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DOI: 10.12862/ispf15L402 [Saggi - 4] Andrea Mazzola Hermínio Martins, il principio vichiano del verum factum e l’era ciberscientifica Laboratorio dell’ISPF, XI, 2015

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DOI: 10.12862/ispf15L402 [Saggi - 4]

Andrea Mazzola

Hermínio Martins, il principio vichiano del verum factum e l’era ciberscientifica

Laboratorio dell’ISPF, XI, 2015

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Hermínio Martins, filosofo e sociologo della tecnologia, Emeritus Fellow al St. Antony’s College dell’Università di Oxford, ha pubblicato nel 2011 Experimen-tum humanum: civilização tecnológica e condicão humana1. Ci soffermeremo, in questa sede, sul capitolo O deus dos artefactos: o principio de Vico e a tecnologia, che ricollega la riflessione contemporanea sulla auto-comprensione della prassi umana al pensiero di Giambattista Vico.

Se la funzione originaria della Scienza Nuova2 vichiana era stata quella di esse-re una difesa della possibilità del costituirsi delle scienze umane, storiche e so-ciali, e una critica epistemologica alle ambiziose pretese delle scienze naturali del XVII secolo, per Martins il principio vichiano, verum ipsum factum, verum fac-tum convertuntur, è uno degli assunti filosofici che hanno esplicitamente legitti-mato l’avventura tecnoscientifica moderna3. La convertibilità tra fare e cono-scere afferma che possiamo comprendere pienamente solo ciò di cui siamo gli artefici, solo ciò che facciamo o realizziamo. Per Vico, Dio, come autore di tut-te le cose, a cui tutte le cose appartengono, è l’unico ad avere conoscenza della totalità del mondo naturale e umano, mentre gli uomini possono legittimamen-te ambire a conoscere solo il “mondo civile”: il che, confermando la loro pros-simità relativa alla divinità, ne sancisce di pari passo l’assoluta distanza.

Il pensiero di Vico, accomunato da Martins a Marx4 e allo strumentalismo e operazionalismo di George Sorel, John Dewey5 e Gaston Bachelard6, difende il valore epistemico della conoscenza dell’uomo prometeico (maker’s knowledge): se si può considerare il concetto di “tecnoscienza” come un derivato di quello bachelariano di phénomènotechnique, secondo Martins va riconosciuta la filiazione comune di entrambi a partire da quello soreliano di “natura artificiale”, capacità acquisita di realizzare e creare fenomeni, enti e processi che non si limitano a imitare i fenomeni osservati, ma genera sostanze e strutture che non si danno nella natura terrestre, fuori dai laboratori7.

1 H. Martins, Experimentum humanum: civilizacão tecnológica e condiçao humana, Lisbona, Relógio

D’Água, 2011. 2 G. Vico, La Scienza Nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744, a cura di M. Sanna e V.

Vitiello, Milano, Bompiani, 2012. 3 Per una genealogia del filosofema vichiano si veda R. Mondolfo, Il “Verum-Factum” prima

di Vico, Napoli, Guida, 1969. 4 Cfr. K. Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, a cura di D. Cantimori, Roma, Editori

Riuniti, 1964 (1867), Libro I, cap. 13, n. 89. 5 A. H. Child, Making and knowing in Hobbes, Dewey and Vico, Berkeley (Ca.), University of

California Press 1953. 6 G. Bachelard, Le rationalisme appliqué, Paris, PUF, 1949; Id. Le matérialisme rationnel, Paris,

PUF, 1953. 7 Altri studiosi marxisti riferiti da Martins, come Boris Hessen, Franz Borkenau, Henryk

Grossman e Edgar Zilsel, a cavallo tra gli anni ‘30 e ‘40 del XX secolo, in maniera analoga ma indipendente da Sorel, spiegheranno la storia delle scienze esatte come risultato del miglioramento tecnico nella creazione della «natura artificiale», piuttosto che come un miglioramento nella spiegazione dei fenomeni della natura naturale. Per Sorel la «continuità essenziale» del progresso tecnologico era la maggiore lezione offerta da Marx: il concatenamento intellegibile della storia e il «canone della ricerca» scientifica; in H. Martins, Experimentum, cit., pp. 89-93.

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Il carisma della ragione scientifica ne ha fatto un’impresa a credito, nel sen-so in cui le sue grandi promesse, costantemente reiterate, troveranno adempi-mento socio-economico solo a partire dal XIX secolo. Paradossalmente, pro-prio il suo manifestarsi come forza storica in grado di trasformare le esistenze individuali delle masse, gli assetti sociali e gli ambienti naturali, mostra l’inadeguatezza del principio umanista vichiano: dal punto di vista di una an-tropologia filosofica e di una filosofia critica della tecnologia, dal momento in cui l’uomo, «Dio degli artefatti», ha invaso il mondo naturale in proporzioni sempre maggiori, le conseguenze antropogeniche delle sue opere e dei suoi (tecno)manufatti hanno cominciato a mostrare una forte dose di incontrollabi-lità e incomprensibilità. Non solo gli sconvolgimenti ecologici dovuti allo sfrut-tamento macchinico delle risorse, ma anche quelli prossimi venturi derivanti dai progetti interrelati delle biotecnologie plus ingegneria genetica umana, dell’intelligenza artificiale plus robotica e nanotecnologia, ci mostrano da un lato la debolezza teorica del maker’s knowledge argument del principio vichiano e, dall’altro, l’evanescenza dei valori dell’umanesimo nelle società contempora-nee8.

1. È appena il caso di ricordare i motti di Francis Bacon, «ipsa scientia potestas est» e «the effecting of all things possible»; quello di Thomas Hobbes «scientia potentia est» o quello di René Descartes per il quale la scienza ci avrebbe reso «maître et possesseurs de la nature»9 all’origine di numerose utopie scientifico-sociali o, sul fronte opposto, la satira di Jonathan Swift10 sulle smisurate pretese avanzate dagli scienziati della Royal Society, per renderci conto di come la crisi della coscienza europea, per riprendere la felice espressione di Paul Hazard11, sia stato un fenomeno culturale, innescato dalla rivoluzione scientifica del XVII secolo, con un’onda d’urto i cui effetti si riverberano, amplificati come in una cassa di risonanza, ancora oggi.

Va notato però che alcune delle macchine che hanno segnato l’avvento della società industriale come la macchina a vapore di James Watt o il telaio di Jac-quard, la prima macchina programmabile, non furono inventate da scienziati di professione12; e come lo stesso concetto di «società scientifico-industriale»,

8 Anche se ci si prodiga con candide intenzioni umanistiche nella difesa della multi-, inter- e

trans-disciplinarità, quest’ultima mi sembra essere la prassi consuetudinaria, in un paradigma riduzionista e strumentalista, dell’attuale antiumanista era cibernetica. In generale, cibernetica e IA si propongono come approcci transdisciplinari in grado di gettare ponti tra le scienze naturali e le scienze umane, tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale.

9 Il primo motto di Bacon appare nelle sue Meditationes Sacrae (1597), il secondo in New Atlantis (1627); quello di Hobbes nel Leviatano (1668) e quello di Descartes nel suo Discours de la méthode (1637).

10 J. Swift, I viaggi di Gulliver (1726), tr. it. di V. Gueglio, Milano, Frassinelli, 1999. 11 P. Hazard, La crisi della coscienza europea, 1680-1715, tr. it. di P. Serini, Torino, Einaudi,

1946 (1935). 12 Bisogna ricordare, per la nostra riflessione sul rapporto di causalità tra la produzione

degli artefatti e la conoscenza, che la macchina a vapore ha preceduto l’elaborazione teorica della termodinamica: C. Smith - M. Norton Wise, Energy and Empire. A Biographical Study of Lord Kelvin, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. Analogamente, il telegrafo ha anticipato

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formulato negli anni ‘20 del XIX secolo dal giovane sansimoniano e polytechni-cien Auguste Comte, fosse piuttosto un’anticipazione e una previsione della struttura sociale avvenire. Sin dalle prime lezioni del suo Cours de philosophie posi-tive13, Comte affermava che gli ingegneri avrebbero assunto un ruolo storico preminente come mediatori sociali tra i savants e gli entrepreneurs, tra la teoria e la pratica, tra la scienza e l’economia industriale. Come sottolinea Martins, la dif-ferenziazione professionale tra queste figure, considerata da Comte un requisi-to necessario del progresso sociale, è oggigiorno completamente superata dalla nuova rivoluzione tecno-scientifica, che sempre più spesso vede gli stessi indi-vidui ricoprire contemporaneamente i ruoli di scienziati, imprenditori e consu-lenti in istituzioni governative. Paradossalmente, ma non troppo14, oggi sembra finalmente concretizzarsi la completa integrazione di scienza, tecnologia ed economia sostenuta con forza dai teorici marxisti che vedevano nella ricerca scientifica disinteressata una ambizione futile, quando non nociva. Martins ci ricorda come l’appello rivolto da Marx15 ai filosofi affinché dessero il loro con-

lo sviluppo della teoria dell’elettromagnetismo: B. J. Hunt, Michael Faraday, Cable Telegraphy, and the Rise of Field Theory, in G. Hollister-Short - F. A. J. L. James (eds.), History of Technology, Los Altos (Ca.), Mansell Publishing, 1993.

13 A. Comte, Corso di filosofia positiva, tr. it. di F. Ferrarotti, Torino, Utet, 1967 (1830-1842). 14 La «società industriale» diventerà un topico degli studi storici, sociologici e filosofici solo

nella seconda metà del secolo XX, dimostrando un certo ritardo, o anacronismo anti-vichiano, delle scienze umane sulla pratica storica della società. Se Martins riferisce a tal proposito gli scritti di R. Aron, Dix-huit leçons sur la société industrielle, Paris, Gallimard, 1962, non possono essere dimenticate le analisi condotte dagli studiosi della scuola di Francoforte e la loro visione pessimista del rapporto tra progresso tecnologico e emancipazione umana: T. W. Adorno - M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, tr. it. di L. Vinci, Torino, Einaudi, 1974; H. Marcuse, L’uomo a una dimensione; L’ideologia della società industriale avanzata, tr. it. di L. Gallino e T. Giani Gallino, Torino, Einaudi, 1968; Id., Soviet Marxism. Le sorti del marxismo in URSS, tr. it. di A. Casiccia, Parma, Guanda, 1968; M. Horkheimer, Eclissi della ragione, tr. it. di E. Vaccari Spagnol, Torino, Einaudi, 2000; H. Marcuse, La società tecnologica avanzata, tr. it. di L Scafoglio, a cura di R. Laudani, Roma, Manifestolibri, 2008. Altre critiche pregnanti della modernità, attente al ruolo della scienza e della tecnologia e alle loro conseguenze politiche e sociali sono: M. Foucault, Power/Knowledge: Selected Interviews and Other Writings 1972-1977, New York, Pantheon, 1980; Y. Ezrahi - E. Mendelsohn - H. Segal, Technology, Pessimism and Postmodernism, Dordrecht, Kluwer, 1994; L. Marx, The Idea of “Technology” and Postmodern Pessimism, in M. R. Smith - L. Marx (eds.), Does Technology Drive History? The Dilemma of Technological Determinism, Cambridge (Ma.), MIT Press, 1994; J. Ellul, Il sistema tecnico. La gabbia delle società contemporanee, tr. it. di G. Carbonelli, Milano, Jaca Book, 2009 (1977); Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, tr. it. di C. D’Amico, Torino, Bollati Boringhieri, 2010.

15 Cfr. K. Marx, Tesi su Feuerbach, in K. Marx - F. Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma, Editori Riuniti, 1969 (1845), pp. 187-190. Marx affronta la questione delle macchine come fattore produttivo di «plusvalore relativo» nel Libro I, Sezione IV, Capitolo 13, del Capitale, di cui riportiamo il seguente passo dal Paragrafo 5, intitolato Lotta tra operaio e macchina: «Quella figura indipendente ed estraniata che il modo di produzione capitalistico conferisce in genere alle condizioni di lavoro e al prodotto del lavoro nei riguardi dell’operaio, si evolve perciò con le macchine in un antagonismo completo. Quindi con esse si ha per la prima volta la rivolta brutale dell’operaio contro il mezzo di lavoro. Il mezzo di lavoro schiaccia l’operaio. [...] il continuo perfezionamento delle macchine e lo sviluppo del sistema automatico hanno effetti analoghi: “Il fine costante del macchinario perfezionato è quello di diminuire il lavoro manuale, ossia di chiudere un anello nella catena produttiva della fabbrica, sostituendo

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tributo per trasformare il mondo, sia stato fatto proprio dall’intera intellighentia planetaria, fautrice di quella commistione tra scienza ed economia che trasfor-ma le università in “centri di eccellenza”: imprese produttrici e detentrici di brevetti e diritti di proprietà intellettuali, dove l’attività didattica è omologata alla vendita di servizi16. Il progresso tecnoscientifico, non essendo stato ac-compagnato da un reciproco progresso della giustizia sociale attraverso la redi-stribuzione delle ricchezze e del potere politico, come denunciato dall’econo-mista Branko Milanović a conclusione del suo lavoro nel dipartimento della ricerca della Banca Mondiale, rivela la sua deriva classista, elitista e imperiali-sta17. Non sorprende quindi che la capitalizzazione della conoscenza e della ricerca scientifica in una miriade di prodotti intelligenti e ubiquitari, collegati attraverso l’«internet delle cose», definisca l’attuale assetto produttivo come «capitalismo cognitivo»18, «capitalismo digitale»19, «tecno-capitalismo»20, «capita-lismo macchinico»21, «economia della conoscenza»22, «economia immateriale», «economia digitale»23 funzionale alla «società dell’informazione» o «società di reti» che caratterizza l’attuale politica come «noopolitica»24 e l’epoca attuale

apparecchi di ferro agli apparecchi umani”; [...] “Nel sistema automatico il talento dell’operaio viene progressivamente soppiantato”».

