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Area Carismatica Anno 0 - Numero 3 Dicembre 2011 Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli Chiamati a servire. Davide e Maria 1. L’evangelizzazione con la musica e il 2. canto Avvento in musica 1. Canto Liturgico 2. Dieci parole per la musica liturgica 3. Il Canto Gregoriano 4. Il Papa e la Liturgia 5. Area Tecnica Gli strumenti musicali nella Liturgia Animazione Domenicale Area Liturgico - Musicale La legatura e il punto di valore 1. Impariamo a suonare un canto 2. 349. Mi basta la tua grazia L’uso degli strumenti musicali nella 1. Liturgia Canti per il Tempo Liturgico 1. Al Servizio della Parola: 2. Salmodie Sulle ote dello Spirito Comitato Diocesano di Servizio Augura a tutti i Suoi lettori Santo Natale e Felice Anno Nuovo EDITORIALE Nella sua tenda con grida di gioia offrirò sacrifici, canterò e suonerò al Signore. Tutto è donato da Dio, in modo gratuito, basta solo dire: “SI” e fare la sua volontà, rendendosi con- to a quale responsabilità siamo chiamati, quando suoniamo e cantiamo. Il nostro servizio sia sempre innestato in Dio nostra forza, prendendo coscienza della “forza” che ci viene dal nostro battesimo, e non temiamo nulla. Il battesimo è la nostra forza come cristiani perché, per mezzo di questo straordi- nario sacramento, noi siamo diventati figli (Rm 8,14) concittadini dei santi e ...lascio a voi tutti completare il testo con la testimonianza della vostra vita. Rinnovamento nello Spirito Santo Elenco Eventi 2012

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Dicembre 2011

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Area Carismatica

Anno 0 - Numero 3Dicembre 2011

Foglio di collegamento a cura delServizio Diocesano Musica e Canto

Diocesi di Napoli

Chiamati a servire. Davide e Maria1. L’evangelizzazione con la musica e il2. canto

Avvento in musica1. Canto Liturgico2. Dieci parole per la musica liturgica3. Il Canto Gregoriano4. Il Papa e la Liturgia5.

Area Tecnica

Gli strumenti musicali nella Liturgia

Animazione Domenicale

Area Liturgico - Musicale

La legatura e il punto di valore1. Impariamo a suonare un canto2. 349. Mi basta la tua grazia �

L’uso degli strumenti musicali nella 1. Liturgia

Canti per il Tempo Liturgico1. Al Servizio della Parola:2. Salmodie �

SulleotedelloSpirito

ComitatoDiocesanodi Servizio

Augura a tuttii Suoi lettoriSanto Natale

e FeliceAnno Nuovo

EDITORIALENella sua tenda con grida di gioia offrirò sacrifici,

canterò e suonerò al Signore.

Tutto è donato da Dio, in modo gratuito, basta solo dire: “SI” e fare la sua volontà, rendendosi con-to a quale responsabilità siamo chiamati, quando suoniamo e cantiamo. Il nostro servizio sia sempre innestato in Dio nostra forza, prendendo coscienza della “forza” che ci viene dal nostro battesimo, e non temiamo nulla. Il battesimo è la nostra forza come cristiani perché, per mezzo di questo straordi-nario sacramento, noi siamo diventati figli (Rm 8,14) concittadini dei santi e ...lascio a voi tutti completare il testo con la testimonianza della vostra vita.

Rinnovamento nello Spirito SantoElenco Eventi 2012

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CHIAMATI A SERVIRE. DAVIDE E MARIA1.

di Anna Teresa Francia (RnS Lombardia)

Continua dal numero (Anno 0 - Numero 1)

Alla parola che Dio rivolge a Davide per mezzo di Natan, quella cioè di edificargli una Dimora, con la promessa di non abbandonarlo mai e di rendere stabile per sempre il trono del suo regno, Davide così risponde:

“Tu conosci il tuo servo, Signore Dio! Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo.” 2 Sam 7, 20-21.

Notiamo la forte somiglianza delle risposte. Addirittura Davide risponde come canterà Maria nel Magnificat (hai compiuto tutte queste grandi cose - grandi cose ha fatto in me il Signore) Dice Gesù che:

“La lingua parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12,34).

Maria e Davide hanno lo stesso linguaggio, hanno lo stesso cuore, hanno il cuore di Gesù, mite e umile. Cosa possiamo imparare dal cuore di Davide, e quindi anche da quello di Maria per essere buoni servi del Signore? Che cuore è quello di Davide? Kahil Gibran, una vera e propria icona spirituale del XIX secolo, in un suo passaggio del libro “Il profeta”, quando il profeta viene interrogato su cosa sia l’ Amore, scrive:

«Quando amate non dite “Dio è nel mio cuore”, ma piuttosto “Io sono nel cuore di Dio”»

Per me è questo il cuore di Davide. Davide risiedeva nel cuore di Dio. Tutto il suo essere, la sua vita e tutto quello che ha fatto, pensato e detto era nel cuore di Dio. Noi, per la maggior parte, permettiamo al Signore di soggiornare nel nostro cuore; gli regoliamo l’accesso quando e dove ci fa comodo; gli regoliamo anche la sua influenza nella nostra ‘vera’ vita. Davide ha fatto, detto e pensato molto poco senza consultare Dio, pregando Dio, o mettendo la volontà di Dio sopra i suoi desideri. I libri di Samuele e dei Re sono pieni di riferimenti al suo chiedere sempre a Dio il suo parere, e poi seguirlo. Davide mette Dio al primo posto. Sa che Dio è il suo pastore. In tempi di tribolazione, non procede mai senza consultare il Signore:

‘Ora i Filistei giunsero e si sparsero nella valle di Refaim. Davide consultò il Signore chiedendo: «Devo andare contro i Filistei? Li metterai nelle mie mani? “Il Signore rispose a Davide:” Và pure, perché certo metterò i Filistei nelle tue mani”» (2 Sam 5,18-19).

Davide è deferente alle indicazioni di Dio. Gli chiede consiglio e il consiglio che Dio gli dà lo mette in pratica. Il cuore di Davide è un cuore obbediente a Dio. Tutte le tribù di Giuda lo consacrano re, riesce a conquistare Gerusalemme e si stabilisce lì. Da Tiro, il re di quel paese gli invia muratori e carpentieri con legni di cedro per costruirgli una casa. Davide non si proclama re da se stesso, non si costruisce lui la casa, ma lo proclamano re, gli costruiscono una casa da re, quelli che comprendono che il Signore lo guida.

“Davide seppe allora che il Signore lo confermava re di Israele e innalzava il suo regno per amore di Israele suo popolo” 2 Sam 5, 20.

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Il cuore di Davide è un cuore umile. Capisce che non sono i suoi meriti ad aver convinto Dio a farlo sovrano, ma è il progetto d’amore del Signore per tutto il suo popolo. Davide è consapevole di essere diventato re perché per il suo regno passerà misteriosamente la provvidenza di Dio per i suoi figli. Davide non era senza peccato (sia involontario che intenzionale - le conseguenze del suo peccato ebbero orribili conseguenze nella sua vita). Non era Gesù, insensibile al peccato, non toccato dal male, esente da suscettibilità di errore umano. Eppure il cuore di Davide è secondo il cuore di Dio.

“Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto” (Sal 50).

Il cuore di Davide è un cuore di figlio penitente. Se il cuore di Davide non fosse stato umile, non sarebbe stato obbediente tanto meno penitente.

È il cuore umile di chi ammette che tutte le cose, dalla più grande alla più piccola sono di Dio, sono da Dio e sono per la gloria di Dio. Ha riconosciuto il ruolo di Dio come fondamentale nella storia dell’uomo e nel piano di salvezza che il Signore ha per l’intero universo. Davide ha agito sempre secondo la volontà e la parola di Dio, anche quando non capiva le azioni del Signore, i suoi tempi o le sue ragioni. Il Libro dei Salmi è la prova della sua lotta molto umana per rimanere nel cuore di Dio. Davide non ha commesso mai l’errore di decidere che cosa Dio può e non può fare, chi e che cosa è o non è. Davide invece ha permesso a Dio di decidere chi era Davide, cosa Davide poteva e non poteva fare. Il cuore di Davide è un cuore che ha fede. Noi vediamo i nostri problemi insormontabili, inevitabili, impossibili a risolversi. Davide era un uomo che guardava oltre, oltre ogni problema, e vedeva la gloria del suo Signore. Mise la sua vita in gioco confidando in Dio, con il presente faticoso, il futuro incerto, ma non si arrese alla paura o alla tentazione di trovare da se stesso delle soluzioni Aveva capito che la distanza più breve tra un problema e la sua soluzione sta nella distanza fra le ginocchia e il pavimento. E ha lodato e benedetto Dio, componendo al Suo nome e alla Sua gloria canzoni senza tempo, anche nei momenti più difficili della sua vita. Il cuore di Davide è un cuore che prega. Davide sapeva farsi voler bene. Era buono. Il primo di cui abbiamo notizia che si affezionò a Davide fu il re Saul, quel Saul che poi cercò di ucciderlo, rincorrendolo per Israele in lungo e in largo. Il capitolo 16 di 1 Sam vv. 14-23, ci dà tanti spunti di riflessione sulla potenza del canto carismatico, sugli effetti che esso ha in chi l’ascolta. Qui però non abbiamo tempo di approfondire. Ma due parole le spendo per riflettere con voi su questo fatto. Davide – che era già stato unto da Samuele come re – cominciò a stare con Saul, non da re ma da scudiero. A Davide non importava. Lui stava con Saul, quando Saul stava male gli suonava la cetra e Saul si sentiva meglio. Lo curava. E pure se Saul aveva mandato a dire a Iesse che Davide sarebbe rimasto con lui, perché aveva trovato grazia ai suoi occhi, Davide non abbandona Iesse. Era l’ultimo dei figli di Iesse, tutti in guerra nell’esercito di Saul. Iesse era vecchio. Che figlio disgraziato sarebbe stato Davide, se avesse detto al padre “Guarda, papà … io non posso venire più da te. Alle pecore ci devi pensare tu. È troppo stressante! Da Gerusalemme a Betlemme ….. è un problema …. E poi non posso scontentare il re Saul. Io sono il suo scudiero. E poi quando sta male non posso lasciarlo proprio”. Davide non fa così. Ecco cosa fa:

“Egli andava e veniva dal seguito di Saul e badava al gregge di suo padre in Betlemme” (1 Sam 17,15).

