anteprima geert lovink, zero comments

25
Container 00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina I

Upload: stefano

Post on 07-Jun-2015

667 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

ZERO COMMENTSTeoria critica di InternetIn questi che sono gli anni della “critica della rete”, secondo Geert Lovink, si sta sempre più mettendo in discussione il modello economico del Web 2.0. «Perché gli utenti dovrebbero continuare a pubblicare tutti quei dati privati, dai quali una manciata di aziende ricava miliardi di dollari di profitti? Perché dovrebbero cedere gratuitamente i loro contenuti mentre un pugno di imprenditori del Web 2.0 sta facendo i milioni? Che prezzo siamo disposti a pagare per la gratuità? Perché non usiamo la nostra “immaginazione collettiva” per escogitare modelli sostenibili per una cyber-infrastruttura pubblica? È ora di rompere il consenso libertario. È tempo di tornare a essere utopisti e cominciare a edificare una sfera pubblica al di fuori degli interessi a breve termine delle corporation e della volontà di regolamentare dei governi. È ora di investire nell’educazione, ricostruire la fiducia e svincolarsi dalla retorica securitaria post 11 settembre.»Il libro ha ricevuto una honorable mention al the Media Art Research Award of Ars Electronica.http://www.brunomondadori.com/scheda_opera.php?ID=2659

TRANSCRIPT

Page 1: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Container

00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina I

Page 2: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina II

Page 3: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Geert Lovink

Zero commentsTeoria critica di Internet

Prefazione di Stefano ZamagniConversazioni a cura di Deborah Duva, Miriam Invitti, EfremMilia, Matteo Pirola

Postfazione di Lisa Ponti

Bruno Mondadori

00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina III

Page 4: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Tutti i diritti riservati© 2008, Pearson Paravia Bruno Mondadori S.p.A.

Titolo originale dell’opera: Zero Comments© Geert Lovink

Traduzione dall’inglese di Alessandro Delfanti

Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartogra-fiche e fotografiche appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’o-pera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire non-ché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferi-menti.

È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, conqualsiasi mezzo, non autorizzata.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei li-miti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compensoprevisto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economicoo commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono es-sere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO,corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] esito web www.aidro.org

Realizzazione editoriale e Glossario: Agenzia X, Milano

La scheda catalografica è riportata nell’ultima pagina del libro.

www.brunomondadori.com

00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina IV

Page 5: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Indice

1 Ringraziamenti

3 Orgoglio e gloria del Web 2.08 I crociati del free

14 Jihad su Internet in Olanda19 «Abbiamo perso la guerra»21 Danah Boyd e le dialettiche del controllo28 Una fugace Discordia30 Questa non è un’economia 2.035 Conclusione: oltre la cultura delle lamentele

39 Bloggare: l’impulso nichilista43 Bloggare con qualità e raffinatezza45 I blog non dicono nulla, sono come un martedì

qualsiasi49 Blog senza frontiere55 Critica della ragione di Internet64 Aperta resistenza armata69 Il nichilismo? Sono troppo cinico per credere

al nichilismo...78 Occhi di serpente e carri merci84 Blogito ergo sum

00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina V

Page 6: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

89 La terra di Kizmiaz92 Blogged off

95 New media art: alla ricerca dell’indecifrabile cool 98 Gli inizi

108 Sciogliere un consiglio di new media art111 Il mito della pagina bianca113 Un intermezzo di arte motivazionale 114 La stanca media art117 Il desiderio di essere scienza124 Dibattiti online su arte e scienza128 Dentro ai cambiamenti istituzionali131 L’arte elettronica e le Dot-com136 I new media come guerra tra generazioni138 Complotti dell’arte contemporanea143 Evoluzione145 Spazi sociali in rete149 Intervento critico: Warren Neidich151 Al di là dell’indecifrabile cool

157 Glossario

169 Note

00 blog 20-12-2007 17:24 Pagina VI

Page 7: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

1

Ringraziamenti

Dopo Dark Fiber e Internet non è il paradiso, questo libro è ilterzo di una serie di studi sulla cultura critica di Internet, tuttitradotti in italiano. Questa edizione contiene solo tre saggi suWeb 2.0, blog e new media art. L’edizione originale inglese èstata pubblicata nell’agosto del 2007 dalla Routledge di NewYork; contemporaneamente è uscita una traduzione in tede-sco del manoscritto completo per Transkript Verlag, Bielefeld.

Vorrei ringraziare Matteo Pasquinelli e Franco Berardi chemi hanno aiutato a trovare un editore italiano per il mio la-voro. Sono grato ad Alessandro Delfanti per la traduzione.

La ricerca che ha dato vita a Zero Comments è stata con-dotta dal 2003 al 2006. La maggior parte del lavoro è statafatta nel 2005-2006, durante la mia visita all’Institute of Ad-vanced Study del Wissenschaftskolleg di Berlino; voglio rin-graziare tutto lo staff del Wiko per il suo supporto. Il capito-lo sul Web 2.0 è stato leggermente modificato e aggiornato,quelli su blog e new media art sono rimasti identici all’edi-zione originale.

È stato un onore rivestire, nel 2004, gli incarichi di professo-re alla Hogeschool di Amsterdam, all’interno della School ofInteractive Media, e di professore associato nel programmaMedia & Culture dell’Università di Amsterdam. Ringrazio inparticolare Emilie Rande, direttrice della School of Interactive

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 1

Page 8: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Zero comments

2

Media, per il suo sostegno. Poco dopo essermi stabilito lì hopotuto realizzare un sogno, fondando l’Institute for NetworkCulture (INC), costruito insieme alla sua energica produttrice,Sabine Niederer, che voglio ringraziare per il supporto devotoe costante.

