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Il pantheon degli Etruschi – “i più religiosi degli uomini” –
alla luce delle scoperte di Pyrgi1.
La conoscenza della religione degli Etruschi, e in particolare delle loro divinità, è rimasta a lungo circoscritta a quel poco che ne hanno tramandato gli autori antichi, in primo luogo latini. E’ ad essi infatti che risale il topos della religiosità degli Etruschi, bene espresso dalla definizione di Livio: gens . . . ante omnes alias eo magis dedita religionibus, quod excelleret arte colendi eas2, parafrasata dal titolo del colloquio internazionale tenuto sull’argomento a Parigi nel 1992: “Les Étrusques, les plus religieux des hommes”3. Un topos ribadito in chiave negativa in età tardo‐antica dai Padri della Chiesa nella loro polemica contro il politeismo pagano di cui gli Etruschi erano considerati, non a torto, i più temibili assertori, anche a causa del posto attribuito fin dal III sec. a.C. nella politica religiosa dello stato romano ai loro aruspici, discepoli di Tagete4. Al punto che quando i Goti di Alarico iniziarono ad assediare la città nel 408 d.C. gli aruspici etruschi proposero di provocare una tempesta di fulmini per metterli in fuga: offerta che solo la pretesa di compiere pubblicamente i loro riti indusse il papa del tempo, Innocenzo I, a far rifiutare5.
Un quadro esauriente di quel che le fonti letterarie tramandano sul pantheon degli Etruschi è stato tracciato nel lontano 1828 da Karl Otfried Müller nel suo classico Die Etrusker, aggiornato cinquant’anni dopo da Wilhelm Deecke6. Questi aveva aggiunto di suo soprattutto le copiose testimonianze offerte dalle raffigurazioni e dalle didascalie degli specchi, raccolti nel frattempo da Eduard Gerhard nei suoi preziosi Etruskische Spiegel, iniziati ad apparire nel 1843: raffigurazioni quasi esclusivamente desunte dalla mitologia greca, che poco o nulla, da sole, potevano e possono insegnare su quelle che erano le divinità oggetto di culto in Etruria. Il fatto è che ancora all’epoca del Deecke nessun santuario etrusco
1 Dedico queste pagine alla cara memoria di Francesca Melis, in ricordo dell’impegno da lei profuso al mio fianco per più di vent’anni nella conduzione e nella pubblicazione degli scavi di Pyrgi, oltre che nella organizzazione della mostra di Arezzo sui santuari (di cui a nota 12). 2 LIV., V, 1, 6 (in occasione del comportamento scorretto tenuto dal re di Veio al Fanum Voltumnae nel 403 a.C.: cfr. van der MEER 2011, p.4). Livio segue non Lucrezio ma Cicerone e gli stoici nel giudizio positivo sulla religio, contrapposta alla superstitio (div. II, 148 sg.). Alla pari di Plinio il Giovane, che elogia Roma come una civitas religionibus dedita (pan. 74, 5). 3 Paris 1997. 4 Cfr. MAGGIANI 1984; CAPDEVILLE 1998, spec. pp.386, 417‐419; RAMELLI 2003, p.50 sgg.; HACK 2003. 5 ZOS. V, 41, 1‐3. Cfr. RAMELLI 2003, p.149 sg., con bibl. 6 MÜLLER‐DEECKE 1877, II, pp.42‐81.
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era stato oggetto di scavi non occasionali: basta sfogliare, per rendersene conto, quella sorta di Pausania che è per l’Etruria l’informatissimo libro di George Dennis, The cities and cemeteries of Etruria, la cui seconda e ultima edizione, a prescindere dalle ristampe, risale al 1878. Di conseguenza le iscrizioni votive, nostra principale fonte di conoscenza per le forme e i destinatari del culto, erano allora note in quantità esigua: nel Corpus inscriptionum Italicarum del Fabretti, apparso nel 1867, ne comparivano poco più di trenta, tutte riconducibili a trovamenti sporadici, mentre nella recentissima monografia dedicata alle iscrizioni sacre da Daniele Maras7, di cui già ho avuto occasione di parlare in questa sede, il loro numero arriva a trecento, in gran parte provenienti da santuari fatti oggetto di appositi scavi. Col rinvenimento non solo di iscrizioni, ma anche di resti di templi e di altari, di depositi votivi e di fondazione, di donarii di ogni genere e in particolare di testimonianze di coroplastica: un’arte questa che in Etruria ha raggiunto vertici di perfezione, come ben sapevano gli Antichi, a cominciare da Varrone8.
Lo scavo, consapevole e programmato, dei santuari è iniziato nell’Italia centrale solo negli ultimi due decenni dell’Ottocento, sull’onda delle grandi imprese promosse dalle nazioni europee in Grecia e in Asia Minore, a cominciare da Olimpia e da Delfi, e di quelle che anche in Italia erano state avviate in Sicilia e in Magna Grecia, a opera specialmente di Paolo Orsi. Dopo i santuari di Falerii e di Satricum, la città latina allora al margine delle paludi pontine, indagati nel tardo Ottocento, è stata la volta del santuario del Portonaccio a Veio, scavato a più riprese nella prima metà del Novecento dal Museo di Villa Giulia e più tardi (1939‐1952) dalla neonata Soprintendenza all’Etruria meridionale, con scoperte memorabili che tutti conoscono: basti ricordare l’Apollo e le altre insigni testimonianze di statuaria arcaica e classica in terracotta9. Sono stati quindi esplorati, tra le due guerre mondiali, il santuario del Belvedere a Orvieto e quello dell’Ara della Regina a Tarquinia, finché nel 1957 non è iniziato lo scavo del santuario di Pyrgi, condotto in concessione dalla cattedra di Etruscologia dell’Università di Roma, oggi “La Sapienza”, per iniziativa del mio maestro Massimo Pallottino. Scavo cui ho avuto il privilegio di partecipare fin dalle prime battute, assumendone la direzione sul campo dal 1959, e che è durato pressoché ininterrottamente fino al mio pensionamento nel 2008, senza che possa dirsi del tutto esaurito (il che dà la misura
7 MARAS 2009. 8 Citato da PLIN., n.h., XXXV, 154, 157. Cfr. COLONNA 1981, p.56 sg. (COLONNA 2005, II, I, p.898 sg.). 9 Dall’estate del 2011 finalmente esposte col dovuto risalto nel nuovo allestimento del Museo di Villa Giulia. Da ultimi COLONNA 2008; BAGLIONE 2008 b.
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dell’impegno richiesto dallo scavo integrale di un grande santuario antico)10. Ed è su di esso e in particolare sull’incremento della conoscenza del pantheon etrusco11 da esso apportato. che intendo soffermarmi, senza eccedere dal limitato tempo disponibile. Aggiungo solo, come ulteriore premessa, che lo scavo di Pyrgi può essere considerato il migliore esempio di quella “archeologia dei santuari”, di cui per l’Etruria un primo bilancio è stato tracciato nel 1985, nel quadro delle iniziative della Regione Toscana per il c.d. Anno degli Etruschi, con la mostra di Arezzo e il relativo, assai citato catalogo12.