Cosa spinge Davide a farsi i chilometri, ad andare avanti e dietro? È l’amore per il papà ed è l’amore per Saul.

Il cuore di Davide è un cuore che ama, tanto Dio quanto i fratelli. E prendo spunto dal cuore

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amante di Davide per spendere un paio di parole sulla famosa unzione! Cantare con unzione. Suonare con unzione. L’unzione è quell’effusione di Spirito Santo che fa del tuo talento un carisma. Tale unzione è effusa dallo Spirito Santo quando tu consacri il tuo talento al servizio di Dio e al servizio dei fratelli. In poche parole, quando canti con amore canti con unzione; quando suoni con amore suoni con unzione. A Santiago, in occasione della 1a conferenza europea di lode e adorazione, un relatore ebbe a dirci una cosa che come un tesoro mi porto dentro e che voglio condividere con voi:

«Amici, prima di esercitare il ministero nell’incontro di preghiera, guardate chi avete davanti, guardate l’assemblea. Guardatela e amatela!».

È sempre un fatto d’amore, tutto! Perché Dio è amore! A che punto sta il nostro cuore? Perché vedete, a quello guarda il Signore! Giusto domenica scorsa, la prima lettura era tratta da 1 Sam 16, 1 e sgg. Se prendiamo la Bibbia, vedremo che questo paragrafo è rubricato così: Unzione di Davide. – che Dio/incidenza! - . Ricordiamoci quello che qui ci dice Dio:

«Non conta quello che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». (1Sam 16,7).

E com’è il nostro cuore così è il nostro ministero: com’ è il nostro cuore così è la nostra lode al Signore; com’è il nostro cuore così è la nostra adorazione, il nostro bacio a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

L’EVANGELIZZAZIONE CON LA MUSICA E IL CANTO2.

Marco Ciamei, compositore, membro della Corale Nazionale, già membro della Corale Regionale Calabria

“Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno.Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro”

(I Corinzi 9,22-23)

“Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Diotrattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”

(Lumen Gentium, 31)

I. L’evangelizzazione nella Chiesa: farsi tutto a tutti.

Yesu anakupenda!Perché non riuscite a capire questa mia affermazione? Semplice: perché è in lingua Swahili!Significa “Gesù ti ama”, ma non mi avete capito perché ho parlato in una lingua non vostra. Il

messaggio era bello e profondo, forse avrebbe potuto anche toccare il vostro cuore, ma è stato espresso in una lingua che non conoscete. Non mi sono accorto che voi siete ticinesi, o italiani e, quindi, parlate una ben determinata lingua.

Ecco il senso del discorso di san Paolo, quando, parlando di una esigenza che sentiva come propria, l’evangelizzazione, sentiva di dover farsi “tutto a tutti”. Nel testo di I Corinzi 9 si legge che san Paolo si faceva servo di tutti, pur essendo libero; giudeo con i giudei, senza legge con

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chi non aveva legge; povero con i poveri, ricco con i ricchi. Tutto lui faceva “per salvare ad ogni costo qualcuno”.

Questo è il nostro strumento di lavoro se vogliamo evangelizzare: uscire da noi stessi ed entrare in contatto con chi abbiamo davanti, entrare nel loro mondo.

Capiamo, allora, il senso anche della missione che noi laici abbiamo nella Chiesa: come spiega bene un documento del Concilio Vaticano II, il nostro compito è di trattare delle cose del mondo e di ordinarle secondo Dio. Dunque dobbiamo immergerci nelle cose del mondo, capirlo, sporcarci le mani, assumerlo su di noi; per poi portarlo a Dio.

II. Le regole dell’evangelizzazione: la comunicazione.

Gesù ti ama!Ecco, ora mi capite. Perché parlo la vostra stessa lingua.L’evangelizzazione richiede, quindi, che si entri in contatto con la cultura e la storia di chi

abbiamo davanti. Richiede, in poche parole, che si utilizzi il linguaggio dei nostri interlocutori.Voi saprete certamente che, secondo gli studi della comunicazione, quest’ultima avviene non

solo a livello verbale, ma anche a livello non verbale: quando parliamo, il 55% del messaggio viene percepito grazie ai movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali); il 38% dall’aspetto vocale (volume, tono, ritmo della voce); solo il restante 7% dall’aspetto verbale (parole e loro significato semantico).

L’efficacia di un messaggio dipende quindi solamente in minima parte dal significato letterale di ciò che viene detto, e il modo in cui questo messaggio viene percepito è influenzato pesantemente dai fattori di comunicazione non verbale.

Capire ciò è importante perché la musica è, al pari della parola, un vero e proprio linguaggio ed è soggetta come tale delle regole della comunicazione.

2.1 L’aspetto verbale.

Come abbiamo visto, l’aspetto verbale (parole e loro significato semantico) occupa il 7% dell’efficacia comunicativa: non è la parte predominante, anzi, è davvero minima. Ma ha comunque la sua rilevanza che non va sminuita – lo abbiamo visto all’inizio, ricordate? – e dobbiamo soffermarci su tale aspetto.

Qual è il linguaggio verbale dei nostri canti? Per usare un neologismo oramai noto, i nostri canti parlano il “carismatichese”, ossia un linguaggio particolare, legato alla Bibbia, spesso al Vecchio Testamento (i salmi, i libri sapienziali, i profeti, ecc.).

Pensiamo al canto “Gloria al Re dei re”:

il fatto che viviamo in Stati democratici non permette di comprendere l’espressione- “Re dei re”;“… - la sua gloria sulla terra e il suo nome annunzierò”, sono frasi non di uso

comune;“… - saliranno al monte del Signore, al suo luogo santo …”“… - porte antiche alzatevi …” è linguaggio prettamente biblico;ecc.-

Capiamo bene che questo canto lo vive e lo comprende solo chi ha incontrato Gesù, chi ha dimestichezza con la Parola di Dio, chi cammina con una comunità di fede: risulterà, al contrario, “strano”, incomprensibile all’uomo di oggi.

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Quest’ultimo non conosce Dio ed è immerso, semmai, nei problemi quotidiani, magari anche gravi; sperimenta la solitudine, l’ingiustizia, la violenza; nel profondo del cuore cerca la pace, una proposta di vita autentica.

Ecco, allora, che il linguaggio dei canti di evangelizzazione cambia, proprio come cambia il tipo di annuncio: si deve parlare il linguaggio del Kerigma, ossia del lieto annuncio.

Prendiamo, a questo riguardo, il canto “Gesù amico mio”. Basta una veloce lettura per capire come questo canto non è molto adatto alla preghiera comunitaria carismatica (infatti, a parte la sua difficoltà, non lo si fa quasi mai nei nostri gruppi, vero?), mentre invece ben si addice per parlare al giovane o all’adulto di oggi che sperimenta bene:

come “- senz’anima ci guardiamo noi”;come “- andiamo avanti senza mai parlare un pò, eppure ci chiamiamo umanità”;come sentiamo il desiderio di spezzare questa catena di sofferenza e cambiare- questo mondo;perché “- c’è un uomo che aspetta le parole che non muoiono”;“- anche se questo mondo ormai non gira come vuoi”, Gesù, amico mio vero!

2.2 L’aspetto vocale.

Come nel linguaggio parlato il 38% del messaggio, dicevamo prima, passa per l’aspetto vocale (volume, tono, ritmo della voce), allo stesso modo accade nella musica: il volume (piano/forte/fortissimo), il tono (maggiore, minore, melodico, gioioso, ecc.) e il ritmo (pensiamo alla musica tecno, pop, al gregoriano, al metal, ecc.) incidono nella capacità di veicolare il messaggio di evangelizzazione.

Rispetto all’incontro di preghiera, il canto e la musica nell’evangelizzazione dovranno tener conto del fatto che l’uomo contemporaneo è abituato ad una musica ritmica (c.d. beat generation), a sonorità elettroniche (chitarre elettriche, tastiere, effetti sonori, ecc.) e spesso complesse (band, orchestra, concerti, ecc.).

Un canto adatto all’evangelizzazione, in tal senso, è “Luce del mondo”:

il ritmo è molto veloce;- vi sono cambi di tonalità che rendono il canto un “crescendo” verso un finale- esplosivo;sono presenti assoli di chitarra elettrica, effetti sonori vari;- il testo è comprensibile all’uomo non di fede.-

Qui, cominciamo a comprenderlo, entra in gioco un fattore fondamentale: la tecnica musicale. I giovani – cui maggiormente è indirizzata l’evangelizzazione mediante la musica, ma questo vale anche per gli adulti – sono abituati ad ascoltare costantemente musica di qualità professionale, sia alla radio che con l’i-pod, sia ai concerti che al teatro.

Un concerto di evangelizzazione, ad esempio, deve sapere quale è il livello della “concorrenza”: ebbene, è molto alto!

Dunque, no all’improvvisazione e no allo spirito di sufficienza quando la musica e il canto sono usati come strumenti per l’evangelizzazione: l’uomo di oggi disprezza subito la mediocrità.

Sì, invece, ad un livello tecnico adeguato, ad un’organizzazione pianificata dei concerti o degli eventi di evangelizzazione, sì ad un impegno di tipo “professionale”, dove con questa parola si deve intendere un impegno per Dio come se si trattasse di impegno lavorativo (in realtà dovrebbe essere sempre così!).6

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o2.3 Aspetto corporeo.

Abbiamo detto che la maggior parte (55%) del messaggio comunicativo passa per il tramite dei movimenti del nostro corpo, soprattutto dalle espressioni facciali e dalla posizione degli arti.

Questo vale ancora di più nella musica e nel canto, dove l’atteggiamento del musicista e del cantore parla più delle parole del canto o dalla musica che sta eseguendo. La posizione del corpo, l’atteggiamento del volto, la stessa posizione sul palco, il movimento delle braccia: sono tutti aspetti che vanno curati e compresi nella loro importanza.

Proviamo a cantare “Nessuno ti ama come me”:

questo canto efficacissimo nell’evangelizzazione può essere eseguito con - atteggiamento distratto o malinconico, partecipato o disinteressato, in piedi e conle braccia alzate o seduti e con le braccia conserte;così come può esser eseguito con convinzione, guardando negli occhi- l’interlocutore o guardando al pubblico, con gesti che coinvolgano gli altri, con l’impressione che chi lo canta ha sperimentato per primo ciò che sta cantando.

