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1 Appunti di Complementi di Fisica (A.A. 2008-2009) Sergio Giudici ([email protected]) Dipartimento di Fisica 3, Largo Pontecorvo 56125 - Pisa

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Appunti di Complementi di Fisica

(A.A. 2008-2009)

Sergio Giudici([email protected])

Dipartimento di Fisica3, Largo Pontecorvo

56125 - Pisa

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Chapter 1

Termometria e calorimetria

1.1 Dalla sensazione di caldo/freddo alla Tem-

peratura

La sensazione di caldo e freddo suggerita dall’esperienza comune puo esserequantitativamente trattata stabilendo una grandezza - la temperatura - carat-terizzante lo stato termico di un corpo. Si e giunti alla definizione operativa ditemperatura notando che alcune sostanze nel passaggio dal freddo al caldo mod-ificano alcune loro caratteristiche. Ad esempio un metallo riscaldato aumentadi volume, il riscaldamento di un gas a volume costante determina un aumentodella pressione esercitata sulle pareti del recipiente, la resistenza elettrica di unconduttore aumenta se il conduttore viene riscaldato. Lo strumento piu anticoper definire la temperatura e il termometro a mercurio. Una ampolla di vetrocontiene una certa quantita di mercurio il quale, essendo un metallo, espande ilproprio volume se riscaldato. L’espansione risulta facilmente misurabile seguendola risalita del mercurio lungo un tubicino capillare graduato in cui e mantenutoil vuoto. Arbitariamente si sceglie come punto 0 della scala graduta la posizione

0

100

fusione del ghiaccio

25

50

ebollizione dell’acqua75

Figure 1.1: Schema di un classico termometro a mercurio

corrispondente alla altezza della colonna di mercurio quando il bulbo e a contatto

3

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4 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

con il ghiaccio al suo punto di fusione e il valore 100 similmente con il punto diebollizione dell’acqua. La temperatura di un corpo risulta definita come l’altezzadella colonna di mercurio quando il bulbo e a contatto con il corpo stesso. Taleprocedura ha ovviamente dei limiti ad esempio al di sotto di −38 il mercuriosolidifica, la dimensione del bulbo e il diametro del capillare potrebbero variarecon la temperatura. In generale la stessa temperatura misurata con due ter-mometri diversi puo dare luogo a misure diverse. Nonostante queste limitazionila procedura rappresenta un notevole salto concettuale rispetto alla generica sen-sazione di caldo e freddo. La scala di temperatura cos definita si chiama scalacentigrada. Un termometro piu preciso si realizza con il dispositivo mostrato infigura (1.2). Un tubo piegato ad U contiene del mercurio ed un suo estremo ecollegato tramite un tubo capillare ad un bulbo contenente un gas. La colonnadi mercurio si posiziona in modo che la pressione P esercitata dal gas eguagli lapressione idrostatica del mercurio dovuta alla differenza di altezza h misurabile,

P = ρgh

in ρ rappresenta la densita del mercurio e g e l’accelerazione gravitazionale ter-restre. La pressione esercitata dal gas dipende dalla temperatura e dunque lamisura di h costituisce una misura della temperatura. I termometri a gas sonoimpiegabili in un intervallo di temperature molto piu ampio di quelli a mercurioe forniscono misure molto piu precise.

h

gas

P

Figure 1.2: Schema di un termometro a gas

1.2 Il Calore

Sperimentalmente si osserva che due corpi a temperatura diversa se posti in con-tatto modificano la loro temperatura in modo tale che quello piu caldo si raffreddae quello piu freddo si riscalda fino a che non raggiungono una temperatura comunedi equilibrio che diventa costante nel tempo. Questo fatto si interpreta dicendoche i corpi si sono scambiati del calore, il corpo inizialmente caldo ha perso delcalore e lo ha ceduto a quello inizialmente freddo. Tralasciando la questione distabilire di cosa e fatto il calore, si puo tuttavia misurare la quantita di caloreche un corpo ha perso o acquistato tramite degli strumenti detti calorimetri.

