Farfalla nera, poi quella bianca... Ma ecco, onestamente...
[sottovoce, al Corvo] io non credo che abbiano un sapore poi tanto diverso, no...?
Corvo No, infatti. Il punto è un altro: vedi mamma, prima la Betulla era bianca, e la Farfalla nera
spiccava meglio sul tronco; ma adesso che la Betulla è nera...
M. Nat. La Betulla...? Adesso anche la Betulla mi cambia colore?? Ma io qui divento matta. Passi per la Farfalla, lì deve essermi sfuggita una piccola mutazione, lo ammetto. Ma sono più che certa di non aver
mai e poi mai concepito una Betulla con il tronco nero...! Caro il mio Corvo, non avrai per caso qualche problema di vista...?
Corvo Non mi hai dato gli occhi dell'Aquila o del Falco, ma sono perfettamente in grado di distinguere
il bianco dal nero...! Se però questo è il valore che dai alla testimonianza di tuo figlio... buongiorno! [Vola via.]
M. Nat. Che impertinente! Mi sa che ho colto nel segno, altroché! ... deve avere sviluppato qualche strana forma di daltonismo. Betulle nere... figuriamoci...!
Cielo Vostro Onore, chiedo il permesso di intervenire...
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M. Nat. Eh? Chi ha parlato? [Al Cielo] Lei?! Cosa ci fa qui...? Erano Rivoluzioni e Rivoluzioni che non
prendeva parte a un mio processo: pensavo che lassù nell'atmosfera non succedesse più niente di interessante dal boom di ossigeno dovuto alla nascita dei miei bimbi fotosintetici.
Cielo E infatti mi consideravo ormai in pensione, quando alcune novità mi hanno convinto a riprendere
il lavoro.
M. Nat. Bene, ma veda di stare al passo con la sua collega [indicando la Terra]: una segretaria fenomenale, registra per filo e per segno tutto quello che accade durante i miei processi... Ma sentiamo,
sentiamo queste novità! ... Purché non mi dica che è diventata nera pure l'aria...!
Cielo Ehm... veramente...
M. Nat. Cosa?!? Ma allora è una mania... una sommossa...!! Il nero non è mai stato fra i miei colori
preferiti, com'è che all'improvviso lo portano tutti...??
Cielo Io credo di conoscere il responsabile, Vostro Onore.
M. Nat. E allora lo dica! Fuori il nome di questo impudente che si permette di scavalcare la mia autorità
cromatica!!
Cielo Si tratta dell'Uomo.
M. Nat. ... chi? Il mio cucciolo? Il mio piccolo genio...? Non dica assurdità. Non mi risulta che l'Uomo respiri in modo diverso da tutti gli altri mammiferi.
Cielo Infatti non è la respirazione, il problema. Non la sua, almeno: è quella di certi... marchingegni che costruisce. Buttano fuori carbone a tonnellate.
M. Nat. Ah. Beh, ma questo che c'entra con la causa che stiamo discutendo, scusi? Lei intanto si limiti a
registrare, vedremo poi cosa fare per l'aria...
Cielo Vostro Onore, è proprio l’aria, nera di carbone, ad annerire il tronco della Betulla. E' questo che volevo dirle: il Corvo ha ragione.
M. Nat. Ah. Lei dice? Ah. Questa non me l'aspettavo...
Tempo Vostro Onore...? Non crede che a questo punto sia opportuno inviare un mandato di comparizione all'Uomo?
M. Nat. Sì, un mandato... Nel frattempo, la seduta è sospesa! [Alle farfalle] Ciao bambine, e non
preoccupatevi: adesso ci pensa la mamma a sistemare tutto...!
Bet. bianca e Bet. nera (in contemporanea) Grazie mamma, lo sapevo che mi avresti difesa!
[Si guardano storto, poi volano via in direzioni opposte. Escono anche la Terra e il Cielo.]