16 H. Martins, The Marketization of the Universities and the Cultural Contradictions of Academic Ca-pitalism, in «Metacrítica - Revista de Filosofia», I, 2004, 4; download disponibile all’indirizzo internet <http://herminiomartins.net/>. Si veda anche M.C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, tr. it. di R. Falcioni, introduzione di T. De Mauro, Bologna, Il Mulino, 2011.

17 B. Milanović, Mondi divisi. Analisi della disuguaglianza globale, tr. it. M. Alacevich, Milano, Mondadori, 2007 (2005); Id., Chi ha e chi non ha; Storie di diseguaglianza, tr. it. di M. Alacevich, Bologna, Il Mulino, 2012 (2010); Id., Globalization and Inequality, Cheltenham (UK) - Northampton (Ma.), Elgar, 2012.

18 A. De Boever - W. Neidich (eds.), Psychopatologies of Cognitive Capitalism, 2 voll., Berlin, Archive Books, 2013- 2014; C. Formenti, Capitalismo cognitivo, crisi e lotta di classe. Il paradigma postoperaista, in «Sociologia del lavoro», 115, 2009, pp. 131-142.

19 C. Formenti, Felici e sfruttati, Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro, Milano, Egea, 2011; C. Marazzi, Capitalismo digitale e modello antropogenetico del lavoro. L’ammortamento del corpo macchina, in J. L. Laville - C. Marazzi - M. La Rosa - F. Chicchi (a cura di), Reinventare il lavoro, Roma, Sapere, 2000.

20 L. Suarez-Villa, Globalization and Technocapitalism: The Political Economy of Corporate Power and Technological Domination, London, Ashgate, 2012; Id., Technocapitalism. A Critical Perspective on Technological Innovation and Corporatism, Philadelphia (Pa.), Temple University Press, 2009.

21 M. Pasquinelli, Capitalismo macchinico e plusvalore di rete: note sull’economia politica della macchina di Turing, 2011, <http://matteopasquinelli.com/docs/Pasquinelli_Capitalismo_Macchinico. pdf>, in particolare p. 18.

22 S. Bellucci - M. Cini, Lo spettro del capitale; Per una critica dell’economia della conoscenza, Torino, Codice Edizioni, 2009; M. Cini, Il supermarket di Prometeo; La scienza nell’era dell’economia della conoscenza, Torino, Codice Edizioni, 2006.

23 C. Formenti, Not economy. Economia digitale e paradossi della proprietà intellettuale, Milano, ETAS, 2003.

24 Il termine «Noopolitik», si riferisce a «an informational strategy of manipulating interna-tional processes through the forming in general public by means of mass media of positive or negative attitude to external or internal policy of a state or block of states to create a positive or negative image of ideas and promulgated moral values». A. V. Baichik - S. B. Nikonov, Noopolitik as Global Information Strategy, in «Vestnik St. Petersburg University», IX, 2012, 1

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come «età della conoscenza», «età dell’informazione», «età digitale», strada per il pieno dispiegamento delle potenzialità della «noosfera» grazie all’avvento di una imminente «singolarità tecnologica»25. Va ricordato che il concetto di «noo-sfera», nato negli anni venti del XX sec. ad opera del paleontologo e teologo Teilhard de Chardin26 e successivamente elaborato e reso celebre dal matemati-co e filosofo Edouard Le Roy e dal chimico sovietico Vladimir Vernadsky27, è stato oggigiorno ripreso dal movimento transumanista28 che profetizza la pros-sima emergenza di una mente macchinica, la spiritual machine teorizzata da Ray Kurzweil29, e che segnerà l’obsolescenza della condizione umana. L’automatiz-zazione industriale, l’industrializzazione biotecnologica dell’agricoltura, le nano-tecnologie, i progetti della robotica e dell’intelligenza artificiale paventano una società in cui le grandi masse dei lavoratori si vedranno espropriate della loro funzione sociale; è stato persino affermato che in futuro l’essere umano non sarà più necessario30.

2. Leo Marx ha documentato come, a cominciare dalla prima metà del XIX sec., la «retorica del sublime tecnologico» abbia sedotto l’immaginario euro-peo31. Oltre al celebre romanzo di Mary Shelley, Frankestein32, a partire da quest’epoca si inizierà a parlare di conquista dello spazio e del tempo, mentre, parallelamente al diffondersi delle reti ferroviarie, della telegrafia elettrica e del codice Morse, sorse l’idea di «sistema nervoso della Terra»33, fino alla sua ver-

pp. 207-213. Esso è stato creato dagli esperti della difesa John Arquilla e David Ronfeldt in uno studio del 1999 della RAND Corporation (Research and Development), un think tank no-profit sulla policy globale originariamente formata dalla Douglas Aircraft Company per offrire ricerche e analisi per le Forze Armate degli Stati Uniti e successivamente finanziato dal governo degli Stati Uniti oltre che da privati e corporazioni, tra cui il settore sanitario e le università; J. M. Noyer - B. Juanals, La stratégie américaine du contrôle continu. De la “Noopolitik” (1999) à “Byting Back” (2007), une création de concepts et de dispositifs de contrôle des populations, 2008, <http:// archivesic.ccsd.cnrs.fr/file/index/docid/292207/filename/Noopolitik_Byting_Back5.pdf>.

25 J. Cascio, Get Smarter, in «The Atlantic», luglio-agosto 2009, pp. 94-100. 26 P. T. de Chardin, Hominization, in Id., Vision of the Past, New York, Harper & Row, 1967

(1923). 27 V. Vernadsky, The Biosphere and the Noosphere, in «American Scientist», XXXIII, 1945, pp.

1-12. 28 H. Martins, Paths to the Post-Human: a Very Short Guide for the Perplexed, in «Configurações:

revista de sociologia», II, 2006, pp. 29-56. 29 R. Kurzweil, The Age of Spiritual Machine, New York, Viking 1999; Id., The Singularity is

Near. When Humans Transcend Biology, New York, Viking, 2005. 30 B. Joy, Why the Future Don’t Need Us, in «Wired Magazine», aprile 2000. Si veda anche

l’ottimo documentario della Cinétévé e Arte France Un monde sans humain all’indirizzo <https://www.youtube.com/watch?v=KeqF4M8LWE4>.

31 L. Marx, The Machine in the Garden; Technology and the Pastoral Ideal in America, New York, Oxford University Press, 1964; C. Formenti, Incantati dalla rete. Immaginari, utopie e conflitti nell’epoca di Internet, Milano, Cortina, 2000.

32 M. Shelley, Frankestein: ovvero il Prometeo moderno, tr. it. di S. Censi, Roma-Napoli, Theoria, 1991 (1818).

33 Per esempio leggiamo in N. Hawthorne, La casa dei sette abbaini, tr. it. di M. Manzari, Torino, Einaudi, 1993 (1851), p. 287: «È vero o me lo sono sognato che grazie all’elettricità il

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sione di world brain di Herbert George Wells ispirata alle tecnologie di comuni-cazione e informazione della prima metà del secolo XX, e che secondo alcuni si è concretizzata con l’avvento del World Wide Web34. Il simultaneum mondiale vaticinato dalle avanguardie futuriste traeva le mosse da quella che è stata defi-nita, retrospettivamente, come «internet vittoriana»35, antesignana del «villaggio globale»36. Nel 1948, poi, Norbert Wiener37 paragonò quello che da allora molti chiameranno «cervello elettronico» al sistema nervoso centrale, in grado di diri-gere apparecchi periferici di controllo automatico e, estendendo i principi della cibernetica alla scienza politica, parlerà, negli anni ‘60, di «nervi del governo»38. Più recentemente, sulla scia delle tesi di John von Neumann39, l’analogia tra cervello e computer è diventata compulsiva al punto che Marvin Minsky ha definito il cervello un «computer di carne»40. Infine, con la diffusione planetaria delle ICT si è cominciato a teorizzare sul sorgere di un «super-organismo pla-netario» o, con riferimento al milione di server di Google, di «organismo colletti-vo metazoico»41, le cui cellule sensorie, i microchip, sarebbero il sensorium mundi della datasphere della rete globale42.

mondo della materia è divenuto un nervo enorme, vibrante per migliaia di miglia in un battibaleno? [...] Anzi: il globo è una testa enorme, un cervello, pervaso di intelligenza! E non si può dire che sia anch’essa un pensiero, nient’altro che un pensiero, e non la materia che credevamo». L’idea viene oggigiorno sviluppata nel progetto CeNSE, Central Nervous System of the Earth, ad opera della multinazionale statunitense dell’informatica Hewlett-Packard Company, che porta avanti l’istallazione di un trilione di micro-sensori finalizzati al monitoraggio dell’intero pianeta Terra.

34 H. G. Wells, World Brain, London, Methuen & Co., 1938. L’idea di Wells di una «World Encyclopaedia» sarà sviluppata dall’autore di 2001: Odissea nello spazio, A. C. Clarke, Profiles of the Future, An Inquiry into the Limits of the Possible, Phoenix, The Orion Publishing Group, 2000 (1962) in cui si prevede la creazione, entro il 2100, di un «superintelligent artificially intelligent supercomputer» attraverso cui interagiranno gli esseri umani. Per i riferimenti al World Wide Web come la realizzazione e l’evoluzione dell’intuizione di Wells si veda B. R. Gaines, Conver-gence to the Information Highway, in «Proceedings of the WebNet Conference», <http://algo. informatik.uni-freiburg.de/bibliothek/proceedings/webnet96/Html/KGaines/Gaines.htm>; W. B. Rayward, H. G. Wells’s Idea of a World Brain: A Critical Reassessment, in «Journal of the American Society for Information Science», L, 1999, 7, pp. 557-573.

35 T. Standage, The Victorian Internet: the Remarkable Story of the Telegraph and the Nineteenth Cen-tury Online Pioneers, London, Walker & Company, 1998.

36 M. McLuhan, The Gutenberg Galaxy: the Making of Typographic Man, Toronto, University of Toronto Press, 1962.

37 N. Wiener, La cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina (1948), tr. it. di G. Barosso, Milano, Il Saggiatore, 1982; Id., Introduzione alla cibernetica (1950), tr. it. di D. Persiani, Torino, Boringhieri, 1966.

38 N. Wiener, Selected Papers of Norbert Wiener, Cambridge, MIT Press & SIAM, 1964. 39 V. Somenzi - R. Cordeschi (a cura di), La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza

artificiale, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. 40 M. Minsky, La società della mente (1988), tr. it. di G. Longo, Milano, Adelphi, 1989. 41 G. Dyson, La cattedrale di Turing. Le origini dell’universo digitale, tr. it. di S. De Franco e G.

Seller, Torino, Codice edizioni, 2012, p. 357. 42 D. L. Burk, Privacy and Property in the Global Datasphere, in S. Hongladarom - C. Ess (eds.),

Information Technology Ethics. Cultural Perspective, Hershey (Pa.), Idea Group Pub, 2006; F. Elichi-rigoity, Planet Management. Limits to Growth, Computer Simulation and the Emergence of Global Space, Evanston (Ill.), Northwestern University Press, 1999.

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L’immagine della rete, o della rete di reti, è comunque anch’essa precedente alla nascita del Web, risalendo alla visione dei sansimoniani del mondo come un réseau e uno «spazio di flussi», in una economia/mondo articolata in circuiti sempre più ampi e densi, sempre più omogenei e isotropi, capaci di potenziare la circolazione di beni materiali e immateriali – prodotti, informazioni, persone e capitali. Di qui il loro entusiasmo tecno-ottimista per la costruzione di grandi canali e ponti per collegare paesi e continenti; strutture di connessione che avrebbero portato alla «associazione universale», alla comunione dei popoli, all’unificazione dell’umanità e alla pace perpetua43.

La retorica della reticolarità, dai sansimoniani alle recenti utopie di comuni-cazione o alle utopie planetarie sorte con l’avvento del WWW, dei blog e dei social network, insiste sulle possibilità ecumeniche di realizzazione della cosmopolis, della democrazia e della razionalità, indotta dalle reti attraverso la decentraliz-zazione e de-gerarchizzazione della società44. Nell’espressione Personal Computer, i digerati, simpatizzanti degli ideali del movimento californiano degli anni ‘70 del «Nuovo Comunalismo», sottolineavano il suo essere personal, uno strumento di liberazione individuale e, continuando sulla stessa linea, esponenti del movi-mento hacker diedero il loro contributo agli ideali della condivisione con la pro-grammazione del open source e del free software45. Nonostante i dubbi che è possi-bile sollevare sul potenziale emancipatore delle tecnologie informatiche46 e le critiche ai suoi impatti sull’ecologia, sull’economia, sulla società, sulla politica, e perfino sull’apprendimento e sul sistema cognitivo, l’utopismo digitale fiorisce in versioni sempre più radicali, come il «ciberfemminismo», il «cibercomuni-smo» e il «digitalismo», proposti come alternativi al capitalismo47.

I ciber-artisti e ciber-filosofi transumanisti d’oggi stanno comunque di fatto ricalcando le orme già tracciate dalle avanguardie futuriste, in Italia, nell’URSS e nella Germania nazista, che vedevano con entusiasmo la fusione del meccanico con l’organico48. Se consideriamo come alcune realizzazioni già conseguite, e

43 P. Musso, Télécommunications et philosophie des réseaux: la postérité radicale de Saint-Simon, Paris,

PUF, 1997; Id., La religion du monde industriel: analyse de la pensée de Saint-Simon, Paris, Éditions de l’Aube, 2006.

