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Assessoratoalle Politiche Culturalie della Comunicazione
Dipartimento Attività Economico - Produttive, Formazione - Lavoro
Osservatorio sul Lavoro - Sostegno e Orientamento al Lavoro
QUINTA INCHIESTA SUL MERCATO DEL LAVORO A ROMA
OLTRE LA CRISI CON LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE.
COMMERCIO, ARTIGIANATO, MODA E SERVIZI:
FABBISOGNI PROFESSIONALI, CONDIZIONI
E PROSPETTIVE DEL MERCATO DEL LAVORO A ROMA
Roma, giugno 2011
Assessorato alle Attività Produttive, Lavoro e Litorale
V inchiesta sul lavoro a roma 7-06-2011 8:17 Pagina 1
Quinta Inchiesta sul Mercato del Lavoro a Roma
Oltre la crisi con le piccole e medie imprese. Commercio, artigianato, moda e servizi: fabbisogni professionali, condizioni e prospettive del mercato del lavoro a Roma.
La ricerca è stata realizzata da:
Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Socialedell’ Università “Sapienza” di Roma
Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione
Direttore Scientifico: Prof. Paolo de Nardis
Curatore della ricerca e del rapporto: Prof.ssa Roberta Iannone
Ricercatore: Dott. Romano Benini
Roma CapitaleSindaco On. Gianni Alemanno
Assessore alle Attività Produttive, al Lavoro e al LitoraleAssessore On. Davide Bordoni
Dipartimento Attività Economico - Produttive, Formazione - LavoroDirettore Dott. Marcello Menichini
Direzione Lavoro e Formazione ProfessionaleDirettore Dott. Angelico Bonuccelli
U.O. Osservatorio sul Lavoro - Sostegno e Orientamento al LavoroDirigente Dott.ssa Alessia Petruzzelli
Finito di stampare nel giugno 2011
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Una città ricca di potenzialità e di creatività sovente inespresse, che ben rispecchiauna società civile poliedrica dove diverse facce della stessa medaglia rivendicanola propria legittimità a uscire allo scoperto.
È questo, in sintesi, il volto della Capitale che emerge dalla V Inchiesta del Mercato delLavoro a Roma: “Oltre la crisi con le piccole e medie imprese. Commercio, artigianato,moda e servizi: fabbisogni professionali, condizioni e prospettive del mercato del lavoro aRoma”.Anche per il 2011 lo studio, commissionato dalla U.O. Osservatorio sul Lavoro - Sostegnoe Orientamento al Lavoro del Dipartimento Attività Economiche e- Produttive, Formazionee Lavoro di Roma Capitale, è stato condotto dal Dipartimento di Comunicazione e RicercaSociale - Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione dell’Università LaSapienza di Roma, sotto la direzione scientifica del Prof. Paolo de Nardis.La ricerca, coordinata dalla Prof.ssa Roberta Iannone con la consulenza del Dott. RomanoBenini analizza, dal punto di vista sociologico, le modalità in cui il territorio romano si orga-nizza rispetto ai criteri di competitività, inclusione e crescita, individuando un rapporto dia-lettico tra Comune e Città. Partendo da una valutazione delle dinamiche economiche e dellavoro della città di Roma nell’area urbana, l’analisi prende in considerazione soprattuttol’incrocio dei dati relativi alle performance delle piccole imprese, considerate snodo decisi-vo per lo sviluppo del sistema economico romano sotto il profilo della qualità.Emerge la necessità, da parte dell’amministrazione di Roma Capitale, di potenziare la suaazione maieutica in maniera sempre più incisiva, non solo sul piano del collegamento inte-ristituzionale a livello pubblico e privato, ma anche nel processo di catalizzazione a livellodi formazione, specializzazione, riqualificazione delle tante attività e imprese che vannoassolutamente incoraggiate nella loro creatività e voglia di fare.È questa la sfida che bisogna raccogliere. È questo il lavoro che oggi bisogna continuare asvolgere, nell'orgoglio di appartenere a una grande comunità e nell'impegno istituzionaleche ci vede, sempre più con rinnovata passione, schierati in prima linea.
On.le Davide BordoniAssessore alle Attività Produttive,
al Lavoro e al Litorale
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indice
Intervento dell’Assessore Davide Bordoni
Premessa introduttiva
PRIMO CAPITOLO: qualità delle imprese e qualità del lavoro1. Competitività territoriale: l’approccio europeo e il valore dell’autonomia individua-
le in una comunità coesa2. Le indagini europee sulla competitività territoriale e le valutazioni sul contesto ita-
liano, laziale e romano3. Le caratteristiche del tessuto socio economico romano 4. L’evoluzione delle dinamiche produttive nei settori considerati5. L’evoluzione complessiva del mercato del lavoro nel biennio 2010-20116. Gli snodi in termini di qualità dei sistemi e i ritardi7. Governance, programmazione, politiche e servizi
CAPITOLO SECONDO: commercio, moda e servizi1. Il commercio2. Il turismo3. Il terziario avanzato4. L’ andamento del mercato del lavoro del settore commercio, moda e servizi a
Roma nel periodo 2009-20105. Gli interventi di contrasto alla crisi nel terziario6. I fabbisogni professionali manifestati e la loro evoluzione7. I mestieri mancanti e la risposta del sistema formativo8. Le tendenze evolutive e le dinamiche del mercato del commercio, moda
e servizi9. FOCUS: il settore e il mercato della moda a Roma, opportunità e risposte
CAPITOLO TERZO: L’artigianato e le piccole imprese1. L’andamento del mercato del lavoro del settore artigianato e delle piccole impre-
se a Roma nel periodo 2009-20102. Gli interventi di contrasto alla crisi e l’impatto sulle piccole imprese3. I fabbisogni professionali manifestati e la loro evoluzione4. I mestieri mancanti e la risposta del sistema formativo5. Le tendenze evolutive e le dinamiche del mercato dell’artigianato e delle piccole
imprese6. FOCUS: la piccola impresa6. 1. Le imprese innovative6. 2. L’artigianato artistico6. 3. Il mancato passaggio generazionale delle piccole imprese6. 4. Le imprese femminili6. 5. Le imprese degli immigrati6. 6. L’utilizzo dei finanziamenti europei da parte delle imprese
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CAPITOLO QUARTO:il mercato del lavoro nel 2010 e le piccole imprese1. Il lavoro1.1. ll lavoro in Italia nel 2010: tassi e dinamiche1.2. ll lavoro nel Lazio nel 2010: tassi e dinamiche1.3. ll lavoro a Roma nel 2010: tassi e dinamiche1.4. La lettura comparata dell’evoluzione occupazionale romana per settori: piccole
imprese e settori delle PMI1.5. La lettura comparata dell’evoluzione occupazionale romana per modalità contrat-
tuali, sesso, livello di studi2. Gli interventi 2.1. Le misure anticrisi2.2. La governance del mercato del lavoro e le modalità di assunzione a Roma2.3. I servizi: il sistema regionale del lavoro tra funzioni e disfunzioni2.4. Competenze e attivazione: il sistema regionale della formazione
e delle politiche attive
CAPITOLO QUINTO: Sicurezza del lavoro e rischio infortuni1. I dati sulla situazione romana della salute e sicurezza del lavoro : evoluzione e dinamiche2. Il rapporto tra invalidità ed infortuni nella piccola e grande impresa3. I nuovi fattori di rischio derivanti dalla flessibilità del lavoro
CONSIDERAZIONI FINALI Interventi per la qualità dello sviluppo e il lavoro, la via per tornare a competere1. Roma oltre la crisi : i punti di forza e i punti di criticità2. Breve comparazione con il sistema metropolitano genovese e milanese3. Gli snodi per la competitività: capitale umano, inclusione, saper fare per saper agire4. Il governo della flessibilità e i nuovi intenti di Regione, Provincia e Comune5. Spunti per un riassetto del sistema di governo territoriale dello sviluppo e del lavo-
ro: lo snodo delle politiche per l’attivazione
SAGGIO CRITICO: Riattivare il mercato attraverso la cepacità di agiredi Romano Benini
Appendice: interviste a testimoni privilegiatiPresidente della Camera di Commercio di Roma dr. Giancarlo CremonesiDirettore della Cna (Confederazione nazionale artigianato e piccola impresa) di Roma dr. TagliavantiPresidente Confartigianato Imprese Roma dr. Mauro MannocchiDirettore del settore lavoro e formazione della Provincia di Roma Dr.ssa Paola BottaroDirettore settore lavoro e formazione della Regione Lazio Dr.ssa Arcangela GalluzzoDirettore Dipartimento Attività Economiche e Produttive, Formazione-Lavoro di Roma Capitale
Marcello Menichini
Appendice statistica
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OLTRE LA CRISI CON LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Commercio, artigianato, moda e servizi:
fabbisogni professionali, condizioni
e prospettive del mercato del lavoro a Roma.
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PREMESSA INTRODUTTIVA
“Nessuna attività può divenire eccellente se il
mondo non offre uno spazio appropriato al
suo esercizio” (Hannah Arendt, Vita Activa)
Questo lavoro di ricerca analizza nel contesto romano, dal punto di vista sociologico e nel-
l’esame delle dinamiche dello sviluppo, le modalità con cui il territorio si organizza rispetto
ai criteri di competitività, inclusione e crescita, considerando in particolare come riferimenti
guida quelli ritenuti determinanti per lo sviluppo sostenibile in una società post moderna:
capacità di agire, opportunità, servizi e strumenti, diritti, competenze.
L’analisi considera in particolare il confronto tra Roma e altre aree metropolitane italiane ed
europee e valuta politiche, strumenti, servizi e condizioni dell’economia e della società
romana rispetto al tema guida della competitività dei sistemi locali. Si intende offrire i riferi-
menti per una lettura dell’evoluzione dell’economia e dell’occupazione a Roma nell’ultimo
biennio e si considerano come criteri guida dell’analisi gli aspetti generalmente ritenuti fon-
damentali dalla “scienza ufficiale” per la valutazione delle dinamiche e dello sviluppo terri-
toriale: la competitività del sistema economico, la capacità inclusiva del mercato del lavoro
e del sistema sociale, la presenza di reti territoriali a sostegno dello sviluppo, la capacità di
agire dei cittadini e delle imprese.
I criteri adottati per questa ricerca costituiscono una chiave di lettura determinante e speci-
fica: una modalità attraverso cui leggere i fenomeni economici e sociali, per avvicinarsi alla
realtà, limitando le letture interpretative a quanto non esca direttamente dal dato e non è
reso evidente dall’analisi.
La base dati su cui si svolge il lavoro di ricerca è costituita dalle banche dati commentate
dei principali osservatori e riferimenti statistici che operano per la lettura e l’interpretazione
dei fenomeni sociali: dai centri per l’impiego della Provincia all’Istat per quanto riguarda il
lavoro, da UnionCamere all’ Istituto Tagliacarne per quanto riguarda l’economia, dall’INAIL
all’Ispesl per quanto riguarda la sicurezza e la qualità del lavoro. Inoltre vengono effettuati
dei focus specifici che si avvalgono delle elaborazioni dei principali centri di ricerca
dell’Unione Europea e delle istituzioni italiane. In ogni caso la base dati è costituita da dati
accessibili, pubblici ed aggiornati, con alcuni approfondimenti che riguardano i temi chiave
della ricerca.
Se la base dati e il contenuto statistico a supporto di questa analisi è pertanto oggettivo,
disponibile e pubblicato, costituisce un aspetto originale la metodologia di indagine scienti-
fica adottata. La presente ricerca trasferisce infatti nella lettura e nel commento dei dati e
dei fenomeni percepiti e rilevati nell’area romana il metodo di ricerca e di analisi oggi pro-
mosso dai principali centri di ricerca sociale ed economica europea per la lettura dello “stato
di salute”, delle condizioni di un territorio.
È opportuno quindi considerare tre aspetti centrali per le finalità della ricerca: il concetto di
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sviluppo, l’approccio della ricerca e i singoli temi considerati come rilevanti per connotare il
contesto romano.
Il primo obiettivo della ricerca è il tentativo di valutare, di ”misurare” l’area metropolitana
romana dal punto di vista del livello di sviluppo. In questo senso si fa propria la considera-
zione di quella parte della scienza economica e sociale che considera la crescita economi-
ca solo una delle componenti dello sviluppo e che misura lo sviluppo considerando insieme
la crescita economica, sociale e culturale di un territorio. L’emergere delle questioni relati-
ve alla sostenibilità e le nuove dinamiche della qualità del lavoro portano peraltro le istitu-
zioni economiche europee a considerare in questi termini il concetto stesso di competitivi-
tà. I limiti di una crescita economica che non comporti conseguenze positive sull’evoluzio-
ne sociale e culturale sono un aspetto confermato e considerato dalla letteratura e dalla
ricerca sociologica degli ultimi decenni.
In Italia studiosi come Sapelli, Graziani, Reyneri e Revelli hanno svolto considerazioni
importanti, recuperando in questo senso anche illuminanti pagine di uomini di cultura come
Pasolini, profetiche anche sul tema della modernizzazione senza sviluppo e sulle sue con-
seguenze nel tessuto sociale e culturale italiano. Durkheim, Simmel, Weber ed Hobsbawm
sono solo alcuni dei grandi classici che hanno affrontato questo tema di straordinaria impor-
tanza. La lettura dei termini dello sviluppo di un contesto molto specifico e con tratti origi-
nali come quello romano comporta una capacità di valutazione di aspetti, fenomeni e dati
differenti, che il gruppo di ricerca coordinato dal professor De Nardis dell’Università
“Sapienza” di Roma ha inteso legare ad una metodologia, ad un approccio che sia condi-
viso e in linea con quanto adottato in analoghe ricerche ed analisi europee. L’approccio
della ricerca, il punto di vista di riferimento che si è ritenuto opportuno adottare considera
quindi come determinanti per la valutazione dei termini dello sviluppo nel contesto territo-
riale il tema della capacità competitiva per le imprese e il tema della capacità di agire per
i cittadini.
La letteratura sociologica ed economica in questo senso è chiara e ben definita e conside-
ra il tema della capacità d’agire (empowerment) come l’elemento discriminante, il fattore
competitivo di riferimento. Basti citare le figure di Sennett, Esping Andersen, Beck, Sen,
Stiglitz, Supiot, Baumann, Ehrenberg: i maggiori economisti occidentali (e non solo, visto
che il premio Nobel Amartya Sen è indiano), i padri del welfare europeo e della sociologia
della postmodernità riconoscono come determinanti nella misurazione del livello di svilup-
po il rapporto tra la capacità di agire (che si declina in termini di diritti, opportunità, strumen-
ti e competenze) e la competitività territoriale, intesa proprio come capacità del territorio di
garantire e promuovere la capacità di agire dei cittadini (autonomia individuale) e delle
imprese (mercato).
Questa metodologia e chiave di lettura è pertanto quella adottata da questa ricerca, che
intende leggere e commentare i dati sullo sviluppo economico e sociale nell’area romana
sulla base del criterio dell’autonomia individuale e della capacità di agire. Questo approc-
cio, questa chiave di lettura, pur essendo riconosciuta come prioritaria in ogni analisi di con-
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testo europea, non è ancora del tutto ed uniformemente presente nelle ricerche sociali ed
economiche italiane. Si tratta infatti di un approccio assolutamente e chiaramente “umani-
stico”, che prevede la centralità della persona e che come tale comporta una necessaria
interdisciplinarietà: politiche, diritto, economia, sociologia, psicologia sociale sono i diversi
ambiti di studio che si devono intrecciare nel valutare un’ idea di sviluppo territoriale che si
avvicina al concetto di benessere e che fa proprio gli ideali del saper essere e del saper
fare. È un evidente ed imbarazzante paradosso che i termini dell’umanesimo nella ricerca
sociale ed economica siano più percorribili all’estero che in Italia, che fu la patria dell’uma-
nesimo civile. Sono note, d’altra parte, le difficoltà nel promuovere in Italia analisi interdisci-
plinari.
Per poter trasferire in modo corretto nel contesto romano i termini di valutazione della com-
petitività territoriale, dello sviluppo come risultato sul territorio della promozione della capa-
cità di agire, è stato inoltre necessario individuare alcuni punti di riferimento, veri e propri
“misuratori” dello sviluppo romano. Si è trattato di una scelta che considera quali determi-
nanti alcuni elementi presenti nel tessuto economico e sociale romano e che valuta alcuni
fenomeni come discriminanti per la analisi dello sviluppo territoriale a Roma in termini di
capacità competitiva e di agire. Per questo motivo la ricerca si sofferma: . sul tessuto delle piccole e medie imprese, considerato in termini di performances e di
dinamiche occupazionali;. sul comparto dell’artigianato, considerando in senso ampio l’attivazione personale e la
capacità d’agire di impresa, verificando le risposte del territorio alla imprenditorialità dif-
fusa;. sul comparto del turismo, aspetto di riferimento per una città come Roma, e sul settore
della moda, che costituisce una potenzialità in grado di misurare la crescita in termini di
qualità integrata del sistema romano ( competenze, saper fare artigiano, stile, marke-
ting); . sui fabbisogni delle imprese, valutando la capacità del mercato del lavoro di risponde-
re alle dinamiche produttive;. sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, considerando il rischio infortuni nelle atti-
vità manifatturiere e le nuove problematiche legate al lavoro nel terziario e nei servizi.
Questi punti di osservazione privilegiati permettono di verificare l’evoluzione e lo stato di
salute della capacità di agire e competitiva romana dal punto di vista degli strumenti, delle
opportunità, dei diritti e delle competenze, come ci richiedono gli osservatori più accredita-
ti. In questo modo infatti è possibile leggere il rapporto tra le dinamiche sociali ed economi-
che e l’impatto dei servizi, delle politiche, degli incentivi, delle scelte.
I dati esaminati e l’ambito della ricerca considerano l’area della città metropolitana e non
solo il contesto comunale: l’economia e il lavoro a Roma sono necessariamente da confi-
gurare nel contesto dell’area metropolitana, in questo senso Roma è ormai pienamente da
anni area metropolitana.
Appare infine opportuna una considerazione, che ci rimanda alla storia della nostra
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Capitale: Roma è la città che ha inventato e ha promosso nei secoli come relazione socia-
le ed economica di riferimento il rapporto tra “patrono e cliente”. Si tratta del legame di
dipendenza che, connaturato alla funzione storica dell’esercizio della sovranità, ha trovato
forte spazio nella dimensione sociale, economica e culturale di Roma. Il rapporto patrona-
le costituisce uno schema che è al tempo stesso culturale e sociale e produce effetti eco-
nomici, basti pensare al modello dell’impresa familiare e alle reti fiduciarie. Lo schema eco-
nomico patrono-cliente agisce spesso al di fuori delle regole del mercato e delle competen-
ze, alimentando clientele. Appare evidente come lo sviluppo nel terzo millennio implichi la
rottura con la dipendenza patronale e la piena affermazione di una capacità di agire che è
al tempo stesso affermazione dell’autonomia individuale per le persone e del mercato per
le imprese. Si tratta della funzione etica del mercato, patrimonio comune dei valori demo-
cratici e liberali. Per poter affermare pienamente questo obiettivo diventa importante affer-
mare la capacità di agire, nella rottura delle forme di dipendenza e di intermediazione tipi-
che dello schema patrono-cliente. Si tratta per Roma di una sfida difficile, che implica l’ab-
bandono di pratiche a volte secolari ed il rafforzamento di un diverso punto di vista (il “saper
fare” che prevale sul “saper stare”). Poiché questa è la strada inevitabile per lo sviluppo nel
nuovo millennio, con questa ricerca intendiamo offrire indicazioni che riguardano non solo
i comportamenti economici, ma anche l’impatto culturale e sociale delle scelte fatte e di
quelle ancora da fare.
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PRIMO CAPITOLO: QUALITA’ DELLE IMPRESE E QUALITA’ DEL LAVORO
ABSTRACT
Il presente capitolo descrive i punti di fondo del lavoro di ricerca, valutando le dinamiche
economiche e del lavoro della città di Roma nell’area urbana nel 2010, considerando in par-
ticolare l’incrocio dei dati relativi alle performances delle piccole imprese, alla dinamica
della domanda, ai fabbisogni in termini professionali delle imprese. Il tema guida è il con-
cetto di competitività territoriale, come valutato e considerato dalle istituzioni economiche
europee.
L’approccio di fondo è verificare se e come procede il processo di qualificazione dell’asset-
to produttivo in relazione ad investimenti, capitale umano, sviluppo. L’analisi si svolge attra-
verso :
considerazioni preliminari sul concetto di sviluppo e sul rapporto tra crescita e qualità
l’analisi dei fattori della capacità di agire: diritti, strumenti, opportunità e competenze
la verifica e l’analisi delle principali componenti produttive dell’economia romana
il rapporto tra qualità delle imprese e qualità del capitale umano
le criticità emerse e le opportunità da cui partire
considerazioni iniziali sulle politiche e sui servizi necessari per sostenere lo sviluppo in ter-
mini di qualità del lavoro e innovazione.
La ricerca analizza in particolare il lavoro nell’ambito dei settori centrali dell’economia roma-
na, ovvero le dinamiche e le scelte delle piccole e medie imprese che operano nei servizi,
nel commercio, nell’artigianato e nel turismo.
1. Competitività territoriale: l’approccio europeo e il valore dell’autonomia
individuale in una comunità coesa
La capacità competitiva di un territorio costituisce il riferimento in grado di misurare lo svi-
luppo in termini completi. La competitività misura in sostanza le condizioni presenti per
garantire la capacità di agire delle imprese e delle persone sul mercato. I riferimenti che ci
permettono di misurare la competitività e la capacità di agire costituiscono la modalità di
riferimento per questa ricerca e in generale per poter valutare lo “stato di salute” del territo-
rio. Le valutazioni specifiche sui segmenti produttivi, su alcuni settori economici o ambiti del
mercato del lavoro acquistano infatti senso solo se vengono viste e considerate nell’ambi-
to più ampio di funzionamento dell’ ”organismo territoriale”. Si tratta dell’approccio più inte-
ressante e anche l’unico che permette di misurare i differenziali di performances, i diversi
livelli di capacità competitiva e di conoscere quindi i punti di forza e di criticità.
Questo metodo è importante per due ordini di motivi. In primo luogo le analisi relative alla
capacità competitiva riguardano le diverse componenti del funzionamento di un sistema
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sociale ed economico e non solo specifici aspetti o fenomeni. Per esempio l’indice europeo
“EU regional competitiveness Index”, che costituisce il riferimento principale della
Commissione Europea e che abbiamo posto anche come riferimento di sistema per questo
lavoro di ricerca, analisi e commento, considera diversi aspetti per misurare la competitivi-
tà delle regioni europee. L’Italia non ha una ricerca analoga a livello regionale e provincia-
le; tuttavia, l’indice Europeo di competitività regionale per il 2010, pur non avendo una
aggregazione di dati subregionale, offre per l’area metropolitana di Roma riferimenti utili,
anche in quanto buona parte delle dinamiche qualitative e quantitative dell’economia lazia-
le riguardano quanto accade nell’area metropolitana di Roma.
Ebbene, l’analisi della competitività territoriale comprende una valutazione sistematica che
considera i seguenti aspetti: efficacia delle politiche, capacità istituzionale e di governo, sta-
bilità macroeconomica, infrastrutture, salute, educazione primaria e formazione, alta forma-
zione ed Università, funzionamento del mercato del lavoro, funzionamento dei mercati eco-
nomici e finanziari, innovazione tecnologica, capacità di sviluppo del business e di proget-
tazione. Si tratta delle componenti che rendono competitivo un territorio e la Commissione
Europea valuta e analizza con attenzione le dinamiche territoriali delle Regioni europee da
questo punto di osservazione di primaria importanza. L’analisi dei sotto aspetti delle diver-
se componenti (dalla corruzione alla sicurezza sul lavoro, dalla formazione continua ai tra-
sporti) consente di avere chiaro il quadro dei punti di eccellenza e dei ritardi.
Il secondo motivo riguarda la situazione italiana e laziale. L’Italia è un paese fortemente
disomogeneo e con notevoli differenziali territoriali: nessun altro paese dell’Europa a venti-
sette ha caratteristiche di così forti differenze territoriali in termini di capacità competitiva e
di sistemi territoriali per lo sviluppo. La sfida delle politiche di coesione in questi anni
dall’Italia è stata sostanzialmente persa, se compariamo con attenzione i dati relativi alle
condizioni sociali ed economiche, alle politiche e alle dinamiche delle diverse regioni italia-
ne. I territori italiani sono nel 2011, al di là della crisi in corso, più divisi e diversi rispetto a
cinque anni fa per quanto riguarda alle condizioni sociali ed economiche di riferimento.
Poiché questi sono gli anni in cui le regioni hanno impegnato le risorse dei Fondi europei
per favorire la coesione e creare una maggiore omogeneità, possiamo sostenere che que-
sto obiettivo non sia ad oggi raggiunto. La condizione italiana si ripercuote anche nel Lazio:
in mancanza di una sostanziale omogeneità e in presenza di condizioni territoriali di forte
diversità, anche a livello subregionale, diventa utile verificare nelle diverse componenti di
funzionamento del sistema quali sono gli elementi che funzionano e quelli che non funzio-
nano, gli aspetti che stanno migliorando e quelli che invece regrediscono. A questo propo-
sito è possibile da subito sostenere, dalla semplice sovrapposizione dei dati della
Commissione Europea sulla competitività regionale con le altre fonti esaminate per questo
di lavoro di ricerca, la conferma di una valutazione che costituisce la chiave interpretativa
di sintesi dello stato di salute dell’economia, del lavoro e della società romana: Roma ha
potenzialità di sviluppo interessanti sia per capacità innovativa in campo economico che per
inclusione in campo sociale, ma queste potenzialità sono bloccate dalla inadeguata capa-
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cità di funzionamento e coordinamento delle istituzioni che agiscono sul contesto cittadino,
con particolari difficoltà per quanto riguarda le istituzioni del mercato del lavoro e l’efficacia
delle politiche per il capitale umano e dei servizi per le imprese. Le energie per lo sviluppo
e il saper fare romano sono ostacolate da un sistema di servizi che non è in grado di stimo-
lare, governare e valorizzare in pieno le potenzialità e di generare opportunità.
I capitoli successivi, in modo puntuale e dettagliato, con alcuni focus su ambiti chiave del-
l’economia e del lavoro romano, spiegano questa valutazione di fondo, che diventa ancora
più significativa se consideriamo il rapporto necessario e stretto tra capacità competitiva di
un territorio e capacità di agire delle persone. La capacità competitiva di un territorio non è
altro che il risultato delle condizioni date alla capacità di agire delle persone. Il tema della
capacità di agire, declinato da economisti come il premio Nobel Amartya Sen ed elaborato
da studiosi come il danese Esping Andersen, tra i padri del moderno welfare europeo, è
centrale: lo sviluppo e il benessere si misurano valutando la capacità dei sistemi di promuo-
vere capacità di agire. La capacità di agire si declina quindi come l’elemento in grado di pro-
muovere la competitività territoriale: si tratta di una competitività che muove elementi eco-
nomici e sociali, è determinata dalla efficiente composizione dei diversi aspetti considerati
(finanza, scuola, alta formazione, mercato del lavoro, innovazione, tecnologia, ricerca,
organizzazione produttiva, capacità istituzionale, etc.) e soprattutto non è altro che la rica-
duta sul territorio dei diversi aspetti che determinano la capacità di agire delle imprese e
delle persone.
La lettura dei fenomeni e delle dinamiche economiche romane nel biennio considerato in
questo lavoro di ricerca misura i diversi aspetti attraverso cui si legge la capacità di agire,
come vengono definiti dalla letteratura sociologica ed economica più accreditata. Le com-
ponenti che determinano la capacità di agire delle persone e delle imprese e che costitui-
scono i riferimenti per la competitività territoriale sono:
a) i diritti (contratti, norme, regole, legalità, capacità di governo e rendiconto, infrastrutture
e capitale sociale );
b) le opportunità (infrastrutture economiche, mercato, promozione della imprenditorialità,
sostegno all’adeguamento tecnologico e alla innovazione, promozione delle imprese sul
mercato, servizi per l’adattabilità, funzionamento del mercato del lavoro);
c) le competenze (qualità della formazione e della scuola, servizi per l’occupabilità, capa-
cità di risposta ai fabbisogni formativi delle imprese, alta formazione e ricerca, qualifica-
zione del capitale umano e culturale);
d) gli strumenti (funzionamento delle politiche, presenza di una rete di servizi accessibile,
sostegno alla mobilità sociale, accesso al credito e sostegno alla creazione di nuove ini-
ziative economiche.
La corretta declinazione di questi aspetti comporta la necessità di considerare i termini del
funzionamento dei livelli istituzionali come elemento di fondo per la promozione della capa-
cità di agire e quindi della capacità competitiva dei sistemi territoriali. Se il benessere è
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determinato dalla promozione della capacità di agire, e quindi dal rapporto equilibrato tra
capitale sociale, economico e culturale, appare evidente come sia rilevante e da collocare
alla base di queste riflessioni l’analisi della capacità istituzionale.
La capacità istituzionale costituisce non a caso quindi la prima delle valutazioni che misu-
rano la capacità competitiva e come tale è indicata anche dai documenti di analisi della
Commissione Europea. Per capacità istituzionale si intende la qualità della classe politica,
l’efficacia delle politiche, il rendiconto delle scelte e delle azioni promosse dalla politica, la
legalità e la corruzione, la capacità di governo, il rapporto tra ceto politico e società.
Competitività territoriale e capacità di agire costituiscono quindi i riferimenti, le chiavi di let-
tura che animano questo lavoro di ricerca, di analisi e di commento.
Questa ricerca valuta e considera i dati che emergono da una ampia rassegna di fonti, dalla
Commissione Europea alle organizzazioni di impresa romana, da Union Camere ai servizi
per l’impiego, dall’Istituto Tagliacarne al Ministero dello sviluppo. I dati che rappresentano i
fenomeni sociali ed economici, presenti nelle diverse fonti considerate, vengono tuttavia
analizzati attraverso una metodologia di lettura che considera:
1. a livello generale, la promozione della capacità competitiva sul territorio romano come
chiave interpretativa di riferimento (per esempio: artigianato e moda);
2. a livello specifico, la capacità competitiva di alcuni segmenti produttivi ritenuti qualifican-
ti, come termometro del capitale sociale e di alcuni aspetti ritenuti importanti per qualifica-
re la presenza di un adeguato livello di capitale sociale e culturale (per esempio la sicurez-
za sul lavoro).
Le considerazioni conclusive di questo lavoro di ricerca svolgono le valutazioni e il com-
mento sui fenomeni esaminati e sulle possibili spiegazioni, e di conseguenza propongono
un metodo di lavoro e contenuti per poter affrontare le criticità e i gap rilevati sulla capaci-
tà competitiva del sistema romano.
Questo lavoro tiene conto dei dati relativi all’ultimo biennio: un periodo di estremo significa-
to per l’economia mondiale e italiana, che si riverbera in modo chiaro anche sul contesto
romano. L’ importanza dell’economia della capitale nel contesto regionale e nazionale
rende opportuna una riflessione approfondita: l’impostazione comparata di questa ricerca
prova a cogliere, attraverso alcuni focus, gli elementi di fondo della perdita di capacità com-
petitiva del sistema economico e sociale romano, cercando di riconoscere gli aspetti di
forza e di proporre analisi utili per la definizione di una linea di intervento utile contro le dif-
ficoltà e gli aspetti critici. Il contesto romano appare peraltro per alcuni versi paradigmatico
di alcuni aspetti che si riscontrato in altre aree del Paese, soprattutto del Centro Nord, in
quanto la capacità competitività laziale e romana, come vedremo, si colloca nella fascia
medio alta rispetto alle regioni e ai territori italiani.
In ogni caso il confronto e l’esame di questo lavoro di ricerca considera quello che si può
denominare come il biennio della “perdita di competitività”: il periodo 2008-2010 è un perio-
do in cui l’Italia ha evidenziato forti difficoltà nella ripresa in termini di capacità competitiva,
sia nel quadro mondiale, che (anche se in modo minore) nel quadro europeo.
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In questo senso appare comunque importante collocare questa analisi sul contesto roma-
no in uno scenario chiaro rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni nel contesto europeo
e italiano.
Le economie nazionali europee nell’ultimo decennio evidenziano una generale e comples-
siva diminuzione del livello di crescita economica, che solo in parte è compensato dal man-
tenimento della capacità competitiva. In questo quadro l’Italia ha una delle peggiori perfor-
mance in assoluto: nel decennio tra il duemila ed il duemiladieci (dati del Fondo monetario
internazionale) l’Italia è il paese occidentale che è cresciuto meno. In questo quadro vanno
poi considerati i dati e le valutazioni rispetto alla capacità competitiva. Non si tratta di aspet-
ti e fenomeni da sovrapporre. La diminuzione della capacità di crescita e del relativo tasso
da parte dei paesi occidentali valutata nell’ultimo decennio dipende da diversi fattori: le due
forti crisi di inizio e fine decennio (finanziaria la prima, economico-finanziaria la seconda) e
la presenza di un livello di crescita incessante e sostenuto da decenni, che ha comportato
in alcuni casi una flessione in parte prevedibile (il tema della decrescita si collega a questo
fenomeno). Tuttavia il dato complessivo del decennio resta grave: quasi tutti i paesi occi-
dentali sono nella parte finale della classifica del Fondo monetario internazionale e le per-
formances negative di paesi guida come il Giappone destano preoccupazione. Questo non
cambia il dato complessivo e assoluto della forza economica di un paese e in questo, nono-
stante il decennio, l’Italia mantiene ancora la collocazione di dieci anni fa tra le potenze eco-
nomiche mondiali, il settimo posto. Dobbiamo però riflettere sulla tendenza e sulle motiva-
zioni di questo evidente stallo, che mostra come l’economia e la società italiane, circa dodi-
ci anni fa, si siano sostanzialmente fermate.
La vicenda italiana resta infatti emblematica in quanto il livello di crescita economica non
solo è in termini assoluti il più basso tra i paesi OCSE e il penultimo al Mondo (all’ultimo
posto troviamo Haiti, con epidemie, colpi di Stato e terremoti), ma è di circa tre-quattro volte
inferiore rispetto agli altri paesi europei (2,6% di crescita nel decennio, contro il 7,0% del
Portogallo, terzultimo e la media del 12% degli altri paesi dell’Europa dei 15). Questa per-
formance di assoluta e impressionante gravità, più volte negli ultimi mesi stigmatizzata e
rilevata dal direttore della Banca d’Italia Draghi, è sostanzialmente dovuta al rapporto tra
difficoltà nella crescita e perdita di competitività. Mentre gli altri paesi occidentali subiscono
gli effetti della crisi attraverso una minore crescita, compensata da un generale manteni-
mento della capacità competitiva, in Italia la crisi si somma ad una evidente perdita di capa-
cità competitiva, che oggi posiziona l’Italia nella parte bassa della classifica europea. Il
nostro risultato economico è reso quindi peggiore dalla presenza di un sistema meno reat-
tivo, più debole, meno strutturato e in salute. È come chiedere di fare una corsa ad una per-
sona con problemi respiratori.
Se la capacità competitiva costituisce il riferimento per misurare lo stato di salute di un
sistema sociale ed economico diventa quindi importante: riconoscere le dinamiche compe-
titive territoriali (la misurazione oggi è legata ai sistemi territoriali e l’aspetto nazionale appa-
re meno significativo) ed analizzare i fattori che determinano la competitività dei sistemi
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locali e che innescano dinamiche di crescita. È importante poi riflettere su come la cresci-
ta economica sia sempre di più il risultato di una capacità competitiva che è determinata sia
da fattori economici in senso stretto (finanza, mercato, investimenti) che da fattori sociali e
culturali (scuola, ricerca, mercato del lavoro, capacità di governo, etc). Il capitale economi-
co nell’epoca attuale è sempre più il risultato di fattori non solo economici. Diventa quindi
importante, per misurare lo stato di salute dell’economia di un territorio, riconoscere e veri-
ficare gli aspetti sociali e culturali, soprattutto nella dimensione del capitale umano e dei
relativi servizi.
Questa ricerca considera quindi anche questa chiave di lettura e di interpretazione, confer-
mata da tutti gli osservatori economici e sociali, nei diversi livelli. Si tratta quindi di conside-
rare, nella valutazione dei dati e dei fenomeni, i seguenti aspetti:
a) la crescita sociale ed economica del sistema;
b) la capacità competitiva del territorio come elemento che determina la crescita;
c) la competitività vista come combinazione di capitale economico, sociale e culturale;
d) la capacità di agire come fattore determinante per la capacità competitiva;
e) strumenti, diritti, opportunità e competenze, quali fattori a loro volta determinanti la
capacità di agire;
f) l’autonomia individuale come leva per la promozione dell’attività economica e della
mobilità sociale.
2. Le indagini europee sulla competitività territoriale e le valutazioni sul contesto
italiano, laziale e romano
L’analisi del contesto romano rende necessario contestualizzare le dinamiche economiche
e sociali della Capitale con le rilevazioni relative alla crescita economica, allo sviluppo e alla
capacità competitiva nazionali e sovranazionali.
Nel 2010 diversi organismi internazionali e istituti di ricerca hanno diffuso i dati sull’anda-
mento dell’economia e del lavoro, in Europa e nel resto del mondo. L’indagine comparata,
il confronto tra questi dati è di particolare interesse. Possiamo cogliere i fenomeni, valuta-
re i motivi dell’andamento dell’economia e del lavoro, considerare l’efficacia delle misure
anticrisi adottate. Si tratta di dati, analisi e ricerche che ci permettono soprattutto di coglie-
re lo stato di salute di un sistema sociale ed economico e di capire cosa renda più o meno
sano, in buona salute, un sistema territoriale, in tutte le sue componenti.
È possibile cogliere e considerare questi aspetti attraverso una lettura attenta di quelle che
in questi ultimi mesi sono state le ricerche di importanti organizzazioni internazionali ed
europee: il Fondo monetario internazionale, l’Unione Europea (Commissione) e l’OCSE.
Al termine di un decennio può essere importante infatti considerare alcune questioni di
fondo e non limitarci all’esame contingente della situazione economica e occupazionale e
degli attuali effetti delle misure anticrisi. In fondo, in questo delicato momento di transizio-
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ne, avremmo bisogno di respiri lunghi, di riflessioni più ampie: il confronto e la lettura com-
parata dei dati e delle analisi ci aiutano a cogliere questi aspetti, che in alcuni casi posso-
no sembrare persino contradditori, ma che ci indicano la strada da seguire per il futuro. Si
tratta di analisi economiche e del mercato del lavoro, che proviamo a seguire e a valutare
nei diversi aspetti e nelle considerazioni che possono derivarne.
Il primo aspetto da considerare è quello che riguarda lo scenario della crescita mondiale. I
dati del Fondo monetario internazionale pubblicati a fine 2010 riguardano proprio la cresci-
ta in tutti i paesi del mondo nel periodo decennale tra il 2000 ed il 2010. Sono dati chiari,
oggettivi e assolutamente indiscutibili, che mettono in confronto la crescita economica
(l’evoluzione del dato della ricchezza nazionale misurata tramite il PIL), il reddito individua-
le e la posizione economica del Paese.
Il primo decennio del nuovo millennio è stato un periodo di grande significato, che ha deter-
minato alcuni fenomeni molto importanti: il brusco arretramento della crescita economia nei
paesi occidentali, la forte crescita economica di alcuni paesi, soprattutto asiatici e sudame-
ricani, e una profonda crisi dei mercati finanziari. Si tratta di aspetti che portano in luce delle
contraddizioni solo apparenti, ma che motivano una forte attenzione soprattutto in Europa
sugli aspetti e sui limiti della crescita.
L’analisi dei dati sulla crescita mostra quindi come tutti i paesi occidentali nell’ultimo decen-
nio si trovino in fondo alla lista tra le economie mondiali rispetto alla crescita. Paesi che
hanno trainato per decenni le economie mondiali, come il Giappone o la Germania, hanno
visto nell’ultimo decennio una brusca interruzione della crescita. Sono invece in grande cre-
scita, a ritmi superiori al venti, 30% come dato di crescita complessivo decennale, i paesi
di più recente sviluppo, come la Cina, l’India e il Brasile. In questa classifica , che misura la
crescita economica decennale considerando il reddito nazionale, spetta all’Italia il primato
negativo. L’Italia infatti è il paese occidentale che negli ultimi anni è cresciuto meno, anche
per via del mancato recupero nel 2010 del dato negativo (meno 5%) della crisi del 2009. Si
tratta però di un dato davvero allarmante per altri aspetti: il rallentamento della crescita ita-
liana ha origini precedenti alla crisi del 2009 ed è molto significativo, anche nel confronto
con le altre economie nazionali, in quanto si collega alle difficoltà in termini di capacità com-
petitiva. Il paese al mondo che cresce meno è Haiti, colpita da continue catastrofi ed epi-
demie. Il fatto che il penultimo paese al mondo sia l’Italia dovrebbe destare un grave allar-
me: il decennio trascorso per l’economia e la società italiana è stato uno dei peggiori da
sempre e dovrebbe essere più presente nella politica e nei media il dibattito su quello che
molti giornali all’estero hanno definito per il nostro paese come un “decennio buttato”. Per
tornare ai dati: nel periodo 2000-2010, l’economia italiana è cresciuta del 2,50%. Nello stes-
so periodo il paese che ci segue nella classifica delle peggiori performance, il Portogallo, è
cresciuto di una percentuale del 6, 70%. I nostri principali competitor, come economie
nazionali, in questi anni sono cresciuti poco, ma comunque con una percentuale di circa il
10% di sviluppo del PIL, quindi sono cresciuti almeno tre volte più dell’Italia. Persino la
Grecia, paese economicamente disastrato, è cresciuta nel decennio notevolmente più di
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noi. Il dato della crisi non ha fatto altro che svelare in modo davvero allarmante una cresci-
ta economica che si era già arrestata dieci anni fa.
Questo dato complessivo mostra quindi i limiti strutturali in termini di capacità competitiva e
di crescita del modello economico e sociale italiano: nonostante le osservazioni del diretto-
re generale della Banca d’Italia, sembra tuttavia mancare un dibattito all’altezza di questo
problema e appare davvero opportuno che le forze politiche, sociali ed economiche lo pro-
muovano nelle sedi più idonee.
In ogni caso il disastroso dato italiano sulla crescita è compensato da altri due dati che pos-
sono in parte rendere più equilibrato il giudizio, ma che comportano altre riflessioni interes-
santi: nonostante l’arresto della crescita nel decennio trascorso, l’Italia ha visto una diminu-
zione della ricchezza individuale limitata, in quanto siamo passati dal ventiquattresimo al
ventottesimo posto al mondo come reddito individuale. Inoltre la tenuta dell’economia mon-
diale conferma il dato di fondo: l’Italia resta comunque, nonostante un decennio disastroso,
la settima potenza economica mondiale.
La crescita impetuosa di altre economie nazionali non ha infatti annullato ancora le distan-
ze tra le potenze economiche occidentali e quelle emergenti. Tuttavia questi dati sembrano
contraddittori solo in apparenza: il fatto che il reddito diminuisca poco in una economia
ferma significa che aumenta in percentuale la quota di reddito che non deriva dal lavoro,
ma che ha a che vedere con le rendite, le pensioni o redditi non da lavoro. Non è un buon
segnale il fatto che gli italiani abbiano in questi anni messo almeno in parte mano ai loro
risparmi. I fenomeni complessivi rendono quindi necessaria una inversione di rotta, senza
la quale sembra difficile mantenere a lungo la posizione di settima potenza economica mon-
diale.
I dati sulla capacità competitiva delle nazioni e delle regioni europee che sono stati in que-
sti ultimi mesi resi noti dall’Unione Europea e da altre importanti istituzioni internazionali
confermano queste valutazioni e soprattutto arricchiscono la nostra conoscenza di altre
informazioni, davvero importanti e da tenere in considerazione.
Una parte del dibattito economico e sociologico, di fronte ai dati relativi al rallentamento
della crescita in Europa, si è espresso contestando il valore in sé del dato della crescita
economica, auspicando una società più sobria e meno legata agli aspetti del consumismo
più esasperato. Come accennato, appare opportuno valutare i limiti di quella che il Censis
in Italia ha denominato, attraverso ripetuti interventi del professor De Rita, come “società
dell’opulenza”. Si tratta di riflessioni opportune e pertinenti se consideriamo i ritmi di cresci-
ta e l’esasperazione di società dinamiche come la Germania e il Giappone e leggiamo il ral-
lentamento di queste società come un fenomeno in parte naturale, compensato in ogni caso
dalla presenza di una forte e stabile capacità competitiva, da un alto tasso di occupazione,
da un efficace sistema di servizi per la creazione di opportunità. La maggiore attenzione alla
qualità della vita e ai ritmi dell’esistenza di parte delle economie occidentali industrializzate
va valutata in termini positivi, così come le scelte nuove che tendono a puntare sulla quali-
tà del lavoro e delle relazioni sociali e a criticare le esasperazioni della spinta neoliberista
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degli anni scorsi. In questo senso i dati della competitività europea sono confortanti: sono
competitive soprattutto quelle regioni europee che hanno un efficace sistema di welfare per
la persona ed efficaci servizi per il lavoro.
In questa logica, per esempio, la scelta della BMW o delle legislazione olandese di preve-
dere l’obbligo di piani aziendali che tengono conto della migliore e meno faticosa colloca-
zione lavorativa per i lavoratori over 50 va nell’auspicata attenzione alla qualità del lavoro
come componente fondamentale per lo sviluppo.
Non è quindi un caso che siano Danimarca, Olanda, Germania e Inghilterra, paesi con una
forte capacità di spesa per il capitale umano, le regioni europee più competitive. Esiste una
virtù nella capacità competitiva, come i maestri del liberalismo sociale, da Von Hayek ad
Amartya Sen, hanno spesso provato a spiegare nelle loro ricerche e opere.
Tuttavia appare altrettanto evidente come sia piuttosto improprio parlare di limiti della cre-
scita, di società dell’opulenza e di contenimento dei consumi in un paese, come l’Italia, che
ha un basso tasso di occupazione, una crescita ferma, un aumento della povertà e una
capacità competitiva in affanno.
I temi da affrontare nel dibattito e nell’agenda politica italiana, da almeno dieci anni, sono
ben diversi: si tratta di riprendere a produrre ricchezza, a creare opportunità, a sviluppare il
territorio, considerando in termini positivi quei nuovi paradigmi dello sviluppo che, oggi più
di ieri, segnalano la necessità per essere competitivi di essere anche più efficaci, giusti, pre-
parati, competenti, organizzati. Su questi parametri si misurano oggi le differenze territoria-
li e le prospettive nelle regioni italiane e nelle aree metropolitane.
Il tema per la promozione della capacità competitiva è quindi l’imprenditorialità, il lavoro, la
capacità di agire e l’autonomia individuale. Si tratta delle condizioni necessarie per gli indi-
vidui, prima ancora che per i sistemi socioeconomici: competitività come capacità di agire
e di reagire di una economia e autonomia individuale come capacità di agire e di reagire di
una persona. Come osservano gli psicologi sociali (come il professor Eherenberg, uno dei
maggiori studiosi europei del disagio sociale) è in gioco la stima di sé e la fiducia, non solo
il tema della produzione di ricchezza. La capacità competitiva, nel terzo millennio, torna a
dipendere dalla capacità di ricreare sul territorio gli elementi che da sempre guidano i com-
portamenti economici: fiducia e stima di sé, degli altri, delle istituzioni e della società. In un
quadro fosco, in cui il capitale sociale e culturale viene sostituito da uno sterile narcisismo,
vengono meno anche i presupposti che generano il capitale economico.
Se la crescita economica riguarda le caratteristiche di un sistema, il dato sulla competitivi-
tà è ancora più interessante perché indica lo stato di salute, la reattività, la capacità di pro-
muovere la propria energia e di trasformarla in opportunità. La competitività riguarda l’attra-
zione degli investimenti, ma deriva anche dalla qualità del lavoro, della vita e di tutti i fatto-
ri dello sviluppo, dalla sanità alla scuola, dalla ricerca all’attrazione di investimenti.
L’Italia perde in competitività, come è noto e come si può facilmente constatare. Tuttavia
anche questi dati vanno letti con attenzione. Rispetto ai paesi europei dell’Europa dei 27
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(quindi considerando l’allargamento), l’Italia del 2010 è scesa al sedicesimo posto, dietro a
nazioni come la Slovenia e l’Estonia. Sul contesto internazionale l’Italia per capacità com-
petitiva scende al quarantottesimo posto. Si tratta anche in questo caso di un dato preoc-
cupante e non di un semplice segnale: la crisi del 2009 si è abbattuta su un sistema eco-
nomico fragile, ma soprattutto molto differente. L’analisi dell’indice europeo della competiti-
vità infatti è davvero di grande interesse perché viene svolto anche distinguendo le regioni
dell’Europa a ventisette nazioni. Questo dato è di grande importanza e spiega molte cose
dell’Italia di oggi, dei nostri limiti e delle caratteristiche dei paesi europei più competitivi,
come la Germania, l’Olanda e la Danimarca.
Il quadro comparato delle duecentosessantotto regioni europee mostra infatti come tra le
prime regioni per capacità competitiva d’Europa molte regioni si trovino in Danimarca,
Olanda e Germania, a cui si aggiungono i contesti urbani di Parigi e Londra. È opportuno
considerare come si tratti di regioni la cui competitività discende direttamente da quei fatto-
ri in grado di determinare capacità di agire e un terreno favorevole all’imprenditorialità e all’
occupabilità, in cui appaiono quindi presenti e verificabili i seguenti criteri, che denominia-
mo come “misuratori di capacità competitiva”:
1. capacità istituzionale e di governo;
2. efficienza e trasparenza dei mercati;
3. infrastrutture sociali e sanità funzionanti;
4. istituzioni del mercato del lavoro e della formazione accessibili e di qualità;
5. spesa e investimenti nei servizi per il lavoro;
6. spesa e investimenti nei servizi per le imprese;
7. politiche integrate per il capitale umano e il lavoro;
8. sostegno all’innovazione tecnologica e al marketing;
9. sostegno alle reti di impresa;
10. efficace governance, sia verticale (i livelli istituzionali) che territoriale (i livelli di compe-
tenza).
La capacità di rendiconto, di verifica dei risultati e il dialogo sociale costituiscono gli elemen-
ti di garanzia del funzionamento del sistema presenti nelle regioni più virtuose. Dove stan-
no le Regioni italiane? La prima regione italiana per capacità competitiva è la Lombardia.
Parliamo a volte di questa regione considerandola come una sorte di appendice tedesca:
un territorio che pensiamo sia in linea con i cluster produttivi tedeschi o francesi. Una regio-
ne più vicina al resto dell’Europa che al resto dell’Italia. Sembra però che non sia affatto
così, con buona pace dei teorici dell’autarchia del Nord Italia: la Lombardia si colloca infat-
ti solo al novantaseiesimo posto tra le regioni europee per competitività. I nostri primi della
classe non stanno tra i primi della classe d’Europa. Le altre regioni italiane competitive,
come il Lazio, il Veneto, il Piemonte e l’Emilia Romagna stanno intorno alla centoventesi-
ma posizione. La parte sana della nostra economia, i nostri territori guida sembrano in real-
tà un po’ ammalati: il Nord che traina l’Italia e ci colloca in Europa, secondo i dati ufficiali
dell’Unione Europa, è in difficoltà. Questo spiega come il tessuto sociale, la stessa popola-
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zione delle Regioni del Nord abbia in questi anni sostenuto opzioni, anche politiche, di dife-
sa del territorio e abbia avanzato proposte di stretto controllo delle proprie risorse. Il Nord
produttivo perde colpi ed è chiamato a forti sforzi per poter recuperare la leadership.
Esistono poi altre due Italie. Una Italia che il Censis chiamerebbe “di mezzo “, con le
Regioni dell’Italia centrale e altre caratterizzate da scarso dinamismo economico, in una
posizione economica e sociale ripiegata, in cui si mantiene un passato magari glorioso
senza creare nuove opportunità significative. Interessante in questo contesto la situazione
di stallo di Regioni come il Lazio e l’Abruzzo: dieci anni fa questi territori avevano tutte le
caratteristiche per fare un salto di qualità nell’Europa dei migliori. Tuttavia questo salto di
qualità è avvenuto in parte solo per il Lazio, mentre l’Abruzzo rappresenta una delle econo-
mie che hanno in questi anni perso più posizioni in Europa. Altre regioni che perdono in
capacità competitiva sono l’Umbria e le Marche.
Infine, l’Italia del Sud: il dato statistico in termini di capacità competitiva e di attrazione degli
investimenti è a dir poco allarmante. Le regioni del Mezzogiorno d’Italia si collocano in
fondo alla classifica della Commissione Europea per capacità competitiva, le troviamo infat-
ti intorno alla duecentoquarantesima posizione, insieme alle regioni più povere di Polonia,
Romania, Bulgaria e Grecia. Il dato della capacità competitiva, analizzato dagli economisti,
sconsiglierebbe quindi ad oggi qualsiasi tipo di investimento nel nostro Mezzogiorno. Se poi
consideriamo i dati sulla capacità delle nostre regioni meridionali di creare opportunità insie-
me ai dati sull’occupazione, il risultato è ancora più preoccupante, soprattutto valutando le
opportunità per le nostre giovani donne. Eppure, se percorriamo i territori del nostro
Mezzogiorno e le aree di paesi come la Romania o la Polonia che secondo gli indicatori sta-
tistici avrebbero la stessa povertà, ci stupiamo di come la percezione delle condizioni di vita
ed economiche non sia la stessa. Il nostro Mezzogiorno non sembra povero come risulte-
rebbe dalle statistiche dell’Unione Europea. La risposta è evidente: esiste una ricchezza ita-
liana che sfugge alle statistiche e alle valutazioni della capacità competitiva. È la ricchezza
che riguarda l’economia sommersa, illegale e quell’economia che in parte ha a che fare con
la criminalità. Questa economia, che sfugge alle statistiche ufficiali, è ben presente e forse
in questo decennio è cresciuta. Se l’economia legale non è in buona salute, forse quella ille-
gale, nelle sue diverse forme, sta in condizioni migliori.
In questo quadro di difficoltà nella capacità competitiva territoriale il Lazio e Roma offrono
spunti interessanti, chiaroscuri da analizzare, elementi da approfondire. Il Lazio e Roma
sono al tempo stesso territori di forti potenzialità e con alcuni evidenti limiti strutturali.
Appare utile confrontare quindi le analisi dell’Unione Europea e dei centri studi italiani, per
esempio l’Istituto Tagliacarne, per cogliere meglio le componenti e i fenomeni che rendono
al tempo stesso l’area metropolitana di Roma come un città densa di opportunità, che tut-
tavia appiano non semplici da cogliere, anche per i motivi che abbiamo provato ad analiz-
zare e considerare.
Come accennato, l’analisi di riferimento per considerare la competitività delle regioni italia-
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ne e misurare quindi il contesto romano secondo questi significativi parametri di riferimen-
to è il lavoro pubblicato a fine 2010 dalla Commissione Europea, l’UE regional competitive-
ness Index 2010, redatto da due studiose, Paola Annoni e Kornelia Kozovska.
I dati contenuti in questo documento ci permettono di valutare l’economia laziale e romana
rispetto ai parametri della capacità competitiva. Si tratta di una operazione importante, che
segnala i differenziali e che ci permette di verificare i punti di maggior forza e debolezza del
sistema sociale ed economico che prendiamo in considerazione. La ricerca della
Commissione Europea ha carattere regionale. Per avere quindi un quadro ancora più pun-
tuale appare utile integrare e coordinare la lettura di questi dati con le analisi sulla compe-
titività provinciale italiana curate da UnionCamere. Si tratta in ogni caso di dati di riferimen-
to, che vanno letti tenendo conto di alcuni aspetti: i dati della Commissione Europea sono
più recenti e il dato regionale laziale corrisponde in gran parte al dato romano: tuttavia non
si tratta di una sovrapposizione netta e alcune valutazioni valide a carattere regionale pos-
sono essere meno puntuali per l’area romana. Il dato di UnionCamere considerato è stato
definito con un lavoro di ricerca pubblicato nel 2009 e che non tiene quindi conto del calo
di capacità competitiva locale registrato in questi mesi da alcuni osservatori e analisti.
Tuttavia la combinazione tra questi studi offre indicazioni preziose, valide come chiave di
lettura interpretativa dei fenomeni e delle dinamiche economiche che esaminiamo nei capi-
toli successivi e come spunti sul funzionamento del sistema, che vengono considerati e
approfonditi nel capitolo conclusivo e nell’appendice al testo.
Vanno considerati in primo luogo gli elementi che definiscono la capacità competitiva di un
sistema territoriale e che riprendono quanto formalmente definito dal World Economic
Forum: capacità istituzionale (efficacia dei servizi pubblici, efficacia delle politiche, capaci-
tà di governo, corruzione, trasparenza, indipendenza tra politica e potere giudiziario);
1. infrastrutture (qualità delle infrastrutture per l’economia, dai trasporti alle telecomunica-
zioni);
2. stabilità macroeconomica (debito pubblico, inflazione, interessi sul debito etc);
3. salute ed educazione primaria (qualità della vita, servizi sanitari, aspettativa di vita,
rischio infortuni etc);
4. alta educazione e formazione (competenze ed adattabilità-occupabilità della forza lavo-
ro, scuola superiore, Università ed interventi per la formazione dei lavoratori);
5. funzionamento del mercato (distorsioni, competizione ed efficienza del mercato);
6. efficienza del mercato del lavoro (flessibilità, adattabilità, servizi, pari opportunità);
7. evoluzione del mercato finanziario (accesso al credito per gli investimenti, etc.);
8. aggiornamento tecnologico (accesso e presenza di tecnologie evolute);
9. quote di mercato (presenza e ruolo delle imprese nei diversi settori economici, capaci-
tà di penetrazione);
10. evoluzione della capacità di business (reti e consorzi, forniture, marketing, organizza-
zione produttiva;
11. innovazione (di prodotto e di processo per l’evoluzione delle attività produttive).
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Appare evidente come questi misuratori siano indicativi della capacità competitiva di un ter-
ritorio e come la verifica delle condizioni regionali e del territorio dell’area metropolitana e
comunale romana offrano informazioni e indicazioni importanti. Seguiamo a questo fine l’or-
dine tematico proposto dalla ricerca della Commissione Europea.
Per quanto riguarda la capacità istituzionale il dato italiano è particolarmente grave: secon-
do gli indicatori della Commissione Europea l’Italia insieme alla Grecia è la nazione che
offre le peggiori condizioni ambientali per l’agire di impresa dal punto di vista delle facilities
offerte, delle opportunità promosse dal sistema pubblico (business ease). Rispetto alla
capacità istituzionale, l’Italia ha il dato peggiore, comparando le prestazioni dell’Italia negli
altri parametri considerati: si trova al ventiquattresimo posto dell’Europa a ventisette.
Peggio dell’Italia nel sostegno pubblico alle attività produttive e alla competitività fanno solo
la Bulgaria, la Romania e la Grecia. Si tratta di un dato nazionale, che varia però molto per
le Regioni italiane e sulla capacità istituzionale specifica del Lazio e di Roma svolgiamo
alcune valutazioni più avanti.
Rispetto alla stabilità macroeconomica il dato nazionale appare migliore: l’Italia si piazza al
quattordicesimo posto dell’Europa a ventisette, avendo però il record negativo per quanto
riguarda l’incidenza del debito pubblico, insieme alla Grecia.
Appare più agevole segnalare le condizioni territoriali dall’esame dei successivi parametri.
Per quanto riguarda le infrastrutture per lo sviluppo economico, il dato è decisamente
migliore, in particolare per quanto riguarda il Lazio e l’area romana. Il Lazio e Roma si col-
locano intorno alla centoseiesima posizione tra le duecentosessantotto regioni europee. In
particolare la dotazione infrastrutturale laziale e romana appare tra le prime in Italia, in cui
le eccellenze sono costituite proprio dal Lazio e dalle Regioni del Nord Ovest.
Per quanto riguarda il sistema socio sanitario, l’analisi della Commissione Europea offre
altri spunti interessanti. Va segnalato intanto che il Lazio ha tra i migliori risultati per quan-
to riguarda la bassa mortalità infantile e il basso numero di suicidi.
Nella classifica complessiva il Lazio si colloca intorno al cinquantesimo posto, con un risul-
tato importante per la qualità del sistema sociosanitario regionale. In ogni caso, per quan-
to riguarda il sistema sanitario, le regioni italiane offrono, anche nel Mezzogiorno, prove di
eccellenza, in un comparto che, a differenza di altri, sembra reggere bene il confronto con
l’Europa. Per quanto riguarda invece la qualità dell’istruzione e dell’educazione primaria e
secondaria, l’Italia torna bruscamente tra le nazioni europee con i peggiori rendimenti, col-
locandosi al ventitreesimo posto dell’Europa a ventisette. Anche il Lazio non si discosta da
questa performance.
Rispetto all’alta formazione, all’Università, alla formazione permanente e al sistema delle
competenze innovative, il dato italiano appare fortemente disomogeneo, con alcune pesan-
ti criticità nel Mezzogiorno. In particolare l’Italia ha il record negativo in Europa come spesa
complessiva. Tuttavia in questo quadro negativo il Lazio e Roma mantengono una posizio-
ne dignitosa: è infatti proprio il Lazio, al centottesimo posto, la regione italiana che secon-
do l’Unione Europea offre i migliori servizi di alta formazione e formazione permanente.
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Appare comunque grave che le migliori condizioni italiane per l’offerta di alta formazione si
collochino solo al centottesimo posto tra i territori europei. Per quanto riguarda i dati relati-
vi all’efficienza delle istituzioni e dei servizi del mercato del lavoro appare importante segna-
lare la grave e complessiva situazione italiana. Secondo la valutazione ufficiale della
Commissione Europea riportata nel documento sulla capacità competitiva, l’Italia ha, insie-
me alla Grecia, nelle regioni del Mezzogiorno, il record negativo per quanto riguarda il tasso
di disoccupazione (con la Spagna), il tasso di occupazione, la disoccupazione femminile e
la disoccupazione di lungo periodo. L’Italia ha poi una bassa spesa complessiva per politi-
che del lavoro e in particolare il record europeo per quanto riguarda il livello di spesa per
servizi per il lavoro. Molto grave nelle regioni del Centro Sud il livello delle politiche di gene-
re: anche in questo caso sono italiane e meridionali le peggiori prestazioni europee.
In questo quadro il sistema laziale e romano non si discosta dalle performances negative,
pur attestandosi sul livello mediocre delle regioni del Centro Nord e non sul disastroso stan-
dard meridionale e di alcune Regioni del Centro, come l’Abruzzo, che appaiono secondo gli
indicatori economici di questi anni in grave retrocessione. La pesante caduta di tono della
Regione Lazio e di conseguenza anche del contesto romano (area provinciale e comuna-
le) emerge proprio dai dati relativi al funzionamento del mercato del lavoro: il Lazio e Roma
sono al duecentesimo posto su duecentosessantotto regioni europee. La maggiore differen-
za tra il Lazio e le regioni del Centro Nord più dinamiche, rispetto ai differenziali competiti-
vi, riguarda proprio il funzionamento delle istituzioni, dei servizi e delle politiche del lavoro.
