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SOMMARIO

EditorialeLavori in corso di Fabrizio Festa 13

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L’intervistaVirginio Merola - La cultura nel DNA di Sara Piagno

18Imprenditoria e culturaCoop Adriatica - Adriano Turrini

24Viktoria Mullova di Fulvia de Colle

MI ricordoRichter - Kennedy - Gulda - Stern di Bruno Borsari

Il profiloLeonard Bernstein - di Lico Larvati

35Il calendarioI concerti ottobre / dicembre 2011

20IntervistePietro Borgonovo - Bruno Canino di Cristina Fossati

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Per leggereMr Cello e la musica di Chiara Sirk

Da ascoltareLisztomania di Carlo Vitali

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

10 IM MUSICA INSIEME

SOMMARIO

22Angelo e Francesco Pepicelli di Alessandro di Marco

n. 4 ottobre - dicembre 2011

In copertina Viktoria Mullova (Foto Henry Fair)

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EDITORIALE

LAVORI IN CORSO

Fabrizio Festa

13IM MUSICA INSIEME

Prendetene nota: il gioco di parole sui nostriventicinque anni è soprattutto un invito. Pren-dere nota di cosa, infatti? Ad esempio, di ven-ticinque anni d’impegno costante e coerentenell’elaborare una programmazione artistica,che fosse capace di rinnovarsi e di restare sem-pre agganciata al presente. Le nostre stagio-ni, quella principale così come le diverse al-tre, hanno sempre mirato ad offrire al pubbliconon solo la più ampia varietà di proposte, maanche, e forse soprattutto, stimoli per ad-

dentrarsi in percorsi poco frequentati, spessopersino del tutto nuovi, portando i nostri ascol-tatori ad affacciarsi sovente su repertori (dal-l’antico al contemporaneo) se non sconosciuti,certo poco noti. Così abbiamo costruito unrapporto forte col nostro pubblico. Un rap-porto che gli artisti di tutto il mondo sento-no nella sua specificità, e che, prendiamo notapure di questo, fa sì che i nostri concerti sia-no oggetto del desiderio degli stessi interpre-ti. Del resto, alcuni tra i maggiori sono ormainostri ospiti ricorrenti, e non è certo un caso.Musica Insieme non significa per loro soloun’efficiente organizzazione, una stagione trale più apprezzate: significa anche una plateaattenta e consapevole. Il tutto senza di fattoavvalerci in maniera rilevante di risorse pub-bliche. Anche da questo punto di vista siamoun caso quasi unico in Italia. Il contributo pub-blico, certo bene accetto, resta però marginale,mentre fondamentale è la collaborazione coinostri (tanti) sostenitori, la cui vicinanza inquesti venticinque anni ha permesso a Musi-ca Insieme di diventare un riferimento im-portante nel contesto musicale internaziona-le. Insomma, bisognerebbe prendere nota diun fenomeno che vede protagonisti molti at-tori sulla medesima scena: artisti, pubblico, so-stenitori, ed ovviamente il team di Musica In-sieme. Nelle maglie di questa complessa tra-ma s’annidano poi la memoria, quella fattad’incontri, di artisti che sono persone, di die-tro le quinte e di sere trascorse con loro tra ca-merini e palcoscenico. Così v’invitiamo, at-traverso una nuova rubrica che troverete piùavanti in queste pagine, a prendere notapure di alcuni tra questi ricordi. Piccolianeddoti che però scaldano il cuore e a voltefanno persino vibrare l’anima.

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ella storia di Bologna, e nonsolo per la pur importantissi-ma funzione svolta dall’Uni-versità, la cultura, in tutte le

sue espressioni, ha giocato un ruolo cen-trale. Ha determinato lo sviluppo urba-nistico del suo centro (e non solo), è sta-ta uno degli ingranaggi portanti della suaeconomia, ed al tempo stesso ha inner-vato il suo sviluppo sociale e comunita-rio. La “civitas” bolognese ha per così direla cultura, intesa anche nell’accezione piùalta ed articolata del termine, nel suoDNA. Negli ultimi decenni, inoltre,nell’attraversare le fasi molto complesseche dagli anni Sessanta in poi hanno se-gnato le vicende italiane, l’architraveculturale bolognese non è andata incri-nandosi, almeno fino ai giorni più recenti,spiccando spesso per l’originalità deisuoi frutti (basterebbe ricordare qui “av-venture” come quella del DAMS), per laqualità delle attività e dei risultati, e perl’impegno profuso tanto dalle istituzio-ni quanto dagli operatori culturali “pri-vati”. Proprio questi ultimi, del resto, han-no segnato la differenza con città pari osimili a Bologna. L’iniziativa culturale dif-fusa, capillare, spontanea, è uno dei se-gni distintivi delle vicende recenti di Bo-logna. Tanto importante da essere dive-nuto un modello e da aver richiamato peranni in città non solo artisti, ma in generegiovani da tutte le parti d’Italia. Al Sin-daco Virginio Merola, eletto con unprogramma che aveva la cultura propriocome primo punto della sua attività diamministratore, abbiamo posto alcunedomande sulla sua visione, al presente esoprattutto al futuro, di un valore tantoimportante per la nostra città.Che significato ha porre al centro del-l’azione politica l’attività culturale?«Significa immaginare la cultura comeuno dei poli di sviluppo della città. Tra-dizionalmente siamo abituati a parlare dicultura in termini certo positivi, ma ra-

NIl Sindaco Virginio Merola spiega perché ha voluto la cultura al primo posto del suoprogramma che mira a rilanciare la città, a partire dall’immagine di Sara Piagno

La cultura nel DNA

L’INTERVISTA

16 IM MUSICA INSIEME

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17IM MUSICA INSIEME

ramente la riflessione si estende poi al va-lore che può avere in termini non soltantoeconomici, ma anche di aggregazione so-ciale. Io credo che sia importante per Bo-logna inserire tale attività all’interno deipiani strategici della città».Come definirebbe l’attuale situazioneculturale a Bologna?«La situazione culturale a Bologna è de-cisamente vivace. Moltissime sono leiniziative, iniziative che coprono l’interospettro delle attività artistiche e cultura-li, e la maggior parte delle quali sono spes-so di livello molto elevato».Quali sono a suo avviso le criticità equali le priorità?«La criticità principale credo che sia chela città non è riuscita a far emergere le sueeccellenze. È nota, inoltre, una disgrega-zione delle attività dovuta probabilmen-te anche a un problema relativo all’or-ganizzazione dell’Amministrazione. Lapriorità è proprio questa: valorizzare letante attività positive, che si sono svoltein questi anni e adeguare la macchina am-ministrativa alle richieste e alle esperien-ze, che si sono sviluppate in città».Illuminiamo la città: da sempre soste-niamo che la cultura, e pensiamo so-prattutto ai teatri ed ai luoghi dove sifa musica, passi anche dalla cura edalla salvaguardia degli edifici e del-le strade, della segnaletica e dell’illu-minazione, oggi più che mai trascurati:quali sono le azioni che intende met-tere in atto a questo proposito?«Sono fondamentalmente d’accordo: cre-do che quando si parla di cultura non sipossa non parlare anche della cura che sideve avere dei luoghi e della città in ge-nerale. Questo è uno dei punti su cui do-vremo intervenire, anche se siamo di fron-te a una grave crisi economica ed è evi-dente che, per riuscire a mettere in attoun’azione efficace, la questione delle ri-sorse disponibili è certamente rilevante.Resta il fatto che, nonostante tutto, cer-cheremo di lavorare anche in questa di-rezione, consapevoli che una città gra-devole, curata e ben organizzata è fon-damentale per lo sviluppo culturale».Bologna è dal 2006 Città creativa perla musica nell’ambito dei programmiUNESCO. Ha ancora un significatotale riconoscimento? Se sì, cosa si puòfare e cosa non è stato fatto?

«Sì, senz’altro il riconoscimento non haperso di valore e ha un senso. Certamenteoccorre far emergere maggiormente,come ho detto prima, tutte le attività mu-sicali che si sviluppano nella città e cheattualmente sono piuttosto disgregate.Occorre soprattutto riuscire a valorizza-re le tante attività musicali nei diversi ge-neri che la città propone e produce».Si è molto parlato di un rilancio inter-nazionale di Bologna proprio come cit-tà della cultura, sebbene l’attuale cri-si economica e finanziaria sembrirendere molto difficile tale impegno.Quali saranno le azioni della giuntaper raggiungere tale obiettivo?«La cultura può essere, come dicevo al-l’inizio, un volano di sviluppo economi-co e uno degli elementi di questo volanoè lo sviluppo del turismo culturale. Sul tu-rismo Bologna ha fatto dei passi in avan-ti ma nello specifico, sul turismo cultu-rale, non ha mai investito molte risorse.Credo che adesso, sempre tenendo nel de-bito conto la crisi economica, ma non soloper questa ragione, questo sia uno dei seg-menti da valorizzare. Ovviamente si trat-ta di un lavoro che non spetta solo al-l’Amministrazione: è importante realiz-zarlo in sinergia e lavorando con tutti isoggetti economici e istituzionali che pos-sono portarci a un risultato significativo.Il lavoro è lungo perché, oltre a costrui-re un progetto culturale, occorre lavora-re sull’immagine e sulla città. In parti-colare, occorre riorganizzarla dal punto di

vista del traffico e della manutenzione».A Bologna l’offerta di musica classica(e non solo) è sostenuta in gran par-te da operatori culturali privati, comeMusica Insieme o il Bologna Festival.Quali saranno a suo avviso le relazionifin dall’immediato futuro tra operatoriprivati e Comune?«Gli operatori privati che operano nellacultura sono fondamentali nella costru-zione dei programmi culturali dell’Am-ministrazione. Il Comune di Bologna in-tende essere un soggetto istituzionale chesvolge la regia rispetto alle attività cul-turali. Ai soggetti come Musica Insiemee Bologna Festival – per quanto riguar-da la musica classica – spetta appuntoproporre idee e contenuti, come del re-sto fanno da sempre».“Con la cultura non si mangia”, que-sta una delle affermazioni che rie-cheggia ultimamente da parte delleistituzioni: ma è proprio vero? O ma-gari una ricca attività culturale, edun’adeguata valorizzazione della stes-sa, non potrebbero al contrario rilan-ciare l’economia?«Sì, è quello che ho già affermato prece-dentemente. Credo che la frase “con lacultura non si mangia” sia una delle af-fermazioni più infelici degli ultimi anni.In verità anche Paesi a noi vicini dimo-strano che l’investimento nella cultura enell’istruzione ha un’importanza fonda-mentale per l’economia, per la coesionesociale, per lo sviluppo della città».

Bologna, Palazzo d’Accursio

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olontariato e cooperazione,innovazione e servizi al con-sumatore: Coop Adriatica co-niuga letteralmente impren-

ditoria e cultura con un forte impegnosociale, reso concreto soprattutto dainiziative rivolte ai giovani come il con-corso Coop for Words, o alle fasce disa-giate, come Ausilio per la cultura, o an-cora con la formula vincente di libre-rie.coop. E naturalmente con una par-ticolare attenzione a chi, come la Fon-dazione Musica Insieme, opera da anninel settore delle arti e della musica.

Presidente Turrini, come vede dal suopunto d’osservazione la situazionedella cultura a Bologna oggi, e qual èin questo senso l’impegno di CoopAdriatica in ambito locale?«Bologna ha un’offerta culturale ricca earticolata, a partire dalla musica, conesperienze di eccellenza. Si tratta di unpatrimonio da difendere e promuovere,dal momento che la cultura è un fattorerilevante per la qualità della democraziama anche per l’attrattività, lo sviluppo ela crescita economica dei territori. L’im-pegno per la cultura fa parte della nostrastrategia per lo sviluppo sostenibile an-che dal punto di vista sociale, a benefi-cio delle persone e delle comunità nellequali operiamo. In particolare, a Bolo-gna siamo impegnati da sempre nel so-stegno a numerosi enti e istituzioni cul-turali, come Musica Insieme, BolognaFestival, l’Arena del Sole, di cui siamosoci sovventori. Ma supportiamo ancherassegne innovative come Bilbolbul,Gender Bender, Artelibro, BiografilmFestival, Molteplicittà. Direttamente,promuoviamo alcune iniziative a favoredel libro e della lettura: l’8 ottobre siterrà ad esempio l’undicesima edizionedi Ad alta voce, la manifestazione dilettura solidale che porta scrittori, at-tori, musicisti e testimoni dell’impe-gno civile a leggere in luoghi inso-liti di Bologna, Venezia e Cesena».Il livello culturale di una so-cietà civile determina spessogli atteggiamenti, gli stili divita e le abitudini delle per-sone che la compongono. Cidescriverebbe quali sarannole politiche che, da neo elettoPresidente di Coop Adriatica,intenderà mettere in atto asostegno delle attività cultu-rali del territorio bolognese?

«Migliorare gli ambienti fisici ed umaninei quali la Cooperativa opera è uno deicinque punti della nostra missione.Continueremo dunque a diffondere lacultura soprattutto come strumento dicoesione, crescita civile e inclusione so-ciale, a beneficio di chi ha minori op-portunità di usufruirne. In questi annituttavia i sostegni pubblici alla culturasono enormemente diminuiti, e di con-seguenza moltissime realtà si sono ri-volte a Coop Adriatica. Ma anche pernoi le risorse non sono illimitate e dun-que occorrerà affinare le scelte e valutarein modo sempre più accurato le propo-ste, i soggetti, le istituzioni beneficiarie,per assicurare una gestione migliore delnostro impegno».Da alcuni anni, in diverse città comeBologna, i volontari Coop realizzanol’attività di Ausilio per la cultura. Incosa consiste questo progetto?«Ausilio per la cultura è un’esperienzache unisce appunto cultura e solidarietà:i soci Coop volontari portano libri, au-diolibri e supporti multimediali, presi in

V

Adriano Turrini, succeduto quest’anno aGilberto Coffari alla presidenza di Coop Adriatica,racconta le strategie messe in atto dalla sua cooperativa per diffondere la culturacome strumento di coesione, crescita civile e inclusione sociale

Ripartire dai giovani

IMPRENDITORIA E CULTURA

Adriano Turrini

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19IM MUSICA INSIEME

prestito dal sistema bibliotecario pub-blico, a casa di persone anziane non au-tosufficienti e di disabili di tutte le età.Da alcuni anni, operiamo anche in car-cere, alla Dozza. Portare un libro non èsolo un servizio: significa offrire un’op-portunità culturale, ma anche innescareuna relazione che permette di spezzare lasolitudine, includendo persone estre-mamente isolate in una rete sociale esolidale».A suo avviso, il volontariato si trovain Italia a dover arginare alcune falleistituzionali, o – in positivo – in chemodo si potrebbero idealmente coor-dinare volontariato e istituzioni?«Il volontariato e la cooperazione, che sibasano sul principio del mutuo aiuto,sono risorse importanti per ogni società,ma non possono sostituire lo Stato e, so-prattutto, le scelte che spettano alla po-litica. Oggi il ceto medio è impoverito ebisogna riattivare le energie dell’interasocietà per assicurare risposte nuove aibisogni delle persone: occorrerebbe unosforzo progettuale per ridefinire le poli-tiche sociali e forme innovative di wel-fare, affrontando temi come le nuovepovertà, l’intercultura, il sostegno alle fa-sce deboli della popolazione, l’educa-zione e i servizi per l’infanzia, la sanità.In questo, la nostra città parte sicura-mente avvantaggiata potendo contaresu una solida rete di volontariato, sullospirito civico e solidale dei Bolognesi esulla forza del mondo cooperativo».Dal 2002 Coop Adriatica propone congrande successo un concorso rivoltoai giovani, Coop for Words. In un mo-mento in cui si accusano i giovani diuna forte perdita di ogni tipo di va-lore culturale, quale ruolo pensa pos-sano avere questo tipo di iniziative?«L’enorme quantità di testi che rice-viamo smentisce questa tesi: i giovanisono alla ricerca di strumenti di espres-sione, ma in questo come in altri ambitinon riescono a trovare spazi sufficienti.Come si dice spesso, l’Italia non è unpaese per giovani. Coop for Words tentauna lettura innovativa delle inquietu-dini, delle aspirazioni, dei sogni dellegiovani generazioni attraverso la lettera-tura, e offre una vetrina a chi cerca difarsi strada in campo letterario».

Un altro punto dolente della culturariguarda il fatto che gli Italiani leg-gono poco. Alle Librerie Ambasciatoriogni giorno gli scaffali di libri diven-tano però le quinte di eventi cultu-rali, intrattenimento, e – perché no –gastronomia. Qual è la strategia allabase di questa formula, rivelatasi pe-raltro vincente?«Con le librerie.coop abbiamo tradottoin termini imprenditoriali il nostro im-pegno per la cultura, e in pochi annisono diventate una catena di rilevanzanazionale. L’Ambasciatori, in partico-lare, coniuga alta qualità e prezzi soste-nibili, consentendo a ciascuno di vivereun’esperienza commisurata ai propri de-sideri. In un ambiente unico dal puntodi vista storico e architettonico, siamoriusciti a far convivere librerie.coop eEataly, due realtà che in modo diversooffrono comunque prodotti di grandequalità. Inoltre, grazie a un calendario diincontri ricchissimo, aperto, pluralista,l’Ambasciatori ha saputo diventare unluogo di confronto, di scambio, di ag-gregazione e propagazione della culturain città. Uno spazio frequentato, ap-punto, anche da chi solitamente accedealla cultura con meno facilità, dove sipuò scoprire un libro assaggiando unpresidio Slow Food e viceversa. L’Am-basciatori inoltre offre un servizio im-portante al centro storico: è aperto settegiorni su sette, fino a mezzanotte. Nonè poco, se pensiamo a quanto è ingessatal’offerta commerciale nel nostro paese, aspese dei consumatori e dell’intera eco-nomia: tuttora in Italia non è possibilevendere i quotidiani fuori dalle edicole,esistono tetti agli sconti sui libri scola-stici e già si parla di fare marcia indietroanche sulla vendita dei farmaci negliipermercati…».In occasione dei 150 anni dall’Unità,Musica Insieme – esempio unico nelnostro Paese – ha dedicato la sta-gione 2010/11 ai Maestri d’Italia,con una speciale programmazionevolta a celebrare il talento italiano.Secondo lei perché in questo Paese sifa così fatica a riconoscere il valoredei propri talenti, molto spesso co-stretti a fuggire all’estero per trovarefortuna?