M. Nat. [Guardinga, al Tempo] Senta, permetta una parola... Io non riesco proprio a credere che in
questa brutta faccenda sia implicato il mio tesorino, il mio bimbo prodigio... e... beh, mi domando se sia davvero il caso di convocarlo così d'urgenza... Sa, non vorrei spaventarlo...
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Tempo Vostro Onore, l'Uomo non è più un cucciolo: con le sue centonovantaseimila Rivoluzioni
suonate dovrebbe essere in grado di prendersi le sue responsabilità... invece pare che si diverta a giocare con quelle sue macchinine, senza preoccuparsi delle conseguenze sui suoi fratelli e sorelle.
M. Nat. Che ci vuol fare, è così creativo, così ingegnoso... Bisogna lasciarlo fare... poi vedrà che capirà,
imparerà a regolarsi... è così intelligente, così riflessivo...
Tempo Lei è troppo indulgente. Se vuole il mio parere, lo sta viziando... Comunque il capo è lei: io, finché posso, cercherò di non mettergli fretta...
M. Nat. Allora siamo d'accordo. Sono certa che presto il mio bambino sarà maturo e verrà a rispondere davanti a sua madre delle birichinate che ha commesso. Aspettiamo.
Tempo Aspettiamo...
[... e stanno ancora aspettando.]
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“Ciamarulà”“Ciamarulà”“Ciamarulà”“Ciamarulà”
di di di di Claudia MoiettaClaudia MoiettaClaudia MoiettaClaudia Moietta
Categoria Adulti – Racconto Segnalato
Lei c’è. E’ tornata.
Me la ricordo bene.
Aveva fatto una breve apparizione tempo fa, occhio e croce sono passati sei anni, era solo una paginetta
scritta di getto ma, allora, l’avevo considerato il suo primo, unico, spasmodico capolavoro.
Ora è di nuovo qui, in questo bosco di faggi centenari, cresciuti in un maestoso disordine proprio vicino a dove abito io.
E’ tornata in silenzio, nulla è cambiato di lei; all’apparenza, è solo cresciuta.
Come me.
L’ho accolta con gioia anche se credo non fosse gioia ma un sentimento che non so definire, un miscuglio a dosi variabili di:
meraviglia,
stupore,
rabbia,
sgomento,
sollievo
e, per l’appunto, gioia.
E’ scesa dal treno del tempo alle cinque in punto, precisa, bella e ordinata come sempre.
La prima cosa che ha toccato terra sono state le sue scarpette rosse, sicure, decise, morbide.
Io ero lì, seduta e credo indaffarata e persa nei miei soliti minestroni famigliari.
Ha sorriso, con titubanza ma ha sorriso.
La prima cosa che mi ha chiesto è :”ti ricordi di me?”.
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Ma la domanda aveva al seguito già la sua risposta. Come prima ho già detto, è cresciuta, ma non è la
cosa che più mi ha colpita: ho inghiottito in un attimo, come quando torni in un posto dopo quindici anni e ti sembra ieri, la sensazione che lei mi conosca davvero.
Ho pensato a quanto fosse stato lungo il viaggio per lei, quanto aveva dovuto pensare, riflettere,
sonnecchiare. Poi la cosa più ovvia c’è stata: “Come stai?”, con un sorriso montato solo a metà.
Eravamo tranquille, serene, ora che sapevamo di essere lì. Tutto era come doveva, anche il prato che prima non c’era, ora, a soli dodici passi dal mio giardino, era cresciuto.
L’ho capito.
Lei viene da me, con tempi ed intervalli lontani dal nostro quotidiano pensare, quando io prendo contatto coi pensieri più profondi del bosco.
Ero distesa ai piedi di un faggio, quel giorno. Mi ero regalata una piccola pausa dai miei doveri e,
sistemata la mia borsa a colori sotto la testa, avevo snodato quei lacci che di norma mi annodano ai pensieri più scuri.
Ho sentito lo scricchiolio delle foglie, al mio fianco.
Sopra ai rami, che mi fanno da ombrello, è passato, veloce, un gheppio.
Poi, è arrivata lei. Ha iniziato a parlare.
