lettera pastorale vescovo - chiesacattolica.it · 2017. 9. 19. · 5!...
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Diocesi di Pitigliano – Sovana – Orbetello
Lettera pastorale
Settembre 2017
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Lettera pastorale Di
S.E.R. Mons.
Giovanni Roncari Vescovo di
Pitigliano-‐Sovana-‐Orbetello
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Alla Chiesa santa di Dio di Pitigliano Sovana Orbetello con i suoi preti, diaconi, religiosi e religiose.
Pace e bene a tutti voi
“ Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv.15,16)
Queste parole del Signore e Maestro indicano la strada che il nostro cammino pastorale, non solo di quest’anno, vuole percorrere.
“ Lampada ai miei passi è la tua parola” (salmo 118). La sua parola, quella proclamata nell’ultima cena, illumini il nostro cammino.
Voglio riflettere, insieme con voi, su alcuni criteri di discernimento pastorale che devono aiutarci nel nostro cammino. Non si tratta di fornire ricette, ma piste di riflessione che servano per la nostra crescita ecclesiale superando quel diffuso individualismo così tipico della nostra società e che rischia di inficiare anche il nostro ministero pastorale, anzi tutta la nostra vita cristiana.
Riprendo per un momento quanto scrissi nella lettera di anno scorso: “l’esasperato individualismo della nostra società porta a considerare anche la fede cristiana all’interno di questa prospettiva. La religione * fai da te* non è un modo di dire, ma un modo di pensare e di agire sempre più diffuso, soprattutto nel mondo giovanile, che porta a scegliere ciò che piace e ciò che è utile sul momento dentro una logica di soddisfazione di bisogni individuali. “
Figlia dell’esasperato individualismo, ben diverso dal personalismo (non è un giuoco di parole, e anche questa diversità sia un elemento di riflessione), è la diffusa indifferenza non solo verso Dio, ma anche verso l’uomo e la sua vita, come anche recenti fatti di cronaca dimostrano.
Fratelli e Sorelle dobbiamo andare contro corrente, non scoraggiamoci, ma esprimiamo al Signore la nostra fede in Lui e camminiamo insieme.
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Testi di riferimento: i capitoli primo e terzo dell’Evangelii Gaudium, secondo quanto proposto dal Progetto Pastorale Diocesano, p.7
In questo anno pastorale abbiamo scelto di impegnarci particolarmente su due punti: cfr. Progetto Pastorale Diocesano p. 9-‐12
ü Le comunità-‐zone pastorali
ü La ministerialità diffusa
E’ un cammino a lungo termine, che non può certo esaurirsi in anno pastorale ,ma solo iniziare. E forse è più giusto dire continuare a camminare arricchendosi di nuove prospettive e iniziative.
Primo momento: in questo anno, si raduni in ogni vicariato una assemblea partecipata da tutti i membri dei consigli pastorali parrocchiali, dai catechisti\e, dai gruppi caritas e da quanti vogliono dedicarsi al servizio della comunità cristiana. In questa prima assemblea, presieduta dal vescovo, ci proponiamo di riflettere sul servizio nella Chiesa secondo quanto insegnato nell’E.G. in particolare nei nn. 24,119, 127-‐131.
Secondo momento: tenere nel corso dell’anno pastorale tre incontri di formazione specifica sulla Parola di Dio e la sua predicazione nel nostro mondo, sulla assemblea liturgica, sull’attenzione ai poveri. Anche a questi incontri il vescovo si impegna a partecipare.
Questi tre incontri non devono essere slegati fra loro: è necessario costruire un cammino di formazione ministeriale con momenti di preghiera, di direzione spirituale, di scambio di esperienze cristiane.
Esiste in diocesi una scuola di teologia alla quale va tutto il mio appoggio e la mia considerazione, ma penso si tratti di due momenti un po’ diversi.
La scuola di teologia è rivolta a tutti quelli che desiderano riflettere sulla propria fede e approfondirne qualche aspetto. E’ rivolta anche a coloro desiderano conoscere il cristianesimo avendone magari nozioni molto
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vaghe e imprecise. E’ sicuramente un buon momento di dialogo in una chiesa in uscita.
Il cammino pastorale che viene proposto riguarda il servizio alla comunità cristiana perché cresca e si senta invitata ad uscire e possa concretamente uscire per testimoniare il vangelo. Per questo insisto sulla formazione spirituale che si sviluppa nel quotidiano ascolto della Parola di Dio, in una buona vita sacramentale, in una ricerca di relazioni autentiche.
