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Progetto “Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura” II^ annualità – Rif. DD 40/I/200 ANALISI DEL SETTORE VITIVINICOLO Rapporto finale Roma – settembre 2003

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Progetto “Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura”

II^ annualità – Rif. DD 40/I/200

ANALISI DEL SETTORE

VITIVINICOLO

Rapporto finale

Roma – settembre 2003

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INDICE

1. CARATTERISTICHE E DATI GENERALI A LIVELLO MONDIALEED EUROPEO pag. 3

1.1 La situazione mondiale pag. 31.2 Il potenziale della produzione viticola in seno all’Unione Europea pag. 31.3 Il potenziale della produzione viticola relativa ai Paesi non appartenenti

all’Unione Europea pag. 31.4 Produzione di vino in seno all’Unione Europea pag. 41.5 Produzione di vino fuori dell’Unione Europea pag. 41.6 Il consumo mondiale di vino pag. 41.7 Gli scambi internazionali pag. 51.8 La situazione vitivinicola italiana in rapporto al resto del mondo pag. 5

2. CARATTERISTICHE E DATI GENERALI A LIVELLO NAZIONALE pag. 72.1 Le superfici: andamento ed evoluzione pag. 7

2.1.1 Le superfici ed il fenomeno dell’espianto pag. 7 2.2 A proposito delle DOC - DOCG pag. 8 2.3 La produzione di vino pag. 9

2.3.1 Le aziende del vino pag.10

2.4 Il grado di specializzazione del settore pag. 112.5 Le imprese di trasformazione e i modelli produttivi pag. 122.6 Le principali imprese enologiche pag. 122.7 Il valore della produzione

pag. 15 2.7.1 Andamento produttivo e occupazionale regionale e provinciale pag. 16

2.8 Lo scenario degli scambi commerciali: alcuni dati pag. 19 2.8.1 Il contributo delle singole regioni al commercio estero pag. 20

2.9 I consumi pag. 212.10 I canali distributivi del vino pag. 22

3. LA LEGISLAZIONE E L’OCM DI SETTORE pag. 24 3.1 Principali lineamenti della politica di settore pag. 24

3.1.1 L’OCM e le prospettive di revisione a medio termine pag. 25 Il potenziale di produzione pag. 26

I meccanismi di mercato pag. 27Le organizzazioni di produttori e organismi interprofessionali pag. 27Pratiche e trattamenti enologici: designazione, denominazione, presentazione e

protezionepag. 28

I vini di qualità prodotti in regioni determinate (vqprd) pag. 29 Il regime degli scambi con i Paesi terzi pag. 29 Le disposizioni generali, transitorie e finali pag. 30

4. IL CONTESTO ITALIANO E LE PROBLEMATICHE DI MAGGIORE RILIEVO pag. 30

5. LE PROVINCE ITALIANE A MAGGIORE VOCAZIONE VITIVINICOLA pag. 335.1 La metodologia per l’individuazione delle province italiane a maggiore vocazione

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vitivinicola pag. 335.2 Analisi delle province selezionatepag. 36

ALLEGATI STATISTICIpag. 38

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1. CARATTERISTICHE E DATI GENERALI A LIVELLO MONDIALEED EUROPEO

1.1 LA SITUAZIONE MONDIALE

La vigna ricopre più di 7,8 milioni di ha di superficie nel mondo dando luogo ad unaproduzione che si aggira intorno ai 280 milioni di ettolitri di vino. Rientra così nel campodelle “produzioni agricole di importanza”. In questo vigneto planetario, l’Europa (e inparticolare la Comunità Europea), si ritaglia la parte del leone con circa 5 milioni di ha disuperficie viticola, seguita dall’Asia con circa 1,5 milioni di ha, dall’America con circa900.000 ha, dall’Africa con 320.000 ha e, infine, dall’Oceania con 135.000 ha.

1.2 IL POTENZIALE DELLA PRODUZIONE VITICOLA IN SENO ALL’UNIONEEUROPEA

Nell’Unione europea la superficie viticola è stata di circa 3,5 milioni di ha nel 1999 e non èvariata molto rispetto al 1998. Tuttavia si deve registrare una riduzione di poco più di230.000 ettari avvenuta negli ultimi dieci anni.

I principali Paesi responsabili di questo ridimensionamento sono stati soprattutto l’Italia, laFrancia e la Spagna.

Quest’ultima resta, ad ogni modo, il Paese con la più grande superficie mondiale (più di unmilione di ha). L’Italia, in particolare, occupa la terza posizione (dopo la Francia) con più di900.000 ha. È opportuno sottolineare che agli inizi degli anni ’90 l’Italia aveva unasuperficie viticola di quasi un milione di ettari e, nel periodo in esame, essa ha dunqueperso circa 100.000 ha.

1.3 POTENZIALE DELLA PRODUZIONE VITICOLA RELATIVA AI PAESI NON APPARTENENTI ALL’UNIONE EUROPEA

I Paesi extra-comunitari mostrano una tendenza ad un sensibile aumento della superficietotale dei vigneti e raggiungono un livello prossimo ai 4,3 milioni di ha, ben 37 mila ha inpiù rispetto al 1998, pari ad un aumento percentuale dello 0,9%. Tale evoluzione avvienesotto l’influenza combinata di tre fattori:

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1. ridimensionamento dei vigneti europei non comunitari;2. stabilizzazione dei vigneti argentini, svizzeri e apparentemente anche dei

vigneti dell’Africa (ad eccezione del Sud Africa);3. crescita degli altri vigneti americani, in particolare il Cile (+15.000 ha) e gli

USA (+10.000 ha), del Sud Africa, globalmente dell’Asia ma, soprattutto, daparte dell’Australia (+25.000 ha).

1.4 PRODUZIONE DI VINO IN SENO ALL’UNIONE EUROPEA

La produzione vinicola dell’Unione europea per la raccolta del 1999 supera i 176 milioni diettolitri con un aumento rispetto al 1998 di circa 18-20 milioni di ettolitri.Malgrado la modesta raccolta greca (3,7 milioni di ettolitri), il volume comunitario è inrialzo, grazie principalmente ad un’elevata raccolta tedesca (13 milioni di ettolitri),accompagnata da un ritorno alla normalità della produzione del Portogallo, oltre aproduzioni stazionarie in Spagna, in Italia e in Austria. La Francia e l’Italia si contendonocontinuamente nel corso degli anni il primato della produzione mondiale: nel 1999 il Paeseprimo produttore è stata la Francia con circa 60 milioni di ettolitri.

1.5 PRODUZIONE DI VINO FUORI DELL’UNIONE EUROPEA

Negli Stati Uniti e in Argentina, la produzione nel 1998 è stata condizionata dall’influenzadel “El Niño” (soprattutto in Argentina), il quale ha portato il livello di produzione ad unaregressione, malgrado l’entrata in produzione di recenti reimpianti, in particolare negli StatiUniti.Nel corso del 1999 non ci sono stati problemi di questo genere, tranne per il Cile, il qualeha patito una grande siccità.In generale, negli ultimi anni la produzione vinicola nei Paesi fuori dell’Unione europea ècaratterizzata quasi ovunque da un aumento. Essa raggiunge il suo livello record inAustralia (8,5 milioni di ettolitri), un livello importante in Argentina (15,8 milioni diettolitri) e negli Stati Uniti (20,6 milioni di ettolitri).

1.6 IL CONSUMO MONDIALE DI VINO

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Da oltre dieci anni il consumo di vino nel mondo è in continua diminuzione. L’aumentodei consumi nei Paesi tradizionalmente deboli consumatori, non permette di compensare laforte regressione dei Paesi europei, in particolare, e dell’America, che ne sonotradizionalmente i maggiori produttori e consumatori.In effetti, il consumo mondiale, che è stato di circa 239 milioni di ettolitri nel periodo 1986-90, è passato nel 1999 a 221 milioni con una perdita di circa 18 milioni di ettolitri.Ciononostante, il consumo mondiale nel 1999 è aumentato rispetto al 1998 (+2 milioni diettolitri). Gli Stati membri dell’Unione europea - e in particolare la Francia, la Spagna, ilPortogallo, la Grecia e l’Italia - sono i principali responsabili della regressione nei consumidegli anni ‘90. In Italia, per esempio, il consumo degli anni 1986-90, era superiore ai 36,6milioni di ettolitri, ma nel 1999 è sceso a 31,2 milioni, con una perdita evidente di più di 5milioni di ettolitri.

Nel 1999 l’Unione europea ha complessivamente consumato 128 milioni di ettolitri di vino.Per quanto riguarda i Paesi fuori dell’Unione europea, si registra che, ad eccezionedell’Argentina dove continua la regressione del consumo interno, il consumo dei vini crescemodestamente negli Stati Uniti e in misura superiore in Australia. Nel Cile e nel Sud Africasembra di assistere ad una stabilizzazione del mercato interno al livello rispettivamente di 2e 3,9 milioni di ettolitri. In Asia, infine, sembra che gran parte delle importazioni del 1998sia stata stoccata e serva, per il 1999, ad approvvigionare un mercato la cui domanda è incontinua crescita, ma a un ritmo sicuramente inferiore di quanto avesse fatto sperarel’esplosione degli scambi.

1.7 GLI SCAMBI INTERNAZIONALI

Il mercato mondiale, considerato come la somma delle esportazioni di tutti i Paesi, segnauna pausa nel suo sviluppo, raggiungendo il valore di 64 milioni di ettolitri (secondo gliultimi dati dell’O.I.V.). In rapporto al 1998 si registra una perdita di circa 1 milione diettolitri.

L’Italia ridiviene, nel 1999, il primo esportatore mondiale raggiungendo 18,3 milioni diettolitri, davanti a Francia e Spagna; quest’ultima, in particolare, vede il suo livellod’esportazione diminuire di quasi 2 milioni di ettolitri. Gli Stati Uniti, l’Australia e il SudAfrica mantengono il loro sviluppo e le loro presenze nei mercati internazionali, mentrel’America del Sud segna una pausa. Inoltre, i principali Paesi dell’Unione Europearicoprono il 71% degli scambi mondiali contro il 14% dei Paesi dell’emisfero meridionale edegli Stati Uniti.

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Le importazioni mondiali complessive raggiungono nel 1999 un valore superiore ai 61milioni di ettolitri e i principali Paesi importatori sono la Germania e la Gran Bretagna.

1.8 LA SITUAZIONE VITIVINICOLA ITALIANA IN RAPPORTO AL RESTO DEL MONDO

Attualmente la superficie viticola italiana è di circa 900.000 ha (ossia circa 1/10 dellasuperficie mondiale) e l’Italia, insieme alla Francia e alla Spagna, è uno dei principali Paesi almondo nella coltivazione della vite.La superficie dedicata a vigneti è però notevolmente diminuita nel corso degli ultimi anni,passando da 899.000 ha nel 1998, a circa 800.000 nel 2000, conformemente al trendnegativo registrato nella maggior parte dei Paesi Europei (- 82.000 ha in Francia; - 326.000in Spagna).

Ogni anno in Italia si piantano circa 17.000 ha di nuovi vigneti, ma le perdite dovute agliespianti finanziati dall’Unione Europea, agli abbandoni per disaffezione o vecchiaia sononettamente superiori. Si calcola che per mantenere l’attuale superficie vitata occorrerebbepiantare ogni anno da 28.000 a 38.000 ha di vigna, considerando una durata media dellepiante di 25-30 anni ed una quota di rimonta del 3,5-3,8%.

Questa regressione della superficie viticola non si manifesta, anzi si può notare un sensibileaumento, nel resto dei vigneti mondiali extraeuropei.

