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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Novembre 2009 Paper numero 95 Marco BERGAMASCHI ANALISI AMBIENTALE DELLA CINA E STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Novembre 2009

Paper numero 95

Marco BERGAMASCHI

ANALISI AMBIENTALE DELLA CINAE STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE

DELLE IMPRESE ITALIANE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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ANALISI AMBIENTALE DELLA CINA E STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE

DELLE IMPRESE ITALIANE

di Marco BERGAMASCHI

Dottorando in Economia Aziendale Università di Brescia

Indice

1. Premessa ................................................................................................... 1

2. Per l’analisi ambientale della Repubblica Popolare Cinese. Introduzione ................................................................................................. 2

3. Le variabili esogene dell’ambiente-Cina................................................ 5

3.1. La variabile politico-istituzionale ....................................................... 5

3.1.1. La Repubblica Popolare di Cina (1949-2009)........................ 5 3.1.2. L’ordinamento giuridico ......................................................... 9

3.2. La variabile demografica................................................................... 10

3.3. Produzioni e tecnologia..................................................................... 12

3.3.1. I settori economici ................................................................. 12 3.3.2. La tecnologia......................................................................... 14

3.4. La variabile finanziaria ..................................................................... 16

3.5. La nuova ricchezza e la propensione al consumo ............................. 17

3.5.1. Struttura e tipologie dell’imprenditoria cinese .................... 17 3.5.2. I processi di consumo ............................................................ 18

3.6. WTO e rapporti internazionali .......................................................... 21

4. La localizzazione delle imprese estere in Cina .................................... 25

4.1. Le variabili culturali nazionali .......................................................... 25

4.2. I profili quantitativi degli investimenti esteri in Cina ....................... 26

4.3. Le strategie di localizzazione ............................................................ 29

5. Conclusioni ............................................................................................. 33

Bibliografia ................................................................................................. 35

Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane

1

1. Premessa

Il fenomeno della globalizzazione dei mercati ha comportato il progressivo incremento di eventi e attori sul piano della concorrenza. Tale processo –tutt’ora in atto- è il fattore determinante della crescita del commercio mondiale e, conseguentemente, della iper-concorrenzialità in settori un tempo dominati da imprese locali.

Per fare fronte all’incremento del grado concorrenziale dei mercati causato in larga parte dalle economie dei Paesi emergenti, le imprese occidentali hanno dovuto adeguare le proprie strategie ai mutati scenari internazionali. Questo fenomeno prende il nome di <glocalizzazione>, termine mutuato dalla sociologia con il quale, -in una logica strategico-aziendale- si vuole designare una sintesi fra <pensiero globale>, conscio delle variabili economiche internazionali, e <agire locale>, correlato al contesto storico e sociale nel quale l’impresa vive e opera1.

In tale logica, la tensione strategica derivante dalla sapiente combinazione di volizione, lungimiranza nell’antivedere esattamente gli stati futuri e nell’operare per conseguirli2, si declina peraltro sempre più spesso nell’internazionalizzazione dell’impresa, talvolta per il mantenimento di posizioni competitive acquisite, talaltra per la conquista di nuove quote di mercato.

In particolare, la prassi strategica deve anticipare l’esogeneità futura e prevedere -mediante adeguati investimenti- l’opportuna posizione dell’impresa in nuovi mercati di Paesi in via di sviluppo. Fra questi, in ragione del costante incremento della propria economia e della competitività delle proprie imprese, assume una posizione di assoluto rilievo la Repubblica Popolare Cinese. Questo Paese, a muovere dal 1980, ha conosciuto una duratura fase di riforme legate a privatizzazioni e liberalizzazioni del mercato che, unitamente al fattore della popolazione più numerosa del mondo, ha comportato uno sviluppo economico senza precedenti. Grazie al superamento delle pastoie dell’ideologia marxista, il governo cinese è riuscito ad incoraggiare l’imprenditorialità non solo mediante il fenomeno della privatizzazione delle imprese statali e collettive, ma anche attraverso adeguate agevolazioni legislative e fiscali per gli investitori stranieri.

L’accresciuta partecipazione ai mercati globali della Cina si innesta peraltro nel più ampio fenomeno dello <spostamento> del baricentro del

1 Z. BAUMAN, Globalizzazione e glocalizzazione, Roma, Armando Editore, 2005. 2 A. CANZIANI, La strategia d’impresa nelle sue fondazioni critiche, in AA.VV.,

Scritti in onore di Isa Marchini, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 159-190.

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sistema economico mondiale dai Paesi occidentali alle nuove economie emergenti (Russia, India e Indocina).

Infatti, a parte il Giappone che si trova in una fase di stasi economica perdurante ormai da almeno un decennio, l’Asia orientale è certamente fra le aree più dinamiche del pianeta, e l’economia cinese, al centro di questa zona, si rivela di estremo interesse per i seguenti tre motivi: i) si è affermata come la più importante <piattaforma> manifatturiera; ii) vi vengono attuati processi di consumo sempre più marcatamente occidentali; iii) le imprese cinesi hanno significativamente incrementato la competitività sia propria, sia globale.

Con questo lavoro si intende offrire una sintetica analisi ambientale della Cina sulla base delle principali variabili esogene che ne caratterizzano il sistema economico3. Di conseguenza, si propongono alcune riflessioni sulle più convenienti strategie di localizzazione che le imprese estere e, in particolare italiane, possono attuare in Cina, talvolta finalizzate al perseguimento di economie di scala o, quantomeno, di riduzione dei costi operativi, talaltra volte alla ricerca di nuovi mercati ove poter classare i propri prodotti.

2. Per l’analisi ambientale della Repubblica Popolare Cinese. Introduzione

Dal 1978, si è assistito nella Repubblica Popolare Cinese ad una complessa e graduale serie di riforme che ha comportato processi di liberalizzazione e privatizzazione dell’economia del Paese; da allora la maggiore fonte della crescita cinese è stata la domanda interna, specialmente i consumi privati, e gli investimenti fissi (cfr. tab. 1; fig. 1).

Mentre i primi sono stati sostenuti dalla crescita del reddito pro-capite e dalla massiccia migrazione dalle zone rurali alle zone urbane, i secondi invece sono aumentati grazie alle politiche infra-strutturali del governo, all’afflusso di capitali dall’estero e all’elevata disponibilità di credito interno.

3 A. CANZIANI, La strategia aziendale, Milano, Giuffrè, 1984.

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Tabella 1. – Principali indicatori dell’economia cinese (2007)

Fonte: www.fdi.gov.cn, 2007.

Figura 1. – Sviluppo dell’economia cinese (2001-2006)

Fonte: World Bank – UNCTAD, 2007.

Tra il 1978 e il 2004, nonostante la sostenuta crescita del PIL (nell’anno

della c.d. <open door policy> era di soli 147 miliardi di dollari), si sono avuti tre distinti periodi di <surriscaldamento> dell’economia4.

Il primo periodo riguarda il biennio 1984–1985: il tasso di crescita raggiunge il 15,2% del PIL e conseguentemente, un’inflazione dei prezzi al consumo pari all’8,8%.

Il secondo periodo di surriscaldamento si manifesta nel biennio 1988–1989, nel quale l’inflazione subisce un’accelerazione e i prezzi al consumo aumentano in media del 18,4% all’anno.

Il fenomeno si ripete durante gli anni 1992–1993, con il PIL in crescita di quasi il 14% e i prezzi in aumento del 24%.

4 A. AMIGHINI, S. CHIARLONE, L’evoluzione macroeconomica e l’integrazione

commerciale della Cina, in C. DEMATTÈ, F. PERRETTI (a cura di), La sfida cinese. Rischi e opportunità per l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 164-191.

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Queste ripetute ciclicità economiche sono gli effetti di fenomeni assai differenti. Mentre l’espansione del PIL degli anni Ottanta deriva da un aumento dei consumi, nonché, in senso lato, della domanda interna, l’incremento degli anni Novanta, invece, è frutto dell’accrescimento degli investimenti -prevalentemente di provenienza estera-, concentrati nel settore edile, immobiliare e manifatturiero.

A queste congiunture economiche negative occorre inoltre aggiungere la crisi finanziaria del 2008, crisi dalla quale il sistema economico cinese non è stato immune, ciò dipendendo in particolare dagli ingenti quantitativi di Buoni del Tesoro statunitense sottoscritti dalla Cina5.

Lo sviluppo economico della Cina, secondo gli studi del Fondo Monetario Internazionale6, è in linea con quello che ha caratterizzato l’integrazione economica di altri paesi del Sud–Est Asiatico, come quanto è accaduto al Giappone durante il decennio 1960-1970; tuttavia, la potenzialità del fenomeno economico cinese risiede nella sua dimensione: a un tasso di crescita del PIL costante e sostenuto, la Cina potrebbe ceteris paribus superare il PIL statunitense entro il 2050 (cfr. fig. 2).

Figura 2. – Prodotto Interno Lordo della Cina (1990-2013)

Fonte: International Monetary Fund, 2007.

5 Cfr. R. C. ALTMAN, The great crash, 2008, in <Foreign Affairs>, 88, 1, 2009, pp. 2-

14; 6 Cfr. F. LEMOINE, L’economia cinese, Bologna, Il Mulino, 2005; FMI, World

economic outlook, 2009.

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In tema di sostenibilità nel lungo periodo della crescita economica cinese (2009 – 2020), occorre muovere da quanto pianificato durante il sedicesimo Congresso del partito comunista (novembre 2002). Si è prefissato l’obiettivo di quadruplicare entro il 2020 il PIL del 2002 mediante l’attuazione del modello di <socialismo di libero mercato>.

Con un tasso medio di crescita probabile del 7%, nel 2020 il peso dell’economia cinese potrebbe raggiungere il 7% nel PIL mondiale; questo dato, per quanto indichi un avanzamento complessivo della Cina, rimarrebbe comunque inferiore a quello degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e del Giappone7. Anche le esportazioni, per quanto in fase di crescita, potrebbero tuttavia subire un naturale rallentamento a causa di una progressiva perdita di competitività dovuta dall’inevitabile apprezzamento dello yuan e dall’accesa concorrenza di altri paesi in via di sviluppo8.