44 P. Breton, L’utopie de la communication, Paris, La Découverte, 1990; A. Mattelart, Histoire de l’utopie planétaire: de la cité prophétique à la société globale, Paris, La Découverte, 1999.

45 J. Brockman, Digerati: Encounters With the Cyber Elite, San Francisco, Hardwired, 1996; F. Turner, From Counterculture to Cyberculture: Stewart Brand, the Whole Earth Network, and the Rise of Digital Utopianism, Chicago, University of Chicago Press, 2006.

46 F. Chiusi, Critica della democrazia digitale. La politica 2.0 alla prova dei fatti, Torino, Codice, 2014.

47 D. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, tr. it. di L. Borghi, in-troduzione di R. Braidotti, Milano, Feltrinelli, 1995; R. Barbrook, Class Wargames: Ludic Subver-sion Against Spectacular Capitalism, London, Minor Composition, 2014; Id., Imaginary Futures: From Thinking Machines to the Global Village, London, Pluto Press, 2007; Id., Media Freedom: The Contra-dictions of Communications in the Age of Modernity, London, Pluto Press, 1995; Id., Do capitalismo ao digitalismo, <http://digital-ismo.blogspot.pt/>.

48 S. Poggianella (a cura di), Giacomo Balla, Fortunato Depero: opere 1912-1933, Rovereto, Nicolodi, 2006 (1915); L. Caruso (a cura di), Manifesti, proclami, interventi e documenti teorici del futurismo, 1909-1944, Firenze, Salimbeni, 1980 (1910).

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altre in corso di sperimentazione, mostrino una ibridizzazione bio-tecnologica, con materia viva e materiali fisici di origine industriale o di laboratorio a fun-zionare in sinergia, con microchip accoppiati a meatware, e software connessi con le funzioni organiche, si chiarisce la definizione di «rivoluzione biolitica»49 per caratterizzare la tecnologia contemporanea, e la dissonanza cognitiva che la nuova «simbiosi» bio-tecnica sta causando50. Difatti, la trasformazione delle protesi eso-somatiche in impianti endo-somatici sta rendendo sempre più am-bigua la frontiera tra medicina terapeutica e medicina «migliorativa», come nel caso dei risultati degli esperimenti neuro-informatici che si stanno realizzando sui tetraplegici o della «terapia genica» mediata da virus.

Alle promesse e visioni di felicità e abbondanza predominanti nel XIX seco-lo si è comunque affiancato, dopo il 1914, un sentimento di «terrore e ammira-zione» (awe and wonder, come diceva Edmund Burke a proposito del sublime naturale) verso la «sublimità» tecno-scientifica esibita dalla potenza distruttiva o spesso incontrollabile delle scoperte e innovazioni tecniche: armi e centrali nu-cleari, radiazioni elettromagnetiche e ionizzanti, armi chimiche e biologiche, sostanze chimiche causa della degradazione dei suoli e acidificazioni dei mari, ingegneria genetica e biologia sintetica, intelligenza artificiale. Per non parlare della crescente assuefazione a un fabbisogno energetico sempre maggiore, vero e proprio «tecno-metabolismo» dell’economia mondiale che costituisce il dark side del progresso tecnologico di quella che è ormai una civiltà del rischio e dell’incertezza51.

Di fronte a questioni come il riscaldamento globale, in parte antropogenico, e alla antropogenica «grande sesta estinzione»52 nella storia della vita terrestre, o come la perdita di nicchie ecologiche che sono anche nicchie culturali, appare evidente come il calcolo probabilistico dei rischi non possa tenere il passo con gli effetti latenti, accumulativi, irreversibili e non lineari dell’interazione della società industriale con la biosfera e con le società non industriali53. All’esplo-sione della conoscenza si accompagna una esplosione dell’ignoranza, a volte

49 H. Kempf, La révolution biolithique: humains artificiels et machines animées, Paris, Albin Michel,

1998. 50 G. Longo, Uomo e tecnologia. Una simbiosi problematica, Trieste, EUT, 2006; Id., Homo

technologicus, Roma, Meltemi, 2005; Id., Il simbionte, Roma, Meltemi, 2003. 51 U. Beck, Risk Society: Towards a New Modernity, London, Sage Publications, 1992. Cfr. an-

che S. Jasanoff (ed.), Learning from Disaster: Risk Managemet after Bhopal, Philadelphia (Pa.), Uni-versity of Pennsylvania Press, 1994; P. J. McManners, Victim of Success. Civilization at Risk, Pangbourne, Susta Press, 2009; P. Brown, Toxic Exposures. Contested Illnesses and the Environmental Health Movement, New York, Columbia University Press, 2007; J. P. Dupuy, Retour de Tchernobyl. Journal d’ un homme en colère, Paris, Seuil, 2006; A. Petryna, Life Exposed: Biological Citizens after Chernobyl, Princeton, Princeton University Press, 2002.

52 E. Colbert, The Sixth Extinction. An Unnatural History, New York, Henry Holt, 2014. 53 Per una critica epistemologica dell’abuso del ragionamento probabilistico applicato ai

«sistemi complessi», e delle infondate pretese di prevedibilità dei fenomeni economici, sociali ed ecologici si veda N. N. Taleb, Giocati dal caso. Il ruolo della fortuna nella finanza e nella vita, tr. it. di G. Monaco, Milano, Il Saggiatore, 2008; Id., Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, tr. it. di E. Nifosi, Milano, Il Saggiatore, 2009 (2008); Id., Antifragile. Prosperare nel disordine, tr. it. di D. Antongiovanni - M. Beretta - F. Cosi - A. Repossi, Milano, Il Saggiatore, 2013 (2012).

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artefatta54, e un’incertezza radicale sul futuro del pianeta e delle prossime gene-razioni. Il linguaggio epico, di origine cristiana, sul dominio, conquista e sog-giogamento della natura ha ormai lasciato il passo alla più drammatica enfasi sulla violazione, distruzione e fine della natura, già denunciati nel XIX secolo dal filosofo neo-kantiano Charles Renouvier, che aveva teorizzato, in termini razionali, e non mitici, l’imperativo rispetto per la natura e la nostra responsabili-tà e i nostri obblighi morali di fronte ad essa, persino nei casi di enti inanimati come i «monumenti naturali» paesaggistici55.

3. Nonostante i ponderati e diffusi allarmi sull’incapacità anti-vichiana di pre-vedere gli effetti di retroazione dell’ambiente, la cieca fiducia nella possibilità di rimediare ai danni collaterali dello sviluppo tecno-economico con mezzi a loro volta tecnologici apre la strada a un technological fix che prepara interventi di geo-ingegneria per controllare le radiazioni solari, o che risponde alla sovra-dipendenza energetica con il «rinascimento nucleare» invece che con misure politiche, giuridiche o socio-culturali. Così come ai problemi di salute pubblici causati da uno stile di vita iper-sedentario, dalla «nemesi medica»56 dovuta alla industrializzazione della medicina, o dalla produzione e distribuzione industria-le degli alimenti, con la conseguente presenza in essi di sostanze chimiche tos-siche, si risponde con i progetti di medicina personalizzata, di nano-medicamenti e nano-bot che circoleranno a breve nel sangue e nei tessuti per distruggere il colesterolo, le cellule cancerose, etc.; soluzione sempre più care, e quindi elitiste e esclusive, o che comunque implicano la stretta dipendenza dei pazienti dalle istituzioni e dalle imprese e, in generale, dal sistema tecno-scientifico.

Molti scienziati di fama, cibernauti autoproclamatisi “timonieri” di questo pianeta alla deriva, sembrano accecati dai tecno-lumi della ragione antropocen-trica e non prendono nemmeno in considerazione l’incertezza anti-vichiana, intrinseca alla complessità dei sistemi tecnologici, che aggiunge alla vulnerabili-tà naturale una altrettanto pericolosa vulnerabilità tecno-economica57.

54 R. N. Proctor, Cancer Wars. How Politics Shape What We Know and Don’t Know About Cancer,

New York, Basic Books, 1995; R. N. Proctor - L. Schiebinger (eds.), Agnotology. The Making and Unmaking of Ignorance, Palo Alto (Ca.), Stanford University Press, 2008.

55 C. Renouvier, Science de la morale, Cambridge (Ma.), Nabu Press, 2012 (1869). 56 I. Illich, Nemesi Medica, L’espropriazione della salute, tr. it. di D. Barbone, a cura di T.

Casartelli, Milano, Boroli, 2005 (1976). 57 «La parola greca antica kybernetes significa pilota di una nave. La radice è kyber, che sta per

timone e trova un parallelo nella radice latina guber, che ritroviamo nel gubernator, timoniere e per estensione colui che governa una città, uno Stato. Kyber e guber fanno evidente riferimento ad una comune progenitrice indoeuropea che significava timone. Nel greco di Platone è già attestata la parola kybernetikè, che dal significato originario di governare una nave acquista per metafora il senso del governare una città o uno Stato», <https://it.wikipedia.org/wiki/ Cibernetica>, consultato il 15/05/2015.

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Nonostante il coro di voci contrarie, i fattori di rischio connessi alla tecno-logia non sono eludibili58, soprattutto in riferimento al loro potenziale catastro-fico, come ad esempio nel caso del «dilemma dello zero e dell’infinito» (zero-infinity dilemma) connesso alle centrali nucleari: se il funzionamento normale di una centrale nucleare comporta un’impronta di carbonio trascurabile rispetto all’uso di combustibili fossili, argomento utilizzato dai sostenitori della nuclear renaissance, il suo potenziale per un disastro catastrofico, come quello che si è verificato a Fukushima nel mese di Marzo del 2011, o come quello connesso allo stoccaggio delle scorie radioattive, ne fa un metodo di produzione di ener-gia drammaticamente controverso, e assolutamente criminale dal punto di vista dei suoi oppositori59.

Il fatto che si siano moltiplicati i casi di rischio assicurabile, attraverso una casistica minimalista, che definirei ossessiva, e che ha portato alla codificazione probabilistica di quasi tutti gli aspetti dell’esistenza, fino a farci considerare le nostre società come sociétés assurancielles che, rinunciando al buon senso, alla so-lidarietà e a una forma di stoica accettazione degli eventi della vita, sono affette da ciò che Martins chiama «cretinismo metodologico»60 e che penso rappresen-tino una specie di risposta panica alla sfuggente complessità della società di massa e della civiltà tecnologica. L’impossibilità di quantificare, e tanto più di assicura-re la «casualità tecnologica»61 e l’imprevidibilità anti-vichiana degli «effetti di vendetta» degli interventi62 antropogenici e tecnogenici, dovrebbe farci riflette-re sulla nostra relazione co-evolutiva con l’ecosistema planetario e sulla fragilità inevitabilmente conseguente allo sradicamento delle comunità umane dalle loro nicchie ecologiche. Sebbene le scale spaziali e temporali degli interventi tecno-economici sul mondo naturale e sociale, così come sulle condizioni complessi-ve di vivibilità del pianeta, siano anti-vichianamente impossibili da prevedere, confidiamo fideisticamente, quindi in un certo senso disperatamente direi, nella

58 J. Elster, Explaining Technical Change. A Case Study in the Philosophy of Science, Cambridge,

Cambridge University Press, 1983; R. A. Posner, Catastrophe. Risk and Response, New York, Ox-ford University Press, 2004.

59 Si veda al riguardo il dossier della Royal Geographical Society, Nuclear power and energy secu-rity - 28/11/11. How does Japan’s nuclear disaster interconnects with wider global issues of energy security and environmental sustainability, <http://www.geographyinthenews.rgs.org/resources/documents/ Nuclear_Download.pdf>. Per quanto riguarda lo stesso “dilemma” in ambito biotecnologico cfr. H. van den Belt, Debating the Precautionary Principle: “Guilty until Proven Innocent” or “Innocent until Proven Guilty”?, in «Plant Physiology», 2003, 132 pp.1122-1126; J. Elster, Explaining Tech-nical Change. A Case Study in the Philosophy of Science, Cambridge, Cambridge University Press, 1983; R. A. Posner, Catastrophe, cit.

60 H. Martins, Experimentum, cit., p. 79. Nella vasta letteratura sulla nascita della statistica e sul suo ruolo nella «creazione» della società e nel sostenere le politiche sociali si veda I. Hacking, Il caso domato, tr. it. di S. Morini, Milano, Il Saggiatore, 1994; T. M. Porter, The Rise of Statistical Thinking, 1820-1900, Princeton (N. J.), Princeton University Press, 1986.

61 J. M. Krois, Cassirer: Symbolic Form and History, New Haven, Yale University Press, 1987. 62 E. Tenner, Perché le cose si ribellano. Le conseguenze inattese (e spiacevoli) della tecnologia (1996), tr.

it. di N. Santanbrogio, Milano, Rizzoli, 2001.

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mano invisibile del progresso tecno-scientifico per rimediare agli eventuali gua-sti63.

Un altro esempio del gioco d’azzardo anti-vichiano con cui siamo confron-tati nella agenda del progresso tecno-scientifico sono i possibili rischi della ma-nipolazione genetica degli esseri viventi64, uomo compreso65. Nonostante non si possa sostenere in buona fede che questi interventi siano privi di rischi e in-certezze, tanto i ragionamenti prudenziali quanto le remore morali, laiche o religiose o gli impedimenti giuridici, appaiono condannati alla futilità in un si-stema sociale dominato dall’economia di mercato e in un paradigma filosofico anti-metafisico66.