Questa lettera vuole essere l’introduzione a questo cammino formativo spirituale. Vuole offrire alcuni criteri di discernimento sulla fede e sulla sua trasmissione che è lo scopo di ogni piano pastorale.
Partiamo dal magistero della Chiesa espresso nell’Evangelii Gaudium:
“ La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio del si è sempre fatto così . Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obbiettivi, le strutture, lo stile e i metodi di evangelizzazione delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale. “ (Evangelii Gaudium, 33)
E per rispondere alla ricerca di un saggio e realistico discernimento pastorale, desidero presentare alcune riflessioni.
L’E.G. nel testo sopra citato ci esorta ad abbandonare il criterio, definito comodo, del si è sempre fatto così.
Eppure nella Chiesa la tradizione ha un valore decisivo: la fede degli apostoli diventa la fede dei padri, la fede dei padri si sviluppa nei figli e così via di generazione in generazione.
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Ricordiamo un celebre insegnamento dei Padri della Chiesa. “ Anche nella stessa Chiesa cattolica ci si deve preoccupare molto che ciò che noi professiamo, sia stato ritenuto tale ovunque, sempre e da tutti. “ (Vincenzo di Lerino, Commonitorio,2)
Qual è la differenza tra quel “ comodo si è sempre fatto così “ e la fede “ovunque sempre e da tutti professata? “
Dobbiamo discernere bene ciò che appartiene alla essenza della fede, quella che professiamo nel credo battesimale e nella messa domenicale e alle parole con cui questa fede viene espressa (problema del linguaggio) e alle scelte pastorali che necessariamente cambiano nel mutare dei tempi e dei luoghi. E’ il grande tema del Concilio Vaticano II ! Dietro il suo insegnamento anche noi siamo chiamati a discernere bene fra la Tradizione Apostolica e dei Padri e la sua concreta espressione nel tempo.
Che non succeda che per conservare materialmente parole e gesti, anche quando hanno cambiato sensibilità e significati, noi non riusciamo più a trasmettere la fede dei padri e nostra.
Che non succeda, che prigionieri di schemi pastorali superati, che non vuol dire sbagliati, non riusciamo più a parlare al mondo. Penso che tutti ne siamo convinti, anche se, mi sembra, tante volte non sappiamo tirarne le conseguenze e rimaniamo come interdetti abbandonandoci a sognare un passato che non ritorna più e quasi dimenticando che noi dobbiamo predicare il Vangelo opportune et inopportune a questa generazione, ora e in questo mondo.
Questi momenti di discernimento pastorale che presento derivano dalla sacra Scrittura che è la fonte inesauribile e insostituibile di ogni discernimento.
La Parola di Dio non è uno dei criteri di giudizio, sia pure il primo, ma è la fonte di ogni giudizio. L’ascolto quotidiano, liturgico e personale, della
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Parola è la condizione assoluta per ogni vero discernimento che deve necessariamente discendere dalla Parola di Dio.
Tuttavia questa Parola “ si è fatta carne” cioè non si rivolge a noi allo stato puro, (attenzione al fondamentalismo biblico!) ma nelle opportunità e nei condizionamenti della storia umana.
Passo ad illustrare alcuni criteri di discernimento pastorale.
CRITERI DI DISCERNIMENTO
• Sentire cum ecclesia
Non significa solo avere la stessa fede-‐dottrina della chiesa: è sicuramente la prima e indispensabile condizione.
Ma vuole anche esprimere un sentimento di simpatia, di coinvolgimento, di feeling…. di chi si sente a casa propria, che si traduce in un profondo sentimento di figliolanza con la Chiesa, secondo il celebre passo di san Cipriano. “ Non può avere Dio per padre chi non ha la chiesa per Madre “
Non si tratta di identità di vedute, di sottomissione acritica e deresponsabilizzante alla gerarchia in qualsiasi aspetto della vita, di un paternalismo spirituale che favorisce un infantilismo spirituale.
Si tratta invece di coltivare un senso profondo di gratitudine per il dono ricevuto, quel dono che non potevamo avere dalle nostre mani, che non potevamo raggiungere da soli… il dono della fede in Dio Uno e Trino rivelato da Gesù Cristo.
La Chiesa ci ha generato, come la madre, mediante il battesimo, in Cristo. Ci ha dato il dono dello Spirito Santo nella Cresima, ci dona l’Eucarestia facendoci partecipare alla Pasqua del Signore nell’attesa della sua venuta. Ci perdona, con l’autorità di Cristo, i peccati, ci annuncia e ci consegna il vangelo.