Il santuario di Pyrgi si affaccia sul Tirreno a poco più di 50 km. a nord di Roma, presso il castello di S.Severa (fig.1), che insiste sul sito della colonia romana succedanea del porto principale dell’antica Caere13. Città che è stata la maggiore potenza marittima d’Etruria, alleata di Cartagine nella cacciata dei Focei dalla Corsica al tempo della battaglia navale del mare Sardo, verso il 540 a.C.14. Il santuario adiacente all’abitato di Pyrgi è di fatto l’unico d’Etruria che gli autori greci (o di lingua greca) ricordano, e questo a causa dell’enorme scalpore suscitato dal suo saccheggio nel 384 a.C. da parte del tiranno di Siracusa Dionigi il Vecchio, che ne aveva tratto un bottino stimato, nella valutazione più alta, in 1500 talenti15. La fondazione del santuario era fatta risalire agli stessi mitici Pelasgi cui si ascriveva quella di Agylla, che era il nome con cui i Greci designavano Caere16. Gli scavi hanno rivelato che constava di due distinte aree sacre (fig.2), separate da un fosso‐canale deviato intorno al 270 a.C. per proteggere dalle alluvioni la colonia maritima di Pyrgi allora dedotta. Negli stessi anni gli edifici sacri, danneggiati nel mal noto conflitto romano‐cerite insorto all’indomani della spedizione di Pirro in Italia, furono smantellati, seppellendone con cura nei pozzi e nelle parti avvallate del piano di
10 Le ricerche degli ultimi tre anni sono state spostate in direzione dell’abitato, a oltre 50 metri a N del tempio A (AA.VV. 2011), con saggi anche a ridosso delle mura poligonali della colonia. 11 Per lo stato delle conoscenze al riguardo si rinvia a PFIFFIG 1975, pp.231‐360; SIMON 1984; TORELLI 2000, pp.275 sg., 280‐284; CAMPOREALE 2004, p.145 sg.; SIMON 2006; MAGGIANI 2012, p.405 sg. 12 Arezzo 1985 (i contributi introduttivi alle singole sezioni anche in COLONNA 2005, III, pp.1939‐1978, con l’aggiunta delle tavv.I‐II e della carta dei santuari esposta nella mostra a fig.31: sull’importanza dell’evento cfr. MAGGIANI 2012, p.398). Un parziale aggiornamento è ora fornito da de GRUMMOND, EDLUND‐BERRY 2011 (con ampia bibliografia alle pp.143‐165). L’ultimo dei grandi templi venuti alla luce è quello urbano di Tina a Marzabotto (su cui ora SASSATELLI 2011). Per il mondo italico, e specialmente per il Sannio: STEK 2009. 13 Sulla città da ultimo COLONNA 2010 b (con errate didascalie redazionali alle figg.10‐11). 14 Battaglia svoltasi verosimilmente al largo di Olbia (COLONNA 2000, p.48) o nelle Bocche di Bonifacio, e non davanti a Pyrgi (come vorrebbe da ultimo ANTONELLI 2008, p.229). 15 Ps. ARISTOT., oecon. II, 1349 b, 33‐35; DIOD. SIC. XV, 14, 3‐4 (da Filisto secondo SANDERS 1987, p.127 sg.); STRAB. V, 2, 8, C 226; AEL. , var. hist., I, 20; POLYAEN. strateg. V, 2, 21; SERV. DAN., Aen. X, 184. Sul gruzzolo di tetradrammi greci di V sec. a.C. rinvenuto nel 1961i: COLONNA 1965 (= COLONNA 2005, IV, pp.2153‐2160) e recentemente NICOLET‐PIERRE 2003, p.127 (con attribuzione poco credibile a “un soldat venant de Sicile”); CANTILENA 2008. 16 STRAB. , cit. Cfr. BRIQUEL 1984, p.169 sgg.
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calpestio gli apparati decorativi, senza che il culto venisse a cessare del tutto. In entrambe le aree gli edifici più antichi, costruiti su due leggeri rialzi della piana costiera in gran parte artificiali, consistettero in modesti sacelli risalenti, a giudicare dalle poche terrecotte architettoniche rinvenute in giacitura secondaria, nell’area a N del fosso al 560 circa (fig.3: 1)17, nell’area a S dello stesso al 530 circa, quando vennero rinnovati anche i tetti dell’area a N (fig.3: 2‐3). Quest’ultima, più vicina allo stradone collegante dal 600 circa l’insediamento portuale con la città18, venne completamente rimodellata in forme monumentali intorno al 510 a.C. Vennero allora costruiti sia il tempio B – un periptero di circa 20 metri per 30 a cella unica, liberamente ispirato nella pianta a modelli magno‐greci e campani ‐ che i suoi annessi (il recinto C a ridosso del tempio, la sequenza delle Venti Celle cogli altarini antistanti, l’altare maggiore della piazza e un pozzo‐cisterna all’ingresso dell’area), racchiusi l’uno e gli altri entro un peribolo interamente murato – un vero temenos ‐ cui si accedeva dal lato dello stradone attraverso un eccezionale ingresso a quattro fornici, messo in luce nel 2005 (fig.4)19.
E’ questo il santuario cui si riferiscono le tre iscrizioni incise su altrettante lamine d’oro pressoché uguali per forma e dimensioni, rinvenute nel 1964, su cui esiste ormai una sterminata letteratura, che non cessa di accrescersi (fig.5)20. Lamine già affisse a uno stipite (postis) della porta della cella del tempio B, assieme a chiodi con testa bronzea rivestita di una lamina anch’essa d’oro in forma di bulla, per i quali s’impone il ritorno all’interpretazione iniziale come clavi annales21. Le due lamine affisse per prime costituiscono la bilingue etrusco‐fenicia da tempo famosa22, commemorante la dedica del tempio e dell’intero temenos alla dea Uni, chiamata Astarte nella versione semitica: bilingue peraltro motivata a quanto pare più da finalità politico‐propagandistiche che da reali esigenze di comunicazione 17 Le terrecotte più antiche appartengono al “tetto” 4‐12 di WINTER 2009, pp.239, 249 sg., 289 sg., 292, datato al 550‐540 a.C. in base al confronto, valido solo sul piano iconografico, tra il fregio di carri delle lastre di rivestimento e la scena di partenza dell’anfora pontica eponima del Pittore di Anfiarao (che appare manifestamente più “antica” delle altre figurazioni del vaso, su cui si basa la datazione propostane da Ǎ.Ǎkerström). La frequentazione dell’area sacra almeno dal 600 circa è attestata da alcuni frammenti vascolari, tra i quali un’applique di bucchero di stile orientalizzante (COLONNA 2002, p.275, fig.13) e un frammento attico a figure nere attribuito al Pittore C da E.Paribeni, che ha riconosciuto in esso proprio il tema della partenza di Anfiarao e lo ha datato al 570 a.C. (Pyrgi 1970, p.425 sg., fig.332; COLONNA 2005, IV, p.2259, tav.XI c). 18 COLONNA 2005, IV, pp.2215‐2234. 19 COLONNA 2007 a, pp.9‐11, fig.2. 20 CIE 6314‐6316; ET Cr 4.4‐5. Tra i contributi più recenti è WIKANDER 2008. 21 Come ho di recente argomentato, abbandonando per le une e per gli altri la mia precedente ipotesi dell’affissione alle valvae della porta (COLONNA 2010 a, pp.276‐278, figg.2‐5). 22 Mi limito a citare i miei contributi sui termini lessicali concernenti il tempio e il santuario (COLONNA 1991= COLONNA 2005, IV, pp.2271‐2289) e sui riferimenti testuali alla dea e al suo culto (COLONNA 2002, pp.294‐298, con abbozzo di versione della lamina etrusca a p.336).