Infine, il mio debito più grande è con Linda Wallace, amoredella mia vita, complice di tutto ciò che faccio e in questo casoanche mia editor principale, cui dedico questo libro.

Geert LovinkAmsterdam, luglio 2007

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 2

Page 9: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Orgoglio e gloria del Web 2.0

Bloggare è una forma di vanità: si possono adoperare termini ele-ganti, parlare di “cambio di paradigma” o “tecnologia dirompen-te”, ma la verità è che i blog sono sbrodolature adolescenziali senzasenso. Adottare lo stile di vita del blogger è l’equivalente letterariodi attaccare nastri colorati al manubrio della bicicletta. Nel mondodei blog “0 comments” è un dato inequivocabile: significa che unacerta cosa non interessa assolutamente a nessuno. La terribile ve-rità dei blog è che le persone che scrivono sono molte di più diquelle che leggono.

Stodge.org, The Personal Memoirs of Randi Mooney, postato il 5 maggio 2005, (14) commenti

Nel 2005 la rete si era ripresa dal crollo delle Dot-com e, in li-nea con l’economia globale, si stava reincarnando nel Web 2.0.Mentre gli abitanti del cyberspazio oltrepassavano il miliardo,blog, wiki e social network come Friendster, Orkut e Flickrvenivano presentati come la nuova frontiera del lavoro volon-tario. “Comunità virtuali” era diventata un’espressione infla-zionata, «associata a idee screditate sul cyberspazio come si-stema indipendente e alle idee fallimentari delle Dot-com sullacostruzione di comunità all’ombra di brand di massa, come iforum sul sito della Coca-Cola»;1 si parlava piuttosto di scia-mi, mobs e folle: i media erano diventati sociali.

3

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 3

Page 10: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Dalla produzione collaborativa di contenuti per Wikipediaal social bookmarking di Digg, c’era senza dubbio un nuovoslancio. Se i blog erano “molto 2004”, la Bbc definì il 2005“anno del cittadino digitale”.

Lo tsunami del giorno di Santo Stefano del 2004 mostrò inmodo molto crudo il potenziale di questi strumenti, mentrepochi mesi dopo le bombe del 7 luglio a Londra e gli uraganinegli Stati Uniti obbligarono a riconoscere il fatto che nellaproduzione di notizie i cittadini avevano un ruolo molto piùgrande di quanto non fosse mai accaduto prima. La Bbc rice-vette per e-mail 6500 immagini e video che mostravano gli in-cendi al deposito di petrolio di Buncefield, qualche migliaio inpiù di quelle ricevute dopo le bombe di Londra. Il report dellaBbc concludeva che i media cominciavano a sembrare più par-tecipativi e inclusivi.

Il passo successivo fu la scelta di “You” come Persona dell’an-no di “Time”, che riflette l’aumento fenomenale del numero diutenti dei siti di social networking come MySpace (leggi: NewsCorporation di Rupert Murdoch) e YouTube (leggi: Google). Il2007 sarà l’anno della “critica della rete”?

Sempre più persone stanno cominciando a mettere in discus-sione il modello economico del Web 2.0. Perché gli utenti do-vrebbero continuare a pubblicare tutti quei dati privati, dai qua-li una manciata di aziende ricava miliardi di dollari di profitti?Perché dovrebbero cedere gratuitamente i loro contenuti men-tre un pugno di imprenditori del Web 2.0 sta facendo i milioni?Che prezzo siamo disposti a pagare per la gratuità? Perché nonusiamo la nostra “immaginazione collettiva” per escogitare mo-delli sostenibili per una cyberinfrastruttura pubblica? È ora dirompere il consenso liberista. Da sociale a socialista, il passo èbreve. È tempo di tornare a essere utopisti e cominciare a edifi-care una sfera pubblica al di fuori degli interessi a breve terminedelle corporation e della volontà di regolamentazione dei gover-ni. È ora di investire nell’educazione, ricostruire la fiducia e svin-colarsi dalle retorica securitaria post-undici settembre.

Zero comments

4

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 4

Page 11: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Invece delle classiche due fasi della cultura di Internet, pre-ferisco distinguerne tre. La prima è il periodo scientifico, pre-commerciale e solo testuale che ha preceduto il World WideWeb. La seconda, il periodo euforico di speculazioni nel qualeInternet si è aperta al pubblico generico, culminato nella ma-nia delle Dot-com della fine degli anni novanta. La terza, il pe-riodo successivo al crollo delle Dot-com e all’undici settem-bre, che con il Web 2.0 sta volgendo al termine. I blog, o we-blog, sono un fenomeno intermedio interessante, che ha avutoinizio attorno agli anni 1996-1997, durante la seconda fase dieuforia, ma sono rimasti fuori dagli schermi radar perché nonavevano al loro interno una componente di commercio elet-tronico. Il cambiamento più rilevante che si è verificato neglianni passati è stata la “massificazione” e successiva internazio-nalizzazione di Internet, che nel 2005 ha oltrepassato il signifi-cativo limite del miliardo di utenti.