«Lo ribadisco: il nostro è un paese in-gessato. Fare spazio ai nuovi talenti si-gnifica riconoscere il merito e innescare,in tutti i campi, una competizione vir-tuosa. Invece, il nostro ascensore socialesi è bloccato a beneficio di chi vive direndite di posizione, nicchie protette eprivilegi storici. Così si penalizzano nonsolo i talenti, ma l’intero paese, mortifi-candone le aspirazioni e soffocando leenergie migliori. L’Italia, negli ultimivent’anni, si è involuta anche grazie apolitiche che hanno penalizzato lascuola, l’università, la ricerca: è da qui,dalla cultura e dai giovani, che bisognainnanzitutto ripartire».

COOP ADRIATICAVILLANOVA DI CASTENASOPresidenteAdriano TurriniDirettore Generalealla GestioneTiziana Primori

La Coop è, insieme, la più grande ca-tena distributiva italiana e una grandeorganizzazione di consumatori: forni-re ai soci i prodotti e i servizi più con-venienti e sicuri, favorire l’educazioneai consumi, migliorare l’ambiente in cuila Cooperativa opera, valorizzare l’im-pegno dei lavoratori, realizzare lo svi-luppo e l’innovazione dell’impresasono i punti chiave della sua missio-ne. CoopAdriatica, con oltre 9.000 di-pendenti e un fatturato di 2.035 milionidi euro al 31 dicembre 2010, è la se-conda cooperativa del sistema Coop.Dispone di una rete di 164 punti ven-dita, 18 ipercoop e 146 supermerca-ti, distribuiti in Emilia-Romagna, Ve-neto, Marche e Abruzzo, e una basesociale di un milione e 130.000 soci,di cui 230.000 soci prestatori, per unammontare del prestito sociale di1.914 milioni di euro.Dal 2001 rende pubblici i propri risul-tati in campo economico, sociale e am-bientale con il Bilancio di sostenibili-tà, realizzato secondo gli standard piùavanzati della responsabilità socialed’impresa e verificato da un ente ter-zo indipendente, Bureau Veritas.

CARTA D’IDENTITÀ

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20 IM MUSICA INSIEME

l concerto inaugurale della stagione che celebra i venti-cinque anni di Musica Insieme permetterà di ricordare al-tre due importanti ricorrenze, che in questo appunta-mento arrivano quasi ad intersecarsi: i 100 anni dallafondazione della Giovine Orchestra Genovese e il cente-

simo anniversario della morte di Mahler. Per la prima volta aBologna ascolteremo la rielaborazione di Klaus Simon del ce-lebre Titano, coerentemente preceduta da un altro capola-voro, il Kammerkonzert di quello che per certi versi potremmoconsiderare l’erede spirituale di Mahler: Alban Berg. Sul podioPietro Borgonovo (già oboista di fama internazionale e da annipassato alla direzione d’orchestra) accompagnato da due soli-sti “amici” di Musica Insieme come Gabriele Pieranunzi eBruno Canino. L’ormai consolidata formula dell’intervistadoppia ci permette di conoscere meglio due grandi artisti comeCanino e Borgonovo, che da sempre peraltro dedicano pro-grammi e percorsi alla musica del Novecento storico.Compositore/i preferito/i?Pietro Borgonovo: «Domanda troppo pericolosa. Si potreb-bero offendere in tanti. Certo… adoro Mozart e Beethoven,ma poi come la mettiamo con Mahler, Schubert, ecc.?».Bruno Canino: «Mozart, Schubert, Debussy, Bach, Berg, ecc.».Un interprete di riferimento del passato?Pietro Borgonovo: «Idem. Però Klemperer…».Bruno Canino: «Backhaus».E del presente?Pietro Borgonovo: «Per il mio amato oboe ovviamente HeinzHolliger, per la musica in generale Holliger».Bruno Canino: «András Schiff».Quale o quali ritenete siano stati i vostri maestri più si-gnificativi (e non solo nella musica)?Pietro Borgonovo: «Appunto, Holliger».Bruno Canino: «Tutti i miei colleghi non pianisti (Gazzelloni,Berberian, Filippini, Accardo, Boulez, ecc.)».Fra i riconoscimenti ricevuti (anche verbali…) quale o qualisono stati i più importanti?Pietro Borgonovo: «I riconoscimenti, quando ci sono stati,hanno rappresentato attimi talmente brevi, istantanei, tali dafuggire rapidamente, lasciando quella fragile sensazione didover ricominciare tutto da capo».

Il più bel concerto della vita (ascoltato o eseguito…)?Pietro Borgonovo: «Non ci sarà mai. In ogni ascolto trovoqualcosa di incantevole che magari prima non avevo assolu-tamente osservato».Bruno Canino: «Karajan con la Philharmonia; Le Variazioni op.105/107 di Beethoven con Gazzelloni».Come nasce la collaborazione con Bruno Canino?Pietro Borgonovo: « Ci conosciamo da tanto. Da studente suo-navo con un suo allievo pianista che mi parlava di lui con en-tusiasmo e mi ero messo in testa che il suo insegnante fosse unvero musicista».Come descriverebbe il suo pianismo?Pietro Borgonovo: «Attento e curatissimo. Musica insomma».Qual è il pezzo che più vi ha emozionato eseguire in-sieme?Pietro Borgonovo: «Purtroppo per me non abbiamo suonatomolto insieme. Ricordo con piacere de Falla a Napoli».C’è un brano che vi piacerebbe particolarmente suonarein futuro?Pietro Borgonovo: «Bisognerebbe che lo chiedessi a lui. Ora ionon suono più l’oboe in concerto. Mi piacerebbe accompa-gnarlo nel Concerto di Ravel. Credo che lui farebbe emergereuna cantabilità intensissima».Bruno Canino: «Mozart».Come avete scelto il programma del vostro concerto perMusica Insieme?Pietro Borgonovo: «Era un obbligo. L’idea è nata dalla grandeamicizia di entrambi con Gabriele Pieranunzi».Come definireste in tre aggettivi il Kammerkonzert di Al-ban Berg?Pietro Borgonovo: «Posso rispondere con tre sostantivi? Intel-ligenza, bellezza, amore».Bruno Canino: «Troppo ricco di musica, di sentimenti, d’in-telligenza».E la prima prova sinfonica di Mahler?Pietro Borgonovo: «Non bastano né tre aggettivi, né tre so-stantivi. Tuttavia, sempre con tre sostantivi: amore, bellezza,intelligenza».Mahler: capostipite o ultimo epigono?Pietro Borgonovo: «La musica di Mahler chiude e apre non

Da due fra i più autorevoli “Maestri d’Italia”, protagonisti il 17 ottobre del concertod’apertura del nostro cartellone, raccogliamo considerazioni e fulminanti aforismi

sulla musica – e sui musicisti – di ieri e di oggi di Cristina Fossati

PIETRO BORGONOVO - BRUNO CANINO

INTERVISTA DOPPIA

I

Intelligenza e amore

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IM MUSICA INSIEME

tanto un’epoca quanto un rapporto con i suoni, si serve dellatradizione popolare e la reinventa, senza citarla. I compositoriviennesi del resto l’hanno sempre fatto».Bruno Canino: «Entrambe le cose».Ha cominciato Schönberg a trascriverlo. Quasi cento annidopo che senso può avere continuare a trascriverlo, tantopiù che oggi chiunque può ascoltare le sue sinfonie con unsemplice click?Pietro Borgonovo: «L’ascolto dal vivo della versione cameristicadi un’opera monumentale sotto il profilo sonoro amplia lacomprensione e la limpidezza dei fenomeni polifonici, di cuila musica di Mahler è strutturalmente portatrice».Bruno Canino: «Per imparare».E Berg: il più tradizionale dei “dodecafonici”, o (forse perquesto) il più attuale?Pietro Borgonovo: «Berg è un compositore viennese. Berg nonsi è mai considerato un pianista importante, non ha mai di-retto un’orchestra. Berg aveva, a mio avviso, una sensibilità spe-ciale, il suo istintivo lirismo ha fatto sì che la più spericolataapplicazione di tecnica d’avanguardia non intralciasse il pro-cedere dell’incanto emozionale».Bruno Canino: «Dodecafonico non sempre: temo non sia at-tuale».L’organico del suo Kammerkonzert è assai originale: die-tro questa scelta vi è una precisa ricerca timbrica, o qualine sono a vostro parere le ragioni?

Pietro Borgonovo: «Berg stesso spiega in una lettera a Schön-berg, cui dedica Kammerkonzert, le principali ragioni compo-sitive. A me colpisce l’ossessione per il numero tre. Tre sono inomi di Arnold Schönberg, Anton Webern e Alban Berg con-tenenti le lettere musicali ispiratrici della melodia iniziale; tresono le famiglie di strumenti utilizzati: tastiere, archi, fiati; tresono i movimenti».Bruno Canino: «La devozione di Schönberg per la scelta deifiati; una scommessa vinta per i due solisti».Al di là delle celebrazioni per l’anno mahleriano, en-trambi dedicate da sempre ampio spazio alla musica delNovecento storico: quale significato ha proporre in con-certo le musiche di quel periodo?Pietro Borgonovo: «Ma sono bellissime!».Bruno Canino: «Un periodo di ricchezza e varietà straordina-rio; ognuno può prendere ciò che crede».Dalla Seconda Scuola di Vienna alle avanguardie, pos-siamo dire che il Novecento è stato costellato di speri-mentazioni: che strade percorre (o ri-percorre) la compo-sizione oggi?Pietro Borgonovo: «Non c’è più l’obbligo di scrivere solo qual-cosa di nuovo. C’è però il rischio di ascoltare spesso qualcosache si dimentica immediatamente, e non perché sia troppocomplesso».Bruno Canino: «Diceva Schönberg: mai si va così lontanocome quando non si sa dove andare; oggi le nuove vie sannogià troppo di percorsi conosciuti».Bruno Canino

Pietro Borgonovo

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Concerti di Musica Insieme ospi-tano una tra le formazioni cameri-stiche italiane, il Trio Modigliani,che oggi spicca nel panorama inter-nazionale non solo per la qualità

delle sue interpretazioni, ma anche perl’originalità delle scelte programmatiche.Un trio che nasce come ampliamento,peraltro, del consolidato duo, quello for-mato dai fratelli Francesco (violoncellista)e Angelo (pianista) Pepicelli, compaginequesta a sua volta ormai ben nota alle pla-tee di tutto il mondo. Insomma, una diquelle eccellenze, che a pieno titolo s’in-seriscono nell’ormai vasto movimentodella cameristica italiana. Abbiamo chie-sto a Francesco e Angelo Pepicelli di rac-contarci la loro vicenda musicale e diparlare delle loro scelte artistiche.Dal Duo Pepicelli al Trio Modigliani:una naturale evoluzione?Francesco Pepicelli: «Dopo venticinqueanni di attività di duo, con oltre 500esibizioni che ci hanno permesso di suo-nare in alcune tra le sale più importantidel mondo come la Carnegie Hall diNew York, la Salle Gaveau di Parigi e laSuntory Hall di Tokyo, ci siamo incon-trati in un festival estivo con il violinistaMauro Loguercio, il quale veniva dal-l’esperienza di quindici anni come primoviolino del Quartetto David e da colla-borazioni cameristiche con grandi musi-cisti quali Magaloff, Meneses, Pires; conlui abbiamo subito scoperto di avere lostesso modo di lavorare, di approfon-dire lo studio delle partiture arrivando aconfrontarci sugli aspetti fisiologici, fisicidell’esecuzione, anche in funzione dellamigliore comunicazione all’interno delgruppo, ma anche discutendo sempre inmaniera approfondita su ogni singolafrase della partitura, per giungere ad unrisultato assolutamente convincente per

tutti. Ci distingue rispetto a tanti gruppida camera nati recentemente anche ilfatto che solo dopo ben otto mesi diprove intense abbiamo debuttato in unrecital a Londra con un brano di Gio-vanni Sollima, il Secondo Trio di Dmi-trij Šostakovic e il Primo Trio di Giu-seppe Martucci».Il vostro duo si è distinto nel panora-ma musicale italiano, ma anche in-ternazionale, per l’attenzione verso lamusica dei nostri giorni, e soprattuttoper il rapporto diretto che avete co-struito con numerosi compositori. Qua-li le ragioni di una scelta tanto signi-ficativa, e che certo ha comportato unparticolare impegno?Francesco Pepicelli: «Una scelta tanto si-gnificativa quanto naturale per il modoin cui è avvenuta, dopo che per anni ilnostro duo si è dedicato, oltre all’appro-fondimento del repertorio più cono-sciuto, anche a quello più desueto, inparticolare quello italiano della fine del-l’Ottocento e del Novecento, suonandoe incidendo tutta l’opera per violoncelloe pianoforte di Martucci, Casella, Bu-soni, Respighi e composizioni di Cilea,Petrassi, Pizzetti, Malipiero. È stato con-sequenziale poi rivolgerci a compositoriitaliani invitandoli a scrivere dei pezzi,anche tenendo presenti le nostre caratte-ristiche, o in alcuni casi la costruzione diun programma a tema. Abbiamo quindicommissionato a diversi compositoriopere per violoncello e pianoforte cheabbiamo suonato in prima esecuzione:vorrei citare tra gli altri Nicola Campo-grande, Fabrizio De Rossi Re, ClaudioRastelli, Fabrizio Festa, Eddy Serafini eNicola Straffelini. Una particolare atten-zione poi abbiamo dato ad un organicoche non aveva praticamente precedenti,quello per violoncello, pianoforte e or-

chestra d’archi; abbiamo commissionatoe suonato pezzi di Carlo Boccadoro edello stesso Fabrizio Festa. È nostra in-tenzione quella di continuare con questecollaborazioni, foriere di sempre nuovistimoli per noi e per il pubblico».Anche i programmi del Trio Modiglia-ni seguono percorsi, per così dire, “al-ternativi”. Raccontereste ai nostri let-tori come è nato il Trio, il perché del-la scelta del nome e quali sono i suoiobiettivi artistici?Angelo Pepicelli: «Il Trio è nato, comeraccontava Francesco, da un incontrofortuito con Mauro in occasione di unaschubertiade estiva, in seguito alla qualeci siamo detti che sarebbe potuto essereinteressante provare a studiare insieme.Del resto, ci accomunava la forte esi-genza di affrontare il magnifico reperto-rio per violino, violoncello e pianoforte,già immaginando peraltro che viavremmo profuso un impegno simile aquello speso per il duo. Dopo la primasessione di prove è stato chiaro cheavremmo potuto avere un lungo per-corso di arricchimento, sia dalla fre-quentazione di quelle composizioni chedai nuovi stimoli derivati dai nuovi par-tners. Il nome, nella nostra idea, dovevaavere una precisa connotazione, oltre adessere facile da pronunciare e compren-dere, nonché chiaramente riconoscibilea livello internazionale: infatti AmedeoModigliani rappresenta nella sua im-mensa opera artistica al tempo stessol’italianità e l’internazionalità, l’assolutalibertà e l’attenzione alla forma, la mo-dernità e il rispetto per la tradizione, chenon vuole essere un solco costrittivo, mapunto di partenza per dare vita a crea-zioni sempre nuove. La nostra ambi-zione è quella di dire qualcosa di nuovo,di vivo nel panorama musicale, che

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L’INTERVISTA

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Angelo e Francesco Pepicelli raccontano della loro vicenda musicale e di come,dall’incontro con Mauro Loguercio, è nato il Trio Modigliani di Alessandro di Marco

ANGELO E FRANCESCO PEPICELLI

Prima in due, poi in tre

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“ “Quello che accomuna i tre autori in programma è soprattutto laricercatezza nell’esaltare la dimensione timbrica del pianoforte

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troppo spesso vive di repliche di inter-pretazioni standard e che anche per que-sto allontana un pubblico che cerca ov-viamente nuovi stimoli, nuove emozioni,che ovviamente facciano parte delleopere d’arte eseguite e non siano impo-ste ad esse da una personalità predomi-nante degli esecutori. Probabilmentenon è così lontana dalle necessità espres-sive di Modigliani».Nel programma che presenterete perI Concerti di Musica Insieme spicca unelemento musicale non secondario:Ravel, Šostakovic e Bernstein sono sta-ti sia compositori, sia pianisti. Pur nel-

la palese diversità degli esiti musica-li, nella loro produzione cameristica avostro avviso emerge questa vicinan-za ad uno strumento, il pianoforte ap-punto, che tanta parte ha avuto nellevicende musicali novecentesche?Angelo Pepicelli: «In realtà moltissimicompositori sono stati abili pianisti nelcorso della storia dello strumento, anchese nel Novecento questa consuetudine siè leggermente affievolita. Quello checredo accomuni i tre compositori da noiscelti per il programma è la ricercatezzanell’esaltare la dimensione timbrica delproprio strumento, che appunto da pia-

nisti attenti al repertorio cameristico co-noscevano bene. Il pianoforte è conside-rato troppo spesso “monotimbrico”. Chilavora a fondo insieme ad altri strumen-tisti, cercando la fusione o la differenzia-zione dei suoni, sa bene che la ricchezzatimbrica del nostro strumento, del pia-noforte, è invece infinita. Vorrei aggiun-gere infine che non vi è una sola frasenelle tre composizioni in cui la ricercatimbrica non sia funzionale alla necessitàespressiva, ed è in tale direzione che si ri-volge la nostra interpretazione».Potremmo quindi considerare il pro-gramma che presenterete a Bolognacome paradigmatico del nuovo corsoartistico e musicale con il Trio Modi-gliani?Angelo Pepicelli: «Sicuramente. Con que-sto programma abbiamo indubbiamentetre modi diversi di vivere la modernità aimassimi livelli artistici, esattamentecome Modigliani ha fatto nella suaopera. Questo è ciò che intendiamo ren-dere chiaro nelle nostre esecuzioni, cer-cando di lasciare un’impronta forte negliascoltatori e quindi svolgendo il migliorservizio possibile alla musica e ai com-positori da noi amati».Di Šostakovic eseguirete le Sette Ro-manze su testo di Blok, inaugurandocosì la collaborazione con il sopranoOlga Peretyatko. Avete già collabo-rato come Trio Modigliani con altrimusicisti? E in futuro avete in pro-gramma altre collaborazioni?Francesco Pepicelli: «Sì, sebbene nonspesso. Abbiamo collaborato con i clari-nettisti Alessandro Carbonare e Fede-rico Paci, e con Sandro Cappelletto, inqualità di voce recitante, per suonare ilQuatuor pour la fin du Temps di OlivierMessiaen. Prevediamo comunque in fu-turo di suonare anche con altri colleghi,come il primo flauto solista dell’Accade-mia di Santa Cecilia Andrea Oliva, estiamo pensando a collaborazioni perconcerti all’estero con attori straniericome il tedesco Ulrich Tukur».