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Tutti nella Chiesa, prima di essere padri, madri, sacerdoti, diaconi, catechisti, religiosi\e siamo figli poiché abbiamo ricevuto, quindi non siamo proprietari, padroni, maestri assoluti.. e se figli, tutti radicalmente uguali.
Ecco allora un primo criterio di discernimento pastorale: l’amore alla chiesa, alla sua unità, è più importante delle mie idee e dei miei progetti e sono sempre pronto a riconsiderarli e ridiscuterli con gli altri (ricerca comunitaria dice l’E.G.) per la edificazione del corpo di Cristo. Questo deve avvenire secondo i doni che ciascuno di noi ha ricevuto per la edificazione comune, secondo l’insegnamento di san Paolo nella prima lettera ai Corinti cap. 11 e 12.
Non mancano i momenti e i luoghi di questo confronto: il ministero del vescovo, il consiglio presbiterale con il vescovo. I consigli pastorali diocesano e parrocchiale, le varie associazioni e movimenti presenti di diocesi ecc…ma anche il dialogo e l’ascolto personale e individuale, voluto e ricercato.
Questa disponibilità non deriva da un carattere accomodante, da espedienti diplomatici, ma nasce da un autentico senso ecclesiale;
“ Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per costituire un solo corpo” (1 Cor. 12,13)
“ Poiché c’è un solo pane, noi, benchè molti siamo un corpo solo, per il fatto di partecipare all’unico pane” (1 Cor.10,17)
Non perdiamo mai l’orizzonte biblico del nostro cammino ecclesiale.
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• Salus animarum suprema lex
La salvezza delle “anime” è il fine ultimo della Chiesa. Essa esiste non per se stessa, ma per portare ad ogni uomo il vangelo di Cristo, l’annuncio del regno di Dio.
Non dimentichiamo che il senso profondo della salvezza delle anime non riguarda sola la vita eterna, ma una salvezza che viene donata e che deve essere salvaguardata e sviluppata fin da ora.
Da qui nasce l’impegno per la pace, la giustizia, la costruzione di una società più umana che non è, ben lo sappiamo, dimenticare la vita eterna, ma il modo di viverla fin da ora.
Viviamo qui, credo, un felice antinomia: la chiesa strumento necessario e relativo al tempo stesso!
Strumento necessario perché è la chiesa che predica e trasmette il vangelo assicurandone la genuinità, strumento relativo la chiesa nasce dalla Parola di Dio ed ad essa è soggetta.
E’ il “dramma” del cattolicesimo: la chiesa madre e maestra e al tempo stesso serva e discepola! E guai a separare queste realtà! Andremmo incontro o ad una madre dispotica e a una maestra intollerante o ad una serva pigra e una discepola sorda!
Ci insegna l’Evangelii Gaudium : “ La Parola ha in se una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (Mc.4,26-‐29). La chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi.” (n.22)
Ed ecco un altro elemento di discernimento pastorale: una comunità cristiana che non sia autoreferenziale, che non cerchi esclusivamente di soddisfare le proprie necessità, di tener presente solo le proprie idee,
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sfuggendo il confronto e il dialogo con gli altri: i propri fratelli di fede e gli uomini di buona volontà. Teniamo presente che se non abbiamo questa apertura missionaria, spesso le necessità proprie diventano capricci, manie… e si scade nel si è sempre fatto così.
• “ Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono a lui gradito e perfetto “ (Rom. 12,2)
Sono le note parole con le quali inizia la seconda parte della Lettera ai Romani. Esaminiamo bene queste espressioni dell’Apostolo. Esse non ci invitano a dire semplicemente di no ad una prospettiva mondana, ma ci esortano ad una ricerca sostenuta dallo Spirito per poter capire e attuare la volontà di Dio, volontà nella quale risiede e si sviluppa ogni vera evangelizzazione. (Gv.6,29)
Tuttavia, un no lo dobbiamo dire.
Seguendo lo schema della liturgia battesimale ci è chiesta una rinuncia, una spogliazione, perché “ nessuno può servire a due padroni “ ( Mt. 6,24).
Nel discernimento pastorale ci è chiesto di spogliarci di due atteggiamenti che l’Evangelii Gaudium descrive richiamandosi a due eresie dell’antichità cristiana.(n.94)
Ma non si tratta di richiami storici, quanto piuttosto di due mentalità, di due modi di agire sempre presenti nella storia della Chiesa.