Per quanto riguarda la produzione, l’Italia è per quantità il secondo produttore mondiale,dopo la Francia, con circa 54 milioni di ettolitri. Alla diminuzione della superficie ècorrisposta anche una diminuzione della produzione sia in Italia, dove tale riduzione è statasensibile (pari a 7 milioni di ettolitri in circa 10 anni), sia nei più importanti Paesi Europei(riduzione di 4 milioni per la Francia; di 1 milione per la Spagna).

Tuttavia, nel 1999 l’Europa (Unione europea + Paesi europei non membri UE)producendo circa 207.000.000 di ettolitri di vino ha fatto registrare un aumento del 6%rispetto al 1998. Lo stesso è avvenuto nei Paesi extracomunitari, dove l’aumento è stato dicirca 4 milioni di ettolitri.

La suddivisione tra vini rossi e vini bianchi nella produzione italiana è stata,rispettivamente, del 48,3% e del 51,7%. Va comunque rilevato che il mercatotendenzialmente richiede maggiormente i vini rossi rispetto a quelli bianchi. Più della metàdella produzione italiana può oggi fregiarsi di denominazione di origine o di indicazionegeografica. In effetti, la produzione di vini a denominazione di origine interessa tutta la

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vecchia Europa, anche se alcuni Paesi (Argentina ed USA) stanno iniziando a muoversinella stessa direzione, con produzioni che per ora sono trascurabili.

Il volume maggiore di vini a denominazione di origine si riscontra nell’Unione europea ed èclassificato nella categoria V.Q.P.R.D.

Nel 1999 la produzione di V.Q.P.R.D. è risultata essere pari al 39,3%, quasi simile a quelladegli anni precedenti. Tale percentuale varia tuttavia da Paese a Paese. La Germania e ilLussemburgo riconoscono l’88,5% dei loro vini come V.Q.P.R.D., l’Austria il 75%, ilPortogallo il 50%, la Francia il 45%, la Spagna il 37%, l’Italia il 23% e la Grecia l’8%.Nonostante i progressi registrati l’Italia risulta al penultimo posto.

2. CARATTERISTICHE E DATI GENERALI A LIVELLO NAZIONALE

2.1 LE SUPERFICI: ANDAMENTO ED EVOLUZIONE

Negli ultimi dieci anni, pur in presenza di una notevole contrazione delle superfici e delleimprese, la performance della filiera vino nel nostro paese si è alimentata di un progressivorafforzamento della propria immagine sia nel mercato interno che in quello internazionale.Ciò che si è sviluppato è in realtà un intenso programma di ristrutturazione interna delcomparto.

Se partiamo dal dato statistico ISTAT del 2000 relativo alle superfici di uva da vino inproduzione per ripartizione geografica (TABELLA 1), esso conferma il trend negativo dellaviticoltura italiana in termini di superfici relativo agli anni 1988-2000, caratterizzato da unalenta ma costante riduzione degli ettari coltivati a vigneto. Si è passati dai 968.586 ettari del1988 agli 802.374 ettari del 2000, con una riduzione di 166.212 ettari (-17,2%), equamenteripartita tra Nord-Centro e Mezzogiorno, rispettivamente nei valori di 81.727 ettari (49,2%)e 84.485 ettari (50,8%).

Nel dettaglio (TABELLE 2 e 3), sono la Sicilia (-18,2%) e la Puglia (-16,7%) a registrare leperdite maggiori in valore assoluto, pur rimanendo i principali territori per estensione diimpianti a vigneto (Sicilia 130.808 ettari – Puglia 107.571 ettari). Seguono la Sardegna, conuna riduzione pari a -33,6%, e la Toscana che registra comunque una perdita pari al-22,5%. Per il Veneto -15%, il Piemonte -16% e l’Emilia Romagna -12%. Unica eccezionel’Abruzzo, che nel periodo considerato (1988-2000) aumenta la propria superficie di quasi 4mila ettari (+13,1%).

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2.1.1. Le superfici ed il fenomeno dell’espianto

Se si analizza quanto della perdita di superficie vitata sia dovuta a espianto con premio, èpossibile valutare il grado di successo dell’intervento comunitario mirante da un lato aridurre le eccedenze di produzione negli anni a forte surplus produttivo, attraverso premiper l’abbandono definitivo, e dall’altro a riqualificare l’offerta verso i DOC, DOCG e IGT.

Tra la campagna 1988-1989 e la campagna 1997-1998, l’Italia ha estirpato, nel quadro delRegolamento comunitario n.1422/88, 129 mila ettari (una superficie che fino al 1995-96risultava comprensiva di una quota di vigneti ad uva da tavola) ripartiti rispettivamente trale aree del Nord-Centro, che hanno rappresentato il 27% del totale (35.477 ettari) e del Sudcon il 72% (93.412 ettari) (TABELLA 4).

Scendendo nel dettaglio, le estirpazioni di uva da vino hanno interessato una superficie paria 93 mila ettari, dei quali 5.900 di VQPRD (6%) e il rimanente 87.162 per uve da vino datavola (94%).

Questa situazione di abbandono della viticoltura si è manifestata in misura maggiore inPuglia e in Sicilia, con dei quantitativi estirpati rispettivamente di 23.937 ettari (26%) per laprima, dei quali 20.447 ettari riguardano uva da vino, e di 16.750 ettari (18%) per la secondacon 16.669 ettari costituiti da uva da vino.

Nell’area centro-settentrionale l’estirpazione ha interessato oltre 29 mila ettari (31,6%), deiquali 8.272 ettari concentrati in Emilia Romagna (8,9%): di questi, 7.819 ettari sonocostituiti da uva da vino (9%).

Per quanto riguarda le estirpazioni delle superfici di uva da VQPRD, anch’esse sonolocalizzate in prevalenza nel Sud della Penisola (70%). Le principali regioni interessate sonostate la Puglia (59%) con 3.490 ettari estirpati, seguita a grande distanza dall’EmiliaRomagna con 453 ettari (8%) e dalle Marche con 435 ettari (7%).

Le campagne 1996-1997 e 1997-1998, indicano un arresto delle estirpazioni registrando unvero e proprio picco negativo. In effetti da un totale estirpato di 13.426 ettari per lacampagna 1995-1996, si è passati a un totale di 121 ettari nella campagna successiva, e a359 ettari nella campagna ’97-‘98 con una flessione media pari al 98%.

Nella campagna 1996-1997, in particolare, le regioni che hanno usufruito di questapossibilità nel nostro paese sono state soltanto tre: Lombardia, Lazio e Sicilia, e la Sicilia,con 108 ettari, ha rappresentato la quasi totalità dei 121 ettari rilevati in ambito nazionale.

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Nel 1997-98 si è aggiunta la Campania, ma di fatto l’estensione delle superfici estirpate èstata comunque contenuta, complessivamente pari a 359 ettari, dei quali 323 solo in Sicilia;un risultato, questo, che si può spiegare con la volontà di preservare una parte dei vigneti, edi usare i diritti di reimpianto inerenti all’estirpazione per riqualificare la propria viticoltura,una misura quest’ultima, che non è possibile adottare nel caso di pagamento di un premiod’abbandono (TABELLA 5).

2.2 A PROPOSITO DELLE DOC - DOCG

Per quanto riguarda l’analisi delle superfici vitate a DOC, DOCG e IGT, in mancanza di undettaglio sui dati ISTAT, si può fare ricorso a quanto rilevato dall’AIMA sulle dichiarazionidi produzione dei viticoltori italiani nella campagna 1998/99. Dalla TABELLA 6 emerge, in particolare, come le superfici investite per la produzione diDOC-DOCG rappresentino una realtà molto importante soprattutto nelle regioni delNord-Ovest (66,9%) e del Centro (47,3%); picchi degni di nota si raggiungono in Liguria(95,8%) e in Trentino (71,2%).

Per le superfici di IGT, invece, le regioni più importanti sono localizzate nel Nord-Est(40,8%) e nel Centro (23,8%); spiccano il Veneto (56,5%), l’Umbria (43,4%) e l’ EmiliaRomagna (31,2%). Nelle regioni del Mezzogiorno, invece, la superficie ad IGT, sebbenerivesta un ruolo non marginale, non è ancora molto inferiore al peso rivestito dal vino datavola, che in realtà molto importanti della vitivinicoltura italiana, come la Puglia e la Sicilia,coinvolge oltre i tre quarti dell’intera superficie ad uva da vino.

Nel complesso, più della metà della produzione italiana può fregiarsi della denominazionedi origine o dell’indicazione geografica.

L’aspetto più rilevante, tuttavia, è rappresentato dalla quota rivestita dai vini IGT, la cuidiffusione rappresenta un fenomeno relativamente recente, che si deve alla legge 164/92.

Un’ulteriore conferma in tal senso deriva anche dall’evoluzione registrata negli ultimi annidal numero di denominazioni che hanno ottenuto un riconoscimento. In proposito, si puònotare come le DOC-DOCG italiane siano in continua crescita; queste, infatti, alla metàdegli anni ’90 erano complessivamente poco meno di 290 contro le 338 del 2000,concentrate prevalentemente nelle regioni del Nord e del Centro. Anche le IGTrappresentano una realtà importante, avendo ottenuto fin dal primo anno di introduzione,il 1995, un elevato numero di riconoscimenti (121). Il numero di vini ad IGT mostra nel

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tempo una lieve flessione, fenomeno che non indica uno scarso successo di questatipologia, ma piuttosto la funzione che questo riconoscimento riveste nel processo divalorizzazione dei prodotti vitivinicoli. Infatti, l’IGT in molti casi rappresenta il primopasso verso un livello di qualificazione superiore (TABELLA 7)(1).

2.3 LA PRODUZIONE DI VINO

La produzione complessiva di vino in Italia nell’ultimo decennio si può tradurre nellasuccessione di aumenti e diminuzioni. Nel periodo che va dal 1988 al 2000 si è passati dai61 ai 54 milioni di ettolitri, con una diminuzione di 7 milioni di ettolitri di vino prodotto(-11,3%) e una flessione dell’6,9% sul ’99 e del 3,7 sul ’95 (TABELLA 8).

Per comprendere le ragioni di tali risultanze, occorre ricordare che gli anni ’80 si sonocaratterizzati per una situazione di forte eccedenza produttiva, alla quale ha corrisposto unmassiccio ricorso ai meccanismi di intervento per il riequilibrio di mercato previstinell’ambito della normativa di settore.

L’andamento della produzione è, perciò, da attribuire alla progressiva riduzione dellasuperficie investita a vite, e all’interno della superficie restante alla maggiore importanzarelativa acquisita dai vini a denominazione e ad indicazione geografica, soggetti al rispettodi un vincolo di resa per ettaro imposta dai disciplinari di produzione. Tuttavia,relativamente al dato di produzione del 2000, la diminuzione della produzione è daattribuire anche ad un fenomeno di coincidenze agronomiche sfavorevoli che hadeterminato minori rese produttive. Una vendemmia questa ricordata per le forti riduzionidelle rese, che per alcune regioni, come ad esempio la Sardegna, ha rappresentato un verocrollo, con contrazioni produttive che hanno raggiunto punte del 27%.

Ciascuna regione contribuisce in misura molto diversa alla formazione della produzionecomplessiva di vino, ma nel tempo esse mantengono pressoché inalterata la loro posizionerelativa.