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24 IM MUSICA INSIEME

ie nuove. Sono quelle che Viktoria Mullova per-corre ormai da anni, in ognuno dei suoi numerosi,meditati, mai peregrini progetti musicali. Le irre-quietudini artistiche di quella che è da tempoconsiderata fra le più strepitose violiniste al mondo

la spingono verso esplorazioni della storia della musica cheaffondano le radici nel barocco – dalle Sonate di Bach conOttavio Dantone al clavicembalo, al programma per dueviolini realizzato insieme a Giuliano Carmignola ed ospi-tato nel nostro cartellone 2009 – e si ramificano sino allacontemporaneità che non conosce confini di genere – edanche di questa avventura il pubblico di Musica Insieme èstato testimone nel 2000, con Through the Looking Glass,ideato e realizzato insieme al violoncellista e compagno divita Matthew Barley, che per lei aveva riarrangiato i Beatlescome Duke Ellington, Youssou N’Dour e i Bee Gees. OggiViktoria Mullova torna a Bologna con un’ulteriore sfida: ri-leggere le sonate beethoveniane reinterpretandone non solole note, ma anche il suono originario, complice il fortepianodi Kristian Bezuidenhout e il suo violino Guada-gnini del 1750.In tutti questi progetti possiamo rintrac-ciare una sua personale ricerca intorno alsuono?«Certo, in ognuno di questi repertori ilsuono cambia. Per il programma dedicato aBeethoven utilizzo uno strumento Guada-gnini con corde in budello e arco classico, edil suono è diversissimo da quello del reperto-rio che eseguo ad esempio con mio maritoMatthew Barley. Abbiamo appena pubblicatoun cd, The Peasant Girl, che prosegue nel per-corso inaugurato dieci anni fa conThrough the Looking Glass, ma in modomolto più compatto e coerente: suo-niamo la musica popolare dell’Esteuropeo e magiaro in particolare,una musica influenzata com’è notosia dal jazz che dalla classica: Bartók,

Kodály e molta musica tradizionale zigana. L’abbiamo in-ciso negli studi di Abbey Road…».Cosa cambia dunque imbracciando un Guadagnini conle corde di budello?«Oltre al timbro, cambia la tecnica, cambia il vibrato, è di-verso il modo in cui reagisce l’arco, ed anche il modo di suo-nare della mano destra cambia moltissimo. In questo casol’importante è che il suono del mio Guadagnini si sposibene con quello dell’antico fortepiano [copia di uno stru-mento del primo Ottocento di Anton Walter und Söhne, cheera poi la ‘marca’ preferita da Mozart, ndr]. Non credo fran-camente che l’intensità e la forza del suono ne perdano, ilvolume non diminuisce molto. Ad esempio io uso lo stessoviolino per suonare il Concerto di Beethoven, anche congrandi orchestre che suonano strumenti con incordatura inmetallo. Nonostante io abbia un violino settecentesco conle corde in budello, non vengo ‘coperta’ dal suono dell’or-chestra: questo Guadagnini è uno strumento davvero po-tente [e forse anche il fatto che lo suoni Viktoria Mullova fa

una certa differenza…]».Vi sono svantaggi pratici nell’utilizzarestrumenti storici come i vostri? Ad esem-pio il bisogno costante di riaccordarli…«In realtà per me l’accordatura del Gua-dagnini non è affatto un problema:quando ho registrato l’integrale delle So-nate e Partite di Bach lo strumento te-neva l’accordatura per giorni interi, tanto

che mi sembrava quasi incredibile. Ilmio Stradivari ad esempio

lo devo riaccordare spes-sissimo, mentre il Gua-dagnini quasi mai!».Forse quello che hapiù bisogno di ac-cordature è il for-tepiano?«Il fortepiano sì:quando abbiamo

La violinista russa presenta a Musica Insieme la sua ultima sfida artistica:rileggere Beethoven ricercandone anche il suono originario di Fulvia de Colle

VIKTORIA MULLOVA

Gli strumenti di Ludwig

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L’INTERVISTA

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registrato il nostro disco [con un fortepiano originale di An-ton Walter, anno 1822, ndr] dovevamo fermarci ogni 50 se-condi, era davvero un disastro… impossibile! Ricordo unconcerto in cui per la prima parte il fortepiano era com-pletamente scordato, è stata un’esperienza terribile… manaturalmente a Bologna suoneremo con un altro stru-mento. Ad ogni modo, pur con tutte le loro imperfezioni– come scrive il mio partner alla tastiera nelle note al cd cheabbiamo pubblicato insieme – siamo persuasi che l’espres-sività e il mondo sonoro di questi strumenti ricreino in ma-niera unica l’atmosfera in cui quelle opere straordinariehanno visto la luce».Com’è nata, appunto, l’idea di rileggere le sonate bee-thoveniane su strumenti originali?«Io eseguivo già Bach, Mozart e Vivaldi con l’incordatura inbudello, ed ho pensato che mi sarebbe piaciuto affrontare inquel modo anche Beethoven; un modo cioè che consideropiù vicino al suono di quei tempi. E poi non esistono tanteregistrazioni di opere beethoveniane con l’incordatura in bu-dello. Così ho deciso di intraprendere questo progetto conKristian Bezuidenhout al fortepiano, che è davvero un mu-sicista straordinario, mi è piaciuto molto far musica con lui».Come presenterebbe dunque questo artista, che ascol-teremo per la prima volta a Bologna?«Come un grandissimo talento che sta facendo una gran-dissima carriera: è molto più impegnato di me! Tanto cherisulta quasi impossibile trovare due giorni liberi per i no-stri concerti in duo… credo che la sua agenda sia piena finoal 2016, tutti lo vogliono…».Per quali ragioni avete scelto in particolare la Terza ela Nona Sonata di Beethoven per la vostra incisione?«Certamente per toccare due estremi nell’arco dello svi-luppo del sonatismo beethoveniano, ma anche per un mo-tivo personale: la Sonata op. 12 n. 3 ha per me un signifi-cato particolare, essendo stata la prima sonata di Beethovenche io abbia mai eseguito in assoluto; da bambina l’ho suo-nata tantissimo. Per questo ho deciso di eseguirla, mentrenel caso della Kreutzer la scelta è se vogliamo più ovvia, trat-tandosi di un’opera bellissima, oltre che della sonata forsepiù conosciuta di Beethoven».È un progetto in progress? Si aggiungeranno altre so-nate al vostro carnet?«Io continuerò sicuramente con questo ed altri progetti, edintanto abbiamo deciso di affrontare anche altre sonate inquesto modo: intanto nel nostro concerto per Musica In-sieme aggiungeremo la Quarta Sonata, in futuro aggiun-geremo la Primavera, poi la Settima…».Per arrivare forse a un’integrale?«Sì, ma piano piano…».Tornando al programma che presenterete a Musica In-sieme, la Kreutzer è certamente un ‘grande classico’,

ma la Terza Sonata presenta già delle novità armoni-che e linguistiche sbalorditive…«Sì, in particolare nel secondo movimento. È una sonatamolto fresca, no? Anche il tipo di scrittura è più adeguatoagli strumenti originali per i quali era stata concepita».Che cosa scopriremo dunque di nuovo in questa rilet-tura, anche rispetto alle esecuzioni su strumenti mo-derni? Articolazione, tempi…«Non so se la scelta dei tempi sia influenzata dallo stru-mento: si può scegliere qualsiasi tempo, se si ritiene che siaquello giusto… sicuramente la minore tenuta di suono puòspingere verso scelte di tempo più veloci, ma non è tutto qui,anzi; citando le note scritte da Bezuidenhout per il nostrocd, nella tastiera sperimentiamo ad esempio una maggioretrasparenza, ma possiamo anche tentare effetti quasi ‘im-pressionistici’ sul suono, usando il pedale; la non-uniformitàdel punto d’attacco si traduce poi in qualità timbriche di-verse a seconda del registro, dal grave più “borbottante” al-l’acuto più cristallino e simile al suono dell’arpa. Dal cantosuo, il violino può passare dal mormorio più dolce neitempi lenti a una sorta di “grana” che dà quasi il senso delbrivido nei passaggi veloci. Infine, l’accordatura più bassa a430 Hz conferisce al suono una profondità e tinte scure bendiverse dalla lucentezza e dallo smalto dei ‘classici’ 440 Hz».Nelle note introduttive di Bezuidenhout leggiamo ancheche la musica di Beethoven suona paradossalmentemeno moderna sugli strumenti moderni che non suquelli originali…«Per me Beethoven è molto classico, non è un ‘romantico’.Tutto è nuovo in questo modo, non saprei quasi spiegarloa parole. Secondo me con le corde in budello e con il for-tepiano si possono rendere meglio i colori, e si può inven-tare molto di più, come dicevamo poco fa. Certo, tutto di-pende dagli interpreti. Ad esempio, il mio pezzo preferito,e non con il fortepiano bensì con il pianoforte moderno, èla Sonata Patetica interpretata da Wilhelm Kempff, per mela sua è la versione più bella che abbia mai sentito nella miavita. Ciò significa in fondo che non è questione di forte-piano o di violino, ma di chi li suona…».Qual è stato secondo lei il contributo di Beethoven allasonata per violino e pianoforte, in un’epoca in cui quelgenere era ancora piuttosto ‘acerbo’?«Innanzitutto potrei dire che per me Beethoven è molto piùinteressante di Mozart, del quale infatti non eseguo mai lesonate. In Beethoven la forma-sonata è assai più sviluppata,e il dialogo tra violino e fortepiano assume per la primavolta un’importanza centrale. Il tipo di sonorità di questoorganico, proprio per l’intimità di questo dialogo, richiedesale da concerto non troppo grandi (ossia, non da 2000 po-sti in su) ed un’acustica molto secca, quindi il Manzoni diBologna, che conosco molto bene, mi pare perfetto».

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hiladelphia: ad ovest dello storico porto fluviale sulDelaware, ricco di memorie della Rivoluzione ameri-cana, sorge il Rittenhouse Square District. Attorno al-l’omonima piazza pullulano le istituzioni dedicate alle

arti rappresentative: Kimmel Center, Academy of Music,Academy of Vocal Arts ed altre ancora. Fra scuole, teatri e au-ditorii c’è molto da vedere e da ascoltare, specie verso la festanazionale del 4 luglio, tempo di porte aperte a tutti. Imper-dibile il Curtis Institute of Music al n.1726 di Locust Street,fondato nel 1924. Qui non si paga nulla, ma la selezione è du-rissima e si cerca solo l’eccellenza; i migliori diplomati salgonopresto in cattedra e l’istituto li segue a vita. Così volle la fon-datrice Louise Curtis Bok. Samuel Barber, aristocratico ra-gazzino della Pennsylvania, vi s’iscrisse da subito, l’oriundo va-resino Menotti nel 1928, presentato da Toscanini, LennyBernstein, figlio di ebrei russi emigrati nel Massachusetts, nel1939, dopo la laurea a Harvard. Alla severa scuola di con-trappunto del piemontese Rosario Scalero completarono laformazione tecnica; Fritz Reiner insegnò loro la direzioned’orchestra. La fitta trama dei loro incontri e scontri, amorie tradimenti, è scritta nella storia musicale del Novecento.Non solo statunitense: a Spoleto e alla Biennale Musica di Ve-nezia gli autori americani fecero la parte del leone negli anniCinquanta, spesso con prime mondiali.Dello splendido terzetto il più proteiforme fu certo Bernstein,

in un intreccio di arte, vita pubblica e gossip privato da fare in-vidia a una moderna rockstar. Nel 1967 scriverà: «La vitasenza musica è inconcepibile, la musica senza vita è pura ac-cademia. Ecco perché il mio contatto con la musica è un ab-braccio totale». Tutto comincia come in un film hollywoodianodel genere È nata una stella. 14 novembre 1943: Bruno Wal-ter è indisposto e il fresco diplomato Leonard Bernstein lo so-stituisce sul podio della New York Philharmonic. Il concertoè trasmesso in radio e l’indomani il New York Times esce conuna recensione osannante in prima pagina. Erano altri tempiper la critica musicale. Nello stesso anno il giovane Lennytrionfa a Broadway col suo primo musical On the Town e vinceil premio della critica musicale newyorkese per la sua primasinfonia: Jeremiah, sul testo ebraico delle Lamentazioni. Per lealtre due si sarebbe ispirato invece al poemetto The Age of An-xiety di Auden e al Kaddish, la liturgia ebraica per i morti. LaBibbia e Auden, ma anche Platone (Serenade, 1954), Voltaire(Candide, 1956-89), e perfino una Missa Brevis per coro mi-sto, controtenore e percussioni (1988).Eclettismo filosofico che a noi europei sembra, per usare un ce-lebre detto, “americano quanto la torta di mele”; ma dal suofascicolo negli archivi dell’FBI, reso noto dopo la sua morte,emerge un ben diverso parere ufficioso: dagli anni Trenta finoa tutta la presidenza Nixon, Bernstein era tenuto d’occhiocome “seguace del comunismo”, ebreo sionista, bisessuale, ra-dical-chic amico dell’URSS e dei cattolici, delle Pantere Neree di Amnesty International. Un vero incubo per tutti i ben-pensanti made in USA. Nel 1950 il presidente Truman vietavala sua musica (assieme a quella degli ebrei Copland e Ger-shwin) nelle fonoteche pubbliche e nelle trasmissioni destinateall’estero. Nel 1953 il Dipartimento di Stato di Eisenhower de-cideva di revocargli il passaporto ritenendolo una minaccia allasicurezza nazionale. Alla superficie le cose procedettero in tut-t’altro modo, fino alla canonizzazione come ambasciatoredella cultura statunitense nel mondo. Mentre sul podio delMetropolitan il suo debutto dovrà attendere fino al 1964, Ber-nstein fu il primo americano a dirigere alla Scala: proprio nel1953, con Maria Callas protagonista della Medea di Cherubinie della Sonnambula. Nel 1954 la colonna sonora per un filmdi forte impegno sociale come On the Waterfront (Fronte delporto); nel 1957 West Side Story, epopea del meticciato al-l’ombra di Shakespeare e dei ritmi sudamericani. Successiepocali, superati solo dalle apparizioni come divulgatore nellaserie televisiva The Young People’s Concerts, mandata in ondasulla CBS (una rete commerciale!) dal 1958 al 1972.

26 IM MUSICA INSIEME

IL PROFILO

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Leonard Bernstein (1918-1990)

Dagli studi al Curtis Institute di Philaldelphia al successo mondiale come compositoree direttore d’orchestra, ricordiamo la figura di Leonard Bernstein, di cui il prossimo28 novembre ascolteremo al Teatro Manzoni il Piano Trio del 1937 di Lico Larvati

Un americano pocotranquillo

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MI ricordo

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Il traguardo dei 25 anni di attività ha portato con sé anche l’idea di ripercorrerealcuni momenti della nostra storia, in una sorta di album fotografico dove fisseremoquegli incontri, emozionanti e curiosi, con artisti che hanno fatto la storia dellamusica; quei ricordi insomma che rendono unico il nostro lavoro di Bruno Borsari

Capello sparato e spigoloso quando ancora quei tagli fa-cevano pensare al punk, e non erano la norma. Il look delresto non rimanda certo al classico da concerto. Nigel Ken-nedy in quel lontano 1989 è un violinista di talento, chenon ha paura di presentarsi come se fosse l’idolo di folledi teenager adoranti e urlanti. Il suo Vivaldi suona, però,più barocco di molti altri Vivaldi, anche se garantiti dalmarchio “filologico”. Perché Nigel Kennedy suona Vi-valdi come lo avrebbe suonato Vivaldi: senza so-vrapporre alle note scritte altro che il suo talen-to, la sua passione, la sua incoscienza persino.Così negli adagi improvvisa, ma senza am-miccamenti, senza gigionerie. Kennedy credein quel che fa, e il pubblico, che gli tributa unsuccesso clamoroso, capisce e approva.

