il giornale degli studenti del liceo-ginnasio m. morelli ... · hardy, nel saggio “apologia di un...
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Il giornale degli studenti del Liceo-Ginnasio M. Morelli di Vibo Valentia
Il Taglierino
Intervista al preside
Alla scoperta del sapere classico!
Le mille voci di un’ idea
L’estetica della Matematiica
E’bello ciò che piace: ma vogliamo rinunciare definitamente alla vera bellezza?
Il bello della scuola
Il fascino misterioso della scienza
La bellezza di una magia chiamata Musica
Sub lege libertas
Lotta contro la Mafia: buoni risultati nonstante l’indifferenza dello Stato
Specchio
Facebook: quando le tue immagini sono sulla home di tutti
Bioetica dei cyborg: evoluzione artificiale
ComiKosmos
Elegi in Claudiam
Inquietudini del profssor Vitangelo Vitelli
Don Tappotte ed il mostro della caverna
La biblioteca di Sherazade
Gli adolescenti: un mondo complicato
Amarcord
La straordinaria lotta tra genialità e follia: A Beautiful Mind
Recensione film: Agorà
Accade al Liceo Classico…..
Il troppo freddo che spegne anche i termosiifonii
Il bello di fare solidarietà
ArcheoMagazine
Machu Picchu: la città perduta
Apocalyptic Nightmare: uno sguardo sul mondo moderno
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affrontando in un certo modo; guardiamo nel dettaglio: c’è una tendenza alla
semplificazione,al facile e subito. Vi è una crisi di modelli culturali e non solo
economica e finanziara. Il ragazzo giunto al termine delle scuole medie non è
in grado di prendere una decisione che lo porti ad un tale sacrificio. La
licealità classica non è facile da comprendere nella sua complessità e
polivalenza.
Per arrivare a capirne il significato c’è bisogno del supporto di famiglia che
sia attenta. Recenti statistiche indicano l’Italia come uno dei paesi
dell’Unione Europea con il più alto tasso di abbandono scolastico,quali
interventi a suo parere si dovrebbero adottare? Il problema dell’abbandono
scolastico è legato esclusivamente,nella nostra società,al mancato
collegamento tra l’istruzione e il mondo del lavoro. E’ un momento di
incertezza,di crisi paurosa; e, quindi, il vedere che il percorso di studi non è
legato alle prospettive occupazionali produce un fenomeno di abbandono.
Ciò avviene in particolar modo nelle grandi città tramite l’attrattiva dello
stipendio, del guadagno e dell’autonomia economica, e non nelle nostre realtà
periferiche,o comunque in maniera minore. La scuola dovrebbe creare
possibilità di alternanza di scuola e lavoro per garantire un’istruzione
completa.
I ragazzi vedono nello studio qualcosa di standardizzato. Essere il dirigente di
una scuola lo fa sentire in un certo senso il pater familias dei suoi studenti?
(Sorride) Ho sempre cercato d’ impersonare questo ruolo; il dirigente cerca
di ascoltare,risolvere i problemi dei suoi alunni come fossero tanti figli,come
qualcuno che vi vuole indirizzare verso un percorso corretto. Come si riesce a
garantire una normale gestione finanziaria in tempi di revisione della spesa?
Noi riusciamo a sostenere il funzionamento dell’attività didattica con grande
oculatezza,grazie anche alla compartecipazione della componente genitori. Si
riesce a spendere in relazione alle funzioni amministrative e didattiche che
dobbiamo garantire all’interno della scuola. La spesa però va calibrata, molte
delle cose sono legate ai fondi strutturali europei,fondi PON E POR.
Ha un sogno nel cassetto non realizzato? Beh, si! Io, tra le tante cose, avevo la
passione politica che mi impegnava moltissimo ma che ho dovuto
abbandonare perché l’impegno scolastico mi prende tantissimo tempo;
certamente il mio sogno nel cassetto è coltivare la passione per la politica,
politica però intesa nel senso nobile del termine come prestazione,
partecipazione, contributo pubblico per una crescita all’interno della società.
Quali sono state le tappe della sua carriera di dirigente scolastico? La scuola
dal suo punto di vista di dirigente com’è cambiata in questi anni?
La scuola in questi anni ha avuto dei cambiamenti legati alle trasformazioni
della società. Credo però che la scuola sia indietro rispetto quell’istanza di
cambiamento. Essa sta progressivamente cambiando grazie a quelle istanze di
cambiamento che arrivano dalla società e dalla globalizzazione, tuttavia se ne
registra ancora una lentezza. Voi studenti la mattina, entrando in classe, avete
la possibilità di usare strumenti tecnologici e informatici: lim, computer che
vi invitano a lezione.
La scuola deve essere vista un po’ di più dal punto di vista degli alunni, senza
esagerare naturalmente. Certo, rispetto ai miei tempi, la scuola è cambiata.
Chi poteva, si nascondeva, ma non c’era scampo per nessuno! (Sorride). Ai
miei tempi mi annoiavo a scuola. Oggi certamente esistono più strumenti per
rendere piacevole una spiegazione. C’è una nuova impostazione
dell’apprendimento e voi la state vivendo, anche se a volte il nuovo coabita
con il vecchio. Per come la vedo io, la scuola è cambiata, sta cambiando
lentamente, ma sta cambiando! Bisogna solo rimuovere gli ultimi aspetti che
la rendono noiosa.
Iris Bufalo, Giulia Natale II B
Sabato 9 febbraio, il nostro Dirigente
Scolastico, dopo averci accolto nel suo
ufficio di presidenza con il consueto
modo affabile e offerto pure dei
cioccolatini, ha rilasciato al giornalino
scolastico la seguente intervista.
Dopo quasi un anno di gestione in comune di
liceo classico e liceo artistico, è possibile
tracciare un primo bilancio? C’è una
dimensione scuola nuova: problemi in carico
alla funzione dirigenziale, poiché si tratta di
due ordini distinti e differenti che sono
accomunati solo da un fattore gestionale:
bilanci, ordini collegiali, collegio dei docenti e
una serie di aspetti che vanno analizzati
separatamente. Difficoltà piuttosto serie:
maggior numero di alunni, di insegnanti. Non
è possibile ancora tracciare un bilancio vero e
proprio.
In questi ultimi anni si è registrato un trend
negativo per quanto riguarda le iscrizioni al
nostro liceo; questa progressiva marginalità
degli studi umanistici, secondo il suo parere,
dipende da passaggi generazionali, da
trasformazioni del mondo lavorativo o da che
altro? E’ vero che stiamo assistendo ad un calo
di iscritti al liceo classico,ma è un fatto
nazionale. Questo calo dipende da fattori che
dovrebbero essere analizzati con particolare
attenzione, poiché gli studi umanistici non
sono più tra le priorità di genitori e ragazzi.
La complessità e le problematiche che la
società contemporanea ci pone oggi sono
aspetti che questa generazione sta
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Alla scoperta del sapere classico!
Studi classici o scientifici? Immergersi nello studio del latino e del greco,materie ormai non utilizzate nella lingua parlata, o
dedicarsi agli studi scientifici,i quali garantirebbero invece la possibilità di stare al passo con i tempi in una società sempre
più all’avanguardia nei vari settori della tecnologia? E’ questo il dubbio della maggior parte dei ragazzi chiamati a scegliere la
scuola da frequentare, terminato il primo ciclo di studi. Una risposta a tale dilemma si potrebbe trovare nel considerare la
sorte del nostro Liceo. Anno dopo anno, registriamo un calo di iscritti e la situazione si fa sempre più negativa: si
preferiscono ormai altre scuole, altri percorsi formativi. In particolar modo, si prediligono gli indirizzi scientifici i quali
sembrerebbero garantire una preparazione adeguata ad affrontare i rapidi cambiamenti della società moderna. In una
società, sotto certi aspetti, parassitaria e cialtronesca, sotto altri, frivola e superficiale, più incline all’omologazione delle
coscienze che all’acquisizione di un sapere lento e faticoso, i tecnìtai (come direbbe Aristotele, i detentori del sapere
astratto) valgono meno degli $empeiroi. Si preferisce, pertanto, privilegiare un sapere eccessivamente settoriale e
specialistico, a scapito di uno che, invece, plasmi l’ %hqoj dell’individuo e nel quale il possesso della lingua greca e latina
diventi strumento per conoscere le nostre radici, per avere una coscienza critica ed un’autonomia intellettuale. Per poter
preparare i giovani ad affrontare al meglio la realtà contemporanea, è necessario conquistare una e$idhsij e una skèyij che
possano dimostrarsi durature nel tempo e non momentanee, e che, terminati gli studi, non svaniscano e ci lascino
impreparati e inadatti ad affrontare la nuova realtà lavorativa. Gli humanitatis studia, tanto trascurati dalla maggior parte
degli studenti, sono quindi gli unici che garantiscano una formazione completa e non solo in determinati campi: dopo 5 anni
infatti di cursus studiorum, lo studente licenziato, detentore di quelle competenze utili a rapportarsi con la società del
proprio tempo e pronto anche all’affermazione personale e sociale, non sarà mai limitato nelle sue capacità, ma potrà
cimentarsi in ogni professione. In conclusione, possono essere icasticamente espressivi della duttilità della formazione
classica i due giganti mitologici: Argo Panoptes , "che tutto vede", mostro dai 100 occhi e Briareo, dotato di 100 braccia,
“che tutto fa”. Potremmo dire, pertanto, che l’individuo nutrito d’istruzione classica sarà a seconda delle circostanze ora
l’uno ora l’altro, od entrambi ad un tempo.
Iris Bufalo
Silvia Crispino II B
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L’ESTETICA DELLA MATEMATICA
“Il binomio di Newton è bello come la venere di
Milo, peccato che pochi se ne accorgano”
(Fernando Pessoa)
Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o
dal poeta, devono essere belle; le idee, come i colori o le parole,
devono legarsi armoniosamente. La bellezza è il requisito
fondamentale: al mondo non c'è un posto perenne per la
matematica brutta”, in tal modo il matematico inglese Godfrey
Hardy, nel saggio “Apologia di un matematico”, poneva in
correlazione genialità ed estro creativo. E’ insospettabile quanto
la gaussiana regina delle scienze, creduta fredda, grigia, rigorosa
e priva di fascino tenda al bello più che al vero, ma la storia lo
testimonia: il tedesco Weyl, nel tentativo di unire i due aspetti,
affermò di propendere per il secondo, l’inglese sir Atiyah e
l’ungherese Bott, sedotti da un’idea elegante e incantevole, la
proposero ad alcuni esperti di un convegno del Massachussets
che la demolirono. Tuttavia i due studiosi, convinti dello stretto
legame fra verità e bellezza, riesaminarono le dimostrazioni e
scoprirono un errore commesso dagli esperti, quindi la bellezza
vinse e nacque il teorema del punto fisso. O anche lo stesso
Weyl che provò ad unificare la teoria della relatività generale
con quella elettromagnetica di Maxwell ma fu contraddetto da
Einstein in persona poiché l’idea non rispecchiava la realtà fisica.
