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Due metri quadrati di paradiso di Gianni dall'Aglio

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Gianni Dall’Aglio

BATTI UN COLPO

in collaborazione conPablo Coniglio

Prefazione di Michele Bovi

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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2014Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona)tel. 045 7725543 – fax 045 6858595mail [email protected]

ISBN 978-88-6099-247-5

Prima ristampa, gennaio 2015

StampaIl Segno dei Gabrielli editori, dicembre 2014

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Alla mia famiglia e a tutte le persone che amo.

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Devo ringraziare molte persone per l’esistenza di questo libro, il mio grazie va a: Pablo Coniglio per il suo prezioso lavoro e instan-cabile collaborazione, mi figlia Iris e Sara Valentini per l’incoraggia-mento e aiuto durante la stesura del libro, Lucia e Cecilia Gabrielli per l’interesse mostrato verso questo progetto. Ringrazio particolar-mente Michele Bovi per la sua prefazione e fantastica ricostruzione di quegli anni, ricca di aneddoti e amicizia che ricambio con tutta la mia stima.Grazie a: Isidora De Camargo per la foto di copertina, e Niko Gio-vanni Coniglio per il ritratto nel libro.Grazie a: I Ribelli: Demetrio Stratos, Natale Massara, Giorgio Be-nacchio, Angel Salvador; e ancora a Giorgio Fieschi, Maurizio Bel-lini, Alberto Ferrarini, “Ciclope” Davide Mainoldi, “Pelo” Pietro Benucci, Marco Gennari, Fiorenzo Delegà, Guido Maselli, Moris Pradella, Mauro Negri, Emiliano Paterlini, Silvio Siciliano, Anto-nia Guidolin, Gianna Jannuzzi, Danilo Franchi, Gianni Malfatti, Piero Pizzo, Mauro Pucci, Paolo Serafini, Rinaldo Mascia, Liana Biasco, Angelo e Carla di Perugia, Max Azzolini, I Ribelli Fans Club, Associazione AmicoRene, La Nefrologia di Mantova, il Dr. Luigino Boschiero responsabile del Centro Trapianti di Verona, tutti i miei allievi, per avermi fatto crescere insieme a loro e tanti tantissimi amici della mia amata città e del mondo...

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Foto di Niko Giovanni Coniglio

La vita è sempre vita! (Pierdamiano Bertinato, padre francescano)

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INDICE

Prefazione

GIANNI, MITO PERPETUO

di Michele Bovi 11

1. IL VIAGGIO 17

2. «L’AMORE è UNA COSA MERAVIGLIOSA» 27

3. EHILà! SONO ARRIVATO… 37

4. «VI CHIAMERò I RIBELLI» ADRIANO CELENTANO 47

5. «DENTRO LE TUE CORONARIE CI PASSA UN TIR!»

ENZO JANNACCI 55

6. L’UNIONE FA LA FORZA! 65

7. ZOUZOU LA TwISTEUSE 72

8. L’ARIA SI RIEMPIVA DI FRAGRANZA DI TUBEROSA 83

9. NON TUTTI I GIOCHI FINIVANO MALE 94

10. LA RIVISTA DEL CLAN 102

11. MI HA TOLTO IL RESPIRO 111

12. ALCUNI BAMBINI SI ERANO FERMATI

A GUARDARE GLI SPOSI 123

13. DA SUBITO VOLEVAMO FOSSE IRIS 130

14. NATALE… SIAMO IN AMERICA! 138

15. CINqUE AMICI DA MILANO 146

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16. «DEVI SONà LA BATTERIA RILASSATO

MA NERVOSO!» LUCIO BATTISTI 154

17. «GIANNI, BATTI UN COLPO»

ADRIANO CELENTANO 164

18. ERA STATA LEI, MIA FIGLIA, A SUSSURRARMI… 173

19. «HAI SEMPRE UNA BELLA PACCA»