La sostenibilità dello sviluppo cinese può essere peraltro condizionata da alcune difficoltà di ordine strutturale, quali i) l’incremento del differenziale fra redditi rurali e redditi urbani, ii) i danni all’ambiente derivanti dall’inquinamento causato dalle attività produttive iii) la disoccupazione come conseguenza della privatizzazione delle imprese di Stato (SOE), iv) la necessità di riforme dei sistemi assistenziale, pensionistico e previdenziale, dovuta al costante trend di invecchiamento della popolazione, con conseguente aumento del deficit pubblico9.

3. Le variabili esogene dell’ambiente-Cina

3.1. La variabile politico-istituzionale

3.1.1. La Repubblica Popolare di Cina (1949-2009)

La guerra civile scoppiata tra i comunisti di Mao Zedong e il Guomindang del maresciallo Chiang Kai-shek si conclude nel 1949 con la

vittoria dei primi e la fuga dei nazionalisti sull’isola di Formosa (Taiwan)10

.

Il partito comunista, ora giunto al potere11

, promulga la legge di riforma agraria del 28 giugno 1950 allo scopo di redistribuire le terre ai contadini e

7 M. WEBER, Welfare, environment and changing US-Chinese relations: 21st century

challenges in China, Cheltenham, Edward Elgar, 2004. 8 Cfr. L. LIPSCHITZ, C. ROCHON, G. VERDIER, A real model of transitional growth

and competitiveness in China, International Monetary Fund, Working Paper 08/99, 2008. 9 Cfr. A. BOLTHO, China – Can rapid economic growth continue?, Milano, ISESAO

Working Papers, 2003; M. WEBER, Il dragone e l’aquila. Cina e USA la vera sfida, Milano, Università Bocconi Editore, 2005.

10 E. COLLOTTI PISCHEL, Storia della rivoluzione cinese, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 440-441.

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assicurare un minimo di un sesto di ettaro ad adulto. Inoltre, almeno inizialmente, la dirigenza del partito tratta con la borghesia chiamata a gestire la ricostruzione dell'apparato industriale: in tal modo, già nel 1952 i principali settori industriali hanno una produzione superiore al periodo prebellico, nonostante l'intervento militare cinese in Corea che distrae risorse al risanamento economico. Tuttavia, nel biennio 1955-1956 vengono totalmente collettivizzati i settori agricolo e industriale a scapito della <classe borghese> e dell’iniziativa privata.

Viene istituita anche una commissione statale per la pianificazione, con lo scopo di elaborare un sistema di contabilità pubblica nazionale mutuato direttamente dall'URSS. Il primo piano quinquennale (1953-1957) è infatti del tutto simile al modello sovietico, modello che peraltro resta negli anni seguenti il punto di riferimento per la dirigenza cinese.

Durante questo periodo, il sistema economico cinese si sviluppa rapidamente, specialmente nel settore dell'industria pesante12, grazie ai finanziamenti e ai consistenti aiuti tecnici ed economici provenienti dall'URSS e dai paesi dell'Est europeo. Al termine del primo piano quinquennale, la Cina ha ormai orientato il proprio commercio verso il blocco dei paesi comunisti tanto da effettuare con loro più di due terzi dei propri scambi con l'estero.

Tuttavia, a muovere dal 1956 il dissenso tra Cina e URSS accresce a causa della politica di distensione che Chruscev, allora Segretario generale del partito comunista dell’Unione Sovietica, inaugura nei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti. Dopo i viaggi del Presidente americano Nixon a Mosca e dello stesso Chruscev negli Stati Uniti, l'URSS ritira il proprio sostegno diplomatico, militare e tecnico alla Cina.

Nel 1958, l’ottavo Congresso del partito comunista avvia la politica del <Grande balzo in avanti>, sintetizzata nello slogan “colmare il divario con l'Inghilterra in quindici anni”, sulla base dei seguenti temi ideologici: i) la liberazione dell'energia delle masse, ii) l'emancipazione degli spiriti, iii) la fine della burocrazia, iv) il rifiuto di modelli esterni.

Inoltre, poiché a conclusione del piano quinquennale si rende chiaro che il duplice ostacolo allo sviluppo economico è da un lato l'eccessiva penuria di capitali, dall'altro l'abbondanza di manodopera che l'industria pesante non è in grado di assorbire se non parzialmente, nell'agosto 1958 Mao costituisce il movimento delle comuni popolari. Le comuni raggruppano le cooperative agricole e diventano l'unità di base dell'amministrazione rurale, con il compito di organizzare il lavoro nelle campagne. Le comuni si

11 L’assemblea elesse Mao Zedong Presidente della Repubblica, Liu Shaoqi Presidente

del Comitato permanente e Zhou Enlai Primo Ministro del Consiglio degli Affari di Stato. 12 J. CHESNEAUX, La Cina contemporanea, Bari, Laterza, 1975, pp. 448-450.

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articolano in <brigate di produzione> e in <squadre>, e possono comprendere all'incirca duemila famiglie13; al loro interno vengono aboliti il libero mercato e la proprietà privata dei terreni precedentemente assegnati con la riforma agraria del 1950.

Poiché la distribuzione del surplus viene calcolata a livello di ciascuna <comune>, a prescindere cioè dalla produttività delle singole brigate, l’assenza di qualsivoglia tipo di incentivo economico per aumentare la produzione agricola comporta che quest’ultima, tra il 1958 e il 1960, diminuisce a tal punto da creare una grave e generalizzata situazione di carestia. In questo periodo, secondo le autorità cinesi, le vittime della malnutrizione vengono stimate in 10-15 milioni di individui.

Nel maggio 1966, alcuni dirigenti appartenenti alla corrente conservatrice del partito comunista reclamano un’epurazione di tutti gli elementi <borghesi> del partito stesso. Nell’agosto dello stesso anno, l’undicesimo plenum del Comitato Centrale approva gli obiettivi della <Rivoluzione culturale>, fra cui la lotta al capitalismo e la costituzione di gruppi, comitati e congressi della Rivoluzione, eletti mediante un sistema di elezione simile a quello della Comune di Parigi. Inoltre, sorge il movimento delle <guardie rosse> (giovani partigiani di Mao), dapprima a Pechino e poi in tutta la Cina14.

Accolto inizialmente con favore, il movimento provoca tuttavia rivolte e scontri in tutto il Paese: solo l’intervento dell’esercito per proteggere gli impianti industriali e le amministrazioni pubbliche consente di ristabilire l’ordine.

Superate le tensioni politiche causate dalla Rivoluzione culturale, nel 1975 Deng Xiaoping, allora vicepresidente del Comitato Centrale del partito, presenta un programma teso allo sviluppo industriale, ad una gestione virtuosa delle imprese pubbliche e all’importazione di tecnologia, con l’obiettivo di un costante miglioramento delle condizioni materiali di vita della popolazione15.

Nonostante questo primo tentativo di riforma, i principi dell’economia pianificata restano sostanzialmente invariati. I prezzi e i salari sono ancora fissati per via amministrativa; la quasi totalità dei complessi industriali è di proprietà dello Stato; il sistema bancario si riduce a una sola banca (Banca Popolare di Cina), le cui filiali controllano la contabilità delle imprese e la conformità delle loro operazioni al piano; gli scambi commerciali con

13 C. BETTELHEIM, L’organizzazione industriale e la rivoluzione culturale in Cina,

Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 53–57. 14 E. MASI, Breve storia della Cina contemporanea, Bari, Laterza, 1979, pp. 104-106. 15 M. C. BERGERE, La via cinese, in Storia economica e sociale del mondo, Bari,

Laterza, 1979, vol.VI, pp. 583–584.

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l’estero sono esercitai in regime di monopolio di alcuni enti, dipendenti dal Ministero per il commercio.

Tuttavia, a muovere dal 1978, grazie alla politica di Deng Xiaoping16, il Comitato Centrale del partito approva la prima fase di liberalizzazione economica. Questa riforma è comunemente nota con il termine di <Politica della porta aperta>, e si declina nelle c.d. <quattro modernizzazioni>: i) agricoltura, ii) industria, iii) difesa, iv) scienza. Pertanto, nel settore agricolo si assiste ad una progressiva decollettivizzazione delle campagne: innanzitutto, vengono soppresse le comuni popolari e le quote obbligatorie di raccolto gravanti su ciascun nucleo familiare; in secondo luogo, i terreni agricoli vengono suddivisi e assegnati a ciascuna famiglia (household responsibility system).

Mentre la fase iniziale delle riforme concerne essenzialmente il settore primario, durante la seconda metà degli anni Ottanta le riforme riguardano in particolar modo il settore industriale. Nell’ottobre 1984 il Comitato Centrale del partito opta per un <sistema misto> nel quale coesistono pianificazione e libero mercato. In tal senso, vengono decisi la liberalizzazione dei prezzi, del commercio con l’estero e una maggiore autonomia gestionale delle imprese (ad esempio, gli stipendi dei dirigenti possono venire collegati con gli utili conseguiti dall’impresa, allo scopo di incentivarne la produttività). Al termine dello stesso anno viene ampliato a 14 città costiere il sistema di <zone economiche speciali>, volto a incoraggiare gli investimenti esteri e acquisire nuova tecnologia.

L’intensificarsi degli scambi commerciali e finanziari e la crescita degli investimenti diretti esteri determinano la rapida integrazione del Paese al sistema economico mondiale: di tale fenomeno è espressione l’adesione della Cina al Fondo Monetario Internazionale (1980), alla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (1980) e all’Ufficio Internazionale del lavoro (1983).