In questo senso, come appare molto chiaro dalle tabelle, il Lazio è una regione del
Mezzogiorno e non del Centro Nord. Si tratta di una considerazione del tutto oggettiva,
anche in quanto gli altri differenziali competitivi collocano sostanzialmente il Lazio nelle
buone prassi italiani in termini di servizi, politiche e infrastrutture per la competitività.
L’efficienza del mercato del lavoro, su cui constatiamo risultati inadeguati nelle istituzioni
laziali e romane, riguarda l’efficacia delle politiche e dei servizi, la mobilità professionale,
l’incontro tra domanda e offerta, le pari opportunità ed il reimpiego (si tratta di dati e consi-
derazioni che riprenderemo più avanti in altre parti di questo lavoro).
Considerando i dati economici, finanziari e produttivi, il report della Commissione Europea
offre altri spunti di notevole interesse. Molto buona la performance laziale e romana rispet-
to alle potenzialità di mercato: la possibilità delle imprese di sviluppare economie di scala
in riferimento al mercato potenziale. In questo senso la performance romana è di grande
interesse: il cluster potenziale dell’area metropolitana romana è tra i migliori di Italia e si col-
loca tra i primi venti in Europa, mentre la regione Lazio è in questa classifica al venticinque-
simo posto, seconda regione italiana dopo la Lombardia per potenzialità di mercato (la
Lombardia è al quarto posto assoluto). Torniamo invece in difficoltà a livello nazionale per
quanto riguarda l’adeguamento tecnologico: siamo al diciassettesimo posto come nazione
ed il Lazio si colloca a metà classifica, con una performance dell’area romana che colloca
il sistema territoriale nella parte alta tra le aree italiane, ma ancora in ritardo rispetto ai com-
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petitor europei. Molto interessante appare la valutazione sulla qualità delle reti di mercato,
dell’organizzazione dei fornitori e delle strategie di impresa: per quanto riguarda il sistema
consortile e la capacità di sviluppare in termini di qualità il prodotto e le reti di vendita, l’Italia
ha buoni risultati e soprattutto il Lazio e Roma hanno significative potenzialità nel quadro
europeo e internazionale. Infatti appartiene all’area metropolitana romana la migliore pre-
stazione europea in termini di intermediazioni patrimoniali e finanziarie per il 2010, mentre
appare sconcertante osservare come, a livello nazionale, l’Italia abbia regioni con i migliori
cluster (contesti produttivi organizzati in termini di distretto o filiera) nel Nord del paese e i
peggiori in Calabria e in Abruzzo, che appare peraltro come la regione europea che ha
maggiormente deluso in termini di potenzialità mancate.
Il dato dello sviluppo di impresa appare quello che divide maggiormente l’Italia, con un dato
interessante: il Lazio e Roma sono decisamente su performance europee, per via dello svi-
luppo del terziario e dei servizi nell’area metropolitana di Roma, mentre regioni come
l’Umbria, l’Abruzzo e in parte anche le Marche non riescono ad uscire dalla crisi del setto-
re manifatturiero, aggravatasi nel biennio considerato, liberando e organizzando altre ener-
gie produttive. Se la regione Lombardia è quindi la regione italiana più attrezzata rispetto
allo sviluppo delle imprese in termini organizzativi, di prodotto e di marketing, il Lazio viene
subito dopo, soprattutto grazie all’area romana, collocandosi al quarantaduesimo posto
della classifica della competitività territoriale, davanti a regioni come il Piemonte e l’Emilia
Romagna. Di grande importanza i dati relativi alla capacità di innovazione, che considera-
no la ricerca e l’innovazione tecnologica (anche le biotecnologie) e informatica applicata ai
fattori economici nelle regioni e nei cluster territoriali europei. Il dato italiano appare medio-
cre per il risultato delle regioni del Mezzogiorno, ma con alcune sorprese.
L’Italia ha infatti il record negativo delle persone impegnate in attività progettuali e creative
e per sviluppo della biotecnologia, non solo nel Mezzogiorno, ma anche in Veneto e in
Umbria. Inoltre l’Italia ha una regione tra le aree al vertice per l’occupazione in settori tec-
nologicamente avanzati: questa regione è il Lazio e in particolare la Provincia e la città di
Roma. Nella mappa dell’innovazione il Lazio e Roma sono all’ottantanovesimo posto, poco
dopo la Lombardia, prima regione italiana all’ottantaduesimo posto.
Queste le considerazioni di sintesi, nella valutazione di un rapporto che conferma in modo
molto analitico e scientificamente definito alcuni studi di altri centri di ricerca italiani ed euro-
pei, dando una definizione formale ad alcune importanti e significative rappresentazioni
della situazione sociale ed economica in termini di capacità competitiva dei sistemi territo-
riali europei.
ITALIA: il dato nazionale è una mera astrazione e considera le diverse performan-
ces e capacità territoriali delle regioni del Centro Nord, che tengono nei loro elementi strut-
turali rispetto alle dinamiche europee, e le Regioni del Sud, che si trovano in una condizio-
ne di assoluta emergenza sociale ed economica. Appare importante considerare la crisi di
alcune regioni del Centro, l’Abruzzo e l’Umbria, la cui crescita e capacità competitiva negli
ultimi anni è notevolmente peggiorata.
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LAZIO: rispetto al dato nazionale il Lazio ha una buona tenuta e le performances
regionali collocano la regione nel contesto delle regioni italiane più dinamiche. Il dato, con-
siderando solo l’area metropolitana romana, appare ancora migliore, in quanto il contesto
romano e viterbese si colloca su condizioni e potenzialità economiche decisamente in linea
con il Nord Italia.
Tuttavia il dato laziale è decisamente disomogeneo e anomalo rispetto a un fattore compe-
titivo che indebolisce il Lazio rispetto alle altre regioni del Centro Nord: i servizi per il capi-
tale umano, il lavoro e la formazione appaiono decisamente peggiori e limitano le potenzia-
lità di crescita del sistema regionale.
ROMA: L’area romana soffre della forte disomogeneità degli elementi del sistema
che sul territorio è chiamato a garantire i presupposti della capacità competitiva. Buon ser-
vizio sanitario, buona formazione di qualità, ottima capacità produttiva e di marketing,
buone infrastrutture economiche, buona capacità innovativa e di creatività progettuale, ma
al tempo stesso pessimi servizi per il lavoro, inadeguata formazione ed educazione di base,
inadeguata infrastrutturazione tecnologica, scarsa efficacia delle politiche. I dati della
Commissione Europea confermano l’idea dell’economia e della società romana come
un’anatra zoppa: potenzialità di sviluppo rese difficili da un sistema inadeguato di servizi e
di politiche per il capitale umano, che in un sistema terziarizzato costituisce una componen-
te prioritaria, un dato di funzionamento del sistema. In ogni caso la rilevazione istituzionale
promossa dalla Commissione Europea sulla capacità competitiva offre una indicazione
chiara: come accade in altre regioni italiane, il sistema istruzione-formazione-lavoro nel
contesto laziale e romano non funziona e non si integra con le necessità del sistema pro-
duttivo, limitando le potenzialità di sviluppo. Istruzione, formazione e lavoro sono piombo
sulle ali dell’economia romana.
Affrontiamo di seguito altri confronti tra le rilevazioni sulle condizioni e i caratteri della com-
petitività a Roma, per svolgere nel capitolo conclusivo le valutazioni su quali siano le cause
di queste evidenti criticità e come sia possibile intervenire per limitarne gli effetti.
Il confronto con i dati UnionCamere sulla competitività segnalano una situazione ad inizio
crisi, con dati aggiornati al 2009 per quanto riguarda le regioni e province italiane. La valu-
tazione del dato della Provincia di Roma, in cui l’area metropolitana rappresenta almeno i
4/5 del dato economico e occupazionale, conferma, anche se con minori problematicità,
alcuni aspetti segnalati, con diversa enfasi e dettaglio, dal report della Commissione
Europea. In questo senso, in modo sintetico, il quadro della capacità competitiva romana a
ridosso della crisi è valutato nel confronto nazionale, dati 2009, e appare il seguente:. buoni dati infrastrutturali, sia economici (decimo posto) che sociali (intendendo l’aspet-
to sociosanitario ed assistenziale: l’analisi Unioncamere colloca Roma al terzo posto
nazionale);. una forte dinamica di crescita delle imprese, quantomeno fino al 2009, che rende Roma
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una delle province italiane con il maggior numero di imprese, soprattutto nel commer-
cio, nel terziario e nei servizi (dato in crescita, mentre calano le imprese artigiane);. le imprese romane appaiono giovani, di avvio recente e segnalano alcune fragilità
rispetto al consolidamento: il 60% delle imprese romane è nato negli ultimi dieci anni;. la presenza delle imprese turistiche è significativa, ma in termini percentuali e come
posti letto, non è Roma la provincia italiana con la più consistente struttura turistica in
termini di ricettività: Roma è infatti al quinto posto superata in questo da alcune provin-
ce con una diversa vocazione turistica;. il dato del mercato del lavoro vede una dinamica occupazionale peggiorativa rispetto
alla dinamica economica: l’evoluzione dell’economia romana non si traduce in un ade-
guato numero di posti di lavoro e nel periodo 2008-2010 la percentuale dei rapporti di
lavoro a termine ha superato il 75% degli avviamenti, segnalando una precarizzazione
poco sostenuta attraverso le istituzioni e i servizi per il mercato del lavoro;. i risultati economici di Roma sono superiori alla media nazionale; grazie alla crescita
delle imprese dei servizi Roma è al quarto posto rispetto alla produzione di ricchezza
sul PIL nazionale e ha recuperato tra il 2005 ed il 2009 alcune posizioni, tornando nel-
l’eccellenza nazionale;. Roma ha due record che mostrano l’assoluta terziarizzazione dell’economia metropoli-
tana: quasi il 90% del PIL romano arriva dalle imprese dei servizi, mentre l’artigianato
ha un record negativo rispetto alla quota di produzione di ricchezza, così come l’indu-
stria il cui valore aggiunto è intorno al 12%, meno della metà del dato nazionale;. il tasso di apertura ai mercati e di propensione all’esportazione segnalato da
UnionCamere è basso, con valutazioni svolte nel 2009 peggiorative rispetto al dato
riportato dalla Commissione Europea per il 2010. L’economia romana appare dalla
ricerca UnionCamere ripiegata su se stessa per quanto riguarda l’apertura ai mercati
con un dato del 4,7% di propensione all’esportazione (contro il 20% nazionale) e un
dato del 20% di apertura ai mercati (contro il 43% nazionale). Sono dati su cui tornare
e che non appaiono del tutto in linea con altre rilevazioni;. il dato delle infrastrutture economiche secondo UnionCamere è discreto, ma non ade-
guato al ruolo di capitale nazionale. In dettaglio, secondo le valutazioni di competitività
territoriale, le infrastrutture economiche pongono Roma al nono posto nazionale asso-
luto, con una buon risultato per i servizi alle imprese, i servizi finanziari, le strutture per
la trasmissione dati, ma con un deficit rispetto alla rete stradale e portuale, mentre le
infrastrutture sociosanitarie appaiono in buona salute;. preoccupante l’alto livello delle sofferenze bancarie sugli impieghi, il notevole numero di
protesti ogni 100.000 abitanti (4.634 – 2° posto in Italia), il numero di imprese fallite sul
totale delle imprese attive e il numero di reati denunciati contro il patrimonio presenta-
no tutti dei valori più alti rispetto alla media italiana, e attestano la provincia sempre
nelle prime sei posizioni delle relative graduatorie;. va registrato il dato negativo per decessi tumorali, nel rapporto con le altre aree metro-
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politane, in particolare per le malattie respiratorie e il giudizio critico di diversi osserva-
tori rispetto alle condizioni ambientali in relazione al dato della qualità della vita, mentre
è buono il dato sulle malattie cardiocircolatorie; . negativo il dato relativo alla sicurezza e alla criminalità, rispetto alla media nazionale e
al Centro Italia, mentre dal 2001 al 2008 è da registrare una forte crescita delle infra-
strutture sociali, culturali ed educative, anche se a questa crescita quantitativa non cor-
risponde una adeguata crescita in termini qualitativi.
Il confronto tra le due fonti per la valutazione della capacità competitiva, quella Europea
(Commissione Europea) e quella nazionale (UnionCamere) evidenzia alcune valutazioni
condivise e comuni e altri dati, almeno in apparenza, divergenti. Appare quindi opportuno
un commento.
Va tenuto conto di come la ricerca europea sia qualitativa e non solo quantitativa, mentre il
lavoro Union Camere si appoggia ad un database più quantitativo. Inoltre le analisi di
UnionCamere si fermano a fine 2008, mentre le statistiche dell’Unione Europea riguardano
pienamente il 2009 e vanno fino a metà 2010. Il dato europeo considera inoltre i fattori di
competitività sulla base dei criteri del World Economic Forum, con una maggiore comples-
sità qualitativa.
I punti in comune delle due ricerche confermano come l’area metropolitana romana si
appoggi ad un tessuto di imprese dinamiche, con una forte imprenditorialità, con un buon
tessuto di servizi sociali e sanitari, una soddisfacente infrastruttura economica, mentre
appaiono deficitari gli aspetti che riguardano il mercato del lavoro. Alcune differenti valuta-
zioni possono trovare delle spiegazioni:. il dato delle infrastrutture scolastiche (positivo per UnionCamere, negativo per la
Commissione europea) diverge anche in quanto la considerazione dell’Unione Europea
riguarda la qualità dell’offerta educativa e non tanto la presenza di istituti scolastici;. il dato delle potenzialità di business (positivo per la Commissione Europea) e quello del-
l’apertura ai mercati (negativo per UnionCamere) non è del tutto sovrapponibile, in
quanto la Commissione nel suo report considera sostanzialmente la capacità organiz-
zativa delle imprese in termini di marketing e le potenzialità di mercato, più che il dato
statistico relativo all’import export cittadino e provinciale, come fa invece UnionCamere. . Inoltre la ricerca della Commissione Europea, particolarmente completa, offre interes-
santi valutazioni sull’alta formazione, l’innovazione tecnologica e la sofisticazione dei
mercati e delle attività produttive, che non trova conforto in altre fonti statistiche per
l’area romana.
3. Le caratteristiche del tessuto socio economico romano
Lo scenario del sistema sociale ed economico romano, con le dinamiche dei settori produt-
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tivi, costituisce l’oggetto di diversi rapporti congiunturali, che rendono particolarmente
aggiornata la lettura dei fenomeni. I rapporti considerati sono infatti ricerche che considera-
no i dati del biennio 2009-2010, in alcuni casi con anticipazioni del primo trimestre 2011.
L’evoluzione delle dinamiche produttive romane, descritte nel paragrafo successivo, appa-
iono quindi basate su dati attuali, quasi in contemporanea, e permettono di offrire una veri-
fica dell’assetto, delle caratteristiche evolutive del tessuto socio economico romano. A que-
sto proposito si considerano i dati ISTAT, UnionCamere, UPI Lazio Eures, Comune di Roma
Risorse RpR, CNA Cer, sia per quanto riguarda la descrizione del tessuto socio economi-
co che per quanto riguarda la conseguente lettura delle dinamiche dei settori produttivi con-
siderati.
La recessione che ha colpito l’economia mondiale e l’Italia, con particolari conseguenze
sulla tenuta occupazionale, ha colpito l’area metropolitana, con diverse ripercussioni sul
tessuto economico, ma soprattutto con evidenti ricadute sul piano occupazionale. Il tessu-
to economico romano ha risentito della crisi dal punto di vista della capacità espansiva e
della produzione di ricchezza meno di altri sistemi. Questo è accaduto per le caratteristiche
dell’economia romana che vede nella domanda pubblica e nel terziario due aspetti di fondo
che hanno in parte comportato fenomeni anticiclici, così come la concentrazione di attività
manifatturiere in settori meno esposti alla congiuntura e alla maggiore organizzazione e più
alta strutturazione del sistema produttivo regionale (dati e considerazioni confermate da
alcuni rapporti 2010, come il rapporto UPI Eures sull’economia delle province del Lazio).
L’economia romana nel biennio di crisi ha sostanzialmente tenuto, determinando come con-
seguenza una performance non negativa dell’economia laziale, anche se vanno considera-
te alcune distorsioni presenti nel tessuto produttivo romano, che esaminiamo nei successi-
vi paragrafi. Il dato trainante dell’economia romana sul contesto laziale è reso evidente dal
PIL procapite, che a Roma raggiunge i 32 mila euro, mentre nel resto della Regione si asse-
sta intorno ai 23 mila euro procapite. La diminuzione della produzione di ricchezza a Roma
nel biennio 2009-2010 si è assestata intorno al 2%.
Se si confrontano i dati del quinquennio 2004-2009, Roma mantiene un valore medio di cre-
scita leggermente in positivo, intorno al 1,2%, diversamente da tutte le altre province lazia-
li che hanno un dato negativo. La maggiore gravità della ripercussione della crisi in altre
aree del paese rende peraltro il dato romano un dato in leggera controtendenza: nel bien-
nio di crisi le caratteristiche del tessuto economico romano hanno determinato, su alcuni
parametri (non su quello del PIL procapite su cui Roma era al terzo posto nel 2008 e poi
cala al quinto), un miglioramento della posizione dell’economia romana in ambito naziona-
le. Per PIL procapite Roma è in assoluto la quinta provincia italiana e l’area metropolitana
romana è in ogni caso nelle posizioni di vertice per la ricchezza individuale degli abitanti.
L’economia romana ha in questi anni accentuato la sua vocazione terziaria: il terziario e i
servizi rappresentano più dell’87% della formazione della ricchezza a Roma. La natura di
Capitale determina funzioni (pubblica amministrazione, sedi di grandi imprese a supporto
dell’economia nazionale e del sistema finanziario) necessariamente legate al sistema dei
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servizi, che sono poi accentuate dalla vocazione turistica e dalla ricettività della città.
Nell’economia romana l’agricoltura pesa per valore aggiunto lo 0,4%, l’industria l’8,8%, le
costruzioni il 4,6% e il sistema dei servizi per il rimanente 87%. Appare in ogni caso da con-
siderare come la situazione di crisi abbia a Roma determinato una brusca caduta del mer-
cato immobiliare e quindi del settore costruzioni, che nella situazione precrisi determinava
un più alto valore aggiunto sull’economia della Capitale.
Il tessuto manifatturiero, pur su basi complessive contenute, in questi anni a Roma tiene,
con un incremento percentuale nel quinquennio precrisi di poco inferiore al 20%.
Appare significativo considerare l’aspetto relativo alla ricaduta occupazionale della crisi che
ha caratterizzato il biennio 2008-2010: la forte ripercussione di una crisi tutto sommato con-
tenuta sul dato occupazionale costituisce un dato su cui riflettere e da commentare. Nei
paragrafi relativi al mercato del lavoro e nelle considerazioni conclusive avremo modo di
tornare su questo fenomeno e di approfondire un argomento di particolare importanza.
Tuttavia va segnalato come l’impatto occupazionale di una crisi produttiva tutto sommato
contenuta confermi in modo netto alcune considerazioni che già derivano dalla lettura com-
parata dei dati sulla capacità competitiva del tessuto sociale ed economico romano. La forte
precarizzazione del mercato del lavoro romano e il forte aumento della disoccupazione in
conseguenza della crisi produttiva del biennio 2008-2010 è solo in parte motivato dalla
natura stessa della crisi. In realtà la flessibilità e la disoccupazione presente nel mercato
del lavoro romano, che conferma nel 2011 i dati già contenuti nel rapporto 2010 “Mutamenti
del lavoro a Roma tra crisi e riforme”, segnalano due aspetti di particolare significato:
a) la maggiore flessibilità presente nel mercato del lavoro di un sistema economico cittadi-
no fortemente terziarizzato;
b) la fragilità delle istituzioni, dei servizi e delle politiche per il lavoro e la formazione nel con-
testo capitolino.
Si dovrebbe peraltro utilizzare in modo più appropriato, anziché l’abusato concetto di pre-
carietà, il concetto di “flessibilità”. Il termine precarietà richiama infatti in sé un giudizio, un
valore: la convinzione che il lavoro buono debba essere necessariamente non tanto quello
che piace ed è ben pagato, ma quello che è a tempo indeterminato. Si tratta di valutazioni,
di opinioni: in ogni caso la stabilità non è mai stata in sé un fattore di qualità del rapporto di
lavoro. Nella ricerca tendiamo quindi ad utilizzare in modo più appropriato il termine “flessi-
bilità”, anziché il termine “ precarietà”.
Gli aspetti descrittivi del mercato del lavoro segnalano in ogni caso un dato importante, che
mostra un fenomeno preoccupante che questa ricerca prova ad analizzare, commentare e
sviluppare in altri e successivi paragrafi, insieme alla proposta di alcuni suggerimenti utili
per un più efficace governo del mercato del lavoro e della formazione nell’economia citta-
dina.
L’importanza del capitale umano in una economia a forte vocazione terziaria determina
infatti un paradosso: si cercano professionalità a forte flessibilità e competenza, ma questo
mercato richiede governance, strumenti e servizi in quanto non produce queste capacità in
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modo spontaneo in assenza di servizi adeguati e non comporta comunque la stabilità dei
relativi percorsi professionali. Sul governo di questo paradosso si giocano molte delle pro-
spettive di sviluppo sociale ed economico di Roma per i prossimi anni.
4. L’evoluzione delle dinamiche produttive nei settori considerati
Le fonti che analizzano le dinamiche produttive romane nell’ultimo biennio sono particolar-
mente aggiornate: buona parte dei report economici sull’andamento dell’economia romana
risalgono ai primi mesi del 2011 e offrono uno spaccato, con dati e riferimenti davvero signi-
ficativi e che ci permette di cogliere le tendenze e le contraddizioni che in questi mesi si
stanno delineando. Questo lavoro di ricerca commentata e di lettura può evidenziare i fat-
tori di rischio e le opportunità proprio grazie alla capacità di conoscere tendenze e dinami-
che ormai molto chiare.
L’economia romana ha avuto nel 2009 una brusca inversione di tendenza dopo ben cinque
anni di costante crescita. Teniamo conto di due elementi:
a) dal punto di vista finanziario e produttivo, la crisi si è fatta sentire a Roma più tardi
rispetto a quanto accaduto nel resto d’Italia in quanto il tessuto economico romano (col-
locato sull’asse pubblica amministrazione, terziario e sedi di grandi società di servizi) ha
caratteristiche originali e specifiche e risente meno della crisi industriale (che ha invece
pesantemente colpito province laziali come Rieti e Frosinone);
b) dal punto di vista occupazionale, la crisi non ha fatto altro che accentuare la flessibilità
già presente nel mercato del lavoro romano, sia per via della forte componente del set-
tore terziario, che ha in sé un maggior numero di rapporti a termine e di attività stagiona-
li, che per via della fragilità, della inadeguatezza delle istituzioni del mercato del lavoro.
Roma ha avuto negli ultimi anni una forte dinamicità, misurata in termini di creazione di
nuove imprese, che la crisi del biennio 2008-2010 ha rallentato, ma non compromesso. Il
dato delle imprese attive, in costante aumento a Roma fino al 2008 (ben 327mila, uno dei
dati italiani più alti), è calato nel biennio 2008-2010 di alcune migliaia di unità, in modo tut-
tavia più contenuto di quanto fosse lecito aspettarsi. Resta quindi buona la percezione degli
imprenditori, degli investitori e dei lavoratori sulle potenzialità economiche del territorio
romano. L’imprenditorialità diffusa a Roma è quindi il dato di base da cui partire: il tasso di
imprenditorialità (capillarità del lavoro autonomo e delle imprese) e la presenza di lavoro a
termine sono fenomeni realmente possenti e di sistema, che hanno cambiato notevolmen-
te il quadro della società romana.
Nel terzo millennio Roma si presenta decisamente come una città che ha poco a che vede-
re con l’immagine passata (presente in tanti film della commedia italiana) di una città
sostanzialmente statica, magari un po’ indolente, fatta da uffici, da impiegati pubblici, da
ospedali, grandi società e banche con un discreto contorno di turismo e artigiani.
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Roma è oggi decisamente tutt’altro: una città mobile e dinamica, con tante piccole impre-
se, lavoro autonomo e a termine, con le contraddizioni di un sistema decisamente basato
sui servizi, sull’innovazione, che vive le tensioni tra questa parte della società , anagrafica-
mente più giovane e scolarizzata, ma anche più precaria, con la parte della società che vive
ancora in un contesto economico più stabile e meno dinamico. Si tratta di una tensione in
atto, che si risolve inevitabilmente con una definitiva terziarizzazione della società romana,
che richiede quindi strumenti di promozione delle opportunità di impiego, di governo della
rete dei servizi e di sostegno alla capacità di agire, all’autonomia individuale, all’occupabi-
lità e imprenditorialità diffusa.
Su questo aspetto, su questa sfida (in termini di governo) si gioca molto dello sviluppo della
Roma dei prossimi anni. Si tratta di considerazioni che vengono riprese, con approfondi-
menti e proposte, nel capitolo conclusivo e in appendice al presente lavoro di ricerca e let-
tura commentata.
L’aumento della imprenditorialità, da un lato, per quanto riguarda il lavoro autonomo e le
imprese e, dall’altro, la presenza di un numero di rapporti a termine nel lavoro dipendente
superiore alla media nazionale, costituiscono le due tendenze di fondo del sistema roma-
no, che la crisi ha solo accentuato (per quanto riguarda la crescita del lavoro a termine) o
limitato (per quanto riguarda la creazione di impresa, in quanto l’evoluzione dal 2004 al
2010 ha comportato una crescita del numero di imprese attive a Roma superiore al 12%,
considerando anche il calo del periodo 2008-2010, misurato in circa l’1% dagli osservatori
economici romani e dai dati considerati). Per quanto riguarda i dati delle dinamiche setto-
riali, appare opportuno considerare come la diversa classificazione ATECO non aiuti a valu-
tare con esattezza la serie storica negli anni, in quanto dal 2009 troviamo una diversa
modalità di classificazione. Tuttavia il confronto possibile ci evidenzia alcuni aspetti delle
dinamiche dei settori produttivi nel contesto romano. La vocazione economica romana,
dopo i mutamenti dei decenni scorsi, è ormai definita e la definizione della vocazione del-
l’economia romana comporta delle necessarie considerazioni e scelte sugli aspetti relativi
alle competenze, ai servizi, alle istituzioni dell’orientamento, della formazione e del merca-
to del lavoro romane che non appaiono ancora del tutto ben definite.
Il terziario romano è fatto da commercio (più del 30% delle imprese romane sono in que-
sto comparto), alloggio e ristorazione (più del 7%), attività immobiliari (circa il 5%), attività
bancarie e creditizie (circa il 4%), servizi di informazione e comunicazione (circa il 4%),
attività professionali e scientifiche (circa il 4%), servizi alle imprese (più del 5%). I servizi
sanitari pesano sull’economia romana meno dell’1%, per quanto riguarda il numero delle
imprese attive per settore (da non confondere con il numero degli addetti, che si valuterà
più avanti).
Le attività manifatturiere coinvolgono solo poco più del 6% delle imprese attive, mentre le
costruzioni, nonostante la crisi, reggono ad una percentuale superiore al 16% sul totale
delle imprese romane attive nel 2010. Vanno anche considerati altri elementi, come la pre-
senza di imprese, società che operano nel campo dell’educazione e istruzione solo per una
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percentuale decisamente inferiore all’ 1%, mentre sullo sport, la cultura e il tempo libero il
dato è piuttosto alto, intorno all’ 1,7% delle imprese attive a Roma operano in questo spe-
cifico ambito.
Non dobbiamo poi pensare a Roma come una città di imprese individuali o polverizzate:
con più del 30% di società di capitale (il 34%) Roma è una delle città italiane con una mag-
giore presenza di società di capitale. Tuttavia Roma ha anche un 50% di ditte individuali, a
fronte di una presenza di società di persone che supera di poco il 12%. Si tratta di un dato
significativo, che esplicita un’altra caratteristica dell’economia romana, non del tutto consi-
derata per le conseguenze che determina. Dal punto di vista della forma giuridica, che evi-
denzia organizzazione e capacità espansiva, il sistema economico romano è decisamente
binario: una grande presenza di imprese strutturate insieme ad una grande presenza di par-
tite iva individuali. La scarsa presenza invece di società di persone va considerata come un
dato particolare, in sé non del tutto positivo, in quanto evidenzia la scarsa propensione pro-
gettuale e relazionale della formazione del capitale a Roma, aspetto che invece dovrebbe
far parte delle modalità di promozione dell’agire economico, in quanto in un sistema che
dovrebbe produrre innovazione, creatività e servizi le società di persone offrono spesso
una modalità giuridica e organizzativa adeguata.
La grandi imprese, considerando anche le piccole filiali delle reti di impresa più ampie,
assorbono a Roma più del 34% degli addetti, mentre il 46% degli addetti è impegnato a
Roma in piccole imprese con meno di dieci addetti. Le imprese tra i dieci ed i cinquanta
addetti occupano invece a Roma meno del 20% dei lavoratori.
Si tratta di un altro dato significativo: nonostante la grande crescita nel contesto romano
delle piccole imprese nell’ultimo decennio, la capacità di creazione di impiego delle impre-
se con meno di dieci addetti è più contenuta di quanto ci si dovrebbe aspettare. Il fatto che
le piccole e piccolissime imprese romane siano meno “labour intensive” delle reti di picco-
le imprese presenti in altre aree, soprattutto del Nord, è un dato che conferma il fatto che il
tessuto delle piccole imprese romane viva una profonda contraddizione: cresce, ma si
sente fragile.
La capacità di creare occupazione, soprattutto a tempo indeterminato o con contratti di
apprendistato, è un indicatore fiduciario significativo, che ci permette di considerare come
il sistema delle piccole imprese romane, anche se in costante crescita, non goda dei bene-
fici di quella rete di servizi, commerciali, per il capitale umano, per la promozione in grado
di dare fiducia agli imprenditori e di come il tessuto socioeconomico romano in questi anni
non sia visto dai piccoli imprenditori come sufficientemente in grado di garantire sviluppo e
qualità.
In termini percentuali le piccole imprese romane hanno prima della crisi continuato ad assu-
mere più delle imprese con un numero di addetti maggiore di cinquanta (aumento dell’11%
degli addetti nelle imprese con meno di dieci dipendenti, mentre per l’aumento nelle impre-
se con più di cinquanta dipendenti il dato è stato del 6%). Tuttavia sia prima che durante la
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crisi le imprese più labour intensive, che assumono o sono intenzionate ad assumere di più,
sono le imprese intermedie, quelle con un numero di addetti tra i dieci ed i quarantanove.
La dimensione di impresa che sembra coniugare di più flessibilità e dinamicità (valutazioni
Eures su dati ISTAT) a Roma è quella che ha tra i dieci ed i diciannove addetti.
In ogni caso, dal rapporto tra presenza delle imprese, assunzioni, caratteristiche ed evolu-
zione del mercato possiamo anche svolgere un’altra lettura, che offre una chiave interpre-
tativa: nell’economia romana le grandi imprese strutturate hanno una presenza significati-
va, che si esprime anche in termini di occupazione, di numero di addetti. Se consideriamo
tuttavia investimenti, dinamiche e assunzioni sembra che le grandi e medie imprese roma-
ne non abbiano significativi margini di crescita e tendano negli ultimi anni a consolidarsi, più
che a crescere. Interessanti invece in questo senso le performances, prima e durante la
crisi, di alcune piccole imprese con addetti tra i dieci e i venti, da considerare come un tar-
get di notevole interesse per chi ha la responsabilità di promuovere sviluppo, migliorare la
capacità competitiva e favorire le dinamiche occupazionali. I dati confermano inoltre come
la sinergia di gruppo, il sistema consortile, favorisca la crescita dimensionale e l’occupazio-
ne. Le imprese romane che appartengono a gruppi di impresa si sentono più forti e compe-
titive e assumono di più. Si tratta delle imprese che hanno saputo meglio affrontare la crisi
e quindi una indicazione chiara per poter agire per sostenere l’uscita dalla crisi e il nuovo
sviluppo.
Alcune elaborazioni e banche dati (Istat, Cer, Eures, UnionCamere) considerate ci mostra-
no aspetti del fenomeno della delocalizzazione e della capacità di attrazione degli investi-
menti, che bisogna valutare come aspetti importanti che riguardano la competitività del
sistema territoriale.
A conferma delle potenzialità interessanti emerse dai report della Commissione Europea,
anche le analisi sulla capacità attrattiva dimostrano come l’area metropolitana di Roma,
anche nell’attuale periodo di crisi e di difficoltà, mantenga una buona capacità attrattiva.
Questa attrattività del contesto economico romano non dipende solo dalle conseguenze
della funzione di Roma in quanto capitale d’Italia, che rende opportuna la localizzazione su
Roma di alcune sedi di società e di investimenti, ma anche dalla buona presenza di alcuni
degli aspetti di fondo per il potenziale economico, come le infrastrutture, la sicurezza, l’alta
formazione, l’innovazione tecnologica. Le potenzialità in termini di economie di scala costi-
tuiscono secondo gli osservatori una delle caratteristiche del sistema romano, non del tutto
peraltro valorizzate, riconosciute e presenti nell’economia in termini reali di produzione di
ricchezza e di reddito. Ostacoli e limiti ancora presenti, verificabili nei parametri della capa-
cità competitiva, impediscono al sistema romano di esplicitare, di concretizzare queste
potenzialità, di creare sviluppo in termini di promozione di economie di scala: questo deter-
mina la necessità di programmare, incentivare, sostenere politiche di sviluppo per l’area
metropolitana di Roma Capitale. Rispetto alla capacità attrattiva un dato è esemplare e
chiaro: quasi il 20% dei lavoratori dipendenti impegnati a Roma lavorano per imprese o
società con la sede principale fuori dal territorio regionale.
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Peraltro il dato romano è persino più basso delle altre province laziali: nel contesto laziale
i lavoratori che sono impegnati come dipendenti di imprese non laziali si colloca tra il 22%
(Latina) ed il 32% ( Rieti).
Interessante il valore della crescita su Roma della presenza di imprese non romane: tra il
2006 ed il 2009 questo dato è aumentato del 12%.
Il tema della delocalizzazione, su cui è presente dall’avvio della crisi una forte attenzione
delle organizzazioni sindacali romane e laziali, va visto in coordinamento con il dato della
attrazione. In ogni caso, sul contesto romano, il dato va analizzato considerando i dipen-
denti romani di imprese con sede in provincia di Roma e che operano fuori dal contesto pro-
vinciale. Si tratta di un numero molto elevato: sono circa 455mila i lavoratori romani dipen-
denti di società localizzate a Roma, ma che sono impegnati al di fuori del territorio provin-
ciale. Il dato è molto forte, poco presente al di fuori dell’area metropolitana romana e in altre
province laziali, e in crescita.
Importante appare anche la valutazione del flusso degli investimenti esteri in entrata su
Roma. Si tratta anche in questo caso di dati che confermano quanto, in modo diverso e
con un’altra finalità, emerge dalle analisi della Commissione Europea sulla capacità
competitiva.
Nel decennio 2000-2009 gli investimenti diretti provenienti dall’estero (elaborazione Eures
su dati UnionCamere), sono cresciuti con un andamento progressivo, continuo dal giubileo
(con un calo nel 2001 in ragione anche del termine del periodo giubilare) fino al 2008, anno
in cui il flusso di investimenti riprende a calare, ma attestandosi comunque su un dato
numerico consistente e ben superiore ai dati del decennio precedente.
Se si disaggregano i dati, il quinquennio 2005-2009, nonostante la crisi mostra un sensibi-
le aumento degli investimenti diretti provenienti dall’estero (quasi il doppio!) rispetto al quin-
quennio precedente. Si tratta anche in questo caso di un dato da valutare, che segnala reali
potenzialità per il sistema romano, che assorbe peraltro quasi il 98% degli investimenti
diretti provenienti dall’estero verso il Lazio! Si tratta di un dato per molti versi “eccessivo”,
che denota soprattutto la debolezza del territorio e la crisi che scuote e depaupera molti
insediamenti economici laziali.
Non si tratta di un focus previsto in questo lavoro di ricerca, ma i dati sui flussi di investi-
mento dall’estero su Roma e in generale i dati sulla capacità attrattiva e competitiva del
sistema economico romano mostrano un aspetto che le istituzioni, in primo luogo la
Regione Lazio, devono considerare: la crisi del biennio 2008-2010 ha accentuato la centra-
lità del sistema economico sociale romano nel Lazio. Una centralità evidente, ma con trat-
ti di esasperazione e che mostra i limiti e le debolezze di fondo di un territorio che dimostra
una scarsa autonomia, competitività e capacità d’agire. In questi anni il fenomeno è stato
peraltro alimentato più dalla debolezza delle altre realtà provinciali che dalla reale forza di
Roma, quantomeno dal punto di vista occupazionale e della qualità della vita. Questa lettu-
ra commentata e analisi dei dati ci permette di segnalare un vero e proprio allarme, da
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diversi punti di vista, per le altre province laziali, con particolare attenzione a Viterbo,
Frosinone e Rieti. Va peraltro segnalato come Roma si collochi al terzo posto tra le provin-
ce italiane per investimenti in entrata, non troppo lontana da Torino, che è la seconda
(Milano è la prima). In ogni caso, a ulteriore dimostrazione di quanto emerge dalla lettura
dei dati sulla nostra capacità competitiva territoriale, il 90% degli investimenti esteri in entra-
ta riguarda solo il 10% delle province italiane. Si tratta di un dato di estrema gravità, che
mostra la disomogeneità del sistema economico regionale italiano e la forte differenza in
termini di capacità di marketing territoriale. Più del 65% degli investimenti esteri in Italia
riguarda la Lombardia e solo la capacità attrattiva di Roma e Torino compensa in parte que-
sto dato.
Gli investimenti delle imprese sui mercati sono misurati anche dal dato degli investimenti in
uscita verso i mercati esteri: in questo caso il confronto conferma e bilancia il dato degli
investimenti in entrata. Il flusso del dato del decennio è però estremamente diverso e varia-
bile: abbiamo un picco nel 2001 e un nuovo picco nel 2007, seguito da veri e proprio crolli
della spesa per investimenti delle imprese romane all’estero. In ogni caso il dato medio del-
l’ultimo quinquennio 2005-2009, nonostante la crisi e il sensibile calo dal 2008, è superiore
al dato del primo quinquennio 2000-2004. Vanno però visti con attenzione i dati attestati
dopo il crollo sostanziale degli investimenti all’estero avvenuto dal 2008. Roma presenta in
questo caso comunque un dato importante: dopo Milano è la seconda area italiana per
investimenti all’estero delle proprie imprese, anche per via del fatto che Roma è sede di
numerose imprese nazionali che operano sui mercati.
Molto interessante il dato del saldo tra flusso di investimento delle imprese su Roma o da
Roma, delle imprese estere che investono su Roma e delle imprese romane che investono
all’estero: il saldo è negativo, anche se su volumi alti. Roma è la terza provincia per flusso
in entrata, ma la seconda per flusso in uscita. Si tratta di un dato che può avere diverse let-
ture. Si propende per la lettura positiva: questo saldo denota una tendenza all’ internazio-
nalizzazione delle imprese romane, più che segnalare una minore attrattività del contesto
economico romano (in quanto è comunque il terzo in Italia).
Il dato del flusso commerciale mostra come a Roma la crisi abbia portato dal 2009 (dopo
un dato record nel 2008) ad un forte calo delle esportazioni: il dato del crollo delle esporta-
zioni dal 2009 costituisce uno dei fenomeni più evidenti rispetto ai fenomeni conseguenti la
crisi del biennio 2008-2010.
Poiché le esportazioni a Roma sono calate del 23%, mentre nello stesso periodo le impor-
tazioni sono calate solo del 10%, è evidente come in questi ultimi anni nell’area romana si
sia verificato un netto deficit della bilancia commerciale romana, un incremento del deficit
che ha ridotto il tasso di copertura. Il peggioramento del dato del saldo della bilancia com-
merciale, del rapporto esportazioni e importazioni, è un dato aggravato dalla crisi, ma
comunque presente, anche se in recupero nel 2010: si tratta di debolezze strutturali del
sistema romano, anche sociale, che tende a consumare spesso più di quanto produca, ad
acquistare più di quanto venda. Il saldo della bilancia commerciale a Roma è negativo
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peraltro da tempo, ma viene compensato dagli investimenti stranieri e dal turismo.
La debolezza del tessuto produttivo romano rispetto all’export e il saldo negativo della bilan-
cia commerciale è un vero e proprio dato storico (studiato proprio come tale dagli storici che
ritengono che questo fenomeno si sia realizzato per la prima volta con l’avvio della grande
espansione augustea dell’Impero romano quando la città avrebbe iniziato a consumare più
di quanto produceva). Questo dato segnala tuttavia il forte peso su Roma di componenti
acicliche dell’economia, che rischiano di “proteggere” alcuni importanti settori, soprattutto
del terziario, non collegandoli alle dinamiche di mercato e di non sostenere adeguatamen-
te la vocazione all’export di altri settori, presenti nell’economia romana, come le imprese
che operano nel campo dell’innovazione tecnologica.
Il biennio 2009-2010 ha rappresentato in ogni caso per export romano un dato negativo,
che va segnalato anche in quanto dimostra il “ripiegamento sui fattori aciclici, sulle rendite
di posizione” di parte dell’economia capitolina. Tuttavia i dati di miglioramento del 2010,
rispetto a quanto registrato nel 2009, fanno sperare in una reazione positiva e in una capa-
cità dell’economia romana di tornare ad essere più forte sui mercati, dando maggiore equi-
librio a una bilancia commerciale, tipica di una città che ancora oggi, come duemila anni fa,
compra più di quanto venda.
Rispetto ai dati dei distretti manifatturieri presenti nel contesto romano, si possono segna-
lare le tendenze dell’informatica (Tiburtina Valley), da tempo in calo (la crisi è iniziata per-
lomeno dal 2004, con una diminuzione delle esportazioni nell’ordine del 40% negli ultimi 5
anni), mentre godono di una migliore salute le attività di raffinazione presenti a Malagrotta,
le aziende informatiche e le aziende alimentari. Roma non ha tuttavia una realtà manifattu-
riera con evidenti specializzazioni: le attività legate all’informatica e a maggiore capacità di
innovazione tecnologica presenti nell’area romana appaiono considerando le esportazioni
del 2008-2009 in buona salute, così come gli apparecchi elettrici, la carta e stampa, la pro-
duzione agroalimentare. Crollano nel biennio della crisi a Roma le esportazioni del tessile,
della chimica, della plastica, della metallurgia, dei macchinari e della produzione di mezzi
di trasporto. Il calo medio delle esportazioni, delle performances delle imprese romane
all’estero in questi settori nella fase di crisi è intorno al 20%.
Tengono le esportazioni nei paesi in crescita, in Asia e in Africa, mentre cala con la crisi
l’esportazione in America e negli altri paesi europei, con conseguenze pesanti, in quanto
sono proprio America e Unione Europea le aree a maggiore destinazione dei prodotti delle
aziende romane.
Altri aspetti da considerare ci provengono direttamente dal recente lavoro di ricerca com-
missionato dal Comune di Roma Capitale per Roma 2020 (elaborazioni Roma RpR). In
ragione dei diversi approcci appare utile confrontare l’elaborazione del Comune di Roma
con i dati che emergono dalla contestuale e analoga rilevazione svolta dal CER per CNA
Roma.
Il recente lavoro di studio e di analisi sulle dinamiche produttive della Capitale curato da
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Risorse RpR per il Comune di Roma legge sostanzialmente i dati aggiornati di Movimprese,
l’archivio di UnionCamere, che per quanto riguarda Roma ci mostra come:. sul territorio romano siano presenti (dati 2009) ben 435mila imprese, dato che fa di
Roma l’area in cui si trova circa il 7% delle imprese complessive in Italia;. il numero di imprese nel triennio 2007-2009 è cresciuto del 3,2%, dato che resta in atti-
vo anche considerando il biennio 2008-2009 in cui, nonostante la crisi in atto, le impre-
se sono cresciute dell’1,5%;. il confronto rispetto alla crescita numerica è significativo in quanto nello stesso periodo
il dato di propensione all’imprenditorialità in Italia è risultato negativo;. se si considera il saldo tra le imprese avviate e quelle cancellate il dato che registra la
variazione tra il 2008 ed il 2009 è negativo, per via della crisi, ma la variazione a Roma
è di un calo del 16%, a fronte di un dato nazionale che registra per lo stesso periodo un
calo superiore al 50%;. ogni 100 imprese registrate ci sono quindi state, nel 2009, 7 iscrizioni e 5 cancellazioni;. oltre ai dati considerati sul ruolo del commercio, dell’edilizia, della ricettività turistica,
delle attività immobiliari, va segnalato come a Roma le società che svolgono servizi di
informazione e comunicazione incidono per il 4,1% sul tessuto economico, una percen-
tuale pari al doppio del dato medio italiano;. la ricerca RpR evidenzia la forte presenza di piccolissime imprese, con meno di 10
addetti, che sono più del 95% delle imprese romane (considerando la percentuale tra le
unità produttive), con un dato superiore alla media nazionale;. la forbice tuttavia viene confermata: le imprese con più di cinquanta dipendenti a Roma
rappresentano meno dell’1% sul numero di unità produttive, ma offrono lavoro a più del
34% degli occupati romani.
Appare utile confrontare questi dati: le imprese con più di cinquanta dipendenti a Roma e
provincia sono poco più, in media, di quanto presente nell’economia nazionale, ma creano
più occupazione (35% contro il 25% di occupazione dalle grandi imprese come dato roma-
no e nazionale). Le piccolissime imprese, con meno di dieci addetti, sono più della media
nazionale (96% contro il 94%), ma occupano a Roma poco più del 46% degli addetti, con-
tro il 51% nazionale. Si tratta di una divaricazione già considerata che mostra come la
dimensione di impresa sia a Roma collocata su due estremi e come a Roma siano relativa-
mente più deboli proprio quelle imprese di fascia intermedia, tra i dieci e i quarantanove
addetti, che di solito risultato più dinamiche e più labour intensive, in grado di generare una
maggiore occupazione.
Va notato come le aziende del settore industriale a Roma siano mediamente più piccole,
come numero medio di addetti, rispetto al dato nazionale, mentre le aziende che operano
nei servizi, in particolare nel turismo, a Roma siano in media per numero di addetti più gran-
di rispetto al dato medio delle aziende in Italia. In particolare il dato medio delle aziende che
operano nel settore della intermediazione finanziaria e immobiliare a Roma sono più strut-
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turate rispetto al dato medio nazionale. Per quanto riguarda il valore aggiunto, anche RpR
riporta il dato dell’Istituto Tagliacarne, che mostra come a Roma durante la crisi del 2009
l’economia romana abbia avuto una riduzione del prodotto interno lordo pari allo 0,6%
rispetto all’anno precedente, riduzione molto inferiore a quella nazionale, fissata nel 3,3%.
Possiamo quindi vedere in modo più dettagliato quali siano stati i settori che sono stati più
penalizzati dalla crisi nel contesto romano: l’industria (che cala a Roma più del 16%) e
l’agricoltura calano ulteriormente, mentre tengono i servizi e le costruzioni.
L’evoluzione delle dinamiche produttive è considerata anche dal lavoro commissionato ad
inizio 2011 dalla CNA (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media
impresa) di Roma all’istituto di ricerca CER. Si tratta di una indagine congiunturale che esa-
mina la fase di passaggio tra il secondo semestre 2010 e le aspettative per il 2011 per quan-
to riguarda il sistema delle piccole e medie imprese, con attenzione quindi a quell’ambito
dell’attività economico produttiva romana su cui si concentra anche questo report e che
sembra segnare maggiori difficoltà rispetto alla ripresa. La centralità del sistema PMI nella
qualità e nello stato di salute dell’economia romana e la necessità di verificare costante-
mente criticità e opportunità di questo ambito dimensionale dell’impresa romana rende
necessario un capitolo specifico, con un focus sull’attività a dimensione artigiana e indivi-
duale, in cui avremo occasione di riprendere alcune valutazioni della ricerca CER per CNA
ROMA. Questo lavoro di ricerca segnala rischi di una mancata ripresa nel 2011, ulteriori dif-
ficoltà, soprattutto per il sistema delle piccole imprese, anche a fronte della tenuta di altri
settori e di una dinamica complessiva di sostanziale tenuta, esposta in precedenza sulla
base di altre considerazioni e analisi di sistema. Insomma, dall’analisi dei comportamenti
delle PMI romane nel passaggio cruciale tra il 2010 ed il 2011 la ricerca CER CNA stigma-
tizza alcuni aspetti di debolezza strutturale delle PMI romane e del sistema infrastrutturale
destinato a sostenere la funzione delle PMI e paventa rischi dal 2011, in assenza di inter-
venti, di un arretramento del ruolo e della forza delle piccole imprese romane nel sistema
economico della Capitale.
La ricerca CEr afferrma quindi che anche nella Provincia di Roma, il ciclo espansivo non è
ancora consolidato e il terreno perso nel corso della recessione non ancora recuperato. Gli
indicatori misurati da Cna Roma (produzione, ordini, fatturato, fatturato estero e utile lordo)
secondo l’indagine CER sono in miglioramento, ma continuano a presentare valori negati-
vi, segno che una nuova fase di espansione non ha ancora preso avvio. Inoltre, il migliora-
mento registrato nel consuntivo 2010 è inferiore alle attese espresse nella precedente
Indagine CER per CNA Roma, a conferma del rallentamento intervenuto nella seconda
parte dell’anno.
L’Indagine CNA evidenzia, anche per le piccole imprese della Provincia di Roma, una situa-
zione definita di recupero in attesa di consolidamento. La fase congiunturale manifesta un
lento miglioramento, ma secondo l’Indagine molta strada deve essere ancora percorsa per
ritornare alle condizioni antecedenti la recessione. Tutti gli indicatori estratti dall’Indagine
(produzione, ordini, fatturato, fatturato estero e utile lordo) mostrano infatti un miglioramen-
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to, ma continuano a collocarsi in territorio negativo, con la percentuale di imprese che espri-
me giudizi positivi (“in aumento”) inferiore a quella che esprime al contrario un giudizio
negativo (“in diminuzione”). Questo anche perché il miglioramento registrato nel consunti-
vo 2010 è inferiore alle attese, a conferma del rallentamento intervenuto nella seconda
parte dell’anno. L’andamento di fine 2010, inizio 2011 ha deluso le speranze di molte pic-
cole imprese romane.
Altra interessante e condivisibile considerazione che si può trarre dall’ indagine 2011 del-
l’istituto di ricerca CER per CNA è che la debolezza della ripresa trova una spiegazione
anche nella sua forte dispersione settoriale. In alcuni comparti, segnala il report di indagi-
ne, il recupero della domanda è più consistente e più agevoli sono quindi le scelte di ristrut-
turazione delle imprese. Altrove, invece, sembrano ormai essersi determinate situazioni di
crisi conclamata, e l’indagine raccomanda la presenza di forme di sostegno pubblico che
accompagni i processi di riconversione del modello produttivo. Vale la pena considerare
una valutazione del CER, presente come punto di vista nell’indagine 2011 sotto forma di
raccomandazione, che critica “l’illusione che l’attuale crisi configuri un normale episodio di
oscillazione ciclica, laddove ci troviamo di fronte a una discontinuità che necessiterebbe
dell’elaborazione di nuove strategie di sviluppo”. È una valutazione utile che avremo occa-
sione di riprendere. In ogni caso è opportuno anticipare in questo paragrafo alcune consi-
derazioni che emergono dal rapporto CER e che sono presenti anche in altre analisi sul
sistema romano:. il sistema delle piccole e medie imprese è nel contesto romano più debole e ha mag-
giormente risentito della crisi in corso, che per i prossimi mesi è destinata a proseguire;. il rafforzamento delle piccole imprese romane costituisce una scelta di fondo, anche per
quanto riguarda la capacità di trasferire gli elementi di qualità e di innovazione già pre-
senti nelle imprese di maggiore dimensione;. questa fase mostra la necessità di operare in netta discontinuità con quanto accaduto
in passato, in quanto il sistema delle PMI romane richiede un’azione di sistema in grado
di evitare la marginalizzazione e di poter valorizzare le opportunità reali presenti nel
contesto romano;. servono politiche incisive, che intervengano sui nodi critici delle infrastrutture per i ser-
vizi, dell’accesso al credito (molto elevate le garanzie richieste dalle banche per l’acces-
so al credito nel contesto romano), del capitale umano, del mercato del lavoro.
Questo quadro ci disegna pertanto un contesto territoriale, un modello socio economico a
“differente capacità competitiva”, in quanto l’area metropolitana romana ha fattori di compe-
titività di qualità alquanto diversa, ma promuove a sua volta sviluppo con evidenti differen-
ziali di competitività per settori e tipologie di impresa. Alla forza delle imprese romane si
accompagna a volte una debolezza del territorio e del mercato del lavoro, delineando in
questo modo una complessità, criticità che vanno considerate e affrontate, attraverso
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soprattutto lo spazio che deve essere attribuito alla programmazione delle politiche per lo
sviluppo e il lavoro.
Servono quindi interventi strutturali, di ambito almeno regionale, di prospettiva nazionale e
non meri interventi difensivi, in quanto il modello economico romano rischia la frammenta-
zione e quindi l’indebolimento, in assenza di un territorio in grado di possedere e di rende-
re accessibili tutti gli strumenti e le condizioni per lo sviluppo e per la capacità competitiva.
Si tratta di valutazioni che possono essere condivise, soprattutto se si considerano gli
aspetti specifici e qualitativi che emergono dalla lettura delle conseguenze della crisi, se
valutiamo l’impatto sul sistema delle imprese con meno di cinquanta dipendenti e se osser-
viamo lo stato di salute di alcuni aspetti determinanti per la competitività del sistema roma-
no, come il credito, l’istruzione, i trasporti, il capitale umano e il mercato del lavoro.
5. L’evoluzione complessiva del mercato del lavoro nel biennio 2010-2011
Il rapporto curato da questo stesso gruppo di ricerca dell’Università “Sapienza” per il
Comune di Roma nel 2010, dal titolo “Mutamenti del lavoro a Roma tra crisi e riforme. 2008-
2010: un biennio difficile”, ha evidenziato le difficoltà del mercato del lavoro romano sia
nella fase congiunturale (come conseguenza della crisi produttiva) che come conseguenza
di una debolezza strutturale delle istituzioni e dei servizi per il mercato del lavoro e la for-
mazione.
Appare utile accennare in questo paragrafo alcuni aspetti di fondo sul mercato del lavoro
romano che vengono ripresi e approfonditi in paragrafi successivi ed in uno specifico capi-
tolo. È utile infatti cogliere alcuni aspetti specifici delle dinamiche romane, da valutare negli
aspetti generali.
Si tratta di non limitarsi alla lettura della ricaduta sull’occupazione da parte della crisi, veri-
ficabile attraverso il ricorso alla cassa integrazione e agli ammortizzatori, soprattutto in
deroga, ma di provare ad esaminare la funzionalità degli strumenti di prevenzione, di gover-
no, di incontro domanda offerta e di reimpiego. Inoltre si tratta di riconoscere le condizioni
dell’autonomia individuale sul lavoro, dell’adattabilità e dell’occupabilità del lavoratore
romano. Non è affatto sufficiente quindi, per cogliere le dinamiche del lavoro su Roma, la
mera lettura quantitativa del ricorso alla crisi o del numero degli avviati: in questa fase l’ana-
lisi qualitativa offre spunti anche più interessanti. Anche questo Report di ricerca, come
quello presentato nel 2010, dà enfasi all’aspetto qualità del lavoro, in quanto lo sviluppo del
modello economico di Roma dipende in gran parte dalla capacità di innovare, rafforzare la
capacità di agire dei romani e la competitività territoriale attraverso una migliore qualità
delle politiche, dei servizi e degli strumenti per le competenze, le opportunità, il lavoro.
Questa ricerca, nell’analisi dei dati e delle performances delle politiche e degli strumenti del
lavoro, rispetto al tema relativo al capitale umano e al lavoro, elabora e presenta due con-
vinzioni di fondo, che derivano dalla lettura e dal commento dei dati emersi in diverse fonti.
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La prima convinzione di fondo è la seguente: il modello economico romano per le sue carat-
teristiche può alimentare fenomeni di forte divisione nell’assetto del mercato del lavoro, con
una presenza di lavoro a termine superiore alla media nazionale.
La seconda convinzione di fondo ritiene che la debolezza delle istituzioni formative, educa-
tive e degli strumenti per il governo del mercato del lavoro nell’area metropolitana di Roma
costituisca il limite più evidente allo sviluppo di questa stessa area.
Qualsiasi analisi delle dinamiche del mercato del lavoro nell’area metropolitana di Roma
deve tenere conto di alcune peculiarità, che rendono interessante e significativo il lavoro a
Roma, cogliendo opportunità non del tutto confermate e tradotte in posti di lavoro. Il lavoro
a Roma ha alcune caratteristiche di assoluta originalità rispetto al resto del Paese:
a) è prevalentemente nel terziario (87% di addetti, record italiano);
b) riguarda lavoratori con scolarità medio alta (67%, contro il 55% della media nazionale);
c) ha avuto una tendenza di crescita per circa otto anni consecutivi, interrotta solo nel
2009;
d) ha una forte presenza di rapporti a termine (tra il 65% e l’85% degli avviati nel biennio
2008-2009) e di rapporti part-time (16% contro il 14% della media nazionale);
e) ha una minore presenza di lavoro autonomo rispetto alla media nazionale (21% contro
il 25% del dato medio nazionale).
Questi aspetti sono senza dubbio di estremo significato e disegnano un lavoro alla “ricerca
delle competenze” in cui solo l’evoluzione in termini di qualità del sistema economico pro-
duttivo può rispondere a questo tipo di domanda e in cui l’assenza o la debolezza dei ser-
vizi per il lavoro e la formazione possono determinare effetti negativi più di quanto accade
in altri modelli di mercato del lavoro. Si tratta di fenomeni di fondo, che negli anni si sono
consolidati definendo per Roma un mercato del lavoro con aspetti peculiari e che richiede
quindi interventi specifici, concertati, condivisi e soprattutto efficaci. Su queste tematiche ci
concentriamo nel capitolo specifico dedicato alla lettura analitica del mercato del lavoro
romano.
Roma ha quindi un lavoro nel terzo millennio che attende una evoluzione in questo senso
dell’economia e auspica la presenza di un welfare per il lavoro adeguato a questi bisogni.
Nonostante la crescita dell’ultimo decennio, interrotta nel 2009, il dato di fondo del lavoro a
Roma è che il mercato del lavoro, il tasso di occupazione appaiono meno brillanti e dinami-
ci rispetto all’andamento dell’economia e alla produzione di ricchezza. Roma è ai primi posti
nel reddito procapite, nel valore aggiunto, nel PIL individuale, nella creazione di ricchezza,
ma è solo al cinquantottesimo posto in Italia per tasso di occupazione (superiore comun-
que alla media) e si trova al duecentesimo posto nell’analisi europea sull’efficacia dei siste-
mi regionali del lavoro. Negativo anche il confronto con un aspetto determinante per la
misurazione della qualità dei sistemi del lavoro: nella componente femminile, nonostante la
terziarizzazione e il pubblico impiego, il tasso di occupazione è di poco superiore al 52%,
quasi venti punti in meno dell’occupazione maschile. Si tratta di un distacco analogo a quel-
lo presente nelle realtà territoriali del Centro Sud.
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La Roma dell’economia si confronta con l’Europa del Nord, mentre la Roma del lavoro è
decisamente su dati mediterranei, un elemento di criticità e di ritardo che pesa sulle poten-
zialità di sviluppo del sistema, che va considerato come un organismo complesso. È uno
iato evidente, palese e clamoroso, che richiede interventi e politiche adeguate. Si tratta di
dati che confermano quanto già affermato in tutte le analisi considerate: le istituzioni del
mercato del lavoro e della formazione sono a Roma particolarmente deboli, sia nel confron-
to europeo che per quanto riguarda il confronto con le altre aree metropolitane del Centro
Nord (nel capitolo analitico svolgiamo in questo senso il confronto con Milano, Torino e
Genova).
Come ricordato (dato elaborato nel dettaglio già nel report Università di Roma per il
Comune di Roma del 2010), gli effetti occupazionali della crisi sono stati a Roma registrati
con meno enfasi, per via di alcuni aspetti di fondo del tessuto economico romano, in parte
del tutto aciclici. Tuttavia la crisi ha evidenziato alcune fragilità di fondo del lavoro a Roma,
che richiedono una messa in qualità dei servizi e delle istituzioni formative e del mercato
del lavoro.
L’impatto della crisi su Roma è stato in ogni caso significativo dal punto di vista numerico,
come già rilevato: le persone in cerca di occupazione dal 2008 al 2010 sono aumentate del
15%. Se consideriamo il quinquennio 2004-2009 a Roma le persone in cerca di occupazio-
ne sono aumentate quasi del 20%, mentre nello stesso periodo in Italia sono addirittura di
poco diminuite (meno 0,8%). Sono dinamiche che hanno a che vedere anche con la pre-
senza dei rapporti a termine e con il mancato rinnovo dei contratti a progetto. Cala conse-
guentemente anche il tasso di occupazione, mentre aumenta il tasso di disoccupazione
(8,1%). Attenzione al dato della disoccupazione giovanile: con un dato superiore al 30%
(considerando la popolazione tra i 15 ed i 24 anni) Roma ha il peggior dato del Lazio ed è
superiore al dato medio nazionale. Rispetto al 2005 la disoccupazione giovanile a Roma è
aumentata di ben sei punti: si tratta di una tendenza forte, netta, che richiede una seria
riflessione e strumenti di contrasto. Il dato della crisi registrato dal punto di vista dell’aumen-
to delle ore di cassa, soprattutto in deroga, è evidente nel 2010: un aumento della cassa
integrazione in deroga, con variazioni tendenziali che hanno registrato un valore massimo
nel primo trimestre del 2010, il 621,3%, e un valore minimo nel quarto trimestre del 2010, il
202%. Un calo tendenziale delle ore di CIG straordinaria si è registrata nei primi due trime-
stri del 2010: del -58,6% nel primo trimestre e del -30,2% nel secondo trimestre. Inoltre un
aumento della CIG in deroga si è avuto anche in apertura di 2011, con una variazione a
gennaio di circa il 145%. In riduzione sono invece le componenti ordinaria (-1.2%) e anco-
ra più straordinaria (-24,3%).
Sono dati che confermano come, anche se Roma abbia avuto segnali in controtendenza
rispetto alla crisi produttiva, il dato relativo al lavoro sia invece del tutto coerente con la crisi
nazionale. Il dato previsionale per il 2010, le assunzioni previste, considerando la ricerca a
campione di UnionCamere Sistema Excelsior, aveva sovradimensionato la ripresa prevista
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nel 2010 in termini occupazionali: ad un primo semestre che sembrava infatti indicare una
possibile inversione di tendenza con un recupero leggero dell’occupazione, è seguito un
secondo semestre negativo, che ha riportato ad inizio 2011 il dato delle assunzioni in nega-
tivo. Roma in questo senso ha confermato quanto è avvenuto nel resto d’Italia, con l’incre-
mento soprattutto del numero di inoccupati e della disoccupazione giovanile.
