anno 10, numero 10 (101) - ottobre 2013 curia e pastorale ... · mondiale, don gianni cesena p. 20...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 10, numero 10 (101) - Ottobre 2013

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Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degliartefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propriainsindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubbli-cati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizza-zione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.Redazione

Corso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari, mons.Franco Risi, mons. Franco Fagiolo, mons. Paolo Picca,don Antonio Galati, don Marco Nemesi, don Dario Vitali,don Gaetano Zaralli, don Ettore Capra, don Wasim Salman,don Andrea Pacchiarotti, Suore Apostoline Velletri, donGianni Cesena, sr. Francesca Langella ap., CostantinoCoros, Andrea Tornielli, Claudio Capretti, Pier Giorgio Liverani,Antonio Venditti, Sara Gilotta, Rigel Langella, Simona Zani,Giorgio Innocenti, Sara Calì, Annalisa Ciccotti, Giulia Petrilli,Giovanni Abruzzese.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Composizione grafica di d. Angelo Mancini.

In alto: Logo del Convegno Pastorale Diocesano, con Kingdom of Ends, opera pittorica di Bo Bartlett, 1990; in basso:Logo del forum diocesano: “Sagrato Digitale” con due foto elaborate: sullo sfondo la cattedrale di S. Clemente e in primo pianoun incontro del vescovo nella parrocchia di Montelanico.

- Famiglia, speranza e futuro per la società italiana.

47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani,

Torino 12-15 settembre,+ Vincenzo Apicella p. 3

- La parola di Papa Francesco e le

chiacchiere di tutti noi, S. Fioramonti p. 4- XXVIII GMG, Rio de Janeiro, 22-29 luglio: Le parole del Papa / 2,

Stanislao Fioramonti p. 5

- Vogliono cancellare mamma e papà

(ma le femministe già protestano),

Pier Giorgio Liverani p. 7

- Religione, politica e terrorismo: il modello siriano,

don Wasim Salman p. 8

- S.E. mons. K. Krajewski: un elemosiniere che

va a cercare i poveri, A. Tornielli p. 9

- Creato: luogo dell’incontro con Dio, Rigel Langella p. 11

- Concilio Vaticano II. Sacrosanctum Concilium / 1don Andrea Pacchiarotti p. 10

- Mondo “digitale” non si contrappone a “reale”, ma ne rappresenta lo specchio e il prolungamento,

+ Vincenzo Apicella p. 12- Internet: luogo da abitare e da evangelizzare,

don Antonio Galati p. 13- Mai senza l’altro. Cronaca di una riflessione fatta insieme, Costantino Coros p. 15

- Il funzionario del re e la Misericordia, Claudio Capretti p.16

- La Chiesa delle Origini dagli Apologisti ai Padri fondatori della fede cristiana / 1,

Sara Gilotta p.18

- Giustizia riparativa: la sfida della relazione, Giorgio Innocenti p. 19

- Sulle strade del mondo: 87a Giornata Missionaria Mondiale, don Gianni Cesena p. 20

- Gesù Cristo è lo stesso Ieri, Oggi e Sempre,don Dario Vitali p. 21

- Il Sacerdote e il Cristiano: instancabili Annunciatori del Vangelo, mons. Franco Risi p. 22

- Mamme allo specchio, don G. Zaralli p. 23- Testimoni della Fede del Terzo Millennio / 9

a cura di S. Fioramonti p. 24- I Santi dell’Anno della Fede / 9,

a cura di S. Fioramonti p. 25- Il Rosario della Nonna, don E. Capra p. 26- Pellegrinaggio a piedi da Valmontone alla Santissima Trinità di Vallepietra,

Stanislao Fioramonti p. 27

- La Vocazione oggi / 1sr. Francesca Langella ap. p. 30

- I miei 50 anni di sacerdozio, mons. Paolo Picca p. 32

- Dire grazie per fare di più. Umiltà e gioia nel 50° di don Gino Orlandi, Simona Zani p. 33

- Cantare la Messa, mons. F. Fagiolo p. 34

- Dalla comunità di Segni...,Annalisa Ciccotti p. 34

- Velletri, Centro S. M. dell’Acero: Un’estate ricca di incontri, Suore Apostoline p. 36

- “Io sento che il Signore mi chiama” : Padre Ginepro Cocchi, Sara Calì p. 37

- ACR Diocesana. Grande partecipazione all’incontro delle diocesi d’Italia “Ti credo! Tutto parla di te!”, Giulia Petrilli p. 38

- Presentazione del libro: “Albero secolare del 1999”, di Antonio Venditti,

Giovanni Abruzzese p. 39- L’estetica delle scuole,

Antonio Venditti p. 40- Lo Spiritual,

Mara Della Vecchia p. 41

- Rembrandt Harmenszoon Van Rijn,

“Il ritorno del figliol prodigo” / 2

don Marco Nemesi p. 44

- Decreti del Vescovo pp. 42 - 43

33OttobreOttobre20132013

LL’impressione che si riporta normalmente dalla partecipazione aduna Settimana Sociale dei Cattolici Italiani si può sempre riassu-mere nell’antico detto: “Fa più rumore un albero che cade, che

una foresta che cresce”. Si rimane impressionati, come già avvenne a ReggioCalabria tre anni fa, dal numero, dalla competenza, dalla generosità, dal-la originalità e dallo spirito ecclesiale di tanti cristiani, soprattutto laici, cheda ogni Chiesa italiana portano il loro contributo alla riflessione comune.Al di là delle relazioni e degli interventi ufficiali, il vero polso dell’assem-blea si è potuto rilevare, a mio avviso, soprattutto nelle due mezze gior-nate di lavoro dei gruppi tematici, in cui si sono registrati più di 500 inter-venti appassionati, pertinenti e rigorosamente contenuti nel tempo di treminuti. Questa volta il tema era di quelli particolarmente “sensibili” e deci-sivi, ma anche articolato e “trasversale”, in quanto non esiste ambito vita-le in cui il “fattore famiglia” non abbia il suo ruolo primario e insostituibi-le. Il rischio, come è stato rilevato da un vescovo, è che possa essereconsiderato come un problema “dei cattolici”, una bandiera sotto la qua-le si ritrova una certa parte della società italiana, idealmente ben carat-terizzata ed individuabile. Certo, la visione cristiana del mondo e della vita fornisce delle motiva-zioni originali e stringenti per porre all’ordine del giorno una tale questio-ne, ma è anche evidente che nessuno può sentirsi ad essaestraneo ed indifferente, poiché occuparsi della famiglia coin-cide con l’occuparsi del “bene comune”, anzi, proprio dal-la famiglia si può comprendere il significato di “bene comu-ne”, che non è la somma ma il prodotto dei tanti “ bene diciascuno”. Si è venuto delineando un quadro della situa-zione della famiglia italiana che si potrebbe a buon dirittodefinire paradossale, in cui a principi precisi, condivisi e, avolte, altisonanti, fanno riscontro normative, prassi e situa-zioni di fatto decisamente di segno opposto.Nella prima delle relazioni introduttive, quella della prof.ssaLorenza Violini, si è preso in esame l’aspetto legislativo, incui il dettato degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione èapparso essere stato in gran parte disatteso e corre oggiil rischio di essere radicalmente posto in discussione. Fattoè che alcuni termini, come famiglia, matrimonio o sessua-lità, all’alba della Repubblica avevano un’evidenza che oggiè venuta a mancare, in seguito alle profonde trasformazioniculturali in cui siamo tutti coinvolti.Il Card. Bagnasco, nella sua prolusione, ha lucidamente ana-lizzato due processi di fondo che minano alla base l’istitu-to familiare: la messa in questione del dato naturale dellasessualità, che viene ricondotta ad una mera autoperce-zione individuale e la caduta del dialogo intergenerazionale,con la conseguente crisi del rapporto educativo. A questoproposito si è osservato che la questione è anzitutto culturale, prima chegiuridica e che il tema della persona precede quello della famiglia, percui la domanda: “Quale mondo lasceremo ai figli?” si può capovolgerenel suo reciproco: “A quali figli lasceremo il mondo?”.Il secondo ambito da cui emerge una prospettiva preoccupante è quellodemografico, illustrato con chiarezza scientifica dal prof. Gian Carlo Blangiardo,Ordinario di Scienze statistiche. La famiglia, luogo di costruzione del futu-ro, fonte primaria di nuova vita, non riesce più ad assolvere a questa suainsostituibile funzione: l’Italia si distingue rispetto alla media europea perbassa natalità, il forte invecchiamento della popolazione, per cui “se è veroche già qualche anno fa si è assistito al sorpasso dei nonni sui nipoti –avendo gli ultra 65enni superato di numero i residenti meno che venten-ni – è altrettanto vero che in un prossimo futuro osserveremo il sorpas-so dei bisnonni sui pronipoti : a partire dal 2028 la popolazione ultra80ennesarà più numerosa di quella con meno di 10 anni” (Blangiardo).Sono dati che lasciano trasparire un certo comportamento tipico della fami-glia italiana: dovendo affrontare situazioni come la disoccupazione, soprat-tutto dei giovani, la diminuzione del reddito, la riduzione della spesa pub-blica per il welfare, la famiglia italiana tende a chiudersi in se stessa e,trincerata dietro le proprie risorse, fa fronte alla crisi rimandando la deci-

sione di avere un figlio e lo stesso matrimonio. I sociologi ormai parlano,a fronte di questa situazione di un “suicidio demografico” dell’Italia, comeha affermato il prof. Luca Antonini, dell’Università di Padova.Tutto questo aggrava un ulteriore paradosso nel campo socio-economi-co e delle politiche familiari, per il quale, a fronte di un ruolo sempre mag-giore di ammortizzatore sociale, da tutti riconosciuto alla famiglia, fa riscon-tro uno scarso numero di provvedimenti presi a suo sostegno e qualcu-no addirittura penalizzante, con una spesa pubblica a lei destinata parial 4% del PIL in Italia, mentre è dell’8% nel resto di Europa.Amaramente ironica è risuonata l’iniziativa provocatoria della Caritas diuna diocesi del Nord, che ha pubblicato recentemente un opuscolo daltitolo: “Dieci buone ragioni per non sposarsi”. Il prof. Stefano Zamagni harivendicato alla famiglia la qualità di soggetto, non solo dotato di propriapersonalità giuridica, ma anche di forte rilevanza economica, in quantol’impresa non è solo quella capitalista, ma ogni realtà che genera valoree la famiglia non è solo consumatrice, ma anche produttrice di capitaleanzitutto umano e sociale.Le proposte avanzate per riequilibrare la situazione vanno dall’ambito fisca-le, con il riconoscimento anche graduale del Fattore Famiglia, una mag-giore simmetria delle tariffe ed equità intergenerazionale, a quello istitu-zionale, con la proposta di riconoscere il diritto di voto dalla nascita, eser-citato dai genitori del minore, con la creazione del Distretto Famiglia, del-

le Alleanze locali per le famiglie, del Marchio Famiglia, della Giornata Nazionaledella Famiglia, a quello socio-economico, con una più attenta redistribu-zione delle risorse, meno scarse di quanto spesso si sente dire, con l’ar-monizzazione dei tempi di lavoro e tempi di vita familiare, con la ricercadi modelli organizzativi family-friendly, che, in ultima analisi, risultano eco-nomicamente vantaggiosi per l’impresa stessa.L’esigenza emersa indistintamente in tutti i gruppi di studio è stata quel-la di promuovere un sempre più esteso e capillare lavoro “in rete”, unasempre maggiore responsabilizzazione, con il passaggio da una logicaassistenzialistica a una logica “abilitante” nel campo del welfare, un cre-scente coinvolgimento, a partire dalle nostre comunità cristiane, con il com-pito, che sempre si rinnova ad ogni Settimana Sociale, di far giungere letematiche, i contenuti e le proposte del lavoro assembleare nei luoghi enei tempi della pastorale ordinaria. Ciò è tanto più urgente, quanto mag-giore è il rischio che nei nostri stessi ambienti continuino a sussistere len-tezze nel percepire le nuove sfide che la famiglia è chiamata ad affron-tare, come si è rilevato nei gruppi che hanno riflettuto sugli ambienti divita e sulla salvaguardia del creato, insieme a preconcetti e pregiudizi,che non ci sono estranei, come riguardo alla necessità di un camminocomune con le famiglie immigrate. Su questi temi siamo tutti chiamati in

� Vincenzo Apicella, vescovo

continua a pag. 4

44 OttobreOttobre20132013

sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

SScegliamo questa volta, tra i tanti spuntidi riflessione che papa Bergoglio offre ogni

mese, le sue parole durante l’udienza gene-rale di mercoledì 19 giugno, in piazza S. Pietro,sia perché ad essa era presente una foltissi-ma rappresentanza della nostra diocesi, gui-data dal vescovo Vincenzo, sia soprattutto perquella frase del papa (“Quanto male fanno lechiacchiere, quanto male! Mai chiacchierare deglialtri!”) messa quasi a sigillo del suo messag-gio, che ognuno dovrebbe continuamentericordare e meditare.

“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Oggi mi soffermo su un’altra espressione con cuiil Concilio Vaticano II indica la natura della Chiesa:quella del corpo; il Concilio dice che la Chiesa èCorpo di Cristo (cfr. Lumen gentium, 7). (...) Quando Gesù è salito al cielo non ci ha lascia-ti orfani, ma con il dono dello Spirito Santo l’u-nione con Lui è diventata ancora più intensa. IlConcilio Vaticano II afferma che Gesù «comuni-cando il suo Spirito, costituisce misticamente comesuo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutti i popo-li» (Cost. dogm. Lumen gentium, 7). L’immagine del corpo ci aiuta a capire questo pro-fondo legame Chiesa-Cristo, che san Paolo hasviluppato in modo particolare nella PrimaLettera ai Corinzi (cfr cap. 12). Anzitutto il corpoci richiama ad una realtà viva. La Chiesa non è un’associazione assistenziale,culturale o politica, ma è un corpo vivente, checammina e agisce nella storia. E questo corpoha un capo, Gesù, che lo guida, lo nutre e lo sor-regge. Questo è un punto che vorrei sottolinea-

re: se si separa il capo dal resto del corpo, l’in-tera persona non può sopravvivere. Così è nel-la Chiesa: dobbiamo rimanere legati in modo sem-pre più intenso a Gesù. Ma non solo questo: comein un corpo è importante che passi la linfa vita-le perché viva, così dobbiamo permettere che Gesùoperi in noi, che la sua Parola ci guidi, che la suapresenza eucaristica ci nutra, ci animi, che il suoamore dia forza al nostro amare il prossimo. Equesto sempre! Sempre, sempre! Cari fratelli e sorelle, rimaniamo uniti a Gesù, fidia-moci di Lui, orientiamo la nostra vita secondo ilsuo Vangelo, alimentiamoci con la preghiera quo-tidiana, l’ascolto della Parola di Dio, la parteci-pazione ai Sacramenti. E qui vengo ad un secon-do aspetto della Chiesa come Corpo di Cristo. San Paolo afferma che come le membra del cor-po umano, pur differenti e numerose, formano unsolo corpo, così tutti noi siamo stati battezzati median-te un solo Spirito in un solo corpo (cfr 1Cor 12,12-13). Nella Chiesa quindi, c’è una varietà, una diver-sità di compiti e di funzioni; (...) Però c’è la comunione e l’unità: tutti sono in rela-zione gli uni con gli altri e tutti concorrono a for-mare un unico corpo vitale, profondamente lega-to a Cristo. Ricordiamolo bene: essere parte del-la Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo e rice-vere da Lui la vita divina che ci fa vivere comecristiani, vuol dire rimanere uniti al Papa e ai Vescoviche sono strumenti di unità e di comunione, e vuoldire anche imparare a superare personalismi edivisioni, a comprendersi maggiormente, ad armo-nizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno; inuna parola a voler più bene a Dio e alle perso-ne che ci sono accanto, in famiglia, in parrocchia,nelle associazioni. Corpo e membra per viveredevono essere uniti! L’unità è superiore ai con-

flitti, sempre! (...)Il conflitto può aiutarci a crescere, ma anche puòdividerci. Non andiamo sulla strada delle divisioni,delle lotte fra noi! Tutti uniti, tutti uniti con le nostredifferenze, ma uniti, sempre: questa è la stradadi Gesù. L’unità è superiore ai conflitti. L’unità èuna grazia che dobbiamo chiedere al Signore per-ché ci liberi dalle tentazioni della divisione, del-le lotte tra noi, degli egoismi, delle chiacchiere.Quanto male fanno le chiacchiere, quanto male!Mai chiacchierare degli altri, mai! Quanto dannoarrecano alla Chiesa le divisioni tra i cristiani, l’es-sere di parte, gli interessi meschini! Le divisionitra noi, ma anche le divisioni fra le comunità: cri-stiani evangelici, cristiani ortodossi, cristianicattolici, ma perché divisi? Dobbiamo cercare diportare l’unità. (...) Ma come avremo l’unità fra icristiani se non siamo capaci di averla tra noi cat-tolici? Di averla nella famiglia? Quante famiglielottano e si dividono! Cercate l’unità, l’unità chefa la Chiesa. L’unità viene da Gesù Cristo. Lui ciinvia lo Spirito Santo per fare l’unità. (...)”Dopo i saluti nelle diverse lingue ai tantissimi grup-pi che affollavano piazza S. Pietro, papaFrancesco ha concluso l’udienza generale conalcuni appelli. Il primo era per i rifugiati:“Domani si celebrerà la Giornata Mondiale delRifugiato. Quest’anno siamo invitati a conside-rare specialmente la situazione delle famiglie rifu-giate, costrette spesso a lasciare in fretta la lorocasa e la loro patria e a perdere ogni bene e sicu-rezza per fuggire da violenze, persecuzioni, o gra-vi discriminazioni a motivo della religione professata,dell’appartenenza ad un gruppo etnico, delle loroidee politiche. Oltre ai pericoli del viaggio, spes-so queste famiglie si trovano a rischio di disgre-gazione e, nel Paese che li accoglie, devono con-frontarsi con culture e società diverse dalla pro-pria. Non possiamo essere insensibili verso le fami-glie e verso tutti i nostri fratelli e sorelle rifugia-ti: siamo chiamati ad aiutarli, aprendoci alla com-prensione e all’ospitalità. Non manchino in tuttoil mondo persone e istituzioni che li assistano: nelloro volto, è impresso il volto di Cristo!”E’ poi passato ai saluti conclusivi: “Rivolgo un cor-diale benvenuto a tutti i fedeli di lingua italiana:parrocchie, associazioni, gruppi, enti vari. In par-ticolare, ai pellegrinaggi delle Diocesi di Pozzuoli,Lecce, Velletri-Segni e Alessandria, guidati dairispettivi Pastori. Saluto i fedeli di Osimo, con illoro Arcivescovo, della Vicaria di Marino, con ilVescovo di Albano; e quelli della Parrocchia deiSanti Crisante e Daria, in Roma. Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli amma-lati e agli sposi novelli. Ringrazio tutti per la pre-senza a questo incontro. Vi chiedo di pregare perme e per il mio servizio alla Chiesa, e auspicoper ciascuno di voi abbondanti grazie, perché sia-no rafforzati i vostri generosi propositi di fedeltàalla chiamata del Signore”.

causa e tutti partecipi della stessa missione, come ci è stato ricordato nel-la conclusione di Mons. Arrigo Miglio, Presidente del Comitato Scientificoe Organizzatore, con la specificità di essere portatori di un Valore Aggiunto:l’Amore, che ci precede, ci è donato ed ha il volto concreto di Gesù Cristo,da rendere presente in ogni periferia umana, secondo la felice espres-sione di Papa Francesco. Senza dubbio, oltre tutti i contributi di idee rac-

colti in questi intensi giorni, proprio Papa Francesco può insegnare allaChiesa italiana ciò che è più importante e decisivo: l’atteggiamento e lostile necessari per svolgere il proprio servizio all’intera società nella pro-mozione e valorizzazione della famiglia. Vale a dire la capacità di ascol-to e di attenzione a tutti, la disponibilità semplice alla condivisione e allacollaborazione, la speranza cristiana gioiosa ed esigente, che sono i segnidistintivi dell’opera dello Spirito del Risorto nel cuore di ogni credente.

segue da pag. 3

55OttobreOttobre20132013

sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

24 luglio, Ospedale Sao Francisco de Asis na Providencia.

“Oggi, in questo luogo di lotta contro la dipen-denza chimica, vorrei abbracciare ciascuno eciascuna di voi, che siete la carne di Cristo, echiedere che Dio riempia di senso e di fermasperanza il vostro cammino, e anche il mio.Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbrac-ciare chi è nel bisogno, come ha fatto san Francesco.Ci sono tante situazioni in Brasile, nel mondo,che chiedono attenzione, cura, amore, come lalotta contro la dipendenza chimica. Spesso, inve-ce, nelle nostre società ciò che prevale è l’e-goismo. Quanti “mercanti di morte” che seguo-no la logica del potere e del denaro ad ogni costo! La piaga del narcotraffico, che favorisce la vio-lenza e semina dolore e morte, richiede un attodi coraggio di tutta lasocietà. Non è con laliberalizzazione dell’u-so delle droghe, comesi sta discutendo in varieparti dell’America Latina,che si potrà ridurre ladiffusione e l’influenzadella dipendenza chi-mica. E’ necessario affrontarei problemi che sono allabase del loro uso, pro-muovendo una maggioregiustizia, educando i gio-vani ai valori che costrui-scono la vita comune,accompagnando chi èin difficoltà e donandosperanza nel futuro. Cari amici, vorrei direa ciascuno di voi, masoprattutto a tanti altriche non hanno avutoil coraggio di intra-prendere il vostro cam-mino: Sei protagonistadella salita! Troverai la mano tesadi chi ti vuole aiutare,ma nessuno può fare la salita al tuo posto. Manon siete mai soli! La Chiesa e tante personevi sono vicine. Guardate con fiducia davanti a voi, la vostra èuna traversata lunga e faticosa, ma guardate avan-ti, c’è «un futuro certo, che si colloca in una pro-spettiva diversa rispetto alle proposte illusoriedegli idoli del mondo, ma che dona nuovo slan-cio e nuova forza al vivere quotidiano» (Lett. enc. Lumen fidei, 57). A tutti voi vorrei ripetere: non lasciatevi rubarela speranza! Non lasciatevi rubare la speranza!Ma vorrei dire anche: non rubiamo la speran-za, anzi diventiamo tutti portatori di speranza!

25 luglio, nella favela di Varginha.

1. Vorrei fare appello a chi possiede più risor-se, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini dibuona volontà impegnati per la giustizia socia-le: non stancatevi di lavorare per un mondo piùgiusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianzeche ancora ci sono nel mondo! Ognuno,secondo le proprie possibilità e responsabilità,sappia offrire il suo contributo per mettere finea tante ingiustizie sociali. Non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo,che spesso regola la nostra società, quella checostruisce e porta ad un mondo più abitabile;ma la cultura della solidarietà; la cultura dellasolidarietà è vedere nell’altro non un concorrenteo un numero, ma un fratello. E tutti noi siamo fratelli!Nessuno sforzo di “pacificazione” sarà duratu-ro, non ci saranno armonia e felicità per una socie-tà che ignora, che mette ai margini e che abban-dona nella periferia una parte di se stessa.

Non lasciamo entrare nel nostro cuore la cul-tura dello scarto, perché noi siamo fratelli. Nessunoè da scartare”. Ricordiamolo sempre: solo quan-do si è capaci di condividere ci si arricchisce vera-mente; tutto ciò che si condivide si moltiplica!La misura della grandezza di una società è datadal modo con cui essa tratta chi è più bisognoso,chi non ha altro che la sua povertà!2. Certamente è necessario dare il pane a chiha fame; è un atto di giustizia. Ma c’è anche unafame più profonda, la fame di una felicità chesolo Dio può saziare. Fame di dignità. Non c’è né vera promozione del bene comune,né vero sviluppo dell’uomo, quando si ignora-

no i pilastri fondamentali che reggono una Nazione,i suoi beni immateriali: la vita, che è dono di Dio,valore da tutelare e promuovere sempre; la fami-glia, fondamento della convivenza e rimedio con-tro lo sfaldamento sociale; l’educazione integrale,che non si riduce ad una semplice trasmissio-ne di informazioni con lo scopo di produrre pro-fitto; la salute, che deve cercare il benessereintegrale della persona, anche della dimensio-ne spirituale, essenziale per l’equilibrio umanoe per una sana convivenza; la sicurezza, nellaconvinzione che la violenza può essere vinta soloa partire dal cambiamento del cuore umano.3.Voi, cari giovani, avete una particolare sen-sibilità contro le ingiustizie, ma spesso siete delu-si da fatti che parlano di corruzione, da perso-ne che, invece di cercare il bene comune, cer-cano il proprio interesse. Anche a voi e a tuttiripeto: non scoraggiatevi mai, non perdete la fidu-cia, non lasciate che si spenga la speranza. La realtà può cambiare, l’uomo può cambiare.Cercate voi per primi di portare il bene, di nonabituarvi al male, ma di vincerlo con il bene.

La Chiesa vi accompagna, portandovi il beneprezioso della fede, di Gesù Cristo, che è «venu-to perché abbiano la vita e l’abbiano in abbon-danza» (Gv 10,10).

25 luglio, incontro con i giovani argentini nel-la cattedrale di Rio.

“Come conseguenza della Giornata dellaGioventù spero che ci sia chiasso. Qui a Rio cisarà chiasso. Però io voglio che vi facciate sen-tire nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglioche la Chiesa esca per le strade, voglio che ci

continua a pag. 6

66 OttobreOttobre20132013

difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immo-bilismo, comodità, clericalismo, da tutto quelloche è l’essere chiusi in noi stessi. Le parrocchie,le scuole, le istituzioni sono fatte per uscire fuo-ri…, se non lo fanno diventano una ONG e laChiesa non può essere una ONG. Io penso che, in questo momento, questa civil-tà mondiale sia andata oltre i limiti, perché hacreato un tale culto del dio denaro che siamoin presenza di una filosofia e di una prassi diesclusione dei due poli della vita che sono lepromesse dei popoli. Esclusione degli anziani,ovviamente. Uno potrebbe pensare che ci sia una specie dieutanasia nascosta, cioè non ci si prende curadegli anziani; ma c’è anche un’eutanasia cul-turale, perché non li si lascia parlare, non li silascia agire. E l’esclusione dei giovani. La per-centuale che abbiamo di giovani senza lavoro,senza impiego, è molto alta e abbiamo una gene-razione che non ha esperienza della dignità gua-dagnata con il lavoro. Questa civiltà ci ha portato a escludere i duevertici che sono il nostro futuro. Allora i giova-ni devono emergere, devono farsi valere,devono uscire per lottare per questi valori; e glianziani devono aprire la bocca e insegnarci!Trasmetteteci la saggezza dei popoli!Sappiate che in questo momento voi, giovani,e gli anziani, siete condannati allo stesso desti-no: esclusione. Non vi lasciate escludere. La Crocecontinua a far scandalo. Ma è l’unico camminosicuro: quello della Croce, quello di Gesù, quel-lo dell’Incarnazione di Gesù. Per favore, non “frul-late” la fede in Gesù Cristo. C’è il frullato di aran-cia, di mela, di banana, ma per favore non beve-te “frullato” di fede. La fede è intera, non si frulla. E’ la fede in Gesù.E’ la fede nel Figlio di Dio fatto uomo, che miha amato ed è morto per me. Allora: fatevi sentire; abbiate cura degli estre-mi della popolazione, che sono gli anziani e igiovani; non lasciatevi escludere e che non siescludano gli anziani. Secondo: non “frullate”la fede in Gesù Cristo. Con queste due cose ave-te il Piano d’azione: le Beatitudini e Matteo 25.Non avete bisogno di leggere altro. Ve lo chie-do con tutto il cuore”.

25 luglio, festa di accoglienza dei giovani sullungomare di Copacabana.

“Siete in tanti! Venite da tutti i continenti! Sietespesso distanti non solo geograficamente, maanche dal punto di vista esistenziale, culturale,sociale, umano. Ma oggi siete qui, anzi oggi sia-mo qui, insieme, uniti per condividere la fede ela gioia dell’incontro con Cristo, dell’essere suoidiscepoli. Oggi desidera venire qui per confermarvi in que-sta fede, la fede nel Cristo vivente che dimorain voi, ma sono venuto anche io per essere con-fermato dall’entusiasmo della vostra fede! Voisapete che nella vita di un vescovo ci sono tan-ti problemi che richiedono di essere risolti. E conquesti problemi e difficoltà, la fede di un vesco-

vo può rattristarsi.Perché la mia fede non siatriste sono venuto qui per essere contagiato dal-l’entusiasmo di tutti voi!All’omelia: “Bota fé - metti fede”. La croce della Giornata Mondiale della Gioventùha gridato queste parole lungo tutto il suo pel-legrinaggio attraverso il Brasile. Così è anchenella nostra vita cari giovani: se vogliamo cheessa abbia veramente senso e pienezza,come voi stessi desiderate e meritate, dico a cia-scuno e a ciascuna di voi: “metti fede” e la vitaavrà un sapore nuovo, la vita avrà una busso-la che indica la direzione; “metti speranza” e ognituo giorno sarà illuminato e il tuo orizzonte nonsarà più oscuro, ma luminoso; “metti amore” ela tua esistenza sarà come una casa costruitasulla roccia, il tuo cammino sarà gioioso, per-ché incontrerai tanti amici che camminano conte. Ma chi può donarci tutto questo? Nel Vangelo la risposta: Cristo. Per questo oggi vi dico, a ciascuno di voi: “met-ti Cristo” nella tua vita e troverai un amico di cuifidarti sempre; “metti Cristo” e vedrai crescerele ali della speranza per percorrere con gioia lavia del futuro; “metti Cristo” e la tua vita saràpiena del suo amore, sarà una vita feconda. Perchétutti noi desideriamo avere una vita feconda, unavita che dona vita agli altri! Certo l’avere, il dena-ro, il potere possono dare un momento di ebbrez-za, l’illusione di essere felici, ma, alla fine, sonoessi che ci possiedono e ci spingono ad averesempre di più, a non essere mai sazi. E finia-mo “riempiti”, ma non nutriti, ed è molto tristevedere una gioventù “riempita”, ma debole. La gioventù deve essere forte, nutrirsi della suafede e non riempirsi di altre cose! “Metti Cristo”nella tua vita, metti in Lui la tua fiducia e nonsarai mai deluso! Cari amici, la fede è rivolu-zionaria”.

26 luglio, all’Angelus dal balconedell’Arcivescovado di Rio.

“Oggi la Chiesa celebra i genitori della VergineMaria, i nonni di Gesù: i santi Gioacchino e Anna.Il valore prezioso della famiglia come luogo pri-vilegiato per trasmettere la fede! Oggi, in questa festa dei santi Gioacchino edAnna in Brasile come in altri Paesi, si celebrala festa dei nonni. Quanto sono importanti nella vita della famigliaper comunicare quel patrimonio di umanità e difede che è essenziale per ogni società! E comeè importante l’incontro e il dialogo tra le gene-razioni, soprattutto all’interno della famiglia. Questo rapporto, questo dialogo tra le genera-zioni è un tesoro da conservare e alimentare!In questa Giornata della Gioventù, i giovani voglio-no salutare i nonni”.

26 luglio, Via Crucis con i giovani sul lungomare di Copacabana.