Nei suoi racconti vivono tante persone, cose, animali e sempre mi perdo e riscopro l’enorme piacere che
provo ad ascoltare le sue storie.
“Ricordi quella volta che mio nonno mi ha sentita parlare con te? Hai finto, con lui, di rincorrere una volpe. Ma lui ha capito. Conosce anche me.”
Ti ricordi tutto di noi. All’apparenza è strano: non credo di essere l’unica che passi a trovare. Altre
persone amano il bosco e i suo silenzi, come me.
Poi, in un momento, come l’alone appannato dei vetri, te ne vai.
Non ci sei più.
Quando rientro a casa, vicino alla poltrona di stoffa rossa, lì, infilato tra il cuscino coi bottoni di legno e
quello verde che mi ricorda il colore del rosmarino, proprio lì, trovo un foglio scritto da te.
Lo leggo.
“Disegnami.
Con un occhio esco dal bosco.
Con l’altro rimango nascosta dietro questo ruvido legno.
Disegnami.
Sono piccola. Mi chiamano Ciamarulà.
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Ho i piedi che saltano sulle foglie del pavimento.
Ho fatto amicizia coi ragni, col buio e col becco
di un picchio.
Disegna come mi vedi.
Così potrò sapere di me.
Qui nel bosco non c’è uno specchio.
Ed io non so come sono.
Mi sono svegliata da poco e qui, tra i faggi, c’è il sole.
Un filo di sole che mi arriccia i capelli e mi fa
vedere lontano.
Mi chiamo Ciamarulà.
Resto nel bosco,
corro nel bosco,
gioco ad essere un animale,
gioco ad essere il rosso delle foglie
e il rumore di un ramo che si spezza.
Dormo nel bosco.
Voglio un’altalena per andare su e giù
dai miei pensieri di bambina.
Sono Ciamarulà.
Oggi raccolgo dei fiori e me li metto sotto il vestito,
così avrò un buon profumo.
Poi mi metto una mano sul viso e apro,
piano, le dita: se ci guardo attraverso vedo il bosco.
Ma lui non vede me.
E’ bello il mio nome. E’ bello il posto in cui vivo.
E’ un bosco di faggi.
E’ il bosco di Ciamarulà.”
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Predo un foglio di carta ruvida, faccio la punta ad una delle matite blu che aspettano in fila nel barattolo
di latta e ti disegno. Come vuoi tu.
Stretta ad un ramo di faggio, lego un’altalena per andare su e giù dai tuoi pensieri.
Come mi hai chiesto tu.
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““““Il ParcoIl ParcoIl ParcoIl Parco””””
di di di di Marco AcerbisMarco AcerbisMarco AcerbisMarco Acerbis
Categoria Scuola in Pigiama– Primo Classificato
Il parco non è un insieme di scivoli, di alberi e di panchine ma è un luogo che non può mancare a
nessun paese. Al parco ci si ritrova a parlare, a giocare, a ridere e a scherzare. Il mio primo ricordo del parco risale alla scuola materna, dove tutti giocavano con tutti, appena uscivo dalla materna avevo un
solo obbiettivo nella testa: andare al parco per giocare con i miei amici. Le mamme a quel tempo ci osservavano da lontano mentre noi ci divertivamo andando sull’ altalena, sugli scivoli e giocando a
lupo o nascondino terminando con una merenda in compagnia.
Più il tempo passava più noi diventavamo autonomi, ma il desiderio rimaneva quello di andare al parco, i giochi cambiavano, le mamme non c’ erano più, ma l’ allegria, lì, era sempre la stessa. Negli ultimi
tempi al parco ci si divertiva moltissimo, le gare di corsa, le gare con le biciclette. Adesso mi manca il parco, gli amici le emozioni che il parco ti dà: l’allegria, il divertimento, la gioia e poi tutto quel verde
che ti trasmette tranquillità. Non vedo l’ora che questo periodo finisca, festeggiandolo con un bel pomeriggio al parco e immagino …….