Questa sfiducia sulla ripresa occupazionale si rileva anche sulle ricerche previsionali effet-
tuate per misurare l’andamento nel 2011, per esempio l’analisi a campione sulla Provincia
di Roma effettuata dal CER.
Si tratta di una ricerca che coglie il fenomeno dal punto di vista delle piccole imprese, con
un campione mirato. Gli andamenti delle grandi imprese romana appaiono in parte miglio-
ri, ma è utile per i fini di questa ricerca cogliere lo specifico delle piccole imprese con un
maggiore dettaglio. Il focus sul mercato del lavoro delle piccole imprese romane mostra
infatti alcuni aspetti di maggiore problematicità, che questa ricerca vuole evidenziare per le
implicazioni che ne derivano per quanto riguarda le politiche e gli interventi da promuove-
re. Appare opportuno quindi riportare i dati di fondo di questa aggiornata ricerca e il relati-
vo commento: “Con riferimento al numero di addetti, confrontando il consuntivo del secon-
do semestre del 2010 e le previsioni per il primo semestre del 2011, emerge come le aspet-
tative degli imprenditori indichino un’ulteriore riduzione, seppur contenuta, del numero di
addetti. Infatti, il saldo, nei due periodi, tra le imprese che hanno aumentato (o intendono
farlo per il 2011) il numero di addetti e quelle che lo hanno diminuito (o prevedono di farlo)
è negativo e cresce in valore, - 7,7% al -8,9%. Per il primo semestre del 2011 è da sottoli-
neare una piccola riduzione delle imprese che intendono ridurre il numero di addetti rispet-
to a quanto fatto nel secondo semestre del 2010 (dal 16,1% al 15,1%) anche se si assiste
contemporaneamente ad una diminuzione della percentuale di imprese che hanno incre-
mentato (o intendono incrementare) il numero di addetti (dall’8,4% al 6,2%) e ad un raddop-
pio della percentuale di imprese che non esprimono alcun giudizio (dall’8,2% al 17,1%) evi-
denziando il grado di incertezza circa i futuri livelli occupazionali aziendali che risentono in
maniera ritardata ma drammatica degli effetti negativi della crisi economica” (Indagine CER
per CNA 2011, pag. 31).
La dinamica del lavoro romana prosegue nel 2010-2011 l’andamento negativo avviato con
evidenza nel 2009, senza ad oggi la possibilità di verificare una sensibile odì interessante
inversione di rotta (i dati in questo senso positivi del secondo trimestre 2010 sono stati
smentiti dal trimestre successivo, la cui tendenza è poi proseguita). Il dato occupazionale
romano tuttavia non va colto tanto nell’esame dettagliato del termometro occupazionale,
quanto in alcuni aspetti di fondo che la crisi ha confermato e che devono allarmare più delle
conseguenze congiunturali della crisi sull’occupazione: il sistema economico romano, per
le sue caratteristiche, in assenza di servizi e interventi adeguati produce poco lavoro (Roma
ha un tasso di occupazione superiore alla media nazionale, ma relativamente basso rispet-
to alla sua capacità di produzione di ricchezza e a contesti territoriali analoghi) e il lavoro
che si crea in modo strutturale si presenta, oggi anche nella pubblica amministrazione,
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attraverso modalità contrattuali e forme flessibili e a termine. La combinazione tra la tenu-
ta relativa del pubblico impiego e la presenza delle stagionalità del terziario ha permesso a
Roma di “tenere”, ma non è immaginabile una ripresa dell’occupazione a Roma in termini
di qualità e di sviluppo sostanziale senza riflettere su alcuni limiti di fondo del tessuto eco-
nomico, produttivo e sociale romano e senza riflettere sulla debolezza delle istituzioni edu-
cative e del mercato del lavoro (stigmatizzata in modo evidente dal report sulla competitivi-
tà dell’Unione Europea).
6. Gli snodi in termini di qualità dei sistemi e i ritardi
Ogni considerazione sul sistema sociale ed economico romano deve tener conto di alcuni
aspetti specifici, dell’originalità del modello Roma, avendo cura di non svolgere interventi o
valutazioni parziali o limitate. Le caratteristiche del modello sociale ed economico della
Capitale possono infatti essere viste in modo diverso, se non consideriamo come i differen-
ti elementi si tengono insieme. Quasi tutte le componenti dell’economia e del lavoro presen-
ti a Roma, infatti, possono essere valutate sia in termini di positività che di criticità: molte
ricerche ed analisi, soprattutto se settoriali, partono da punti di vista od analisi parziali e fini-
scono quindi con il delineare visioni non di sistema.
Possiamo sintetizzare nelle seguenti considerazioni gli aspetti specifici del contesto roma-
no, valutando cosa comportano sia in termini di potenzialità che di criticità:
1. economia con aspetti aciclici (per le specificità non legate all’andamento del mercato
internazionale): garanzia di stabilità di fondo, ma anche promozione di rischi di passivi-
tà e di comportamenti che non colgono adeguatamente le opportunità del mercato, per
esempio non valorizzando le potenzialità dell’esportazione (con una componente
socioeconomica indifferente alle dinamiche ed una che le subisce, creando un contesto
con potenziali squilibri);
2. settori aciclici da rivedere: pubblica amministrazione, scuola e sistema sanitario (per la
necessaria contrazione dei costi) richiedono interventi di ridimensionamento e sono
destinati ad una minore incidenza, mentre il turismo impone investimenti per la qualità
(rischio del turismo “mordi e fuggi”);
3. terziarizzazione spinta: dinamiche occupazionali interessanti, ma con forti rischi di fles-
sibilità nel rapporto di lavoro e stagionalità strutturali;
4. presenza di sedi di grandi imprese: sicurezza nell’insediamento, ma esternalizzazione
delle decisioni per lo sviluppo di Roma e minor peso delle piccole e medie imprese ed
anche rischi per la minore presenza di strutture per lo sviluppo delle fasce di impresa
più giovane e dinamica.
L’economia romana vive quindi insieme elementi di sicurezza e di turbolenza, conseguenti
al fatto che molta dell’economia presente a Roma non deriva dalla capacità imprenditoria-
le dei romani o da innovazione e creatività, ma è indotta dalla sua funzione di Capitale e da
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scelte di investimento esogene. Questo implica rischi di “rilassamento” in termini di capaci-
tà strategica istituzionale, di promozione di politiche e di servizi, che questa fase storica non
può consentire: servono politiche e servizi per lo sviluppo, il capitale umano e per contra-
stare i rischi che questo modello di sviluppo comporta, attraverso la costruzione di un
modello ROMA 2020 in grado di puntare di più sulla qualità, sulle infrastrutture, sul capita-
le umano, sull’innovazione. Si tratta di scelte che al tempo stesso possono, in questo modo:. intervenire sui fattori di debolezza della capacità competitiva evidenziati da tutti i dati
economici e dalle rilevazioni (mercato del lavoro, capitale umano, scuola, propensione
all’export, infrastrutture per servizi avanzati alle imprese, garanzie sul credito, trasporti,
sostegno alle PMI);. sostenere una maggiore presenza di fattori economici e produttivi legati alla reale iden-
tità economica del territorio, favorendo anche il rafforzamento ed il dinamismo delle pic-
cole e medie imprese;. puntare decisamente, attraverso politiche, servizi e risorse mirate sulla propensione
all’innovazione dell’economia romana, anche con maggiore vocazione all’export;. recuperare un rapporto con i circuiti internazionali dell’economia, che favorisca la pro-
pensione all’esportazione ed alla produzione a vocazione internazionale, attualmente
limitata;. promuovere politiche e servizi per consentire scelte di fondo sul modello economico
produttivo, sul tipo di servizi, terziario, artigianato, turismo, commercio utile per una città
a sviluppo sostenibile e di qualità.
Alla politica è chiesto, come emerge dai commenti presenti nei diversi report considerati
sull’andamento economico produttivo, di intervenire attraverso servizi e politiche sulle com-
ponenti in grado di tenere insieme in sistema romano, un modello che rischia la dispersio-
ne e la scomposizione (“città nelle città”), perpetuando quella frammentazione che è da
sempre presente nella storia e nei comportamenti della Capitale. Il tema qualità costituisce
il vero snodo di fondo, da declinare attraverso scelte e investimenti che dovrebbero preve-
dere un confronto tra gli stakeholders, tra i decisori istituzionali e le forze economiche e
sociali, che non sia condizionato da obiettivi o pregiudizi politici e di parte, dalle logiche par-
ziali degli schieramenti (come invece capita sovente nelle vicende romane), ma sia legato
ad un tema, quello del bene comune e degli interessi generali, che nella vicenda storica
della politica romana non appare come il più presente e prioritario. In ogni caso il rischio
dello scollamento, della separazione, dell’indebolimento dei legami sociali ed economici è
una dei possibili sbocchi di questa fase e l’impegno per recuperare la coesione sociale ed
economica e per promuovere una idea di Capitale coerente con gli obiettivi di ROMA 2020
implica una azione di destrutturazione di pratiche e metodi di confronto e di lavoro supera-
ti ed improduttivi e un impegno forte per qualificare politiche, servizi e strumenti sia attra-
verso interventi materiali (trasporti, infrastrutture), che attraverso investimenti sulle compo-
nenti immateriali dello sviluppo (banda larga, sistema formativo, servizi per il lavoro), che
oggi appaiono carenti, a fronte di una visione di sistema dell’area metropolitana che ci per-
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metta di vedere Roma nel suo insieme e non come un puzzle disarticolato di vocazioni, con-
testi, distretti.
Non si tratta di scelte scontate, in quanto questo “puzzle” economico sociale della Capitale,
con la maggiore area metropolitana d’Italia, richiede che le scelte di qualità facciano siste-
ma, si rendano omogenee e disponibili per tutto il territorio, nella logica delle reti per lo svi-
luppo. In ogni caso i limiti su cui intervenire, così come le potenzialità sono piuttosto evi-
denti e chiari: i decisori politici in questo senso hanno la responsabilità di intervenire pron-
tamente, a fronte di un delicato passaggio di fase economica che vede Roma e in parte il
Lazio, più pronte di altre regioni e aree d’Italia, ma anche nella necessità di abbandonare
alcune abitudini del passato, presenti soprattutto nello snodo del rapporto tra capacità isti-
tuzionale ed economica. Il tema dei servizi per la capacità d’agire e per l’autonomia indivi-
duale si declina in termini di diritti (accesso a strumenti contrattuali, negoziali, vertenziali per
la risoluzione di conflitti e per l’affermazione e definizione delle tutele); competenze (acces-
so a strumenti e incentivi per l’occupabilità e le pari opportunità); strumenti (accesso a ser-
vizi di welfare per la transizione da lavoro a lavoro); opportunità (accesso ad incentivi per
la creazione di impresa e l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro). La qualità del siste-
ma economico e sociale romano risulta quindi valutabile soprattutto dalla presenza sul ter-
ritorio, per i cittadini e le imprese, di servizi efficaci, diretti ed accessibili in grado di soste-
nere l’autonomia individuale e la capacità d’agire. In questo senso diventa opportuno defi-
nire una nuova capacità istituzionale in grado di promuovere politiche pubbliche in grado di
affiancare, dare consulenza, informare e soprattutto di disintermediare.
Questo nuovo tono delle politiche pubbliche, di natura fortemente liberale e con connotati
sociali, necessario per una società aperta, richiede da un lato un’azione di rendiconto e di
verifica dell’attuale complesso sistema di servizi e politiche e dall’altro una revisione del
modello di governance, che opera sull’area romana attraverso diversi livelli e funzioni
amministrative e di governo che, per quanto riguarda alcuni aspetti di maggiore difficoltà
(per esempio mercato del lavoro e capitale umano, ma anche trasposti ed accesso al cre-
dito per le imprese ), sono in parte peraltro nelle funzioni e nei poteri della Regione Lazio e
della Provincia di Roma. L’intervento per la qualità dello sviluppo concerne quindi due livel-
li di intervento che chiamano in causa la governance del sistema:
a) governance orizzontale, nella piena integrazione delle funzioni per lo sviluppo (attività
produttive, infrastrutture, formazione e capitale umano);
b) governance verticale, nella capacità di programmazione integrata e di collaborazione
interistituzionale tra Regione, Provincia, Comune e Municipi.
Appare quindi importante, tema che verrà ripreso nel capitolo conclusivo, definire e raffor-
zare una governance istituzionale più funzionale (il raccordo programmatico Regione,
Provincia e Comune è fragile e confuso), una presenza meno ambigua della sussidiarietà,
una maggiore funzione del dialogo sociale come strumento di condivisione progettuale, una
pratica continua del rendiconto, della valutazione e della verifica dell’impatto di politiche,
incentivi e servizi.
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7. Governance, programmazione, politiche e servizi
La centralità delle politiche pubbliche per la promozione della capacità d’agire e per lo svi-
luppo trovano riferimento nel pensiero sociologico ed economico moderno in modo chiaro
e definito. In una delle opere più significative degli ultimi cinquantanni, per quanto riguarda
il tema dell’autonomia individuale e del significato del lavoro e dello sviluppo, “ Vita activa”
di Hannah Arendt, si afferma che “né l’istruzione, né l’ingegno o il talento possono sostitui-
re gli elementi costitutivi della sfera pubblica, che la rendono la sede più adatta per l’eccel-
lenza umana”.
L’analisi dei dati sulla competitività nell’area metropolitana romana segnalano come questa
valutazione sia pertinente e attuale e come sia pertanto opportuno valutare il ruolo dei ser-
vizi e delle politiche pubbliche per lo sviluppo e per la competitività, sia attraverso lo speci-
fico aspetto della capacità istituzionale (l’efficacia dei decisori e delle decisioni) che attra-
verso la verifica dell’impatto delle funzioni, delle attribuzioni, delle politiche e dei servizi per
lo sviluppo economico e sociale del territorio romano. I dati delle performances del territo-
rio romano evidenziano in modo piuttosto diretto come il dato dell’impatto delle politiche
pubbliche sia variabile e disomogeneo, soprattutto in alcuni settori chiave.
La valutazione delle dinamiche sociali ed economiche della Capitale degli ultimi anni segna-
lano la necessità di progettare e promuovere un nuovo modello di governo del territorio, che
affianchi e sostenga lo sviluppo e la qualità dell’economia e del lavoro.
I motivi per cui questo richiamo ad una nuova stagione di politiche pubbliche per Roma
emerge con forza da questo lavoro di ricerca possono essere così riassunti ed esposti in
ordine logico e conseguente:. il rafforzamento della capacità d’agire, sia delle persone che delle imprese, risulta
necessario per sostenere lo sviluppo nell’area romana e richiede politiche pubbliche
mirate e specifiche, fortemente integrate ed efficaci;. la componente economica romana, quella sorta di “ ammortizzatore”, di “assicurazione“
dalle eccessive turbolenze dei mercati (pubblica amministrazione, turismo, presenza di
grandi società) che deriva dalla funzione storica ed istituzionale della Capitale e che ha
in parte limitato gli effetti della crisi attuale, non appare sufficiente per poter sostenere
e promuovere uno sviluppo per un area di circa quattro milioni di persone, peraltro for-
temente attrattiva in una Regione che non ha altri significativi poli economici;. l’incapacità della componente aciclica dell’economia romana di contenere i rischi delle
turbolenze dei mercati riguarda soprattutto i riflessi in termini quantitativi e qualitativi sul-
l’occupazione e richiede pertanto azioni in grado di sostenere la presenza sui mercati
delle imprese romane;. il potenziamento della capacità di agire delle imprese romane sui mercati impone un raf-
forzamento delle politiche e dei servizi pubblici, rispetto soprattutto alle carenze in ter-
mini di competitività segnalate dagli osservatori dell’Unione Europea;. l’azione di revisione del modello di politiche e servizi per la competitività nell’area roma-
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na richiede un intervento di sistema in grado di agire sui quattro livelli di debolezza che
emergono con più evidenza dall’analisi comparata dei report sulla competitività territo-
riale, quali infrastrutture (trasporti, etc.), sostegno all’imprenditorialità (export, etc.),
capitale umano e servizi per il lavoro, capacità istituzionale e di governo della rete;. la distribuzione delle responsabilità, delle funzioni, delle competenze nei diversi livelli
istituzionali implica in primo luogo da parte dei decisori politici un’azione di verifica del-
l’efficacia dell’attuale modello di governance delle politiche pubbliche per lo sviluppo,
che comporta una revisione e un completamento dell’attuale modello di governo,
soprattutto per quanto riguarda alcune disfunzioni ormai rese evidenti dal negativo
impatto sul territorio di alcune forme di intervento (per esempio la filiera istruzione-for-
mazione-lavoro oppure il tema del passaggio generazionale delle imprese, su cui si
svolgono più avanti specifici focus di approfondimento).
La diversa distribuzione delle diverse responsabilità che riguardano la capacità competitiva
costituiscono una nota caratteristica del sistema di governo italiano e delle attribuzioni dele-
gate alle Regioni e alle autonomie locali. Il processo di trasferimento di deleghe, risorse e
competenze al territorio costituisce peraltro un elemento necessario al funzionamento del
sistema: porre responsabilità, poteri e servizi il più possibile vicino al cittadino costituisce un
elemento importante per il funzionamento della democrazia, ma anche per l’efficacia delle
politiche. Tuttavia la varietà di funzioni e di compiti impone l’adozione di modelli di gover-
nance in grado al tempo stesso di prevedere precise responsabilità, di definire funzioni e
servizi e di alimentare un flusso finanziario di sostegno continuativo e adeguato. Solo in
questo modo infatti il sistema di governo può riuscire a dotare le imprese e i cittadini roma-
ni di adeguati strumenti per promuovere la capacità d’agire e per affrontare il mercato,
andando oltre gli ambiti ormai ristretti dell’ economia aciclica e del relativo mercato interno
(servizi alla pubblica amministrazione, al turismo, alle sedi delle grandi società presenti sul-
l’area romana).
In questo senso appare importante riconoscere con attenzione due aspetti:
1. la capacità istituzionale e l’efficacia dei servizi e delle politiche per lo sviluppo e il lavo-
ro dipendono dall’efficacia del sistema di governance (sia orizzontale che verticale);
2. il modello di governo del territorio laziale, sia nell’integrazione delle diverse funzioni a
livello orizzontale che nella programmazione integrata delle azioni nei livelli istituziona-
li, che agisce sul contesto dell’area metropolitana romana, presenta alcune disfunzioni
e richiede forme di sostegno in termini di risorse più mirato e continuativo.
Uno sguardo alla distribuzione di responsabilità, funzioni e risorse che convergono sull’eco-
nomia e sul lavoro della Capitale può chiarire alcuni di questi aspetti e fornire quantomeno
chiarezza sul quadro. Se consideriamo i punti di riferimento per la capacità competitiva e
gli aspetti della governance sia verticale che orizzontale possiamo osservare quanto espo-
sto di seguito.
A. Infrastrutture economiche. Le competenze sono distribuite tra il livello nazionale e quel-
lo regionale, anche con il supporto dei fondi europei. Al livello provinciale e comunale resta-
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no competenze residue, ma importanti per quanto riguarda i servizi alle imprese e le infra-
strutture immateriali. La governance orizzontale nella progettazione di sistemi infrastruttu-
rali integrati è di particolare importanza, ma appare difficile e priva di un ruolo di coordina-
mento funzionale e riconosciuto.
B. Sistema sociosanitario e infrastrutture sociali. Le competenze sono distribuite a livello
nazionale e regionale, con aspetti e ricadute sulle competenze comunali che riguardano la
funzione socioassistenziale. Il funzionamento prevede una connessione tra l’aspetto socio-
assistenziale sociosanitario che si promuove nel rapporto tra Regione e Comune, su cui
influisce il problema del grave deficit sanitario. È presente una funzione sul sistema socioe-
ducativo appartenente alla Provincia, ma poco regolata e sostenuta.
C. Innovazione tecnologica e progettualità di impresa. Le funzioni appaiono distribuite in
modo diverso su tutta la filiera istituzionale, anche se prevale l’asse Regione-Comune.
Particolarmente lacunosa l’integrazione funzionale tra le diverse forme di incentivazione
(progettazione, innovazione di processo e di prodotto, consolidamento, start up, nuovi inse-
diamenti, brevetti). La rete degli incubatori di impresa non appare coordinata in modo ade-
guato né promossa e sostenuta con interventi finanziari continuativi e con un adeguato ren-
diconto dei risultati. I campus tecnologici e gli start up con le Università non hanno ancora
uno standard comune di livello europeo.
D. Istruzione ed educazione primaria. Competenze e responsabilità distribuite su tutto l’as-
se della filiera istituzionale. Carenze di governo complessivo e di verifica degli standard e
dei livelli essenziali delle prestazioni, forte disomogeneità e lacune rispetto a una program-
mazione integrata in grado di pianificare e verificare in termini di qualità il sistema.
E. Formazione e mercato del lavoro. Competenze distribuite sul tutta la filiera istituzionale,
con una specificità provinciale. Il sistema regionale del lavoro del Lazio appare poco inte-
grato e sostenuto con flussi finanziari discontinui che ostacolano una adeguata program-
mazione. Pur in presenza di standard di qualità regionale non esiste un processo di quali-
tà dei servizi per l’impiego e la promozione delle politiche attive appare poco efficace (peral-
tro non vede la centralità dei servizi pubblici per l’impiego). Inadeguata anche la presenza
dell’orientamento (con una duplicazione di funzioni tra Provincia e Comune poco coordina-
ta) e del raccordo tra analisi dei fabbisogni professionali e offerta formativa. Il sistema lazia-
le del lavoro che agisce sull’area romana non appare, dai dati, funzionale e funzionante
rispetto alle esigenze dei cittadini e delle imprese e i tentativi di miglioramento delle presta-
zioni promossi in questi ultimi anni sono resi problematici da un assetto del governo regio-
nale del mercato del lavoro che appare lacunoso, poco funzionale e privo di un trasferimen-
to di risorse continuativo e di progettualità condivisa e adeguata sulle politiche attive per il
lavoro.
F. Alta formazione e formazione continua. Competenze distribuite in tutta la filiera istituzio-
nale. Forte disomogeneità e governance fragile e poco sostenuta. Tuttavia il sistema roma-
no è presente, capillare, in grado anche di individuare alcune eccellenze. Appare da raffor-
zare la logica e la strumentazione a supporto degli start up e dei laboratori di impresa in
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spinn off dalle Università romane. Appare inadeguato e poco coordinato il sistema di incon-
tro tra la domanda e l’offerta di lavoro dei profili alti.
G. Efficienza dei mercati. Il sistema ha competenze mirate e specifiche, un po’ disarticola-
te. Servono strumenti di costante monitoraggio della trasparenza e il supporto alla vocazio-
ne all’export delle imprese.
H. Sostegno all’organizzazione e alle reti di impresa. La domanda è risolta soprattutto con
le misure di intervento regionali o del sistema camerale. Appare opportuna una funzione di
regia comunale e di programmazione degli interventi, destinati al segmento delle piccole
imprese che appaiono in questa fase alla ricerca di un sistema adeguato di incentivi e di
supporto.
I. Capacità istituzionale. La filiera istituzionale e amministrativa interviene sugli snodi dello
sviluppo e della capacità competitiva con modalità, in alcuni settori, non del tutto pianifica-
te o continuative. Allo stato appare inadeguata la programmazione istituzionale di alcuni
settori. È per esempio assente la programmazione provinciale integrata sul capitale umano
e sul lavoro: la Regione Lazio è l’unica regione italiana che non la richiede espressamente
e gli sforzi del Comune e della Provincia, per esempio, destinati al miglioramento dei servi-
zi per il lavoro possono essere vanificati in assenza di una programmazione integrata con-
divisa e di un quadro chiaro di funzioni, responsabilità e risorse. Il quadro programmatorio
subregionale appare lacunoso e questo non aiuta rendiconto e verifica dell’impatto degli
interventi. In generale la cultura del rendiconto della capacità istituzionale a Roma e nel
Lazio non appare legata a momenti formali e riconosciuti, ma rischia di diventare oggetto di
strumentali dispute politiche o di partito, di campagne stampa. In questo modo la cittadinan-
za rischia di allontanarsi da una corretta e reale valutazione dell’efficacia e del funziona-
mento del sistema e di poter avere un giudizio corrispondente alla situazione.
Le performances considerate dei sistemi di governance delle politiche coincidono in modo
pressoché identico con quanto valutato dai riferimenti e dalle ricerche sulla competitività del
sistema territoriale di Roma: le differenze, i ritardi rispetto agli obiettivi sono confermati dal
funzionamento o dal malfunzionamento del sistema di governance nei diversi ambiti di
intervento. Questa conferma può permettere ai decisori politici di convenire sui problemi e
quindi di definire una eventuale correzione di rotta. Può essere significativo concludere que-
sto capitolo descrivendo un ipotetico percorso del disoccupato romano alla ricerca di un
impiego, a fronte del sistema dei servizi presente attualmente sul territorio. Un cittadino alla
ricerca di impiego se sceglie di non orientarsi trova nel sistema privato una pluralità di sog-
getti in concorrenza, che sostanzialmente intermediano occasioni di lavoro a termine con
contenuto medio basso. Il giovane che intende invece farsi guidare nel mercato del lavoro
trova: servizi di orientamento al lavoro distribuiti diversamente tra servizi del Comune (COL)
e della Provincia (CPI), colloqui di orientamento specialistico privi di una adeguata verifica
in termini di tempistica e qualità, comunali e provinciali, servizi di preselezione attraverso i
centri per l’impiego provinciali, ma con qualità disomogenea, politiche attive regionali poco
conosciute o accessibili attraverso i servizi per l’impiego provinciali o i COL comunali. Il qua-
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dro si completa con l’assenza sul territorio romano di due strumenti fondamentali per il lavo-
ro: la promozione dell’offerta formativa sulla base dell’ analisi costante dei fabbisogni delle
imprese e azioni di marketing e di promozione dei servizi per il lavoro presso le imprese. Il
disoccupato romano tipo, in questo percorso, rischia di perdersi, di non trovare gli strumen-
ti a disposizione, di non essere accompagnato per individuare la propria opportunità. I dati
sulla fragilità del mercato del lavoro romano testimoniano e sono la causa della debolezza
di questo modello di governo e di servizi, che come ricaduta finisce con il perpetuare la logi-
ca antica della raccomandazione e del sistema parentale. Una logica che è all’opposto del-
l’obiettivo degli strumenti per la capacità d’agire. “Percorsi tipo” analoghi nel contesto della
rete delle funzioni e dei servizi potremmo prevederli anche per altre figure e bisogni, per
esempio per l’imprenditore in cerca di garanzia bancaria o di un investitore alla ricerca di
un contesto su cui realizzare un investimento. Si è scelto il caso del disoccupato romano in
quanto questa situazione raccoglie al tempo stesso le maggiori e più articolate responsabi-
lità pubbliche e individua i maggiori problemi per chi vive e lavora a Roma.
Dall’analisi e dalle considerazioni svolte in questo capitolo emergono quindi i seguenti punti
di insieme, che vengono specificati nei capitoli successivi e poi sintetizzati nella proposta
complessiva del capitolo finale:
a) l’analisi dei fattori competitivi di Roma mostra elementi di forza e di debolezza, in un
quadro interessante, ma che necessita di un intervento pubblico strategico e condiviso;
b) Roma è forte sull’economia (dal punto di vista della creazione di ricchezza) e debole sul
lavoro (dal punto di vista dell’impatto occupazionale);
c) l’andamento economico nel biennio della crisi mostra una sostanziale tenuta dell’eco-
nomia romana per via dei noti fattori anticiclici del modello romano (pubblica ammini-
strazione, turismo, sedi di grandi società);
d) i fattori anticiclici pongono però il sistema economico romano come sistema meno
attrezzato di altri contesti metropolitani per affrontare le dinamiche di mercato interna-
zionale, come viene mostrato dalla scarsa propensione all’export;
e) il modello economico romano tradizionale ammortizza le conseguenze delle crisi, ma
non arresta l’impatto occupazionale e la perdita in termini di capacità di agire e di com-
petitività;
f) necessita di agire su due livelli: rivedere la governance della programmazione sul terri-
torio delle politiche per lo sviluppo, rafforzare i fattori competitivi sul mercato, partendo
dalle eccellenze e da alcune interessanti propensioni presenti su Roma (es: innovazio-
ne tecnologica);
g) per fare questo appare importante intervenire su alcuni evidenti gap rispetto alla capa-
cità competitiva, tra cui emergono gli aspetti relativi ai trasporti, al credito, al sostegno
all’imprenditoria, al capitale umano e ai servizi per il lavoro.
I singoli settori economici vengono descritti nei capitoli successivi attraverso la descrizio-
ne e valutazione delle specifiche componenti di fondo.
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CAPITOLO SECONDO: COMMERCIO, MODA E SERVIZI
ABSTRACT
Attraverso i dati della Camera di Commercio, delle organizzazioni di impresa, della banca
dati del sistema UnionCamere Excelsior, dei Fondi interprofessionali e i dati sul lavoro e
sulla formazione istituzionali si descrivono gli aspetti e i fenomeni relativi all’andamento del
settore dei servizi, turismo e del commercio a Roma nel periodo 2009-2010.
Premessa
Conoscere e valutare l’andamento, le dinamiche economiche del settore dei servizi, con
particolare attenzione al comparto del commercio e al turismo, significa per una città come
Roma cogliere buona parte dello stato di salute della sua economia. Ai nostri fini tuttavia
non basta riconoscere e comparare i dati che emergono da diverse ricerche e fonti docu-
mentali, con un buon aggiornamento ad inizio 2011 (CER; Eures, Tagliacarne, Excelsior),
quanto valutare alcuni aspetti qualitativi di queste dinamiche, in particolare per quanto
riguarda:
a) la tenuta del macrosettore terziario rispetto alle sue componenti acicliche
b) l’evoluzione del macrosettore terziario rispetto alle dinamiche del mercato;
c) l’impatto sull’occupazione e sulla qualità del lavoro dell’andamento di questo macro-
settore.
In questo modo riusciamo a trovare spunti che vanno oltre la semplice lettura del dato eco-
nomico, per valutare i fenomeni e la tenuta complessiva di un settore (macrosettore) che di
fatto dà il tono a tutta l’economia romana e condiziona fortemente anche le dinamiche
sociali e culturali presenti nella Capitale. Inoltre è opportuno constatare e verificare come
questo settore sia tenuto al riparo dalla crisi dall’assetto aciclico e “protetto” dell’economia
romana o come invece, quantomeno in parte, anche questo settore risenta degli effetti dei
mercati. Valutare come il terziario a Roma subisca o governi l’impatto delle dinamiche di
mercato costituisce un’informazione molto significativa, utile per la programmazione delle
politiche pubbliche.
Il biennio 2009-2010 ha rappresentato, come abbiamo visto, per Roma una sostanziale
tenuta rispetto al PIL procapite a prezzi correnti e alla capacità di creazione di ricchezza.
Roma è la quinta provincia per PIL individuale italiana, perde leggermente nel 2009 rispet-
to all’anno precedente, ma il dato della capacità di creazione di ricchezza resta importante,
considerando il complesso delle attività del terziario, che costituiscono ben l’87% dell’eco-
nomia romana. Nel corso degli ultimi cinque anni la tendenza di crescita del macrosettore
terziario a Roma è stata costante: ad una diminuzione del peso delle attività agricole corri-
sponde una forte variazione positiva del terziario-servizi, con un aumento superiore al 20%
registrato dall’Istituto Tagliacarne in termini di valore aggiunto a prezzi correnti per settore
di attività. Nello specifico, distinguendo i comparti del macrosettore terziario e servizi trovia-
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mo preponderante il peso del commercio (più del 30% delle imprese attive a Roma nel
2009), le imprese di alloggio e ristorazione (circa l’8%), i servizi di comunicazione (il 5%),
le agenzie di viaggio e di servizio alle imprese (circa il 5%), le attività professionali (circa il
4%).
Alcune analisi recenti (come la ricerca campionaria CER per CNA) mostrano come le
imprese del settore servizi, considerando solo il segmento delle piccole imprese, abbiano
nel secondo semestre 2010 tenuto sostanzialmente meglio degli altri settori produttivi: la
produzione risulta in questo periodo diminuita del 4% e il fatturato del 7%. Più preoccupan-
te la perdita in termini di utile lordo che per le imprese dei servizi è registrata intorno al 30%.
In questi mesi le imprese romane che sembrano andare meglio sono quelle che operano
nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni (con dati in positivo su tutti i fronti). Le
previsioni per il 2011 non sono tuttavia del tutto positive: secondo questa ricerca, campio-
naria (quindi da prendere con le dovute precauzioni), calano fatturato e produzione per le
piccole imprese dei servizi, anche se il dato sull’utile è registrato come un dato in aumen-
to. In termini generali, considerando le dinamiche delle imprese nei diversi ambiti del terzia-
rio, il 2010 offre segnali positivi per il commercio, il turismo e le agenzie di viaggio, mentre
mostra un calo di peso nell’economia romana della pubblica amministrazione e delle attivi-
tà ad essa collegate.
Affrontiamo quindi in modo più dettagliato alcuni aspetti dell’andamento in questi anni del
commercio, del turismo e del terziario avanzato: componenti davvero importanti per l’eco-
nomia romana. Si considerano soprattutto gli aspetti che riguardano le piccole imprese, con
meno di cinquanta addetti.
1. Il commercio
Il commercio continua a rappresentare, anche durante questa fase di crisi, il settore del-
l’economia romana in cui troviamo il maggior numero di imprese attive (il dato oscilla tra il
30 e il 32%) e uno dei maggiori bacini di impiego (secondo Exclesior le previsioni di assun-
zioni collocano al secondo posto il settore del commercio per il 2010). Si tratta quindi di un
settore trainante, che gode di alcuni aspetti aciclici e derivanti dal contesto della Capitale.
Gli elementi aciclici, derivanti dalla “rendita di posizione” della Capitale sono tuttavia per il
commercio fattori meno forti di quelli che riguardano la pubblica amministrazione e il turi-
smo, gli altri due comparti forti del macro settore terziario a Roma. Il commercio a Roma si
trova quindi sul mercato e i suoi comportamenti sono più significativi di altre componenti del
terziario per valutare lo stato di salute di questo settore, da verificare attraverso la sua capa-
cità competitiva.
Il passaggio cruciale del secondo semestre 2010 e le previsioni per il primo semestre 2011
mostrano come le imprese che svolgono attività di commercio al dettaglio e all’ingrosso
sostanzialmente tengano: dai dati della Camera di Commercio sul movimento delle impre-
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se (Movimprese), le imprese del commercio a fine 2010 rispetto all’anno precedente risul-
tano sostanzialmente in pareggio (un calo dello 0,2%), con un dato negativo limitato e che
riguarda solo le imprese a dimensione artigianale e le ditte individuali.
Si tratta di un dato significativo: il 2010 rappresenta per il commercio un anno di tenuta, in
controtendenza quindi rispetto a settori come la pubblica amministrazione. Se analizziamo
le tendenze del comparto considerando il 2010 notiamo come la tenuta riguardi sia il com-
mercio all’ingrosso che quello al dettaglio. Se valutiamo tuttavia le imprese attive e le ces-
sazioni e consideriamo le società di capitale e quelle di persone, abbiamo un maggior
numero di cessazioni tra le società di persone. Va quindi segnalato un elemento: le picco-
le imprese che operano nel commercio, pur in un quadro di sostanziale tenuta con un recu-
pero nel 2010 sul 2009, soffrono di una maggiore fragilità, che si rende evidente soprattut-
to nelle dinamiche occupazionali, che esaminiamo più avanti.
2. Il turismo
L’esame dell’andamento del turismo svolto da numerose analisi e ricerche per il biennio
2009-2010 (Istituto Tagliacarne, Istat ed Eures sono le fonti principali di questa rilevazione)
ci permette di svolgere considerazioni sia di natura quantitativa che qualitativa. Appare del
tutto evidente come la componente del turismo costituisca un aspetto importante dell’eco-
nomia romana e come la tenuta dell’economia capitolina di questi anni di crisi abbia a che
vedere con la sostanziale conferma del mercato turistico romano e dell’appeal di Roma su
questo mercato. La storia romana e le attrattive della Città Eterna costituiscono ancora un
elemento dell’economia in grado di realizzare buone performances. I dati relativi alle dina-
miche del settore alloggio, ricettività e ristorazione e dei settori connessi al turismo come il
commercio e le attività culturali mostrano come, per far fronte alla crisi, Roma abbia fatto
ricorso fino in fondo e al meglio la risorsa turismo. Tuttavia appare importante anche con-
siderare anche altri aspetti: il turismo non è un settore economico come gli altri e la promo-
zione dell’offerta turistica incide sulla vivibilità complessiva della città e del tessuto sociale.
Il mercato del turismo richiede sempre di più una dimensione culturale e organizzativa pro-
iettata sul mercato e non può essere considerato, nemmeno per una città straordinaria ed
attrattiva come Roma, una sorta di bene rifugio in grado di determinare una rendita di posi-
zione. In questo senso la flessione registrata nel biennio, come segnalano alcuni osserva-
tori dell’economia capitolina, dei flussi turistici non va vista come segnale della ripercussio-
ne della crisi mondiale sul consumo turistico, ma come aspetto che mostra il rischio di una
minore capacità competitiva della Capitale sul mercato del turismo, da valutare anche nelle
modalità prevalenti dell’offerta e della domanda turistica e nel numero di giorni di presenza
a Roma. Per considerare la risorsa turismo a Roma appare oggi quindi opportuno riflettere
anche su aspetti di natura qualitativa, tema che affrontiamo più in dettaglio in un paragrafo
successivo.
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In ogni caso i dati del mercato del turismo a Roma sono molto significativi sul piano quali-
tativo e suggeriscono l’avvio di un mutamento della politica per il turismo nella Capitale, per
valorizzare questa importante risorsa sostenendo dinamiche di qualificazione della relativa
domanda e offerta. Rispetto alle dinamiche considerate va in ogni caso valutato l’impatto
nel corso del 2011 del “contributo sul soggiorno” che l’Amministrazione capitolina ha stabi-
lito come forma di sostegno al miglioramento dell’offerta turistica, misura presente anche in
altre città a forte richiamo.
Diverse sono le considerazioni che emergono dai dati sull’andamento del turismo, valutati
nel biennio 2008-2009, con segnali di miglioramento sul 2010:
a) il turismo a Roma costituisce buona parte del flusso turistico laziale, si segnala in ogni
caso la scarsa capacità attrattiva sul mercato internazionale delle altre importanti e inte-
ressanti aree turistiche regionali, come la Tuscia, poco promosse in termini di valorizza-
zione ai fini turistici delle bellezze storico ambientali (anche se il 2010 segnala proprio
per Viterbo una interessante ripresa);
b) la presenza turistica a Roma ha una permanenza media più bassa rispetto alle maggio-
ri aree turistiche italiane, questo in parte è dovuto alle caratteristiche di città d’arte più
che di soggiorno di Roma, ma il dato medio di presenza media sotto i tre giorni denota
una tipologia di turismo “mordi e fuggi” su cui appare necessaria una riflessione;
c) la perdita registrata tra il 2007 ed il 2009 di turisti a Roma è stata contenuta in termini
di arrivi e presenze, anche rispetto alle altre città italiane, ma appare opportuno segna-
lare il dato qualitativo della diminuzione delle giornate di permanenza;
d) la ripresa che si è registrata nel 2010 offre segnali interessanti per quanto riguarda
l’aspetto quantitativo, anche per la ripresa dei consumi (Nord Europa e Stati Uniti), ma
non indica ancora l’auspicata inversione di tendenza qualitativa dell’offerta romana;
e) la permanenza dei turisti a Roma appare tra le più basse d’Italia ed è persino più bassa
di quanto si registra nelle altre città laziali;
f) un dato medio di permanenza inferiore a tre giorni evidenzia una domanda turistica che
non valorizza l’offerta di Roma, sia dal punto di vista culturale e ambientale che per
quanto riguarda l’accesso ai siti e alle strutture ricettive e mussali. In ogni caso appare
importante riflettere su come sia possibile conoscere e vedere Roma in meno di tre gior-
ni e come sia possibile per i tour operator promuovere un soggiorno nella città eterna
con queste caratteristiche.
L’andamento complessivo resta quantitativamente significativo, con una tenuta nel periodo
2008-2009 e una ripresa nel 2010: con circa 12 milioni medi di arrivi all’anno e più di tren-
ta milioni di presenze appare evidente come la risorsa turismo pesi ancora significativamen-
te sull’economia capitolina. Il miglioramento dell’offerta turistica, la promozione di nuove ini-
ziative volte a qualificare l’offerta e ad aumentare le presenze permette di registrare nel
corso del 2010 significativi passi avanti: tuttavia la strada per superare il turismo “mordi e
fuggi”, che costituisce la nota di fondo del turismo romano degli ultimi vent’anni (e che ha
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peraltro anche effetti sulla vivibilità del Centro storico capitolino), appare ancora lunga e
comporta cambiamenti forti sia nella promozione dell’offerta che nella domanda, legata in
parte a scelte che sembrano del tutto ignorare le straordinarie caratteristiche della Città
eterna.
Il contribuito straordinario richiesto dall’Amministrazione Capitolina ai turisti appare da valu-
tare in questo senso, come risorsa aggiuntiva per qualificare l’offerta, e non come un ulte-
riore balzello.
Il dato del turismo straniero, che costituisce l’elemento forte del turismo a Roma, in questo
senso conferma queste valutazioni: il 96% dei turisti stranieri presenti nel Lazio si trovano
a Roma. Il dato della presenza e dell’arrivo dei turisti italiani è rimasto nel triennio 2008-
2010 costante, mentre il recupero del 2010 è sostanzialmente legato alla buona ripresa
degli arrivi e delle presenze di turisti stranieri nella Capitale. L’indice di internazionalizzazio-
ne del turismo romano è diminuito fino al 2009, per poi riprendere. Si tratta di una ripresa
dovuta alle dinamiche internazionali e alla ripresa dei consumi, che non sta ancora cam-
biando le modalità di “fruizione” della città eterna. Il calo dei consumi turistici è mostrato dal
maggior ricorso, anche a Roma, alle strutture complementari anziché ai tradizionali alber-
ghi. Calano di poco le presenze negli alberghi, mentre l’aumento delle strutture complemen-
tari appare forte. In questo senso tuttavia emerge una contraddizione: la qualificazione del-
l’offerta turistica, legata anche alla permanenza, richiede una azione di controllo sulla qua-
lità e sulla regolarità delle strutture ricettive complementari romane, soprattutto i bed and
breakfast. L’attrattività di Roma Capitale insieme alla riduzione dei giorni di presenza pena-
lizza fortemente i consumi in termini generali e la presenza dei turisti nei numerosi altri siti
della Provincia. Il dato del 2010 segnala in ogni caso una tendenza positiva, di forte recu-
pero, che va interpretata e valutata in modo attento: la capacità competitiva di Roma, in un
contesto internazionale non condizionato dalla crisi, resta molto forte (l’aumento rispetto al
2009 è di ben sei punti sia per gli arrivi che per le presenze, dato che è confortato anche
dal forte recupero sugli stranieri). Tuttavia, a fronte di una stabilizzazione del dato delle pre-
senza su una consistenza quantitativa molto alta, restano le riflessioni sull’aspetto qualita-
tivo. La capacità ricettiva dal punto di vista qualitativo di Roma è negli anni aumentata e
migliorata, per far fronte al forte flusso numerico di turisti che si riversano sulla Capitale. Si
tratta di un’offerta che va dall’eccellenza alla struttura di minor livello. In questo senso appa-
re opportuno rafforzare i controlli e vincolare agli standard di qualità in modo rigoroso tutte
le strutture ricettive. Dal punto di vista del saldo economico, le elaborazioni della Banca
d’Italia ci mostrano come il saldo della bilancia turistica dei pagamenti sia a Roma molto
positiva: la spesa in entrata dei turisti non romani a Roma è molto superiore di quella dei
romani fuori Roma. Questo dato è ancora più forte se si considerano le mete internaziona-
li. Tuttavia, proprio a conferma delle perplessità qualitative evidenziate sul modello di
domanda e offerta turistica da considerare rispetto alle potenzialità di Roma, la crisi ha por-
tato a un calo del consumo turistico. I turisti a Roma vengono in massa, ma restano poco
e spendono poco. Questi dati sono almeno in parte sovradimensionati per via del turismo
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congressuale e delle presenze negli alberghi romani legate a specifici eventi, e in effetti il
dato della presenza breve riguarda soprattutto gli italiani. Tuttavia il fenomeno in quanto tale
rimane, come è evidenziato dal fatto che anche la presenza dei turisti stranieri a Roma
appare inferiore alle tre giornate. Anche da una analisi “depurata” dalla presenza congres-
sualistica, il fattore di fondo resta invariato: Roma si vende sulla borsa turistica internazio-
nale come una città per gruppi da “ tre giorni e due notti”.
Si tratta di un fenomeno strutturato, che deriva da scelte che negli anni non sono state con-
trastate adeguatamente da un diverso modello di programmazione dell’offerta turistica a
Roma, quantomeno per quello che è possibile fare in un mercato che agisce su scala mon-
diale (il Turismo è la prima realtà economica mondiale). La permanenza di questo modello,
in buona parte derivante dalla strategia dei grandi tour operator internazionali, non consen-
te una adeguata valorizzazione delle potenzialità economiche e occupazionali derivanti dal-
l’enorme patrimonio storico culturale di Roma. Il quadro che emerge suggerisce una nuova
strategia di cambiamento nelle politiche per la promozione del turismo e della cultura a
Roma. In questo senso la qualificazione dell’offerta può derivare proprio da un più eviden-
te raccordo tra turismo e cultura. L’auspicio è che attraverso un’offerta di qualità si riesca a
determinare una domanda di maggiore qualità, rispetto alla domanda, alla permanenza e
alla spesa media del turista presente oggi a Roma.
3. Il terziario avanzato
La realtà e la potenzialità del terziario avanzato a Roma costituiscono un aspetto significa-
tivo, che ci permette di misurare il livello di innovazione presente nel tessuto produttivo
romano e di individuare ambiti di sviluppo e di mercato interessanti, al di fuori dei limiti anti-
ciclici presenti anche nel terziario e nei servizi della Capitale. Una ricerca condotta da SWG
per l’ufficio studio della Camera di Commercio di Roma ci permette di delineare e descrive-
re l’assetto del terziario avanzato, verificando criticità e potenzialità di un settore strategico.
Appare infatti evidente come la necessità di qualificare il sistema dei servizi a Roma impon-
ga una forte attenzione all’innovazione nel settore più importante dell’economia romana,
che è appunto il terziario.
L’innovazione porta con sé aspetti legati alla capacità di progettare, creare e quindi richia-
ma con forza il tema del capitale umano: si tratta di un aspetto opportunamente considera-
to dalle valutazioni della Camera di Commercio, che sono peraltro piuttosto recenti e quin-
di considerano il 2010 come periodo in cui si è svolto il quadro di analisi del settore. Come
si afferma nella ricerca: la creazione dipende anche dalla capacità di distruzione e l’innova-
zione del terziario dipende anche dalla capacità di mettere in discussione assetti e forme
produttive e di creare una costante azione di cambiamento. La funzione e le potenzialità del
terziario a Roma mettono quindi in luce gli aspetti di “conservazione” presenti nelle impre-
se romane. Si tratta di un aspetto di profondo significato, come peraltro dimostrano molte
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analisi: i comportamenti diffusi, la psicologia collettiva condizionano e determinano le scel-
te economiche. Una città ripiegata su comportamenti ripetitivi e tradizionali difficilmente
offre spazio all’innovazione, ma in questo modo il tessuto sociale resta immobile e le dina-
miche economiche non riescono a confrontarsi adeguatamente con il mercato.
In ogni caso, come emerge dai diversi report di analisi comparata europea, la presenza e
la forza del terziario avanzato costituisce un elemento di fondo in grado di misurare la capa-
cità competitiva di un territorio. Per questo motivo appare importante valutare le potenziali-
tà del terziario avanzato a Roma come criterio guida per conoscere le potenzialità di inno-
vazione e sviluppo del tessuto economico romano in termini di capacità competitiva.
L’analisi della Camera di Commercio è in questo senso preziosa in quanto offre indicazioni
per rispondere a una domanda chiave: Roma è un contesto che alimenta e stimola la crea-
tività?
In questo senso dalla ricerca di SWG per Camera di Commercio emergono i seguenti spun-
ti valutativi:. i settori forti del terziario avanzato romano sono l’information technology, la comunica-
zione, la consulenza aziendale, i servizi legali, i servizi immobiliari, il marketing e i ser-
vizi pubblicitari;. il terziario e i servizi non sono settori autoreferenziali, ma devono collegarsi alle dinami-
che e alla domanda delle imprese industriali;. il terziario avanzato romano si raccorda con un tessuto industriale meno consistente
rispetto alla media del Paese;. il Lazio e Roma sono le principali aree del paese per occupazione nei servizi alle impre-
se, con un livello molto più alto della Lombardia;. le dinamiche dei servizi alle imprese a Roma sono al livello delle aree europee più com-
petitive, come Londra o l’area di Utrecht;. il livello del terziario avanzato a Roma è presente quantitativamente su standard euro-
pei ottimali ed eccellenza italiani (quasi il 10% del terziario avanzato italiano si trova a
Roma), ma soffre di alcuni limiti qualitativi.
Se analizziamo il terziario avanzato per valenza innovativa troviamo i servizi immobiliari,
legali e contabili tra i servizi a minor valenza innovativa, mentre i servizi per la pubblica
amministrazione, per il lavoro, le pubbliche relazioni sono a media valenza innovativa. La
forza innovativa del terziario avanzato riguarda soprattutto i servizi legati all’information
technology, la formazione professionale e la consulenza aziendale di alto profilo, i servizi
per la comunicazione di impresa e il marketing.
Il terziario avanzato presente a Roma soffre quindi dei limiti derivanti da un posizionamen-
to in termini quantitativi sulla fascia di attività a minor valenza innovativa, anche se esisto-
no eccellenze interessanti nel settore dei servizi informatici e informativi, non ancora in
grado di creare a Roma un vero e proprio distretto dell’information technology. Tuttavia
appare evidente come: esistono le potenzialità per la strutturazione nell’area romana di un
distretto di qualità dell’area dei servizi informatici per le imprese, che si rende opportuno per
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sostenere una positiva evoluzione del ruolo e della presenza del terziario avanzato nell’eco-
nomia romana. La perdita di posizione e di ruolo negli anni novanta di alcune aziende che
operavano nel territorio romano nei settori dell’informatica e dell’ingegneria di alto profilo ha
determinato un danno, non solo dal punto di vista occupazionale, ma anche sulla capacità
di innovazione, sulla qualità competitiva del tessuto produttivo romano. Si tratta di un
danno, di una ferita che va rimarginata posizionando gli ambiti del terziario avanzato inno-
vativo al centro delle politiche per lo sviluppo della Capitale. L’area metropolitana di Roma
ha un peso maggiore della media nazionale per quanto riguarda la presenza del terziario
avanzato, ma questo peso diventa minore (meno 3% circa) se consideriamo solo il peso
delle imprese che operano nel terziario avanzato a forte capacità di innovazione.
Queste allora le eccellenze romane da individuare e sostenere, per promuovere una cen-
tralità del terziario avanzato di qualità: appare infatti importante, soprattutto per l’elevato
contenuto innovativo, come afferma la ricerca SWG del 2010 per la Camera di Commercio
di Roma, “il ruolo che possono giocare nell’economia romana alcune tipologie di attività
“knowledge intensive” nei comparti dei servizi informatici e tecnici”: la produzione di softwa-
re (14,9%), gli studi e i servizi di ingegneria (2,7%) e la ricerca e sviluppo (1,4%) si segna-
lano per la loro maggiore rilevanza nel confronto con la struttura del terziario avanzato
nazionale (Italia: 12,3%, 1,2% e 1,3%, rispettivamente).
A Roma, inoltre, sono attive 271 imprese di ricerca e sviluppo, mentre a livello nazionale in
questo comparto operano 2.289 unità. Ciò implica che solo nella Provincia sia insediato
l’11,8% delle imprese attive di ricerca e sviluppo presenti in Italia. Sono questi i segmenti
produttivi innovativi che possono far fare il salto di qualità al terziario romano. Appare di
estremo interesse osservare come, dal confronto dei dati delle dinamiche del settore, sono
proprio le imprese romane appartenenti all’area del terziario avanzato più innovativo quel-
le che hanno retto meglio la fase di crisi, con aspetti anche di controtendenza rispetto al
mercato (come l’area dei servizi informatici).
I servizi legali e immobiliari, storicamente presenti con grande forza nel tessuto del terzia-
rio romano, vanno considerati come settori a scarsa capacità innovativa e possono essere
considerati quantomeno irrilevanti rispetto ai fattori di capacità creativa necessari per la
qualità e l’innovazione, determinati sostanzialmente dal saper fare, dalle competenze pro-
gettuali.
Un limite per l’affermazione e la qualificazione del terziario avanzato a Roma riguarda la
forma societaria. Dalla ricerca della Camera di Commercio emergono questi dati interes-
santi, che riguardano la forma delle società che operano a Roma nel terziario avanzato.
Possiamo ricavare una bipartizione dei diversi settori del Terziario Avanzato romano a
seconda del peso assunto dalla forma societaria di capitale rispetto a quello delle imprese
individuali:
Elevata incidenza di Società di capitale: . Servizi tecnici (77,9%); . Servizi di ricerca, selezione e fornitura di personale (70,6%);
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. Servizi per l’amministrazione e gestione di impresa (67,6%); . Pubbliche relazioni (64,7%); . Servizi legali, di contabilità e tributari (61,9%); . Servizi informatici (59,5%).
Peso rilevante delle imprese individuali: . Servizi pubblicitari e di informazione commerciale (40,8%); . Servizi immobiliari (39,4%); . Studi di mercato e sondaggi d’opinione (35,5%).
La dinamica del terziario avanzato a Roma è chiara e offre una tendenza confortante:
durante la crisi, l’aumento del terziario a Roma si deve alla crescita delle imprese ad eleva-
to contenuto innovativo e che operano con la forma più stabile e strutturata delle società di
capitale.
Possiamo far nostra la valutazione a questo proposito della Camera di Commercio di
Roma: “Considerando gli storici problemi di ‘nanismo’ industriale italiano, questo dato e la
dinamica in atto a Roma è sicuramente un elemento positivo per un settore come il
Terziario Avanzato la cui affermazione richiede un continuo processo di differenziazione e
innovazione” .
Il terziario avanzato innovativo e di qualità costituisce l’elemento dell’economia romana che
appare maggiormente in grado di rafforzare la capacità competitiva del sistema economico
e sociale dell’area metropolitana capitolina.
Il terziario avanzato presente a Roma costituisce un punto di riferimento, una realtà solida,
che può diventare un elemento importante per dare qualità all’economia romana e al lavo-
ro, qualora si inneschino politiche, incentivi e forme di sostegno al consolidamento delle
imprese che operino negli ambiti del terziario e dei servizi alle imprese con maggiore valen-
za innovativa.
Possibili limiti al rafforzamento di queste importanti imprese (importanti per la nota di fondo
del processo di qualificazione) possono arrivare da forme di incentivazione che non distin-
guano il valore aggiunto della capacità innovativa. A questo limite nelle policies si affianca
un altro limite, derivante dalle difficoltà delle piccole imprese romane a consorziarsi e a
creare progetti comuni a valore aggiunto. Anche qui possiamo riportare la valutazione pre-
sente nella ricerca SWG per la Camera di Commercio: ”Quello che sembra mancare a
Roma, almeno per il settore dell’ ICT, è un baricentro, un centro pensante per mettere insie-
me le risorse, sembrano mancare uno o più soggetti in grado di sviluppare una linea guida
comune all’interno della quale le piccole e medie aziende possano trovare una collocazio-
ne e un ambito in cui dispiegare a pieno le proprie potenzialità”.
Si tratta di un tema importante: far crescere insieme le imprese innovative del terziario
romano diventa infatti decisivo per poter contrastare lo spazio, ritenuto eccessivo e aggres-
sivo nel report della Camera di Commercio di Roma, delle imprese multinazionali operanti
sul mercato romano dei servizi. Le indicazioni degli operatori offrono anche un metodo di
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lavoro per rafforzare e migliorare la capacità competitiva delle imprese del terziario avan-
zato romano: migliorare e strutturare i rapporti con il mondo della ricerca e dell’Università,
individuano progetti e figure professionali in grado di sostenere questo obiettivo. Altri limiti
da considerare riguardano poi il peso delle garanzie richieste alle imprese dalle banche e
l’efficacia dei servizi per il lavoro e dell’offerta della formazione non accademica: sono
aspetti problematici che pesano sulla capacità d’agire di tutti i comparti economici romani.
In ogni caso appare evidente come buona parte delle possibilità di sviluppo in termini di
qualità dell’economia e del lavoro romano dipendano dalla capacità di stimolare la creativi-
tà e di promuovere l’innovazione delle imprese che operano nel terziario, soprattutto nel ter-
ziario avanzato. Questo obiettivo dipende non solo dalle imprese, ma anche dalla presen-
za di un contesto territoriale idoneo allo sviluppo, fatto di infrastrutture, servizi, investimen-
ti, capitale umano, credito.
Anche in questo senso vale la pena riportare le considerazioni dei ricercatori della Camera
di Commercio che sostengono come “in questo processo ci sembra utile sottolineare due
urgenze per il contesto romano:
1. aiutare le imprese (tutte, non solo quelle del terziario avanzato) a far evolvere le loro filie-
re verso un modello di rete globale aperta;
2. sostenere le imprese a sviluppare l’economia dell’immaterialità, orientando i modelli di
business verso la generazione di valore attraverso la produzione di significati, esperienze,
identità, servizi.”
Vale la pena infine riportare la tabella di sintesi della ricerca della Camera di Commercio di
Roma del 2010 sulle potenzialità del terziario avanzato romano che considera i risultati di
un sondaggio tra gli operatori economici romani relativi al vantaggio del posizionamento
delle imprese sul contesto di Roma Capitale. Ne esce un quadro chiaro, che evidenzia i
punti su cui intervenire.
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Nella tavola seguente sono identificati i vantaggi e gli svantaggi peculiari dei diversi com-
parti.
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Terziario avanzato e turismo: attività forti e ben presenti nell’economia e nel lavoro di Roma,
con ottime performances quantitative, ma che richiedono forti interventi e investimenti per
garantire quella capacità di innovazione che determina la capacità competitiva e che si tra-
duce, per esempio, in un lavoro di maggiore qualità e stabilità. Si tratta di seguire un per-
corso chiaro, con politiche efficaci per il contesto territoriale e un trasparente rendiconto, in
quanto gli effetti benefici di questa politica sul territorio romano appaiono possibili, evidenti
ed immediati.
4. L’andamento del mercato del lavoro del settore commercio, moda e servizi a Roma
nel periodo 2009-2010
La valutazione dell’andamento del mercato del lavoro nel macrosettore dei servizi costitui-
sce a Roma di fatto l’elemento in grado di conoscere lo stato di salute del mercato del
lavoro. Ormai da anni l’attività nei servizi costituisce più dell’80% del lavoro romano, il dato
del 2010 vede impegnati nel settore più dell’83% degli occupati romani. Il commercio e le
attività ricettive e turistiche fanno a loro volta la parte del leone e costituiscono quindi un
aspetto importante per riconoscere sia gli andamenti nel periodo considerato che soprat-
tutto, ai fini di questa ricerca, per comprendere come questi cambiamenti denotino e
mostrino aspetti strutturali da comprendere per poter governare meglio il mercato del lavo-
ro romano.
Il termometro occupazionale italiano è registrato sui servizi e sul terziario, ma meno in ter-
mini di consistenza percentuale di quanto accada a Roma. Il calo dell’occupazione nel trien-
nio 2008-2010 è quindi stato in Italia come a Roma un calo anche dell’occupazione nel ter-
ziario che ha complessivamente tenuto comunque meglio di quanto sia accaduto all’occu-
pazione nell’industria, ma che ha dovuto accedere per la prima volta in molti casi al siste-
ma degli ammortizzatori in deroga, ovvero agli strumenti di integrazione salariale presenti
tradizionalmente in Italia per il sostegno alle attività manifatturiere. In ogni caso appare
importante anticipare un punto che costituisce una delle valutazioni delle considerazioni
finali: la crisi ha in realtà mostrato con evidenza le fragilità del sistema italiano e tra queste
la presenza di attività manifatturiere fuori mercato e da riconvertire (con le note conseguen-
ze occupazionali) e la necessità di adeguare il sistema “ordinario” del sostegno al reddito e
all’occupabilità dei lavoratori anche nei settori in crescita, come il terziario. In questo senso
questi anni di “crisi” hanno dimostrato l’obsolescenza delle istituzioni del nostro mercato del
lavoro, soprattutto nella funzione di accompagnamento e di garanzia degli occupati nel ter-
ziario e nei servizi, che hanno retto agli scossoni occupazionali grazie all’allargamento degli
ammortizzatori sociali pensati e costruiti intorno alla figura del lavoratore dell’industria. Se
consideriamo quindi gli effetti della crisi economica sul lavoro, possiamo notare come a
Roma la trasversalità sia un aspetto evidente: la crisi ha evidenziato una contrazione del-
l’occupazione in tutti i settori.
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Tuttavia si segnala un punto, che va preso in considerazione e che viene sviluppato nelle
osservazioni finali: mentre i problemi occupazionali dell’industria costituiscono in primo
luogo l’effetto dell’andamento dei mercati su attività in parte obsolete e da riconvertire, gli
effetti della crisi sul mercato del lavoro del terziario (diminuzione dell’occupazione e aumen-
to dei rapporti a termine) sono anche la conseguenza delle inefficienze storiche degli stru-
menti e dei servizi che regolano il mercato del lavoro. Questa considerazione vale per
l’Italia e per Roma in particolare. Non è un caso che la recente legge di riforma sul merca-
to del lavoro (n.183 del 2010) stabilisca due norme di delega al governo per la riforma degli
ammortizzatori sociali e dei servizi per il lavoro, che in Italia appaiono del tutto inadeguati
rispetto ai temi della capacità d’agire e dell’occupabilità, soprattutto nei settori a più alta
flessibilità ed adattabilità, come il terziario.
Il lavoro nel terziario romano si svolge soprattutto nel commercio (26% di addetti sul totale
degli occupati romani nel terziario), nelle attività e nei servizi amministrativi (meno del 13%),
nelle attività di trasporto e di magazzinaggio (intorno al 12%), nelle attività di alloggio e risto-
razione (intorno al 10%) e nei servizi professionali (intorno al 10%). Roma, nonostante il
calo di occupati di questi ultimi due anni (2009-2010) rappresenta di gran lunga la città ita-
liana con più occupati nel terziario. Il commercio, il pubblico impiego, i servizi tecnici, ammi-
nistrativi e professionali, i trasporti, la ricettività turistica, il terziario avanzato sono i princi-
pali bacini di impiego della Capitale. Nell’economia romana è inoltre forte il settore banca-
rio e assicurativo e sono in crescita i settori della ricerca e dei servizi sportivi e ricreativi.