Il Veneto ha confermato nel 2000 il ruolo di principale regione produttiva di vino in Italiacon 8.825 milioni di hl, scavalcando quelle che sono state le due regioni di vertice negli anni

1 Nota. Questo fenomeno è in gran parte attribuibile alla legislazione comunitaria. Infatti, il regolamento Cee n.1442/88 sulla concessione di premi di abbandono definitivo delle superfici viticole, attuato fino alla campagna 1995/96 esuccessivamente modificato dal regolamento Cee n.1595/96 per le campagne 1996-1997,1997-1998 e 1998-1999, e da ultimodal regolamento Cee n.1679/99 per la campagna 1999-2000, autorizzava le estirpazioni con premio, per un quantitativodefinito per ciascuna delle campagne sopra riportate, in 5.785 ettari, per ciò che riguarda le superfici italiane.

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’90, ossia la Puglia che segue con 7.782 milioni di hl, e la Sicilia con 7.106 milioni di hl; inquarta posizione si conferma l’Emilia Romagna con 6.915 milioni di ettolitri.

Da notare che le quattro regioni hanno complessivamente una produzione superiore al50% del totale nazionale. In termini di ripartizioni geografiche, il Nord-Centro contribuisceper il 58% (31.410 milioni di hl) mentre il Sud per il restante 42% (22.678 milioni di hl).

Per quanto riguarda il dato sulla raccolta dell’uva da vino nel triennio ‘98/’00, la medianazionale è di 76.546 migliaia di quintali, pari ad una riduzione nel biennio 99/00 di -6,5%.Le regioni con i più elevati quantitativi di raccolta sono le quattro già citate: Veneto, Puglia,Sicilia ed Emilia Romagna (TABELLA 9).

2.3.1. Le aziende del vino

Il processo di concentrazione della produzione viticola ha incominciato a sortirelentamente i suoi effetti, favorito nelle intenzioni dalla regolamentazione comunitariadel settore e finalizzato a una maggiore dimensione produttiva con conseguentespecializzazione e miglioramento della redditività aziendale.

Dal censimento ISTAT 2000, risulta che, nonostante le operazioni di estirpazione e/oabbandono, la diffusione della vite continua a interessare circa 800.000 aziende pari al29,4% del totale nazionale e al 41% di quelle con coltivazioni permanenti, per unasuperficie investita pari a 715.550 ettari con valori medi di estensione per azienda di 1ettaro. Rispetto al Censimento ISTAT sull’agricoltura del 1990, in cui il 41,3% delle aziendeagricole coltivava la vite (1.098.315), nel 2000 i valori sono scesi al 35,2% (TABELLA 11).

La loro distribuzione territoriale mostra una concentrazione relativa nelle regioni nordorientali e centrali, dove rappresentano il 37% ed il 35% dei rispettivi totali delle aziendecensite. Tuttavia, la presenza di aziende viticole è particolarmente elevata anche nelleregioni meridionali, dove è presente il 34,2% delle aziende viticole italiane.

Rispetto a dieci anni prima le aziende viticole sono diminuite del 35% e, dunque,rappresentano una quota inferiore al 1990. Se si eccettuano le province di Trento eBolzano, la diminuzione delle aziende che coltivano la vite è stata, in tutte le regioni,superiore al tasso di riduzione del numero delle aziende (TABELLA 12).

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Un dato importante emerge dalla valutazione della percentuale del numero delle aziendedistribuite per classi di SAU, che tende a sottolineare l’estremamente polverizzazione checaratterizza il settore viticolo italiano (TABELLA 13).

2.4 IL GRADO DI SPECIALIZZAZIONE DEL SETTORE

Interessante notare, inoltre, che il grado di specializzazione del settore si evince, anche,dalla crescita di incidenza delle produzioni che vantano denominazioni di origine rispettoalla produzione di uve da tavola. Su 205 mila aziende specializzate e 397 mila ettari disuperfici investite in uve da vino ben 78.000 imprese con 177.000 ha si ricollegano a DOCo DOCG.

Un’ulteriore informazione di interesse si desume dai dati riportati nella TABELLA 14 dallaquale si rileva che circa il 54% delle aziende vitate è condotta da agricoltori con oltre 60anni di età, mentre la quota delle aziende condotte da “giovani” – ovvero da soggetti conmeno di 44 anni di età – è di poco superiore al 14%.

La senilizzazione dei conduttori delle aziende con vite appare particolarmente acuta nelleregioni centrali, dove meno dell’8% delle aziende è condotto da giovani.

Per quanto riguarda l’aspetto economico (Rls complessivo espresso in Ude), si può notareche sono le aziende specializzate nella viticoltura di qualità a creare maggior valore (3,4%)rispetto alla produzione di vini da tavola (2,1%) (TABELLA 15).

L’utilizzo di manodopera ha ancora un’incidenza significativa nel processo di produzioneviticolo, rappresentando uno dei costi maggiori in rapporto al panorama agricolo nazionaleed alla viticoltura europea e mondiale, in cui la coltivazione mediante sistemi automatizzatiè già largamente presente.

2.5 LE IMPRESE DI TRASFORMAZIONE E I MODELLI PRODUTTIVI

Il comparto delle aziende di trasformazione ha subìto, negli ultimi anni, un’evoluzione cheassume aspetti più che rilevanti sul piano strutturale.

Il complesso delle imprese che si occupano della vinificazione, alla quale si associa semprepiù spesso anche la funzione di imbottigliamento e commercializzazione dei prodotti, restamolto polverizzata oltre che articolata. La casistica indica imprese che vinificano uva

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propria e vendono vino sfuso o confezionato, oppure acquistano uva da vinificare o vinosfuso da terzi, e procedono successivamente al confezionamento. Nel caso di:

vinificazione delle uve proprie e confezionamento . I soggetti coinvolti sonoprevalentemente aziende cooperative, piccole aziende agricole e imprese chevinificano uve proprie anche per i vantaggi di immagine che ne derivano.

vinificazione di uve acquistate da terzi e successivo confezionamento del vino ottenuto. Si tratta di un modello produttivo adottato da imprese di medie emedio-grandi dimensioni che riescono in tal modo ad assicurarsi una grandeflessibilità della produzione e il suo rapido adeguamento alle richieste deiconsumatori. La vinificazione di uve acquistate, alla quale segue ilconfezionamento del vino, offre inoltre vantaggi in termini di immaginequalitativa della produzione aziendale.

confezionamento di vino sfuso acquistato da aziende agricole o da cantine sociali.

acquisto da parte delle catene distributive di vino finito, già confezionato e pronto per la commercializzazione. Di fatto queste catene distributiveintervengono nel settore con il proprio marchio.

Determinante all’interno del comparto resta il ruolo delle cooperative, in fase di progressivariqualificazione. Nonostante la rigidità della loro base produttiva, queste strutture stannoinfatti riconvertendo l’offerta dal vino sfuso al confezionato, e in particolare dal prodottocomune a quello di qualità.

2.6 LE PRINCIPALI IMPRESE ENOLOGICHE

L’analisi complessiva delle aziende di trasformazione del settore vitivinicolo apparepiuttosto complicata, sia per il sistema di classificazione adottato dall’ISTAT, che presentauna riclassificazione dei comparti e sottocomparti che afferiscono all’industria alimentare,sia perché i dati riportati nei censimenti dell’industria riguardano aziende di solatrasformazione.

Per tentare di quantificare la dimensione effettiva delle aziende che provvedono allatrasformazione del vino si è fatto ricorso ai dati AIMA sulle dichiarazione di produzione. Siè trattato di un lavoro svolto in occasione della applicazione dell’OCM vino, e dati piùaggiornati non sono disponibili. Da una verifica svolta con gli autori di questo lavoro,comunque non sono da prevedere grandi modifiche ad oggi.

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Relativamente agli anni 1997 e 1998, oltre 60 mila aziende agricole, pari a circa l’8% dellecomplessive aziende viticole italiane, hanno effettuato una dichiarazione di vinificazione.

Di queste aziende, oltre un terzo è collocato nelle regioni del Centro, con una nettaprevalenza di Toscana e Marche; un ulteriore 30% circa si trova nel Nord-Ovest,fortemente influenzata dal Piemonte che da solo ricopre una quota superiore al 21%(13.000 circa) del totale nazionale; il 22% si concentra nel Nord-Est, dove Emilia Romagnae Veneto raggiungono entrambe un peso vicino all’8%, mentre, il residuo 15% si collocanelle regioni meridionali.

Confrontando i vinificatori con il numero di viticoltori che effettuano una dichiarazione diraccolta di uva emerge, inoltre, che il fenomeno della trasformazione dell’uva in vinonell’ambito dell’azienda agricola è abbastanza frequente soprattutto nelle regioni del Nord-Ovest e del Centro, con picchi degni di nota registrati nuovamente, da Toscana, Marche ePiemonte.

Sebbene le aziende agricole che trasformano uva in vino rappresentino la tipologianumericamente più consistente, queste lavorano una quota relativamente ridotta (17%)dell’uva complessivamente trasformata. I viticoltori, infatti, producono appena il 13% e il17% dei vini da tavola e IGT; viceversa, assumono un certo rilievo in relazione ai viniDOC-DOCG, dei quali lavorano oltre il 35% del totale.

Tra le regioni, inoltre, meritano di essere segnalate la Toscana, il Friuli Venezia Giulia, laLiguria, la Campania e la Lombardia dove la parte più consistente dei vini DOC-DOCGviene prodotta all’interno delle stesse aziende agricole.

Il fenomeno dell’associazionismo, al contrario, sembra maggiormente sviluppato nel Nord-Est e al Sud. Nelle regioni meridionali, infatti, si colloca oltre il 45% delle oltre 800 cantinesociali operanti in Italia, con la Sicilia e la Puglia che in questo caso raggiungono pesi dirilievo. Le regioni del Nord-Est, invece, risultano trainate soprattutto da Veneto ed EmiliaRomagna; tra le altre regioni va segnalato il Piemonte con una quota di circa il 10%: purpercentualmente scarsa, tuttavia, trasforma i maggiori quantitativi di uva in vino,producendo il 56% del vino da tavola, il 49% circa del vino DOC-DOCG e quasi il 70%del vino IGT.

Inoltre le cantine sociali risultano raccogliere al loro interno la fetta più cospicua del mondoproduttivo, poiché all’incirca il 60% dei viticoltori che presenta una dichiarazione diproduzione risulta associato ad una cooperativa.

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La tendenza all’associazionismo nelle diverse realtà regionali, peraltro, si conferma legatasoprattutto alla modesta dimensione delle aziende e alle caratteristiche della produzione(vino destinato prevalentemente ai consumi di massa); viceversa, laddove la viticolturainsiste su territori di più antica tradizione, i produttori tendono a restare indipendenti.

Le aziende che operano nella sola trasformazione sono numericamente molto inferioririspetto a quelle attive anche nella fase agricola del processo di produzione. La quotamaggiore di vinificatori “puri” si trova nelle regioni del Nord, con il Piemonte che ancorauna volta detiene il primato, con un peso del 19% sul totale nazionale. Tali impreselavorano quantitativi consistenti dell’uva complessivamente trasformata in vino (27%),rivestendo un ruolo di rilievo soprattutto per la produzione di vino da tavola (31%), mentreassumono un ruolo residuale nella produzione dei vini di qualità, fatta eccezione che perpoche regioni, tra cui spicca ancora una volta il Piemonte.

Il sistema di produzione del vino in Italia appare, dunque, caratterizzato da tre tipologie dioperatori che agiscono su mercati distinti.

Da un lato si trovano una moltitudine di produttori-vinificatori - che comunquerappresentano una realtà marginale sul complesso dei produttori di uva - i quali rivestonoun ruolo di scarso rilievo sulla produzione complessiva di vino, fatta eccezione per letipologie di maggior pregio, a testimonianza del fatto che l’attività di trasformazioneall’interno dell’azienda agricola avviene soprattutto in presenza di prodotti con un elevatovalore economico.