7 MARZO 1989, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNANIGEL KENNEDY

Accanto al leggio del pianoforte una piccola luce.Servirà ad illuminare le partiture, che di lì a pocoun voltapagine sfoglierà con malcelata appren-sione. Come non comprenderne il nervosismo.Una dopo l’altra deve girare le pagine a Sviato-slav Richter: non solo un pianista, e tra i som-mi, ma soprattutto un artista leggendario, chequando Musica Insieme lo invita per la prima vol-ta, nel 1989 (poi tornerà nel ’92), è già consi-derato tra coloro che hanno fatto la storia dellamusica e della cultura. «Suonare è già abbastan-za faticoso, perché mai dovrei anche prendermila briga di imparare a memoria i pezzi?», questala spiegazione bisbigliata dietro le quinte. Sul pal-co della Sala del Bibiena si sparge un gioco d’om-bre, che esalta la figura quasi ieratica, sicuramenteimponente ed autorevole, del grande musicistasovietico. Quel voltapagine, la presenza della par-titura, del testo cioè, finirono per accrescere an-cor più l’aura rituale di quel recital. Non sareb-be potuto essere altrimenti: con la piccola luce,il voltapagine, la partitura sul leggio.

30 GENNAIO 1989, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNASVIATOSLAV RICHTER

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Di Friedrich Gulda non sipuò dimenticare lo stranocopricapo (ebraico? magre-bino?), con il quale amavapresentarsi anche davantialle platee più snob. E poiadorava il funky anni Set-tanta, e la sana disco cantatadagli artisti neri di Philadel-phia e poi dai Bee Gees. Sulpalco con lui c’è Gail Gil-more. Diva Furiosa, così s’in-titola la biografia che le hadedicato Reiner Hackel, ilche la dice lunga sulla tem-pra di quest’artista. Gailcanta il gospel, il funky, maanche Strauss e Mahler: è

l’alter ego, nero e femmina,di quel compassato pianistaaustriaco, al quale dobbiamoforse la più bella incisionedel Quarto Concerto di Bee-thoven ed insieme alcunedelle più accattivanti canzonidi quei lontani anni di unsecolo che ormai fu. In-somma, energia pura chefluisce in mille rivoli, ovverocambiamento, mutazione.Come il concerto che si ri-velò una sorta di work inprogress, con artisti che si ag-giungevano prova dopoprova. La Gilmore arrivòsolo il giorno prima.

13 MAGGIO 1991, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

FRIEDRICH GULDA

Incontro Isaac Stern il giorno primadel concerto. Occhi vivacissimi, unsorriso sincero e aperto. Soprattuttouna spontanea cordialità, che coin-volge anche Emmanuel Ax, Jaime La-redo, Yo-Yo Ma, gli altri componen-ti di quel quartetto di all stars. Stern

possiede, però, qualcosa che gli altri,pur famosissimi, pur talentuosi, scon-finando spesso nel geniale, non pos-sono avere. Qualcosa che lo rende percosì dire “speciale”. Ha vissuto da pro-tagonista uno dei momenti più tur-bolenti della storia della musica.

Ucraino, ebreo, cresciuto negli StatiUniti, interprete eccellente del reper-torio e della musica a lui contempo-ranea (da Bartók a Bernstein), ma so-prattutto testimone del suo tempo.Nel ’67, in piena Guerra dei sei gior-ni, è sul Monte Scopus con la IsraelPhilharmonic e Bernstein, e lì dannovita a un memorabile concerto. Va inUnione Sovietica in piena guerrafredda. Difende la Carnegie Hall daipalazzinari di New York che la vole-vano radere al suolo. E come si fa anon ricordare che nel ’79 fu tra i pri-mi ad accettare un invito in Cina, rac-contato nel docufilm Da Mao a Mo-zart? Musica e storia per lui erano unacosa sola. Glielo si legge nello sguar-do, sincero e penetrante. Me lo fececapire con una battuta. Parlando del-la tradizione violinistica ebraica, scher-zando disse: «Ha provato lei a fuggi-re con un pianoforte sulle spalle?».

26 APRILE 1995,TEATRO COMUNALEDI BOLOGNA

ISAAC STERN

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I SOLISTI DELLA GIOVINE ORCHESTRA GENOVESE

GABRIELE PIERANUNZI.................................violino

BRUNO CANINO......................................................pianoforte

PIETRO BORGONOVO.......................................direttore

Lunedì 17 ottobre 2011TEATRO MANZONI ore 20.30

Musiche di Berg, Mahler

TRIO MODIGLIANI

MAURO LOGUERCIO...........................................violino

FRANCESCO PEPICELLI.................................violoncello

ANGELO PEPICELLI............................................pianoforte

OLGA PERETYATKO.............................................soprano

Lunedì 28 novembre 2011TEATRO MANZONI ore 20.30

Musiche di Bernstein, Šostakovic, Ravel

TRULS MØRK............................................................violoncello

HÅVARD GIMSE......................................................pianoforte

Lunedì 14 novembre 2011TEATRO MANZONI ore 20.30

Musiche di Beethoven, Brahms, Janácek, Šostakovic

ICONCERTIottobre/dicembre2011Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:

Galleria Cavour, 3 - 40124 Bologna tel. 051.271932 - Fax 051.279946E-mail: [email protected] - Sito web: www.musicainsiemebologna.it

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di MusicaInsieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

YEFIM BRONFMAN.............................................pianoforteLunedì 7 novembre 2011TEATRO MANZONI ore 20.30

Musiche di Schubert, Liszt, Prokof’evIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di MusicaInsieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Il concerto fa parte degli abbonamenti:“I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Il concerto fa parte degli abbonamenti:“I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

VIKTORIA MULLOVA.........................................violino

KRISTIAN BEZUIDENHOUT.........................fortepiano

Lunedì 12 dicembre 2011TEATRO MANZONI ore 20.30

Musiche di BeethovenIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

ICONCERTIottobre/dicembre2011

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L’udito, l’organo del timore, sol-tanto nella notte e nella penom-bra di cupe selve e caverne ha po-

tuto svilupparsi così largamente come siè sviluppato, secondo il tipo di vita del-l’età della paura, cioè della più lunga etàumana che sia mai esistita: nella chiaritàdiurna è meno necessario. Di qui il ca-rattere della musica, come di un’artedella notte e della penombra». Con lasua torva incisività Nietzsche, in Aurora,esprimeva in tali termini la sua idea ro-mantica e germanica dell’arte musicale:istinto e natura fanno tutt’uno con unasorta di selvaggio misticismo. Sono in so-stanza già chiaramente delineati i carat-teri di quel decadentismo musicale dicui Mahler rappresenta il massimo espo-nente ma nello stesso tempo il liquida-tore. Bruno Walter, fedele esecutore eamico del compositore austriaco, co-

glieva bene nei suoi ricordi mahleriani il“lato oscuro” della sua ispirazione: «An-che nell’animo di Mahler si celava l’oscu-rità, quindi egli si sentiva a suo agio inquell’elemento affine. Era capace di pe-netrare nelle profondità della musica gra-zie alla sua facoltà di vedere nel buio».La novità sconcertante della sua musicafu colta subito fin dalla prima esecu-zione della Sinfonia in re maggiore, nel1889. A disorientare i primi ascoltatorifu senza dubbio la tecnica dello sviluppoche ricorda più l’arte narrativa che nonle tradizionali strutture musicali. Comenel romanzo moderno (Proust, Svevo), lamusica di Mahler non conosce uno svi-luppo lineare nel tempo ma piuttostoun movimento di espansione a spirale, incui ciò che avviene nel presente non è unelemento coerente che determina quantoavviene dopo ma è piuttosto determi-

nato, assillato da un passato perenne-mente incombente. È un peso di me-moria disgregante ma che crea, a livellostrutturale, un nuovo e diverso tipo dicoerenza e di coesione: la musica perbanda, i Lieder, persino la sdolcinata tri-vialità di certa musica d’uso, contribui-scono a ricreare, attraverso il prisma dellamemoria, un caos organizzato ma noncontrollabile, né tanto meno finalizzato,assai simile a quello dell’esistenza. Que-sto disincantato radicamento nella re-altà, in quanto riflesso di un vissuto in-dicibile, trova una motivazione nellatestimonianza di Freud, cui Mahler siera rivolto negli ultimi anni della propriavita: «Mahler disse improvvisamente cheora capiva perché la sua musica nonavesse mai toccato altezze sublimi nean-che nei passaggi più nobili ed ispiratidalle emozioni più profonde e perché

Nel centenario della sua fondazione, la Giovine Orchestra Genovese per la prima volta aBologna in un concerto che accosta due capiscuola della musica novecentesca di Stefano Dondi

La musica dell’oscurità

Lunedì 17 ottobre 2011

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Pietro Borgonovo

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37IM MUSICA INSIEME

fosse rovinata dall’intuizione di melodiebanali. Suo padre, che pare fosse unapersona brutale, strapazzava la propriamoglie, e durante l’infanzia di Mahler siera verificata tra loro una scena partico-larmente penosa. Essendo la situazionediventata intollerabile, il bambino si eraprecipitato fuori di casa mentre una pia-nola stava strimpellando un’aria popolareviennese, Ach du lieber Augustin. Da al-lora, secondo Mahler, profonda tragediae divertimento spensierato erano rimastiinscindibilmente associati nella suamente, e ciascuno dei due stati d’animos’accompagnava inevitabilmente all’al-tro». Il carattere narrativo della musicamahleriana è particolarmente evidentenelle “riprese”, nei ritorni tematici,spesso a grande distanza all’interno deltessuto sinfonico. Essi, affermando il va-lore della memoria come garanzia di ra-dicamento nel flusso della vita, ne sve-lano drammaticamente il fatalecorrodersi. L’evanescenza della memo-ria, che è comunque garanzia e afferma-zione di identità al nostro essere, ne de-nuncia l’inesorabile fragilità. Il riscattodell’arte rappresenta in Mahler questoguardar oltre la vita a partire dalla vitastessa: di qui l’innegabile tensione etico-religiosa delle sue composizioni. Ma la

redenzione, che nella vita non c’è né cipuò essere, la si trova soltanto nella mu-sica stessa; solo essa espande il suosguardo, e quello di chi l’ascolta, versoquella completezza dell’Essere che pe-rennemente ci sfugge. Ancor più “scioc-canti” parvero, alle prime esecuzionidella Sinfonia in re maggiore, le intru-sioni di elementi extramusicali, come lavoce del cuculo nel primo movimento.Questo tentativo di inserire nel contestodi un linguaggio organizzato elementi

che, in quanto non artificiali, sarebberoad esso estranei ricorda la tecnica pasco-liana di applicare al testo poetico, comese facessero parte integrante della lin-gua, elementi non grammaticali (le fa-mose onomatopee, i fonosimbolismi).È la dimostrazione che due autori cul-turalmente così lontani, ma assoluta-mente contemporanei, per quanto permolti aspetti ancora legati ad una solidatradizione, ricercavano negli stessi anninuovi moduli espressivi battendo stradesimili. Anche Mahler, come Pascoli ed al-tri grandi esponenti del decadentismoeuropeo, persegue a suo modo l’idea del-l’arte totale, dato che nessuna formachiusa e consolidata è ormai ritenutaadeguata ad esprimere la complessità del-l’esistenza. A queste difficoltà Mahlervolle inizialmente sopperire fornendoalle perplessità del pubblico un “pro-gramma”, all’interno del quale reperireun percorso di riferimento. Presentò in-fatti la sua Prima Sinfonia come divisa indue parti, la prima intitolata “Dai giornigiovanili; frammenti di giovinezza, fruttie spine”, la seconda “Commedia umana”(in italiano nel testo), dove per l’ultimomovimento si legge, sempre in italiano,“Dall’Inferno al Paradiso”. Queste indi-cazioni, che in seguito Mahler eliminò,

Alban BergKammerkonzertper pianoforte, violinoe tredici strumenti a fiatoGustav MahlerPrima Sinfonia in re maggioreIl Titano - trascrizione di Klaus Simon

LUNEDÌ 17 OTTOBRE 2011TEATRO MANZONI ORE 20.30

I SOLISTI DELLA GIOVINEORCHESTRA GENOVESE

GABRIELE PIERANUNZI violino

BRUNO CANINO pianoforte

PIETRO BORGONOVO direttore

Introduce il concerto Pietro Borgonovo

Bruno Canino

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Lunedì 17 ottobre 2011

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possono essere in effetti fuorvianti, nelsenso che potrebbero far pensare a un ti-tanismo romantico alla Liszt, qui deltutto fuori luogo. La Sinfonia in re mag-giore racconta una storia, lo si capisce finda quell’accordo iniziale prolungato,dove l’autore sembra dire, come rivol-gendosi ad un bambino: ecco vedrai lecose straordinarie che accadranno! Sitratta in realtà di un universo onirico,crepuscolare, dove l’accadere delle cose ètotalmente determinato dalla psiche. Maè anche chiaro che il protagonista dellastoria non è un eroe, un superuomo lecui sfide sono destinate al successo;l’unica, proustiana certezza, sta nell’evo-cazione memoriale di un passato chesfugge ma che perennemente dura in unorizzonte separato da quello delle mise-rie della vita. L’arrangiamento per or-chestra da camera approntato da KlausSimon permette di cogliere appienol’estrema finezza nella scelta dei timbri

strumentali, così caratteristica di Ma-hler; ma fa apprezzare anche le evidentipotenzialità innovative già presenti inquesta composizione giovanile.L’esperienza espressiva mahleriana si ca-ratterizza nel suo complesso, oltre cheper le novità già rilevate, per una so-stanziale fedeltà al linguaggio armonico-tonale risultante dall’elaborazione dellagrande tradizione tedesca, almeno daBeethoven in poi. Ma i fattori corrosivi,che Mahler inizia a porre potentementein rilievo, costituiscono i fermenti che sa-ranno in gran parte resi produttivi dagliesponenti della Seconda Scuola diVienna (Schönberg, Berg e Webern), iquali facendo riferimento ad essi proce-deranno in maniera assai più radicalesulla strada del rinnovamento del lin-guaggio musicale. Tutti e tre strenui am-miratori e difensori dell’opera di Mahler,in tempi in cui ancora stentava ad affer-marsi, gli sono egualmente debitori, an-

che se in modo diverso, a seconda delleassai diverse personalità. Schönberg, chefu il maestro di Alban Berg, ricordava ilsuo allievo in questi termini: «Fin dallesue prime composizioni si potevano co-gliere due aspetti: primo, che la musicaera il suo linguaggio e che in questo lin-guaggio effettivamente si esprimeva; se-condo: uno straripante ardore del senti-mento… Egli, come tutti i giovani dotatidi allora, era ebbro di musica, vivevanella musica. Frequentava e conoscevatutte le opere e i concerti, leggeva velo-cemente le partiture, era entusiasta, acri-tico, ma sensibile al bello, vecchio enuovo, fosse esso musica o arti figura-tive». Per questo suo carattere borghesee quasi mondano, le prime composizionidi Alban Berg risentono indubbiamentedel clima “Jugendstil”, elegantementedecorativo, diffuso in una città che pro-prio in quegli anni viveva l’inizio del suosplendido declino. Di una certa fron-dosa sovrabbondanza ai limiti dell’horrorvacui egli non si libererà mai del tuttoma, come aveva rilevato il suo maestro,l’anima più profonda e sincera della suaispirazione è quella lirica, che trova na-turalmente in Schubert il suo naturaleprecursore. Dal punto di vista dello svi-luppo del linguaggio berghiano il Kam-merkonzert si trova per così dire al centrodi un cammino che dallo stile tardo-ro-mantico delle opere giovanili giungerà,attraverso l’oltranzismo espressionista,alla magistrale sintesi tra l’ispirazione li-rico-melodica da una parte (gravitanteper sua natura attorno ad un centro to-nale) e l’elaborazione strutturale dall’al-tra, sempre più tesa ad un mirato e peraltro assai libero impiego della tecnica

Dal 1912, anno della sua fondazione, ad oggi, la Giovine Orchestra Genovese ha realizzato quasi 2.000 concerti, af-fiancando all’attività istituzionale una serie di iniziative parallele con il mondo della scuola, del teatro di prosa e della dan-za, grazie alle quali ha ottenuto nel 1998 il Premio Abbiati della Critica musicale, il più prestigioso riconoscimento italianoper le attività musicali. Impostosi giovanissimo quale oboista tra i più affermati sulla scena mondiale, Pietro Borgonovo èoggi Direttore artistico della GOG; si è distinto nella direzione di produzioni sinfoniche e operistiche per prestigiosi festivalcome i Salzburger Festspiele, il Maggio Musicale Fiorentino e il Ravenna Festival con orchestre come la Prague Philharmo-nia, l’Orquesta Sinfonica Nacional di Buenos Aires, l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Bruno Canino ha suonatosotto la direzione di Abbado, Muti, Chailly, Berio, con Orchestre come Berliner Philharmoniker, New York Philharmonia, Phi-ladelphia Orchestra, Orchestre National de France, e dal 1999 al 2002 è stato direttore della Sezione Musica della Bienna-le di Venezia. Gabriele Pieranunzi, allievo di Accardo, si impone grazie alla vittoria in numerosi concorsi, come il “Paga-nini” di Genova, e ricopre il ruolo di primo violino al San Carlo di Napoli, a Santa Cecilia e alla Fenice di Venezia.