LUCIO DALLA 182

20. ARRIVAI IN TEMPO 191

ELENCO DEI PERSONAGGI 193

DISCOGRAFIA 197

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Prefazione

GIANNI, MITO PERPETUO di Michele Bovi

Giancarlo Berrè, affermato odontoiatra della Capita-le, lo idolatrava. Fu Giancarlo a spiegarmi perché Gianni Dall’Aglio era – secondo lui – il più abile e completo batte-rista tra tutti i complessi beat sulla scena italiana, meglio di Gigi Federici che suonava con Little Tony, meglio di Roberto Senzasono degli Skylarks di Ricky Shayne, meglio di Pupo dei New Dada, per citare alcuni dei batteristi ritenuti al top. Giancarlo Berrè non parlava da dentista – avrebbe abbrac-ciato la professione anni dopo – ma da batterista dei Maya, formazione in cui militavo anch’io all’inizio della mia carriera, per fortuna breve (ma intensa), di sassofonista. I Ribelli era-no insomma considerati modelli da molti di noi giovanissimi musicisti: a mia volta apprezzavo Natale Massara, il loro te-norsax; poi quando ingaggiarono voce e tastiera di Demetrio Stratos i modelli assursero al ruolo di Venerati Maestri.

La mia stima per Dall’Aglio risale a quell’epoca, stima e simpatia perché quel caschetto sorridente e dinoccolato pre-disponeva naturalmente al consenso. Di lui si è sempre parla-to bene nell’ambiente musicale, al di là di rullante e timpano: un ragazzo buono e generoso.

L’ho conosciuto personalmente anni dopo nel corso di uno speciale televisivo su Lucio Battisti. Gianni era il batterista preferito di Lucio: lo portò con sé nel leggendario duetto in diretta tv con Mina a Teatro10 nel 1972. E chiunque abbia conosciuto Battisti ricorda la sua maniacale esigenza nelle esi-bizioni musicali. Una conferma definitiva dell’illuminazione di Giancarlo Berrè.

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Gianni mi parlò della sua passione per la cinepresa e dei filmati che aveva girato in occasione della tournée italiana dei Beatles. Immagini a colori emozionanti, grondanti spettacolo e storia contemporanea. Certamente di valore: mi consentì di utilizzarle senza l’ombra di una contropartita; aggiungo per completezza d’informazione che lo stesso fecero Peppino di Capri e Marcella Caporello, un medico che da bambina aveva ricevuto in regalo di compleanno dal papà l’ingresso al teatro romano dove suonavano i Beatles e una cinepresa. Insomma con le immagini catturate dai tre cineamatori (ma quelle di Dall’Aglio erano le più nutrite e meglio definite) la RAI riuscì a ricostruire gratuitamente quell’evento – tre date e tre piaz-ze: Milano, Genova e Roma – che nel 1965 un dirigente della stessa Tv di Stato aveva ritenuto indegno di riproduzione. Ho utilizzato successivamente altro materiale filmato di Gianni: quegli svitati del Clan Celentano in giro per le stradone di Manhattan, l’incontro casuale con wilson Pickett, le carne-valate estive sulla spiaggia con Demetrio, i Ribelli in concer-to e al seguito di Adriano sul palco dell’Olympia di Parigi. Tutto materiale a colori preziosissimo, un trancio di saporite peripezie dell’epoca beat. E poi lo scoop inerente la paternità di Pugni Chiusi. Fu Gianni a comporre quel brano maiusco-lo accreditato per anni per la parte musicale esclusivamente a Ricky Gianco. Era prassi comune di quel tempo: chi non era iscritto alla SIAE attribuiva la paternità della canzone a un musicista che aveva superato l’esame, in cambio di una scrittura privata che impegnava il secondo a versare periodi-camente il frutto dell’opera dell’ingegno al vero autore, fatta salva una percentuale per il disturbo. Soltanto di recente, gra-zie alla Presidenza SIAE dell’avvocato Giorgio Assumma, si è scoperto che quella prassi era un inganno creato dall’astu-zia di qualcuno e alimentato dall’ingenuità e dall’ignoranza di tanti. Dall’Aglio mostrò alle telecamere il documento auto-grafo di Gianco che riconosceva i diritti del collega, poi ci fu un accordo che Ricky accettò di buon grado e Pugni Chiusi nel suo certificato di origine oggi riporta per la parte musi-

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cale ambedue i nomi: cosa che fa onore alla reputazione di entrambi.