All’opposto, i soli trasformatori appaiono numericamente pochi, ma acquisiscono un pesomolto consistente in termini quantitativi, dato che elaborano oltre il 30% della produzionetotale di vino da tavola.

Elemento comune a tutte le tipologie di prodotto, invece, risulta la forte presenza dellecooperative, non tanto numericamente ma per capacità produttiva unitaria, cherappresentano la parte più consistente della produzione di vino.

Partendo da questo elemento comune a tutte le tipologie di prodotto, quindi, si puòaffermare che nel caso del vino da tavola il sistema di produzione nazionale apparedominato dalle imprese a carattere puramente “industriale”, mentre per i prodotti di livelloqualitativo superiore sono gli stessi produttori di uve a giocare un ruolo determinante(questo tipo di imprese operano sempre più direttamente sul mercato - il canale breve -,gestendo la fase a valle della commercializzazione stessa del prodotto sfuso o imbottigliato)(TABELLA 16).

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I dati AIMA, tuttavia, non permettono di effettuare un’analisi delle caratteristiche strutturalidelle aziende di trasformazione di vino. A tal fine, occorre necessariamente fare ricorso alCensimento intermedio dell’industria dell’ISTAT - Censimento 2000.

Il dinamismo crescente dell’industria enologica, tuttavia, è molto più articolato e complessodi quanto non risulti dall’esame dei dati censuari. Un esempio in proposito è fornitodall’elaborazione dei dati Mediobanca che analizza le imprese di maggiori dimensioni e laloro evoluzione negli ultimi anni. Le prime 8 imprese hanno dichiarato, nel 1998, unfatturato complessivo di oltre 1.400 miliardi, contro 1.150 nell’anno precedente. Il datoesteso alle prime 16 aziende sale rispettivamente nei due anni esaminati a 2.157 contro1.714 miliardi del 1997. In termini di valore aggiunto sia le prime 8 che 16 imprese hannoincrementato la loro incidenza sul fatturato, salito rispettivamente a 17,7 e al 17,8% nel1998. Anche l’utile si rivela interessante, stimato intorno al 2,8% del totale dei ricavi inentrambi le classi dimensionali. Il numero dei dipendenti è in crescita, pari a 1.800 addetticirca nelle prime 8 aziende e 2.660 circa nelle prime 16, con un numero medio di addettipari rispettivamente a 226 e 167 addetti per ogni classe.

Un quadro, dunque, che riconduce alla presenza di poli industriali di alta competitività e aelevato livello di investimenti, in linea con il contesto internazionale del settore.

2.7 IL VALORE DELLA PRODUZIONE

La competitività del sistema rilevato attraverso gli indicatori economici tradizionali quali ilvalore della produzione al lordo dei consumi intermedi e la produzione lorda vendibile delsettore, fa osservare, in merito al primo aspetto, come la filiera vitivinicola, analizzata neglianni 1994-98, sia stata tra le più dinamiche del sistema agro-alimentare. A fronte di unaproduzione complessiva di 80 mila miliardi di lire costanti nel 1998 per il sistema agro-alimentare, cresciuta nell’ultimo anno dello 0,8%, il vino ha inciso per 5.900 miliardi circacon una performance di +11,5%. In questo si è dimostrato più dinamico di tutti gli altricomparti, compreso quello ortofrutticolo (+5,1%), quello cerealicolo (+6,6%) e quellolattiero-caseario (+1,7%) (TABELLA 17).

Il dato della produzione lorda vendibile a livello regionale negli anni 1990-97 nonriproduce, al contrario, lo stesso effetto sopra citato. In essa incide, infatti, la componenteagricola che ha rese alterne da anno ad anno sulla produzione delle uve.

Se si analizza il dato complessivo compare un valore che oscilla tra i 4.000 e i 5000 miliardicon punte verso il basso e l’alto a seconda delle annate.

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Nell’arco temporale preso in esame, il dettaglio delle singole realtà regionali presenta, comenel caso della Basilicata e della Sardegna, un aumento in percentuale della produzione lordavendibile consistente. In effetti per la Basilicata, dai 12,6 miliardi di Plv del 1990, si arrivaagli oltre 42,7 miliardi del 1997 (+327%), per la seconda , invece, l’incremento è del 137%(dai 56 miliardi del 1990 ai 133 miliardi del 1997). Buona la Plv della Campania passata dai160,8 miliardi del 1990 ai 209,4 miliardi del 97 (+30,2).

Variazioni negative, di contro, per l’Emilia Romagna, con una riduzione del 22% dal 1990al 97, ma soprattutto di oltre 34 punti percentuali nel passaggio tra il 1996 (713 miliardi) edil 1997 (468 miliardi); situazione analoga per l’Umbria.

Sostanziale stabilità, almeno nel lungo periodo, per il Trentino-Alto Adige (+5,5%), laToscana (-4%) e la Valle d’Aosta (-0,67%), con una forte impennata nel 1996 (Trentino260,5 miliardi; Toscana 432,3 miliardi; Valle d’Aosta 5,9 miliardi), subito contrattasi nelpassaggio all’anno successivo. Valori elevati, quelli del 1996, caratterizzato da produzioniabbondanti un po’ in tutte le aree viticole.

Le regioni che contribuiscono maggiormente alla Plv vino totale sono l’Emilia Romagnacon 468 miliardi, il Piemonte con 680 miliardi, la Puglia con 657,5 miliardi, la Sicilia con775 miliardi e il Veneto con più di 800 miliardi. Nel 1997 queste cinque regioni sommanouna Plv superiore ai 3.394 miliardi, in pratica ben il 56% del totale, lasciando intendere ilvalore che la viticoltura ricopre in queste aree particolarmente vocate.

Si consideri, infine, che dal 1999 tutti gli stati appartenenti all’UE hanno adottato il nuovoSistema europeo dei conti, SEC 95, che ha sostituito la Produzione lorda vendibile con laProduzione a prezzi di base.

A differenza della Plv, quest’ultima non include la cooperazione e utilizza come unitàmisura il prezzo di base, ottenuto aggiungendo i contributi e sottraendo le imposte suiprodotti.

2.7.1 Andamento produttivo e occupazionale regionale e provinciale

In questo paragrafo si analizzerà in modo sintetico l’andamento della produzione di uva davino, la superficie investita, la manodopera impiegata, nel triennio di riferimento(1998/1999/2000), delle regioni e delle province più importanti.

La Sicilia ha una produzione di vino/mosto sul totale nazionale del 13,9% nel periodo di18

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riferimento 1998/1999/2000; la manodopera impiegata nel settore rispetto al totalenazionale, nello stesso periodo, è del 12,4%, mentre la superficie investita è pari all’11,7%.

Le province più rappresentative di questa realtà sono Trapani, Palermo e Agrigento.

La provincia di Trapani con una produzione nelle campagne 1998/1999/2000 di 3.860.370q rappresenta il 49.9% del totale regionale. La manodopera, con 3.078.897 giornatelavorative, rappresenta il 48.8% del totale regionale del settore. La superficie investita è parial 56.4% del totale regionale.

La produzione della provincia di Agrigento è pari al 16%. Superficie e manodoperarispettivamente rappresentano il 26% e il 19% del totale regionale del settore.

Palermo: la produzione è il 18% del totale regionale. Superficie e manodoperarispettivamente rappresentano il 18,5% e il 13,9% del totale regionale del settore.

L’Abruzzo ha avuto una produzione nel periodo 1998/1999/2000 del 7,1% di vino/mostosul totale nazionale. La manodopera impiegata è pari al 3,6% sul totale nazionale. Lasuperficie investita a vite è del 5% sul totale nazionale.

La provincia più importante per quanto riguarda la produzione (78,2%), impiego dimanodopera (79,1%), e superfice investita a vite (77,2%), è sicuramente Chieti.

Il Veneto, con una produzione di vino/mosto pari al 15,8% del totale nazionale, è laregione leader per il triennio 1998/1999/2000. La manodopera impiegata con 5.382.031giornate lavorative rappresenta il 10,6% del totale nazionale.

La superficie investita a vite da vino porta il Veneto ad avere il 10,9% del totale nazionale.La provincia di Verona è la più indicativa della Regione. La sua superficie rappresenta il31,9%, la produzione il 36% e la manodopera il 32,6% del totale regionale.

La Puglia, ha una produzione di vino/mosto pari al 14,2% sul totale nazionale.

La manodopera impiegata, con 5.742.585 giornate lavorative, rispetto al totale nazionale di50.902.807 del settore, è pari all’11,3%. La superficie investita con vite da vino occupa il12,7% del totale nazionale (ha 84.959/ha 672.531).

Taranto,Bari,e Lecce, sono sicuramente le province più importanti della regione.

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Taranto,con una superficie investita a vite di 20.504 ha rappresenta il 24,1% della regione, laproduzione e la manodopera della provincia sono rispettivamente del 21,4% e del 21,9%.Bari supera Taranto nella percentuale della superfice investita con il 31,7% del totaleregionale, ma in produzione (19%) e giornate di manodopera (27.6%) le è dietro. Lecce èdietro alle prime due per quanto riguarda tutti e tre i valori: superficie 17,1%, produzione10% e giornate lavorative 9,4%.

Il Piemonte, ha una produzione di vino/mosto pari al 5,6% sul totale nazionale. Lamanodopera impiegata, con 5812.359 giornate lavorative, rispetto al totale nazionale di50.902.807 del settore, è pari all’11,4%. La superficie investita con vite da vino occupail 7,8% del totale nazionale (ha 52.585/ha 672.531). La produzione di vino in quintali èpari al 5,6% del totale nazionale.

La Toscana, rispetto al dato nazionale del settore, rappresenta per la superficie l’8,7%, perla manodopera il 12,1% e per la produzione 4,6%.

In particolare, rispetto al dato regionale del settore, Firenze ha una percentuale dimanodopera pari al 30,3%, di superficie impegnata del 37,1% e la produzione si attesta al29,9% del totale regionale. Siena è la seconda provincia della Toscana per quel che riguardal’impiego di manodopera (29,7%), la superficie impiegata (25,4%) e la produzione (23,2%).

Il Lazio, con il 3,2% di manodopera impiegata nel settore rispetto al totale nazionale, nerappresenta una quota poco importante; ma nella produzione di vino, al contrario, si attestasu un dato pari al 6,4%, mentre la superficie investita ad uva da vino è pari al 4,3% del datonazionale del settore.

Roma con il 35,6% di manodopera impiegata è la provincia a più alta consistenza lavorativarispetto al totale regionale. La superficie investita nella provincia è, in riferimento al datoregionale, del 73,5%. La quota di produzione provinciale rispetto al regionale è del 55,6%.

La Lombardia per quel che riguarda la manodopera impiegata e la superficie investita hadati quantitativamente poco rilevanti rispetto al dato nazionale; tutti e due i valori siattestano intorno al 3/4%. La produzione è inferiore al 2,7%.

Nella provincia di Pavia si concentra comunque la maggiore produzione, più del 57%rispetto al totale regionale. La manodopera investita nel settore, rispetto al dato regionale, èpari al 62,7%. La superficie investita a vite da vino in provincia di Pavia è del 7,4% deltotale regionale.

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La Campania ha prodotto il 3,8% di quintali di uva da vino del totale nazionale. Lasuperficie investita a vite da vino e la manodopera della regione rappresentanorispettivamente il 4,3% e il 6,2% del totale nazionale del settore.