È evidente che l’effetto finale sarà ben diverso nell’una e nell’altra situazione. Non si tratta, attenzione bene, di fare gli attori, di fingere per convincere, di imparare delle tecniche. Al contrario, come lo Spirito opera sempre in accordo con la natura, così la nostra opera evangelizzatrice non può non tener conto di tutte queste regole della comunicazione.

Non dimentichiamo il famoso monito di Gesù:

“I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (Luca 16,8)

III. Conclusioni

Non dimentichiamo, comunque, l’aspetto fondamentale di ogni discorso che voglia parlare di evangelizzazione: che sia su un palco in occasione di un concerto, che sia per strada con una semplice chitarra, un vero evangelizzatore deve sapere che è prima di tutto la sua persona ad evangelizzare, a interessare l’altro, a stupirlo, convincendolo che davvero Qualcuno è entrato nella sua vita trasformandola.

Chi canta è felice, chi è felice è amato; chi è amato ha incontrato Gesù e chi ha incontrato Gesù … canta!

Ecco che si chiude il cerchio: evangelizza chi ha fatto un incontro vivo con Gesù e non può che cantare questo evento, e nel cantarlo non può che evangelizzare.

“Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?” (Romani 10,14-15)

A noi il compito di annunciare Gesù vivo a tanti che aspettano di credere in Colui che è capace di cambiare la loro vita. Al lavoro, quindi!

Amen, alleluia!

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AVVENTO IN MUSICA.1. SETTE ANTIFONE TUTTE DA RISCOPRIRE

Si cantano una al giorno, al Magnificat dei vespri. Sono molto antiche e ricchissime di riferimenti alle profezie del Messia. Le loro iniziali formano un acrostico. Eccole trascritte, con la chiave di lettura

Avvento in musica. Sette antifone tutte da riscoprire Si cantano una al giorno, al Magnificat dei vespri. Sono molto antiche e ricchissime di riferimenti alle profezie del Messia. Le loro iniziali formano un acrostico. Eccole trascritte, con la chiave di lettura

Dal 17 dicembre fino all'antivigilia di Natale, al Magnificat dei vespri di rito romano si cantano sette antifone, una per giorno, che cominciano tutte con un'invocazione a Gesù, pur mai chiamato per nome. Questo settenario è molto antico, risale al tempo di papa Gregorio Magno, attorno al 600. Le antifone sono in latino e si ispirano a testi dell'Antico Testamento che annunciano il Messia. All'inizio di ciascuna antifona, nell'ordine, Gesù è invocato come Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. Nell'originale latino: Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, Emmanuel. Lette a partire dall'ultima, le iniziali latine di queste parole formano un acrostico: "Ero cras", cioè: "[Ci] sarò domani". Sono l'annuncio del Signore che viene. L'ultima antifona, che completa l'acrostico, si canta il 23 dicembre. E l'indomani, con i primi vespri, comincia la festività del Natale. A trarre queste antifone fuori dall'oblio è stata, inaspettatamente, "La Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti di Roma che si stampa con il previo controllo della segreteria di stato vaticana. Inusitato anche il posto d'onore dato all'articolo che illustra le sette antifone, scritto da padre Maurice Gilbert, direttore della sede di Gerusalemme del Pontificio Istituto Biblico. L'articolo apre il quaderno prenatalizio della rivista, dove di solito c'è l'editoriale. Nell'articolo, padre Gilbert illustra ad una ad una le antifone. Ne mostra i ricchissimi riferimenti ai

Dal 17 dicembre fino all’antivigilia di Natale, al Magnificat dei vespri di rito romano si cantano sette antifone, una per giorno, che cominciano tutte con un’invocazione a Gesù, pur mai chiamato per nome.

Questo settenario è molto antico, risale al tempo di papa Gregorio Magno, attorno al 600. Le antifone sono in latino e si ispirano a testi dell’Antico Testamento che annunciano il Messia.

All’inizio di ciascuna antifona, nell’ordine, Gesù è invocato come Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. Nell’originale latino:

“Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, Emmanuel”.

Lette a partire dall’ultima, le iniziali latine di queste parole formano un acrostico: “Ero cras”, cioè: “[Ci] sarò domani”. Sono l’annuncio del Signore che viene. L’ultima antifona, che completa l’acrostico, si canta il 23 dicembre. E l’indomani, con i primi vespri, comincia la festività del Natale.

A trarre queste antifone fuori dall’oblio è stata, inaspettatamente, “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma che si stampa con il previo controllo della segreteria di stato vaticana.

Inusitato anche il posto d’onore dato all’articolo che illustra le sette antifone, scritto da padre Maurice Gilbert, direttore della sede di Gerusalemme del Pontificio Istituto Biblico. L’articolo apre il quaderno prenatalizio della rivista, dove di solito c’è l’editoriale.

Nell’articolo, padre Gilbert illustra ad una ad una le antifone. Ne mostra i ricchissimi riferimenti ai testi dell’Antico Testamento. E fa rimarcare una particolarità: le ultime tre antifone – quelle del “Ci sarò” dell’acrostico – comprendono alcune espressioni che si spiegano unicamente alla luce del Nuovo Testamento.

L’antifona “O Oriens” del 21 dicembre include un chiaro riferimento al cantico di Zaccaria nel capitolo primo del Vangelo di Luca, il “Benedictus”: “Ci visiterà un sole che sorge dall’alto per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte”. 8

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oL’antifona “O Rex” del 22 dicembre include un passaggio dell’inno a Gesù del capitolo secondo della lettera di Paolo agli Efesini: “Colui che di due [cioè di ebrei e pagani] ha fatto una cosa sola”.

L’antifona “O Emmanuel” del 23 dicembre si conclude infine con l’invocazione “Dominus Deus noster”: un’invocazione esclusivamente cristiana poiché soltanto i seguaci di Gesù riconoscono nell’Emmanuele il loro Signore Dio.

Ecco dunque qui di seguito i testi integrali delle sette antifone, in latino e tradotte, con evidenziate le iniziali che formano l’acrostico “Ero cras” e con tra parentesi i principali riferimenti all’Antico e al Nuovo Testamento:

I – 17 dicembre

O SAPIENTIA, quae ex ore Altissimi prodiisti, attingens a fine usque ad finem fortiter uaviterque disponens omnia: veni ad docendum nos viam prudentiae.

O Sapienza, che uscisti dalla bocca dell’Altissimo (Siracide 24, 5), ti estendi da un estremo all’altro estremo e tutto disponi con forza e dolcezza (Sapienza 8, 1): vieni a insegnarci la via della saggezza (Proverbi 9, 6).

II – 18 dicembre

O ADONAI, dux domus Israel, qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti, et in Sina legem dedisti: veni ad redimendum nos in brachio extenso.

O Signore (“Adonai” in Esodo 6, 2 Vulgata), guida della casa d’Israele, che sei apparso a Mosè nel fuoco di fiamma del roveto (Esodo 3, 2) e sul monte Sinai gli hai dato la legge (Esodo 20): vieni a redimerci con braccio potente (Esodo 15, 12-13).

III – 19 dicembre

O RADIX Iesse, qui stas in signum populorum, super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur: veni ad liberandum nos, iam noli tardare.

O Germoglio di Iesse, che ti innalzi come segno per i popoli (Isaia 11, 10), tacciono davanti a te i re della terra (Isaia 52, 15) e le nazioni ti invocano: vieni a liberarci, non tardare (Abacuc 2, 3).

IV – 20 dicembre

O CLAVIS David et sceptrum domus Israel, qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit: veni et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et umbra mortis.

O Chiave di Davide (Isaia 22, 22) e scettro della casa d’Israele (Genesi 49. 10), che apri e nessuno chiude; chiudi e nessuno apre: vieni e strappa dal carcere l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte (Salmo 107, 10.14).

V – 21 dicembre

O ORIENS, splendor lucis aeternae et sol iustitiae: veni et illumina sedentem in tenebris et umbra mortis.

O Astro che sorgi (Zaccaria 3, 8; Geremia 23, 5), splendore della luce eterna (Sapienza 7, 26) e sole di giustizia (Malachia 3, 20): vieni e illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte (Isaia 9, 1; Luca 1, 79). 9

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VI – 22 dicembre

O REX gentium et desideratus earum, lapis angularis qui facis utraque unum: veni et salva hominem quem de limo formasti.

O Re delle genti (Geremia 10, 7) e da esse desiderato (Aggeo 2, 7), pietra angolare (Isaia 28, 16) che fai dei due uno (Efesini 2, 14): vieni, e salva l’uomo che hai formato dalla terra (Genesi 2, 7).

VII – 23 dicembre

O EMMANUEL, rex et legifer noster, expectatio gentium et salvator earum: veni ad salvandum nos, Dominus Deus noster.

O Emmanuele (Isaia 7, 14), re e legislatore nostro (Isaia 33, 22), speranza e salvezza dei popoli (Genesi 49, 10; Giovanni 4, 42): vieni a salvarci, o Signore nostro Dio (Isaia 37, 20).

__________

La rivista su cui è apparso l’articolo di padre Maurice Gilbert, “Le antifone maggiori dell’Avvento”:

La promessa a noi vacillanti: “Ci sarò domani, e sempre”di Marina Corradi.

“Ero cras”, “Ci sarò domani”. Forse questa promessa in latino alla maggioranza dei credenti oggi non dice niente. Ma è una promessa molto antica, risalente ai tempi di Gregorio Magno, e nascosta tra le righe di sette antifone che tradizionalmente accompagnano, nell’ultima settimana di Avvento, il Magnificat ai vespri di rito romano. Un articolo su “La Civiltà Cattolica” del biblista padre Maurice Gilbert richiama dal passato la storia di questa promessa d’Avvento, a noi cristiani del Terzo millennio per lo più sconosciuta. Dunque il segreto delle “antifone maggiori”, dette anche “antifone O”, sta nella parola posta all’inizio di ciascuna di esse.

“O Sapientia”, comincia la prima, e le successive:

“O Adonai, O Radix, O Clavis, O Oriens, O Rex, O Emmanuel”.