I protagonisti

DA ASCOLTARE

Un Berg tanto euforico da salutare l’addio alla composizione tradizionale conun biglietto da visita che reca impressi, in codice di lettere e note secondo il si-stema tedesco, tre nomi e cognomi: i suoi e quelli dei suoi compagni d’avven-tura dodecafonica Schönberg e Webern. Scherzetto di classe da gustare nel-la registrazione CBS del 1990 con Serkin al piano, Stern al violino e ClaudioAbbado sul podio. Si trova, si trova... Per Gustav Mahler il 2010 era uno di queicentenari e mezzo che non sconvolgeranno la storia della ricezione. Non è per-venuta notizia di memorabili scoperte, né di straordinarie pubblicazioni scien-tifiche, né di registrazioni esemplari. Poiché ogni mahleriano che si rispetti avrànella sua discoteca una o più incisioni della Prima in versione mainstream, gli con-siglio di procurarsi il “Capitolo di Blumine”, bell’Andante primaverile a mo’ diserenata che era stato concepito come secondo movimento della sinfonia (e cometale eseguito fino al 1896). In attesa che spunti sul mercato il cd della trascri-zione cameristica di Klaus Simon, diretta in prima mondiale a Trento da Clau-dio Abbado, il 25 marzo 2010 alla testa della sua Mahler Chamber Orchestra.O invece è già uscita? Non lo sappiamo e gradiremmo notizie in merito. (cv)

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39IM MUSICA INSIEME

dodecafonica. Il Concerto da camera perpianoforte, violino e 13 strumenti afiato, la cui realizzazione piuttosto tra-vagliata impegnò Berg dal 1923 al 1925,rappresenta in un certo senso l’opera dipassaggio dal periodo espressionista aquello finale, bruscamente interrottodalla morte prematura (1935). Nei primianni Venti Schönberg definisce la dode-cafonia, ovvero quanto sarà sommaria-mente definito il “comunismo deisuoni”. La sua teoria prevede in effettiche ogni nota della scala abbia gli stessidiritti delle altre, per cui salta il vecchioprincipio della tonalità di base in nomedi un nuovo principio strutturale: una“serie” di dodici note disposte in una se-quenza scelta dal compositore e chestanno a fondamento di tutta la compo-sizione. Quest’idea di comporre moregeometrico se servì a Schönberg a supe-rare la disarticolazione caotica dell’ato-nalismo espressionista, non poteva sod-disfare il suo giovane allievo, che infatti,come testimonia una lettera alla moglie,ebbe a che ridire col pur veneratissimomaestro che gli voleva in qualche modoimporre le sue idee. Berg, da artista com-

pleto e maturo quale ormai era, agì dapar suo creando un’opera originale, ilKammerkonzert appunto, in cui applicala tecnica dodecafonica soltanto dove ecome lo ritenga utile alle sue finalitàespressive. Ne risulta uno dei capolavoridel Novecento musicale, una delle com-posizioni più complesse e difficili da ese-guire che siano mai state scritte. Come senon bastasse, assecondando un certo ba-rocchismo esoterico tipico della culturaviennese, vi introduce riferimenti oc-culti, che non sempre il profano è ingrado di cogliere. Ad esempio il tema ini-ziale, sfruttando la corrispondenza in te-desco tra note musicali e lettere dell’al-fabeto, enuncia musicalmente i nomiArnold Schönberg, Anton Webern, Al-ban Berg. Successivamente sulla base diquesto ideale sodalizio ternario conformal’intera opera sul ricorrere del numero tree dei suoi multipli: i tre tempi del Con-certo, a loro volta distinti dall’impiego ditre diverse combinazioni strumentali(pianoforte e fiati nel primo, violino efiati nel secondo, pianoforte, violino efiati nel terzo); il complesso di 15 stru-menti, e così via. È certamente l’opera

più avanzata di Berg, qui davvero moltoesigente nei confronti dell’ascoltatore;ma all’interno di questa capillarità nellaricerca timbrica e nella tessitura delle se-zioni al limite delle capacità distintivedell’orecchio umano, l’impegno e l’at-tenzione troveranno un’adeguata ricom-pensa nel cercare di cogliere la straordi-naria ricchezza delle sue formulazioniespressive: il ritmo e l’intreccio contrap-puntistico trascinanti del primo movi-mento; il lirismo desolato e inquietantedell’Adagio, dove Berg fa scivolare l’ar-chetto del violino perfino sui quarti ditono e dove la dodecafonia riesce a dive-nire canto; il potenziale virtuosistico delRondò finale, in cui le parti solistiches’intrecciano ed alternano in un “con-certato” che lascia poi spazio all’inter-vento dei fiati in funzione autoironica.Particolarmente impressionante la chiu-sura del brano, in cui corpuscoli di notevengono ripetuti sfumando sempre piùpiano a intervalli regolari, per svanirequasi in un soffio. È davvero l’atto finalecui assistiamo; quello di una civiltà interache scompare in un tramonto di indici-bile bellezza.

Nel 1997 Bruno Canino ha pubblicato per Passigli Editori il libro Vademecum del pianistada camera: trattando in trentacinque voci tutti i temi e i patemi del musicista classico,da “voltapagine” a “incubi”, vi si ritrovano consigli preziosi, presentati con humour e lievità

Lo sapevate che...

Gabriele Pieranunzi I Solisti della Giovine Orchestra Genovese

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Lunedì 7 novembre 2011

40 IM MUSICA INSIEME

Attesissimo il ritorno diun interprete consideratouno dei massimi virtuosidei nostri giorni, in unprogramma che coniugatecnica travolgente eprofonda musicalitàdi Maria Chiara Mazzi

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41IM MUSICA INSIEME

l pianoforte è stato per i compositori (ed è ancora, spesso)il primo contatto con la musica, il primo luogo doveprendono da sempre vita non solo le pagine pianistiche,ma anche, se pure in maniera schematica, i grandi capo-lavori operistici, sinfonici o cameristici. Qualche compo-

sitore, poi, ha trovato proprio nel pianoforte lo strumento pre-ferenziale per esprimersi, esercitando anche, più o meno alungo, l’attività di concertista virtuoso. È questa la particola-rità che accomuna i tre autori di questo programma, ciascunoin grado non solo di esplorare universi sonori ed espressivi sem-pre diversi attraverso uno strumento in continua evoluzione,ma anche di parlare con esso direttamente al proprio pubblicoe al proprio mondo.Che strumento è il pianoforte viennese di Schubert? È unostrumento che sta cercando un’identità, all’inizio della sua sto-ria, dalla voce dolcissima e morbida, perfetto per incarnare leesigenze di un numero limitato di persone spesso raccolte at-torno al compositore stesso, per ascoltare da vicino le sue ma-giche creazioni. Scriveva Schubert: «Alcune persone mi assi-curarono che i tasti diventavano voci cantanti sotto le mie dita,fatto che, se vero, mi fa molto piacere perché non posso sop-portare il maledetto martellamento a cui indulgono anche di-stinti pianisti e che non diletta né l’orecchio né la mente». L’ele-vatissimo ‘diletto’ della mente, infatti, è innanzitutto lo scopodella produzione (anche cameristica) schubertiana che prevedel’uso del pianoforte: ed è una soddisfazione tutta intellettualea pervadere infatti questi brani, siano essi i piccoli pezzi sca-turiti dalla fantasia di un momento, siano le splendide armo-nie dei Lieder, siano le strutture più ampie e originali che le-gano le sonate. Le sonate per pianoforte di Schubert, appunto;quelle sonate che negli anni Venti dell’Ottocento costitui-vano l’alternativa estetica agli ultimi capolavori beethovenianidi cui erano, in pratica, contemporanee. Composizioni, comeaffermava Schumann: «notevoli, ma in un senso diverso dallealtre, dove l’autore rinuncia volontariamente ad ogni novitàbrillante. Le composizioni scorrono mormorando di pagina inpagina, sempre liriche, senza mai pensiero per ciò che verrà,come se non dovessero mai arrivare alla fine, interrotte solo quae là da fremiti più violenti che tuttavia si spengono rapida-mente». E continua, poi: «se volessimo dimostrare nei parti-colari perché le sue opere debbano essere dichiarate composi-

zioni di altissimo valore occorrerebbero dei volumi... Cosìmultiformi sono i pensieri e le azioni dell’uomo, altrettantomolteplice è la musica di Schubert. Ciò che egli vede con l’oc-chio e tocca con mano, si trasforma in musica». Queste com-posizioni costituiscono infatti la splendida e perfetta dimo-strazione della funzione della musica per pianoforte nei primitrent’anni del secolo, prima degli sconvolgimenti della tem-perie romantica, e mostrano come le risorse dello strumentoa tastiera e una poetica tutta nuova potessero dare vita a unostile che andava in una direzione del tutto differente da quellapresa da Beethoven negli ultimi suoi capolavori. La rispostaschubertiana è chiarissima, frutto di una genialità assai diversa:in un clima culturale e artistico completamente mutato dallaRestaurazione, con uno strumento dalle possibilità espressivepiù avanzate, si poteva scrivere qualsiasi cosa considerando Bee-thoven non come punto di partenza, ma come il rappresen-tante di idealità illuministiche che ormai avevano esaurito laloro spinta estetica. E se le ultime sonate schubertiane sono lavoce di un autore che ormai parla solamente con se stesso, an-cora pagine come la Sonata D 850 (1825) sono specchio di unperiodo felice, dove slancio ed ottimismo traspaiono nellascrittura e nella costruzione armonica e ritmica, ma dove nonmanca un moderato virtuosismo, forse dovuto alla destina-zione del brano ad un celebre pianista dell’epoca. Solare e ar-monicamente cangiante è il primo tempo, mentre nella calmacontemplativa del secondo riecheggia lo spirito della danza gio-

IFranz SchubertSonata in re maggiore D 850Franz LisztTre Studi d’esecuzione trascendentale R 2b:Mazeppa - Harmonies du soir -Chasse-neigeSergej Prokof’evOttava Sonata in mi bemolle maggiore op. 84

Introduce il concerto Maria Chiara Mazzi. Docente di materie storico-musicalial Conservatorio di Pesaro, è autrice di libri di educazione e storia musicale

LUNEDÌ 7 NOVEMBRE 2011TEATRO MANZONI ORE 20.30

YEFIM BRONFMAN

Nato a Tashkent, nel 1973 emigra con la famiglia in Israele, dove studia con il pianista Arie Vardi presso l’Università di Tel Aviv,per poi trasferirsi negli Stati Uniti nel 1989, dove si perfeziona alla Juilliard School, a Marlboro e al Curtis Institute. Consideratouno dei maggiori virtuosi dei nostri giorni, grazie a una tecnica travolgente e ad un’eccezionale musicalità, gode di universaleconsenso sia da parte della critica che del pubblico, non solo per i suoi recital solistici e con l’orchestra, ma anche per il vasto ca-talogo discografico. Vincitore del prestigioso Avery Fisher Prize e di un Grammy per la registrazione dei tre Concerti per piano-forte di Bartók con la Los Angeles Philharmonic diretta da Esa-Pekka Salonen nel 1997, ha suonato con le principali orchestre ame-ricane ed europee, sotto la direzione di Bernstein, Mehta, Barenboim, Zuckerman. Nel 2007 ha interpretato in prima mondialeil Concerto per pianoforte scritto per lui da Esa-Pekka Salonen e commissionato dalla New York Philharmonic. Con Truls Mørk eGil Shaham è stato protagonista di un tour negli Stati Uniti, coronato dall’incisione del Triplo Concerto di Beethoven per BMG.

Yefim Bronfman

pianoforte

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42 IM MUSICA INSIEME

cata tra le ombre e le luci dei cambi armonici. Ritmico e gra-zioso è lo Scherzo, mentre semplicissima è la forma del Rondòconclusivo, una vera e propria canzone che alterna senza tran-sizioni strofe e ritornello, quasi nel ricordo dei Lieder intonatinelle schubertiadi.Dal mondo intimamente poetico di Schubert si passa al-l’estroversione plateale fino all’istrionismo di Liszt, la cui artepianistica si lega indissolubilmente al grande strumento ancoratutto da scoprire col quale egli si cimentò in una lotta quasi ti-tanica. Una lotta alla quale assistevano vere e proprie folle, at-tirate da un nuovo tipo di spettacolo: il recital pianistico. Ilpubblico che gremiva i concerti di Liszt in tutta Europa do-veva essere colpito da qualche cosa di ancora inaudito; e l’ine-guagliabile pianista, tuttavia, utilizzava la sua tecnica prodigiosanon solo per ammaliare e irretire gli ascoltatori, ma anche peresplorare possibilità timbriche ed armoniche ancora scono-sciute. Sono questi gli anni nei quali si costruisce il mito delvirtuoso, un mito che proprio per la sua facile comunicabilitàfinì per nascondere quella che fu la vera rivoluzione operatadallo stile e dall’arte lisztiani. Proprio gli Studi trascendentali(1852) costituiscono l’esempio più straordinario di questa ri-cerca senza ostacoli (ispirata, ma non solo, dall’antico incon-tro con Paganini) che identificava compositore e interprete perscoprire itinerari fino a quel momento inesplorati. In questomodo anche le difficoltà trascendentali, le sonorità quasi or-chestrali, la scrittura che ricava dalla tastiera spessori sinfonici,i glissandi e le doppie seste, le cascate di ottave e gli accordi pie-nissimi, i trilli e gli strati sovrapposti dello spartito non sonomai vuote esibizioni, ma mezzi per costruire un nuovo stile pia-

nistico, romantico ed eroico, che portava sulla tastiera gli echidelle battaglie (come accade in Mazeppa), ma anche la rifles-sione poetica (come in Harmonies du soir) o le vibranti tensioniespressive (come in Chasse-neige). Trasformando, in conclu-sione, il cangiante gioco delle armonie, il rincorrersi delle so-norità e la ricerca virtuosistica in pura opera d’arte.E dopo Liszt? Ai più potrebbe sembrare che le composizionidell’Ungherese avessero esplorato tutte le possibilità della ta-stiera. Lo stesso Liszt nella sua ‘seconda vita’ (dopo il 1850,conclusa l’attività di concertista), aveva preso nuove vie inda-gando piuttosto nelle timbriche e nelle armonie che nella tec-nica. Dopo Liszt, dicevamo, il mondo nel Novecento si divide:da una parte stanno gli epigoni del mitico pianista, che con-tinuano ad affascinare col pianoforte-orchestra. Dall’altrostanno i ‘moderni’, che invece pensano ci sia ancora moltissimoda scoprire dentro la grande cassa armonica. Tralasciando co-loro che, come Cage, aggiungono al pianoforte altre cose (ilprimo pezzo per “pianoforte preparato” è del 1940), ci sonotutti coloro che invece sembrano cancellare le capacità armo-niche dello strumento attraverso uno stile secco e tagliente, permetterne in risalto le doti di strumento a percussione, che essiconsiderano la vera colonna sonora della contemporaneità. Traquesti, Prokof ’ev, anch’egli grandissimo virtuoso, il quale peròdecide di utilizzare lo strumento prima per esaltare la potenzainnovatrice di una ideale rivoluzione e poi per ritrarre i suonie le tragedie del secondo conflitto mondiale. Una sonataquindi apre e chiude il concerto: oltre che evidentemente cro-nologica, la distanza di Prokof ’ev dal brano di Schubert è peròsoprattutto ideale, nel contenuto del messaggio che esso vuoleinviare agli ascoltatori. La Sonata n. 8 è una “sonata di guerra”(come la n. 6 e la n. 7), composta tra il 1939 e il 1945, nellaquale il sottotitolo spiega il contenuto tragico e l’alternanza diforza possente e struggenti melodie. E se non si può negare cheepoca e ambiente abbiano influenzato l’autore, quelli chesembrerebbero intenti ‘descrittivi’ altro non sono che un ul-teriore approfondimento del suo personalissimo stile, caratte-rizzato sin dai primi anni del Novecento da una tagliente li-nearità e dalla secchezza musicale e ritmica. Sembra crescere apoco a poco di intensità il primo tempo, che dalla mezzavoce arriva all’intensificazione scandita della parte centrale, perrichiudersi come in se stesso dopo avere alternato a lungo que-sti due elementi così contrastanti. Una pagina (volutamente)fuori dal mondo è il Minuetto che sostituisce il consueto ada-gio centrale, mentre il terzo ed ultimo tempo, che bilancia ilprimo nella sua lunghezza, è una sorta di meccanismo ritmicoperfetto dal sapore insieme di toccata e di marcia, che lascia asprazzi trasparire il pianto e l’angoscia per il tempo e la situa-zione. Un capolavoro insomma, questa ultima sonata di Pro-kof ’ev, che, come scrisse Sviatoslav Ricther: «deve la sua gra-vità alla sua ricchezza di contenuti: quasi come un albero i cuirami pendono sotto il peso dei troppi frutti».

Lunedì 7 novembre 2011

DA ASCOLTARE

“Bronfman il brontosauro”, “Mr. Fortissimo”, “ebreo russomal rasato”, ed anche: “una forza della natura mimetizzatasotto la canottiera”. Così lo aveva definito Philip Roth nelromanzo La macchia umana dopo averlo ascoltato suona-re Prokof’ev in una prova al Festival di Tanglewood. La no-tizia buona per i nostri lettori è duplice: quando deve esi-birsi in concerto Bronfman si rasa, indossa una camicia pu-lita e perfino una giacca, ma non smette di essere una for-za della natura. Soprattutto quando interpreta le Sonate diProkof’ev. Negli anni Novanta le ha registrate tutte per laSony, e il cofanetto di tre cd, ripubblicato nel 2002, è an-cora disponibile sul mercato. Musiche dure e angosciose finoall’asprezza come quelle di Bartók, altro suo cavallo di bat-taglia. Non è da tutti scioglierne i nodi tecnici conservandola necessaria lucidità di tocco. Ma il ragazzone uzbeko emi-grato in Israele a 15 anni e poi naturalizzato americano nonindietreggia di fronte ai monumenti del classicismo. Anzi di-remmo che ci stia prendendo gusto. Passata da poco la cin-quantina, col suo inestinguibile “fuoco prometeico” (citiamoancora da Roth) può ancora riscaldare molti. (cv)

Nella carriera di Bronfman non manca una curiosa parentesi disneyana: è lui il solista delSecondo Concerto per pianoforte di Šostakovic che fa da colonna sonora a Fantasia 2000

Lo sapevate che...