In questo libro Gianni entra nei dettagli su tutto, dall’amo-re alla solidarietà. E, naturalmente, la musica. Una fotogra-fia dei cosiddetti Favolosi Anni Sessanta e di una realtà che non si concilia con il relativo immaginario collettivo. Ovvero quella convinzione diffusa – soprattutto tra i ragazzi – che la musica, il beat, i complessi (definizione d’epoca delle band) significassero successo e oro era un’illusione onirica. Erano anni in cui un ragazzo su 30 imparava a suonare uno strumen-to, non soltanto per esaudire una passione innata o il talento istintivo ma anche per emulare l’apparente affermazione so-ciale ed economica dei suoi modelli, che erano nell’ambito nazionale appunto i Ribelli, o i Rokes o l’Equipe 84, ossia gio-vani abbigliati eccentricamente, sempre in tournée tra locali dalle insegne ipnotiche e ragazzine adoranti in minigonna, tra Rolls Royce (quella dell’Equipe 84), Ferrari (quella di Johnny Charlton, il chitarrista dei Rokes), fuoriserie e spider fascino-se per tutti gli altri. Soltanto apparenza. La testimonianza di Dall’Aglio arriva dopo quella di Franco Ceccarelli del 1996 (Io ho in mente te, Storia dell’Equipe 84) e quelle di Shel Sha-piro e Johnny Charlton dei Rokes, Mal e Dave Sumner dei Primitives, Dougie Meakin dei Motowns (raccolte in “British Invasion”, Tg2 Dossier del 2009) e rappresenta la certifica-zione definitiva di una quotidianità beat tutt’altro che aurea, bensì fondata sulle cambiali, vetture di seconda mano, tratto-rie e alloggi a buon mercato: tra la romana Pensione Julia di via Rasella alla milanese Pensione Sorrento di piazza Castello, camere a due letti, bagno comune nel corridoio, per favore non pisciare nel lavandino. Il motivo per cui artisti che vende-vano milioni di dischi, che suonavano con continuità in spa-zi alla moda, protagonisti di spot pubblicitari, frequentazioni assidue in tv, copertine di rotocalchi, Festival di Sanremo, ec-cetera, erano tuttavia costretti a un tenore di vita inadeguato è analogo alla panzana dell’obbligo dell’iscrizione alla SIAE di cui sopra. Un sistema di contratti capestro, blindato da una

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consistente porzione di discografici, editori e impresari, fun-zionale a vincolare cantanti e musicisti sprovveduti, smaniosi di fama e irrispettosi dei più elementari criteri di oculatezza e buonsenso. Una speculazione che ci ha comunque lasciato gran bei ricordi musicali.

Di quella memorabile stagione Gianni non è soltanto un te-stimone ma anche un protagonista in attività. Nelle orchestre di Adriano Celentano nei suoi spettacoli televisivi meno e più recenti spicca il caschetto – da anni bianco – di quel batterista della prima ora.

Dall’Aglio racconta della delusione provata quando uno dei suoi idoli, Little Richard, proprio in uno special televisivo di Celentano preferì suonare al piano un brano sconosciu-to piuttosto che uno dei suoi elettrizzanti cavalli di battaglia rock. “Tutto era così diverso – commenta rassegnato Gianni – perché alla fine i miti diventano una fotografia sbiadita”. Sappia che proprio lui rappresenta l’eccezione che conferma la regola: il mito Dall’Aglio, quando ancora oggi lo vediamo sul palco, è un’istantanea dai colori indelebili. Parafrasando Paganini: un Mito Perpetuo.

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Quando parli di Gianni Dall’Aglio, è inevitabile lasciarsi prendere la mano dai ricordi, da una travolgente nostalgia che ti fa scorrere in sequenza volti e voci di quella che – per noi “diversamente giovani” – è in fondo l’età dell’oro: Mina, Celentano, Battisti, Mogol, passando per “Pugni chiusi” e i Ribelli… Una vita, quella di Gianni, sull’onda del successo, tale da giustificare quel sorriso (contagioso, dolce, entusiasta, comunque sincero) sempre stampato sul suo viso. Eppure c’è anche un altro Dall’Aglio, che ha vissuto dolori, insicurezze e paure: fino alla notte più nera, superata con uno straordinario atto d’amore. È soprattutto a quest’ultimo Dall’Aglio, sconosciuto ai più – uomo, marito, padre, amico – che dobbiamo essere grati: raccontandosi in questo libro, non solo ci imbarca in una stupefacente macchina del tempo, ma dimostra quanto il dono completo di sé (perché tale è il trapianto tra vivi) possa costituire un’esperienza di vita assolutamente piena e gratificante, per chi dà e per chi riceve.