Anni dopo, con lo svilupparsi degli studi sulla meccanica
quantistica, l’idea fu lievemente modificata e l’obiezione si rivelò
inconsistente. Questa naturale tendenza alla bellezza, però, non
è soggettiva e personale, come in tutte le altre situazioni, ma
sottomessa a dei precisi paradigmi che la rendono universale.
Hardy teorizzò le tre caratteristiche che rendono una
dimostrazione bella: imprevedibilità, inevitabilità ed economia, e
mentre nel gioco degli scacchi si devono valutare più e più
mosse per giungere a dare scacco al re, nella matematica bisogna
seguire una sola linea d’attacco. In altre parole, bisogna rendere
quanto più semplice sia possibile la dimostrazione e la
comprensione del teorema. “(L’universo) è scritto in lingua
matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a
intenderne umanamente parola; senza questi è un
aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.” Già Galilei,
quattrocento anni fa, riconosceva la curiosa e ammaliante
corrispondenza fra modelli matematici e fisici, fra numeri,
costanti, oggetti geometrici e la natura. Questa è la prova
manifesta che la matematica non è inutile e astratta, non
sempre perlomeno, ma è l’unico mezzo che permette di
comprendere e quindi controllare, nei limiti delle
costituzioni biologica e mentale umane, la natura. Un
primo indizio di tale corrispondenza si riscontra nella
“divina proportione”, costante indicata dalla lettera greca
f e denominata “di Fidia” a causa della sua presenza in
molti rapporti del Partenone, numero interessante dal
momento che il suo quadrato ed il suo reciproco hanno la
sua medesima parte decimale; infatti, la sezione aurea,
descritta da Euclide, un matematico quindi, come la parte
di segmento media proporzionale fra l’intero segmento e
la parte rimanente, ritorna costantemente nelle più
disparate proporzioni. Ad esempio, nella spirale formata
dalla disposizione dei petali di alcuni fiori, come le rose,
nella spirale presente sulla conchiglia di vari molluschi, fra
cui il Nautilus, in quella determinata dalle corna del
muflone e persino nella spirale formata dal padiglione
auricolare umano. Inoltre, una vera e propria corrente
artistica, comprendente mostre e critici, è costituita dai
frattali, oggetti geometrici con omotetia interna. Più
semplicemente, il frattale è una figura geometrica il cui
motivo si ripete all’infinito con dimensioni sempre più
piccole. Il fondatore di questa peculiare geometria, il
polacco Benoît Mandelbrot, in una sua lectio magistralis
dal titolo “Fractals in Anatomy and Physiology”, oltre a
riconoscere il principale merito dei suoi lavori, ovvero il
superamento della geometria euclidea nella
rappresentazione della realtà, intuisce il loro utilizzo nello
studio dei processi neurali. Questi sono solo alcuni esempi
che dimostrano quanto la matematica sia “bella”, cioè
affascinante, utile, reale, originale, maestosa. L’unico
modo per scoprirla è abbracciarla. Perciò, come scrive
Odifreddi in “C’è spazio per tutti”, al termine della sua
premessa, “apri dunque il tuo cuore alla matematica, e
preparati ad innamorarti.”
Giuseppe Matera, II A
“
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“E’ bello ciò che piace: ma vogliamo rinunciare definitivamente alla vera bellezza?”
Al contrario degli altri animali, gli esseri umani sono riusciti a creare una società sbalorditiva (con tutti i prodotti che ne
derivano) perché, nel corso dei tempi, essi hanno sempre cercato e determinato dei concetti e delle idee fondamentali che li
superassero e per cui valesse la pena di sacrificare la propria vita, degli scopi da perseguire per migliorarsi, e ne hanno
fatto, oltre che fonte di ispirazione ed input per tirare fuori il meglio di sé, i cardini della propria esistenza: queste idee,
questi sogni intrisi di passione e sentimento, sono i valori, gli ideali, vera essenza di tutti gli uomini, considerati e in quanto
individui, e in quanto collettività.
Ma dopo due guerre mondiali, il rischio concreto di un conflitto nucleare, numerosi genocidi e tanta intolleranza e
violenza, da cosa possiamo dire siano stati mossi, ultimamente, il mondo e le nostre azioni? In tempi relativamente recenti
abbiamo assistito ad un processo storico che ha portato gli uomini a non credere più in valori assoluti, ed una cortina
d’apatia, indifferenza e frustrazione è scesa sugli animi degli uomini moderni. Di conseguenza, recisa la parte di essi
tendente all’immortalità e al divino, si è affievolita anche quella voglia di esser partecipe di qualcosa di più grande che un
tempo la lotta in difesa di valori e ideali ispirava nell’animo degli uomini, così da renderne gustosa ed autentica la vita,
altrimenti insipida e fallace del tutto: si tratta della Crisi dell’uomo moderno e del dilagare del “male di vivere”. E l’arte,
tutta l’arte (pittura, poesia, letteratura, musica, ...), che, come affermava il filosofo Benedetto Croce, intuisce la verità, è
stata il segnale d’allarme ed ha percepito questa profonda crisi: difatti, uomini particolarmente sensibili quali sono gli
artisti tutti, già dalla fine dell’800 (si pensi all’espressionismo pittorico o alla dodecafonia di Debussy), hanno colto e
vaticinato questo fenomeno, che, sviluppatosi nei primi del ‘900, arriverà alla sua apoteosi con i due conflitti mondiali e la
Guerra Fredda (insieme con tutto quello che ne è derivato).
Ma che cosa è successo di preciso, e perché? Proverò ad illustrarlo brevemente- dato che non sono esente da vincoli di
lunghezza- secondo le mie conoscenze di questa pagina di Storia, fondamentale per capire il presente. Intanto, c’è da dire
che tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX diviene palese il fallimento del Positivismo: ci si rende, cioè, conto che il
progresso tecnologico, la ragione e la scienza, su cui si era fatto cieco affidamento (anche in virtù della tradizione
illuminista dei due secoli precedenti), non portano affatto la felicità, anzi; le guerre mietono più vittime, la scienza
dimostra solo che all’infelicità umana non c’è rimedio, mentre la tecnologia fornisce la consapevole illusione opposta; la
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credenza di poter dominare il mondo con la ragione si dissolve. Ancora più determinante è stato il prodotto negativo della
neonata Rivoluzione Industriale, ovvero l’avvento delle masse. Ciò, si badi, non è negativo in sé, ma in quanto gli
appartenenti alle classi sociali, prima emarginate, vengono visti non come singoli individui, ma come insieme, spesso asserviti
alle politiche dei demagoghi; così, l’ascesa del 90% delle persone- che avevano vissuto fino ad allora all’ombra della Storia- è
solo apparente; viepiù, essi vengono strumentalizzati, perché la loro voce, tra milioni di altre, nemmeno si distingue
(massificazione). Le persone sono viste come numeri, un’inerte massa compatta, in cui gli spiriti dei singoli vengono
sommersi; la personalità e l’individualità di ciascuno sono minate o annullate, e l’artista non può che trovare rifugio
chiudendosi a riccio nella sua interiorità turbata; il mondo esterno non gli appartiene più, e così rinuncia a quegli ideali che l’
hanno da sempre animato. La qualità delle persone non conta più, ora conta la quantità: è importante sapere in quanti
comprano un prodotto, in quanti si iscrivono ad un partito (i dittatori, infatti, sfruttano proprio il consenso delle masse,
ipnotizzate con la propaganda, per ottenere il potere- non è un caso che i totalitarismi si abbiano in questo periodo).
E l’arte, non potendo forzatamente alienarsi dalla società che la produce, riflette questo scemare di ideali assoluti, come,
appunto, il concetto di bello: gli artisti rinunciano del tutto (cosa che anche i più mediocri tra loro, fino ad allora, non
avevano fatto) a cercare la bellezza; le avanguardie cercano la novità e la rottura degli schemi ( ma la vera dicotomia, sempre
secondo Croce, è tra bello e brutto, in senso, come chiarirò, assoluto); gli artisti vogliono esprimere tutto quello che hanno
dentro imbrattando tele con schizzi violenti di vernice che, per loro, rappresenterebbero turbamento, o rabbia, o
frustrazione; ma io mi chiedo: che arte è l’arte “ad personam”, quella completamente relativa? Come si può , se si riflette
bene, pensare che non sia bello ciò che è bello, ma lo sia ciò che piace?
Allora, qualsiasi cosa può essere arte se piace a qualcuno? Un contenitore pieno di escrementi può essere considerato “arte”?
Perché “l’artista” Piero Manzoni, nel 1961, ha sul serio, ironicamente, spero, imbottigliato le sue feci in 90 barattoli, ciascuno
stimato, in quanto opera d’arte contemporanea, 70000 € (ad un’asta, uno di questi è stato venduto addirittura per 124000 €):
lascio immaginare il titolo dell’opera. L’arte vera, però, non può che essere assoluta, come la vera bellezza, poiché è
espressione della parte umana migliore: l’arte vera non può che essere assolutamente bella, e la bellezza vera non può che
essere assolutamente artistica. Una vera opera d’arte, proprio perché bella, non può piacere solo in un certo periodo e solo a
certe persone, non può essere capita solo da pochi iniziati o, spesso, solo da chi la fa. Se si considera la Cappella Sistina, o la
Pietà, o una sinfonia di Beethoven, non esiste essere umano che non ne rimanga affascinato (anche se a volte si hanno dei
pregiudizi), dalla persona più ignorante al più emerito professore universitario: nel primo caso si potrebbero non capire certe
cose, ma opere del genere sono grandi proprio perché toccano le più profonde corde dell’anima di ciascuno, superando
tempi, mode e gusti.
Lasciando al vostro giudizio dire se una tela su cui venga schizzata vernice a caso o la poesia Zang Tumb Tumb di Marinetti
possano avere una qualche valenza artistica, certo è che l’arte moderna e quella contemporanea sono tendenze passeggere,
incapaci, dunque, di farsi portatrici di valori universali, cosa che l’arte dovrebbe fare: in esse, il concetto di “bello” coincide
con quello di “gusto”, che va distinto dal “bello assoluto”, innegabile, divino. E’ questo che andrebbe ripreso: il bello (fine a
se stesso) come valore, edificante ed ispiratore.