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linguistica23. Autore della dedica è Thefarie Velianas, che nella versione semitica è detto “re su Caere” e che oggi sappiamo essere stato il rampollo di una gens aristocratica, salito al potere con l’appoggio di una consorteria di homines novi24, oltre che col favore di Astarte, cui è sotteso quello dell’alleata Cartagine. La titolarità di Uni è confermata da tre ciotole del 500 circa a.C. su cui è stato dipinto prima della cottura il nome della dea al genitivo, appartenenti allo strumentario del culto (una a fig.6)25. La dea, pur rivelando nel nome una remota ascendenza falisco‐latina, occupa un posto di tutto rilievo nel pantheon etrusco, essendo la massima divinità di almeno due, se non tre, delle dodici città dell’Etruria: Veio, Perugia e forse Cortona26. Riceveva inoltre un culto importante anche a Caere, dove era venerata nel cuore dell’area urbana, nel settore della Vigna Parrocchiale scavato da R.Mengarelli: lo provano i numerosi pocola deorum di fine IV‐inizio III sec.a.C. (uno a fig.7) e alcune olle grezze coeve col nome di Hera, l’omologa della Iuno latina, iscritto o fatto iscrivere in greco da chi era addetto al suo culto27. A Pyrgi la dea era invece assimilata ad Astarte, come lo furono Iuno e la stessa Era a Malta28 e Iuno in generale nel mondo punico, teste Sant’Agostino (Iuno sine dubitatione ab illis [scil. Poenis] Astarte vocatur)29. Tuttavia l’introduzione della prostituzione sacra, indiziata dall’ala delle Venti Celle con l’antistante allineamento di piccoli altari30, oltre che dalla citazione dei proverbiali scorta Pyrgensia da parte del poeta Lucilio e dalla stessa, abnorme ricchezza depredata da Dionisio il Vecchio31, denota piuttosto un’affinità con Afrodite, la dea che a Cipro e a Erice era anch’essa identificata con
23 A favore di una motivazione dell’intera bilingue di ordine religioso e insieme “sociale”, nel senso di una legittimazione del potere di Thefarie, è ora WIKANDER 2008. Per G.Garbini l’oggetto del dono di Thefarie sarebbe stato “votato nel corso di una grande festa etrusca e dedicato secondo una liturgia etrusca” (GARBINI 1993 a, p.81 sg.). Sempre attuali le riflessioni metodiche dello studioso sui casi di fittizio ricorso al bilinguismo (GARBINI 1993 b, p.170 sg.). 24 Grazie al rinvenimento nella necropoli cerite della tomba a dado di un Larice Veliinas ‐ la Tomba delle Iscrizioni Graffite ‐, nel quale con ogni probabilità è da riconoscere il padre di Thefarie (COLONNA 2006; COLONNA 2007 a, pp.11‐16; COLONNA 2010 a, p.284 sg.). Sulle consorterie nella Roma arcaica: FIORI 1999. 25 Pyrgi 1988‐1989, p.285, con bibl. (G.Colonna); BERNARDINI 2001, pp.119‐121, nn.10‐12; MARAS 2009, p.360 sg. 26 COLONNA, MICHETTI 1997. 27 COLONNA 2004, pp.77‐81; GENTILI 2004. Un precedente di V secolo, dipinto col nome abbreviato di Dioniso, viene dal settore meridionale del santuario in corso di scavo da parte del C.N.R. (BELLELLI 2011). 28 Da ultima AMADASI GUZZO 2008. 29 Quaest. In Hept. VII, 16. Anche nel santuario sardo di Cuccureddus di Villasimius sembra che al culto di Astarte sia subentrato in età romana quello di Iuno (da ultima PUNZO 2010, p.83, con bibl.). 30 Incompatibili, assieme ai soggetti delle antefisse che decoravano l’edificio, con la funzione di hestiatorion da alcuni attribuitagli. 31 COLONNA 1986, pp.59‐65, fig.1‐3. La citazione di Lucilio è in SERV. DAN., cit. ( nota 12).
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Astarte e circondata da ierodule32, e che nel santuario emporico greco‐orientale di Gravisca era stata ben presto affiancata da Era, come a Samo e a Sparta33.
A differenza tuttavia di Gravisca il culto della Uni‐Astarte di Pyrgi rientra, alla pari di quello della Uni‐Era di Caere, nella categoria dei peregrina sacra, a Roma inseriti nella religione di stato34, di cui l’esempio più antico è offerto dal culto di Cerere, Liber e Libera, introdotto nel 496 a.C. dalla Magna Grecia o dalla Sicilia greca35. Si tratta di sacra quae coluntur eodem more a quibus sunt accepta, come scrive Festo36, facendo ricorso, teste il culto della triade aventina e quello della Magna Mater37, a un clero fatto venire dagli stessi paesi d’origine dei sacra38. Nel caso di Pyrgi è assai probabile l’arrivo di sacerdotesse da Erice, già allora epicentro internazionale del culto di Afrodite/Astarte in Occidente39, nonché fedele alleata di Cartagine alla pari delle altre città degli Elimi40 e della stessa Caere. La loro presenza è di fatto fortemente indiziata dalle lucerne a conchiglia con becco aperto di tipo punico o greco‐punico in uso nel santuario maggiore, con la massima concentrazione nell’area circostante il tempio B41. Ed è a mio avviso lecito sospettare che l’iniziativa della versione in fenicio della dedica del santuario sia
32 LAMBRINOUDAKIS 2005, p.334 sg.; DE VIDO 2006, pp.152‐156; BONNET 2006, p.216; LIETZ 2009: PUNZO 2010, pp.86‐88. Sulla negazione da parte di studiosi specialmente anglosassoni dell’istituto stesso della prostituzione sacra: COLONNA 2010 a, p.283, nota 45. 33 Da ultimi TORELLI 2004, p.125‐127; BOITANI 2008, p.150; FIORINI, TORELLI 2010. 34 COLONNA 2010a, pp.281‐283. Cfr. già LE BONNIEC 1958, pp.383 sg., 387. 35 Probabilmente da Reggio o da Messana erano venuti Damophilos e Gorgasos, autori dell’apparato decorativo del tempio (COLONNA 1982, pp.162‐167 = COLONNA 2005, I, pp.165‐168). Cfr. ZEVI 1999, pp.330 sg., 336 sg. Per Dioniso si può tuttavia pensare a un apporto cumano (BELLELLI 2011, p.108). 36 FEST. , p.268 L.; PAUL. ex FEST., p.269 L. 37 Cfr. RASMUSSEN 2003, pp.246‐249. 38 Gli argomenti a favore di un’introduzione del rito greco nel culto della triade aventina non prima del III sec.a.C. (LE BONNIEC 1958, p.397 sgg.) sono stati giustamente ritenuti “extremely week” (CORNELL 1995, p.263 sg.). Quanto all’ostracismo decretato nel 428 a.C. verso i culti stranieri (LIV. IV, 30, 9‐11; cfr. De CAZANOVE 1990, p.195, nota 89), il riferimento sarà a forme di religiosità (misteriche ?) diverse dal culto della triade, accolto tra i sacra publica più di sessant’anni prima, alla pari di quelli dei Dioscuri e di Apollo. Livio parla dell’invasione di una religio per lo più externa e di piacula non solo peregrina ma insolita (cfr. in proposito CATALANO 1965, pp.156‐158, 270‐280). 39 COLONNA 2002, p.305 sg.; LIETZ 2010. Sul culto della dea di Erice a Cagliari da ultima ANGIOLILLO 2009, a Roma da ultimo LACAM 2010, p.162. È verosimile che la dea, forte del “grande prestigio internazionale” già raggiunto dal santuario, abbia “favorito in qualche modo l’insediamento dei Cartaginesi nella città” all’inizio del IV secolo (GARBINI 2004, p.32). 40 COLONNA 2002, p.305 sg.; GARBINI 2004, pp.27‐29. La gravitazione tirrenica degli Elimi e il ricordo di antiche relazioni con le coste dell’Italia centrale – basti pensare alla leggenda di Enea ‐ sono alla base della tradizione che faceva dell’eponimo Elimo un “re di Tirreni trasferitosi in Macedonia” (STEPH. BYZ., s. v. Aiané). Cfr. MARAS 2011, p.52. 41 Passate praticamente inosservate nella letteratura, nonostante la loro ben documentata segnalazione nelle relazioni di scavo (alcuni riferimenti in COLONNA 2010 a, p.283 sg., nota 46). Si noti che l’unica lucerna di età pre‐ellenistica di cui è ricordata la provenienza da Erice è di tipo punico (FAMÀ 2009, p.216, n.1), mentre tutte quelle di età ellenistica sono di tipo greco (BISI 1969, p.37, n.137 sg.). Di tipo greco sono anche la grande lucerna arcaica rinvenuta a Pyrgi nell’Area Sud del santuario (COLONNA 1992, p.68,fig.7) e quelle rinvenute a Caere negli scavi del C.N.R. alla Vigna Parrocchiale (Caere 4, 2003, nn.1357 e 1937)..