Nicola SodanoSindaco di Mantova

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1.

IL VIAGGIO

Partiamo tutti e tre in un mattino pieno di sole. Nostra fi-glia Iris è con noi. In tutta questa vicenda ci è sempre sta-ta vicina. Durante il viaggio ci poniamo diversi interrogativi, senza risposta.

A Verona parcheggiamo l’auto di fronte alla struttura im-mensa che ci attende. Siamo in perfetto orario, ma il medico è in ritardo all’appuntamento. Poco dopo, un uomo, zainetto sulle spalle, sistema la bicicletta al muro vicino l’ingresso. Ap-pena oltrepassata la porta si avvicina chiedendoci se siamo i signori Dall’Aglio, ci stringe la mano scusandosi per il ritardo. Il dottor Boschiero è una persona di poche parole, con una voce molto bella, è questo il suo fascino.

Ci immaginavamo di essere accolti in uno studio importan-te, invece il dottore ci fa accomodare in una specie di dispen-sa, una piccola stanza con tremila carte sparse qua e là, scaf-fali ricolmi di raccoglitori sotto la scrivania, computer e fax ingialliti dal tempo; di fronte a lui tutti noi.

«Siamo di Mantova…»«Sì, i colleghi mi hanno avvertito. So della vostra situazione.»«Che possibilità abbiamo di una buona riuscita?»«Ora è un po’ presto per parlare di numeri, siamo proprio

all’inizio. Faccia conto, signora, di trovarsi alla lettera A dell’al-fabeto e di dover arrivare alla Z. Dovremo fare una serie di esa-mi approfonditi e, se un esame va bene, potremo proseguire, nel caso contrario valuteremo le cose da fare. Vedremo.»

«Dottore, abbiamo lo stesso gruppo sanguigno! Io suono la batteria, potrò ancora suonare?»

«Certo che potrà suonare; lei potrà fare tutto quello che faceva prima.»

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«Ma… il taglio sarà sulla schiena?»«Le faremo una piccola incisione sul davanti, appena sopra

l’ombelico.»«Grande quanto?»«Circa così – indica con la mano.»«Ma non c’è un altro modo?»«Sì, in laparoscopia, ma preferisco farlo in chirurgia tradi-

zionale.»Orietta continua a fare domande, il medico risponde in

modo rassicurante, parla un linguaggio comprensibile e noi ci stringiamo a lui, in quell’atmosfera di ottimismo.

qualche giorno dopo ci contatta l’ospedale di Mantova per il primo importante esame da fare a Milano. La notte prima della partenza sono così agitato da non riuscire a prendere son-no, mentre durante il viaggio del mattino sono quasi euforico. A Milano ci fanno un sacco di prelievi per gli esami del sangue. Entro una quindicina di giorni arriveranno gli esiti allo specia-lista che ci segue all’ospedale di Borgo Trento, a Verona.

Torniamo a casa; man mano che si avvicina la data degli esiti le mie ansie aumentano, Orietta è meno preoccupata di quanto lo sia io, ogni pensiero mi riporta agli esami di Milano e ho palpitazioni ogni volta. Passate le due settimane prendo coraggio e chiamo il Centro Trapianti di Verona. Orietta è fi-duciosa; ma io devo sapere…

«Dottore, sono Gianni Dall’Aglio, di Mantova, si ricorda?»«Certo!»«Sa, siamo andati a fare quell’esame a Milano… com’è an-

dato?»«…Non c’è una grande compatibilità, ma possiamo conti-

nuare.»Lo dice lentamente, con voce rasserenante; siamo stati pro-

mossi. Corro da Orietta, l’abbraccio. Se lo sentiva che sareb-be andato bene.

Nei due mesi successivi facciamo un esame dopo l’altro, ogni parte del corpo è indagata. quando in Medicina Nu-cleare faccio la scintigrafia renale, mezz’ora prima dell’esame

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bevo quasi due litri di acqua, subito dopo mi iniettano un liquido tracciante insieme al diuretico. Dentro la macchina devo restare circa venti minuti, senza muovermi per non ri-schiare di ripetere l’esame; l’acqua e il diuretico iniziano il loro lavoro non appena l’infermiera se ne è andata. Chiudo gli occhi, cerco di trattenere lo stimolo che aumenta. Passa metà del tempo, respiro appena, devo resistere; non posso manda-re tutto all’aria. L’infermiera, dov’è andata l’infermiera?