L’uomo ha bisogno di qualcosa di più grande a cui votare la propria vita, per cui lottare e morire, che ci soccorra dai flutti
della leggerezza e dello svago, in cui affoghiamo la parte di noi che ci rende così vicini alla perfezione, anche se i media ci
propinano il modello opposto, che viene da noi accettato pedissequamente perché malati di pigrizia mentale e perché
preferiamo i divertimenti e le scorciatoie. Così vicini alla perfezione, ma comunque imperfetti; una cosa solamente ci manca:
la felicità. Ed anche se il moderno stile di vita, frivolo e cinico, ci può dare una parvenza di felicità, senza punti di riferimento
come siamo, perché abbiamo rinunciato ad averne, in realtà ne deriva una più radicata e profonda insoddisfazione.
Si può partire dal concetto di bellezza: almeno bisogna cercare. Se poi si vuole rinunciare definitivamente a valori ed ideali si
può continuare sulla strada intrapresa… ma dove si arriverà?
Giandomenico Sirgiovanni IE
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Il bello della scuola
Perché gli studenti italiani non rendono? E’ l’Italia stessa che ormai non funziona più? Oppure sono gli studenti italiani
vagabondi e incapaci? O ancora sarà che le professoresse spesso sono sfiduciate da una cultura che non valorizza la loro
funzione come sarebbe giusto che fosse? O sarà la mancanza di fondi e strutture che rende inefficaci gli sforzi degli alunni
come quelli degli insegnati? Il modo migliore per rispondere a queste domande è fare un confronto oggettivo con quella che
è ampiamente riconosciuta come una delle migliori scuole al mondo: la scuola finlandese, e forse troveremo più d’una causa.
La scuola finlandese è cosi strutturata: scuola obbligatoria, secondaria e formazione universitaria. Gli studi secondari ed
universitari (come da modello nordico) sono suddivisi in studi accademici e professionali. La scuola obbligatoria dura 9 anni
e rispecchia le nostre elementari le medie e i primi 2 anni delle superiori ed è totalmente GRATUITA, libri compresi. Dopo
vi è la scuola secondaria superiore e dopo ancora vi è la scuola professionale superiore che una volta superata permette
l’accesso all’università, e per accedervi bisogna superare un test. La prima differenza è appunto che non tutti decidono di
affrontare quel test, non si sente la necessità di fare l’università per sentirsi affermati o per riuscire a trovare un posto di
lavoro dignitoso; anche in svizzera, ad esempio, l’alunno spesso decide di interrompere il corso degli studi per andare magari
a lavorare in banca. Non troviamo dunque lo stereotipo molto diffuso in Italia secondo il quale chi non ha una laurea ha un
lavoro di second’ordine che sarebbe meglio evitare. Capiamo bene dunque che non troviamo quell’agonismo sfrenato qui
tanto presente . Il clima che c’è in una classe finlandese è molto rilassato, molto più calmo, non c’è la tensione che si prova
nelle scuole italiane, quella paura dell’interrogazione, quell’ansia di stare al passo con il programma e il terrore della
bocciatura, intesa come una punizione, un’umiliazione dello studente incapace. In Finlandia non esiste nulla del genere,
semplicemente quando ci si rende conto che uno studente non ha le capacità per affrontare il prossimo anno scolastico gli
insegnanti discutono con lo studente e con i suoi genitori e si arriva a una soluzione comune. Capiamo subito come il
rapporto alunno-professore sia molto diverso dal nostro. Solo per dare un idea, gli alunni chiamano i professori con il
soprannome e i professori fanno altrettanto.Totalmente inesistente dunque quella paura dell’insegnante o delle sue
interrogazioni, inesistente anche la demonizzazione dei professori stessi. Per non parlare della loro professionalità e
competenza. Per diventare insegnanti bisogna superare diversi test e dimostrare di avere una grande preparazione, il posto di
insegnate infatti è molto ambito e la professione stessa è molto stimata nella cultura finlandese come, a mio parere, è giusto
che sia. Il personale insegnanti è molto più vasto e riesce a soddisfare appieno quello che è il bisogno di ogni
istituto.Ciliegina sulla torta la professione di insegnante è decisamente ben retribuita. Dunque possiamo affermare che gli
studenti finlandesi dispongono di un gruppo insegnanti meglio retribuito, più
motivato, più attrezzato e più rilassato di quello italiano, ovviamente non
intendo assolutamente criticare tutti gli insegnanti italiani, ma spesso li vedo
privi di passione, anche probabilmente a causa della scarsa importanza che la
nostra cultura dà alla loro IMPORTANTISSIMA funzione. Falcone diceva:
“sconfiggeremo la mafia non con un esercito di carabinieri ma con un esercito di
insegnanti”. Questa affermazione ci fa comprendere ancora meglio quanto e
come il ruolo dei professori possa influenzare in positivo o in negativo la crescita
del loro studente e di come quindi la scuola sia il luogo da cui bisogna partire e
sui cui bisogna INVESTIRE per creare un futuro a qualsivoglia progetto di una
nazione.
Domenico Alessandri II A
Pagina 9
Il fascino misterioso della scienza
I poeti sostengono che la scienza tolga via la bellezza dalle stelle – ridotte a “banali” ammassi di gas. Non c’è nulla di
“banale”. Anch’io posso vedere le stelle nella notte deserta, e sentirle. Ma vedo di meno o di più? La vastità dei cieli estende la
mia immaginazione. Bloccato su questa giostra, il mio piccolo occhio può catturare luce vecchia di un milione di anni. Un
grande disegno di cui sono parte… “Qual è il disegno, o il significato, o il perché? Non sminuisce il mistero conoscerne un
po’. Poiché la verità è ancor più meravigliosa di quanto ogni artista del passato abbia mai immaginato. Perché i poeti odierni
non ne parlano? Che uomini sono quei poeti che possono parlare di Giove come se fosse un uomo ma, se invece è una
enorme sfera rotante di metano e ammoniaca, rimangono muti?” (R. Feynman).
Spesso ci si chiede come sia possibile conciliare la scienza con la bellezza. Lo scienziato in fondo guarda tutto ciò che lo
circonda con occhio analitico: e così una stella diviene un ammasso di gas, un corpo solo un ammasso di cellule. Ma cos'è la
bellezza? Non è forse l'armonia fatta di simmetrie e contrasti che caratterizza un'immagine che ci appare davanti agli occhi? E
chi meglio dello scienziato può riuscire a cogliere quest'armonia nell'universo? Sì, perché egli riesce a vedere il bello in ogni
cosa, comprendendone anche quegli aspetti che agli altri restano nascosti. Non si ferma semplicemente all'estetica, come
l'artista, ma indaga fino a svelare i segreti della bellezza del mondo. Il senso di stupore che proviamo davanti ad un'opera
d'arte è lo stesso che prova lo scienziato dopo aver dimostrato la veridicità di una sua ipotesi ed aver aggiunto un tassello al
puzzle della realtà, rendendolo un po' più chiaro.
Chiunque, guardando un fiore, riesce a coglierne la bellezza della forma, ma uno scienziato va oltre, e vede in esso un
organismo perfetto, in cui si riflette la stessa bellezza della natura. Ne
analizza gli elementi che lo compongono, le relazioni con l'ambiente
circostante, il ciclo vitale. Lo scienziato comprende l'essenza del fiore e
quindi la sua bellezza. D'altro canto lo stesso Aristotele affermava che " Le
scienze matematiche in particolare mostrano ordine, simmetria e limite: e
queste sono le più grandi istanze del bello."
Lucilla Bosco, Pamela Irrera, Caterina Lobianco, II A
Pagina 10
La bellezza di una magia
chiamata musica
“Una magia che si rinnova ogni
giorno
ad ogni ora
e in ogni momento!
La musica
non ha confini
non ha limiti
non muore mai”
Già al tempo di Aristotele ci si
soffermava sulla natura dell’arte
musicale e sulle sue funzioni. Il
grande filosofo cercò di capire se
avesse funzione educativa,
ricreativa o se invece non fosse
altro che un’occasione di riposo, e
arrivava alla conclusione che la
musica ingloba perfettamente tutte
e tre queste funzioni.
E’ ricreativa dato il largo uso fatto
durante simposi e banchetti, è
strumento di riposo in quanto
provoca piacere e rilassamento, ed
è infine educativa, poiché influisce
direttamente sulla nostra anima
facendo, a volte, persino emergere
qualità interiori o aspetti del
nostro carattere che altrimenti
rimarrebbero oscuri.
La musica viene comunemente
definita, tra le diverse forme d’arte,
quella che meglio aiuta l’artista ad
esprimere i propri pensieri, le proprie
emozioni e a trasmetterli a chi ascolta.
Questo concetto ci sembra però un po’
riduttivo. La musica non è solo questo!
La musica infatti è la vita, è la natura
stessa che ci chiama. Non è forse
musica il cinguettio degli uccelli, il
sibilo del vento, la voce della mamma
che ci parla, lo stormire delle foglie
ecc.
Tutto è musica, basta solo sapere
ascoltare!
Chi la comprende realmente riesce a
cogliere ogni minima sfumatura che la
natura o il compositore le ha voluto
donare, a volte la sa abbinare a
determinati momenti della propria
vita traendone conforto, proprio come
se fosse la colonna sonora del suo
cammino. La vera musica non teme
confronti, non passa mai di moda. Le
grandi sinfonie del passato fanno
vibrare ancora il nostro cuore e
scatenare le emozioni più profonde. La
musica, linguaggio universale, ci
accompagna tutti e solleva il nostro spirito,
basta solo non sentirla, ma ascoltarla e capirne
il senso!
“Nel grigio viale della sera
Le tue note
Trovano rifugio tra le mura del cuore
Specchiandosi timide nei miei occhi.”