Nel 1988, nonostante l’introduzione di una serie di misure di riaggiustamento per rettificare il disavanzo del commercio estero e per ricostituire le riserve in valuta, si avvia una fase di crisi economica, sociale e politica, causata dalla nuova liberalizzazione dei prezzi che comporta un rialzo improvviso di rincari dal 24 al 50%. I disagi della popolazione sfociano nella manifestazione del 16 e 17 maggio 1989 di piazza Tian an men, repressa nel sangue dall’esercito. L’eco mediatico che ottiene questo fatto conduce alla rottura delle relazioni diplomatiche con Stati Uniti ed Europa e, conseguenetmente, all’isolamento politico ed economico della Cina durante il biennio 1989-1991.

16 Celebre il motto attribuito a Deng Xiaoping: ”Non è importante di che colore sia il

gatto, se bianco oppure nero, purché però acchiappi i topi”.

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Il rilancio del processo di riforma avviene nell’autunno del 1992, quando il quattordicesimo Congresso del partito indica quale obiettivo finale che deve essere perseguito, la c.d. <economia socialista di mercato>.

Infine, nel corso degli anni Novanta, si assiste alla privatizzazione di numerosi complessi industrial-finanziari di proprietà dello Stato e, di conseguenza, nel 1994, all’entrata in vigore della legge sulle società commerciali e della legge di riforma degli istituti di credito.

Così riformato, il sistema bancario cinese si fonda pertanto sulla banca centrale (Banca Popolare di Cina), alla quale vengono affidate le politiche monetarie del Paese, su quattro grandi banche commerciali (Banca dell’Agricoltura, Banca Industriale e Commerciale, Banca di Cina e Banca della Costruzione), e su tre istituti di nuova costituzione (Banca di Sviluppo, Banca di Sviluppo Agricolo, Banca di Import-Export).

Dal dicembre 1990 vengono istituite le Borse-Valori di Shanghai e Shenzhen, alle quali occorre affiancare quella di Hong Kong, dopo la riunificazione della ex colonia con la Cina nel 1997.

3.1.2. L’ordinamento giuridico

Sinteticamente, con riguardo all’ordinamento dello Stato, la Repubblica Popolare Cinese, proclamata il giorno 1 ottobre 1949, si fonda sulla Carta Costituzionale promulgata il 4 dicembre 1982, in base alla quale il Partito Comunista detiene una preminenza assoluta.

Organo supremo del potere statale è l’Assemblea nazionale del Popolo, i cui 2979 membri vengono eletti per un periodo di cinque anni, dalle province, dalle regioni autonome, dalle municipalità e dalle Forze Armate.

L’Assemblea nazionale del Popolo si riunisce di regola una volta all’anno, ma al suo interno si forma un Comitato permanente, composto da centocinquantacinque membri, che ne esercita le funzioni negli intervalli fra le sessioni. L’Assemblea elegge inoltre il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro e il Consiglio di Stato (che svolge la funzione esecutiva), ed esercita il potere legislativo.

Nonostante l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’ordinamento giuridico cinese sconta ancora l’insufficiente radicamento della c.d. <rule of law>, ossia della certezza del diritto e del rispetto –anche da parte dello stesso legislatore- di regole predeterminate. In altre parole, non sussiste ancora la piena attuazione del principio gerarchico delle fonti normative e del principio della ripartizione delle competenze fra poteri dello Stato17. In particolare, la magistratura non è dotata della

17 Cfr. P. GEWIRTZ, Indipendence and accountability of courts, Yale papers, 2002, pp. 1-29; L. HUANG, Code, custom and legal practice in China, Stanford, Stanford University Press, 2001.

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necessaria indipendenza rispetto al potere esecutivo, e ciò in ragione del principio della unitarietà del potere pubblico, tipico dei regimi comunisti.

Un ulteriore vulnus dell’ordinamento giuridico cinese consiste nel differente trattamento legislativo riservato -talora in pejus- agli investitori stranieri in determinati settori dell’economia nazionale. Inoltre, l’eccessiva frammentazione della pubblica amministrazione comporta forme di superfetazione legislativa, interpretazioni della legge sovente arbitrarie e regolamentazioni relative a stesse attività, diverse da zona a zona.

Tuttavia, a muovere dagli anni Novanta, la produzione legislativa è stata finalizzata all’adeguamento del diritto civile e commerciale cinese rispetto ai sistemi giuridici occidentali; si ricordano, fra le altre, le seguenti leggi: assicurazioni (1995), banche commerciali (1995), imprese societarie (1997), contratti (1999), trust (2001)18. Tale modernizzazione in campo legislativo è certamente frutto del fiorire nelle facoltà di giurisprudenza cinesi, di numerosi studi sul diritto romano e sulla tradizione giuridica dell’Europa continentale. Ciò ha permesso una continua e stimolante comparazione fra sistemi giuridici afferenti all’area <civil law> e ordinamento della Repubblica Popolare Cinese.

3.2. La variabile demografica

Nel 1953, in occasione del primo censimento del regime comunista, la popolazione è di 594 milioni; al censimento del 6 gennaio 2005 essa ammonta a 1 miliardo e 300 milioni di abitanti. Una misura governativa volta a controllare l’aumento demografico è stata la c.d. <politica del figlio unico>, iniziatasi nel 1979 e consistente in un regime di favor nei confronti del figlio unico (gratuità della scuola e delle cure mediche) o, viceversa, di sanzioni (multe, ritenute salariali, sterilizzazioni) in caso di nascita del secondo figlio. Il tasso di natalità, al 34‰ nel 1970, si è in tal modo ridotto al 12,3‰ nel 2004; tuttavia, la popolazione cinese, tenuto conto di un ridotto tasso di mortalità (6,4‰ nel 2004) e di un aumento della speranza di vita (70 anni per i maschi e 73 per le donne), registra comunque una crescita annua dello 0,9% (1998 – 2003).

18 Cfr. X. GUOJIAN, Contract in chinese private international law, in <The

International and Comparative Law Quarterly>, 1989, 38, 3, pp. 648-653; M. TIMOTEO, Il contratto in Cina e Giappone nello specchio dei diritti occidentali, Padova, CEDAM, 2004; L. FORMICHELLA, G. TERRACINA, E. TOTI (a cura di), Diritto cinese e sistema giuridico romanistico. Contributi, Torino, Giappichelli, 2005; G. CRESPI REGHIZZI, I contratti e la proprietà in Cina, in Atti del Convegno <Un ponte verso la Cina>, Milano, Università Bocconi, 14 settembre 2005; H. SHIYUAN, Liabilities in contract law of China: their mechanism and point of dispute, in <Front Law China>, 1, 2006, pp. 121-152; L. MOCCIA, Il diritto in Cina. Tra ritualismo e modernizzazione, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.

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Nonostante il propagarsi di alcune malattie (epatite, tubercolosi, AIDS e SARS, <Severe Acute Respiratory Syndrome>) che hanno posto in luce i limiti e l’inefficienza del sistema sanitario nazionale, le condizioni materiali di vita sono migliorate: a riprova di questo, si riporta un ulteriore indicatore sociale, cioè il numero di calorie per abitante al giorno che è considerevolmente aumentato (nel 1977 è di 2000 calorie, ora è di 2951 calorie).

Il livello di educazione denota un progresso dovuto in larga parte al ricambio generazionale; il numero di analfabeti nel 2007 è pari al 9% della popolazione di età superiore ai 6 anni, contro il 16% del 1990. La diffusione dell’insegnamento superiore è piuttosto ridotta (6% circa) e la stessa spesa pubblica (2,5% del PIL) per l’istruzione accusa un ritardo della Cina rispetto ad altri paesi asiatici come India e Thailandia (rispettivamente 3,5% e 4,5% del PIL).

Il territorio cinese è suddiviso in ventidue province, cinque regioni autonome e quattro municipalità (Shanghai, Tianjin, Pechino e Chongqing). Circa i quattro quinti dell’intera popolazione vive su meno della metà del territorio. Le province costiere riguardano soltanto il 12% del territorio ma in esse vive il 42% della popolazione; nelle province centrali (30% del territorio) vive il 35% della popolazione; il restante 23% vive nella parte occidentale, che corrisponde al 57% del territorio. Il disequilibrio demografico esistente in Cina è dovuto a un processo di inurbazione tardivo, conseguenza del take-off del sistema economico cinese, ossia del passaggio da un’economia basata sul settore primario, allo sviluppo dei settori secondario e terziario19.

Tale differenziale demografico è inoltre acuito dal grado di sperequazione dei redditi raggiunto fra metropoli (in particolare, Pechino e città della costa sud-orientale) e zone rurali (località montuose o isolate) specialmente nelle province del sud–ovest (altopiano del Tibet) e del nord-ovest (Mongolia interna), ove gli effetti dello sviluppo economico sono nulli o irrisori.

Si stima che la porzione di popolazione con un reddito sufficiente ad acquistare beni di importazione, per condurre una vita di tipo occidentale, non ammonti a più di 30 milioni di persone: di tale classe sociale fanno tipicamente parte le alte cariche dirigenziali dello Stato e delle imprese

19 Cfr. D. BHATTASALI, S. LI, W. MARTIN, China and the WTO. Accession, Policy

Reform, and Poverty Reduction Strategies, Washington, World Bank and Oxford University Press, 2004; J. G. MONTALVO, M. RAVALLION, The pattern of growth and poverty reduction in China, World Bank, Policy Research Working Paper, 1, 2009.

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pubbliche, i dirigenti delle imprese straniere, gli imprenditori privati, alcuni esponenti delle professioni liberali20.

3.3. Produzioni e tecnologia

3.3.1. I settori economici

Con riferimento al settore primario, la superficie coltivata è meno di un sesto dell’intero territorio, e continua costantemente a ridursi per effetto dei processi di inurbazione e industrializzazione. Il suolo è arativo solo per il 14,5%; la restante parte è ricoperta di boschi per il 17,5%, rimane incolta per il 25,1% ed è a carattere prativo per un abbondante 42,9%.

Fra le principali produzioni agricole occorre rammentare anzitutto il riso, per il quale la Cina è il primo produttore mondiale e la cui coltivazione è diffusa prevalentemente nelle regioni meridionali. L’agricoltura cinese si colloca inoltre al vertice della produzione mondiale di frumento (coltivato nella piana dello Huang He), cereali, patate, arachidi, tabacco e frutta.