“Cari fratelli, nessuno può toccare la Croce diGesù senza lasciarvi qualcosa di se stesso e

senza portare qualcosa della Croce di Gesù nel-la propria vita. Tre domande vorrei che risuo-nassero nei vostri cuori questa sera accompa-gnando il Signore: Che cosa avete lasciato nel-la Croce voi, cari giovani del Brasile, in questidue anni in cui ha attraversato il vostro immen-so Paese? E che cosa ha lasciato la Croce diGesù in ciascuno di voi? E infine, cosa insegnaalla nostra vita questa Croce?1. Gesù con la sua Croce prende su di sé le nostrepaure, i nostri problemi, le nostre sofferenze, anchele più profonde. Con la Croce Gesù si unisceal silenzio delle vittime della violenza, che ormainon possono più gridare, soprattutto gli innocentie gli indifesi; con la Croce, Gesù si unisce allefamiglie che sono in difficoltà, e che piangonola tragica perdita dei loro figli, come nel casodei 242 giovani vittime dell’incendio nella cittàdi Santa María all’inizio di quest’anno. Preghiamoper loro. Con la Croce Gesù si unisce a tutte le perso-ne che soffrono la fame in un mondo che, dal-l’altro lato, si permette il lusso di gettare via ognigiorno tonnellate di cibo; con la Croce, Gesù èunito a tante madri e padri che soffrono veden-do i propri figli vittime di paradisi artificiali comela droga; con la Croce, Gesù si unisce a chi èperseguitato per la religione, per le idee, o sem-plicemente per il colore della pelle; nella Croce,Gesù è unito a tanti giovani che hanno persola fiducia nelle istituzioni politiche perché vedo-no l’egoismo e la corruzione o che hanno per-so la fede nella Chiesa, e persino in Dio, perl’incoerenza di cristiani e di ministri del Vangelo.Nella Croce di Cristo c’è la sofferenza, il pec-cato dell’uomo, anche il nostro, e Lui accoglietutto con le braccia aperte.2. Che cosa lascia la Croce in ciascuno di noi?Lascia un bene che nessuno può darci: la cer-tezza dell’amore fedele di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro pec-cato e lo perdona, entra nella nostra sofferen-za e ci dona la forza per portarla, entra anchenella morte per vincerla e salvarci. Nella Crocedi Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immen-sa misericordia. Cari giovani, fidiamoci di Gesù, perché Lui nondelude mai nessuno! Solo in Cristo morto e risor-to troviamo la salvezza e la redenzione. Con lui,il male, la sofferenza e la morte non hanno l’ul-tima parola, perché Lui ci dona speranza e vita:ha trasformato la Croce dall’essere uno strumentodi odio, di sconfitta e di morte ad essere un segnodi amore, di vittoria, di trionfo e di vita.3. Ma la Croce di Cristo invita anche a lasciar-ci contagiare da questo amore, ci insegna a guar-dare sempre l’altro con misericordia e amore,soprattutto chi soffre, chi ha bisogno di aiuto,chi aspetta una parola, un gesto, la Croce ci invi-ta ad uscire da noi stessi per andare loro incon-tro e tendere loro la mano.

continua nel prossimo numero

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77OttobreOttobre20132013

Pier Giorgio Liverani

MM entre il Parlamento si sta occupando, con la giustificazio-ne della “omofobia”, di avviare lo smontaggio graduale eindolore della famiglia con il primo riconoscimento legis-

lativo di alcuni “diritti” specifici della condizione omosessuale, alcuneamministrazioni comunali stanno tentando di fare altrettanto al loro livel-lo. Cercano di cancellare le due figure portanti del padre e della madrecon la stessa finalità di accostare e parificare alla famiglia quella cheè soltanto e non di più una semplice convivenza di fatto di due per-sone omosessuali: due donne o due uomini con figli ovviamente otte-nuti “artificialmente” o adottati. L’“operazione omofobia” ideologica e parlamentare – del tutto inutileai fini dichiarati, perché le leggi penali già tutelano la vita, l’incolumi-tà, la dignità e l’onore di qualsiasi persona – non può essere altro cheun primo formale riconoscimento sul piano giuridico della condizioneomosessuale che dovrebbe aprire la strada a tutte le altre richiestedei cosiddetti “diritti civili” artificiali delle persone gay. Ove accadesse, questo dovrebbe essere considerato legittimazioneanticostituzionale di una forma di discriminazione a favore delle per-sone con orientamenti sessuali particolari. A queste la legge in dis-cussione al Parlamento precostituisce e assicura una tutela specialee maggiore di quella già esistente per tutti, comprese altre possibilicondizioni personali (per esempio i neri).La Costituzione della Repubblica, infatti, afferma (articolo 3) che “tut-ti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla leg-ge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opi-nioni politiche, di condizioni sociali e personali”. Dopo questa discriminazione si tenta ora di fare un ulteriore passoavanti: aggiungere un’altra tutela delle convivenze gay, che si voglio-no in qualche modo sempre più paritari parificare alla famiglia auten-tica. Si tratta dei tentativi di alcune amministrazioni comunali anchemolto importanti (vedi i casi di Bologna e di Venezia) di cancellare inomi – e quindi le figure ben distinte – di madre e di padre dei bam-bini che frequentano le scuole dell’infanzia (gli asili). Nei moduli per l’iscrizione, non si troveranno più le caselle in cui scri-vere i nomi della madre e del padre del bambino, bensì quelli del “Genitore1” e “Genitore 2” oppure “Genitore A” e “Genitore B”: questo – si affer-ma – per non creare disparità e disagio per i bambini figli di coppiesolo maschili o solo femminili, cioè con due mamme o due papà, chevivono insieme in attesa dell’“omomatrimonio”. È, insomma, un primo tentativo di parificare a livello pubblico le con-vivenze gay con la vera famiglia. In sostanza, questa è trattata comeun giocattolo da smontare un po’ alla volta (al contrario del Lego) eli-minando pian piano gli ostacoli all’uguaglianza giuridica tra convivenza

e famiglia.Finalità alla quale l’Antilingua (in questo caso la parola “Genitore” conil suo suffisso numerale o alfabetico) è sempre il più efficace strumentodi demolizione, perché ignora e quindi fa sparire le contraddizioni ele diversità, normalizza le anormalità ed esclude lo scandalo della lega-lizzazione. Se la cosa non fosse drammatica e maliziosa, bisognerebbedefinirla ridicola, perché subito nascerebbe con facilità la questionesu chi deve essere “A” e chi “B” oppure “Genitore 1” o “Genitore 2”:per esempio a chi dei due dare il primato dell’“A” o dell’“1”. E metterebbe a disagio i bambini orfani, di cui non si conoscerebbequale dei genitori è quello sopravvissuto, e i figli di una madre nubi-le e di un padre sconosciuto, perché non si saprebbe se ha una mam-ma o un papà. La gara al primato dell’1 o dell’A, di cui si diceva qual-che riga fa, non è una battuta: questi casi sorgerebbero certamentenel nome dell’uguaglianza dei diritti dei due “genitori”. All’asilo i bambini possono ancora ignorare il significato della parola“genitore” e le maestre non saprebbero se riferirsi al padre o alla madredel bambino. Contro queste stupidaggini qualche protesta è già avve-nuta. Su “Noi Donne”, lo storico mensile del femminismo nostrano, èapparsa in questi giorni una vigorosa “lettera aperta” della regista cine-matografica Iole Natoli, che parla, con qualche fondamento, di “misu-ra irrazionale e misogina”. Noi Donne scrive: “Spiacente per i rappresentanti dell’Arcigay ma que-sta volta sono in profondo disaccordo con loro”. Bene, ma la Natolinon si è accorta di cadere anch’essa nel ridicolo, perché, afferma,”quelche viene soppresso da un simile provvedimento è la parola “madre”e non “padre”, visto che “genitore” non è affatto neutro ma maschile”e quindi che il progetto dei due “genitori” maschilizza la madre e lasciaintatto il padre, secondo “il portato di una cultura patriarcale che con-tinua a sopravvivere in latenza e della quale occorre decretare la scom-parsa”. La protesta femminista, insomma, accetta il “genitore maschio”e le coppie gay maschili, ma è contro il solo “genitore” femmina e afavore delle coppie omosessuali femminili, dove due donne non dovreb-bero essere identificate entrambe con un nome maschile (“genitore”). Contiene però anche qualche cosa di positivo, perché afferma che “occor-re rispettare il principio di verità e non di finzione. Smettiamola di volernascondere ai bambini che, biologicamente, essi hanno sempre unpadre e una madre, quale che sia la scelta familiare operata dalle per-sone con le quali vivono”. E conclude che il progetto di cui si parla è quello di un “livellamentoreazionario”, concetto che va interpretato non nel senso di anti-pro-gressista che indubbiamente gli dà l’autrice, bensì che è necessariae doverosa una reazione a questi spropositi antifamiliari.

Nell’immagine del titolo: Genitori e bambini sull’altalena, opera pittorica di Bo Bartlett.

88 OttobreOttobre20132013

Don Wasim Salman*

LLa violenza è una forma di potere che si esprime con la distru-zione e le uccisioni. Dopo la guerra fredda, molti avevano sogna-to una diminuzione della violenza globale, ma gli interventi mili-

tari nel mondo - particolarmente la guerra del Golfo nel 1991 e quel-la in Somalia - fecero velocemente svanire questo sogno. Tuttavia,dopo la guerra contro l’Iraq del 2003, si ha l’impressione che l’Occidentevoglia principalmente le riserve di petrolio e di gas del Medio Orientee dell’Asia centrale, per questo vuole dominare e indebolire i paesi musul-mani. Negli anni Novanta emerge in Occidente un’ideologia che conducea rapporti negativi con le società islamiche sotto lo slogan: “The West againstthe Rest” (L’Occidente contro il resto). In altre parole, l’Islam diventa il nuovo comunismo, contro cui l’Occidentedeve combattere; d’altra parte il mondo islamico diventa sempre più anti-occidentale. E così, con l’attacco del 11 settembre 2001, si manifesta loscontro tra queste due ideologie. Il dibattito internazionale si orienta ver-so i problemi legati al rapporto con l’islam, sottolineando che il nuovo ter-rorismo è strettamente legato al radicalismo islamico, in quanto molti movi-menti giustificano le loro azioni e commettono violenze in nome di Allah.1. Religione e terrorismo Va osservato che dagli anni Settanta la violenza in Medio Oriente non muo-ve dal nazionalismo arabo, ma si fonda su motivi religiosi, tanto è veroche per legittimare la violenza il discorso sociale si sposta dal nazionali-smo all’Islam. Gli attentati suicidi che si sono moltiplicati negli ultimi decen-ni hanno per causa il fanatismo e l’irrazionalità; come si potrebbe infattisacrificare la propria vita e far saltare in aria un autobus senza essere fana-tici o irrazionali? In un attacco militare feroce ci sono per lo più ragioni poli-tiche o motivazioni personali, come la perdita dei familiari. Ma la cosa sicu-ra è che i responsabili degli attentati suicidi appartengono quasi tutti a grup-pi islamisti come Hamas e al-Jihad islamico. Ne consegue che per giustificare l’attentato la violenza politica richiamauna legittimità, delle buone ragioni. Si tratta di una interpretazione ideo-logica dei testi religiosi, del loro significato, struttura e potenzialità. Nellastoria cristiana, troviamo le Inquisizioni, le Crociate e le sanguinose guer-

re di religione. Tutte queste guerre sono state legittimate con il titolo di“Sante“. Nel 1622 furono massacrati i popoli indigeni d’America, gli india-ni, attraverso un’ideologia basata sull’Antico Testamento, quella di raggiungereil Nuovo Mondo o la nuova Gerusalemme. Va ricordato che il meccani-smo della violenza è di solito la povertà, l’ingiustizia e la repressione del-lo Stato, indubbiamente presenti in Siria e Egitto. Ma come si può giusti-ficare questa violenza tramite l’Islam? I testi del Corano contengono elementi di mitologia e di violenza univer-sale che portano l’uomo ad avere la pretesa di dominare tutto il creato. Ladifferenza tra l’Islam e il cristianesimo è che il cristianesimo fu fondato nelcuore di un sistema politico, l’Impero Romano, perciò il suo volto politiconon è presente nei suoi testi sacri, ma appare solo quando il cristianesi-mo divenne la religione ufficiale dell’Impero, a partire dal quarto secolo.L’Islam ebbe inizio nella Penisola araba nel settimo secolo, ma durante ilprimo periodo (il periodo meccano) fu caratterizzato dalla pace. Mohammed ha predicato i valori della pazienza e della speranza per otte-nere un paradiso che sta al di là di questo mondo, affinché la fede possasuperare l’incredulità. Nondimeno, il cambiamento dell’Islam comincia conil Trattato di Medina (622); esso rappresenta l’accordo che determinò ilrapporto tra la comunità dei credenti, che acquisì una determinata iden-tità religiosa e politica, e le altre comunità. E così la posizione di dolcez-za e pace cambia a favore delle azioni e dei confronti militari con i popo-li non musulmani della Penisola araba. In questa disputa però Allah nonprende una posizione neutrale tra i credenti e i loro nemici.2. Il conflitto sirianoNel 1860 i Musulmani sunniti sostenuti dagli ottomani uccidono i cristiani

a Damasco per motivi religiosi. Inoltre la sconfitta degli ottomaninella la prima guerra mondiale ha condotto alla loro politica di espul-sione e di sterminio, così che 1,5 milioni di armeni (tutti cristiani)sono stati deportati e uccisi. Gli alauiti, il gruppo religioso di cui faparte l’attuale presidente siriano, furono a loro volta perseguitati emassacrati dagli ottomani. Per questo, prendendo il potere in Siria nel 1970 con un colpo diStato, hanno suscitato l’odio della maggioranza sunnita in Siria, checerca costantemente di recuperare il diritto al califfato e di ripren-dere il potere. Ecco perché nel febbraio del 1982 nella città cen-trale siriana di Hama, i Fratelli Musulmani fecero una rivolta vio-lenta accompagnata da atti terroristici e attentati suicidi. L’esercito invece intervenne con i carri armati e gli aerei e si svol-sero combattimenti pesanti, durante i quali una gran parte della cit-tà venne distrutta, mentre 1000 soldati e 20.000 civili persero la vita. Al soffocamento della rivolta seguì un’ondata di arresti, e l’opposi-zione perse la forza di proseguire la scalata verso il potere, in quan-to il potere di Assad diventò molto forte e difficilmente minacciabi-le. Durante la prima Guerra del Golfo (1980-1988) la Siria sosten-ne l’Iran sciita contro il regime sunnita di Saddam Hussein, così come

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99OttobreOttobre20132013

dopo l’invasione delle forze irachene in Kuwait la Siria partecipò con laNATO a liberare il Kuwait contro Saddam. Dopo la morte del presidentesiriano Hafez al-Assad , il 10 giugno 2000, dopo un cambiamento dellaCostituzione venne eletto presidente il suo secondo figlio Bashar al-Assad. Sottodi lui ebbe inizio la primavera di Damasco, con la quale egli voleva fareriforme democratiche del Paese. La nuova strategia politica si manifestò infatti con il rilascio di 600 prigio-nieri politici nel novembre 2000, ma egli non portò a termine questo pro-cesso e nell’anno seguente alcuni esponenti dell’opposizione vennero arre-stati. Da marzo 2011, ci sono stati proteste con-tro il governo Assad, che nel corso dei mesihanno condotto a una guerra civile. I fratelli musul-mani, che sono stati oppressi, hanno trovatol’occasione opportuna per cercare di riprendereil potere, riproponendosi contro tutti i nemici,e cioè alauiti, sciiti, drusi e cristiani. Conclusione Dobbiamo prendere in considerazione i due mes-saggi politico e religioso, perché tutti e due potreb-

bero essere responsabili del terrorismo.La violenza basata sulla religione deve essere analizzata con senso cri-tico e serietà, per rivelare in tutte le religioni il rapporto tra storia e testisacri. La guerra in Siria ha, in ultima analisi, dei motivi religiosi, è l’ambi-zione sunnita a dominare e a cercare di ritrovare il califfato perduto sindalla prima guerra mondiale. L’odio è troppo grande, e l’opposizione ha molti membri di Al Qaeda. Nonci sono molte scelte in Siria per il momento, o il regime di Assad nonostantetutti i suoi difetti, o l’opposizione fondamentalista e terrorista. Ma se sia-mo d’accordo che un processo democratico richiede del tempo, sarà assur-

do dire ai siriani o agli egiziani quale è il model-lo democratico ideale per i loro paesi. Bisogna aiutare questi popoli a ripensare laloro storia e a formulare il modello adeguatodi governo che assicuri per loro la pace, la giu-stizia e l’uguaglianza tra tutte le religioni e cetisociali.

*Docente di teologia dogmatica pressol’Istituto teologico leoniano di Anagni

Papa Francesco ha nominato suo penitenziere il rev.Konrad Krajewski fino ad allora cerimoniere pontifi-cio consacrandolo arcivescovo, partecipiamo alla suagioia ricordando il suo prezioso aiuto durante la Visitadi Papa Benedetto XVI a Velletri. Cogliamo l’occasione non solo per formulare i miglio-ri auspici per il suo delicato incarico ma anche per assi-curare il nostro ricordo nelle preghiera.

(n. dir.)

Anche Francesco ha partecipato alla consacrazione dimonsignor Konrad Krajewski:

“Il Papa vuole che io vada da loro, senza aspettare chesiano loro a bussare alle porte del Vaticano”.

Andrea Tornielli, Città del Vaticano

IIl Papa vuole che il suo elemosiniere vada allaricerca dei poveri, senza aspettare che sia-no loro a bussare alle porte del Vaticano. Lo

ha confidato nel saluto al termine della consacrazioneepiscopale il nuovo elemosiniere Konrad Krajewski,50 anni il prossimo novembre, nominato lo scor-so 3 agosto successore dell’arcivescovo Guido Pozzo.La cerimonia è avvenuta ieri pomeriggio all’alta-re della Cattedra nella basilica di San Pietro. Il Papa non ha concelebrato, informa “L’OsservatoreRomano”, ma ha assistito prendendo posto sul latodestro dell’altare e al momento della consacrazioneha imposto anche lui le mani sul nuovo vescovo.A presiedere il rito c’era il cardinale Giuseppe Bertello,presidente del Governatorato, assistito dai vesco-vi Piero Marini, già maestro della cerimonie di GiovanniPaolo II e per i primi anni di Benedetto XVI, e mon-signor Władysław Ziółek, vescovo emerito di Łódź. Al termine del rito, il nuovo arcivescovo elemosi-niere, che ha l’incarico di occuparsi della carità delPapa, ha ringraziato il Francesco “per le sue pre-

ghiere e per la sua fiducia”, sottoli-neando come gli abbia dato con que-sto incarico “la possibilità di adora-re e toccare Gesù nelle persone pove-re, abbandonate, emarginate. Mi permette di scoprire il volto di Gesùin quello del mio prossimo. Vuole cheio vada alla loro ricerca senzaaspettare che siano loro a bussarealle porte del Vaticano. Santità, so che devo essere sacer-dote della vasca e dell’asciugama-no» ha detto, rivolgendosi direttamentea Bergoglio. Monsignor Krajewski,per spiegare la sua missione, ha descrit-to il mosaico della crocifissione rea-lizzato dal gesuita sloveno IvanRupnik nella cappella RedemptorisMater, in Vaticano.“A destra della croce - ha detto - c’èla figura del centurione romano. Nonvediamo il volto del soldato. È rivol-to verso Cristo, che ha gli occhi chiusi, mentre Mariaabbraccia, da dietro, Gesù e raccoglie nella suamano il sangue e l’acqua che sgorgano dal costa-to e comunicano la salvezza che egli ha opera-to. Mentre fa questo gesto, guarda il centurionee vede il suo volto». Il presule ha spiegato che inPolonia «si dice che le persone cattive non han-no il volto. Addirittura lo hanno perso. Maria, però,guarda il centurione. Lui, uno degli uomini che han-no crocifisso Gesù, dovrebbe essere senza vol-to, invece lei lo vede”. L’elemosiniere ha aggiun-to: “Solo chi veramente ama, riesce a vedere i vol-ti di coloro che per tutti gli altri sono senza volto:i dispersi, gli ultimi, i lontani o i non credenti. Maria vede il volto di colui che era uno straniero,un non credente. Tuttavia, proprio lui per primoha confessato la fede in Cristo: costui era vera-mente il Figlio di Dio! Quindi non è vero che è unostraniero, un uomo perso e un lontano, anzi è ilprimo e il più vicino”. Un insegnamento molto attuale per gli uomini ele donne di oggi. “Bisogna dire - ha spiegato - chese noi qui presenti non vediamo il volto del sol-dato, vuol dire che ancora non amiamo come Maria,

che amiamo troppo poco! Mariafa un invito a ciascuno di noi: cre-scere nell’amore per aprirci aglialtri; trovare Dio attraverso gli altri”. Krajewski ha quindi ringraziatoi presenti per l’amicizia: “GiovanniPaolo II ha detto che il vero ami-co è la persona grazie alla qua-le diventiamo migliori. Posso dire che, dopo 14 anni dilavoro in Vaticano, proprio gra-zie a voi sono diventato miglio-re. Quindi posso dire che sietei miei veri amici!”. E ha aggiunto: “Da subito mi ave-te chiamato “padre Corrado”. Graziedi questa fiducia, di questo beltitolo che comprende il programmadella mia vita. Vi chiedo umilmentedi lasciarmi questo titolo, di con-tinuare a chiamarmi “padreCorrado”. Io devo essere soprat-

tutto padre per me stesso e per gli altri”. Il momento più commovente è stato quello in cuiKrajewski ha parlato di un sacerdote - presentealla messa di ieri - che lo accompagna fin da quan-do era ragazzo. “Era la guida spirituale di noi ragaz-zi e lo era anche per le nostre famiglie. La suacasa era sempre aperta per noi giovani. La suamamma spesso doveva fare il miracolo della mol-tiplicazione dei piatti perché, senza nessunpreavviso, andavamo alla canonica e restavamoa mangiare lì. Il mobile più importante della suacasa era l’inginocchiatoio. Lo vedevamo spessoraccolto in preghiera. Con lui facevamo i famosipellegrinaggi a piedi a Częstochowa. Non tene-va ai beni materiali perché ci pagava i campi diformazione religiosa, le scuole, il seminario, i libri,le prime tonache. Aiutava tante famiglie”. “Lui - ha concluso - è il vero elemosiniere. Uomodi poche parole e di tante opere di bontà senzanessuna pubblicità! Mi permetto proprio qui di bacia-re le sue mani e in questo modo ringraziare voitutti”.

*da www.vaticaninsider.it del 18.09.2013

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1010 OttobreOttobre20132013

don Andrea Pacchiarotti

CCon questo contributo vorrei cominciare a condividere sulnostro giornale diocesano una serie di considerazioni sul-la Sacrosanctum Concilium documento conciliare sulla sacra

liturgia. A distanza di quattro secoli esatti dalla chiusura del Conciliodi Trento, il Vaticano II concluse una svolta radicale: quella di dichia-rare la liturgia “culmine e fonte” della vita della Chiesa e di fare un’ac-curata riforma generale della liturgia. Il 4 dicembre 1963, infatti, veniva approvato dal Concilio, con vota-zione plebiscitaria (4 contrari su 2147 favorevoli), il suo primo docu-mento: la Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia.Un evento storico di straordinaria rilevanza, non solo perché per laprima volta un Concilio ecumenico si è interessato della liturgia nel-la sua globalità, nei suoi contenuti teologico-celebrativi e nella suadimensione pastorale, ma anche perché, era il primo documento con-ciliare. Sacrosanctum Concilium è la prima Costituzione che anda-va a coronare un cinquantennio di lavoro da parte del Movimento Liturgicoche, pur avendo radici lontane – basti qui ricordare le voci e gli scrit-ti di Muratori e Rosmini nella sua nota opera “Le cinque piaghe del-la Santa Chiesa“ - aveva preso le mosse dal Motu proprio “Tra le sol-lecitudini“ (22 novembre 1903) di Pio X cui si deve la celebre espres-sione circa la liturgia, prima sorgente del genuino spirito cristiano.È da questo documento di Pio X che si è sviluppato un intenso fio-rire di studi e di ricerche di carattere storico-teologico e d’iniziativepastorali, al fine di restituire la liturgia al popolo e il popolo alla litur-gia. In tal senso il Movimento Liturgico ha costituito la punta più altae il livello più riconoscibile di tale storia, caratterizzata dall’esperienzaliturgica della tradizione monastica e dalla sofferta azione pastoraledi non pochi responsabilinel ministero.Perciò la Costituzionedel Vat icano I ISacrosanctum Conciliumè certamente il fruttomaturo di una storia piùche centenaria. Non èfuori luogo ricordare chela discussione in aulainiziò il 22 ottobre e siterminò il 13 novembre1962: occupò 15Congregazioni generalie raccolse 642 interventi,di cui 328 letti in aula.L’intero materiale, per-fezionato dal laCommissione conci-liare articolata con 13sottocommissioni, chevi dedicò 57 riunioni ple-narie, fu sottoposto aoltre 100 votazioni inaula, con ben 85 modi-

fiche, ottenendo infine l’approvazione plenaria, con il dissenso di soli4 voti. Tanta convergenza stava a dimostrare sia l’interesse per l’ambito litur-gico, sia il riconoscimento del valore del testo conciliare. Ravvivarnela memoria e darne un’adeguata informazione, può essere di aiutoalla vita liturgica della nostra comunità diocesana. Questo Documento conciliare senza rinnegare la tradizione, con corag-gio e determinazione veniva incontro alle mutate situazioni culturalidella Chiesa, soggette a cambiamenti.Di fatto, favorevole, fu il periodo storico in ci si svolge il Vaticano II:la Liturgia, che è l’espressione più alta e più vasta della Chiesa nonpoteva restare al di fuori di questa trasformazione. Sacrosanctum Concilium è riconosciuta come il cuore del Concilio,essa, di fatto, racchiude la Dei Verbum e offre la genuina natura emissione della Chiesa non inferiore alla Lumen Gentium, che inse-risce nel mistero pasquale di Cristo il fondamento della nostra fede.In effetti, la discussione e l’approvazione di Sacrosanctum Conciliumfurono come il preludio che anticipò e spianò la strada ai grandi temiche il Concilio avrebbe affrontato.A cinquantanni anni dalla sua promulgazione, possiamo dire che essafu e rimane un evento storico anche per i suoi sviluppi e aspetti pasto-rali. Paolo VI, consapevole del valore e del significato di quanto eraavvenuto, si fece interprete della gioia di tutta la Chiesa con questeparole: “Non è stata senza frutto l’ardua e intricata discussione suuno dei temi, il primo esaminato ed il primo, in certo senso, nell’ec-cellenza intrinseca e nell’importanza per la vita della Chiesa, quellosulla sacra liturgia, ed oggi da noi solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato. Noi vi ravvisiamo l’osse-quio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto, la preghieraprima nostra obbligazione; la liturgia, prima fonte della vita divina anoi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo donoche noi possiamo fare al popolo cristiano con noi credente e oran-te, e primo invito al mondo perché sciolga in preghiera beata e vera-ce la muta sua lingua e senta l’ineffabile potenza rigeneratrice delcantare con noi le lodi divine e le speranze umane per Cristo e nel-lo Spirito Santo”.Questi desiderata di Paolo VI ci introducono nella conoscenza del-la Sacrosanctum Concilium: la partecipazione, piena, attiva, consa-

pevole rappresente-ranno per noi la neces-sità di lettura di taledocumento. L’actuosa participa-tio si compie attraversola consapevolezzache l’azione liturgicanon esprime un fattoprivato, ma che ogniatto celebrativo è azio-ne della Chiesa ecome tale tiene con-to, della dimensionelocale della Chiesa par-ticolare, tanto da pre-supporre un’adatta-bilità comunitaria del-la Sacra Liturgia, nonnei suoi principi teo-logici ma nella sceltacelebrativa che più siadatta alla cultura delsingolo popolo di Dio.

1111OttobreOttobre20132013

Rigel Langella*

Il tema della creazione e della custodia del crea-to rimanda al pensiero teologico sui problemiambientali. Questa riflessione che si è arricchitadi contenuti, concetti e metodi non vuole rima-nere confinata nelle facoltà teologiche o nellesacrestie. La teologia è base necessaria di un’e-cologia davvero cristiana perché senza cono-scere il vero volto di Dio e la sua signoria sul-la creazione, non si può comprendere la por-tata della responsabilità affidata ai credenti. Spesso,infatti, anche una certa ecologia fatta da cristianinon poteva dirsi autenticamente cristiana, per-ché limitata alle preoccupazioni novecenteschesulle varie questioni ambientali.Con l’obiettivo di offrire un servizio alla socie-tà civile nel suo complesso esce per i tipi del-la EDB il saggio: Custodire il creato. Teologia,etica e pastorale. Il volume raccoglie i testi pro-dotti dal gruppo Custodia del Creato, un “pen-satoio” teologico promosso dalla CEI (Ufficionazionale per i problemi sociali e il lavoro e Servizionazionale per il progetto culturale).Il filo rosso della pubblicazione, come sottoli-nea Roberto Presilla nell’Introduzione, è l’invi-to a pensare l’incontro tra Dio e l’uomo nel luo-go e nel tempo che Dio stesso ha creato:“Nel celebre motto di s. Ireneo, gloria enim Deivivens homo, vita autem hominis visio Dei, lavita stessa dell’uomo, così come quella del crea-to, dipendono da Dio, che si gloria della vitadell’uomo. Insomma Dio e l’uomo si incontra-no nel creato, insieme il luogo e il tempo di que-sto incontro”. I diversi contributi, dunque, propongono tema-tiche utili a ripensare ed educare cristianamentela sensibilità per i problemi ambientali. Dopo la Presentazione, affidata a Roberto Repole

e Sergio Bastianel, presidenti rispettivamentedelle associazioni teologiche ATI e ATISM, checollaborano attivamente al “pensatoio” CEI, ilvolume si articola in tre parti:-Disegnare spazi educativi (Casile, Morandini);-Percorrere il creato tra etica e teologia (Barbi,Scanziani, Lorenzetti, Quaranta, Guenzi)-Le buone pratiche del custodire (Bressan, Scalmana,Mascia).Il saggio che apre il volume è affidato a mons.Casile ed è dedicato al tema specifico dell’e-ducare, riferito in particolare alla custodia delcreato, che coniuga la cultura biblica della “custo-dia” con l’esigenza formativa, affidata alla comu-nità cristiana, a partire dalla famiglia, fondamentodella società e chiesa domestica. Una prospettivain sintonia con il recente Messaggio per l’VIIIGiornata per la custodia del creato, che si cele-bra ogni anno a livello nazionale il 1 settem-bre, mentre in Diocesi quest’anno si celebre-rà il 6 ottobre a Colleferro, che sottolinea in que-sto tormentato 2013, non tanto e non solo i rap-porti con le “cose”, ma l’ecologia dei rapportiinterpersonali, a favore della gratuità e controla cultura dello “scarto”.Casile fornisce in una sintesi efficace, che spa-zia dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla vitadella chiesa al Magistero più recente, le chia-vi di lettura per declinare l’azione dei creden-ti nei confronti della Terra: “l’approccio cristia-no alle tematiche ambientali parla anzitutto dicreato, perché riconosce in Dio Padre, il Creatoredel cielo e della terra, come professiamo nelCredo. Mi sembra più opportuno declinare l’a-zione dell’uomo nei confronti del creato usan-do il verbo “custodire”, che richiama il coltiva-re e il custodire della Genesi, il promuovere eil proteggere, e non il verbo “salvaguardare”,che sembra esprimere soltanto la preoccupa-

zione di non rovinare qualcosa”.Oltre la scientificità e l’indubbia acribia criticadegli Autori si ravvisa, nell’architettura armo-niosa dell’opera, l’esigenza imprescindibile dirapportarsi al creato e di assumerne la custo-dia riannodando i legami che talora - non puòessere sottaciuto - sono rimasti offuscati, conla grande tradizione monastica, non solo fran-cescana, ma pure benedettina e di tutta la misti-ca contemplativa capace di guardare al crea-to e alla realtà circostante, come all’immensodono di Dio. Un indice tematico e una bibliografia di riman-do, per singoli saggi, avrebbero reso il testo (alquale è stato dato un taglio divulgativo) più frui-bile per un ulteriore approfondimento da par-te dei non specialisti.Il testo si rivela alla lettura quello strumento uti-le, auspicato dai curatori, per i cristiani e perle chiese locali, segno concreto di collabora-zione possibile e di auspicabile reciproco inter-scambio di esperienze, tra teologi e credenti:“possibilità concreta di ‘dare carne’ al ministe-ro ecclesiale del teologo” che difficilmente, nel-la nostra società distratta e superficiale, trovaun’agorà, uno spazio di espressione oltre l’am-bito delle facoltà teologiche o delle sacrestie.

Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavo-ro della CEI, Servizio nazionale per il proget-to culturale della CEI, Custodire il creato. Teologia,etica e pastorale; EDB, Bologna 2013, pp206,€ 12,00.

*gruppo CEI Custodia del creato

Nell’immagine del titolo: Opera pittorica di Aaron Board

1212 OttobreOttobre20132013

+ Vincenzo Apicella, vescovo

QQuando fu proposto il tema per ilConvegno diocesano di quest’anno, rima-si alquanto interdetto, in primo luogo

perché mi ritengo poco più di un analfabeta nelcampo della comunicazione digitale, blog-twit-ter-facebook mi suonano come termini vaghi emisteriosi, inoltre perché pensavo che l’argomentopotesse interessare un settore molto limitato dinoi, anzitutto i più giovani e quelli già iniziatiall’uso dei nuovi strumenti informatici.

A Convegno con-cluso, debbo con-fessare che le mieprevisioni eranosbagliate e la miaammirata sorpresadi fronte alla par-tecipazione, all’at-tenzione e allacompetenza dimo-strata da larga par-te della numerosaassemblea. Già la foto scelta perla locandina appa-re, come sempre,fortemente evoca-tiva: un bambino edun anziano uniti difronte ad un mon-do stilizzato. Ritorna alla mentequanto più volteha detto PapaFrancesco: nes-suno è uno scartoe le fasce che nor-malmente teniamoai margini, i picco-li e i vecchi, sonoinsieme le vererisorse della socie-tà; i primi possiedonola forza e la fanta-

sia per costruire il futuro, i secondi la saggez-za e l’esperienza per dargli fondamenta sicuree, d’altra parte, il nuovo mondo in cui stiamo entran-do non è un “altro” mondo, ma l’estensione ela maggiore condivisione del “nostro” mondo,“digitale” non si contrappone a “reale”, ma nerappresenta lo specchio e il prolungamento. Ci è stato anche spiegato che parlare di inter-net non significa trattare di nuovi e sofisticati stru-menti, ma di un mondo da abitare e di cui occor-re imparare a rispettare le regole, non è nem-meno un soggetto, capace di determinare le nostrescelte, ma un luogo dove portiamo quello chesiamo, nel bene e nel male. Questo luogo permette oggi di comunicare, di

condividere, di entrare in relazione con un nume-ro sempre maggiore di persone e risponde, quin-di, all’esigenza primaria e fondamentale dellafede stessa, che ci chiede di farci prossimo, diuscire per le strade per incontrare gli altri lì dovesi trovano, di continuare il mistero dell’incarna-zione, di una Persona che è Egli stessosostanzialmente Messaggio. Ma dal mondo del-la “rete” abbiamo anche noi molto da imparareper diventare comunicatori efficaci di questo mes-saggio: anzitutto che il rapporto si instaura trauguali, anche se le competenze sono diversec’è sempre pari dignità e occorre passare dal-l’autoritarismo all’autorevolezza. In secondo luogo che non c’è trasmissione a sen-so unico, ma c’è sempre una reciprocità e nonsi impara nulla al di fuori di una relazione e, infi-ne, che si impara facendo e nella collaborazionee condivisione, in un cammino in cui non pos-siamo aver fretta e non dobbiamo fermarci.Si tratta, si è detto, di passare dalla connessionealla comunione, lasciando sempre aperta la por-ta tra lo spazio reale e quello digitale e impa-rando ad usare un linguaggio che sia, al tem-po stesso, concreto e simbolico, come quelloa cui dovrebbe averci abituato la nostra Liturgia.In questo modo potremo essere in grado di testi-moniare quello che viviamo, di narrare il nostroincontro con Cristo, di alimentare la scintilla diinfinito che abita in ogni uomo, scaldando il cuo-re, come dice Papa Francesco, e consideran-do ogni fratello come protagonista di una sto-ria sacra, in cui il Signore ci chiama a cammi-nare insieme. Al termine del Convegno e come sua conseguenzaimmediata è stata lanciata l’iniziativa del“Sagrato digitale”, su cui altri potranno fornirepiù specifiche e competenti informazioni, pro-mosso dal Servizio di comunicazione sociale del-la diocesi e curato da un gruppo di responsa-bili, che avranno il compito di permettere anchea tutti noi di “abitare” questo mondo nuovo, usu-fruendo di questa risorsa importante per allar-gare la nostra “rete” di rapporti fraterni.Il nuovo anno pastorale inizia, dunque, proce-dendo nel nostro itinerario, in cui stiamo impa-rando pian piano a conoscere le nuove frontieredell’ “Educare alla vita buona del Vangelo”.

1313OttobreOttobre20132013

don Antonio GalatiCronaca del convegno

IIgiorni dal 23 al 25 settembre sono stati, per la nostra Chiesa dio-cesana, l’occasione per celebrare l’annuale convegno pastorale chequesta volta, nella più ampia riflessione dell’educare alla vita buo-

na del Vangelo1, si è concentrato sulla comunicazione nella cultura digi-tale2. Non potendo affrontare una riflessione esaustiva su tutto ciò cheè la comunicazione digitale e la sua educazione alla luce del Vangelo,si è scelto di offrire delle piste di approfondimento del mondo digitale insé e di alcune possibilità che offre in ordine all’evangelizzazione.Il primo giorno del convegno, la dottoressa Chiara Giaccardi, professo-re ordinario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha offerto una rifles-sione sul rapporto tra il linguaggio della fede e il linguaggio di internet,soffermandosi principalmente sul dare uno sguardo d’insieme alla reteinternet come ad un mezzo attraverso cui comunicare e ad un luogo incui si intessono relazioni.Il secondo giorno del convegno è stato pensato in due momenti. Nel pri-mo i partecipanti hanno potuto ascoltare, dopo un’introduzione ai lavo-ri offerta da Costantino Coros, due testimonianze di utilizzo dei mezziofferti da internet per una riscoperta e un approfondimento della fede. Andrea Canton, collaboratore della diocesi di Padova, ha presentato, trale altre cose, l’esperienza diocesana per la Quaresima 2013 di un atti-mo di pace che, sinteticamente, può essere descritta come uno spaziodigitale in cui si offriva un accompagnamento giornaliero per una dimen-sione spirituale personale3. Dopo questa esperienza si è ascoltata quella di don Alessandro di Medio,sacerdote della diocesi di Roma, il quale, insieme ad alcuni dei ragaz-zi che segue, ha mostrato, attraverso una videoconferenza in diretta daMilano con Daniele Cutrone, come i mezzi di comunicazione offerti dainternet permettono di azzerare le distanze e poter continuare, anche achilometri di distanza, un percorso di approfondimento della fede e, inol-tre, sempre questo gruppo giovanile di Roma, ha presentato un progettodigitale portato avanti dagli stessi ragazzi4. Nel secondo momento di questo giorno di convegno i partecipanti, divi-si in gruppi di lavoro, hanno potuto offrire i propri feedback sulle coseascoltate e le loro riflessioni e, inoltre, hanno tentato di offrire una sor-ta di “decalogo della buona comunicazione su internet”, in vista della pre-sentazione e realizzazione di un progetto diocesano di presenza nellarete attraverso un sagrato digitale diocesano5.Il terzo giorno del convegno, quello conclusivo, ha visto la presentazio-ne di una breve sintesi dei lavori di gruppo fatti nel secondo giorno, pre-ceduta da una videoconferenza da Awassa, in Etiopia, con Katiuscia Cipri,direttrice dell’Ufficio Missionario Diocesano, che ha presentato uno deiprogetti missionari sostenuti dalla nostra Chiesa. La conclusione del convegno è stata la messa presieduta dal nostro vesco-vo Vincenzo e concelebrata dal presbiterio diocesano con la quale sonostati ordinati diaconi Teodoro Beccia e Alessandro Leoni.

Sintesi dei lavori di gruppo

Sintetizzare tutto il materiale dei lavori di gruppo in poche righe è pra-ticamente impossibile, per questo motivo si proverà semplicemente aindicare delle “macro-opinioni” di quanto è emerso, e su queste fare del-le brevi riflessioni.Un primo dato che emerge è la consapevolezza e la presa di coscien-za che internet non è solo uno strumento di comunicazione, ma è di più:è un mondo, uno spazio, un luogo. Gli strumenti si utilizzano quandoservono, invece internet, tecnicamente, “si naviga”, cioè si abita, ci sitrova dentro, come ci si trova in una piazza o in un locale. Come non sipossono considerare strumenti una piazza o un locale, non si può farecon internet; il contrario significherebbe non comprendere pienamentela realtà che si ha di fronte. E si arriva così alla seconda macro-opinio-ne: in questo luogo digitale si creano e si mantengono delle relazioni.E di nuovo si può fare il raffronto con gli strumenti, in questo caso dicomunicazione: la televisione, la radio o i giornali sono, si può dire banal-mente, canali a senso unico, cioè veicolano un’informazione che, chi stadall’altra parte dello schermo o della pagina, recepisce. Ma, in qualun-que caso, questi strumenti non permettono un dialogo: non si può inte-

Nelle foto:

nella pag. di sinistra: i relatori nei primi giorni del convegno;

sotto: i partecipanti ai lavori, Teatro Aurora.

1414 OttobreOttobre20132013

ragire con il giornalista attraverso il giornale stesso. In internet invecesi può entrare in dialogo, ed è questo dialogo che crea o mantiene larelazione. Se ci si incontra tra amici in piazza e uno dei due narra unfatto di cronaca, propone la lettura di un articolo o racconta una cosache a lui è successa, l’altro può interagire, crea relazione, ma non lo faattraverso il giornale, ma nella piazza. Lo stesso vale su internet: ci sitrova tra amici in rete e lì si dialoga. In conseguenza di questo si può anche affermare che internet diventaun luogo ulteriore per il confronto e la formazione di un’opinione pub-blica condivisa, con questa possibilità di esse-re presenti in tempo reale in una discussione,in maniera tale che non esiste un solo emit-tente e tanti riceventi, come avviene con glistrumenti comunicativi, ma tutti sono co-emit-tenti e co-riceventi e quindi formatori di un’o-pinione e, più profondamente, di una cul-tura. Quindi, ecco il terzo dato: come nelmondo reale si distingue tra luoghi e mez-zi di comunicazione, così si può parlare diinternet come di un luogo digitale da abi-tare e in cui relazionarsi e delle chat, deiforum, di facebook, dei siti e così via comegli strumenti e i mezzi di comunicazione persostenere queste relazioni. In sintesi, un sitointernet non è internet. Una quarta macro-opinione importante e che potreb-be essere il frutto maturo di questo convegno è che internet deve inte-ressare, è necessario entrarci dentro, abitarlo. Ciò non significa che tutti debbano avere necessariamente un accountfacebook oppure un sito internet personale o essere frequentatori abi-tuali delle chat, ma che tutti devono, però, incoraggiare la Chiesa ad abi-tare, attraverso le persone che più sono idonee a questo compito, l’am-biente della rete. Si è scoperto, o meglio si è creato, un nuovo mondo. Questo mondo,adesso, ha una sua vita e un suo spazio e disconoscerlo significa nonaccogliere parte della realtà. Dopo che Colombo ha scoperto l’America,gli europei sono entrati in relazione con quel mondo e i suoi abitanti. Senza

entrare nella questione del modo più o meno buono con cui si è inter-venuti in questo nuovo mondo, si può registrare semplicemente il fattoche gli europei e gli abitanti delle Americhe hanno intessuto relazioni cheprima del 1492 erano impensabili. Ma in tutto questo, non tutti gli euro-pei nel XV e XVI secolo erano navigatori esperti che avevano la possi-bilità di attraversare l’oceano e abitare nelle Americhe e non dovevanoper forza farlo, ma chi pensava che una cosa simile era una perdita ditempo oggi lo si giudicherebbe come non in pieno contatto con la real-tà. Lo stesso dovrebbe valere, se si è ben compreso internet come luo-

go e spazio digitale, per la necessità di uninvestimento di mezzi, risorse e preghie-re per l’abitazione ed esplorazione della rete.Per concludere, un’ultima macro-opinioneche è emersa in quasi tutti i gruppi e cheè bene rilevare è la necessità di mantenereuna coerenza del nostro essere cristiani siain internet che nel mondo materiale.In effetti, il rischio che si sottolinea è chelo stare nascosti dietro uno schermo o adun nickname che non rivela la vera iden-tità permetterebbe di avere atteggiamen-ti che non sono in linea con una vita fon-data sul Vangelo e che l’incarnazione del-la fede nella nostra vita richiede.

È in effetti un rischio concreto e reale, ma è un rischio che si corre siain internet che nel mondo materiale e che, forse, non dipende tanto dalfatto che internet sia un mondo digitale che non realizza la presenza fisi-ca delle persone che interagiscono -ciò può amplificare il problema manon crearlo-, ma da un’incoerenza di fondo dovuta alla separazione travita di fede e vita sociale e mondana.1 Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020.

2 Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 51.3 Cfr. www.unattimodipace.it4 Cfr. www.signaveritatis.blogspot.it5 Cfr. www.sagratodiocesano.forumfree.it

Nelle foto:

in alto, a sinistra: il 1° giorno

di convegno: C. Giaccardi e

S.E. mons. V. Apicella;

a destra: il 2° giorno di con-

vegno: A. Canton,

C. Coros e don A. Di Medio

con D. Cutrone in

videoconferenza;

al centro: don Cesare

Chialastri, padre Gino Picca,

don Luigi Vari e dott. G.

Silvestri, dir. SICEI;

in basso: L’ordinazione dia-

conale di A. Leoni e T.

Beccia il 25.09.2013,

Cattedrale San Clemente.

1515OttobreOttobre20132013

Costantino Coros

Cronaca di una riflessione fatta insieme

LLa Rete non è altro da noi, ma è l’esten-sione del nostro mondo, va abitata impa-rando a stare insieme e a fare relazione,

mettendo al primo posto l’ascolto perché è attra-verso di esso che si compie il passaggio versouna comunicazione autentica. Così si può sintetizzareil messaggio emerso dal confronto e dibattito cheha caratterizzato il convegno diocesano: “Il regnodei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare(Mt 13,47). La Chiesa e i nuovi canali di comu-nicazione”. Tre giorni - dal 23 al 25 settembre 2013- d’incontri e collegamenti on line per approfon-dire che cosa significa essere Chiesa ai tempi diInternet. Senza pregiudizi. Secondo, Chiara Giaccardi,ordinaria di Antropologia e sociologia dei mediapresso l’università Cattolica di Milano, intervenutain apertura dei lavori, bisogna “smontare una seriedi pregiudizi riguardo la Rete”. Infatti, ha spiegatola docente “non esiste un dualismo, una con-trapposizione tra reale e virtuale, ma sta nella respon-sabilità delle persone creare relazioni autentichee non superficiali”. Non è vero, infatti, che il web fa nascere relazionifalse, ciò, può accadere anche nella vita reale.Il secondo aspetto è legato al “determinismo”. Internetnon è un attore, ma è un luogo, un moltiplica-tore di relazioni, di conseguenza ha aggiunto laGiaccardi “non è la Rete che ci rende dipendenti,ma siamo noi fragili, sicuramente ci sono dei rischida cui guardarsi, ma non c’è determinismo”. L’ultimo pregiudizio è quello del divario genera-zionale che negli adulti crea diffidenza e lonta-nanza. “Questo divario va colmato con un’alleanzaintergenerazionale e si fa chiedendo ai figli d’in-segnarci come si utilizza internet”. E’ un modo per comprendere i loro significati ecreare un’occasione di comunicazione. Come edu-catori, ha ricordato la sociologa “siamo chiama-ti alla nostra libertà e responsabilità, il che vuoldire rispondere alle sfide dell’ambiente”. Si tratta di “recuperare la capacità di essere vera-mente ‘presenti’ nel momento della compresen-za fisica con i figli”. Per esempio, quando, a tavo-la, ci si ritrova tutti insieme come famiglia, si devecompiere uno sforzo per dialogare e non esse-re presi da altre cose, come guardare la televi-sione; è poi ovvio che il figlio si estranea e man-

da messaggini dal suo cellulare. Realtà. Benedetto XVI, in occasione del messaggioper la 47ª Giornata Mondiale delle ComunicazioniSociali ha detto una frase molto significativa rispet-to a cosa è la Rete: “il mondo digitale non è unambiente parallelo o puramente virtuale, ma è par-te della realtà quotidiana di molte persone, spe-cialmente dei più giovani, è parte del tessuto stes-so della società”. Stimolante e sfidante, in termini di prospettiveeducative, per comprendere il significato degli ambien-ti digitali è la metafora della “porta” che ci ha rega-lato Benedetto XVI. Infatti, ha spiegato la professoressadella Cattolica “la porta unisce e divide, divide lestanze e i comportamenti da tenere in ciascunadi esse, non vesto allo stesso modo in salotto comein camera da letto, però tutte le stanze fanno par-te di un’unica casa, non c’è conflittualità fra loro,sono parte di un unico ambiente”.Ecco, questa immagine vale anche per il web.Siamo chiamati ad abitare la Rete. Questo, si fanon arrendendosi alle sue logiche, pur adattan-dosi, ma tenendo conto di come l’ambiente è; nel-lo stesso tempo, bisogna dare forma a questo ambien-te, secondo dei significati. Quindi, la ‘porta’ sepa-ra e unisce; diversi sono gli ambienti e ciascu-no ha le sue regole; per esempio, Twitter ha rego-le diverse da Facebook. Comunicazione e Fede. Recentemente Papa

Francesco ha ribadito chela dimensione della comu-nicazione è la ‘sostanza del-la fede’. Nel discorso al PontificioConsiglio delle ComunicazioniSociali il Papa ha detto cheper la Chiesa la comunica-zione non è un accessorio,ma è la ‘sostanza del mes-saggio’. Io sono la via, la veri-tà e la vita, sono il modo incui Dio si comunica a noi attra-verso Gesù. La nostra fedeè la comunicazione di Dioall’uomo per mezzo di Gesù.

Tra l’altro, ha ricordato la Giaccardi, Marshall McLuhan,in un suo libro, sottolinea che: “l’unico caso in cuimedium e messaggio s’indentificano perfettamenteè Gesù: io sono la verità, quindi il messaggio; lavia, quindi il medium e la vita, ciò che consentedi tenere insieme queste dimensioni”.La Chiesa è chiamata ad abitare questo tempoin tutte le sue dimensioni e abitarlo vuol dire costrui-re una casa aperta per tutti.Educare. “La Rete ci insegna una serie di cose,se vogliamo essere educatori oggi” ha detto anco-ra Chiara Giaccardi. Per prima cosa bisogna tenerpresente che “il messaggio della comunicazionenon è ciò che viene detto, ma è l’incontro” e ilmetodo è “quello del dialogo”. Caratteristica impor-tante della Rete è quella dell’orizzontalità, chiun-que può rispondere. La conseguenza di questadimensione è che “l’autorità non vale più, funzionaperò l’autorevolezza”. Nel momento in cui i ragazzi capiscono “che unapersona sta dicendo delle cose che passano dal-la sua vita, che sanno di autenticità, allora que-sta persona diventa un punto di riferimento, untestimone”. Chi svolge la funzione di educatore,in qualunque contesto, deve diventare autorevolese vuole farsi ascoltare e questo richiede un eser-cizio di responsabilità. Accanto all’autorevolezza c’è la reciprocità, un altroelemento fondamentale che s’impara stando den-tro la relazione. “Abbiamo in mente il modello edu-cativo del broadcasting – ha fatto notare la Giaccardi- dove c’è un’emittente che è l’insegnante, la qua-le trasmette un messaggio agli studenti che devo-no semplicemente riceverlo; questo modello nonfunziona più”. Oggi “per trasmettere qualunque tipo di messaggioeducativo dobbiamo prima di tutto costruire unarelazione di fiducia in cui dimostriamo che è sen-sato ascoltarci. Dobbiamo dare spazio all’altro,accoglierlo, stargli vicino; è dentro questo pattodi fiducia, di accoglienza e d’incontro che pos-siamo dire qualcosa”. Senza questa mossa pre-liminare, oggi è inutile dire.“Il primo messaggio da trasmettere è ‘sono conte’, il che non significa fai quello che vuoi, ma vuol

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1616 OttobreOttobre20132013

Claudio Capretti

“Basilikos, mio signore, Colui che chiamano il Nazareno è diretto a Cana di Galilea.

Sappiamo che vi si tratterrà per qualche giorno”.

AAttendevo con ansia questa informazione; osservo con gratitudi-ne il mio fedele servitore ed accenno con la testa che può con-gedarsi. Con le mani dietro la schiena torno a fissare di nuovo

il vuoto. Le incombenze di ufficiale del re riemergono violentemente, maspariscono dinnanzi al dolore che da qualche tempo assedia la mia vita:la grave malattia che ha colpito mio figlio. La morte lo sta portando viada me, lo vedo, lo sento. I medici continuano a somministrargli farmaciche non hanno nessun beneficio ed è evidente la loro incapacità ad anda-re oltre.A cosa mi serve tutto il potere di cui dispongo, se poi non riesco a sal-vare ciò che è parte di me stesso? Affannoso è il respiro e lento è il tra-scorrere del tempo e delle cose. Sono in balia di un’impotenza che sfo-cia nella rabbia per essere dinnanzi a qualcosa che vorrei contrastare contutte le mie forze, ma ne sono impedito, e tutti i progetti che avevo sopramio figlio si stanno infrangendo dinnanzi a questa malattia.Tu, Gesù di Nazareth, non mi conosci, ma io so molte cose di Te. Conoscoil remoto villaggio da cui provieni, so chi sono i tuoi genitori e il lavoro chesvolgevi prima di percorrere le strade della Galilea e della Giudea. I mieiinformatori mi riferiscono ciò annunci alle folle e il modo di come lo fai.Forse non ci crederai, ma conosco molte delle tue parabole. So persino che ogni forma di male retrocede al tuo passaggio e che nul-la si oppone alla tua Parola. E non vi ho trovato niente in Te che vadacontro la Legge d’Israele, ne mi risulta che con i tuoi racconti abbia maisobillato il popolo contro il re che rappresento. Mi hanno detto che pro-

prio dove ti stai dirigendo, a Cana di Galilea, operasti iltuo primo miracolo, fu durante un banchetto di nozze diun tuo parente. Venne a mancare la cosa più importan-te per una festa nuziale, il vino, e così su invito di tuamadre, e forse mosso a pietà per gli sposi, trasformastil’acqua in un vino della migliore qualità.Da un male ne traesti un bene. Sarà un caso che scegliesti un matrimonio come tua pri-ma manifestazione? Sarà un caso che come prima rive-lazione scegliesti di visitare una gioia e non un dolore ouna malattia? Non lo so, ma una cosa nella vita ho com-preso: nulla accade per puro caso. Sai, al mio matrimo-nio sta venendo meno qualcosa di più prezioso del vino:mio figlio. Per questo ho deciso di mettermi in cammino sotto unsole cocente per incontrarti e chiederti la sua guarigio-ne. Non sono un credente come lo è il tuo popolo, manon ho mai disdegnato il confronto con gli uomini dellaLegge come con il rabbino del villaggio dove risiedo. Fului a farmi conoscere la storia di Abramo e della sua fedebasata sulla Parola del Dio d’Israele il quale, molti annifa gli disse: “Vattene dalla tua terra, dalla tua paren-tela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti indi-cherò”. E se anch’io come Abramo avessi un cammi-no da compiere? E se questo fatto doloroso non aves-se altro scopo che indicarmi. Qualcuno che vuole rive-larsi a me tramite mio figlio? E se questo Qualcuno fos-se proprio Colui che in molti chiamano il Messia? Abbandono queste domande forse troppo grandi per mee di buon mattino mi metto in cammino verso Cana diGalilea. Durante il viaggio, mi fermo un poco per ripren-dere le forze. Osservo i servitori che mi accompagnano,

forse questo mio incamminarmi verso il Nazareno è per loro un segno didebolezza, forse avrei dovuto evitarlo. Ma anche loro sono padri e di cer-to capiranno. Il re Erode Antipa che rappresento in questa regione, più diqualche volta ha voluto sapere qualcosa sul tuo conto. Era così incurio-sito dalla tua persona fino ad affermare che desidera va incontrarti. Loconosco bene, forse vorrebbe che Tu compissi qualche miracolo o qual-cosa di spettacolare dinnanzi alla sua corte, per poi forse vantarsi di cono-scerti. Il pensiero si volge verso suo padre, Erode il Grande, colui che ordinòuna incomprensibile strage di bambini con il pretesto che in mezzo a loropoteva esserci il nuovo re. Si dice che morì subito dopo sommerso darimorsi. Se il dolore per mio figlio è grande, quanto più grande sarà sta-to il dolore di quelle madri e di quei padri nel veder assassinati i loro figlidal loro re? Non ci avevo mai pensato, servo il figlio di un infanticida….Ma anche Erode Antipa sposando la moglie di suo fratello e ordinandol’uccisione Giovanni Battista, l’unico che ebbe il coraggio di rimproverargliquesto peccato, non è certo migliore di suo padre. Il suo adulterio lo por-tò a diventare omicida, come accadde ad un altro re prima di lui, Davide. E’ vero, un peccato chiama sempre un altro peccato di solito sempre piùgrande del primo. Due giorni di cammino e finalmente all’ora settima delgiorno ti incontro. Qualcuno mi ha detto che questa è un’ora significati-va, è l’ora in cui Eva è stata data all’uomo come compagna, è il tempodella pienezza, della coppia, uomo e donna, e della costruzione della lorofamiglia, dei loro frutti. Più esattamente, la salute della loro progenie. Forse,neanche l’ora in cui ti incontro è casuale. Sono ora dinnanzi a Te, con le sole parole e con il solo modo che cono-sco, quello di ufficiale di un re, ti chiedo di scendere a guarire mio figlio.Dopo avermi fissato mi rispondi:“Se non vedete segni e prodigi, voi noncredete”. Ed appare evidente dinnanzi agli occhi del mio cuore ciò che

continua nella pag. accanto

1717OttobreOttobre20132013

non avrei mai creduto, ovvero, tutta la mia pochezza. Vorrei fuggire da Te, forse per vergogna per averti trattato solo come untaumaturgo e basta. Queste tue parole rivelano che Tu sei molto di piùdi un medico e valeva dunque la pena mettersi in cammino per incon-trarti. E’ l’ora settima, l’ora in cui alla vigilia di Pesach, il lievito è defini-tivamente eliminato. E’ il tempo in cui Israele entra così nella festa di Matzot,nel tempo in cui gli esseri umani si nutrono di un cibo senza il minimoframmento di lievito, ovvero senza un briciolo d’orgoglio. Forse, per entrare nella pienezza di questo incontro con Te, devo nutrir-mi anch’io di un cibo senza la più piccola briciola d’orgoglio. E’ in Te che intravedo, seppur in modo appena percettibile, quella divini-tà che è racchiusa in me; attraverso di Te scopro pensieri in me che maiavrei pensato di avere. Incontrandoti mi sto incontrando, conoscendoti misto conoscendo.Credevo di sapere chi eri per sentito dire, ed invece sono dinnanzi a Qualcunoinfinitamente più grande di quanto potessi immaginare. Ma soprattutto,ho compreso che Tu mi conosci molto di più, e più profondamente di quan-to io mi possa conoscere. Insistente si fa allora la mia richiesta e ti ripe-to in modo nuovo ciò che ti ho detto poco fa: ”Signore, scendi primache il mio bambino muoia”. Scendi Signore nel mio dolore, guarisci mio figlio, ma ancor prima gua-risci la mia pochezza e sana la mia poca fede. Sono solo un uomo cheseppur potente, vacilla dinnanzi al mistero della sofferenza. Che non riescea dargli il giusto senso. Scendi o Signore nelle viscere del mio cuore, scendi nelle mie profondi-tà, rivela a me stesso chi sei Tu, affinché io possa rinascere a vita nuo-

va. Mi guardi e come se avessi letto nel mio cuore ciò che vi sta acca-dendo, mi dici: “Va’ tuo figlio vive”. Non servono altre parole, credo sulla tua Parola e mi metto di nuovo incammino, questa volta verso la mia casa. I miei servitori mi osservanoancor più di prima forse non comprendono, ma non osano contrariarmi.E ritorna con insistenza alla mia mente la storia di Abramo, per alcuni trat-ti essa è simile alla mia. Egli si mise in cammino una prima volta versouna terra che non conosceva, con la promessa di una discendenza piùnumerosa delle stelle del cielo, e una seconda volta una seconda voltaquando gli fu chiesto di sacrificare il suo unico figlio Isacco. In entrambii casi egli credette alla Parola dell’Onnipotente e la sua speranza non rima-se delusa. Anch’io mi sono messo in cammino una prima volta spinto dal-la voce della necessità, sperimentando l’incontro con il Cristo; ora di nuo-vo in viaggio fidandomi solo della sua Parola. Ma la vita stessa non èforse un continuo cammino verso di Te?. E’ trascorso un giorno di cam-mino, e da lontano i miei servi mi vengono incontro dai loro volti capiscoche la tragedia si è allontanata dalla mia casa.“Tuo figlio vive” mi annunciano. Anch’io come il nostro padre Abramonon resto deluso, desidero sapere quando è avvenuto tutto questo. “Ieri,un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato”. Mi volto indietro da dove sono venuto e mi sembra di scorgere in lonta-nanza la tua presenza. Mosso a misericordia per la mia vita, sei scesonelle mie profondità per guarire la mia incredulità, rivestirla di vera fedein Te, che sei Colui a cui niente è impossibile.Venni da Te per avere qualcosa, incontrai Qualcuno ricco di Grazia e diMisericordia affinché io, da oggi, divenga apostolo della tua Misericordia.