Ø Pelagianesimo che consiste nella esclusiva fiducia nelle proprie forze, nei propri progetti, nei propri schemi pastorali… è chiaro che detto in questi termini, nessuno di noi lo sottoscriverebbe. Tutti abbiamo imparato la necessità della grazia di Dio… si tratta non tanto di aspetti
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dottrinali-‐dogmatici quanto piuttosto di atteggiamenti psicologici-‐spirituali: una, forse inconscia, ma viva, fiducia nella parola dell’uomo piuttosto che nella Parola di Dio.
La chiesa diventa allora una grande organizzazione che deve funzionare a tutti costi, un esercito dove tutti devono stare sull’attenti. Non si ammettono debolezze che, comunque, sarebbero sempre del singolo, magari da emarginare, mai della chiesa.
Riflettiamo ed esaminiamoci:
una spia di questo atteggiamento potrebbe essere la mancanza di misericordia e di preghiera di lode e ringraziamento , la mancanza di ascolto e di silenzio affidandosi alla provvidenza di Dio come “ un bimbo svezzato in braccio a sua madre “ (salmo 130).
La disistima (non il timore) della croce e della sofferenza…della vecchiaia… tempo perso! Il valutare le persone per quello che fanno e non per quello che sono… intransigenza e rigidità (sentimenti e atteggiamenti molto diversi dalla evangelica severità); incapacità di comprendere i dubbi e le incertezze altrui, fondamentalismo teologico.
Ø Gnosticismo Il richiamo storico serve solo per indicare una mentalità di una “ fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e di conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nella immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti.” (E.G. n.94).
Vorrei sottolineare questa determinata esperienza che una volta assolutizzata, non costruisce, ma spezza la comunità cristiana come insegna la vicenda della chiesa di Corinto. (cfr. 1 Cor. capp.12-‐13).
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Riflettiamo ed esaminiamoci:
una spia di questo atteggiamento può essere la incapacità di stimare e di ben considerare le esperienze altrui, di guardarle dall’alto in basso. Può essere la incapacità di scendere dalla cattedra e di mescolarsi con gli altri.
E ancora: confusione teologica, intimismo religioso, emozionalismo, sopravalutazione di elementi carismatici, narcisismo di gruppo e sopravalutazione della propria esperienza fatta coincidere con la vita cristiana semplicemente.
Ø Mondanità spirituale. È la sintesi di quanto detto sopra. L’ E.G. così si esprime. “ la mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e perfino di amore alla chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale. (n.93)
Ogni autoreferenzialità rischia di portare fuori strada. Per autoreferenzialità non si intende certo la stima, l’amore, l’entusiasmo per il proprio gruppo, movimento o esperienza spirituale. Senza questi sentimenti ogni esperienza è destinata a scomparire: ognuno di noi è chiamato ad amare la propria vita anche per poter amare quella degli altri.
Si intende invece la assolutizzazione della propria esperienza spirituale rovesciando la reale verità teologica: l’esperienza personale legittima la chiesa e non viceversa!
Riflettiamo ed esaminiamoci:
questa situazione si manifesta nella incapacità di collaborare, di leggere e di tradurre con i propri strumenti le proposte pastorali della chiesa locale, ma semplicemente di ignorarle. Questo può accadere in una parrocchia che ha solo i propri programmi, in un movimento ecclesiale che è
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autoreferenziale, nel singolo cristiano che non desidera camminare con gli altri fratelli di fede.
Il discernimento pastorale ci suggerisce alcuni atteggiamenti personali che ci aiutano a tradurre in pratica quei criteri pastorali detti sopra. Per poter valutare secondo il vangelo una proposta pastorale, un movimento spirituale teniamo presente che l’atteggiamento deve essere :
ü Benevolo: aiuta a non irrigidirsi, aiuta a spogliarci di precomprensioni, magari inconsce, ma operanti. Aiuta a non utilizzare esclusivamente la propria esperienza spirituale e pastorale come unico metro di giudizio. Aiuta a capire le ragioni dell’altro. Aiuta a “ godere del bene altrui come del nostro” (san Francesco)
ü Attento: per non cogliere solo alcuni aspetti, magari discutibili, della proposta pastorale e spirituale, ma a formarsi una visione d’insieme che tenga conto dei condizionamenti storici e delle opportunità del momento: chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (Ap. 2,29)
ü Critico: che sappia confrontate quanto viene proposto, con la dottrina della Chiesa, non solo a livello strettamente dommatico, ma più ampio, quel sentire cum ecclesia, nella spiritualità, nella liturgia, nella prassi pastorale.
ü Consapevole: dei propri limiti, teologici e umani, che devono spingere ad una ricerca umile e a risultati sempre ridiscutibili.