Tuttavia va segnalato come esista un’evidente sovrarappresentazione nell’immaginario
romano e sui media del peso della pubblica amministrazione e del turismo nel mercato del
lavoro romano: sono settori importanti, che però valgono complessivamente per quanto
riguarda gli occupati a Roma meno di quanto si possa comunemente pensare. Il peso sul-
l’occupazione romana dei due tradizionali segmenti “aciclici” dovuti alle caratteristiche della
Capitale, il turismo e il pubblico impiego, considerando anche il sistema dei servizi specifi-
ci collegati, non supera il 30%. Almeno il 70% del lavoro romano, anche nel terziario, deve
necessariamente fare a meno del “valore aggiunto” derivante dalla funzione storica e ammi-
nistrativa di Roma Capitale e delle sue bellezze ed è quindi chiamato a muoversi e ad ope-
rare nelle turbolenze del mercato.
Se consideriamo infine le previsioni occupazionali per il 2010 nel settore dei servizi e del
terziario, che andiamo a confrontare con gli esiti occupazionali reali, gli avviamenti e le ces-
sazioni nel capitolo specifico sul mercato del lavoro, notiamo come le valutazioni previsio-
nali di Excelsior per i servizi a Roma abbiano sostanzialmente per il 2010 previsto un saldo
in pareggio. Il calo iniziato nel 2008 si arresta, ma fino al secondo semestre del 2010 il tasso
di occupazione non appare in significativa ripresa a Roma proprio perché non riprende la
crescita nei servizi. In particolare crescono i servizi informatici e professionali, stabili sono
le assunzioni nel commercio e nel turismo, calano invece i servizi immobiliari e le attività
sportive.
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Le assunzioni a tempo indeterminato previste per il 2010 sono circa il 38%(confrontiamo il
dato previsionale con quello reale nel capitolo specifico) mentre il complesso delle assun-
zioni a termine o stagionali vale circa il 62% dei movimenti occupazionali del terziario a
Roma.
Alcuni dati qualitativi che emergono dalla lettura dei dati previsionali elaborati dal sistema
Exclesior Istituto Tagliacarne per conto della Camera di Commercio e di UnionCamere sono
davvero emblematici delle difficoltà di governo del mercato del lavoro capitolino e del diffi-
cile rapporto tra le esigenze delle imprese e le capacità di regolazione e di risposta del mer-
cato del lavoro:. le imprese che prevedono assunzioni, anche nei servizi, sono di gran lunga le grandi
imprese, con più di cinquanta dipendenti;. la ricerca di personale attraverso servizi non specializzati ma tramite conoscenza o
segnalazione diretta a Roma (anche per le grandi imprese!) vale ben il 55% sul totale
delle assunzioni previste, mentre sui servizi specializzati forte è la presenza delle ban-
che dati aziendali (circa il 20%, in linea con la media delle Regioni del Centro Italia) e
debole il ruolo delle selezioni del personale attraverso i centri per l’impiego (circa il 4%,
meno della metà di quanto accade nelle altre Regioni del Centro Italia, che fanno la
selezione del personale per circa l’8,2% delle imprese);. il dato della ricerca di personale per le aziende con più di cinquanta dipendenti appare
ancora più estremo: il ricorso alle banche dati aziendali vale circa il 40%, mentre cala
al 3% il ricorso alla selezione tramite centri per l’impiego (dato confermato anche per i
servizi e in generale per il terziario);. la percentuale di profili di difficile reperibilità sul mercato del lavoro resta alta e nei ser-
vizi a Roma arriva al 25%, comprendendo sia le difficoltà derivanti dalla inadeguatezza
della candidatura che dal ridotto numero di candidati;. rispetto al problema della reperibilità dei candidati si segnalano problemi che riguarda-
no: lo scarso numero di persone interessate alla professione, la concorrenza tra le
imprese per figure molto richieste, la mancanza di candidati con adeguata qualificazio-
ne od esperienza;. la percentuale di lavoratori assunti non stagionali che sul mercato del lavoro romano
non hanno una adeguata o specifica competenza sono almeno il 45%.
I dati reali registrati tramite le banche dati dei servizi per l’impiego della Provincia di Roma
confermano qualitativamente questi fenomeni e le indicazioni previsionali, peggiorando
quantitativamente per il 2009 e per il 2010 buona parte di queste indicazioni. In ogni caso,
al di là della mancata conferma nel 2010 delle previsioni di assunzioni a tempo indetermi-
nato sul mercato romano (sovrastimate da Excelsior in ragione delle dichiarazioni delle
imprese campione) restano dati che mostrano la sostanziale debolezza del mercato del
lavoro romano, rispetto alle dinamiche economiche, la fragilità delle istituzioni formative e
del mercato del lavoro, ma anche una complessiva minore dinamicità in termini di ricaduta
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occupazionale del sistema delle piccole e medie imprese. In particolare le imprese tra i dieci
e i quarantanove addetti non promuovono sviluppo e occupazione in modo adeguato,
segnalando alcuni limiti di fondo del sistema. Tra questi limiti appare evidente la necessità
per queste imprese di appoggiarsi su strumenti di accesso al credito, servizi consortili e
strumenti di formazione e selezione del personale più adeguati. Le imprese che hanno
meno bisogno del territorio e che operano su mercati più autoregolati a Roma godono di
maggiore salute: servono politiche e servizi territoriali più presenti ed efficienti, soprattutto
per quanto riguarda il capitale umano.
5. Gli interventi di contrasto alla crisi nel terziario
Il tema del ricorso agli ammortizzatori sociali per fronteggiare la situazione di crisi riguarda
dal punto di vista quantitativo soprattutto le imprese del settore manifatturiero, presenti nei
distretti provinciali (in particolar modo Pomezia). Tuttavia l’accesso agli ammortizzatori in
deroga mostra come la crisi abbia interessato anche il settore dei servizi e del terziario,
anche se l’analisi qualitativa evidenzia la possibilità di considerare questo fenomeno come
una modalità attraverso cui si è manifestata una difficoltà di mercato e non tanto la conse-
guenza di una crisi strutturale, come invece si è trattato per quanto riguarda il comparto
manifatturiero. In ogni caso la variazione complessiva dal 2008 al 2009 delle ore di cassa
integrazione straordinaria mostra un aumento del 620% nella Provincia di Roma a cui si
deve aggiungere il dato della cassa integrazione in deroga, che riguarda anche le piccolis-
sime imprese e le aziende del terziario, aumentata di circa il 500% con l’avvio della crisi.
Si tratta di dati che vengono ripresi nei paragrafi successivi per quanto riguarda l’industria
e che confermano due aspetti di fondo sulla tenuta dell’economia romana:a) l’obsolescenza di molte imprese manifatturiere presenti sul distretto romano;
b) la fragilità di fronte alle dinamiche di mercato di alcune componenti del terziario romano.
Il forte aumento della cassa integrazione straordinaria e in deroga, avviato nel 2009, nel
2010 si è stabilizzato, ma restano diversi i fronti di crisi aperti. La situazione mostra come
il terziario romano sia sottoposto, per la prima volta nelle diverse fasi congiunturali degli ulti-
mi anni, alle turbolenze della crisi e come si renda quindi necessaria la creazione di un
sistema di ammortizzatori sociali attento a rispondere alle esigenze di tutti i settori econo-
mici e come sia importante rafforzare su Roma e Provincia le istituzioni, i servizi e gli stru-
menti per il mercato del lavoro. Molte le vertenze di aziende presenti sul territorio romano
(per esempio la vertenza Agile srl ex Eutelia, con 400 posti a rischio in una azienda ex
Olivetti che opera nel settore dei servizi informatici).
In ogni caso, anche se l’impatto della crisi nel periodo 2008-2010 mostra una sostanziale
differenza qualitativa tra il settore industriale e il settore dei servizi, il ricorso alla cassa inte-
grazione straordinaria e al sistema degli ammortizzatori sociali in deroga, nonché il dato
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relativo ai lavoratori in mobilità, mostra come, al di là della eclatante vicenda dei lavoratori
e della crisi ex Eutelia, il terziario romano sia coinvolto dalle turbolenze dei mercati e come
sia necessario un sistema di welfare per il lavoro e di relazioni sindacali in grado di affian-
care i processi di riconversione, che appaiono necessari anche in alcune aziende del ter-
ziario e dei servizi.
Nonostante la forte crescita di questi anni, il terziario romano, come in generale il sistema
dei servizi, necessita di una rete di tutele e il tradizionale sistema degli ammortizzatori non
appare in grado di sostenere queste dinamiche. I dati previsionali per il 2011 elaborati da
CER per CNA, per esempio, indicano una diminuzione del fatturato per alcuni importanti
segmenti del terziario a Roma e una presenza di ulteriori situazioni di difficoltà, dimostrate
dall’aumento del ricorso agli ammortizzatori in deroga. In questo senso la vicenda del ter-
ziario romano durante la fase di crisi mostra l’inadeguatezza del sistema di welfare per il
lavoro e di sostegno alla riconversione sia a livello nazionale che regionale. Il maggior ricor-
so alla formazione, tipica azione preventiva delle aziende a rischio di crisi, in questi mesi a
Roma si è rivolto essenzialmente alla formazione interna o al sistema dei fondi interprofes-
sionali. Il mancato ricorso alla formazione finanziata dal sistema regionale e provinciale
FSE e l’assenza di una integrazione tra il sistema pubblico e privato per la formazione con-
tinua mostra un ulteriore limite delle istituzioni del mercato del lavoro che operano sull’area
romana e della loro governance.
6. I fabbisogni professionali manifestati e la loro evoluzione
L’analisi dei fabbisogni professionali dichiarati dalle aziende romane nel 2010 vede eviden-
temente il terziario come settore di riferimento per gli avviamenti al lavoro in questo bien-
nio: il commercio, il turismo, i servizi alberghieri, i servizi informatici, finanziari, la comuni-
cazione costituiscono in questa fase il principale bacino di impiego dell’area metropolitana
romana. Al di là degli effetti della crisi, appare opportuno indicare i settori di riferimento per
la promozione dell’occupazione a Roma anche nei prossimi anni e quindi considerare la
qualificazione dell’offerta formativa e l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro in questi
settori come una prospettiva necessaria per lo sviluppo del lavoro a Roma. In questo senso,
tuttavia, il dato della risposta ai fabbisogni professionali delle imprese del terziario romano
e del governo del mercato del lavoro non mostra performances significative e nella verifica
dei dati del 2010 appaiono presenti due fenomeni, in apparenza contraddittori:
a) rispetto alle previsioni in termini di fabbisogni, i dati del primo semestre 2011 non con-
fermano in pieno quanto dichiarato dalle imprese come previsioni di assunzioni per il
2010, il dato reale delle assunzioni è peggiore in termini quantitativi e qualitativi rispet-
to alle previsioni anche nel terziario;
b) restano comunque difficoltà di reperibilità per alcuni profili professionali del terziario, a
dimostrazione di quel mismatching che in parte riguarda le difficoltà di funzionamento
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del sistema integrato orientamento, formazione e lavoro nell’area romana (aspetto
approfondito nel paragrafo successivo).
In particolare, vale la pena ai nostri fini considerare come le imprese del terziario che hanno
manifestato intenzioni di assumere siano circa il 20% sul totale (dato percentuale inferiore
a quanto dichiarato dalle imprese industriali) e come quasi il 70% delle intenzioni di assun-
zione riguardi imprese con più di cinquanta dipendenti. Si tratta di un evidente segnale di
“stallo” delle dinamiche occupazionali del terziario romano, che peraltro è stato confermato
dai dati reali rilevati nel primo semestre e dai dati revisionali successivi in senso peggiora-
tivo. Le mancate assunzioni nelle piccole imprese e la prevalente motivazione addotta della
presenza di un organico adeguato mostra come non si siano nel 2010 ancora avviati a
Roma quei segnali di rafforzamento e di crescita del sistema delle piccole imprese del ter-
ziario che va auspicato e sostenuto con forza come uno degli aspetti principali per l’auspi-
cata ripresa dell’economia romana.
Pur essendo ancora negativo il saldo assoluto in termini di crescita occupazionale per il
2010 si rilevano diversi settori del terziario a Roma che prevedono un leggero aumento
occupazionale, secondo il rapporto Excelsior 2010: nei “servizi avanzati di consulenza lega-
le, amministrativa e gestionale” è atteso un saldo tra entrate e uscite di personale pari a
+190 unità, per un tasso di crescita pari al +1,0%. Seguono i “servizi informatici” con un
saldo di +420 unità e un tasso di crescita del +0,9%, come per i “servizi sanitari privati”
(+160 unità; tasso +0,6%) e “servizi di pulizia e manutenzione per edifici e paesaggio” (+110
unità; tasso +0,2).
Tutte le altre attività del terziario prevedono tuttavia tassi e saldi negativi: i valori più bassi
si registrano nelle “attività sportive e di intrattenimento, lotterie e case da gioco”
(–3,3%;–200 unità) e nei “servizi immobiliari” (-3,0%; -300) e negli “alberghi, ristoranti, ser-
vizi di ristorazione e servizi turistici” (-2,3%; -1.520 assunzioni). Sul totale delle assunzioni
previste per il 2010 nel terziario si considerano circa ventimila assunzioni con contratto a
tempo indeterminato e circa trentamila assunzioni a termine. I servizi e il terziario continua-
no inoltre ad essere il contesto di riferimento per due fenomeni presenti nel mercato del
lavoro romano: le collaborazioni a progetto e il lavoro stagionale. Secondo le previsioni
Excelsior 2010 il ricorso ai collaboratori a progetto resta nelle imprese del terziario romano
stabile intorno al 9%. Il dato medio del 10% nazionale del lavoro a progetto viene confer-
mato dal mercato del lavoro romano: la presenza di una significativa percentuale di lavora-
tori a progetto costituisce un altro fenomeno che rende ormai strutturale la flessibilità pro-
fessionale nel contesto romano. I consulenti collaboratori a Roma lavorano soprattutto nelle
grandi imprese, per mansioni di alta qualifica o comunque specialistiche, spesso con parti-
ta IVA. I consulenti a progetto del terziario romano sono lavoratori specializzati, tipici del
lavoro autonomo di seconda generazione, e appaiono sempre meno configurabili come
precari sottopagati, anche se restano ancora fasce di false collaborazione. I diplomati e uni-
versitari sono più dell’ 85% dei collaboratori a progetto. Nel 2010 si sono previste inoltre
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assunzioni in aumento nei servizi di carattere stagionale, soprattutto nella qualifica impie-
gatizia. Nel capitolo specifico sul mercato del lavoro provvediamo, in ragione dei dati in
possesso dei servizi per l’impiego, a confrontare i dati previsionali con quanto realmente
accaduto nel mercato del lavoro romano, quantomeno nel primo semestre 2010, verifican-
do poi le previsioni per il 2011.
Le professioni qualificate nel commercio e nei servizi costituiscono in ogni caso l’area pro-
fessionale più richiesta nell’area romana, anche se appare opportuno declinarla in modo
meno generico per quanto riguarda le competenze che vengono cercate e che trovano
risposta in questo profilo professionale. In ogni caso, anche nel terziario, chi assume richie-
de una precedente esperienza lavorativa e ritiene importante il possesso di una competen-
za ben definibile e verificabile. Inoltre è molto richiesta la capacità di lavorare in gruppo.
Vale la pena considerare come le grandi imprese richiedano meno il possesso di una pre-
cedente esperienza nel settore, rispetto a quanto richiedono invece le piccole imprese, che
assumono meno e di solito cercano personale con esperienza. Di estremo interesse il dato
sul titolo di studio richiesto dalle imprese del terziario romano: in media le imprese del ter-
ziario richiedono personale con un titolo di studio secondario o universitario (totale: 63%),
con una percentuale di scolarità medio alta decisamente più alta rispetto a quanto richieda-
no le imprese manifatturiere. Tuttavia anche nel terziario si segnala una netta distinzione
tra imprese di qualità, con personale più competente e con titolo di studio alti, e imprese
con un minor livello di innovazione e con personale di minore preparazione (circa il 30%,
contro il 60% del personale dell’industria). I dati tuttavia confermano due elementi di appa-
rente contrasto:
1. l’industria romana assume in prevalenza a tempo indeterminato personale con basse
qualifiche e per mansioni ordinarie;
2. i servizi e il terziario romani assumono in prevalenza a tempo determinato personale
con alta qualifica e per mansioni di qualità.
Sono i due aspetti forse estremi di un fenomeno che va scandagliato ed esaminato con
attenzione, una costante di questi anni di trasformazione dell’economia su un mercato del
lavoro fragile.
7. I mestieri mancanti e la risposta del sistema formativo
Nonostante la crisi, le assunzioni di difficile reperimento sono in questi anni una costante
del terziario e dei servizi romani. Si tratta di un dato, forse sovrastimato dalle previsioni
UnionCamere (circa il 27% delle assunzioni del 2010 contro il 14% del 2009), ma certo
significativo e su cui appare necessario un approfondimento. Inoltre diventa importante
verificare come queste difficoltà siano più presenti nelle imprese di minore dimensione. I
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dati sul mismatching costituiscono, nelle diverse rilevazioni, dei dati a campione e presun-
tivi: in ogni caso infatti sono affermazioni delle imprese che vengono selezionate a campio-
ne. Sia le rilevazioni dell’Istituto Tagliacarne, sistema Excelsior per UnionCamere, che rile-
va soprattutto l’aspetto qualitativo dei fabbisogni professionali e delle professioni richieste,
che la ricerca Confartigianato, che inquadra soprattutto i mestieri artigiani richiesti e man-
canti, sono indagini presuntive e a campione. Non si tratta quindi di rilevazioni che disegna-
no in termini oggettivi il fenomeno del mancato incontro tra domanda ed offerta: tuttavia le
modalità della ricerca e la variazione del fenomeno offrono spunti significativi ed evidenti
riscontri di un problema di particolare rilevanza.
Dobbiamo quindi valutare la presenza nell’economia romana, sia nei servizi che nell’indu-
stria, sia di competenze di difficile reperimento (con un periodo di circa tre mesi per il repe-
rimento e maggiori difficoltà nelle imprese di minori dimensioni) che di competenze che non
si rintracciano o per le quali è maggiore la domanda che l’offerta.
Per quanto riguarda le assunzioni di difficile reperimento, dai dati 2010 Union Camere siste-
ma informativo Excelsior, per quanto riguarda i servizi a Roma appare opportuno rilevare
come:
1. con una percentuale superiore al 27%, cresce il dato della difficile reperibilità del perso-
nale a Roma;
2. nel commercio troviamo quasi la metà dei profili di difficile reperibilità (circa 5000 unità
di personale) e la motivazione prevalente e l’inadeguatezza del candidato;
3. nel settore alberghiero e nei trasporti la difficile reperibilità riguarda invece il ridotto
numero di candidati;
4. i servizi avanzati di consulenza gestionale ed amministrativa soffrono di difficile reperi-
bilità dei candidati, così come i servizi informatici;
5. nel commercio, nei trasporti, nella ristorazione, nei servizi amministrativi e gestionali
avanzati, nei servizi assicurativi la percentuale dei candidati di difficile reperibilità è par-
ticolarmente alta, arrivando anche a superare il 30% sul totale delle assunzioni;
6. si rilevano difficoltà anche nei servizi alle persone e nei servizi professionali, soprattut-
to per inadeguatezza dei candidati;
7. nelle microimprese con meno di nove dipendenti si dichiara la difficile reperibilità del
personale in almeno quattro casi su dieci.
Il dato medio per la ricerca del personale è comunque intorno ai quattro mesi, non si tratta
quindi per le attività non stagionali di un aspetto di particolare gravità per l’attività dell’im-
presa, quanto soprattutto per le caratteristiche del fenomeno e per il suo significato. Se con-
sideriamo poi in particolare le difficoltà derivanti dal ridotto numero dei candidati rilevate dal
sistema Excelsior sul settore romano dei servizi, si nota subito un dato di fondo: nella mag-
gioranza dei casi, più del 70%, le difficoltà derivano dal fatto che sono poche le persone che
esercitano o che sono interessate ad esercitare la professione. Solo in alcuni casi specifi-
ci, come i servizi formativi, i servizi di consulenza tecnica, i servizi culturali e in generale
nelle professionalità più elevate, le difficoltà di reperimento dipendono dalla presenza di una
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forte concorrenzialità sul mercato. Troviamo anche in questo caso la distinzione che abbia-
mo già incontrato, tra un terziario a bassa innovazione e con bassa qualifica che non trova
personale anche per le difficoltà derivanti dal disinteresse verso quel tipo di professione ed
un terziario ad alta qualificazione che ha problemi di reperibilità derivanti dalla scarsa pre-
senza sul mercato di figure professionali idonee e preparate. Le imprese del terziario che
non trovano personale in quanto si tratta di figure professionali ad alta competenza con un
mercato molto richiesto sono purtroppo di meno delle imprese che non trovano personale
per motivi di scarso interesse alla professione. Sono due estremi interessanti di un fenome-
no: il paradosso del terziario romano con imprese ad alta e bassa qualificazione, che vede
per esempio, da un lato, aziende che non trovano lavapiatti per il disinteresse verso questa
mansione e dall’altro aziende che non trovano esperti di ingegneria gestionale di alto livel-
lo per l’alta concorrenza delle imprese sul mercato romano nell’accaparrarsi una figura con
molto mercato. Il mercato del lavoro nei servizi a Roma vede da anni la presenza di questo
paradosso, che non diminuisce, ma che negli ultimi anni si è ulteriormente accentuato. Se
poi consideriamo la difficile reperibilità per l’inadeguatezza dei candidati, anche in questo
caso i servizi a Roma ci offrono spunti interessanti. La maggior parte della difficile reperibi-
lità riguarda la possibilità di reperire candidati con adeguata esperienza o competenza: que-
sta percentuale è complessivamente superiore al 44% dei casi rilevati. Ci sono tuttavia
anche situazioni in cui i candidati hanno aspettative superiori a quanto viene offerto, soprat-
tutto questo avviene nei servizi di ristorazione e soprattutto nei servizi immobiliari, sociali e
culturali.
La mancanza di esperienza come fattore importante e determinante della difficile reperibi-
lità dei candidati nel settore delle imprese del terziario e dei servizi a Roma riguarda due
tipologie di impresa molto distinte, ma che necessitano di addetti di provata competenza ed
esperienza: i trasporti e i servizi del terziario avanzato. Anche in questo caso le difficoltà
riguardano soprattutto le imprese di minore dimensione. Il quadro della difficile reperibilità
del personale, con l’analisi dei diversi comparti, appare di estremo interesse ai nostri fini, al
di là del riscontro oggettivo di tutti i fenomeni rilevati dal sistema Excelsior, in quanto rende
chiari alcuni aspetti interessanti delle dinamiche del terziario romano, confermano l’estre-
ma eterogeneità delle imprese e la necessità di una maggiore qualificazione dei servizi per
la formazione, la ricerca e la selezione del personale. Le piccole imprese romane soffrono
dei limiti e delle problematiche dei servizi per il lavoro e per la formazione, delle difficoltà
derivanti dalla scarsa attitudine al ricorso ai centri per l’impiego e alle agenzie per il lavoro
per la preselezione. Si tratta di aspetti che influiscono almeno in parte su due fenomeni: il
più basso livello di assunzioni nelle piccole imprese, la maggiore difficoltà per le piccole
imprese nel reperire il personale idoneo e con adeguata professionalità.
Questo problema va valutato con attenzione per le conseguenze complessive che determi-
na sul sistema economico romano: le piccole imprese del terziario, soprattutto del terziario
avanzato, sono strategiche per le possibilità di sviluppo del tessuto economico e del lavo-
ro a Roma. Le difficoltà che queste imprese incontrano sul mercato del lavoro, per via del-
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l’impossibilità di supplire con proprie banche dati aziendali e servizi formativi interni alla ina-
deguatezza dei servizi di preselezione presenti sul mercato, sono emblematiche di uno
degli aspetti di fondo rilevati da questa ricerca comparata sullo stato di salute dell’econo-
mia romana: le potenzialità di crescita dell’economia romana sono ostacolate dall’inefficien-
za del mercato del lavoro. La ricerca promossa da Confartigianato nazionale sui paradossi
della disoccupazione italiana considera soprattutto mestieri a vocazione artigianale, anche
se soprattutto a Roma e nel Lazio, molti tra questi mestieri riguardano attività da classifica-
re nell’ambito del terziario e nei servizi. Questa analisi, considerata come riferimento dal
Ministero del Lavoro e dal Governo per la promozione del “piano giovani”, conferma quan-
to abbiamo già rilevato e commentato. In particolare, a Roma, mancano figure professiona-
li con competenza definita e qualifiche di basso livello, come baristi (il 60%), lavandaie e sti-
ratrici (il 65%), parrucchieri ed estetisti (il 54%), macellai, sarti, rappresentanti di commer-
cio, pasticcieri, gelatai e camerieri. Si tratta di una elaborazione di Confartigianato su dati
UnionCamere sistema Excelsior che conferma e dà evidenza alle professioni di difficile
reperibilità, confermando due aspetti: la prevalenza della ricerca di professioni a bassa qua-
lifica nel terziario romano dal punto di vista quantitativo, l’inadeguatezza dei sistemi di pre-
selezione utilizzati dalle piccole imprese romane.
8. Le tendenze evolutive e le dinamiche del mercato dei servizi, turismo
e del commercio
Descrivere e commentare le tendenze evolutive del mercato dei servizi, del turismo e del
commercio a Roma significa provare a cogliere l’anima dell’economia romana e dei suoi
possibili percorsi di sviluppo.
I dati, le analisi e le ricerche che sono state considerate e in parte esposte in questo lavo-
ro permettono di cogliere alcuni elementi che possono permetterci di esprimere valutazioni
qualitative interessanti o quantomeno non scontate. La parte conclusiva di questa ricerca
comparata svolge il commento sui fenomeni e l’aspetto propositivo in modo completo, tut-
tavia la centralità del terziario a Roma permette di cogliere e valutare alcuni fenomeni che
nella Capitale appaiono più accentuati rispetto al resto d’Italia e che vale la pena riconosce-
re e descrivere. Poiché il terziario romano comprende imprese per dimensioni, innovazio-
ne e qualità assolutamente diverse tra loro, le prossime considerazioni colgono fenomeni
in parte diversi e in parte persino paradossali, ma sempre verificabili e misurabili.
In primo luogo non appare del tutto corretto e preciso affermare che il terziario romano sia
stato in questi anni coinvolto dalla crisi. Come avremo occasione di considerare nel capito-
lo finale, Roma in questo triennio 2008-2010 ha subito in parte gli effetti di una crisi che ha
in primo luogo coinvolto il settore manifatturiero, che a Roma era già da anni in crisi (per
diversi fattori, non ultimo i mancati investimenti in formazione interna e innovazione) e che
a Roma non risulta rilevante come nel resto d’Italia, e che ha svelato alcune fragilità di
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fondo presenti nel settore da anni trainante l’economia romana: il terziario.
Possiamo in sintesi provare a declinare queste considerazioni, che riguardano le dinamiche
e gli aspetti qualitativi del terziario a Roma:
1. il terziario costituisce il settore che accompagna e anticipa le dinamiche dell’economia
e del lavoro a Roma, che meglio ne coglie l’evoluzione e le contraddizioni;
2. la crescita del terziario e dei servizi (commercio e turismo in particolare) si è determina-
ta in questi anni più grazie ad aspetti aciclici che grazie alle performances di mercato,
comportando una crescita quantitativa, ma minori risultati dal punto di vista qualitativo
(in questo senso il dato della permanenza dei turisti a Roma è eclatante);
3. la “crisi” ha svelato alcune difficoltà di fondo che penalizzano l’evoluzione in termini qua-
litativi e di sistema del terziario romano, in termini di infrastrutture, accesso al credito e
a servizi per le piccole imprese;
4. il terziario romano non “fa sistema”, ma si trova posizionato tra due estremi, sia in ter-
mini qualitativi che quantitativi, imprese con meno di dieci dipendenti o con più di cin-
quanta, imprese con poca innovazione e imprese con alta capacità innovativa;
5. il sistema dei servizi e delle infrastrutture per lo sviluppo presente a Roma, dal credito
al lavoro, dalla formazione agli incentivi alle imprese, non appare oggi da solo in grado
di sostenere il salto qualitativo del terziario romano;
6. in questa fase le imprese del terziario più strutturate adottano investimenti, anche sul
capitale umano, per sostenere la qualificazione, mentre le imprese di minori dimensio-
ni non riescono ad adottare comportamenti di promozione e rafforzamento e appaiono
più in difficoltà, come dimostra l’inadeguata propensione all’assunzione;
7. il terziario avanzato ha buone performance sul mercato e in termini occupazionali, ma
appare schiacciato e privo ancora di strumenti e di riferimenti che aiutino lo scambio tec-
nologico e la promozione di filiere e distretti;
8. le piccole imprese del terziario esprimono una domanda di servizi per il capitale umano
che non appare del tutto risolta, anche in termini di accesso alle informazioni.
Appare pertanto un quadro chiaro, che mostra la necessità di posizionare proprio sul ter-
ziario e sui servizi l’intervento delle politiche per lo sviluppo del territorio: in questo modo è
possibile rafforzare le potenzialità e ridurre le criticità. Si tratta di potenzialità e criticità chia-
re e confermate negli anni, in quanto questo biennio di “crisi” ha messo in luce quanto
necessario per portare l’economia romana con più forza sui mercati.
L’energia creativa presente nel terziario romano richiede politiche e servizi adeguati e un
quadro programmatorio condiviso, aperto e con opportunità accessibili a tutti gli operatori
del settore.
9. FOCUS: il settore e il mercato della moda a Roma, opportunità e risposte
In questo lavoro di ricerca comparata abbiamo ritenuto importante svolgere alcuni focus
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relativi a settori chiave per lo sviluppo in senso qualitativo del sistema economico romano.
Il settore della moda costituisce senza dubbio uno di questi ambiti, in quanto la moda rie-
sce a coniugare proprio gli elementi chiave in grado di dare un tono di qualità alla crescita
del modello produttivo della Capitale. Il settore moda è emblematico in quanto:
I. coniuga elementi organizzativi, promozionali e creativi del terziario avanzato con aspet-
ti importanti dell’artigianato di qualità;
II. richiede una formazione mirata, specifica e in grado di coniugare sia la formazione pro-
fessionale di alto livello che competenze di organizzazione di impresa, di marketing e di
comunicazione;
III. implica la presenza nel contesto romano di scuole di alto livello, laboratori creativi, ser-
vizi promozionali, organizzazione di eventi, definendo una filiera completa;
IV. comporta una forte vocazione e propensione all’export;
V. richiede il supporto di strumenti di innovazione.
La capacità del contesto territoriale romano di dare valore al settore della moda, andando
oltre il mercato interno e la tradizione dell’alta sartoria romana, per consentire a grandi grif-
fe con vocazione all’export sedi creative e di confezione a Roma costituisce quindi un
aspetto importante, per confermare o meno la capacità della Capitale di cogliere il segnale
dell’energia creativa e dell’innovazione e di poter costituire un contesto favorevole.
I dati più significativi per valutare questo tipo di presenza delle imprese della moda a Roma
sono pertanto quelli relativi all’export. Il sistema moda a Roma è cresciuto costantemente,
anche per la presenza di istituti formativi in grado di sostenere i laboratori creativi e la pro-
duzione, nonché per l’attenzione delle organizzazioni di impresa e della Camera di
Commercio. La crisi del 2009, che ha colpito il Made in Italy, ha riguardato in modo struttu-
rale anche il comparto moda. Tuttavia i dati del 2010 sono confortanti: la vigorosa ripresa
dell’export segnala la presenza di buoni anticorpi e di come questo segmento produttivo
possa diventare uno dei punti di riferimento per la ripresa in termini qualitativi dell’economia
romana. L’export di prodotti tessili, abbigliamento, cuoio e calzature, ha infatti registrato a
Roma nei primi 9 mesi del 2010 una crescita del 35,5% rispetto allo stesso periodo del
2009. (cfr. export totale Roma +30,3%). Una crescita superiore al dato nazionale dove l’ex-
port dei prodotti legati alla moda è aumentato nei primi 9 mesi del 9,5% rispetto allo stes-
so periodo del 2009. Il 2010 continua a registrare, quindi, una forte crescita dell’export della
moda romana dopo la brusca flessione registrata nel 2009. Nonostante la ripresa del 2010
i valori dell’export sono comunque ancora inferiori ai dati del 2008, anno che ha segnalato
un punto di arrivo per l’evoluzione delle imprese e del distretto romano della moda.
Analizzando i dati delle elaborazioni della Camera di Commercio più in dettaglio, notiamo
come la crescita è generalizzata e interessa quasi tutti i principali mercati di sbocco. Gli
Stati Uniti d’America si confermano il principale mercato di riferimento dell’export del setto-
re moda romano con quasi 24 milioni di euro nei primi 9 mesi del 2010 (oltre il 10% del tota-
le), registrando una crescita del 57,5% rispetto allo stesso periodo del 2009. Il Giappone si
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conferma il secondo mercato per valore dell’export del sistema moda romano con 16,9
milioni di euro (+40,3% rispetto ai primi 9 mesi del 2009). Tra i primi 10 principali mercati di
sbocco l’unico in flessione risulta la Russia con un -9,7% rispetto allo stesso periodo 2009,
in funzione di questo la Russia passa da terzo mercato più grande per valore dell’export nel
2009 ad ottavo nel 2010. Il report dell’Istituto Tagliacarne UnionCamere segnala, inoltre, il
balzo dell’export verso la Germania: +112,3%. Tra i mercati emergenti buoni risultati anche
per Emirati arabi uniti (+53,4%) e Cina (+64,9%). Si tratta della crescita in mercati molto
importanti per il made in Italy con vocazione di qualità, anche questo è un dato che fa ben
sperare.
Tuttavia i dati dell’export del sistema moda a Roma vanno visti in riferimento ad altri impor-
tanti elementi di contesto, che vale la pena riportare:
1. il sistema moda costituisce complessivamente uno dei settori dell’economia romana a
maggiore propensione all’esportazione (il settore dell’abbigliamento è in valori assoluti
il quarto settore per esportazioni dell’economia romana), in una città che storicamente
importa molto più di quanto esporti;
2. i romani vendono moda, in proporzione, più di quanto la importino dall’estero (valore
medio del sistema moda per esportazione 3,7%, per importazione 2,4%);
3. il valore della moda esportata e importata a Roma è comunque di gran lunga inferiore
alla media nazionale (4% romano contro l’11% nazionale per l’export; 2,4% romano
contro il 7% nazionale per l’import);
4. il sistema moda Roma cresce con forza anche in quanto partiva da dati molto bassi e il
salto di qualità per strutturarsi in termini definitivi dipende anche dalla capacità di con-
solidare il proprio sistema di servizi che operano per il distretto della moda romana;
5. il dato complessivo della percentuale dell’export romano derivante dal sistema moda è
tuttavia di gran lunga inferiore rispetto a quanto avviene nella media nazionale: anche
se consideriamo il recupero del 2010 il dato romano della percentuale dell’export moda
sul totale delle esportazioni è di poco superiore al 4%, mentre il dato nazionale medio
vede il settore moda pesare circa l’11% del totale delle esportazioni italiane nel mondo.
Il quadro di insieme ci consente una valutazione di tipo quantitativo e qualitativo: il sistema
moda Roma ha margini di crescita interessanti, in quanto, pur in presenza di alcune critici-
tà, il contesto romano appare strutturato in modo da aumentare produttività ed esportazio-
ni. Tuttavia il segmento dell’economia romana coperto dalle attività del sistema moda appa-
re ancora ridotto, l’incidenza del settore moda sul totale delle imprese romane è ancora
relativamente basso e servono investimenti organizzativi in grado di poter rafforzare in ter-
mini quantitativi un settore che in questi anni ha saputo ritagliarsi margini di crescita quali-
tativa e di competitività. Oltre alle maison storiche romane dell’Alta Moda, come Fendi o
Gattinoni, appare in questo senso da sostenere e da promuovere la scelta di alcuni marchi
internazionali, come Gucci, di portare a Roma il proprio laboratorio creativo. In questo
senso la competizione interna è con il distretto fiorentino e Roma è chiamata a dare valore
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in questo senso alla propria dimensione internazionale e anche alla sua funzione di capita-
le e di centro promozionale di eventi e di strategie di marketing. Si tratta di una competizio-
ne non semplice, vista la tradizione e la notorietà del contesto fiorentino, che si deve gio-
care anche in riferimento alla capacità di reperire sul mercato del lavoro romano le profes-
sionalità adeguate. La strada per il rafforzamento in termini quantitativi del mercato roma-
no della moda in ogni caso appare chiara ed è costituita dalla capacità di affermare uno
“stile ROMA”, valorizzando il contesto capitolino anche dal punto di vista del marketing, e
sostenendo con adeguate infrastrutture tecnologiche, promozionali e immateriali il posizio-
namento sul distretto romano di grandi marchi del Made in Italy con vocazione all’export. Si
tratta di una strada che Roma ha avviato da alcuni anni e che appare oggi in grado di soste-
nere un ulteriore salto di qualità dal punto di vista dei volumi di esportazione.
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CAPITOLO TERZO: L’ARTIGIANATO E LE PICCOLE IMPRESE
ABSTRACT
Attraverso i dati della Camera di Commercio, delle organizzazioni di impresa, della banca
dati Excelsior, dei Fondi interprofessionali e i dati sul lavoro e sulla formazione istituzionali
si descrive l’andamento del settore artigianato a Roma nel periodo 2009-2010.
Premessa
L’analisi della dimensione artigiana dell’impresa romana appare importante per cogliere, da
un lato le trasformazioni delle imprese artigiane e della ditta individuale e, dall’altro, per veri-
ficare il ruolo nel contesto romano dei mestieri artigiani e delle vocazioni produttive tradizio-
nali.
È importante in via preliminare considerare cosa intendiamo per imprese a vocazione arti-
giana in questa ricerca comparata e quindi che tipo di informazioni e di dati abbiamo con-
siderato per quanto riguarda la valutazione dello stato di salute delle imprese romane “a
vocazione artigiana”. Esiste, dal punto di vista della classificazione statistica, un artigiana-
to, in senso stretto, che considera le imprese con meno di quindici dipendenti nel compar-
to manifatturiero, e una accezione più ampia dell’artigianato, che considera invece le pic-
cole imprese e le ditte individuali sia nelle attività manifatturiere che in attività collegabili al
settore dei servizi. Questa accezione più ampia è quella che viene aggregata e rappresen-
tata dalle organizzazioni dell’artigianato e della piccole e medie imprese e costituisce il rife-
rimento per alcune specifiche valutazioni di questa ricerca, che considera quindi l’artigiana-
to e la piccola impresa sostanzialmente valutando queste distinzioni di riferimento:
a) ogni tipologia di impresa che si colloca tra i dieci e i cinquanta dipendenti viene consi-
derata come piccola impresa;
b) le imprese con meno di dieci dipendenti, di ogni settore, vengono considerate “a dimen-
sione artigiana”;
c) le imprese con meno di dieci dipendenti del settore manifatturiero sono le imprese arti-
giane in senso stretto, mentre sono considerate “botteghe artigiane” le imprese con
meno di dieci dipendenti che svolgono le attività classificate nell’ambito dei mestieri arti-
giani tradizionali.
Si tratta di una classificazione terminologica, che in parte rileva anche ai fini della normati-
va e dell’attribuzione degli incentivi, ma che viene considerata in questa ricerca comparata
esclusivamente per i fini di comprensione del fenomeno.
Lo scenario economico di Roma nel 2010 studiato dall’Istituto Tagliacarne per la Camera di
Commercio considera le imprese artigiane “in senso allargato” ovvero considerando la
dimensione artigiana delle imprese nei diversi settori produttivi, in ragione dell’iscrizione
prevista per legge all’albo provinciale delle imprese artigiane. Nell’ultimo biennio la crisi ha
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quindi determinato una diminuzione del numero delle imprese artigiane a Roma, anche se
le cessazioni di attività a dimensione artigiana nel 2009 a Roma è inferiore a quanto è avve-
nuto a livello nazionale nello stesso periodo.
È importante segnalare che la quota dell’artigianato sul totale delle imprese romane è di
poco superiore al 16%: Roma ha quindi imprese a dimensione artigiana molto meno rispet-
to a quanto accade alla media nazionale, che supera il 24% di imprese a dimensione arti-
giana sul totale. Il periodo 2008-2010 ha comportato una diminuzione delle iscrizioni e un
aumento delle cessazioni, che ha ridotto la consistenza quantitativa delle imprese artigiane
a Roma e in provincia.
Questa diminuzione della base produttiva artigiana è stata determinata sostanzialmente
dalle cessazioni delle imprese artigiane “in senso stretto” manifatturiere, a cui si aggiungo-
no le cancellazioni di diverse ditte che operavano nel commercio.
Le imprese artigiane che operano nelle costruzioni restano a Roma le più consistenti, men-
tre si assiste in questi anni ad una crescita delle imprese artigiane nella ristorazione, nei
servizi alle imprese, nelle agenzie di viaggio.
Interessante la forma giuridica: più dell’ 80% delle imprese artigianali romane resta ancora-
to alla forma della ditta individuale, anche se assistiamo ad un aumento delle imprese arti-
giane che operano come società di capitale. Il 35% delle ditte individuali romane opera
come imprese artigiane, dato del tutto nella media nazionale.
Quasi il 90% delle ditte individuale che opera nel settore manifatturiero ha a Roma la forma
dell’impresa artigiana. L’incidenza delle imprese artigiane rispetto al totale del comparto a
Roma è molto forte nel settore manifatturiero (più del 46% delle imprese romane sono arti-
giane), nel settore dei trasporti (47%) e nei servizi vari (più del 55%). La dimensione arti-
giana è quindi a Roma quantitativamente ben presente, ma al di sotto della dimensione
media nazionale, e incide molto su alcuni settori importanti per l’economia romana come il
manifatturiero. La forte dimensione individuale dell’impresa artigiana romana impone anche
una valutazione delle caratteristiche dell’imprenditore artigiano, che sono prese in conside-
razione dal report della Camera di Commercio e di CNA Roma.
Il numero degli artigiani a Roma cala meno rispetto alla media nazionale, ma è altresì vero
che la consistenza in termini percentuali dell’artigiano rispetto al totale degli imprenditori a
Roma rappresenta poco più del 12%, un dato inferiore alla media nazionale che si colloca
intorno al 20% sul totale. Particolarmente grave lo scarso numero di under 30 tra gli impren-
ditori artigiani, intorno al 6%, a dimostrazione di una realtà di impresa che perde terreno nei
confronti delle nuove generazioni.
Anche il dato delle imprenditrici artigiane romane non appare soddisfacente, sia rispetto alla
media romana (18% contro il 24% di presenza media femminile nell’imprenditoria romana),
che valutando il dato della media nazionale. Le imprenditrici artigiane romane operano
soprattutto nei servizi, mentre il settore manifatturiero, le costruzioni e i trasporti sono i con-
testi tipici dell’imprenditoria artigiana romana in cui è maggiore la presenza maschile, come
appare peraltro logico dal tipo di attività.
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1. L’andamento del mercato del lavoro del settore artigianato e delle piccole impre-
se a Roma nel periodo 2009-2010
L’analisi che riguarda l’andamento del mercato del lavoro e del dato occupazionale nelle
imprese a dimensione artigiana e nelle piccole imprese romane considera la distinzione,
tipica della classificazione dimensionale, tra imprese con meno di dieci e imprese con meno
di cinquanta addetti.
Come è stato già riportato, una delle caratteristiche dell’evoluzione del lavoro a Roma e
delle relative dinamiche occupazionali, in controtendenza con altre dinamiche positive
nazionali, è il fatto che a Roma le imprese con più di 50 dipendenti assumono più delle pic-
cole imprese e delle imprese a dimensione artigiana. Questo differenziale si è reso eviden-
te nella fase di crisi 2008-2010 in cui le piccole imprese hanno ridotto gli avviamenti al lavo-
ro in modo significativo, in percentuale, mentre le grandi imprese, soprattutto quelle che
operano in settori aciclici, hanno in parte continuato ad assumere. L’evoluzione del dato
occupazionale costituisce un interessante termometro di come questi anni abbiano visto
una sorta di “ripiegamento” delle piccole imprese romane, che hanno mostrato alcune fra-
gilità e difficoltà ed evidenziato la necessità di servizi e politiche pubbliche rivolte in partico-
lare alle piccole imprese e alle imprese a dimensione artigiana.
L’analisi delle previsioni occupazionali per il 2010 delle imprese romane svolta dal sistema
Excelsior ha mostrato (come già evidenziato in precedenza) che, sul totale delle assunzio-
ni previste, circa il 18% derivi da imprese con meno di dieci addetti, mentre il 27% è attri-
buibile ad imprese con meno di cinquanta addetti. Se consideriamo il dato delle imprese
manifatturiere questa percentuale è ancora inferiore, mentre il dato aumenta con le impre-
se di costruzioni.
Le piccole imprese e le imprese artigiane che operano nei servizi e nel commercio
hanno perfomances ancora più negative, con eccezione per le imprese tra i dieci e i qua-
rantanove addetti del macro comparto “altri servizi” che hanno dichiarato di assumere
nel 2010 nel 30% dei casi. La distinzione tra classi dimensionali per le assunzioni non
stagionali a Roma evidenzia il debole peso delle piccole imprese, con un numero di
dipendenti tra i dieci e i quarantanove: questo segmento, tra i più dinamici e interessan-
ti, a Roma è meno forte rispetto al dato nazionale e determina un impatto occupaziona-
le davvero poco significativo, mostrando come il lavoro a Roma resti collocato essen-
zialmente tra i due estremi delle piccolissime imprese a dimensione artigiana e la gran-
de impresa. In ogni caso i movimenti occupazionali che interessano le piccole imprese
con un numero di dipendenti tra i dieci e i quarantanove sono intorno al 15% del totale,
con un saldo considerato addirittura negativo tra avviamenti e cessazioni: sono dati che
confermano la debolezza in questa fase delle piccole imprese romane dal punto di vista
dell’impatto occupazionale.
Il quadro previsionale delle assunzioni, che nel capitolo sul mercato del lavoro viene con-
frontato con gli andamenti reali degli avviamenti e delle cessazioni, offre altri spunti di let-
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tura significativi:. le piccole imprese tendono ad assumere personale più giovane;. le piccole imprese hanno maggiore difficoltà nel reperire professionalità adeguate;. le piccole imprese preferiscono assumere personale di sesso maschile;. le imprese di minore dimensione richiedono in modo significativo che il personale da
assumere sia in possesso di competenza ed esperienza verificabili, ma è meno neces-
sario il titolo di studio;. nella fascia dimensionale tra i dieci e i quarantanove dipendenti è richiesto un titolo di
studio secondario o universitario nel 60% dei casi;. nella fascia dimensionale delle imprese artigiane con meno di dieci dipendenti il titolo di
studio secondario o universitario è richiesto nel 46% dei casi;. la maggior parte dei contratti a tempo parziale è nelle piccole imprese.
Il confronto tra i dati mostra quindi una differenziazione tra i comportamenti: le imprese arti-
giane assumono personale con esperienza, ma anche senza particolare qualifica profes-
sionale, per lo svolgimento di mansioni non particolarmente qualificate, mentre le piccole
imprese mostrano una situazione di stallo, una connotazione “ intermedia” che in questa
fase economica non mostra tuttavia comportamenti rivolti all’investimento in capitale umano
e nel rafforzamento dell’attività. Di particolare interesse è la presenza dei lavoratori immi-
grati non stagionali, che sono di gran lunga più presenti nelle piccole imprese e nelle impre-
se a dimensione stagionale. Il dato sull’utilizzo dei contratti atipici mostra come le imprese
di minore dimensione impieghino in genere meno personale con contratti atipici, rispetto
alle imprese maggiori.
Lo stesso fenomeno si riscontra per quanto riguarda l’utilizzo del lavoro in somministrazio-
ne (ex lavoro interinale), che viene impiegato molto di più nelle imprese di maggiori dimen-
sioni.
Il differenziale di utilizzo delle forme di lavoro flessibile tra le imprese romane di maggiore
e minore dimensione è particolarmente rilevante e mostra una minore propensione alla fles-
sibilità delle piccole imprese.
Il quadro dell’andamento del mercato del lavoro nelle piccole imprese e nelle imprese arti-
giane romane mostra alcuni fenomeni di estremo significato: il rallentamento della dinami-
ca occupazionale a Roma riguarda soprattutto la capacità di inserimento lavorativo delle
piccole imprese, con una particolare difficoltà proprio nelle imprese potenzialmente più
strutturate e dinamiche, la fascia delle imprese tra i dieci e i quarantanove dipendenti, che
vivono questa fase di transizione ponendosi “in attesa” e rallentando gli investimenti strut-
turali. Dal quadro emerge un tessuto di piccole imprese strutturato su segmenti tradiziona-
li, con minore flessibilità e adattabilità, che richiede personale con esperienza, ma in gene-
re con competenze meno elevate.
Il tessuto delle microimprese romane più innovative e tecnologiche, che è quello che ha
gestito meglio questa fase, non appare ancora in grado di determinare un vero e proprio
cambio di passo. Sono dati che confermano la necessità per le piccole imprese romane e
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per le imprese artigiane di accedere a politiche e servizi pubblici mirati, in grado di accom-
pagnare un rafforzamento che può essere di tipo dimensionale solo se si lega a fattori qua-
litativi, in primo luogo il capitale umano.
2. Gli interventi di contrasto alla crisi e l’impatto sulle piccole imprese
L’impatto della crisi sulle piccole imprese romane è stato analizzato e ponderato da
diverse ricerche, tra queste appare rilevante per le valutazioni sui fenomeni in atto e
sulle tendenze la ricerca condotta da CER (Centro Europa Ricerche) per CNA Roma. Si
riportano in questo paragrafo alcune elaborazioni CER dei dati della Provincia di Roma,
della Regione Lazio e del Ministero del Lavoro, che riguardano l’evoluzione della crisi
nel 2010 e nei primi mesi del 2011, considerando soprattutto il tessuto delle piccole
imprese romane.
Nel 2010, per gli operai in tutti e quattro i trimestri del 2010 sono stati registrati aumenti del
ricorso alla cassa integrazione tendenziali positivi, con un totale di ore autorizzate nel quar-
to trimestre del 2010 pari a 4.520.313 ore (con un incremento del 55,8% rispetto al quarto
trimestre del 2009). Gli impiegati delle aziende della provincia di Roma, al contrario, speri-
mentano una diminuzione tendenziale delle ore autorizzare nella prima metà del 2010 (-
53% nel primo trimestre e -17,6% nel secondo trimestre) mentre ritornano a crescere nella
seconda metà dell’anno con un balzo del 107,5% nel terzo trimestre e del 34% nel quarto
trimestre.
Un aumento della Cig in deroga si è avuto anche in apertura di 2011, con una variazione a
gennaio di circa il 145%. In riduzione sono invece le componenti della cassa integrazione
ordinaria (-1.2%) e ancora più straordinaria (-24,3%).
L’indagine CER per CNA si è concentrata innanzitutto sugli aspetti quantitativi, chiedendo
alle imprese del campione di riferimento di esprimere un giudizio circa l’andamento (con
riferimento al secondo semestre del 2010 e in previsione per il primo semestre 2011): del
numero di addetti, delle ore lavorate, dell’utilizzo del lavoro straordinario e del ricorso agli
ammortizzatori per far fronte alle difficili condizioni economiche generali.
Con riferimento al numero di addetti , confrontando il consuntivo del secondo semestre del
2010 e le previsioni per il primo semestre del 2011, emerge come le aspettative degli
imprenditori indichino un’ulteriore riduzione, seppur contenuta, del numero di addetti. Infatti,
il saldo, nei due periodi, tra le imprese che hanno aumentato (o intendono farlo per il 2011)
il numero di addetti e quelle che lo hanno diminuito (o prevedono di farlo) è negativo e cre-
sce in valore, da - 7,7% a -8,9%.
Per il primo semestre del 2011 è da sottolineare una piccola riduzione delle imprese che
intendono ridurre il numero di addetti rispetto a quanto fatto nel secondo semestre del 2010
(dal 16,1% al 15,1%) anche se si assiste contemporaneamente ad una diminuzione della
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percentuale di imprese che hanno incrementato (o intendono incrementare) il numero di
addetti (dall’ 8,4% al 6,2%) e ad un raddoppio della percentuale di imprese che non espri-
mono alcun giudizio (dall’ 8,2% al 17,1%) evidenziando il grado di incertezza circa i futuri
livelli occupazionali aziendali che risentono in maniera ritardata ma drammatica degli effet-
ti negativi della crisi economica.
Il momento di difficoltà delle piccole e medie imprese della provincia di Roma emerge anche
analizzando le ore lavorate. I dati a consuntivo del secondo semestre del 2010 mostrano
un saldo negativo di -11,1% tra le imprese con un aumento delle ore lavorate (l’11,4%) e le
imprese con una diminuzione delle stesse (-22,5%) con poco più della metà delle imprese
del campione (il 54,7%) che non ha apportato modifiche al quantitativo di ore di lavoro. Il
dato sul numero di addetti risulta migliore rispetto a quanto previsto in precedenza dagli
imprenditori, con un saldo di previsione pari al -10,8%. Peggiore, al contrario, risulta il con-
suntivo per le ore lavorate nel secondo semestre del 2010 rispetto a quanto previsto: -
11,1% rispetto al -10,2%. Le imprese, nel secondo semestre del 2010, hanno quindi scelto
di ridurre le ore di lavoro piuttosto che diminuire l’organico aziendale rispetto a quanto pre-
cedentemente preventivato.
1. Il 48,3% delle imprese oggetto dell’indagine CER dichiara che l’attuale crisi economica
ha portato con sé, tra le tante conseguenze negative, anche un aumento dei contenzio-
si in materia di lavoro portando nel 40,3% delle imprese a modifiche nei rapporti inter-
personali tra gli imprenditori e i dipendenti delle imprese stesse.
I settori produttivi della provincia di Roma che maggiormente hanno visto aumentare il
numero dei contenziosi in materia di lavoro come conseguenza della crisi risultano essere:
il settore del ceramico e vetro (100%!) seguito dal settore delle imprese di autoriparazione
(62,5%) e della produzione e lavorazioni metalmeccaniche (60%).
Un altro risultato importante è dato dal numero di imprese che dichiara di aver
apportato delle modifiche dell’organizzazione del lavoro dell’impresa come diretta conse-
guenza della crisi economica: circa tre imprese su quattro (il 74,3%) ha modificato l’orga-
nizzazione del lavoro dell’impresa.
Emergono quindi con chiarezza, secondo la valutazione del CER, gli sforzi che gli impren-
ditori stanno compiendo, non potendo più agire sui margini visto il crollo degli utili, per resta-
re competitivi nello scenario di crisi attuale e che si riversano sull’organizzazione dell’azien-
da e del lavoro.
Le modifiche all’organizzazione sono state attuate da tutte le imprese del settore chimico,
plastica e gomma, dall’ 89,5% delle imprese del carto-grafico-editoria e dell’ 80,9% delle
imprese di impiantistica.
Il quadro che emerge dall’impatto congiunturale dell’ultimo anno sulle piccole imprese
romane conferma, dai dati sull’utilizzo degli ammortizzatori, la situazione di “attesa” che le
piccole imprese sembrano vivere rispetto ai mercati e alla congiuntura. Tuttavia la natura
della crisi non spiega del tutto nel tessuto romano, in cui l’aspetto manifatturiero è meno
rilevante, l’impatto del ricorso agli ammortizzatori in deroga e a processi di riorganizzazio-
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ne piuttosto massicci. Sembra emergere un fenomeno specifico: le piccole imprese, in que-
sta fase, riflettono sui cambiamenti in atto e adottano comportamenti difensivi: ricorrono ad
ammortizzatori e a processi di riorganizzazione per non licenziare, assumono con maggio-
re difficoltà e con una forte attenzione all’esperienza del candidato, cercano soluzioni nel
sistema dei piani formativi. Le piccole imprese romane appaiono in questa fase in attesa di
riferimenti, di partnership, di servizi e dell’implementazione di politiche pubbliche mirate al
rafforzamento qualitativo negli aspetti chiave della competitività territoriale su cui il sistema
romano appare in ritardo: le garanzie per il credito, le infrastrutture tecnologiche, il capitale
umano, i trasporti, l’accesso a servizi consortili, il sostegno alla promozione e alla vendita,
i servizi per il lavoro.
3. I fabbisogni professionali manifestati e la loro evoluzione
L’analisi del dato delle previsioni occupazionali 2010 mostra come le imprese con meno di
50 addetti, sia nell’industria che nei servizi, siano a Roma in questa fase in difficoltà dal
punto di vista della tenuta occupazionale. Questo comporta una minore propensione alle
assunzioni, che è confermata dal dato che vede come nel 2010 solo il 18% delle imprese
a dimensione artigiana abbia manifestato intenzione di assumere, dato che sale al 27%
nella classe dimensionale delle piccole imprese con un numero di addetti dai dieci a qua-
rantanove. Tuttavia possiamo segnalare quali siano le imprese che hanno manifestato una
maggiore intenzione ad assumere nell’ambito delle imprese artigiane e delle piccole impre-
se: si tratta di un dato che non appare del tutto confermato dai dati reali delle assunzioni
2010 (soprattutto quantitativi), ma che offre spunti rispetto ai fabbisogni professionali.
Tra le imprese a dimensione artigiana, sono in cerca di addetti le imprese metallurgiche e
che operano nel settore della chimica-plastica, le imprese artigiane che operano nella pro-
duzione elettrica ed elettronica, ma soprattutto le imprese artigiane delle costruzioni e che
operano nelle pubblic utilities, come
acqua, energia e gas. Nei servizi sono in condizione di esprimere fabbisogni le aziende a
dimensione artigiana che operano nei trasporti, nella ristorazione, nei servizi informativi ed
informatici e nei servizi avanzati di consulenza tecnica.
Se osserviamo le tendenze in termini di fabbisogni per il 2010 delle aziende con un nume-
ro di addetti da dieci a quarantanove incontriamo le aziende che operano nella metallurgia,
nella chimica, nell’elettronica, nei servizi turistici, nei trasporti, nei servizi dei media, nei ser-
vizi finanziari e nei servizi di consulenza legale e gestionale.
Significativa è anche la propensione alle assunzioni nelle piccole imprese che operano nei
servizi di noleggio e leasing operativo, nei servizi immobiliari, nei servizi di pulizia, ma
anche nei servizi di formazione ed istruzione, nei servizi sociali e culturali (in generale nei
servizi alle persone).
È quindi valutabile una differenza tra le indicazioni e propensioni delle imprese artigiane e
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delle piccole imprese: le imprese con maggiore dimensione a Roma sembrano indicare
un’interessante propensione al rafforzamento del proprio organico per attività che compor-
tano un maggior livello di competenza tecnica e professionale e in settori con un più alto
livello di innovazione.
Si tratta di una indicazione non rilevante dal punto di vista quantitativo per i volumi occupa-
zionali che determina, tuttavia va considerata perché offre uno spunto interessante dal
punto di vista qualitativo: le piccole imprese che hanno tra i dieci e i quarantanove addetti
non sono ancora in grado di esprimere le proprie potenzialità dal punto di vista occupazio-
nale, ma le scelte di questo segmento di imprese conferma anche a Roma la centralità delle
piccole imprese per innescare fattori di qualità, competitività e dinamismo economico.
Sono peraltro le piccole imprese e non le imprese artigiane ad utilizzare di più i rapporti di
lavoro flessibile, soprattutto per la copertura di picchi di attività.
In ogni caso le imprese a dimensione artigiana a Roma hanno una maggiore propensione
ad effettuare assunzioni a tempo indeterminato e ad utilizzare i contratti di apprendistato,
anche rispetto alle grandi imprese. Si tratta di un dato che si presta a diverse interpretazio-
ni: la necessità di fidelizzare il dipendente, la presenza delle imprese artigiane in settori tra-
dizionali come le costruzioni o la meccanica, la presenza della cultura della “bottega scuo-
la”. Appare in ogni caso opportuno considerare come la “cultura della flessibilità” sia meno
presente nelle imprese artigiane romane, che assumono a tempo determinato soprattutto
per le oggettive esigenze del lavoro stagionale e non come scelta di tipo organizzativo di
riferimento.
4. I mestieri mancanti e la risposta del sistema formativo
Le valutazioni previsionali del sistema Excelsior offrono sul 2010 spunti interessanti rispet-
to alle situazioni di difficile reperibilità del personale. Si tratta di osservazioni che vanno con-
frontate con quelle specifiche che sono state svolte per il macrosettore dei servizi.
Consideriamo questi dati per la dimensione di impresa: imprese a dimensione artigiana con
meno di dieci addetti e piccole imprese, con un numero di addetti tra i dieci e i quarantano-
ve. Il dato dimensionale conferma una tendenza di fondo che appare particolarmente signi-
ficativa: sono le imprese con meno addetti, le imprese artigiane quelle che a Roma hanno
maggiori difficoltà nel reperire addetti. Si tratta di una percentuale valutata dal sistema pre-
visionale di UnionCamere di poco inferiore al 40%.
Il dato, al di là della sua oggettività (si tratta comunque di previsioni su campione), segna-
la un vero e proprio allarme rispetto al rapporto tra fabbisogni professionali delle imprese a
dimensione artigiana e istituzioni della formazione e del mercato del lavoro presenti a
Roma. Questo dato negli anni si è consolidato ed è diminuito solo con il calo occupaziona-
le tra il 2008 ed il 2009, tornando a crescere nel 2010 e mostrando come la ripresa occu-
pazionale sia ostacolata a Roma dalle maggiori difficoltà delle piccole imprese e delle
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imprese artigianali a reperire personale adeguato. Il motivo principale della difficile reperi-
bilità del personale richiesto per le imprese artigiane è l’inadeguatezza dei profili che cer-
cano l’impiego e non tanto il ridotto numero di candidati. Il tempo di ricerca è intorno ai quat-
tro mesi per le imprese artigiane. Per le piccole imprese il fenomeno non cambia: il dato
complessivo numerico è inferiore, ma il problema è soprattutto l’inadeguatezza dei candi-
dati dal punto di vista della competenza ed esperienza.
Questo fenomeno è di evidente lettura e mostra il gap esistente a Roma tra i fabbisogni
delle imprese artigiane e l’offerta formativa, da un lato, e dall’altro, l’accesso a servizi spe-
cializzati di preselezione. Si tratta di un tema chiave per lo sviluppo del tessuto delle picco-
le imprese e delle imprese artigiane romane, che riprenderemo in modo più approfondito
nei capitoli successivi, considerando i complessi fattori di criticità e le modalità con cui que-
sti aspetti vengono affrontati dalle istituzioni competenti. Se consideriamo però solo l’aspet-
to relativo al ridotto numero di candidati, il fenomeno per le imprese artigiane ha caratteri-
stiche molto evidenti e chiare: la quasi totalità delle imprese con meno di dieci dipendenti
che non reperiscono personale per ridotto numero di candidati, non lo riescono a fare per
la mancanza di persone che svolgono quella professione o sono interessate a svolgerla. Il
dato riguarda le imprese artigiane e si dimezza invece se consideriamo le grandi imprese,
per le quali il ridotto numero di candidati dipende essenzialmente dalla forte concorrenza
sul mercato e dalla presenza per questo motivo di poche figure professionali disponibili. Si
tratta di un dato importante che va letto come una delle chiavi di lettura interpretativa del
mercato del lavoro nelle imprese artigiane romane: il problema non è la mancanza di strut-
ture formative, ma proprio il dato delle persone interessate ad esercitare quella mansione
od attività.