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dovuta proprio alle sacerdotesse della dea, con le evidenti infedeltà di traduzione dipendenti dal diverso background culturale42, e nel contempo con la registrazione della forma orale, non mediata dalla scrittura, del nome di Thefarie Velianas43.
La Uni di Pyrgi ha d’altra parte in comune con la Era delle colonie achee d’Occidente, dalla Era Lacinia di Crotone alla Era Argiva del Sele, l’alleanza invece che l’ostilità verso Eracle/Hercle44. L’eroe occupa infatti un posto di primo piano nell’apparato figurativo del tempio B, culminante nell’acroterio posto al vertice della fronte principale che lo mostra al fianco della dea (fig.8), con indosso corazza e schinieri45, oltre alla canonica leonté: evidente riferimento al compimento delle fatiche e all’apoteosi così meritata46. E’ questa in un certo senso la prima enunciazione di un tema che, nella versione allegorica dell’allattamento di Hercle adulto da parte della dea già nemica, ha goduto nel IV‐III sec. di una notevole fortuna in Etruria, a giudicare dalle raffigurazioni degli specchi47. La dea e l’eroe ritornano nella serie di antefisse a figura intera delle 20 Celle, entrambi raffigurati in piedi su un’alta base in forma di altare nell’atto di trattenere per il collo una coppia di cavalli alati (figg.9‐10)48: probabile allusione, come già da me sostenuto49, al currus della dea e a quello col quale Hercle era assurto all’Olimpo, avendo al fianco Ebe, la figlia di Era divenuta sua sposa50. I due gruppi sono inseriti in una sequenza di 42 Per cui i pulumχva, ossia le “bulle” del testo etrusco , equivalenti ai clavi annales della tradizione annalistica romana, sono diventati nel testo fenicio le “stelle” (COLONNA 2010 a, p.277 sg.; van der MEER 2011, p.28), e il titolare dello zilac seleita – probabile omologo del praetor maximus romano (MAGGIANI 1998, p.102 sgg.) – è diventato il “re”(mlχ). Per l’adattamento al lessico fenicio dei termini architettonici della donazione v. COLONNA 2005, IV, pp.2276‐2288; COLONNA 2010 a, p.280. 43 Rivelata sia dalla f del prenome, resa in fenicio con b, sottolineandone il valore di fricativa bilabiale, sia dalla resa del gentilizio Velianas con wlnś invece che con *wlynś , rispecchiandone la pronuncia /ṷelīnas/. 44 COLONNA 2002, p.292. 45 Avuti in dono da Efesto (Ps. HES., scut., 122 sg.; DIOD. SIC. IV, 14, 2; APOLLOD. II, 4, 11). 46 COLONNA 2002, pp.289‐292, fig.27 sg. Ai comparanda per l’Eracle con la corazza (ibid., note 148, 150 e 151) sono da aggiungere alcuni vasi attici a f.n. con la fatica del leone nemeo (LIMC V, 1990, s.v. Herakles, nn.1783,1810 e 1832). Per l’idria ionico‐ceretana su cui l’eroe e Iolao combattono con l’idra armati entrambi di corazza e schinieri v. ora BONAUDO 2004, p.103 sg., fig.60. 47 van der MEER 1995, pp.124‐130; COLONNA, MICHETTI 1997, p.169, nn.86‐89, tav.121; RASMUSSEN 2005. 48 Il disegno dell’antefissa con la dea sostituisce quelli editi in Pyrgi 1970, fig.240, e in Pyrgi 1988‐1989, fig.160 ( la dea vi compare già coi calcei), documentando lo stato attuale della sua ricostruzione. Il rinvenimento di un frammento con le gambe della dea coperte dal chitone fin quasi alle caviglie (inv. di scavo 78. 926) mi ha infatti indotto ad attribuire quelli mostranti le ginocchia nude (Pyrgi 1970, fig.244, nn.5‐8) all’antefissa con Eracle, di cui si offre in questa occasione il disegno rettificato (opera come l’altro di Sergio Barberini). Spiace che nel frattempo Erika Simon abbia creduto di riconoscere nella dea, basandosi sull’inesistente veste corta, una Selene assimilata ad Artemide (SIMON 2007, p.54), e che Nancy de Grummond sia andata oltre su questa via, proponendo per la dea il nome di Catha (de GRUMMOND 2008, p.425 sg.). 49 COLONNA 2002, pp.280‐282, note 110 e 112. 50 Come appare già su un’anfora cicladica (BOARDMAN 1998, p.111, fig.252.1), su un cratere orientalizzante da Samos (LIMC V, cit. a nota 43, n.3330) e su un aryballos mesocorinzio da Vulci (ibid. , n.3331, con fig.; CARPENTER 1991, p.134, fig.233). In età tardo‐arcaica il motivo compare su quella raffinata opera ionico‐ceretana che è l’idria Ricci (CERCHIAI 1995, p.88 sg., tav.21: 3‐4) e su vasi attici a f.n. (LIMC V, cit., nn.3293‐3295).
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figure alate di evidente carattere astrale, che conferiscono una dimensione cosmica all’apoteosi, assimilandola all’ascesa del sole nel firmamento. Prive tutte di un attendibile confronto iconografico in ambito sia etrusco che greco, sono poste su una semplice base a due gradini, alta la metà di quella dei due protagonisti. Rappresentano, nella sequenza e secondo l’interpretazione che reputo oggi più attendibili: il Sole (Usil) al termine della corsa notturna sull’Oceano, circondato fino alle ginocchia da un alone di raggi di luce51; la Stella del mattino in forma di demone alato con testa di gallo52, avanzante nel cielo ancora oscuro grondando vistose gocce di brina (fig.11)53; l’Aurora (Thesan) sorgente dalle onde con le quattro ali spiegate (fig.12)54; la Luna (Tiu) che si allontana portando nelle mani alzate due stelle in forma di patere, coperta dalla testa ai piedi, ali e stelle comprese, dal gran manto del cielo notturno (fig.13)55.