Germoglio, Chiave, Re, Emmanuele: tutte le antifone iniziano con un’invocazione a Cristo. Ma capovolgendo l’ordine delle parole e prendendo di ciascuna la lettera iniziale, emerge l’acronimo “Ero cras”, “Ci sarò domani”. Non è enigmistica. Ogni antifona è una sintesi di passi dell’Antico e Nuovo Testamento, un concentrato di fede cristiana che gli antichi fedeli ripetevano nella penombra dei vespri dell’Avvento, quando la notte calata sulle brevi giornate d’inverno, rischiarato solo da candele, evocava un’altra ombra, che incuteva timore. Dalle buie sere che precedono il solstizio, dal colmo dell’oscurità, nelle chiese si invocava: Germoglio, Sapienza, Re, vieni a liberarci dalla tenebre. E nella quinta antifona, quella del 21 dicembre – giorno esatto del solstizio, in cui, toccato il vertice del buio, il sole comincia a risalire in cielo – si cantava:

“O Oriens, splendor lucis aeternae et Sol Iustitiae: veni et illumina sedentem in tenebris et umbra mortis”;

“O astro che sorgi, splendore di luce eterna e sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra della morte”.

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E infine, nascosta nelle iniziali delle prime parole delle antifone: “Ero cras”. Ci sarò domani, ci sarò sempre: nel fondo del buio, di generazione in generazione, il ripetersi di una promessa di luce. Il segreto – almeno per noi profani – rivelato dal teologo gesuita commuove per la bellezza, la bellezza della forma della antica tradizione cristiana che troppo abbiamo dimenticato. Con quella aderenza profonda alla realtà concreta degli uomini; forse anche noi, in queste giornate così brevi e già alle quattro buie, non ci sentiamo addosso come un’ombra, e l’ansia che il sole si rialzi, che la luce della primavera torni e rassicuri? “Vieni, illumina le tenebre”, chiedevano. “Ci sarò domani, ci sarò sempre”, era la risposta già segretamente scritta nella domanda. E noi? ti viene da domandarti. L’attesa che colma questi antichi canti d’Avvento, ci appartiene ancora? O, sfumata la memoria di un male originario che ci opprime, non percepiamo più davvero il buio che nelle antifone del tempo di Gregorio Magno pare così incombente, tanto che è evidente come quei versi anelano la luce? Non più pienamente coscienti del buio, sappiamo ancora desiderare la luce? La nascita di Cristo, nel colmo dell’inverno, è il venire al mondo di colui che vince la morte. Ce ne ricordiamo pienamente, noi credenti del 2008, pressati negli ipermercati in cui infuria “Jingle bells”, o angosciati dalla crisi e dal vacillare del nostro benessere? Che la promessa antica e segreta delle “antifone O”, l’augurio, ci accompagni nel nostro affannarci della vigilia del Natale. “Ero cras”, ci sarò domani e sempre. E grazie al dotto studioso che ha ricordato a noi credenti analfabeti un segreto tesoro, a illuminare questi giorni di buio.

CANTO LITURGICO2.

Comunque è pur vero che nella storia della Chiesa ci sono momenti caratterizzati da un’esperienza di fede particolarmente vera, che si è espressa in produzione di canto litrurgico o paraliturgico: è il caso delle laudi popolari del movimento di fede e di carità che seguì a San Francesco d’Assisi (per es. Laudario Cortonese), e al suo “Cantico di Frate Sole”. Leggiamo nella vita di S. Francesco d’Assisi e Trattato dei Miracoli di Fra Tommaso da Celano

«In seguito a pochi giorni che mancavano al suo transito li spese in inni di lode, invitando i compagni dilettissimi a lodare con lui Cristo».

Egli poi, come potè proruppe nel Salmo (141):

«Con la mia voce ho gridato al Signore. Chiamava pure tutte le creature a lodare Iddio, esortandole al divino amore, con alvuni versi già altra volta da lui composti. Perfin la morte, a tutti terribile e dolorosa, esortava alla lode, e, correndole lieto incontro l’accoglieva come ospite gradito» (nr. 217).

E ancora leggiamo sulla stessa fonte

«O pietà semplice, e semplicità pia!...Come i tre fanciulli nella fornace invitavano tutti gli elementi a lodare e glorificare il Creatore dell’universo, così anche quest’uomo, pieno dello Spirito di Dio, in tutti gli elementi e le creature non cessava di glorificare, lodare e benedire il Creatore e Reggitore di tutte le cose» (nr. 80).

Inoltre di grande rilevanza sono le laudi polifoniche (“filippine”) che nacquero intorno all’Oratorio di San Filippo Neri, alla fine del Cinquecento.

Nel 1324-25 appare la costituzione Docta sanctorum Patrum auctoritas di Giovanni XXII, il primo grande testo pontificio sulla musica liturgica. Il dato emergente del quadro è la denuncia di corruzione del canto gregoriano mentre la polifonia si espande alla stessa corte pontificia.

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Perciò accanto agli antifonari gregoriani delle chiese importanti appaiono dei nuovi codici con le parti polifoniche; molti di essi sono splendidamente miniati, come a sottolineare la preziosità riconosciuta al nuovo canto.

Nella celebrazione della messa antica l’antica Schola cede il posto alla Cappella. Accanto all’altare e attorno ad un grande leggio, un gruppo di cantori (e strumentisti, se occorre) tratta alcune parti del Proprium e poi sempre più l’Ordinarium della messa quali architetture sonore, mentre il celebrante si concentra nell’atto personale e quasi tutto privato dell’offerta del sacrificio, e il pubblico è intrattenuto da svariati poli di attenzione. Facendo una sintesi di questi ultimi secoli i punti salienti che emergono sono i seguenti: tra i più antichi monumenti della musica sacra, il primo posto appartiene ai canti liturgici dei vari riti orientali, le cui melodie hanno esercitato una grande influenza nella formazione dei generi musicali della stessa Chiesa occidentale; la musica dell’antica liturgia delle Gallie è scomparsa prima della scoperta della scrittura musicale; della liturgia ispanica, accanto a quella mozarabica moderna, ci rimane un vero monumento del X secolo nell’Antifonario di Leòn; il canto “antico-romano” quello che è rimasto proprio della liturgia basilicale fino al XIII secolo; la Chiesa ambrosiana ha conservato fino ai nostri giorni il suo canto tradizionale restaurato secondo gli antichi manoscritti di Don Gregorio Sunyol (dali studi è emersa la sua parentela col canto gregoriano); il canto gregoriano è stato diffuso in tutto l’occidente latino attraverso la riforma liturgica carolingia, che lo attribuisce a S. Gregorio Magno (il principale inventario dei mascritti, ma solo per i canti della messa, è quello pubblicato dai monaci dell’Abbazia di Solosmes); la fine del Medioevo e del Rinascimento hanno dato alla musica un tale slancio di qualità che ha potuto essere utilizzata nella liturgia e le ha fornito dei capolavori, grazie soprattutto al genio della scuola detta ‘romana’ e specialmente di Pieluigi da Palestrina (1594). Le Fiandre, nei secoli che vanno dal XV al XVII, sono fonte ed il serbatoio più provvisto per una irrigazione artistica che durerà almeno quattro generazioni. Gli scambi, i viaggi, i matrimoni, gli incontri principeschi e le stesse guerre, fungono da canali attraverso i quali la polifonia si diffonde come una Koiné mitteleuropea; si incrementano le “trattative di ingaggio” di cantori-compositori; si amplia un repertorio legato ad innumerevoli esperienze locali; vengono impressi alla musica gli ideali di vari fermenti umanistici generatori del rinascimento.

Giovanni XXII

S. Gregorio Magno

Verso la fine del ‘800 gregoriano e polifonia romana vennero elevati al grado di musica liturgica archetipica, fonte garantita ispirazione e unico patrimonio a cui attingere genuina ricchezza. Così due momenti storici della cultura, musicalmente alti, vennero assolutizzati al punto che da essi si dedussero le proprietà formative della vera musica sacra. Il «codice giuridico della musica sacra» costituito dal Motu proprio di Pio X Inter pastoralis officii sollicitudiness (del 1903) sostiene tale visione. Ora tale documento, di per se meritevole, determinò un fossato sempre più ampio laddove si voleva colmare la distanza tra liturgia e il bisogno enormemente avverito di forme scclesialmente espressive e ritualmente partecipate. Da Pio X al Vat. II la ripetitività concettuale caratterizzò i documenti sulla musica nella liturgia. La situazione dei canto e musica è ben descritta nel documento

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che segna l’apice legislativo preconciliare la Instructio de Musica sacra et sacra Liturgia del 1958. Il provvidenziale rinnovamento nella pratica della musica liturgica può essere sinteticamente espresso attraverso sei punti fermi:

dal momento che la liturgia è mistero pasquale, celebrato dal popolo di Dio, come1. esercizio sacerdozio ministeriale e regale, nel rito cristiano l’agire delle persone, in pienezza autenticità, è valore primario.

Canto e musica sono un gesto vivo, un comportamento simbolico attuale e offerta2. vivente di se stessi.

Canto e musica partecipano nella dimensione sacramentale della liturgia e, oltre a3. essere elementi simbolici di realtà essenziali, sono incarnazione, in strutturecomunicative, della Parola e della parole del dialogo salvifico.

Canto e musica non hanno autonomia nei confronti della ritualità liturgica, per cui non4. sono né privilegio-possesso di alcune persone, che li producono o eseguono, né dilettoestetico di chi ne fruisce, ma patrimonio celebrativo di tutti, anche quando l’azione è di uno solo.Canto e musica devono essere dotati di verità espressiva ed autenticità di5. coinvolgimento a partire dalle basi antropologiche e dagli universi culturali deicredenti.I repertori del passato e le opere nuove non sono beni culturali da sfoderare per dare prestigio6. all’istituzione o per solennizzare vacuamente il rito, ma possibilità simboliche da attualizzarecon il loro inserimento accorto in contesti significativi ed insieme partecipativi.

Questa serie di spunti, provenienti dal Vat. II e della riforma liturgica, lascia intravedere le enormi risorse di un mondo musicale diverso che mobilita la responsabilità del popolo di Dio, per far emergere tutta la ricchezza di ministeri e carismi nella vita e nella celebrazione, così da cantare la sua identità e, rendendo conto della sua speranza, rivelare a tutti il volto del Padre di Gesù Cristo.

Continua prossimo mese

DIECI PAROLE PER LA MUSICA LITURGICA: “ESTETICA”3. Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. È professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. È socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.

ROMA, martedì, 14 dicembre 2010 (ZENIT. org).Estetica. Qualche anno fa, discutevo con un liturgista su alcune questioni riguardanti il

rapporto fra liturgia in latino e liturgia in lingua volgare. Essendo un musicista ponevo il problema dell’importanza dei repertori musicali liturgici “tradizionali” in lingua latina. Si badi bene: non che questi siano la cosa fondante quando si parla di liturgia, ma certamente, come ho già detto in precedenza, non è qualcosa che va trascurata a cuor leggero. Se si ha un tesoro si deve farne buon uso, anche se questo tesoro dovesse mostrare alcune ingiurie del tempo.