Per la cultura dominante anglo-americana la “globalizzazio-ne” di Internet è stata più evidente a causa della sua ignoranza,voluta e organizzata, e della sua scarsa conoscenza delle linguestraniere. Non tutti colgono il significato del fatto che i conte-nuti in inglese siano scesi ben al di sotto del limite del 30 percento. Inoltre, la crescita ha portato a un’ulteriore “nazionaliz-zazione” del cyberspazio, soprattutto attraverso l’uso delle lin-gue nazionali, in contrasto con la presunta assenza di frontieredella rete – che forse non è mai esistita: le aziende occidentalidi information technology sono più che felici di aiutare i regi-mi autoritari con i firewall nazionali. Come si suol dire, il mon-do è grande. Oggi la maggior parte del traffico Internet è inspagnolo, mandarino e giapponese.2 Questa fotografia si com-plica ancora di più se si prende in considerazione il potenzialedella convergenza di due miliardi di utenti di telefoni cellulari,della blogomania in Iran, del fatto che la Corea del Sud possie-da una delle più dense infrastrutture broadband e della cresci-ta della Cina. Chi mai direbbe che Polonia, Francia e Italia so-no fra le nazioni europee con più blog?

Orgoglio e gloria del Web 2.0

5

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 5

Page 12: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

Le tecnologie come Internet vivono del principio del conti-nuo cambiamento. Non c’è nessuna normalizzazione in vista.La dittatura del nuovo continua a dettare legge, ed è l’eco del-l’era Dot-com a far apparire il Web 2.0 così antiquato anche seè molto recente. Possiamo disprezzare la sua implacabile in-stabilità come un trucco di marketing e chiederci perché con-tinuiamo a eccitarci per l’ultimo gadget o l’ultima applicazio-ne; oppure, invece di ignorare il rumore del mercato e distac-carcene, possiamo riconciliarci con il solito vecchio “cambia-mento” e goderci le “rivoluzioni” preconfezionate. Dieci annidopo la sua apparizione e la rapida crescita della sua popola-rità, la cultura di Internet è lacerata da forze contrapposte chenon permettono più di parlare di trend generali, né in sensopositivo né in senso negativo. Dato che domina il cambiamen-to permanente e che sono stati introdotti massicci sistemi dicontrollo, le decine di milioni di nuovi utenti che si aggiungo-no ogni mese danno scrolloni inaspettati a questo mezzo di co-municazione, interpretando ciò che è già dato e approprian-dosi allegramente dei servizi, anche in forme che gli analisti dimercato potrebbero non avere mai immaginato.

Se si vuole analizzare il Web 2.0, tuttavia, bisogna considera-re la gestione della percezione come un aspetto della questio-ne. La rete contiene opportunità straordinarie, che vanno benal di là dei sogni proibiti degli imprenditori che vogliono sem-plicemente fare il tutto esaurito il più in fretta possibile. La sfi-da è produrre riflessioni rigorose, che influiscano in temporeale sui dibattiti in Internet e che si basino su un coinvolgi-mento informato. Del resto, nonostante la nuova generazionedi applicazioni e la crescita spettacolare della popolazione del-la rete, e nonostante l’aumento del coinvolgimento degli uten-ti, molti dei problemi che Internet si trova ad affrontare sonorimasti gli stessi: il controllo da parte delle corporation, la sor-veglianza e la censura, i “diritti di proprietà intellettuale”, i fil-tri, la sostenibilità economica, la “governance”. In questo sag-gio mi concentrerò in particolare su due aspetti: la tentazione

Zero comments

6

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 6

Page 13: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

di partecipare all’economia “free” – ovvero “libera/gratuita” –e le questioni relative al controllo interno ai siti di socialnetworking, e il motivo per cui i giovani pensano di avere buo-ne ragioni per ignorare questi problemi.

Il critico della rete Nicholas Carr si chiede se ci sia un argo-mento da contrapporre alla moda del Web 2.0. «Tutto ciò cheil Web 2.0 rappresenta – partecipazione, collettivismo, comu-nità virtuali, dilettantismo – diventa indiscutibilmente buono,deve essere alimentato e applaudito, diventa simbolo del pro-gresso verso una condizione più luminosa. Ma è davvero co-sì?»3 I promotori del Web 2.0, dice Carr, «venerano il dilettan-te e diffidano del professionista». Lo si vede nelle loro lodi aWikipedia e nella loro adorazione per il software open source,nonché nella promozione dei blog come alternativa ai mediamainstream. La mia risposta è diversa da quella di Carr, che èriluttante a riconoscere ciò che c’è di buono nel modello pro-fessionale tradizionale. Le lodi liberiste per i dilettanti nasco-no dal sospetto e dal rancore nei confronti delle grandi orga-nizzazioni che diffidano delle ricette anarco-capitaliste sull’in-novazione. Ma siamo già oltre la critica al comportamento deidinosauri istituzionali: le reti aperte minacciano i sistemi di ge-stione della conoscenza chiusi e basati sulla proprietà intellet-tuale. Nell’approccio liberista, il professionista diventa unostacolo a causa del suo comportamento simil-sindacale. Così,il risultato della poca diversità di modelli economici è la rilut-tanza a inventarne di nuovi per i professionisti (emergenti) chesi sono lasciati alle spalle il sistema del copyright ma cercanodisperatamente di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro.