Questo mostra la presenza di mestieri artigiani che sul territorio romano sono in via di estin-
zione o che hanno grosse difficoltà di reperimento. Il dato cambia e diminuisce nelle picco-
le imprese, che tuttavia hanno problemi di reperibilità di personale per ridotto numero di
candidati in più dell’ 80% dei casi per l’assenza di persone interessate ad esercitare la pro-
fessione.
Se consideriamo invece nel dettaglio l’inadeguatezza dei candidati, dato numericamente
più consistente nelle piccole imprese e nelle imprese artigiane a Roma, il fenomeno che
emerge è quello della mancanza di candidati con adeguata esperienza e competenza nelle
imprese artigiane (quasi la metà dei casi considerati). Nelle piccole imprese invece la man-
cata competenza ed esperienza dei candidati rappresenta invece un fenomeno più in linea
con il dato analogo delle grandi imprese (circa il 20% dei casi). Si tratta di uno spartiacque
interessante: le imprese artigiane romane hanno evidenti problemi di reperibilità di perso-
nale competente, con esperienza ed interessato a svolgere la mansione professionale
richiesta. Interessante invece notare che nel 40% dei casi l’inadeguatezza del candidato
per le piccole imprese derivi dalla mancanza delle caratteristiche personali di idoneità ed
attitudine alla mansione richiesta, mentre la mancanza di esperienza riguarda circa il 30%
dei casi. In ogni caso si conferma un punto di fondo, che riguarda il mismatching dei lavo-
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ratori nelle imprese romane e che peraltro unifica le problematiche delle piccole imprese e
delle imprese artigiane: nel contesto territoriale romano le imprese artigiane e le piccole
imprese assumono essenzialmente se il candidato ha esperienza e competenza, mentre le
grandi imprese assumono anche personale con esperienza generica o mancante. Questo
aspetto influenza la minore propensione all’assunzione delle piccole imprese e delle impre-
se artigiane ed è molto significativo per la fascia delle piccole imprese con un numero di
addetti tra i dieci e i quarantanove: sono le imprese più dinamiche e che chiedono più qua-
lità.
Appare peraltro evidente dalla sequenza di tutti questi dati come uno dei limiti e dei fattori
di criticità che tengono bloccata la crescita delle piccole imprese romane sia il funzionamen-
to e la qualità dei servizi per il capitale umano.
Queste difficoltà sono confermate dai dati che escono dalla ricerca di Confartigianato sui
mestieri mancanti a Roma. La ricerca “Paradossi del mercato del lavoro” mostra come a
Roma ci siano mestieri a vocazione artigiana di difficile reperibilità. Si tratta dei tessitori e
maglieristi (non esistono candidati); gli installatori di infissi e serramenti (circa milleduecen-
to posti di lavoro che non trovano candidati adeguati), falegnami, lavandai, stiratrici, ma c’è
posto anche per baristi, parrucchieri, attrezzisti di macchine utensili, conduttori di macchine
movimento terra, macellai, sarti ed elettrotecnici.
5. Le tendenze evolutive e le dinamiche del mercato dell’artigianato e delle piccole
imprese
La funzione e il ruolo dell’impresa artigiana e della piccola impresa a Roma: si tratta di
aspetti che offrono indicazioni significative e molto utili che questa ricerca comparata mira
a sviluppare valutando la dimensione artigiana delle imprese, quindi le imprese di tutti i set-
tori produttivi con meno di dieci dipendenti e le piccole imprese.
Il tessuto dell’imprenditoria romana, come è stato rilevato nel capitolo iniziale, vede una pre-
senza di grandi imprese (con più di 50 addetti) storicamente superiore alla media naziona-
le, mentre le imprese artigiane per numero di unità locali si assestano su un dato che è in
linea con la media nazionale (il 94,5%). Le piccole imprese, con un numero di addetti tra i
dieci e i quarantanove, sono a Roma invece meno rappresentative, in quanto si attestano
sulla percentuale del 4%, contro il 5% sul totale medio delle imprese italiane.
Tuttavia la discrepanza dei dati risulta ancora più significativa dal punto di vista dell’occu-
pazione: Roma ha grandi imprese che occupano più personale della media nazionale
(34,2% contro il 25% nazionale), mentre le imprese a dimensione artigiana occupano il
46,4% dei lavoratori romani, contro il dato medio nazionale superiore al 51%. Questo dato
è presente anche nelle piccole imprese, non riguarda solo le imprese a dimensione artigia-
na con meno di dieci dipendenti: le piccole imprese con un numero di dipendenti tra i dieci
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e i quarantanove a Roma occupano meno del 20% dei lavoratori, contro il 24% del dato
nazionale.
Questa minore capacità delle piccole imprese romane di creare lavoro si è accentuata con
la crisi, ma ha origini precedenti alla crisi. La “crisi” non ha fatto altro che rendere ancora
più evidenti i punti di forza e di debolezza del sistema romano e ha accentuato fenomeni
preesistenti.
Si tratta quindi di un fenomeno chiaro: le grandi imprese a Roma creano più lavoro delle
piccole, mentre le imprese artigiane soffrono di una inadeguata capacità di creazione di
posti di lavoro, anche valutando la consistenza numerica delle stesse. Si tratta di una valu-
tazione che offre chiaroscuri e spunti significativi anche da un altro punto di osservazione:
a Roma non creano adeguatamente lavoro in questa fase soprattutto le imprese artigiane,
proprio quelle che creano lavoro più stabile e che fanno più fatica a trovare personale ade-
guatamente qualificato e competenze. Allo stesso modo invece sono le imprese che cerca-
no lavoratori più preparati e flessibili quelle che creano più lavoro, in particolare le grandi
imprese.
Il quadro è complesso, come dimostrano le valutazioni relative alla fascia intermedia delle
piccole imprese: a Roma questa fascia è sottorappresentata e quindi appare più debole
proprio il segmento delle imprese caratterizzato da maggiore vivacità e dinamismo, anche
dal punto di vista della capacità tecnologica e innovativa. Le piccole imprese e le imprese
artigiane sono a Roma meno innovative rispetto alla media nazionale e il settore si può
comunque distinguere tra attività a forte o a bassa capacità di innovazione. Tuttavia si
segnala come durante il biennio 2008-2010 , come per le grandi imprese, anche le piccole
imprese con maggiore capacità di innovazione abbiano retto meglio l’impatto della crisi
sotto il profilo occupazionale e abbiano quindi creato maggiori opportunità di impiego. I
movimenti delle imprese segnalano peraltro una buona tenuta, nel biennio, delle imprese
artigiane e delle piccole imprese con un maggior valore aggiunto in termini di utilizzo di tec-
nologie e di capacità di collocarsi in dinamiche di rete.
Il dato delle piccole imprese e delle imprese artigiane laziali va valutato anche in modo
distinto, considerando come prioritaria per le piccole imprese l’esigenza dell’accesso ad
una gamma di servizi in grado di promuovere la capacità innovativa e l’accesso a sistemi
tecnologici avanzati, mentre per le imprese artigiane appare molto importante intervenire
sul gap che riguarda la preselezione e l’inserimento al lavoro di personale competente.
In ogni caso resta un dato di fondo, che verrà sviluppato nelle considerazioni dei capitoli
relativi al mercato del lavoro e nel capitolo finale: il sistema imprenditoriale romano soffre
del deficit che riguarda l’accesso, la presenza e la qualità dei servizi per la formazione, la
preselezione, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Questo deficit viene risolto in parte
dalle grandi imprese attraverso un forte ricorso alle banche dati aziendali, mentre le picco-
le imprese e le imprese artigiane esprimono una domanda di servizi per il lavoro e la for-
mazione che non appare ad oggi risolta adeguatamente e che motiva in parte una maggio-
re difficoltà nell’assunzione di personale, che consegue non solo alla crisi, ma anche alla
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difficoltà di reperimento di personale con capacità e caratteristiche adeguate.
Diversi sono i dati, i fenomeni registrati che convergono su questo aspetto. Si tratta in ogni
caso di un fenomeno che può essere affrontato solo con investimenti e politiche pubbliche
in grado di recuperare un ritardo storico, non del tutto imputabile all’attuale quadro istituzio-
nale, migliorando la governance complessiva del sistema. L’esplicita volontà progettuale,
gli atti di indirizzo e le decisioni delle istituzioni che sono al governo nel territorio di Roma
Capitale convergono nel senso di rendere più efficiente la governance dei fattori di innova-
zione del capitale umano e del mercato del lavoro. È un proposito fondamentale per ridare
forza oggi non solo al lavoro, ma anche all’economia romana e che va tuttavia sostenuto
con risorse, strumenti e servizi adeguati.
6. FOCUS: la piccola impresa
Come abbiamo potuto approfondire nel capitolo iniziale, il paradosso dell’economia roma-
na consiste nell’essere al tempo stesso un luogo di eccellenze e di criticità, all’interno di un
Paese a sua volta denso di contraddizioni. Tutte le analisi convergono su come l’Italia sia
un paese con una competitività densa di paradossi: un buon mercato, una buona capacità
innovativa, infrastrutture adeguate, sufficiente innovazione di business, discreta qualità
della vita, con alcune eccellenze formative, che si appoggiano su politiche inadeguate, isti-
tuzioni e servizi per il mercato del lavoro del tutto insufficienti, poca mobilità e qualità del
lavoro, inadeguata promozione del capitale umano. Questi dati, che emergono con eviden-
za di confronto dall’Indice ufficiale dell’Unione Europea sulla competitività regionale, il testo
chiave per l’impostazione di questa ricerca comparata, variano da regione a regione (in
Italia per esempio abbiamo una delle regioni con il più alto tasso di occupazione e le miglio-
ri istituzioni del mercato del lavoro, l’Emilia Romagna, e due delle peggiori sullo stesso
ambito, la Campania e la Calabria).
Roma e il Lazio si collocano all’interno di questo quadro cogliendo in pieno i paradossi, svi-
luppando alcune potenzialità ed eccellenze ed evidenziando altresì palesi criticità e pessi-
mi risultati. Proviamo di seguito a svolgere alcuni focus sulle potenzialità dell’economia
romana.
6. 1. Le imprese innovative
Pur in un tessuto che non vede ancora presente un vero e proprio distretto del terziario
avanzato e dell’innovazione tecnologica in modo strutturato e complessivo, in questi anni
gli indicatori mostrano come a Roma si siano determinati alcuni dei presupposti per un salto
di qualità delle imprese che operano attraverso un buon livello di innovazione.
Roma è una delle capitali dell’innovazione italiana e il rapporto tra qualità del lavoro e fat-
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tori dell’innovazione costituisce una delle dimensioni economiche più importanti per poter
affermare e costruire le condizioni per il lavoro della Roma del futuro e per poter risponde-
re alle esigenze dei giovani laureati. I dati in questo senso sono molto chiari e i fenomeni
del rallentamento dell’economia del triennio della “crisi” confermano comunque l’assoluta
capacità dinamica e tenuta dei fattori dell’innovazione anche durante la crisi nel contesto
della Capitale.
Il terziario romano che è in questi anni cresciuto e ha retto meglio il periodo di difficoltà è
proprio quello che opera nell’ambito dei servizi tecnologicamente avanzati. Anche per via
della presenza di sedi di grandi imprese multinazionali, Roma è una delle città europee con
il maggior numero di lavoratori impegnati nell’innovazione tecnologica. Una propensione
che è sostenuta dal mercato e dalla presenza di buoni centri di alta formazione.
Vale la pena di considerare due aspetti dell’economia romana che possono determinare il
salto di qualità verso una maggiore competitività del sistema: l’audiovisivo e i servizi infor-
matici.
Nel settore audiovisivo a Roma operano più di tremilacinquecento imprese e Roma è rico-
nosciuta come sistema produttivo locale dell’audiovisivo da una apposita delibera di Giunta
Regionale. Il 30% delle imprese e il 35% del reddito nazionale derivante dall’audiovisivo si
produce a Roma. Quasi l’80%del settore riguarda la produzione video televisiva che trova
in Roma il polo d’eccellenza italiano, che ha una numerosità delle imprese del comparto
delle produzioni televisive in termini assoluti particolarmente elevata, mostrando una forte
specializzazione territoriale. Diverse le iniziative regionali per il sostegno alla produzione
audiovisiva sul territorio, con agevolazioni di diverso tipo alle produzioni, che in parte com-
pensano la riduzione dei fondi nazionali destinati allo scopo.
Si tratta di una filiera importante su cui intervengono le misure regionali del POR 2007-2013
e altre misure di sostegno allo start up di impresa nell’ambito degli incubatori tecnologici
presenti sul territorio. Il distretto dell’audiovisivo romano ha tutte le caratteristiche per poter-
si candidare a distretto di alta tecnologia nell’ambito del Programma nazionale della ricer-
ca del MIUR.
Dai dati più recenti i prodotti audiovisivi italiani esportati all’estero sono prodotti da società
romane in una percentuale che negli ultimi anni è variata tra l’80% e il 75%. Si tratta di una
evidente posizione dominante. Se consideriamo le imprese che operano nel comparto dei
servizi informatici non legati all’audiovisivo, Roma esprime potenzialità interessanti, anche
se in questi anni non si sono manifestate le condizioni per un salto di qualità del sistema in
modo da determinare le condizioni per la creazione di un vero e proprio distretto. La ricer-
ca sul terziario avanzato a Roma curata da SWG per la Camera di Commercio contiene
informazioni e spunti davvero interessanti e in grado di rendere più chiara la percezione dei
fenomeni. Da questa ricerca possiamo trarre alcune considerazioni sulla forza e sui limiti
che trovano a Roma le imprese che operano nel sistema dell’ ICT, innovazione tecnologica
per la comunicazione. Sono considerazioni che facciamo nostre, da ritenere del tutto con-
divisibili e che come tali riportiamo di seguito.
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Per molti operatori nell’ ICT, segnala la ricerca SWG, la realtà romana è fonte di stimolo, di
spinta motivazionale, poiché permette alti livelli di confronto produttivo continuo e ravvici-
nato. In questo comparto è presente a Roma, almeno a livello potenziale, una certa com-
plementarietà tra quanto offerto dalle varie aziende. Questo elemento, se adeguatamente
sfruttato, potrebbe creare utili sinergie e, di conseguenza, prodotti integrati d’eccellenza.
Il tessuto produttivo provinciale, gli incentivi che vi ruotano attorno, i grandi committenti del-
l’area romana, ma anche la convinzione che il terziario avanzato e l’information technology
abbiano contribuito in maniera significativa ai processi mondiali di globalizzazione, costitui-
scono ulteriori punti di forza. Gli operatori dell’ ICT si sentono nel solco del futuro ed espri-
mono la convinzione che nel terziario avanzato, e in particolare nell’information technology,
ci sia spazio per l’impiego di un certo numero di laureati, quindi una componente giovanile
con una formazione orientata al futuro.
Quello che è assolutamente carente è, invece, la spinta a “fare sistema” in maniera tale da
proporre i propri prodotti a livello nazionale e forse anche internazionale (valutazioni report
SWG per Camera di Commercio di Roma, 2010, pag. 75).
Se per evidenti fattori derivanti anche dall’essere Capitale e dalla presenza storica delle
maggiori emittenti, appare ormai pronto il definitivo salto di qualità distrettuale del sistema
dell’audiovisivo, gli altri comparti legati all’innovazione tecnologica a Roma non riescono a
cogliere in pieno le potenzialità per l’inadeguata presenza di strumenti, servizi e politiche in
grado di sostenere reti e filiere e di “fare sistema”. In questo senso tuttavia anche la men-
talità, la cultura presente tra gli imprenditori non aiutano.
6. 2. L’artigianato artistico
Le rilevazioni statistiche hanno stimato che nel primo trimestre del 2010 le imprese artigia-
ne nell’area provinciale romana ammontavano a 68.727 unità, ovvero il 21,1% del totale
imprese attive e il 68,2% di quelle artigiane del Lazio. Di queste, 12.460 imprese artigiane
(il 18,1%) sono riconducibili alle tipologie considerate “artistiche e tradizionali” a norma del
DPR n.288 del 25-5-2001, che definisce l’elenco dei mestieri della tradizione artigiana ita-
liana.
Per la legge sono da considerare “lavorazioni artistiche le creazioni, le produzioni e le opere
di elevato valore estetico o ispirate a forme, modelli, decori, stili e tecniche, che costituisco-
no gli elementi tipici del patrimonio storico e culturale, anche con riferimento a zone di affer-
mata ed intensa produzione artistica, tenendo conto delle innovazioni che, nel compatibile
rispetto della tradizione artistica, da questa prendano avvio e qualificazione, nonché le lavo-
razioni connesse alla loro realizzazione”. Per lavorazioni tradizionali si intendono invece le
“produzioni e le attività di servizio realizzate secondo tecniche e modalità che si sono con-
solidate e tramandate nei costumi e nelle consuetudini a livello locale”.
La millenaria storia romana è anche la storia di importanti tradizioni dei mestieri artigiani.
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Girare per i vicoli del meraviglioso centro storico, pieno di visitatori, significa incrociare i luo-
ghi delle antiche botteghe artigiane, che spesso sorgevano riutilizzando gli spazi dei monu-
menti antichi. Intorno al teatro di Pompeo (il più grande teatro stabile dell’antichità), nella
zona di Campo dei Fiori, sorge dal medioevo un grande quartiere delle botteghe artigiane.
Le vie della zona riportano ancora oggi i nomi degli antichi mestieri, i fabbricanti di oggetti
dell’artigianato artistico più antico d’Europa: i pettinari, i chiavari, i funari, i giubbonari, i chio-
daroli, i bottari e tanti altri.
L’artigianato artistico è ancora oggi in Italia una realtà importante, sia per i collegamenti con
le produzioni del Made in Italy, che per la produzione e vendita di oggetti artistici. Si tratta
peraltro di un settore che interviene nel profondo sulla nostra cultura e identità del lavoro:
le competenze e le tecniche dell’artigianato artistico mostrano e trasmettono una conoscen-
za da salvaguardare e che può costituire un riferimento per la nostra economia.
Nei mesi scorsi la Confartigianato di Roma ha promosso una ricerca sullo stato di salute
dell’artigianato artistico romano: Made in Rome. Si tratta di informazioni utili, conoscenze
importanti, che ci mostrano alcuni fenomeni presenti nella cultura di impresa a Roma e che
non vanno sottovalutati.
La ricerca prova a verificare la possibilità che a Roma si costituisca un distretto della pro-
duzione dell’artigianato artistico. Queste le considerazioni svolte: . a Roma è presente un tessuto radicato e vario di botteghe di artigianato artistico, con
una buona tradizione ed avviate;. la specializzazione romana nel terziario e le difficoltà del sistema dell’orientamento e
della formazione allontanano i giovani dall’artigianato di tradizione;. esistono difficoltà per garantire l’indispensabile ricambio generazionale nelle botteghe
artigiane;. l’elevatissimo valore immobiliare urbano sta allontanando i laboratori artigiani dal cen-
tro città, a favore del commercio di prodotti industriali (anche souvenir made in China).
Le speculazioni immobiliari, il turismo “mordi e fuggi”, la diffusione di negozi commerciali e
di botteghe di souvenir dozzinali, sta progressivamente indebolendo la presenza dei luoghi
di produzione e di vendita dell’artigianato artistico romano, soprattutto nel centro storico.
Confartigianato Roma evidenzia quindi un paradosso e lancia un allarme: “Questi fenome-
ni comportano una progressiva perdita di memoria per le lavorazioni tradizionali e di possi-
bilità commerciali (e quindi di sussistenza) a causa della loro dispersione e invisibilità sul
territorio, mentre invece meriterebbe più attenzione il fatto che l’artigianato di tradizione e
artistico fisiologicamente favorisce il mantenimento e la diffusione dell’identità locale e col-
lettiva e contribuisce alla sua promozione sul mercato turistico, elementi di cui la città di
Roma è molto ricca e altrettanto bisognosa”.
Sono dichiarazioni che troviamo in questo lavoro di indagine e di ricerca e che possiamo
fare nostre, in quanto confermano alcune delle valutazioni di fondo di questa ricerca: Roma
ha forti potenzialità di crescita qualitativa che vengono inibite dalla debolezza dei servizi e
delle politiche necessarie per dare qualità al sistema e dalla presenza di scelte che hanno
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privilegiato la quantità alla qualità dello sviluppo, come nel turismo, che tuttavia non sem-
brano più offrire i margini di crescita di alcuni anni fa. La strada della riflessione sulle politi-
che e sui servizi per la qualità dello sviluppo è inevitabile.
La creazione, suggerita dalle organizzazioni di impresa, a Roma, preferibilmente nel centro
storico (magari utilizzando gli spazi oggi occupati da imbarazzanti e volgari megastores di
vendita di souvenir di Roma, di solito prodotti in Bangladesh), di una cittadella, di un borgo
delle botteghe e dei laboratori dell’artigianato artistico è quindi una proposta da valutare con
interesse, sia per gli effetti sulla cultura del lavoro, che per quanto riguarda le ripercussioni
sull’economia e per quell’azione di rafforzamento dell’identità storico produttiva di Roma
che costituisce un fondamentale veicolo di attrattività, che non può essere danneggiato
oltremodo da scelte sbagliate. Rendere evidente l’artigianato artistico può fornire inoltre
riferimenti rispetto all’obiettivo del sostegno al passaggio generazionale delle imprese arti-
giane, tema presente anche nel contesto romano.
6. 3. Il mancato passaggio generazionale delle piccole imprese
Il tema dei mestieri dell’artigianato artistico e tradizionale ha richiamato un fenomeno che
nel settore dell’artigianato artistico trova una sua evidente problematicità, ma che costitui-
sce al tempo stesso un problema e una occasione persa per l’economia nazionale: il pas-
saggio generazionale delle imprese artigiane. Nei prossimi anni molti titolari di imprese arti-
giane sono destinati al pensionamento: anche per l’età media dell’imprenditore artigiano in
Italia si tratta di un fenomeno che assume le dimensioni di un vero e proprio passaggio
generazionale. Sono migliaia le imprese che rischiano di chiudere per la mancata trasmis-
sione dell’attività, che non sempre si trasferisce al figlio o viene rilevata da collaboratori
competenti.
Questo fenomeno è presente in molte aree del Paese e molte Regioni, Province o Camere
di Commercio hanno provato a sostenere e promuovere percorsi utili al passaggio genera-
zionale. Si tratta non solo di una perdita di valore economico, ma soprattutto del rischio di
perdere una identità sociale e culturale, attraverso il lavoro e il saper fare, che è una com-
ponente importante del nostro senso di comunità, di appartenenza. Sono valori fondamen-
tali, che vanno difesi attraverso servizi e politiche integrate di orientamento, formazione,
assistenza al passaggio di testimone delle nostre imprese artigiane.
Questo fenomeno è presente anche a Roma, città che ha una storica numerosità di impre-
se artigiane, anche tradizionali, e che in questi anni ha visto aumentare le difficoltà di inse-
rimento dei giovani per diversi motivi, come abbiamo riportato nei paragrafi precedenti, che
è necessario affrontare attraverso una forte attenzione istituzionale e servizi adeguati:. per fattori congiunturali, che hanno portato le imprese artigiane a tutelare la forza lavo-
ro presente in azienda, ma che ha limitato le assunzioni; . per le difficoltà di reperimento di personale con adeguata competenza ed espe-
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rienza;. per inadeguati servizi di orientamento professionale e una offerta formativa che non
coglie tutti i fabbisogni manifestati dalle imprese artigiane;. per le difficoltà di trovare figure professionali interessate all’impiego.
In questo quadro si colloca quindi anche a Roma il tema del passaggio generazionale:
appare infatti evidente come le difficoltà in cui troviamo le imprese artigiane a Roma deter-
minino problemi anche per quanto riguarda la trasmissione dell’attività di impresa tra le
diverse generazioni. Questo fenomeno, come tanti altri, è stato affrontato da un lavoro di
ricerca promosso dalla Camera di Commercio di Roma che mostra un quadro che appare
bisognoso di interventi profondi. Dal vasto campione di imprenditori (titolari soprattutto di
società di persone) emergono questi aspetti:. il fenomeno è percepito, ma non è considerato più di tanto un problema da affrontare
con preoccupazione; . gli aspetti che gli imprenditori ritengono meritevoli di attenzione nel corso del processo
di passaggio generazionale, si possono citare accanto alla necessità di conoscere e
approfondire gli aspetti legali e fiscali: la comunicazione/informazione diretta ai propri
clienti;l’inserimento di un manager; la gestione di conflitti e disaccordi con i soci.
Inoltre , una volta completata la successione/trasmissione, gli intervistati dalla ricerca della
Camera di Commercio ritengono che l’azienda, per essere ancora competitiva, dovrà aprir-
si all’innovazione, ai nuovi mercati; essere attenta a tematiche ambientali e di risparmio
energetico; aggiornare le competenze delle proprie risorse umane e individuare nuovi pro-
dotti. ReteCamere, per la Camera di Commercio di Roma, evidenzia soprattutto un aspet-
to rilevato dalla ricerca, di estrema importanza anche ai nostri fini: la cifra più caratterizzan-
te lo stato d’animo degli imprenditori in relazione al passaggio di consegne è la “solitudine”,
percepita come conseguenza della mancanza di punti di riferimento nel corso del proces-
so di trasmissione dell’attività.
Appare quindi importante riflettere sul fenomeno valutando alcuni aspetti e modalità di inter-
vento. Si tratta di riflessioni che investono pienamente il tema delle politiche e dei servizi
per la capacità d’agire: lo snodo di fondo nelle valutazioni e nelle proposte di questa ricer-
ca comparata. La ricerca e i dati sulla “continuità competitiva” delle botteghe, dei negozi,
degli studi professionali, delle piccole imprese e delle imprese artigiane romane conferma-
no l’indicazione di fondo su cui convergono tutte le analisi e ricerche considerate
(dall’Unione Europea ad UnionCamere, dalla CNA alla Confartigianato): Roma è chiamata
a mettere a sistema, a rafforzare, a radicare, a rendere accessibili servizi, strumenti e poli-
tiche per la capacità d’agire in grado di intervenire sui processi di qualità delle imprese e
del lavoro e di conseguenza sulla competitività territoriale.
Sul funzionamento di servizi per la “continuatività competitiva” (usando la felice espressio-
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ne di ReteCamere Camera di Commercio), agiscono infatti in modo convergente tutti gli
strumenti della filiera della “capacità d’agire” su cui il sistema romano appare oggi stenta-
re. La mancata percezione di servizi adeguati e accessibili da parte dell’imprenditore è la
conseguenza della consapevolezza di questi storici limiti del sistema romano.
Perché un sistema di servizi integrato per il passaggio generazionale funzioni si rende
necessario infatti agire in modo sistematico su tutte le leve che riguardano gli aspetti della
promozione della “capacità di agire”: orientamento, formazione, preselezione, incentivi alla
permanenza al lavoro del titolare, prestito d’onore o agevolazioni per il neoimprenditore,
forme di garanzia ed accesso al credito.
Si tratta di competenze distribuite nei diversi livelli istituzionali, in un sistema in cui tuttavia
la programmazione e la legislazione per il capitale umano, il lavoro e l’artigianato è sostan-
zialmente su base regionale. Inoltre l’intervento configura un’azione di sistema che chiama
in causa necessariamente il rapporto con la sussidiarietà e il ruolo dei servizi della Camera
di Commercio.
Il contesto romano rende importante la promozione di un intervento per il passaggio gene-
razionale delle imprese, necessario all’artigianato artistico in modo emblematico, oltre l’ef-
fettiva opportunità economica. La continuità competitiva del saper fare delle imprese del-
l’artigianato artistico romano rappresenta infatti un modo importante per preservare la con-
tinuità della nostra identità collettiva, che è anche fatta da saperi, conoscenze e forme orga-
nizzate del lavoro.
Si tratta di un intervento che ha quindi ragioni culturali profonde e che costituisce una com-
ponente della riflessione sulla qualità. La qualità di un sistema è di per sé legata alla pro-
duzione di un valore aggiunto durevole.
Abbiamo già stigmatizzato e deplorato gli effetti su Roma del turismo “mordi e fuggi”.
Facciamo quindi anche attenzione all’economia “mordi e fuggi”, che rappresenta l’opposto
di ogni azione che tende ad operare in termini di maggiore qualità e sostenibilità.
6. 4. Le imprese femminili
I più recenti dati relativi alle imprese a conduzione femminile a Roma risalgono al 2008,
anche se la Camera di Commercio, nel report sullo scenario 2010, offre alcuni aggiorna-
menti e analisi tendenziali. L’analisi che fotografa la situazione nel 2008 mostra come a
Roma le imprenditrici operino in ordine di numerosità delle imprese, nell’ordine in questi set-
tori:
1. commercio all’ingrosso e al dettaglio;
2. attività immobiliari e di noleggio, agenzie di viaggio;
3. servizi alle imprese;
4. servizi alla persona;
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5. alberghi e ristorazione;
6. attività manifatturiere;
7. costruzioni.
Nell’area romana operano circa sessantottomila imprese a conduzione femminile, a cui cor-
rispondono circa centosettemila donne “imprenditrici” (il dato è diverso in ragione della pre-
senza di società che vedono la presenza di più donne come socie). Nel periodo 2008-2010
il dato è rimasto stazionario, anche se è frenata la crescita costante delle imprenditrici a
Roma, che durava da circa un decennio. Alto il quoziente di specializzazione femminile in
settori come la ristorazione, gli alberghi, i servizi alle imprese e alle persone.
Negli anni è comunque cresciuta la propensione delle donne a rivestire cariche societarie
di responsabilità (crescono le amministratrici), mentre il dato positivo nel periodo conside-
rato (2008-2010) si deve all’aumento della presenza di imprenditrici immigrate. Nei servizi
e nel commercio le socie e titolari nate all’estero sono in proporzione in numero maggiore
rispetto alle imprenditrici italiane.
Appare forte ed evidente la propensione delle imprenditrici romane nei servizi, non solo nel
commercio e nelle agenzie di viaggio (attività a forte presenza di imprenditrici), ma anche
in attività a media innovazione come i servizi alle imprese e i servizi alla persona. Le
imprenditrici immigrate sono soprattutto cinesi, rumene, polacche, bengalesi e nigeriane.
Possiamo anche riscontrare la specializzazione delle imprenditrici immigrate: le cinesi prin-
cipalmente operano nel commercio, le rumene nelle costruzioni, le bengalesi nei servizi di
informazione e comunicazione, mentre le nigeriane operano soprattutto nei servizi alle
imprese, di noleggio e agenzie di viaggio.
Dal punto di vista dell’evoluzione delle dinamiche appare evidente come in questi anni il
processo di terziarizzazione dell’economia romana abbia portato con sé la crescita delle
opportunità per la popolazione femminile. Tuttavia la situazione di stallo occupazionale del-
l’economia romana di questi anni ha determinato una minore capacità di inserimento delle
donne nel mercato del lavoro, anche se dal punto di vista della presenza di donne sul mer-
cato del lavoro la quota femminile del lavoro a Roma si avvicina più agli standard del Nord
Italia che ai preoccupanti dati meridionali.
Questo dato e questo fenomeno si può in parte confermare anche per quanto riguarda il
lavoro autonomo e le imprese. Infatti la percentuale di imprenditrici negli anni a Roma è
aumentata e la fase di stallo dipende dal mancato innesto in questi ultimi anni di quell’atte-
so processo di qualificazione del tessuto imprenditoriale romano che può offrire ulteriori
spazi alla crescita dell’imprenditoria femminile: il terziario avanzato, i servizi alla persona, i
servizi alle imprese, i servizi al turismo, l’artigianato artistico sono al tempo stesso gli ambi-
ti di misurazione della crescita qualitativa dell’imprenditoria romana (non a caso segmenti
produttivi su cui abbiamo svolto specifici focus in questa ricerca comparata) e rappresenta-
no gli ambiti in cui può crescere e svilupparsi maggiormente anche l’imprenditoria a condu-
zione femminile.
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6. 5. Le imprese degli immigrati
Il dato delle imprese costituite da immigrati in Italia costituisce uno dei fenomeni più inte-
ressanti: le dinamiche positive dell’imprenditoria di molte regioni e città discendono in primo
luogo dalla presenza e dalla crescita delle imprese promosse da immigrati. Questo dato è
evidente anche a Roma, dove un imprenditore su nove è immigrato. Le imprese condotte
da immigrati nell’ultimo quinquennio a Roma sono cresciute in modo impetuoso: sono rad-
doppiate e hanno continuato a crescere fortemente anche durante il periodo 2008-2010.
Sono attualmente circa trentamila le imprese presenti a Roma condotte da immigrati: i nuovi
imprenditori del terzo millennio a Roma sono gli immigrati. Gli immigrati a Roma hanno altre
caratteristiche interessanti: rispetto alla media dell’imprenditore romano, l’imprenditore
immigrato a Roma è più giovane: quasi l’80% degli imprenditori immigrati hanno meno di
cinquant’anni, mentre il dato medio degli under 50 complessivo è intorno al 56%.
Si tratta inoltre di una nuova imprenditoria anche per una maggiore presenza di donne,
come abbiamo visto nel paragrafo precedente.
Dal punto di vista qualitativo la presenza dell’imprenditoria degli stranieri immigrati a Roma
è molto forte nel commercio e nelle costruzioni, tuttavia appare presente una specializza-
zione dell’imprenditoria degli immigrati, soprattutto delle immigrate titolari, nelle attività dei
servizi alle imprese, di comunicazione, di informazione, di noleggio, di agenzia di viaggi.
È possibile aggregare i dati per distinguere una specializzazione imprenditoriale per nazio-
nalità: in questo modo vediamo la specializzazione dei rumeni nelle costruzioni, dei benga-
lesi nel commercio e nei servizi alle imprese, cinesi ed egiziani nel commercio e nella risto-
razione, mentre gli imprenditori marocchini operano nel commercio.
Come anticipato per le donne imprenditrici, il dato della provenienza degli imprenditori
immigrati vede al primo posto la Romania, seguita dal Bangladesh, dalla Cina, dall’Egitto,
dal Marocco, dalla Polonia e dalla Nigeria. Sul totale di circa 395mila imprese condotte da
immigrati in Italia, più di trentamila sono a Roma: quasi l’8%. Si tratta di un dato importan-
te, significativo per quanto riguarda la capacità e l’attitudine imprenditoriale della compo-
nente immigrata della popolazione romana.
È opportuno considerare la presenza della componente immigrata nell’imprenditoria roma-
na valutando i dati di contesto più generale, che vedono Roma come la prima provincia ita-
liana per presenza di popolazione immigrata come dato numerico assoluto (più di quattro-
centomila immigrati residenti), con quasi un immigrato ogni dieci abitanti, anche se Roma
si colloca poi solo al ventiquattresimo posto come presenza in termini percentuali (al primo
posto troviamo la provincia di Brescia con tredici immigrati residenti ogni cento abitanti). La
percentuale più elevata di stranieri residenti in provincia di Roma non si trova a Roma, ma
nelle città del litorale, come Ladispoli, o dell’interno, come Trevignano. La popolazione
immigrata residente a Roma è di gran lunga più femminile che maschile (54% contro il
46%), mentre l’indice di dipendenza degli stranieri a Roma è decisamente migliore rispetto
agli italiani. L’indice di dipendenza considera la fascia di popolazione “in condizioni non atti-
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ve” ovvero con meno di quindici anni e con più di sessantaquattro anni: 22% è la percen-
tuale di dipendenza degli stranieri a Roma, mentre il dato degli italiani a Roma rileva una
dipendenza del 55%. Una differenza notevole spiegata dal fatto che gli stranieri a Roma
hanno una età media di trentadue anni, contro i quarantaquattro dell’età media dell’italiano
residente a Roma.
Nel decennio di inizio millennio i fenomeni che possono descrivere questo periodo come il
decennio degli immigrati sono vari: è quadruplicata la presenza degli alunni immigrati nelle
scuole romane, passando dal 2,5% del 2001 all’ 8,5% del 2010. Si tratta peraltro di immi-
grazione recente: i dati della presenza dei figli di immigrati negli istituti secondari romani
sono inferiori alla media nazionale, mentre sono superiori i dati sulla presenza di alunni figli
di immigrati negli asili. Se consideriamo l’università, appare alta la presenza di immigrati
soprattutto nelle facoltà di medicina e di ingegneria.
Vale poi la pena considerare il valore delle rimesse, che segnalano aspetti che riguardano
il livello di integrazione: più alta è la rimessa effettuata verso il paese di origine e meno forte
è l’integrazione e il desiderio di rimanere nel contesto lavorativo. In questo senso appaiono
molto alte le rimesse degli immigrati della Cina, delle Filippine e del Bangladesh. Roma è
in assoluto la provincia con il più alto valore delle rimesse: più di un quarto del totale delle
rimesse degli immigrati al paese di origine deriva dagli stranieri residenti a Roma. Questo
fa riflettere su come una componente forte degli immigrati presenti a Roma veda la Capitale
come un luogo comunque transitorio. Sono dati da vedere in controluce e che variano dalle
nazionalità di riferimento. Molti sono i cinesi, i filippini, i rumeni e i bengalesi che hanno con-
servato forti legami familiari con il territorio di origine, a cui destinano ingenti rimesse.
In ogni caso la dimensione dell’imprenditoria immigrata a Roma è stata nel decennio tra-
scorso impetuosa e con dinamiche interessanti: con una crescita dal 2002 intorno al 45%
si può affermare come l’imprenditoria romana del terzo millennio abbia i natali all’estero.
6. 6. L’utilizzo dei finanziamenti europei da parte delle imprese
Uno dei motivi di ritardo della capacità istituzionale italiana, rilevata da tutte le analisi e
ricerche considerate in questo lavoro di comparazione, lettura e commento, deriva dalle dif-
ficoltà nell’utilizzo delle forme di finanziamento europeo, sia di natura strutturale che non
strutturale.
In questo senso prezioso è il lavoro di ricerca curato dall’istituto Doxa per la Camera di
Commercio di Roma nel 2010 sulle modalità di utilizzo dei finanziamenti europei da parte
delle imprese a Roma e provincia. Questo studio considera il sistema di intervento promos-
so nel contesto romano ai sensi della precedente fase di programmazione dei fondi comu-
nitari 2000-2006 e analizza l’impatto valutando un campione mirato di circa quattrocento
imprese. Emergono risultati significativi, che confermano alcune considerazioni già esposte
sulle dinamiche che si incontrano nel contesto romano per alcuni elementi della competiti-
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vità territoriale, che riguardano appunto la capacità istituzionale e la finalizzazione delle
politiche.
Va in primo luogo sottolineato un dato positivo: la Regione Lazio per capacità di impegno e
di spesa dei fondi comunitari si allinea alle migliori regionali del Nord Italia e non ha avuto
in questi anni (si considerano le precedenti amministrazioni regionali, impegnate dal 2002
al 2008 nella spesa delle risorse della precedente fase di programmazione) particolari diffi-
coltà nel progettare gli interventi e impegnare le risorse. Con il 107% di impegni, la Regione
Lazio è riuscita ad ampliare con proprie risorse la dimensione della spesa certificata
dall’Unione Europea. La spesa sostenuta nella precedente fase di programmazione 2000-
2006 dalla Regione Lazio è pari a più di 930 milioni di euro. Si tratta di una somma supe-
riore a quanto inizialmente programmato: si tratta del cosiddetto overbooking finanziario,
concertato con le autorità UE e realizzato grazie all’impiego di ulteriori risorse regionali, ed
è indice di proposizione di un numero di progetti superiore a quello preventivato dagli obiet-
tivi di programmazione. L’overbooking finanziario, come precisa la ricerca Doxa per la
Camera di Commercio, garantisce quindi le Amministrazioni dall’ eventualità che alcuni dei
progetti selezionati trovino impedimenti alla realizzazione, consentendo così la loro sostitu-
zione, soprattutto in fase di chiusura del programma.
Per quanto riguarda i finanziamenti alle imprese, secondo le indicazioni della Regione
Lazio, il sottoutilizzo dei fondi stanziati è stato determinato sostanzialmente dalla quota rile-
vante delle rinunce al finanziamento da parte di imprese inizialmente ammesse ai contribu-
ti: dei complessivi 1.113 progetti rispetto ai quali si è concretizzata una rinuncia, il 26,7%
proveniva da imprese di Roma e provincia.
Il contributo medio concesso per progetto finanziato ammonta a circa 44mila euro, distribu-
zione comunque influenzata dal 4,7% dei progetti il cui importo minimo concesso è stato
superiore a100mila euro: il 36,5% dei contributi concessi è, infatti, di importo inferiore o pari
a 10mila euro a cui si aggiunge un 16,9% con ammontare compreso tra i 10mila e i 20mila
euro.
La ricerca campionaria svolta mostra alcuni aspetti interessanti, da considerare per rende-
re più efficace l’impatto di servizi, incentivi e politiche nel contesto romano:
a) la figura professionale del commercialista si è rivelata fondamentale per le imprese
finanziate che avendo richiesto informazioni approfondite sull’accesso alle opportunità
del Fondo FESR l’ha individuata quale canale di riferimento;
b) il complesso delle informazioni ricevute da parte dei consulenti e delle strutture regio-
nali è stato ritenuto soddisfacente da circa i due terzi delle imprese fruitrici, con plus
rispettivamente nella “rapidità di accesso alle informazioni” e “completezza delle infor-
mazioni”;
c) il 56,0% delle imprese finanziate ha concluso l’iter di presentazione della propria
domanda di ammissione al FESR avvalendosi di professionisti esterni all’impresa (con-
sulenti di direzione, commercialisti, etc.), nella maggioranza delle volte dietro pagamen-
to di un onorario;
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c. soddisfazione viene espressa dal 78,4% delle imprese che si sono avvalse della con-
sulenza di professionisti esterni all’impresa nella fase di presentazione della domanda
e da ben l’ 85,7% delle imprese che si sono fatte assistere da un consulente nelle suc-
cessive fasi di acquisizione del finanziamento;
d) disporre di un valido consulente è considerata da circa 6 imprese su dieci una necessi-
tà di cui non poter fare a meno per il conseguimento dei finanziamenti, mentre il 67,0%
delle imprese intervistate ammesse al finanziamento afferma di non avere incontrato
difficoltà nell’accesso ai finanziamenti UE, tuttavia soltanto il 49,3% di quelle alle quali
è stato poi effettivamente erogato un contributo hanno espresso piena soddisfazione
per la procedura di acquisizione del finanziamento;
e) insoddisfacenti sono stati i tempi di erogazione vera e propria del finanziamento con-
cesso: il 64,2% delle imprese beneficiarie ha espresso in merito una valutazione critica;
f) per quattro imprese su dieci tra quelle beneficiarie, i finanziamenti UE erogati dalla
Regione Lazio risultano, comunque, di elevata utilità per l’attività aziendale (quota che
sale al 79,1% considerando anche la risposta “abbastanza utili”), soprattutto in termini
di sostegno agli investimenti e all’occupazione: in assenza del contributo, sei imprese
su dieci non avrebbero realizzato il progetto finanziato, ovvero lo avrebbero differito nel
tempo oppure ridimensionato;
g) risulta insufficiente la conoscenza e la comunicazione dello strumento finanziario ed
eccessiva la complessità delle procedure di accesso a discapito della trasparenza e
chiarezza.
La possibilità di beneficiare del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) da parte delle
imprese romane è nota complessivamente a circa 4 imprese su dieci ma soltanto una su
dieci di quelle che conoscono i finanziamenti UE afferma di avere inoltrato negli ultimi dieci
anni una domanda alla Regione Lazio a valere sul FESR. Oltre 8 imprese su dieci riterreb-
bero utile avere la Camera di Commercio di Roma quale referente per le informazioni di
accesso ai finanziamenti UE. Tre le iniziative segnalate dalla ricerca Doxa che la CCIAA di
Roma potrebbe attuare a vantaggio della completezza e rapidità dell’informazione, le
imprese indicano: un servizio di assistenza (help desk), un’area dedicata sul sito web isti-
tuzionale e la programmazione di corsi di formazione.
La ricerca Doxa evidenzia quindi alcuni punti importanti e offre indicazioni utili per migliora-
re l’utilizzo delle opportunità dei fondi comunitari. Si tratta peraltro di indicazioni opportune,
visto che in questa fase appare molto importante migliorare la finalizzazione delle risorse
dei programmi 2007-2010:
a) le imprese romane ritengono utile accedere alle opportunità dei programmi comunitari;
b) le imprese romane si avvalgono per questo di una efficace rete di consulenti e profes-
sionisti, ma appare utile rafforzare la capacità informativa della Camera di Commercio;
c) appare debole la capacità informativa promossa dalla Regione, non tanto per quanto
riguarda le campagne promozionali, ma soprattutto per quanto riguarda l’assistenza
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informativa alla partecipazione ai bandi;
d) è importante aumentare la trasparenza, disintermediare e rendere veloci e automatiche
le procedure.
Cresce in ogni caso la consapevolezza nelle imprese romane di come le politiche sostenu-
te dai fondi comunitari costituiscano uno strumento importante per qualificare il sistema, per
migliorare il lavoro e la capacità competitiva delle imprese. Si riscontra dalla comparazione
dei dati sull’impatto dei fondi FESR e FSE come la buona capacità di utilizzo e impegno in
termini quantitativi non corrisponda a una adeguata finalizzazione: il ritardo in termini qua-
litativi delle politiche riguarda almeno in parte anche i fondi dell’Unione Europea.
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CAPITOLO QUARTO: IL MERCATO DEL LAVORO NEL 2010 E LE PICCOLE IMPRESE
ABSTRACT
Il capitolo si definisce attraverso l’analisi delle fonti esistenti (dati osservatorio mercato del
lavoro del Comune, della Regione e della Provincia, Borsa nazionale e regionale del lavo-
ro, rivista Lavorare e dati agenzie per il lavoro, dati Istat ed UnionCamere, dati centri per
l’impiego, dai Ministero del lavoro e Inps, ricerche e analisi delle organizzazioni di impresa,
centri di ricerca, Caritas, etc). L’analisi svolta ha lo scopo di valutare in modo comparato e
descrittivo i dati delle dinamiche del mercato del lavoro nei settori considerati delle piccole
e medie imprese a Roma, per singoli ambiti di attività e valutando il rapporto tra qualità, sta-
bilità e regolarità del lavoro e delle imprese, sia dal punto di vista dimensionale sia settoria-
le, e verificando la relazione tra il processo di innovazione, le competenze e l’evoluzione dei
settori.
Premessa
Questo capitolo riprende la valutazione dei dati sul mercato del lavoro e sull’inserimento
occupazionale, avendo cura di verificare la capacità delle piccole imprese e delle imprese
artigiane di determinare la ripresa occupazionale nel contesto romano e analizzando il rap-
porto tra le dinamiche produttive e del lavoro. L’obiettivo di questo capitolo riguarda inoltre
gli aspetti qualitativi del lavoro: le modalità di accesso, le forme contrattuali, le competenze
richieste, l’efficacia dei servizi e delle politiche. Si tratta altresì di cercare conferma alle valu-
tazioni espresse dai report sulla competitività per quanto riguarda la formazione, il capitale
umano, la flessibilità e i servizi per il mercato del lavoro.
1. Il lavoro
1.1. ll lavoro in Italia nel 2010: tassi e dinamiche
Una delle conseguenze della crisi economica mondiale è stato l’impatto della crisi dal punto
di vista delle opportunità occupazionali: la crisi si è accompagnata a forti effetti sull’occupa-
zione, non solo in Europa, contesto in cui il mercato del lavoro è in genere meno dinamico,
ma anche negli Stati Uniti e in Giappone. Le modalità e i tempi di uscita dalla crisi sono in
questi mesi dipesi dalla forza, dalla solidità dei sistemi finanziari e produttivi nazionali e
dalla efficacia delle politiche messe in campo. Il fatto che la possibile ripresa economica e
la tenuta finanziaria determini effetti sull’occupazione riguarda le caratteristiche, l’efficacia
e la qualità delle politiche e dei servizi per il lavoro. All’inizio del 2011 sia nel resto del
Mondo che in Europa questo è molto evidente. Abbiamo dati, tendenze, analisi mondiali,
europee e italiani che ci permettono di valutare tempi e fattori per l’uscita dalla crisi, per
l’evoluzione del mercato del lavoro e per misurare la forza e la qualità dei fattori nazionali
in grado di incidere per lo sviluppo ed il lavoro.
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È una valutazione interessante e importante: nella cultura politica più evoluta questo tipo di
rendiconto sulle politiche e sui servizi comporta anche il rendiconto sui decisori, sulle scel-
te e sulla classe politica. In questi mesi il dibattito sul lavoro italiano si è concentrato su alcu-
ni aspetti di immediata evidenza: i licenziamenti determinati dalla crisi che ha colpito l’eco-
nomia mondiale dal 2008, l’aumento del ricorso alla cassaintegrazione e agli ammortizza-
tori sociali, con la necessità introdotta dal governo di estendere gli ammortizzatori alle cate-
gorie che ne erano sprovvisti, il rischio che nei prossimi mesi la ripresa occupazionale non
sia in grado di riassorbire i lavoratori che attualmente godono dell’integrazione salariale. A
questi temi, legati all’emergenza, si affiancano altri aspetti, che sono resi ancora più eviden-
ti da quanto accade al nostro sistema economico a partire dal 2008 e sono quindi fenome-
ni amplificati dalla crisi: l’aumento della disoccupazione giovanile e femminile e la forte pre-
senza di avviamenti a termine. Il dato del 2010 è in questo senso impressionante e confer-
ma quanto già avvenuto nel 2009: sulla base dei dati ISTAT la percentuale di disoccupazio-
ne femminile in Italia si avvicina al 50% (una donna su due non lavora), la percentuale di
disoccupazione giovanile è intorno al 30% (un giovane su tre non lavora), il numero dei gio-
vani che non studiano e non lavorano supera le due milioni di unità, mentre gli avviamenti
al lavoro nel 2010 con contratti a termine superano il 65%, con punte di più dell’ 80% in città
come Roma, capitale della precarietà sul lavoro italiana ormai da alcuni anni (ricerca 2010
curata dall’Università “Sapienza” di Roma per conto del Comune di Roma di cui si è già
detto). Si tratta di dati medi in un paese, come l’Italia, in cui il dato medio non significa nulla:
in realtà l’Italia del lavoro in questi anni si è ulteriormente divisa, con un Centro Nord che
appare faticosamente impegnato a seguire le tendenze di paesi come la Francia e un
Centro Sud drammaticamente vicino alle negative performances occupazionali di paesi
come la Spagna o la Grecia. Le divisioni del lavoro sono in Italia speculari alle diversità nei
sistemi locali del lavoro, della formazione e dei servizi per l’impiego.
All’inizio del 2011 il contesto mondiale appare offrire indicazioni chiare: la ripresa economi-
ca è lenta, riguarda solo alcuni paesi, e determina una ripresa dell’occupazione solo nei
paesi in cui il mercato del lavoro appare regolato da sistemi di welfare per il lavoro e il
governo della transizione efficienti, funzionali e ben finanziati. Non è il caso dell’Italia e
soprattutto non è il caso delle regioni italiane con i maggiori problemi occupazionali, che da
sempre sono quelle con i servizi e le politiche del lavoro meno efficienti e funzionali, ma
anche quelle in cui il rendiconto politico non riguarda la valutazione dell’efficacia di questi
servizi per le imprese e il lavoro. Paradossi il cui mantenimento spiega molte delle difficol-
tà storiche dell’Italia centromeridionale.
Secondo i dati del barometro occupazionale curato dal Ministero del Lavoro: “Nonostante
le previsioni di crescita elaborate dai principali organismi internazionali (OCSE, Eurostat)
siano state recentemente riviste al rialzo, la ripresa non appare ancora così vigorosa da
riassorbire rapidamente gli elevati livelli della disoccupazione e della sottoccupazione”.
Nelle economie asiatiche e negli Stati Uniti è prevista per il 2011 una debole ripresa occu-
pazionale, mentre resta difficile la situazione del lavoro in Giappone, paese peraltro, come
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gli Stati Uniti, che ha uno storico elevato tasso di occupazione e per il quale la disoccupa-
zione di questi anni rappresenta davvero un novità.
Sempre dalle analisi del barometro del nostro Ministero del Lavoro (servizio pregevole con-
sultabile sul sito web Cliclavoro.it), l’evoluzione economica prevista per i prossimi mesi in
Europa risulta debole e molto diversificata tra gli stati membri: tra le maggiori economie, la
crescita è stata particolarmente elevata in Germania, soprattutto nel secondo trimestre del
2010 (2,3% e 0,7% nel terzo) grazie al forte aumento delle esportazioni e della domanda
interna; incrementi più contenuti in Francia (0,4% da 0,7%) e in Italia, ancora nulli in Spagna
(0,0% rispetto allo 0,2% del trimestre precedente). Anche in Italia, come nel resto dell’area,
il PIL decelera: +0,3% rispetto allo 0,5% del periodo precedente e + 1,1% rispetto all’1,3%
dello stesso trimestre dell’anno precedente. All’espansione delle esportazioni nei primi tre
trimestri dell’anno (2,8% nel terzo) non corrisponde un rafforzamento della domanda inter-
na, che resta debole (0,2% rispetto allo 0,1 del secondo trimestre) anche se i consumi delle
famiglie sono in lieve progressione (0,3% rispetto al valore nullo del trimestre precedente),
mentre gli investimenti si sono contratti (da 2% a 0,9 %) dopo il buon andamento del trime-
stre precedente.
Nel complesso dell’area Euro, secondo le valutazioni riportate dal Ministero del Lavoro nel
barometro, la ripresa resta strettamente collegata al persistere della debolezza della
domanda interna che risente della debolezza del reddito disponibile reale delle famiglie
legato al calo dell’occupazione ma anche al forte calo della ricchezza finanziaria, alla con-
trazione dei prezzi delle abitazioni, alla scarsa disponibilità del credito al consumo.
Il dato occupazionale, dopo il generale calo degli ultimi anni, incomincia a diversificarsi in
questi mesi nel senso indicato: in alcuni paesi europei assistiamo a una debole inversione
di tendenza e a una ripresa, mentre in altri assistiamo per ora solo a un contenimento del
livello di calo occupazionale, non ancora a una inversione di tendenza.
In particolare, i dati del barometro occupazionale relativi al secondo e al terzo trimestre
2010 indicano, infatti, dopo due anni di declino, una risalita dell’occupazione rispetto al
primo trimestre, con il ritorno in alcuni paesi a valori positivi di crescita tendenziale (Belgio,
Germania, Francia, Regno Unito, Polonia) mentre altri registrano solo un rallentamento
della caduta (Spagna, Irlanda). Sono differenze significative, che indicano la diversa capa-
cità di reattività non solo delle economie nazionali, ma anche dei sistemi di welfare e di poli-
tica del lavoro.
A livello settoriale l’occupazione continua a diminuire, su base trimestrale, soprattutto nel
comparto manifatturiero, in misura inferiore in quello delle costruzioni mentre è aumentata
nei servizi. Esiste quindi un’Europa del lavoro a due velocità, che in parte assomiglia
all’Italia, le cui differenze sul mercato del lavoro sono state ampliate da questa fase di crisi.
In questo senso, ampiamente al disopra la media dell’area dell’euro si collocano la Spagna
e l’Irlanda, che toccano rispettivamente il 20,5% (era 20% nel trimestre precedente) e il
13,9% (era 13,5%). In questi paesi, come riportano le considerazioni del Ministero del
Lavoro, la disoccupazione ha toccato i livelli più alti principalmente a causa dell’aggiusta-
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mento nel settore delle costruzioni. Simili andamenti si sono registrati anche per Grecia
(12%) e Portogallo (11,1%). La Germania, di contro, registra una dinamica molto positiva
(da 7,3% del primo a 6,7 % del terzo trimestre) attribuibile, secondo alcuni osservatori, alle
misure promosse dal governo per contrastare la crisi (sostegno dell’orario breve di lavoro,
riduzione del numero di ore lavorate per occupato, monte ore individuale, maggiore parte-
cipazione delle donne alle forze di lavoro).
Francia, Belgio, Olanda e Italia sono paesi in cui il dato del tasso di occupazione è in que-
sta fase al di sotto della media europea, tuttavia il dato italiano, come nota l’Istat, per quan-
to riguarda il tasso di disoccupazione appare storicamente sottostimato: per la valutazione
del tasso di disoccupazione si considerano infatti i lavoratori che si sono recati ai servizi per
l’impiego, dichiarando la disponibilità al lavoro. Non si considerano quindi i disoccupati sco-
raggiati e tutti coloro che, in assenza di reali opportunità di impiego, non si recano per la
dichiarazione presso un sistema di servizi che in questi mesi si è occupato più dei lavora-
tori cassaintegrati coinvolti nei percorsi di formazione che dei disoccupati veri e propri. Il
dato ufficiale che segnala in modo attendibile le condizioni del lavoro italiano, secondo gli
osservatori, è quindi il tasso di occupazione, che misura sulla popolazione in età attiva colo-
ro che realmente lavorano.
In ogni caso, deve preoccupare il rallentamento occupazionale che in Italia si è registrato
nella seconda metà del 2010, dopo una breve ripresa ad inizio anno e la mancanza di un
collegamento tra la ripresa registrata in alcuni settori e la ripresa occupazionale.
Il mercato del lavoro italiano a fine 2010 secondo l’Istat appare debole e stagnante, con par-
ticolari difficoltà nel nostro Mezzogiorno. Se guardiamo le tabelle allegate al barometro
notiamo come il dato del tasso di occupazione costituisca un aspetto di notevole allarme:
al di là del dibattito tra gli accademici e i politici su quale rilevazione risulti più reale e atten-
dibile desta davvero impressione constatare come il tasso di occupazione italiano in questi
anni sia costantemente diminuito e sia oggi più basso di quello registrato in paesi come la
Spagna o la Grecia che hanno un tasso di disoccupazione notevolmente più alto del nostro.
Si tratta di una tabella che va analizzata con attenzione, anche in ragione di alcuni fenome-
ni italiani che tendono a determinare una contraddizione tra il dato dell’occupazione e quel-
lo della disoccupazione: il lavoro nero, lo scoraggiamento nell’attivazione alla ricerca di
impiego, il maggior numero di pensionati under 64.
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Questa tabella, clamorosa solo per chi non conosca il nostro mercato del lavoro, pone
necessariamente alcune domande, che riguardano più gli economisti e i politici che i giuri-
sti, i sindacalisti e gli esperti di lavoro: come è possibile crescere, creare opportunità, paga-
re le pensioni, sostenere il consumo con un tasso di occupazione in cui meno di sei perso-
ne su dieci che dovrebbero lavorare lo fanno in modo regolare? Il dato negativo del Belgio,
paese che ha un basso tasso di occupazione, ma con un tasso di disoccupazione simile al
nostro, viene spiegato da Eurostat proprio attraverso il fenomeno dello scoraggiamento,
che ha colpito peraltro un paese che ha servizi per il lavoro ben più efficienti di quelli italia-
ni. Dai dati segnalati dal Ministero del Lavoro ed elaborati dall’Osservatorio del mercato del
lavoro del Segretariato Generale emergono anche altri interessanti spunti di riflessione, che
ogni operatore e professionista del lavoro dovrebbe cogliere e valutare. L’Italia è uno dei
pochi paesi dell’area euro in cui l’occupazione non solo non ha dato segnali di ripresa, ma
è addirittura diminuita nel terzo trimestre 2010.
Come rileva l’Osservatorio mercato del lavoro rispetto allo stesso trimestre del 2009, si
osserva una consistente diminuzione dell’occupazione (-0,8%, pari a 176 mila persone); il
numero di occupati registrato dall’indagine è pari a 22.811 mila unità, risultato di una netta
flessione della componente italiana (-258 mila persone) e di un aumento di quella stranie-
ra (+200 mila persone). Per più di nove trimestri consecutivi l’occupazione italiana ha con-
tinuato a diminuire, soprattutto tra gli uomini: in termini tendenziali, nel terzo trimestre 2010
la componente maschile mostra di risentire della crisi in misura maggiore (-1,5%), mentre
quella femminile si mantiene sostanzialmente stabile (-0,1%). Si attenua la contrazione del-
l’occupazione al nord, che aveva scontato nel trimestre precedente la forte riduzione nelle
industrie manifatturiere, mentre cala in maniera significativa nel Mezzogiorno (-2,1%).
Calano i rapporti dipendenti a tempo pieno e indeterminato, aumentano di poco i rapporti a
termine o di lavoro autonomo. Aumenta quindi anche il tasso di disoccupazione, soprattut-
to tra i giovani, anche se la crescita più impressionante è quella delle persone inattive, colo-
ro che non si attivano alla ricerca di lavoro e che formalmente, pur facendo parte della
popolazione attiva, non sono disoccupati.
Il dato economico però è di segno diverso: per quanto riguarda gli ordini e il livello della pro-
duzione nelle imprese industriali, l’ISAE evidenzia un trend in aumento a partire dai primi
mesi del 2010 (ultimo dato, terzo trimestre 2010). Evoluzione positiva, anche per il grado di
utilizzo degli impianti, in tutte le aree del Paese.
L’Italia si trova quindi di fronte ad alcune apparenti contraddizioni e a fenomeni davvero
significativi:. la disoccupazione cala, ma soprattutto il numero degli inattivi fa balzare ormai da tempo
il dato relativo agli occupati a una percentuale che rappresenta il record negativo in
Europa;. la bassa percentuale di occupati riguarda anche gli inattivi e gli scoraggiati, comprenden-
do anche coloro che vivono di lavoro irregolare o di rapporti con l’economia criminale;. la bassa percentuale di occupati regolari rende difficile il mantenimento dell’equilibrio
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dei conti pubblici, della previdenza ed ostacola la ripresa dei consumi;. gravissimi i dati sull’occupazione giovanile e femminile, soprattutto al Sud;. alla debole ripresa economica non fa riscontro la ripresa occupazionale, a dimostrazio-
ne della sostanziale inefficienza nel nostro mercato del lavoro.
Il fatto che in questo difficile contesto esistano mestieri, richieste, opportunità di lavoro che
non trovano spazio e verso cui le giovani generazioni non si rivolgono rappresenta un ulte-
riore elemento di riflessione. Servono riforme che siano attuate realmente sul nostro terri-
torio, superando i limiti di un assetto regionale del mercato del lavoro che ha determinato
inefficienze e che non garantisce efficienza e qualità.
Le predette considerazioni sulla situazione occupazionale trovano riscontro e riferimento
quindi proprio nel report ufficiale pubblicato dall’Ufficio studi e dall’Osservatorio mercato del
lavoro del Ministero del Lavoro a febbraio 2011, che contiene valutazioni interessanti e che
conferma come il secondo semestre 2010, a fronte di una limitata ripresa economica, non
abbia evidenziato una contestuale ripresa in termini occupazionali a livello nazionale.