La Repubblica Popolare Cinese è inoltre il maggiore produttore di cotone (circa 6.5 milioni di tonnellate annue), seguita da Stati Uniti (5.2 milioni di tonnellate), India, Pakistan e Uzbekistan. Nonostante tale primato, la Cina si pone tuttavia anche come principale importatore di questa fibra, dal momento che ne consuma annualmente circa 10 milioni di tonnellate.

I rendimenti dell’agricoltura cinese sono elevati in quanto viene fatto ricorso intensivo ai concimi (specie chimici) e ad impianti di irrigazione che coprono larga parte (circa il 60%) della superficie coltivata.

La trasformazione della struttura della produzione agricola, e il relativo arretramento delle colture (specialmente cereali), hanno contribuito all’aumento dell’allevamento. La Cina è prima a livello mondiale per numero di ovini (157 milioni e 330 mila capi), di caprini (183 milioni e 363 mila capi), di suini (473 milioni circa di capi), di cavalli ed equini (20 milioni circa di capi) e di volatili (quasi 5 miliardi di capi)21.

La Cina si pone ai vertici mondiali anche per quanto concerne le risorse energetiche e minerali. Le riserve di carbone ammontano a 114 miliardi di tonnellate, pari al 12,5% del totale mondiale, e per questo motivo tale materia viene esposrtata per un valore pari a 2 miliardi e 760 milioni di dollari (2003). Le riserve di petrolio e di gas naturale sono invece significative (rispettivamente il 2,3% e lo 0,9% del totale mondiale), ma tuttavia non illimitate.

20 J. AZIZ, L. CUI, Explaining China’s low consumption: the neglected role of

household income, International Monetary Fund, Working Paper 07/181, 2007. 21 Cfr. FMI, World economic outlook, 2009.

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Con riguardo poi al settore secondario, Il sistema industriale cinese al 2006 comprende circa 8.600 gruppi di imprese, dai quali deriva circa il 45% dell’intero prodotto, 150.000 imprese di piccole dimensioni, le quali producono circa il 40% e, infine, 12.500 imprese di medie dimensioni che concorrono per il 13%. Si esclude da questo calcolo la miriade di micro–imprese, locate principalmente nelle zone rurali, pari a 6-7 milioni.

Sotto un altro punto di vista, il tessuto produttivo è composto da imprese statali, imprese cinesi private e imprese a capitale straniero.

Le imprese statali (State Owned Enterprises, SOE) sono tuttora rilevanti, in quanto nel 2006 realizzavano ancora circa il 40% del PIL industriale; in taluni settori queste operano peraltro in regime di monopolio come, ad esempio, nel mercato del tabacco, o sono presenti in misura predominante come nei settori che necessitano di ingenti investimenti, quali l’energetico, il chimico e petrolchimico, il siderurgico.

Le altre imprese cinesi contribuiscono per il 29% al PIL industriale; esse hanno una presenza rilevante nei settori tradizionali del tessile-abbigliamento, del legno, dei giocattoli e dei materiali da costruzione.

Le imprese a capitale straniero (Foreign Invested Enterprises, FIE) svolgono un ruolo sempre più pregnante nella formazione del PIL industriale cinese (nel 2008 è stato pari al 29%). Le imprese straniere provengono prevalentemente da Hong Kong e Taiwan22; la restante parte è frutto degli investimenti di imprese giapponesi, europee e statunitensi. Le imprese a capitale straniero assicurano il 54% della produzione di cuoio e calzature, il 74% del materiale elettronico e per telecomunicazioni, il 58% del materiale per ufficio e l’80% della produzione delle autovetture ad uso privato23 (cfr. tab. 2 e 3).

22 H. CHEN, O. UNTEROBERDOERSTER, Hong Kong SAR economic integration

with the Pearl river delta, International Monetary Fund, Working Paper 8/273, 2008. 23 Y. HUANG, Selling China. Foreign directed investment during the reform era,

Cambridge, Cambridge University Press, 2003.

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Tabella 2. - Import-export delle imprese estere in Cina (1986-2007)

Fonte: www.fdi.gov.cn, 2007.

Tabella 3. – Indicatori economici sulle imprese a capitale straniero (2007)

Fonte: www.fdi.gov.cn, 2007.

Infine, in quanto economia in transizione, il settore terziario della Cina –e

precisamente il bancario, l’assicurativo e la consulenza- non è ancora adeguatamente sviluppato; pesano su questo i numerosi vincoli di carattere fiscale e legislativo che impongono restrizioni agli investimenti stranieri.

3.3.2. La tecnologia

Nel 1986, il governo cinese avvia un programma di ricerca e sviluppo dell’alta tecnologia, denominato <piano 863>, relativo ai seguenti settori

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scientifici: biologia, volo spaziale, informatica, laser, automazione, energie, nuovi materiali, tecnologia oceanica. Grazie a questo programma, la Cina ha compiuto ingenti investimenti statali, con lo scopo di ridurre il divario tecnologico e scientifico con i Paesi Occidentali e il Giappone.

In particolare, rilevanti traguardi sono stati ottenuti nei campi dell’informatica, con la progettazione di elaboratori elettronici ad alte prestazioni, delle biotecnologie (ad esempio, la coltura di vegetali con proprietà terapeutiche per la produzione di nuovi medicinali), dell’aeronautica spaziale (nel 2003, con la missione <Shenzhou 5>, la Cina diviene il terzo Paese della comunità internazionale ad inviare un uomo nello spazio).

Inoltre, la continua espansione degli investimenti esteri sul territorio della Repubblica Popolare Cinese, specialmente quelli provenienti da Stati Uniti, Giappone e Unione Europea, ha avuto l’effetto di innalzare il livello tecnologico del Paese. I principali settori ove si sono sviluppate eccellenze in campo tecnologico sono quelli chimico e petrolchimico, biomolecolare, militare, aerospaziale, delle telecomunicazioni e mass-media.

Tuttavia, nonostante gli sforzi finora compiuti, solo una parte del territorio (circa il 10%) è coperta da servizi telefonici. In crescita gli utenti di internet (circa 90 milioni), per quanto tale fenomeno sconti il controllo governativo delle informazioni sul web.

Con riguardo infine al settore dei trasporti, il governo cinese ha compiuto numerosi investimenti per la costruzione di nuove infrastrutture.

Ad esempio, nel 2006 è stata inaugurata la linea ferroviaria Pechino-Lhasa che collega la capitale al Tibet ed è percorsa da treni speciali ad elevato contenuto tecnologico, per fare fronte alle asperità del suolo, del clima, nonché alle differenze di altitudine. E ancora, si è conclusa nel 2008 la costruzione del ponte a campata denominato <Hangzhou Bay Bridge>, un viadotto sul mare lungo 36 chilometri, la cui struttura a sei corsie in cemento e acciao consente un rapido collegamento fra Shanghai e la zona industriale di Ningbo.

Per quanto tali opere pubbliche siano significative del livello tecnologico raggiunto nel campo della logistica, occorre tuttavia aggiungere che tale settore appare ancora inadeguato rispetto alle esigenze del mercato e, in particolare, ai volumi di merce movimentati24.

24 S. VETTORI, Logistica: uno sviluppo senza precedenti, in M. WEBER (a cura di),

La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande mercato del mondo, Milano, Olivares, 2005, pp. 197-232.

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3.4. La variabile finanziaria

Seppur in modo diminuito nel corso dell’ultimo decennio, il sistema bancario cinese alimenta un eccesso di liquidità dovuto preminentemente dagli ingenti depositi dei privati (i processi di risparmio-investimento riguardano circa al 40% del reddito medio pro-capite): ciò comporta facilità di accesso al credito, e, talvolta, l’allocazione di capitali in attività non redditizie o eccessivamente rischiose25.

Infatti, le quattro banche di Stato26 perseverano nel concedere credito a imprese statali27 i cui bilanci di esercizio sovente si chiudono in perdita, in base a considerazioni di carattere meramente clientelare o politico: l’effetto è altresì di rallentare i progressi sul fronte di una riforma del sistema finanziario e aumentare le probabilità di prestiti a rischio di insolvenza28.

La necessità di una riforma del sistema bancario è evidenziata dalla discriminazione contro la quale lotta il settore privato: le banche concedono prestiti alle imprese private con maggiore difficoltà e tassi più onerosi rispetto alle aziende pubbliche.

Sotto il profilo dei cambi internazionali di valuta, la variabile finanziaria è influenzata dall’ancoraggio dello yuan al dollaro con un tasso di cambio fissato all’interno di una <banda stretta>. Questa situazione genera un eccesso di offerta di valuta che deve venire assorbito dalla Banca Centrale per difendere il cambio, con l’effetto di un aumento della liquidità interna.

Con riferimento infine agli investimenti diretti esteri (IDE), gli Stati Uniti (anno 2007) sono il primo investitore (se non si considera Hong Kong) prima di Giappone, Unione Europea e Taiwan. La maggior parte degli IDE diretti nel paese viene destinata ad aprire nuove imprese: si tratta di investimenti detti <greenfield>, volti a incrementare la capacità produttiva del Paese29.

25 Cfr. L. SAU, La struttura del sistema finanziario in Cina, Torino, Dipartimento di

Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 7, 2008; L. SAU, Gradualism and the evolution of the financial structure in China, Torino, Dipartimento di Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 3, 2009.

26 Le banche statali sono le seguenti: Agricultural Bank of China (Abc), Bank of China (Boc), Industrial and Commercial Bank of China (Icbc), China Construction Bank (Ccb).

27 Cfr. A. ZHANG, China’s State-Owned Enterprises: prepare for a turbulent flight, in <European Business Forum>, 15, 2003; M. WEBER, Il dragone e l’aquila, 2005, pp. 47-50.