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Ora, questo liturgista mi faceva osservare che non bisogna rapportarsi a questi temi con una mentalità da esteta. Io, lo confesso, sul momento fui sorpreso da quest’osservazione, in quanto avevo nel mio dizionario mentale una precisa idea del termine “esteta” e del suo uso: praticamente è l’amore della bellezza fine a se stessa. Nel caso suggerito dal buon liturgista, la gente non amerebbe certi repertori per la loro valenza rituale (sono sicuro che questi termini così accostati farebbero felice il liturgista in questione) ma li amerebbe in se stessi. Rimasi sorpreso allora, come detto, ma oggi penso saprei rispondere meglio. In effetti il problema di allora era che non avevo chiaro il significato del termine estetica e ne facevo l’uso che la quotidianità mi imponeva. Ora credo di inquadrare il tema in modo migliore e per questo cerco di mettere ordine.

Innanzitutto bisogna introdurre il nostro primo protagonista, Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762). Non è un personaggio molto conosciuto al di fuori dei circoli filosofici ma dobbiamo dedicargli un poco di attenzione per un paio di motivi. Il primo è che alcune sue tesi saranno oggetto di riflessione da parte di un filosofo che avrà un’influenza enorme sulla storia del pensiero successivo, fino ai nostri giorni: Immanuel Kant; l’altra è che egli sarà il primo nella storia ad usare il termine “estetica” per denotare la conoscenza sensibile (“Aesthetica…est scientia cognitionis sensitiuae”, come appare nel suo volume dedicato a questo tema), che si serve dei sensi e per formulare una teoria dell’arte. Essa sta vicino alla logica, che è conoscenza intellettuale.

Nel suo volume del 1750, che prende appunto il nome di “Aesthetica”, egli espone la sua visione filosofica ed intellettuale. Ma il concetto di “estetica” come scienza filosofica a se stante si trova già in questo autore in un lavoro del 1735, “Meditationes philosophicae de nonnullis ad poema pertinentibus” (Meditazioni filosofiche su alcune caratteristiche del Poema vedi Hammermeister, Kai (2002). The German Aesthetic Tradition. Cambridge, United Kingdom: Cambridge University Press. Pag. 3). Quindi, la storia accredita questo autore come colui che inserisce nel dibattito filosofico questo termine. Ora, come detto dal nostro amico Baumgarten, l’estetica è conoscenza sensibile, quindi l’esteta è colui che conosce attraverso i sensi. Da questo punto di vista, siamo tutti esteti. Mi si potrebbe controbattere che la conoscenza di tipo intellettuale è superiore a quella sensibile; non so bene se questa distinzione ancora possa reggere dopo gli studi sul cervello (la conoscenza intellettuale in effetti accade tramite i sensi, quindi ogni conoscenza è “estetica”) degli ultimi decenni ma basterebbe osservare che il ruolo ricoperto dalla nostra parte emozionale viene ora ritenuto estremamente importante. In uno studio recente (Ralph A., Spezio M, 2006), si metteva in luce come l’amigdala (parte del nostro cervello che ha un ruolo fondamentale nel controllo delle emozioni) giochi un ruolo fondamentale nel nostro essere sociale (e la liturgia è anche un momento sociale in cui il popolo di Dio si ritrova):

“Noi sosteniamo che, pur se è chiaro che le rappresentazioni del comportamento sociale non sono contenute nell’amigdala, la più prudente interpretazione dei dati acquisiti è che l’amigdala gioca un ruolo fondamentale nel guidare il comportamento sociale sulla base del contesto socio ambientale. Quindi, appare essere richiesta per la normale cognizione sociale” (Ralph A., Spezio M. (2006). Role of the Amygdala in Processing Visual Social Stymuli. Progress in Brain Research. 156, 363-378, mia traduzione dall’inglese).

Insomma, non siamo proprio quegli essere razionali che ci piacerebbe essere. Già la teoria chiamata del “Triune Brain” sviluppata dal neuro scienziato americano Paul D. MacLean negli anni Sessanta, ci diceva che le nostre reazioni sono prima istintive ed emozionali e poi razionali. Quindi, la percezione (ecco la parolina magica) gioca un ruolo fondamentale nel modo in cui siamo ed essere esteti non è un difetto ma è il nostro modo di essere nel mondo. Ma è tutto così semplice? Ovviamente no. In effetti quel liturgista qualche piccola ragione l’aveva, in quanto si impone una distinzione tra esteta ed estetico (ma vedremo che la parte di ragione di quel

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liturgista rimane comunque piccola); e qui subentra il nostro secondo protagonista, un prete di origine italiana ma tedesco di formazione: Romano Guardini. Egli fu enormemente influente nel Movimento Liturgico, specialmente per un suo testo chiamato “Lo Spirito della Liturgia”. Da questo testo vorrei citare un passaggio:

“Il bello è lo splendore del vero”, dice la scolastica. A noi uomini d’oggi questa affermazione sa di freddo intellettualismo. Se riflettiamo, però che questa sentenza scaturisce dallo spirito di uomini, che furono architetti incomparabili di pensieri, che disciplinarono concetti, fissarono conclusioni, elevarono sistemi audaci come le loro cattedrali, tutto questo ci ammonisce a penetrar più addentro il significato di queste parole. “Verità” non significa arida precisione di concetti, bensì adeguato inserimento nell’essere, interiore validità vitale; significa la forza e pienezza integrale di un’esistenza ricca di contenuto. E la bellezza è il gioioso splendore che ne promana, quando la verità nascosta all’ora giusta può rivelarsi, quando l’apparenza esteriore in ogni suo particolare è la pura e piena espressione della realtà interiore. Dunque, perfezione espressiva e non solo in superficie, ma dall’inizio primo dell’attività formante: si può definire con maggiore profondità e insieme brevità l’essenza del bello? Al bello, pertanto, rende giustizia solo chi rispetta questo ordine e lo intende come lo splendore della verità ontologica perfettamente espressa. Ma si presenta un grande pericolo, tale da essere difficilmente evitabile per molte nature; il pericolo di invertire l’ordine stabilito, di anteporre la bellezza alla verità, oppure di rendere del tutto indipendente la prima dalla seconda; la perfezione formale dal contenuto, l’espressione dall’anima e dal senso. È appunto questo il pericolo della visione del mondo estetica, che finisce poi in snervato estetismo” (Pagg. 88-89).

Ora, in questo intenso passaggio di Romano Guardini troviamo elementi di forte riflessione: la bellezza è lo splendore di una verità, ma chi si ferma al dato primo senza voler accedere alla verità ivi contenuta pecca di “estetismo”, in questo caso inteso in un senso peggiorativo. Quindi il peccato è in chi si ferma alla superficie della bellezza: ma chi ama certi repertori concepiti come artisticamente elevati (come può essere il canto gregoriano o la polifonia rinascimentale o tutto quello che viene fatto con arte per la liturgia) non è per questo un “esteta” (nel senso guardiniano negativo). Il problema non è nei repertori ma nell’uso che se ne fa. Infatti, Guardini ci dice l’esatto contrario di quello che il mio amico liturgista voleva implicare: quando c’è bellezza, la verità splende più fortemente. Il problema è semmai come questi repertori si adeguano alla verità della liturgia.

Io sostengo che una liturgia rinnovata celebrata degnamente non può che accogliere e fare uso di ciò che di bello (e ancora utilizzabile) viene offerto dal patrimonio di musica liturgica che abbiamo. E che i moderni compositori non possono che beneficiare nel guardare a nuove forme poggiandosi sulle spalle dei giganti. Ma se il problema non è nei repertori, allora qualunque cosa va bene? Qui non sarei così sicuro. Si può fare un cattivo uso di repertori adeguati non significa che si può fare un buon uso di repertori inadeguati. La bellezza estetica della musica liturgica sta proprio nel suo adeguarsi alla verità profonda della liturgia, nel essere specchio della bellezza del “più bello dei figli dell’uomo”, nel riconoscere che ci si trova di fronte ad una realtà che ci supera.

Un mio direttore spirituale mi diceva che se sei in una buca e vuoi uscire devi trovare un appiglio esteriore. Questa esattamente è la differenza fra la vera musica liturgica e quella inadeguata: con la seconda ci si appiglia a se stessi e non ci si eleva veramente. Attraverso le vie della nostra percezione noi sentiamo, vediamo, ascoltiamo, odoriamo; l’uso sapiente di questi sensi ci aiuta ad elevarci ad una realtà che ci supera infinitamente. Il modo in cui facciamo bella la musica e

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la liturgia non è un vizio da esteti ma è un’esigenza che dobbiamo ritrovare in quanto essere umani. Abbiamo pensato di razionalizzare, verbalizzare la liturgia ma, probabilmente, le cose non funzionano in questo modo.