Mi chiedo anche come contrastare le lodi acritiche nei con-fronti dei dilettanti, come quelle contenute nel recente libro diAndrew Keen, The Cult of the Amateur, non dal punto di vistadell’establishment in pericolo ma da quello della sottoclassecreativa, dell’intellighenzia virtuale, del precariato, della molti-tudine che cerca di professionalizzare la sua posizione socialedi lavoratore dei nuovi media. C’è bisogno di modelli economi-

Orgoglio e gloria del Web 2.0

7

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 7

Page 14: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

ci che sostengano i dilettanti più ambiziosi, che vogliono gua-dagnarsi da vivere con il loro lavoro. È nostro dovere trasfor-mare i dilettanti in professionisti, farla finita con i lavori precarie fare in modo che i nuovi media siano un terreno fertile di pro-sperità economica e non un’occupazione notturna: «Tutti sonoprofessionisti». A questo problema si collega il dibattito, sem-pre importante, su standard professionali, certificazioni e codi-ci: cos’è il Web design, chi può farlo, quanto costa? Se può far-lo chiunque, questo significa che tutti sono dotati della stessasensibilità estetica? I nuovi compiti legati alle reti informatichecome rientrano nelle istituzioni esistenti, quali ospedali, sinda-cati, aziende metalmeccaniche e musei? Non possiamo rispon-dere prima di avere codificato le pratiche lavorative, propriocome hanno fatto in passato le gilde e come stanno facendo inquesto momento le organizzazioni professionali. Lo scopo del-la professionalizzazione del lavoro sui nuovi media è creare set-tori nuovi e separati, oppure sarebbe meglio dissolvere questicompiti all’interno delle professioni esistenti?

I crociati del free

I frammenti dell’ideologia di Internet degli anni novanta stan-no ancora fluttuando qua e là. Per lo più si tratta di idee “age-volanti” che affascinano gli utenti giovani e amanti della li-bertà; prendiamo il blogger Ian Davis, per il quale il Web 2.0«è un’attitudine, non una tecnologia. Riguarda il fatto di per-mettere e incoraggiare la partecipazione attraverso le applica-zioni e i servizi open. Con open intendo aperti tecnicamentema anche, ancora più importante, aperti socialmente, con di-ritti che garantiscano l’uso dei contenuti in contesti nuovi edeccitanti. Certo, la rete ha sempre avuto a che fare con la par-tecipazione: senza, non sarebbe nulla; è proprio il suo risultatopiù grande, la creazione di una rete di link, a incoraggiare lapartecipazione sin dal principio».4 Oppure prendiamo l’at-

Zero comments

8

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 8

Page 15: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

traente autodefinizione di Digg: «Digg è completamente lega-to ai contenuti potenziati dagli utenti. Ogni articolo è pubbli-cato e votato dalla comunità di Digg. Condividi, scopri, eti-chetta e promuovi le notizie che ritieni importanti!». Deco-struire il richiamo di questo tecno-liberismo su una rivista ac-cademica o una mailing list non basta, perché il discorso anar-co-capitalista sul “cambiamento” non verrà nemmeno scalfi-to. Nessun dissidente si è ancora levato in arene pubbliche piùgrandi per opporsi all’ipocrisia che sta dietro alle parole“free” e “open”. Bisognerebbe chiedere ai guru del free discovare un modello economico innovativo ogni volta che “li-berano” una nuova attività sociale o economica.

Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia, ha stilato una listaancora più visionaria delle Dieci cose che saranno gratuite, ispi-rata al discorso di David Hilpbert al Congresso internazionaledi matematica tenutosi a Parigi nel 1900, che proponeva venti-tré importanti problemi matematici irrisolti. Oltre agli ovviDizionario free ed Enciclopedia free, nella lista ci sono libriscolastici di base, mappe, comunità, editoria scientifica, musi-ca e arte ma anche programmazione televisiva, motori di ricer-ca e formati di file.5 L’ambiguità che Richard Stallman non èmai riuscito a far passare alla storia, cioè che “free”, per lui,non significa gratuito ma esprime piuttosto la possibilità dimodificare un codice informatico, non dovrebbe più essere ri-prodotta. Per me invece non c’è alcun collegamento immedia-to tra gratuità e libertà. L’ideologia del free (nel senso di freebeer, birra gratis) attrae e accontenta milioni di persone misti-ficando e nascondendo il fatto che i suoi promotori, e in gene-rale la classe virtuale, in qualche punto della catena intascano isoldi. L’ideologia del free, nonostante le buone intenzioni, staevitando il problema dell’economia della cosiddetta “societàdella conoscenza”, mentre i crociati del free evitano sistemati-camente di discutere il loro modello economico, e parlano del-l’altro – l’utente, il programmatore, il cittadino, il blogger ecc.– che deve essere liberato.

Orgoglio e gloria del Web 2.0

9

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 9

Page 16: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

L’enfasi posta da Lessig, O’Reilly, Kelly, Ito e molti altri suldiritto di remixare i contenuti mainstream tocca una questio-ne importante ma non cruciale, dato che molti aspiranti artistiproducono da sé i propri lavori. Affermare che la produzioneculturale odierna è fatta solo di citazioni è un pessimo clichépostmoderno. L’attenzione per i dilettanti giovani e innocentiche vogliono solo divertirsi e il risentimento contro i profes-sionisti non sono casuali: è più difficile che i dilettanti si alzinoe reclamino una parte del surplus in rapida crescita (in terminisia simbolici sia monetari) creato da Internet. I professionistidi vecchia data capiscono quali implicazioni ci sarebbero per iproduttori di contenuti se un gigante come Google dovessecontrollare i flussi di denaro al posto degli editori di libri. Perquesto è importante immaginare fonti di reddito sostenibiliche vadano al di là degli attuali sistemi di copyright.