Il futuro dell’«antropocene»67, che è il nome dato al periodo storico che va dalla prima rivoluzione industriale ad oggi, periodo caratterizzato dall’impatto decisivo dell’azione umana sul pianeta, divide quindi gli animi, combattuti tra un «principio-speranza» nello stile di Ernst Bloch68, secondo il quale la scienza condurrà a una società dell’abbondanza; un «principio-disperazione» che, in linea con la prospettiva di Günter Anders69 riduce l’orizzonte escatologico della nostra specie, inducendoci a un «catastrofismo chiarificato»70, ossia all’accetta-zione del fatto che il peggio arriverà, e conviene prepararsi; e infine a un «prin-cipio-responsabilità», teorizzato da Hans Jonas71, come rimedio morale alla no-stra inedita capacità di distruzione della biosfera.

La nostra dipendenza dall’ambiente artificiale coinvolge comunque sempre più quello che Martins definisce «ambiente artificiale interiore», riferendosi alla totalità dei dispositivi e incorporazioni endo-somatiche, genetiche (somatiche e

63 S. Latouche, La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e il mito del progresso.

Saggi in memoria di Jacques Ellul (1995), tr. it. di A. Salsano, Torino, Bollati Boringhieri, 2008; A. Lorenzet, Il lato controverso della tecnoscienza. Nanotecnologie, biotecnologie e grandi opere nella sfera pubblica, Bologna, Il Mulino, 2013.

64 S. Jasanoff, Fabbriche della natura, Biotecnologie e democrazia, tr. it. di E. Gambini e A. Roffi, Milano, Il Saggiatore, 2008; M. W. Ho, Ingegneria genetica; Le biotecnologie tra scienza e business, tr. it. di E. Galasso - S. Morandi, Roma, DeriveApprodi, 2001.

65 J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi dell’eugenetica liberale, tr. it. e cura di L. Ceppa, Torino, Einaudi, 2002; G. Stock, Riprogettare gli esseri umani; L’impatto dell’ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie, tr. it. di E. Servalli, Milano, Orme Editori, 2004.

66 H. Jonas, Frontiere della vita, frontiere della tecnica (1974), tr, it. di G. Bettini, a cura di V. Rasini, Bologna, Il Mulino, 2011.

67 B. Latour, Agency at the Time of the Anthropocene, in «New Literary History», 2014, 45, pp. 1-18; A. Grass, Fragilité de la puissance: se libérer de l’emprise technologique, Paris, Fayard, 2003; H. Freyer, Teoria da época actual (1955), Rio de Janeiro, Zahar Editores, 1965.

68 E. Bloch, Il principio speranza (1953 e 1959), tr. it. di E. De Angelis - T. Cavallo, Milano, Garzanti, 1994.

69 G. Anders, L’uomo è antiquato (1956), vol. 1. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, tr. it. di L. Dallapiccola; vol. 2. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, tr. it. di M. A. Mori, Torino, Bollati Boringhieri, 2007; Id., Reflection on the H bomb, in «Dissent», III, 1956, 2, pp. 146-155, <http://www.history.ucsb.edu/faculty/marcuse/ projects/anders/Anders1956DissentNotesHBombRedOCR.pdf>.

70 J.-P. Dupuy, Pour un catastrophisme éclairé, Paris, Seuil, 2002. 71 H. Jonas, Il principio responsabilità: Un’etica per la civiltà tecnologica (1964), tr. it. di P. Rinaudo,

a cura di P.P. Portinaro, Torino, Einaudi, 2014.

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germinali), endo-psichiche e fenotipiche che caratterizzano l’eugenetica nella sua forma odierna di «micro-eugenetica di mercato»72. All’aspirazione al miglio-ramento della condizione umana si offrono protesi, sempre più sofisticate, geni somatici o germinali modificati, nano-macchine biologiche in grado di riparare tessuti e organi, elettrodi inseriti nei centri celebrali del piacere, progetto psico-neurotecnologico quest’ultimo che ha indotto alcuni filosofi a discutere se la massimizzazione dei piaceri sia ciò che veramente desideriamo73.

In un orizzonte temporale non molto lontano la cyborghizzazione punta a superare i limiti ontologici della condizione umana, biologica e biopsichica e si erge come radicale technological fix in grado di rimediare agli inconvenienti della sessualità, dell’invecchiamento, e, perché no, della morte74. Si configura così quello che Martins chiama il «programma forte dell’antropologia artificiale»75, con il quale ci è imposto di ripensare tutte le sfere dell’esistenza nel paradigma informatico, categoria centrale del pensiero contemporaneo. Di fronte al falli-mento storico delle smisurate speranze del pensiero utopico76 ci si consola con la distopia tecno-esistenziale transumanista, che ritiene anti-vichianamente che nella misura in cui arriveremo ai nostri limiti epistemici, alle ultime frontiere delle nostre capacità di conoscenza, la nostra esistenza come specie non sarà più giustificata: dovremmo preparaci a lasciare il passo, come soggetti episte-mici o tecno-scientifici, a forme di intelligenza artificiale superiori. Se così fosse ci troveremo a dover scegliere tra l’esperienza empatica e quella tecnologica; oppure, forse, come sperato dal pioniere della realtà virtuale, Jaron Lanier, se sfuggiremo al digital Maoism o cybertotalitarism, le due saranno in qualche modo rese compatibili dall’innata creatività umana77.

4. Quello che comunque è allarmante per Martins, è come per alcuni segmenti della popolazione la realtà virtuale sia già ben più di un gadget o di un passa-tempo, dal momento in cui questa «macchina dell’esperienza» offre sensazioni irriducibili a quelle organiche: sorge, quindi, un cambiamento nella stratifica-zione ontologica che svalorizza il «primato del mondo della vita» nel Dasein, così come i Google Glass, prima ancora del loro lancio sul mercato, promettono a tutti quelli che li vorranno e se li potranno permettere l’esperienza della «Realtà Aumentata»78.

72 H. Martins, Experimentum, cit., p. 81 e 106. 73 R. Nozick, Anarchia, stato e utopia, tr. it. di G. Ferranti, Milano, Il Saggiatore, 2008 (1974). 74 A. Vaccaro, L’ultimo esorcismo; Filosofie dell’immortalità terrena, Bologna, Edizioni Dehoniane,

2009; J. Baudrillard, L’illusione dell’immortalità (2000), tr. it. e cura di G. Biolghini, Roma, Armando, 2007.

75 H. Martins, Experimentum, cit., p. 119. 76 P. Rossi, Speranze, Bologna, Il Mulino, 2008; F. Manuel - F. Manuel, Utopian thought in the

Western world, Cambridge (Ma.), The Belknap Press of Harvard, 1979. 77 J. Lanier, Tu non sei un gadget. Perché dobbiamo impedire che la cultura digitale si impadronisca delle

nostre vite, tr. it. di M. Bertoli, Milano, Mondadori, 2010. 78 S. Turkle, Life on the Screen: Identity in the Age of Internet, New York, Simon & Schuster,

1995.

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Il primato epistemico che la tradizione filosofica occidentale conferisce alla vista come modo di rappresentazione e di percezione privilegiato79, nella socie-tà contemporanea ha favorito un atteggiamento tecno-cognitivo rispetto al mondo: dalla fotografia, che ha ispirato molti artisti figurativi, al cinema, che Henri Bergson paragonava alla conoscenza umana, visualizzante e spazializzan-te80. Pensatori come Jean-Paul Sartre e Michel Foucault invece giudicheranno l’«oculocentrismo» occidentale come una delle fonti della sua repressività diffu-sa81. Di fatto l’Occidente è stato, per lo meno a partire dal XV secolo, una «ci-viltà del vetro»82, unica al mondo fino a tempi recenti, per la diffusione di fine-stre trasparenti nell’architettura, per la presenza di specchi nella vita quotidiana, per l’abbondanza di lenti, occhiali, telescopi, prismi e microscopi: se da un lato la scienza moderna deve molto a queste protesi sensoriali e cognitive, dall’altro possiamo vedere queste ultime come un mezzo necessario a quell’amministra-zione razionale e repressiva della società portata avanti a partire dall’età dei lumi e che trova eco nel panopticon carcerario di Jeremy Bentham83. Inoltre la «società dello spettacolo» può essere considerata come un brain-washing di massa con la manipolazione dell’immaginario collettivo attuata attraverso il controllo del flusso degli stimoli visivi84. La «visione della macchina»85, in maniera ancora più incisiva a partire dalla sostituzione degli strumenti ottici con quelli elettronici, assumerà un ruolo predominante nella conoscenza scientifica, e, con l’avvento del microscopio elettronico ad alta risoluzione, messo a punto nel 1981, darà inizio all’era delle nano-osservazioni e delle nanotecnologie86. Nella ammini-strazione tecno-economica della società invece, essa è divenuta problematica con la diffusione delle telecamere di sicurezza, degli smartphone dotati di GPS, e dei Big Data a funzionare come un dispositivo totalitario che permette la decen-tralizzazione e proliferazione ubiquitaria del panopticon attraverso una invasione capillare della sorveglianza nel tessuto sociale87. La monitorizzazione satellitare del

79 R. Rorty, Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton (N.J.), Princeton University Press,

1979. 80 V. Flusser, Ensaio sobre a fotografia: para uma filosofia da técnica, Lisboa, Relógio d’Água,

1999. 81 M. Jay, Downcast eyes: the Denigration of Vision in Twentieth Century French Thought, Berkeley

(Ca.), University of California Press, 1994. 82 A. Macfarlane - G. Martin, The Glass Bathyscaphe: How Glass Changed the World, London,

Profile Books, 2003; L. Mumford, Technics and Civilization, New York, Harcourt, Brace & Co., 1934.

83 J. Bentham, Panopticon, ovvero la casa d’ispezione, a cura di M. Foucault e M. Perrot, tr. it. di V. Fortunati, Venezia, Marsilio Edizioni, 1983; M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, tr. it. di A. Tarchetti, Torino, Einaudi, 1976.

84 G. Debord, La società dello spettacolo (1967), tr. it. di P. Salvadori e F. Vasarri, Milano, Baldini & Castoldi, 2013. Al riguardo si veda anche J. Ellul, Propaganda. The Formation of Man Attitudes, New York, Vintage Book, 1973.

85 H. Martins, Experimentum, cit., p. 83. 86 K. E. Drexler, Engines of Creation: The Coming Era of Nanotechnology, Baltimore, Bantam

Doubleday Dell Publishing Group, 1988. 87 G. Greenwald, Sotto controllo. Edward Snowden e la sorveglianza di massa, tr. it. di I. Annoni -

F. Peri, Milano, Rizzoli, 2014; V. Mayer-Schönberger - K. Cukier, Big Data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà, tr. it. di R. Merlini, Milano, Garzanti

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pianeta infine, oltre ad aver cambiato le strategie militari, ha fatto del «sistema-Terra» un oggetto unitario di studio e intervento ingegneristico, da parte degli experts dell’analisi dei sistemi complessi.

5. Gli oggetti tecnici possiedono comunque, contrariamente a quanto afferma-to dal principio vichiano, finalità impreviste, mostrando proprietà e funzionali-tà proprie, oltre a conseguenze che non erano considerate al momento del loro design. Come Dewey88 anche Richard von Mises, membro del Circolo di Vien-na, riconobbe l’esistenza di una «legge del cambiamento d’uso», paragonando questo processo della storia della tecnologia all’evoluzione delle lingue, indivi-duando in entrambi i casi, un’«infinità di piccole alterazioni»: sia nella lingua sia nella tecnologia, le alterazioni locali d’uso creano una incertezza che cambia lo stato della situazione globale in coloro che ricevono il messaggio tecno-semiotico delle trasformazioni occorse nelle modalità d’uso89. I taxa tecnologici assomigliano quindi alle specie biologiche, più che alle classi o tipi logici perfet-tamente definiti, dovendo considerarsi, come fa il biologo Michael Ghiselin riguardo alle specie, individui storici ed entità inter-temporali, legittimando l’applicazione dell’epistemologia evolutiva alla storia degli artefatti tecnologici, anche alla luce degli effetti di lock-in studiati da Brian Arthur90. In generale, gli oggetti tecnologici rappresentano una fusione di ingegneria e bricolage, di inven-zione e adattamento «opportunista», e pertanto non esistono in quel «presente assoluto» di cui parlava Bachelard91. Se Jacques Monod ha detto che «ogni esse-re vivente è al tempo stesso un fossile»92, lo stesso vale per gli oggetti tecnici, cosa di cui gli archeologi erano ben coscienti quando crearono il concetto di

2013; F. Bernabè, Libertà vigilata. Privacy, sicurezza e mercato nella rete, Roma-Bari, Laterza, 2012; R. Manzocco, Umano 2.0, Milano, Springer-Verlag, 2014.

88 J. Dewey, Reconstruction in Philosophy, New York, Holt, 1920: per Dewey non vi sono differenze di principio logico tra il metodo della scienza e quello della tecnologia, e il progresso della conoscenza consiste letteralmente nell’invenzione, costruzione e utilizzazione di strumentazioni fisiche per produrre, registrare e misurare i cambiamenti. La strumentalità è considerata praticamente coestensiva con la vita sociale dell’uomo; lo stesso linguaggio naturale è considerato uno strumento, prospettiva condivisa da varie scuole di pensiero in linguistica e in filosofia. Il riconoscimento della componente linguistica «organica», particolaristica, di deposito di emozioni e di esperienze storiche, visto come «irrazionale» e contrapposto al «meccanico» e razionalizzabile, ha portato, a più riprese, a teorizzare la necessità di una lingua artificiale, strumento universale della concordia tra popoli (Leibniz, Couturat e Carnap). D’altro canto, in chiave politica, si è assistito alla soppressione dei dialetti o di lingue regionali, come il catalano in Spagna durante il regime di Franco; a riforme ortografiche promulgate dagli Stati, come il recente accordo ortografico tra Brasile e Portogallo; all’interdizione da parte delle Accademie degli stranierismi e ai tentativi dei regimi totalitari di fomentare Newspeak orwelliane.