dire ‘mi stai a cuore’ e spero che diventi una per-sona libera, capace di dare senso alla tua vita”.La Rete ribadisce che siamo esseri relazionali einterdipendenti. A proposito di ciò Papa Francesco nella LumenFidei (punto 38) dice che “la persona vive sem-pre in relazione, viene da altri, appartiene ad altri,la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri”.Significativa è l’espressione di Cristoph TheobaldS.I., il quale afferma che, ciò che conta, più diqualsiasi altra cosa è “valorizzare la vita di cia-scuno” in quanto “ogni uomo è una storia sacra”. Bisogna, quindi, costruire relazioni di fiducia. InRete ci sono tante cose, ma non tutto. Il passaggio dalla connessione alla comunione,non lo fa la tecnologia, ma lo facciamo noi conla relazione, solo così la logica di connessionediventa comunione. Oggi si è educatori testimoniando, narrando e facen-dosi raccontare dai giovani le loro esperienze. Bellaè l’immagine che Papa Francesco dona a tutti noiin un passo dell’intervista rilasciata a Padre AntonioSpadaro S.I., direttore de La Civiltà Cattolica nelnumero 3918 del 19 settembre 2013.Il Papa dice: “Dio è nella vita di ogni persona, Dioè nella vita di ciascuno, anche se la vita di unapersona è stata un disastro, se distrutta daivizi dalla droga o da qualunque altra cosa,Dio è nella sua vita, lo si può e lo si devecercare in ogni vita umana. Anche se la vitadi una persona è un terreno pieno di spi-ne ed erbacce c’è sempre uno spazio incui il seme buono può crescere. Bisognafidarsi di Dio”. Comunione. Quando si sta in Rete biso-gna ricordarsi di porsi con “umiltà e vogliad’imparare”, ha detto Andrea Canton del-la Diocesi di Padova. “Si tratta di stare den-tro la Rete, immergersi, abitarci come per-

sone e www.unattimodipace.it è il frutto della nostraesperienza”. In questo cammino, ha aggiunto DonAlessandro Di Medio della parrocchia romana SanGiovanni Battista de la Salle al Torrino “la cosaprincipale è il contenuto, ma non quella esclusi-va”. Infatti, “il contenuto richiede un approccio equesto uno stile, solo alla fine emerge la questionedel mezzo”. Il mezzo “nella nostra esperienza ènato perché ai ragazzi piaceva il contenuto, l’ap-proccio e lo stile” e quando “un giovane della par-rocchia è andato a Dublino per lavoro, abbiamocontinuato a sentirci in video-conferenza e a col-tivare questo percorso coinvolgendo altri ragaz-zi della capitale danese, ora il dialogo si è allar-gato anche a gruppi che si trovano in Olanda ea Milano. Hanno e stanno respirando la bellez-za di condividere un cammino e il blog in que-stione si chiama: http://signaveritatis.blog-spot.it”. Missione. Un altro esempio di come si può comu-nicare con i nuovi mezzi di comunicazione socia-le è stato il collegamento con il centro “Blein” daAwasa in Etiopia, un progetto di aiuto sociale esanitario per bambini e donne vulnerabili, dovedue volontari della Diocesi di Velletri-Segnistanno svolgendo la loro opera missionaria. Si tratta di un cammino importante che la Diocesi

sta promuovendo. Il centro accoglie un repartod’ostetricia, gruppi di sensibilizzazione e prevenzionedi gravi malattie, come l’HIV, un asilo, una scuo-la per 300 bambini poveri che vengono dalle cam-pagne ed una per l’alfabetizzazione di 500 don-ne finalizzata ad insegnare loro la lingua nazio-nale in modo tale da metterle nelle condizioni dipoter lavorare. Punti di riferimento. Don Antonio Galati, al ter-mine degli incontri e delle voci ascoltate nei grup-pi studio ha sintetizzato in cinque punti gli argo-menti più richiamati.Il primo definisce “internet come un mondo, unospazio d’abitare”, il secondo individua “internetcome un luogo digitale, dove si creano relazio-ni”, il terzo specifica che “un semplice sito inter-net, non è internet”, il quarto dice che “è neces-sario entrare in internet per abitarlo”, il quinto ricor-da che si è cristiani sempre e ovunque, dunqueanche nella Rete. Don Antonio ha poi presentato “Sagrato digita-le”, il progetto della Diocesi per abitare la Reteda cristiani con responsabilità. Insieme con gioia. Il convegno Diocesano si èconcluso con la messa solenne per l’ordinazio-ne di due nuovi diaconi: Teodoro Beccia e Alessandro

Leoni. Nel corso dell’omelia, il Vescovo Mons.Vincenzo Apicella, ha sottolineato che: “sia-mo chiamati a stare insieme, ad essere Chiesainsieme” ed ha ricordato le virtù necessa-rie per annunciare il Regno di Dio, che siriassumono in “parola, carità, santificazio-ne” ed ha fatto, riprendendo un passo delVangelo, alcune raccomandazioni ai neo-diaconi dicendo “di non prendere nulla peril viaggio” e di non “mettere la fiducia nel-le sicurezze umane, ma in Dio, questo è ilvero messaggio del Signore, colui che è venu-to per servire”.

segue da pag. 15

1818 OttobreOttobre20132013

Sara Gilotta

RRipercorrere il cammino compiuto dallaChiesa , sin delle sue origini, è interessantesia dal punto di vista della fede che dal

punto di vista storico ed io cercherò di evidenziarnegli aspetti fondamentali facendo riferimento alletestimonianze giunte fino a noi dei primi marti-ri, così come degli scritti degli apologisti, primae dei Padri fondatori poi. Perché la diffusione e l’affermazione della reli-gione cristiana non furono certamente facili, per-ché, come è comprensibile, i pagani si oppo-sero ad essa con forza e determinazione, ricor-rendo ad ogni forma di persecuzione nei con-fronti di chi si dichiarassecristiano e non fosse dis-posto “a rinsavire” e arinnegare la sua fede.Ed anche perché il cri-stianesimo proponevainnanzitutto un vero eproprio capovolgi-mento della visioneesistenziale, special-mente riguardo al signi-ficato e al valore di tut-ti i valori tradizionali, comeil prestigio, la fama e ilvalore militare, che nonfurono né avrebbero potu-to essere accettati e com-presi con facilità .Le persecuzioni comin-ciarono, del resto, giàal tempo di Nerone, chepotè attribuire alla “set-ta” dei cristiani (evidentemente malvista) l’incendiodi Roma, eppure fu con Traiano che l’ atteggiamentodell’impero divenne definitivamente ostile, purse colui che fu considerato principe moderatoe giusto, raccomandò al suo governatore in Bitinia,Plinio il giovane di seguire con i cristiani la viadella prudenza, di portare a processo, cioè, soloquelli che rifiutassero di tributare i giusti onoriagli dei di Roma dopo essere stati denunciati,senza, però, farli ricercare né dare credito alledenunce anonime, una prassi che Traiano con-siderò abominevole e non consona ai suoi tem-pi Ma furono pochi i cristiani che abiurarono, men-tre, come dicevo, furono molti quelli che prefe-rirono il martirio. Un esempio è costituito dalla Passio Perpetuae.Di questa giovane martire è giunto fino a noi unasorta di diario, in cui ella stessa narra del suonarresto e delle preghiere rivolte a lei dal padredisperato. Alle sue parole piene di amore e didolore, Perpetua rispose: ”In tribunale andrà comevorrà Dio. Sappi infatti che noi non dipendiamodalla nostra volontà, ma da quella di Dio”. Una fede incrollabile, che ancora nei nostri gior-

ni può essere di esempio per tutti e che ci fameglio comprendere anche il sacrificio di colo-ro che ancora in molte parti del mondo perdo-no la vita a causa della loro fede. Ma questoesempio è utile anche per chiarire alcune del-le cause che spinsero molti, nel II secolo D. C.a scrivere opere apologetiche, in difesa cioè,dei cristiani contro le accuse dei pagani. E certamente il più importante apologista fu Tertulliano.Di origine africana, (come Perpetua) dall’animatumultuante e dalla vivida mentalità, dopo la con-versione, si gettò con tutto se stesso nella nuo-va esperienza religiosa, percorrendo un lungoe faticoso cammino, segnato, peraltro dalle suenumerose opere, tutte egualmente fondamen-tali per conoscere gli sviluppi del cristianesimo

occidentale. Si può ben dire, infatti, che Tertulliano,gettò le basi anche della patristica, perché affron-tò i temi basilari del nuovo credo, tra cui il pro-blema trinitario, quello cristologico e quello delmale. Una importante opera è intitolata“Apologeticum”, in cui egli contesta le accusedi incesto, di infanticidio e persino di canniba-lismo rivolte ai Cristiani. Lo scrittore rovescia le accuse, ricordando le tan-te forme di barbaro spargimento di sangue inuso presso i popoli antichi e presso i Romanie il medesimo procedimento è adottato, per nega-re che i Cristiani pratichino l’incesto,citando inumerosi esempi mitologici e storici , in cui diceche fu la lussuria la causa prima degli incestie degli eccessi, che gli appaiono connaturati alpaganesimo. Ma, cosa assai più importante, nella medesimaopera Tertulliano afferma un principio evange-lico fondamentale del tutto sconosciuto ai paga-ni, quello che non consente di odiare nemme-no i nemici, differenziando così la nuova religioneanche dall’ebraismo. Ma per noi moderni forsele opere più interessanti sono quelle “sugli spet-

tacoli “ e “sulla monogamia” esulla necessità per le giovani don-ne ancora vergini di noni anda-re a capo scoperto, per evitarenegli uomini il sorgere di pensieri

negativi. Nella prima opera l’autore preso dal-la forza della polemica, quasi con freddezza affer-ma che tutti gli spettacoli siano da rifiutare, sen-za preoccuparsi minimamente di distinguere quel-li effettivamente immorali da quelli compatibilicon la fede cristiana, ma proprio così facendo“perse la causa” perché il suo pensiero non influìaffatto sulla moralizzazione degli spettacoli cherimasero come nella tradizione. Sulla monogamia Tertulliano fu inflessibile, anziconsigliò anche alla moglie, nel caso di vedo-vanza di non passare assolutamente a secon-de nozze. E’ però nell’operetta dedicata alle ver-gini che egli mostra in modo chiaro la sua con-vinzione sulla superiorità del maschio, perché,dice, solo lui è stato creato ad immagine e somi-

glianza di Dio.Una posizione, questa, chepenerò nelle fibre più pro-fonde del Cristianesimo,influenzandolo per lunghi seco-li. Non a caso la convinzionemedievale per cui la donnafu considerata luogo di pec-cato e di tentazione, potreb-be collegarsi all’espressio-ne tertulianea che definì ladonna “ ianua diaboli” cioèporta del diavolo. Dunque un rigorismo fortee talora esagerato, che, pur-troppo, condusse Tertulliano,oltre che a combattere ogniforma di eresia, a finire eglistesso per cadere in una ere-sia, quella montanista, delprete Montano, cioè, fon-data su un assoluto ed intran-

sigente rigorismo morale e una religiosità basa-ta soprattutto sulle pratiche ascetiche e sull’ asti-nenza, che, secondo i suoi seguaci, permette-va la penetrazione dello Spirito Santo. Da tutto ciò si comprende facilmente come unodei bersagli della polemica tertullianea diven-ne ben presto la stessa chiesa accusata di averdeviato dagli insegnamenti di Cristo. Atteggiamento, questo, che poi, sarebbe statoil centro di molte eresie successive. La personalità di Tertulliano fu dunque, com-plessa e talora persino contraddittoria, ma, aldi là delle sue esagerazioni, lo scrittore si deveconsiderare come colui che seppe diffondere,forse per primo, la teologia del Dio unico e del-la reale morte per croce e resurrezione di Cristogià messe in dubbio da alcuni eretici e da luiconsiderate tanto più reali, quanto più impos-sibili. Forse per questo fu attribuita a Tertullianola frase “credo, perché assurdo”.

continua

(Nel prossimo numero parlerò di SanGerolamo e di Sant’ Ambrogio.)

1919OttobreOttobre20132013

Giorgio Innocenti*

NNegli ultimi anni si è tornatoa parlare, tra addetti tra ai lavo-ri e nei settori della società

più attenti a queste tematiche, di GiustiziaRiparativa. Le ragioni di questa rinnovataattenzione vanno ricercate nella crisidel sistema penitenziario che si mani-festa con un sempre crescente sovraf-follamento e con la costatazione cheil sistema attuale non può garantire unariduzione della recidiva, che anzi è incostante aumento. Ridurre la giusti-zia riparativa a delle soluzioni alternativealla pena detentiva appare però ridut-tivo. Essa infatti rappresenta un’occasionedi ripensare in maniera radicale l’ap-proccio alla pena ed alla risoluzionedei conflitti interpersonali e sociali. Per capire di quale cambiamento cul-turale si stia discutendo è necessario confrontare questo modello a quel-li che più trovano posto nel nostro ordinamento. Il primo, quello retributivo, ha per oggetto il reato (quindi l’infrazione diuna norma); per scopo, l’accertamento della responsabilità e la giusta puni-zione del reo; come mezzi prevede l’applicazione della sanzione. Il secondo modello, detto riabilitativo, elegge ad oggetto la persona autri-ce di reato; si prefigge il reinserimento sociale di questa; gli strumenti dicui dispone sono il trattamento socio-riabilitativo e la modificazione delcomportamento. Il modello della giustizia riparativa invece sceglie comeoggetto i danni arrecati alla vittima del reato; come obiettivo individua l’e-liminazione di queste conseguenze; lo strumento è l’attività riparatrice intra-presa dall’autore del reato a favore della vittima. Questo sintetico confronto dovrebbe permettere di cogliere la rivoluzio-ne che rappresenterebbe l’adozione di tate orientamento nel sistema giu-diziario e penale. Se si coglie che il modello riparativo è l’unico che con-templa la presenza attiva della persona danneggiata dal reato, si capi-sce perché gran parte dei progetti che hanno visto la luce ad oggi sianodi matrice cristiana. Nella Bibbia infatti la giustizia è vista in senso rela-zionale, non esiste il giusto se non rapportato all’altro, che sia il fratelloo Dio stesso. Nella tradizione cristiana il perdono prevede innanzi tutto ilriconoscimento della colpa ed ogni sacrificio non viene inteso come finea se stesso ma finalizzato al bene altrui. L’immagine classica della bilan-cia con cui già i greci rappresentavano la giustizia è arrivata sino ai gior-ni nostri e sta a rappresentarecome non solo la tradizio-ne cristiana vede la giusti-zia come equilibrio tra le par-ti. Questa immagine che bensi attaglia alla giustizia ripa-rativa, rimane poco traspa-rente se pensiamo ad unagiustizia in cui la vittima scom-pare, ridotta a soppesare suun piatto della bilancia la per-sona colpevole del reato, sul-l’altro lo stato o, peggio, l’a-stratta norma giuridica.Scendendo nel merito di comesia applicabile la giustizia ripa-rativa, bisogna ricordareche essa prevede svariati stru-

menti, il più conosciuto dei quali èla mediazione penale. Tutti questi strumenti prevedono l’as-sunzione di colpa da parte del reo,la definizione di una equa riparazione(processo fondamentale a cui par-tecipano, oltre al colpevole, le vitti-me ed esponenti della comunità), el’azione della riparazione stabilita. L’entità della riparazione è l’aspet-to che può suscitare più perplessi-tà, specialmente se si pensa a rea-ti gravi come l’omicidio. Come si può riparare alla morte diun essere umano? E pure sappia-mo che esistono esperienze in que-sto senso che hanno visto la sod-disfazione delle vittime. Com’è pos-sibile? Senza addentrarsi nei mec-

canismi psicologici che un torto subito scatena, proviamo a pensare a cosaaccade quando ne subiamo uno e al sollievo che ci arreca, anche a distan-za di tempo, il riconoscimento del proprio errore da parte della personache lo ha commesso. A maggior ragione se questo riconoscimento è accom-pagnato da un tentativo di riparazione del danno, ma non (o non solo)del danno materiale subito (che spesso è irreparabile) ma di quel vulnusrelazionale comportato dalla rottura delle regole che per mettono il vive-re comune. Si tratta di un cambiamento di prospettiva veramente gran-de che non si può pretendere di inserire in un ordinamento giuridico giàstrutturato ma la cui applicazione dovrebbe partire dal basso, dalla socie-tà, dalle comunità ed estendersi a campi diversi da quello penale per assu-mere una valenza anche preventiva. I conflitti sociali, familiari, professionali,di vicinato, potrebbero certamente trarre giovamento da questo approc-cio. Ciò che bisogna formare è una cultura della mediazione. Si può formare questa cultura solo praticandola dalla base. Ciascuno sache, per quanto si possa provare a spiegarla, la relazione è qualcosa chesi conosce solo quando la si sperimenta. Le parole che si possono direo scrivere valgono solo come stimolo ad approfondire, a meditare e soprat-tutto a provare la sfida della relazione.

*Equipe Caritas Diocesana

Nell’immagine del titolo: La giustizia a la pace si abbracciano, sec. XVI, Jacopo Palma il Giovane, Modena

2020 OttobreOttobre20132013

don Gianni Cesena*

PP rofessare la fede non è solo direil Credo con la bocca, ma viver-la nelle circostanze della vita:

già conosciamo il legame tra fede e missione, credere e parlare. Però non basta: affin-ché la fede diventi capace di ispirare e rinnovare il vivere quotidiano occorre andare sul-le strade del mondo. Le strade evocano ogni spazio aperto e percorribile, ogni luogo, piaz-za, sentiero, dove l’altro può farsi vicino e dove si incrociano sguardi, parole, timori e spe-ranze, diffidenze e nuove amicizie. Le strade del mondo sono imprevedibili: occorre lapazienza di camminare, ma anche di comprendere chi si incontra, di vederlo come è, diimpararne lingua e cultura, sentimenti e valori, restando insieme soprattutto nei tempi dicrisi e di smarrimento. Gesù ha percorso le strade della Palestina, partendo dalla Galilea,zona di confine, e talvolta si è spinto oltre.Da bambino, come ebreo fu straniero in Egitto; nel suo ministero provenire da Nazaretlo rendeva straniero in Giudea, ma anche a Nazaret l’origine da Betlemme non avrà evi-tato sospetti… L’uomo Gesù sapeva stare sulle strade perché per lui, così spesso stra-niero, nessuno era straniero davvero. Questa è anche la vicenda dei nostri missionari emissionarie su tante strade del mondo, comprese quelle del web, dei social network, sen-za dimenticare quelle di chi è messo ai margini, reso quasi invisibile. Questa diventa la storia di ogni cristiano che non chiude la fede in spazi e tempi “reli-giosi”, ma la porta in ogni respiro della vita. Viviamola così e continuiamo ad accompa-gnare chi ne fa dono ad altri sulle strade del mondo.

*Direttore nazionale di Missio

2121OttobreOttobre20132013

don Dario Vitali*

IIl Simbolo niceno-costantinopolitano, conil quale nel giorno del Signore le comu-nità cristiane professano la loro fede, costi-

tuisce la formulazione matura della fede cristologica.Questo non significa però che sia stata pacifi-camente ritenuta e affermata nella Chiesa; anzi,proprio quella formulazione del sta all’origine diulteriori dibattiti a non finire e interpretazioni ere-tiche del dogma cristologico.D’altra parte, la persona e l’opera di Cristo costi-tuiscono una tale sfida alle logiche umane, chesempre la fede deve cercare e offrire le rispo-ste al paradosso di un Dio che si fa carne, ilquale è in tutto come noi fuorché nel peccato,e tuttavia nella sua umanità è Dio, «generato,non creato, della stessa sostanza del Padre»,e come il Padre adorato e glorificato. Il simbo-lo niceno-costantinopolitano è avvertito comeil punto di equilibrio nell’enunciazione della fedecristologica: alle prime affermazioni, che riguar-dano la preesitenza, dove si afferma che il Verboè della stessa sostanza del Padre, seguono quel-le relative al motivo dell’incarnazione e all’operadi salvezza da lui compiuta nel mistero pasquale,che apre l’umanità all’attesa del suo ultimo avven-to, quando «verrà nella gloria per giudicare i vivie i morti e il suo regno non avrà fine». Non poteva essere altrimenti: se quest’uomo nonè Dio, parlare di salvezza è del tutto illusorio.Così le affermazioni tradizionali sul-l’incarnazione, la passione, la mor-te, la resurrezione, la glorificazio-ne, la seconda venuta, attestate nelkerigma neotestamentario, ven-gono accompagnate da nuoveaffermazioni, sempre più precise,che riguardano la preesistenza, equindi il Verbo eterno, il quale nonpuò che essere «Dio da Dio, luceda luce, generato e non creato, del-la stessa sostanza del Padre». Perchéquesta necessità? Per risponderealle eresie ostili a riconoscere la divi-nità di Cristo, la Chiesa aveva oppo-sto il prologo di Giovanni, secon-do cui «in principio era il Verbo, eil Verbo era presso Dio e il Verboera Dio» (Gv 1,1). Questo significava avviare un pro-cesso di retroproiezione e trasferi-re la discussione prima del tempo,dentro la Trinità stessa, chiarendoquale fosse la relazione tra ilPadre e il Figlio. Nel tentativo di sal-vaguardare la superiorità e la pre-

cedenza del Padre sul Figlio – si parlava di monar-chia divina – Ario, un prete di Alessandria, par-lò del Verbo come “secondo Dio” (deuteros Theos),inferiore al Padre, il quale non poteva esseredella stessa sostanza del Padre. Il concilio di Nicea (325 d. C.) costituì la rispo-sta a questa eresia, sostenendo che Gesù Cristoè «il Figlio di Dio», e come tale è «l’unigenitodel Padre, cioè della stessa sostanza del Padre,luce da luce, Dio vero da Dio vero, nato e nonfatto, di una sola sostanza con il Padre (ciò chein greco si dice homousion), mediante il qualetutto è stato fatto». Il concilio di Costantinopoli (381) ribadirà que-ste verità, precisando che il Figlio di Dio è «natodal Padre prima di tutti i secoli». Una volta affer-mata la preesistenza del Figlio di Dio, e quin-di la sua natura divina, la questione sarà comeleggere in unità l’essere Dio e uomo del Cristo,e, in logica conseguenza, come affermare la natu-ra divina senza negare la natura umana e vice-versa.In una specie di moto pendolare ripetu-to, una volta affermata la natura divina del Cristo,le domande si riversano tutte sulla natura uma-na: in quanto Verbo incarnato, il Cristo ha l’a-nima come tutti gli uomini, oppure no? No, erala sentenza di Apollinare; Sì, risponde la Chiesa,che sempre difende l’integrità della natura divi-na e della natura umana. Ma se in Cristo si dan-no natura umana e natura divina, come si dàla loro relazione?

Esploderà intorno a questa domanda la pole-mica che più infiammerà il dibattito cristologi-co dei primi secoli tra le scuole di Antiochia edi Alessandria, rappresentate da Nestorio e Cirillo(quest’ultimo recentemente richiamato dalmondo del cinema come il persecutore di Ipazia,matematica e fisolofa neoplatonica linciata dauna folla di fanatici cristiani nel 415). Nestorio insiste sulla distinzione tra le proprie-tà divine e umane di Cristo, Cirillo sull’unità. Ilpunto di contrasto si cristallizza intorno all’in-carnazione, e quindi al titolo di Maria, che perCirillo è Madre di Dio (Theotokos), mentre perNestorio è solo Madre di Cristo (Christotokos),con la conseguenza – secondo l’accusa di Cirillo– di affermare l’esistenza di due Figli, quello eter-no e quello nella carne, nato da Maria. Il con-cilio di Efeso (431) scioglierà la questione, asse-rendo che «i l Verbo si è unito con la carne findal seno della madre, è nato secondo la car-ne… Perciò essi [i santi Padri] non dubitaronodi chiamare Madre di Dio la santa Vergine, noncerto perché la natura del Verbo o la sua divi-nità avesse avuto origine dalla santa Vergine,ma, poiché nacque da lei il santo corpo dota-to di anima razionale, a cui il Verbo è unito sostan-zialmente, si dice che il Verbo è nato secondola carne». L’unità affermata a Efeso porta consé il rischio di negare le differenze: Eutiche, mona-co di Costantinopoli, sostenne l’eresia monofi-sita secondo cui, con l’unione delle due natu-re – divina e umana – nell’incarnazione, in Cristovi fosse una sola natura. Le discussioni pro e contro furono durissime,e i partigiani di Eutiche, ottenuto il favore del-l’imperatore, arrivarono a scomunicare chisostenesse la teoria delle due nature (si parlòdi “brigantaggio di Efeso”), fino a quando, nel451, fu convocato il concilio di Calcedonia, nelquale fu sancita la formula secondo cui Cristo

è «una persona in due nature». Vale la pena di rileggere il testo: «Questoconcilio si oppone a coloro che ten-tano di separare in una dualità di figliil mistero della divina economia di sal-vezza; esclude dall’ordine clericale quel-li che osano affermare soggetta a sof-ferenza la divinità dell’Unigenito;resiste a coloro che pensano a unamescolanza o confusione delle duenature di Cristo; scacciano coloro chehanno la follia di ritenere celeste, odi qualsiasi altra sostanza, quella for-ma umana di servo che egli assun-se da noi; e scomunica, infine, colo-ro che favoleggiano di due nature delSignore prima dell’unione e di una dopol’unione. Seguendo i Santi Padri, all’u-nanimità noi insegniamo a confessareun solo medesimo Figlio, il Signorenostro Gesù Cristo, perfetto nella suadivinità e perfetto nella sua umanità,vero Dio e vero uomo con l’anima razio-nale e il corpo, consostanziale al Padreper la divinità e consostanziale a noiper l’umanità, simile in tutto a noi fuor-

continua nella pag. 22

2222 OttobreOttobre20132013

mons. Franco Risi

SSe rivolgiamo il nostro sguardo a tutto ilmondo, avvertiamo l’esigenza che il Vangelosia annunciato e testimoniato a tutti. Il com-

pito di annunciare il Vangelo è proprio della“Chiesa pellegrinante e missionaria, per sua natu-ra, in quanto essa trae origine dalla missionedello Figlio e dalla missione dello Spirito Santosecondo il progetto di Dio Padre (Ad Gentes 2). Ogni battezzato ha il dovere di vivere la fede edi trasmetterla agli altri, questo dono apre all’in-contro personale con Cristo. Annunciare il Vangeloa tutti è veramente urgente in quanto il mondosta diventando sempre più piccolo. Noi cristiani non solo dobbiamo annunciare il Vangeloma anche testimoniarlo con la nostra vita, comeci insegna San Francesco d’Assisi, che suggerivadi predicare prima con l’esempio concreto e poicon le parole. A tal proposito suonano bene leparole di papa Francesco nella celebrazioneEucaristica nella Basilica di san Paolo fuori lemura a Roma: “Il Signore ci chiama ogni gior-no a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fat-to il grande dono di sceglierci come suoi disce-poli; ci invita ad annunciarlo con gioia come ilRisorto, ma ci chiede di farlo con la parola e conla testimonianza della nostra vita, nella quoti-dianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostravita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad ado-rare Lui solo. Annunciare, testimoniare, adora-re”. Il mondo s’è fatto più piccolo in quanto i mez-zi di comunicazione sociale permettono di rag-

giungere in tempo reale i luoghi più lontani. La Chiesa è chiamata a essere testimone median-te tutti questi mezzi che sono capaci di unificarei popoli delle varie culture. Tutto questo ci puòaiutare ad acquisire la consapevolezza che for-miamo una sola comunità. Tenendo conto di tut-to questo, la Chiesa deve privilegiare le relazioniumane imitando Gesù, che si è rapportato contutti gli strati della società del suo tempo, par-lando un linguaggio familiare. Noi cristiani nonpossiamo tenere il Vangelo di Cristo come unbene privato, ma siamo chiamati a comunicar-lo a coloro che lo ignorano, infatti, come ci esor-tava Benedetto XVI, “Chi ha scoperto Cristo deveportare altri verso di Lui. Una grande gioia nonsi può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. Invaste parti del mondo esiste oggi una strana dimen-ticanza di Dio”. Ogni uomo è un cercatore di Assolutoe desidera conoscere il senso della vita nel pre-sente e nel futuro. Certamente, pur rispettan-do le diverse confessioni religiose: siamo chia-mati a costruire con loro un dialogo autenticoe fruttuoso. Infatti non possiamo essere reticentinell’annunciare e nel testimoniare il Vangelo, per-ché è proprio tramite la sua conoscenza che pos-siamo aiutare gli altri a scoprire con fede Cristo,morto e risorto, affinché Egli dia le risposte giu-ste alle domande esistenziali del vivere uma-no su Dio, sulla vita e sulla morte. Lo ha detto apertamente Gesù: “se rimanete fede-li alla mia parola, conoscerete la verità e la veri-tà vi farà liberi” (Gv 8,32). Annunciare, testimoniaree adorare Gesù significa collaborare alla libe-

razione di tutti gli uomini dal male. Questo impe-gno comune di tutti i cristiani è responsabilitàspecifica in particolare di coloro che hanno rice-vuto il sacramento dell’Ordine (vescovi, sacer-doti e diaconi). Tutti i sacerdoti e i religiosi nondevono soltanto proclamare il Vangelo nell’as-semblea liturgica e vivere in modo insoddisfat-to e triste, come “collezionisti di antichità oppu-re di novità”, ma, come ci ha suggerito papaFrancesco, devono “essere pastori con l’odoredelle pecore” capaci di “prendere il largo nel nomedel Signore e gettare le reti” e così rivolgere l’an-nuncio a tutti gli ambienti della comunità par-rocchiale e locale. Primo testimone e annunciatoreè il Vescovo e ciò è messo in evidenza nell’e-sortazione post-sinodale, Pastores gregis: “il vesco-vo è il primo annunciatore del Vangelo con leparole e la testimonianza della vita”. I vescovi, mentre si prendono cura dellaChiesa particolare (la diocesi) devono sentirela stessa responsabilità e sollecitudine che fudell’Apostolo Paolo per la Chiesa universale; Egli,infatti, scriveva: “annunciare il Vangelo non è perme un vanto, perché è una necessità che mi siimpone: guai a me se non annuncio il Vangelo!”(1Cor 9,16) e si lasciava “spingere dall’amoredi Cristo” per raggiungere tutti (2Cor 5,14). “Mi sono fatto debole per i deboli, per guada-gnare i deboli; mi sono fatto per tutti, per sal-vare ad ogni costo qualcuno: ma tutto io faccioper il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io”(1Cor 9,22-23). Giovanni Paolo II, nell’esortazione Pastores dabovobis, afferma che: “i sacerdoti devono averecuore e mentalità missionaria” (n. 32). E’ veroche il loro ministero comporta il triplice compi-to: evangelizzare, celebrare i sacramenti e gui-dare la comunità, ma è anche vero che devo-no dare la prevalenza all’annuncio del Vangelo,alla testimonianza con la propria vita e all’ado-razione di Dio come unico Signore. Certamente la Chiesa potrà compiere questa mis-sione di annunciare, testimoniare e adorare conla vita il Vangelo a tutti gli uomini con grandeimpegno, costanza e gioia interiore, solo se essasarà tutta orientata alla santità della vita: “sia-te dunque perfetti così come il Padre vostro cele-ste è perfetto” (Mt 5,48). Con la santità della vitatutti i credenti sapranno certamente mettere inatto tutte le loro energie a disposizione di Cristoe della Chiesa, perché solo mediante l’annun-cio e la testimonianza del Suo Vangelo, l’uma-nità può diventare famiglia di Dio.

ché nel peccato, generato dal Padre prima deisecoli secondo la divinità, e in questi ultimi tem-pi per noi e per la nostra salvezza da Maria Verginee Madre di Dio secondo l’umanità, uno e mede-simo Cristo Signore unigenito, da riconoscersiin due nature, senza confusione, immutabili, indi-vise, inseparabili, non essendo venuta meno ladifferenza delle nature a causa della loro unio-ne, ma essendo stata, anzi, salvaguardata laproprietà di ciascuna natura, e concorrendo aformare una sola persona e ipostasi; egli non

è diviso e separato in due persone, ma è ununico e medesimo figlio, unigenito, Dio, Verboe Signore Gesù Cristo, come un tempo hannoinsegnato i profeti, e poi lo stesso Gesù Cristo,e infine come ci ha trasmesso il simbolo dei Padri».Sarà, questa, la formula dogmatica che segne-rà la dottrina nei secoli a seguire e che cono-sciamo come «unione ipostatica»: una sola per-sona, il Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato daMaria vergine, in due nature, divina e umana.Al di fuori della controversia se Cristo avesseuna o due volontà – divina e umana (eresia mono-

telita) – e della lotta iconosclasta che infiam-mò l’Oriente cristiano, con scontri finiti anchenel sangue, la fede cristologica non fu più mes-sa sostanzialmente in questione, almeno finoal tempo della teologia liberale, sorta in ambi-to protestante alla fine del Settecento. Lo schema era quello della cristologia dall’al-to, proprio del simbolo niceno-costantinopolitanoche ogni domenica professiamo nella liturgia euca-ristica.