I vizi dell’architettura di Internet devono essere resi noti (enon restare indiscussi), di modo che le sue virtù possano averela meglio. L’ideologia del free come componente chiave dellarete, infatti, fa parte del viscido linguaggio del business. Nelsuo saggio The Destruction of the Public Sphere Ross McKib-ben afferma che l’arma più potente del managerismo di mer-cato è stata il suo vocabolario: «sappiamo bene come agiscequesto linguaggio. Dobbiamo stare sul vertice della piramide,sperare di essere in un centro di eccellenza, disprezzare le in-dustrie dominate dai produttori, desiderare di avere molti for-nitori diversi, umiliarci di fronte ai nostri diretti superiori an-cor più che davanti alla direzione, consegnare i risultati e darepossibilità di scelta. Quelli che prima erano studenti, pazientie passeggeri ora sono clienti».6 Secondo McKibben si tratta diun linguaggio che è stato concepito nelle business school, chein seguito è penetrato nello stato e ora infesta tutte le istituzio-ni. Esso «non ha un vero predecessore storico ed è singolar-mente seduttivo. Pretende di essere neutrale: per questo tuttele procedure devono essere “trasparenti” e “robuste”, e tuttidevono essere “affidabili”. È duro ma funziona, perché il set-

Zero comments

10

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 10

Page 17: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

tore privato sul quale si basa è duro ma funziona. È efficiente;assorbe i rifiuti; fornisce tutte le risposte. Ha guidato la cultu-ra aziendale della Thatcher. È più potente del tipo di linguag-gio preso in giro da Flaubert nel Dizionario dei luoghi comuniperché, per quanto possa risultare ridicolo, determina il modoin cui le nostre élite politiche (ed economiche) pensano ilmondo».

«Cederai tutto gratuitamente (accesso libero, no copyright);ti farai pagare solo per i servizi supplementari, che ti renderan-no ricco.» Ecco il primo dei “Dieci comandamenti liberali co-munisti” pubblicati da Olivier Malnuit sulla rivista francese“Technikart”. La persona che più di chiunque altro incarnaquesti valori è il venture capitalist, hacker e attivista giappone-se Joi Ito. Slavoj Zizek ha citato i comandamenti di Malnuit eha classificato Bill Gates e George Soros come comunisti libe-rali: «Il nome di questa nuova realtà nella neolingua comuni-sta liberale è smart. Smart significa dinamico e nomade controburocratico e centralizzato, dialogo e collaborazione controautorità centrale, flessibilità contro routine, cultura e cono-scenza contro vecchia produzione industriale, interazionespontanea contro gerarchia stabile. [...] Il loro dogma è unaversione nuova, postmoderna, della mano invisibile del mer-cato del vecchio Adam Smith: il mercato e la responsabilità so-ciale non sono antitetici ma possono essere riuniti con recipro-co vantaggio».7 Zizek continua affermando che i comunisti li-berali sono pragmatici, infatti odiano l’approccio astratto.«Oggi non esiste una classe operaia sfruttata, ci sono solo pro-blemi concreti da risolvere: la fame in Africa, la condizionedelle donne musulmane, la violenza del fondamentalismo reli-gioso.» A questo punto, la conclusione di Zizek non suonasorprendente: «non dovremmo farci illusioni: i comunisti libe-rali sono il nemico di ogni vera lotta progressista». I comunistiliberali distribuiscono con una mano parte di quello che han-no arraffato con l’altra. Qui siamo al cuore dell’ideologia diInternet, che ci impedisce di vedere quanto paghiamo vera-

Orgoglio e gloria del Web 2.0

11

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 11

Page 18: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

mente, troppo felici di entrare nell’economia del dono rappre-sentata dal free.

Zizek menziona la necessità, per problemi come razzismo,sessismo e antisemitismo, di costruire alleanze con i comunistiliberali. E Internet? Non è il momento di abbandonare le al-leanze con i liberisti, proporre l’esodo e opporsi a loro e ai lo-ro doppi fini? Felix Stalder e Konrad Becker, di Vienna, rias-sumono lo scontro per la libertà dei media in modo netto:«l’obiettivo è ideare nuovi modi per permettere all’informa-zione di scorrere liberamente da un luogo all’altro, da personaa persona. Piuttosto che accrescere la frammentazione, infor-mazioni e culture devono essere risorse prodotte e usate inmodo collaborativo, non controllate da singoli proprietari. Lagente deve essere libera di appropriarsi dell’informazione, aseconda dei suoi desideri e bisogni storici e personali, invecedi essere obbligata a consumare i prodotti standardizzati diMcMondo».8 Credo che si possano continuare a diffonderequesti appelli per la libertà soltanto se si oppongono al “free”.Non possiamo continuare a supportare acriticamente CreativeCommons, l’open source e le piattaforme di sapere aperto atutti come Wikipedia se le loro premesse ideologiche non ven-gono messe in discussione.