89 R. von Mises, Positivisme (1939), Cambridge (Ma.), Harvard University Press, 1950, p. 44. 90 G. Basalla, The Evolution of Technology, Cambridge, Cambridge University Press, 1988; W.

B. Arthur, La natura della tecnologia. Che cos’è e come evolve, tr. it. di D. Fassio, Torino, Codice, 2011.

91 H. Martins, Experimentum, cit., p. 98. 92 J. Monod, Il caso e la necessità, tr. it. di A. Busi, Milano, Mondadori, 1970, p. 154.

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«skeuomorfismo»93 per segnalare l’emergenza di nuovi artefatti con caratteristi-che appartenenti a quelli del passato.

Oggigiorno l’affidabilità di un sistema tecnologico non sembra essere valu-tabile con i canoni metodologici delle scienze esatte: possiamo costruire cose che non comprendiamo, in termini di meccanismi causali interni o di condizio-ni limite (boundary conditions), un fenomeno manifesto sin dall’alba dei computer elettronici94 e sottolineato da Joseph Weizenbaum, attento studioso delle scien-ze della computazione: «I risultati dell’intelligenza artificiale sono essenzialmen-te trionfi della tecnica; essi hanno contribuito ugualmente poco alla psicologia cognitiva e alla soluzione di problemi pratici»95.

Di fatto sono spesso gli artefatti tecnologici a stimolare gli sviluppi matema-tici e scientifici necessari a spiegarne le proprietà e i fenomeni da essi messi in atto; la qual cosa contraddice il principio vichiano e, in generale, l’idea che di essi si abbia una comprensione ab initio, come se fossero applicazioni coscienti e deliberate, o la materializzazione di teorie stabilite. Un esempio probante è quello del fenomeno denominato «effetto tunnel», che, nonostante sia alla base dei moderni microscopi ad alta risoluzione, e dei touch screen, e abbia spianato la strada all’era delle nanotecnologie, non trova una spiegazione adeguata e con-divisa in nessuna teoria fisica esistente96.

6. Contrariamente a quanto sostenuto dall’equivalenza vichiana tra il vero e il fatto, le interazioni tra ipotesi scientifiche e invenzioni tecnologiche sono or-mai del tutto imprevedibili e incontrollabili, e sono sempre più frequenti le «so-luzioni in cerca di problemi»97, come nel caso dei clorofluorocarbonati e di altre sostanze chimiche di sintesi, dell’energia nucleare, o dell’invasione nella vita quotidiana di gadget digitali di cui non si conosce l’effetto neurologico, psicolo-gico e sociale. Oggigiorno siamo chiamati a uno sforzo di interpretazione che inverte la tesi-appello di Marx e, se consideriamo l’interazione degli attuali si-stemi tecno-economici delle società avanzate con le condizioni di esistenza del-la nostra specie, vediamo come l’appello ad una «ecologia profonda», al rispetto per le altre forme di vita e alla salvaguardia degli ecosistemi, non merita le criti-

93 G. Basalla, The Evolution of Technology, cit.; H. Martins, Tempo e explicação: pré-formação,

epigénese e pseudomorfe nos estudos comparativos, in M. V. Cabral (ed.), Portugal: uma democracia em construção: ensaios de homenagem a David B. Goldey, Lisboa, ICS, 2009.

94 Wiener, uno dei fondatori della cibernetica, deluso dalle ambizioni militari, e ammonendo sul fatto che «le macchine trascendono alcuni limiti dei loro progettisti» aveva cominciato a dichiararsi contrario alla ricerca finanziata dall’esercito: «L’efficacia del nostro controllo sulle macchine può essere annullata dall’estrema lentezza delle azioni umane», e citava, come esempio delle sue preoccupazioni anti-vichiane, la manipolazione informatica del mercato azionario e la conseguente cessione di potere alle macchine; N. Wiener, Revolt of the Machine, in «Time», 11 gennaio 1960.

95 J. Weizenbaum, Computer Power and Human Reason, San Francisco, Freeman, 1976, p. 226. 96 J. Croca - P. Alves - M. Gátta (eds.), Space, Time and Becoming, Lisboa, Cátedra A Razão,

2013. 97 H. Martins, Experimentum, cit., p. 102.

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che di oscurantismo, irrazionalismo o primitivismo spesso rivoltegli, per lo meno a livello politico e mediatico, risultando invece da una posizione di «an-tropocentrismo chiarificato» compatibile con una posizione «eco-centrica» o di «pragmatismo ambientale»98: e cioè, che la conservazione della massima biodi-versità con-possibile e la «considerazione morale» delle altre specie e perfino dei paesaggi è un nostro interesse primario, non solo estetico o spirituale, ma di sopravvivenza. Tuttavia, accettare il principio della minimizzazione degli impat-ti nocivi a lungo termine non è una risposta efficace all’attuale «crisi della co-scienza» della civiltà ciber-tecnologica. Infatti, alla dicotomia tra antropocentri-smo e ecocentrismo si aggiunge una terza prospettiva, quella del tecnocentri-smo, per la quale la continuazione del progetto tecnologico o tecno-scientifco nella pienezza delle sue potenzialità, di cui l’umanità è stata vettore fino ad og-gi, è la grande priorità, e potrà essere mediata e portata avanti da altri agenti. Autori come Minsky condannano lo «specismo» antropocentrico che vorrebbe privilegiare la specie umana, i «computer di carne», come criterio di valore, su altre forme di intelligenza artificiale superiori. In questa prospettiva anti-vichiana non si tratta, come in passato, di difendere il progresso tecnologico in chiave antropocentrica e umanista, ma di realizzarne tutti i possibili tecnologici, i possibili macchinici, un obiettivo da perseguire come valore in sé e per sé, irrinunciabile e senza limiti, senza addomesticamento o riduzione del progresso al benessere o alla conservazione della nostra specie. In questo orizzonte tec-nocentrico e tecnolatra l’homo sapiens è una fase transitoria e la soluzione pro-spettata, con perfetta serietà, dagli scienziati-profeti transumanisti, è quella di trascendere la nostra condizione esistenziale e biologica. In questo auto-superamento, trasformandoci in entità meccanico-elettroniche artificiali, con una immensa longevità e intelligenza, dotate di apparecchiature sensorie e lo-comotorie straordinarie, viaggeremo nel cosmo, alla ricerca infinita della cono-scenza-potere, fino alla fine dei tempi.

Un progetto non dissimile fu la visione del cristallografo e analista marxista della funzione sociale della scienza John Desmond Bernal, per il quale il senso della storia umana e dell’essere umano era la massimizzazione della conoscenza scientifica, vincolata alla nostra capacità di azione e di trasformazione delle co-se99. Questa tecnodicea vede la nostra identità biologica, di specie animale ter-restre, come contingente, superabile e perfino indesiderabile nell’avanzata tec-noscientifica. Il progetto tecnoscientifico di comprensione e dominio, dove vichianamente si comprende perché si domina, prospetta l’emergenza di un

98 A. Næss, The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movement, in «Inquiry», XVI, 1973, 1,

pp. 95-100; B. G. Norton, Sustainability. A Philosophy of Adaptive Ecosystem Management, Chicago, University of Chicago Press, 2005; Id., Searching for Sustainability: Interdisciplinary Essays in the Phi-losophy of Conservation Biology, Cambridge, Cambridge University Press, 2002; Id., Toward Unity among Environmentalists, New York, Oxford University Press, 1991; A. Light - E. Katz (eds.), Environmental Pragmatism, London, Routledge, 1995. G. C. Daily (ed.), Nature’s Services: Societal Dependence on Natural Ecosystems, Washington D.C., Island Press, 1997.

99 J. D. Bernal, The World, the Flesh and the Devil. An Enquiry into the Future of the Three Enemies of the Rational Soul, London, Kegan Paul, 1929; Id., Marx and Science, London, Lawrence & Wishart, 1952.

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nuovo taxon ontologico, la machina sapientissima, come successore dell’homo sa-piens, proiettato in una dimensione cosmica che proseguirà fino alla piena rea-lizzazione del logos-techne scientifico nella «luce pura» di Bernal, nel «punto ome-ga» di Teilhard de Chardin, o nella sua versione modernizzata della conoscenza assoluta o dell’informazione totale, deificata nell’escatologia matematico-religiosa del cosmologo e filosofo Frank Tipler, o adattata dal teorico della computazione quantistica David Deutsch, in una versione atea della «fine dei tempi tecnologici»100. Un’altra alternativa tecnocentrica riprende le speculazioni del matematico Irving John Good che, intorno alla metà degli anni sessanta del secolo scorso, immaginava la costruzione di una macchina ultra intelligente che condurrà l’evoluzione futura della conoscenza e del potere tecnologico, dopo, o comunque senza di noi101. Questa macchina, nostra opera, invertendo il prin-cipio del verum-factum vichiano, sarà incomprensibile al suo artefice: opera ani-mica, golem cibernetico che comprenderà e sorpasserà l’artefice umano.

Invece del «fantasma nella macchina» della satira del filosofo Gilbert Ryle102 al dualismo ontologico cartesiano tra lo spirito umano, res cogitans non spaziale, e la res extensa del corpo-macchina dell’animale-automa, oggigiorno abbiamo, in un mondo in cui gli automi sono numerosissimi, dovunque, parte integrante e indispensabile tanto nel tempo di lavoro come in quello ricreativo, la «macchi-na fantasma», la macchina astratta e universale, la machina machinarum di Turing, teoricamente incorporabile e realizzabile in qualunque supporto, umano o non umano.

7. Ma poiché gli oggetti tecnologici sono buoni non solo per fare cose, ma so-no anche buoni per pensare (parafrasando Claude Lévi-Strauss sui miti del «pensiero selvaggio»)103, essi servono per pensare le cose in generale, per pensa-re a noi stessi, o addirittura per pensare e decidere per noi. Di fatto il tecno-morfismo delle metafore computazionali, digitali, informatiche e reticolari, go-de oggi di un ampio prestigio non solo nei modelli delle scienze esatte ma an-che nell’universo di discorso delle scienze umane, assolvendo, in un certo qual modo, la funzione sociale del totemismo. Gli esseri artificiali, in quanto mac-chine fantasmatiche, assumono oggi il ruolo funzionale dei miti del «pensiero selvaggio», che si pensano in noi - les mithes se pensent en nous - come i «memi» di Richard Dawkins che stanno alla mente come i virus al corpo104. Per Martins le

100 F. Tipler, The Physics of Immortality: Modern Cosmology, God and the Resurrection of the Dead,

New York, Doubleday, 1994; D. Deutsch, The Fabric of Reality, London, Penguin Science, 1997. 101 I. J. Good, Speculations Concerning the First Ultraintelligent Machine, in «Advances in Com-

puters», VI, 1965, pp. 31-88. 102 G. Ryle, The Concept of Mind, London, Hutchinson’s University Library, 1949. 103 C. Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, tr. it. di P. Caruso, Milano, Il Saggiatore, 2010. 104 R. Dawkins, Il gene egoista (1976), tr. it. di G. Corte - A. Serra, Milano, Mondadori, 2014.

Per Dawkins tutti gli organismi sono robot ciecamente programmati per assicurare la sopravvivenza di quelle molecole egoiste conosciute come geni. Dawkins, affermando che i memi culturali sono prodotti dai geni, i creatori del cervello creatore dei memi, accenna a una forma di determinismo naturalistico della cultura. Questo tipo di teoria socio-culturale

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metafore digitali, che orientano le correnti di pensiero nella quasi totalità delle discipline scientifiche possono essere considerate come filiazioni di un’unica metafora-radice «meta-filosofica», nell’accezione di Stephen Pepper, delle tipo-logie fondamentali del pensiero filosofico105. Nel nostro universo di pensiero la metafora-radice è quella tecnomorfa-computazionale, con la quale si può pen-sare tutto. Alcuni esempi sono: l’universo come simulazione, discusso da fisici, matematici e filosofi come Nick Bostrom, uno dei fondatori della Transhumanist World Association, o da John Leslie106; la materia, ridotta a informazione, concetto sorto nell’ambito dell’ingegneria della comunicazione umana, ma sempre più favorevolmente accolto come categoria fondamentale della fisica: It is a bit, se-condo il fisico John Archibal Wheeler, ispirato dall’interpretazione della mec-canica quantistica di Niels Bohr, di cui è forse il più fedele discepolo107. Dal canto loro gli esponenti della “fisica digitale” (Edward Fredkin, Stephen Wol-fram, Konrad Zuse, tra gli altri) vedono la realtà come una simulazione compu-tazionale108, la vita come informazione veicolata da corpi organici di cui si po-trebbe fare a meno (come prefigurato dalla creazione, sperimentalmente riusci-ta, della «vita sintetica» in laboratorio, annunciata dal biologo Craig Venter nel 2010109), la mente, identificata col software liberato dai vincoli meatware del cervello organico (che il programma forte dell’intelligenza artificiale e la filosofia fun-zionalista della mente ritengono sostituibile, riproducibile e trasferibile median-te upload110), e infine la scienza, non più una scienza di leggi e principi, ma di re-gole e operazioni, come nei programmi di computazione.

Questo progetto scientifico, attualmente work in progress, che Martins chiama «ultra-tecnologia»111, prevede lo sviluppo di una tecnologia della conoscenza che supererà le nostre capacità cognitive, verso una fase post-vichiana in cui il

darwinista sarà sviluppata da Daniel Dennett che considera i memi come i veri agenti di trasmissione culturale, agenti che possono trovare nel cervello umano un habitat favorevole così come propagarsi attraverso altri supporti quali testi cartacei, video o computer; D. Dennett, L’idea pericolosa di Darwin. L’evoluzione e i significati della vita, tr. it. di S. Frediani, Torino, Bollati Boringhieri, 2004 (1996).