Teniamo anche presenti almeno tre atteggiamenti negativi che possono falsare il nostro discernimento pastorale. Dicendo atteggiamenti si sottolinea uno stato d’animo più che singoli episodi.
ü Pessimismo che vede nei nostri tempi solo delle negatività e non anche delle opportunità e corre il rischio di rinchiudersi in se stesso, quando invece il Signore ci esorta a: non avere paura, ma continua a parlare e non tacere perché io sono con te.” (Atti 18, 9-‐11)
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Il pessimismo qui considerato non una questione psicologica, di carattere, ma una malattia dello spirito (Evagrio Pontico) che può portare all’accidia spirituale, cioè alla rinuncia ad annunciare il vangelo perché tanto non serve a niente… ognuno fa quello che vuole…viviamo in testi così tristi….
ü Ecclesiocentrismo che non è l’amore alla chiesa detto sopra, ma il rifugiarsi nella chiesa-‐istituzione, con la difficoltà di collaborare con tutti gli uomini di buona volontà, che vede nella collaborazione con gli altri solo dei compromessi, dispersione di forze, ingenuo cedimento… manca la necessaria distinzione fra Chiesa e Regno di Dio.
ü Assorbimento nel mondo: è l’atteggiamento opposto. La presenza dei credenti non dice niente al mondo, perché assume la mentalità dominante, si adatta all’ambiente, accetta acriticamente il pensiero mondano, senza profezia, senza annuncio: a che serve il sale se perde il suo sapore…”
Desidero come ultimo punto di questo mio primo contributo al cammino insieme che vogliamo continuare a fare secondo l’espressione del sinodo diocesano vivere la fede nella nostra chiesa al servizio di tutti, richiamare la vostra attenzione su un problema pastorale che costituisce il denominatore comune di ogni altro aspetto pastorale: il problema del linguaggio.
E’ facile avvertire la distanza tra il linguaggio della liturgia, della Scrittura, del catechismo dalla vita quotidiana della gente, e non si tratta semplicemente di vocaboli, ma di gesti, atteggiamenti ecc.. in altre parole è necessario capire bene le coordinate culturali del nostro tempo.
Dobbiamo riflettere bene su questo, altrimenti la nostra chiesa in uscita rischia di non andare da nessuna parte, di rispondere a domande che nessuno rivolge e non riuscire ad intercettare le domande che invece
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vengono rivolte, ma in un linguaggio che noi non comprendiamo più. E allora si affaccia la tentazione moralistica di incolpare gli altri che non capiscono, che non vogliono capire…
Il moralismo mi sembra ben rappresentato da quel segnale stradale che indica una via senza uscita: non andremmo da nessuna parte.
Per poter aggiornare il linguaggio, sia chiaro, non si tratta di trovare espedienti tecnici, parole alla moda, atteggiamenti snob ecc… ma, al tempo stesso, non è sufficiente, anche se necessaria una valida riflessione teologica e culturale.
Ascoltiamo il concilio vaticano secondo:
“ Nella sacra Scrittura dunque, pur restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l’ammirabile condiscendenza dell’eterna Sapienza affinché possiamo apprendere l’ineffabile benignità di Dio e quanto Egli, sollecito e provvido verso la nostra natura umana, abbia attato il suo linguaggio. Le parole di Dio, infatti espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto la carne dell’umana debolezza, si fece simile agli uomini. (Dei Verbum 13)
La via maestra dell’uscita è quella insegnata dalla condiscendenza di Dio. Cioè dallo scendere tra gli uomini, in una parola dall’Incarnazione.
E questo è vero per tutti seguaci di Gesù Cristo, anche per noi. Condividendo le gioie e le speranze, le tristezze e i dolori (Vaticano II) degli uomini del nostro tempo noi impariamo la loro lingua e possiamo annunciare loro la Parola di Dio.
Cerchiamo e costruiamo momenti di incontro, di ascolto, di dialogo, senza stancarci o sentirsi delusi per inevitabili chiusure e insuccessi
E’ ancora una volto la logica evangelica del lievito nascosto nella massa, del sale diluito nel cibo, del seme nascosto in terra che ci insegnerà ad
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essere pazienti ed umili per poter portare frutto e perché il nostro frutto rimanga. (Gv. 15,16)
Coraggio, fratelli e sorelle! “ A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen (Ef. 3,20-‐21)
Pitigliano, 14 settembre 2017
Festa dell’esaltazione della Santa Croce
X p. Giovanni
Vescovo di Pitigliano-‐Sovana-‐Orbetello
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