Inoltre i dati sulla ripresa delle difficoltà di reperimento di personale adeguato confermano,
sempre a livello nazionale, i problemi di funzionamento delle istituzioni del mercato del lavo-
ro italiane.
In particolare, per contestualizzare le dinamiche del lavoro nella Capitale, appare opportu-
no in questo capitolo svolgere alcune ulteriori e preliminari riflessioni su aspetti qualitativi e
dinamiche del mercato del lavoro nelle regioni italiane.
In Italia, dal report di inizio 2011 del Ministero del Lavoro, il lento recupero dell’occupazio-
ne avviatosi nei primi mesi del 2010, subisce una battuta d’arresto nel terzo trimestre, pur
se alcuni settori e aree mostrano segnali di stabilizzazione. È questo il caso del settore
manifatturiero e delle regioni del Nord, che arrestano la serie negativa consolidandosi su un
valore nullo.
I dati della Rilevazione continua sulle forze di lavoro dell’Istat registrano anche una cresci-
ta dei lavoratori a tempo parziale e di quelli a termine, che peraltro riguarda gran parte dei
paesi dell’Unione Europea. Nel complesso permane ad inizio 2011 una situazione di debo-
lezza e stagnazione del mercato del lavoro.
Gli occupati, in termini destagionalizzati, diminuiscono dello 0,2% (-57 mila unità) rispetto
al trimestre precedente. A fronte di una lieve risalita che porta le regioni del Nord ad un valo-
re nullo di crescita rispetto a quello negativo del trimestre precedente (pari a -0,2%), sono
le regioni del Mezzogiorno (-0,7%) quelle maggiormente colpite dal calo dell’occupazione,
mentre le aree del Centro, che nel precedente trimestre avevano fatto registrare un lieve
aumento (0,2%), tornano a mostrare valori negativi (-0,4%). Sempre in termini destagiona-
lizzati e congiunturali, la dinamica settoriale mostra una lieve contrazione dei servizi (-
0,1%), mentre l’industria in senso stretto rimane stabile. Di contro, il settore delle costruzio-
ni, dopo una fase di stagnazione, registra un nuovo calo dell’occupazione (-1,4%).
Sempre dalla rilevazione del Ministero del Lavoro, Ufficio studi e Osservatorio mercato del
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lavoro, sui dati Istat, si riportano di seguito alcune ulteriori significative analisi delle dinami-
che occupazionali.
Per quanto riguarda le diverse tipologie di rapporto di lavoro, si osserva nel corso di un
anno come all’aumento del numero dei lavoratori autonomi (0,4%) si associ una riduzione
di quelli dipendenti (-1,4%), soprattutto nel Mezzogiorno (-3%). I dipendenti crescono solo
in agricoltura (+3%) e nelle costruzioni (+0,1%), mentre diminuiscono principalmente nel-
l’industria in senso stretto (-3,9%), specie nel Mezzogiorno (-6,5%) e nel Nord-Est (-4,6%).
I dipendenti calano anche nei servizi ( -0,9%), in misura maggiore al Sud (-2,7%), mentre
nello stesso settore si registra un incremento dei lavoratori autonomi (+0,6%).
Nel complesso il calo tendenziale del lavoro alle dipendenze riguarda i contratti a tempo
indeterminato (-1,7%), in particolare a tempo pieno (-2,7%), mentre quelli a termine mostra-
no un lieve aumento (0,5%).
Tra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione aumenta di 1,2 punti percentuali por-
tandosi al 24,7%, con un massimo del 36% per le donne del Mezzogiorno, ed un minimo
per i maschi del Nord Est, pari al 13,9%; peggiora lievemente il tasso di disoccupazione di
lunga durata (+0,5).
Dopo un periodo di stabilità nel 2009, il tasso di attività nel terzo trimestre 2010 diminuisce,
portandosi al 61,4%, con una diminuzione dell’1,7% rispetto al trimestre precedente (1%
rispetto allo stesso periodo del 2009). Il calo più forte si registra nel Mezzogiorno (-2,4%),
soprattutto tra la componente femminile (-2,7%).
Le analisi riportate, svolte dall’Osservatorio del mercato del lavoro del Ministero del
Lavoro elaborano soprattutto i dati Istat e mostrano quindi con chiarezza come l’Italia stia
dal 2010 affrontando la fase di “crisi” economica, con modalità specifiche, da valutare con
attenzione:. la fase di difficoltà finanziaria ed economica ha riguardato alcuni comparti produttivi e
non il complesso dei settori dell’economia italiana;. la “crisi” ha evidenziato i punti di tenuta e di debolezza del sistema;. i punti di debolezza più evidenti mostrati dal contesto di “crisi” riguardano l’obsolescen-
za di alcuni comparti manifatturieri, il ritardo in termini di qualità delle piccole imprese
che operano in alcuni settori del terziario ed una generale debolezza delle istituzioni del
mercato del lavoro; . il superamento dell’ attuale difficoltà riguarda solo alcune aree del Paese (tra cui il Lazio
e Roma) e non si determina nei contesti in cui appare necessaria una forte azione di
sistema per le promozione di nuove politiche di sviluppo e in cui le difficoltà strutturali in
termini di capacità competitiva sono maggiori, come in alcune aree del Mezzogiorno;. in generale la ripresa in termini economici non determina condizioni di adeguata ripre-
sa occupazionale in quanto a fronte di un reimpiego dei lavoratori sospesi o in tratta-
mento di integrazione salariale non si determinano significativi nuovi avviamenti;. la fase di “crisi” evidenzia le differenze qualitative dei sistemi regionali del lavoro italia-
ni e mostra come le regioni in grado di creare nuova occupazione siano quelle con
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migliori servizi per il capitale umano e il mercato del lavoro;. tra gli interventi di fondo che la fase di “crisi “ rende necessari a livello nazionale per il
recupero in termini di competitività, appaiono necessarie alcune azioni di sistema che
implicano politiche di governo e di coordinamento sovraregionale, come la promozione
di alcune importanti infrastrutture multimodali nei trasporti, il sostegno alla ricerca e alla
innovazione tecnologica, la promozione e il rilancio della formazione professionale, la
riforma degli ammortizzatori sociali e dei servizi per il lavoro.
1.2 ll lavoro nel Lazio nel 2010: tassi e dinamiche
Il quadro del mercato del lavoro nel Lazio nel 2010 va considerato provando a scorporare
gli effetti della crisi e l’utilizzo degli ammortizzatori dalle dinamiche che riguardano i disoc-
cupati e coloro che cercano impiego.
Non si tratta di una operazione semplice sul piano tecnico in quanto i dati sono spesso
accorpati e la lettura delle dinamiche del mercato del lavoro, che abbiamo in precedenza
riportato, tiene conto in modo evidente dell’accesso alla cassa integrazione. Tuttavia, ai
nostri fini, limitarsi al quadro congiunturale attraverso la lettura delle dinamiche degli
ammortizzatori sociali appare limitativo e non consente di delineare lo scenario e i cambia-
menti in corso. In ogni caso, l’occupazione laziale ha visto confermare alcune delle dinami-
che nazionali, con un quadro di maggiore debolezza della tenuta del mercato del lavoro
rispetto alle altre regioni del Centro Nord. In ogni caso la fase di “crisi” non determina nel
Lazio in questi anni la stessa perdita di personale avvenuta nel resto di Italia, in quanto le
crisi appaiono legate a specifici settori e aziende, che riscontravano difficoltà anche prima
del 2008. In ogni caso il rallentamento occupazionale ha determinato la mancata conferma
dei contratti a termine e una evidente precarietà delle condizioni di lavoro, soprattutto per
gli under 40 che operano nei servizi. Il recupero della prima parte del 2010, di circa due
punti percentuali sul secondo trimestre del 2009, non è stato confermato nei tre trimestri
successivi, anche per le maggiori difficoltà di reimpiego e di rientro nel mercato del lavoro
e il mancato innesto delle dinamica di crescita nelle piccole imprese. Esistono nel Lazio e
soprattutto a Roma delle specificità, delle caratteristiche del mercato del lavoro, che vanno
considerate con attenzione e nel loro complesso, in quanto incidono significativamente
sulle condizioni dell’economia e della società laziale e romana e richiedono una verifica sul
sistema di servizi e di politiche che si rende necessario:. l’economia laziale e romana produce in termini di ricchezza più di quanto riesce a deter-
minare dal punto di vista dell’impatto occupazionale;. la crisi occupazionale dell’ultimo biennio ha determinato nel contesto laziale una situa-
zione di stallo e di mancata crescita, evidente soprattutto a Roma, più che di diminuzio-
ne dell’occupazione;. la situazione di difficoltà occupazionale ha evidenziato soprattutto il ritardo tecnologico
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di alcuni comparti del manifatturiero e le difficoltà di alcune specifiche aziende;. la domanda di lavoro nel Lazio e a Roma ha due specificità di fondo: le imprese laziali
richiedono personale con scolarità medio alta in modo notevolmente maggiore rispetto
alla media nazionale (68% contro il 55 %) e operano soprattutto nel terziario (80% a
fronte del 67%);. le specificità della domanda delle imprese implica la necessità di qualificare con forza i
servizi per il lavoro e la formazione, soprattutto per far emergere la domanda delle pic-
cole imprese, che rischia altrimenti di incontrare difficoltà di risposta;. nel Lazio appare inoltre presente una maggiore percentuale di rapporti di lavoro dipen-
dente e anche part time e una percentuale di lavoro femminile intermedia tra i buoni dati
delle regioni del Centro Nord e i risultati del tutto disastrosi per l’occupazione femmini-
le meridionale.
Questi dati di contesto chiariscono quali siano i fenomeni che determinano il ritardo occu-
pazionale del Lazio e anche di Roma rispetto al Centro Nord: una domanda delle imprese
che richiede qualificazione, competenze e flessibilità non trova adeguate risposte in un
sistema di servizi per il capitale umano e il mercato del lavoro adeguati (come dimostrano
tutte le rilevazioni tecniche effettuate nel periodo 2008-2010), anche per via di una gover-
nance che non appare funzionale.
L’inserimento delle nuove generazioni nel mercato del lavoro romano e laziale (anche se
nelle altre province in misura meno accentuata) si può quindi rendere possibile solo sulla
base di due precondizioni, che vengono esaminate nel capitolo finale:
a) una maggiore competitività del tessuto delle piccole imprese, che richiede la presenza
di personale competente, qualificato e disponibile sul mercato, nonché l’accesso a ser-
vizi, incentivi e politiche in modo diretto e accessibile;
b) la presenza di un sistema di servizi per la formazione, l’orientamento, la preselezione
del personale, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, capillare, di qualità, integrato e
in grado di promuovere un’offerta formativa adeguata ai fabbisogni delle piccole impre-
se, i tirocini e l’apprendistato e in generale di governare le complesse e articolate dina-
miche del mercato del lavoro romano e laziale.
Queste considerazioni riguardano tutto il contesto regionale e possono essere rivolte quin-
di in primo luogo al sistema regionale del lavoro e della formazione del Lazio, ma appaio-
no determinanti soprattutto per Roma, in quanto nella Capitale la composizione qualitativa
del mercato del lavoro evidenzia con forza il nesso tra la promozione e lo sviluppo delle pic-
cole imprese e il rafforzamento degli incentivi per la capacità d’agire, per la promozione del-
l’innovazione e delle istituzioni della formazione e del mercato del lavoro.
1.3. ll lavoro a Roma nel 2010: tassi e dinamiche
Roma, come abbiamo considerato in paragrafi precedenti, costituisce l’area provinciale
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laziale con il maggior dinamismo nel mercato del lavoro e con performances occupaziona-
li nettamente migliori rispetto al Centro Sud e a quanto possiamo riscontrare in altri conte-
sti territoriali del Centro Italia. Tuttavia le dinamiche economiche, la produzione di ricchez-
za e le potenzialità delle imprese e dei mercati trovano un riscontro occupazionale storica-
mente inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare. Obiettivo di questa ricerca comparata è
quindi anche la verifica dei fenomeni che determinano questa conseguenza, che nel bien-
nio 2008-2010 si è resa evidente con l’interruzione di una dinamica occupazionale in cre-
scita da sei anni e con una percentuale di avviamenti al lavoro con rapporti a termine che
non ha uguali in altre città italiane, come evidenziato peraltro anche nel lavoro di ricerca
pubblicato nel 2010 per il Comune di Roma già richiamato. In ogni caso, con circa il 62%
di tasso di occupazione è comunque l’area metropolitana romana il principale polo di attra-
zione del lavoro del Lazio e delle aree limitrofe, considerando non solo le zone a Sud di
Roma, ma anche l’Umbria e l’Abruzzo. Roma, come abbiamo notato, è tuttavia in una sorta
di “limbo statistico”: a Roma troviamo in percentuale più lavoro di quanto si trovi nel resto
della regione e nella maggior parte delle Regioni del Sud (a cui da alcuni anni si aggiunge
certamente anche l’Abruzzo, regione in caduta libera dal punto di vista economico ed occu-
pazionale quantomeno dal 2007 e in parte l’Umbria), ma decisamente meno di quanto
accada a Nord di Roma. Roma è esattamente al centro della classifica delle province ita-
liane per tasso di occupazione, trovandosi al cinquantaseiesimo posto.
Tuttavia va anche considerata la dinamica occupazionale che vede dal punto di vista quan-
titativo l’innesto a Roma di una forte crescita del tasso di occupazione quantomeno dal
2004, una crescita che ha avuto il picco nel 2008, con un dato superiore al 62%, per poi
calare in concomitanza con l’avvio della fase critica della crisi occupazionale, che ha
sostanzialmente determinato una interruzione della crescita quantitativa dell’occupazione
romana e contestualmente ha avviato una ulteriore dinamica di flessibilizzazione delle
opportunità di impiego. Il ritardo occupazionale romano si misura rispetto al Centro Nord
anche in riferimento al dato dell’occupazione femminile: mentre il tasso di occupazione
maschile a Roma è intorno al 62%, quello femminile è di poco superiore al 52%. Si tratta di
un differenziale di quasi venti punti: inferiore a quanto accade nelle aree del Mezzogiorno
(dove il differenziale occupazionale tra uomini e donne arriva fino a trenta punti), ma deci-
samente al di sotto di quanto accade nella maggior parte delle province del Centro Nord.
Le potenzialità del lavoro femminile a Roma sono cresciute negli ultimi anni, ma possono
trovare ulteriori margini di crescita.
1.4. La lettura comparata dell’evoluzione occupazionale romana per settori: piccole
imprese e settori delle PMI
Se consideriamo i settori di attività, la dinamica occupazionale romana, come abbiamo
riscontrato anche in paragrafi precedenti, trova nel biennio 2008-2010 alcune precise linee
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di evoluzione. La crisi occupazionale di questi anni è decisamente trasversale: determina
situazioni di crisi aziendale che dal manifatturiero si evolvono di conseguenza anche nei
servizi e nel commercio, anche se con modalità diverse (nel manifatturiero prevale l’utilizzo
degli ammortizzatori sociali e nei servizi il blocco delle assunzioni e la mancata conferma
di contratti a termine). Roma da alcuni anni è chiamata a fare i conti con un progressivo
impoverimento della propria base manifatturiera, che pesa ormai meno del 20% per nume-
ro di occupati. Questo indebolimento della base manifatturiera non è di per sé un dato posi-
tivo: la terziarizzazione estrema del sistema romano è anche un derivato delle difficoltà di
insediamento di nuove attività manifatturiere, sia per motivi infrastrutturali che per una
minore qualità del lavoro, tema su cui nelle relazioni sindacali si svolgono poche conside-
razioni e proposte.
In ogni caso, come abbiamo visto, sono il terziario (commercio, ristorazione, alberghi, pub-
blico impiego, servizi alle imprese e professionali) e l’edilizia a determinare il maggior
numero di occupati nell’area romana. Tuttavia in questi anni si è assottigliata la capacità di
inserimento lavorativo da parte delle piccole imprese, mentre è rimasta stabile, in alcuni
casi in aumento, la capacità occupazionale delle imprese con più di cinquanta addetti.
Se consideriamo l’industria, le imprese romane operano in settori come la metallurgia, il tes-
sile, la chimica e i macchinari: settori tradizionali particolarmente colpiti dalla fase di crisi e
che denotano la presenza a Roma di un settore industriale in parte obsoleto e comunque
con un livello di innovazione non adeguato e collegato alla presenza a Roma di interessan-
ti realtà nell’innovazione tecnologica. Far incontrare l’industria tradizionale romana con le
realtà dei servizi tecnologici ed informatici alle imprese, altrettanto presente a Roma, può
quindi essere una scelta opportuna.
Inoltre dobbiamo segnalare come il terziario romano sia un settore che crea occupazione
in modo più che proporzionale rispetto all’industria, in quanto il manifatturiero romano non
sembra determinare da alcuni anni un impatto occupazionale adeguato al valore aggiunto
delle imprese del settore.
Infine, appare opportuno ribadire il dato, già esposto, di come la situazione di stallo, di bloc-
co dell’occupazione giovanile a Roma nel periodo 2008-2010 si debba essenzialmente alle
difficoltà che incontrano le piccole imprese e le imprese artigiane, mentre le grandi impre-
se hanno continuato ad assumere.
I dati della Camera di Commercio, previsionali, sono in parte confermati dai dati ufficiali dei
servizi per l’impiego della Provincia: sono le grandi imprese quelle che hanno ripreso ad
assumere, anche se in realtà il dato va letto comprendendo anche un aspetto che in sé può
essere contraddittorio. In realtà le assunzioni nelle imprese artigiane sono stazionarie, men-
tre quelle nelle imprese con più di dieci e più di cinquanta dipendenti diminuiscono: questo
fenomeno si spiega con il fatto che le imprese maggiori assumono, ma comunque meno
che in passato, mentre le imprese a dimensione artigiana da alcuni anni a Roma assumo-
no in percentuale meno, sia rispetto al resto d’Italia che in riferimento al proprio valore
aggiunto e alla numerosità delle imprese artigiane nel contesto romano.
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L’ incremento del lavoro a Roma dipende quindi molto dalla capacità attraverso servizi e
politiche adeguate di sviluppare e rafforzare il tessuto delle piccole imprese e delle impre-
se artigiane. Considerati infatti tutti i fattori di competitività territoriale e gli elementi della
capacità di agire è possibile affermare che se Roma avesse istituzioni del mercato del lavo-
ro e formative e servizi alle imprese in grado di rafforzare il tessuto delle piccole imprese e
di determinare in questo modo un adeguato recupero occupazionale (nella media italiana)
Roma avrebbe una capacità competitiva e un tasso di occupazione del tutto in linea con i
dati di Milano e delle maggiori realtà economiche italiane.
1.5. La lettura comparata dell’evoluzione occupazionale romana per modalità con-
trattuali, sesso, livello di studi
I dati presi in considerazione per questo lavoro di ricerca comparata mostrano alcuni aspet-
ti del lavoro a Roma molto interessanti dal punto di vista della qualità delle dinamiche occu-
pazionali.
Se proviamo ad analizzare le dinamiche occupazionali del 2010 considerando le tipologie
contrattuali, diventa importante confrontare il dato reale degli avviamenti del primo seme-
stre 2010, elaborato in modo puntuale dall’Osservatorio del mercato del lavoro della
Provincia di Roma.
Gli avviamenti al lavoro nel primo semestre 2010 (il semestre che ha segnato una timida
ripresa occupazionale, non confermata tuttavia dal semestre successivo) mostrano come
le assunzioni a Roma siano state per l’ 83% contratti di lavoro a termine, nelle diverse
modalità (dipendente a termine, collaborazione a progetto, apprendistato etc), per poco più
del 14% assunzioni a tempo indeterminato e per poco più del 2% con contratti assimilabili
al lavoro autonomo. Tra i rapporti a tempo determinato i contratti di lavoro dipendente
ammontano a più del 64% sul totale degli avviamenti, mentre le collaborazioni, compren-
dendo anche le partite IVA autonome, arrivano intorno al 14%. Il dato del primo semestre
2010, oltre a peggiorare nella realtà (come era previsto) il dato previsionale del sistema
Exclesior, segnala alcuni elementi interessanti, da valutare con attenzione:
a) da molti semestri il dato degli avviamenti al lavoro a Roma mostra come i rapporti a ter-
mine superino costantemente l’80%, quanto è stato segnalato dalla ricerca dello scor-
so anno viene confermato anche per i due semestri successivi;
b) Roma resta quindi una città in cui la fase di “crisi” ha svelato come i rapporti a ter-
mine siano una componente del tutto strutturale del modello economico e produtti-
vo romano;
c) il lavoro a termine è la scelta degli avviamenti tipici delle grandi imprese del terziario,
più disponibili delle piccole imprese ad assumere personale con poca esperienza, ma
anche ad utilizzare contratti di lavoro flessibile;
d) il rafforzamento dell’apprendistato e della stabilità del lavoro è in parte legata anche al
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rafforzamento del tessuto delle piccole imprese e delle imprese artigiane, che tendono
a preferire rapporti di lavoro più stabili, ma che a Roma trovano difficoltà nella formazio-
ne e nel reperimento di manodopera adeguata, disponibile e competente.
Non tutti i dati previsionali vengono confermati anche dalle valutazioni che riguardano le
caratteristiche dei profili professionali effettivamente avviati, che appaiono meno qualificati
di quanto le imprese tendano a dichiarare (le imprese romane tendono a dichiarare una
disponibilità ad assumere personale per profili medio alti e con contratti a tempo indetermi-
nato più di quanto realmente avvenga).
Il primo semestre 2010 ha visto numerose assunzioni di insegnanti e maestre d’asilo (si
tratta infatti del semestre in cui si assume il personale a contratto della scuola), molti sono
inoltre i collaboratori amministrativi, i promoter, gli impiegati e non mancano attori e doppia-
tori. Tuttavia tra i profili più richiesti a Roma resta forte la richiesta di facchini, addetti alle
pulizie, muratori, commessi, autisti: l’addetto alle pulizie è stata nel 2010 la figura più richie-
sta dal mercato del lavoro romano. Sono dati in parte contradditori e che mostrano in veri-
tà un tessuto economico molto frammentato, complesso, articolato in cui troviamo aspetti
di innovazione insieme a fenomeni da superare e in cui appare importante innestare ele-
menti di qualificazione.
2. Gli interventi
2.1. Le misure anticrisi
Se compariamo i dati, tra il 2008 e il 2010 a Roma la disoccupazione è cresciuta media-
mente intorno al 15%. Non si tratta solo della diminuzione della domanda delle imprese a
conseguenza della “crisi”, ma anche dell’aumento delle persone disponibili al lavoro che
non trovano un impiego. La “crisi” (termine non del tutto appropriato per descrivere questa
fase della dinamica economica, quantomeno dal 2010) ha quindi svelato in parte una certa
fragilità del mercato del lavoro romano soprattutto nell’autoregolarsi. È evidente l’attenzio-
ne delle forze sociali ed economiche romane nella lettura dei dati dei lavoratori licenziati e
in ammortizzatori sociali: tuttavia è fuorviante leggere le dinamiche del mercato del lavoro
e della crisi solo restringendo il campo al calo della domanda delle imprese, in quanto il cre-
scente numero di giovani che non trova la prima occupazione e la mancata conversione dei
contratti a termine costituiscono fenomeni sociali in parte ancora più rilevanti, perché
rischiano di essere strutturali e segnalano una forte domanda in termini di servizi, di politi-
che, di orientamento, di formazione. In ogni caso dal 2008 è diminuita la capacità del siste-
ma romano di sostenere il primo inserimento lavorativo, anche perché l’economia ha pre-
stato soprattutto attenzione al mantenimento al lavoro degli addetti già occupati nelle azien-
de in difficoltà, come appare peraltro logico. L’aumento del tasso di disoccupazione da
meno del 6% del 2007 a più dell’ 8% del 2010 è comunque un dato piuttosto eclatante, che
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si affianca proprio al fenomeno delle minori assunzioni nelle piccole imprese e delle difficol-
tà occupazionali del sistema romano, già mostrate in dettaglio nei diversi fenomeni esami-
nati nella ricerca condotta nel 2010, specifica sul mercato del lavoro. Il ritardo in termini di
qualità e di funzionamento del mercato del lavoro romano è evidenziato anche dalla diffe-
renza tra il tasso di disoccupazione femminile e quello maschile. Si tratta di ben quattro
punti di differenza, a tutto svantaggio delle donne, nonostante la presenza a Roma di atti-
vità a buona partecipazione femminile. In questo caso, tuttavia, il confronto tra Roma e le
altre province laziali non si pone: i dati e le dinamiche romane sono comunque migliori. La
priorità del mantenimento occupazionale è la chiave di lettura della reazione del sistema
romano ai fenomeni di “crisi” degli ultimi anni: il 2010 da questo punto di vista ha rappre-
sentato all’inizio dell’anno un timido segnale di ripresa dei nuovi avviamenti, che però si è
attenuato. Anche il 2010 si è presentato quindi come un anno in cui Roma si è concentra-
ta sul mantenimento al lavoro dei dipendenti coinvolti in situazioni di crisi e destinatari di
ammortizzatori. La crisi occupazionale è quindi proseguita nel 2010 e il tema del reimpiego
o del mantenimento al lavoro, soprattutto per i lavoratori in cassa integrazione straordina-
ria e in mobilità, costituisce il tema di riferimento in questa fase.
D’altra parte i dati sono palesi: nel triennio 2008-2010 la cassa integrazione ordinaria è
aumentata circa del 200%, la cassa integrazione straordinaria del 500% e l’uso di ammor-
tizzatori in deroga del 400%. Roma è in condizioni migliori di province laziali come
Frosinone e Rieti, per via del diverso tessuto produttivo, ma i distretti del manifatturiero
romano hanno trovato nella crisi un ulteriore colpo intervenuto su difficoltà che però erano
in parte preesistenti. Riscontriamo quindi ancora nel 2011 a Roma una emergenza licenzia-
ti, che non è del tutto risolta anche a fronte della storica debolezza del sistema laziale nel
promuovere interventi di reimpiego e di una cultura delle politiche attive per il lavoro che
(come dimostrano tutti i report di confronto) non è certo posizionata sugli standard di regio-
ni come la Toscana, la Lombardia e l’Emilia Romagna.
Tuttavia, come si è detto, esiste un effetto della crisi che riguarda la mancata conferma dei
contratti a termine e le difficoltà di ingresso dei giovani, che appare più silenzioso, ma che
va affrontato, in quanto anche in questo caso il tema che emerge è quello della capacità
istituzionale, del governo del mercato del lavoro e della possibilità di spostare finanziamen-
ti dalle misure passive a quelle attive e ai servizi per il lavoro, come è accaduto nelle regio-
ni d’Italia e d’Europa che hanno saputo meglio gestire questa fase di difficoltà occupazio-
nale. Emerge qui il tema dei servizi e della governance del lavoro a Roma, che implica una
riflessione sistematica e proposte di intervento.
2.2. La governance del mercato del lavoro e le modalità di assunzione a Roma
Da tutte le analisi, ricerche e valutazioni che sono state esaminate appare evidente un qua-
dro di debolezza delle istituzioni del mercato del lavoro e della formazione a Roma e nel
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Lazio su cui è urgente intervenire con una strategia di sistema. In questo senso il tema va
posto in modo ampio: non si tratta dell’accreditamento dell’ennesimo ente che operi sul
mercato del lavoro (a Roma sono decine i punti di servizio, dispersi e poco coordinati),
quanto di un intervento che riguardi la messa a sistema, le funzionalità di tutto quanto opera
per la “capacità d’agire” dei cittadini. Queste considerazioni, poste all’inizio di questo para-
grafo, hanno lo scopo di segnalare come il modello istituzionale laziale che riguarda il mer-
cato del lavoro e la formazione appaia, in tutte le analisi e rapporti considerati, da aggior-
nare alla luce del presente e da implementare rispetto ai cambiamenti del mercato del lavo-
ro. I mutamenti del mercato del lavoro a Roma e nel Lazio dovrebbero essere seguiti da
adeguati interventi di riforma e da strumenti in grado di accompagnare la transizione.
Questo motiva e chiarisce come gli interventi messi in atto dal 2010 dalla Provincia di Roma
e dalla Regione Lazio si muovano in parte in discontinuità rispetto al passato e segnalino
alcune opportune inversioni di rotta e interventi di riforma, che esaminiamo anche in para-
grafi successivi. In ogni caso allo stato il modello di governance che sostiene il sistema
regionale laziale del lavoro, della formazione e della creazione di opportunità appare biso-
gnoso di interventi di riforma in grado di migliorare l’impatto delle politiche, partendo da un
nuovo impianto normativo funzionali di riferimento.
Allo stato, in attesa degli interventi di riforma e dell’accreditamento degli operatori privati del
mercato del lavoro, la geografia romana dei servizi per il lavoro si snoda sui seguenti sog-
getti, chiamati a svolgere le funzioni elencate:. Regione (con sportelli informativi generici), legifera e programma sulle politiche attive,
il lavoro, la formazione, l’artigianato e il sostegno alla creazione di impresa; sostiene gli
incubatori di impresa, promuove interventi di politica attiva (allo stato attraverso bandi);. Provincia (con la rete dei centri per l’impiego e alcune agenzie formative), eroga servizi di
orientamento, sostegno all’inserimento lavorativo, preselezione, incontro domanda e
offerta, promuove alcuni interventi di erogazione tirocinii, programma, in parte direttamen-
te, in parte a bando, interventi di formazione professionale, ha il compito di selezionare e
comunicare le richieste delle imprese, gestisce il collocamento mirato dei disabili;. Comune (con i centri di orientamento ed i centri informagiovani) promuove interventi
informativi e di primo orientamento, sostiene le politiche giovanili;. Università (con il programma SOUL) , erogano interventi informativi e di placement
(inserimento) in azienda, in modo alquanto limitato rispetto alla domanda effettivamen-
te disponibile;. Parti sociali, hanno una rete capillare di centri di servizio e di informazione;. Enti formativi, partecipano ai bandi per l’erogazione dell’offerta formativa;. Cooperazione sociale, partecipano a bandi per interventi formativi, politiche attive ed
erogano interventi per l’integrazione lavorativa dei disabili;. Agenzie per il lavoro, erogano interventi per la somministrazione di manodopera;
Enti autorizzati per l’erogazione di politiche attive, partecipano ai bandi regionali per gli
interventi di politica attiva per i disoccupati.
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Si tratta di un sistema che vede allo stato la presenza di diversi soggetti, a cui sono chia-
mati ad aggiungersi anche le agenzie accreditate per l’intermediazione, la ricerca e selezio-
ne e l’incontro tra domanda e offerta. La presenza di un sistema articolato necessita quin-
di l’aggiornamento del quadro delle funzioni e interventi in grado di migliorare la qualità del
sistema e l’efficacia delle politiche.
Il percorso del disoccupato romano, così come quello dell’imprenditore alla ricerca di un
lavoratore o di una forma di incentivazione per l’impresa, appare infatti oggi ancora acci-
dentato e poco coordinato. Quindi occorre evitare che si alimenti incertezza del diritto, scar-
sa conoscenza del servizio e poca chiarezza sulle politiche e sui servizi. In questo senso,
come evidenziato da diversi report della Camera di Commercio e di altri organismi, il punto
non è tanto l’avvio di una strategia di informazione di tipo pubblicitario-promozionale, quan-
to la capacità di rendere evidente la funzione dei servizi per il lavoro e per la formazione
come terminali informativi per le imprese e i lavoratori, mettendo in rete le decine di punti
di servizio pubblico e alimentando sinergie con il sistema universitario, scolastico e degli
operatori privati. Le iniziative di Comune, Provincia e Regione appaiono allo stato consape-
voli di questo ritardo, ma ancora poco coordinate e con una strategia non del tutto condivi-
sa. Il grave ritardo delle politiche e dei servizi sul mercato del lavoro e della formazione
sconta in questa fase peraltro una certa scarsità di risorse e richiede quindi maggiori sfor-
zi di collaborazione e condivisione della strategia e degli strumenti. La normativa regionale
di riferimento è evidentemente obsoleta e si rende quanto meno opportuna l’approvazione
di una nuova legge quadro che integri il sistema del lavoro, della formazione e colleghi que-
sti servizi alle misure per l’autoimpiego e in generale per il miglioramento dell’occupabilità.
La Regione Lazio, Assessorato al lavoro e alla formazione, con il Piano Lazio 2020, che fa
da cornice strategica alla programmazione delle azioni dell’Assessorato e, di conseguenza,
alla pianificazione finanziaria dei fondi a disposizione, appare consapevole di questo ritar-
do e della necessità di rivedere la strategia e l’assetto della governance dei servizi. In que-
sto senso, il documento strategico regionale, definisce quali priorità della nuova politica
regionale:. la correlazione tra le politiche per il lavoro, la formazione e le politiche per lo sviluppo
economico;. lo sviluppo complessivo del territorio, la valorizzazione delle idee e delle competenze di
cui gli attori locali, pubblici e privati, dispongono per promuovere, progettare e realizza-
re interventi di sviluppo territoriale;. la messa a sistema di interventi di sviluppo territoriale che superino la logica delle spe-
rimentazioni a vantaggio di prassi operative controllate e flessibili che abbiano i presup-
posti della sostenibilità nel medio e lungo periodo;. lo sviluppo di strumenti di monitoraggio idonei ad anticipare, comprendere e affrontare
per tempo le novità e le possibili crisi dei contesti produttivi;. il coinvolgimento delle imprese, di ogni fattispecie, in un ruolo che le riconosca protago-
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niste nello sviluppo regionale;. la costruzione di reti e partenariati tra imprese, Servizi per il Lavoro, agenzie formative,
ivi comprese le Università e le parti sociali;. la valorizzazione della dimensione interregionale e transnazionale degli interventi, favo-
rendo in tal senso la partecipazione a progetti e la diffusione di buone prassi.
Si tratta evidentemente di interventi che provano a colmare ritardi e lacune, chiamando
opportunamente in causa la funzione di coprogrammazione e la responsabilità provinciale
(su cui appare necessario inserire strumenti di verifica e rendiconto), definendo un sistema
regionale del lavoro che si pone il difficile compito di elevare la qualità dei servizi e delle
politiche per il capitale umano e per il lavoro e di recuperare un ritardo storico. In questo
senso appare opportuno verificare come il sistema regionale del lavoro che si va delinean-
do possa fare da regia e promuovere il ruolo delle istituzioni provinciali e comunali che sof-
frono in questi anni di una scarsità di risorse e di una mancata chiarezza del quadro delle
funzioni e delle responsabilità.
A corollario di queste considerazioni appare opportuno riprendere il dato delle modalità di
assunzione a Roma, che mostrano una situazione che rende evidente il mancato funziona-
mento delle istituzioni pubbliche e private del lavoro, in quanto: le piccole imprese assumo-
no in prevalenza sulla base di relazioni personali e “segnalazioni” (circa il 60%) e ricorrono
alla preselezione dei servizi pubblici più di quanto venga fatto dalle imprese con maggiori
dimensioni (circa il 6% contro il 3%). Le grandi imprese a Roma invece assumono in primo
luogo attraverso banche dati e sistemi interni aziendali, ricorrendo ai servizi per il lavoro
essenzialmente solo per il veicolo delle agenzie e relativamente al segmento contrattuale
del lavoro in somministrazione. In generale, mentre il ricorso ai servizi pubblici permette
nelle regioni del Centro Italia l’assunzione del 9% degli avviati, il dato a Roma scende al
quattro, se poi si considerano tutti i servizi per il lavoro il dato romano vede una percentua-
le di inserimento al lavoro tramite servizi specializzati intorno al 13%, contro il dato del 17%
delle regioni del Centro Italia. Sono dati che confermano uno stato di salute dei servizi per
il lavoro romani ancora non pienamente adeguato, anche a fronte di una maggiore propen-
sione delle piccole imprese a richiedere servizi di preselezione.
2.3. I servizi: il sistema regionale del lavoro tra funzioni e disfunzioni
L’intervento sul mercato del lavoro si definisce quindi sulla base delle funzioni attribuite al
sistema regionale del lavoro, che opera come descritto attraverso le funzioni e le respon-
sabilità della Regione e dei diversi soggetti pubblici e privati. Il sistema delle politiche atti-
ve si appoggia necessariamente sul sistema dei servizi per il lavoro e appare evidente dai
dati e dalle analisi come nel Lazio (e in altre regioni d’Italia, soprattutto meridionale) il ritar-
do in termini di efficacia delle politiche attive del lavoro dipenda in buona parte dalla debo-
lezza del sistema dei servizi per l’impiego e per la formazione, che eroga servizi in situazio-
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ne di difficoltà sociale o di emergenza (come nel caso degli ammortizzatori sociali in dero-
ga su cui i centri per l’impiego delle Province laziali hanno mostrato in questi anni una
buona funzionalità), ma che appare in difficoltà rispetto alle funzioni ordinarie di orientamen-
to, preselezione, incontro tra domanda ed offerta.
Si tratta di temi su cui la Regione Lazio intende operare sulla base della strategia del docu-
mento Lazio 2020 e attraverso la messa in qualità dei servizi per l’impiego sulla base delle
linee del Masterplan regionale dei servizi per l’impiego, intervento propedeutico all’avvio del
processo di accreditamento.
Rispetto alle indicazioni della strategia di Lazio 2020 si riportano di seguito direttamente
alcuni passaggi dal documento regionale.
“Per sviluppare i contesti produttivi e occupazionali in un’ottica di sostenibilità ambientale
ed economica che promuova la coesione sociale si ravvisa la necessità di dotarsi di:
- un sistema coordinato di servizi per il lavoro, di formazione, di sostegno al reddito,
- di servizi per la conciliazione che, secondo i principi europei della flessicurezza, dia con-
temporaneamente risposta alle necessità di flessibilità richieste dal mercato e a quelle
di sicurezza e occupabilità necessarie ai lavoratori;
- un sistema strutturato in modo da non escludere nessuno fornendo ai cittadini sostegno
formativo, orientativo, economico alle frequenti transizioni possibili nei percorsi di svi-
luppo professionale lungo tutto l’arco della vita attiva;
- un sistema formativo flessibile che dia servizi efficaci e tempestivi alla accentuata fles-
sibilizzazione dei sistemi produttivi;
- un flusso informativo continuo tra mondo del lavoro (imprese, artigiani e professionisti)
e i sistemi educativi impegnati nello sviluppo delle competenze (scuola, università, for-
mazione) sulle figure e le professionalità in cui la domanda eccede l’offerta e viceversa
anche per orientare i futuri lavoratori nonché riqualificare gli stessi nel passaggio da un
campo di attività ad un altro;
- un’offerta formativa centrata sullo sviluppo e la manutenzione delle competenze che
accompagni la rapida evoluzione delle professioni, rispetto alle quali i metodi tradizio-
nali di codifica e evoluzione dei profili rischiano di essere poco efficaci e subito obsole-
ti rispetto ai reali fabbisogni”.
Rispetto al processo di qualificazione dei servizi per l’impiego, il Lazio è inoltre ad oggi l’uni-
ca regione italiana che ha avviato un’ azione di messa in qualità dei servizi provinciali per
l’impiego sulla base di un documento di Masterplan, che opera per l’adeguamento dei ser-
vizi per l’impiego delle province laziali ai LEP, i livelli essenziali delle prestazioni da garan-
tire sulla base del nostro ordinamento nazionale. Appare in ogni caso da rilevare e da stig-
matizzare l’assenza a livello nazionale di livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per il
lavoro, come invece è previsto per le prestazioni del sistema sociosanitario (forse questo è
uno dei motivi che vedono l’Italia eccellere nei criteri di competitività europea dei sistemi
sociosanitari e stentare nei sistemi di welfare per il lavoro). L’impegno della regione Lazio
di verificare e sostenere l’adeguamento e la messa a sistema dei servizi per il lavoro e per
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la formazione provinciale sugli obblighi di legge è pertanto un impegno opportuno, anche
se avviene con almeno cinque anni di ritardo. Questo ritardo è confermato da un dato di
fondo: tutte le province laziali, quindi anche Roma, sono dall’esame delle funzionalità e
della qualità dei servizi, in forte ritardo rispetto alla capacità di garantire le prestazioni dei
servizi per il lavoro e per la formazione richiesti dalla legge.
Resta in ogni caso da considerare come questa messa a sistema richieda tempi e risorse
certe, che allo stato non sembrano tuttavia garantite. Inoltre vale la pena considerare
come, a fronte della necessità della messa a punto di un nuovo modello di governance, la
Regione Lazio sembra esser consapevole della necessità di ridefinire con maggiore chia-
rezza responsabilità e funzioni, anche sulla base di un modello che pare (non sono ancora
stati definiti tutti i provvedimenti):
a) definire una responsabilità di coprogrammazione di servizi e politiche con il livello pro-
vinciale (non è invece chiaro il ruolo del Comune, previsto dalla attuale legge regionale
per l’orientamento e l’informazione e le politiche giovanili);
b) prevedere la presenza oltre che dei soggetti pubblici anche dei soggetti privati accredi-
tati per l’erogazione della formazione e delle misure di politica attiva.
Anche in questo caso è utile riportare il passaggio sul nuovo modello di governance conte-
nuto nel documento Lazio 2020.
“Nell’ambito di Lazio 2020 la Regione attuerà i meccanismi ispiratori del metodo di
Coordinamento Aperto, idonei a consentire la partecipazione di tutti i soggetti territoriali a
partire dal raccordo tra Regione e Province.
La Regione intende definire modalità di pianificazione e impiego delle risorse che le per-
mettano di:. individuare e concordare in maniera puntuale le priorità di azione sul territorio;. identificare i migliori strumenti e modalità operative per dare attuazione alle priorità con-
cordate;. valorizzare l’integrazione e la complementarità delle risorse verso gli obiettivi concorda-
ti coordinando gli interventi regionali e provinciali e condividendo i risultati che possono
andare a beneficio dell’intero sistema sviluppando anche economie di scala;. attivare un sistema efficace e tempestivo di monitoraggio e valutazione degli interventi
anche per poter, se e quando necessario, rivedere obiettivi, strategie, procedure messe
in campo;. disporre di un sistema di governance del territorio che agevoli lo scambio di buone pras-
si, lo sviluppo di reti interne ed esterne alla Regione, in un’ottica di crescita economica-
mente sostenibile e dunque di rafforzata coesione sociale;. favorire la concertazione locale al fine di far sviluppare nel territorio i soggetti (anche
aggregati e intersettoriali) che hanno il compito di far sviluppare e rafforzare la doman-
da e l’offerta di lavoro.
Per sostenere questo modello i diversi strumenti di Osservatorio e Monitoraggio delle
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Politiche e degli interventi, descritti in questo Piano, saranno funzionali alla governance
delle politiche e utili nella valutazione in itinere, all’eventuale rimodulazione delle azioni e
degli obiettivi, ed alla valutazione finale di efficacia”.
Il quadro delineato tuttavia non appare per ora in grado di dare tutte le risposte rispetto ai
temi delle responsabilità e delle funzioni che riguardano: il patto di servizio e l’erogazione
dei servizi per le imprese, la presa in carico del disoccupato, la responsabilità del patto di
servizio per il disoccupato, l’erogazione dell’intervento di politica attiva previsto dal patto di
servizio. Anche in questo caso le Regione e le province mettono mano ad un sistema a fron-
te di un ritardo di almeno tre anni (rispetto alle altre Regioni del Centro Nord) ed in ogni
caso dovendo garantire alcune risposte ai cittadini e alle imprese soprattutto per quanto
riguarda l’accesso alle politiche attive, l’erogazione dei servizi di preselezione, l’informazio-
ne e la consulenza sui servizi e gli incentivi. La diminuzione drastica delle risorse destina-
te al sistema dei servizi non aiuta peraltro in questa fase a qualificare e a personalizzare gli
interventi di politica attiva.
Il processo di riordino e di razionalizzazione dei numerosi centri per l’impiego della
Provincia di Roma e delle agenzie formative pubbliche, oltre a necessitare di un maggiore
coordinamento con i punti di servizio del Comune e con i centri di orientamento al lavoro
comunali, non appare allo stato in grado di essere sostenuto con risorse adeguate al ritar-
do da colmare. È in ogni caso da rilevare come, oltre alla Regione (che interviene sulla pro-
grammazione, sulla legislazione e sulla qualità e che detiene le risorse per il sistema),
anche la Provincia di Roma abbia in atto un radicale intervento di riordino e rafforzamento
dei proprio centri per l’impiego. Si tratta di un intervento importante, che prevede un nuovo
sistema informativo, la messa a regime delle prestazioni e dei servizi dei numerosi centri
per l’impiego, lo sviluppo di una integrazione tra lavoro e formazione, ma che necessita di
un contestuale coordinamento con le funzioni comunali e di una strategia fortemente coor-
dinata con regione e comune e attenta a colmare le lacune storiche dei servizi per l’impie-
go di Roma, in primo luogo il rapporto con le imprese. La capacità di offrire servizi di pre-
selezione gratuiti e di qualità alle piccole imprese e di intercettare la domanda di lavoro è
l’obiettivo e al tempo stesso il criterio di verifica rispetto all’efficacia e all’utilità dei servizi per
il lavoro.
I dati della recente analisi curata da Italialavoro, l’agenzia del Ministero del Lavoro, per
conto della regione Lazio, sui livelli essenziali delle prestazioni nei diversi centri per l’impie-
go della Provincia mostrano una forte disomogeneità che può essere risolta solo attraver-
so un’ azione di rafforzamento coordinato, che la Provincia di Roma ha peraltro avviato in
questi mesi. Resta tuttavia un punto di fondo: in assenza dell’erogazione delle misure di
politica attiva i servizi per l’impiego romano non hanno strumenti adeguati per contrastare
situazioni di disoccupazione, soprattutto giovanile, che in alcuni quartieri appaiono allar-
manti.
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2.4. Competenze e attivazione: il sistema regionale della formazione
e delle politiche attive
Il tema della capacità d’agire torna quindi, anche se in modo non del tutto organico, nei
documenti di programmazione regionale e provinciale. L’intervento sulla capacità d’agire
nell’area metropolitana romana è infatti legato soprattutto a competenze e funzioni regiona-
li e provinciali, anche se al Comune competono funzioni di informazione, orientamento,
accesso a specifici incentivi e decisioni su ambiti di programmazione dell’attività economi-
ca, soprattutto il commercio, i servizi e il turismo.
Nel lavoro di ricerca presentato nel 2010 (la IV inchiesta sul mercato del lavoro) abbiamo
mostrato gli atti di indirizzo e le dichiarazioni di intenti della Provincia di Roma, con il docu-
mento programmatico dell’assessore al lavoro e alla formazione Smeriglio. Si tratta di una
linea di intervento che è stata avviata in questi mesi e su cui troviamo in appendice un
approfondimento con una intervista. La nuova Giunta regionale insediatasi nel 2010 ha
preso in mano i temi della qualità e del ritardo degli interventi che riguardano la “capacità
d’agire”, il lavoro e la formazione, soprattutto declinandone la strategia nel documento
“Lazio 2020”, di cui diamo di seguito alcuni passaggi specifici sul tema, che chiariscono la
strategia regionale.
“È obiettivo della Regione Lazio far sì che ciascun cittadino possa accedere a misure e ser-
vizi funzionali al miglioramento del proprio grado di occupabilità per attivarsi e crescere
responsabilmente nel mercato del lavoro, fornendo in tal modo il proprio contributo attivo
allo sviluppo di un’economia sana e sostenibile nel lungo periodo.
L’attivazione dei servizi e delle risorse sarà personalizzata per ciascun cittadino in base a:. obiettivi e fabbisogni personali;. livello di autonomia;. possibile grado di attivazione;. contesto territoriale, sociale ed economico di riferimento.
Gli strumenti dei quali la Regione Lazio intende dotare le politiche attive del lavoro e della
formazione consentiranno di assegnare risorse e servizi alle persone perché queste, con la
collaborazione e la consulenza orientativa dei servizi per il lavoro, possano mettere a punto
piani individuali di sviluppo professionale da realizzarsi con la rete dei servizi pubblici e pri-
vati del territorio. Si vuole migliorare l’accesso all’apprendimento permanente, per sostene-
re i cittadini nell’evolvere il proprio profilo verso settori economicamente solidi, nuove com-
petenze richieste dal mercato, professioni in espansione (ad es. quelle legate alle politiche
di “crescita sostenibile”), recupero e modernizzazione di mestieri tradizionali, nonché verso
il settore dei servizi. I percorsi per lo sviluppo dell’occupabilità individuale permetteranno
anche la validazione dell’apprendimento non formale e informale (certificate nel Libretto
delle Competenze) e saranno favoriti dai percorsi di orientamento erogati per tramite dei
servizi per l’impiego che saranno sempre più anche il tramite per la proposta di programmi
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di formazione e tirocinio. Saranno adottati approcci specifici e mirati per i lavoratori più vul-
nerabili, in particolare quelli meno qualificati, i disoccupati, i giovani, gli anziani, i disabili, gli
immigrati e gli appartenenti a minoranze discriminate.
Verrà accordata priorità specifica: a) al miglioramento delle competenze dei lavoratori più
anziani, particolarmente vulnerabili alla ristrutturazione economica; b) alla riqualificazione di
genitori che ritornano al lavoro dopo un periodo di congedo familiare; c) alla riqualificazio-
ne dei “colletti blu” e “colletti bianchi” che necessitano di una riconversione a “colletti verdi”.
Dalle dichiarazioni di intenti della Regione appare evidente come l’amministrazione affron-
ti un evidente ritardo, pianificando misure che dovrebbero in realtà essere state pianificate
nel senso del Documento “Lazio 2020” da almeno alcuni anni.
È del tutto evidente quindi come il tema della governance e della qualità dei servizi per il
lavoro e per la formazione, il tema delle competenze, delle politiche e degli strumenti sia
divenuto una priorità: a fronte dell’evidenza di quanto segnalato da tutte le analisi europee,
l’inadeguatezza dei servizi e degli strumenti per il capitale umano e la debolezza del siste-
ma che parte dall’istruzione e attraverso la formazione, l’orientamento, i servizi al lavoro e
all’ impresa, arriva alla creazione di opportunità. La necessità di una messa a sistema della
legislazione, della programmazione e dei servizi indicata dalla Regione è una presa d’atto
di questo ritardo e appare altresì importante come i propositi della Regione vogliano tradur-
si in realtà con la piena collaborazione e responsabilizzazione della Provincia (cui è deman-
data anche una specifica funzione programmatoria), del Comune e della sussidiarietà con
le parti sociali.
Si tratta tuttavia di un’ azione che è resa complicata da diversi fattori e che rende necessa-
rio un rigoroso processo di accreditamento, in un sistema in cui le risorse sono poche e i
rischi che arrivino agli intermediari e non ai destinatari finali sono sempre stati molti. In ogni
caso resta una riflessione: anche il Lazio, come l’Italia, mostra ad oggi la presenza di qua-
lità, livelli essenziali delle prestazioni, competitività, alta spesa, tanti professionisti nel siste-
ma sociosanitario e invece scarsa qualità, pochi professionisti , poche risorse, poca com-
petitività nel sistema dei servizi per il lavoro. Peraltro è noto come la maggior quota della
spesa per il lavoro in Italia finisca in pensioni.
Anche Roma, come il resto d’Italia, dà agli anziani e ai malati più di quanto offra ai giovani
che cercano un impiego. I livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per il lavoro, se presi
realmente sul serio, sono una inversione di tendenza molto interessante rispetto a quanto
avviene nel resto d’Italia. Tuttavia è anche importante impegnare fino in fondo le risorse per
il lavoro solo per il lavoro e non per quel debito sul sistema sociosanitario, che è la conse-
guenza di un peso sociale degli anziani molto superiore a quello delle nuove generazioni,
costante nella storia italiana degli ultimi trent’anni.
In questo assetto il raccordo tecnico e operativo con la programmazione e i servizi provin-
ciali e comunali è importante, anche a fronte delle distinte competenze e funzioni. Appare
importante quindi la messa a regime e la condivisione di strumenti funzionali di informazio-
ne, orientamento e accesso alle opportunità. Alcuni esempi:
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a) osservatorio del mercato del lavoro integrato;
b) strumenti condivisi di analisi dei fabbisogni delle imprese;
c) nesso obbligatorio tra fabbisogni delle imprese e offerta formativa;
d) nesso obbligatorio tra azione formativa e tirocinio in azienda;
e) comunicazione delle offerte di lavoro su standard condivisi con portali comunali provin-
ciali regionali e su Cliclavoro;
f) potenziamento in tutte le sedi universitarie del sistema di placement SOUL;
g) raccordo con le vacancies aziendali (banche dati) e delle società di selezione.
Sono solo alcuni esempi per rendere coordinato e al tempo stesso capillare il sistema di
accesso alle opportunità che ad oggi opera in modo scoordinato attraverso una babele di
punti di servizio che non aiutano a migliorare la capacità istituzionale e la qualità della
spesa. In ogni caso servono risorse certe e la diffusione di una cultura che ponga l’atten-
zione ai servizi per il lavoro allo stesso livello di attenzione sociale presente per i servizi
sociosanitari. Si tratta peraltro di temi non scollegati: quanta spesa sanitaria si rende neces-
saria per sostenere le patologie del disagio sociale determinato dalla precarietà e dalla
disoccupazione!
Il modello di servizio del centro di orientamento “Porta Futura” promosso dalla Provincia
come nuovo Centro per l’impiego a Testaccio appare come una scelta opportuna, ma che
rende necessaria un’ azione di sistema, per evitare che si tratti solo di una messa in rete di
informazioni in buona parte già disponibili, soprattutto on line, e magari non relative al con-
testo romano. Il primo punto del funzionamento dei servizi per il lavoro e la formazione è il
primo punto di difficoltà del sistema romano: il rapporto con le imprese.
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CAPITOLO QUINTO: SICUREZZA DEL LAVORO E RISCHIO INFORTUNI
ABSTRACT
I dati sulle piccole imprese e sul mercato del lavoro vengono confrontati con due aspetti rile-
vanti della qualificazione del sistema economico e del lavoro: la sicurezza del lavoro e la
presenza di lavoro informale o in nero. Si analizzano i dati, i fenomeni, l’incidenza dei due
aspetti nei diversi settori delle PMI e si confrontano sistemi di intervento, politiche, servizi
in questo biennio.
Si metteranno in luce in particolare i costi per la sicurezza che devono affrontare le impre-
se, i risultati raggiunti per il miglioramento dei risultati e verranno comparati i dati INAIL sul-
l’infortunistica e i dati degli osservatori e degli ispettorati sull’adeguamento alla normativa e
sulla messa in sicurezza degli impianti.
Rispetto alle aree di rischio e alla spesa verranno comparate le situazioni nei diversi setto-
ri economici.
1. I dati sulla situazione romana della salute e sicurezza del lavoro : evoluzione e
dinamiche
Il tema della qualità del lavoro, centrale in questo lavoro di ricerca comparata, riguarda evi-
dentemente anche gli aspetti della salute e della sicurezza del lavoro. Il contesto romano è
interessante anche per questi aspetti: la terziarizzazione infatti porta Roma a diventare un
contesto realmente paradigmatico per quanto riguarda le trasformazioni del lavoro e quin-
di anche per quanto attiene l’evoluzione dei fattori di rischio per la sicurezza e la salute e
le forme di tutela e garanzia.
La qualità del lavoro nel nuovo contesto economico passa quindi anche attraverso la veri-
fica delle soluzioni adottate a Roma e nell’area produttiva romana, dalle diverse istituzioni
che operano per la prevenzione e dalle imprese, anche attraverso figure importanti, come
il delegato alla sicurezza.
Inoltre dobbiamo verificare come il dualismo dell’economia romana, con tante imprese con
più di cinquanta dipendenti e quindi con una organizzazione aziendale più strutturata anche
per la sicurezza, ma anche con tante microimprese e imprese artigiane con meno di nove
dipendenti, risponda alla sfida della sicurezza. Diventa quindi importante confrontare i feno-
meni che riguardano le imprese di maggiore e di minore dimensione che operano sul tes-
suto economico romano.
Proviamo quindi ad esaminare i dati INAIL nel complesso, valutando tutte le gestioni e poi
le singole specificità.
Roma ha dal 2008 un miglioramento complessivo della situazione infortunistica, in parte
derivante dalla minore attività economica conseguente alla fase di crisi e in parte ricondu-
cibile all’intensificazione dell’azione preventiva. Il numero complessivo di infortuni dal 2008
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è diminuito di quasi il 3%, anche se si regista tra il 2008 ed il 2009 un aumento dei casi mor-
tali. Se consideriamo il confronto tra dati 2008 e dati 2009 (ultimi dati disponibili Inail, l’ag-
giornamento 2010 è in corso alla data di pubblicazione) nelle diverse gestioni incontriamo
questi fenomeni:
a) in agricoltura abbiamo una limitata diminuzione degli infortuni, che si assestano su un
dato piuttosto stabile negli anni, tuttavia si registra un solo caso mortale ;
b) nell’industria e nei servizi il calo degli incidenti denunciati è intorno al 3%, a cui fa tutta-
via riscontro un aumento dei casi mortali da quarantotto a cinquantaquattro persone;
c) il dato del pubblico impiego statale resta invece stazionario.
È utile anche il confronto con i dati relativi al fenomeno infortunistico che riguarda gli stra-
nieri: sono infatti spesso i lavoratori stranieri che sono coinvolti in settori a maggior rischio
e che a volte non hanno una adeguata contezza della cultura della prevenzione. In questo
senso il dato è positivo: diminuisce negli anni il fenomeno infortunistico dei lavoratori stra-
nieri a Roma, che tra il 2008 ed il 2009 per esempio è sceso del 4%, con un corrisponden-
te calo anche dei casi mortali. Si tratta di un segnale importante che riguarda il migliora-
mento generale delle condizioni del lavoro degli stranieri a Roma. Tuttavia si segnala come
questo dato non riguardi l’agricoltura, che resta un contesto lavorativo in cui, per alcune
mansioni, resta presente una maggiore insicurezza, che colpisce soprattutto i lavoratori
stranieri adibiti a mansioni meno qualificate.
La valutazione del rischio infortuni a Roma riguarda in modo specifico il tema dell’infortunio
in itinere: il fenomeno del pendolarismo infatti è importante e molte sono le situazioni di inci-
dente sul percorso tra casa e lavoro. In questo senso il dato appare in miglioramento, ma
stazionario, e il fenomeno degli infortuni mortali suggerisce l’adozione di forti misure pre-
ventive, che riguardano più in generale anche il tema della sicurezza sulle strade.
Poco significativo il dato degli infortuni in itinere in agricoltura, mentre migliora il dato degli
infortuni in itinere nell’industria e nei servizi e peggiora il dato relativo ai dipendenti statali.
Gli infortuni stradali (che non riguardano il percorso per raggiungere il lavoro, ma l’infortu-
nio durante lo svolgimento del lavoro, per esempio di chi fa l’autista) sono invece in aumen-
to come causa di infortunio, rilevato peraltro in tutte le gestioni. Si tratta di un dato che deve
suscitare allarme e che conferma come, soprattutto considerando i decessi: il principale fat-
tore di insicurezza sul lavoro a Roma è la strada.
Il dato delle malattie professionali denunciate all’ INAIL conferma quanto abbiamo sostenu-
to come valutazione di fondo: peggiora il dato in agricoltura, ma migliora sostanzialmente il
dato nell’industria e nei servizi, con una diminuzione intorno al 5% delle malattie denuncia-
te.
Sono quindi chiari i fenomeni di fondo del rischio infortuni a Roma: fortissima incidenza
degli incidenti in itinere o stradali, buon miglioramento della sicurezza sugli impianti, mino-
re rischio nel terziario, permanenza di situazioni di difficoltà nell’agricoltura.
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2. Il rapporto tra invalidità ed infortuni nella piccola e grande impresa
Il confronto, svolto su dati INAIL relativi al 2010 elaborati dall’istituto nazionale INAIL per la
CNA di Roma, tra le dinamiche infortunistiche della piccola impresa e dell’ impresa con
maggiori dimensioni a Roma, offre spunti interessanti per la lettura qualitativa del tema sicu-
rezza e salute sui luoghi di lavoro. Proviamo quindi ad analizzare il dato complessivo che
riguarda le imprese classificate ai fini antinfortunistici come artigiane: gli indennizzati com-
plessivi a fine ottobre 2010 per eventi infortunistici nelle imprese artigiane romane sono
1.597. I casi di inabilità temporanea sono circa 1.346, le inabilità permanenti sono 245, i
decessi sono sei. La durata media dell’invalidità è di quarantatre giorni, mentre l’indenniz-
zo medio è di circa millequattrocento euro.
Se esaminiamo i settori, valutando in primo luogo la casistica dell’invalidità temporanea, le
costruzioni e l’industria manifatturiera da sole raggiungono quasi i due terzi dei fenomeni
infortunistici nelle piccole imprese romane.
Altri settori a rischio sono le attività commerciali edartigiane legate ai trasporti e alla ripara-
zione auto. Se guardiamo la serie storica, l’anno dell’infortunio è quello precedente la valu-
tazione dell’indennizzo, notiamo come l’artigianato romano veda un miglioramento com-
plessivo dal 2007 al 2009, con una diminuzione del numero complessivo degli eventi infor-
tunistici, che passano da un numero superiore a 1.800 del 2007 a meno di 1600 del 2009.
Questo dato emerge anche per le invalidità temporanee, passate da 1600 a 1346. Si tratta
senza dubbio di un buon risultato, una vera e propria svolta che si è determinata proprio in
concomitanza con la crisi, anche per la minore intensità di lavoro, ma soprattutto per il buon
esito delle misure adottate.
Se consideriamo le imprese con più di cinquanta addetti, a Roma il dato infortunistico ha
avuto una dinamica con le seguenti caratteristiche: al 2009 troviamo circa 24.396 eventi
infortunistici indennizzati e denunciati, dei quali 22.611 con inabilità temporanea e 46
decessi. L’indennizzo medio è di poco superiore ai millequattrocento euro. Il dato è in
miglioramento rispetto al 2007 ed al 2008, ma si tratta di un miglioramento meno significa-
tivo di quanto è intercorso nelle piccole imprese e nelle imprese artigiane.
Infatti il dato complessivo del 2007 è di 24.656 e quello del 2008 è di 24.676, mentre quel-
lo relativo alle inabilità temporanee è di 22.917 nel 2007 e di 22.958 nel 2008. Si tratta di
un miglioramento non molto significativo, anche se il dato degli incidenti mortali passa dai
49 del 2008 ai 43 del 2009.
Per quanto riguarda le dinamiche settoriali, interessante notare come nella grande impresa
romana i settori più a rischio siano diversi da quanto rilevato nelle imprese artigiane e siano
quindi nell’ordine:
1. attività immobiliari;
2. trasporti;
3. il commercio al dettaglio;
4. i servizi pubblici;
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5. la ristorazione e le attività alberghiere;
6. le costruzioni;
7. l’industria manifatturiera.