Nella provincia di Benevento, la prima a livello regionale, la produzione nelle campagne1998/1999/2000 è stata di 932 mila quintali pari al 43,5% della regione. Superficie emanodopera sono rispettivamente il 39,3% ed il 36,9%.

Le Marche per le giornate di manodopera impiegata nel settore rispetto al dato nazionalerappresenta il 2,8%. La superficie investita a vite da vino è pari al 2,9%, sempre inriferimento al dato nazionale, e la produzione di vino è di 1.700.104 q., che trasformato inpercentuale risulta essere il 3% del totale nazionale. La provincia di Ascoli Piceno è la piùsignificativa rispetto alla superficie (55,1%), produzione (54,2%) e giornate di manodopera(47,4%) della regione Marche.

Il Trentino Alto Adige, nel triennio preso in esame, ha avuto una produzione divino/mosto pari a 1.202.347, che trasformato in percentuale sul totale nazionale diventa il2,2%. La manodopera impiegata, con 1.510.760 giornate lavorative rispetto al totalenazionale di 50.902.807, rappresenta il 3%. La superficie investita a vite da vino è il 2,1%dell’Italia. La provincia di Trento ha una superficie di 8.413 ha, una produzione di 805.413 q.ed un impegno di manodopera per 986.587 gg., che trasformati in percentuali sonorispettivamente il 60,9%, 67% e 65,3%; questi dati rendono Trento la provincia leader delsettore vitivinicolo del Trentino Alto Adige.

L’ Emilia Romagna è una delle regioni dell’Italia nella quale la quota di produzione divino/mosto è tra le più alte in assoluto; infatti con il 12,3% essa rappresenta la 4a regionedello stivale. La stessa cosa però non si può dire per la manodopera in quanto rappresentail 5,9%. Il totale della superficie investita a uva da vino è l’8,9% ed anche questo è un datoche la porta ad essere tra le regioni più vitate. La provincia di Ravenna è la più significativadella Regione. La sua superficie rappresenta il 18%, la produzione il 29,6% e lamanodopera il 28,5% del totale regionale.

Il Friuli Venezia Giulia, ha una produzione di vino/mosto pari a 2,1% del totalenazionale; così come la manodopera impiegata e la superficie totale sono rispettivamentedel 2,6%. Pordenone, è la provincia più apprezzabile della regione con il 41% dellasuperficie, il 46,2% della produzione ed il 38,1% per la manodopera.

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2.8 LO SCENARIO DEGLI SCAMBI COMMERCIALI: ALCUNI DATI

Sul versante del commercio con l’estero, il vino costituisce uno dei più importanti prodottidella bilancia agroalimentare italiana, avendo raggiunto nel 2000 un peso poco inferiore al15% sulle complessive esportazioni agroalimentari nazionali. Questo comparto presenta nel2000 una bilancia vinicola2 che si chiude in attivo per 4.322 miliardi di lire, con unincremento del 3,8% rispetto al 1999. Secondo le elaborazioni ISMEA, le vendite all’esterodi vini hanno registrato, in termini di volume, un calo del 7% per un ammontare di 17,3milioni di ettolitri, mentre, in valore, si ha una crescita del 4% per un introito pari a 4.711miliardi di lire. Per quanto attiene alle importazioni, l’ISMEA indica una riduzione del 2,2%per un ammontare di 613 mila ettolitri di vini acquistati ed una corrispettiva spesa di 388miliardi di lire (+6%).

Nell’arco dei 6 anni presi in considerazione si può notare come ad una diminuzione inquantità delle esportazioni (-2,2%) (anche se di gran lunga maggiore nel periodo 1996-1999:-33%) corrisponde un forte aumento in termini di valore (42%). Le importazioni, invece,aumentano sia in quantità (+112%) (del 294% nel periodo 1996-1997, dovuto soprattuttoai prezzi concorrenziali del mercato spagnolo), che in valore (+46%).

Quindi, a fronte di un andamento piuttosto oscillante dei quantitativi esportati, la tendenzacrescente delle esportazioni in valore trova spiegazione soprattutto in una accresciuta“reputazione” delle produzioni italiane, che ha consentito di mantenere su buoni livelli ilvalore delle vendite all’estero del prodotto nazionale. Ciò appare vero soprattutto peralcune regioni italiane dove, come vedremo più avanti, il valore delle esportazioni èaumentato in misura decisamente più consistente di quanto non sia avvenuto per lequantità.

2.8.1. Il contributo delle singole regioni al commercio estero

L’andamento dell’export vinicolo italiano nel periodo 1995 -1999, è caratterizzato da unincremento del 5,4%, ripartito rispettivamente tra Nord-Centro (7,8%) e Sud dove lacrescita rimane praticamente uguale a zero (0,1%). Una tendenza che assume un certorilievo è la riduzione dei volumi esportati tra il 1995 e il 1996 (-22%), passati da 17,6milioni di ettolitri a 13,7 milioni di ettolitri. Per quanto concerne il 1999, le esportazioniconfermano la crescita iniziata nel 1997, con un aumento del 20% rispetto all’annoprecedente. Nel dettaglio, è la Sicilia a registrare il miglior risultato del settore con unincremento del 77% e un totale esportato di 2,2 milioni di ettolitri, seguita dall’Umbria(65% con 97mila ettolitri), la Liguria (38,8% con 12 mila ettolitri), la Puglia (37,7% con 2,7

2 Si ricorda che la bilancia vinicola considera le quantità e i valori per anni e non per campagne produttive.22

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milioni di ettolitri) e l’Emilia Romagna (33% con 3,5 milioni di ettolitri). Valori negativisoprattutto per la Campania (-52% con 26 mila ettolitri).

Le singole regioni italiane contribuiscono in misura molto diversa alle complessiveesportazioni di vino. Innanzitutto va rilevato che il Veneto da solo spiega circa ¼ delletotali spedizioni di vino, a fronte di un contributo alla produzione nazionale molto piùmodesto. Di notevole rilievo appare anche la posizione di Piemonte e Toscana, con quoteche negli ultimi anni si sono attestate intorno al 16% delle esportazioni nazionali in valore;ciononostante, soprattutto la seconda regione, riveste un ruolo più marginale in termini diquantità esportate. La differenza nelle due quote trova spiegazione nell’importanza che inqueste realtà produttive assumono le produzioni a denominazione, i cui valori medi unitarisono considerevolmente più elevati rispetto a quelli degli altri prodotti del comparto,contribuendo, di conseguenza, a innalzare il peso di queste regioni per il valore delle loroesportazioni. In posizione analoga ma con pesi meno rilevanti si collocano anche laLombardia e il Trentino-Alto Adige.

All’opposto, invece, si trovano regioni come l’Emilia Romagna, la Sicilia e la Puglia, nellequali la quota sul quantitativo di vino inviato sui mercati internazionali appare, di granlunga, superiore a quella delle spedizioni in valore

L’export vinicolo italiano nell’arco dei 5 anni presi in esame (1993-1998) presenta unaumento del 96,4%, raggiungendo nel 1998 un valore di 4.151 miliardi di lire ripartiti tra ilCentro-Nord (89%) e il Sud (11%). Posizioni invariate per quanto riguarda la ripartizioneregionale in valore dove spiccano, come già sottolineato, il Veneto, che nel 1998 harappresentato sul totale nazionale una quota del 26% (oltre 1.000 miliardi di lire), seguitodal Piemonte, con una quota del 17% (692 miliardi), dalla Toscana con il 16% (660 miliardidi lire) e dal Trentino-Alto Adige con il 9% (378 miliardi di lire).

L’import vinicolo italiano nell’arco degli anni 1995-1999, è stato caratterizzato da unincremento del 79,6% con un salto tra il 1996 e il 1998 di 556 mila ettolitri, superando nel1998 la soglia dei 900 mila ettolitri, dei quali il 92% destinato all’area Nord-Centro.

Nel 1999, invece, le importazioni italiane si sono ridotte a 506 mila ettolitri con unariduzione del 45% rispetto all’anno precedente. Di questi il 97,8% è localizzato nel Centro-Nord, mentre il restante 2,2% al Sud. Sono il Piemonte (239 mila ettolitri), l’EmiliaRomagna (78 mila ettolitri) e il Veneto (69 mila ettolitri) a contendersi il primo posto dellezone italiane a maggior consumo di prodotti esteri, rappresentando insieme, nel 1999, il76,5% dei volumi totali entrati i Italia. In progressione anche l’import in valore che nelperiodo considerato (1993-1998) ha messo a segno un + 76,2%, raggiungendo nel 1998 un

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valore di oltre 342 mila miliardi di lire. Nel 1998, le regioni principali che più hanno spesonell’acquisto dei vini all’estero sono stati il Piemonte con una spesa di 117,330 miliardi dilire, la Lombardia (75,759 miliardi di lire) e l’Emilia Romagna con 74,061 miliardi di lire.

2.9 I CONSUMI

Nell’arco degli anni ’90 si è avuta una costante diminuzione dei consumi di vino pro-capite,passati dai 60,2 litri del 1991, ai 55,6 litri del 1998. Nello stesso periodo di tempo, si èassistito alla crescita di importanza delle bevande alternative – acque minerali, soft drinks esucchi di frutta – che hanno affiancato il prodotto sostitutivo per eccellenza, ovvero labirra, che dopo anni di progressiva affermazione si è stabilizzata nei consumi degli italiani.In particolare emerge che il consumo di acque minerali è piuttosto diffuso in tutto il paese,con una netta prevalenza delle aree più ricche, nelle quali anche i consumi quotidianirisultano piuttosto elevati, mentre i consumi di birra e di bevande gassate si presentanopiuttosto uniformi tra le diverse aree.

Il consumo di vino, al contrario, conferma la sua forte caratterizzazione geografica, chevede emergere le regioni del Nord-Est (62,6%) come le maggiori consumatrici e le isolecome le meno coinvolte (45,9%); questo conferma l’esistenza di un forte legame tradinamica dei consumi e tradizione produttiva, che appare tanto più forte quanto più laproduzione possiede una forte tipizzazione territoriale. Di un certo interesse, è il fatto che,mentre per le acque minerali si registrano consumi significativi diffusi in tutte le fasce dietà, tutti gli altri prodotti mostrano una forte caratterizzazione in funzione dell’età deiconsumatori. Infatti, i consumi di vino interessano soprattutto i consumatori di etàsuperiore ai 25 anni, la birra coinvolge fette consistenti di consumatori tra i 18 e i 55 anni,mentre le bevande gassate sono molto rilevanti per i consumatori al di sotto dei 35 anni dietà.

2.10 I CANALI DISTRIBUTIVI DEL VINO

Lo scenario distributivo nazionale del comparto vitivinicolo ha subìto nell’ultimo decennioun profondo cambiamento, al punto che il controllo degli indicatori che governano lestrette logiche di mercato, in termini di vendite e di costi, ha assunto un peso crescentetanto da rappresentare spesso l’aspetto vincolante della competitività di ogni azienda.

Un ruolo chiave in tal senso è stato svolto dalla Grande distribuzione, che ha contribuito amodificare i comportamenti dei consumatori, le loro valutazioni nei confronti dei prodottipresenti sugli scaffali e le abitudini e i tempi di consumo. Nel caso del vino, fino a nonmolti anni fa, l’acquisto avveniva, se non direttamente dal produttore, al più, dall’enoteca di

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fiducia. Questa situazione dispensava spesso le aziende dal compito di creare una politicacommerciale specifica e dedicata; bastava vinificare un buon prodotto, essere in una zonaviticola di richiamo ed il flusso commerciale transitava spontaneamente.