Giulia Natale, Rosaria Francica II B
Pagina 11
“Sub lege libertas"
Come sanzioni penali e giustizia vadano di pari passo
Affrontando il tema delle sanzioni penali da un punto di vista prettamente tecnico ed evitando inutili sentimentalismi a sostegno
dei possibili pareri, cercherò di dimostrare, anche quando esse vengano percepite come severe (come nel caso dell’ergastolo) la
loro utilità. Intanto va premesso che è necessaria e di vitale importanza la presenza di una entità superiore, lo Stato, espressione
del comune volere e senso etico, che indirizzi i singoli ( altrimenti in preda all’ anarchia ed al caos della legge del più forte) al
bene ed a valori comuni, che controlli il comportamento di ciascuno in rapporto alla comunità, che premi chi a questa arrechi
beneficio e punisca invece chi la danneggi o la sconvolga. Sorge però spontaneo domandarsi fino a che punto lo Stato possa agire
rispettando principi etici, in che modo cioè un suo intervento possa essere sentito come giusto dalla collettività. Umberto
Veronesi, medico a capo di una fondazione che mira ad abolire l’ergastolo (Science for peace), sostiene in un articolo pubblicato
su’”L’Espresso” il 15 novembre 2012, che “la condanna a vita sia come una condanna a morte” , “ che una giustizia che condanni
per sempre sia solo vendetta” aggiungendo: “Noi crediamo nel principio di una giustizia tesa al recupero ed alla rieducazione
della persona”, con ciò ponendo un limite assoluto all’intervento statale. Proverò a confutare la sua tesi. Intanto, lo Stato
punisce, non si vendica: per definizione, la vendetta consiste in una risposta intenzionale ad un’offesa ricevuta, al fine di
pareggiare i conti, ed implica un coinvolgimento emotivo. Il sistema penale statale è sempre necessario perché il crimine, in
quanto espressione della violenza, corruzione e malvagità connaturata- al contrario di quanto sostiene Veronesi- alla natura
umana, è destinato ad essere una costante, come è stato fino ad ora in ogni società. Entrando in ambito più tecnico, in base al
rapporto con il sistema penale di uno Stato, vengono identificati tre tipi di persone: una minoranza che non delinque
indipendentemente dalle conseguenze penali, una minoranza che lo fa nonostante queste, e la maggioranza che tende o meno alla
delinquenza in relazione ai possibili castighi; proprio su quest’ultima tipologia si fa maggiormente leva. A meno che non si
appartenga alla prima o alla seconda categoria, senza giuste sanzioni corroborate da un’intensa attività di prevenzione in tutti gli
ambiti, si avrebbero difficoltà nel discendere il bene dal male o si sceglierebbe ugualmente quest’ultimo perché si rimarrebbe
impuniti.
Ma in base a cosa, dunque, può essere definita giusta una pena?
In generale, per perseguire la giustizia, una pena deve avere tre funzioni: una retributiva, una generalpreventiva ed una
specialpreventiva. Retributiva significa che, così come facendo del bene si dispone che si riceva del bene (meritocrazia), se si
agisce male bisogna ricevere il male corrispondente: per assolvervi, una pena deve essere proporzionata, ovvero bisogna fissare
una scala di gravità ( che scaturisce dal nostro senso civico e morale) cui corrispondano pene proporzionate al reato, e deve essere
inderogabile, cioè non si possono fare eccezioni o condoni. Ancora, funzione generalpreventiva, ovvero esemplare. Significa che
una pena deve servire da esempio e monito agli altri, di modo ché non commettano a loro volta un certo reato ed a tal fine essa
deve perseguire i principi di: afflittività, la pena cioè, deve provocare una situazione di dolore e sofferenza; adeguatezza (diversa
dalla proporzionalità poiché non si rapportano più sanzioni in base ai corrispettivi reati), nel senso che non deve essere troppo
lieve, o sarebbe inefficace, né troppo severa o terroristica, o ne scaturirebbero, oltre al timore, atti di ribellione e finanche
solidarietà nei confronti dei criminali (poiché si vedrebbe come ingiusta imposizione); ancora, sicurezza, è indispensabile che
vengano rintracciate e punite solo le persone colpevoli; tempestività, perché abbia efficacia immediata; inderogabilità e
pubblicità, tutti, cioè devono sapere chi, come e perché venga punito. La funzione specialpreventiva, o rieducativa, tende a
correggere un individuo che abbia sbagliato, affinché non reiteri il reato commesso, ed a reinserirlo nella società, il che implica
pene individualizzate, cioè varie e specifiche per ognuno ( domiciliari, lavori forzati o socialmente utili), un esame scientifico che
delinei un “profilo criminale” dell’individuo per farvi corrispondere la pena atta ( in accordo con tutti i precedenti aspetti) al suo
recupero e, in virtù di questo esame, un trattamento di pena, medico psichiatrico o psicologico specifico. Tutti e tre i fini devono
essere perseguiti. Nello specifico dell’ordinamento italiano, poste queste basi universali, bisogna che le sanzioni siano legali,
ovvero stabilite per legge e prima del fatto, personali, solo chi abbia agito male ne risponde, non chi ne faccia le veci o vi eserciti
una potestà, ed umane, che non mini la dignità della persona ( mutilazioni, torture o umiliazione pubblica o meno , per esempio,
non sono previste né tollerate). Per quanto concerne l’ergastolo, vero è che quello assoluto, o ostativo, cioè a vita è contrario ai
principi del nostro ordinamento e non viene applicato proprio perché non rispondente alla funzione rieducativa.L’ergastolo
previsto in Italia non è però assoluto, ma tiene conto del comportamento del condannato: infatti, mantenendo una buona
condotta, per ogni sei mesi scontati vengono scalati 45 giorni; dopo dieci anni, si può usufruire di permessi premio; dopo
venti, della semilibertà, e dopo ventisei si ottiene la libertà condizionale, ovvero i detenuti vengono lasciati liberi finché
non commettano un reato. Non si può dunque affermare che la funzione rieducativa venga affatto annullata. L’ergastolo,
eventualmente con isolamento diurno per un certo periodo, risponde però ad una profonda esigenza retributiva, perché
contemplato solo per i crimini più gravi (omicidio premeditato, omicidio efferato o con altre aggravanti- come
associazione mafiosa, sequestro e/o traffico di persone, spaccio di droga internazionale, terrorismo, strage, crimini di
guerra o contro l’umanità), dunque perfettamente proporzionato: non è affatto come la pena di morte, perché in caso di
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buona condotta, almeno in Italia, viene concessa la
possibilità di rimediare alle proprie azioni, ma una pena
inferiore non sarebbe giusta in nessun caso tra quelli
citati. In questa prospettiva, l’ergastolo può assumere
una valenza positiva: riconoscere e trasmettere a tutti i
cittadini la particolare importanza di alcuni valori
fondamentali, quali la vita umana, che mai viene
sminuita, si tratti sia di quella della vittima, sia di quella
del carnefice. In conclusione, un sistema che, oltre a
rendere giustizia per tali inumani crimini, tenti al
meglio di recuperare e reindirizzare chi li ha perpetrati,
piuttosto che esporli alla pubblica esecrazione ed
etichettarli come mostri condannati alla dannazione,
non può che essere definito virtualmente perfetto: come
un padre che sia severo quando la situazione lo richiede,
ma al contempo comprensivo.
Giandomenico Sirgiovanni IE
Lotta alla mafia: buoni risultati nonostante l’indifferenza dello Stato
Il 7 marzo 1996 entrava in vigore la legge 109 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali segnando
una svolta epocale nel contrasto alle mafie nel nostro Paese. Un successo per lo Stato, per la rete di Libera (che presiede Don
Luigi Ciotti) e per tutti i cittadini che avevano sostenuto con un milione di firme la petizione popolare a sostegno della
proposta di legge. Il 7 marzo 2013 ricorrono 17 anni dall'entrata in vigore della legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati,
17 anni nel corso dei quali centinaia di ettari di terreni, ville, appartamenti e altri beni immobili si sono trasformati in
cooperative sociali, sedi di associazioni, comunità di accoglienza, centri culturali, grazie all'impegno di Istituzioni, Enti Locali
e della società responsabile. Il raggiungimento di questi obiettivi è stato molto difficile da conseguire poiché le poche
associazioni che combattono la mafia sono state vittime di numerose intimidazioni. Dal 1996 ad oggi gli attentati sono
cresciuti in maniera evidente non solo nel meridione ma anche nel resto d’Italia, dove le mafie hanno incentrato tutte le loro
attività illecite! La caratteristica che purtroppo contraddistingue in maniera negativa i nostri territori sono le quotidiane
notizie che riguardano i danni inflitti alle attività proposte dalle associazioni. “Non possono lasciare indifferenti i recenti
episodi di vandalismo a danno dei beni confiscati alle mafie, dalla Puglia alla Sicilia, dal Lazio alla Calabria. Quei beni non
sono solo uno schiaffo alle organizzazioni criminali, uno strumento per indebolirle in ciò che le rende forti: l’accumulazione
illecita di capitali. Sono opportunità di lavoro, di economia sana e trasparente e prima ancora di cambiamento culturale.”
Questo è solamente uno degli ultimi appelli rivolto da Don Ciotti all’intera popolazione e a tutti gli enti politici rei di aver
tralasciato queste questioni di fondamentale importanza e di aver dato poco appoggio e sostegno sia economico che morale
alle associazioni come Libera. Alla luce di questi fatti ciò che si può dedurre è che nel nostro paese alle istituzioni politiche
manchi il coraggio di affrontare simili problemi lasciando sole le associazioni. Ma siamo sicuri che lo Stato non prenda in
seria considerazione il problema, per la sola mancanza di tempo e attenzione? O magari a coloro che dovrebbero occuparsi
urgentemente di tutto ciò, per il ruolo prestigioso che occupano, manca una buona dose di coraggio per affrontare chi con la
violenza risulta più forte? O forse non sono proprio questi “personaggi importanti” che non vogliono intervenire poiché
hanno i loro interessi personali?
Gregorio Morelli, Francesco Moschella, II A
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Facebook: quando le tue immagini sono
sulla home di tutti.
Dopo un duro pomeriggio di studio, dopo
essermi destreggiato fra appunti di Letteratura e
quaderni di Matematica, non c’è niente di
meglio che accendere il pc, accendere Facebook
e spegnere un po’ il cervello, quando
all’improvviso vedo un qualcosa di scioccante:
un mostro o un cadavere magari, starete
pensando,e invece no … Sulla mia home vedo
postata l’immagine di una ragazzina che, con
una posa da spogliarellista in carriera di
Amsterdam, sfoggia abiti molto fuori luogo per
una 13enne, accompagnata da effetti virtuali
simili al trip di uno sotto ecstasy e, soprattutto,
da frasi di dubbio gusto che sembrano scritte da
una scimmia paralizzata: perché vedere scritto “
Io pOxo & tU No” o “cE k pUo e K nN pUo…IO pUo” fa sorgere molti dubbi sull’umanità di chi ha scritto certe eresie.
Tornando a noi, cerco di capire come sia possibile che una cosa del genere sia capitata sotto ai miei occhi e scopro che è stata
pubblicata da una pagina specializzata nello scovare immagini di questo tipo per poi postarle all’insaputa di chi ha avuto la
splendida idea di farsele e pubblicarle.