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44 IM MUSICA INSIEME

Il recital delsolista norvegese,‘scoperto’ daMusica Insiemenel 1994 ed oggiai vertici delconcertismointernazionale,inaugura la seriededicata dalnostro cartelloneal repertoriovioloncellisticodi Sara Bacchini

Il violoncelloracconta

Truls Mørk

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Lunedì 14 novembre 2011

45IM MUSICA INSIEME

uando Beethoven, nel 1796,si accinse a scrivere le primesonate per violoncello e pia-noforte, non aveva dietro disé illustri precedenti ai quali

rifarsi, dal momento che una letteraturaspecificamente pensata per questo orga-nico strumentale, in effetti, non era esi-stita né durante il barocco, né durante ilclassicismo. L’apporto musicale e tim-brico del violoncello era stato più che al-tro relegato a funzione di basso continuonegli ensemble strumentali, sostanzial-mente un’amplificazione sonora della li-nea del basso, che acquisiva così maggioreimportanza armonica e melodica. Bee-thoven cercò di sintetizzare le possibilitàdel violoncello, puntando sulla sua dut-tilità, sulla capacità di rendere in modoespressivo le tonalità del chiaroscuro, enaturalmente sulle sue possibilità virtuo-sistiche, doti peraltro già ampiamente ri-conosciute dai compositori del nostroPaese. Le due Sonate op. 102 apparten-gono all’ultima fase della produzione bee-thoveniana e, insieme alla Sonata per pia-noforte op. 101, rompono l’apparentefase di stasi che si prolungava dal 1813,uno tra i periodi più neri e difficili nellavita del compositore, che in quegli annisi trovava ad affrontare i forti disturbidella propria malattia in solitudine e in-digenza finanziaria. Ultimate nel 1815, ledue sonate riuniscono tutti quei proce-dimenti di scrittura che Beethoven avevapiù volte impiegato come tratti isolati,

ma che ora grazie alla loro combinazionegiungono a definire la nuova identitàstilistica della sua musica: il preponde-rante interesse per il contrappunto, spe-cialmente per il canone e la fuga; l’im-piego dei trilli o altre figurazioni a fininon solo ornamentali; il recitativo stru-mentale elevato a nuovi vertici d’inten-sità espressiva; le audaci progressioni ar-moniche; e l’affiorare, infine, di unnuovo e trasfigurato gioco sonoro. LaSonata in re maggiore op. 102 n. 2 vieneconsiderata la più sperimentale e arditatra quelle che Beethoven dedicò al duo divioloncello e pianoforte. Non a caso, imusicisti della generazione successiva(Schumann in primis) hanno sempreguardato a questo lavoro come ad unesempio illuminante per il loro stile,adombrato qui specialmente dal ritorno,nel finale, dei temi del primo movi-mento. L’inizio è un Allegro con briosenza precisa configurazione formale, ba-sato su melodie dagli intervalli spigolosie dal netto contrasto tra i due strumenti.Segue un Adagio con molto sentimentod’affetto, in cui il motivo d’avvio, espostocon la solennità e la fisionomia di un co-rale, si apre a successioni di suoni chesembrano condurre ad uno stato di as-soluta astrazione in cui l’emotività parecome sospesa. Questa pagina in formatripartita, la cui parte centrale moduladal modo minore al maggiore, è diretta-mente collegata al conclusivo Allegro fu-gato, dalle sonorità così dure da suscitare

forti perplessità non solo nel pubblico enella critica di allora ma anche nellostesso compositore, il quale in un solocaso sarebbe successivamente tornato susonorità paragonabili a queste, ed incor-rendo ancora una volta a difficoltà similicon gli esecutori: la Grande Fuga op.133 per quartetto d’archi.In pieno Ottocento, un posto di assolutorilievo nella letteratura per violoncello epianoforte lo occupa Johannes Brahms,che dedicò a questo organico lavori ca-meristici importanti, elevando le possi-bilità timbriche, armoniche e melodi-che dei due strumenti verso un dialogofinemente intrecciato e formalmentecomplesso. Ogni anno, con l’arrivo dellaprimavera, Brahms lasciava Vienna. Nel1886 scelse di trascorrere la propria va-

Q TRULS MØRK violoncello

HÅVARD GIMSE pianoforte

LUNEDÌ 14 NOVEMBRE 2011TEATRO MANZONI ORE 20.30

Ludwig van BeethovenSonata in do maggiore op. 102 n. 1Johannes BrahmsSonata in fa maggiore op. 99Leós JanácekPohádka (Racconto)Dmitrij ŠostakovicSonata in re minore op. 40

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Introduce il concerto Fabrizio Festa.Compositore, docente di Conservatorio,collabora come critico musicale con La Repubblica

Håvard Gimse

Impostosi all’attenzione di pubblico e critica nel 1982 con la vittoria del “Čajkovskij” di Mosca e nel 1986 della Naumburg Com-petition di New York, Truls Mørk si è costruito nel tempo una solida reputazione di violoncellista di grande intensità e eleganza.Ha suonato con tutte le più grandi orchestre: la Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, l’Orchestre de Paris, la Lon-don Philharmonic Orchestra, le Orchestre di Boston, Los Angeles, Philadelphia, Chicago e Cleveland sotto la direzione di Ashke-nazy, Eschenbach, Paavo Järvi. Fondatore e Direttore artistico del Festival internazionale di Musica da camera di Stavanger,è docente presso l’Accademia Norvegese della musica di Oslo.

Truls Mørk

Norvegese, si è aggiudicato il prestigioso Premio Steinway nel 1995 e il Premio Grieg nel 1996. Ha debuttato nel 1994 alLincoln Center di New York con la Riverside Symphony e ha svolto con grande successo una tournée come solista dell’OrchestraFilarmonica di Oslo in Europa e della Filarmonica Janáček in Giappone. Ospite delle principali manifestazioni musicali inter-nazionali, come il Festival Chopin di Valdemossa, l’Edinburgh Festival, il Festival Cervantino in Messico, è Direttore artisticodel Festival di Musica da Camera di Oslo e docente presso il prestigioso Conservatorio della capitale norvegese.

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canza in Svizzera, nel villaggio di Hof-stetten, sulle rive del lagoThun, dove sa-rebbe tornato per le due estati successive.Furono periodi tra i più ricchi per la suacarriera, qualitativamente e quantitati-vamente: ben dodici composizioni im-portanti nascono sulle rive di questo lagotranquillo. Oltre alla Seconda Sonata pervioloncello e pianoforte op. 99, duranteil primo soggiorno svizzero Brahms com-pose anche la Sonata op. 100 per violinoe pianoforte, il Trio op. 101 e i Liederop. 105, op. 106 e op. 107. Le esecu-zioni dei brani avvenivano in modo in-formale e sempre alla domenica, in casadegli amici Widman, con i fratelli Hegara dividersi le parti di violino e violon-cello, mentre Brahms stesso sedeva alpianoforte. Il primo movimento dellaSonata op. 99, Allegro vivace, è di note-vole impatto per il carattere drammaticoe passionale, oltre che per gli audacislanci armonici dei due strumenti e lastruttura sinfonica dello svolgimento.

DA ASCOLTARE

Truls Mørk il redivivo. Avevo già in tasca il biglietto per ascoltarlo dal vivo quan-do, nella primavera del 2009, si sparse la notizia che il concerto era annulla-to per motivi di salute. Si seppe poi che la causa era una puntura di zecca su-bita tre anni prima, in seguito alla quale il suo sistema nervoso centrale era an-dato collassando, causandogli per di più una paralisi alla spalla sinistra. Dallatragedia il virtuoso norvegese è riemerso in concerto e in sala di registrazionecol suo violoncello “Esquire”, un Montagnana del 1723. In apparenza come pri-ma e meglio di prima, se dobbiamo credere al suo recente cd Virgin con branidi Carl Philipp Emanuel Bach. Del suo connazionale e compagno di duo HåvardGimse (classe 1966, spalle larghe, chioma al vento, sorriso da lupo) ricordia-mo una birichinata: un cd registrato negli ultimi mesi dello scorso secolo al ca-stello Banfi di Montalcino col titolo: Italienske Mirakler; sottotitolo: Un viaggio fravino e musica. Tutto un programma. Repertorio di un kitsch quasi folle, con un paiodi falsi e vari buffi refusi di stampa; ma compagni di ottimo livello, fra cui il so-prano Elizabeth Norberg-Schulz e il liutista Rolf Lislevand. Risate a non finire.(cv)

Lunedì 14 novembre 2011

Energico e vigoroso, contrasta assai colmovimento seguente: un Adagio affet-tuoso in forma di Lied tripartito, dal tonolamentoso e poetico tipico dello stilebrahmsiano. Segue l’Allegro appassionato,sorta di intermezzo in carattere di bal-lata, nel quale gli episodi estremi, basatisu un incessante movimento di crome,sono particolarmente interessanti dalpunto di vista ritmico sia per la loro vee-menza sia per il contrasto col delicatotrio centrale. Il finale, Allegro molto, è co-

struito in forma di rondò breve e relati-vamente libero, su un tema di remine-scenza popolare alternato a strofe piùritmiche, quasi di marcia: la coda checonclude il pezzo tratta con grande fan-tasia il motivo del ritornello, alternandopizzicati e glissandi.Ulteriori innovazioni linguistiche e for-mali nella letteratura per violoncello epianoforte non potevano che proveniredai compositori novecenteschi, in parti-colare da Leós Janácek e Dmitrij Šosta-

Håvard Gimse

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kovic. Il credo poetico di Janácek, népropriamente tardoromantico né tantomeno “antiromantico”, è principalmentebasato sul superamento delle consuetu-dini compositive precedenti, ma allostesso tempo sulla convivenza promiscuatra vecchio e nuovo, tradizione e inno-vazione, passato e futuro. Nel composi-tore moravo spicca il doloroso e ardentelirismo della musica slava, immerso in unsenso primordiale di tragedia, sottoli-neato da una certa tendenza a dramma-tizzare ogni cosa: la natura, la patria,l’amore. L’uso dell’armonia, fortementepersonale, è libero: anche se egli utilizzaaccordi perfetti, la loro concatenazione èinedita ed imprevedibile, coerente al suointerno ma lontana tanto dai modelli ro-mantici quanto dagli schematismi mo-dernistici. Il Racconto per violoncello epianoforte, ispirato alla favola in forma dipoema epico sullo zar Berendej, vennecompletato nel 1910. La versione origi-nale era in quattro parti, mentre quellarifatta attorno al 1923 ne avrà tre sol-tanto. È quindi difficile stabilire come imovimenti del brano illustrino le vicendedello zar e il suo amore per la saggia za-rina, anche perché il foglio illustrativoscritto dall’autore si riferiva alla versionein quattro tempi; emerge comunque inmaniera evidente la narratività tipica-mente slava tra gli opposti dell’eroismo edella malinconia. Nel preludiante Conmoto iniziale, che sembra una panto-mima di attese ed esitazioni, lo stile èsemplice anche se molto modulante. Ilsecondo movimento, ancora Con moto,ha una figurazione melodica intricata,un groppo di note sovrapposte dai duestrumenti dal quale prendono avvio ar-peggi schumanniani che si aprono a con-tinui spazi armonici, spostandosi versoun apice drammatico. Il terzo tempo,Allegro, è una danza felice, vicina al climadi un canto popolare russo: anche quil’armonia è mobile, ma ad emergere è lagrande suggestione poetica dei passi delvioloncello senza accompagnamento delpianoforte. O meglio, dei vuoti che il

pianoforte gli crea. Linguaggio altret-tanto personale e armonicamente inci-sivo è quello di Šostakovic, le cui sceltestilistiche, l’intensa drammaticità, lo hu-mour corrosivo, le lugubri estasi liriche,sono mezzi di autodifesa artistica in unprocesso di progressivo rifiuto della re-altà contingente per una realtà fanta-stica che diventa sempre più chiara edattraente. Si è soliti suddividere la crea-tività del compositore russo in tre grandiperiodi, coincidenti con altrettanto im-portanti mutamenti di politica cultu-rale imposti dal regime sovietico: unaprima fase d’avanguardia, fino alla com-posizione della Quarta Sinfonia (1935);una fase normalizzata dal canone este-tico del realismo socialista, caratteriz-zata principalmente dalla creazione disinfonie grandiose, dal recupero della

tradizione del passato e dal ripiegamentonel privato in ambito cameristico; in-fine, dopo la morte di Stalin, una fase dicauta apertura agli idiomi e alle nuovetendenze occidentali. Fino agli anniprossimi alla seconda guerra mondiale,quindi, Šostakovic dimostrò un interesselimitato ed occasionale nei confronti dellamusica da camera, preferendole di granlunga la composizione di sinfonie, opereteatrali e musiche per film. La Sonata pervioloncello e pianoforte op. 40, del 1934,appartiene quindi alla fine del primo pe-riodo creativo di Šostakovic, ed oscilla frale tendenze tardoromantiche dell’Alle-gretto non troppo iniziale e quelle neoclas-siche dell’Allegro finale, passando attra-verso le trascinanti movenze di danza delsecondo movimento (Allegro) e i lugubriumori del terzo (Largo).

Il rarissimo violoncello di Domenico Montagna (Venezia, 1723) messo a disposizionedi Truls Mørk dalla SR Bank norvegese, è valutato intorno ai due milioni di euro

Lo sapevate che...

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Dmitrij Šostakovic (1906-1975)

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Poesia in trio

Lunedì 28 novembre 2011

Per la prima volta sul palco del Teatro Manzoni, il Trio Modigliani sarà accompagnato daOlga Peretyatko, acclamata soprano pietroburghese, in un viaggio tra le voci del Novecentodi Alessandro Taverna

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on ci sono gli stessi strumentiad accompagnare le Sette ro-manze che Dmitrij Šostakovicha estratto dal canzoniere delgrande poeta russo Alexander

Blok. Accade piuttosto, poesia per poe-sia, che la voce vada alla cieca e si imbattaprima nelle corde di un violoncello, in-contri poi l’arco di un violino, accosti latastiera di un pianoforte, ritrovando glistrumenti sempre spaiati, a volte in duoe tutti insieme soltanto alla fine perché,stazione dopo stazione, sia sondata lagravità del silenzio. Per un prodigio laSuite scritta dal compositore a fine vita,

non è semplicemente un ciclo di cantima piuttosto un quartetto dissimulato,dove le parole di un grande poeta russosi confondono con le note di un grandemusicista russo. Accade negli ultimi annidella vita di Šostakovic. Minato nel fisicoe nello spirito, lui cerca un conforto neldialogo ideale fra i grandi artisti appar-tenuti ad epoche diverse. E così l’artistascolpisce in musica i sonetti di Miche-langelo e fruga nel grande canzonieredella lirica europea del XX secolo, estraequalche poesia di Federico García Lorca,di Guillaume Apollinaire e di RainerMaria Rilke, dove va e viene la figura

della morte e lascia a un soprano ed unbasso il compito di spartirsi gli undicimovimenti di una sinfonia che è comeuna Serenata al secolo breve, dedicata aisoldati e ai poeti morti, una Sinfoniache può contare su un’orchestra in cuisono sopravvissuti gli archi e le percus-sioni. La sinfonia è diventata una Sere-nata, perché non si può immaginare al-tro momento per essere eseguita che lanotte. È la notte in cui brancola, daquando si è svegliato, l’uomo del Nove-cento. «La morte attende tutti noi e ionon vedo niente di buono alla fine dellenostre vite» Una frase che Šostakovic

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Trio Modigliani

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avrebbe potuto mutuare da un pensatorecome Cioran, il quale ha riconosciuto aEst un orizzonte attratto dalle catastrofi:«Con i suoi dieci secoli di terrori, di te-nebre e di promesse, la Russia era piùatta di chiunque ad accordarsi all’aspettonotturno del momento storico che at-traversiamo. L’apocalisse le si adatta me-ravigliosamente, ne ha l’abitudine e il

gusto e vi si esercita oggi più che mai».Ed a questa apocalisse appartengono lenote scelte per accompagnare, da unostrumento all’altro, i versi di Blok dovela notte c’è davvero, alla quarta stazionecon “La città dorme”, o è preannunziata,come nella “Tempesta”, o dove profilimisteriosamente si interrogano nei “Se-gnali segreti”. Alla fine la musica evaporain un canto dove i quattro strumenti siritrovano e la voce esala il suo ultimo sof-fio. «Penso molto alla vita, alla morte,alla carriera – scriveva il compositore inuna lettera che appartiene al tempo dicreazione delle Sette romanze – così ri-cordando la vita di alcune persone fa-mose, intendo i grandi, sono giunto allaconclusione che non tutti sono morti almomento giusto. Per esempio: Musor-gskij morì prematuramente. Lo stesso sipuò dire di Puškin, Lermontov e alcunialtri. E invece Cajkovskij avrebbe do-vuto morire prima. Lui è vissuto un po’troppo a lungo e per questo la morte, omeglio gli ultimi giorni di vita, sonostati terribili. La stessa cosa si può dire diGogol’. Forse per Rossini, per Beethovenche, come molti altri, sia famosi che sco-nosciuti, hanno superato quella fron-tiera della vita oltre la quale la vita nonporta più felicità, ma soltanto delusionie avvenimenti terribili. Anch’io senzadubbio, ho vissuto troppo a lungo. Hoavuto tante delusioni e mi aspetto avve-nimenti terribili. Sono stato deluso an-che da me stesso. O piuttosto dal fatto di

essere un compositore grigio e mediocre.Ma nonostante tutto, comporre musicaè una passione, una sorta di malattia chemi perseguita». Più che malattia si po-trebbe parlare di una febbre benefica perLeonard Bernstein, che elabora il suoTrio nel 1937. Se per il compositore so-vietico l’anno segna il trionfale riscattocon la Quinta Sinfonia dopo gli attacchisferrati all’artista da Stalin, per il com-positore statunitense è ancora tempo distudi e di ambiziosi traguardi. Comequesto Trio, dove ancora Bernstein nonmostra tutta l’energia che soltanto qual-che anno dopo svelerà in forma di gio-iosa emancipazione dalla musica d’ol-treoceano. Ancora qualche anno ed eccol’allegra liquidazione musicale della so-

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Leonard BernsteinPiano Trio (1937)Dmitrij ŠostakovicSette Romanze su versidi Aleksander Blok op. 127Maurice RavelTrio in la maggiore

LUNEDÌ 28 NOVEMBRE 2011TEATRO MANZONI ORE 20.30

TRIO MODIGLIANI

OLGA PERETYATKO soprano

ANGELO PEPICELLI pianoforte

FRANCESCO PEPICELLI violoncello

MAURO LOGUERCIO violino

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Introduce il concerto Angelo Pepicelli

Olga Peretyatko

Il Trio Modigliani si forma nel 2005 dall’incontro dei fratelli Francesco e Angelo Pepicelli, alle spalle un venticinquennio di at-tività in duo, con Mauro Loguercio, reduce da esperienze cameristiche con artisti di prima grandezza come Magaloff, Mene-ses, Maria João Pires e per dieci anni primo violino del Quartetto David. Esibitosi nei principali teatri d’Europa e del Sud Ame-rica, è stato definito “Un grande Trio” da Antonio Meneses, violoncellista del Trio Beaux Arts. Ha suonato in Italia per istituzioniprestigiose come l’Unione Musicale di Torino, la Società dei Concerti di Milano e la Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel2008 è stato protagonista ai Concerti del Quirinale, in diretta da RadioRai Tre.