*Docente Ordinario alla P.U.G. di Roma

segue da pag. 21

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don Gaetano Zaralli

IIn modo provocatorio quella mattinanella messa delle 11, prima ancoradi leggere il vangelo, chiesi ai pre-

senti se mai ci fosse tra di loro un san-to. Tutti si guardarono in faccia con curio-sità, sperando ciascuno di riconoscere nel-l’altro la persona giusta da portare comeesempio di perfezione. Purtroppo, in un eccesso di umiltà, tuttipreferirono non assumersi la responsa-bilità di indossare in proprio o per con-to di altri una eventuale aureola. - Bene, se non c’è un santo tra di voi, e io nonsono un santo, sarà più facile trovare tra di noiun peccatore!… - Siamo tutti peccatori!…. ( Voce fuori campo)- Se siamo tutti peccatori, tra i tanti certamentequalcuno sentirà più degli altri il peso delle pro-prie colpe!..Trovai interessante osservare gli occhi, che pri-ma guardavano, alteri, la realtà circostante sapen-do di poter mescolare la mediocrità dei santicon la genericità dei peccatori, abbassarsi orae scandagliare finalmente con onestà ciascunola propria coscienza.Mi servì questa premessa per presentare laparabola che nel vangelo racconta del pub-blicano e del fariseo (Lc 18,9-14). Del pubblicano che, dopo aver pregato nel tem-pio, tornò a casa giustificato, perché aveva rico-nosciuto con umiltà i propri peccati… e del fari-seo che, a differenza del primo, convinto di esse-re perfetto e credendo per questo di poter farea meno della misericordia di Dio, riguadagnòl’uscita del tempio trascinandosi dietro ilpeso, tutto intero, della sua superbia.Per molti fedeli la riflessione che nasce dallalettura del vangelo continua a essere viva nel-

la mente e spesso si concretizza su di un fogliocome scritto da consegnare al sacerdote.

Ecco cosa racconta una mamma:

“Fra una corsa, il parcheggio impossibile, rim-proveri e qualche parolaccia, siamo arrivati inchiesa in ritardo, proprio nel momento in cuiil sacerdote parlava di pubblicani e farisei.Per quello che mi riguarda e per quello chemi era appena successo, mi riconoscevo sicu-ramente tra la categoria dei peccatori. Questoperché tutte le domeniche me la prendo coni bambini per il mio ritardo, accusandoli di nonvolersi svegliare, di attardarsi davanti alla TV,di dover riempire il foglio della catechesi gliultimi cinque minuti, insomma questa mattinagliele ho dette di tutti i colori e pesantemen-te. Tutto ciò mi fa stare malissimo. Ho pensato, serve poi andare alla messa, seogni domenica si ripete lo stesso copione? Fattoè che, appena è finita la messa, ho sentito ilbisogno di prenderli per mano e, con le lacri-me agli occhi, chiedergli scusa per il mio com-portamento “inadeguato” e indegno di madre.Insieme felici ce ne siamo tornati a casa.Ho raccontato questo perché, per me mam-ma, è difficile prostrarmi e chiedere scusa adun figlio, ma l’”umiltà” per me è concepita anchein queste cose, piccole, ma sicuramente capa-ci di dare tanta gioia di vivere”.

“Reazione a catena” si potrebbe chiamare l’ef-fetto che produce una testimonianza offerta gra-tuitamente alla comunità in preghiera.Le menti frastornate e imbambolate da milleimpegni, si fanno catturare volentieri dall’ec-

cezionalità di un’esperienza che riesce,pur nella sua semplicità, a mettere in dis-cussione un modo di vivere intriso di abi-tudini, perciò negativamente standardizzato,irrimediabilmente soffocante, ostinata-mente inconcludente.

Un’altra mamma scrive:

“Questa lettera mi ha colpito tantissimoe per un attimo è riapparso in me il dub-bio che mi assilla da sempre: sarò io unabuona mamma? Mi sento spessissimoin colpa verso i bambini. La mattina pun-tualmente esco da casa alle 5,30 e loro,

quando si svegliano, trovano la baby sitter, per-ciò non li aiuto a vestirsi, non preparo loro lacolazione e non li accompagno a scuola comefanno tutte le mamme. Ritorno a casa non prima delle 16,30, moltevolte triste, perché magari al lavoro ho vissutoqualche brutta esperienza e, soprattutto,arrabbiata con me stessa, perché ho fatto tar-di e ho tante cose da fare… I figli, appena mi vedono, iniziano a raccon-tarmi quello che hanno fatto ed io, qualche vol-ta, purtroppo, faccio finta di ascoltarli…”.

Anche le mamme si specchiano e lo fanno trauna faccenda e l’altra, tra lo sbrigare una pra-tica e il colloquio con il capoufficio, tra lo sti-rare una camicia e il pulire il culetto all’ultimonato. Anche le mamme si specchiano, perchéanche loro hanno il diritto di apparire ordina-te e belle, nonostante tutto. Lo specchio, però, non guarisce dalle ansie,anzi, se lo si lascia parlare liberamente, in quel-la bellezza stanca di mamma che vi si riflet-te, spesso lascia intravedere la tristezza opa-ca della solitudine.Quando lo specchio non è il cristallo di buo-na qualità appeso al bagno, ma l’esperienzadelle persone che con te si confidano, l’immagineriflessa non si vergogna più dei capelli scom-pigliati, delle rughe viste in controluce, delleabbondanze difficili da contenere nel vestito,delle sofferenze intime o delle emozioni chefanno piangere anche di gioia, perché il rico-noscersi e il ritrovarsi nelle vicende del vici-no annulla il rossore della vergogna… perchéuna stretta di mano e un sorriso colorano diserenità l’intera esistenza.

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Stanislao FioramontiANNO 2009

I martiri: 37, 30 sacerdoti, 2 seminaristi, 2 religiose, 3 laici.I luoghi del martirio: Africa 11; America 23; Asia 2; Europa 1.Due i testimoni italiani:16 gennaio, Nairobi, Kenia: p. GIUSEPPE BERTAINA, 82 anni, dei Missionaridella Consolata (Madonna dell’Olmo, CN 3 otto-bre 1927). E’ stato ucciso la mattina del 16 gen-naio 2009, nel suo ufficio a Langata, periferia diNairobi, nell’Istituto di Filosofia dei Missionari del-la Consolata, di cui era rettore e amministratore.Due persone sono entrate di nascosto nell’istitu-

to durante l’orario dellelezioni, mentre studen-ti e insegnanti erano nel-le aule. Hanno sorpreso il p.Giuseppe, lo hanno pic-chiato, legato e imba-vagliato, provocandonela morte per soffocamento. Ordinato sacerdote nel1951, P. Bertaina era inKenya dagli anni ‘60. Hasempre svolto la sua mis-sione in quel Paese, tran-

ne un periodo iniziale in Sudafrica, dove si erarecato per motivi di studio. Nel 2008 è stato perl’ultima volta in Italia per un breve periodo di ripo-so. E, nonostante l’età avanzata e la salute mal-ferma, desiderava ardentemente di poter torna-re in Kenya per continuare a lavorare per i suoigiovani. Nei suoi 58 anni d’Africa, fatti di «laboriosità silen-ziosa», ha saputo attuare al meglio l’insegnamentoprincipale di Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionaridella Consolata di Torino, per il quale era fonda-mentale non solo l’educazione religiosa, ma ancheil miglioramento della qualità della vita delle popo-lazioni. P. Giuseppe ha dedicato tutta la sua vitaalla scuola e, grazie al suo lavoro, moltissimi gio-vani africani hanno potuto formarsi professional-mente e alla vita sacerdotale. Il suo sacrificio si unisce ai tanti che nella storiasono rimasti fedeli e vigilanti in mezzo al popolodi Dio e sono segno che l’amore e la carità vin-cono sempre perché sono più forti della violen-

za e della morte.

19 settembre, Manaus, Brasile: don RUGGERO RUVOLETTO,52 anni, fidei donum di Padova, (Galtadi Vigonovo, provincia di Veneziae diocesi di Padova, 23 marzo 1957).E’ stato ucciso nella sua parrocchiadel Sagrado Corazao de Maria nelbarrio Santa Etelvina, quartiere peri-ferico di Manaus (Brasile). Intornoalle 7 del mattino (ora locale) il dia-cono della parrocchia, sentiti deglispari, ha trovato il corpo senza vitadi don Ruggero, inginocchiato vici-no al letto, colpito alla nuca da unproiettile. Da testimonianze raccolte

sul luogo, pare siano stati rubati una cinquanti-na di Real (circa 19 euro), lasciando molto altrodenaro nell’abitazione. Don Ruggero era stato ordi-nato sacerdote nel 1982. Dopo aver studiato eccle-siologia a Roma, era rientrato in diocesi nell’agosto1994, occupandosi per circa un anno di Pastoralesociale e del lavoro; quindi fu nominato direttoredel Centro Missionario Diocesano, incarico chericoprì dal 1995 al 2003. Il 6 luglio 2003 partì comemissionario fidei donum per il Brasile, diocesi diItaguaì a Mangaratiba. Un luogo di confine tra la città e la foresta amaz-zonica, dove la criminalità è particolarmente vio-lenta. Centinaia di abitanti del sobborgo di SantaEvelina, dove è la sua parrocchia si sono reca-ti a vedere il corpo del missionario, tanto che lapolizia è dovuta intervenire per contenere la fol-la riunita sul luogo dell’omicidio. “Era un buon sacer-dote. Era molto ben voluto dalla comunità. C’è grande commozione in tutta la città”, ha det-to padre Danivalde Oliveira, del-l’arcidiocesi diManaus. “Nonho potuto trat-tenere le lacri-me perché èun dolore gran-de quello cheprovo, ha rac-contato mons. Francesco Biasin vescovo di Pesqueira,originario della diocesi di Padova. Un uomo cheho sempre considerato un fratello e un amico. Proprioultimamente l’ho sentito sereno e gioioso, comenon lo sentivo da tempo. Gli inizi non erano sta-ti facili: si doveva inserire in un ambiente diffici-le di grande degrado, con occupazioni disordinatedi nuovi terreni ai margini della foresta. Ultimamente la criminalità si è fatta molto aggres-siva: un vescovo locale è stato sequestrato peralcuni giorni dai banditi, mentre altre cinque casedi religiosi della diocesi sono state assalite e deru-bate. La questione della sicurezza sta diventan-do motivo di forti proteste e la stessa Chiesa loca-le sta alzando la voce perché le autorità rafforzi-no i loro controlli”. Lo stesso don Ruggero, pocoprima di essere ucciso, aveva partecipato a unamanifestazione per chiedere maggiore sicurezza.Dopo i funerali nella metropoli amazzonica, il suocorpo è stato riportato in Italia.

ANNO 2010

I martiri: 25, 1 vescovo (L. Padovese in Turchia),17 sacerdoti, 1 religioso, 2 seminaristi, 1 religiosa, 3 laici.I luoghi del martirio: Africa 2, America 17, Asia 6.Uno il testimonio italiano:3 giugno, Iskenderun, Turchia: mons. LUIGI PADOVESE, dei Frati MinoriCappuccini, 63 anni, vescovo titolare di Monteverde,Vicario Apostolico dell’ Anatolia e Presidente del-la Conferenza Episcopale Turca. Mons. Padoveseè stato assassinato a coltellate dal suo autista nel-la sua abitazione a Iskenderun (Turchia) il 3 giu-gno 2010. Nato a Milano il 31 marzo del 1947,Padovese era entrato nell’Ordine dei Cappucciniil 3 ottobre 1964 e il 16 giugno 1973 è stato ordi-nato sacerdote. Laureatosi a pieni voti i Teologiapresso la Pontificia Università Gregoriana di Roma,è stato professore titolare della cattedra diSpiritualità Patristica alla Pontificia Università Antonianum,sempre a Roma, e per sedici anni ha diretto l’IstitutoFrancescano di Spiritualità nella medesima uni-versità, all’interno del quale – nel marzo 2011 –è stata istituita in suo ricordo una cattedra di Spiritualitàe Dialogo Interreligioso. Ha tenuto una cattedra anche alla Pontificia UniversitàGregoriana e alla Pontificia Accademia Alfonsiana.Per 10 anni è stato poi visitatore del Collegio Orientaledi Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali.L’11 agosto 2004 è stato nominato Vicario apo-stolico dell’Anatolia e consacrato Vescovo. Nellasua sede episcopale portava avanti il dialogo coni musulmani e curavai rapporti ecumenicicon gli ortodossi. Ilsuoi interesse di studiosodelle origini del cri-stianesimo si è con-cretizzato fin dagli anni’90 anche con l’istitu-zione dei Simposi diEfeso su San GiovanniApostolo e di quelli diTarso su san PaoloApostolo. Il suo carat-tere aperto e la capacità di amicizia con tante per-sone aveva suscitato l’attenzione anche sul patri-monio religioso, storico, archeologico e spiritua-le presente in Turchia. Due fatti in particolare han-no segnato il suo episcopato in terra turca: l’uc-cisione di don Andrea Santoro nel 2006, da lui vis-suta con grande dolore e con la consapevolez-za del rischio legato a una violenza crescente anchenel suo ambiente; e l’Anno Paolino indetto da BenedettoXVI per ricordare l’opera dell’Apostolo delle Gentinel bimillenario della sua nascita. In quell’anno lasua opera di accoglienza e promozione dei pel-legrinaggi paolini nella sua Turchia lo resero ancorpiù familiare e amato. Il suo sacrificio, apparentemente “assurdo”, siadi stimolo alla rinascita del cristianesimo nella ter-ra delle sue origini, il Medio Oriente, sempre per-corso da inimicizie e guerre, sempre bisognosodi comprensione e sostegno, sempre caro a chicrede in un solo Dio.

2525OttobreOttobre20132013

Stanislao Fioramonti

ANNA SCHAEFFER

Nata nel villaggio di Mindelstetten in Baviera(Germania) il 18 febbraio 1882, terza degli ottofigli di un povero falegname, da giovanissimaentrò come domestica presso una famiglia ben-estante di Ratisbona,per procurarsi lasomma (“dote”)allora necessaria perentrare in conven-to; voleva infattifar parte di unOrdine religiosomissionario. Questa aspirazionefu resa impossibileprima dalla morteimprovvisa delpadre, con l’ obbli-go di badare ai suoifratellini; poi il 14 feb-braio 1901 da ungrave incidente nel-la lavanderia dovelavorava, presso Ingolstadt: per risistemare unacanna fumaria in procinto di cadere, Anna si arrampicòma cadde in una vasca di acqua calda con lis-civa, procurandosi gravissime ustioni e corro-sioni alle gambe. Nonostante mesi di ricovero, le piaghe inguari-bili la costringeranno a letto per tutta la vita. A21 anni iniziava per lei un calvario che con iltempo si trasformò in una missione vera e pro-pria dall’interno della sua stanza. Nonostante nuove malattie (paralisi agli arti infe-riori, tumore all’intestino...), divenneun punto di riferimento, di consiglioe di consolazione per tantissima gentein difficoltà, che si rivolgeva a lei confiducia. “Il letto di dolore - ha det-to papa Benedetto XVI - diventò perlei cella conventuale e la sofferenzacostituì il suo servizio missionario.Inizialmente si lamentava della pro-pria sorte, ma poi giunse a inter-pretare la sua situazione come unachiamata amorevole del Crocifissoa seguirLo. Confortata dalla Comunione quo-tidiana, ella diventò un’instancabilestrumento di intercessione nellapreghiera e un riflesso dell’amoredi Dio per molte persone che cer-

cavano il suo consiglio”. Questa sua missione durò quasi un ventennio,fino alla morte avvenuta serenamente il 5 otto-bre 1925. Sepolta prima nel cimitero, fu poi trasferi-ta nella chiesa parrocchiale di Mindelstetten, metadi grande devozione in Baviera.

Beatificata da Giovanni Paolo II nel 1999, è sta-ta canonizzata il 21 ottobre 2012 in piazza S.

Pietro da Benedetto XVI, checosì concluse il suo discorso dicanonizzazione:“Possa il suo aposto-lato di preghiera e disofferenza, di sacrifi-cio e di espiazione cos-tituire un esempio lumi-noso per i fedeli nellasua Patria, e la sua inter-cessione rafforzi ilmovimento cristianodi hospice [centri di curepalliative per malati ter-minali] nel loro benefi-co servizio”.

Nella scia della GiornataMondiale della Gioventù

che si è celebrata con papa Francesco in Brasile,a Rio de Janeiro, dal 23 al 28 luglio, vogliamoricordare la prima afro brasiliana beatificata il4 maggio a Baependì, località dello stato bra-siliano di Minas Gerais, dove essa trascorse granparte della sua vita povera e cristiana. Si tratta di FRANCISCA DE PAULA DE JESUS(1808-1895), chiamata da tutti affettuosamen-te Nhà Chica, zia Francesca. “Figlia e nipote di schiavi, schiava essa stes-sa, analfabeta, orfana dall’infanzia, visse nel-

la povertà e nella semplicità, dedicando la suavita a servire le persone, soprattutto nel nobi-le compito di ascoltare e consigliare”; così l’haricordata la Conferenza Episcopale Brasiliana.E infatti zia Francesca, affrancata dalla schia-vitù, ogni giorno organizzava incontri di preghierain casa sua, incontrando moltissimi connazio-nali ricchi e poveri che cercavano conforto spi-

rituale nelle sue parole. L’immensa ricchezza lasciatale in eredità dal fra-tello la distribuì tutta ai poveri; si trattenne solouna piccola somma per costruire una cappel-lina all’Immacolata Concezione. In questa cap-pella fu sepolta quando morì ultraottantenne,e qui accorrono ancora tanti brasiliani in devo-to pellegrinaggio.

I SANTI DELL’ANNO DELLA FEDE / 9

2626 OttobreOttobre20132013

Don Ettore Capra

CConclude questo anno della fede Ottobre,mese dedicato al Rosario. Santa Maria del-le Vittorie, che ricorda la battaglia di Lepanto,

ne è la motivazione storica, la Madonna di Pompeila ragione dell’attuale staordinaria diffusione in tutte le regio-ni. Sarei tentato dunque di riproporre la versione origina-le della Supplica composta dal Beato Bartolo Longo che,ahimè, compare ormai il più delle volte in versioni adul-corate, che in vero la rendono simile al “Giudizio della CappellaSistina “arriccito” dai braghettoni del Ricciarelli. Lascio a Voi di ricercarne l’originale in qualche libro di pie-tà che non risenta della odierna smania del politicamen-te corretto.

In questa poesia del De Marchi il tema della fede sempli-ce, che offre maggiori certezze e consolazioni dell’arroganzadella scienza positivista, si intreccia con la consapevolezzache essa rimane l’unica sapienza in grado di valicare il murodella morte unendo il mondo di quaggiù con le realtà delcielo.Così concludo il nostro piccolo spicilegio nella speranzadi aver contribuito all’anno della fede senza annoiare.

Pende dal chiodo sul guancial, di granifitto il rosario della nonna mia:

pende e sui sonni miei torbidi o vanil’ombra distende pia:

Fanciullo, il tintinnir mi piacque e il lentovolger di questa coroncina antica;

e ancor quando la tocco ancor ne sentouscir la voce amica

dei cari giorni e dei misteri santi,che stanno ora confitti al vecchio muro:

che non temon di dotti e di pedantiil perfido scongiuro.

Serban le perle le ancor calde improntedelle tue dita, o nonna, ove passasti,

quando inchinata al tuo Signor la frontede’tuoi pensier più casti

gli svelavi i tesori intimi, arcani;onde non morti ancor dopo molt’anni

come piccoli cor battono i granipieni dei santi affanni.

Forse già tutte consumò le nudeossa la terra e accanto al sasso piodella tua tomba già forse si schiude

un fior che non è mio;

ma quel che fu tuo spirito immortalepalpita e vive in questo scapolare,

che il ciel congiunge colla terra e valeper me più d’ogni altare.

Presso qui sta di gravi opere densoun armadio di libri, che raduna

in poco il mare della scienza immensoche sta sotto la luna;

che la ragione delle cose amarami distilla nel cerebro e l’essenza

com’acido purifica e rischiaradella volgar coscienza;

a cui del capo urtando al vecchio legno,chiedo la notte e chiedo il dì la sorte

del viver mio, ma invan chiedo.- ed un segnoche plachi un po’ la morte:

chè tutt’insieme il venerando stuolonon fa più breccia, quando il cuore assale,

di quel che faccia lento un vermiciuolonel logoro scaffale...

Ma tu, sol che ti tocchi, una dolcezzaversi che definir non san le scuole:scintilla amor e passa una carezza

su tutto ciò che duole.

Morremo e immota in suo rigor di sassosarà dei saggi la ragion superba:

tu, povera umiltà. Col piccol passo,ove più dura e acerba

scende la via, sorreggi il piede e il fiancoalla languida vita; e sull’eterna

scala ove trema il pellegrin più stancoinnalzi una lucerna.

E. De Marchi,

Vecchie cadenze e nuove,

Milano, 1904

IL ROSARIO DELLA NONNA

2727OttobreOttobre20132013

Stanislao Fioramonti

IIl santuario rupestre della SS. Trinitàdi Vallepietra, a 90 km da Roma, unodei più frequentati del centro Italia,

si trova a 1340 metri di altezza sul fian-co orientale del m. Autore, nella catenadei monti Simbruini. È formato da due grotte, una inferiore chia-mata dell’Angelo, nella quale secondo latradizione un angelo avrebbe fatto zam-pillare una sorgente d’acqua; e una supe-riore nella quale - tra varie altre figuredi santi, databili al XII secolo - è l’anticoaffresco raffigurante la SS. Trinità, cioèDio uno nella natura ma distinto in tre Persone:il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tre piccole cappelle della SS. Trinità, di S. Anna e di S. Giuseppe sonoposte alla base di una roccia alta 300 metri a strapiombo, la Tagliata. Sull’origine del santuario si hanno due leggende; la prima narra che un con-tadino che arava i campi sulla Tagliata vide i suoi buoi improvvisamenteprecipitare nello strapiombo della roccia; invocata con fervore la Trinità, videl’aratro appeso a mezza altezza e in basso i buoi sani che guardavano l’im-magine sacra dipinta nella grotta. La seconda leggenda letteraria, scritta su una pergamena che un Abatedel santuario affermò di aver letto prima che andasse bruciata, narra di dueravennati che, fuggiti da Roma per scampare alla persecuzione, si rifugiarononel santuario, furono visitati dagli apostoli Pietro e Giovanni ed ebbero l’ap-parizione della Trinità. Gli studiosi suppongono invece che il santuario siasorto su un antico tempietto pagano e che sia stato fondato dai benedet-tini di Subiaco o dai monaci Basiliani, rifugiatisi nella grotta e autori del-l’affresco della Trinità. Secondo lo storico mons. Filippo Caraffa a fondare il santuario fu S. Domenicodi Sora, come scrive un discepolo contemporaneo nella biografia del san-to. Migliaia di persone italiane e straniere (si calcola oltre 1 milione l’an-no), particolarmente laziali e abruzzesi, si recavano in pellegrinaggio a pie-di all’antico santuario; i viag-gi si tenevano dal 1° maggioa tutto ottobre di ogni anno, masoprattutto in coincidenza del-le feste liturgiche della SS. Trinità(domenica dopo Pentecoste, disolito fine maggio - inizi giugno)e di S. Anna (26 luglio).La festa della SantissimaTrinità risale all’epoca carolingia(sec. IX) e fu estesa a tutta laChiesa da papa Giovanni XXIInel 1334. Anche il culto di S. Anna è diorigine orientale, risalenteall’VII secolo; in questo stes-so periodo passò in Occidente,e se ne trova un cenno nel-l’affresco di S. Maria Antiquain Roma, anch’esso del VII seco-lo. Il 23 luglio, quattro giorniprima della festa di S. Anna,un pellegrinaggio partiva ancheda Valmontone. I nostri avi sceglievano questadata, oltre che per motivi affet-tivi verso la madre di Maria epatrona delle partorienti (“S. Annaprovéde e manna”), per moti-vi sociali ed economici: alla finedi luglio la gente era più libe-ra dal lavoro dei campi, l’atti-

vità allora prevalente per i valmontone-si, mentre a fine maggio-primi di giugno(quando cadeva la festa della Trinità) siera occupatissimi soprattutto nella falciaturae battitura del grano. La “compagnia”, animata sempre da donVincenzo Gabrielli, era formata da unasettantina di persone (più grandi eranole Compagnie di Velletri, Artena, Anagnie Frosinone), e si concentrava davantialla settecentesca chiesina rurale di S.Anna al bivio di Genazzano, demolita nel1974 per allargare lo svincolo stradale.Partiva nel primo pomeriggio, verso le16, con asini e muli per i carichi, dietroalla croce e allo stendardo della compagnia(stennardino) con le Tre Persone raffi-

gurate tutte uguali. Tagliando per i campi tra Genazzano e Paliano (Moladei Piscoli, la Polledrara, Ponte Massa, Stazione di Paliano della ferroviavicinale Roma Fiuggi), faceva la prima sosta verso le ore 21 sulle scaledella chiesa del Sacro Cuore di Gesù a La Forma, oggi sconsacrata, peruna cena sbrigativa e una dormita, stesi per terra dove possibile. Poco sot-to era la fontana eretta nel1881 che dà il nome alla frazione. Alle 2 del mattino seguente (24 luglio) don Vincenzo celebrava la messanella chiesa e poi partenza per Piglio, scorciatoia di via Nova, Altipiani diArcinazzo (pranzo), via Setacciara, Ponte di Comunacque (PonteSetacciaro), confluenza del torrente Simbrivio proveniente da Vallepietracon il fiume Aniene sceso da Filettino. La tradizione vuole che, passando sul ponte Setacciaro, il pellegrino deb-ba gettare un sasso nel fiume sottostante, come per esorcizzare il perico-lo mortale, perché il fiume “ogni anno se pìja ‘n’ anima”. Così perciò face-vano tutti. Giunti a Vallepietra, era d’obbligo la visita alla parrocchiale di S.Giovanni; poi si cenava, si partecipava alla processione serale del patro-no S. Cristoforo, festeggiato proprio quel giorno, e finalmente ci si ripo-sava qualche ora distesi per le vie del paese affollato dai pellegrini. Il terzo giorno (25 luglio), verso le 3 del mattino, si affrontava la salita allo

Scoglio: il ponte del Tartaro, veroe proprio ingresso nell’area sacradel santuario, alcuni lo attra-versano di spalle, lanciando tresassi nel torrente, come per libe-rarsi della zavorra dei propri pec-cati ed entrare puri in quell’a-rea; ultima bevuta al Fontaniledelle Donne, poi l’ ascesa per2-3 ore, di notte e a piedi scal-zi, al lume di candele e fiac-cole e della luna piena, insie-me alle altre compagnie cheoltre all’inno della Santissima(“Corre l’acqua da ogni parte,quanto più la gente arriva, dal-lo scoglio ne deriva, chi si vuo-le dissetar” ecc.) cantavano anchele due strofe dedicate a S. Anna,la prima delle quali faceva accap-ponare la pelle ai teologi con-siderando S. Anna madre del-la Trinità (“E tu, Sant’Anna bel-la/ madre delle Tre Persone/con santa devozione/ ti venia-mo a visitar”). Giunti finalmente al santuario,i partecipanti si confessavano,recitavano il rosario, ascolta-vano la messa all’aperto, visi-tavano la cappella di S. Anna,

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nella grotta santa facevano una lunga fila per venerare l’immagine delle“Tre Person Divine”, salendo la scala di accesso in ginocchio e uscendodi schiena, perché a Dio non si danno mai le spalle!; e ogni gesto era scan-dito da una strofa dell’inno o dalla invocazione alla Trinità (“Evì, evì, evi-va la Santissima Trinitàne!”). Non potevano però ascoltare il “pianto delle Zitelle” di Vallepietra, anticorito o canto poetico-religioso popolare sulla Passione di Cristo, rievocan-te una rappresentazione sacra del ‘600. Si rappresentava infatti solo nella festa della Trinità, nella notte tra saba-to e domenica, richiamando ogni anno migliaia di fedeli, che compivano ilpellegrinaggio in una notte di plenilunio. Venti ragazze nubili di Vallepietrasi tramandano nella stessa famiglia la recita del mistero; sono vestite dibianco, eccetto la Madonna che ha un abito nero e un velo azzurro. Il lamento è provocato dalle mosse della bocca, tramandato da generazioni,senza strumenti musicali. Compiute tutte le loro “devozioni”, i pellegrini sidivagavano scommettendo a chilocalizzava l’aratro sulla parete dellaTagliata; alle bancarelle compravanoricordini e ghirlande e coccarde di car-ta colorata per adornare cappelli, sten-dardi, bastoni e animali; si rifocillavanosu un prato vicino. In più tarda mat-tinata, verso le 8, prendevano la viadel ritorno, cantando nella discesa connostalgia. Si lasciava Vallepietra per Comunacque,si risaliva la dura Setacciara (defor-mazione di Sudacciara, e mai nomesembrava tanto appropriato), si supe-ravano gli Altipiani e Piglio e si giun-geva alla Forma, per passarvi la not-te e prepararsi all’ingresso trionfale inpaese il giorno dopo.Dopo tre giorni e mezzo di camminosu strade sterrate, polverose e soli-tarie, per circa 100 chilometri tra anda-ta e ritorno, si rientrava finalmente aValmontone nel pomeriggio del 26 luglio,festa di S. Anna, tutti infiocchettati (per-sone e animali) con le coccarde e ifiori di carta colorata acquistati alle ban-carelle del santuario. Si sfilava per ilpaese in festa (via Genazzano, viaCasilina, via S. Antonio, via Porta Romana,via Nazionale) cantando ancora, conforza, l’inno della Santissima. Il corteo si concludeva verso le 18 inCollegiata con la benedizionedell’Arciprete. Nel 1965 mons. Luigi M. Carli

(Comacchio, 19 nov. 1914 - Gaeta, 14 aprile 1986), vescovo di Segni dal1957 al 1973, poi Arcivescovo di Gaeta, “dopo aver chiesto il parere del-la S. C. del Sant’Uffizio, disciplinò l’esposizione in chiesa dello stendardoche riproduce pittoricamente la SS. Trinità con tre figure uguali dalle sem-bianze umane” (B. Navarra, I Vescovi di Segni).In pratica proibì alle compagnie della SS. Trinità l’ingresso in chiesa perl’uso dello stendardo con le Tre Persone identiche nella forma, immagineteologicamente errata. Il provvedimento, che interessava tutta la diocesi,colpì anche Valmontone: sorsero accese polemiche e contrapposizioni anchetra i pellegrini e il parroco della Collegiata don Paolo Cocchia, considera-to “troppo” obbediente al vescovo. In pratica quel provvedimento segnò lafine dei pellegrinaggi annuali dei valmontonesi al santuario di Vallepietra.Dopo 48 anni ecco il mio pellegrinaggio a piedi alla Santissima (solo anda-ta, purtroppo, per mancanza di tempo). L’ho preparato a lungo ed ho volu-to ripetere il più precisamente possibile (pur con qualche inevitabile modi-fica) il tragitto e i gesti degli antichi padri, per cercare di provare i loro sen-

timenti, le loro fatiche e gioie. Mi haaccompagnato Fabrizio Landucci. In due giorni, il 20 e il 21 luglio 2013(cinque giorni prima della festa di S.Anna), abbiamo camminato per 50km e 12 ore di marcia effettiva, supe-rando un dislivello totale in salita dioltre 1500 metri. Una faticaccia, specialmente in cer-ti tratti, ma ben ripagata dalle tantebelle persone conosciute sul cam-mino (Federico, Betto, Filippo, Pino,Sandro, don Alberto...) e dalla sod-disfazione della meta raggiunta.A un’età (62 anni) in cui i sogni ormaicominciano a svanire (se non li hairealizzati, almeno qualcuno), l’ho fat-to soprattutto per fede. Ed è bello che sia riuscito a farlo inquesto Anno della Fede, il pellegri-naggio alla Santissima essendouna delle espressioni più emozionantidella fede dei nostri avi. Fede senza dubbio condita con altrielementi: prestanza fisica, abitudinealla fatica, voglia di uscire dal pro-prio ambiente e di conoscere altri luo-ghi e persone, manifestazione del pro-prio coraggio e tutto l’altro che si vuo-le, ma in fondo e soprattutto espres-sione della loro fede, speranza e amo-re, le tre virtù teologali che così benesignificano le tre persone dellaSantissima Trinità, il Padre, il Figlioe lo Spirito Santo.