«Abbiamo finito!»«Mi scusi, dov’è il bagno?»«Subito lì a sinistra.»Sono pieno di urina in tutto il corpo ma non ne esce una

goccia, come se avessi preso una pallonata sulla vescica. Mi sento svenire, appoggio le braccia alla parete, ad ogni impulso arriva un conato di vomito. Rimango qualche minuto prima di riprendermi, lentamente mi libero di metà del liquido men-tre l’infermiera mi chiede se è tutto a posto. Rispondo di sì!

La scintigrafia va bene e questa è la cosa più importante. Gli ultimi esami indagano sulla presenza di virus nel sangue, allergie, epatiti e cose del genere. Franca, l’infermiera del Day Hospital, mi chiede di rifare un prelievo, la cosa riguarda dei marcatori.

«Marcatori tumorali?»«Sì… ma… generici.»«C’è qualcosa che non va?»«Dobbiamo ripetere l’esame, ma non si allarmi!»Ritiro l’esame la mattina stessa e corro dall’amico Enrico

Aitini, primario dell’Oncologia. Enrico ama la musica e suona la chitarra in una band di medici.

«Senti, ho fatto questo esame… sai la mia storia?»«Sì, sì, so tutto.»«è venuto fuori questo marcatore…»«Ma… non è molto elevato. Comunque ti hanno detto che

lo rifanno?»«Tra una settimana.»«Va bene, ripetilo, l’importante è che non cambi.»

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Il nuovo esame conferma i valori precedenti, contatto Bo-schiero a Verona, mi dice che sarebbe meglio ripeterlo tra un mese. Deve essere tutto a posto.

Decidiamo di fare una breve vacanza a Rimini accettando l’invito di Andreino, l’amico d’infanzia che vive lì per buona parte dell’anno quando non è a Mantova. Rimini fuori stagio-ne è una città in letargo, ma la compagnia di Andreino è sem-pre gioiosa e l’albergo confortevole.

La prima notte, dopo un breve sonno agitato mi sveglio in stato di ansia, ho paura. Sono immobile nel letto, il mio cuore batte forte, scappa dal pericolo dei pensieri che nel silenzio prendono forma. “Sei davvero sicuro di volerlo fare? Sei con-vinto?”

Per la prima volta ho un ripensamento, un nodo in gola, la voglia di tornare sui miei passi. Una parte di me dice: “Per-ché dovrei fare una cosa del genere? Io sto bene, sto proprio bene, perché dovrei mettere a rischio la mi vita?”

Mi alzo, trascino il dubbio lontano da Orietta per non tur-bare i suoi sogni. Sono sempre più solo con i battiti del cuore che aumentano, sudo panico. Mi dirigo verso il bagno. Ho il fiatone quando accendo la luce per guardarmi allo specchio.

I miei occhi riflettono un volto teso, pallido, i lineamenti sono velati, ma li sto amando, perché sono veri come non li ho mai conosciuti. Parlo dentro i miei occhi: “Ma perché fai così? Perché hai fatto questa promessa?”

La verità è che l’ho fatta perché amo mia moglie e avrei po-tuto migliorare la sua vita. Avrei voluto vederla ancora e per sempre stare bene, avrei voluto che la sua esistenza fosse stata autonoma; l’avrei voluta vedere lavorare e sognare.

Ora il battito riprende il suo ritmo regolare, il volto il suo colore, è passato quel momento di smarrimento, di solitudi-ne, ultimo colpo di coda di un uomo che ho rinnegato. Ades-so posso riaddormentarmi e continuare a sognare accanto a lei, in pace con la mia anima.

Siamo alla fine di un percorso durato tre mesi. Con i risul-tati degli esami in mano, a metà febbraio del 2008 torniamo

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da Boschiero con nostra figlia. L’ambulatorio è nel caos della volta precedente, le stesse carte sparse in giro e tutto il resto. La cosa migliore è quella di fare il trapianto prima che la fun-zionalità renale di Orietta sia del tutto insufficiente, per evi-tare la dialisi.

«Dottore, facciamo tutto in aprile?»«Non ho ancora detto se sono d’accordo – risponde tra un

sorriso e una mezza verità.»«Non sarà per quel mio marcatore?»«quello lo rifaremo tra qualche giorno, non è un proble-

ma. è ancora presto per prendere decisioni. Tra l’altro, sem-bra che gli esami della signora siano addirittura migliori dei precedenti.