«Signore, ti prego, dacci un’altra bolla!» ho letto su un ade-sivo. È importante notare come la moda Web 2.0 del 2007 sidifferenzi dall’era delle Dot-com della fine degli anni novanta.I giorni dei portali vuoti sono passati da un pezzo, e al loro po-sto le band e i brand stanno inseguendo le orde nomadi degliutenti nel tentativo di aumentare la propria popolarità. La co-sa positiva, rispetto al 1999, è che abbiamo capito che la gentenon si accalca nella rete per il commercio elettronico ma perconversare.9 Invece dell’espressione «Web 2.0» strombazzatada Tim O’Reilly, Trebor Scholz preferisce parlare di «Web me-dia amichevoli» e in un post sulla sua lista iDC ha scritto: «ilWeb 2.0 è un’altra bolla fraudolenta pensata per fregare gli in-vestitori con una falsa novità. È uguale a quello che fa McDo-

Zero comments

12

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 12

Page 19: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

nald’s quando riammucchia i suoi strati di carne unta per ven-dere un prodotto completamente nuovo ogni sei mesi».10 Ep-pure le applicazioni cui ci riferiamo quando parliamo di Web2.0 sono relativamente nuove, così come le decine di milioni diutenti che usano social network come Digg e Facebook e siticome Wikipedia. E non dimentichiamo gli scambi economicitramite eBay, Second Life e soprattutto Craigslist.

Nello stesso thread di quella mailing list, l’esperto di tecno-logia Andrea Schiffler si diceva affascinato dal modo in cui ilWeb 2.0 rappresenta una riscoperta di tecnologie esistenti.Strumenti come il sistema Rss, introdotto per la prima volta daNetscape nel 1999, il linguaggio Ajax e il Dhtml erano già dif-fusi nelle aziende basate sui browser e sono stati trasformati inun fenomeno sociale. Sarebbe fuori luogo classificare i settan-ta e rotti milioni di utenti di MySpace come mere vittime deicorporate media solo perché a un certo punto la News Corp diRupert Murdoch ha comprato il sito: sembra difficile che iconsulenti delle corporation, gli hacker e i mediattivisti ab-bandonino il modello broadcast per accettare completamente,al di là del bene e del male, l’uso massiccio della produzione dicontenuti da parte degli utenti e delle reti di amici. Lo sdegnoper quelli di America online, imprigionati nei loro schifosiprodotti Microsoft, è profondo, ma in realtà non fa che mo-strare che le élite dei primi programmatori hanno perso da unpezzo la presa sulla rete.

I promotori del Web 2.0 sono stati giustamente accusati dipompare i siti emergenti per poterli vendere ai venture capitali-st, che ne cambiano la direzione e allontanano gli utenti, i qualia quel punto si spostano di modo che da qualche parte possa ri-partire un nuovo ciclo. Certo, questa non è la fine della storia.Secondo Jon Ippolito «respingere le innovazioni che stannodietro al Web 2.0 semplicemente perché i venture capitaliststanno usando questa sciocca definizione per spremere denaroagli investitori è come liquidare il movimento ambientalistaperché i politici britannici hanno cominciato improvvisamente

Orgoglio e gloria del Web 2.0

13

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 13

Page 20: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

a sventolare bandiere verdi per corteggiare gli elettori nell’an-no del voto. Non confondiamo gli avventurieri con le comu-nità». Saul Albert ammette: «non c’è nulla di sbagliato nel busi-ness se si riesce a mantenere il delicato equilibrio tra i miei bi-sogni e gli imperativi di finanziatori e inserzionisti». Poi fa l’e-sempio di del.icio.us, che a un certo punto, proprio prima diessere comprato, ha avuto la possibilità di rimpiazzare (uccide-re) Google con un’infrastruttura di sapere pubblico dal basso.Juha Huuskonen del festival Pixelache di Helsinki ricorda aipartecipanti che «per un’organizzazione/servizio/strumentosembra indispensabile mantenere la propria immagine di “bra-vi ragazzi”, cosa che per i servizi commerciali in futuro potreb-be diventare sempre più difficile. Una questione complessa eimportante è il modo di relazionarsi con i monopoli, nel caso diservizi commerciali come Google ma anche di progetti comeWikipedia. Il ruolo magico dei “dittatori benevoli” come Jim-bo Wales per Wikipedia o Linus Thorvalds per Linux nonsembra essere una soluzione duratura».

Jihad su Internet in Olanda

Una delle sfide più grandi affrontate durante il lavoro di ricer-ca per questo libro va al di là di Internet in senso stretto e ri-guarda l’assassinio del regista olandese Theo van Gogh, avve-nuto il 2 novembre 2004 a opera del fondamentalista musul-mano Mohammed Bouyeri, a due isolati dal mio appartamen-to nella zona est di Amsterdam. Diversi mesi prima, van Goghaveva girato un film sulla condizione delle donne nell’Islam in-sieme all’allora membro del parlamento olandese Ayaan HirsiAli. A mio parere l’uso dei “nuovi media” da parte del fonda-mentalismo islamico violento ha posto una gamma di proble-mi che vanno bel al di là delle dispute contro i troll che ho de-scritto nelle mie pubblicazioni precedenti. I moderatori delleliste, le community online e i provider si trovano costantemen-

Zero comments

14

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 14

Page 21: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

te nella scomoda posizione di doversi confrontare con unacultura Internet andata fuori controllo, ma che essi vorrebbe-ro mantenere libera e aperta. Anche Mohammed B. (come èstato chiamato dalla stampa olandese fino alla sua condanna) ei suoi amici facevano un uso intenso di Internet per discutere ediffondere le loro idee. Per esempio operavano in diversi fo-rum di discussione e avevano le loro pagine Web personali.Partecipavano a siti di jihadisti – spesso con i gruppi di Msn,per esempio, sotto il nome di “5434” e “tawheedwljihad”.11