105 S. Pepper, World hypotheses: a study in evidence, Berkeley (Ca.), University of California Press, 1942.

106 N. Bostrom, Are You Living in a Computer Simulation?, in «Philosophical Quarterly», LIII, 2003, 211, pp. 243-255; J. Leslie (ed.), Modern Cosmology & Philosophy, Amherst N.Y., Prome-theus Books, 1999.

107 J. A. Wheeler, It Is a Bit, in S. Kauffman (ed.), At Home in the Universe. The Search for the Laws of Self-Organization and Complexity, New York, American Institute of Physics, 1982.

108 E. Fredkin, An Introduction to Digital Philosophy, in «International Journal of Theoretical Physics», XLII, 2003, 2; Id., Digital Mechanics, «Physica», D, 1990, pp. 254-270; S. Wolfram, A New Kind of Science, Long Hamborough, Wolfram Media Inc, 2002; Id., Cellular Automata and Complexity: Collected Papers, Boulder, Westview Press, 1994; K. Zuse, Rechnender Raum in Id., Schriften zur Datenverarbeitung 1, Braunschweig, Vieweg, 1969; Id., Calculating space, Cambridge, MIT Press, 1970, scaricabile all’indirizzo <ftp://ftp.idsia.ch/pub/juergen/zuserechnenderraum.pdf>.

109 D. G. Gibson, et al., Creation of a Bacterial Cell Controlled by a Chemically Synthesized Genome, in «Science», 2010, 329, pp. 52-56.

110 R. Kurzweil, How to Create a Mind. The Secret of Human Thought Revealed, New York, Vi-king, 2012.

111 H. Martins, Experimentum, cit., p. 104.

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factum e il verum, il facere e il verare, saranno dissociati e non convertibili. Molti computer-scientists sostengono questa tesi anti-vichiana, profetizzando l’avvento della «singolarità tecnologica» (termine matematico che è venuto a sostituire quello di eschaton), frutto di processi computazionali generati da una tecnologia autocatalitica in accelerazione esponenziale, o iperbolica, specialmente a partire dall’emergenza dell’architettura non-Neumanniana di processamento distribui-to o parallelo112: una ciber-intelligenza, un world-brain, una «mente dell’alveare» (hive mind) su scala planetaria, un super-organismo informatico o una intelligen-za collettiva reticolare113, per la quale stiamo lavorando ma che non compren-deremo e che secondo William Daniel Hillis ci trascenderà epistemologicamen-te e ontologicamente114.

Il «Dio degli artefatti», l’uomo, nel passaggio dal «paleotecnico» al «neotec-nico», assume quindi l’attributo divino di essere «creatore di creatori». Ma, a differenza della process theology, ispirata a Alfred North Whitehead, e sostenuta da Charles Hartshorne tra gli altri, o da Hans Jonas che nei suoi ultimi scritti vedeva negli atti creativi umani un arricchimento del divino, nella «teologia del processo tecnologico globale», trans- e post-umano, le creature creatrici, create da noi, ci supereranno e trascenderanno cognitivamente. Inoltre, se i teologi del processo erano in generale panenteisti, per i teologi del processo tecno-ontoteurgico la divinità stessa scaturisce dalla crescita esponenziale dell’infor-mazione e della potenza di calcolo, ossia, parafrasando il metafisico dell’evolu-zione emergente degli anni ‘20, Samuel Alexander, l’emergenza tecnologica rappresenta la nuova tappa del «nisus towards Deity»115. Bisogna però ricordare che il teismo prospettico di Alexander, così come quello di Whitehead, si riferi-va all’auto-superamento umano, culturale e spirituale, in termini umanistici, senza riferimenti alla tecnologia. Per i tecno-teologi, invece, l’evoluzione creati-va si realizza attraverso la simbiosi di umano e tecnologia informatica, come se il processo cosmogonico fosse spinto da un nisus tecno-evolutivo verso la divi-nità. Gli scienziati-profeti dell’intelligenza artificiale ritengono che la formazio-ne di tecno-organismi e tecno-menti produrrà nuove traiettorie bio e psico-

112 Nel documento del 1946 di A. W. Burks - H. H. Goldstine - J. von Neumann, Prelimi-

nary Discussion of the Logical Design of an Electronic Computing Instrument, in C. G. Bell - A. Newell (eds.), Computer Structures: Readings and Examples, New York, McGraw-Hill, 1971, von Neumann ha delineato le idee base per il dispositivo di elaborazione automatica delle informazioni. La macchina di calcolo descritta da von Neumann contiene quattro principali «organi»: aritmetica, memoria, controllo e collegamento con l’operatore umano. Nel 1980, il governo statunitense lanciò il programma VHSIC - Very High Speed Integrated Circuit - per sviluppare circuiti ad alta velocità. Uno dei risultati del programma fu l’architettura non-von neumanniana VHDL Hardware Description Language, un linguaggio a flusso di dati che, a differenza del linguaggio di calcolo procedurale, non richiede che tutte le istruzioni siano processate sequenzialmente, una alla volta.

113 E. Bonabeau - M. Dorigo - G. Theraulaz, Swarm Intelligence. From Natural to Artificial Sys-tems, New York, Oxford University Press, 1999; P. Lévy, L’intelligence collective: pour une antropolo-gie du cyberspace, Paris, Éditions La Découverte, 1994.

114 J. Brockman (ed.), The Third Culture, New York, Pantheon Books, 1995, p. 385. 115 S. Alexander, Space, Time and Deity. The Gifford Lectures at Glasgow 1916-1918, Whitefish

(Mt.), Kessinger Publications, 2010 (1920).

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evolutive, anti-vichianamente incomprensibili, imprevedibili e incontrollabili, prospettiva che enunciano con perfetta equanimità e perfino entusiasmo: quan-to lontani siamo giunti dal sogno di una umanità razionalmente cosciente della propria condizione, e capace di scegliere, e rifiutare, tra le sue possibilità stori-che.

8. In questa prospettiva rientra anche il progetto di un’incipiente, e in parte già attuale, trasformazione del genoma umano, del miglioramento del capitale gene-tico della nostra specie, che vedrà di fatto il miglioramento genetico di alcuni, e non di tutti, portando cioè alla biforcazione evolutiva della specie tra ricchi di geni e poveri di geni, con le sue implicazioni di razzismo politico e di determi-nismo sociale. In tal senso l’«eugenetica liberale» non è altro che una versione, ideologicamente aggiornata, dell’eugenetica negativa classica, propagandata da biologi, medici e studiosi di antropologia fisica in tutti i paesi occidentali dalla fine del secolo XIX agli anni ‘40 del secolo XX116. L’eugenetica contemporanea è regolata dal mercato, è individualista, un’ingegneria del desiderio e delle libere opportunità (dei genitori ricchi e dei medici compiacenti), in quella che si può chiamare la «repubblica della scelta germinale»117, dove i figli sono trattati come beni di consumo, e dove il prototipo del consumatore sussume quello del cit-tadino e le preferenze dei singoli si impongono sulle norme e i costumi sociali. In questa repubblica ci saranno «supermercati genetici», auspicati dall’anarco-capitalista Robert Nozick, dove comprare e vendere alleli e super-alleli118. Se-condo alcuni bio-eticisti, abbiamo l’obbligo morale «stretto» di offrire il miglior patrimonio genetico ai nostri figli, preselezionando in un atto di «beneficenza procreativa»119 la loro eredità genetica (che diventerà quindi un nuovo fattore di stratificazione sociale), accompagnato dall’universal body shop, il mercato degli

116 J. Habermas, Il futuro della natura umana, cit. Il rapporto tra la inviolabilità moralmente

vincolante e giuridicamente tutelata della persona e la indisponibilità delle modalità naturali con cui questa s’incarna nel corpo viene ad essere riconosciuto da Habermas proprio nel momento in cui potrebbe essere completamente stravolto dalle innovative possibilità tecnoscientifiche. La decisione irreversibile sulla condizione biologica dei futuri nascituri instaura un tipo di rapporto interpersonale radicalmente nuovo, rompendo quella «simmetria della responsabilità» implicita nei rapporti di riconoscimento giuridico tra persone libere e eguali. L’eugenetica liberale, rimettendo alle preferenze e alle possibilità individuali degli utenti del mercato il compito di definire gli obbiettivi degli interventi correttivi, non inficia alla base la forse necessaria distinzione tra interventi terapeutici e interventi migliorativi? E se le correzioni reificanti del genoma fossero decise e operate da un individuo, o da un gruppo, su se stesso, questo non implicherebbe il sorgere di una lacerazione del tessuto sociale e giuridico dovuta all’emergere di una nuova razza? Non sono forse in gioco la stessa identità e autocomprensione etica dell’umanità nel suo complesso, e gli stessi fondamenti normativi delle società democratiche? Non si prospetta forse uno scenario in cui le disuguaglianze economiche tra gli individui si trasformano in disuguaglianze biologiche?

117 H. Martins, Experimentum, cit., p. 108. 118 R. Nozick, Anarchia, stato e utopia, cit. 119 J. Savulescu, Procreative Beneficence. Why We Should Select the Best Children, in «Bioethics»,

XV, 2001, 5-6, pp. 413-426.

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organi, tessuti e sangue che, a dire dei bio-eticisti liberali, non dovrà essere re-golato dallo Stato, anche se nel caso degli indigenti il consenso informato sarà difficilmente genuino o possibile120. Nonostante ciò si parla al riguardo di «morphological freedom», il diritto all’autodeterminazione artefatta, mediata dalle nuove tecnologie, delle proprie caratteristiche somatiche, fisiologiche, geneti-che e psichiche121. Si sostiene anche l’obbligo morale «stretto» di liberalizzare il mercato della procreazione in uteri artificiali, quello degli ovociti (mercato che già manifesta un’ampia richiesta, ad esempio, degli ovociti delle studentesse di Harvard, Yale e altre università di prestigio) e delle banche degli spermatozoi, anche se le clienti americane non sono orientate solo dal potenziale del QI, come sperato dai fondatori-finanziatori di queste istituzioni pensate per il mi-glioramento della specie attraverso l’aumento della progenie con intelligenze superiori.

Questo tipo di micro-eugenetica è difesa come un progresso morale rispetto alla versione macro, centralizzata dagli Stati con misure coercitive, su cui pesa il precedente della Germania nazista che, come è noto, fin dai primi mesi della sua esistenza, prima cioè dell’organizzazione dell’Olocausto, impose in segreto negli ospedali, con ampio consenso medico e psichiatrico, l’eutanasia e le poli-tiche di eugenetica positiva del programma Lebesnborn. Meno note sono le pra-tiche analoghe messe in atto nei paesi scandinavi, fino agli anni ‘70 del XX se-colo, nei confronti di carcerati e di soggetti affetti da particolari tipi di deficit mentali, così come le proposte contemporanee per riavviarne l’uso per risolve-re problemi medico-sociali.

Martins sottolinea come la distinzione tra micro e macro eugenetica non deve, in qualunque caso, far dimenticare che il mercato dell’eugenetica positiva, e ancor più quello dell’eugenetica negativa, generano, esternalizzazioni tanto sociali quanto psicologiche, come qualunque tipo di mercato. Le conseguenze di decisioni micro-eugenetiche sul profilo macro-genetico delle popolazioni e sugli assetti sociali sono per un lato imprevedibili e per un altro prevedibilmen-te negative, come esemplificato dai Red Queen effects in cui l’adattamento, la so-pravvivenza o l’estinzione di una specie sono dovuti alla pressione di un’altra specie antagonista122; o dall’«evoluzione forzata» (evolution by brute force) dell’adat-tamento evolutivo dei batteri agli antibiotici (con il rischio di una imminente

120 A. Kimbrell, The Human Body Shop. The Engineering and Marketing of Life, London, Harper

Collins Religious, 1993; J. S. Taylor, Stakes and Kidneys. Why Markets in Human Body Parts are Morally Imperative, London,, Ashgate Pub Ltd, 2005.

121 M. Moore, Technological Self-Transformation: Expanding Personal Extropy, in «Extropy: The Journal of Transhumanist Thought», IV, 2009, 2, online all’indirizzo <www.extropy.org/eo/>; A. Sandberg, Morphological Freedom. Why We not just Want it, but Need it, 2001, consultabile all’indirizzo internet <http://www.aleph.se/Nada/Texts/MorphologicalFreedom.htm>. Queste correnti di pensiero potrebbero essere inserite nella lunga tradizione delle «tecnologie del sé» le cui origini Foucault individuava nella filosofia greco-romana dei primi due secoli della nostra era e nella spiritualità cristiana del IV secolo: L. H. Martin - H. Gutman - P. H. Hutton, Tecnologie del sé. Un seminario con Michel Foucault, tr. it. di S. Marchignoli, Torino, Bollati Boringhieri, 2005 (1988).

122 L. Van Valen, A New Evolutionary Law, in «Evolutionary Theory», I, 1973, pp. 1-30.

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era post-antibiotici)123: la scelta di coloro che decideranno e potranno permet-tersi di optare per il «miglioramento» del loro corredo genetico agirà quindi in forma eteronoma e autoritaria sul resto della popolazione, portando tra l’altro a una specie di «corsa agli armamenti» genetici.

Preme aggiungere che siamo a conoscenza della trasmissione genica laterale (horizontal genic transfer), mediata da virus e batteri; o degli effetti di pleiotropia, in cui un gene agisce indirettamente e in modo non lineare su molteplici aspetti del fenotipo; o di quelli dei fenomeni epigenetici, in cui l’espressione genica subisce una modificazione ereditaria dovuta alle influenze ambientali124.