Non era tuttavia praticato nel santuario solo il culto di una Uni identificata con Astarte. Sul lato opposto a quello prospiciente le Venti Celle era addossato al tempio il recinto C (m.5,5 x 7)(fig.14), in una posizione manifestamente subordinata ma autonoma, come prova il pozzo di cui era dotato, e tale che chiunque dalla piazza del tempio si dirigeva verso dall’ingresso del temenos si dirigeva alla piazza del tempio e al grande altare, o viceversa, era obbligato ad attraversarlo (fig.4)56.
51 Iconografia di cui è stata dimostrata la lontana origine neoassira (KRAUSKOPF 1992, pp.1269‐1271). Il dio è altrimenti raffigurato in Etruria con il disco solare alato di tradizione egiziana sulla testa (anfora a f.n. nel commercio antiquario: SCHAUENBURG 1992, p.340 sg., tav.73: 2). Sui motivi egittizzanti nell’Etruria arcaica v. ora SANNIBALE 2007. 52 Phosphoros per i Greci, Lucifer per i Romani. Ne ignoriamo il nome etrusco. 53 Cfr. i versi di Ovidio, in cui a Lucifero sono associati la brina e il canto del gallo: iamque pruinosos moliter Lucifer axes / inque suum miseros excitat ales opus (am. I, 6, 65 sg.). Cfr. RIPA 1593, p.80 sg. (il “Crepuscolo della mattina” è raffigurato con “un’urna rivolta all’ingiù versando con essa minutissime goccioline d’acqua” e con “per l’aria una rondinella”, giusta Dante, Purg. IX, 13‐15). Anche in questo caso è stata convincentemente dimostrata la derivazione iconografica da un prototipo neo‐assiro: il demone a testa di grifo aspergente d’acqua l’albero della vita o la persona del re (KRAUSKOPF 1992, pp.1271‐1276; SIMON 1993, pp.421‐423; KRAUSKOPF 2009, p.151 sg., n.37). Il disegno di fig 11, opera di S.Barberini, nel numero e nella disposizione delle gocce è basato sulla policromia dell’esemplare conservato in parte nel Museo di Villa Giulia e in parte nella Ny‐Carlsberg Glyptotek (COLONNA 2002, p.280, nota 108, fig.18 sg.; CHRISTIANSEN, WINTER 2010, p.90, n.40). 54 Per le quattro ali cfr. alcuni specchi (LIMC III, 1986, s. Thesan, nn.24, 37), anfore del Gruppo della Tolfa (GAULTIER 1995, E 730 e 731, tavv.27 e 29) e un’idria ceretana (BONAUDO 2004, p.84 sgg., fig.44). 55 Il disegno mostra l’antefissa senza la precedente integrazione del busto e della testa, peraltro assai probabile. Un buon confronto, a prescindere dall’attributo del mantello, è offerto dalle antefisse campane col busto di una ninfa (?) che solleva due rosette, in una sorta di divina epifania, avendone una terza, concava, sulla testa (REUSSER 1980; JUCKER 1981). Riconoscibili con sicurezza come astri sono i globi lampeggianti che compaiono nelle mani del Sole nascente su uno specchio a Minneapolis e su un anello da Aleria (rispettivamente in CSE, U.S.A., 1, 1987, p.45 sg., n.26; SIMON 1984, p.156). Su un’anfora del Gruppo della Tolfa a Ginevra (RIZZO 1987, pp.163, 306, n.117) compaiono in una faccia Thesan che rapisce un giovanetto tra due alberelli, nell’altra una figura femminile ammantata che corre verso uno scoglio, sollevando nelle mani alzate due patere: potrebbe trattarsi anche in questo caso della Luna, con lo scoglio alludente alle isole galleggianti dell’Oceano. 56 COLONNA 2007 a, p.10 sg., figg‐2‐3.
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Servivano allo scopo I suoi due ingressi contrapposti (fig.15), che ne facevano una sorta di ianus geminus, del tipo antichissimo che a Roma era servito di modello all’Ara Pacis Augustae57. Il recinto era riservato al culto delle divinità patrie, che nemmeno il tiranno Thefarie poteva permettersi di ignorare (e che i frequentatori del santuario a quanto pare erano tenuti a onorare). Lo deduciamo da una tabella bronzea ad esso sicuramente riferibile, rinvenuta anch’essa nel 1964 ma in minuti frammenti, pazientemente ricomposti dall’Istituto Centrale del Restauro (fig.16). La lunga iscrizione etrusca così recuperata, coeva delle lamine d’oro ma di tutt’altra forma e contenuto, consiste in una sorta di preghiera di stile e fonetica arcaizzante, quasi una litania del genere del carmen Saliare romano, in cui ricorrono i nomi di due sole divinità, Tina e Uni58. Il dio è invocato con una sequela di epiteti non altrove attestati, tra i quali spicca Atalena, che lo pone sul piano dei maiores, intesi anche in senso gerarchico59, mentre la dea riceve solo l’epiteto Chia, lo stesso col quale era venerata a Caere alla Vigna Parrocchiale, anteriormente alla menzionata assimilazione con Era60. Di fatto due erano gli altari presenti all’interno del recinto: quello di cui rimane in parte l’alzato e che sotto ogni rispetto appare come il principale, per la sua posizione e per la circostante platea lastricata con pozzo annesso, spettava con ogni probabilità a Tina. Di forma cilindrica, è attraversato verticalmente da un condotto comunicante col sottosuolo (fig.17), come si verifica più volte in altari di area volsiniese, quasi sempre iscritti col nome del dio, attestandone il carattere catactonio, in accordo con l’epiteto Calusna che gli è attribuito in età ellenistica nel santuario del Belvedere a Orvieto61.
Verso il 470 a.C., quarant’anni dopo la fondazione del tempio B e dei suoi annessi, quando da qualche tempo era venuto meno il “regno” del Velianas e la città era tornata sotto il governo degli aristoi, il santuario monumentale conobbe una nuova, intensa fase edilizia. Raddoppiata la superficie del temenos (fig.18), fu innalzato il tempio A, assai più imponente dell’altro (circa m.24 per 34,50) e di tipologia affatto diversa, “tuscanica” a tre celle, affiancato da un nuovo ingresso, che intercettò lo stradone proveniente dalla città, mentre quello a quattro porte retrostante al tempio B veniva tamponato. E’ questo il tempio decorato sulla fronte
57 TORELLI 1992, pp.30‐35. 58 COLONNA 2002, pp.298‐303, fig.32. Cfr. MAGGIANI, RAFANELLI 2005, p.143, II A 11. 59 Su atta come termine di parentela e di rango, oltre che nome proprio “parlante”: da ultimo PROSDOCIMI 2009, p.105 sgg. Sul suffisso –le, denotante appartenenza, analogamente al suffisso latino –lo: ibid., pp.84 sgg., 146 sgg.; COLONNA c.s. 1, note 100, 127. 60 Sull’epiteto mi sono soffermato da ultimo in REE 2011, n.68, p.315. 61 MARAS 2009, p.431 sg.