Ed è a questo punto che questi strani soggetti, dopo aver scoperto di essere diventati chissà come i nuovi zimbelli di internet,
scrivono messaggi minatori scritti nello stesso pseudo-itaGliano minacciando fantomatiche denuncie alla polizia postale con
l’aiuto di parenti nella Finanza ancora più fantomatici. Ovviamente il tutto si risolve in un nulla di fatto, in quanto, nella
creazione del proprio profilo su facebook, accettando le varie opzioni richieste, ogni elemento postato diventa
automaticamente di dominio pubblico; perciò, chiunque può copiare le immagini postate di qualsiasi persona, anche le più
personali. A questo punto sorgono alcune domande, ed è qua che sta il nocciolo della questione: Pubblicare o non
pubblicare? Bisogna adattarsi ai gusti degli altri per non incorrere nel loro giudizio o bisogna fregarsene?
Ragioniamoci sopra. Prima di tutto, credo che per evitare problemi di questo tipo, dovremmo fare molta attenzione a tutto
ciò che accettiamo durante l’iscrizione su facebook , perché spesso ignoriamo molte opzioni del nostro profilo, come il fatto
che tecnicamente è aperto a tutti se non modifichiamo successivamente la privacy. Certo, così quello che postiamo è al sicuro
da occhi indiscreti, ma anche un amico potrebbe inviare una tua foto ad una pagina specializzata in questo tipo di gogne
mediatiche e, come ho già spiegato, ogni tentativo di rimuoverla sarebbe quasi impossibile e bisognerebbe sperare in un
moto di gentilezza degli admin (amministratori) della pagina, cosa che avviene raramente, visto lo standard dei soggetti che
chiedono GENTILMENTE di rimuovere la foto: “ei tu,brutto scemo vafammok, tolli subito la mia immaggine o kiamo li
aggenti postali che mio zio e un finanziere!!”.
Perciò la cosa che consiglio caldamente non è il negare le proprie passioni o il proprio modo di essere quanto il pubblicare
contenuti personali su facebook. Ultimamente si sentono molti casi di suicidi di ragazzi riconducibili a queste gogne
mediatiche e ciò mi ha fatto pensare che chiunque potrebbe essere preso di mira per una sua immagine che magari considera
carina o divertente, ma che tutti gli altri considerano ridicola, andando incontro ad un fiume di insulti.
Perciò, ripeto: siate voi stessi, ignorate sempre il giudizio degli altri, ma pensateci due volte prima di postare una vostra
immagine personale su un blog o su un social network perché, gli idioti, i cosiddetti “troll” sono ovunque, e il sentirsi soli,
disprezzati da tutti senza che nessuno sappia il vostro inferno personale, potrebbe essere molto pericolo ed autodistruttivo.
Francesco La Porta I E
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Bioetica dei cyborg: evoluzione artificiale
Finora, l’ evoluzione umana ha seguito la linea della natura. In
futuro, però, qualcosa potrebbe cambiare. Secondo alcuni
studi, infatti, sarà l’ uomo stesso ad intervenire direttamente
per migliorare le sue potenzialità, aggiungendo capacità che la
natura non ha previsto. C’ è da chiedersi quando e come, non
se tutto ciò accadrà. E’ da un po’ di anni che assistiamo ad uno
sviluppo esponenziale delle biotecnologie: protesi intelligenti,
dispositivi che dialogano con il cervello ed uteri artificiali sono
solo alcuni dei traguardi che ingegneria genetica e robotica
potrebbero presto centrare. Il primo uomo bionico d’ Europa
si chiamava Christian Kandlbauer ed era viennese. Nel 2005, a
causa di un potente shock elettrico, perse entrambe le braccia.
Entrò così a far parte di un programma di ricerca e gli furono
costruite delle protesi rivoluzionarie che richiesero cinque
anni di studi. Grazie ad un potente microchip, il suo cervello
era in grado di muovere protesi artificiali intelligenti. Gli impulsi cerebrali, attraverso il sistema nervoso, venivano trasmessi
sulla superficie del torace, dove erano posizionati dei sensori in grado di attivare i neuroni motori, che comandavano gli arti.
Il destino ha voluto tuttavia che cinque anni dopo Christian perdesse la vita in un terribile incidente stradale: mentre si stava
recando al lavoro, la mattina del 19 ottobre, il giovane ragazzo di ventidue anni fuoriuscì dalla carreggiata, scontrandosi
frontalmente con un albero. Christian aveva un sogno: - Un giorno potrò sollevare grandi pesi come Schwarzenegger nel film
Terminator. Non vedo l’ ora- , diceva. Un sogno che mai più potrà avverarsi. La sua vicenda, comunque, è stata di notevole
importanza e si può considerare il primo passo verso la nascita del cyborg, l’ uomo robotico.Ma non è finita qui. Esiste una
mano cibernetica (Cyberhand) in grado di comunicare direttamente con il sistema nervoso del paziente, frutto della ricerca
dell’ Arts lab della scuola superiore S. Anna di Pisa.Uno scienziato dell’ Università di Boston, invece, Frank Guenther, ha
impiantato nel cervello di un paziente impossibilitato a parlare un chip che trasforma i pensieri in parole.Mentre al Cornell
medical College di New York, la dott.ssa Hung- Ching Liu ha iniziato ad assemblare le prime parti di una macchina per
produrre letteralmente bambini. L’ utero artificiale è lo sviluppo estremo delle attuali tecniche di fecondazione assistita; in
quella in vitro, già in uso, il feto inizia a svilupparsi in laboratorio. La genetica, inoltre, permette addirittura di scegliere il
sesso di un figlio e si sta spingendo al controllo di altri caratteri, come il colore dei capelli e degli occhi. A questo punto,
però, è bene porsi una domanda: fino a che punto può spingersi la ricerca?
Bisogna ricordare che l’ obiettivo della medicina è curare i malati, non
migliorare i soggetti sani. Trasformarci in esseri per metà uomo e per metà
robot è davvero un sogno da perseguire? Quando la scienza punta a creare
l’ uomo perfetto, è giusto porsi interrogativi etici. Come ricorda Bruno
Dallapiccola, genetista di fama mondiale, direttore scientifico dell’ ospedale
pediatrico Bambino Gesù di Roma e membro del C. N. B. (Comitato
Nazionale Bioetica) : «Quando il tema è l’ uomo ed i riflessi sono orientati
alla potenziale distruzione della specie, penso che debba essere
controllata» . Forse, la tecnologia ci porterà sempre più lontani dalla nostra
natura, rendendoci, alla fine, meno umani.
Ivan Fiorillo I C
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ELEGI IN CLAUDIAM
Candentem memini cerviceque nunc teretem te
et rapior flamma, saucius ulceribus.
Clauditur aeterne mi, Claudia, portane cordis,
quamvis fax oculos hauriat ore meo?
Reicere in gremium si me possem resupinum, 5
pelliciens te etiam quae violam redoles !
Quis lacerantia mi bene spicula pectore tollat ?
Quis victum veteri vulnere mepte levet?
Me miserum! num conspiciam nunc ore rubentem
te, misera, exstincto virgineo decore? 10
Horreo iam gelidis oculis nunc ipse medullas;
olim laetus eram, lumina casta tua.
Nec patiens flammae fieri magis illa videtur
quam tauri tolerant, ad iuga non dociles.
Ante ego quam subitam possim devertere flammam, 15
iam fugientem me fervidus urget Amor.
Versanti melius mea pectora cedere taedae,
quam vacua lucta reddere sane feram.
Supplico dis: teneare mera levior prece capti
servitioque meo, cervula, digna fuas. 20
A, similis teneae, pestis trabibusque tenacis,
quae rodens noctu robora dura vorat,
a, similis cupidae chalybis duri male limae,
quae crepitans mordet frigida ferra loquax,
lautus visus erit, cura qui mollia mandit 25
pectora candentis, Claudia, saepe mihi.
Fervo furore tibi, non sum desultor amoris,
nunc probus esse procus, nec volo flamma procax.
Te cubitam, turgente sinu, conspicere numquam,
sopitam piceis sub tenerisque comis! 30
flamma
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INQUIETUDINI DEL PROFESSOR VITANGELO VITELLI.