Torniamo a casa felici perché le cose non vanno così male, ma col peso dell’incertezza tra le mani. Avremmo preferito trascorrere l’estate a cose fatte, senza pensarci più.

Il caldo improvviso di giugno ci porta un fine settimana a Cervarolo nella casa di Orietta, in compagnia di Vittoria, una cara amica. Arriviamo sull’Appennino Reggiano nel tar-do pomeriggio, l’aria fresca e il clima secco ci accolgono nel migliore dei modi. Orietta si è dimenticata di ritirare gli ulti-mi esami prima di partire. Ogni volta è una sentenza col rito abbreviato.

Il giorno dopo, all’ora di pranzo, chiama il dott. Botti:«Signora, purtroppo la creatinina si è molto alzata. Ho già

chiamato Boschiero. Sarebbe il caso di intervenire piuttosto velocemente. Pensava già la prossima settimana, martedì o mercoledì.»

Orietta arriva in cucina, mi da la notizia, lo stomaco si chiude col cibo in bocca. Speravo di avere tutto il tempo necessario per prepararmi spiritualmente, con i miei rituali, le meditazioni, la luce delle candele messicane nei bicchieri coloratissimi di fiori stampati e da accendere ovunque; mi avrebbe reso più sereno avere del tempo per raccogliermi davanti il volto di Gesù scolpito nel legno d’ulivo.

«Tesoro, scusami, non ho più fame!»

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«No! Adesso richiamo e gli dico che non possiamo, lo fac-ciamo più avanti…»

«Ascoltami, Orietta! Non possiamo rimandare, rischiare di entrare in dialisi. Lo faremo subito, tesoro… è meglio così.»

Esco nel prato, l’erba alta si lascia calpestare morbida, tutt’intorno le siepi di rosa canina delimitano il confine con il bosco. Mi viene spontaneo un lungo respiro, poi un altro ancora, mentre guardo quella natura splendente, apparente-mente immutabile. L’aria nei polmoni mi riporta all’attimo che sto vivendo, torna l’appetito. Intorno al tavolo i nostri sguardi si parlano e intrecciano buoni pensieri.

Rientriamo a Mantova, nel pomeriggio chiamo Monica, la regista di Torino cui ho promesso di rilasciare un’intervista su Demetrio per un documentario dal titolo “La voce Stratos”; le chiedo di anticipare il nostro incontro, decidiamo per il giorno prima del ricovero in ospedale.

Arriva con la troupe e la casa si riempie di ombrelli diffu-sori di luce. Racconto alcune storie vissute con Demetrio e concedo a Monica e Luciano, l’altro regista, delle immagini inedite girate molti anni fa con la vecchia 8mm. Pezzi di me-moria che camminano a un passo da me e rasserenano l’im-portante vigilia.

Mettiamo la sveglia alle sei della mattina. Abbiamo prepa-rato le nostre cose nella borsa sbiadita color pistacchio, usata negli ultimi dieci anni come porta bacchette durante gli spet-tacoli televisivi di Adriano. L’ho riempita di tutto quello che può servirci nei momenti difficili del nostro ricovero: Chiama-ti all’Amore di De Mello, Il Poeta di Gibran e le registrazio-ni di Padre Bertinato e Felice, due frati francescani che han-no vissuto l’intera vita illuminando il sentiero tracciato loro da Dio, incontrati e amati durante le lezioni di teologia con Orietta. Ho copiato su un CD tutte le mie canzoni e anche la registrazione fatta a Tulum dell’inconfondibile canto degli uccelli ai bordi della selva prima dell’alba; quei meravigliosi suoni avranno il potere di rigenerarmi prima del riposo.

è il 2 luglio 2008, nostra figlia non tarda ad arrivare, ci ac-

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compagnerà a Verona con la sua auto. Lei e Orietta mi aspet-tano col motore acceso, chiudo la porta di casa, poi la riapro e rimango sulla soglia, fisso ogni dettaglio trafitto dal primo raggio del mattino, lo sguardo sugli oggetti luminosi, un ultimo respiro, il profumo che riveste la casa, nella stanza della quoti-dianità.

«Chissà se ritorneremo… ti rivedrò ancora?»Chiudo gli occhi per riempirli di tutto quello che è possibi-

le imprimere, li riapro verso il giardino, ogni pianta è fiorita; sono pronto a partire.