28 Cfr. R. PODPIERA, Progress in China’s Banking sector reform: has bank behavior changed?, International Monetary Fund, Working Paper 06/71, 2006; D. DOLLAR, S. J. WEI, Das (wasted) kapital: firm ownership and investment efficiency in China, International Monetary Fund, Working Paper 07/9, 2007.

29 J. CLEGG, S. KAMALL, W. M. LEUNG, The shaping of European firms’market entry strategies in the People’s Republic of China: the case of telecommunications, Milano,

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3.5. La nuova ricchezza e la propensione al consumo

3.5.1. Struttura e tipologie dell’imprenditoria cinese

Numerose imprese cinesi, sovente ignorate dalle rivali asiatiche, europee e statunitensi, hanno prodotto marchi che, gradualmente, hanno occupato posizioni di leadership nel mercato mondiale. Nel 2002 ad esempio, Haier Group – produttore mondiale di elettrodomestici – ha conquistato circa la metà del mercato statunitense dei piccoli frigoriferi; l’anno seguente, Guangdong Galanz – che produce a livello globale il 30% dei forni a microonde – ha raggiunto la quota del 40% del mercato europeo30.

Da una decina d’anni, si assiste peraltro ad una nuova generazione di società <ibride>, che comprendono investitori pubblici, privati e perfino stranieri. In Tlc Group per esempio –produttore di televisori e di telefonia mobile– il governo cinese detiene la percentuale di maggioranza delle azioni, affiancato tuttavia da investitori stranieri (Toshiba e Sumitomo) e privati (il management della società stessa). Tlc Group non è un caso isolato: anche altre imprese possono essere classificate come a partecipazione pubblica ma non gestite dal governo. Inoltre, recenti interventi legislativi hanno concesso anche alle aziende pubbliche di accedere al mercato azionario, sicché, grazie alla quotazione in Borsa, queste hanno assunto partecipazioni di controllo in altre società, costituendo in tal modo gruppi di imprese.

Secondo la letteratura anglosassone sul tema, si possono individuare quattro tipologie di imprese cinesi: i) i <campioni nazionali>, in posizione di leadership sul mercato domestico e ormai emergenti anche sul piano internazionale; ii) le società di <export>, volte per loro natura ad accedere ai mercati esteri; iii) i <consorzi competitivi>, costituenti unioni di aziende di modeste dimensioni specializzate in determinati settori merceologici; iv) le <startup> tecnologiche, frutto delle innovazioni scientifiche prodotte dagli istituti di ricerca statali31.

Con riguardo alla prima tipologia, si riporta l’esempio di Haier Group, leader nel mercato cinese degli elettrodomestici: produce oltre 250 tipi di frigoriferi, lavapiatti, condizionatori e forni. All’estero si rende competitiva rispetto ad aziende come Whirlpool e General Electric, con particolare riguardo alla produzione di frigoriferi compatti. Dal 2000, questa società ha

ISESAO Papers, 2001; D. MADDALONI, Investimenti diretti in Cina. Politiche pubbliche e valutazioni economico-finanziarie, Milano, Franco Angeli, 2008.

30 M. ZENG, P. J. WILLIAMSON, The Hidden Dragons, in <Harvard Business Review>, 81, 2003, pp. 92-99.

31 Cfr. M. ZENG, P. J. WILLIAMSON, op. cit., pp. 92-99; V. VALLI, The three waves of the fordist model of growth and the case of China, Torino, Dipartimento di Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 5, 2009.

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inoltre costituito un impianto produttivo a Camden (Carolina del Sud) e un centro di progettazione a Los Angeles per la costruzione di celle frigorifere per il vino.

Il gruppo Legend (ora Lenovo), fondato nel 1984 da alcuni ricercatori del China’s Institute of Computing Technology, è il maggiore produttore cinese di Computer e schede-madri (20% del mercato mondiale); nel 2003 Lenovo ha acquistato la divisione computer dell’americana IBM.

In data 22 settembre 2008 il gruppo cinese Zoomlion, produttore di macchinari per l’edilizia ha formalmente concluso l’acquisizione del 100% del capitale di CIFA S.p.A., azienda leader in Europa nella produzione di macchine per l’impasto del calcestruzzo, per un valore pari a 511 milioni di Euro. Questa combinazione aziendale ha creato il maggiore produttore mondiale del settore, con circa 14.000 dipendenti e 1,6 miliardi di Euro di ricavi.

Delle imprese cinesi appartenenti alla seconda tipologia, si può annoverare Pearl River Piano, con sede a Guangzhou, dal 1992 uno dei maggiori produttori di pianoforti al mondo; oppure Cimc (China International Marine Containers), azienda leader nella produzione di container per navi; o, infine, Galanz, che, con un fatturato pari a 1 miliardo di dollari, nel 2002 ha raggiunto la soglia di 15 milioni di forni a microonde commercializzati con oltre 200 marchi in tutto il mondo.

Con riguardo alla terza categoria, in Cina vi è un certo numero di consorzi competitivi, ognuno dei quali composto da centinaia di imprese a carattere prevalentemente familiare, operanti nella medesima area geografica. In via esemplificativa, le famiglie di Wenzhou hanno fondato un consorzio che nel 2002 ha prodotto 750 milioni di accendisigari, conquistando così il 70% del mercato mondiale.

L’ultima tipologia di imprese cinesi, cioè le <startup> tecnologiche, vengono costituite allo scopo di conseguire utili dallo sfruttamento commerciale delle innovazioni tecniche e scientifiche brevettate dai laboratori e centri di ricerca pubblici quali, ad esempio, il China’s Institute of Biochemistry and Cell Biology, che ha riprodotto nel 2000 una sequenza del Dna con 8.000 geni umani.

3.5.2. I processi di consumo

Con particolare riguardo alla categoria dei consumatori cinesi, la Cina si caratterizza per la presenza di una pluralità di mercati <regionali>32.

32 Cfr. G. CUI, Q. LIU, Regional market segments of china: opportunities and barriers

in a big emerging market, in <Journal of Consumer Marketing>, 17, 1, 2000, pp. 55-72; K. LIEBERTHAL, G. LIEBERTHAL, The great transition, in <Harvard Business Review>, 81, 2003, pp. 71-81; Y. CHEN, J. PENHIRIN, Marketing to China’s consumers, in

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In base allo sviluppo economico e al potere d’acquisto dei consumatori è infatti possibile suddividere il territorio del Paese in sette <mercati regionali> raggruppanti ciascuno province contigue tra loro per posizione geografica, economia e cultura. Le sette aree in questione possono venire così ripartite:

1. South China (Guangzhou, Fujian, Hainan, Hong Kong); 2. East China (Shanghai, Zheijiang, Jangsu); 3. North China (Beijing, Tianjing, Hebei, Shandong); 4. Central China (Heann, Anhui, Hubei, Hunan, Jiangxi); 5. Southwest China (Sichuan, Guangxi, Guizhou, Yunan); 6. Northeast China (Heilongjiang, Jilin, Liaoning); 7. Northwest China (Inner Mongolia, Shanxi, Shan’xi, Gansu, Ningxia,

Xinjiang, Quinghai, Tibet).

I primi due segmenti (South e East China) costituiscono i mercati a maggiore crescita, con i più elevati livelli di reddito disponibile e, dunque, di capacità di spesa della popolazione. In particolare, l’area <South China> comprende quattro zone economiche speciali ed è stata la prima regione ad attrarre gli investimenti stranieri. Le province di Guangdong e Hong Kong si sono progressivamente integrate; Fujian attrae notevoli investimenti da Taiwan.

L’area <East China> trova in Shanghai il suo fulcro economico; vasti compendi industriali e commerciali consentono a questa zona di partecipare per il 30% alla produzione industriale del Paese. I consumatori della regione stimati in quasi 200 milioni sono, per cultura e tradizione, i più innovativi e cosmopoliti, attratti dalla moda e dalle tendenze occidentali.

Nella area <North China> si trova Pechino, il centro politico del paese. La sua economia attira molti investitori stranieri per la presenza dei principali enti governativi e per gli ingenti investimenti nel settore delle telecomunicazioni, nella tecnologia informatica e nell’industria farmaceutica.

Nel segmento regionale <Central China> prevale un’economia rurale, peraltro poco sviluppata a causa del clima ostile, che provoca siccità e inondazioni. La zona maggiormente industrializzata si colloca nella periferia della città di Wuhan.

La <Southwest China> è un area caratterizzata da una posizione geografica che rappresenta certamente un limite (essa è di difficile accesso a

<McKinsey Quarterly>, Special Edition, 2004, pp. 62-73; F. MUSSO, F. BARTOLUCCI, A. PAGANO, Competere e radicarsi in Cina, Milano, Franco Angeli, 2005; L. CUI, M. H. SYED, The shifting structure of China’s trade and production, International Monetary Fund, Working Paper 07/214, 2007.

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causa di altipiani, bacini e foreste subtropicali) ma anche un punto di forza, dato che i paesaggi esotici sono meta del turismo e, conseguentemente, causa dello sviluppo del settore alberghiero.

La <Northeast China> è specializzata nell’industria pesante (autovetture, macchinari industriali, settore estrattivo). Tuttavia, le imprese che operano in quest’area, tipicamente a partecipazione pubblica, si caratterizzano per l’utilizzazione di sistemi produttivi obsoleti.

Infine, l’area della Cina nord-occidentale, essendo scarsamente popolata, economicamente arretrata e poco accessibile a causa delle elevate catene montuose e del deserto in continua espansione, è rimasta pressoché esclusa dallo sviluppo economico nazionale. Per tale motivo, il governo centrale ha previsto varie agevolazioni fiscali per incentivare gli investitori stranieri.

Alla luce di quanto osservato, soltanto le aree urbane relative ai segmenti regionali <South China>, <East China>, <North China>, in quanto maggiormente interessate dallo sviluppo economico, presentano una popolazione che percepisce un reddito medio pro-capite significativo se comparato con i processi di consumo tipici dell’Occidente (cfr. fig. 3).