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posteriore, rivolta verso la città, con tre altorilievi narranti la saga dei Sette contro Tebe, praticamente contemporanei alla tragedia di Eschilo dello stesso soggetto, rappresentata nel 467 a.C. L’unico che si è potuto ricomporre per intero è quello ormai celebre narrante le due storie, abilmente interrelate nella composizione, di Capaneo fulminato da Zeus e di Tideo ferito a morte che assale alle spalle il caduto Melanippo per spaccargli il cranio, mentre Atena inorridita si allontana negando al suo protetto il farmaco dell’immortalità (athanasia) ottenuto da Zeus (fig.19)62. Un esplicito messaggio di condanna, in chiave epico‐mitistorica, della hybris umana, impersonata al massimo grado dai tiranni63, e nello stesso tempo un richiamo al dramma della fragilità umana dinanzi alla morte. Sulla fronte anteriore del tempio era invece narrata, a giudicare dai pochi resti degli altorilievi messi in opera alla fine del V secolo in sostituzione di quelli originali, la battaglia tra i Greci e le Amazzoni, in cui tornava a primeggiare la figura di Eracle64, ma come campione dei valori del mondo civilizzato, cui erano estranee le Amazzoni, invece che della virtus individuale. Il rinvenimento di un’iscrizione etrusca su lamina bronzea, celebrante in tono solenne la dedica di una statua di Thesan65, la dea etrusca dell’Aurora di cui uno specchio ci ha restituito l’immagine accompagnata dal nome (fig,20)66, fa ritenere che sia stata attribuita a quella dea la titolarità del nuovo tempio, cui l’iscrizione è contemporanea. Il che non contrasta con l’interpretatio Graeca della dea di Pyrgi come Leucotea, al tempo del sacco siracusano, invece che come Eos, l’Aurora greca, sia perché questa, a differenza dell’altra, non era una divinità di culto67, sia e soprattutto perché era accaduto lo stesso nella Roma di Tarquinio il Superbo, discendente del corinzio Demarato, nei confronti della Matuta del Foro Boario68. L’accettazione da parte del clero pyrgense e delle autorità ceretane, sul
62 COLONNA 2002, pp.317‐325, figg.35‐42, e da ultimo COLONNA 2010 c (scritto che ha illustrato l’opera in una raccolta di capolavori dell’arte mondiale, edita da Thames & Hudson). 63 Quale era stato Thefarie e quale era allora il Dinomenide Ierone, venuto da Siracusa ad assalire alle spalle la flotta etrusca assediante Cuma nel 474 a.C. 64 COLONNA 2002, p.325, fig.45. 65 SIMON 1984, fig. a p.163; COLONNA 2002, pp.329‐331, fig.48; MARAS 2009, pp.354‐356 (che segue la datazione paleografica troppo alta di M.Cristofani). 66 COLONNA 1996 a, p.351, nota 10, fig.3 (= COLONNA 2005, IV, p.2339 sg.). 67 Sul culto di Leucotea da ultimo GIANGIULIO 2010, pp.63‐71 (su Pyrgi p.67 sg., note 18‐19). 68 A giudicare dall’acroterio del tempio arcaico di S.Omobono raffigurante Leucotea abbracciata dal figlio Palemone (COLONNA 2002, p.327, nota 306, con bibl.; WINTER 2009, p.381 sg., fig.5.36). L’acroterio è ora interpretato, in base ad alcune più o meno sicure integrazioni (inattendibile quella del supposto tirso dal retro completamente piatto), come la coppia di Dioniso e Arianna (MURA SOMMELLA 2011; WINTER 2011, p.65, fig.6). Mi domando se invece non debba vedersi in esso, restando nell’ambito del mito tebano di Ino/Leucotea, l’apoteosi di Semele, sorella di Ino e madre di Dioniso, morta prima di dare alla luce il figlio, che da adulto sarebbe sceso nell’Ade per resuscitarla (DIOD. SIC., IV, 25, 4; APOLLOD. III, 5, 3; cfr. LIMC VII, 1994, pp.722‐724, nn.19‐26; Suppl. 2009, p.449 sg., add. 5; COLONNA c.s. 2). Senza escludere che l’apoteosi sia quella di Ino, che era stata la nutrice dell’orfano Dioniso, attirandosi per
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piano mitico e iconografico, dell’interpretazione greca di Thesan è provata dall’altorilievo che verso la metà del IV secolo sostituì quello posto al sommo della facciata anteriore del tempio. Esso raffigura infatti l’accoglimento di Leucotea e del figlio Palemone, perseguitati da Era, nel santuario di Uni, grazie all’intervento di Eracle (figg.21‐22)69: un aition parallelo a quello, narrato da Ovidio, del tempio romano di Mater Matuta, adiacente all’antichissima Ara Maxima del dio. Questi appare sia nel santuario di Pyrgi che in quello romano nel ruolo di un autentico numen loci, garante dell’ospitalità verso lo straniero, tanto più se in veste di supplice. Ruolo confermato dal rinvenimento, sul fondo del pozzo in cui era stata riposta la statua di Eracle, di un simpulum con dedica a Farthan, ossia al Genius (loci) o al “Progenitore”, quale verosimilmente il dio era considerato70. Quanto a Thesan e Leucotea, il loro ingresso nel santuario di Pyrgi e la loro assimilazione si fonda sull’essere entrambe figure spiccatamente salvifiche e curotrofiche, amate perché assai più vicine di Uni e di Era ai comuni mortali e alle loro ansie esistenziali71. Il carattere di intermediarie tra la condizione umana e il mondo degli dèi spiega il favore loro accordato in un’età di crisi, prima degli individui e poi della polis, quali sono stati notoriamente il V e il IV secolo in Etruria, in concomitanza col diffondersi anche in Occidente del dionisismo e di altri culti misterici72.
Vengo da ultimo, e più brevemente, al santuario minore del grande complesso sacrale di Pyrgi, l’Area Sud, scoperta nel 1983 e scavata a partire dall’anno successivo, è ormai si può dire venuta per intero alla luce73, compresi i depositi votivi, che invece mancano ancora all’appello nel santuario maggiore. La pubblicazione finale dello scavo, dopo le molte anticipazioni che ne sono state date74, è in corso di preparazione da parte di M.Paola Baglione, Barbara Belelli e
questo l’ira di Era, causa delle sue sventure: sarebbe questa una variante arcaica del mito, di ambito corinzio, non attestata dalle fonti letterarie giunte fino a noi. 69 Pyrgi 1988‐1989, p.33‐46, figg.26‐35; COLONNA 2002, pp.325‐327. 70 Pyrgi 1988‐1989, pp.121‐123, fig.96; COLONNA 2005, III, pp.1833‐1839. 71 COLONNA 2002, pp.332‐335. In quanto salvifiche, entrambe le dee erano in rapporto con la morte e con l’aldilà, per cui non meraviglia troppo che Aurora, qualificata come Orci soror, sia invocata in una defixio di I sec. d.C. di recente scoperta come crudele persecutrice, con un rovesciamento di ruolo di cui non mancano paralleli in quel genere di testi (BEVILACQUA 2009). Non escluderei del resto che abbia influito al riguardo il ricordo dei due terribili massacri subiti nella guerra marsica dagli eserciti consolari nel 90 e nell’89 a.C., entrambi nel giorno della festa di Mater Matuta, come non manca di rilevare Ovidio (fast. VI, 563‐566: cfr. COLONNA 2007 b, p.99; COLONNA 2007 c, p.23). 72 COLONNA 2002, p.332 sg. 73 A parte ovviamente la frangia verso mare, distrutta dall’erosione e invasa dall’arenile, sulla quale è stata accumulata la terra di scarico formando un’alta duna artificiale, piantata a lauri e oleandri, a protezione dell’area scavata. 74 COLONNA 1986, pp.69‐79; COLONNA 1994 (= COLONNA 2005, IV, pp.2291‐3336); COLONNA 2002, pp.266‐275; BAGLIONE 2004; COLONNA 2006, pp.132‐140, 148‐151; BAGLIONE 2008 a; COLONNA 2009, pp.119‐126.