Il viaggio è denso di attese, speranze, emozioni, andiamo incontro al destino con i cuori in subbuglio.

Prima di entrare in reparto indossiamo le mascherine e i copri-scarpe, l’ambiente è protetto da un circuito interno d’aria filtrata, porte e finestre sono chiuse all’esterno. Un’in-fermiera ci fa accomodare in sala d’attesa, arriva la caposala, ci annuncia che nei primi due giorni faremo solo le analisi di rito e poi ci sistema nella stessa camera, questa è una meravi-gliosa notizia. Iris riparte per Cremona dove vive con Isidora e Paolo, il suo compagno.

Per noi trascorre la prima notte. Il giorno successivo avvie-ne qualcosa. A Orietta fanno una dialisi di due ore per puri-ficarle il sangue prima dell’intervento. Rientra in stanza, sta bene, io cerco di scrivere le parole a una mia canzone incisa sul cellulare. Orietta mi osserva felice, sa che in quel modo tengo lontane le mie ansie.

All’improvviso entra Boschiero in camice verde, si ferma ai piedi del letto.

«Signora, lei non mi ha detto niente, così non va bene! Do-mani andiamo in sala operatoria e non mi dice di avere un nodulo al seno!»

«Come, un nodulo al seno?»«Ha fatto una mammografia qualche tempo fa, non le han-

no detto nulla?»«Gianni, siamo andati dal tuo amico infermiere a Bozzolo,

ricordi?»

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«Sì… ma era tutto a posto.»«Eh no, signor Dall’Aglio! qui c’è un “NON”!»«Dottore, com’è possibile? Chiamo Mario, il mio amico in-

fermiere, ci facciamo inviare il referto via fax e verifichiamo.»«Intanto ho prenotato un altro esame, fra cinque minuti la

vengono a prendere e la portano giù per la mammografia.» Esce dalla stanza contrariato, dileguandosi lungo il corri-

doio. Chiamo Mario, non lo trovo, quando risponde mi con-ferma il buon esito dell’esame; la mammografia era risultata stabile come cinque anni prima. Invia la documentazione con un fax al reparto. Per sbaglio, nella trascrizione del referto il medico aveva inserito un «non» di troppo. Anche l’esame or-dinato da Boschiero avrà esito negativo.

Alla vigilia dell’intervento mi addormento alle prime om-bre del tramonto, mi sembra quasi impossibile che la quiete arrivi coprendomi con una coperta.

Alle otto del mattino arriva Boschiero. «Se tutto va bene, a mezzogiorno entriamo in sala opera-

toria. Purtroppo questa mattina ci sono alcune urgenze. Ora dovrete farvi una doccia e poi depilarvi. Se lo preferite, a que-sto penserà l’infermiera. Adesso vi porteranno dei camici da indossare.»

Dopo la doccia ci depiliamo vicendevolmente e restiamo tranquilli ad aspettare.

La stanza è grande, con i letti uno di fronte all’altro e un ter-zo vuoto, vicino all’ingresso; le vetrate sono ampie, luminose, il sole di fine solstizio filtra una luce chiara, gioiosa. Dalle grandi bocche sul soffitto l’aria condizionata soffia come vento di mon-tagna, tanto da obbligarci a coprirci con un maglione. quell’aria ci riporta su un autobus a Cancun, in Messico, dove qualche anno prima un climatizzatore impazzito ci costrinse a rimanere nella stanza d’albergo influenzati.

Siamo insieme nello stesso letto, forse lo stesso di casa in una mattinata della nostra stupenda vita, uno accanto all’al-tra, le sue mani come gioielli sulle mie. Siamo pronti.

A mezzogiorno chiedo informazioni ad un’infermiera.

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«El vien, el vien Boschiero, sta’ tranquilo!»Un’ora dopo si spalanca la porta, entra un letto condotto

da due infermiere, una di mezza età, l’altra molto giovane.«Ecco, ci siamo. Si sieda sul lettino, signor Dall’Aglio, pen-

siamo a tutto noi.»Orietta è seduta sul letto accanto alla porta, le infermiere si

fermano un attimo.«Tesoro, vieni qui che ti abbraccio.»La stringo, ci baciamo fino a sentire la profondità dei no-

stri corpi, sappiamo entrambi che da quel momento la nostra vita. cambierà.