Riportiamo integralmente il testo di una lettera che il dott. Rodolfo Scannabue inviò al suo paziente, il prof. Vitangelo
Vitelli, eccellentissimo grecista, che dopo 25 anni insegnava ancora supplente all’Istituto alberghiero. Il prof. Vitelli,
allarmato dal proprio stato di salute, da qualche tempo avvertiva una tachicardia(purtroppo dalla parte del cuore, e la cosa
lo preoccupava); e non sapeva se ciò dipendesse da un generale peggioramento della propria cardiomiopatia ipertrofica
oppure se fosse dovuto al fissarsi sulla sua rètina di un’ancheggiante biondina avvistata nel raggio di cento metri. Egli era
stato fino ad allora un uomo baciato dalla fortuna, fin da piccolo sempre coccolato in famiglia e ben voluto da suo padre a
tal punto che gli lasciò in eredità, non beni immobili o titoli di stato a scadenza trentennale, ma una sicura predisposizione
all’infarto del miocardio, ma solo dopo i cinquant’anni. L’unica sua carenza affettiva: la madre; presa infatti da una
depressione post partum e incline all’infanticidio, lei non lo riconobbe mai come suo figlio legittimo e chiedeva
continuamente a suo marito se, tra i tanti possibili padri, fosse proprio lui il genitore; poi dopo la laurea, uscito dalla fase
edipica,Vitangelo conobbe colei che sarebbe diventata la sua ex moglie. Consapevole del proprio stato di salute, egli seguì
sempre una dieta equilibrata, ipocalorica, povera di grassi saturi, non fumava, non beveva, non faceva uso di sostanze
stupefacenti, e soprattutto evitava gl’incontri scuola-famiglia. Decise quindi di effettuare uno screening molto accurato del
proprio cuore e inviò i risultati al suo medico di fiducia; il quale medico, dott. Scannabue appunto, allora si trovava
momentaneamente all’estero con la sua giovane e bionda assistente(alle Bahama precisamente), da quando la magistratura
gli chiedeva conto di un rotolo dimenticato nell’addome d’un paziente, contenente l’intero Pentateuco con annessi
commenti rabbinici, e rispose al suo paziente con la seguente lettera:
Bahama 25 giugno 1998
Carissimo Vitangelo, ho ricevuto la tua del 19 e non puoi immaginare quanta gioia essa mi abbia procurato; mi trovi in un
grande abbattimento psicologico, prossimo ormai ad uno stato di completa depressione: sono triste, malinconico, una noia
mortale mi divora l’anima; qui non faccio altro che andare in spiaggia ogni mattina, vestito di bermuda, una sgargiante
camicia a fiori tropicali, un panama calcato in testa, le infradito, e la sdraio sotto braccio; e poi, dopo aver fatto il bagno in
un mare d’un turchino accecante come la finissima sabbia, stanco e affamato vado al restaurant. Non parlo con anima viva,
la mia assistente è come se non ci fosse, la sua testolina bionda ha la leggerezza d’una spiga di grano ondeggiante non ancora
matura; non riesco ancora a capacitarmi d’essermela portata dietro; c’è tra di noi una grande differenza intellettuale e la
distanza generazionale è tale che l’incomunicabilità è pressoché completa. Inoltre ti devo informare d’un increscioso
inconveniente: il pacco postale che conteneva il tuo screening cardiologico è andato smarrito. Ma non ti devi preoccupare, si
tratta d’un problema facilmente risolvibile; il furgoncino postale Volkswagen è caduto in un’imboscata proprio là dove più
fitta è la lussureggiante foresta; un gruppo di guerriglieri marxisti, affamati ed emaciati, dopo averlo assaltato, ne hanno
trafugato il contenuto; uno degli assalitori(evidentemente il capo) ha aperto, proprio lì sul posto dell’agguato, i pacchi e
curioso si è messo a leggere, ad alta voce, la corrispondenza, mentre i complici intorno gli facevano corona; grandi risate ed
ululati alla lettura del tuo screening ed altresì grandi bestemmie trotzkistiche contro la grassa ed opulenta Europa
capitalistica, nel sentire la tua alta colesterolemia. Però nella sfortuna sei stato fortunato; e quindi, come ti dicevo, il
problema è risolto. Infatti il postino, alla guida del furgoncino, certo Pedro Alvarez Sanchez de la Cruz, un mulatto che parla
uno spagnolo incerto e stentato, dopo avermi incontrato casualmente al bar del restaurant, tra una birra e l’altra, mi ha
riferito(un turista giapponese ha fatto da interprete) il contenuto della tua cartella clinica così come l’aveva sentito
declamare dal bandito. Ed io, sulla base di queste informazioni, sono in grado di stabilire in maniera infallibile, prima, la
terapia e poi anche la prognosi e all’occorrenza perfino la diagnosi. Voglio subito rassicurati, stai tranquillo e non allarmarti:
la vita è breve, su questa terra siamo tutti di passaggio, e la morte è l’inevitabile destino di tutti gli uomini. Dunque, devi
sapere innanzitutto che la terapia cardiaca che hai finora seguito(e che ti è costata un sacco di soldi) era totalmente sbagliata;
i grandi luminari che ti avevano in cura commisero, a suo tempo, un piccolo errore: tu non soffri di ipertensione, ma di
ipotensione, e ciò è dovuto probabilmente al fatto che, nel misurarti la pressione, essi avessero scambiato il tuo polso con
quello di un altro. Da ciò dipende la tua insufficienza cardiaca cronica che si manifesta in aritmia ventricolare, con forti
implicazioni ischemiche, e soprattutto la tua morbosa preferenza per le bionde rispetto alle brune. Ora, se ti rivolgi ad un
grande luminare, la situazione può degenerare in cardiomiopatia ipertrofica, se invece ti affidi alla buona stella, puoi forse
scamparla. Come puoi capire, non tutto è perduto e la situazione è rimediabile.
Ti saluto con affetto Il tuo Rodolfo.
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delimitavano il villaggio, un mostro si stava preparando ad
attaccarli: questa creatura esisteva già ai tempi dell’attività
dell’eroe, che però si rifiutava di combatterla perché non voleva
sporcarsi le mani. “L’inefficienza del mio successore-diceva
Tappotte- ha permesso a questo mostro di crescere e di
diventare pericoloso. Devo scendere in campo”. Tappotte non
pose tempo in mezzo e, preso il cavallo, andò nella grotta in cui
soggiornava il mostro, pronto a combatterlo. Giunse in suo
aiuto il figliastro (il figlio era lo scemo del villaggio) del suo
grande collega e amico, il celebre Cavaliere della Rosa Camuna,
nel frattempo deceduto. Tappotte scoprì però con rammarico e
sgomento che qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea: oltre
al già citato “oratore” anche il Gran Magro aveva preso questa
decisione e si era fatto prestare (“quant’è tirchio”, pensò il
nostro) il celebre Scudo Crociato dal cavaliere, appunto, dello
Scudo Crociato. Mentre i tre litigavano su cosa fare,
sopraggiunse il cavaliere dell’ Ulivo. Questa grande famiglia
aveva due eredi: il primo era quello che aveva deciso di sfidare il
mostro, copiando sostanzialmente il buon Tappotte. Il
secondogenito era invece desideroso di partire all’avventura
come i suoi avi e come il fratello maggiore, ma in famiglia si
decise che non aveva raggiunto ancora l’età giusta e il piccolo
dell’Ulivo dovette accontentarsi di rimanere signore di una
piccola città (d’altronde la famiglia teneva molto a lui e, appena
maggiorenne, avrebbe senz’altro rimpiazzato il primogenito, ma
per il momento si decise fosse meglio non mettere a rischio la
vita del giovane). I quattro, visto che il quinto, il cavaliere della
Rosa Camuna, non era tenuto in gran conto, si trovarono quindi
all’imboccatura della grotta (che era tanto stretta da permettere
solo a uno di loro di entrarvi) e discutevano su chi dovesse
affrontare il mostro. Chiamarono un giudice per dirimere la
questione ma quest’ultimo non soltanto non li aiutò ma anzi
peggiorò la situazione, candidandosi anche lui a diventare il
prode cavaliere che sarebbe passato alla storia come l’uccisore
del mostro. Venne quindi chiamata una rappresentanza
popolare per scegliere chi sarebbe dovuto entrare per primo
nella grotta: i contadini non soltanto non fecero nessuna scelta,
ma anzi si misero a piangere a dirotto. Il nostro eroe allora, in
quel momento di stallo, decise di entrare nella grotta mentre gli
altri non guardavano e subito un masso crollò impedendo agli
altri paladini di entrare. Subito si sentirono dal fondo della
caverna dei rumori indistinti: non di scudi che cozzavano o del
rumore metallico delle armature e delle spade, ma qualcosa di
simile ad una risata, ma che non poteva essere tale (la gravità
della situazione lo escludeva). Questo suono si protrasse a
lungo, finché dopo mezz’ora circa non s’interruppe
all’improvviso. Poco dopo il nostro uscì dalla grotta, spostando
tutti i massi a mani nude, ed esclamando infine “L’ho ucciso
senza sporcarmi … Cribbio!”e subito venne portato in trionfo
dai paladini e dai contadini presenti.
Dalle “Avventure di Don Tappotte”, edizione ufficiale
autografata
Gianluca Signoretta I C
Don Tappotte ed il mostro della caverna
Don Tappotte era un tranquillo cavaliere milanese che
viveva in un maniero nell’entroterra lombardo. Aveva avuto
una giovinezza impegnata in scontri continui, era stato
chiamato a combattere in tutto il mondo, ma si era ormai
stancato della vita cavalleresca e aveva deciso di appendere
spada e scudo al muro, per il sollievo dei cavalieri che
doveva incrociare per “lavoro”. Aveva lasciato
l’amministrazione del castello ad un suo nipote siciliano,
che era stato a lungo il suo scudiero e che ora sognava di
appropriarsi dei beni di famiglia. Un tempo al castello di
don Tappotte c’era stata una castellana e tanti amici che
andavano e venivano: ma si sa che,una volta perso il fascino
dell’armatura, anche la lealtà degli amici più cari e della
moglie più devota possono venire meno per un cavaliere. Il
posto del nostro eroe (di difensore del villaggio, del mondo,
delle famiglie, della nazione, ecc …) era stato preso da un
paladino molto compassato, magro, poco socievole e che si
appropriava di tutto ciò che gli potesse essere utile per le
sue imprese: la gente era stata privata di tutto, persino dei
vestiti lasciati appesi in giardino o delle galline che
razzolavano nell’aia, così i contadini scelsero uno di loro,
un grassone, sporco, ubriacone che si occupasse di risolvere
queste appropriazioni da parte del Gran Magro (così
chiameremo il sostituto di Don Tappotte). Il contadino
però giunse a lamentarsi non soltanto di questo nuovo
paladino, ma di tutti gli altri cavalieri e persino di quelli in
pensione (persino del buon don Tappotte!!), minacciava di
bruciare i loro castelli, e chi si professava contrario a tutta
quella violenza veniva cacciato a pedate dal villaggio. In
sostanza l’ “oratore dei cortili” era un buon predicatore ma
un cattivo razzolatore. Don Tappotte si sentiva punto nel
vivo da queste orazioni ed era già pronto a riprendere le
armi quando gli giunse notizia che,oltre le montagne che
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ciò che rimarrà dei nostri “riti di
iniziazione”.
Oltre al cervello tripartito in: droga, NO
famiglia, amici, Andreoli presenta un altro
tipo di ragazzo: quello sensibile, guidato
da un animo ribelle perché catene si
stringono intorno al suo corpo, vede
ostacoli e muri, troppo pigro per spezzare
quelle e rompere quegli altri o forse
incosciente delle proprie capacità. E’ il caso
della ragazza di cui Andreoli racconta :
scappata di casa, ai piedi di una chiesa, in
lacrime dopo una furiosa lite col padre.
Infine abbiamo il sacro: mistero per
antonomasia. Si tratta di religione sì o no?
E’ la domanda più gettonata dai lettori.
Una risposta e un’ interpretazione la si dà
solo leggendolo. Perciò perché “buttarsi
via” e incorrere in quegli errori di mal
comprensione che tra genitori e figli si
hanno? I
l libro non risolverà certo un conflitto che
si tramanda da generazione in generazione,
ma offrirà una nuova prospettiva di
interpretare la realtà del conflitto. Adulto
rigido, tu proverai forse ad alternare il
“no” delle regole a qualche sì. In caso tu,
lettore, fossi tradizionalista sappi che il
libro non fa per te. I tuoi presupposti sono
già errati per entrare in relazione con la
Gli adolescenti: un mondo
complicato
Andreoli e gli adolescenti: una lettera
tutta da leggere, esperienze narrate
nelle quali immedesimarsi e tutte da
vivere. Miriadi di input che mirano a
colpire te, adolescente, insieme ai tuoi
genitori.