INTRODUZIONE AI BRANI DI CANTO GREGORIANO PER IL TEMPO DI4. AVVENTO

(M° Eliseo Sandretti)

II canto gregoriano è il canto in lingua latina della chiesa cristiana di occidente e si distingue dal canto bizantino, che è il canto in lingua greca, sira, armena, e in seguito, anche russa, delle chiese cristiane d’oriente. Questo canto trae origine dalla fusione di vari elementi stilistici avve-nuta nei primi secoli dell’era cristiana, in particolare l’esperienza della musica ebraica, il canto romano, quello gallicano e mozarabico, la teoria musicale greca. Nel canto gregoriano si possono distinguere tre tipi diversi di esecuzione: quella diretta, in cui tutti cantano insieme la melodia, quella responsoriale, in cui un solista propone una melodia alla quale risponde l’assemblea o la schola, quella antifonica, nella quale la schola si divide in due gruppi che si alternano nell’esecu-zione. Tradizionalmente si afferma che il canto gregoriano deriva il proprio nome da papa Grego-rio I Magno, il cui papato risale agli anno 590 - 604. Giovanni Diacono in un periodo seguente al papato di Gregorio, lo considerò organizzatore e compositore lui stesso di canti. Sulla sua figura nacque anche una serie di leggende che dettero luogo anche a diverse manifestazioni iconogra-fiche. Sembra che a quanti gli chiedessero come egli potesse trovare il tempo per scrivere i suoi sermoni, dati i pesanti impegni derivanti dal pontificato, egli rispondesse che in realtà spesso non preparava niente ed in questi frangenti avesse esperienza di una ispirazione divina che gli permettesse di parlare con particolare efficacia. Da qui nacque la tradizione iconografica che lo vede ritratto nell’atto di scrivere canti mentre una colomba, cioè lo Spirito Santo, lo ispira con il becco vicino all’orecchio. Un’altra leggenda tramanda che l’antifonale, cioè la prima raccolta di canti gregoriani, fosse legata con una catena d’oro all’altare di S. Pietro, a Roma. Il significato di essa sembra risiedere nella considerazione del legame stretto e prezioso che collega il canto gregoriano alla Chiesa. In realtà l’Antifonale non risale all’epoca di Gregorio Magno, ma è poste-riore. Gregoriano era il Sacramentarlo che conteneva tutte le formule del celebrante, quindi per estensione gregoriano era il canto ad esso connesso. Un cenno particolare merita la questione della notazione, cioè della scrittura musicale gregoriana. All’inizio non esisteva alcun sistema di scrittura delle melodie; c’erano solamente i testi e l’andamento melodico veniva tramandato oral-mente. In un secondo tempo, quando il repertorio si ingrandì e si fece più complesso si inserirono dei segni, che riproducevano i gesti della mano del direttore come aiuto per la memoria dei can-tori; questa notazione era detta chironomica. Poi furono introdotti segni, chiamati neumi, prima in campo aperto, poi su una linea a secco sopra il testo, infine su un sistema di quattro linee che indicarono con più precisione i suoni che componevano le varie melodie. La letteratura musicale gregoriana può essere suddivisa in tre stili principali: lo stile sillabico tipico della salmodia e dei brani più semplici alla portata dell’assemblea, ad ogni sillaba corrisponde generalmente un suo-no, lo stile semisillabico, on cui per ogni sillaba si hanno due, tre, quattro suoni, lo stile melisma-tico, derivato dalla musica ebraica, in cui ad ogni sillaba corrispondono molti suoni. Quest’ultimo è lo stile delle esecuzioni affidate alla schola, cioè al coro. Nel canto gregoriano abbiamo varie tipologie di brani; nell’esecuzione di oggi avremo ad esempio delle antifone, degli introiti, degli

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inni. Le antifone hanno due funzioni: la prima, di tipo musicale, consiste nella introduzione al canto del salmo ad essa connesso;la seconda, di tipo liturgico, consiste nel fatto che l’antifona stessa orienta e rivela il significato del salmo che segue. Il testo delle antifone è tratto dai salmi, dal Vangelo, dalle vite dei santi. Lo stile in genere è sillabico o semisillabico. Gli introiti traggono la loro origine dalla salmodia antifonica e si cantano durante la processione d’ingresso, pertanto sono canti professionali. Gli introiti, per la loro difficoltà, sono riservati all’esecuzione della scho-la e il loro stile è quello semi-ornato. Il testo in genere è tratto dalla Bibbia. Il salmo successivo all’introito in genere si riduce ad un solo versetto perché la processione d’ingresso non è quasi mai tanto lunga da richiedere l’esecuzione di tutti i versetti del salmo. Solamente nelle cerimonie papali spesso, data la complessità dei riti, si cantano tutti i versetti del salmo. Gli inni sono in stile sillabico. Si tratta di composizioni poetiche in forma strofica provenienti dall’oriente. Essi furono introdotti in Francia da Ilario di Poitiers con scarso successo, e in Italia, con maggior successo, da S. Ambrogio, vescovo di Milano. Il testo ha una struttura metrica e la melodia si ripete uguale ad ogni strofa. Lo stile musicale è quello sillabico o semisillabico. Per concludere proporrei una breve riflessione sulla natura della musica liturgica in programma e sul significato generale che può assumere ogni forma di arte connessa con la dimensione del sacro. Nell’antica Grecia e nel mondo antico la musica fu per la prima volta considerata una forma d’arte. Essa aveva per i Greci una funzione psicagogica, cioè agiva direttamente sulla psiche, sugli stati emotivi. Per questa ragione essa aveva anche in importante influsso sul comportamento; da qui nacque la teoria dell’ethos, cioè l’idea che vari generi di musica inducessero a varie forme di comportamento; ad esempio per indurre i guerrieri alla battaglia occorrevano determinati tipi di musica. Nella filosofia antica la domanda principale riguardante l’estetica era: che cosa è il bello? Da questo punto di vista si originarono le ricerche sui canoni del bello, cioè sulle regole da rispettare affinchè l’arte producesse il bello. Incidentalmente ricordiamo che invece nella filosofia moderna ci si chiede piuttosto che cosa è l’arte, quale è la sua origine e la sua funzione. Questa seconda domanda investe necessariamente una ricerca filosofica sull’essenza dell’uomo stesso. Cassie Longino, in epoca alessandrina, scrisse un trattato, Del bello e del sublime, nel quale si asseriva che il subli-me è una forma particolare di bello, il bello con valenza morale. A me sembra che la risposta di Longino al problema del rapporto tra bello e sublime possa essere di un certo interresse e attua-lità anche relativamente al dibattito attuale sulla musica da inserire nella liturgia. In sintesi ritengo importante riconoscere la pertinenza della categoria del sublime nell’ambito delle forme di arte che hanno a che fare con la dimensione sacra e, soprattutto, con la liturgia.

5. LA MUSICA UN’ARTE fAMILIARE AL LOGOS DI BENEDETTO XVI JOSEPh RATZINGER

Romano il Melode, nato verso il 490 a Emesa (oggi Homs) in Siria. Teologo, poeta e compositore, appartiene alla grande schiera dei teologi che hanno trasformato la teologia in poesia. Pensiamo al suo compatriota, sant’Efrem di Siria, vissuto duecento anni prima di lui. Ma pensiamo anche a teologi dell’Occidente, come sant’Ambrogio, i cui inni sono ancora oggi parte della nostra liturgia e toccano anche il cuore; o a un teologo, a un pensatore di grande vigore, come san Tommaso, che ci ha donato gli inni della festa del Corpus Domini di domani; pensiamo a san Giovanni della Croce e a tanti altri. La fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia, perciò crea bellezza.

Romano il Melode resta nella storia come uno dei più rappresentativi autori di inni liturgici. L’omelia era allora, per i fedeli, l’occasione praticamente unica d’istruzione catechetica. Romano

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si pone così come testimone eminente del sentimento religioso della sua epoca, ma anche di un modo vivace e originale di catechesi. Attraverso le sue composizioni possiamo renderci conto della creatività di questa forma di catechesi, della creatività del pensiero teologico, dell’estetica e dell’innografia sacra di quel tempo. Il luogo in cui Romano predicava era un santuario di periferia di Costantinopoli: egli saliva all’ambone posto al centro della chiesa e parlava alla comunità ricorrendo ad una messinscena piuttosto dispendiosa: utilizzava raffigurazioni murali o icone disposte sull’ambone e ricorreva anche al dialogo. Le sue erano omelie metriche cantate, dette “contaci” (kontákia). Il termine kontákion, “piccola verga”, pare rinviare al bastoncino attorno al quale si avvolgeva il rotolo di un manoscritto liturgico o di altra specie. I kontákia giunti a noi sotto il nome di Romano sono ottantanove, ma la tradizione gliene attribuisce mille.

Umanità palpitante, ardore di fede, profonda umiltà pervadono i canti di Romano il Melode. Questo grande poeta e compositore ci ricorda tutto il tesoro della cultura cristiana, nata dalla fede, nata dal cuore che si è incontrato con Cristo, con il Figlio di Dio. Da questo contatto del cuore con la Verità che è Amore nasce la cultura, è nata tutta la grande cultura cristiana. E se la fede rimane viva, anche quest’eredità culturale non diventa una cosa morta, ma rimane viva e presente. Le icone parlano anche oggi al cuore dei credenti, non sono cose del passato. Le cattedrali non sono monumenti medievali, ma case di vita, dove ci sentiamo “a casa”: incontriamo Dio e ci incontriamo gli uni con gli altri. Neanche la grande musica – il gregoriano o Bach o Mozart – è cosa del passato, ma vive della vitalità della liturgia e della nostra fede. Se la fede è viva, la cultura cristiana non diventa “passato”, ma rimane viva e presente. E se la fede è viva, anche oggi possiamo rispondere all’imperativo che si ripete sempre di nuovo nei Salmi:

“Cantate al Signore un canto nuovo”. Creatività, innovazione, canto nuovo, cultura nuova e presenza di tutta l’eredità culturale nella vitalità della fede non si escludono, ma sono un’unica realtà; sono presenza della bellezza di Dio e della gioia di essere figli suoi.

Udienza generale Aula Paolo VI - Mercoledì, 21 maggio 2008

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LA LEGATURA E IL PUNTO DI VALORE1.

1.1 I segni di prolungamento del suono

Obiettivi del nostro lavoro:

conoscere come sono costruite alcune cellule ritmiche contenenti il punto di valore; �imparare a riconoscerle all’ascolto e ad utilizzarle nella pratica strumentale e vocale; �capire il significato ritmico-musicale che queste cellule possono determinare in un brano �

Cosa sono le cellule ritmiche

Le cellule ritmiche sono dei gruppi di figure, o di figure e pause. Questi gruppi creano nel di-scorso musicale degli schemi ritmici ricorrenti.

Abbiamo già conosciuto alcune delle cellule ritmiche più comuni: la cellula doppia (titti); la cellula quadrupla (tiritiri); altre cellule derivate da queste due.

1.2 Le cellule con il punto

Le figure da un quarto e da un ottavo con il punto di valore, sono all’origine di due cellule ritmi-che molto usate dai musicisti.

o La cellula Ta-attio La cellula Timri

Per il loro ritmo caratteristico possono essere definite “cellule incalzanti”

La cellula Ta-atti

La cellula Ta-atti è formata da due figure: un quarto con il punto di valore seguìto da un ottavo Il valore complessivo della cellula è di due quarti

Per capire la struttura di questa cellula ritmica ripercorriamo i passaggi necessari per costruirlaPrendiamo una figura da un quarto(Ta) e una cellula Titti (formata da 2 ottavi)

Il Ta e il Titti occupano complessivamente due pulsazioni Per mezzo della legatura di valore uniamo il quarto con il primo ottavoIl quarto e il primo ottavo diventano un’unica figura del valore di unquarto e mezzo La cellula è già costruita: per semplificare la scrittura sostituiamo l’ottavolegato con un punto di valore

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l punto aumenta di metà il valore della figura e, in questo caso, può sostituire la legatura.La legatura di valore lega due note della stessa altezza (cioè che hanno lo stesso nome e

sono uguali della durata espressa dalla nota cui è legata)

La cellula timri

La cellula Timri ha lo stesso ritmo del Ta-atti La differenza consiste solo nella sua durata: Ta attiIl Ta-atti occupa due pulsazioni il Timri occupa una sola pulsazione Le due figure che formano il Timri valgono esattamente la metà di quelledel Ta-atti

La cellula Timri è formata da due figure: un ottavo con il punto di valore seguìto da un sedicesimo

Il valore complessivo della cellula è di un quarto Per semplificare la scrittura possiamo unire le due figure

Le due cellule a confronto

Le figure che formano la cellula Timri valgono esattamente la metà diquelle del Ta-atti.