Trio Modigliani

Intraprende la carriera musicale all’età di 15 anni a San Pietroburgo, cantando nel coro di voci bianche del Teatro Mariinskij.Premiata in numerose competizioni, come il Concorso Internazionale Operalia di Parigi, dal 2005 al 2007 ha preso parte aiCorsi internazionali di perfezionamento dell’Opera di Stato di Amburgo. Si è esibita in prestigiosi teatri e festival, dal Teatrodell’Opera di Berlino al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, alla Fenice di Venezia, dal Rossini Opera Festival di Pesaro alfestival La Folle journée di Nantes, lavorando con direttori come Barenboim, Maazel, Mehta. Grande successo ha riscosso lasua interpretazione di Le Rossignol nell’acclamata produzione dell’opera allestita al Festival di Aix-en-Provence nel 2010.

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Olga Peretyatko

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50 IM MUSICA INSIEME

cietà americana – o una profezia sulla suaeterna sopravvivenza – con Trouble inTahiti, un’opera sulle cose che non scor-rono via, ma percorrono un’orbita at-torno alle persone. È poco più di unacosa lo stesso titolo dell’opera, Trouble inTahiti, luccicante etichetta per una pel-licola banalissima vista dalla coppia pro-tagonista dell’opera fulminea scritta daLeonard Bernstein agli esordi di una fol-gorante carriera di direttore e di compo-sitore. Di lì a poco Lenny monterà settescene velocissime con cui descrivere unavita in ostaggio di elettrodomestici, au-tomobili, sogni in celluloide che conta-giano la vita reale di moglie e marito, laprima destinata a passare il tempo liberosul lettino di uno psicanalista e il se-condo a trascorrere le ore di svago inpalestra. Ma non c’è nulla di apocalitticonella musa di Bernstein, semmai unavernice brillante che i compositori ame-ricani, fino alla generazione precedentecresciuti all’ombra del vecchio conti-nente, non avevano mai sperimentato.La poesia invece si nasconde nel Trioche Maurice Ravel scrive quando ha pas-sato da un pezzo la linea d’ombra. Ilcompositore francese s’imbatte in un pe-ricolosissimo attrezzo poetico difficile damontare, in quanto l’esattezza delle giun-ture da un verso ad un altro è determi-

nata dall’impiego di un identico mate-riale. Il pericolo artificiale per Ravel ac-quistava la forma di un intreccio di strofedi quattro versi, arditamente incrociatesu frasi che ricorrevano ad intermit-tenza. Si era lasciato irretire da questoraffinato supplizio anche Baudelaire. «Leviolon frémit comme un coeur qu’on af-flige / Valse mélancolique et langoureuxvertige!» sono due versi che passano dauna quartina all’altra di Harmonie dusoir: li vediamo riapparire secondo il ri-gore di questa esotica struttura capace disedurre perfino Victor Hugo, che li pro-pose per la prima volta al lettore francesenella sua raccolta Les Orientales. È il“pantoum”, esercizio di concentrazioneche ripaga lo sforzo dell’artefice con unpiacere sottile, avvelenato. Le ripetizionidei versi da una strofa all’altra sono bi-lanciate nella contrapposizione delleidee che affiorano sempre uguali, maoggetto di variazioni, dalle parole. È ladialettica dei temi messi in sospensioneda Ravel nello scherzo del suo Trio. LoScherzo è rubricato con il titolo di “pan-toum” e il musicista si premura di col-locarlo dopo il primo movimento, fra ilModeré d’esordio e la Passacaille cheprende il posto del tradizionale tempolento. Ravel compi l’opera nel 1914 e lapoté ascoltare per la prima volta quando

l’Europa era già entrata in pieno negli or-rori del primo conflitto mondiale. AllaSalle Gaveau di Parigi sedeva al piano-forte Alfredo Casella, probabilmente Ge-orge Enescu suonava il violino, mentreLouis Feuillard imbracciava il violon-cello. Il Trio in la è scandito come un su-premo esercizio di virtuosismo compo-sitivo. Ed è una pagina che assume laforma in cui s’identifica l’intera tradi-zione lirica francese. Le metamorfosi delcerchio hanno accompagnato la storiasecolare della poesia, dai tempi di Pierrede Ronsard al traguardo imponderabiledi Paul Valery. Per questo il Trio di Ra-vel può essere iscritto all’interno di unacirconferenza. Il pezzo finisce lì dove hapreso avvio, su una soglia immateriale eimponderabile. Ci voleva lo sguardo pe-netrante di un filosofo per descriverequesto oggetto dal design sonoro cosìinnovativo: «La Passacaille in forma diLargo – scrive Vladimir Jankélévitch – ri-chiama la nobile gravità di Anne qui mejecta de la niege; un canto quasi solennesi amplifica e si espande poco a pocodalla mano sinistra del violoncello, poi alviolino, culmina al centro del brano doveil suo gruppetto di biscrome si staccacon evidenza dopo cadenze in stile Mamère l’Oye e si spoglia progressivamentefino a ritrovare la semplicità lineare delracconto iniziale. Dopo questo “hom-mage à Rameau”, ecco per servire comefinale, un lungo tema di rondò ritmatosu una battuta dispari e decorata da unosfarfallio di tremoli pieni di luce. Questotema giubilante dai due versanti simme-trici s’interrompe per lasciare che il pia-noforte intoni una specie di peana trion-fale attorno a cui gli archi fannoscintillare un trillo di do diesis. Il son-tuoso lampo di queste fanfare e di que-sti accordi perfetti e paralleli giustappo-sti in molteplici gradazioni come lachiarezza della tonalità generale di lamaggiore danno finalmente al Trio unviolento colore pittoresco la cui esube-ranza contrasta completamente con lemezze tinte del Quartetto in fa».

DA ASCOLTARE

Nata 31 anni fa nell’allora Leningrado, fino al 2003 la bella Olga Peretyatkopareva destinata alla carriera di maestra di coro e si credeva mezzosoprano.Fu un’insegnante privata della sua città natale, ridivenuta nel frattempo San Pie-troburgo, ad aprirle la serratura della “terza ottava”, quel registro da usignoloche le ha concesso di cantare come soprano di coloratura le pagine più verti-ginose di Mozart e Richard Strauss. Per il 2013 è atteso il suo debutto alla Sta-atsoper di Vienna come Gilda in Rigoletto; lo scorso giugno ha conquistato ilpubblico del Massimo di Palermo cantando Lucia di Lammermoor, ma solo nelsecondo cast come doppio della brava e simpatica Desirée Rancatore. Vizia-ti, questi Palermitani... A Berlino, dove ha studiato con Brenda Mitchell, Olgaha la sua prima casa; a Bologna un punto d’appoggio dove volentieri ritorna.Nella speranza di ascoltarla spesso, budget permettendo, anche al nostro Co-munale, mettiamo sul piatto dello stereo una primizia della sua ancor giovane(per forza!) discografia: non le inquietanti Sette Romanze di Šostakovič, scrittenientemeno che per Galina Višnevskaja, ma La bellezza del canto (Sony), 12 tracksda Rossini a Puccini passando per Verdi e Dvořák. (cv)

Lunedì 28 novembre 2011

Il nome “Trio Modigliani” nasce dal desiderio di tradurre in musica il messaggio del celebrepittore: dire qualcosa di nuovo nel panorama artistico, pur nel rispetto della tradizione

Lo sapevate che...

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Esibendo la propria tessera presso la Biglietteria del Teatro Comunale,gli abbonati alla Stagione 2011/12 di Musica Insieme potranno acquistare

il biglietto per Platea e Palchi al prezzo ridotto di 10 euro.

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52 IM MUSICA INSIEME

Da trent’anni ai verticidella scena concertistica,ritorna a Musica Insieme

“la più elegante, raffinatae dolcemente espressivaviolinista al mondo”, con

un programma che ciriconsegna le sonatebeethoveniane nella

loro sonorità originaledi Margherita

Scherpiani

Antenati illustriKristian Bezuidenhout

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Lunedì 12 dicembre 2011

53IM MUSICA INSIEME

a maggior parte degli estimatoridi Beethoven troverebbe diffi-cile, se non addirittura impossi-bile, immaginare il proprio com-positore preferito alle prese con

uno strumento diverso dal pianoforte.Principe indiscusso delle sale da con-certo, oggetto che nell’immaginario col-lettivo incarna l’idea stessa della musicaclassica, il tradizionale grancoda vienecomunemente associato a un’intera ge-nerazione di musicisti – tra cui Haydn,Mozart, Schubert, Schumann e lo stessoBeethoven – a cavallo tra la fine del Set-tecento e l’inizio dell’Ottocento. Non èstato però il moderno, potente stru-mento con le corde d’acciaio a far risuo-nare per la prima volta le note dei capo-lavori di questi grandi Maestri, bensì ilsuo antico precursore, uno strumento ilcui prototipo vide la luce a Firenze in-torno al 1700 fra le mani del geniale ar-tigiano padovano Bartolomeo Cristo-fori, il quale lo battezzò comegravicembalo col piano e forte. Caratteri-stica che lo distingue dal clavicembalo –e dalla quale deriva proprio i nomi di“fortepiano” e “pianoforte” – è la possi-bilità di pesare la pressione dei tasti, inmodo da ottenere suoni d’intensità va-riabile dal piano al forte. I musicisti del-l’epoca, com’è facile immaginare, ab-bandonano rapidamente il clavicembalo

in favore di questo più duttile sostituto,trovando enormemente ampliata lagamma di sfumature espressive a lorodisposizione. Ecco allora che il forte-piano – già a quel tempo chiamato in-differentemente anche “pianoforte” – di-venta lo strumento prediletto deimaggiori compositori tra diciottesimo ediciannovesimo secolo, finché, nellaprima metà dell’Ottocento, alcune im-portanti innovazioni meccaniche lo pri-vano del suo caratteristico suono metal-lico e lo trasformano (quasi) nellostrumento che conosciamo oggi. Dopoun periodo di totale oblio il fortepiano ètornato in uso attorno alla metà del ven-tesimo secolo, grazie soprattutto ad al-cuni concertisti che hanno scelto di ac-costarsi alla musica sette-ottocentescanel rigoroso rispetto delle prassi esecutivestoriche. Le prime tre sonate che Bee-thoven, nel 1798, verga per l’organico diviolino e tastiera (riunite nell’op. 12 e de-dicate ad Antonio Salieri) esibiscono unostile ancora profondamente mozartiano,pur lasciando già intravedere l’improntainconfondibile del Maestro di Bonn. Èsoprattutto l’ultima opera del ciclo, laSonata in mi bemolle maggiore op. 12n. 3, a rivelare sin dalle prime battuteuna natura spiccatamente concertistica,ambiziosa, che in qualche modo prean-nuncia le successive evoluzioni della

scrittura beethoveniana. L’Allegro con spi-rito, già nella sezione di esposizione, vedei due strumenti rincorrersi in modoquasi frenetico, intessendo un dialogotutto giocato su precisi incastri d’agilità,che si rinnoveranno, più estesi, nello svi-luppo. L’Adagio con molt’espressione, per-vaso da un’atmosfera d’intensa commo-zione, contiene un solo tema, cantatodal violino, che si sviluppa lentamente suun ritmo puntato tenuto dal pianoforte.L’intero movimento è attraversato dalunghe linee melodiche che si snodanosu un accompagnamento quasi sussur-rato, fino allo scambio di voci finale trai due strumenti. Conclude la composi-zione un Rondò: Allegro molto dal carat-tere acceso e vigoroso, il cui tema prin-

L

Kristian Bezuidenhout

Impostasi all’attenzione di critica e pubblico nel 1980 con la vittoria al Concorso “Sibelius” di Helsinki, seguita nel 1982 dallaMedaglia d’Oro al “Čajkovskij”, Viktoria Mullova da allora ha suonato con le migliori orchestre e i più prestigiosi direttori. Dal2000 collabora con l’Orchestra of the Age of Enlightenment, il Giardino Armonico e l’Orchestra Barocca di Venezia, nonchécon il clavicembalista e direttore Ottavio Dantone. La sua eccezionale versatilità la porta a spaziare dal barocco al classico,fino alle tendenze e improvvisazioni d’avanguardia, come dimostrano le collaborazioni con Julian Joseph e Matthew Barley.Il London Southbank Centre l’ha prescelta come prima “Artist-in-Focus” delle nuove International Chamber Music Series.

Viktoria Mullova

Sudafricano, ha intrapreso gli studi musicali in Australia, completandoli alla Eastman School of Music negli Stati Uniti. Ha ot-tenuto i primi riconoscimenti internazionali a 21 anni, aggiudicandosi il prestigioso Primo Premio e il Premio del pubblico al Con-corso per fortepiano di Bruges. È ospite delle più importanti orchestre, fra cui Freiburg Baroque Orchestra, Orchestre des Champs-Elysées, The Orchestra of 18th Century, Chamber Orchestra of Europe, assumendo spesso il ruolo di direttore ospite. La suaincisione delle Sonate per violino di Beethoven con Viktoria Mullova (Onyx, 2010) ha ottenuto grande successo di critica.

Ludwig van BeethovenSonata op. 12 n. 3Sonata op. 23Sonata op. 47 – A Kreutzer

LUNEDÌ 12 DICEMBRE 2011TEATRO MANZONI ORE 20.30

VIKTORIA MULLOVA violino

KRISTIAN BEZUIDENHOUT fortepiano

Introduce il concerto CarloVitali. Storicodella musica e critico musicale, è autore di vocienciclopediche e collabora con Amadeus,Classic Voice, Opernwelt, Musical America

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Lunedì 12 dicembre 2011

54 IM MUSICA INSIEME

cipale, una briosa melodia di ascendenzahaydniana, lascia spazio a una serie di fi-gurazioni virtuosistiche del violino. Lasuccessiva Sonata in la minore op. 23,dedicata al conte Moritz von Fries, vienepubblicata per la prima volta nel 1801,a un anno di distanza dall’esordio bee-thoveniano in campo sinfonico. Operadai toni austeri, a tratti perfino cupi,può essere considerata per certi versicomplementare alla briosa Sonata in famaggiore, meglio conosciuta come LaPrimavera, anch’essa originariamente in-clusa nell’op. 23. Soltanto nell’edizionedel 1802 infatti, per rimediare a un ba-nale errore di stampa, l’editore decide dipubblicare le due sonate con due nu-meri d’opera consecutivi, catalogandoda quel momento in poi La Primaveracome op. 24. Il Presto iniziale, sostenutoda un incalzante ritmo di tarantella, esor-disce con l’esposizione di un tema scarnoe tagliente, inframmezzato da brevi cel-lule melodiche. Questi stessi elementi,nella sezione di sviluppo, passano alter-nativamente dalla parte del violino aquella del pianoforte, il quale a sua voltane affida l’esecuzione ora alla mano de-stra, ora alla sinistra, secondo una mo-dalità compositiva tipicamente beetho-

veniana, che tende a far coincidere ilprocesso di elaborazione tematica con laviolenta e reiterata contrapposizione dia-lettica degli incisi. Sempre nello svi-luppo, Beethoven inserisce improvvisa-mente una nuova melodia, ricavata daltema principale ma molto più estesa,che sarà poi ripresa nella coda. Il se-condo movimento, Andante scherzosopiù allegretto, è un brano d’ispirazionequasi schumanniana, intriso di una gra-

zia distesa e misurata. Presenta la strut-tura tripartita della forma-sonata, dovel’esposizione si compone di un primotema, un tema di collegamento in formadi fughetta a tre voci, un secondo temae un tema di conclusione; seguono lo svi-luppo, basato sul primo tema e sul temadi collegamento, e la riesposizione. Il fi-nale Allegro molto può essere conside-rato un anomalo Rondò, con numerosericorrenze del tema principale, che peròfinisce per essere offuscato da un lun-ghissimo tema in forma di corale, inca-stonato come un’ampia digressione alcentro dell’episodio. La Sonata in mi be-molle maggiore op. 47 vede la luce tra il1802 e il 1803, periodo in cui Beethovencomincia a cimentarsi con nuove moda-lità compositive, senza mai sconfinareapertamente dall’impianto architetto-nico classico, ma dilatandone in manierasempre più sistematica le forme e le con-venzioni. Più o meno coeve sono la So-nata per pianoforte op. 53, la Sinfoniaop. 55 detta Eroica e il Quartetto op. 59n. 1, tutte opere che si distinguono, nel-l’ambito dei rispettivi generi, per le di-mensioni letteralmente monumentali. Ilfrontespizio della prima edizione riportal’indicazione «Sonata scritta in uno stilomolto concertante, quasi come d’unConcerto» e tale carattere di grandiositàsi manifesta già nel solenne Adagio, cuiviene affidata l’introduzione del primomovimento. Segue un serratissimo Pre-sto, pagina dalla scrittura smagliante e