Il conflitto più arduo e lungo della
storia? Quello generazionale! Ha una
durata variabile da un’età compresa tra
i 13 e i 18 anni, leggere attentamente
il foglio illustrativo prima dell’uso o
forse basta un involucro di carta di
141 pagine intitolato “lettera ad un
adolescente” . Tipico ragazzo che
attraversa la pubertà: il “carpe diem” è
legge. Lo dimostra l’esperienza di
Andreoli, psicologo, che, per fare dei
passi avanti in campi in cui la scienza
nulla puo’, compie un’indagine su
ragazzi con “ormoni a palla”.
Racconta appunto delle diverse
esperienze a cui ha assistito: un
ragazzo si uccise perché non avrebbe
potuto baciare la sua ragazza QUEL
sabato sera, come precedentemente
aveva preventivato. La morte diverrà la
fine di tutti coloro che “hanno deciso
di buttarsi via facendo del male non
solo a loro stessi, ma all’umanità
intera”(cit. Vittorino Andreoli, lettera
ad un adolescente, Rizzoli)
soprattutto coloro che fanno uso di
sostanze stupefacenti .
I perché sono molteplici: la più grande
paura del tipico adolescente, secondo
Andreoli, è il non essere accettato dal
“gruppo di amici” e allora cosa fare?
Dimostrare di essere forte e “figo”
annebbiando il proprio cervello con
cocaina ed eroina? E poi? Forse una
lavanda gastrica, nei migliori dei casi, è
politica del “cerchiamo di capirci a
vicenda” di Andreoli. Vai piuttosto a
ritirare il premio di miglior “senex”
portando dietro la tua mente chiusa e
antiquata insieme ai tuoi pregiudizi
inutili.
Il mondo va avanti e, volenti o nolenti,
è in mano a giovani emotivi e
complicati. La lettera non esprime altro
che la complessità del loro carattere, ma
anche la loro importanza per la crescita
di una società più aperta.
Martina Lopreiato I D
Pagina 19
Recensione film : Agorà
“Una donna che ha proclamato di non essere cristiana, non può insegnare ad un uomo”: questa è la realtà di Alessandria
d’Egitto nel IV secolo d.C. sotto l’imperatore Teodosio II. Agorà, diretto da Alejandro Amenabar, è incentrato sulla storia di
una donna: Ipazia, dedita alle arti matematiche e filosofiche, ma soprattutto astronomiche. Anticipando gli studiosi
posteriori, fece delle scoperte che cambiarono la storia dell’umanità. La teoria della relatività, ma soprattutto uno degli
aspetti della concezione cosmologica copernicana : la Terra compiva un’ellisse intorno al sole, confutando la teoria
geocentrica di Tolomeo. Una vita dedicata interamente agli studi in tempi però che non le permisero di emergere come
meritava. Il conflitto tra cristiani e pagani diveniva sempre più aspro di giorno in giorno anzi, di minuto in minuto. I milioni
di scontri precedenti sfociarono in un macabro episodio cruento che vide come protagonisti negativi i Cristiani : Ammonio,
arrogante cristiano, compie un miracolo, camminando su tizzoni ardenti e oltrepassandoli incolume, al contrario del pagano
inghiottito dalle fiamme. Il mondo d’Ipazia, la Biblioteca di Alessandria, venne privata dei suoi manoscritti che furono in
gran parte bruciati. La protagonista, nonché eroina, riuscì a salvarne qualcuno insieme al “circolo della cultura” . La stessa
Ipazia combatterà per le sue idee, per difenderle strenuamente. Un film da cui trarre degli insegnamenti : la cultura e la sua
libera circolazione, il procurarsi un’istruzione vengono prima di tutto: “ la curiosità è di tutti! Vaffanculo gli eroi” cit. Zen
Circus. In più la presenza di religioni , che da semplici teorie della salvezza dell’anima diventarono motivo di guerre civili e
divisioni interne. La denuncia sottesa e moderna che questo film offre è che nonostante le donne abbiano conquistato
importanti diritti, tuttavia ancora oggi esse risultano vittime di discriminazioni da parte dei più tradizionalisti: basta pensare
ai detti fascisti che ancora oggi riaffiorano sulla bocca di uomini ignoranti: donna schiava, zitta e lava!. La seconda riguarda il
conflitto religioso ancora oggi aperto e che dovrebbe invece risolversi in un rispetto reciproco. Chiara Valotta I D
La staordinaria lotta tra genialità e follia: “A beautiful mind”
“ Ho bisogno di credere che qualcosa di STRAORDINARIO sia possibile……” Esattamente allo STRAORDINARIO confine
tra pazzo e genio, tra malattia e genialità è posto il John Nash di Ron Howard, vincitore di 4 premi oscar. È la vera storia del
matematico John Nash,di una mente brillante e paradossalmente perseguitata da visioni immaginarie, da allucinazioni,
paradossalmente schizofrenica. Era nato con “due porzioni di cervello e solo mezza porzione di cuore” : il che rendeva
difficile tutti i suoi rapporti sociali ( del resto, chi potrebbe avere rapporti sociali con questa convinzione?); aveva solo due
amici, mai esistiti; aveva fatto qualcosa di “utile”, di “bello” per l’esercito: una missione segreta mai commissionata, e poi il
paradosso; il confine: aveva una moglie, un amore REALMENTE PROVATO; e poi aveva un unico scopo: trovare un’idea
veramente originale; REALMENTE PENSATA e infine aveva un NOBEL realmente assegnato! “Ho sempre creduto nei
numeri. Nelle equazioni e nella logica che conduce al ragionamento. Dopo una vita vissuta in questi studi, io mi chiedo: cos'è
veramente la logica? Chi decide la ragione? La mia ricerca mi ha spinto attraverso la fisica, la metafisica, mi ha illuso e mi ha
riportato indietro. Ed ho fatto la più importante scoperta della mia carriera. La più importante scoperta della mia vita. È
soltanto nelle misteriose equazioni dell'amore che si può trovare ogni ragione logica. Io sono qui grazie a te. Tu sei la ragione
per cui io esisto. Tu sei tutte le mie ragioni." (discordo di John Nash alla cerimonia del Nobel). È la una storia straordinaria,
quasi difficile da credere eppure assolutamente reale, ed è in questo contrasto che il film e la vera storia di un uomo
diventano meravigliosi: un uomo geniale; un pazzo; un disilluso salvato dall’amore “Tu sei la ragione per cui io esisto. Tu sei
tutte le mie ragioni.”. Si incontrano e si fondono AMORE, FOLLIA e GENIO; la mente di un uomo incontra se stesso; si scava
nel profondo; si scontra; lotta con se stessa e riesce infine a giungere all’autocontrollo; alla quiete; a trovare “una ragione
logica”. È il raggiungere l’equilibrio perfetto tra le forze che si dibattono
nella mente di ogni uomo e che in lui arrivano all’apice e quasi
all’esasperazione: ragione contro follia. John Nash uno schizofrenico, il più
“classico” dei pazzi da manicomio, ed è la “rivincita della pazzia” ottenuta
con la forza di volontà: dall’essere sopraffatto a sopraffarla, la “incontra
faccia a faccia”, la conosce,ci convive e quindi dall’essere domato, la domina.
Ed è in questa profonda e difficile consapevolezza di se stessi, ottenuta
anche grazie al sentimento, che si realizza la conoscenza, che l’uomo può
arrivare a dominare il proprio io perché entrato in contatto con esso. A
quanto pare; dunque; qualcosa di straordinario è possibile!
Flaviana Chiera V B
Pagina 20
Il troppo freddo che spegne anche i termosifoni
Termosifoni inesistenti, gelo nelle aule, ragazzi in protesta:
sono queste le cause che animano la manifestazione
studentesca del liceo classico M.Morelli .
Il sit-in tenutosi davanti le porte del Morelli ha importanza
significativa per i ragazzi che vedono negarsi il diritto allo
studio a causa della continua ingordigia della Provincia che si
ritrova al verde ed è incapace di far fronte alle spese per i
riscaldamenti. Preside scontento e non in piena sintonia con gli
studenti infreddoliti: per molto tempo infatti aveva sostenuto
che le aule non erano poi così gelide come si diceva. I ragazzi
non ci stanno e, con grande carattere si armano di plaid,
cappelli e sciarpe per combattere il freddo invernale.
Il “preferiamo, a questo punto, stare fuori anziché dentro”
sembra essere lo slogan studentesco. Le intenzioni sono chiare:
ottenere giustizia e qualcosa che ha la precedenza : il rispetto
per i propri diritti. “Non si paga per qualcosa la cui colpa non è
nostra”, gridano gli studenti, decisi a continuare la protesta
finché non si sarà trovata una soluzione. Il Morelli va fino in
fondo.
Alle dieci una comunicazione. Il preside decide di
abbattere il muro con i suoi ragazzi e attraverso i
rappresentanti di istituto convoca tutti i presenti in aula
magna. Non manca nessuno, presente anche il
rappresentante delle famiglie in seno al Consiglio
d’istituto, Fausto Costa. Si apre il dialogo. Lamentele da
una parte, spiegazioni dall’altra. Il colloquio va avanti per
circa tre ore. La sete di notizie della stampa viene rispedita
al mittente, segno da parte del preside di comunicazione
esclusiva con i suoi ragazzi che lui sostiene di avere
sempre ascoltato e cercato.
Nel confronto si fa sentire anche la presenza di Fausto
Costa che ricorda ai ragazzi le condizioni in cui erano le
scuole di una volta. Gli studenti, però, rifiutano di
ascoltare situazioni che non collimano affatto con i loro
tempi e i confronti con altre scuole che, come affermano
preside e rappresentante delle famiglie, “sono messe
peggio di loro”. Chi fa da sé, fa per tre. L’acuirsi delle
lamentele fa sì che venga costruito nuovamente un muro.
L’incontro termina lì. La classi si riuniscono, ragionano,
cercano soluzioni comuni, tutto affinché i propri diritti
siano rispettati e portati avanti.
Un nuovo comunicato viene redatto per la Provincia,
l’ennesimo. Questa è l’unica speranza cui gli studenti del
Morelli sono ancora legati e, come un padre che attende il
proprio figlio speranzoso di vederlo ritornare dalla guerra,
anche loro aspettano l’arrivo di iniziative concrete da
parte della Provincia.
Martina Lopreiato I D
Pagina 21
Il bello di fare solidarietà
22 dicembre 2012 , ore 07:55 suona la prima campanella.
I pochi ragazzi riuniti nel cortile del Liceo Classico M.