Nello spazio occupato da una cellula Ta-atti trovano posto due cellule Timri. Queste cellule producono lo stesso ritmo perché in entrambi i casi la prima figura è sempre il

triplo della seconda.

Due esempi

Nel brano “Canto dell’addio” viene utilizzata la cellula Ta-atti Nel brano “Tanti auguri” viene utilizzata la cellula Timri

Esercizio: Esegui la lettura ritmica e la lettura ritmica con le note di questi due esempi. Ricorda di battere sempre la pulsazione

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IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA2.

di Marcello Manco (musicista e compositore)

In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.

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Re/fa# Mi- Do2 Gesù, io confido in Te, Sol Re4 Re Gesù, mi basta la tua grazia. Do/re Sol Do SEI LA MIA FORZA, LA MIA SALVEZZA, Mi- Re4 Re SEI LA MIA PACE, SICURO RIFUGIO. Do/re Sol4 Sol Si- Do NELLA TUA GRAZIA VOGLIO RESTARE, Mi- Re4 Re Do/re SANTO SIGNORE, SEMPRE CON TE. Strum. Sol Do2 Mi- Re4 Do/re Sol Do SEI LA MIA FORZA, LA MIA SALVEZZA, Mi- Re4 Re SEI LA MIA PACE, SICURO RIFUGIO. Do/re Do/sol Sol/si Do NELLA TUA GRAZIA VOGLIO RESTARE, Mi- Re4 Re SANTO SIGNORE, SEMPRE CON TE. Sol Do SEI LA MIA FORZA, LA MIA SALVEZZA, Mi- Re4 Re SEI LA MIA PACE, SICURO RIFUGIO. Do/re Do/sol Sol Do NELLA TUA GRAZIA VOGLIO RESTARE, Mi- Re4 Re SANTO SIGNORE, SEMPRE CON TE. Strum. Do/re Sol La-7 Quando sono debole, allora sono forte Do2 Sol perché tu sei la mia forza.

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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oCHITARRA E LITURGIA1.

Pierangelo Ruaro prete diocesano ha conseguito il diploma di chitarra classica presso il Conservatorio di J. Tomadini di Udine. Insegna in seminario ed è vicedirettore dell’ufficio diocesano per la liturgia di Vicenza, con l’incarico di seguire il settore musica, con particolare attenzione alla formazione e animazione dei cori giovanili. Autore di diversi canti liturgici pubblicati per l aLDC i Torino e la GC records di Vicenza, partecipa alle attività di Universa laus e collabora con la rivista Musica e assemblea.

L’utilizzo della chitarra nella liturgiaè un tema molto dibattuto, soprattutto da quando negli anni dell’immediato post-Concilio, la chitarra ha cominciato a mostrare la sua presenza nelle chiese. È stato detto di tutto e il contrario di tutto. Ormai, a distanza di trent’anni è giunto il momento per cercare di tracciare un quadro sereno e contemporaneo abbastanza preciso della situazione.

Un atteggiamento di prudenza

Un primo dato di fatto è che, curiosamente (ma credo non casualmente), mentre a livello popolare, soprattutto attraverso articoli sulle riviste o sui settimanali diocesani, si sono moltiplicati consensi e critiche (soprattutto queste ultime), la Chiesa nei suoi pronunciamenti ufficiali, durante e dopo il Concilio, si è dimostrata molto più prudente e ha quasi sempre evitato di nominare esplicitamente la chitarra.

Molto saggiamente, ha preferito limitarsi a dare direttive di fondo, senza scendere a pericolose elencazioni. Un passaggio molto significativo, divenuto punto di partenza per numerosi altri interventi, si trova nell’istruzione Musicam sacram: “”n. 62 n. 63 a partire da queste considerazioni,soprattutto dalla seconda, alcuni hanno trovato l’appiglio per dire che la presenza della chitarra in chiesa costituisce un abuso liturgico. Il gioco è semplice: è bastato stabilire la seguente equazione:

“strumenti propri della musica profana = chitarre

Si tratta di una equazione legittima ? Alcuni fatti sembrerebbero dirci il contrario.

Alcune lezioni della storia recente

Nel 1983, e quindi a vent’anni dalla promulgazione della Sacrosanctum Concilium, la Commissione episcopale per la liturgia della CEI ha pubblicato una inchiesta sulla risposta che la riforma liturgica ha suscitato nelle Chiese Italiane.

Spulciando tra i diversi questionari troviamo alcuni dati interessanti. Per esempio, risulta che il 20,8% delle diocesi italiane è ufficialmente ammesso l’uso di strumenti musicali diversi dall’organo e nel 68,7% è ammesso di fatto.

Strumenti buoni e strumenti cattivi

Invece di parlare di strumenti buoni o strumenti cattivi dovremmo fare attenzione al buono o al cattivo uso degli stessi; diventa dannosa una chitarra suonata male, così come fa un cattivo servizio un organo suonato male ! Nessuno strumento va mitizzato, così come nessuno strumento va demonizzato.

In una assemblea eterogenea, di stampo tradizionale, funzionerà senz’altro meglio un organo; così come, al contrario, in un’assemblea con prevalenza di ragazzi o di giovani risulterà più familiare e stimolante alla partecipazione una chitarra. 23

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oGLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

Il tipo di ambiente

Anche l’ambiente in cui si svolge la celebrazione ci può dare delle indicazioni sulla scelta degli strumenti da utilizzare. Altro è una celebrazione in una cattedrale e altro è radunarsi in una cappella o una chiesa di piccole o medie dimensioni.

A differenza dell’organo a canne, studiato proprio per funzionare in ambienti spaziosi, la chitarra non è in grado di produrre che una quantità di suono piuttosto limitata.

Non basta la tecnica

Dipende, dunque, da come si suona. Ma con questo non abbiamo ancora risolto il problema. È illusorio pensare che sia sufficiente trovare qualcuno che suoni bene uno strumento per risolvere la questione dell’accompagnamento liturgico.

Non è raro trovare dei pianisti diplomati che, messi all’organo in chiesa, non sanno improvvisare due accordi. Oppure chitarristi esperti nel fraseggio rock che, messi di fronte all’accompagnamento di un canto lo trasformano al punto tale da rendere impossibile la preghiera, quando non la partecipazione stesso del canto.

Suonatori di chiesa non ci si improvvisa.

Se è vero che la tecnica rimane la stessa (perché non esiste una tecnica strumentale liturgica), è altrettanto vero che non è la stessa cosa suonare un brano di un cantautore insieme al gruppo di amici durante una festa, e accompagnare il canto di un coro e di un’assemblea durante la celebrazione. Soprattutto va ricordato che la chitarra, come l’organo a canne, il violino, ecc., sono e vanno usati come “strumenti”, cioè funzionali a un progetto liturgico in cui vengono inseriti, a cui devono servire. In liturgia gli strumenti sono suonati bene quando non sono invadenti, non vengono percepiti come padroni, ma come degli aiuti, esenziali per le loro caratteristiche, alla preghiera, al canto, all’ascolto dei cristiani che celebrano.

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CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI 1. DICEMBRE

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

04 DICEMBRE - II DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

Ingresso 119 kyrie M Gialloreti Gloria 26Canto al Vangelo 23 Offertorio 196 Santo 234Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 6 Comunione 383Ringraziamento 153 Conclusione 372

08 DICEMBRE - IMMACOLATA CONCEZIONE

Magnificat Ave Regina 382 Gloria 27Canto al Vangelo 15 Offertorio 174 Santo 233Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 7 Comunione (Giovane Donna)

Ringraziamento 219 Conclusione 321

11 DICEMBRE - III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

Ingresso 319 Kyrie (Sorgente di salvezza) Gloria 145Canto al Vangelo 23 Offertorio 70 Santo 235Anamnesi Dossologia Padre Nostro (Sorgente di salvezza)

Embolismo Agnello di Dio (Sorgente di salvezza) Comunione 219Ringraziamento 361 Conclusione 225

18 DICEMBRE - IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

Ingresso 363 Kyrie 352 Gloria 364Canto al Vangelo 20 Offertorio 129 Santo ex 120 Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 7 Comunione 137Ringraziamento 331 Conclusione 245

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24 DICEMBRE - MESSA DELLA NOTTE SANTA

25 DICEMBRE - NATALE MESSA DEL GIORNO

AL SERVIZIO DELLA PAROLA2.

Il salmo responsoriale è strettamente legato alla prima lettura. Si presenta come un’eco di essa.

Si tratta di un testo poetico che si esprime ritmicamente e che ha bisogno di calma, pause, silenzio. Ecco perché è bene differenziare il lettore della prima lettura da chi proclama o canta il salmo. Si tratta di due stili diversi: uno in prosa, in narrazione, l’altro in poesia pregata (o preghie-ra poetica). Il salmo non deve apparire come una lettura supplementare, ma una risposta lirica dell’assemblea alle meraviglie che Dio sta realizzando in lei. Il salmo e, in particolare, il ritornello ripetono per lo più una o l’altra delle parole che sono state proclamate. Il popolo risponde al Si-gnore riutilizzando le Sue parole appena ascolta- te. Il ritornello introduce il salmo e gli dà il suo colore, dando anche la chiave di interpretazione principale della lettura appena proclamata (nel contesto liturgico).

Il salmo normalmente sia cantato, possibilmente sia nel ritornello (solista con assemblea) che nella strofa (solista). Ma almeno il ritornello sia sempre cantato la domenica e nelle solennità. E’ possibile prevedere alcune “melodie-tipo” che possono adattarsi a diversi ritornelli. Potrebbe es-sere la soluzione di partenza, da superare poi, pian piano, con l’impegno di insegnare e cantare melodie diverse per ogni salmo (ecco il senso della raccolta diocesana dei Salmi).