Tuttavia, nonostante in tali regioni si concentri la fascia di popolazione con il maggiore potere di acquisto, occorre precisare ulteriormente. Con riferimento alle tre categorie di consumatori urbani cinesi individuate dalla letteratura economico-aziendale, ciascuna di queste mostra di accordare preferenze peculiari per marche cinesi ed estere.

In primo luogo, il segmento denominato <lower middle class> riguarda circa 160 milioni di persone con una retribuzione annua media pari a 960-1.440 Euro. I processi di consumo di tale categoria sono limitati e strettamente influenzati dalla variabile del prezzo.

In secondo luogo, il segmento dei <white collar workers> comprende circa 300 milioni di persone appartenenti alla <classe media>. Tuttavia, con una retribuzione annua pari a circa 3.600-7.000 Euro, il consumatore di questa categoria, per quanto sia in grado di riconoscere e apprezzare la qualità del prodotto di marca estera, non è in grado di adottare comportamenti di acquisto rilevanti per le imprese occidentali.

In terzo luogo, il segmento <yuppies and aristocrats> riguarda circa 10 milioni di persone la cui retribuzione annua –superiore a 7.000 Euro- consente loro di attuare processi di consumo di tipo <occidentale>, evidenziando fra l’altro, una spiccata propensione verso prodotti di lusso di marche internazionali33.

33 Cfr. K. P. LIANZI, I. ST-MAURICE, C. WU, Symbolic value of foreign products in

the People’s Republic of China, in <Journal of International Marketing>, 11, 2, 2003, pp. 36-58; W. MCEWEN, X. FANG, C. ZHANG, R. BURKHOLDER, Inside the mind of the chinese consumer, in <Harvard Business Review>, 3, 2006, pp. 68-76; I. CASABURI,

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Figura 3. - Distribuzione della ricchezza in Cina (2004)

Fonte: MOFCOM, 2005.

3.6. WTO e rapporti internazionali

L’11 dicembre 2001 la Repubblica Popolare Cinese è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization - WTO), divenendone il 143esimo Stato-membro34. L’adesione della Cina alla WTO, a riconoscimento dei risultati raggiunti per riformare l’apertura dei mercati, è il frutto di un lungo e travagliato percorso iniziatosi nel 1971, anno in cui l’Assemblea Generale dell’ONU, votando la risoluzione n. 2758, sancisce la legittimità del governo comunista cinese.

Gli impegni cinesi sono assai numerosi ed eterogenei, classificati dai documenti di adesione nei quattro aspetti principali: i) politiche economiche, ii) scambi di beni, iii) proprietà intellettuale, iv) servizi.

Gli obiettivi principali oggetto delle trattative concernono essenzialmente la riduzione delle tariffe imposte sulle importazioni di beni, la graduale

China as a market: what is the real market for international brands?, in Atti del Convegno <Seventh International Congress Marketing Trends>, Venezia, Università Ca’ Foscari, 25-26 gennaio 2008; G. BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale, Working Paper 78, 2008.

34 Cfr. G. VENTURINI, L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, Giuffrè Editore, 2000; R. CAVALIERI, L’adesione della Cina alla WTO. Implicazioni giuridiche, Lecce, Argo Editore, 2003.

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liberalizzazione del settore dei servizi e l’eliminazione di vincoli legislativi e fiscali discriminatori nei confronti degli operatori economici stranieri.

Precisamente, la Repubblica Popolare Cinese si è impegnata a i) ridurre le c.d. <zone economiche speciali>, ii) garantire parità di trattamento ai cittadini e alle imprese straniere rispetto ai cittadini e alle imprese domestiche, iii) riformare il c.d. <catalogo degli investimenti esteri>, aprendo all’afflusso di capitali stranieri nuovi mercati e ampliando altresì le fattispecie nelle quali anche all’investitore di altro Stato-membro è consentito il controllo delle società partecipate, iv) ridurre i dazi doganali, le <barriere non tariffarie> e le quote di importazione, v) liberalizzare il settore terziario, vi) garantire maggiori forme di tutela per la proprietà intellettuale, vii) riformare l’ordinamento giudiziario.

Con riguardo alle relazioni internazionali di carattere commerciale e finanziario che la Cina intrattiene con le economie di Paesi terzi, si possono annotare in breve i seguenti aspetti. Nel corso dell’ultimo decennio del Secolo XX, le imprese della Repubblica Popolare Cinese –anche a causa degli effetti della globalizzazione- hanno iniziato a compiere investimenti diretti in Paesi esteri, concludendo in particolare operazioni di fusione e acquisizione in America Latina, Asia Centrale, Africa35. Precisamente, poiché la richiesta di petrolio è incrementata di anno in anno, la Cina ha sorretto con adeguate azioni diplomatiche l’attività estrattiva delle proprie compagnie petrolifere presso i governi dei Paesi interessati. Medio Oriente, Nord Africa, Siberia e Asia Centrale sono le regioni dalle quali proviene la maggior parte degli idrocarburi acquistati dalla Cina.

Particolare attenzione viene dedicata alle relazioni diplomatiche con l’Iran: il gruppo petrolifero cinese Sinopec nel corso del 2004 ha acquistato una quota del 50% dei campi petroliferi di Yadaravan. L’azione diplomatica cinese è consolidata anche nei confronti dei Paesi africani, al fine di assicurarsi le materie prime e le risorse energetiche necessarie per sostenere il proprio sviluppo economico36. Gli investimenti diretti cinesi in Africa si sono triplicati in cinque anni (7 miliardi di dollari nel 2000; 20 miliardi di dollari nel 2005; cfr. fig. 4) e hanno subito una flessione solo nel 2008, a

35 L. XIAONING, Sino-European Relations in progress, in <Quaderni di Relazioni

Internazionali>, ISPI, 3, 2006, pp. 52-61. 36 Dal 2000 la Cina mantiene relazioni stabili con larga parte dei Paesi africani mediante

il FOCAC (Forum On China-Africa Cooperation). Per ulteriori informazioni si rinvia al seguente indirizzo web: http://www.fmprc.gov.cn/zflt/eng/. Cfr., G. CALCHI NOVATI, L’Africa periferia dell’arena internazionale, in <Quaderni di Relazioni Internazionali>, ISPI, 3, 2006, pp. 64-74.

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causa della crisi finanziaria37. Nondimeno, il governo di Pechino incentiva investimenti anche in Sud America, facilitati da concessioni in campo estrattivo e petrolifero in Venezuela e Perù, nonché da accordi per opere infrastrutturali in Brasile38.

Figura 4. - Investimenti diretti cinesi in Africa (2005)

Fonte: UNCTAD, 2004.

Per quanto soggetta alla concorrenza di Giappone, Australia e Corea del

Sud, la Cina ha concluso Trattati internazionali con i Paesi limitrofi dell’Indocina per la costituzione di zone di libero scambio commerciale e

37 Cfr. J. Y. WANG, What drives China’s growing role in Africa?, International

Monetary Fund, Working paper 07/211, 2007; S. MICHEL, M. BEURET, Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero, Milano, Il Saggiatore, 2009.

38 S. SIDERI, La nuova geo-economia asiatica e le relazioni internazionali cinesi, in M. WEBER (a cura di), La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande mercato del mondo, Milano, Olivares, 2005, pp. 65-102.

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rafforzare la cooperazione in tema di logistica, politica di sicurezza, turismo39.

Infine, per quanto riguarda i rapporti fra Repubblica Popolare Cinese e Stati Uniti d’America, oltre al crescente deficit commerciale che i secondi hanno raggiunto nei confronti della prima, occorre anche aggiungere che la Cina è il primo sottoscrittore mondiale di obbligazioni del Tesoro statunitense per un ammontare di poco superiore nel 2008 a 700 miliardi di dollari (cfr. fig. 5). Per tale duplice motivo, gli USA hanno recentemente chiesto che il governo cinese procedesse ad una rivalutazione della propria valuta (Rmb o Yuan) rispetto al dollaro; tuttavia la Cina continua a rinviare la riforma del tasso di cambio, in quanto in caso contrario essa subirebbe una perdita nelle esportazioni (maggiormente difficoltate a causa del cambio più oneroso) e, nondimeno, nel rimborso del debito (capitale e interessi verrebbero restituiti in dollari, svalutati rispetto al momento di sottoscrizione del debito)40.

Figura 5. - Paesi sottoscrittori del debito pubblico U.S.A. (2009)

Fonte: U.S. Treasury Department, 2009.

39 K. SHIRONO, Yen bloc or yuan bloc: an analysis of currency arrangements in East

Asia, International Monetary Fund, Working Paper 9/3, 2009. 40 X. ZHANG, Spillovers of the U.S. subprime financial turmoil to mainland China and

Hong Kong SAR: evidence from stock markets, International Monetary Fund, Working Paper 9/166, 2009.

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4. La localizzazione delle imprese estere in Cina

4.1. Le variabili culturali nazionali

Occorre ora sinteticamente identificare le tre principali direttrici culturali lungo le quali si informa l’intera struttura sociale cinese.

In primo luogo, il confucianesimo41, così come tramandato dai Classici (Ching), pone al centro della propria riflessione l’aspetto politico-morale: lo Stato viene concepito come una <grande famiglia>, ove l’imperatore viene definito <padre e madre> dei suoi sudditi. L’ordine sociale viene garantito dalla struttura gerarchica della società basata su relazioni sociali precise e predeterminate42. Precisamente, Confucio introduce il principio di <rettificazione dei nomi> (zhengming): <il principe sia il principe, il padre padre, il figlio figlio>. In questo ordine gerarchico, la cui dimensione pubblica è evidente, ciascun individuo si colloca in una posizione determinata.

A garanzia della conservazione e della stabilità dell’ordine costituito viene posta la minuziosa osservanza dei riti, ossia le regole di comportamento (li) che si declinano concretamente nella pratica quotidiana delle due virtù fondamentali: la lealtà (zhong) e la benevolenza verso il prossimo (ren). Lo studio è l’unico mezzo mediante il quale l’individuo migliora se stesso, così divenendo, da <uomo comune> a <uomo superiore> e mutando, conseguentemente, l’ordine costituito43.