Se, da un lato, i progetti dei movimenti eugenetici hanno avuto, tra il 1880 e il 1940, un ruolo nella formazione delle politiche pubbliche, dell’opinione pub-blica e delle èlites di tutti i paesi occidentali e hanno visto impegnati liberali, democratici, conservatori, socialisti, nazionalisti e imperialisti, tutti preoccupati per la degenerazione biologica dei loro popoli e nazioni, dall’altro oggi sembra prevalere una diversa strategia discorsiva che prevede la minimizzazione della coercizione formale, la privatizzazione, la liberalizzazione, il brevettamento e la mercificazione del corpo. La medicalizzazione della società moderna, già ogget-to di studi sociologici, sta entrando in una nuova fase, quella della micro-eugenetica negativa, tecno-scientificamente sofisticata, mercantilizzata, for-malmente libera; fase in cui i termini «degenerazione», «rigenerazione» o «sele-zione» sono banditi e sostituiti con termini rassicuranti quali «miglioramento», «opportunità» e «libertà di scelta». Nei prossimi decenni potrebbe nascere la prima società eugenetica, la «repubblica della scelta germinale», in cui i proce-dimenti di ingegneria genetica nella riproduzione umana entreranno a far parte dei diritti umani o per lo meno dei diritti dei consumatori, le cui preferenze so-no considerate imprescindibili per il capitalismo anarco-libertario.

Il progetto eugenetico, che ha accompagnato le utopie occidentali fin dai tempi della Repubblica di Platone, ed è stato praticato finora su scala limitata e con mezzi inefficaci, riacquista attrattiva per quei genetisti, come James Wa-tson, co-scopritore della struttura a doppia elica del DNA, che sostengono la necessità di eliminare tutti i geni negativi della specie umana, anche se non si capisce se lo considerano un imperativo letterale o una semplificazione per i non addetti ai lavori, visto che l’azione determinante di un gene su caratteri fe-notipici diversi, e apparentemente non correlati tra loro, è ben conosciuta e dovrebbe indurre a una certa cautela125.

123 Fenomeni documentati in S. R. Palumbi, The Evolution Explosion. How Humans Cause Rap-

id Evolutionary Change, New York, Norton & Company, 2001. 124 R. Lewontin, Il sogno del genoma umano, e altre illusioni della scienza, tr. it. di M. Sampaolo,

Roma-Bari, Laterza, 2004; Id., Gene, organismo e ambiente. I rapporti causa-effetto in biologia, tr. it. di B. Tortorella, Roma-Bari, Laterza, 2002.

125 J. D. Watson, La doppia elica, tr. it. di B. Vitale - M. Attardo Magrini, a cura di G. S. Stent, Milano, Garzanti, 1968.

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9. L’ingegneria genetica, specialmente germinale, delle piante e degli animali è un caso paradigmatico di quella che Martins chiama «tecnoscienza delle merci» o «tecnoscienza della mercificazione» (commodification)126 in grande scala, in cui la curiositas e la cupiditas si intrecciano ab origine, in cui voler-conoscere, voler-fare e voler-vendere sono fattori equivalenti per i laboratori di ricerca biotecnologica, attenti più ai flussi finanziari e ai ritmi dei valori di borsa che ai valori-di-esistenza della natura. La scienza, dopo essersi completamente industrializzata, si è venuta completamente commercializzando (e digitalizzando). Non manca-no, però, le resistenze, come nel caso degli OGM e dei frankenfood127 (prodotti alimentari ottenuti a partire da OGM), o della «biopirateria», dell’«eco-imperia-lismo» e del genetic imperialism attuati attraverso la privatizzazione delle varietà agricole128. Proteste e resistenze provenienti non solo da parte dei movimenti ecologisti o della sinistra radicale, ma anche dei conservatori, e perfino dei pro-duttori agricoli del terzo mondo, che, inaspettatamente, non hanno dimostrato la loro gratitudine per questi artefatti doni dello sviluppo129 imposto della mano visibile delle potenti lobby dell’agro-industria e dell’agribusiness oligopolistico. Doni che le compagnie di tre o quattro nazioni hanno legittimato con la retori-ca della produttività e del progresso, per «salvarli» da una preconizzata fame malthusiana130. Al contrario, la «rivoluzione verde» dell’agricoltura e dell’alleva-mento industriale prima, e transgenizzante poi, ha indotto a una dipendenza, potenzialmente irreversibile, della produzione alimentare dalle biotecnologie, in nuovo apogeo di industrializzazione forzata attraverso i brevetti che ha privato molte nazioni della propria autosufficienza alimentare, creando quindi le con-dizioni strutturali per l’esplosione di carestie di proporzioni inaudite. Ribaden-

126 H. Martins, Experimentum, cit., p. 110. 127 Il neologismo Frankenfood è stato coniato da Paul Lewis in una lettera, Mutant Foods

Create Risks We Can’t Yet Guess, del 16 giugno 1992 al «The New York Time», in risposta alla decisione della Food and Drug Administration statunitense di consentire la commercializzazione di prodotti alimentari geneticamente ingegnerizzati. Per una analisi dei rischi connessi ai cibi geneticamente modificati si veda il capitolo Frankenfoods; or, The Trouble with Science in W. Leiss, In the Chamber of Risks: Understanding Risk Controversies, Montreal – Kingston, Mcgill Queens University Press, 2001; R. Caplan, Weird Science. The Brave New World of Genetic Engineering, U.S. PIRG Education Fund, 2003, <http://www.uspirg.org/sites/pirg/files/reports/Weird_ Science_USPIRG.pdf>. Per un’analisi degli aspetti politici della produzione di cibi gene-ticamente modificati si veda P. Andrée, Genetically Modified Diplomacy, Vancouver, UBC Press, 2008.

128 V. Shiva, Il mondo sotto brevetto, tr. it. di G. Pannofino, Milano, Feltrinelli, 2012; V. Shiva, Biopirateria. Il saccheggio della natura e dei saperi indigeni, tr. it. di G. Ricoveri, Napoli, CUEN, 1999; B. Tokar, Earth for Sale. Reclaiming Ecology in the Age of Corporate Greenwash, Boston, South End Press, 1997; Id., Redesigning Life? The Worldwide Challenge to Genetic Engineering, London, Zed Books, 2001.

129 V. Shiva, Semi del suicidio. I costi umani dell’ingegneria genetica in agricoltura, tr. it e cura di L. Corradi, Roma, Odradek, 2009; N. Chomsky - V. Shiva - J. E. Stiglitz, La debolezza del più forte. Globalizzazione e diritti umani, tr. it. Di G. Amadasi, a cura di M. J. Gibney, Milano, Mondadori, 2004; V. Shiva, Stolen Harvest: The Hijacking of the Global Food Supply, Boston, South End Press, 2000.

130 A. Kimbrell, Fatal harvest: the tragedy of industrial agriculture, Washington D.C., Island Press, 2002.

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do la tecnolatria del technological fix ci dovremmo consolare con la gastronomia molecolare nanotecnologica, che preconizza la produzione in laboratorio di nutrienti sintetici su larga scala.

L’incertezza, i rischi, l’imprevedibilità e l’aleatorietà di questi sistemi di pro-duzione innovativi mostrano come la tecnoscienza sia accompagnata da un corrispettivo di «tecno-nescienza»131, o ignoranza anti-vichiana, che, costituti-vamente, trasforma la tecnoscienza delle merci in tecnoscienza delle «dis-merci», termine con cui William Leiss indica i costi non contabilizzati, i mali e i danni di vario tipo e su diverse scale, non identificati o non compensati, che accompagnato la produzione, trasporto, distribuzione, uso e consumo delle merci132.

Inoltre, il progredire della meccanicizzazione della vita naturale, condotto dalle tecniche di bioingegneria, non significa che lo stato attuale della cono-scenza biologica soddisfi i requisiti comunemente accettati dalla filosofia della conoscenza scientifica. Può accadere cioè, anti-vichianamente, che la nostra capacità di intervento biotecnologico, senza precedenti e sempre crescente, sorpassi la nostra comprensione teorica della vita e che, quindi, la biologia ri-manga costitutivamente una “scienza strumentale”, un riflesso dei nostri inte-ressi e dei nostri limiti cognitivi e computazionali, in misura ancor maggiore delle stesse scienze fisiche, come argomentato dal filosofo della scienza e della biologia Alexander Rosenberg133. In altre parole, la biologia come scienza può essere vista come una «nescienza», e la tecnoscienza biologica, nei suoi impatti indesiderati, imprevisti e a volte incontrollabili, come «tecnonescienza»134.

10. Charles Sanders Peirce all’inizio del XX secolo definì le macchine in gene-rale come «procedure di pensiero incorporate» e un filosofo contemporaneo della tecnologia ha definito l’essenza logica della macchina generica, della mac-chinicità, come una procedura di decisione (decision procedure) incorporata135. Un limite comune a entrambi, sottolinea Martins, è di aver focalizzato l’attenzione sull’analisi degli aspetti logico-informatici e decisionali, trascurando il limite entropico di consumo di risorse naturali delle macchine reali, e non astratte. Inoltre, aggiungiamo noi, considerare il pensiero o i processi decisionali come

131 H. Martins, Experimentum, cit. 132 W. Leiss, Under Technology’s Thumb, Montreal, McGill Queens University Press, 1990; Id.,

The Limits to Satisfaction: An Essay on the Problem of Needs and Commodities, Toronto, University of Toronto Press, 1976.

133 A. Rosenberg, Instrumental Biology or the Disunity of Science, Chicago, University of Chicago Press, 1994.

134 H. Martins, Experimentum, cit. Per quanto riguarda il concetto di «nescienza» si veda F. A. von Hayek, L’abuso della ragione, tr. it. di R. Pavetto, Firenze, Vallecchi, 2008 (1952). Per una applicazione del concetto di nescienza al campo della genetica e della «medicina predittiva» si veda R. M. Bellino, Critica della ragione predittiva. L’etica tra scienza e nescienza, Bari, Levante Edito-ri, 2004.

135 W. Barrett, The Illusion of Technique: A Search for Meaning in a Technological Civilization, New York, Anchor Books, 1978.

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equivalenti al calcolo logico macchinico è il postulato basico della cibernetica, postulato riduzionista molto discutibile. Sta di fatto che la presenza nei grandi programmi di ricerca scientifica (e metafisica) contemporanei delle metafore e analogie con la macchina universale di Turing configura tale postulato teorico, non comprovato empiricamente, come un’espressione della tendenza mimetica verso i relata tecnologici, i quali godono di un privilegio non solo euristico ma anche ontologico (tesi della «sopravvenienza», nelle sue varie versioni) nelle scienze della vita, della mente e del cervello, nelle neuroscienze e nella neurofi-losofia. Nella filosofia dei modelli computazionali della mente, così come nella filosofia della vita artificiale136 o dei modelli computazionali della vita naturale, l’assioma metafisico funzionalista, secondo il quale la funzione determina la forma e non viceversa, sta perdendo terreno, come mostra la generale accetta-zione del principio della convertibilità di software e hardware. Per i teorici della versione «forte» dell’intelligenza artificiale la vita artificiale, finalmente liberata dalle limitazioni del meatware o fleshware dell’intelligenza naturale, in una riedi-zione perfezionata e prodigiosamente accelerata dell’evoluzione naturale, non sarà realizzata in una sola volta, ma attraverso un processo tecno-epistemico anti-vichiano, aperto, iper-evolutivo e imprevedibile137.

Quello di cui secondo Martins per ora si parla meno è della «società artifi-ciale» in cui convivono (per così dire) persone artificiali. Purtroppo non pos-siamo più contare sulle «leggi» della robotica, imperativi morali e regole di comportamento immaginati da Isaac Asimov138. I cybots sono robot dotati non solo dei dispositivi della «prima cibernetica» degli anni ‘40 e ‘50, effetti e loops di retroazione negativa, ma di sistemi di ciber-intelligenza computazionale basati sullo sviluppo dell’architettura parallela e distributiva, non-neumanniana, e sulla cosiddetta «legge di Moore»139, la crescita esponenziale della potenza computa-zionale140. Per sostenere questo accelerazionismo141, questa compressione del

136 M.A. Boden (ed.), The Philosophy of Artificial Life, New York, Oxford University Press,

1996; R. Viale - G. A. Antonelli (a cura di) Mente umana, mente artificiale, Milano, Feltrinelli, 1989. 137 C.G. Langton (ed.), Artificial life II. Proceedings of the Second Interdisciplinary Workshop on the

Synthesis and Simulation of Living Systems, Boston (Ma.), Addison Wesley Longman, 1991; Id., A Dynamical Pattern, in J. Brockman (ed.), The Third Culture, cit.

138 I. Asimov, Io, Robot, tr. it. di R. Rambelli, Milano, Mondadori, 2004 (1950), p. 7; le tre leggi della robotica sono: «1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno; 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge; 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge».

139 La “legge di Moore” esprime il fatto, empiricamente comprovato, che la potenza di processazione computazionale raddoppia ogni 18 mesi.