Sono al parco, sono guarito è una bellissima giornata dove il sole splende nel cielo azzurro, non ci sono nuvole. Una brezza di vento mi spettina i capelli ormai ricresciuti, i miei amici ed io siamo felici, c’è
un’aria di festa, l’atmosfera è allegra tra di noi e tra gli altri bambini. Siamo seduti per terra sotto degli alberi, le panchine sono tutte occupate e gli altri bambini urlano divertendosi salendo e scendendo
dagli scivoli e dalle altalene. Ci sono bambini che vanno in bicicletta ed uno sta imparando ora …… che bei ricordi! Nel frattempo con i miei migliori amici mi godo: una merenda, la compagnia, le risate. Sto
bene e sono nel posto più bello del paese: il parco!
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““““EcoEcoEcoEco----loquioloquioloquioloquio””””
di di di di Alberto MarzonaAlberto MarzonaAlberto MarzonaAlberto Marzona
Categoria Scuola in Pigiama– Secondo Classificato
Buio...oscurità, forse...oppure PAURA?
...sì, sì...paura va benissimo per descrivere questo nuovo colore che vedo, anzi: che non vedo e da cui
sono tanto spaventato.
Uhh... mi sento a pezzi... non ricordo bene, ma devo essere stato un tipo cresciuto sempre al sole e
all'aria aperta: ad assaporare le stagioni che passano, gli uccellini che cinguettano per metà della giornata, la pioggia che ti rinfresca le fronde...LE FRONDE?!?!? Chi posso mai essere io per avere dei
ricordi del genere?
Ih, hi...magari sono stato una pianta! Magari una quercia; una di quelle belle grandi, grosse e antiche alte fino ai 15-20 metri. Una di quelle che hanno visto svelarsi sotto le proprie chiome intrighi, storie
d'amore, oppure una di quelle sotto le cui ombre, i bambini si siedono a mangiare il proprio pranzo al sacco preparato dalle madri in fretta e furia un quarto d'ora prima della partenza della comitiva
scolastica.
Ma ora, basta pensare, che fa venir sonno ed io che sono tanto stanco, magari se ci penso bene arrivo a capire chi sono e dove sono..............ma ora che ci rifletto...ORA RICORDO! Sono carn... volevo dire, legno
da macello! Dove sono quegli uomini che hanno osato far di me legna da ardere, stuzzicadenti, un tagliere da cucina o un pezzo da mobilio?
Ehi, chi mi spinge? Ah! Allora non sono solo! Dimmi ragazzo che pianta sei... sì, sì, scusami eri? Una pianta di sambuco? Ah, finalmente uno che sa di latino e mi può spiegare la situazione con chiarezza...
ti posso chiamare don?
No, no calmati, non diventeremo legna da bruciare, né un sostituto del filo interdentale dopo un pranzo abbondante: sono sicuro che diverremo antichi e imponenti mobili , a me piacerebbe divenire un bel
pianoforte! Mi renderei nuovamente utile e poi... Cosa vuoi tu, invece caro signor ...olmo? Oh, grazie. Come? Non posso divenire un pianoforte? E perché? Cosa ne sai che non sono un bel pezzo d'ebano
bello resistente e pregiato: non mi vedi! AHAHAHAHA!
Ahia, ma cosa fai? Come mai mi hai scheggiato? Ah... l'ebano non sente dolore...cosa sei: un medico?!?!? Cosa? Un eucalipto ti ha dato lezioni di medicina e hai pure la laurea? Mostra qua... sì, sì, sento la carta,
te lo concedo.
Comunque, tornando a noi signor sambuco... e la smetta di pregare, glielo ripeto: ormai siamo legna da
macello, mi sente? Guardi che le ritiro il rosario, eh...oh, bravo, reagisca, metta via la bibbia, la croce... ok ci siamo. Le stavo dicendo... ancora?!? Perché tutti mi interrompono?!? Cosa mi deve dire lei, signor
...gramigna? Oh grazie. Come? Lei sa dove siamo? Oh, finalmente qualcuno che dispone di pettegolezzi utili, anche se a dirla tutta, lo sospettavo che sapesse qualcosa, d'altronde, la gramigna è dovunque e
sente tutto! Pettegolo! AHAHAHAH!