Morelli cominciano la loro marcia verso le classi: ma questo
non sarà un giorno come gli altri.
Nessuno è sconfortato da un’imminente interrogazione,
nessuno prega disperatamente che la versione di greco nel
compito di quel giorno sia facile, tutti invece con un viso
rilassato, allegramente, si dirigono verso le loro classi, verso
i loro posti, attendendo con ansia la seconda ora, momento
in cui saranno liberi, girovagando e curiosando,oppure
semplicemente aiuteranno ad allestire i banchi per i
corridoi: oggi è la Giornata della Solidarietà.
Ormai da molti anni, quest’evento si svolge periodicamente
nei corridoi, nelle classi e nell’aula magna del nostro liceo
che ospita diverse iniziative, ormai consuete in questa
giornata, ma anche nuove simpatiche attività, aggiunte
quest’anno dai creativi alunni che, facendo proposte e
mettendosi in gioco, sono riusciti a creare un’atmosfera
giocosa e allegra, con un fine però nobile e giusto:
devolvere i ricavati dell’intera mattinata in beneficenza ad
una associazione. All’esterno, gli organizzatori della
giornata alla ringhiera, che delimita il cortile del liceo,
hanno appeso un enorme striscione con su scritto a
caratteri cubitali e con diversi colori “Giornata della
solidarietà”, come a voler testimoniare anche alle persone
che passavano di lì per caso che l'unione fa la forza,che
basta essere uniti per allietare una giornata che ha il fine
non solo di divertire ,ma anche quello di aiutare con
spirito di solidarietà chi ha bisogno.
In questa giornata sono state svolte diverse attività: il banco dolci disposto
lungo tutto il corridoio del piano terra,dove per l’occasione è stato allestito un
grande tavolo. Tale evento ha richiesto l’impegno di tutte le mamme, le quali
premurose hanno ammannito dolci così gustosi da assicurarsi il gradimento
da parte di tutti; i ragazzi, dal canto loro, con tanto di allegria e muniti di un
cappello di Babbo Natale, per ottenere un ricavato maggiore, invitavano gli
altri ragazzi ad assaggiare i diversi dolci. Al mercatino, invece, organizzato in
un’aula del secondo piano, si vendevano oggettini che ognuno aveva
realizzato per l’occasione.
Per poi finire con il concerto,un’entusiasmante e piacevole esibizione
musicale che ha visto coinvolti tutti i ragazzi i quali hanno messo in atto le
proprie capacità artistiche,suonando le canzoni natalizie più belle e che più
potessero coinvolgere. Quest’anno sono state introdotte delle nuove attività
quali “La Cartomante “ e la creazione di treccine al secondo piano…
Tutto il ricavato della giornata( pari a 1358 euro) è stato devoluto ad
ARTECA, associazione per la cooperazione e lo sviluppo educativo, che tra i
suoi obiettivi principali ha anche quello di rieducare i ragazzi di strada a
Palermo e di combattere l’analfabetismo giovanile(anche fuori dei confini
nazionali), progetto che vede coinvolti anche i ragazzi vibonesi.
Arianna Sangregorio,Silvia Crispino II B
Pagina 22
Machu Picchu, la città perduta
Esiste una città, arroccata sulle Ande del Perù, che non ha ancora smesso di rivelarci i suoi affascinanti segreti. Il suo nome:
Machu Picchu. Situata in una zona difficile da raggiungere, risultò invisibile persino ai conquistadores spagnoli ed ai
missionari cristiani. Sul suo crinale sono presenti oltre 200 edifici, scoperti un secolo fa dal giovane esploratore americano
Hiram Bingham dell’ Università di Yale. Si trova in un luogo impervio, tra due faglie ed ogni anno era inondata da piogge
torrenziali, che provocavano delle frane; ma al contempo, era vicina a delle sorgenti di acqua dolce e conteneva una riserva
di granito, verso cui è diretta una cava. Per affrontare il problema dell’acqua, gli ingegneri crearono terrazze e collocarono
canali di scolo. Nel periodo del suo massimo splendore, era in grado di ospitare soltanto tra le 700 e le 1.000 persone; per
questo c’ è chi ritiene si trattasse di un luogo esclusivamente dedicato al culto. Il problema fondamentale, tuttavia, è un
altro: chi la costruì? E quando? Ufficialmente, fu eretta tra il XV ed il XVI secolo dagli Inca, ma è pur vero che alcuni
studiosi, leggendo particolari allineamenti astronomici in questo antico insediamento, sono giunti alla conclusione che la
città non può che risalire al periodo che va dal 4000 a. C. al 2000 a. C.. Perché tanta differenza con la datazione ufficiale?
Probabilmente perché quest’ultima si basa su alcune rilevazioni effettuate sugli edifici più esterni: non è pertanto affidabile
circa la datazione dell’intera città, dato che gli edifici che si trovano intorno possono essere stati costruiti più tardi, in una
zona periferica rispetto ad essa. Infatti, l’obliquità della Terra all’epoca in cui fu tracciata la pianta di Machu Picchu era di
24°, ossia nel 3172 a. C.. Gli ultimi ad abitarla, per trovare rifugio, furono gli Inca, fuggiti dagli spagnoli di Francisco
Pizarro, i quali avevano ucciso a tradimento il loro re Atahualpa. Per cercare di trovarli, i conquistadores compirono
scorrerie a Cuzco, ma non riuscirono mai a capire dove si nascondessero. Si distinguono tre fasi nella costruzione delle mura:
in un primo momento, le pietre venivano scolpite ed utilizzate interamente; successivamente, venivano modellate e sagomate
con grande facilità; infine, la lavorazione diventò più grezza e tutto più semplice, come se la tecnologia, invece di avanzare,
fosse regredita inspiegabilmente. In questo luogo, si trovano inoltre numerose mura ciclopiche, realizzate con dozzine di
blocchi poligonali giganteschi, scolpiti ed incastrati perfettamente fra loro, senza l’ ausilio di malta o di cemento: è
ragionevole pensare che sono queste le costruzioni più antiche, mentre quelle più recenti, meno accurate, potrebbero
realmente essere opera del popolo incaico. Gli stessi Inca affermavano che non solo Machu Picchu, ma anche molte strade e
monumenti peruviani erano già antichi di millenni al loro arrivo in quei territori. Una civiltà precedente formata da grandi
maestri, chiamati Viracocha, descritti come uomini bianchi dai capelli biondo rame, che avrebbero addirittura fondato
quella degli Inca. Ma non solo: non vi era abbastanza
terra per realizzare l’intero complesso, cosicché ne
sarebbero state portate 25.000 tonnellate, da una valle
che si trova a 400m più in basso, ufficialmente da un
popolo che non conosceva la ruota, né aveva utensili in
ferro! Anche il motivo per cui tutto ciò è stato eretto, ci
sfugge: non ci sono mura difensive, non sembra essere
una fortezza; troviamo piuttosto fontane, piccole
piscine, templi ed altari in granito. Nessuna incisione.
Forse, è ancora troppo presto perché il mistero della
città perduta venga risolto.
Ivan Fiorillo, I C
Pagina 23
“Navighiamo nelle nostre peggiori paure come cadaveri nelle acque dello Stige”
Apocalyptic Nightmare
di Francesca Vartuli I A
Consulenza ed
elaborazione grafica:
La Porta Pietro IE
La Porta Francesco IE
Matera Giuseppe II A
Matina Francesca II A
Articolisti di questo
numero:
Arianna Sangregorio II B
Silvia Crispino II B
Sirgiovanni Giandomenico
I E
Ivan Fiorillo I C
Martina Lopreiato I D
La Porta Francesco I E
Iris Bufalo I B
Francesca Vartuli I A
Flaviana Chiera V B
Chiara Valotta I D
Gianluca Signoretta IC
Gregorio Morelli II A
Francesco Moschella II A
Giulia Natale II B
Lucilla Bosco II A
Pamela Irrera II A
Caterina Lobianco II A
Giuseppe Matera II A
Domenico Alessandri II A
Rosaria Francica II B
Direttore
responsabile:
Ing. Raffaele Suppa
Coordinamento:
Prof. Muzzupappa
Vincenzo Accadeva dieci anni fa:
Amburgo, 19 Febbraio: prima condanna per l’attentato dell’ 11 Settembre 2001.
Belgio, 30 Gennaio: il Belgio diventa il secondo Paese a legalizzare i matrimoni tra
persone dello stesso sesso.
USA, 1 Febbraio: esplode lo Space Shuttle Columbia. Nessun sopravvissuto.
Cina, 21 Febbraio: terremoto nello Xinjang. 257 morti e un migliaio di feriti.
Italia, 15 Marzo: i Savoia ritornano in Italia dopo 57 anni di esilio.
Olanda, 11 Marzo: la corte penale internazionale si insedia all’Aja.
Bolivia, 31 Marzo: una frana nel villaggio minerario di Chima causa 400 morti.
Iraq, 9 Aprile: le truppe americane entrano a Baghdad. Saddam Hussein è il ricercato
numero 1.
Ungheria, 12 Aprile: referendum per l’entrata nell’UE. 84% a favore.
USA, 1 Maggio: Bush dichiara la fine dei combattimenti in Iraq e la vittoria della
coalizione.
Italia, 5 Giugno: i residenti all’estero hanno diritto al voto senza rientro in patria.
Austria, 19 Luglio: primo trapianto di lingua su paziente 42enne.
Italia, 3 Settembre: secondo una ricerca, 800mila ragazzi sotto i 16 anni bevono alcolici.
California, 7 Ottobre: Schwarzenegger diventa governatore.
Ostiglia (Mantova), 21 Novembre: primo caso di manomissione di acqua minerale.
Registrati casi di emulazioni e psicosi in tutta Italia.
FAO, 25 Novembre: sono in aumento le persone che soffrono la fame nei Paesi in via di
sviluppo.
Italia, 11 Dicembre: il Parlamento approva la legge sulla fecondazione assistita.
Iraq, 14 Dicembre: catturato Saddam Hussein.
Iran, 26 Dicembre: un sisma distrugge l’antica città persiana di Bam, causando 50mila
morti.
I progetti POF del liceo Morelli
A ciascuno il suo: progetto per la valorizzazione delle eccellenze
Orientamento in uscita
Kosmos : giornalino scolastico
Sportello didattico
Laboratorio teatrale
Progetto E.C.D.L.
Progetto Gutenberg
Gerbera gialla
L’operatore d’oro
Apprendisti Ciceroni
Giochi sportivi studenteschi
Teatro in lingua inglese
Il quotidiano in classe
Intercultura
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