Il confronto tra il fenomeno infortunistico nella piccola e nella grande impresa romana
mostra alcuni aspetti interessanti: negli anni la situazione dell’ impresa artigiana è migliora-
ta, anche per una maggiore stabilità del personale, mentre nelle imprese maggiori appaio-
no presenti alcuni margini di miglioramento, che riguardano le attività immobiliari, i traspor-
ti e il commercio. Il terziario è il fattore di insicurezza nella grande impresa, mentre è il set-
tore delle costruzioni il luogo dell’insicurezza a Roma nel lavoro delle imprese artigiane. Dal
punto di vista della proporzionalità del fenomeno infortunistico il dato tra la piccola e la
media impresa corrisponde, ma si osservano maggiori margini di miglioramento in questi
anni proprio nelle imprese minori che, anche in settori storicamente considerati a rischio,
grazie ad una minore flessibilità del lavoro e a una maggiore attenzione alla prevenzione,
hanno raggiunto i risultati percentuali delle grandi imprese.
3. I nuovi fattori di rischio derivanti dalla flessibilità del lavoro
La lettura dei dati infortunistici conferma alcune valutazioni svolte sulla qualità del lavoro e
sull’importanza ai fini della qualificazione del lavoro a Roma del rafforzamento del tessuto
delle piccole imprese. Il dato del miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piccole
imprese romane, anche manifatturiere e di costruzioni, mostra da un lato i buoni risultati
della azione di prevenzione e di controllo, svolta dai diversi organi ispettivi. Inoltre le cam-
pagne di comunicazione e di cultura della salute e sicurezza sono senz’altro arrivate alle
imprese, a sostegno peraltro di scelte organizzative in corso. Dall’altro lato, questi dati
mostrano come ci sia una piccola impresa e una impresa a dimensione artigiana che a
Roma sta crescendo con una maggiore attenzione alla qualità e che non a caso chiede ser-
vizi per il lavoro in senso ampio. I fattori di qualità nel tessuto delle imprese con minori
dimensioni non sono tutti interni, ma dipendono anche da una capacità di erogazione di ser-
vizi sul territorio, che le politiche degli enti locali sono chiamate a garantire. Il percorso delle
piccole imprese romane richiede servizi e qualità ed è anche per questo che in questo bien-
nio le imprese artigiane romane hanno limitato le assunzioni, nel confermare il livello occu-
pazionale preesistente alla crisi.
Le grandi imprese vedono la crescita delle situazioni di rischio in settori come il commercio,
le attività immobiliari, i trasporti, persino i servizi pubblici. Sono settori in cui, oltre alla piaga
degli incidenti stradali, si possono incontrare nuove forme di invalidità derivanti da condizio-
ni di lavoro non qualificato, dai picchi di produzione, dalla stagionalità. Inoltre dobbiamo
considerare quei fenomeni tipici del terziario che comportano stress, patologie psicologiche
e rischi derivanti da fattori comportamentali: da pochi anni la medicina classifica e definisce
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queste patologie nell’ambito delle inabilità, ma si tratta di un fenomeno che a Roma appa-
re in crescita e che si affianca ai problemi di disagio presenti nell’area della disoccupazio-
ne e sottoccupazione. Infine il tema dell’infortunio in itinere e stradale: il suo peso denota
un vero e proprio allarme sociale, imputabile ai noti problemi di mobilità, ma anche ad
orari,stanchezza e stress. Si tratta di un nuovo ambito della prevenzione, a Roma fonda-
mentale.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Interventi per la qualità dello sviluppo e il lavoro, la via per tornare a competere
ABSTRACT
Le analisi e i dati portano a considerazioni finali che riguardano: gli aspetti di fondo dell’an-
damento economico e del lavoro offrendo una serie di valutazioni per migliorare i risultati,
governare la rete e finalizzare le risorse professionali e finanziarie a disposizione a risulta-
ti verificabili. In particolare si cercano di analizzare i punti di criticità offrendo modelli di rife-
rimento e indicatori valutativi e di risultato in grado di sostenere veri e propri piani di ade-
guamento da condividere tra le istituzioni e le parti sociali.
Premessa: crisi, quale crisi?
Il tema crisi è centrale in questa ricerca comparata, come è stato centrale nelle ricerche e
analisi che sono state prese in considerazione in questo lavoro. Inoltre tutti gli analisti nazio-
nali e internazionali che in questi anni svolgono la loro azione di verifica, di “termometro”
dello stato di salute dell’economia mettono sempre in luce “la crisi” che ha coinvolto lo sce-
nario economico e sociale mondiale a partire dal 2008. Tuttavia da alcuni mesi molti com-
mentatori mettono in guardia sull’uso generico del termine “crisi”, che può apparire inappro-
priato per chiarire molti fenomeni. A nostro giudizio il termine “crisi” non è del tutto adegua-
to per chiarire bene quanto è accaduto in questi mesi all’economia italiana e soprattutto
all’economia e al lavoro in quel contesto particolare e significativo che è l’area romana.
Senza dubbio dal 2008 si sono verificate vicende che hanno determinato in Occidente una
grossa crisi finanziaria con ripercussioni sul mercato e sulle borse mondiali. Si tratta di
vicende di natura in molti casi speculativa che hanno mostrato la debolezza di molti istituti
finanziari e il sovradimensionamento di molti mercati finanziari. Le dinamiche dell’economia
reale sono state rappresentate in modo distorto dalla finanza e questo ha comportato crisi
di diverso genere. La crisi, in termini appropriati, è stata senza dubbio una crisi finanziaria.
La dinamica finanziaria, connessa alla mancata e debole crescita che investe l’Occidente
quantomeno da un decennio (il calo è concomitante con la strage dell’undici settembre
2001), ha determinato ripercussioni in primo luogo nei settori più esposti (commercio, ser-
vizi, credito) e ha determinato un calo dei consumi che a sua volta ha determinato una dimi-
nuzione degli scambi commerciali e della produzione. Questo fenomeno è durato alcuni
mesi nei paesi più strutturati dal punto di vista dell’adattabilità e dell’occupabilità della forza
lavoro, come nel Nord Europa, mentre prosegue nei paesi, come i paesi mediterranei, che
hanno un mercato del lavoro di minore qualità. Dalla crisi finanziaria il sistema infatti esce
solo attraverso una “dose di ulteriore valore aggiunto in termini di competitività”.
L’impatto occupazionale della crisi finanziaria sull’Italia non è tanto una “crisi” in sé, quanto
la conseguenza della difficoltà con cui un tessuto produttivo obsoleto e poco innovativo rie-
sce a rispondere alle dinamiche più competitive del mercato. Le difficoltà sono maggiori nei
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sistemi economici con una maggiore presenza delle piccole imprese e delle imprese arti-
giane, che possono strutturarsi solo in contesti a rete e territorialmente molto ben struttura-
ti, attraverso l’implementazione di consorzi, distretti e filiere. Questo accade con più difficol-
tà in territori con deboli infrastrutture e servizi, ma soprattutto con deboli servizi per l’inno-
vazione e il capitale umano, in quanto le nostre piccole imprese del Made in Italy hanno
bisogno di quel “saper fare” che è da secoli il segreto della spinta creativa dell’agire di
impresa. Roma ha in questo potenzialità interessanti che non riesce ancora a mettere del
tutto in gioco, per la debolezza delle reti territoriali, con ripercussioni quindi sulla tenuta del
lavoro e delle opportunità.
La ripercussione sull’occupazione, in particolare, è figlia di quella debolezza strutturale
della filiera istruzione-formazione-lavoro, che è registrata in tutti gli osservatori economici
internazionali e che è il principale elemento di fragilità del sistema Italia, soprattutto dal
Lazio in giù. In questo senso il Lazio e Roma appaiono come contesti paradigmatici, come
abbiamo visto nella ricerca. Si tratta di una città emblema non tanto della crisi economica
e finanziaria (a cui Roma risponde bene), ma della fragilità del lavoro in Italia.
È quindi improprio parlare di “crisi del lavoro”, ma semmai questa fase rappresenta un
modo un po’ brusco con cui si presenta la postmodernità economica in un Paese e in una
città che in questi anni non hanno completato quelle importanti riforme necessarie per risve-
gliare la nostra storica capacità d’agire.
1. Roma oltre la crisi : i punti di forza e i punti di criticità
Il paradigma Roma appare importante anche in quanto Roma vive con anticipo quanto le
altre aree metropolitane italiane sono chiamate a vivere nei prossimi anni: un aumento del
terziario, una quota strutturale di lavoro a termine, l’importanza dei servizi, la maggiore
importanza dei fattori di mercato sugli aspetti anticiclici. Le soluzioni per Roma sono in parte
soluzioni anche per l’Italia del futuro. Questo non implica peraltro il ridimensionamento del-
l’aspetto manifatturiero: il futuro del lavoro a Roma passa anche attraverso una nuova visio-
ne del manifatturiero, legato più ai laboratori creativi che al conto terzi.
In ogni caso Roma presenta oggi una miscela contraddittoria, con punti di forza e di critici-
tà non del tutto distinguibili. Ci sono punti di forza storici, come il turismo, che mostrano falle
inaspettate e punti di difficoltà, come la formazione, che possiedono eccellenze. Una delle
caratteristiche eterne di Roma in fondo è data anche dalla sua contraddittorietà.
Appare tuttavia importante segnalare anche un aspetto: Roma ha avuto nel periodo tra il
2002 e il 2008 una fase di grande crescita, anche dal punto di vista del lavoro. In questi anni
tuttavia le scelte (quelle fatte e soprattutto quelle non fatte) non hanno avviato quegli inter-
venti in grado di dare un segno diverso, di tipo qualitativo, al sistema economico romano.
Le fragilità che la “crisi” ha mostrato nel tessuto economico e del lavoro romano dal 2008
sono tutte quante figlie di mancate riforme precedenti, che riguardano peraltro tutti i livelli
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istituzionali. Su queste mancate riforme le Istituzioni di oggi sono chiamate a recuperare e
a intervenire.
L’elenco dei punti di forza e di criticità del sistema romano è infatti lo stesso da anni. È
importante valutare il tono con cui Roma ha provato a dare una risposta alla crisi: la crisi è
stata determinata da un deficit qualitativo dell’impresa e del lavoro romano a cui si rischia
di dare una risposta quantitativa, legata a recupero dei fattori aciclici, come il turismo ben
evidenzia. Si tratta di una risposta miope, che non funziona e su cui questa ricerca invita a
riflettere con forza, per determinare un’ inversione di rotta attraverso politiche SELETTIVE,
DI TAGLIO QUALITATIVO, IN GRADO DI DISINTERMEDIARE E DI DARE FORZA ALLA
CAPACITA’ COMPETITIVA DEL SISTEMA ROMANO.
Se gli elementi di forza sono chiari, appaiono quindi evidenti anche i punti di debolezza su
cui intervenire. Includiamo sia i fattori di competitività che i settori veri e propri, nel prossi-
mo elenco.
Punti di forza:
01. potenzialità di mercato
02. stabilità delle piccole imprese
03. presenza di grandi imprese strutturate
04. elementi aciclici del pubblico impiego, del turismo, del commercio e delle sedi di gran-
di società
05. capacità di innovazione
06. presenza di lavoratori con alta qualifica nei settori del terziario innovativo;
07. laboratori creativi informatici ed immateriali
v8. dinamismo nei servizi
09. tecnologia e terziario avanzato
10. sistema sociosanitario
11. distretto dell’audiovisivo
12. incentivi alle imprese
13. alta formazione ed Università
14. valore aggiunto della Capitale
15. presenza di flussi di manodopera specializzata vari settori
16. complessità organizzativa delle imprese
Punti di debolezza
1. propensione all’export delle imprese
2. staticità delle grandi imprese
3. difficoltà nelle reti e nella dimensione consortile delle PMI
4. obsolescenza di parte del settore manifatturiero
5. sostegno alla creazione di impresa
6. laboratori tecnologici con le Università
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7. istruzione ed educazione
8. formazione professionale
9. servizi per il lavoro e per le imprese
10. governo del mercato del lavoro
11. trasporti e mobilità territoriale
12. credito alle piccole imprese
13. frammentazione delle policies e delle competenze
14. scarsa cultura dell’ accountability
15. costo della vita e delle abitazioni
Si tratta di un elenco non del tutto completo, che contempla tuttavia quelli che costituisco-
no la rassegna degli indici di competitività determinanti rispetto alla capacità d’agire. Non si
intendono dare giudizi drastici e liquidatori. Roma, anche nei settori e negli aspetti critici,
appare come una città in cui sono presenti soluzioni e persino eccellenze: il punto in que-
sta fase sta proprio nel “fare sistema”. In particolare un’ azione di sistema deve connettere
in una strategia comune tutte le istituzioni chiamate ad intervenire sugli snodi di fondo, che
appaiono del tutto legati tra loro e che non vanno frammentati nei mille rivoli delle compe-
tenze distinte e nel groviglio delle funzioni e attribuzioni tra Stato, Regioni, Province e
Comuni. Il punto di fondo per la Roma del terzo millennio è la “capacità d’agire” , la capa-
cità di fare pesare di più la “Roma artigiana” nella secolare lotta con la “Roma cortigiana”
(ovvero economia di mercato versus economia della rendita di posizione).
2. Breve comparazione con il sistema metropolitano genovese e milanese
Appare peraltro utile confrontarsi con le scelte che in questa fase stanno facendo le diver-
se realtà metropolitane che sono impegnate a migliorare le proprie condizioni, in un
momento di maggiore difficoltà economica e del lavoro. Vale la pena considerare come in
tutta Europa i contesti che sono usciti meglio dalla situazione di crisi, anche di tipo metro-
politano (Londra e Parigi sono aree metropolitane che hanno ben risposto alle difficoltà e
che si collocano ai primi posti nella classifica europea della capacità competitiva), sono ter-
ritori che hanno saputo investire sulla capacità istituzionale, sui servizi per le imprese, sulla
valorizzazione delle vocazioni territoriali dal punto di vista qualitativo (e non quantitativo!),
sull’innovazione progettuale e sulla creatività, con un forte sostegno alla funzione della filie-
ra istruzione-formazione-orientamento e servizi per il lavoro.
Nel contesto italiano può essere a questo proposito per Roma interessante il confronto con
due aree metropolitane a rischi di crisi che stanno innescando alcune dinamiche interes-
santi, come Milano e Genova.
La situazione milanese si trova a dover reagire ad un lento fenomeno di indebolimento com-
plessivo della capacità competitiva della maggior area d’Italia per dinamismo di impresa. Si
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è trattato di un fenomeno che porta peraltro la Lombardia a perdere posizioni rispetto al
confronto con le regioni traino della Francia, della Germania e persino dell’Austria, su cui si
innescano le dinamiche competitive. In questo senso, nonostante la diminuzione delle risor-
se, Milano ha reagito attraverso scelte interessanti, tra cui:. l’integrazione tra misure per lo sviluppo e per il capitale umano;. promozione dei laboratori per l’innovazione produttiva con l’Università;. sostegno all’export e al Made in Italy;. condivisione di obiettivi di programmazione tra Regione, Provincia e Comune per quan-
to riguarda il capitale umano e il lavoro;. promozione delle agenzie e dei servizi per il lavoro;. promozione delle politiche attive attraverso il “sistema dote”;. forti investimenti nella fieristica, nei trasporti, nella logistica intermodale;. forti investimenti nella qualificazione dei servizi pubblici;. razionalizzazione dei costi del sistema sanitario.
Si tratta di scelte avviate negli anni scorsi, anche grazie ad una maggiore sinergia tra le isti-
tuzioni e un ruolo definito della sussidiarietà.
Genova appare una realtà piuttosto interessante in quanto in questi anni il progressivo inde-
bolimento del tessuto economico è stato contrastato da interventi rivolti al sostegno alla
capacità d’agire e a consentire l’attivazione nel contesto genovese di nuove iniziative eco-
nomiche. Questo ha determinato alcune scelte, peraltro poco note, in termini di eccellenza,
da considerare anche per le modalità utilizzate e per la minor spesa indotta.
In questo senso la vicenda genovese mostra interventi per lo sviluppo e il contrasto alla
“crisi” attraverso:. una ben definita spinta alla programmazione condivisa e integrata;. investimenti per i servizi alle imprese e allo start up;. forti investimenti per la qualificazione dell’offerta turistica e della permanenza e per un
turismo “deciso e promosso” sulle esigenze del contesto genovese e specializzato;. promozione dei “lavori del mare”, della portualità e della qualificazione delle vocazioni
del lavoro genovese;. sostegno alle filiere dell’innovazione, con il rafforzamento dei servizi al distretto dell’in-
formatica (imprese giovanili);. ruolo della sussidiarietà nei servizi alla persona;. contenimento della spesa pubblica.
Questo breve confronto intende segnalare come nelle aree metropolitane che stanno
uscendo dalla situazione di difficoltà la “ricetta”, il metodo di lavoro seguito con buoni risul-
tati prevede alcune scelte di fondo che appaiono inevitabili e non ancora definite in modo
strategico nel contesto romano. Ci si riferisce all’attenzione alla capacità istituzionale e alla
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verifica dell’impatto delle politiche (Roma attende per esempio la verifica dell’impatto delle
politiche attive erogate nel periodo 2008-2010 per i disoccupati al di fuori dagli ammortizza-
tori in deroga), alla programmazione integrata, al sostegno alla vocazione economica o turi-
stica in senso qualitativo (aumento della permanenza), all’implementazione del sistema dei
servizi per il lavoro e per la formazione, al sostegno alla progettualità delle piccole imprese
ed alle reti, alla qualificazione dei servizi ed alle filiere dell’innovazione, alla mobilità territo-
riale. Si tratta di interventi sul metodo e sul contenuto delle politiche, che a Roma sono resi
più difficoltosi dalla presenza di una situazione meno omogenea e più frammentata. Non
aiuta l’adozione di soluzioni innovative nel contesto romano la difficoltà di abbandonare la
“cultura della rendita di posizione”: in questo senso il commercio e il turismo la cui crescita
quantitativa si è accompagnata in questi anni a difficoltà di evoluzione in senso qualitativo
sono aspetti emblematici.
I dati del mercato del lavoro nei settori aciclici della economia tradizionale romana (la pre-
carietà nel terziario poco qualificato, il blocco delle assunzioni del pubblico impiego, il man-
cato valore aggiunto di un turismo di massa con poca permanenza) mostrano tuttavia come
il lavoro a Roma possa crescere solo scegliendo decisamente la via dell’innovazione, del
rafforzamento delle piccole imprese, delle competenze e della progettualità creativa e quin-
di limitando il ruolo della rendita di posizione dei settori aciclici, il cui sviluppo in termini solo
quantitativi contraddice il tono di maggiore qualità che l’economia romana si deve dare per
rispondere alle esigenze dei cittadini e delle stesse imprese. Un esempio simbolico e visi-
vo di questo passaggio: vedere nel meraviglioso centro storico della Città eterna meno bot-
teghe di souvenir prodotti in Cina per gruppi di turisti di passaggio e più botteghe del miglio-
re artigianato artistico, prodotte a Roma per turisti consapevoli del luogo in cui si trovano.
3. Gli snodi per la competitività: capitale umano, inclusione,
saper fare per saper agire
In questi anni l’economia romana ha visto calare in termini di intensità alcuni fattori di com-
petitività e le debolezze strutturali del sistema produttivo romano rispetto al mercato ne
hanno complessivamente risentito: questa situazione ha mostrato con più evidenza le
eccellenze del sistema e i punti di difficoltà su cui intervenire. Le caratteristiche del lavoro
in un’economia terziarizzata portano peraltro ad un aumento della “precarietà” del lavoro,
dei contratti flessibili: la flessibilità è strutturale oggi ai servizi, al commercio, al turismo e
anche (pensiamo agli insegnanti) alla pubblica amministrazione. Inoltre, come abbiamo
visto, le grandi società tendono ad utilizzare, soprattutto in entrata, maggiormente i rappor-
ti di lavoro a termine. Sono più deboli, come consistenza e intensità del lavoro, a Roma pro-
prio i settori in cui il lavoro si presenta come impiego più stabile: il settore manifatturiero (per
ragioni produttive), le piccole imprese (anche per motivi di fidelizzazione). Il tema della “pre-
carietà” è quindi figlio delle modalità con cui Roma in questi anni ha affrontato la crisi, ma
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soprattutto delle caratteristiche del sistema economico romano, qualora non intervengano
politiche e servizi in grado di determinare alcuni precisi cambiamenti in senso qualitativo.
È quindi del tutto realistico proporre nel rafforzamento delle reti di impresa e nella specia-
lizzazione e innovazione delle attività delle piccole imprese lo snodo per introdurre a Roma
quei cambiamenti qualitativi, quel nuovo tono di fondo che sembra oggi necessario per evi-
tare una possibile deriva della città verso un doppio mercato del lavoro, in cui una minoran-
za di lavoratori in posizione di rendita fuori mercato, viene “assediata” da una maggioranza
di giovani lavoratori a termine (se con buona qualifica) o con basse qualifiche.
Roma ha decisamente nelle sue componenti economiche gli anticorpi per scongiurare que-
sto fenomeno, basti osservare le performances nell’ultimo biennio del terziario avanzato.
Tuttavia appaiono (da tutte le rilevazioni internazionali e nazionali, che su questo punto con-
cordano con una precisione dettagliata, come abbiamo più volte osservato) evidenti i limiti
nei fattori di competitività romana proprio di quei fattori che rendono possibile la capacità
d’agire delle imprese e l’autonomia delle persone attraverso il lavoro. La forza dell’ “econo-
mia della rendita” (con le richieste di chi ha prontamente aderito ad una idea di sviluppo
quantitativo, per esempio molti operatori del turismo) e il peso sociale di altre esigenze (per
esempio la popolazione anziana ) ha in questi anni evidentemente ostacolato alcuni inter-
venti. Il sistema istituzionale che converge su Roma sta infatti facendo solo da poco tempo
i progetti e le politiche necessarie per riportare la capacità di agire al centro del sistema di
intervento sull’economia e sul lavoro romano. Le stesse forze sociali, solo da poco tempo,
stanno guardando ai bisogni di quella maggioranza di lavoratori under 40 che opera sul
mercato e al di fuori della fascia “garantita” dell’economia aciclica. La fase del triennio di
“crisi” ha quindi sostanzialmente reso evidenti alcune lacune di fondo della capacità com-
petitiva di Roma, che erano in realtà ben evidenti già prima della crisi e che non sono state
affrontate, non tanto per indolenza della politica, ma per alcune errate convinzioni, ben pre-
senti tra i decisori della Capitale fino ad alcuni anni fa, tra le quali appare opportuno consi-
derare queste opinioni tanto diffuse quanto rivelatesi errate:
1. la sostanziale prevalenza e sufficienza delle componenti acicliche dell’economia romana;
2. la possibile tenuta di un sistema a bassa intensità manifatturiera e con una marginale
imprenditoria artigiana;
3. la possibilità di non investire su fattori innovativi nei processi e nella produzione;
4. l’alimentazione di uno sviluppo dei fattori aciclici solo quantitativo (più negozi, più turi-
sti, più ristoranti, più pubblico impiego);
5. un’ inadeguata finalizzazione delle politiche al capitale umano, alla creatività produttiva,
ai servizi per il lavoro.
Se teniamo poi conto della buona spinta congiunturale, della crescita in corso e di una certa
disattenzione dei decisori ai fenomeni sociali ed economici, era peraltro possibile alcuni
anni fa persino non accorgersi dei fattori critici che sono stati resi invece evidenti dalla crisi
del 2008, che ha svelato le fragilità di fondo e al tempo stesso le potenzialità dell’economia
romana.
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Queste linee di intervento sull’economia romana (su cui convergono alcune delle politiche
del periodo 2004-2008) hanno portato quindi nel triennio 2008-2010 l’economia romana a
reagire attraverso la promozione dei fattori di competitività difensivi, valorizzando gli aspet-
ti aciclici e cercando di “tenere” l’occupazione, non potendo “creare” nuova occupazione.
Tuttavia in questo tempo la componente dell’economia romana più decisamente sul merca-
to (terziario avanzato, cultura, audiovisivo, servizi informatici, servizi ad alta innovazione)
ha ben reagito alle difficoltà, mentre la crisi ha mostrato l’intensificarsi del processo di con-
solidamento del tessuto delle piccole imprese, che ha investito per poter reggere meglio alle
turbolenze dei mercati.
Questo dimostra che il fattore di crescita anche nell’economia romana è il fattore dell’inno-
vazione competitiva, su cui Roma era peraltro cresciuta decisamente, quantomeno fino al
2008, pur in assenza di un sistema di infrastrutture tecnologiche, immateriali e di servizi ido-
neo a rendere strutturale e permanente questa crescita. Grazie a Roma il Lazio è diventa-
ta infatti nel 2008 la regione italiana con maggiori fattori di innovazione (più della
Lombardia) e una della regioni europee con il maggior numero di occupati nei settori del-
l’innovazione tecnologica (anche per via del quasi monopolio del settore audiovisivo).
Appare quindi evidente come il triennio 2008-2010 abbia reso palese la necessità della poli-
tica di operare scelte e finalizzare le risorse per rafforzare gli elementi fragili del sistema
competitivo romano, che evidenziano debolezze sia nel contenuto che nelle forme delle
politiche e dei servizi:
1. modalità di coordinamento interistituzionale, di governance integrata delle politiche;
2. rigorosa pianificazione integrata con strumenti di rendiconto e verifica;
3. sussidiarietà aperta e specializzata, con funzione progettuale e di confronto sulle moda-
lità degli interventi;
4. intervento sulla mobilità, sul capitale umano, sulle politiche attive, sul welfare per la tran-
sizione, sulle reti dei saperi, sull’economia della conoscenza, sulla qualificazione delle
componenti acicliche dell’economia romana.
Sono misure chiare, che impongono tuttavia correzioni rispetto a una cultura amministrati-
va diffusa, che non a caso negli anni scorsi ha preferito percorrere vie più consolidate e tra-
dizionali. Si tratta in ogni caso di scelte analoghe a quelle fatte dalle altre aree metropolita-
ne europee.
4. Il governo della flessibilità e i nuovi intenti di Regione, Provincia e Comune
La flessibilità del lavoro, la prevalenza dei rapporti a termine non costituisce peraltro, come
segnalato nel lavoro di ricerca comparato del 2010, un effetto della crisi dal punto di vista
della dinamica occupazionale. Si tratta anche in questo caso di segnali ben precedenti alla
crisi del 2008 e che non sono stati colti dalle istituzioni e dai decisori, che si sono acconten-
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tati della crescita occupazionale e non sono stati attenti alle modalità di questa crescita in
grado destare qualche perplessità, visto il pesante dualismo del mercato del lavoro romano.
In ogni caso Roma vive più di altre città italiane un dilemma: questo modello di sviluppo, in
assenza di un rafforzamento delle componenti qualitative e sul mercato, tende a determi-
nare una forte componente di lavoro flessibile. Una auspicata evoluzione dell’economia
romana sulle linee suggerite da questo lavoro di ricerca comparata può senza dubbio com-
portare quella maggiore stabilità del mercato del lavoro che è determinata dalla presenza
di maggiori imprese innovative sul mercato e da un capitale umano in linea con le esigen-
ze di queste imprese. Tuttavia è altresì vero che l’economia romana sta andando (sia che
ci vada promuovendo le energie migliori che in modo disordinato e non regolato) verso un
modello in cui la componente del lavoro a termine diventa strutturale e consistente, sia in
entrata che nella permanenza (su quest’ultimo punto non si condividono del tutto le opinio-
ni di alcuni giuristi ed economisti del lavoro che ritengono che una economia fortemente
qualificata e specializzata riduca fortemente la componente a termine del lavoro per gli over
40; riteniamo infatti che questo accada, ma che la mobilità che si determina riduca gli effet-
ti di stabilizzazione).
IN OGNI CASO LA STRATEGIA DI INTERVENTO È DESTINATAA CONSIDERARE COME
PRIORITARIE LE SCELTE DELLE POLITICHE DEI SERVIZI PER LA CAPACITA’ D’AGI-
RE, I SERVIZI PER LE IMPRESE E IL LAVORO, PER LE COMPETENZE E LA PROMO-
ZIONE DEL MERITO E DELLA CAPACITA’ CREATIVA. SI RENDE QUINDI NECESSARIA
UNA STRATEGIA PER IL WELFARE PER IL LAVORO E PER LA PROMOZIONE DELL’AU-
TONOMIA INDIVIDUALE NELLE TRANSIZIONI, A ROMA PIU’ CHE ALTROVE.
Si tratta di un percorso tanto necessario quanto accidentato: la costruzione di una econo-
mia del saper fare e della capacità d’agire comporta il superamento di un ritardo storico,
cambiamenti nella capacità istituzionale e nell’azione delle politiche e richiede un ridimen-
sionamento del peso decisionale sull’economia romana dei promotori dell’ “economia della
rendita fuori mercato”, ben presenti nel panorama della Capitale. Tuttavia le amministrazio-
ni che hanno iniziato la loro azione proprio nel periodo del triennio della “crisi” (Comune,
Provincia e poi la Regione) sembrano in diversi provvedimenti e atti di indirizzo aver colto
queste esigenze: è infatti possibile constatare nelle scelte programmatorie di fondo positi-
ve convergenze sul tema della capacità d’agire e del posizionamento dell’economia e del
lavoro a Roma sulla prospettiva della qualità. Appare possibile considerare queste linee di
intervento che appaiono propedeutiche alle necessarie riforme:. il Comune: nella consapevolezza della necessaria integrazione delle politiche per lo svi-
luppo con quelle che riguardano il capitale umano e nello sforzo del dialogo sociale;. la Provincia: nell’ integrazione tra formazione e lavoro e nell’avvio necessario di una
azione di rafforzamento dei centri per l’impiego e di qualificazione dell’offerta formativa;. la Regione: nell’avvio di un nuovo modello di governance, nella proposta di un nuovo
assetto normativo e nell’attenzione alla programmazione integrata e alla qualificazione
dei servizi.
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Si tratta di una strada agli inizi e che Roma si trova a richiedere con forza, a fronte di anni
di ritardi, che si deve appoggiare a un modello di collaborazione istituzionale che si appog-
gi ad elementi concreti, nella considerazione della centralità delle imprese e dei cittadini in
ogni scelta delle politiche e dell’attivazione dell’autonomia individuale e della competitività
territoriale come risultato della buona politica. Le recenti iniziative della regione e della pro-
vincia, in cui si dichiarano sforzi di maggiore collaborazione interistituzionale possono costi-
tuire in questo senso un segnale positivo.
5. Spunti per un riassetto del sistema di governo territoriale dello sviluppo e del lavo-
ro: lo snodo delle politiche per l’attivazione
Dalla lettura e analisi dei dati emergono delle considerazioni evidenti e delle proposte chia-
re, che richiedono una capacità di attenzione da parte delle Istituzioni in grado di individua-
re un metodo di lavoro attraverso cui elaborare gli interventi e pianificare i risultati. Appare
peraltro evidente come i livelli di governo che convergono sulla Capitale (sono quattro:
Stato, Regione, Provincia e Comune) non abbiano certo brillato per convergenza e pro-
grammazione condivisa. Molto spesso l’adagiarsi di questa città sugli ammortizzatori acicli-
ci, sulle rendite di posizione è derivata dalla difficoltà delle istituzioni di lavorare insieme,
anche per via di una dialettica politica che spesso non considera la necessità di far funzio-
nare le politiche.
Le politiche per l’ “attivazione” sostenute dai fondi europei in questi anni hanno determina-
to risultati del tutto inferiori alle attese dei romani, soprattutto le politiche attive del Fondo
sociale europeo (basti verificare in questo senso i risultati della spesa del periodo di pro-
grammazione 2000-2006, con le destinazioni delle risorse impegnate e spese negli tra il
2004 ed il 2008).
Le risorse per attivare le imprese e il lavoro a Roma sono finite negli anni scorsi troppo
spesso ad “attivare”, ad alimentare circuiti di potere e relazioni che poco hanno a che far
con gli obiettivi degli interventi.
Da alcuni mesi tuttavia le proposte, gli atti di indirizzo, le azioni avviate dalle Istituzioni con-
vergono in un possibile disegno, che potrebbe determinare una strategia comune per poter
far convergere le risorse (che appaiono comunque limitate rispetto ai bisogni) su un proces-
so di riattivazione della capacità d’agire e di innovare dei romani.
Si deve usare necessariamente il condizionale: le azioni delle istituzioni romane ad oggi
prevedono momenti di confronto, ma non ancora una strategia comune e condivisa, stru-
menti di lavoro in grado di coordinare gli interventi e semplificare le azioni, politiche integra-
te in grado di ridurre la spesa attraverso la convergenza di fondi pubblici e privati, momen-
ti condivisi di rendiconto e di verifica. È in ogni caso chiaro quanto ora vada fatto: la strada
del saper fare e della capacità d’agire è chiamata a spostare risorse sulla scuola, sulla ricer-
ca, sulla mobilità, sui laboratori, sul riutilizzo a fini produttivi (e non solo per outlet) di spazi
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dismessi, sulle infrastrutture tecnologiche e immateriali, sul rapporto tra turismo e cultura,
sulla formazione professionale, sui distretti del terziario avanzato, su servizi per il lavoro in
grado di promuovere politiche attive. Riannodare i fili in questo senso non è semplice: la
politica romana spesso è distratta da altre logiche, nella convinzione (spesso rivelatasi erra-
ta) di come l’elettorato romano si muova solo in coda all’opinione pubblica nazionale e non
verificando il rendiconto dei propri amministratori. Si tratta di un’ opinione da verificare: la
componente dell’economia e del lavoro a Roma che fa i conti con le regole del mercato e
della concorrenza è più alta di quanto si possa immaginare e soprattutto è quella che è usci-
ta da questi anni di turbolenza con maggiore consapevolezza e voglia di fare, mettendo in
discussione gli assetti di potere derivanti dall’economia della rendita. Sintonizzarsi su que-
sta parte dell’economia e del lavoro presente a Roma significa saper portare nel futuro la
Città eterna.
È quindi chiaro cosa vada fatto e come lo si debba fare. Ci si augura che questa strada
venga percorsa al più presto nei tempi e nei modi giusti.
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SAGGIO CRITICO
di Romano Benini
RIATTIVARE IL MERCATO ATTRAVERSO LA CAPACITA’ DI AGIRE
ABSTRACT
In appendice si sviluppa un saggio critico sul rapporto tra competitività e capitale umano,
centrale rispetto ai dati europei, e su come migliorarlo nel contesto romano. In particolare
si riflette sul paradigma di Amartya Sen della capacità di agire, nella declinazione in diritti,
opportunità, competenza, strumenti e interventi necessari per rimettere le dinamiche socia-
li ed economiche romane su questo asse di riferimento (nella città che ha inventato lo sche-
ma sociale patrono-cliente l’impresa è più difficile: rompere le dipendenze per creare demo-
crazia è la vera impresa per lo sviluppo post moderno anche a Roma).
Esiste nell’ultimo secolo una fortissima convinzione, nella cultura occidentale e nella cultu-
ra europea, della necessità di considerare l’autonomia delle persone e la capacità di agire
come il vero antidoto contro tutte le forme di disagio che sono prodotte dalla società e che
la società e l’economia tendono a riprodurre. Negli ultimi venti anni, in forza di questo biso-
gno i connotati dell’organizzazione della nostra vita, e quindi della nostra economia, e quin-
di del nostro lavoro, e quindi della nostra società, sono cambiati e questo cambiamento
viene denominato, appunto, con il termine post-modernità. Esiste una sociologia che, da
questo punto di vista, ha fatto anche moda. Sono moltissimi gli autori che parlano, per l’ap-
punto, di questi temi: un nome per tutti è quello di Baumann. Questa sociologia, questa cul-
tura ci racconta ciò che in realtà è il nostro vissuto, e quindi il vissuto di individui in una
società che si scompone, che si frammenta, che si disarticola. Questo ha a che vedere con
le relazioni umane, e infatti si parla di “amori liquidi”; questo ha a che vedere con il lavoro,
e infatti si parla di precarietà; questo a che vedere con l’economia, e infatti si parla di pol-
verizzazione dell’economia.
Come si tiene insieme tutto ciò in questa fase? Tenere insieme tutto ciò è fondamentale, in
quanto questa situazione determina, per il venir meno di tutti quei riferimenti che avevano i
nostri genitori e che hanno permesso ai nostri genitori e ai nostri nonni di costruirsi un certo
tipo di vita, necessariamente una situazione di costante e forte disagio. Sono gli anni della
post-modernità anche anni in cui si affrontano – o che in qualche modo determinano – delle
situazioni di disagio profondissime. Queste situazioni di disagio sociale vengono affrontate
sostanzialmente attraverso politiche, servizi e strumenti diversi. Esistono in Europa due
modelli di riferimento, un approccio anglosassone e un approccio francese. L’approccio
anglosassone è molto legato alla necessità di garantire delle opportunità per gli individui e
l’approccio francese è più attento al rapporto pubblico-privato, cioè a come il cittadino si col-
loca in una società così cambiata e a che cosa può fare lo Stato per non lasciare solo l’in-
dividuo, perché i problemi sono evidenti e si traducono nella dinamica tra Stato e individuo.
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Esiste una psicologia sociale che oggi si affianca alla sociologia. Ebbene, la psicologia
sociale di questi anni ci mostra con evidenza che questa società porta con sé tendenzial-
mente due problemi: il narcisismo e la depressione. Il narcisismo e la depressione viaggia-
no insieme. Il narciso, in fondo, è semplicemente una persona sola che risolve qualsiasi
problema in ragione del rapporto con ciò che lo circonda, nel senso che la stima di sé dipen-
de necessariamente dalla stima che gli altri hanno di lui, con la conseguenza che deve ali-
mentare una continua necessità di soddisfazione. In realtà, è un circuito che ha a che vede-
re con l’altra grande malattia collettiva, che è quella della depressione. Sono due aspetti
che si continuano ad alimentare, determinando una continua insoddisfazione. Perché que-
sto? Qual è l’antidoto e dove ci porta questo antidoto? C’è un testo di Ehrenberg, che è
forse il più grande psicologo sociale francese degli ultimi venti anni, che ci rammenta que-
sto fenomeno importante, sui cui si soffermano sia la psicologia sociale che la sociologia,
con la conseguenza che, in diversi modi, tutti quanti coincidono su questo aspetto.
Le risposte per gli economisti e i sociologi sono più o meno quelle che il premio Nobel
Amartya Sen ci aveva già definito alcuni anni fa: in questa realtà frantumata ciò che ci salva
è la capacità di agire e, quando si offrono ai cittadini, alle persone gli strumenti per poter
agire nella complessità, gli individui si rafforzano – è il concetto di empowerment – e quin-
di affrontano con maggiori capacità quel disagio, che è psicologico, che è esistenziale, ma
che è anche economico e lavorativo.
Questi punti di vista si incontrano – l’analisi della psicologia, l’analisi dell’economia, l’anali-
si del mercato del lavoro – perché non è soltanto un dato economico. La precarizzazione
dell’esistenza non riguarda soltanto coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo deter-
minato. I lavoratori della Fiat o i lavoratori di qualsiasi banca si sentono molto più precari
oggi di quanto lo fossero venti o quaranta anni fa. Perché? Perché è un sistema che agi-
sce in questo modo, un sentire diffuso che non è solo un dato economico, ma è soprattut-
to un dato sociale, psicologico e culturale. E allora la capacità di agire e di costruire è deter-
minante. Dal punto di vista degli economisti, questo si traduce in due parole, che non sono
italiane – e non è un caso – perché tutto questo è stato affrontato con grande capacità e
con grande forza soprattutto all’estero, e se oggi l’Italia ha delle pesanti difficoltà con gli altri
Paesi europei è perché noi non siamo riusciti a metterci adeguatamente in riga in ogni
regione su questi principi come e quanto hanno fatto i nostri vicini francesi o inglesi. Le due
parole sono empowerment, cioè capacità di agire, cioè autonomia individuale, e employa-
bility, che significa occupabilità, cioè il fatto che una persona abbia competenze in grado di
poterle dare di che vivere, di poter progettare e costruirsi un futuro.
Amartya Sen, in questo senso, ci dà delle parole molto chiare: ci dice che la capacità di
agire significa fare quattro cose:
1) agire in termini di diritti;
2) agire in termini di opportunità;
3) agire in termini di strumenti e di servizi che si danno ai cittadini;
4) agire in termini di competenze, di saper fare.
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Quando noi abbiamo queste quattro cose, riusciamo ad affrontare i dilemmi della post-
modernità più o meno con lo stesso atteggiamento che aveva l’artigiano italiano del
Medioevo. Noi, se ricostruiamo i principi della post-modernità, recuperiamo in questo modo
anche i valori profondi del saper fare, dell’autonomia e della libertà del nostro antico
Medioevo comunale (vicende narrate nel testo Romano Benini, Saper Fare, Donzelli edito-
re 2010).
Perché noi italiani facciamo più fatica in questi anni a liberare la nostra capacità d’agire?
Noi italiani facciamo più fatica perché il nostro saper fare, che abbiamo insegnato al mondo,
è pesantemente minacciato da un’altra invenzione italiana: lo schema cortigiano presente
nella politica e anche nell’economia. Il fatto che noi latini abbiamo promosso lo schema
“patrono-cliente”. Questo modello nasce a Roma duemila anni fa ed è appunto lo schema
del patronus, del patronato, nel senso che tu agisci in quanto hai un patrono che ti garan-
tisce e non perché hai talento, non in ragione del tuo merito e della tua competenza, ma in
ragione del legame patrono-cliente. La capacità di agire si determina nel legame di dipen-
denza patrono e cliente e non nello schema della libertà individuale.
Questo spiega tante cose. Spiega il fatto che l’Italia è il Paese che più di altri al mondo
gestisce il mercato del lavoro di più attraverso le raccomandazioni e non attraverso la sele-
zione e spiega molte delle cose con cui funziona o non funziona la nostra società. È chia-
ro che una società regolata da uno schema patrono-cliente – e questo non riguarda solo la
politica, ma purtroppo riguarda anche in parte l’economia e sicuramente riguarda il sistema
pubblico, ma contagia anche il privato – è una società più lenta, più debole, più ingiusta e
che tendenzialmente distribuisce minori opportunità.
Lo schema patrono-cliente si muove esattamente in senso opposto rispetto allo schema di
Amartya Sen della capacità di agire, perché lo schema della capacità di agire si basa su
servizi, strumenti, diritti, opportunità e competenze, mentre lo schema patrono-cliente non
si basa su questi aspetti e regole.
Le difficoltà dell’Italia contemporanea derivano dal fatto che ci siamo allontanati in molti luo-
ghi dal principio “creatività e agire d’impresa”, dal principio della capacità di agire e dell’au-
tonomia individuale, e abbiamo pensato di affrontare la crisi ribadendo il principio di dipen-
denza cortigiana dello schema patrono-cliente. In altri termini, mentre il mondo ci diceva
che per uscire dai problemi dovevamo aumentare la capacità dei cittadini di essere autono-
mi e quindi liberi, noi invece abbiamo creato un sistema che, anziché abbattere le dipen-
denze, crea e ricrea continue altre e nuove forme di dipendenza, in quanto lo schema patro-
no-cliente è appunto lo schema della dipendenza. Lo schema patrono-cliente fu peraltro
inventato a Roma per motivi storici ben precisi: in quanto gli antichi romani avevano la
necessità di liberare gli schiavi per ragioni economiche, ma anche di controllarli per ragio-
ni sociali. Poiché l’ enorme massa di schiavi liberati, che era il perno dell’economia roma-
na, sarebbe stata un problema se, dopo la liberazione dalla schiavitù, fossero anche usciti
dalla potestà del pater familias che li liberava attraverso la manumissio. Per questo gli
schiavi liberati prendevano il nome dal patrono e, anche se magari lavoravano ed erano
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liberi e indipendenti, dovevano sempre rendere conto al patrono che li aveva liberati.
Questo è uno schema profondamente presente nell’ evoluzione della nostra società ed è
anche presente nella dimensione religiosa ed è lo schema che pone alla base delle relazio-
ni di potere, sociali, economiche o spirituali il concetto di intermediazione. La presenza degli
intermediari è una costante delle società latine e alla funzione di intermediazione si colle-
gano le forme della dipendenza. Il capitalismo moderno, secondo Weber, nasce quando i
Protestanti hanno detto che non volevano più intermediari e che, quindi, si sarebbero allon-
tanati da Roma così da allontanarsi dalla pretesa che ci fosse qualcuno che intermediava
la loro felicità, la loro libertà e il loro rapporto con Dio. Questo ha creato il Protestantesimo
e questo ha dato una spinta all’economia moderna. E non è un caso che i Paesi che oggi
escono meglio dalla crisi sono proprio quei Paesi che hanno meno problemi di noi italiani a
dare direttamente i soldi, le risorse, le opportunità a coloro che ne hanno bisogno, limitan-
do i costi dell’intermediazione.
Quindi la soluzione è comunque sempre rintracciabile nella promozione della capacità di
agire. Questa, però, è una strada necessaria, ed è una strada necessaria perché la strada
dell’autonomia individuale e della capacità di agire è obbligatoria per questa post-moderni-
tà. Il dilemma italiano è che noi ci troviamo in grande difficoltà perché, per rimetterci su que-
sta strada, dobbiamo abbandonare abitudini che in questi ultimi anni abbiamo continuato
ad alimentare, proprio mentre gli altri Stati le mettevano in discussione. Le aree del nostro
Paese che si stanno riprendendo sono quelle che danno maggiore spazio a questi aspetti
e che limitano l’intermediazione cortigiana.
Per noi italiani di inizio millennio è fondamentale realizzare queste politiche, perché altri-
menti ci ritroviamo di fronte a quella solitudine dell’individuo che al tempo stesso è solitudi-
ne della società e che determina, come conseguenza, l’incapacità dell’economia di reagi-
re. La reazione non è altro che una parte dell’ azione. Quindi, la capacità di agire è il pre-
supposto per poter reagire rispetto alla situazione in cui tutti oggi ci troviamo.
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APPENDICE
INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI
INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI ROMA,
DR. GIANCARLO CREMONESI .
1. Presidente, in questo biennio Roma ha dovuto affrontare una situazione di difficol-
tà economica che ha avuto ripercussioni sull’aspetto occupazionale. Qual è secon-
do i vostri indicatori lo stato di salute dell’economia romana e quali sono le prospet-
tive per i prossimi anni?
La crisi internazionale è stata molto dura, Roma non è stata risparmiata, ma ha dimostrato
nelle difficoltà una capacita di tenuta migliore rispetto ad altre zone del Paese.
Il 2010 è stato un anno molto importante per la stabilizzazione dell’economia romana dopo
la brusca frenata del 2009. Tornano a crescere, infatti, il Pil, il turismo, l’export. Tuttavia regi-
striamo ancora notevoli difficoltà nel mercato del lavoro.
La disoccupazione è in forte aumento e ha raggiunto nel 2010 il 9,1%, un valore superiore
alla media italiana che è dell’ 8,4%. Inoltre è aumentato in misura esponenziale il ricorso
alla cassa integrazione guadagni, cresciuta di oltre il 500% tra 2008 e 2010.
Per il prossimo futuro ci aspettiamo situazioni più favorevoli per la crescita economica. Il
momento più difficile sembrerebbe oramai alle spalle, ma bisogna monitorare con attenzio-
ne la situazione internazionale che è sempre in rapida evoluzione.
2. Tecnologia e creatività, dal turismo alla moda all’innovazione: sono chiari e indivi-
duati i settori su cui Roma sembra puntare per il futuro, in una dimensione di forte
terziarizzazione: qual è a suo parere il sistema di servizi da costruire o rafforzare per
poter sostenere le nuove dimensioni dell’economia romana?
La priorità, per le nostre imprese, è una rete di servizi di alto livello qualitativo. Ciò coinvol-
ge, naturalmente, anche la pubblica amministrazione, che deve impegnarsi per essere al
passo con la velocità dei cambiamenti imposti dai nuovi scenari competitivi globali e dal
tumultuoso evolversi delle nuove tecnologie. Offrire servizi di alta qualità significa realizza-
re infrastrutture all’avanguardia. Penso, ad esempio, al tema di una nuova rete a fibra otti-
ca, realizzazione essenziale per far compiere alle nostre imprese un decisivo scatto in
avanti nel segno dell’innovazione e dell’internazionalizzazione.
3. Il settore delle piccole imprese che operano nei servizi costituisce, secondo gli
osservatori, un potenziale bacino di impiego che Roma deve coltivare e sostenere.
Quali sono le vostre iniziative a riguardo? Quali sono le vostre proposte?
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Il nostro territorio è caratterizzato da una fortissima presenza di piccole e micro imprese: le
aziende con meno di dieci dipendenti rappresentano, infatti, il 96,3% del totale. Un dato dal
quale si deve necessariamente partire nella programmazione di interventi finalizzati al
sostegno e al potenziamento del sistema produttivo locale. Per questo, da anni, la Camera
di Commercio di Roma ha intrapreso azioni mirate a facilitare la loro attività e a promuove-
re il loro sviluppo, ad esempio attraverso la semplificazione amministrativa, un accesso al
credito più agevole, un sistema infrastrutturale più efficiente. La Camera di Commercio è
impegnata, in particolare, ad attivare ogni utile sinergia con il mondo bancario e quello dei
Confidi e intende potenziare, sempre più, progetti di start-up aziendale.
4. Cosa manca a Roma per diventare una delle capitali della moda made in Italy?
Roma è già riconosciuta come una delle piazze più importanti. Può cominciare a dirsi sfa-
tato l’assioma, in voga sino a pochi anni fa, secondo il quale Roma non c’entra con la moda.
La nostra città ha dimostrato di possedere enormi potenzialità, sia in termini di ruolo di ricer-
ca e promozione di giovani talenti del made in Italy, sia per la presenza sul territorio di pic-
cole e medie imprese artigiane della moda e del lusso, oltre che di maison rappresentative
dell’alta moda italiana.
Intorno al tema della moda si sta alimentando a Roma un fermento culturale che comincia
a rendere appetibile anche l’area romana e laziale per le imprese e gli operatori del siste-
ma moda nazionale e internazionale.
Tutto questo va sostenuto dalle istituzioni del territorio – ivi inclusa la Camera di Commercio
di Roma, da sempre azionista di maggioranza di AltaRoma – con ulteriori investimenti che
consolidino questo processo.
Se Roma riuscisse a realizzare un Museo della Moda che parta dalle origini, tutte romane,
della moda e dell’alta moda italiana, ciò la renderebbe a tutti gli effetti una delle più rappre-
sentative capitali del settore a livello mondiale.
5. La qualità del lavoro ha a che vedere con una maggiore attenzione alla legalità e
alla sicurezza sul lavoro. Qual è la situazione nel contesto romano? Quali iniziative
avete sostenuto e intendete promuovere a riguardo?
Legalità e sicurezza sono requisiti indispensabili per uno sviluppo economico e sociale
equilibrato e rappresentano due fattori che incidono sull’attrattività di un territorio.
L’attenzione su questi temi deve essere sempre molto alta. In particolare, nelle fasi di crisi
economica c’è il rischio che il ricorso al lavoro irregolare aumenti. E’, dunque, necessario
che le Istituzioni e le associazioni della rappresentanza associativa siano in prima linea nel
fronteggiare fenomeni di illegalità e di non rispetto delle regole.
6. Secondo i rapporti ufficiali dell’Unione Europea, il contesto sociale ed economico
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romano è caratterizzato da una forte disomogeneità dei fattori guida per lo sviluppo:
un buon sistema sociosanitario, una discreta capacità di innovazione e progettazio-
ne, una interessante propensione agli investimenti in un mercato con notevoli poten-
zialità, fattori che si reggono su un sistema di servizi per il capitale umano e il lavo-
ro che appare nel confronto europeo del tutto inadeguato. Questo è il quadro che
esce dalle analisi sulla competitività. Qual è la sua opinione a riguardo?
Quello che posso dirle è che il nostro è un territorio ricchissimo di intelligenze. Siamo tra le
più importanti realtà universitarie europee e registriamo un altissimo numero di laureati. Il
15,7% dei ricercatori italiani opera nella regione Lazio, che vanta un’elevatissima concen-
trazione di istituti di ricerca. D’altra parte, il nostro territorio risente della scarsa integrazio-
ne tra sistema della ricerca e sistema produttivo, come testimonia anche il basso livello di
investimenti in R&S da parte dei soggetti privati. Ritengo che la priorità sia, dunque, quella
di operare per alimentare il circuito virtuoso tra università, mondo della ricerca e sistema
imprenditoriale.
7. La capacità istituzionale è fondamentale per sostenere lo sviluppo e si traduce
nella capacità di promuovere politiche integrate e di sostenere il dialogo interistitu-
zionale e la capacità di progettazione (anche per cogliere le opportunità dei fondi
europei). Qual è in questo senso la funzione della Camera di Commercio, nel rappor-
to con i decisori delle politiche romane?
Come lei ha giustamente evidenziato, la collaborazione tra Istituzioni è la prima garanzia
dell’efficacia degli interventi di sviluppo. L’alto livello di dialogo e confronto tra la Camera di
Commercio e le altre istituzioni del territorio – Regione, Provincia, Roma Capitale – è stato
il fattore chiave che ha consentito la realizzazione di opere infrastrutturali vitali per la cre-
scita delle nostre imprese e per la competitività del nostro territorio: la Nuova Fiera di Roma,
il Sistema dei Tecnopoli, l’Auditorium Parco della Musica, il Centro Agroalimentare Roma. Il
ruolo di motore dello sviluppo svolto dalla Camera di Commercio deriva dalla sua funzione
istituzionale di interesse generale per il sistema delle imprese ed è stato ulteriormente raf-
forzato dalla recente legge di riforma delle Camere di Commercio (D. Lgs. n. 23 del 2010).
8. L’economia di una città che punta sulla qualità e sui servizi necessariamente si
appoggia su forti competenze, su un mercato del lavoro funzionante e flessibile. Si
tratta di responsabilità e funzioni distribuite tra Regione, Provincia e Comune e che
chiamano in causa le forze sociali. Qual è la governance necessaria per ridare quali-
tà al sistema lavoro a Roma e in provincia? Quali sono le vostre proposte?
Ritengo che la qualità del sistema lavoro nel nostro territorio sia già elevata, anche grazie
al forte impegno comune assicurato dalle istituzioni su questo tema. A questo proposito,
vorrei anche ricordare che la Camera di Commercio di Roma, con il bando a sostegno del-
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l’occupazione, ha stabilizzato, con un intervento di 12 milioni di euro, 2.400 lavoratori pre-
cari. L’ulteriore rafforzamento della collaborazione tra le istituzioni locali, attraverso politiche
mirate, non può che andare a beneficio del mercato del lavoro nel suo complesso, soprat-
tutto in una fase economica ancora debole e complessa.
INTERVISTA AL DIRETTORE DELLA CNA (Confederazione nazionale artigianato e
piccola impresa) di ROMA, DR TAGLIAVANTI.
1. Quali sono le valutazioni sullo stato di salute delle piccole e medie imprese nel-
l’area metropolitana romana? Siamo fuori dalla crisi?
Purtroppo ancora non possiamo dire di essere fuori dalla crisi. Secondo la nostra ultima
indagine congiunturale, che ha preso in esame lo stato di salute delle pmi di Roma nel
secondo semestre 2010, risulta infatti che ordini, produzione e fatturato delle aziende con-
tinuano a presentare valori negativi. Inoltre, i costi maggiori di questa difficile fase si stan-
no scaricando sempre più sul mercato del lavoro: nel corso di quest’anno, senza adeguati
interventi, le indicazioni che abbiamo fanno ritenere che le nuove posizioni lavorative
potrebbero ridursi di 10 mila unità al mese. Preoccupa anche il pessimismo degli imprendi-
tori che, forse per la prima volta da diversi anni, non vedono la strada della ripresa.
2. Quali sono i comportamenti che le imprese hanno tenuto in questi mesi per far
fronte alla crisi e quali sono i servizi che sembrano funzionare meglio e quelli che
funzionano meno nel contesto romano?
Per molti anni Roma ha registrato performance migliori rispetto al resto del paese, sia per
quello che riguarda il Pil che per l’occupazione e, fino ad oggi, le imprese sono state sicu-
ramente realiste, ma anche ottimiste rispetto al futuro. Quando la crisi è arrivata hanno
saputo fronteggiarla a testa alta, dimostrando il coraggio che contraddistingue da sempre i
piccoli imprenditori alle prese con le sfide più grandi. Lo sforzo è stato dimostrato soprattut-
to nei confronti della forza lavoro che è stata mantenuta nella stragrande maggioranza dei
casi, mentre, il più delle volte, nelle grandi imprese si procedeva con i licenziamenti. Ora
però le cose rischiano di cambiare, anche perché, in un momento in cui dovevano funzio-
nare al meglio servizi come il credito o l’internazionalizzazione a sostegno delle imprese, gli
imprenditori si sono trovati invece di fronte all’inadeguatezza della politica e alla poca voglia
di rischiare da parte delle banche.
3. Quali sono le vostre proposte sul tema dell’accesso al credito?
L’accesso al credito è il vero nodo per le PMI. Il lavoro svolto dal sistema dei Confidi in que-
sto senso è fondamentale perché può contribuire a migliorare le condizioni del credito.
Resta inteso che la valutazione dei progetti delle imprese e del loro merito del credito non
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può che rimanere interamente in capo alle banche, che devono adeguare la loro capacità
alla difficile situazione economica che stiamo attraversando. Purtroppo, la crisi ha impres-
so una brusca inversione di tendenza al trend delle banche, spingendole a concentrarsi sul
retail per diventare filiali scollegate dal territorio; il tentativo successivo è stato l’opposto,
ovvero tentare il recupero di logiche locali. Ma in questo “ritorno al territorio”, alla finanza è
mancato il collegamento con la cultura globale di settore. Il nodo centrale resta il brusco
innalzamento a 12 mesi delle richieste di garanzie reali da portare per ottenere finanzia-
menti, a fronte di un sostanziale stallo dei fondi concessi; insomma, il famoso credit crunch
tanto lamentato soprattutto dalle piccole e medie imprese.
4. Roma è una città che sta assumendo sempre di più il volto di una città del terzia-
rio avanzato e dei servizi. quali sono i settori con le maggiori potenzialità di svilup-
po nel tessuto delle piccole e medie imprese e come si sta disegnando l’economia
romana di questo inizio millennio?
È soprattutto il settore dei servizi a mostrare le potenzialità maggiori in un panorama di sof-
ferenza generale dei comparti produttivi. Indubbiamente Roma sta cambiando e con lei il
tessuto economico e produttivo della città. Si aprono sfide importanti per la Capitale. Il pros-
simo triennio potrebbe vedere la realizzazione di grandi eventi sul nostro territorio. Il fatto
che Roma possa essere sede di appuntamenti internazionali capaci di attirare grandi inve-
stimenti per rilanciare l’economia romana e dotare di nuove infrastrutture la città, costitui-
sce ovviamente un fattore di grande attenzione per il mondo produttivo. Una sfida che le
nostre imprese dovranno saper cogliere al meglio.
5. Dall’esame dei dati sulla capacità competitiva romana emerge come le indubbie
potenzialità di lavoro e sviluppo siano limitate dalla debolezza del sistema dei servi-
zi e dalla inadeguatezza delle politiche. Quali sono le politiche che si rendono neces-
sarie in questa fase per la promozione delle PMI?
Emerge in effetti il grido d’allarme delle imprese che lamentano l’assenza e l’inadeguatez-
za di politiche pubbliche in grado di accompagnarle lungo percorsi indispensabili per usci-
re dalla crisi che sono, a mio parere, l’aggregazione, perché solo al di sopra dei 9 addetti
sembrano manifestarsi i primi veri segni di ripresa economica, e l’internazionalizzazione,
considerato che la grandezza che mostra una tenuta migliore nei confronti della crisi è la
quota di fatturato proveniente dall’estero. La politica deve muoversi in questo senso se
vuole mettere in campo politiche di reale sostegno alle imprese.
6. Cosa chiede un piccolo imprenditore romano per poter stabilizzare il lavoro, sem-
pre più con contratti a termine, di un proprio dipendente?
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Assistiamo in realtà sempre più spesso alla volontà dei piccoli imprenditori romani di voler
stabilizzare i lavoratori nella propria azienda, perché è fondamentale il rapporto che si crea
in un’azienda artigiana in cui nella maggior parte dei casi ci sono da uno a tre dipendenti.
Detto questo, la crisi in atto ha indubbiamente rallentato questo meccanismo, generando
nell’imprenditore la paura di dover procedere a licenziamenti del personale. La Regione,
soprattutto in passato, è intervenuta con politiche di sostegno, anche economico, alle
imprese che hanno assunto i lavoratori e questa si è dimostrata una strada utile alle impre-
se che si sono avvalse di questa forma di agevolazione per stabilizzare personale.
7. Mestieri artigiani: da alcuni mesi sembra che sia tornato l’interesse su un impor-
tante bacino di impiego che in questi anni e’ stato poco promosso verso le giovani
generazioni. Il sistema della formazione professionale romano è adeguato per coglie-
re le opportunità occupazionali che possono arrivare dall’artigianato? Come fare per
adeguarlo?
Purtroppo la formazione professionale è fortemente carente in questo settore dove invece
oggi è divenuto fondamentale “istruire” il personale, visto che il passaggio generazionale è
sempre più scarso. Da anni come Cna ci battiamo perché a Roma nasca una vera e pro-
pria Scuola dell’Artigianato che possa non solo formare giovani generazioni interessate al
mestiere dell’artigiano, ma anche offrire opportunità lavorative che in effetti ci sono e non
sempre sono conosciute dai giovani in cerca di prima occupazione.
8. Nei prossimi anni centinaia di botteghe artigiane romane sono destinate a chiude-
re per il mancato passaggio generazionale. manca una azione di sistema integrata
che coinvolga i servizi per la formazione, il lavoro, le imprese, la scuola ed i fondi di
garanzia per il sostegno alla trasmissione di impresa. Quali sono le vostre proposte
e come le state sostenendo?
Centinaia di botteghe artigiane hanno purtroppo chiuso in questi anni e altrettante rischia-
no di chiudere senza interventi adeguati da parte delle istituzioni. Il problema più grande per
queste botteghe, oggi, è il caro affitti che gli artigiani non riescono a sostenere. Ci siamo
battuti e abbiamo ottenuto di recente dal Comune un intervento sugli enti proprietari di alcu-
ne botteghe storiche, che si sono impegnati a non alzare, come avrebbero fatto, i canoni di
affitto per evitarne la chiusura.
9. Nell’area romana operano decine di servizi ed enti pubblici e privati che offrono
servizi per il mercato del lavoro, tuttavia appare evidente un forte limite di governan-
ce e di efficacia di questo sistema. Quali sono le vostre valutazioni a proposito?
In effetti ci sono fin troppi enti pubblici e privati che operano in maniera del tutto autonoma
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e scollegata da una corretta valutazione dei fabbisogni delle aziende artigiane. Mancano
piani coordinati per fronteggiare la crisi occupazionale nelle piccole e medie imprese, che
tengano conto della domanda e dell’offerta, poiché è carente la conoscenza delle tipologie
dei mestieri e delle competenze professionali utili a ricoprire particolare figure, non generi-
che e/o generalizzabili. Siamo convinti che un collegamento, sempre auspicato, con la CNA
favorirebbe una più precisa individuazione delle reali esigenze delle aziende artigiane e
delle PMI.