Questa dimensione <pubblica> e <relazionale> della dottrina confuciana, si è preservata nella Cina contemporanea e prende ora il nome di <guanxi>. Con tale termine si designa il complesso di relazioni e interdipendenze che in vario grado vincolano ciascun individuo all’adempimento di obblighi morali e sociali.

Sulla base di connessioni che hanno in comune (amicizie, parentele, affinità e così via), le persone instaurano rapporti di fiducia reciproca, il cui eventuale inadempimento comporta biasimo e riprovazione sociale. Viceversa, gli sforzi per onorare i propri impegni consentono all’individuo di acquistare reputazione presso la cerchia sociale di riferimento44.

41 O. KALTENMARK–GHEQUIER, La letteratura cinese, Milano, Garzanti, 1960, pp.

12–30. 42 I principali tipi di relazioni sociali sono i seguenti cinque: i) sovrano – suddito, ii)

padre – figlio, iii) fratello maggiore – fratello minore, iv) marito – moglie, v) amico – amico.

43 M. SABATTINI, P. SANTANGELO, Storia della Cina. Dalle origini alla fondazione della Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 100-107.

44 Cfr. E. COLLOTTI PISCHEL, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Torino, Einaudi, 1979.

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In secondo luogo, altro fondamento culturale è rappresentato dal Taoismo (daojia). In particolare, alla base del pensiero di Zhuang-zi, il più eminente fra gli antichi filosofi taoisti, risiede il <wu wei> (non-agire), inteso quale pratica di vita che volge costantemente attenzione alla Natura, con la consapevolezza di agire qualora opportuno, senza tuttavia servirsi di piani prestabiliti45. Non agendo, non sussiste nulla che non venga fatto: questo paradosso serve a spiegare che l’uomo non può modificare il corso naturale delle cose, e che tutto ciò che può essere fatto deve essere fatto in armonia con la Natura.

Infine, il terzo aspetto vivificante della cultura cinese concerne la Scuola delle Leggi (fajia): tale corrente di pensiero propugna l’instaurazione di un nuovo ordine basato sulla concezione dell’autorità suprema del sovrano e dello Stato, mediante l’abolizione di antichi privilegi nobiliari, nonché l’utilizzo della legge penale come strumento di governo, in funzione deterrente e repressiva46.

Precisamente, il sovrano deve fare ricorso alla <tattica> (shu) e alla legge (fa): la prima consiste nell’impiego degli individui al servizio della <cosa pubblica>, lasciando funzionari e sudditi all’oscuro delle proprie intenzioni; la seconda è lo strumento privilegiato per garantire il funzionamento dello Stato e mantere l’ordine nella società. L’apparato normativo deve essere pubblico, preciso, generale e astratto, in modo da essere oggetto di un’applicazione automatica, onde evitare qualsiasi attività ermeneutica47.

4.2. I profili quantitativi degli investimenti esteri in Cina

Grazie alla significativa e continua crescita economica, la Repubblica Popolare Cinese è diventata nel tempo meta di un sempre maggiore flusso di investimenti esteri. Infatti, a seguito della politica della <Porta Aperta> inaugurata nel 1978 da Deng Xiaoping, sono confluiti in Cina investimenti esteri per un valore medio annuale pari a 25 miliardi di dollari americani.

Le statistiche cinesi mostrano che durante il ventennio 1985-2005 larga parte degli investimenti diretti esteri proviene dall’Asia, la metà dei quali da Hong Kong (cfr. tab. 4). Occorre tuttavia tenere presente che i flussi di investimento revenienti dalla ex colonia britannica riguardano solo in parte le operazioni delle società del posto; devono in vero venire annoverate anche quelle delle imprese estere che, non volendo o non potendo investire direttamente in Cina, utilizzano società-veicolo costituite ad hoc secondo l’ordinamento giuridico di Hong Kong.

45 ZHUANG-ZI, Zhuang-zi, Milano, Fabbri Editori, 1999. 46 O. KALTENMARK–GHEQUIER, op. cit., pp. 30 - 33. 47 M. SABATTINI, P. SANTANGELO, op. cit., pp. 11-113.

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Tabella 4. – Principali investitori in Cina (2007)

Fonte: MOFCOM, 2007.

Inoltre, gli investimenti provenienti da Hong Kong possono includere

anche capitali cinesi che, usciti illegalmente, vengono reinvestiti in Cina per approfittare delle condizioni preferenziali accordate agli investitori stranieri.

Oltre a Hong Kong, i primi investitori e partner commerciali con la Repubblica Popolare Cinese sono Giappone, Stati Uniti, Taiwan e Unione Europea. Quest’ultima, in particolare, pur contestando la concorrenza asimmetrica che le imprese cinesi hanno nel corso del tempo sviluppato nei confronti delle europee grazie al fenomeno del c.d. <dumping>, si sta imponendo come principale partner commerciale e finanziario (cfr. tab. 5). Precisamente, le multinazionali italiane, francesi, inglesi e tedesche hanno incrementato i propri investimenti in Cina sia nel settore industriale (automobili e centrali telefoniche), sia nel terziario (banche e assicurazioni).

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Tabella 5. – Import-export tra Cina e Unione Europea (2007)

Fonte: Chinese Department of European Affairs, 2007.

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4.3. Le strategie di localizzazione

In relazione all’analisi ambientale svolta, è ora possibile formulare alcune riflessioni in tema di localizzazione delle imprese in Cina, facendo in particolare riferimento alle aziende italiane.

Anzitutto, la scelta di compiere investimenti diretti nella Repubblica Popolare Cinese può essere determinata da obiettivi strategici quali i) la riduzione dei costi produttivi e l’eventuale perseguimento di economie di scala, ii) la ricerca di nuovi mercati ove classare i propri prodotti48.

Tuttavia, le politiche di internazionalizzazione adottate verso la Cina si fondano ancora, in prevalenza, sulla <logica dei costi>, formalizzata attraverso contratti di fornitura, co-produzione, assemblaggio con imprenditori locali. In relazione ai processi di acquisto dei fattori produttivi, il vantaggio competitivo viene ottenuto grazie, in particolare, alle differenze esistenti tra i livelli salariali vigenti nei diversi Paesi. È infatti evidente che tale diversa <localizzazione geografica> si traduce, per l’azienda, in maggiori margini di redditività.

Precisamente, nei settori ad elevata intensità di manodopera (come abbigliamento, calzature, utensili e giocattoli), il costo del lavoro sostenuto dalle imprese che producono in Paesi come la Cina si declina in coordinazioni lucrative altamente concorrenziali.

Da questo punto di vista, non si può però non notare come anche la Cina subisca la concorrenza di Paesi in via di sviluppo limitrofi quali Corea del Nord, Vietnam, Cambogia, capaci di attrarre sempre maggiori volumi di investimenti esteri grazie, in particolare, al costo della manodopera inferiore rispetto a quello cinese. D’altra parte, le stesse imprese cinesi stanno talora de-localizzando le proprie produzioni in tali Paesi e per le medesime ragioni di costo.

Con riferimento alla Cina intesa come <nuovo mercato>, i limitati processi di consumo che riguardano larga parte della popolazione rendono in data odierna il mercato cinese poco appetibile per numerose imprese italiane, specialmente per quelle la cui produzione è <di nicchia>. Occorre inoltre aggiungere che sui prodotti di bassa o media qualità, il contesto competitivo è caratterizzato da un grado di concorrenzialità piuttosto elevato, per la presenza ormai radicata di multinazionali estere e di imprese cinesi emergenti.

Più precisamente, qualora l’azienda produca beni <di nicchia>, -ad esempio, ad alto contenuto tecnologico ovvero simbolico- è auspicabile che essa adotti la strategia del c.d. <punto di osservazione>, ossia costituendo una presenza diretta sul mercato cinese, ma tuttavia limitata in termini di

48 C. BARBATELLI, La Gestione dell’azienda in Cina, in M. WEBER (a cura di), op. cit., pp. 143 – 195.

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investimento; tipico caso è l’apertura di un ufficio di rappresentanza, con la funzione di monitorare concorrenti e mercati e, al tempo stesso, costruire relazioni sociali49. Eventualmente, se l’impresa è già presente sul mercato cinese con marche di lusso, si può procedere al collocamento di prodotti di gamma inferiore ma di spiccata identità, allo scopo, quantomeno, di limitare il problema del <vincolo di reddito> cui i consumatori cinesi appartenenti alla <classe media> sono soggetti50. Ad esempio, nel campo dell’abbigliamento di alta-moda, gli abiti della categoria <haute couture> -diffusi fra i consumatori cinesi solo da un punto di vista conoscitivo- potrebbero essere affiancati da linee <prêt-à-porter>, certamente più accessibili in ragione dei prezzi contenuti.

Viceversa, qualora l’azienda voglia esitare sul mercato cinese prodotti di largo consumo, occorre costituire e mantere una configurazione organizzativa stabile, specialmente con riferimento alle strutture di distribuzione dei prodotti e ai centri di assistenza/servizi post-vendita.

In tal caso, –come pure nell’ipotesi di internazionalizzazione dettata dalla <logica dei costi>- la strategia di posizionamento deve tenere conto i) del sito ove si intende delocalizzare, e ciò in ragione della varietà di zone economiche speciali (Special Economic Zone – SEZ) volte ad attrarre differenti tipi di investimenti, ii) della forma giuridica prescelta.

Con riguardo all’aspetto sub i), l’apertura, da parte del governo cinese, di zone economiche speciali risponde alla logica di sviluppare attività industriali (tipicamente a elevato contenuto tecnologico) o commerciali, per la promozione dello sviluppo economico della regione.

Con riguardo all’aspetto sub ii), l’impresa delocalizzata in Cina può assumere le forme della società a capitale interamente straniero (Wholly foreign owned enterprise - WFOE) o, della partnership con imprenditori locali (tipicamente, Equity joint venture – EJV)51.