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PARROCCHIA S. BARBARA

DDopo San Gioacchino questa è la parrocchia storica della giova-ne città di Colleferro nata attorno alle fabbriche dell’allora Segni

Scalo. La prima pietra di questa chiesa fu benedetta dal Vescovo diSegni mons. Tessaroli il 12 luglio 1936. Costruita su disegno dell’ing.Moranti riproduce, nella facciata, lo stile dell’antico castello baronaledi Colleferro con tre grandi arcate alte 25 metri. Nell’abside campeggia il grande mosaico alto più di nove metri conl’immagine di Santa Barbara, protettrice della città: è opera di MarinoMazzacurati. Altra opera d’arte preziosissima è il grande Crocefissoin bronzo, da un’opera di Donatello, che lo scolpì per la basilica delSanto a Padova: questo di Santa Barbara è il “gemello” essendo sta-to fuso dallo stesso calco. Sul campanile alto 30 metri furono poste tre campane offerte dalle mae-stranze della società B.P.D. e dedicate a S. Barbara, S. Paolo e a S.Gerardo. Attualmente la parrocchia raccoglie nel suo territorio quasi7000 abitanti ed è retta da tantissimi anni da mons. Luciano Leporeparroco studioso e docente di sacra scrittura coadiuvato da don LeonardoD’Ascenzo e don Ettore Capra.

PARROCCHIA MARIA SS.MA IMMACOLATA

IIl 13 maggio del 1956, alla presenza del Vescovo Diocesano di Segni,Mons. Pietro Severi, veniva posta la prima pietra di quella che sareb-

be diventata la Chiesa Parrocchiale dell’Immacolata. Il 29 novembre1957 iniziano i lavori effettivi per la costruzione della stessa.

La nuova chiesa viene consacrata il 1° maggio 1964 da Mons. LuigiCarli. La Chiesa è a pianta centrale (croce greca) e la facciata è movi-mentata da un grande arco trionfale. Un aereo campanile si innalzasul lato sinistro della struttura. Nel corso degli anni questa è stata arric-chita da varie opere d’arte tra cui il mosaico centrale dell’abside cheraffigura l’Immacolata ed è operadel laboratorio musivo del Vaticanoe la collocazione di una statua bron-zea dell’Immacolata sulla guglia delcampanile. Negli anni ’70, posa in opera del-le vetrate artistiche nei luoghi del-l’abside e la vetrata dell’ovale postodavanti alla facciata, raffiguranteS. Massimiliano M. Kolbe. Ultimamente sono stati collocati itre portali in bronzo istoriato. La parrocchia è stata affidata ai Padrifrancescani Conventuali.

Nel suo territorio raccoglie circa 7000 abitanti è retta dal rev.do p. AntonioScardella.

PARROCCHIA S. GIOACCHINO

SSorta per rispondere alle esigenze degli operai dell’allora SegniScalo poi divenuta Colleferro, con gli “auspici” di Papa Pecci Leone

XIII di origini carpinetane, la piccola chiesa ricoperta interamente inblocchi di tufo è la più antica della città.

La sua costruzione iniziò nel 1899 per volere dei cittadini che orga-nizzarono una raccolta firme per la sua edificazione. I lavori furono ter-minati nel 1923. Raccoglie nel suo territorio meno di mille abitanti ètra le più piccole della Diocesi. Per molti anni è stata retta da don NicolaFontana attualmente è parroco don Silvestro Mazzer.

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a cura di Francesca Langella ap.

Proponiamo la riflessione di Enzo Bianchi,Priore della Comunità monastica di Bose,Magnano e Biella presentata al Seminariosulla Direzione Spirituale, organizzatodall’Ufficio Nazionale per la Pastorale del-le Vocazioni, tenutosi a Brescia dal 2 al 5 apri-le 2013. La riflessione è tratta da VOCAZIONI,la rivista dell’UNPV.

IIl tema che mi è stato assegnato come ricer-ca e come contributo da offrirvi questa seraha come titolo: “La vocazione oggi”. Ora,

quando si parla di vocazione e di vocazioni oggi,subito si parla anche di crisi, e in verità pos-siamo dire che effettivamente - attenzione alleparole che uso - c’è una diminuzione forte del-le ordinazioni presbiterali e una diminuzione for-tissima di quelli che professano la vita religio-sa (monaci, monache, frati suore, religiosi e reli-giose). Come interpretare questa crisi, dalla qua-le sembra dipendere il futuro delle comunità cri-stiane, soprattutto nelle nostre terre di anticacristianità? Non spetta ora a me ricordare che questa cri-si era in realtà già presente negli anni ’60 delsecolo scorso e che certamente ha avuto unaccrescimento vistoso a partire dalla svolta antro-pologica, culturale e politica di quegli anni. Finivala cristianità come assetto culturale, iniziava ilprocesso di secolarizzazione, di “disincanto delmondo” (Marcel Gauchet), e di conseguenzaemergevano nuove urgenze, nuove e impen-sate vie per “vivere la vita”. Denatalità, diminutio della comunità cristiana,mutamenti sostanziali nella forma di vivere la

vocazione presbiterale o reli-giosa, emergenza delle voca-zioni laicali e della vocazione“cristiana” – quella cioè che ognicristiano riceve in dotazione conil battesimo –, nuove com-prensioni dell’etica e della ses-sualità: tutto questo ha contribuitoalla crisi. Conosciamo bene questecongiunture, da tempo le ana-lizziamo e magari cerchiamoper esse adeguati rimedi. Maio voglio andare oltre: vorreiporre delle domande al terminedi questa introduzione al temae poi sostare sulla vocazionee sull’oggi, che per noi cristianinon è mai solo cronologico, maè sempre kairós, “oggi diDio”. Queste le domande chesono necessarie, necessariequanto le risposte che però nonsempre sono possibili. 1. Quella che chiamiamo cri-si di vocazioni è veramente taleoppure è una crisi della fede,soprattutto della fede come atteg-giamento umano di fede-fidu-

cia - la cosiddetta fides qua - fede - fiducia neglialtri, nel futuro, nella terra e dunque in tutto ciòche riusciamo a realizzare e a vivere? 2. Quella che chiamiamo crisi di vocazioni è cer-tamente una mancanza sofferta oggi dalle comu-nità cristiane, ma non è sterile: non può forseessere un cammino attraverso il quale lo Spiritosanto ci chiede di comprendere in modo diver-so le vocazioni stesse? 3. L’attuale crisi di vocazioni ci spaventa per ladiminutio numerica, avendo noi un’ottica utili-taristica (“occorrono per tanta gente tanti pre-ti come una volta”), oppure ci spaventa per lamancanza di santità, di fede e di carità che cogliele comunità cristiane, le quali restano così ste-rili e poco feconde di vocazioni? Non deve preoccuparci solo la quantità dellevocazioni, ma piuttosto la loro qualità umanae spirituale! La chiesa può fare molte cose eccel-lenti con poche vocazioni, ma dotate di quali-tà e convinzione. Aumentare a ogni costo le voca-zioni significa aumentare il numero dei miserie dei fanatici, non dei santi… 4. E infine un’ultima domanda: se è vero checi sono pochi chiamati, non è perché sono scom-parsi quelli che chiamano? Non è perché tuttinella Chiesa sentono le vocazioni comeun’”eccezione” e non come il fondamento del-la vita cristiana? Non c’è forse un rassegnar-si da parte di tutti i cristiani, compresi quelli chedovrebbero “chiamare”, alla situazione di cri-si, supponendo che la Chiesa corrisponda aimezzi umani immediatamente disponibili? È ungrave errore spirituale! Occorre, in ogni caso avere fede: “Il Signoreè fedele” (2Ts 3,3), il Signore è fedele e nonmanca di vedere e di provvedere alla sua comu-

nità, affinché abbia sempre i mezzi per ringio-vanire e rinnovarsi. Il Signore vede, ascolta e conosce la sua Chiesa:a noi chiede fede-fiducia, senza la quale eglinon può operare in noi e tra di noi. Attenzione,dunque, quando parliamo di crisi di vocazioni:è sempre crisi di chiamata, crisi di modelli sto-rici, crisi di vita comunitaria, ecclesiale.

1. La vocazione oggi

Le considerazioni che farò sono tratte soprat-tutto dalla mia assiduità con le sante Scritture- non può essere diversamente per un cristia-no -, dalla grande Tradizione che frequento nel-la mia vita monastica, dalla mia esperienza diuomo ormai anziano che ha visto emergere, cre-scere, acconsentire e assumere diverse voca-zioni, ma anche contraddirle, smentirle, abban-donarle. Sì, la vocazione è una vicenda, unastoria a volte lunghissima, un cammino diffici-le, pieno di cadute e di rinnegamenti, in cui ilSignore ci chiede solo di “conservare la fede”(cf 2Tm 3,7) che è fedele, che perdura, persi-ste, persevera nonostante tutto: “Se noi siamoinfedeli, il Signore rimane fedele” (2Tm 2,13)! a) La vocazione umana Innanzitutto occorre mettere in evidenza chein ogni uomo c’è la possibilità di una vocazio-ne, anzi occorre dire che ciò che fa l’uomo, chelo umanizza, è la vocazione umana. Nessunosi sorprenda dell’espressione “vocazione uma-na”: chi conosce lo spirito del concilio VaticanoII sa che in quell’evento si è sentito il bisogno,per la prima volta nel cristianesimo, di parlaredi vocazione umana. Ogni uomo, per il fatto diessere tale, sente in sé una coscienza, una par-te pro-fonda e segreta, un santuario accessi-bile a lui solo, un crogiuolo in cui vive interior-mente il proprio “sé” (cf Gaudium et spes 16).Qui si avverte una chiamata, si sente un impul-so, un desiderio che chiama a uscire da se stes-si, che chiede di essere capaci di responsabi-lità-responsum, dunque di rispondere. Quando un uomo, una donna sente questa chia-mata e comincia a decifrarla, ecco che sentecosa vorrebbe fare della propria vita, degli anniche gli stanno davanti. Si tratta contemporaneamente di cogliere chela propria vita è unica, che non ce ne sarà un’al-tra e che quella vita va vissuta in una forma cheabbia senso per chi “viene al mondo”. Ecco per-ché questo processo abitualmente si fa con-sapevole nell’adolescente, nel giovane. Cosafare della propria vita per non buttarla, per viver-la in pienezza, per trovare senso, il senso deisensi, e fare della propria vita un capolavoro,un’opera d’arte? Vocazione umana, questa, cheva fatta nascere, va custodita, va temprata econfermata dal singolo, ma anche da chi gli staaccanto. Il mestiere di vivere è faticoso, duro,ma può essere buono, bello e beato se la voca-zione diventa mestiere di vivere. Se il vivere è senza vocazione, invece, diven-ta intollerabile, e se la vocazione non diventail mestiere assunto nella vita allora si è in una

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situazione sempre frammentaria, “liquida”,sfilacciata, inconcludente.Dunque c’è una vocazione umana, una “chia-mata a poter essere”, che deve abitare inogni persona: così nasce l’avventuraumana, così si assume la responsabilitàverso gli altri e verso il mondo, così si puòperseguire la ricerca di senso e approda-re a ciò che attende ogni uomo come cul-mine dell’umanizzazione; vivere l’amore comestoria. b) Pensare e ascoltare In questo itinerario della vocazione uma-na la prima esigenza è che ci si eserciti apensare: e pensare è sempre innanzitut-to ascoltare. Ascoltare! Dio disse come pri-ma parola ad Adamo: “Uomo, dove sei?”(Gen 3,9), e questa è una domanda fattasempre a ogni uomo e a ogni donna: “Dovesei?”, una domanda personale profonda chenon può essere estranea ad alcuna per-sona. È a partire dall’ascolto di questa doman-da - “Dove sei nel tuo cammino? Dove seinel tuo stare al mondo? Dove sei tra gli altri econ gli altri?” - che il chiamato può risponde-re: “Eccomi!” (Gen 22,1.11ss.). E quando dice:“Eccomi!”, dice di essere in ascolto, in attesadi una parola, di una chiamata, di un compito,di una responsabilità. c) Il discernimento Una seconda tappa della vocazione umana èil sentire ciò che riguarda, compete in modo par-ticolare e personalissimo chi si dispone alla chia-mata. E qui va detto subito: la chiamata comeinvito, voce, uscita da sé, è unica per tutti, mapoi la vocazione diventa vocazioni diverse, ilcammino diventa cammini. Le vie della voca-zione umana sono diverse… E qui sta la gran-de arte dello scegliere ciò che fa per me, ciòche sento per me urgente, ciò che mi edificacome uomo o come donna. Qui occorre fare discernimento e poi avere laforza per fare la scelta. L’operazionedel discernimento è la più laboriosa nelpercorso vocazionale. Innanzitutto nonla si fa da soli, ma bisogna che qual-cuno, con molto rispetto, aiuti e accom-pagni la vocazione. Ognuno di noi è trop-po soggettivo per scegliere in modo danon essere soggetto ai sentimenti, al“mi sento”, alla dittatura delle emozio-ni o dei sentimenti, in modo da non esse-re spinto da situazioni momen-tanee,passeggere, o da eventi capaci di toglie-re serenità, equilibrio, lucidità di pen-siero. Se c’è accanto un altro - insistosul fatto che è “altro” - esperto in uma-nità, allora questo altro fa domande, avolte mette sospetti, chiarifica ambiguità,ma non comanda, non determina e nean-che ispira. Certo, deve essere un in-segnante, nelsenso che fa segno, indica un orien-tamento, un senso del cammino, manon impone, non esprime il suo desi-derio, ma predispone soltanto all’incontro

tra chi si sente chiamato e il suo compito. E quan-do c’è sufficiente discernimento, quando unocomprende che ha davanti a sé la strada in cuisi realizzerà come uomo, si umanizzerà, la stra-da in cui gli sarà possibile vivere l’amore ver-so gli altri e ricevere dagli altri l’amore nel modopiù autentico, più reale e più gioioso, allora sce-glierà, o meglio aderirà alla vocazione ricono-sciuta come propria, ricevuta. d) La scelta Ecco allora la scelta: fatta con risolutezza, nel-la consapevolezza che scegliere una via signi-fica rinunciare ad altre vie. Ognuno ha una solavita da vivere, e in essa una sola via da per-correre. Occorre dunque consapevolezza del-la “rinuncia”, parola che oggi gode di cattiva fama,parola desueta, che a volte fa paura, ma cheè invece essenziale ad ogni cammino umano.Scegliere significa non vivere più nell’“et…et”,

ma dicendo sì a una cosa e no a un’al-tra che contrasta con il sì. Questa è la rinuncia che non è pri-vazione, bensì libertà, che è segnodi convinzione, di adesione, di scel-ta fatta con risolutezza. Nella vita dobbiamo prendere tantedecisioni e dobbiamo decidere, a vol-te decidere l’obbedienza o la trasgressione,ma sovente decidere semplicemen-te che strada, che direzione prende-re. Decidere viene dal latino “de-cae-dere”, “fare un taglio”, operare una sepa-razione da qualcosa per abbraccia-re un’altra possibilità. Lo so, fa paura, a volte paralizza, soprat-tutto nella giovinezza, lasciare le mol-te possibilità per una sola strada; mase la vita è unica, non si possono vive-re più vite e nello stesso fare storiacon gli altri, aderendo pienamente aquello che si fa o si vive! La decisione, se è presa dopo la nasci-

ta della vocazione umana avvenuta e vissutain se stessi, non data da altri (non vocazioniindotte da in-segnanti che seducono e non con-vertono, che chiedono sequela a loro stessi enon al Signore!); se è frutto di discernimentoavvenuto nell’ascolto di altri, nel confronto conchi ha doni umani e spirituali per dare un aiu-to sapienziale a chi è più giovane; se infine èassunta con risolutezza, sarà certamenteancora provata, ma potrà giungere alla matu-razione ed essere comunque un cammino uma-no non percorso invano, non colpevole di per-dita di tempo. Questa è la vocazione umana, o meglio il per-corso umano essenziale nel quale Dio può inne-stare la vocazione frutto e sviluppo della gra-zia battesimale presente nel cristiano.

(continua nel prossimo numero)

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mons. Paolo Picca

MMi pare impossibile, ma sono passativeramente 50 anni da quel 29 giu-gno 1963. Mi rivedo prostrato a ter-

ra insieme a d. Gino Orlandi nel presbiterio del-la Cattedrale di S. Clemente, mentre il clero ei numerosi fedeli pregavano su di noi cantan-do le litanie dei santi: “ut hos electos benedi-cere et sanctificare et consecrare digneris, terogamus audi nos.” Avvertivo che questo can-to mi avvolgeva totalmente e in qualche modomi penetrava dentro.Avevo 25 anni ed ero pieno di zelo per la sal-vezza delle anime, così come mi avevano pre-parato i superiori, i buoni padri gesuiti che diri-gevano il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni,ai quali va il mio ringraziamento. Questo ideale mi ha sempre accompagnato nelcorso degli anni e diventando anziano lo com-prendo sempre meglio. Benedico il Signore chemi ha chiamato a seguirlo fin da piccolo tenen-domi lontano dalle insidie e dalle suggestioni delmondo. Nella mia vita non ho avuto altro idea-le che fare il prete: amare e far amare Gesù,portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Dopo 50 anni posso testi-moniare che fare il pre-te è bello e mi fa sen-tire pienamente realiz-zato. La fede ci dice cheil prete è “un altroCristo” perchè continuanel tempo la missionedi Cristo. Oggi posso affermareche veramente l’azionedi Cristo passa attraversola missione del sacer-dote. Sono testimonedi guarigioni fisiche e spi-rituali che il Signore con-tinua ad operare nel mon-do attraverso l’opera delsacerdote.Potrei scrivere un libro

su tante tragedie evitate, perchè perso-ne in preda alla disperazione hanno tro-vato un prete che le ha ascoltate e con-fortate.Un altro grande motivo di conforto è vede-re che il Signore ha fatto fiorire più di qual-che vocazione al sacerdozio e alla vita reli-giosa in giovani che ho incontrato. Certo ho conosciuto anch’io dubbi, crisi,momenti di difficoltà nel seguire la chia-mata del Signore, ma ho sempre speri-mentato che Gesù non mi ha abbando-nato mai, mi perdona, mi consola, m’il-lumina e mi accompagna, mi dà la for-za e la gioia di riprendere ogni giorno ilcammino.Nei primi anni del mio sacerdozio, subi-to dopo il Concilio, ho conosciuto la bufe-ra della contestazione e oso dire della “rivo-luzione” che ha sconvolto la Chiesa. Tuttofu messo in discussione.A sentire certi innovatori che andavano perla maggiore, sembrava che la Chiesa pri-ma del Concilio fosse tutta sbagliata e biso-gnava dar vita ad una Chiesa nuova.Sembrava che tutta la preparazione che con curaci era stata data in seminario fosse tutta erra-

ta. Chi rimaneva fedele alle promesse fatte, veni-va accusato di non essere all’altezza dei tem-

pi. Paolo VI arrivò a dire cheil fumo di satana era penetratonella Chiesa: “Attraversoqualche fessura il fumo di Satanaè entrato nella Chiesa”. (PaoloVI, 29 giugno del 1972).Furono anni difficili anche perme, ma la grazia di Dio mi haassistito e sono riuscito a super-are questa difficile prova.Ringrazio il Signore che mi hareso strumento della sua gra-zia e della sua missione di sal-vezza a servizio dei fratelli egli chiedo di ridarmi l’entusia-smo e la commozione della miaprima messa.

Ordinazione di Paolo Picca e Gino Orlandi, 29 giugno 1963.

Si riconoscono: il vescovo Mons. Primo Gasbarri e Mons. Giuseppe Marafini.

29 giugno1963: don Paolo Picca, padre Porta sj, padre Gino Picca sj e don Gino Orlandi.

L’ordinazione di don Paolo Picca, il 29 giugno1963.

Un momento della celebrazione del 29giugno 2013 con sr. F. Langella, donMarco Nemesi, mons. Paolo Picca e ilseminarista Damiano Uffredi.

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Simona Zani

LLa nostra diocesi ha festeggiato nel gior-no di San Pietro e Paolo il giubileo sacer-dotale di due suoi presbiteri, don Gino

Olrlandi e don Paolo Picca che nello stesso gior-no in cui saliva al soglio Pontificio Papa PaoloVI donavano la loro libertà al Signore. Mi è stato chiesto di raccontare il forte desi-derio nutrito da don Gino di condividere la suaimmutata gioia di quella scelta, e credo che lalettura di queste giornate di festa debba pas-sare con semplicità attraverso le due lenti diingrandimento offerte proprio dalle parole chedon Gino ha espresso nel discorso fatto al ter-mine della cerimonia di domenica 30 giugno:ringraziamento e comunione. Il primo momento è stato il concerto offerto dal-la Associazione Nuovi Orizzonti il 22 giugno sot-to la Galleria Ginnetti “…e gioia sia”, che nonvoleva essere solo un concerto, ma una testi-monianza diretta della gioia che scaturisce dal-l’incontro con Dio, a dimostrazione che qualsiasidifficoltà può essere affrontata e superata conla forza dell’Amore Vero, quello che ci uniscee ci stringe a Dio.Domenica 23 dopo lamessa vespertina d. Ginoha offerto un rinfrescoaperto a tutti, ed alle 21 unanuova realtà nata proprionella parrocchia di SantaMaria il coro “Trivio MusicWork in Progress” haofferto un piacevole spet-tacolo canoro di motiviGospel, che ha rappresentatoun sereno momento di gioiacomunitaria per folto pub-blico intervenuto, a con-cretizzare i propositi di comu-nione cercati da don Gino.Il 29 giugno, giorno del-l’anniversario è stata la pre-ghiera al centro della gior-nata. Alle 21, la veglia gui-data dalle suore Apostolineha visto una ampia parte-cipazione.La preghiera ha ricalcato il percorso di don Ginoe di tutti coloro che condividono la sua scelta,sottolineando con segni rappresentativi le loroscelte, il loro ruolo e l’amore che offrono al loroprossimo. Il loro grazie a Dio per averli scelti edil nostro grazie per essersi donati.La domenica vi è stata la liturgia dome-nicale è stata guidata dal nostro vesco-vo mons. Vincenzo Apicella, e concele-brata oltre che dal ‘festeggiato’ da alcu-ni dei viceparroci che si sono succedutinegli anni: don Cesare Chialastri, don GigiVari, don Marco Fiore, don Corrado Fanfonie don Antonio Galati aiutati dal diaconoGianfranco Corsetti. E stato chiamato aconcelebrare anche don Gianni Checchinato

attuale rettore del Seminario di Anagni che cre-sciuto nella Parrocchia di Santa Maria Gorettiin Latina nel primo incarico parrocchiale di donGino, ha raccontato con affetto i suoi primi approc-

ci alla parola di Dio assi-stiti con tenerezza dadon Gino.L’omelia è stata tenuta pro-prio da don GianniCheccinato, che ha spie-gato il passo del vangeloattraverso tre chiavi dilettura poi trasportate nel-l’esperienza sacerdotale didon Gino: Gerusalemmeche per Gesù è il riferimentodel suo cammino, e per noiè Gesu, la meta del nostrocamminare da discepoli;Sequela, che nel vange-lo è il muoversi di Gesù,per noi è muoversi versoGesù; La sobrietà che nelvangelo è l’essenzialità, pernoi è lo spogliarci di noi stes-si.E’ con queste tre parole,dettate dalla significativa

pagina del vangelo, che don Gianni ha volutorileggere i 50 anni di ministero di d. Gino carat-terizzati dal tendere generoso verso Gesù, dalcammino costante verso gli altri e da una vitaumile e vissuta in sobrietà.

Alla fine della celebrazione il nostro parroco haespresso il suo sentire e ha voluto raccontarequelli che erano i suoi propositi per questo impor-tante momento della sua vita. Le sue parole hanno ratificato l’affettuosa pre-messa del rettore; egli ha cercato in questi ‘festeg-giamenti’ di dare attenzione al ringraziamentoed alla comunione e non alla propria persona.Ha sentito forte in lui il grazie per tutti coloroche lo hanno affiancato e supportato in questianni; ma ha sentito ancor più forte il grazie aDio per quanto gli ha donato. Ha desiderato condividere con tutti noi questasua gioia, ma ha voluto condividere con noi soprat-tutto quella percezione suggeritagli proprio dalpasso del vangelo che ha tracciato la conclu-sione del suo discorso: si può fare di più. L’umiltà ci fa comprendere che per quanto si siafatto, per quanto si sia raccolto, forse non sem-pre abbiamo messo Gesù al primo posto. Da cui il suo grazie per quanto raccolto, la suagioia per averlo condiviso, e speranza nel futu-ro per poter fare di più.I festeggiamenti si sono quindi conclusi con unpranzo comunitario, con il vescovo, i confra-telli , i parenti e tanti amici visibilmente felicidi essere stati chiamati a condividere questi momen-ti importanti che, traducendo le sue stesse paro-le, per lui hanno segnato non tanto un traguardoquanto una conferma che sarà per lui di impul-so per il proseguo del suo cammino verso lavolontà di Dio.

3434 OttobreOttobre20132013

L’ultimo saluto a Suor Emma Lombardi

della comunità di SegniAnnalisa Ciccotti

LLa raccolta cappella dell’Istituto delle Suore della Carità di Palestrinaha visto consorelle, familiari, amici e conoscenti riuniti, lunedì2 settembre u.s., in fervente preghiera per l’ultimo saluto a Suor

Emma Lombardi. Suora della Carità di Santa Giovanna AntidaThouret, fedele al motto della fondatrice “Dio solo”, ha vissuto la suaesistenza nella semplicità e nella letizia del Signore. Per tantissimi anni è stata a Segni, ha vissuto presso l’Istituto San Gioacchino,facendo di quella casa, insieme alle consorelle, un punto di riferimen-to per quanti, nelle necessità materiali e spirituali avevano bisogno diconsiglio e di conforto. I bambini in particolare sono stati oggetto delle sue cure, prima nellascuola privata e poi in quella pubblica ha aiutato a crescere tanti segni-ni che ora la ricordano con affetto e riconoscenza.