Non si può capire il caso van Gogh senza prendere in consi-derazione la crescita dei cosiddetti “shocklog” (shock+blog).Gli shocklog olandesi sono un interessante sottogenere diquello che gli ottimisti di professione come Dan Gillmor chia-mano “We Media”; si posizionano deliberatamente ai marginidell’industria dell’informazione: si tratta di cultura partecipa-tiva, ma con risultati sgradevoli e indesiderati. I post deglishocklog servono a testare le frontiere della cultura politicallycorrect dei media occidentali. Secondo una voce (poi cancella-ta) di Wikipedia, gli shocklog sono «blog che usano lo shock ela calunnia per gettare fango sulle vicende in corso, sui perso-naggi pubblici e sulle istituzioni. Di solito gli autori deglishocklog commentano una notizia in modo provocatorio e in-giurioso, spesso con il risultato di stimolare commenti ancorapiù offensivi, come minacce di stupro e assassinio. Occasio-nalmente gli shocklog inciteranno il lettore a intraprenderequalche azione (online), di solito un attacco contro un obietti-vo specifico».12

I più grandi shocklog olandesi sono Geenstijl, Jaggle, Rete-cool e Volkomenkut. I visitatori unici stimati per questi siti va-riano da 25.000 a 38.000 al giorno. Questi shocklog, che inolandese vengono chiamati anche “treiterlogs”, non si limita-no a postare contenuti offensivi, ma attirano una folla di per-sone che spesso vogliono esprimere le proprie frustrazioni; so-no gli outsider del sistema, che si sentono esclusi dall’establi-shment progressista e liberale, ma in molti casi gli argomenti

Orgoglio e gloria del Web 2.0

15

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 15

Page 22: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

delicati che vengono discussi su questi siti anticipano i senti-menti della società olandese, in particolare riguardo ai musul-mani e altre minoranze.

Lo stesso van Gogh era coinvolto attivamente nella reteolandese con il suo sito De Gezonde Roker (Il fumatore sano),e nel 2004 in Olanda i blog erano all’apice della loro popola-rità. La moda del blog aveva il vento in poppa e le celebrità,dai ministri ai cantanti, ne avevano uno personale. Ma nellamia storia dell’uso della rete le chat cospiratorie, i discorsi diodio e razzismo online e la condivisione peer-to-peer di videodi decapitazioni nei mesi che hanno preceduto l’assassinio divan Gogh segnano il compimento della “democratizzazione”di Internet: da quel momento in avanti non si poté più parlarelegittimamente del potenziale democratico dei nuovi media.Internet e i telefoni cellulari sono penetrati nella società a talpunto da far sembrare ridicolo anche solo interrogarsi sul-l’“impatto” delle tecnologie su di essa, come se ne fossero an-cora al di fuori: Internet e la società, perlomeno in Olanda, sisono fusi completamente. Perché dovremmo sorprenderci sei “perdenti radicali” (secondo un’espressione di Hans Ma-gnus Enzensberger)13 pubblicano siti Web, trasferiscono file,si scambiano messaggi via e-mail, discutono su forum e new-sgroup, si parlano via chat o instant messaging oppure fannovideoconferenze?

Nell’ottobre del 2005 il ricercatore dell’Università di Am-sterdam Albert van Benschop ha pubblicato un rapporto sulcaso van Gogh nel quale sottolinea il ruolo dei nuovi media.Per Benschop Internet è una condizione di libertà ma ancheun rifugio per opinioni imbarazzanti. Theo van Gogh, propriocome il suo killer, aveva imparato a usarla. Del resto, comeopinionista, van Gogh era stato cacciato da molti giornali per isuoi articoli straordinariamente offensivi – scritti che tuttaviaper le leggi olandesi erano legali. Cacciato nel nome della tol-leranza e delle libertà individuali, valori che stanno al cuoredell’Olanda. Seguendo l’analisi di Benschop dobbiamo colle-

Zero comments

16

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 16

Page 23: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

gare lo spostamento a destra della politica olandese sotto PimFortuyn (assassinato nel 2002) con una particolare lettura del-la libertà su Internet. Theo van Gogh, del resto, consideravaInternet l’unico media sul quale poter parlare liberamente.Benschop, nella sua “Cronaca di una morte politica annuncia-ta”, sostiene che «l’ascesa del populismo fortuynista in Olan-da si è accompagnata con un forte indurimento e un imbarba-rimento dello stile del dibattito politico. Era difficile non ac-corgersi che molti utenti di Internet contribuivano a questapolarizzazione. Molti forum di discussione sono degenerati inrifugi per persone che si insultano e calunniano pesantementea vicenda e che arrivano addirittura a minacciarsi di morte».14

La polarizzazione avvenuta nella società dopo l’undici set-tembre è ulteriormente amplificata dall’architettura libertariadella rete, che assicura libertà di parola assoluta e incondizio-nata.15 Secondo Benschop «le comunicazioni via Internet nonhanno ripercussioni immediate sulla vita sociale locale dei sin-goli partecipanti. Per questo essi si sentono (più) liberi diesprimersi in modo disinibito. È proprio per questo motivoche su Internet le comunicazioni sono caratterizzate da duemanifestazioni estreme del comportamento sociale: un’ecces-siva e insolita dolcezza nei confronti degli altri (“netslutting” o“flirting”) e l’insulto o addirittura la minaccia (“netshitting” o“flaming”)». I giovani musulmani olandesi visitavano siti tipo“Come prepararsi alla Jihad”, che chiama alla guerra in Cece-nia, e sul sito per giovani marocchini mocros.nl Theo van Go-gh era stato minacciato di morte per mesi. Già nell’aprile 2004su un forum di mocros.nl era stata pubblicata una fotografiadel regista con la scritta «Quando arriva il turno di Theo?».Sulla sua gola, sulla testa e sul torace era disegnato un bersa-glio con sette buchi di pallottola. «Allah si sbarazzerà veloce-mente di questo maiale in senso letterale e figurato.» Moham-med B. usò la rete per trovare testi sull’Islam radicale tradottiin olandese.