DA ASCOLTARE

Quand’era più giovane la chiamavano “Dama di ghiaccio” per la sua impec-cabile tecnica congiunta ad un look severo, ai limiti della mascolinità. Il disge-lo avvenne un decennio fa, con la doppia apertura verso Bach e Mozart suo-nati “all’antica” su corde di budello, e verso le riletture del “classico moderno”dei vari Youssou N’Dour, Beatles, Alanis Morissette & Co. arrangiati per lei daMatthew Barley. Nel frattempo imparava a vestirsi, ad atteggiarsi in scena congrazia e un pizzico di malizia. Ci fu un momento in cui, complici i creatori d’im-magine della Philips, pareva destinata a riciclarsi in icona globale, acclamatadalla stampa e dai fans a prescindere da quel che suonava. La crisi delle ma-jors discografiche, e l’assiduo scavo del repertorio classico senza aggettivi allaricerca del suono perduto, ce la restituiscono oggi più nuova che mai, avendoperfino acquistato in slancio ritmico, purezza di suono, vitalità, energia. Bastiprendere la sua incisione del Trio “L’Arciduca” con André Prévin e Heinrich Schiff(Philips 1995, a suo tempo Diapason d’Or) e paragonarla alle sonate di Bee-thoven da lei incise col fortepianista sudafricano Kristian Bezuidenhout (n. 3 eKreutzer, Onyx 2010). Da brivido. (cv)

Pianoforte a coda attribuibilea Ferdinand Hofmann, Vienna,intorno al 1800. CollezioneTagliavini. Catalogo degliStrumenti Musicali (BUP, 2009)

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appassionata, in cui il compositore riescead innescare un furioso moto perpetuopartendo da tre elementi di una sempli-cità quasi icastica: le due note iniziali,che assumono il tono di un’interroga-zione, la serie di suoni staccati del vio-lino, punteggiati ritmicamente dagli ac-cordi del pianoforte, e i tre accordi finali.Il movimento centrale, Andante con va-

riazioni, è invece pervaso da un clima diquieto lirismo, la cui dolcezza è sottoli-neata dall’alternarsi dei due strumentinei ruoli del canto e dell’accompagna-mento. Nel finale, un Presto brillante chesfocia in un vertiginoso ritmo di taran-tella, il dialogo tra violino e pianoforteriacquista tutto il suo piglio dialettico,esplodendo talvolta in episodi di pro-

rompente virtuosismo. La notissima de-dica di quest’opera, universalmente co-nosciuta come Sonata a Kreutzer, rac-chiude un piccolo mistero dellastoriografia musicale, poiché il mano-scritto originale del 1803 si apre con unsentito ringraziamento dell’autore al-l’amico George Bridgetower, violinistamulatto di grande estro e talento, ed èsoltanto nella prima edizione a stampa,risalente al 1805, che compare l’intito-lazione al francese Rodolphe Kreutzer,altro (ben più) celebre virtuoso dell’ar-chetto. Secondo fonti dell’epoca, sullacui attendibilità non vi è alcuna garanzia,il drastico ripensamento avrebbe cause dinatura squisitamente personale, essen-dosi Beethoven e Bridgetower invaghitidella stessa fanciulla ed avendo quest’ul-tima preferito il violinista al composi-tore. Al di là di queste trascurabili debo-lezze umane – o forse, curiosamente,proprio a causa di esse – sarà la secondaversione della dedica a imprimersi inmodo indelebile nella memoria collet-tiva, anche grazie alla consacrazione let-teraria ricevuta con il celebre romanzo diLev Tolstoj. Ma se è vero che la Storianon mancherà di rendere giustizia allanuova produzione del Maestro, le rea-zioni dei contemporanei sono piuttostoscoraggianti: l’Allgemeine musikalischeZeitung ritiene che Beethoven abbia«spinto la ricerca dell’originalità fino algrottesco», dimostrandosi così «l’adeptodi un terrorismo artistico». I musicisti,dal canto loro, trovano le dimensionidell’opera decisamente eccessive per unduo: lo stesso Kreutzer non la inseriràmai nel proprio repertorio, né per lungotempo i suoi colleghi avranno l’ardire difarlo. Liszt si cimenterà di tanto in tantonell’impresa, affiancato da vari violinisti,ma saranno soltanto le esecuzioni di Jo-seph Joachim e Clara Schumann, in-torno alla metà del secolo, a consegnareal grande pubblico questo insuperato ca-polavoro della letteratura cameristica.

Nel 1983, Viktoria Mullova ed il suo pianista accompagnatore balzarono agli onori dellacronaca per la loro rocambolesca fuga dall’Unione Sovietica. In occasione di un concerto inFinlandia, i due sfuggirono ai controlli del KGB, per raggiungere due giorni dopo Washington

Lo sapevate che...

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Viktoria Mullova

55IM MUSICA INSIEME

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Mario Brunello, musicista grande e fuo-ri dall’ordinario, debutta come autore.S’intitola Fuori con la musica (edito daRizzoli) il volume in cui, con l’aiuto del-la giornalista Daniela Basso, racconta inquasi duecento pagine episodi della suavita di musicista. La narrazione è fatta ditante, brevi parti, come una suite, ap-punto. Ognuna ha un carattere proprio:c’è il ricordo, la riflessione su un pezzo,la difficoltà, le amicizie. Il libro parla dicompositori noti eppure difficili (de-scrivendo benissimo la lotta dell’esecu-tore, come quella di Giacobbe, con ilConcerto di Dvorák) e di altri il cuinome non risuona spesso (Peter Scul-thorpe, per esempio, o John Tavener).Brunello ha percorso le strade del mon-do con “Mr Cello”, così lo chiamano sul-l’aereo, quando ci si prepara al decolloe i conti dei presenti non tornano. «Do-v’è Mr Cello: si presenti al personale dibordo!», racconta divertito Brunello,che viaggia con lo strumento sempre “se-duto” al suo fianco. Suonare a duemilametri per lui è solo una delle tante espe-rienze di musicista aperto al dialogo conattori (Marco Paolini), architetti (CarloScarpa, un omaggio), musicisti di altri ge-neri (Vinicio Capossela). I capitoli sonobrevi, scritti con uno stile piano, eppu-re il lettore sente di prendere parte adun’avventura meravigliosa. La musica sitrasforma ogni volta, sia che sul palcosuoni l’Alban Berg Quartett, sia che l’ese-

cutore porti Bach in una chiesa rupestrevicino a Matera. Questo libro fa volarela fantasia (e, dicono, si possono ascol-tare anche i brani musicali di cui si par-la sul sito www.mariobrunello.com).Brunello ha anche ispirato un deliziosovolumetto pieno di poesia, dedicato aipiù piccoli. S’intitola Il signor Mario,Bach e i settanta (edizioni Keller, 64 pa-gine), scritto da Davide Longo. Raccontadi un bambino che va in montagna conla mamma. Non c’era mai stato prima.Per lui, nato in città, è tutto nuovo. Loaccompagnano i racconti di un anzianoalpinista (Cesare Maestri) e la voce di unvioloncello, che di tanto in tanto un si-gnore (Mario Brunello) estrae da una cu-stodia rossa per suonare Bach. Solo unafrase: «Mentre il Signor Mario suona midistendo sul pietrone dove siamo saliti eguardo il cielo. Le nuvole scure che cor-rono sopra di noi sono enormi e pro-fonde, ma molto leggere. Sono come lamusica del violoncello che somiglia a unpalazzo pesantissimo, ma poi scopri chelo puoi sollevare con un dito perché è tut-to pieno d’aria. Questa suite però non ac-carezza più la testa. Sembra qualcuno cheti fa una domanda e poi se ne va e ti la-scia a pensare alla risposta che non è fa-cile da trovare».

Mario BrunelloFuori con la Musica, Rizzoli, 2011Davide LongoIl signor Mario, Bach e i settanta, Keller, 2011

Lawrence KramerPerché la musicaclassica? Significati,valori, futuro(EDT, 2011)Perché la musica classica?,del musicologo americanoLawrence Kramer, è un’in-teressante novità dell’edi-

tore EDT che non può non colpire chi fre-quenta le stagioni concertistiche. Si chiede Kra-mer: che cosa può fare la musica classica perle nostre vite? In un’epoca in cui sembra do-minante “l’estetica dell’iPod” (un po’ di Bee-thoven, un po’ di Bob Dylan e un po’ di Char-lie Parker, tutti ascoltati con la stessa “atten-zione” e nelle stesse condizioni), Kramer ri-vendica l’unicità della musica classica. Per l’au-tore questa musica “racconta” qualcosa di di-verso e richiede un atteggiamento d’ascolto euna disposizione psicologica differenti. Il rac-conto nasce dalla capacità dei suoni di diven-tare personaggi di un “dramma”, dramma checontinua a dialogare con l’ascoltatore anchedopo l’ascolto. Un po’ come i personaggi deigrandi romanzi, che acquistano vita propria an-che al di fuori delle pagine da cui sono nati. Apartire da questo “dramma”, dall’autore defi-nito “il fato della melodia”, il libro spiega il si-stema di valori e di significati che caratterizzalamusica classica e la rende così unica e “diversa”.

Maurizio GianiJohannes Brahms(L’Epos, 2011)Maurizio Giani, docente diEstetica musicale all’Uni-versità di Bologna, ha pub-blicato Johannes Brahms(L’Epos editore), opera im-ponente (648 pagine) ed

esemplare. L’autore intreccia biografia e per-corso artistico, contestualizza ogni evento, pro-pone l’analisi dei punti salienti di tante com-posizioni. Soprattutto sono preziosi i colle-gamenti, le riflessioni che ci portano a cono-scere uno dei compositori fondamentali perla storia della musica, eppure non sempre ca-pito. Brahms di volta in volta è stato consi-derato troppo antico o troppo moderno. Inrealtà, forse, ha scontato la sua assoluta gran-dezza. L’autore, con il rigore dello studioso chepiacevolmente prende forma in un tono nar-rativo elegante e scorrevole, presenta aspettianche poco conosciuti del compositore: le suevaste letture, l’attività di musicologo, di cu-ratore ed editore di musiche altrui. Il volumesi conclude con un’ampia discografia, che hacome prologo sette preziose pagine intitola-te “Il suono di Brahms”, in cui viene analiz-zata l’unica esecuzione registrata dal compo-sitore al pianoforte. Utilissimi indici delle ope-re e dei nomi completano il volume.

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PER LEGGERE

Mr CELLOE LA MUSICA

Mario Brunello raccontala “suite” della sua vitamusicale, in compagniadi un inseparabilecompagno di viaggio

di Chiara Sirk

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Il concetto di “virtuosismo trascendentale”non gode di buona stampa fra i partigiani del-l’ascolto strutturale. Tante note mitragliate avelocità folle, difficoltà tecniche esibite sen-za pudore, noncuranza delle Forme Classi-che... Come minimo c’è da beccarsi quelle ac-cuse di superficialità e naturalmente di “vir-tuosismo fine a se stesso” nelle quali trovia-mo accomunati i puristi dell’Ottocento e imoderni orfani di Darmstadt. Ai tempi diLiszt i suoi 12 Études d’exécution trascendan-te erano considerati ineseguibili da qualun-que altro pianista, ma ancor oggi non è det-to che siano pacificamente entrati nel baga-glio comune dei concertisti. Dunque appa-re doppiamente oltraggiosa l’audacia di Ma-riangela Vacatello, graziosa scugnizza napo-letana non ancora trentenne che a Milano,dove abitualmente risiede, si occupa pure diarredamento d’interni e di alta pasticceria.Certo è che alla tastiera pasticci non ne fa, edi ciò chiamiamo a testimone il pubblico diMusica Insieme, cui è stata offerta l’occasio-ne di ascoltarla dal vivo nel maggio del 2011.Il suo biglietto da visita in campo discogra-fico, appunto la micidiale collezione pub-blicata dal maestro ungherese nel 1852, ce lafa conoscere quale interprete a tutto tondo,capace di destreggiarsi fra le tonanti ottavedoppie, gli spessi grumi accordali, gli arpeg-gi sterminati, le rincorse, le intricatezze rit-miche di cui le pagine lisztiane non sono cer-to avare, ma anche di sedurre con l’intimo li-rismo del numero 3 (Paysage), con l’elegia do-lente del numero 6 (Vision), con il canto ap-passionato del conclusivo Chasse-Neige, unLied senza parole sotto cui a tratti manca soloun testo per impedirci di attribuirlo all’ulti-mo Schubert: quello della Schöne Müllerin odella Winterreise. Con sicurezza e potenza, contocco sfumato, con dolcezza di rubati e pia-nissimi quando serve, con improntitudine daassalitrice di montagne a passo di carica.

Mariangela Vacatello, pianoforteLISZT, Études d’exécution trascendante S 139Brilliant Classics 94250 (1 CD, DDD 71:11)

LISZTOMANIAUn esordio discografico travolgente, quello di MariangelaVacatello, un’ulteriore conferma di qualità, quelladi Maurizio Baglini: entrambi sotto il segno di Liszt

“Rêves et cauchemars”, sogni e incubi, sarebbe stato un titolo più adeguato all’an-tologia Decca che si apre con l’inquietante Mephistowaltz per chiudersi con due sem-preverdi come la seconda Rapsodia ungherese e lo scontatissimo Sogno d’amore. Ba-glini scrosta la patina di abitudine depositata su queste pagine con un fraseggio per-sonale e nervoso, dove staccati, fermate e ripartenze improvvise prevalgono (forsetroppo, al gusto di chi scrive) sul legato. Ma non in questi fillers sta l’interesse pre-cipuo della registrazione, bensì nel confronto a distanza fra i due massimi virtuosidel secolo, Liszt e Paganini, qui sondato nei 6 Grandi studi (versione del 1851) enella Grande Fantasia di bravura sopra “La Campanella”. Non è un mistero che l’Un-gherese restasse travolto dalle esibizioni del collega italiano a tal punto da riconfi-gurare il proprio stile pianistico, benché con esiti compositivi alla lunga sempre menodipendenti dal modello: grandeur sonora e sofisticazione armonica versus cantabi-lità. Torniamo comunque all’ambito “trascendentale”, sebbene con oscillazioni disenso che le note di copertina, firmate dallo stesso pianista, mettono in rilievo consottili argomentazioni musicologiche.

58 IM MUSICA INSIEME

Maurizio Baglini, pianoforteF. LISZT, RêvesDecca 476 4418 (1 CD, DDD 72:56)

DA ASCOLTARE

Recensendo in altra sede il recente esordio discografico di Marcello Di Lisa e delsuo Concerto de’ Cavalieri, avvenuto con pagine sacre di Alessandro Scarlatti perl’etichetta tedesca CPO, scrivevo: «Il giovane ensemble romano pratica una lettu-ra che potremmo dire strutturalista: non generico pathos o sfuriate veementi alternatea morose lentezze con l’unico criterio del ‘facciamolo strano’, bensì un serio lavo-ro sulle articolazioni retoriche di tempi, tonalità, ritmi e decorazioni». Ancora Scar-latti, stavolta in una compilazione di pagine operistiche mai discografate prima d’ora,dove però il titolo inganna, perché dei 24 tracks di cui si compone il cd ben 6 sonodedicati alle “Sinfonie avanti l’opera”. Sul corrusco talento di Daniela Barcellona,protagonista della parte vocale, non c’è da spendere molte parole. Importa piutto-sto segnalare la maiuscola prestazione di gruppo: gli archi suonano con slancio e belcolore, violoncello solo, trombe e oboi emergono con scultorea evidenza nei pas-saggi concertanti, la pattuglia del continuo, guidata dal cembalista Roberto Loreggian,fa scintille. Una sonante smentita per chi crede ancora che gli strumenti “autenti-ci” siano sinonimo di approssimazione tecnica e dilettantismo.

Concerto de’ CavalieriDaniela Barcellona, mezzosopranoMarcello Di Lisa, direttoreA. SCARLATTI, Opera AriasDeutsche Harmonia Mundi 88697842162(1 CD, DDD 66:12)

di Carlo Vitali

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60 IM MUSICA INSIEME

EditoreFondazione Musica Insieme

Galleria Cavour, 3 – 40124 BolognaTel. 051 271932

Direttore responsabileFabrizio Festa

In redazioneBruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier,

Cristina Fossati, Roberto Massacesi

Hanno collaboratoSara Bacchini, Alessandro di Marco, Stefano Dondi,Lico Larvati, Maria Chiara Mazzi, Sara Piagno,

Margherita Scherpiani, Chiara Sirk, Alessandro Taverna, Carlo Vitali

Grafica e impaginazioneKore Edizioni - Bologna

StampaGrafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Registrazione al Tribunale di Bolognan° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia:

AEROPORTO G. MARCONI DI BOLOGNA, ASCOM BOLOGNA, BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA,BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA

DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIODI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECNOLOGY SPA, COOP ADRIATICA,

COOPERATIVA EDIFICATRICE ANSALONI, COSWELL, COTABO, CSR CONGRESSI, FATRO,FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE

DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA,GUERMANDI.IT, MAX INFORMATION, M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT,

UNICREDIT BANCA, UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNAPROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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