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Tornando a noi, mi dica che siamo in una fabbrica dell' ikea o di una qualsiasi casa costruttrice di
mobili.......... COSA?!? In una fabbrica di stuzzicadenti... oh , cavolo!
No, no, no, calmati sambuco non piangere... ecco, vedi cosa hai combinato gramigna! Un po' di umanità, caspita! Serviva dirlo a così alta voce?!? Ma cosa ci fai, tu qui? Con la gramigna non si fanno gli
stuzzicadenti!...Ah!... Sei qui per sbaglio, eh...stavi andando a chiedere in prestito dello zucchero ai vicini, eh... FALSO! Alla forca! C'è qualche stuzzicadenti con competenze legislative, qui? Come? Ah perfetto,
che pianta eri? Come? Una piantadegli impiccati come quelle dei film western?!? Lieto di conoscerla signor VIP dei film western, faccia giustizia a questa spia.
Ecco, legatelo bene, che non succeda che gramigna scampi dall'impiccagione come quel burattino del
libro di Collodi.
Ora, se mi date un po' di vino...grazie signor...vite? Ecco, non fare il tirchio, riempi bene bene il
bicchiere.. e se qualcuno mi dà qualcosa con cui pasteggiare...miele ad esempio, grazie signorina... acacia? Io, dato che mi sembrate molto curiosi di sapere a cosa servono gli stuzzicadenti vi dirò che
servono a grattar via la sporciz... ah, preferite evitare... ve lo spiegherà allora quell' intelligentone del signor quercia che è vecchio come il cucco e che MI STA PARLANDO SOPRA DA 2 ORE della storia
della sua vita e nessuno lo ascolta! AHAHAHAHA!
Come? Volete sapere cosa ero io, prima di arrivare in questa fabbrica? Inizio subito, aspettate, che sistemo sambuco che vomita ancor prima di aver svolto il suo compito di stuzzicadenti! Oh bravo, così
si fa, dagli un po' di vino vite... cosa “buco”? Sei minorenne? E non ti preoccupare, che è “succo d'arancia”(fidati, eh)! AHAHAHAHAH!
Ehi, vip del western, mi porti a fare un giro la vecchia quercia, che se no continua a parlare a vuoto e mi
dà fastidio? Ecco, bravo...cosa acacia? Sì, fidati, il nonno torna, ih, ih, ih.
Allora: ero una bella pianta, una di quelle grandi grandi grandi ,e poi...
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““““Villa ConcordiaVilla ConcordiaVilla ConcordiaVilla Concordia””””
di di di di Fabiola ViganòFabiola ViganòFabiola ViganòFabiola Viganò
Categoria Scuola in Pigiama– Terza Classificata
Come vorrei un parco:
- con le panchine senza muschio sopra;
–con un bar dove le anziane non sbagliano il resto dei soldi e si gettano davanti ai frigor appena entri per paura che tu possa rubare le bottigliette di acqua;
–senza bambini urlanti e quattordicenni montati che si pavoneggiano con il primo scooter;
–senza materia fecale dei cani;
–senza la paura che ti rubino la bicicletta abbandonata ai piedi dell'albero;
–(magari con un posto dove ripararsi dalla pioggia);
–senza il privilegio che hanno i bambini sulle altalene;
–senza le solite persone che non vuoi mai incontrare, ma che puntualmente incontri e con falso sorriso
saluti oppure li guardi di traverso facendo intuire quanta voglia hai di vederli ( o che era meglio stare a casa a smanettare con il computer );
La “Villa Concordia”
Nel popolarissimo paese di Robbiate (so che non sai dov'è, ma adeguati ), il divertimento dei ragazzi si concentra o in oratorio, a ballare e cantare come degli “emancipati”, o al parchetto dell'Erg, chiamato
così perchè è situato davanti al distributore di benzina ( che posto felice per portare i piccoli pargoli ). Di divertente c'è solo il piacere di veder lavorare il benzinaio tutto sporco e sudato,un piacere che si
indirizza alle bambine ovviamente, per i maschi c'è una “lussuosissima” altalena, così bassa che dopo qualche minuto hai scavato un fosso.