«Ciao amore, ci vediamo presto! Mi accompagna con lo sguardo oltre quella separazione.»

Sono nel corridoio che porta all’ascensore, gli occhi di Lo-rella, l’infermiera più giovane, sono lucidi.

«Beh, che cosa fai?»«Eh sì, mi è venuto da piangere. è la prima volta che vedo

un marito donare alla moglie, sono sempre le mogli che do-nano ai mariti!»

Siamo alla fine della zona protetta, fa caldo, l’aria ha il sa-pore dell’estate. Passiamo una serie di gallerie, tunnel, ascen-sori climatizzati, lì fa un freddo cane, rimbocco la coperta. Scendiamo di un piano, poi risaliamo di nuovo, usciamo in una grande stanza, vedo gente andare e venire con camici e cappellini verdi. Siamo in zona chirurgica. Raggiungiamo un locale circolare, dove a intersezioni si affacciano degli accessi, ognuno conduce a una sala operatoria diversa. Come al cen-tro di un sole: ogni raggio un corridoio.

Spero di entrare subito in sala operatoria, ma sono dirot-tato in una stanzetta adibita a magazzino di medicinali piena di cartoni, scaffalature con flebo e robe varie. C’è appena un posticino per parcheggiare il letto.

«Signor Dall’Aglio, aspetti qui, veniamo noi a prenderla quando è ora.»

Le infermiere se ne vanno lasciandomi solo. C’è una fine-stra di fronte, con vetri smerigliati che non lasciano imma-

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ginare oltre. Da lontano arrivano rumori di ferraglia, posa-te, piatti, pentole sbattute sui tavoli, come nelle cucine di un Grand Hotel, ma sono gli strumenti delle sale operatorie. Mi sento a mio agio in questo parcheggio. Gli occhi sono l’unico strumento per esplorare. Provo ad immaginare che gli scaffali e le scatole tutt’intorno siano pieni di dischi, un grande depo-sito di musica.

Sono tranquillo. Accarezzo l’addome con entrambe le mani, fa freddo, tiro la coperta fino alla bocca, l’odore di ace-to delle lenzuola è nauseabondo, mi fermo con la mano sulla parte sinistra dell’addome, dove il rene, che da lì a poco verrà trapiantato nel corpo di mia moglie, ancora vive in me. “que-sto è il momento, perché dopo non avrò più possibilità di co-municare allo stesso modo con te. Mi raccomando, io sono felice che tu mi sia tolto per raggiungere il corpo della mia amata, ma ti prego, fallo nel migliore dei modi, ti voglio tanto bene.” E all’altro: “Adesso dovrai lavorare un po’ di più, ma vedrai che ce la faremo…”

Paura e coraggio si sono così avvicinate da fondersi. Con le mani accarezzo gli organi vitali quasi da riconoscerne le forme, fino a ringraziare Dio per tutto quello che ho ricevuto dalla vita. qualunque sarà il nostro destino, desidero parlar-gli: “Grazie, Padre, di tutto quello che mi hai dato, perché i tuoi doni sono stati veramente tanti, hai messo la batteria e la musica nei miei geni, tutto l’amore della famiglia, hai permes-so che incontrassi uomini e donne meravigliosi.”

Allora visualizzo le immagini di ognuno di loro, una ad una, finché la piccola stanza si riempie di quelle presenze. E mi ritrovo ad elencare tutto ciò che di importante ho vissuto durante la mia esistenza, ringraziandolo.

Mi lascio trasportare, chiudo gli occhi in un torpore di quiete fino all’abbandono dello stato di veglia. quel momen-to, fuori dal tempo e dallo spazio, può essere durato un atti-mo o un’infinità, lasciandomi cadere nei ricordi, fino alla mia infanzia, in un dipanarsi di immagini racchiuse nella scatola magica della vita.

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Salsomaggiore Terme, Dancing Ristorante

“La Guantara”,5 settembre 1959.

Salsomaggiore Terme per la prima volta accompagno Adriano, 5 settembre 1959.

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Avanspettacolo, 1960.

Al Santa Tecla primo giorno di prove, ottobre 1959.

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In studio per Lucio Battisti.

Poster del '70. (Foto di Charlie Paterlini)

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New York con Little Tony, 1971.

La Slingerland Chrome, 1972.

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