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mia, affiancati da una squadra di valorosi collaboratori75. L’area sacra non è stata mai monumentalizzata né recintata con un muro: si compone di alcuni sacelli e di molti altari (almeno nove) di varia tipologia (fig.23). Il sacello Beta, che è il più antico, risalente come detto al 530 a.C., era decorato sia da acroteri animalistici, di cui i quattro angolari, rinnovati verso il 500 a.C. e solo in parte conservati, consistevano in un avantreno rampante di Acheloo, sia da antefisse a testa di Ninfa senza nimbo, alludenti rispettivamente alla ‘messa in sicurezza’ della pianura costiera contro il pericolo delle alluvioni, ottenuta con la realizzazione del fosso‐canale, e ai benefici dell’acqua dolce, ambita dai naviganti, sgorgante copiosa da una vicina sorgente ancora attiva76. L’area era consacrata, come attestano le molte iscrizioni votive rinvenute un po’ dappertutto, a due divinità diverse da quelle dell’Area Nord e prima della scoperta dell’Area Sud assai poco conosciute: Śuri (non Śuris, come spesso si è scritto), chiamato anche Śur, e Cavatha (Fig.26)77. Si tratta di una coppia coniugale, i cui membri erano venerati separatamente nelle due celle del sacello Beta e insieme sia verso il 470 a.C. sul grande altare Lambda, come provano le offerte contenute nel deposito di fondazione Kappa78, sia verso il 450 a.C. nel sacello Gamma, come fanno pensare i due altarini a cuppella affiancati all’interno dell’unica cella79. In entrambi i casi titolare della struttura sembra essere stato il dio, a giudicare dai ‘cippi’ di piombo a lui consacrati, come subito dirò, di cui molti erano sepolti nel basamento dell’altare Lambda e uno infisso nel terreno sul prolungamento dell’asse maggiore del sacello Gamma80. Tuttavia è indubbia la preferenza accordata alla dea sul piano devozionale, eruibile dal maggior numero di offerte e di iscrizioni di dedica, a cominciare dal ricco deposito Rho suggellato intorno al 500 a.C.81, fino ad arrivare al sacello Alpha (fig.29), edificato in sostituzione del demolito sacello Beta nel corso del IV sec.a.C.82, di cui sembra essere stata l’unica titolare.
75 Laura Ambrosini, Claudia Carlucci, Luciana Drago, Maria D.Gentili, Lorella Maneschi e Laura Michetti. 76 COLONNA 2002, l.c. (per la sorgente anche p.260). 77 Sul dio: COLONNA 2009; MARAS 2009, passim; COLONNA c.s. 2. Sulla dea: MARAS 2009, pp.109,114; van der MEER 2011, pp.66 sg., 125 sg. 78 COLONNA 1996 b, pp.441‐443, tavv.LIII‐LV; COLONNA 2006, p.138; BAGLIONE 2008 a, pp.311‐316. 79 Sul sacello: COLONNA 1994, pp.72‐75 (= COLONNA 2005, IV, pp.2300‐2305); COLONNA 2006, pp.140, 150 sg. La preminenza del dio è confermata dal vicino altare Epsilon che ha preceduto il sacello e che un piccolo ‘cippo’ di piombo fa ritenere, assieme al contenuto del relativo bothros (COLONNA 1994, figg.12‐14), spettante a quel dio (COLONNA 2006, p.137 sg.). 80 COLONNA 2009, p.120. 81 Contenente 45 vasi greci: BAGLIONE 2008 a, pp.305, 310 sg., con bibl. 82 COLONNA 2006, p.151.
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Mancano a Pyrgi immagini del dio, mentre per la dea disponiamo delle antefisse a busto femminile del sacello Gamma (Fig.25), che si alternavano ad altre con maschera di Gorgone alludenti probabilmente al signore dell’Ade83. Raffigurano una giovane donna avente sul capo una corona liscia e ai lati del viso quattro lunghe trecce serpeggianti per parte, annodate due a due a formare un motivo a ‘guilloche’ di sapore arcaizzante. La coppia divina è certamente la stessa che alla fine del V e nel IV secolo compare alla Cannicella di Orvieto (Fig.26), sul sarcofago di Torre S.Severo e nelle tombe dipinte orvietane, tarquiniesi e vulcenti (Golini I, Orco II e Campanari) nelle vesti di Ade e Persefone, accompagnata dai nomi di Aita e Phersipnai, assenti nelle iscrizioni votive e in generale nelle iscrizioni riferibili al culto. La dea reca sulla chioma in molte di queste raffigurazioni l’attributo infero dei serpenti, cui nelle antefisse di Pyrgi sembrano alludere le trecce annodate. Tra i molti epiteti che le sono attribuiti il più significativo è quello di śech, “figlia”: non del Sole, come generalmente s’intende, ma di Vei, la Demetra etrusca (che a sua volta sotto il nome di Esti riceve l’appellativo di ati in un’iscrizione d’ignota provenienza)84. Il che tradisce la forte ellenizzazione del culto, confermata dalle copiose offerte di ceramica attica, anche di forme normalmente non esportate quali gli epinetra, e dai rituali di tipo demetriaco di cui la dea è fatta oggetto85.
Quanto a Śur/Śuri, il carattere infero ne è denunciato già dal nome, che è di etimologia trasparente: significa infatti, nella forma base che è Śur, “il Nero”, nella forma derivata Śuri, “quello del Nero” o “quello che è nel Nero”, come credo di avere recentemente dimostrato sulla scorta del gentilizio teoforico Surte di Perugia, reso in latino come Nigidius86. Il “Nero” in senso spaziale, riferito a un luogo, è ovviamente l’Ade, l’Orcus latino. Coerentemente l’attributo specifico del dio sono in area volsiniese i cippi di pietra vulcanica nera o bluastra o verde cupo, con o senza scolpito un fulmine a forma di saetta (Fig.27)87, a Pyrgi i già ricordati ‘cippi’ di piombo, il metallo delle defixiones, a forma di lingotti parallelepipedi, sepolti sotto o presso i suoi altari e dietro il sacello Gamma, così come il piombo fuso versato a chiazze sul battuto pavimentale del piazzale Ovest88, mentre ai fulmini alludono le
83 COLONNA 2006, p.150 sg. È probabile che al dio, signore dell’Ade, alludano le antefisse a testa di Gorgone, che si alternavano a quelle col busto di donna. 84 REE 2003, pp.316‐318, n.26 (D.Maras), col mio commento a p.334; COLONNA 2006, p.140; COLONNA 2009, p.104. Sull’iscrizione conto ri ritornare altrove. 85 BAGLIONE 2004; BAGLIONE 2008 a, pp.311, 316 sg. 86 COLONNA 2009, pp.109‐113. Sulla tomba perugina dei Sortes v. ora NARDELLI 2010, pp.107‐113. Sul dio: KRAUSKOPF 2009 e i cenni in van der MEER 2011, pp.44, 66 sg. 87 COLONNA 2009, pp.117‐120. 88 Ibid., pp.120‐123. Una chiazza di piombo segnava anche il centro dell’asse maggiore del sacello Beta.