Infine c'è Villa Concordia, dato il nome uno si aspetterebbe di vedere cascate rosa con le nuvolette di
zucchero filato,fiumi fragolosi, arcobaleni e unicorni che si abbracciano e lanciano cuoricini ...
E' invece è una specie di villetta con un bar popolato da vecchi pensionati ubriaconi che puzzano di vino e giocano a scala quaranta. La biblioteca è gestita da un DRACUBIBLIO (il neologismo vi aiuterà
ad immaginare un bibliotecario cattivo che ricorda dracula).
Lo scivolo e le due altalene sono le baby sitter dei genitori ( più le madri ) per sbolognare i figli con il
fine di prendere il caffè e spettegolare con le altre stressate. Queste madri stanno tranquille sulle panchine a parlare mentre i loro dolci pargoletti si rotolano nel fango, mangiano formiche e si lanciano
nei rovi e alla fine inveiscono contro i piccoli che vengono incolpati della distrazione delle madri.
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Tornando al bar popolato interamente da vecchi.. sul serio! i clienti son mummie, i ''baristi'' sono
matusalemme ( c'è pure la mia maestra delle elementari che è andata in pensione) ! I vecchi sono cattivi e sospettosi: non faccio a tempo ad entrare che la proprietaria si lancia verso il frigo, a costo di cadere e
rompersi il femore o qualsivoglia articolazione, lei DEVE arrivare prima di me. Ecco la fiducia nei giovani!!!. Tornando a quella soInora, che mi odia un pochino, oltre a vederti come un potenziale
criminale pluriomicida, ti mette alla prova anche in matematica ( sbaglia resto )! Per esempio, se l'acqua costa cinquanta centesimi, io le do un euro e lei ti da dieci centesimi ( ecco l'inghippo ) ti tocca
correggerla, così lei si offende e la volta seguente non ti degna neanche di una parola .
Oltre ai bambini urlanti e le madri stressate ci sono i ragazzini più piccoli di te che si atteggiano da veri bulli con il loro nuovissimo scooter che papino gli ha comprato. Per esempio i maschi: Camminata da
fustaccio, l'immancabile ciccata in terra e l'atteggiamento da montato, mentre le femmine se la tirano un po' troppo. Il bello è che mancano di rispetto anche a te ( hahaha ) e lì sono dolori. Si innesca una
guerra tra gruppi di adolescenti : i fattoni ( sniffano la colla e fumano erba ) contro quelli che giocano a calcio, quelli con un minimo di cervello ( modestamente ne faccio parte ) contro quelli ''popolari'' ( cioè
ignorati ).
Queste guerre si svolgono tra le panchine che cadono a pezzi e le armi sono le solite battutine pungenti. il perdente ( quasi sempre quelli che giocano a calcio e gli ignoranti )ne esce umiliato e per circa una
settimana non si vede più in giro. Dimenticavo le vecchie bigotte che sanno tutto su tutti che ti guardano sempre con quello sguardo da schifo come per dire :” Ma sua madre la lascia uscire di casa
conciata così?” E tu vorresti rispondere : si vecchiaccia, e tu prima di uscire togliti l'odore della naftalina che c'è sul maglione di lana.
Questo parco è come la strada, ci sono angoli che poi diventano ghetti dei vari gruppi, non puoi lasciare le biciclette incustodite altrimenti ritrovi solo il lucchetto a terra;
quando esci vestito male ( tipo barbone ) perchè non hai voglia di vestirti incontri tutto il paese. In
conclusione, evitate Robbiate
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““““NanoraccontiNanoraccontiNanoraccontiNanoracconti” ” ” ”
Prima ClassificataPrima ClassificataPrima ClassificataPrima Classificata
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