Oggi, la situazione è cambiata a tal punto che, forse, è possibile indicare nella GDO ilcanale distributivo “obbligato” in presenza di volumi importanti di vendita. La loro forza,oltre che nella logistica, risiede nei volumi e nel numero delle tipologie commercialiesposte e vendute, con la possibilità di adottare politiche di prezzo “ad hoc”, e favorire lacommercializzazione di questo o quel vino. Inoltre la GDO si sta muovendo verso unamigliore presentazione del comparto vino, valorizzando lo spazio, creando un clima piùricercato, utilizzando in alcuni casi carte dei vini curate da esperti e quindi allentando nelpensiero dei consumatori quel meccanismo che associava i supermercati ai vini di massa(ad esempio i vini contenuti nei brick). In particolare, la chiave del successo commercialenon risiede solo nella qualità intrinseca del vino, ma anche nella ricerca di unposizionamento mirato tale da attirare l’attenzione del consumatore ed in grado dicostruire l’immagine del prodotto.

Nel 1999 il 46% degli acquisti di vini, rispetto al 1998 con il 45%, si è verificato attraverso icanali degli iper e supermercati. Il numero delle referenze della GDO è molto elevato, edanche le fasce di prezzo consentono una scelta che si adatti a tutte le tasche. La crescitadell’acquisto dei vini negli iper e supermercati la si riscontra soprattutto per l’acquisto deivini a denominazione, visto che, se nel 1998 l’acquisto attraverso questo canale deiconfezionati DOC-DOCG aveva già superato la soglia del 60%, nel 1999 è andato oltre il63%.

Il ruolo degli iper e super mercati diventa ancora più consistente se si passa dagli acquisti involume alla spesa che vede il 54,5% degli esborsi per i vini in totale effettuati in questicanali distributivi. Anche per i negozi definiti a libero servizio (negozi con una superficiecompresa tra i 100 e i 300 mq) cresce la percentuale di acquisti, soprattutto nel segmentodei confezionati, sia da tavola che a denominazione di origine.

Nei discount, a fronte di un aumento globale fatto registrare dagli acquisti delle famiglie, sideve sottolineare la flessione dei vini a denominazione dal momento che nel 1998 l’11%delle DOC-DOCG era acquistato attraverso questo canale della moderna distribuzione,mentre nel 1999 la percentuale corrispondente è scesa poco al di sotto del 10%. Sono glialimentari tradizionali a perdere posizioni (in questo aggregato sono comprese anche leenoteche): se nel 1998 circa il 29% degli acquisti di vino e spumante venivano fatti in questinegozi, nel 1999 la percentuale è scesa drasticamente al 23%. Si mantiene tuttavia, seppurein flessione rispetto al 1998, molto elevata la quota di vino sfuso commercializzato

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attraverso questo canale, soprattutto se si considera il vino da tavola che rappresenta il59,5%. In aumento anche la quota degli acquisti nei Cash&Carry .

Analizzando le diverse aree si osserva che nel segmento del confezionato è sicuramente ilcanale della grande distribuzione, unitamente ai negozi definiti a libero servizio, a far dapadrone su tutto il territorio nazionale con una particolare punta nel Nord-Ovest, dove laquota arriva al 69% del volume e al 74% del valore. La percentuale più bassa di acquisti neicanali della GDO si riscontra nel Centro Italia dove comunque supera il 55% in volume e il62% in termini di spesa. Nel Sud rimane molto forte la presenza di negozi tradizionali (23%dei volumi venduti), ma si stanno affermando anche gli iper e super mercati, aperti in zoneparticolarmente popolose, che creano poli d’attrazione molto importanti anche perl’acquisto di vino. Vi è però minore affezione ai discount e ai Cash&Carry particolarmentegraditi nel resto del paese. La percentuale di acquisto sul totale del confezionato oscillanelle altre tre aree tra il 17% ed il 19%, mentre nel Sud si attesta intorno al 12%. L’acquistodi vino nelle enoteche ottiene il gradimento più elevato nelle regioni del Centro Italia conuna quota pari al 75% dei volumi, quota che sfiora il 10% in termini di spesa.

Un altro importante canale per il consumo di vino, e che si ritiene assumerà rilievosempre crescente per la tendenza degli italiani a consumare sempre più spesso i loropasti fuori casa, è quello della ristorazione che comprende alberghi, ristoranti , highlevel (ristoranti che risultano essere segnalati dalle più accreditate guide gastronomiche)pizzerie e trattorie.

Dalla relativa e specifica indagine ISMEA-NIELSEN, nel 1998 è stato consumato nellaristorazione un volume di vino pari a circa 1/3 di quello consumato in casa. Dai datiemerge che le preferenze degli italiani sono rivolte in modo preponderante ai vini da tavolae IGT con una percentuale del 52% sul totale, seguiti dalle DOC-DOCG con il 39%,mentre i vini frizzanti rappresentano solo il 9% del totale. La quota di DOC-DOCG èparticolarmente elevata nei ristoranti segnalati dalle guide turistiche (high level), doverappresentano il 55% dei consumi complessivi. L’incidenza di vini da tavola e IGT è invecesostenuta soprattutto negli altri ristoranti e nelle pizzerie (55%), mentre i vini frizzanti sonopiù presenti in pizzerie o trattorie (15%). L’area che realizza i maggiori consumi nel canaleristorazione risulta l’Italia Nord-Occidentale, con una percentuale del 31% sul totale,seguita dal Centro (26%) e dal Nord-Est (25%); in ultima posizione il Sud, che anche inquesto canale, conferma una ridotta propensione verso il vino. Nelle regioni settentrionali ilconsumo nel canale ristorativo è più indirizzato verso i vini a denominazione di origine,mentre nel Centro e nel Meridione la porzione maggiore è destinata ai vini da tavola e IGT.

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3. LA LEGISLAZIONE E L’ OCM DI SETTORE

3.1 PRINCIPALI LINEAMENTI DELLA POLITICA DI SETTORE

Con il 45% delle superfici viticole, il 60% della produzione e del consumo e il 70% delleesportazioni, l'Unione europea detiene un posto di primo piano nel mercato mondiale delvino.

Dal 1994/95 e dopo un lungo periodo caratterizzato da eccedenze strutturali, il mercatocomunitario del vino ha raggiunto una situazione generale di equilibrio tra produzione econsumo. In realtà, la produzione comunitaria registra una tendenza significativa al ribasso,dovuta principalmente alle misure adottate per ridurre le superfici viticole. Tuttavia, datoche la stessa tendenza flessiva caratterizza anche il consumo, questo equilibrio rimanefragile.

Dal 1962, nel quadro della politica agricola comune (PAC), è stata gradualmente istituitaun'organizzazione comune del mercato vitivinicolo. Questa OCM, fondata su un equilibriopolitico tra gli Stati produttori, ricorreva a meccanismi che garantivano l'equilibrio delmercato; tali meccanismi erano volti a:

regolare l'offerta tramite la limitazione dei diritti di reimpianto e la concessione dipremi per l'estirpazione delle viti;

applicare un regime di prezzi e d'intervento ai vini da tavola (ad eccezione dei "vini diqualità prodotti in regioni determinate", v.q.p.r.d.) tramite il ricorso alla distillazione,ovvero il ritiro ad un prezzo minimo garantito delle eccedenze della produzione e latrasformazione delle stesse in alcole per uso alimentare o in carburante.

Oggi le condizioni del mercato comunitario del vino sono cambiate. L'accresciutamondializzazione ha reso più accesa la concorrenza. Tra il 1994 e il 1996, le importazionidei paesi terzi sono più che raddoppiate. La Bulgaria, l'Ungheria e la Romania sonodiventate insieme il primo fornitore di vino dell'Unione europea. Anche altri paesi come gliStati Uniti, il Cile, l'Argentina, il Sudafrica e l'Australia hanno sviluppato politichecommerciali aggressive che valorizzano prodotti a prezzi molto competitivi. Infine,l'Unione europea deve tenere conto dell'invecchiamento dei suoi vigneti.

Considerate queste nuove condizioni e la grande complessità della normativa dell'OCM delvino, era indispensabile una riforma. Dopo un primo progetto fallito nel 1994, le nuovedisposizioni relative all'OCM nel settore vitivinicolo sono state discusse e adottate nel

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quadro dell'attuazione dell'Agenda 2000 e della riforma generale della politica agricolacomune.

3.1.1. L’ocm e le prospettive di revisioni a medio termine

L'obiettivo della nuova OCM del vino, istituita dal regolamento CEE 1493/1999, è dimantenere un migliore equilibrio tra l'offerta e la domanda sul mercato comunitario,consentire ai produttori di trarre profitto dai mercati in espansione e rendere il settore piùcompetitivo a lungo termine.

La nuova OCM si prefigge inoltre di eliminare il ricorso all'intervento come sboccoartificiale per la produzione eccedentaria, di mantenere tutti gli sbocchi tradizionalidell'alcole per uso alimentare e dei prodotti della vite, di tener conto delle diversità regionalie di riconoscere il ruolo delle organizzazioni di produttori e di quelle interprofessionali (oequivalenti).

Infine, essa mira a semplificare notevolmente la legislazione in questo campo, proseguendoil processo di chiarimento della Politica agricola comune avviato nel 1995 e ripresonell'Agenda 2000.

L'OCM nel settore vitivinicolo disciplina i seguenti prodotti:

le uve fresche diverse daquelle da tavola;

i succhi e i mosti di uva;

i vini di uve fresche,compresi i vini spumanti, ivini liquorosi e i vinifrizzanti;

gli aceti di vino;

il vinello;

le fecce di vino;

la vinaccia.

I punti salienti dell’OCM riguardano:

Il potenziale di produzione

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Il regolamento mantiene il divieto dell'impianto di viti con varietà classificate come varietàdi uve da vino fino al 31 luglio 2010, salvo quando si tratta di un diritto di impianto nuovo,di un diritto di reimpianto o di un diritto di impianto ottenuto da una riserva.

I diritti di nuovo impianto sono attribuiti nella misura del 2% circa della superficieesistente, di cui l'1,5% è ripartito tra i paesi produttori (articolo 6). Il beneficio di questidiritti di nuovo impianto è subordinato alla creazione di un inventario del potenzialeviticolo (articolo 16). Essi sono infine concessi dagli Stati membri ai viticoltori per lesuperfici destinate alla produzione di v.q.p.r.d. o di vino da tavola designato daun'indicazione geografica.

I diritti di reimpianto sono concessi dagli Stati membri ai produttori che hanno procedutoo si sono impegnati a procedere, entro tre campagne, all'estirpazione di una superficieviticola. In linea di massima, questi diritti sono esercitati nell'azienda per la quale sono staticoncessi. La durata di utilizzo di tali diritti va da cinque a otto anni, secondo i casi.

Il regolamento istituisce un sistema di riserve di diritti, create dagli Stati membri ealimentate dai diritti di impianti nuovamente creati e da quelli che non sono stati utilizzatinei termini prescritti. Tali diritti possono successivamente essere attribuiti ai giovaniagricoltori e, in cambio di una contropartita finanziaria, agli altri produttori. Uno Statomembro ha la facoltà di non applicare il sistema di riserve se è in grado di provare di avereun sistema efficace di gestione dei diritti di impianto.

Un premio di abbandono, il cui importo è fissato dagli Stati membri, può essere concessoper l'abbandono definitivo della viticoltura in una zona determinata. La concessione delpremio comporta per il produttore la decadenza dei diritti di reimpianto relativamente allasuperficie per la quale è concesso il premio. Tuttavia, certe superfici non danno diritto alpremio (articolo 9).