10. Oltre alla rilevazione del sistema excelsior, non esiste ancora un sistema di rile-
vazione dei fabbisogni delle imprese a cui condizionare l’offerta di corsi di formazio-
ne romana e su cui svolgere attivita’ di orientamento per i giovani. si tratta di una
competenza provinciale e comunale. Qual è la sua opinione a riguardo?
Sarebbe importante, a mio parere, legare il sistema excelsior di rilevazione dei fabbisogni
delle imprese all’offerta di corsi di formazione romana, in modo da risultare subito evidenti
le occasioni occupazionali per i giovani e le varie prospettive di lavoro. Provincia e Comune
in questo senso dovrebbero lavorare a stretto contatto tra loro.
INTERVISTA PRESIDENTE CONFARTIGIANATO IMPRESE ROMA,
DR. MAURO MANNOCCHI
1.Quali sono le valutazioni sullo stato di salute delle piccole e medie imprese nel-
l’area metropolitana romana? Siamo fuori dalla crisi?
Si ritiene opportuno, anche se in modo molto sintetico definire alcune delle caratteristiche
peculiari dell’Impresa artigiana che non può essere assimilata sic et simpliciter nella PMI,
peculiarità d’ordine non solo dimensionali, ma anche culturali e sociali e di presidio del ter-
ritorio. Soprattutto a Roma e Provincia, negli ultimi anni, si è dimostrato che l’impresa arti-
giana è stata quella che durante la crisi non è diminuita, ma anzi si è incrementata. Si è
dunque creato un circolo virtuoso per cui le competenze dei dipendenti espulsi dal merca-
to del lavoro, nel settore della grande e media impresa, si sono ricollocati come lavoratori
autonomi, i quali per sopravvivere in una situazione di forte crisi economica, sono andati
alla ricerca di nuovi mercati, in particolare il “privato” e, della ricerca di innovazione del pro-
dotto, razionalizzando i costi (anche nelle loro famiglie), ma senza ricorrere al taglio dei
dipendenti. In questo contesto Confartigianato, insieme ai sindacati dei lavoratori e asso-
ciazioni di categoria, hanno utilizzato gli strumenti degli ammortizzatori sociali (vedi Eblart)
per superare questo momento difficile. A questo proposito si invita a verificare i dati quan-
titativi esposti nel focus annuale di Confartigianato. In ogni caso le risposte di seguito for-
nite sono contestualizzate alle peculiarità sopraccennate.
Parto dal Lazio perché sono profondamente convinto che Roma e la sua area metropoli-
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tana non siano una “Isola Felix isolata ” e che la Regione non debba essere avulsa con-
cettualmente e culturalmente ad una visione socio economica romano- centrica.
La sinergia e collaborazione istituzionale tra Regione e Comune di Roma sono, in prospet-
tiva, un fattore importante di sistema, di economie di scala, di maggior competitivita’.
La crescita delle imprese laziali secondo il dato relativo al terzo trimestre 2010 è stata
dello 0,4%.
È uno dei primi segnali del risveglio, di una lenta ripresa dell’economia che, almeno dal
punto di vista della natalità delle imprese, registra un saldo positivo.
Inoltre questo risultato acquista maggiore significato se confrontato con il dato nazionale,
che si attesta su un tasso di crescita del -0,1%.
Scorporando il dato, a livello locale si osserva una certa differenziazione tra le diverse pro-
vince: Roma e l’area metropolitana “tirano” di più, mentre per le restanti province la cre-
scita del numero di imprese attive c’è, anche se l’intensità è minore.
Rispetto al forte rallentamento degli ultimi 2 anni, questa inversione di tendenza è da con-
siderarsi quindi come un segnale della rinnovata vitalità delle imprese dopo la crisi.
La mappatura dei principali settori produttivi che riguardano l’area metropolitana romana e
la regione mettono in evidenza una serie di attività e di comparti strategici per l’economia
laziale, alcune fortemente specializzate e ad alta intensità tecnologica (come il settore aero-
spaziale, l’industria nautica e la meccanica strumentale), altre più tradizionali, come il com-
parto agro-alimentare e artigianato di servizi(impiantistica edilizia ed affini, manutenzione in
generale).
2.Quali sono i comportamenti che le imprese hanno tenuto in questi mesi per far
fronte alla crisi e quali sono i servizi che sembrano funzionare meglio e quelli che
funzionano meno nel contesto romano?
La risposta a questa domanda è implicita nel contesto dell’artigianato romano.
Piuttosto che parlare di servizi che hanno funzionato meglio rispetto all’esigenza di soprav-
vivenza economica, di molte imprese, c’è stata una notevole spinta di lavoratori autonomi
che ricorrendo alle opportunità di lavoro del settore privato e dei cittadini, hanno avuto la
possibilità di produrre volumi di reddito importanti ma, all’interno dell’economia sommersa.
Tra i servizi che meno funzionano si riscontrano invece quelli legati alla mobilità, al credito
e ai servizi di sicurezza e ambiente. L’artigiano, infatti, avendo una conoscenza parziale dei
servizi offerti dai sistemi associativi, del settore, contatta in prima istanza dei consulenti,
che, non avendo un’adeguata conoscenza dell’offerta dei servizi delle organizzazioni di
categoria, e avendo competenza in particolare su servizi amministrativi e contabili, spesso
sono inadeguati alle richieste delle imprese artigiane e dei piccoli imprenditori.Ad esempio,
nel credito, alla luce della riforma del “Basilea 2”, le aziende artigiane sottocapitalizzate non
conoscendo le proposte dei sistemi di categoria, come i Consorzi Fidi e, non avendo suf-
ficienti garanzie reali, non hanno possono usufruire dei finanziamenti bancari che, come
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strumenti collettivi di garanzie potrebbero garantirli a tassi e tempi favorevoli alle imprese
artigiane. Tutto ciò in molti casi, per esigenze di liquidità, li spinge a rivolgersi a forme di
credito irregolari.
3.Quali sono le vostre proposte sul tema dell’accesso al credito?
Così come già anticipato nella domanda 2 diventa centrale per l’azienda artigiana e la PMI
e piccola impresa in generale per l’accesso al credito lo strumento dei CONFIDI.
In questa regione abbiamo la possibilità di utilizzare COOPFIDI e GAFIART che offrono il
rilascio di garanzie accessorie nei confronti del sistema bancario che hanno consentito di
erogare finanziamenti con coperture di garanzie che arrivano al 50-75%, ottenendo in tal
modo condizioni di tasso di interesse e modalità di restituzione agevolate.
Riteniamo che, sia di importanza strategica per l’impresa artigiana e la piccola impresa, pro-
cedere a una profonda razionalizzazione, semplificazione e ottimizzazione degli strumenti
(vedi B.I.L. – Banca Impresa Lazio e UNIONFIDI), finalizzati all’accesso al credito che, ad
oggi sono partecipati dalle Istituzioni (Regione, Province, Comune di Roma e CCIAA) e, dal
sistema Bancario Territoriale, che, in questi ultimi anni invece di supportare il ruolo del-
l’artigianato e della PMI ha sostenuto il sistema di garanzie delle Banche; se le stesse risor-
se fossero state destinate su strumenti come COOPFIDI (mod. 107 T.U. B.) o GAFIART
(mod. 106 T.U.B.) alla patrimonializzazione di questi strumenti caratteristici delle categorie
del settore (Confartigianato) si sarebbe potuto intervenire non su 2000 imprese artigiane e
PMI, come purtroppo è accaduto nel 2010 ma, con le stesse risorse avremmo potuto ero-
gare finanziamenti a circa 5000 imprese.
4.Roma è una città che sta assumendo sempre di più il volto di una città del terziario
avanzato e dei servizi. quali sono i settori con le maggiori potenzialità di sviluppo nel
tessuto delle piccole e medie imprese e come si sta disegnando l’economia romana
di questo inizio?
La città di Roma fornisce i servizi ad una realtà molto vasta, da quella del suo circondario
e della stessa regione Lazio, all’Amministrazione statale e dei grandi Enti pubblici, le cui
strutture centrali continuano ad avere un cospicuo numero di dipendenti e che ovviamente
sono al servizio di tutto il Paese, ma anche di grandi centri di eccellenza in più campi.
A Roma sono collocati numerosi centri di ricerca: dall’astrofisica alla formazione professio-
nale, dalla sanità alle analisi politiche e sociali; sempre nella Capitale si concentrano i
dipendenti dei sindacati, dei partiti politici, dei rappresentanti degli imprenditori e dei lavo-
ratori autonomi.
Il fatto di essere Roma anche il centro della cattolicità fa sì che nella nostra regione si con-
centrino le case madri di tutti gli ordini religiosi, mentre tradizionalmente la Capitale ha da
sempre ospitato le cosiddette scuole nazionali per aspiranti sacerdoti, quali il Germanicum,
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il Pannonicum, ecc. La piccola impresa e l’artigianato sono stati l’ammortizzatore dei gran-
di gruppi come l’Alitalia, la RAI, la BNL, la Banca di Roma, l’Anas, la Società Autostrade,
l’INA, la Telecom. Alcune grandissime imprese quali le Ferrovie o l’ENI, classificate come
“industria”, l’una, e “chimica”, l’altra, a seguito del processo di outsourcing del quale sono
state investite, hanno accresciuto il numero dei dipendenti del terziario che ora risultano
dipendenti di aziende fornitrici di servizi alle imprese, pur facendo lo stesso lavoro di prima.
Il fenomeno dell’outsourcing non si è limitato alle imprese produttrici, ma ha investito in
pieno anche la Pubblica amministrazione: lo Stato, come la Regione, le Province ed i
Comuni. Sono quindi le grandi imprese, i centri amministrativi e le grandi istituzioni colloca-
te nella regione (ma concentrate nella Capitale), che hanno fornito la maggior parte del
mercato di espansione alle aziende fornitrici di servizi alle imprese.
È questo il settore economico che ha avuto il maggior impulso in termini di reddito e occu-
pazionali negli ultimi vent’anni, ed è anche quello che ragionevolmente continuerà a forni-
re la base più dinamica per la crescita economica della regione. Si tratta di un settore estre-
mamente composito, che va dalle imprese dal know-how assolutamente semplice – come
quelle di trasporto, di pulizia e di sicurezza – a quelle estremamente sofisticate operanti nei
settori della comunicazione, della pubblicità, dell’immagine, a quelle che richiedono le gran-
di competenze tecniche necessarie per la progettazione di nuovo software o l’attivazione e
la gestione di processi informatici o telematici.
In via generale queste nuove imprese tendono ad essere di piccole dimensioni, e si aggiun-
gono quindi al già ampio spettro delle piccole e piccolissime imprese operanti nei servizi,
nel settore del commercio, dei servizi alla persona, dei trasporti su gomma, degli esercizi
pubblici, della ristorazione e delle attività alberghiere.
È ben noto che, con le vistose eccezioni dei grandi centri decisionali e bancari della
Capitale e pochi grandi complessi industriali, la struttura produttiva è caratterizzata dalla
presenza della piccola e media impresa, che risulta dominante per fatturato e numero di
addetti nell’edilizia, nell’industria, nell’artigianato di produzione e in quello dei servizi e della
manutenzione, nel commercio e nelle attività alberghiere e turistiche, nei servizi alle impre-
se e in quelli di intermediazione immobiliare e finanziaria, in agricoltura e nelle strutture del
volontariato.
A Roma, dove sono presenti i più grandi gruppi nazionali e internazionali dell’ICT, negli ulti-
mi anni la maggior parte dell’attività viene svolta da piccole imprese che subappaltano il
lavoro dalle aziende suddette, diventando i reali esecutori delle opere. Con la diminuzione
dell’importo dei lavori, i subappaltatori si sono visti costretti a tagliare i costi senza però
rinunciare alle competenze(trattandosi di lavori ad alta specializzazione). La piccola impre-
sa e l’artigianato, in molti casi, sono stati dunque, l’ammortizzatore della terziarizzazione dei
grandi gruppi sia pubblici che privati, presenti sul nostro territorio tramite l’outsourcing. C’è
dunque l’esigenza di rivolgere a questi soggetti contratti di rete, capaci di intervenire su for-
mazione, ricerca e sviluppo e le opportunità di finanziamenti pubblici ai vari livelli.
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In conclusione la particolare geografia socio-economica di Roma e provincia, con l’indiscus-
so ruolo “egemone” delle dinamiche vissute dal capoluogo romano, ha indubbiamente agito
in direzione della creazione di una cultura sociale, propensa all’iniziativa privata influenzan-
do la stessa iniziativa imprenditoriale, indirizzandola verso i settori dell’artigianato e della
PMI. In questo senso, le forti opportunità offerte dal mercato romano hanno influito sullo svi-
luppo produttivo dell’intera provincia, quando non dell’intera regione, favorendo l’accresci-
mento delle produzioni di beni dirette a soddisfare le necessità primarie della popolazione.
Non a caso, per molti anni l’unico comparto produttivo di un certo rilievo – accanto alle pic-
cole e piccolissime industrie dell’abbigliamento, dell’arredamento e alimentari – è stato sto-
ricamente quello edilizio ma, appunto, si tratta, in effetti, di una produzione non industriale
in senso stretto. Si può affermare che oggi la realtà industriale romana, per numero di
addetti e per la specializzazione in alcuni rami produttivi ad elevato contenuto tecnologico,
ha assunto una notevole consistenza, guadagnando una posizione d’avanguardia in diver-
si settori innovativi dell’industria – si pensi, ad esempio, alla cosiddetta “Tiburtina valley”.
5.Dall’esame dei dati sulla capacità competitiva romana emerge come le indubbie
potenzialità di lavoro e sviluppo siano limitate dalla debolezza del sistema dei servi-
zi e dalla inadeguatezza delle politiche. Quali sono le politiche che si rendono neces-
sarie in questa fase per la promozione delle PMI?
Le imprese nel nostro territorio, come del resto in ogni ambiente dove domini la impresa
micro-piccola, hanno soprattutto bisogno di:. regole semplici e chiare e pochi centri amministrativi ai quali fare riferimento;. credito accessibile e, soprattutto, tempestivo; . formazione professionale adeguata alle esigenze dell’artigianato e della piccola impresa;. incentivare la conoscenza tra l’impresa artigiana e la piccola impresa e i centri di ricer-
ca e sviluppo del nostro territorio.
Queste esigenze sono comuni a tutte le imprese, anche se alcune sono più sentite in alcu-
ni settori piuttosto che in altri. Così la semplificazione delle regole, la definizione precisa dei
piani urbanistici e territoriali, la creazione dello sportello unico e/o agenzia delle imprese,
esigenze da tutti sentite, sono però condizioni strategiche per le imprese in evoluzione di
tutti i settori, ossia per quelle imprese che devono ancora ricercare e che devono ancora
decidere come insediarsi.
La necessità di formazione professionale e di formazione continua è sentita in tutti i setto-
ri. Sarebbe auspicabile incentivare la formazione nei diversi settori dell’innovazione produt-
tiva; da questo punto di vista la nuova legge sull’apprendistato dovrebbe favorire un perio-
do professionalizzante lungo avvalendosi di agenzie, come l’università, con corsi di studio
mirati e altamente qualificanti. Così come, la formazione in campo informatico più avanza-
to, nell’elettronica, nelle specializzazioni cliniche e sanitarie, nell’assistenza contabile e
finanziaria, nel management sia privato che interno alla Pubblica amministrazione, nel
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restauro, nella protezione ambientale, nel management turistico ed anche in settori tradizio-
nali, ma in continua evoluzione tecnologica, quali la meccanica e il settore arredo-legno.
È tuttavia soprattutto nella politica economica verso le imprese che la Regione su impul-
so principale del Comune di Roma,deve usare le sue disponibilità come una leva per acqui-
sire ulteriori risorse.
Anche l’UE può favorire questo processo di crescita delle piccole imprese e delle imprese
artigiane con politiche di sviluppo territoriali, utilizzando la concertazione tra le Istituzioni
preposte (Regione, Provincia e Comuni) e, delle organizzazioni di rappresentanza dei vari
settori, supportandoli con finanziamenti ad hoc.
6. Cosa chiede un piccolo imprenditore romano per poter stabilizzare il lavoro, sem-
pre più con contratti a termine, di un proprio dipendente?
Premesso che l’imprenditore ha tutto l’interesse a stabilizzare il lavoro come condizione per
migliorare le prestazioni dell’azienda e le sue performance competitive, è soprattutto neces-
sario mettere in atto azioni in grado di contemperare le esigenze dell’impresa con le irrinun-
ciabili istanze di tutela e valorizzazione della persona del lavoratore. In tal senso le possi-
bilità offerte dalla formazione continua e dal rilancio dell’apprendistato, come canali di rin-
novamento per il mercato e la qualità del lavoro, si devono necessariamente accompagna-
re a strumenti negoziali “mirati” a favore di certe tipologie di impresa, come ad esempio
quella artigiana, e di certe tipologie di lavoratori, creando forme di flessibilità regolata e
negoziata come alternativa al lavoro precario e/o nero.
Per portare un esempio concreto, pensando al sempre maggior numero di donne che lavo-
rano, si tratta di rendere effettivi e praticabili tutti gli strumenti previsti dalle normative già in
essere che permettono di conciliare tempi di vita e di lavoro. Si potrebbero attivare i cosid-
detti “voucher di conciliazione” per sostenere le pari opportunità attraverso l’erogazione di
contributi per il costo dell’asilo nido.
Un altro strumento praticabile per la stabilizzazione del lavoro può essere la work-experien-
ce: un momento di formazione che si svolge on the job, cioè presso un luogo di lavoro. E'
rivolta a persone non occupate, consente l'acquisizione di competenze certificabili ai fini
della ricerca di una occupazione e si differenzia dal tirocinio perché è retribuita con una
borsa. Soprattutto la work-experience non è un rapporto di lavoro e non vincola l'azienda
ospitante.
In tal senso Confartigianato si sta attivando per cogliere le opportunità offerte dal progetto
Welfare to Work, reso possibile da un Bando di Italia Lavoro gestito dai Centri per l’impie-
go della Provincia. Il progetto prevede incentivi economici alle imprese e ai lavoratori che
favoriscano: tirocini finalizzati all’assunzione dei soggetti destinatari; rapporti di lavoro
subordinati dopo aver svolto i predetti tirocini; rapporti di lavoro subordinati anche senza
aver svolto precedentemente il tirocinio previsto dal progetto.
In ogni caso queste ed altre forme di politiche attive, tese a favorire la stabilizzazione del
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lavoro, necessitano di maggiore trasparenza, di semplificazione e di servizi efficienti alle
imprese a ai cittadini, in grado di accompagnare all’utilizzo di possibilità che pur esistono e
che non vengono spesso utilizzate .
7. I Mestieri artigiani: da alcuni mesi sembra che sia tornato l’interesse su un impor-
tante bacino di impiego che in questi anni è stato poco promosso verso le nuove
generazioni. Il sistema della formazione professionale romano è adeguato per coglie-
re le opportunità occupazionali che possono arrivare dall’artigianato? Come fare per
adeguarlo?
Per esperienza diretta degli associati e come emerge anche dai dati di diverse agenzie
come Istat, Confindustria, Ministero del lavoro, la stessa Confartigianato assistiamo al para-
dosso per cui mentre la disoccupazione giovanile aumenta, alcune centinaia di migliaia di
posti di lavoro restano
vacanti. Dalle analisi emerge che il problema è strutturale e multifattoriale e che il tasso ita-
liano di disoccupazione giovanile è superiore di 7,6 punti rispetto a quello relativo alla UE.
E’ un problema che può essere affrontato con successo se si interviene sui diversi aspetti
che lo determinano. Per dare valore e per motivare i giovani a professioni e a mestieri ,
come ad esempio quello di sarto, falegname, tessitore, panettiere, ma anche ai nuovi pro-
fili professionali legati a settori come quello della moda o legati alle nuove tecnologie, è
necessario avviare un processo di cambiamento basato su di un maggiore dialogo tra scuo-
la- sistema della formazione professionale - università e impresa mirato ad offrire ai giova-
ni una formazione adeguata alle esigenze del mercato e a valorizzare il lavoro manuale,
restituendogli tutta la dignità e l’importanza che ha avuto per secoli.
Il valore e la centralità del lavoro artigiano nella postmodernità è il tema affrontato da
Richard Sennett, uno degli intellettuali più influenti del nostro tempo. Nel saggio The
Craftsmen, L’uomo Artigiano che, uscito solo da un paio di anni, sta facendo epoca, Sennett
realizza un excursus tra presente e passato, tra antiche botteghe e moderni laboratori per
scoprire come funziona la sinergia mente-mano-desiderio-ragione, che ha fatto grande il
mondo occidentale e forse può oggi restituirgli saggezza e produttività.
È necessario riconoscere che la formazione professionale e la formazione continua sono
spesso inadeguate a colmare il deficit di competenze professionali e a favorire l’incontro tra
domanda ed offerta di lavoro. Non sempre sono in grado di interpretare e rispondere ai fab-
bisogni delle imprese e dei dipendenti e di anticipare i cambiamenti del mercato del lavoro,
perchè troppo autoreferenziali ai cataloghi degli enti che la gestiscono. Soprattutto manca
un efficace sistema di orientamento in grado di collegare la domanda con l’offerta e, spes-
so, per il sistema di regole burocratiche, la formazione non è fruibile dalle piccole imprese
artigiane. Inoltre una formazione in grado di rispondere ai bisogni reali dei lavoratori e delle
imprese, ha necessità di valorizzare il contratto di apprendistato, così come recentemente
è stato rivisitato, come strumento privilegiato di ingresso nel mondo del lavoro ed il lavoro
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manuale come sbocco possibile per tutti giovani disoccupati, laureati compresi. Per garan-
tire un più stretto collegamento tra la ricerca e l’impresa e per frenare "la fuga di cervelli"
avvicinando al mondo del lavoro i laureati disoccupati, sarebbe utile prevedere l'erogazio-
ne di assegni di ricerca a favore di laureati disoccupati, affinché possano svolgere una atti-
vità di ricerca prevalentemente all'interno delle imprese. L'assegno di ricerca potrebbe
essere combinato all'offerta di incentivi all'assunzione a tempo indeterminato alle organiz-
zazioni ospitanti. E’ anche necessario, come ha recentemente detto il segretario generale
della Cisl Bonanni, rendere il lavoro manuale più appetibile dal punto di vista economico.
8.Nei prossimi anni centinaia di botteghe artigiane romane sono destinate a chiude-
re per il mancato passaggio generazionale. manca una azione di sistema integrata
che coinvolga i servizi per la formazione, il lavoro, le imprese, la scuola ed i fondi di
garanzia per il sostegno alla trasmissione di impresa. Quali sono le vostre proposte
e come le state sostenendo?
Il nuovo PRG del comune di Roma, non ha tenuto conto delle necessità delle attività artigiane
e della piccola impresa, non prevedendo aree adeguate e funzionali all’insediamento delle
stesse, questo rappresenta la vera criticità, più che il mancato passaggio generazionale.
Negli ultimi 15 anni, infatti, a Roma, sono scomparse 4.600 abitazioni l'anno, erose dalle
attività economiche, specialmente da quelle di piccola dimensione (terziarie e artigianali).
Secondo una indagine realizzata dal Cresme su Ambiente e Territorio , per la Camera di
Commercio di Roma, il 73% delle imprese che operano nel campo dei servizi alla produzio-
ne e il 68% delle imprese artigiane, sono localizzate in insediamenti misti.
La carenza costante di spazi produttivi, dovuta anche alla espulsione dal centro storico di
molte piccole attività artigianali, di servizio e botteghe di vicinato, ha portato alla nascita di
insediamenti spontanei, soprattutto in periferia.
Nel 2003 ne sono stati contati 61, dove sono insediate, in condizioni spesso di totale man-
canza di sistemi infrastrutturali, migliaia di imprese. Aree come Via dell’Omo, la Tiburtuna
Valley, Malagrotta ecc. che, pur rappresentando importanti poli di sviluppo, non essendo
riconosciute a tutt’oggi come Aree Produttive, non possono godere dei vantaggi che le
Istituzioni Comunitarie, Nazionali e soprattutto Regionali, concedono (Sostegno alla infra-
strutturazione; Aiuti alle Aziende;, Politiche di Distretto ecc.. )
Senza peraltro considerare che molte di queste aree sono dei veri e propri insediamenti
abusivi: Via Camposampiero; Borghetto Flaminio; Parco Appia Antica ecc. L’unico approc-
cio a tali problematiche da parte delle forze politiche e dell’amministrazione è stato in que-
sti anni sporadico e, legato alla necessità della realizzazione di importanti opere infrastrut-
turali, che presupponevano la disponibilità di queste aree.
Questi insediamenti e tanti altri, piccoli e diffusi nella cintura periferica della città , nati spon-
taneamente in mancanza di progettazione urbanistica adeguata, sono stati abbandonati a
se stessi senza una politica incisiva di risanamento, per insufficiente applicazione delle pro-
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cedure legate alle leggi di sanatoria edilizia, sopratutto negli ultimi dieci anni. Tali siti, pur
esistendo fisicamente, e, avendo costi di mercato adeguati ad una capitale europea, non
possiedono i requisiti urbanistico-amministrativi e con ciò generano ulteriori gravami e dif-
ficoltà operative alle piccole e micro imprese ivi allocate.
Il sistema di piccola e micro impresa, sia terziaria che produttiva, esprime una domanda
localizzativa e delocalizzativa che, si trova di fronte a tre specifiche difficoltà :. difficoltà di trovare una soluzione adeguata e capace di rispondere alle loro esigenze:
l’unica offerta è rivolta al mercato delle grandi superfici, è pertanto difficile trovare offer-
ta specializzata e attrezzata per attività di piccole dimensioni sia sotto i 250 mq, che
sotto i 400 mq;. il boom immobiliare, vissuto da Roma come la gran parte delle maggiori capitali euro-
pee, non ha risposto alle necessità dovute al cambiamento del tessuto economico del
nostro territorio, privilegiando gli interessi dei”soliti attori” nelle scelte istituzionali. Esso
ha comportato un aumento dei prezzi, creando una difficoltà di accesso agli spazi inse-
diativi per le nostre aziende che non sono in grado di rispondere economicamente a tale
offerta. Infatti a Roma è difficile trovare locali con costi inferiori a 1.500 euro/mq .. La crisi finanziaria ha ridotto ulteriormente la capacità di ottenere credito.
In sostanza, così come esiste una emergenza abitativa, esiste una emergenza insediativa,
per Ie piccole e micro imprese dell’artigianato e dei servizi.
Risulta dunque prioritario un’azione tendente sia all’individuazione di aree per insediamen-
ti, diffusi nel territorio della città, finalizzati ad attività di filiera e di servizio, sia l’avvio di una
politica di risanamento di quelle esistenti.
La localizzazione delle imprese in specifiche aree individuate, costituisce la premessa per
un nuovo approccio culturale ed un nuovo modello di sviluppo del tessuto imprenditoriale,
basato anche sull’ incremento dei sistemi di Rete.
Se per le attività di produzione di beni e servizi, la localizzazione rappresenta uno degli
aspetti che maggiormente condiziona la nascita e la crescita, situazione ancora peggiore
attraversano le imprese che operano nei settori dell’artigianato Artistico e Tradizionale.
Questa tipologia di imprese, oltre a rappresentare una grande risorsa produttiva, costitui-
sce il cuore della città ed un patrimonio di creatività che rischia realmente l’estinzione.
In questi ultimi 10 anni nel centro storico (I Municipio), si è registrata una contrazione di
circa 300 imprese, appartenenti al settore dell’Artigianato Artistico e Tradizionale, a differen-
za della crescita registrata negli altri settori.
A penalizzare questo tipo di attività è principalmente la rendita immobiliare, che ha determi-
nato un aumento insostenibile degli affitti e la conseguente mancanza di una politica tesa
ad una adeguata valorizzazione del patrimonio pubblico.
Riteniamo che la vicenda di Via Tor di Nona sia profondamente esplicativa di questa inca-
pacità. Le azioni avviate dal Delegato del Sindaco al Centro Storico possono contribuire ad
alleggerire le difficoltà ma, se non si interviene urgentemente con azioni capaci di sostene-
re e valorizzare questo grande patrimonio, si corre il rischio di un ulteriore impoverimento
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della città. La realizzazione della “Cittadella dell’Artigianato Artistico e Tradizionale”, già
finanziata sia con risorse di Roma Capitale (100.000 Euro), che tramite un apposito stan-
ziamento della Camera di Commercio di Roma con il fondo investimento 2011 (5 Milioni di
Euro), potrà valorizzare il settore, bloccando il depauperamento del Centro Storico dalle
attività più qualificate. Per questo, abbiamo individuato un’area (Piazza Mancini) in accor-
do con il comune per insediare un polo dell’artigianato artistico, tradizionale, innovativo e di
qualità e per lo scopo è stato dato incarico su indicazione del Sindaco alla società Risorse
per Roma per l’elaborazione di un piano di fattibilità, propedeutico all’avvio concreto del
progetto e, concertato con le associazioni Confartigianato Imprese Roma e CNA Roma, che
sarà concluso prima dell’estate.
9. Nell’area romana operano decine di servizi di enti pubblici e privati che offrono ser-
vizi per il mercato del lavoro, tuttavia appare evidente un forte limite di governante e
di efficacia di questo sistema. Quali sono le vostre valutazioni a proposito?
Diverse fonti e anche il Rapporto sul mercato del lavoro della provincia di Roma, pubblica-
to semestralmente, sottolineano come l’incontro tra domanda e offerta di lavoro è ancora
nel nostro contesto territoriale troppo episodico e casuale. Del resto, a differenza di quan-
to dadecenni avviene in paesi come la Francia, la Germania e il Regno Unito, manca non
solo una capacità di governance di un sistema in cui operano forse troppi attori pubblici e
privati, ma soprattutto manca o è insufficiente la definizione di regole e strumenti univoci
come ad esempio un sistema di riconoscimento e di certificazione delle competenze lega-
te ai diversi profili professionali ed il riferimento ad una banca dati continuamente aggiorna-
ta frutto di un collegamento in tempo reale con le richieste e i bisogni reali del mercato del
lavoro. Dovremmo utilizzare le buone pratiche realizzate in questo campo dai paesi euro-
pei sopracitati nei quali i servizi per il mercato del lavoro, a differenza di quanto avviene da
noi, prevedono attività capillari di informazione, accessibilità al servizio, azioni ricorrenti di
accompagnamento per i cittadini e per le imprese, offerta di benefici di natura economica
per le imprese e i lavoratori.
Inoltre si dovrebbe cominciare ad operare con efficaci sistemi di orientamento già nella fase
di formazione scolastica, mentre invece le azioni sono carenti e limitate alla sola scelta del
percorso di studi. Per questo guardiamo con interesse alla nascita di “Porta Futuro”, la
nuova struttura della Provincia, che parte dall'esperienza di 'Puerta 22' il centro attivo a
Barcellona dal 2003, che sta per aprire i battenti nel cuore di Testaccio, con il fine di mette-
re in contatto impresa, lavoro e territorio. Ma vogliamo al contempo coltivare ancora un
sano scettismo propositivo, perché a tutt’oggi le uniche informazioni che sono in nostro pos-
sesso sono quelle che abbiamo avuto dalla stampa!
Una proposta concreta per la governance del sistema può essere di rendere operativo il
Libretto formativo del cittadino istituito con decreto interministeriale del 10 ottobre 2005, ma
in realtà non realizzato nel nostro contesto territoriale. Pensato per raccogliere, sintetizza-
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re e documentare le diverse esperienze di apprendimento dei cittadini nonché le competen-
ze da essi comunque acquisite nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nella vita quoti-
diana, costituisce uno strumento fondamentale nella società del long life learning. Se infat-
ti Europass rappresenta il passaporto delle qualifiche e delle competenze che favorisce la
"portabilità" delle stesse in Europa, il Libretto rappresenta la carta d'identità per muoversi
sia sul territorio nazionale, sia attraverso le diverse esperienze di apprendimento e lavoro.
Per il mercato del lavoro e per il sistema delle imprese il Libretto formativo rappresenta uno
strumento di informazione, finalizzato a evidenziare in modo omogeneo ed attendibile il per-
corso formativo e professionale del soggetto, dando visibilità al patrimonio complessivo
della persona e ai suoi punti di forza. Permette dunque di facilitare la riconoscibilità di pro-
fessionalità e competenze individuali all'interno di un percorso di inserimento (ad esempio
nei contratti di apprendistato) e mobilità lavorativa (ad esempio nelle varie forme di contrat-
to flessibile). E’ inoltre uno strumento di fondamentale efficacia per i lavoratori stranieri i cui
profili professionali e il cui sistema di competenze spesso non viene adeguatamente consi-
derato. La crisi che ha investito il mercato romano e che ha determinato l’aumento delle
situazioni di cassa integrazione, conferma l’importanza di creare un sistema siffatto, per
dare alle piccole imprese artigiane e ai lavoratori a rischio sempre più possibilità di ripresa
e di occupabilità.
10. Oltre alla rilevazione del sistema Excelsior, non di rilevazione dei fabbisogni delle
imprese a cui condizionare l’offerta di corsi di formazione romana e su cui svolgere
attività di orientamento per i giovani. Si tratta di una competenza provinciale e comu-
nale. Qual è la sua opinione a riguardo?
Nonostante l’ampiezza e la ricchezza delle informazioni disponibili facciano di Excelsior un
utile strumento di supporto a coloro che devono facilitare l’incontro tra la domanda e l’offer-
ta di lavoro (decisori istituzionali in materia di politiche formative, operatori della formazio-
ne a tutti i livelli, come i servizi per l’impiego) non basta da solo, perché fornisce informa-
zioni e orientamenti metodologici non sempre spendibili nell’incontro tra domanda e offer-
ta nel contesto del mercato del lavoro locale. Questo infatti esprime dinamiche evolutive
molto rapide e spesso non identificabili attraverso un sistema di rilevazione in grado certo
di rendere una “fotografia”, ma non di girare il “film” del processo di sviluppo dei fabbisogni
produttivi delle imprese e, conseguentemente, formative dei lavoratori. Confartigianato
Imprese utilizza per un focus annuale, sui fabbisogni delle imprese artigiane e delle PMI, i
dati statistici resi disponibili da Banca d’Italia, ISTAT, CCIAA, ISFOL e di altri soggetti.
Soprattutto per le imprese artigiane sarebbe dunque necessario avviare un processo bot-
tom-up, realizzato con approcci metodologici qualitativi in un percorso di ricerca azione che
coinvolga gli imprenditori per promuovere ed anticipare i cambiamenti necessari per reg-
gere la sfida della innovazione e della competizione anche nel campo della internaziona-
lizzazione. Come già detto l’orientamento dei giovani dovrebbe cominciare già nel periodo
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scolastico e essere realizzato con modalità friendly, utilizzando i loro linguaggi, rendendo-
li protagonisti del percorso di orientamento che invece molto spesso vivono, per le modali-
tà “scolastiche” con cui viene gestito, non come diagnostico, ma valutativo. Poiché, come
viene detto nella domanda, si tratta di una competenza comunale e provinciale anche in
questo caso ci si augura una integrazione sistemica che si potrebbe proprio realizzare nella
nuova struttura di Porta Futuro a cui si è accennato, coinvolgendo le scuole di formazione
professionale del Comune e della Provincia. Per quanto riguarda l’offerta dei corsi di forma-
zione, oltre a ribadire la necessità di rompere l’autoreferenzialità ai cataloghi degli enti,
vogliamo sottolineare come una formazione professionale in ingresso e una formazione
continua per chi già lavora non può prescindere dalla presenza di buone competenze sco-
lastiche di base, che purtroppo sono spesso carenti. Allora si avanza la proposta di rende-
re possibile il rafforzamento delle conoscenze, come ad esempio quelle logico-matemati-
che e comunicative, anche nei percorsi professionalizzanti. Inoltre è di fondamentale impor-
tanza rafforzare la formazione on the job, vedendo nell’impresa e nella bottega artigiana
una capacità formativa molto forte e mirata, forse più di quanto si possa realizzare con dei
“corsi” che troppo spesso non riescono a passare dal piano delle conoscenze a quello delle
competenze , ovvero al saper fare in contesto.
INTERVISTA AL DIRETTORE SETTORE LAVORO E FORMAZIONE DELLA PROVINCIA
DI ROMA, DR.SSA PAOLA BOTTARO.
1. La funzione della Provincia nella promozione delle opportunità e della capacità di
agire per i cittadini è fondamentale. Proviamo ad esaminare i diversi aspetti di cosa
funziona e di cosa invece va migliorato. Su Roma ricadono funzioni di governo
distribuite in modo piuttosto articolato: per fare in modo che il sistema del lavoro
funzioni cosa chiedete alla Regione Lazio?
In un momento come quello attuale, dove si registra un continuo incremento di soggetti che
richiedono politiche attive del lavoro (stante il numero crescente di percettori di ammortiz-
zatori sociali ordinari e/o in deroga), diviene oltremodo fondamentale la necessità di “fare
rete” tra tutti i soggetti – pubblici e privati – che operano nel territorio. Nello specifico, sarà
opportuno progettare INSIEME alla Regione Lazio tutte quelle opportunità formativo/occu-
pazionali da “mettere in campo” nei prossimi mesi.
2. La legge laziale attribuisce ai Comuni funzioni importanti sia per l’orientamento che per
quanto riguarda la promozione delle attività produttive. In questo senso la collaborazione
tra Provincia e Comune può essere migliorata ? In che modo intendete procedere?
Tutto può essere migliorabile, ma la collaborazione tra i suddetti soggetti istituzionali è già
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buona: in tal senso la Provincia di Roma – al fine di offrire all’utenza un servizio a 360° in
tema di orientamento di I° e II° livello – ha previsto 2 bandi pubblici per la promozione e svi-
luppo dei COL presso il Comune di Roma e presso gli altri Comuni della Provincia.
3. Una funzione fondamentale è la creazione di un sistema che possa favorire una
maggiore conoscenza dei fabbisogni delle imprese, per rispondere attraverso una
adeguata offerta formativa. La Provincia ha peraltro competenze dirette sulla forma-
zione. In questo senso cosa mettete in campo per i giovani romani?
La Provincia di Roma, alla quale sono state delegate le competenze in materia di formazio-
ne professionale per i giovani in età di obbligo scolastico e formativo, rivolge la sua offerta
di formazione attraverso le attività di percorsi triennali o biennali nei Centri Provinciali di
Formazione Professionale o gestiti da soggetti pubblici o privati, accreditati per tali attività
presso la Regione Lazio, e raggiungono, ciascun anno formativo, un totale di circa 8.000
giovani.
Queste attività, che vengono svolte oltre che a Roma anche nei Centri situati in altri comu-
ni della Provincia, vengono finanziate con risorse regionali, ministeriali (M.W) ed in parte,
anche dal Fondo Sociale Europeo.
Relativamente ai giovani disabili in età dell’obbligo vengono svolte, sia a Roma che in altri
comuni, attività formative attraverso percorsi biennali, annuali ed individuali per circa 570
allievi.
L’amministrazione provinciale, inoltre, in qualità di Organismo Intermedio per la gestione di
risorse provenienti dal PO - Programma Operativo del Fondo Sociale Europeo - Obiettivo 2
- Competitività regionale e Occupazione - Regione Lazio 2007 / 2013, ed, in particolare
dall’Asse IV Capitale Umano, attraverso la modalità di Avvisi Pubblici con scadenze perio-
diche (bando aperto) ha potuto realizzare attività di Alta Formazione post diploma e post
laurea, con interventi brevi ma che hanno incrementato il bagaglio di competenze dei gio-
vani, con inserti capaci di rendere più congruo e spendibile il titolo posseduto.
Collegata all’Intervento per l’alta formazione è stata messa in campo una ulteriore tipologia
sperimentale di supporto ai percorsi di istruzione universitaria finalizzata a consentire una
maggiore fruibilità degli stessi percorsi ed un più ampio rapporto fra corsi di laurea e mondo
del lavoro, sia per rendere la formazione più coerente e vicina alla produzione, sia per crea-
re situazioni di anticipazione dei processi di inserimento al lavoro di chi frequenta i corsi di
Laurea, supportando specifici progetti che Facoltà e Dipartimenti hanno proposto come
complemento formativo ai normali percorsi, inserendo quelle esperienze che normalmente
l’università ha difficoltà a realizzare direttamente.
I Progetti di attività integrative hanno riguardato: brevi esperienze di stage aziendale, attivi-
tà di tutoring, coaching e mentoring, attività di work-experience, visite guidate, affiancamen-
ti di tecnici di settore alle docenze, informazione sull’autoimprenditorialità, organizzazione
di seminari tematici, progetti specifici nell’ambito della realizzazione di audiovisivi, realizza-
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zione e implementazione di programmi software autoprodotti e relativo training, etc.
Gli interventi, che sono stati ammessi a finanziamento, hanno dovuto dimostrare un rappor-
to reale e di collaborazione con le imprese del territorio dal quale dovevano emergere le
varie esigenze del sistema delle imprese.
4. La promozione del rapporto tra soggetti pubblici e privati che operano sul merca-
to del lavoro è fondamentale ed anche nel Lazio dovrebbero essere accreditati nei
prossimi mesi i soggetti che per legge possono operare per l’intermediazione e l’in-
contro tra domanda ed offerta, chiamati peraltro a conferire le opportunità di impie-
go nel sistema Cliclavoro. Come intendete far interagire i servizi per l’impiego roma-
ni con questi soggetti?
Ben venga l’accreditamento di altri soggetti nel segmento di mercato in oggetto: un mag-
gior numero di soggetti interessati al match domanda/offerta di lavoro non può che miglio-
rare i risultati in termini di occupabilità degli utenti (inoccupati/disoccupati).
La Provincia di Roma – grazie al software Bussola – sta perfezionando il nuovo canale
informatico della preselezione, il cui presupposto è finalizzato alla riduzione dei tempi di
attesa sia delle aziende che dei lavoratori, oltre che ad una ricerca più puntuale dei presta-
tori di lavoro.
5. Il rapporto con le imprese, la promozione della preselezione, la gestione delle
offerte di impiego costituisce il vero banco di prova del funzionamento dei centri per
l’impiego. In questi anni l’Amministrazione provinciale sta provando a rispondere ad
un vero e proprio ritardo storico, che peraltro non è risolto da altre istituzioni o ser-
vizi e costituisce il punto di difficoltà del sistema romano del lavoro. Come state pro-
cedendo?
Come detto, il nuovo software Bussola darà la possibilità di effettuare le preselezioni on line
in modo veloce ed attendibile: il primo requisito è dato dalla possibilità di andare a “pesca-
re” nella nostra banca dati aggiornata, gli utenti che avranno il profilo professionale richie-
sto dall’azienda; l’attendibilità, invece, sarà validata dal sistema stesso, che non permette-
rà l’autocandidatuta a tutti quei soggetti non in possesso dei requisiti richiesti dal datore di
lavoro. Tale nuova modalità – utilizzabile anche senza passare obbligatoriamente dal CPI
– si inserisce all’interno di un circuito virtuoso (iniziato da qualche tempo con l’istituzione
dei CPI presso le Università di Roma), teso ad avvicinare l’utenza ai servizi offerti dalla pub-
blica amministrazione attraverso informatica.
6. Il dato della precarietà è da alcuni anni l’elemento che caratterizza il mercato del
lavoro romano e gli aspetti del contesto economico romano portano a credere che
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questo aspetto resti almeno in parte strutturale. Cosa può fare e cosa fa la Provincia
per migliorare la stabilità del lavoro?
Purtroppo non è possibile – attraverso la redazione di un atto amministrativo da parte di un
Ente locale – creare/stabilizzare posti di lavoro. Ciò che sta facendo la Provincia di Roma,
attraverso strumenti quali il Patto di Servizio ed il PAI, è quello di migliorare i profili di occu-
pabilità degli utenti, individuando INSIEME quei corsi/seminari/tirocini in grado di aumenta-
re la “spendibilità” del soggetto all’interno di un mercato del lavoro sempre più in crisi.
Inoltre, in vari CPI, si stanno già erogando delle politiche del lavoro sotto forma di semina-
ri aventi ad oggetto tematiche, quali:
Diritti e doveri dei lavoratori
Sicurezza sui luoghi di lavoro
Redazione del Curriculum vitae e della lettera di presentazione
Gestione operativa per la ricerca attiva del lavoro
Tali seminari hanno l’obiettivo di dotare l’utente di alcuni strumenti utili per la ricerca di un
posto di lavoro e per una futura migliore gestione dello stesso.
7. Ritenete di avere adeguate risorse umane e finanziare per rispondere alla sfida del-
l’occupazione e della promozione dell’autonomia individuale delle persone a Roma e
provincia?
Le residue risorse finanziarie sono un limite oggettivo a tutte le iniziative di politica attiva del
lavoro previste: in tal caso, sarà necessario operare in sinergia con altri soggetti pubblici e
privati (es. associazioni di categoria) per individuare le migliori strategie da “calare” sul ter-
ritorio.
INTERVISTA AL DIRETTORE SETTORE LAVORO E FORMAZIONE DELLA REGIONE
LAZIO, DR.SSA ARCANGELA GALLUZZO
1. I diversi modelli regionali di intervento per la promozione delle opportunità defini-
scono una governance che integra lavoro, formazione e sostegno alle imprese, dal
punto di vista orizzontale, e che muove poi sul territorio le diverse istituzioni chiama-
te ad erogare direttamente i servizi ai cittadini, sia pubbliche, Province e Comuni, che
private. La Regione Lazio da tempo sta rivendendo ed aggiornando il proprio model-
lo di intervento. In che modo intendete agire e quali sono le novità? Il piano Lazio
2020 come cambia il modello di governo del mercato del lavoro nel Lazio ?
La Regione Lazio ha adottato, prima in Europa, linee di indirizzo dirette ad articolare in chia-
ve locale “Europa 2020” la strategia europea per la crescita intelligente, sostenibile, intelli-
gente”. Lazio 2020 poggia su un modello di governance che richiede e valorizza l’integra-
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zione dei sistemi, pone l’impresa al centro delle politiche di sviluppo e dell’occupazione,
propone logiche premiali dei comportamenti attivi e responsabili, si prefigge di costruire una
crescita sul “buon” lavoro.
Questi indirizzi investono direttamente il tema del governo del sistema, cui è dedicato uno
dei quattro obiettivi di Lazio2020.
Viene enfatizzato il ruolo del rapporto fra Regione e Province, il ricorso al metodo del coor-
dinamento aperto , l’esigenza di identificare obiettivi definiti e priorità di intervento.
Ovviamente un sistema di servizi per il lavoro capace di valorizzare la funzione dell’orien-
tamento potrà fungere da facilitatore a queste transizioni.
In questo contesto, occorre assicurare e premiare l’attivazione dei lavoratori e delle impre-
se in questi processi. E per le Imprese che più si impegnano nel fornire ‘buon lavoro’ (sicu-
ro, sostenibile, di qualità) occorre individuare meccanismi premiali da parte delle istituzioni
con azioni che ne sostengano la competitività.
Lazio 2020 è il frutto di un processo di concertazione che ha coinvolto, oltre alle istituzioni,
oltre 300 soggetti che hanno incluso le parti sociali, i professionisti, i cittadini. Nello stesso
modo si procederà per il futuro.
Il governo del processo terrà conto dei ruoli dei diversi attori e della capacità di innovazio-
ne,così che le evoluzioni normativa, economica e tecnologica tengano conto dell’osserva-
zione delle dinamiche che caratterizzando il mercato del lavoro.
2. Il tema dell’erogazione dei servizi e degli strumenti per il lavoro e la formazione
nell’area metropolitana romana chiama in causa la necessità di integrare il sistema
dei servizi, tenendo insieme formazione, lavoro ed incentivi alle imprese e promuo-
vendo la rete dei servizi territoriali. In ogni sistema regionale italiano questo model-
lo di intervento è definito e rodato. Nel contesto romano si avverte un sistema poco
articolato ed omogeneo, con imprese e cittadini che non hanno chiarezza del siste-
ma di servizi offerto. La programmazione e le indicazioni della Regione intendono
affrontare la questione relativa all’accesso ai servizi e agli incentivi nell’area metro-
politana romana? In che modo?
Il territorio di Roma Capitale rappresenta circa il 70% del mercato del lavoro della Regione
ed è quindi cruciale che il nuovo modello passi anche nella revisione dei rapporti e degli
snodi organizzativi dei vari soggetti che operano sul territorio. Il sistema dei servizi offerto
rientra nelle competenze principali di Provincia e Comune. La Regione è consapevole che
occorra intervenire anche per consentire alle altre istituzioni una maggior efficacia di inter-
vento. Le linee d’intervento previste operano rispetto al riordino degli strumenti di regolazio-
ne attivi su questa materia, partendo dall’idea che la formazione debba essere funziona-
le a un reale miglior posizionamento nel mercato del lavoro, lo sviluppo di un sistema infor-
mativo che consenta a tutti gli operatori pubblici e privati di operare su dati certi e certifica-
tie da favorire l’erogazione di servizi a più alto valore aggiunto e grado di personalizzazio-
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ne sia verso i lavoratori che verso le imprese, la realizzazione di attività di comunicazione
e informazione che raggiungano le diverse utenze a seconda del bisognoe da stimolare la
richiesta di servizi di qualità.
3. Il sistema laziale delle politiche del lavoro è fortemente legato al ruolo dellaRegione, che ha promosso nei mesi scorsi diversi bandi per l’erogazione di strumen-ti di politica per il lavoro. Mentre è evidente il ruolo delle Province sulla formazione,sul mercato del lavoro i centri per l’impiego laziali appaiono meno provvisti di stru-menti di intervento. Alle Province, negli anni scorsi, non è stata chiesta, a differenzadi quanto accade in altre Regioni, la responsabilità di definire una programmazioneintegrata, concordando gli interventi insieme alla Regione. Ci sono novità in questosenso ? Sarà possibile avere un rendiconto continuativo della destinazione e del-l’impatto delle risorse che sono attribuite al Comune ed alla Provincia di Roma perquanto riguarda il capitale umano, la capacità di agire e la creazione di opportunità? Lazio2020 propone e richiede una forte valorizzazione della responsabilità di governoanche rispetto ai processi di valutazione delle strategie e delle misure adottate, anche inambito locale.In questo ambito rientra l’esigenza, presente e chiaramente definita nella nuova strategiaregionale, di rinnovare le modalità di relazione con i diversi soggetti che operano nell’ambi-to dei servizi per il lavoro e della formazione.
4. Il sistema dei servizi per il lavoro laziale vede una minore presenza degli operato-ri e delle agenzie private autorizzate, chiamate a svolgere azioni di intermediazione edi incontro tra domanda ed offerta. Questo ritardo ha oggettivamente indebolito laqualità dei servizi per il lavoro presenti nel Lazio ed a Roma in questi anni di crisi. Cisono novità ? Nel territorio laziale si registra, complessivamente, una più ridotta diffusione delle agenzieprivate per il lavoro, anche se l’area romana è connotata da una presenza assai più rilevan-te analoga a quella dei molte aree del centronord. In questo contesto il servizio pubblicoriveste un ruolo decisivo, da esercitare al meglio, per erogare servizi, informazioni, oppor-tunità a tutte le utenze. Va ricordato che le recenti nuove norme nazionali sull’autorizzazio-ne dei servizi per il lavoro ampliano la platea degli interlocutori così che diviene ancora piùnecessario promuovere la cooperazione fra soggetti privati e pubblici per specifici interven-ti,diretti a realizzare l’interesse pubblico.
5. Resta forte nel mercato del lavoro romano, estremamente disarticolato, la neces-sità di rispondere al fabbisogno professionale delle imprese con servizi di rilevazio-ne ed interventi di formazione on demand pronti ed efficaci. L’offerta pubblica è varia,dai fondi affidati alle province ai bandi regionali, e quella privata si avvale anche del
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ruolo dei fondi interprofessionali. Quali sono le scelte della Regione per governarequesto sistema, che allo stato appare un po’ scomposto e con duplicazioni di fontifinanziarie da coordinare ? Parecchie sono le novità in questo settore. Come specificato nella Strategia Lazio 2020, laduplicazione delle azioni e la dispersione delle risorse sono distorsioni di un sistema a volteautoreferenziale, da superare e risolvere, a maggiore ragione a fronte di un quadro com-plessivo di risorse che richiede gestioni attente ed orientate alla razionalizzazione Il riordi-no parte dall’obiettivo di strutturare l’offerta formativa in base ai fabbisogni delle aziende ealle competenza richieste dal mercato. Decisivo in questo campo il Catalogo Regionale delle Competenze, riferimento per l’offer-ta formativa, per l’incontro domanda/offerta di lavoro, per la validazione e certificazioneanche dei processi di apprendimento informali e non formali, sempre più frequenti in per-corsi lavorativi frammentati come gli attuali.In questo ambito va sostenuto l’uso del voucher formativo rilasciato al cittadino all’interno
dei percorsi di politica attiva.
6. L’area metropolitana romana ha una storica difficoltà nel promuovere servizi alleimprese che riguardino l’accesso agli incentivi, la preselezione, la rilevazione delladomanda di lavoro, l’incontro tra domanda ed offerta. Questo determina il manteni-mento di un dannoso sistema di inserimento al lavoro basato sui rapporti famigliarie sulla raccomandazione. Mancano alcuni servizi importati, attivati dalle istituzionidel mercato del lavoro in altri contesti territoriali. La Regione, nell’ambito del sistema regionale del lavoro, che interventi intendesostenere per migliorare questa situazione? Le competenze della Regione devono coniugarsi con quelli delle altre amministrazionideputate a erogare i servizi. La spinta all’innovazione è un tratto distintivo dell’attuale inter-vento regionale in ambito regolativo, tecnico, procedurale, informatico, con l’obiettivo direalizzare un sistema più affidabile in grado di dare opportunità a tutti e di favorire l’incon-tro domanda-offerta di lavoro.
7. Promozione dell’autoimpiego, microcredito, accesso alla creazione di impresa.Sono migliaia i romani che intendono avviare o sostenere una propria attività e leforme di agevolazione sono disperse in decine di interventi (nazionali, regionali, pro-vinciali, comunali, camerali, bilaterali). Come può intervenire la Regione, nelle suefunzioni di programmazione degli interventi e di coordinamento, per migliorare laconoscenza e l’assistenza per l’accesso a questi strumenti? Molto è stato fatto in questi mesi in materia, ed alla luce delle nuove indicazioni strategichesi potrà proseguire lungo questa strada.
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INTERVISTA AL DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO ATTIVITÀ ECONOMICHE E
PRODUTTIVE, FORMAZIONE-LAVORO DI ROMA CAPITALE, MARCELLO MENICHINI
1. In che modo Roma Capitale è impegnata a sostenere l’orientamento al lavoro delle
nuove generazioni?
Il Dipartimento che coordino, attraverso l’Osservatorio sul Lavoro – Sostegno e
Orientamento al Lavoro di Roma Capitale, gestisce una serie di sportelli aperti al pubbli-
co, denominati Col (Centri di Orientamento al Lavoro) in grado di offrire gratuitamente ser-
vizi attinenti la materia del lavoro come fornire informazioni orientative sul mercato del lavo-
ro, aiutare l’utente a prendere consapevolezza delle proprie aspirazioni, predisposizioni e
attitudini personali e quindi a programmare e/o a realizzare scelte formative o professiona-
li sia attraverso l’analisi di tecniche di ricerca del lavoro, sia attraverso l’attivazione di misu-
re di inserimento professionale come tirocini e borse lavoro.
I 16 COL di Roma Capitale - fra cui annoveriamo il Col Tirocini che nel 2010 ha attivato più
di 500 tirocini essendo interamente dedicato a promuovere opportunità di inserimento per i
giovani in cerca di occupazione - coprono con un sistema a rete le diverse parti della città.
2. La spinta a mettersi in proprio, all’autoimpiego, rappresenta una motivazione da
valorizzare. In che modo il Comune può sostenere la creazione di nuove opportuni-
tà di lavoro autonomo?
Sempre attraverso l’attività dell’Osservatorio vengono promossi progetti di promozione
dello Sviluppo Locale e interventi di formazione all’autoimprenditorialità e all’alta formazio-
ne. Queste attività si sviluppano valorizzando la collaborazione tra le istituzioni, tra enti pri-
vati impegnati nel sociale e tra quanti partecipano alla crescita e alla cura del territorio e
delle persone.
Questi obiettivi trovano la loro concreta realizzazione nel Progetto “M’imprendo-Sviluppo
Locale e Occupazione : Scuola e Università come Laboratorio” che nel mese di maggio ha
assegnato premi ai migliori progetti di utilizzo delle risorse del territorio a fini imprenditoria-
li elaborati dai ragazzi iscritti agli Istituti secondari di secondo grado statali e paritari e ai
Centri di Formazione Professionale di Roma Capitale.
Anche i Centri Orientamento al Lavoro organizzano seminari informativi rivolti al mondo
della scuola, del lavoro e dell’autoimprenditoria, sulla normativa e sulle diverse forme di
contratto che disciplinano il rapporto di lavoro.
3. Roma ha una importante tradizione di artigianato che non incontra in modo adegua-
to le attitudini delle nuove generazioni. Quali sono le vostre proposte a riguardo?
Per quanto concerne la formazione delle nuove generazioni, Roma Capitale può vantare
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l’antica tradizione delle Scuole d’arti e dei mestieri che costituiscono una delle più accredi-
tate realtà educative della città.
Le Scuole sono aperte a tutti e gli oltre 100 corsi, di livello base o avanzato, attivati ogni
anno, permettono di sviluppare e acquisire le tecniche essenziali di un’arte o di un mestie-
re, offrendo un percorso di costante aggiornamento e perfezionamento in diversi settori:
dalla fotografia alla pittura, dalla grafica all’informatica, dall’oreficeria al restauro.
Un altro importante tassello della nostra attività formativa è rappresentato dai CFP Centri di
Formazione Professionale che offrono ai ragazzi e alle ragazze dai 14 ai 18 anni la possi-
bilità di assolvere all’obbligo formativo (diritto/dovere sancito dalla legge 144/99 di frequen-
tare le attività formative fino ai 18 anni) attraverso corsi nei quali si integrano le conoscen-
ze scolastiche di base con attività di natura tecnico – pratica, per formare figure professio-
nali che siano facilitate all’inserimento nel mondo del lavoro.
La partecipazione ai corsi è gratuita e il percorso di formazione professionale può durare
da due a tre anni secondo il tipo di corso. Al termine del percorso formativo si sostiene un
esame finale per ottenere un attestato di qualifica. Durante il secondo anno di studio i
ragazzi hanno la possibilità di partecipare ad un tirocinio o uno stage che consente l’ap-
prendimento pratico in azienda, facilitando l’ingresso nel mondo lavorativo. I CFP sono 10,
dislocati nelle diverse zone della città e i corsi attivati spaziano dal giardiniere – vivaista
all’elettricista montatore manutentore, dall’operatore della ristorazione al termoidraulico.
Consapevoli della necessità di comunicare in maniera efficace ai giovani le opportunità for-
mative offerte da Roma Capitale, abbiamo promosso e ideato un progetto editoriale, l’opu-
scolo Enter, che è al suo secondo anno di pubblicazione. Il nome della rivista suona come
un invito ad entrare, essere accolti nell’ambito di un percorso di formazione, concepito per
dare ai giovani la possibilità di conseguire una specializzazione professionale, che permet-
ta in tempi brevi di collocarsi con soddisfazione nel mondo del lavoro. Enter viene distribui-
to nei punti Informagiovani, negli URP dei Municipi, nei 16 Centri di Orientamento al Lavoro,
nei 10 Centri di Formazione Professionale, negli impianti sportivi Comunali, negli oratori e
in tutti i luoghi di aggregazione giovanile.
4. In che modo pensate sia possibile sostenere l’innovazione necessaria a Roma,
soprattutto nel terziario e consolidare la realtà della rete delle imprese che operano
nelle tecnologie informatiche e nell’audiovisivo?
Roma Capitale è ente patrocinatore del Distretto dell’Audiovisivo e dell’ICT, un Consorzio
senza fini di lucro nato nel 2001 che conta oggi circa 40 imprese operanti nei settori ICT e
Innovazione Tecnologica, TLC, Televisione, Cinema, Radio e Formazione. All’interno del
Consorzio sono presenti imprese grandi, medie e piccole, perché è attività propria della sua
natura costitutiva mettere insieme le possibilità di investimento delle grandi aziende e le
capacità di innovazione delle più piccole, massimizzando tutte le opportunità di collabora-
zione.
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Roma Capitale è inoltre ente utilizzatore dei progetti che il Consorzio si è aggiudicato con
il bando emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico nell’ambito dei progetti Industria
2015. Mi riferisco a Motus, LogOn e Made in Italy grazie al quale il Consorzio sta confer-
mando quel ruolo attivo di animazione per l’aggregazione di piccole, medie e grandi impre-
se su grandi progetti di innovazione.
Siamo impegnati su bandi focalizzati sulla ricerca e il rilancio delle nuove tecnologie appli-
cate alla mobilità sostenibile nella Capitale. Si tratta di progetti che determineranno notevo-
li risultati per tutta l’economia romana, e si stima che avranno una redditività pari ad alme-
no quattro volte l’investimento effettuato, con rilevanti effetti sulle filiere e sui sistemi di
mobilità.
Abbiamo infine confermato la disponibilità a portare avanti idee progettuali che potranno
ancora contare sul valido apporto dell’Università La Sapienza e del suo CATTID.
In questo senso, considerando quanto già fatto dalla Regione Lazio per la previsione nel
suo Programma Operativo (POR) delle risorse da destinarsi ai Distretti tecnologici, ci siamo
resi disponibili ad accelerare il processo istitutivo dei distretti, ai sensi della normativa del
Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), che nella nostra città
potrebbero delinearsi su tre grandi comparti: Distretto dell’ICT, Distretto dei Beni e Attività
Culturali (a cominciare dall’audiovisivo) e Distretto Aerospazio.
5. Sui temi del lavoro e delle attività produttive convergono poteri e servizi anche
regionali e provinciali. Come potete promuovere una adeguata sinergia e collabora-
zione istituzionale?
La Legge Regionale 38/1998 delega in ultima istanza ai comuni le funzioni di orientamen-
to al lavoro, e le politiche locali della formazione professionale e dell’istruzione nel rispet-
to degli atti di programmazione regionali e provinciali nonché degli atti di indirizzo e coordi-
namento della Regione; i mezzi finanziari per l’esercizio delle funzioni delegate vengono
determinati dalla Giunta Regionale nella misura stabilita dalla Legge Regionale di approva-
zione del bilancio di previsione. In questo quadro normativo, la sinergia e la collaborazione
tra gli Enti assume un carattere di assoluta necessità.
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APPENDICE STATISTICA
DATI DALLE FONTI:
UNIONE EUROPEA
UNIONCAMERE SISTEMA EXCELSIOR
INFOCAMERE
ISTAT
OSSERVATORIO MDL MINISTERO DEL LAVORO
OSSERVATORIO MDL PROVINCIA DI ROMA
EURES PER UPI LAZIO
CER PER CNA LAZIO
DOXA PER CAMERA DI COMMERCIO ROMA
RETECAMERE PER CAMERA DI COMMERCIO ROMA
SWG PER CONFARTIGIANATO
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