Il parroco della Concattedrale di Segni, Mons. Franco Fagiolo, ha cele-brato la S. Messa ricordando nell’omelia Suor Emma e inquadrandocon parole efficaci e toccanti la sua esistenza alla luce della sapienzadi Dio. Grata per il dono della fede e per la vocazione religiosa SuorEmma ha esercitato nella sua esperienza terrena le virtù della gratui-tà e dell’umiltà secondo i dettami evangelici. Citando passaggi significativi della lettera enciclica di Papa Francesco,Lumen Fidei, Mons. Fagiolo ha messo in evidenza la gratuità e l’umil-tà con cui il cristiano deve mettere a frutto i suoi carismi e come, soprat-tutto nel momento della prova e del dolore, come è stato per Suor Emma,il Signore sia vicino a chi lo ama con cuore sincero.Terminata la S. Messa i presenti hanno accompagnato Suor Emma alCimitero di Palestrina ove è stata tumulata presso la tomba delle Suoredella Carità. Riportiamo il breve ricordo di Suor Emma letto da una suaamica segnina a nome di quanti le hanno voluto bene È giunto il momen-to di salutarci, cara Suor Emma.Il dolore per il distacco è rischiarato e confortato dalla fede che ci inse-gna che un giorno ci ritroveremo nella pace del Signore, quella fede

Don Franco Fagiolo

RRiprendiamo questa “storica” rubrica suEcclesia a cura dell’Ufficio LiturgicoDiocesano, sezione Musica per la

Liturgia, con l’intento di far nostro il desideriodella Chiesa espresso dal Concilio EcumenicoVaticano II nella Sacrosanctum Concilium al n°14: “La Madre Chiesa desidera ardentementeche tutti i fedeli vengano guidati a quella pie-na, consapevole e attiva partecipazione dellecelebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natu-ra stessa della liturgia alla quale il popolo cri-stiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazio-ne santa, popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt.2,9; cf. 2, 4-5) ha diritto e dovere in forza delbattesimo”. Ormai siamo a cinquant’anni dallapromulgazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia(4 dicembre 1963), e non è più il momento degliesperimenti e delle improvvisazioni!! E quello che è stato il primo documento del Concilio,che ha rivoluzionato il modo di sentirci Chiesa,ancora fa fatica ad essere attuato e realizzatonelle nostre comunità. La riforma conciliare nonsi riduce soltanto al fatto di eseguire semplice-mente e materialmente ciò che è prescritto, né

tanto meno si tratta di stravolgere il rituale datodalla Chiesa secondo i propri gusti e la propriafantasia, ma, secondo l’azzeccata e notaespressione di Mons. Magrassi, si tratta di pas-sare “dalla riforma dei testi alla riforma delle teste”.Si tratta di conoscere il significato e la finalitàdei diversi momenti rituali che costituiscono lacelebrazione; si tratta di strutturare concretamenteuna celebrazione dando ai segni liturgici tuttala pregnanza del linguaggio umano secondo lostile di quel Dio “che ha parlato per mezzo diuomini alla maniera umana” (Dei Verbum, 12).In particolare, per quanto riguarda il canto nel-la celebrazione, la preoccupazione di ogni par-roco, dei responsabili parrocchiali, di ognigruppo che si occupa dei canti nella liturgia èquella di: Come si fa per far cantare la gentedurante la Messa? Quali canti fare perchè tut-ti cantino? Forse dobbiamo porci anche un’al-tra domanda: “ma la gente sa perché a Messasi canta? Capisce il motivo perché si deve can-tare così, in questo modo? Si rende conto delsignificato dei canti che accompagnano i diver-si riti della celebrazione?”.Allora nasce l’esigenza di conoscere meglio lamessa e tutti i suoi particolari per poter fare in

modo che il canto sacro sia parte integrante del-la celebrazione, e così “la musica sacra sarà tan-to più santa quanto più strettamente sarà uni-ta all’azione liturgica, sia esprimendo più dol-cemente la preghiera e favorendo l’unanimità,sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri”(S.C. n° 112).E non basta dire questo canto mi piace, o par-tecipiamo al coro parrocchiale perchè stiamo beneinsieme! Dobbiamo capire quale è il senso cri-stiano del celebrare, come nasce una celebra-zione, che cosa celebriamo, chi celebra, comesi celebra …… e poi, il senso cristiano del can-tare, perché i cristiani cantano ….. infine, il signi-ficato del canto dal momento in cui ci incontriamoper dare inizio alla celebrazione fino ad arriva-re alle singole parti della messa, per concluderela celebrazione e così iniziare la missione.Un bel programma è quello che ci aspetta; Ecclesiasarà lo strumento per aiutare tutti, anche con ilcanto, a una partecipazione sempre più attivae consapevole alla messa della domenica.E’ stata fatta tanta strada dall’inizio della rifor-ma liturgica ed è una gioia vedere come tanticristiani partecipano con entusiasmo alla mes-sa della domenica e si rendono conto dei varimomenti della celebrazione. Ma ancora, quan-ta strada c’è da fare ed è necessario impegnarsisu questa direzione! Non possiamo pretende-re di vivere come comunità cristiana se non riuscia-mo, anche attraverso il canto, a celebrare bene,come vuole la Chiesa, la Pasqua settimanaledel popolo di Dio.A conferma di ciò ricordo quanto riportavano ivescovi nella presentazione della seconda edi-zione italiana del Messale Romano, citando untesto del decreto conciliare sul ministero e la vitadel presbitero: “Non è possibile che si formi unacomunità cristiana, se non avendo come radi-ci e cardine la celebrazione della sacra euca-restia, dalla quale deve quindi prendere le mos-se qualsiasi educazione tendente a formare lospirito di comunità” (P.O. n° 6).

*Responsabile Diocesano del Canto per la Liturgia

3535OttobreOttobre20132013

Annalisa Ciccotti

UUn titolo, quello del libro di Padre AngeloDi Giorgio, O.F. Min. Conv., che rac-chiude il senso di una vita, di un’e-

sistenza vissuta per gli altri in nome di Cristo.A tutti quelli che conobbero Padre Antonio tor-na subito alla memoria, prepotente ed incisivo,il ricordo del tragico incidente del 7 settem-bre 1987: una gita spensierata in barca con17 giovani diventa un incubo, il mare si fagrosso, la barca si rovescia: paura, panico,una voce ferma, come ricorda una supersti-te “Calma, restate calmi, perché GesùCristo viene ad aiutarci“ è la voce di PadreAntonio che si lancia tra le onde, che nuotaper salvare i suoi giovani e alla fine, stremato,viene risucchiato dalle onde. Un gesto eroi-co, un sacrificio consapevole, la conclusio-ne logica, secondo un’ottica cristiana, di unavita vissuta per il vangelo.A partire da quell’evento Padre Angelo Di Giorgioha costruito una biografia del suo confratel-lo attenta non solo e non tanto alla cronolo-gia, agli eventi contingenti quanto piuttostoalla maturazione spirituale. In sette agili capi-toli il libro dà la chiave di lettura un’esisten-za, di un uomo, sacerdote, missionario cheabbracciando l’ideale di San Francescofece sua l’opzione fondamentale per i pove-ri concretizzandola in scelte di condivisioneche animarono tutta la sua attività pastora-le, facendosi vicino a quanti avevano biso-gno di sostegno materiale e spirituale, par-ticolarmente agli emarginati delle favelas bra-siliane. Corposo il materiale consultato dal-l’autore: corrispondenza, testimonianze, cro-nache della stampa locale, archivi dell’Ordine,a tutto questo Padre Angelo ha saputo dare orga-nicità in pagine di gradevole ed edificante let-tura arricchite da un apparato iconografico ric-co e funzionale al testo.Il libro è stato presentato a Segni, paese nata-le di Padre Antonio, sabato 22 giugno u.s., pres-so la Sala Socio Culturale.

Presenti, oltre all’Autore, S. Ecc. Mons. LorenzoLoppa, il Provinciale dei Minori Conventuali, PadreVittorio Trani, il sindaco di Segni, Arch.Stefano Corsi, Marcello Sinibaldi, Presidentedell’Associazione “Una vita un sorriso“ e tantiparenti, amici, conoscenti di Padre Sinibaldi.La manifestazione si è snodata piacevolmentecon una veloce introduzione al libro ed alla sua

struttura. In un crescendo di intensità le pagi-ne scorrono dai natali a Segni, gli studi pres-so le strutture die Conventuali e, finalmente, ilsogno missionario che si concretizza, la partenzaper il Brasile. Bom Jardin. Sao Luis sono i luo-ghi in cui Padre Sinibaldi dà un contributo fon-damentale alla vita della Chiesa latino ameri-cana: cura i movimenti ecclesiastici della fami-

glia, dei giovani, delle coppie, rivelando una lun-gimiranza e una conoscenza di problematicheche precorrono i tempi.I capitoli centrali sono ricchi di testimonianze edi ricordi che l’Autore riesce a far dialogare traloro per costruire un percorso che conduce conlevità a delineare a tutto tondo la figura di untestimone vero del Vangelo.

“Profeta del silenzio e del sorriso“ vienedefinito , non ha esitato ad offrire la pro-pria vita ma il suo spirito resta, resta la suaazione, la sua opera che continua a pro-sperare perché fondata su una comunitàsalda, resta nel Centro Sociale che portail suo nome, resta nel sorriso di tanti bam-bini che grazie alle realtà aggregative dicui fu geniale fondatore continuano a pren-dersi cura di quanti sono nel bisogno mate-riale e spirituale.La prima parte della serata si è chiusa conuna gradevole chiacchierata con Padre Angeloe Padre Vittorio sulle metodologie di lavo-ro, sull’attualità della figura di PadreAntonio e sull’avvio della sua causa di bea-tificazione. La seconda parte della serataè stata riempita dalle note gioiose di„ComprensivOrchestra“ originale e frizzanteformazione diretta dal M° Fabio Valeri. Un momento gradevole ed adatto alla mani-festazione che ha contribuito a rendere par-ticolarmente sentito il clima di festa e di gioiache deve accompagnare il ricordo e la figu-ra di Padre Antonio. A conclusione MarcelloSinibaldi, ha parlato delle adozioni a distan-za proposte dall’Associazione “Una Vita unsorriso“ che permettono di dare un validocontributo alle opere di Padre Antonio. I pre-

senti alla manifestazione si sono salutati men-tre sullo schermo scorrevano le immagini toc-canti di sorrisi di bimbi brasiliani.Un libro dunque ben fatto, da leggere per cono-scere un protagonista dei nostri tempi, un testi-mone credibile un libro che incoraggia, che inse-gna, come dice Papa Francesco, a non lasciar-si rubare la speranza.

che ha illuminato il tuo cammino terreno e che ora non ti è più neces-saria perché gli splendori del tempio ormai allargano di felicità le tuepupille. A noi, tuoi amici, rimane la mestizia per la separazione, la sof-ferenza, tutta umana, di non averti qui tra noi, di non poterci più intrat-tenere con te.Rimane il ricordo, rimane il tuo esempio, una vita vissuta secondo ilcarisma di Santa Giovanna Antida che hai insegnato anche a noi laiciad apprezzare, rimane la gioia dei tanti momenti belli, i campeggi, i cam-pi scuola, le feste, le recite, le liturgie e anche di quelli meno belli, lachiusura dell’Istituto di Segni, la prova del dolore e della malattia. L’immaginedi te che prepotentemente mi viene in mente è quella di una suora feli-ce tra i suoi bambini dell’asilo, poco più alta di loro, che ridi e ti diver-ti perché hai messo in pratica la parola del Signore di farti umile e pic-cola con i piccoli.I ricordi, preziosi, che ognuno di noi ha di te riempiono il nostro cuore.Oggi chiediamo a Dio Padre e alla Vergine Addolorata, che proprio inquesti giorni festeggiamo a Segni, il paese in cui hai speso la tua voca-zione, la giusta ricompensa per te e la consolazione per noi che restia-

mo. Affidiamo il nostro commiato alle intense paroledi Bruno Forte:

In te riposoTu mi fosti vita e cibo e cammino.Per te ho vissuto, di te ho parlato,

in te ho taciuto.E ora che l’ultima parola si spegne

nel grande silenzio del tempo che non passa,Tu sei il mio silenzio,

Tu la parola eterna che non muore.Brucia la paglia, arde il fuoco vivo

del tuo amore: Tu resti.In te io riposo come seme nascosto nella terra.

In te morendo io vivo,mia eredità e corona,

ultimo approdo del mio cuore umile.In te, non essendo più,

io sono.

3636 OttobreOttobre20132013

IIl Centro Diocesano di Spiritualità S. Mariadell’Acero è un luogo di incontro: con Dio,con se stessi, con la natura e con tante per-

sone e amici! Noi suore Apostoline, a serviziodi questo Centro e inserite nella pastorale del-la Chiesa locale, desideriamo condividere convoi quanto vissuto quest’estate, periodo riccodi incontri e attività: si sono alternati gruppi par-rocchiali, giovani, ragazzi, famiglie, scout… Abbiamo chiesto anche a qualcuno dei nostriamici di darci un contributo. Non resta che dir-vi: vi aspettiamo all’Acero!

Campo scuola della parrocchiaS. Maria Intemerata di Lariano“Progetta con Dio… Abita il futuro” era il temadel campo scuola della parrocchia S. Maria Intemeratadi Lariano che si è tenuto dal 6 al 12 luglio. Glianimatori sono arrivati il 6 per una giornata dipreghiera, fraternità e per preparare l’accoglienzaai ragazzi. Protagonista del campo era Abramo

e per rappresentare il suo viaggio è stata pre-parata una bellissima scenografia, che giornodopo giorno ha arricchito e abbellito la Chiesa.C’è stata una bella partecipazione di animato-ri e ragazzi e in alcuni momenti, quando amiciche non sono potuti partire, per impegni di stu-dio o di lavoro, siamo arrivati anche a 50 per-sone. La parrocchia di Lariano da qualche annoha come appuntamento estivo il campo qui all’Aceroed è bello vedere, come quelli che qualche annofa erano dei ragazzini, ora sono diventati ani-matori, preparati e consapevoli della responsabilitàe dell’impegno richiesto, che si mettono in gio-co con passione e creatività, per ridonare, ai pic-coli della loro comunità, quanto hanno ricevu-to loro per primi. sr. Monica Vitale ap.

Esercizi Spirituali per gli adultiGli Esercizi Spirituali per gli adulti, proposti dalCentro, sono diventati un appuntamento annua-

le atteso da tante persone dellanostra diocesi. Quest’anno si sono tenuti dal 21al 25 agosto e li ha guidati donLeonardo D’Ascenzo. Il tema era: “Fede, risposta ad un“TU” che ci chiama per nome” (LF8).Le giornate di esercizi sono untempo privilegiato per prenderedistanza dai ritmi quotidiani e ave-re del tempo per rigenerarsi spiri-

tualmente. Le giornate scandite dalla preghie-ra, personale e comunitaria, sono state vissu-te con intensità e profondo raccoglimento, insie-me alla gratitudine al Signore per questo tem-po di grazia che dona di vivere.

sr. Monica Vitale ap.

Le “5 R” del campo Giovanissimi ACDa Domenica 28 Luglio al 3 Agosto si è svoltoil campo scuola del settore Giovanissimidell’Azione Cattolica della diocesi di Velletri-Segni.I ragazzi partecipanti erano circa trenta e sonostati accompagnati da animatori, educatori, pre-ti e dalle suore Apostoline, alla scoperta e allapresa di coscienza del rapporto fra uomini e mon-do attraverso le cinque “R” (rispettare, ridurre,regalare, recuperare,riparare) e con lo scopo difar propria la citazione del beato Piergiorgio Frassati:“vivere e non vivacchiare”.Gli argomenti sono risultati molto coinvolgentie la risposta dei ragazzi non è mancata. In ogni

occasione si sono aperti dibattiti interessanti, pro-fondi ed altamente costruttivi che hanno permessoai ragazzi di far luce sui loro limiti legati alla mate-rialità e come fare per esserne meno schiavi esoprattutto di godere dell’essenzialità. Le varie“R” sono state proposte sotto due punti di vistaquello sociale/civico e quello umanitario attra-verso spunti di riflessione, giochi, attivitàmanuali, video e anche grazie alla visione delfilm “Un sogno per domani”. Ma di tutto questocosa è rimasto? Sicuramente le emozioni, le nuo-ve amicizie e la speranza che ognuno di noi nelsuo piccolo può fare grandi cose!

Giulia Tetti, parr. SS. Nome di Maria, Landi

“Allo stile di Dio”Fare scelte difficili, partire e lasciare tutto, ave-re una sola certezza: Dio è con noi, sempre. Intornoa questi punti e tanti altri si riferiva il Campo

Diocesano dei giovani dai diciotto anni in su, orga-nizzato e proposto dal Centro DiocesanoVocazioni, dall’Ufficio Catechistico Diocesano edalla Pastorale Giovanile e che si è svolto dal3 al 7 agosto. Molti giovani della nostra dioce-si tra tante scelte, hanno fatto quella di parte-cipare al Campo Diocesano, accompagnati dal-le suore Apostoline, dai seminaristi Teodoro eAlessandro e dai sacerdoti. Fra abbracci, salu-ti e presentazioni, ci siamo ritrovati lì, ognunocon una valigia diversa e colma di “cose” diver-se: c’era chi cercava risposte, chi voleva con-fermare le sue certezze, c’era chi era lì per stac-care un po’ dalla quotidianità e riprendere unaboccata “d’aria”, chi era lì per riavvicinarsi a Dio,chi per raccontare e chi era lì per ascoltare.Abbiamo provato tutti i modi possibili e imma-ginabili per stare insieme, per sentirci vicini, perconfrontarci e divertirci, ma il sistema più effi-cace si è rivelato essere quello della preghie-ra, del deserto, della riflessione. Ma com’è pos-sibile? In un campo di soli giovani, com’è pos-

sibile che il miglior modo per stare insieme siaquello di “isolarsi”? Ebbene sì, abbiamo lavo-rato su noi stessi, sul nostro cammino fin qui;abbiamo lavorato sui nostri progetti, sullenostre aspettative, sulla nostra condizione , abbia-mo cercato di capire a che punto ci troviamo delcammino che ci aspetta , abbiamo cercato diassomigliare ad Abramo, l’uomo che si è fida-to ciecamente di Dio e ne ha fatto la sua ragio-ne di vita, l’uomo che non ha esitato un solo atti-mo quando si trattava di seguirLo. Abbiamo capito che Dio ci ama, che esisteun progetto su di noi, un progetto al quale noi,le PERLE PREZIOSE DI DIO, possiamo par-tecipare con le nostre scelte. È’ stata dura guar-dare noi stessi da fuori, con altri occhi; ma è dallavoro della propria persona, del singolo, chesi forma una comunità migliore. Questo cam-po è stata un’esperienza “allo stile di Dio”: nonci sono stati pianti né addii strazianti, nulla di

continua nella pag. accanto

3737OttobreOttobre20132013

Sara Calì

“Mamma, perché ti preoccupi? Il Signoreprovvede perfino agli uccellini, provvederà

anche a me”.

CC osì un bambino di dieci anni rassicurava la madreche cercava di dissuaderlo dal diventare frate fran-cescano e missionario. Era Antonio Cocchi, il futu-

ro Padre Ginepro, nato il 14 ottobre 1908, sesto figlio diAttilio e Italia Cioccari, nativa di Velletri. A fronte di unavocazione così profonda, sebbene precoce, la madre lo conduce in Conventoe davanti all’Altare Maggiore della chiesa prega la Madonna: “vuole esse-re un sacerdote di tuo figlio, prendilo, te l’affido. Guardalo dalla spagnolae da tutti gli altri mali”. Antonio viene contagiato dalla malattia ma si sal-va, perde invece la madre e le sorelle Velia e Angela. Indescrivibile lo sconcerto di tutto il paese, il dolore della famiglia Cocchie del piccolo Antonio che sotto una fotografia della mamma, che terrà sem-pre con sé, scrive “Mamma cara, quante lacrime ho versato alla tua mor-te, ma ho pregato Iddio perché ti abbia portata in Paradiso. Non ti dimen-ticherò mai nelle mie preghiere”.Antonio matura presto, “ha una grandissima forza di volontà, ubbidienteal massimo, severo con se stesso, disponibile con gli altri. Ha già il fervo-re di un vero missionario” così lo descrive il Padre Maestro, P. Elia Carosi,mentre i suoi compagni lo chiamano “Decano di ferro” proprio per l’im-pegno e per il grande senso di responsabilità che mostra. Ma ripercorria-mo con esattezza gli avvenimenti più significativi della sua vita: il 10 set-tembre del 1923 parte per Fontecolombo e il 15 ottobre diventa novizio “…Figliolo,per il tuo candore, per la tua semplicità, d’ora innanzi non ti chiamerai piùAntonio ma FRA GINEPRO” così recita il P. Officiante. A 23 anni diventa sacerdote, celebra la sua prima Messa il 2 agosto 1931ad Artena, in quel Convento che lo aveva accolto bambino e ad ottobre siimbarca per la Cina, destinazione Taiyuanfu nella regione dello Shansi, doveritrova anche il suo caro maestro P. Elia “mi pare di trovarmi in Paradiso”scrive ai familiari. La lingua cinese è un duro scoglio da superare e quan-do viene mandato a Kwohsien, scrive in una lettera a proposito della suaprima predica: “la prima volta non hanno capito nulla”, poi inizia ad impa-

rare a memoria i discorsi scritti per luida Don Hising e, dopo pochissimi mesidi intenso studio, il problema è risol-to. Percorre la regione a lui affidata

in lungo e in largo, a piedi, in bici-cletta, con il mulo, infine conl’asino e sempre con ani-mo gioioso, cantando asquarciagola nelle zonedeserte. Converte, assiste, bat-tezza, porta il suo aiu-to ovunque c’è biso-gno, si priva del ciboin favore di chi ha fame,fonda centri missionari.Il suo più grande desi-derio è “morire perCristo”, è pronto a dare

la sua vita “pur di sal-vare ancora tante anime”.

Una notte sogna S. Giuseppe che gli annuncia la sua prossima fine ma lorassicura circa la salvezza dell’anima.È il 6 marzo 1939, alcuni soldati cinesi irrompono nella chiesa proprio duran-te il racconto del sogno ai fedeli, catturano P. Ginepro, lo torturano tra loscompiglio generale, lo trascinano sanguinante fuori del villaggio e lo assas-sinano. Il 16 maggio 2010 la speciale Commissione di Cardinali e Vescoviper le cause dei Santi, dopo un attento esame dei documenti, lo ha pro-clamato “martire”. La notizia, diffusa dai religiosi e dai componenti del Circolo Culturale “P.Ginepro Cocchi” che fin dalla sua fondazione, nel 1996, si è sempre pro-digato nel mantenere viva la memoria di P. Ginepro, venne accolta da Artenacon grande gioia. Siamo tutti affezionati a questo straordinario frate, di cuiad ottobre ricordiamo la nascita, ci commuove ogni volta che ricordiamola sua vita vissuta alla luce di una fede incrollabile pur nella più straordi-naria umiltà.

tutto ciò, perché non serviva. Dio ha toccato icuori di noi giovani con quel tocco delicato,come solo Lui sa fare, ha innestato in noi la vogliadi crescere, di decidere, di prendere scelte dif-ficili, ma soprattutto ci ha donato la forza difidarci ciecamente di Lui.Questi campi servono a questo, a ricaricarci diDio per poter poi testimoniare, raccontare, farvivere quello che noi abbiamo provato nelle nostreparrocchie. Ritornare più belli, più forti, più vivi!!!

Sophia Bevilacqua, parr. SS. Nome di Maria, Landi

Campo ACR. Campo vocazionale “Se sai il perché troverai anche il come”Cinque giorni meravigliosi, quelli passati all’a-

cero dal 17 al 22 agosto 2013, in occasionedel campo vocazionale organizzato dalle suo-re Apostoline; una proposta rivolta a tutti i gio-vani dai 18 ai 30 anni che stessero cominciandoa porsi domande profonde riguardo la propriavita e ad affrontare scelte importanti per il pro-prio futuro. “Se sai il perché, troverai anche il come”: que-sto il tema del campo, le cui parole chiavi sonostate discernimento e vocazione. Una ventina di ragazzi ,circa, provenienti datutta Italia, hanno deciso di mettersi in gioco,aprirsi e conoscersi tanto nella relazione conse stessi, che con gli altri e con Dio. Il bello èstato condividere esperienze ed emozioni che,nonostante età e cammini diversi, per molti sisono rivelate simili, soprattutto perché incentratesulla nostra, forse unica, certezza di vita: Cristoe la Fede! Ogni giorno, dopo un ascolto dellaParola ed una meditazione biblica, si è avutomodo di riflettere personalmente e lasciarsi gui-dare da ciò che Dio aveva da dire in quel momen-to ad ognuno di noi; durante i pomeriggi, divisiper gruppi, venivano svolte varie attività e nonsono certo mancati momenti di servizio concreto,come quello passato nella casa famiglia “CasaNazareth” dove è stata conosciuta una realtàdi accoglienza verso giovani donne lasciate soleed in difficoltà, con le quali, insieme ai loro figli,si è avuto modo di parlare, giocare, scherzare

e condividere la cena sentendoci tutti come inuna vera famiglia. Altri due momenti molto inten-si sono stati quelli del giorno di deserto nel qua-le per qualche ora abbiamo fatto davvero spa-zio dentro di noi e ci siamo messi seriamentein ascolto, lasciando aperta la strada ad ognidubbio, incertezza, domanda o progetto; ed, ulti-mo, ma non per importanza, il momento di ado-razione notturna dell’ultima sera, grazie alla qua-le si è avuti la forza ed il coraggio giusti per tor-nare nella nostra quotidianità a portare gioia, pacee serenità sperimentati in quei giorni, e prova-re ad essere un po’ come dei veri e propri GiovanniBattista, seguaci di Gesù ed autentici testimo-ni del suo amore!

Chiara Maffeis, parr. SS. Trinità, Genzano

segue da pag. 32

3838 OttobreOttobre20132013

Giulia Petrilli

Grande partecipazione all’incontro dei ragazzi del-le diocesi d’Italia “Ti credo! Tutto parla di te!”Due giorni a Roma sui passi della fede per iragazzi dell’ACR della nostra Diocesi“Per la Chiesa siete importanti perché la Chiesaè una famiglia!”, questa l’esortazione del CardinaleVallini.

DD ue giorni importanti, il 6 e il 7 Settembre,per i ragazzi della Parrocchia Santa Mariadel Carmine di Velletri, impegnati a Roma

nell’iniziativa “Ti credo! Tutto parla di te!” orga-nizzata dall’Azione Cattolica Ragazzi nel contestopiù ampio dell’Anno della fede indetto daBenedetto XVI, infatti, i ragazzi sono stati chia-mati a rappresentare la diocesi all’incontro deiragazzi delle diocesi d’Italia. Il 6 settembre si èrecata a Roma, in Via della Conciliazione, unapiccola rappresentanza composta da quattro ragaz-ze e un’educatrice raggiunte, il giorno succes-sivo, da altri ragazzi della diocesi. L’incontro-festa è stata una bella occasione perentrare in contatto con realtà diverse, spesso mol-to lontane da noi, e arricchirsi donando agli altriciò che di bello è in noi. Il primo giorno i ragaz-

zi sono andati alla scoperta dei segreti di Romacon un’entusiasmante caccia al tesoro per poiarrivare in Piazza San Pietro ed iniziare il momen-to di preghiera che, passando per la Pietà diMichelangelo, la tomba di Giovanni Paolo II equella Giovanni XXIII, si è concluso sulla Tombadi Pietro dove i mille partecipanti hanno incon-trato il Cardinale Angelo Comastri. Successivamente, con tanto di borsone e sac-co a pelo, hanno raggiunto l’ Oratorio San Paoloche li ha ospitati nel corso della notte edove si è svolta l’attività serale che si èconclusa con lo scambio delle piantinecoltivate dalle varie diocesi proprio pertestimoniare che la fede è un dono dacoltivare giorno dopo giorno! La pianti-na della nostra diocesi ha “viaggiato” finoin Puglia mentre a noi è stata data in affi-damento quella della diocesi di Roma.La sveglia, la mattina successiva, è sta-ta una “dura” sorpresa: alle 6 tutti i ragaz-zi erano in piedi, pronti per fare colazio-ne e dare il via alla giornata conclusivadell’evento. Saliti sull’autobus, dove hanno scambiatonumeri di telefono e contatti con i giovaniconosciuti il giorno precedente, e con la

promessa di tenersi in con-tatto dopo essere tornaticiascuno nella propria città,sono arrivati a Piazza SanPietro, davanti all’entrata deiGiardini Vaticani dove… sorpresa! Gli altri ragazzi della dioce-si erano lì ad aspettarli!! Insiemeagli amici, vecchi e nuovi, sonoentrati nei Giardini Vaticani dovesi è svolto un vero e propriotalk show.Il saluto del presidente del-

l’azione cattolica, Franco Miano, ha fatto da apri-pista agli interventi di Monsignor Sigalini (che haraccontato la propria esperienza al Concilio VaticanoII), e del Cardinale Agostino Vallini, il quale haricordato che la chiesa è proprio come una fami-glia, sottolineando quindi come i ragazzi sianoimportanti al suo interno.L’attività pomeridiana è stata caratterizzata daun grande gioco a stand a Castel Sant’Angeloper conoscere meglio i vari aspetti del Concilio.A chiudere l’incontro è stata Margot Sikabonyiche, aiutata dai volontari dell’Azione Cattolica,ha presentato l’inno che accompagnerà gli acier-rini di tutta Italia nel corso del nuovo anno: “Non c’è gioco senza te!”. Tornando a casa, i sorrisi sui volti dei ragazzi testi-moniavano la meraviglia dell’incontro con Gesù,con la fede, con tanti nuovi amici e compagni d’av-ventura. Nel loro cuore, sempre più forte, la vogliadi continuare a gridare: “Ti credo!”.