49 E. MARAFIOTI, F. PERRETTI, La presenza delle imprese italiane in Cina: modalità

di presenza e scelte di localizzazione, in C. DEMATTÈ, F. PERRETTI, op. cit., pp. 211-228.

50 G. BERTOLI, op. cit., p. 30. 51 In tema di diritto commerciale cinese, cfr. G. D’AGNOLO, A. DAL COLLE, Cina.

Guida al commercio estero e agli investimenti, Milano, Giuffrè, 2000; COMMERCIAL LAW, Bilingual Edition (English-Chinese), Beijing, China Law Press, 2004; F. MONTI, Diritto societario cinese, Roma, Carocci, 2007.

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Tabella 6. – Principali forme giuridiche utilizzate (2007)

Fonte: MOFCOM, 2007.

Uno studio condotto nel 2005 sulle imprese italiane in Cina ha rilevato

che per il 65% di queste è stata adottata la forma della JV, mentre per il restante 35% si è preferito un investimento totalitario mediante la costituzione di WFOE52. Ciò pare confermato anche per l’anno seguente dai dati dell’Istituto per il Commercio Estero, secondo cui su 1095 attività italiane in Cina (con esclusione di Hong Kong), 624 sono in partnership, mentre 471 sono a partecipazione totalitaria italiana53.

Tale opzione, in luogo della costituzione di una società partecipata al 100% con capitale italiano, può apparire inizialmente meno rischiosa grazie alla presenza del partner già operativo in loco e dotato di <relazioni ambientali> attive. In tale senso, il socio cinese può facilitare i rapporti con le autorità governative e con la pubblica amministrazione sia in qualità di clienti, sia in qualità di enti responsabili dell’emanazione di concessioni per la produzione e vendita di beni sul mercato locale. Peraltro, le relazioni del partner con le partizioni territoriali del governo sono tanto più importanti quanto maggiore è la volontà di produrre opere e beni destinate al servizio pubblico54.

52 Cfr. S. VACCÀ, R. VARALDO, Globalizzazione e radicamento. Gli investimenti

esteri in Cina, Milano, Franco Angeli, 1999; V. GATTAI, La Cina: lontana o vicina? La parola ai protagonisti, in M. WEBER (a cura di), op. cit., pp. 233-266.

53 Fonte: ICE, Dati e statistiche, 2006, reperibile dal sito: http://www.ice.it. 54 S. SI, G. BRUTON, Knowledge transfer in international joint ventures in transitional

economies: the China experience, in <Academy of Management Executive>, 13, 1999, pp. 83-90.

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Tuttavia, la scelta della controparte cinese è un aspetto di indubbia criticità, per il quale l’attività di due diligence sulla contabilità del socio cinese può solo ridurre, ma non eliminare il rischio55.

Innanzitutto, i rapporti con la controparte cinese possono essere difficoltati da problemi di <distanza culturale> o, quantomeno, linguistica, in particolare con riguardo alle modalità di gestione della JV.

Occorre inoltre considerare il rischio connesso a comportamenti opportunistici o concorrenziali del socio cinese: ciò può accadere qualora sia necessaria la condivisione di particolare know-how legato al prodotto o al processo produttivo. In altri termini, un fenomeno distorsivo piuttosto tipico delle alleanze tra imprese occidentali e cinesi vede il partner occidentale mettere a disposizione le proprie tecnologie in cambio di benefici a breve termine legati alla riduzione dei costi, per poi assistere il collaboratore locale emergere nelle vesti di concorrente.

Peraltro, la costituzione di JV con produttori locali dipende dal <grado di appropriabilità> di specifiche risorse aziendali: ad esempio, laddove i brevetti posti a tutela di queste risorse offrano buone garanzie di tutela legale, la concessione di licenze d’uso al partner cinese rappresenta un valido strumento per migliorare la propria redditività.

La necessità di esercitare un ampio controllo sul partner locale in merito all’utilizzazione di marchi, brevetti, know-how e segreti commerciali si riflette inoltre nella costituzione di una rete distributiva mediante l’adozione del sistema di franchising, ove la gestione dei punti-vendita è pressoché dipendente dalle direttive impartite dalla multinazionale56.

Risulta pertanto fondamentale la capacità di costruire relazioni interpersonali, investire nel personale locale, coltivare partner affidabili: tale strategia richiede tuttavia tempi non brevi e orizzonti ampi di redditività57.

Infine, non è implausibile che sorga insoddisfazione causata dalla bassa qualità dei materiali acquistati dal proprio partner da fornitori locali (tanto più se tramite la JV si intende produrre meccanica di precisione o ad elevato

55 Fra l’altro la tenuta della contabilità in Cina non è ritenuta obbligatoria, fatta eccezione per le aziende di rilevanti dimensioni. Sul tema cfr. Y. BIONDI, Q. ZHANG, Accounting for the chinese context: a comparative analysis of international and chinese accounting standards focusing on business combinations, in <Socio Economic Review>, 5, 2007, pp. 695-724; R. BAKER, Y. BIONDI, Q. ZHANG, Should merger accounting be reconsidered? A discussion based on the chinese approach to accounting for business combinations, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale, Working Paper 91, 2009.

56 A. GOLDMAN, The transfer of retail formats into developing economies: the example of China, in <Journal of Retailing>, 77, 2, 2001, pp. 221-242.

57 F. ONIDA, Il ritorno della grande Cina e le opportunità per l’Italia, in C. DEMATTÈ, F. PERRETTI (a cura di), La sfida cinese. Rischi e opportunità per l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 200-210.

Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane

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contenuto tecnologico), o dall’inadeguatezza del personale cinese (ma tale aspetto appare sempre meno rilevante, grazie alla migliore istruzione impartita nelle scuole secondarie e nelle Università). Sotto questo profilo, la multinazionale può affiancare alla costante attività di monitoraggio del <mercato di approvvigionamento>, l’avvio di programmi di formazione per i propri fornitori per migliorarne i processi produttivo e logistico.

5. Conclusioni

L’esogeneità del sistema economico cinese comporta asimmetrie che investono, più o meno direttamente, sui piani economico, finanziario, commerciale, diplomatico, larga parte degli attori pubblici e privati del panorama internazionale.

Innanzitutto, si può osservare come la Cina aspiri al riconoscimento della parità di ruolo e strategica con Stati Uniti, Giappone ed Unione Europea, peraltro sussistendo in data odierna i numeri –non solo demografici- perché tale aspirazione si realizzi.

Inoltre, appare ormai indiscutibile che l’interdipendenza globale comprenda il <fattore-Cina>: ignorarlo è imprudente, eliminarlo è impossibile, regolarlo e coglierne le opportunità pare, per il momento, l’unica via percorribile58. In altre parole, le parti correlate a questo fenomeno globale, -siano esse Stati o gruppi di imprese transnazionali- devono confrontarsi con la Cina, misurarne minacce e opportunità, e, conseguentemente, programmare i propri obiettivi in base ad adeguati piani strategici.

Il fenomeno economico cinese appare pertanto significativo per le imprese straniere in quanto: i) la Cina si colloca fra i maggiori mercati di fornitura a livello mondiale; ii) vi si sono avviati processi di consumo che tendono a incrementare nel medio e lungo periodo; iii) il tutto comporta forme di iper-concorrenzialità, seppur talora illecite (i.e. la contraffazione di prodotti).

In particolare, le imprese italiane possono affrontare la localizzazione nella Repubblica Popolare Cinese impostando strategie di <prodotto> basate essenzialmente sulla riduzione dei costi o, -ma in minor misura- adottando strategie di crescita che guardano alla Cina come a un <mercato di sbocco>.

Su tale secondo aspetto, l’analisi delle variabili esogene che caratterizzano l’ambiente cinese conduce a ritenere che la popolazione, preminentemente vincolata dallo scarso potere d’acquisto, non possa ancora oggi porre in essere –se non in misura per ora poco significativa o

58 F. MINI, La Cina strategica, in <Quaderni di Relazioni Internazionali>, ISPI, 3,

2006, pp. 13-25.

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comunque localizzata- fenomeni di consumismo di tipo occidentale, adatti al soddisfacimento dell’offerta di prodotti italiani.

Tuttavia, se l’impresa agisce sulla base di una visione strategica incorporante –nella cultura aziendale– la c.d. <logica degli scenari> e l’approssimazione agli stessi tramite le <anticipated capabilities> di Ansoff59, non si può assumere un atteggiamento meramente <attendista>, determinato dalle incertezze ambientali sopra individuate. Più precisamente, agire al momento giusto, anticipando la concorrenza, consente all’impresa di cogliere le opportunità –siano esse valutate come abbattimento dei costi, siano invece concernenti la distribuzione dei propri prodotti in Cina- che il crescente sviluppo economico e sociale di questo Paese può offrire.

59 Cfr. I. ANSOFF, Organizzazione innovativa, Milano, IPSOA, 1987.

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l'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006 60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione

delle IPAB, dicembre 2006 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:

l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio 2007

64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007

65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria, dicembre 2007.

67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.

69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione Europea, dicembre 2007.

70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel settore della meccanica varia, dicembre 2007.

71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007.

73- Marta Maria PEDRINOLA, La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007.

74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

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75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia, maggio 2008.

77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in declino o “cash cow”?, giugno 2008.

78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese, giugno 2008.

79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre 2008.

80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto, novembre 2008.

81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell’impresa: il contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.

82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell’abbigliamento d’alta moda, dicembre 2008.

83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing, dicembre 2008.

84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre 2008.

85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.

86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e responsabilità di governance, dicembre 2008.

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009.

88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension, cobranding, febbraio 2009.

89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009.

90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, febbraio 2009.

91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for Business Combinations, maggio 2009.

92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell’economia reale?, maggio 2009.

93- Arnaldo CANZIANI, Le rivoluzioni zappiane— reddito, economia aziendale — agli inizî del secolo XXI, giugno 2009.

94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009.

Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Novembre 2009

Paper numero 95

Marco BERGAMASCHI

ANALISI AMBIENTALE DELLA CINAE STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE

DELLE IMPRESE ITALIANE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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