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numerose punte di freccia o di giavellotto, tutte di ferro, disseminate nel santuario89. Di fatto l’unica immagine ascrivibile al dio è offerta per ora da due antefisse sporadiche di Vulci da poco rese note, che ne raffigurano la testa addirittura col fulmine tra i denti (Fig.28)90. L’interpretatio Graeca di Śur/Śuri come Apollo, attestata per Pyrgi da Eliano e ripetuta per l’omologo falisco del dio, il Pater Soranus del Monte Soratte, da Virgilio e da iscrizioni votive latine91, si fonda su questo tipo di offerte, evocanti a occhi greci il dio arciere e punitore per eccellenza, oltre che sulla capacità oracolare del dio etrusco, comprovata dal ritrovamento nell’Area Sud di astragali e dalle sortes della Cipollara e di Arezzo iscritte col suo nome92 (e forse, non da ultimo sull’assonanza di questo con l’epiteto Sourios dell’Apollo di un oracolo licio, quello di Sura, celebre per l’ittiomanzia che vi si praticava)93. Confermano il carattere catactonio dei culti dell’Area Sud la rara peculiarità degli altari a basso cumulo di pietre brute (Zeta, Iota), uno dei quali situato anche all’interno del sacello Alpha (fig,29)94, e il condotto verticale ipogeico che accompagna uno di essi, l’altare Iota (Fig.30), simile a quello di Tina dell’Area C del santuario monumentale (Figg.14, 17) e avvicinabile per la sua pietra di copertura al mundus romano del Comizio, sacro a Dis Pater e a Proserpina95.
L’Area Sud, consacrata a divinità infere, e nel contempo aperta alla frequentazione di stranieri ‐ come provano alcune dediche in greco e da parte di greci a Kore e a Demetra96 , oltre che in generale il regime delle offerte ‐ evoca l’Asylum romuleo del Campidoglio, che era sacro a Vediove (assimilato da Dionigi a uno Zeus Catactonio, ossia a Dis Pater)97. L’Asylum capitolino era il luogo dell’integrazione dello straniero nel corpo civico, in un’età ancora di forte mobilità etnica e interstatale. L’Area Sud di Pyrgi fungeva invece probabilmente da tappa obbligata per chi, venendo dal mare, intendeva assicurarsi, prima di muovere verso la città, l’accoglienza da parte delle sue divinità più temibili, insediate nel seno della terra che calpestava. Una situazione non dissimile da quella del rialzo costiero,
89 COLONNA 1994, pp.102‐105, figg.42‐44 (= COLONNA 2005, IV, pp.2325‐2329). 90 RICCIARDI 2006, pp.108 e 113, nota 43, fig.10.16; COLONNA c.s. 2. 91 COLONNA 1986, pp.74‐76; COLONNA 1994, pp.94‐98 (= COLONNA 2005, IV, pp.2319‐2324); COLONNA 1996 a, pp.354‐359 (= COLONNA 2005, IV, pp.2342‐2345). 92 Astragali: COLONNA 1994, p.101,fig.41 (= COLONNA 2005, IV, p.2325). Sortes iscritte: COLONNA 2009,p.107. 93 COLONNA 2009, p.125 sg. Cfr. per Sura TORELLI 2011, p‐169 sgg. 94 COLONNA 1994, pp.75‐78 ( = COLONNA 2005, IV, pp.2305‐2308); COLONNA 2006, p.132 sg. Il tipo è Ignorato nella rassegna in MENICHELLI 2010, pp.63, 70, alla pari degli altari a cuppelle. Confronti in Etruria se ne hanno nel santuario di Piana del Lago sulla sponda S del lago di Bolsena (D’ATRI 2006, p.176 sg., figg.5, 7, 9). 95 COLONNA 2004 b, p.307 sg., tav.XXXVIII sg., 96 COLONNA 2004 a, pp.71‐73. 97 COLONNA 1996 a, pp.366‐368 (= COLONNA 2005, IV, pp.2349‐2351).
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affollato di altari e di statue votive, in cui Eschilo fa stazionare nelle Supplici Danao e le Danaidi appena sbarcati, nell’attesa, occupante l’intera tragedia, dell’agognato permesso di recarsi ad Argo.
Molto altro ci sarebbe da dire sulle scoperte di Pyrgi, ma quanto detto basta, ritengo, a dar la misura di quanto esse abbiano fatto progredire la nostra conoscenza degli dèi degli Etruschi.
GIOVANNI COLONNA
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24
Fig. 1 – In basso le due aree del santuario etrusco di Pyrgi, al centro la colonia romana col castello e il borgo di S.Severa, in alto i villini della moderna S.Severa.
Fig. 2 ‐ Il complesso santuariale di Pyrgi con la retrostante sorgente e la via Caere‐Pyrgi (dis. S.Barberini).
25
Fig. 3 ‐ Antefisse sporadiche di VI sec.a.C. dal temenos del tempio B.
Fig. 4 – Il tempio B entro il suo temenos col recinto C e le Venti Celle (tamera = cella del tempio, tmia = tempio, heramaśva = santuario, lett. “le case”).
26
Fig. 5 – Le tre lamine auree dal tempio B (c. 510 a.C.) nella loro probabile disposizione in situ (dis. A.Morandi).
Fig. 6 – Fondo interno di ciotola col nome dipinto di Uni (c. 500 a.C.)
27
Fig. 7 – Ciotolina col nome di Era suddipinto da Caere, loc. Vigna Parrocchiale (c. 300 a.C.).
Fig. 8 – L’acroterio del tempio B con Hercle e Uni (dis. B.Belelli).
28
Fig.9 – Antefissa dalle Venti Celle con Uni (elab. S.Barberini).
29
Fig. 10 – Antefissa dalle Venti Celle con Hercle (elab. S.Barberini).
Fig. 11 – Antefissa dalle Venti Celle con la Stella del Mattino (elab. S.Barberini).
30
Fig. 12 – Frammento di antefissa dalle Venti Celle con Thesan (?).
31
Fig. 13 – Antefissa dalle Venti Celle con Tiu (?).
32
Fig. 14 – Il recinto C addossato al tempio B.
Fig. 15 – Lo stesso, ipotesi ricostruttiva (dis. S.Barberini).
33
Fig. 16 – Lamina bronzea iscritta attribuita al recinto C (dis. G.Colonna).
Fig.17 ‐ Sezione longitudinale del recinto C passante per l’altare di Tina.
34
Fig. 18 – Il santuario monumentale o Area N di Pyrgi (c. 470 a.C., da COLONNA 1986).
Fig. 19 – L’altorilievo della fronte posteriore del tempio A con le storie di Capaneo e di Tideo (c. 470 a.C., da COLONNA 2010 c).
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Fig. 20 ‐ Specchio con la testa di Thesan (400‐350 a.C.)(da CSE Deutschland).
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Fig. 21 – Testa attribuita a Leucotea dall’altorilievo della fronte anteriore del tempio A (c. 350 a.C.).
37
Fig. 22 – Statua di Hercle dallo stesso altorilievo.
38
Fig. 23 – L’Area Sud del santuario di Pyrgi.
Fig. 24 – Piede di kylix attica con dedica a Śuri e Cavatha.
39
Fig. 25 – Antefissa dal sacello Gamma con probabile raffigurazione del busto di Cavatha (c. 450 a.C.).
Fig. 26 – Antefissa dal santuario della Cannicella di Orvieto con le teste della coppia infera (fine V sec.a.C.).
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Fig. 27 – Cippi di pietra nera di area volsiniese.
Fig. 28 – Antefissa da Vulci con testa probabilmente di Śur/Śuri (IV‐III sec.a.C.).
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Fig. 29 – Il sacello Alpha col suo altare interno di pietre brute (c. 350 a.C.).
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Fig. 30 – L’altare Iota di pietre brute con l’annesso condotto ipogeico (IV sec.a.C.).
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