140 Un caso recente e paradigmatico, segnalato da un articolo di Rai News del 8 agosto 2014, consultabile all’indirizzo <http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ibm-crea-microchip-che-simula-cervello-umano-e5ba7b02-1951-4f40-8095-7be3630c0a70.html>, è quello del nuovo «chip cognitivo TrueNorth che imita il cervello umano, progettato dalla IBM, e svelato in uno studio pubblicato sulla rivista «Science». Ha un milione di neuroni elettronici, oltre 256 milioni di connessioni sinaptiche artificiali, contiene 4.096 processori, un’architettura in grado di svolgere operazioni complesse molto rapidamente e consuma pochissima energia: «Questo chip rappresenta una nuova architettura dei microchip – spiega Dharmendra Modha, coautore

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tempo in tutte le attività economiche e economico-cognitive nell’era della ci-berscienza, si aumenta senza posa il consumo di energia e la condensazione delle informazioni in volumi e scale sempre maggiori: tempo, energia e infor-mazioni si relazionano e diventano inter-sostituibili come trade-off, in una civiltà che, dalla rivoluzione (termo)industriale, punta a massimizzare l’investimento di energia e di informazione (riducendo a tal proposito la conoscenza a infor-mazione) e trasformando il tempo nel bene scarso per eccellenza; avvertito come sempre più scarso in proporzione diretta con l’aumento della velocità degli scambi sociali. Il «presente esteso», dilatato, che Martins chiama «hodio-centrismo»142, rende decontestualizzate e anacronistiche sia le preoccupazioni dei movimenti verdi per le prossime generazioni e per la sostenibilità ambienta-le sia quelle relative ai diritti umani, in una economia che funziona su scale temporali sempre più corte, dove il nano-secondo è l’unità di misura dell’eco-nomia del ciber-tempo nello spazio planetario degli e-scambi (e-learning, e-commerce ecc.). La legge dei rendimenti crescenti (increasing returns), contrapposta negli anni ‘20 dall’economista Allyn Young alla «legge di ferro» dei diminishing returns di ricardiana memoria, assurge oggigiorno allo statuto di freccia del tem-po dei «ritorni accelerati» dei profitti della nuova economia, così come teorizza-to da Ray Kurzweil per le tecnologiche digitali143. L’idea centrale della Law of Accelerating Returns di Kurzweil è che la crescita in tanti campi della scienza e della tecnologia dipende dalla capacità di calcolo, che quindi funziona come agente catalitico in un circuito di rinforzo reciproco tra gli incrementi della co-noscenza scientifica, le nanotecnologie, le biotecnologie, la scienza dei materiali e l’economia. Considerando la corrente crescita esponenziale delle capacità dei computer, ciò significa che molte nuove tecnologie si renderanno disponibili molto prima di quanto si creda ragionando in maniera classica.

Secondo Martins, in manifesta opposizione al principio vichiano del verum-factum, una delle fonti dell’esaltazione del potere tecnoscientifico attuale consi-ste nella credenza nell’instaurazione di processi autocatalitici, dotati di una crea-tività senza precedenti, generanti una nuova onto-genesi degli enti e menti arti-ficiali, una nuova scala technologiae sovrapposta alla classica scala naturae: una grande catena o ascensione degli esseri tecnologici, in una tecnogenesi dai con-

dello studio [...]. A differenza degli attuali processori, che funzionano su meri calcoli matematici basati su un’architettura antiquata, risalente al 1945, questo chip è stato pensato per imitare il modo in cui il cervello umano riconosce gli schemi, affidandosi a reti fittamente interconnesse di transistor simili ai network dei neuroni umani. Il risultato è un processore in grado di capire l’ambiente, gestire le ambiguità e prendere decisioni e agire in tempo reale, che l’IBM definisce come una “versione miniaturizzata e primitiva del cervello umano”».

141 H. Martins, Aceleração, progresso e experimentum humanum, in J. L. Garcia (ed.), Dilemas da civilização tecnológica, Lisboa, Imprensa das Ciências Sociais, 2003, p. 19-77; M. Pasquinelli (a cura di), Gli algoritmi del capitale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune, Verona, Ombrecorte, 2014. Sull’accelerazionismo si veda anche Accelerate; Manifesto for an Acellerationist Politics ,<http://speculativeheresy.files.wordpress.com/2013/05/accelerate.pdf>.

142 H. Martins, Experimentum, cit., p. 114. 143 R. Kurzweil, The Singularityis Near. When Humans Trascend Biology, New York, Viking,

2005.

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torni indefiniti, con una grande imprevedibilità temporale e qualitativa riguardo al comportamento dei nuovi onta144.

Si prospetta così l’avvento di entità in parte manufatte, in parte auto-costruite, un’emergenza evolutiva soggetta a una evoluzione tecno-naturale la-marcko-darwiniana, in parte auto-diretta e praticamente senza limiti, ottimisti-camente accolta nonostante il fatto che non saremo noi i suoi artefici. I nuovi enti artificiali si auto-dirigono, apprendono nei nuovi ambienti e fanno il loro percorso, guadagnando autonomia ontica e, contraddicendo la fiducia vichiana o marxiana di essere noi gli artefici e padroni della nostra storia, questo salto evolutivo porterà le nuove entità a un livello cognitivo superiore al nostro145.

Questo tema è diventato popolare tra gli adepti del movimento post- o trans-umanista sotto la designazione di «singolarità vingeana» o «singolarità tecnologica»146, le cui proposte sono state accolte con interesse in documenti ufficiali di accademie scientifiche, del Ministero del Commercio degli Stati Uni-ti, in alcune istanze dell’Unione Europea, in un think tank del Partito Laburista ecc., entrando così nel mainstream istituzionale147. L’ultra-tecnologia viene spes-so descritta come «fuori controllo», non però con toni riflessivi o allarmistici, ma con il tipico trionfalismo dell’ottimismo tecnolatra, per esempio in Kevin

144 H. Margenau, The Nature of Physical Reality. A Philosophy of Modern Physics, New York, Ox

Bow Press, 1977. 145 J. D. Farmer, The Second Law of Organization, in J. Brockman (ed.), The Third Culture, cit.;

D. Hillis, Close to the Singularity, ivi; C. Langton, A Dynamical Pattern, ivi. 146 Vernor Vinge ha coniato il concetto di «singolarità tecnologica» nella sua comunicazione

The Coming Technological Singularity: How to Survive in the Post-Human Era, al VISION-21 Symposium sponsorizzato dal NASA Lewis Research Center e dal Ohio Aerospace Institute nel marzo del 1993. L’articolo è consultabile all’indirizzo internet <http://mindstalk.net/ vinge/vinge-sing.html >.

147 Un caso paradigmatico è la Singularity University, fondata nel 2008 da Peter H. Diamandis e Ray Kurzweil, istituzione finalizzata alla propaganda e indottrinamento dell’ideologia dello sviluppo tecnoeconomico esponenziale e illimitato. Come si può leggere nel sito <http://singularityu.org/>, la Singularity University «is a benefit corporation that provides edu-cational programs, innovative partnerships and a startup accelerator to help individuals, busi-nesses, institutions, investors, NGOs and governments understand cutting-edge technologies, and how to utilize these technologies to positively impact billions of people». Si pensi anche al BRAIN – Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies – progetto promosso dal governo Obama e il cui costo previsto sarà di 300 milioni di dollari per anno per dieci anni, o il Human Brain Project finanziato con un miliardo di euro dall’Unione Europea e il cui obbiettivo è costruire un «supercomputer replica of the human brain». Riguardo quest’ultimo l’articolo di S. Bencivelli, Il cervello artificiale è uno spreco di soldi, in «Repubblica.it», 14 luglio 2014 (<http://www.repubblica.it/scienze/2014/07/14/news/human_brain_project-91507092/>) ci informa di una lettera firmata da più di 600 scienziati e ricercatori europei che protestano contro questo finanziamento, deciso dall’alto, ma che implica una partecipazione da parte dei singoli Stati al 50% dei costi. Oltre alla mancanza di solide basi scientifiche, i firmatari allegano che «non è onesto proporre il megacomputer come soluzione a problemi concreti, come la demenza senile o il Parkinson». La risposta del coordinatore dello Human Brain Project, l’israeliano Henry Markral, della École Polytechnique Fédérale di Losanna, è stata che si tratta di un progetto per lo sviluppo di nuove tecnologie, non di neuroscienze: «abbiamo a che fare con un nuovo paradigma: ogni nuovo paradigma incontra queste difficoltà all’inizio, e le frizioni sono inevitabili».

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Kelley148, che suona paradossale. Siamo quindi lontani dal sogno positivista classico, di una società razionalmente organizzata a partire dalla conoscenza storica e sociologica, che esprimeva una visione escatologica democratica, libe-rale o socialista, ma comunque umanista149. Dopo la «fine delle ideologie»150 si è fatto strada il progetto post-storico e transumano in cui lo statuto della nostra specie diventa altamente problematico, sia a livello politico che filosofico. L’epoca della filosofia della prassi umana, della convertibilità del verum e del factum, della superiorità epistemica dell’artefice sull’artefatto, della conoscenza integrale dell’opera da parte del suo produttore sembra al tramonto. Il «Dio degli artefatti» di Vico, il microtheos di Leibniz, deve cedere la sua sovranità epi-stemica agli artefatti dei suoi artefatti.

11. Molti scienziati definiscono l’attuale «rivoluzione scientifica» della data-enabled science, interamente dipendente dall’infrastruttura informatica, come e-science o «scienza 2.0». Questo nuovo paradigma, questa nuova forma di produ-zione della conoscenza, è il risultato della retroazione epistemologica e meto-dologica delle analisi dei dati attraverso algoritmi probabilistici, simulazioni di sistemi dinamici e procedure induttive. I prodotti della scienza e i progetti di nuove ricerche sono digitali «alla nascita» (born digital)151, e visto che le osserva-zioni scientifiche sono quasi sempre mediate dai computer si può parlare di «interpretazioni digitali» dei dati raccolti. La «leggibilità del mondo» è oggi leg-gibilità elettronica: la metafora della filosofia naturale rinascimentale e galileana, della natura come libro scritto in formule matematiche, si trasfigura nella ri-produzione-simulazione digitale della realtà: il mondo come e-book.

Se come ritengono molti filosofi della scienza la tecnologia è sempre stata il motore della scienza, o per lo meno, della scienza moderna, dobbiamo prende-re atto che la tecnologia dell’informazione digitale costituisce l’infrastruttura egemone della scienza contemporanea. La quantità dei flussi di informazione generati dagli strumenti computazionali diventa sempre più determinante nella conoscenza scientifica, al punto che si è arrivati a postulare l’inutilità del mo-mento teorico della ricerca e del metodo ipotetico-deduttivo nel lavoro scienti-fico152. La scienza diventa tool-driven, come suggerito dal monumentale studio di Peter Galison153, essendo sempre più ampio e importante il ruolo epistemico

148 K. Kelley, Out of Control: the New Biology of Machines, Social Systems and the Economic World,

New York, Basic Books, 2003 (1994). 149 M. Ginsberg, Sociology, London, Thornton Butter-wordh, 1934. 150 F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, tr. it. di D. Ceni, Milano, Rizzoli, 2003

(1992); Id., L’uomo oltre l’uomo: le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, tr. it. di G. Della Fontana, Milano, Mondadori, 2002.

151 NSTC - Interagency Working Group on Digital Data 2009 -, Harnessing the Power of Digital Da-ta for Science and Society, <www.nstrad.go/about/HarnessingPowerWeb.pdf>.

152 C. Anderson, The End of Theory: the Data Deluge Makes the Scientific Method Obsolete, in «WIRED magazine», 6 marzo 2008.

153 P. Galison, Image and Logic: a Material Culture of Microphysics, Chicago, University of Chica-go Press, 1997.

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delle tecnologie informatiche non solo nella Big Science ma in ogni campo della conoscenza. E anche se non possiamo prevedere le conseguenze dell’espan-sione di questo paradigma sulle scienze umane e sociali è lecito chiedersi se nel meraviglioso mondo nuovo di questa nuovissima scienza della simbiosi tra realtà virtuale e mondo reale, tra naturale e artificiale, ci sarà ancora spazio per nuove «rivoluzioni copernicane».

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Laboratorio dell’ISPF ISSN 1824-9817 www.ispf-lab.cnr.it

Andrea Mazzola Center of Philosophy of Science of the University of Lisbon (CFCUL) [email protected]

– Hermínio Martins, il principio vichiano del verum factum e l’era ciberscienti-fica

Citation standard: MAZZOLA, Andrea. Hermínio Martins, il principio vichiano del verum factum e l’era

ciberscientifica. Laboratorio dell’ISPF. 2015, vol. XII [Online First]. DOI:

10.12862/ispf15L402.

Online: 24.08.2015 Full issue online: 30.12.2015

ABSTRACT Hermínio Martins, Vico’s verum-factum principle and the cyber-scientific age. In the context of technological civilization agribusiness techniques, biotechnology, ICT, AI programs, robotics and nanotechnology bring into question the humanistic character of scientific knowledge. Vico’s verum-factum principle seems inadequate to describe the serendipi-ty and the irreversible side effects of engineering and industrial technology. First tech-noscience, then cyberscience, transform the human epistemic adventure in a risk and uncertainty factor for the survival of the species. The knowledge-power equivalence adds artificial vulnerability to natural vulnerability. The progress of technological in-novation takes on characteristics of autonomy, incomprehensibility and uncontrolla-bility which are dismissing man from the status of master of its own historical destiny.

KEYWORDS H. Martins; G. Vico; Technoscience; Cybernetics; Transhumanism SOMMARIO Nel contesto della civiltà tecnologica, le tecniche agroindustriali, le biotecnologie, le ICT, i programmi IA, la robotica e le nanotecnologie pongono in questione il carattere umanistico della conoscenza scientifica. Il principio vichiano verum-factum sembra inadeguato a descrivere la serendipità, gli irreversibili effetti secondari degli interventi ingegneristici e delle tecnologie industriali. La tecnoscienza prima, e la ciberscienza poi, trasformano l’avventura epistemica umana in un fattore di rischio e di incertezza per la sopravvivenza della specie. L’equivalenza conoscenza-potere aggiunge alla vul-nerabilità naturale una vulnerabilità artificiale. Il progresso dell’innovazione tecnologi-ca assume caratteristiche di autonomia, incomprensibilità e incontrollabilità che desti-tuiscono l’uomo dallo statuto di artefice del proprio destino storico.

PAROLE CHIAVE H. Martins; G. Vico; Tecnoscienza; Cibernetica; Transumanismo