COME DATRADIZIONE

COME DATRADIZIONE

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SALMODIE•

Mo stra ci, Si gno re, la

Ritornello

tua mi se ri cor dia e do na ci la tua sal vez za.- - - - - - - - - - - -

1. Ascolterò che cosa dice Dio, il Si2. Amore e verità s’incontre3. Certo, il Signore donerà il suo

gnoranbe

re:no,ne

Strofe

egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fegiustizia e pace si bacee la nostra terra darà il suo

deranfrut

li.no.to;

- - - -- - - - - - - -

- -

Sì, la sua salvezza è vicina a chi loVerità germoglierà dallagiustizia camminerà davanti a

teterlu

me,rai:

perché la sua gloria abiti la noe giustizia si affaccerài suoi passi tracceranno il

stradalcam

terciemi

ra.lo.no.

- - -- -- --

II Domenica di Avvento - anno B

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04 DICEMBRE - II Domenica di Avvento - (Anno B)

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08 DICEMBRE - IMMACOLATA CONCEZIONE

Can ta te al Si

Ritornello

gno re un can to nuo vo, per ché ha com piu to me ra vi glie.- -- - - - - - - - - -

2. Il Signore ha fatto conoscere la sua sal3. Tutti i confini della terra hanno ve

1. Cantate al Signore un cantovezdu

nuoza,to

vo,

Strofe

agli occhi delle genti ha rivelato la sua giula vittoria del nostro

perché ha compiuto merastiDi

vizia.o.

glie.- -

-- -

--

- - - - -

Egli si è ricordato del suo aAcclami il Signore tutta la

Gli ha dato vittoria la suamoter

dere,ra,

stradella sua fedeltà alla casa d’Igridate, esultate, canta

e il suo bracsrate

cioein

sanle.ni!

to.--

--

- -- - -

-- - - - - -

Immacolata Concezione

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11 DICEMBRE - III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

La mi a a ni ma e sul ta nel mio Di o.- - - - - -

1. L’anima mia magnifica il Si2. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipo3. Ha ricolmato di beni gli affa

gnotenma

reteti,

Strofe

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvae Santo è il suoha rimandato i ricchi a mani

tonovuo

re,me;te.

- - - -

- - -- - -

perché ha guardato l’umiltà della suadi generazione in generazione la sua miseriHa soccorso Israele, suo

sercorser

va.diavo,

-

-- - - -

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiamerannoper quelli chericordandosi della sua mise

belori

atecor

ta.mono.dia.

- -

- - - - ---

III Domenica di Avvento - anno B

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18 DICEMBRE - IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

Can te rò per sem pre l’a

Ritornello

mo re del Si gno re, l’a mo re del Si gno re.- - - - - - - - - - -

2. «Ho stretto un’alleanza con il mio e3. «Egli mi invocherà: “Tu sei mio

1. Canterò in eterno l’amore del Siletpa

gnoto,dre,

re,

Strofe

- - - - - - - --

- - - - - - - -

ho giurato a Davide, miomio Dio e roccia della mia sal

di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua feservez

delvo.za”.

tà,--- - - - - - - -

- -

Stabilirò per sempre la tua discenGli conserverò sempre il mio a

perché ho detto: «È un amore edificato perdenmo

semza,re,

pre;di generazione in generazione edificheròla mia alleanza gli sarà

nel cielo rendi stabile la tua feilfe

deltuode

tà».trono».le».

-- -

--

- --

-

IV Domenica di Avvento - anno B

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o24 DICEMBRE - MESSA DELLA NOTTE SANTA

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Og gi è na to per no i, è

Ritornello

na to il Sal va to re.- - - - - - -

1. Cantate al Si2. Annunciate di giorno in3. Gioiscano i cieli, esulti la4. Davanti al Signore che

gnogiortervie

renora,ne:

Strofe

un cantola sua salrisuoni il mare e quanto racsì, egli viene a giudicare la

nuovezchiuter

vo,za.de;ra;

- -- - - - - - -

- - -- -

- - - -

cantate al Signore, uomini di tutta laIn mezzo alle genti narrate la suasia in festa la campagna e quanto congiudicherà il mondo con giu

terglotiesti

ra.ria,ne,zia

Cantate al Signore, beneditea tutti i popoli dite le sueacclamino tutti gli alberi dele nella sua fedeltà i

ilmelapo

suorafopo

nome.viglie.resta.li.

-- - -

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NataleMessa della Notte Santa

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25 DICEMBRE - NATALE MESSA DEL GIORNO

Tut ta la ter ra ha ve du to la sal

Ritornello

vez za del no stro Di o.

2. Il Signore ha fatto conoscere la sua sal3. Tutti i confini della terra hanno ve4. Cantate inni al Signore con la

1. Cantate al Signore un cantovezduce

nuoza,totra,

vo,

Strofe

agli occhi delle genti ha rivelato la sua giula vittoria del nostrocon la cetra e al suono di strumenti a

perché ha compiuto merastiDicor

vizia.o.de;

glie.- - --

- - -

Egli si è ricordato del suo aAcclami il Signore tutta lacon le trombe e al suono del

Gli ha dato vittoria la suamotercor

dere,ra,no

stradella sua fedeltà alla casagridate, esultate, canacclamate davanti al re,

e il suod’Itail

bracsrateSi

cioele.inni!gnore.

santo.- - --- - - - -

NataleMessa del Giorno

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30 DICEMBRE -

Il Si gno re è fe

Ritornello

de le al suo pat to.- - - - -

2. Gloriatevi del suo santo3. Ricordate le meraviglie che ha com4. Si è sempre ricordato della sua alle

1. Rendete grazie al Signore e invocate il suonopiuan

nome:to,za,

me,

Strofe

gioisca il cuore di chi cerca il Sii suoi prodigi e i giudizi della suaparola data per mille genera

proclamate fra i popoli le suegnoboczio

ore.ca,ni,

pere.-- -

- - -- - - -

- -

Cercate il Signore e la sua povoi, stirpe di Abramo, suodell’alleanza stabilita con A

A lui cantate, a lui innegtenserbra

giaza,vo,mo

te,ricercate semprefigli di Giacobbe,e del suo giuramento

meditate tutte le sueilsuoa

mesuoeI

ravolto.letto.sacco.

viglie.- -

- -- - -

- - - -

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - anno B

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SANTA fAMIGLIA DI GESù, MARIA E GIUSEPPE (ANNO B)

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Attività Nazionali

XXXV - Rimini Nazionale• - 28 aprile - 1 maggio 2012 - Rimini

Pellegrinaggio in Terra Santa dal 26/7/2012 al 2/8/2012•

“Dieci Piazze per Dieci Comandamenti”• - a Napoli 8 oppure 11 settembre 2012

5° Pellegrinaggio famiglia a Pompei 8• settembre 2012 (in forse)

Conferenza Nazionale Animatori dal 1 al 4 novembre 2012 - Rimini•

Esercizi Spirituali per sacerdoti, diaconi e religiosi dal 12-17 novembre 2012 a Loreto •(AN).

Attività Regionali

Ritiro Regionale Pastorali il 11 Dicembre 2011 a Mariconda (SA)•

Convocazione Animatori Regionale 10-11-12 febbraio 2012 a Materdomini - (AV) - •Santuario di San Gerardo

Ritiro Regionale Giovani dal 06• al 08 Gennaio 2012 presso il Vesuvian Institute - fondazione RAS Via Salaria a Castellammare di Stabia.

Ritiro Regionale Giovani il 4 oppure 11 marzo 2012•

Convegno Regionale 14 Ottobre 2012 •

Attività Diocesane

Giornata della Vita • - Domenica 5 febbraio 2012. Tutti i gruppi ore 9,00-11,00 in Piazza Dante

Roveto Ardente• …….. Marzo 2012 a Capodimonte ore 20,30 - 22,00

Cattedrale di Napoli• - Adorazione Giovedì Santo animata dai giovani del RnS con Card. Sepe - giovedì 5 Aprile 2012 ore 20,00

Cattedrale di Napoli• - Adorazione della Croce - Venerdì Santo animata dal RnS con Card. Sepe - venerdì 6 Aprile 2012 ore 17,00

RnS - Elenco Eventi 2012

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Incontri 2012 per la famiglia

Incontro famiglie - Domenica• 15/1/2012 ore 17,00 - 19,00 presso teatro Chiesa S. Maria del Carmine al Pittore - Via Palmiro Togliatti, 31 - 80046 San Giorgio a Cremano - Napoli 081/7713252

Incontro famiglie - Domenica• 19/2/2012 ore 17,00 - 19,00 presso teatro Chiesa S. Maria del Carmine al Pittore - Via Palmiro Togliatti, 31 - 80046 San Giorgio a Cremano - Napoli 081/7713252

Incontro famiglie - Domenica• 25/3/2012 ore 17,00 - 19,00 presso teatro Chiesa S. Maria del Carmine al Pittore - Via Palmiro Togliatti, 31 - 80046 San Giorgio a Cremano - Napoli 081/7713252

Incontro famiglie - Domenica• 15/4/2012 ore 17,00 - 19,00 presso teatro Chiesa S. Maria del Carmine al Pittore - Via Palmiro Togliatti, 31- 80046 San Giorgio a Cremano Napoli 081/7713252

Incontri 2011-2012 per i Giovani

Venerdì 18 Novembre 2011• dalle ore 20,30 alle ore 22,00 presso Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio - Capodimonte - Napoli.

Venerdì 9 Dicembre 2011• dalle ore 20,30 alle ore 22,00 presso Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio - Capodimonte - Napoli.

Venerdì 13 Gennaio 2012• dalle ore 20,30 alle ore 22,00 presso Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio - Capodimonte - Napoli.

Venerdì 17 febbraio 2012• dalle ore 20,30 alle ore 22,00 presso Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio - Capodimonte - Napoli.

Venerdì 23 Marzo 2012• dalle ore 20,30 alle ore 22,00 presso Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio - Capodimonte - Napoli.

Venerdì 18 Maggio 2012• dalle ore 20,30 alle ore 22,00 presso Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio - Capodimonte - Napoli.

RnS - Elenco Eventi 2012

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INFORMAZIONI VARIE

Carissimo, carissima, qualsiasi informazione, domanda,

chiarimento, puoi contattarci direttamente scrivendo alla

nostra email:

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Puoi consultare questo numero e i successivi al se-

guente indirizzo: www.issuu.com/sullenotedellospirito

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