È istituito un regime per la ristrutturazione e la riconversione dei vigneti, inteso adadeguare la produzione alla domanda del mercato. L'ammissione al regime suddetto èconcessa soltanto nelle regioni per le quali lo Stato membro interessato ha elaboratol'inventario del potenziale viticolo di cui all'articolo 16. Possono fruire di un sostegno allaristrutturazione e alla riconversione soltanto i piani che sono già stati elaborati e, se delcaso, approvati. Tale sostegno viene erogato a titolo di indennizzo ai produttori per leperdite di entrate e quale contributo ai costi materiali della ristrutturazione e dellariconversione. Ad eccezione delle regioni classificate come regioni dell'obiettivo 1, ilcontributo finanziario della Comunità non può superare il 50% di tali costi.

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I meccanismi di mercato

È istituito per i produttori un regime di aiuti al magazzinaggio privato del vino da tavola,del mosto di uve, del mosto di uve concentrato e del mosto di uve concentrato rettificato.La concessione dell'aiuto è subordinata alla conclusione con gli organismi d'intervento diun contratto di magazzinaggio a lungo termine, esso stesso sottoposto a certe condizioni.

Diverse disposizioni riguardano la distillazione. Sono vietate la sovrappressione delle uve,la pressatura delle fecce di vino e la rifermentazione delle vinacce per scopi diversi dalladistillazione. In questo caso, chiunque detenga questi sottoprodotti è tenuto a consegnarlialla distillazione. Il distillatore deve pagare un prezzo minimo per questi prodotti e puòbeneficiare, a certe condizioni, di un aiuto, oppure è tenuto a consegnare all'organismod'intervento il proprio prodotto. Lo stesso regime di distillazione si applica ai vini di uve adoppia classificazione (uve da vino e uve destinate ad altro uso) che superano i quantitativinormalmente vinificati. La Comunità può così incentivare la distillazione dei vini da tavolaper sostenere il mercato vitivinicolo e garantire l'approvvigionamento costante di prodottidella distillazione del vino per i settori dell'alcole per uso alimentare che utilizzanotradizionalmente questo alcole (acqueviti di vino e vino liquoroso). In questo caso, l'aiutoconsiste in un aiuto primario (aiuto alla distillazione a fronte di un prezzo minimo pagatodal distillatore al produttore) e in un aiuto secondario per coprire le spese di magazzinaggiodel prodotto ottenuto. Inoltre, viene istituito un meccanismo di distillazione di crisivolontaria in caso di turbative eccezionali del mercato dovute a eccedenze consistenti o agravi problemi di qualità. Lo scopo di questa misura di crisi è di riassorbire le eccedenze edi assicurare la continuità degli approvvigionamenti da un raccolto all'altro.

Sono previsti aiuti a favore di determinati usi come i mosti di uve concentrati e i mosti diuve concentrati rettificati prodotti nella Comunità, qualora siano utilizzati per aumentare iltitolo alcolometrico del vino. Anche per i mosti di uve e i mosti di uve concentrati possonoessere erogati aiuti quando, per esempio, tali prodotti sono destinati all'elaborazione deisucchi d'uva. Una parte di quest'ultimo aiuto è volta a promuovere la produzione del succod'uva.

Le organizzazioni di produttori e organismi interprofessionali

Un titolo del regolamento è dedicato alle organizzazioni di produttori e agli organismiinterprofessionali, per i quali esso prevede una base giuridica comunitaria.

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È considerata organizzazione di produttori qualsiasi persona giuridica costituita suiniziativa stessa dei produttori e che persegue gli obiettivi specificati di seguito:

garantire la programmazione della produzione e il suo adeguamento alla domanda;

promuovere la concentrazione dell'offerta e la commercializzazione della produzione;

ridurre i costi di produzione e regolarizzare i prezzi alla produzione;

promuovere tecniche colturali e di produzione rispettose dell'ambiente.

Gli Stati membri possono riconoscere, a certe condizioni, queste organizzazioni comeorganizzazioni di produttori ai sensi del regolamento.

Per quanto riguarda gli organismi interprofessionali, gli Stati membri possono definire, adeterminate condizioni, delle regole di commercializzazione che riguardino laregolamentazione dell'offerta. Gli Stati membri devono comunicare le decisioni prese inmerito alla Commissione, che accerta la loro conformità al diritto comunitario. Gliorganismi interprofessionali possono condurre diverse azioni, tenendo conto degli interessidei consumatori.

Pratiche e trattamenti enologici: designazione, denominazione, presentazione e protezione

Le pratiche e i trattamenti autorizzati (arricchimento, acidificazione, disacidificazione,dolcificazione, ecc.) figurano negli allegati IV e IV bis. Queste pratiche possono essereimpiegate solo per una buona vinificazione, una buona conservazione e buoninvecchiamento del prodotto. È vietata la vinificazione dei mosti importati, così come iltaglio di un vino di paesi terzi con un vino comunitario, salvo deroghe da decidereconformemente agli obblighi internazionali. Inoltre, il regolamento disciplina alcuniprodotti che non possono essere destinati direttamente al consumo umano, come adesempio i prodotti importati sottoposti a pratiche enologiche non ammesse dallaregolamentazione comunitaria. In quest'ultimo caso, il Consiglio può adottare delle deroghe(articolo 49).

Le norme relative alla designazione, alla denominazione e alla presentazione di prodottinonché alla protezione di certe indicazioni, menzioni e termini sono descritte in dettaglionel titolo V, capitolo II, del regolamento e negli allegati VI e VII. Tali norme tengono

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conto della protezione degli interessi dei consumatori e dei produttori, del buonfunzionamento del mercato interno e dello sviluppo delle produzioni di qualità. I prodottiche non rispondono a questi requisiti non possono essere messi in circolazione nellaComunità né, salvo deroghe, essere esportati. Queste norme disciplinano anche lemenzioni obbligatorie, le menzioni facoltative da utilizzare a certe condizioni e altreindicazioni, in particolare le informazioni che possono essere utili ai consumatori.

I vini di qualità prodotti in regioni determinate (v.q.p.r.d.)

Per v.q.p.r.d. si intendono soprattutto i vini liquorosi (v.l.q.p.r.d.), i vini spumanti(v.s.q.p.r.d.), i vini frizzanti (v.p.q.p.r.d.) e i vini v.q.p.r.d. diversi da quelli summenzionati. Ilregolamento introduce un insieme di norme comuni per la produzione di questi vini.Solamente certi prodotti sono atti a dare un v.q.p.r.d. e si devono osservare determinatenorme di produzione menzionate nell'allegato V. Gli Stati membri devono trasmettere lalista dei v.q.p.r.d. che hanno riconosciuto alla Commissione. Inoltre, alcune disposizioniprevedono la possibilità di declassare i v.q.p.r.d che non rispondono più a certi requisiti (inparticolare il rispetto di una resa massima per ettaro).

Il regime degli scambi con i paesi terzi

L'importazione nella Comunità dei prodotti ai quali si applica il presente regolamento èsubordinata alla presentazione di un titolo d'importazione rilasciato dagli Stati membri achiunque ne faccia richiesta. Il titolo è valido in tutta la Comunità.

In linea di massima, a questi prodotti si applicano le aliquote dei dazi della tariffa doganalecomune. Per i succhi e i mosti d'uva, l'applicazione dei dazi della tariffa doganale comuneche consiste in un dazio ad valorem e in un dazio addizionale in funzione del prezzod'entrata, presuppone la verifica dal prezzo effettivo all'importazione mediante un controlloeffettuato su ciascun lotto o mediante un valore forfettario all'importazione (articolo 60).Per evitare eventuali effetti negativi imputabili a importazioni di taluni prodotti e inconformità alle norme dell'OMC, può essere fissato un dazio all'importazione addizionale(articolo 61).

Il regolamento comprende anche disposizioni relative ai contingenti tariffari, allerestituzioni all'esportazione e alle misure applicate negli scambi con i paesi terzi qualora siverifichino gravi perturbazioni, a causa di importazioni o esportazioni contrarie agliobiettivi della PAC, come stabilito nell'articolo 33 (ex articolo 39) del trattato CE.

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Le disposizioni generali, transitorie e finali

I prodotti ai quali si applica il Regolamento possono circolare nella Comunità soltanto seaccompagnati da un documento controllato dall'amministrazione.

Gli Stati membri designano uno o più organismi incaricati di controllare l'osservanza dellenorme comunitarie nel settore vinicolo. La Commissione costituisce un corpo di ispettoriincaricati di collaborare ai controlli in loco. Gli Stati membri designano anche i laboratoriautorizzati ad eseguire analisi ufficiali in tale settore.

Il regolamento istituisce un comitato di gestione per i vini composto di rappresentanti degliStati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione. Ad eccezione di certicasi connessi al regime degli scambi con i paesi terzi, le misure d'applicazione delRegolamento sono adottate conformemente alla procedura definita all'articolo 75.

4. IL CONTESTO ITALIANO E LE PROBLEMATICHE DI MAGGIORERILIEVO

Il Comparto vitivinicolo italiano presenta una serie di caratteristiche che costituiscono deiveri punti di forza quali: i suoi caratteri pedoclimatici particolarmente favorevoli allavitivinicoltura; una interessante piattaforma ampelografica che si è amplificata nel tempo;l’intensificarsi della ricerca in Italia, in particolare in favore dei vitigni autoctoni (necessariper ottenere la tipicità), che sono stati studiati e selezionati per migliorare le capacitàproduttive.

Inoltre si sta verificando una tendenza a riconvertire le varietà di uve bianche verso quellenere in risposta alle nuove tendenze del consumo, sintomo quindi di una capacità diadeguamento del settore agricolo ai mutati atteggiamenti di consumo.

La meccanizzazione della viticoltura sta offrendo interessanti prospettive economiche. Inparticolare la meccanizzazione delle operazioni di raccolta è uno dei punti essenziali dellamoderna vitivinicoltura, in quanto contribuisce alla qualità, alla riduzione dei tempi dilavoro (e quindi dei costi connessi all’impiego della manodopera) e alla produttività del

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vigneto. Al fine di favorire la meccanizzazione si stanno modificando anche i sistemi diallevamento.

Viceversa il settore registra alcuni punti di debolezza che interessano: la sua strutturaproduttiva, che rimane estremamente polverizzata. La diffusione della meccanizzazionein Italia è ancora limitata, essendo ostacolata proprio dalla frammentazione della strutturaproduttiva a livello agricolo, nonché, a volte, dall’inadeguatezza degli impianti e da unascarsa diffusione delle informazioni presso gli operatori del settore. Diversa la situazione inaltri paesi. La meccanizzazione è, infatti, molto diffusa in Francia e Germania – dove èestesa rispettivamente al 75 e 70% dei vigneti – nonché in paesi produttori emergenti, qualiSudafrica, Cile, California e Australia, che peraltro si stanno imponendo come concorrentisui mercati internazionali.

Inoltre, grava sul settore il permanere spesso di una scarsa integrazione verticale dellafiliera. Soprattutto nel Sud della Penisola resta, infatti, sotto il profilo strategico, la tendenzaa vendere vino sfuso, sfruttato commercialmente da altri operatori situati più a valle,sintomo evidente di una scarsa propensione al confronto diretto con il mercato e allacomprensione delle dinamiche dei processi di acquisto e di consumo. In quest’ottica siinserisce anche il consumo di vino in brick che, se ha aperto nuove prospettive per leregioni produttrici di vino da tavola, ha tuttavia anche avallato la tendenza a vendereprodotto sfuso da commercializzare altrove. La materia prima è sottoposta infatti aconfezionamento nel Nord della Penisola, dove sono localizzate le più importanti aziendeproduttrici di brick. Il problema si manifesta anche sul versante degli scambi con l’estero: ilvino sfuso, che rappresenta ancora una quota preponderante delle spedizioni oltre frontieraè infatti in buona parte destinato alla miscelazione e al confezionamento presso paesi terzi.Oltre al danno che ne deriva in termini di immagine, questo fenomeno espone leesportazioni del comparto ad una forte variabilità.