Il rigetto dell’assassinio da parte del pubblico fu altrettanto

Orgoglio e gloria del Web 2.0

17

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 17

Page 24: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

estremo. Sui siti e sui forum marocchini – prima che si autoli-mitassero – si potevano leggere molti contributi di islamici cheasserivano che finalmente il porco infedele aveva avuto ciò chesi meritava, che Allah avrebbe trionfato e che van Gogh avevaricevuto una giusta dose della sua stessa medicina. «Gloria almartire che ha ucciso Theo van Gogh! Ecco la fine sanguinosache aspetta i sionisti e i loro servi!» Secondo Albert Benschop,«molte persone hanno trasformato il loro dolore per la mortedi van Gogh in un’aggressività enorme verso tutto ciò che per-cepivano come “culturalmente impuro”. Siamo stati troppodeboli e dovremmo contrattaccare. “Nel nostro paese nonpossiamo più esprimere le nostre opinioni” (Angelica). A par-te il gigantesco risentimento per la trasgressione della libertàdi parola e la violenza senza senso, la gente strillava per averepiù violenza: la vendetta. “Forse la prossima volta che unimam apre il becco per parlare della società olandese dovrem-mo farlo fuori” (anonimo). “Chi dà fuoco alla prima moschea?Spero che ne andranno in fiamme molte” (un olandese).“Olandesi, svegliatevi! È giunto il momento di farci giustiziada soli a partire dalle aree svantaggiate” (Henk). “Gettiamoquesta feccia fuori dal paese e chiudiamo le porte!” (Leo)».Un po’ troppo, per la famosa tolleranza olandese.

Le società in fermento, come quella olandese, produconopiù dati (digitali) di quanti sia possibile processarne. Sono po-chi i ricercatori in grado di monitorare tecnicamente e lingui-sticamente una simile moltitudine di chat, blog e siti in rapidomovimento. Il dettagliato studio empirico di Albert Benschopreclama un supplemento di analisi critica e teorica e uno spo-stamento degli Internet studies, dal costruttivismo soft e dallaIdeologiekritik verso un approccio non-critico che sia pronto ascavare nei loschi fatti quotidiani della network society. Dob-biamo accantonare le teorie che identificano Internet con lademocrazia, il rafforzamento dell’identità e il bene. Il caso diTheo van Gogh non è unico: anche l’autore di Smart Mobs,Howard Rheingold, ha dovuto correggere la sua visione otti-

Zero comments

18

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 18

Page 25: Anteprima Geert Lovink, Zero Comments

mistica del modo in cui le tecnologie mobili stanno potenzian-do gli sciami di persone che agiscono per il bene. Il potere deimolti può portarci in qualsiasi direzione. Durante gli scontriavvenuti nel dicembre 2005 sulla spiaggia di Sydney, per esem-pio, migliaia di manifestanti furono mobilitati per mezzo diSms che esortavano a ripulire le spiagge dai libanesi e da chiaveva sembianze mediorientali.16 In un altro caso, i membridella gang Pcc detenuti a San Paolo paralizzarono la metropoliorchestrando una campagna di intimidazione fuori delle lorocelle, usando Sms e una rete tv che mostrava un’intervista regi-strata con un cellulare in cui una persona si presentava come illeader di Pcc.17 In risposta, il governo brasiliano progettò unalegge che obbligasse gli operatori telefonici a installare attrez-zature per bloccare i segnali provenienti dalle prigioni.

«Abbiamo perso la guerra»

La portata delle misure contenute nell’Homeland SecurityAct dell’amministrazione di George W. Bush, riprese intera-mente e ben volentieri dai governi della coalizione, hanno im-pedito di scavare più a fondo nell’ideologia di Internet: per ilritorno di idee liberiste pure e rispettabili, tra cui essere cool econtroculturali, dobbiamo ringraziare le misure prese in tuttoil mondo per combattere la guerra al terrore. Nel 2005, invecedi mostrare il solito ottimismo, Frank, un importante hackerdel Chaos Computer Club tedesco, ha scritto una “Dichiara-zione di resa”. Il titolo era “Abbiamo perso la guerra. Benve-nuti nel mondo di domani”.18 Questo manifesto indica che lastrategia egemonica costituita dalla semplice rivendicazione diuna posizione superiore nella conoscenza da parte dei pro-grammatori rispetto ai poteri costituiti non funziona più.Frank chiede ai suoi sostenitori di riflettere sul significato del-l’attitudine underground oggi. Il testo si apre con la misteriosafrase «perdere una guerra non è mai una cosa carina». La sua

Orgoglio e gloria del Web 2.0

19

01 blog 20-12-2007 17:28 Pagina 19