3939OttobreOttobre20132013

Giovanni Abruzzese

II l Prof. Antonio Venditti, da tutti conosciu-to come “Il Preside”, pubblica il suo ulti-mo lavoro: “Albero secolare del 1999”; anche

questa volta si tratta di un romanzo. Dopo la seriedi scritti storici su Velletri, alcuni manuali e trat-tati di didattica dell’insegnamento, altri scritti vari,una terna pregevolissima di trittici di poesie, il recen-te “diario” sulla storia della scuola “AndreaVelletrano” e il suo primo romanzo sul bandito CencioVendetta, eccolo ancora a proporci una storia.Questa volta la storia riguarda ognuno di noi, èquella che ha segnato e ancora continua a segna-re il nostro tempo: la storia del ‘900. L’autore, escogita un geniale espediente per potertrattare gli avvenimenti, inserendo la storia nazio-nale e internazionale in quella personale di un pro-tagonista: Primo Lanterna! Anche l’ambientazio-ne è stata scelta con cura: Roma, che fu prima“Caput mundi” e da tempo più recente Capitaled’Italia che fa da sfondo alle vicende dei molti per-sonaggi che con il Lanterna intrecciano relazio-ni, vicende, destini, in una kermesse di sentimenti,visioni del mondo, idee, valori… che tesserannouna trama avvincente, originale, pregna di pathos,ma anche di una lucida lettura razionale.La vita del protagonista è quella di un uomo comu-ne, così tanto comune da apparire, per questa mede-sima ragione, un eroe. Eh, sì, perché Primo, e ilnome non è casuale, rappresenta colui che real-mente fa la Storia, ne è il protagonista fondamentaleperché egli è chi sta in prima fila in ogni circostanza:quando inizia a lavorare giovanissimo per aiuta-re la famiglia a tirare avanti, quando va al fronteancora minorenne a difendere la Patria, quandoeserciterà con zelo e fedeltà il lavoro ministeria-le e quando distribuirà affetto e aiuti a chi lo cir-conda. Insomma è Uomo integro, pieno, totale, per-ché si dona alla vita e lo fa sempre con sempli-cità e generosità, con la chiara consapevolezzache il mondo, l’umanità e il resto delle creature edel creato gli sono intimi, gli appartengono alme-no quanto egli appartiene ad essi.Primo, non conosce i cattivi sentimenti, non l’in-vidia, non l’odio, l’accidia, la lussuria e quegli altriche conosciamo come vizi e peccati capitali. Gli altri personaggi sono dipinti come umani, pursempre umani, comunque umani, una gamma dipersonalità, intelligenze, sensibilità diverse che lascia-no emergere ora i lati buoni, ora quelli meno, acui l’autore guarda con imparziale indulgenza, amo-revole comprensione e condiscendenza. Sembravoler suggerire che nel rapporto con il prossimo,si deve sempre riconoscere e rispettare la digni-tà che appartiene a ogni persona e che la rendesomigliante a quell’Entità superiore che deve purstare all’origine di ogni Essere. Nelle pieghe della vita di Primo si fa spazio la gioia,quando si sente amato, stimato, considerato; il dolo-re quando fa i conti con sconfitte, lutti, incomprensioni;tenerezza; commozione… ma mai la disperazio-ne, la paura o l’angoscia. L’autore sembra quasi suggerire che l’uomo comu-ne, sia “speciale” proprio per il punto di vista pri-vilegiato da cui può permettersi di osservare la real-tà, sempre ricca di una variegata e infinita dosedi opportunità da cogliere. L’uomo comune, al fine,è protagonista e, insieme, destinatario del suo tem-

po, più delle personali-tà “straordinarie” che han-no assunto nomi di rife-rimento. In alcuni perio-di il racconto assume ilcarattere della poesia:…“Qualunque cosa acca-da, rimani sempre for-te e ben piantato in ter-ra, come il tuo albero! Ericorda che è il dono dituo padre!” ; “… cade-vano le bombe, facen-do sprofondare il terre-no, che spesso era la tom-ba pronta a seppellire cor-pi deturpati con i volti sfi-gurati”; “… Arianna… gliappare come la luna, nel-lo scenario ancora acce-so del cielo, unica a darluce, mentre tutto sispegne d’intorno…”.Per Roma, poi, si sco-pre un amore smisurato dell’autore, che mostradi conoscere benissimo la sua millenaria storia ele sue perle artistiche, segno della cultura che haoriginato, coltivato e diffuso in tutto il mondo. Fadi Primo un esperto archeologo che riesce ad incan-tare il lettore quando lo “guida” a visitare i siti bel-li e ricchi di eventi antichi che ancora echeggia-no tra gli archi, i capitelli, le sculture, gli affreschie tanta altra bella arte. La difesa del Bello, dell’Arte,della Cultura ma anche dell’ambiente, spinge ungruppo, via, via sempre più numeroso di cittadi-ni a istituire “La Repubblica de Roma nostra”, unasorta di società parallela in cui prevalgono i valo-ri che soli possono assicurare una vita ideale, dovela chiara coscienza di appartenere ad un mede-simo disegno della Vita, la consapevolezza chenessuno è qualcuno o qualcosa se vive fuori dal-la sfera dell’esistente, ha spontaneamente indot-to tutti a donarsi in una gara di solidarietà checomprende la comunione, il rispetto, l’affetto, lalealtà, la fedeltà, la generosità, lo spirito di abne-gazione personale. In questo Villaggio a ridossodell’acquedotto romano, la serenità d’animo è gene-rata dalla piacevole percezione che non si è soli,si condivide tutto, quindi Tutti si sentono l’Uno eOgnuno si sente essere Tutti!Nel mondo esterno, quello internazionale e nazio-nale, i criteri, le regole che determinano le vicen-de non sempre o quasi mai ricalcano quelle delVillaggio. Venditti, intermezza alla storia dei pro-tagonisti i fatti più significativi che hanno, più dialtri, condizionato la Storia. Talvolta è lo stesso nar-ratore che apre delle riflessioni sugli specifici epi-sodi, spesso lo fa fare ai personaggi. È gradevole leggere discorsi diretti in romanesco,questo dialetto che per la sua forza espressiva,talvolta sa rendere meglio dell’italiano il senso dialcuni concetti, come frate Elio che usa salutarecosì: “Volemose bene! Semo romani!”; oppure conPeppe che dice: “M’anvedi che forza Gorbaciovve,che de rosso glie resta solo ‘a macchia su ‘a fron-te…” e ancora: “Dottò, ‘a sai l’urtima? Er gover-natore d’a banca d’Italia nun porta li sordi, ma livò, pe’ risanà l’economia! Nun li chiede a li corot-ti che rubbeno, ma li vole da noantri! Che siste-

ma è? … A l’incontra-rio?!”.Al di là delle spontaneee frizzanti espressioniin vernacolo, i molti inter-venti dei diversi per-sonaggi sugli avveni-menti costituiscono undibattito che consenteall’autore di mettere sultavolo i diversi punti divista di un medesimofatto. In questo modo,il lettore è indotto a nontrarre frettolose e incom-plete conclusioni, adot-tando delle posizioni rigi-de: invita, piuttosto, adosservare le questio-ni senza tralasciarealcuna possibile con-siderazione per potertrarre, infine, le con-clusioni più equilibra-

te possibili. Il suo è un invito a fare esercizio dilogica per fare emergere il buon senso che per-metta ad ognuno di saper valutare, libero da con-dizionamenti, vizi mentali, ideologie, pregiudizi oconvinzioni religiose.L’analisi della società con i suoi risvolti politici, eco-nomici, culturali e di costume è sempre equilibrata,perspicace e sagace. Il messaggio che più di altrisembra emergere da questo scritto, quello forsepiù caro al Venditti suona come un monito: “smet-tiamola di stare a commiserarci, a lamentarci pertutto quello che di male, di ingiusto e violento simanifesta nel mondo in cui viviamo; soprattuttosmettiamo di guardare sempre e solo la pagliuz-za che è nell’occhio del nostro prossimo…Iniziamo ad occuparci del trave che è nel nostroocchio. Chi più ha la possibilità di contribuire albene, attraverso il proprio talento, si doni senzariserve, superando la paura di essere defrauda-to, perché chi dona riceverà sette volte tanto. Dunque,se c’è la possibilità di contribuire al bene, che saràsempre “comune, universale, totale”, agiamo daprotagonisti della nostra vita evitando di delega-re sempre gli “altri” a risolvere i problemi del mon-do!”.Questo romanzo, inoltre, può costituire un vali-do strumento didattico per giovani studenti per-ché si presenta come una completa e ben sinte-tizzata rievocazione degli eventi che hannosegnato il XX secolo, un “riassunto” semplificato,ma impreziosito da puntuali esplicazioni, amplia-menti e approfondimenti dei fatti.A impreziosire il libro sono la copertina che ripor-ta un bellissimo dipinto intitolato “Albero legato”e le tante altre stampe distribuite tra le pagine, icui soggetti spesso richiamano i motivi del racconto.Tutti riproducono alcuni dipinti della ricca galleriadelle opere del maestro Agostino De Romanis, ami-co del prof. Venditti.L’opera è in vendita presso la Libreria veliterna “Numero6” di Roberto Zaccagnini, in via Croce. L’intero rica-vato sarà devoluto all’Associazione umanitaria “NuovaVelletri per il Mali” del prof. Pier Luigi Starace, anch’e-gli amico dell’autore e da sempre impegnato nelportare aiuti a quelle sfortunate popolazioni conspirito filantropico.

4040 OttobreOttobre20132013

Antonio Venditti

LLa scuola, nel sentimento dei pensatorie degli operatori che nella storia l’han-no progettata e realizzata, è un’idea di

bellezza che riguarda lo sviluppo armonico del-la persona in un ambiente di vita ordinato e sere-no. Sorprende quindi non poco l’indifferenza ver-so l’aspetto, per così dire fisico. Dentro e fuorigli edifici scolastici sono spesso in una condi-zione di disgustoso degrado, fatto di decaden-za, di disordine, di sporcizia, in sintesi di brut-tezza. Eppure, se si concorda sulla compara-zione – pedagogicamente significativa – conla “casa”, nella nostra epoca c’è grande interessea renderla , oltreché accogliente e confortevo-le, anche esteticamente valida all’interno e nel-le parti visibili esterne, secondo le linee archi-tettoniche correnti. La manutenzione ordinaria e straordinaria degliedifici scolastici, anche se costosa, dovrebbeessere percepita come necessaria per evitareil degrado e non compromettere il confortevo-le uso degli utenti, proprio come le abitazioni pri-vate. Stranamente, per gli edifici pubblici e soprat-tutto per quelli scolastici che sono tanti ed han-no un indubitabile rilievo, subentra una conce-zione di estraneità, come se fossero non di tut-ti ma di nessuno,

collegata ad un fatalismo di ineluttabile accet-tazione dello stato di abbandono. Tutto ciò valenon solo per i vecchi edifici, adattati a sedi sco-lastiche, spesso nel peggiore dei modi, ma anchenei nuovi che nascono già vecchi e decadentinelle progettazioni, brutte o stravaganti, fatte dachi non ha un’idea accettabile di scuola e nonha avuto il buon senso di informarsi, chieden-do agli “esperti” cioè agli operatori di acclarataesperienza.Nella mia lunga carriera nella scuola pubblica,mi è accaduto di non essere interpellato, non-ostante le dirette responsabilità gestionali, anzidi essere addirittura “diffidato” dall’intervenire,con rilievi e consigli, sulla soluzione di rilevan-ti problemi di restauro ed ampliamento dell’e-dificio scolastico, con la proibizione finanche divisitare il cantiere. Se analizziamo i motivi deldegrado, emergono responsabilità ad almenotre livelli : di amministrazione pubblica, di orga-nizzazione autonoma, di comportamenti degliutenti. Gli Enti locali, proprietari degli edifici, fan-no poco o niente per la funzionalità ed il deco-ro degli stessi e, pur avendo uffici e persona-le, anche a livello dirigenziale preposto a talescopo, o non operano alcun intervento con lamotivazione che non sono disponibili le risorsefinanziarie, o agiscono tardivamente, dopo rei-terate richieste e con metodi “politici”, accettandole pressioni degli “amici” ed

ignorando spesso le altre legittime istan-ze. Sarebbe davvero opportuno chiuderei suddetti uffici, destinare impiegati e diri-gente ad altri incarichi, e far gestire i fon-di necessari per la manutenzione diret-tamente dalle singole scuole, con efficacinorme di utilizzo e di controllo, risparmiandocosì notevolmente nei costi del servizioscolastico.Le scuole assegnatarie degli edificihanno la responsabilità di ben utilizzar-li, organizzando le attività in maniera razio-nale, preservando i locali dal deteriora-mento legato all’uso, quindi contrastan-do per quanto possibile ogni deturpamento,con una rigorosa applicazione di rego-le chiare e funzionali.Alunni ed alunne devono sentire il biso-gno di mantenere puliti e ordinati i loca-li scolastici, proprio come le loro case.Si comincia con l’evitare, ad esempio, digettare la carta in terra nelle aule , a man-tenere integri gli arredi, a non scriveresui banchi e sui muri; abitudini queste

davvero negative e disdicevoli, che purtropposono radicate e si possono a mano a mano supe-rare, solo con una assidua vigilanza, con unapaziente opera preventiva volta a convincere alun-ni/e del dovere di preservare l’armonia e la bel-lezza dell’ambiente scolastico.Subito dopo il verificarsi di ulteriori fenomeni di“imbrattamento” di muri, porte ed altro, si deveindagare per la ricerca dei responsabili, senzaspirito vendicativo, applicando le sanzioni pre-viste nei regolamenti, che consistono in azionidi “ripulitura”, non mortificanti e molto efficaci dalpunto di vista educativo.Più difficile ovviamente è impedire scritte e graf-fiti che compaiono sui muri esterni degli edificiscolastici, come su altri “muri” pubblici e priva-ti e finanche sui monumenti, fatti scempio dal-le azioni, in genere notturne, di squadre di gio-vani che addirittura si spostano da altri paesi eda altre regioni, dove ritornano al termine del-le loro bravate.Si tratta di un fenomeno complesso, di difficilesoluzione, perché favorito, da un lato, dallo scar-so controllo del territorio e dall’indifferenza dif-fusa tra la gente, dall’altro, da una pericolosaideologia dissacratrice dei canoni della vita civi-le e dell’idea millenaria di arte che la caratte-rizza. Ciò si evince dalla visibilità che tali “graf-fitari” ricercano, facendo apparire nei punti più

continua a pag. 37

4141OttobreOttobre20132013

Mara Della Vecchia

CCon il termine spiritual si intende indi-care un vastissimo repertorio di cantireligiosi nati all’interno delle comunità

degli schiavi neri nelle piantagioni in Americadel Nord, dal secolo XVII al secolo XIX, quan-do la schiavitù venne abolita nei nascenti StatiUniti d’America, al temine della guerra di seces-sione. Questi canti presentano ritmi e melodiemolto varie, ma tutti hanno una grande impor-tanza culturale, in quanto rappresentano un ele-mento centrale nella esperienza di vita degli schia-vi, una vita completamente condizionata e rego-lata dal lavoro. Attraverso lo spiritual gli schia-vi esprimevano la dolorosa realtà e contem-poraneamente cercavano di conservare la pro-pria identità culturale, per questo nei testi e nel-le melodie di questi canti ritroviamo sentimen-ti contrastanti, quali la rassegnazione e la spe-ranza, la gioia e il dolore, l’amore, ma ancheil sentimento di rivalsa e soprattutto l’incancellabiledesiderio di fuga e dunque di libertà. Occorre considerare che gli schiavi non con-servarono a lungo intatte le loro credenze reli-giose, in quanto erano esplicitamente vietatedai proprietari e inoltre, questi ultimi capironomolto presto l’importanza e la forza della pre-dicazione religiosa tra gli schiavi per esercita-re un controllo su di loro e cercare di legarli cul-turalmente ed emotivamente alla loro pianta-gione, sopprimendo il desiderio di libertà. Lareligione cristiana entrò a far parte della culturadegli schiavi, ma rielaborata con i tratti delle reli-gioni africane. Lo stesso processo di integrazione e rielabo-razione avvenne anche in campo musicale dan-do vita allo spiritual, infatti gli afroamericani pre-sero spunto per i loro canti dagli inni sacri pro-testanti dei bianchi, trasformandoli a renden-doli propri. Molti storici e musicologi si sono occu-pati degli spiritual e esistono dunque tantissi-me interpretazioni. Comunque la critica più atten-dibile e più credibile si deve a W. E. BurghardtDubois, storico, pensatore, dirigente del parti-to socialista americano , fondatore di un’orga-nizzazione progressista N.A.A.C.P. (NationalAssociation for the Advancement of Colores People). Dubois fu i primo studioso che smentì le pre-cedenti teorie che volevano lo spiritual comesemplice imitazione dei canti religiosi deibianchi e ne esaltò la bellezza, ma, elementopiù importante, a cui Dubois diede risalto, è larelazione fondamentale che c’è tra questo gene-re musicale e la cultura, la storia, le abitudini

degli afroamericani che lottarono per l’affermazionedei diritti umani. Altri studiosi hanno approfon-dito l’analisi dei testi e delle melodie di questicanti, arrivando a riconoscerne l’origine, l’au-tore ed anche il periodo di composizione, conun buon grado di precisione. Tutto ciò contribuisce a dare una più puntua-le e reale interpretazione di questi particolaricanti. Infatti molto spesso i testi cantati non era-no solo o semplicemente canti religiosi di lode,di ringraziamento e di supplica all’Onnipotente,ma costituivano anche dei messaggi o delle dichia-razioni di intenti, attraverso i quali i neri schia-vi potevano pregare e, nello stesso tempo, comu-nicare tra di loro senza incorrere nella censu-ra dei proprietari bianchi. Le narrazioni degli eventi descritti nei testi bibli-ci, venivano trasposti nella realtà della loro vita:il Faraone rappresentava il padrone e l’aneli-to di libertà del popolo ebreo dalla schiavitù inEgitto corrispondeva al loro desiderio di liber-tà, allo stesso modo il passaggio del Mar Rosso

degli Ebrei in fuga dal Faraone era una meta-fora della loro volontà di fuggire dalla condizionedi schiavo e trovare finalmente una propria iden-tità. Probabilmente, molti di questo testi non sonofrutto una cosciente protesta o ribellione, macerto sono espressione di opposizione e rifiu-to alla cultura che veniva loro imposta.“If I hadmy way I’d fear this building down...” “Se tro-vassi una mia strada, Abbatterei questo edifi-cio...” è un verso di uno spiritual riferito alla vicen-da di Jericho che è esemplificativo del mododi trattare gli argomenti dei loro canti da partedegli schiavi. Ovviamente, dopo l’abolizione della schiavitùnegli Stati Uniti d’America e con il passare deglianni, ogni significato nascosto e ogni metafo-ra divennero sempre più sfumati anche perché,anche i bianchi cominciarono a praticare que-sta musica per cui cantare uno spiritual è diven-tato con il tempo una fruizione estetica, emo-zionale, a volte catartica, a causa dell’elementoritmico trascinante e coinvolgente.

strategici i loro enigmatici messaggi notturni edimponendo alla vista di tutti le loro “opere” di un’ar-te ritenuta superiore. Le scuole sono coinvoltepreferibilmente, un po’ come i treni dei pendo-lari, per l’ansia di trasmissione, o meglio di impo-sizione, del messaggio “rivoluzionario”.Preso atto della complessità del fenomeno, sideve ricercare una soluzione, senza preclusio-ne verso la possibilità di conciliare il decoro del-

le proprietà pubbliche e private con l’esigenzairrefrenabile di tanti giovani a manifestare in for-me diverse e nuove la loro concezione artisti-ca, nell’ambito della “street art”, che ha una suaragion d’essere ed una sua tradizione, se si col-lega a quella degli artisti che sui marciapiedi anco-ra realizzano le loro opere con i gessetti, men-tre i giovani d’oggi maneggiano gli spray, pur-troppo con colori indelebili e comunque di dif-ficile e costosa rimozione.

Molti giovani sicuramente accetterebbero di dipin-gere su idonei spazi messi a loro disposizione,magari nei muri di cinta, che perderebbero il lorosquallore : e sarebbero così vincolati ad una pro-gettazione, al confronto con i coetanei e, nellescuole, anche con i docenti e le altre compo-nenti, uscendo così dalla clandestinità nottur-na. Si recupererebbe, in tal modo, l’immaginedi scuola come centro di cultura e luogo di bel-lezza.

segue da pag. 36

4242 OttobreOttobre20132013

Bollettino diocesano:

Prot. VSC/ 18/2013

Si attesta che

il Vino da Messa imbottigliato dalla ditta Spallotta Walter e Romaggioli Sandro snc, sita in Velletri Via dei Laghi 1,risponde ai requisiti previsti dai canoni del CJC e quindi può essere usato nella Celebrazione Eucaristica, in base alla analisi chimica organolet-tica eseguita da un laboratorio di nostra fiducia e verrà spillato e sigillato alla presenza di tecnico enologo da noi incaricato.

In fede si rilasciaVelletri, 19.07.2013 +Vincenzo Apicella, vescovo

---------------------------------------------------------------------------------------------------Prot. VSC/ 19/2013

DECRETO DI NOMINA DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONEDELL’ISTITUTO “PIE OPERAIE” IN COLLEFERRO

Essendo scaduto per limiti di tempo il Consiglio di Amministrazione della Fondazione denominata “Istituto Pie Operaie” con sede in Colleferro(RM), Via Giovanni XXIII, 5Nominiamo il Nuovo Consiglio di Amministrazione della predetta Fondazione, a norma dell’art. 4 dello Statuto, per la durata di un qua-driennio nelle seguenti persone:

Ing. Massimo Schiaviin qualità di Direttore e Rappresentante legale della Fondazione, ad nutum dell’Ordinario

pro tempore della Diocesi di VELLETRI-SEGNIRev.do p. Vincenzo Molinaro omd

Rev.da SIMONELLI sr. FloraRev.da CAPRINI sr. Iva

Rev.da PETACCIA sr. Amerina

Si nomina altresì con facoltà solo consultiva Kunda Mwamba sr Jacqueline.

18.09.2013 +Vincenzo Apicella, vescovo

---------------------------------------------------------------------------------------------------Prot. VSC/ 20/2013

Nel corso degli ultimi anni la diocesi ha subito profonde e ampie trasformazioni, che richiedono una distribuzione del clero più adegua-ta alle necessità presenti.

Per questo, già da tempo, con la collaborazione degli Organismi di partecipazione e, in particolare, del Collegio dei Consultori, è stataconsiderata l’opportunità di alcuni trasferimenti di presbiteri, affinché ciascuno, “secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buo-ni amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pt. 4,10), per la crescita comune.

In questo ambito e con questo spirito, ringraziandoti per il fedele e fecondo servizio pastorale svolto finora nella parrocchia di San Sebastiano,facendo conto sul tuo zelo apostolico e sulla tua obbedienza sacerdotale, pur consapevole del sacrificio richiesto, dopo il prolungato dialogo inter-corso, nel rispetto della normativa canonica (Cfr. cann. 1748-1752 C.I.C.), visti cann. 519; 521-524 del C.I.C. ed espletate le consultazioni e leindagini prescritte o ritenute comunque opportune, con il presente

DECRETO,

nomino te, don Daniele Valenzi, parroco di Santo Stefano in Artena.

Il tuo mandato nella parrocchia di Santa Maria Assunta in Gavignano avrà termine domenica 20 ottobre p.v., ne sarai amministratoresecondo le norme canoniche fino a sabato 26 ottobre e il tuo nuovo ministero nella parrocchia di Santo Stefano in Artena avrà inizio la domeni-ca seguente, 27 ottobre.

Concorderemo insieme le modalità per la presa di possesso e le concrete determinazioni connesse, ti assicuro la vicinanza, la disponi-bilità ed il sostegno della diocesi in ogni necessità, mentre ti prego di operare per rendere possibile che tale avvicendamento avvenga in modosereno e nello spirito della comunione ecclesiale.

La Beata Sempre Vergine Maria, Assunta in Cielo e Santo Stefano ti sostengano, ti assistano e ti accompagnino nel tuo nuovo e impe-gnativo ministero.

Velletri, 23 settembre 2013 +Vincenzo Apicella, vescovo

4343OttobreOttobre20132013

Prot. VSC/ 21/2013

Nel corso degli ultimi anni la diocesi ha subito profonde e ampie trasformazioni, che richiedono una distribuzione del clero più adegua-ta alle necessità presenti.

Per questo, già da tempo, con la collaborazione degli Organismi di partecipazione e, in particolare, del Collegio dei Consultori, è stataconsiderata l’opportunità di alcuni trasferimenti di presbiteri, affinché ciascuno, “secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buo-ni amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pt. 4,10), per la crescita comune.

In questo ambito e con questo spirito, ringraziandoti per il fedele e fecondo servizio pastorale svolto finora nella parrocchia di San Sebastiano,facendo conto sul tuo zelo apostolico e sulla tua obbedienza sacerdotale, pur consapevole del sacrificio richiesto, dopo il prolungato dialogo inter-corso, nel rispetto della normativa canonica (Cfr. cann. 1748-1752 C.I.C.), visti cann. 519; 521-524 del C.I.C. ed espletate le consultazioni e leindagini prescritte o ritenute comunque opportune, con il presente

DECRETO,

nomino te, don Alberto Raviglia, parroco di Santa Maria Assunta in Gavignano.

Il tuo mandato nella parrocchia di San Sebastiano in Valmontone avrà termine domenica 20 ottobre p.v., ne sarai amministratore secon-do le norme canoniche fino a sabato 26 ottobre e il tuo nuovo ministero nella parrocchia di Santa Maria Assunta in Gavignano avrà inizio la dome-nica seguente, 27 ottobre.

Concorderemo insieme le modalità per la presa di possesso e le concrete determinazioni connesse, ti assicuro la vicinanza, la disponi-bilità ed il sostegno della diocesi in ogni necessità, mentre ti prego di operare per rendere possibile che tale avvicendamento avvenga in modosereno e nello spirito della comunione ecclesiale.

San Sebastiano e la Beata Sempre Vergine Maria, Assunta in Cielo, ti sostengano, ti assistano e ti accompagnino nel tuo nuovo e impe-gnativo ministero.

Velletri, 23 settembre 2013 +Vincenzo Apicella, vescovo

---------------------------------------------------------------------------------------------------Prot. VSC/ 22/2013

Nel corso degli ultimi anni la diocesi ha subito profonde e ampie trasformazioni, che richiedono una distribuzione del clero più adegua-ta alle necessità presenti.

Per questo, già da tempo, con la collaborazione degli Organismi di partecipazione e, in particolare, del Collegio dei Consultori, è stataconsiderata l’opportunità di alcuni trasferimenti di presbiteri, affinché ciascuno, “secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buo-ni amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pt. 4,10), per la crescita comune.

In questo ambito e con questo spirito, ringraziandoti per il fedele e fecondo servizio pastorale svolto finora nella parrocchia di Santo Stefano,facendo conto sul tuo zelo apostolico e sulla tua obbedienza sacerdotale, pur consapevole del sacrificio richiesto, dopo il prolungato dialogo inter-corso, nel rispetto della normativa canonica (Cfr. cann. 1748-1752 C.I.C.), visti cann. 519; 521-524 del C.I.C. ed espletate le consultazioni e leindagini prescritte o ritenute comunque opportune, con il presente

DECRETO,

nomino te, don Paolo Latini, parroco di San Sebastiano in Valmontone.

Il tuo mandato nella parrocchia di Santo Stefano in Artena avrà termine domenica 20 ottobre p.v., ne sarai amministratore secondo lenorme canoniche fino a sabato 26 ottobre e il tuo nuovo ministero nella parrocchia di San Sebastiano in Valmontone avrà inizio la domenica seguen-te, 27 ottobre.

Concorderemo insieme le modalità per la presa di possesso e le concrete determinazioni connesse, ti assicuro la vicinanza, la disponi-bilità ed il sostegno della diocesi in ogni necessità, mentre ti prego di operare per rendere possibile che tale avvicendamento avvenga in modosereno e nello spirito della comunione ecclesiale.

La Madonna del Rosario, Santo Stefano e San Sebastiano ti sostengano, ti assistano e ti accompagnino nel tuo nuovo e impegnativoministero.

Velletri, 23 settembre 2013 +Vincenzo Apicella, vescovo

Mons. Angelo ManciniCancelliere Vescovile

Bollettino diocesano:

Rembrandt Harmenszoon Van Rijn,"Il ritorno del figliol prodigo"/ 2

don Marco Nemesi*

IIl figlio maggiore è l’osservatore principaledel ritorno a casa del figlio minore. Se nesta rigidamente sulle sue. Guarda il padre,

ma non con gioia, non si protende in avanti nésorride o esprime il suo benvenuto. Sta sem-plicemente lì, a lato della pedana, evidentementedesideroso di non essere coinvolto.È vero che il “ritorno” è l’evento dominante delquadro, ma non è comunque situato al centrofisico della tela. Ha luogo sul lato sinistro delquadro, mentre il fratello maggiore, alto e impas-sibile, domina il lato destro. C’è un ampio spa-zio vuoto che separa il padre e il figlio maggiore,uno spazio ampio dove si crea una tensione cheesige una soluzione. Sia il padre sia il figlio mag-giore hanno la barba e indossano ampi man-telli sulle spalle. Questi elementi esterni suggeriscono come figlioe padre abbiano molti elementi in comune e que-sta comunanza è rilevata dalla luce sul figlio mag-giore che in modo molto diretto collega il suo alvolto luminoso del padre. Il padre si piega sul figlioche è tornato. Il figlio maggiore sta in piedi irri-gidito, posizione accentuata dal lungo bastoneche dalla mano arriva fino a terra. Il mantello del padre è ampio e accogliente; quel-lo del figlio cade giù rigido e uniforme lungo ilcorpo. Le mani del padre sono stese e toccanocolui che ritorna in un gesto di benedizione; quel-le del figlio maggiore sono strette insieme e tenu-te vicino al petto. C’è luce su entrambi i volti, ma la luce che ema-na dal volto del padre fluisce per tutto il corpo- specialmente le mani - e riverbera sul figlio piùgiovane un grande alone di calore luminoso; men-tre la luce sul volto del figlio maggiore è fred-da e circoscritta. La sua figura rimane nell’oscurità e le sue manicongiunte restano nell’ombra. Il figlio maggio-re non ebbe la forza di entrare in casa e di con-dividere la gioia del padre. Il suo lamento inte-riore, il suo rifiuto l’ha paralizzato ed ha con-sentito che il suo cuore fosse avvolto dall’oscurità.Rembrandt ha percepito il significato più pro-fondo di questa situazione quando ha dipintoil figlio maggiore a lato della pedana su cui ilfiglio più giovane viene ricevuto nella gioia delpadre. Non ha dipinto i festeggiamenti con musi-cisti e danzatori: questi erano semplicementei segni esteriori della gioia del padre. Nel quadro l’unico segno di festa è la figura diun suonatore di flauto seduto, tratteggiato in rilie-vo sul muro cui si appoggia una delle donne. Al posto della festa, Rembrandt ha dipinto la luce,la luce raggiante che avvolge sia il padre che ilfiglio. La gioia che Rembrandt ritrae è proprio lagioia quieta della casa di Dio. L’abbraccio del padre, pieno di luce, è l’abbrac-

cio di Dio. Tutta la musica e le danze sono lì. Ilfiglio maggiore rimane al di fuori del cerchio di

questo amore, rifiutandosi di entrarvi. La luce sulsuo volto fa capire che anche lui è chiamato allaluce, ma non può essere forzato. Osservandole fattezze con cui Rembrandt ritrae il padre, pos-siamo essere aiutati a capire il significato dellatenerezza, della misericordia e del perdono.Ogni dettaglio della figura del padre – l’espres-sione del volto, il suo atteggiamento, i colori del-l’abbigliamento e soprattutto la gestualità dellemani – parla dell’amore di Dio per l’umanità che

è esistito dall’inizio e che sempre esisterà. Ciòche dà al ritratto del padre una forza così irre-sistibile è il fatto che ciò che vi è di più divinovenga espresso con ciò che vi è di più umano.

Si vede un uomo anziano, mezzo cieco, con baf-fi e barba ripartita, vestito con indumenti ricamati

in oro e con un mantello rosso scuro, che posale sue mani, grandi e calme, sulle spalle del figlioche ritorna. Tutto questo è ben definito, concreto e descri-vibile. Però si vede anche una infinita miseri-cordia, un amore senza riserve, un perdono eter-no – realtà divine – che scaturiscono da un Padreche è il creatore dell’universo. Qui, sia l’umano sia il divino, il fragile e il poten-te, il vecchio e l’eternamente giovane, sono pie-namente espressi. Questo è il genio diRembrandt, la verità spirituale è totalmente incar-nata. Il vero centro del dipinto di Rembrandt sonole mani del padre. Su di esse si concentra tut-ta la luce; su di esse si focalizzano tutti gli sguar-di; in esse s’incarna la misericordia; in esse con-fluiscono perdono, riconciliazione e guarigionee con esse sia il figlio esausto sia il padre sfi-nito trovano riposo. Esse sono molto diversetra loro.La mano sinistra, posata sulla schiena del figlio,è forte e muscolosa. Le dita sono aperte e copro-no gran parte della spalla destra del Figliol Prodigo.

Si può intuire anche una certa pressione, spe-cialmente del pollice. Quella mano sembra non soltanto toccare, maanche, con la sua forza, sorreggere. La manodestra invece non sorregge né afferra. È una manoraffinata, delicata e molto tenera. Le dita sonoravvicinate ed hanno un aspetto elegante. La manoè posata dolcemente sulla spalla del figlio. Vuoleaccarezzare, calmare, offrire conforto e conso-lazione. È una mano di madre. Il padre allora nonè soltanto un patriarca, un capofamiglia, ma siamadre che padre. Tocca il figlio con una manomaschile e con una femminile. Lui sorregge, leiaccarezza. Lui rafforza, lei consola. È dunque Dio, nel qua-le sono pienamente presenti l’esser uomo e l’es-ser donna, la paternità e la maternità. C’è poiil grande mantello rosso. Col suo colore caldoe la forma avvolgente, offre un luogo ospitale,dove è bello stare. Può sembrare una tenda che offra riparo al vian-dante stanco, ma ancora meglio, rappresentale ali protettive di una madre uccello. Giorno enotte Dio ci tiene al sicuro, come una chiocciatiene sotto le sue ali i pulcini.

Salmo 91:“Tu che abiti al riparo del Signore, e chedimori alla sua ombra, dì al Signore mio

rifugio, mia roccia in cui confido. … Ti coprirà con le sue penne, sotto le

sue ali troverai rifugio”.

E così, sotto le sembianze di un vecchio patriar-ca ebreo, emerge anche un Dio materno che acco-glie a casa il proprio figlio.

*Dir. Ufficio Diocesano Beni Culturali

Simeone e il bambino Gesù, part., 1669, National Museum, Stockholm.