Per quel che attiene il processo di trasformazione, anche qui non mancano luci ed ombre.Fanno ben sperare l’avvio di un processo, seppure lento, di concentrazione industriale, chefavorisce il rafforzamento delle maggiori realtà vinicole del nostro Paese e contribuisce arendere più incisiva la presenza del vino italiano sul mercato interno ed estero.

L’adeguamento delle imprese trasformatrici alle nuove tecnologie per migliorare laqualità del prodotto e ridurre i costi del lavoro. In quest’ottica va letto il processo che haportato all’introduzione delle attrezzature in acciaio in sostituzione di quelle incemento, e alla sostituzione delle vecchie pigiatrici con le nuove presse pneumatiche.Anche la diffusione della temperatura controllata porta ad un miglioramento dellaqualità del prodotto, in quanto consente di controllare il processo di fermentazione.

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Per la garanzia di qualità intrinseca che forniscono al consumatore, i vini DOC-DOCGrappresentano un segmento in espansione: la loro quota sulla produzione complessiva divino ha registrato negli ultimi anni un forte incremento. Se i consumi di vino sono inregresso, esistono comunque nicchie di mercato con una buona performance oaddirittura in espansione. È questo il caso dei vini novelli.

Tuttavia preoccupa il fatto che la trasformazione vinicola italiana resta caratterizzata da unelevato grado di frammentarietà, che la diffusione dell’innovazione tecnologica è stata soloparziale. Localmente permane infatti la necessità di un ammodernamento della tecnologiadegli impianti di vinificazione e conservazione, soprattutto per le cantine di piccola e mediadimensione. Nonostante il processo di riqualificazione in atto, la produzione italiana èancora sbilanciata verso vini di tipo comune, mentre i vini a denominazione di originecontrollata hanno una scarsa incidenza sul livello produttivo totale.

Infine i processi di commercializzazione e distribuzione offrono segnali anch’essicontrastanti rispetto al ruolo che ha assunto la GD dato che le cantine sociali, chedetengono ancora una quota consistente della produzione vinicola nazionale, hannoavviato un processo che sta portando a un miglioramento del contenuto qualitativo delleproduzioni e ad un maggiore orientamento al mercato. Le imprese industriali di grandedimensione, operanti a livello nazionale, presentano di per sè un buon orientamento versoil mercato. Inoltre, la riscoperta del legame tra vino e arte, storia, cultura, prodotti tipici,tradizioni e gastronomia ha permesso di avvicinare nuovi consumatori: ne è un emblema lanascita e diffusione delle “Strade del vino” che hanno contribuito ad innescare un processodi valorizzazione del prodotto in relazione al territorio, ricollegando l’enologia al turismo.

A tali tendenze positive si contrappone il fatto che la produzione vinicola italiana èestremamente articolata. Al 30 giugno 2000 esistevano 338 denominazioni di originericonosciute, delle quali 21 DOCG.

D’altro canto nella categoria dei vini da tavola rientrano molti prodotti: i vinitermovinificati, quelli venduti in grandi recipienti, quelli con tappo a vite o corona, marchiaziendali noti e meno noti. In quest’ottica è facile che il consumatore nazionale e esteroabbia difficoltà ad orientarsi a causa di una percezione confusa della gamma produttivaesistente. In generale, sussiste negli operatori del settore una scarsa propensione alconfronto diretto con il mercato. D’altro canto vi sono anche difficoltà ad attuare unapolitica promozionale comune, in grado di spingere il settore verso una rivitalizzazione. Ilmarketing e la comunicazione sono lasciati ad un ristretto numero di aziende e a vini già diper sé rinomati. Per i vini di qualità, in particolare, la forte frammentazione dell’offerta e la

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piccola dimensione delle aziende contribuiscono a rendere difficoltosa la tuteladell’immagine del prodotto.

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5. LE PROVINCE ITALIANE A MAGGIORE VOCAZIONEVITIVINICOLA

5.1 LA METODOLOGIA PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE PROVINCE ITALIANE AMAGGIORE VOCAZIONE VITINICOLA

Per individuare le province italiane maggiormente significative per importanza dellavitivinicoltura sia in rapporto al peso rivestito in ambito nazionale sia nell’agricoltura locale,si è proceduto ad una preliminare analisi del settore su base provinciale. I dati produttivisono stati calcolati come media triennale delle campagne vitivinicole 1998/1999/2000.

L’analisi è stata sviluppata in tre fasi.

FASE 1) - Sono stati acquisiti i dati provinciali relativi a:

1. Produzione vitivinicola ai prezzi di base (anni 1998/1999/2000): fonte: IstitutoTagliacarne

2. Produzione agricola totale ai prezzi di base (anni 1998/1999/2000): fonte: IstitutoTagliacarne

3. Superficie investita a vite: (anni 1998/1999/2000): fonte ISTAT – Dati congiunturalisulle coltivazioni

4. Uva da vino (anni 1998/1999/2000): fonte ISTAT – Dati congiunturali sullecoltivazioni.

Rispetto alle variabili sopraelencate, alcune precisazioni si rendono necessarie per ciò checoncerne la produzione ai prezzi di base e la manodopera.

Per quanto riguarda il primo aspetto, va precisato che il calcolo della produzione agricolaprovinciale diffuso dall’Istituto Tagliacarne ha subito una notevole rivisitazione, resanecessaria per assicurare la conformità al nuovo sistema dei conti SEC95 adottato anchenegli altri paesi europei.

Le principali modificazioni inerenti l’agricoltura riguardano, dal punto di vista concettuale,il passaggio da una valutazione ai prezzi di mercato ad una valutazione ai prezzi base e lariclassificazione di alcune produzioni con lo scorporo della parte agricola da quella ditrasformazione industriale e di servizi. Per quanto riguarda il passaggio dai prezzi dimercato ai prezzi base, che includono i contributi sui prodotti, ed escludono le imposte

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sugli stessi, si rileva come questo nuovo sistema si presti meglio all’analisi della produzioneagricola, rappresentando al meglio sia l’ottica del produttore sia i relativi redditi.

Ai fini del calcolo della produzione, l’adozione del nuovo sistema ha determinatoelaborazioni specifiche per la valutazione della produzione di uva da vino da uva propria,con la separazione della parte cooperativa, che risulta scorporata dal calcolo.

Pertanto, a seguito delle modifiche descritte, il valore della produzione è più rispondentealla realtà, anche se globalmente sottostimata, sia per l’esclusione dell’IVA, che per moltepiccole aziende agricole costituisce un’entrata netta.

FASE 2) – E’ stata stimata, per ciascuna provincia, la necessità di manodopera complessivaper la viticoltura.

La stima è stata ottenuta moltiplicando gli ettari investiti a vite di ciascuna provincia,desunti dal Censimento generale dell’agricoltura italiana del 2000, per le necessità medie dimanodopera ad ettaro investito a vite di ciascuna provincia.

Per la determinazione di queste ultime si è fatto riferimento ai Decreti con cui ilMinistro del Lavoro e della previdenza sociale, in attuazione della legge 28 novembre1996, n.680, art. 9-quinquies, commi 11, 12, 15, ha determinato per ciascuna provincia ivalori medi di impiego di manodopera per singola coltura e per ciascun capo dibestiame. Gli articoli di legge richiamati prevedono che, ai fini contributivi eprevidenziali, le giornate di lavoro prestate dai compartecipanti familiari, piccoli colonie piccoli coltivatori diretti siano accertate dall’INPS tenuto conto dei valori medi diimpiego di manodopera per singola coltura e capo allevato determinate dal Ministro delLavoro, previa proposta delle commissioni provinciali della manodopera agricola,formulata tenendo conto delle caratteristiche fisiche del territorio e dei modi correnti dicoltivazione dei terreni.

Successivamente, le necessità unitarie sono stati moltiplicati per gli ettari investiti a vite nel2000 (Censimento generale dell’agricoltura) e calendarizzate per verificare gli assorbimentidi lavoro mensili. Ne è risultata la stima complessiva per l’Italia di 50.902.807 di giornate dilavoro.

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TABELLA 18 – Valori di impiego di manodopera ad ettaro per la coltivazione della viteRegioni Totale ore/ha

ABRUZZO 52BASILICATA 52CALABRIA 52CAMPANIA 107EMILIA ROMAGNA 50FRIULI V.G. 73LAZIO 52LIGURIA 106LOMBARDIA 106MARCHE 52MOLISE 107PIEMONTE 106PUGLIA 52SARDEGNA 107SICILIA 52TOSCANA 103TRENTINO A.A. 106UMBRIA 73VALLE d'AOSTA -VENETO 73

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Fonte: ns elaborazione su dati Ministero del lavoro e della previdenza sociale (G.U. varie)

FASE 3 – Le province sono state codificate secondo un numero progressivo crescentesulla base del valore assunto dai seguenti 5 criteri:

- quota della produzione vitivinicola ai prezzi di base sul totale nazionale;- quota della superficie investita sul totale nazionale;- quota del vino/mosto sul totale nazionale;- quota di manodopera per la coltivazione della vite sul totale nazionale;- incidenza della vitivinicoltura sulla produzione agricola totale provinciale ai prezzi di

base.

Successivamente per ciascuna provincia è stato calcolato un indicatore sintetico di rilevanza datodalla somma delle posizioni in graduatoria per ciascuna dei 5 criteri su indicati. Sono statesuccessivamente selezionate le 25 province con i valori più bassi dell’indicatore sintetico. Irisultati delle elaborazioni anzidette sono elencati nelle TABELLE 19, 20 e 21 enell’ALLEGATO 1.

5.2 ANALISI DELLE PROVINCE SELEZIONATE

Per una analisi più approfondita delle venticinque province selezionate, e per evidenziare ledifferenze che esistono tra le diverse realtà del settore vitivinicolo vengono utilizzati alcuniindicatori strutturali, presenti nelle TABELLE ALLEGATE, che in particolare riguardano:

la incidenza % sulla PLV sul totale nazionale la incidenza % sulla PLV provinciale la variazione % media della superficie intercensuaria 2000 rs.1982 il prezzo di base medio provinciale €/Kg (N.B.nelle tabelle i valori sono in lire) la produzione media di vino/mosto. Dal punto di vista metodologico l’analisi per le province selezionate si baserà sullacorrelazione di due parametri e successivo confronto con il dato provinciale.

Per ciascun indicatore strutturale sarà quindi determinato:

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un valore medio, che diventerà il parametro di riferimento per il confronto; un valore provinciale da individuare per ciascuna delle province oggetto di analisi.

Dopo la scelta degli indicatori strutturali si procede per confronto, per entrambi i parametriconsiderati, tra il valore medio (parametro di riferimento) e il valore provinciale, calcolatoper ogni provincia da analizzare.

L’analisi viene rappresentata mediante un grafico strutturato in quadranti, delimitatispazialmente da:

una linea verticale che delimita lo spazio a destra e a sinistra del valore medio:- a destra per i valori maggiori;- a sinistra per i valori minori;

una linea orizzontale che delimita lo spazio superiormente e inferiormente al valoremedio:

- superiormente per i valori maggiori;- inferiormente per i valori minori.

La posizione della singola provincia, nel singolo quadrante (A, B, C, D), indicherà lavalutazione rispetto ai parametri analizzati (GRAFICI 1, 2, 3).

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