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1.3. CAPACITA TERMICA E CALORE SPECIFICO 5

Un calorimetro storicamente importante e quello a ghiaccio noto anche comecalorimetro di Lavoisier-Laplace. Il principio su cui si basa tale strumento e ilfatto, sperimentalmente osservato, per cui un blocco di ghiaccio a 0 gradi sitrasforma parzialmente in acqua liquida a 0 gradi soltanto se riceve del caloredall’esterno. La quantita di acqua liquida prodotta rappresenta dunque unamisura della quantita di calore assorbita dal ghiaccio. La figura (1.3) illustra ilprincipio di funzionamento del calorimetro a ghiaccio. L’intercapedine piu internadel recipiente contiene del ghiaccio, una frazione del quale si scioglie ricevendocalore dal corpo (A). La quantita di acqua prodotta viene raccolta nel recipi-ente in basso per essere successivamente misurata. L’intercapedine piu esternacontiene altro ghiaccio che isola lo strumento dal calore proveniente dall’esterno.Quando il corpo ha perso una quantita di calore tale da portarsi a 0 gradi laliquefazione del ghiaccio cessa. Con strumenti simili ai calorimetri e possibile

A

Figure 1.3: Schema del calorimetro a ghiaccio di Lavoisier-Laplace

misurare quanto calore occorre dare o togliere da un corpo per produrre unacerta variazione di temperatura. L’unita di misura del calore e la caloria definitacome la quantita di calore necessaria per innalzare un grammo di acqua dallatemperatura di 14.5 a 15.5.

1.3 Capacita termica e calore specifico

Si definisce capacita termica C di un corpo il rapporto tra il calore scambiato∆Q e la corrispondente variazione di temperatura ∆T

C =dQ

dT

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6 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

Per la maggiorparte dei materiali in ampi intervalli di temperatura questo rap-porto e costante. Si definisce calore specifico di un corpo il rapporto tra capacitatermica e la massa

c =C

m

Se di un materiale e definibile il peso molecolare medio e possibile definireil calore specifico molare relativo ad una mole di quella sostanza. Nella tabella(1.1) sono riportati i valori dei calori specifici molari per alcune sostanze

sostanza fase calore specifico molare (calC−1mol−1)Ar gas 2.98He gas 2.98

idrogeno H2 gas 4.81cloro Cl2 gas 5.02azoto N2 gas 4.97

Zinco solido 6.02Argento solido 5.95

Ferro solido 6.00Piombo solido 6.31

Table 1.1: calore specifico molare per alcune sostanze. Per i gas si intende avolume costante

Si noti che per i gas monoatomici il calore specifico molare si attesta intornoal valore 3 , per i gas biatomici intorno a 5 mentre per i solidi (legge di Dulong-Petit) vale circa 6. Uno dei successi della termodinamica consiste proprio nell’averspiegato teoricamente questi valori.

1.4 Equivalenza Calore - Energia

La possibilita di trasformare in calore l’energia meccanica e un fatto abbastanzacomune. Si pensi ad esempio al riscaldamento dei dischi di una ruota quando sifrena o al riscaldamento di una resistenza elettrica se percorsa da corrente. Ilrapporto tra calore prodotto e energia meccanica dissipato e stato misurato daJoule in una serie di famosi esperimenti.

• Un mulinello viene posto in rotazione da un peso in caduta. La rotazioneagita opportunamente dell’acqua. Si osserva un passaggio di calore Q1

all’acqua mentre l’energia potenziale della massa in caduta varia di W1

• Una resistenza immersa in acqua e percorsa da corrente cede il calore Q2

al fluido mentre il lavoro elettrico dissipato vale W2

• Due mattoni strofinati tra loro in acqua cedono il calore Q3 al fluido mentreil lavoro delle forze di attrito e W3

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1.5. EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI 7

In tutti questi esperimenti emerge coerentemente il dato

W1

Q1=W2

Q2=W3

Q3= ..... = 4.18 J/cal

ovvero una caloria corrisponde invariabilmente a 4.18 J , indipendentemente daidettagli con cui si realizza la trasformazione di lavoro in calore. Questo fattoconsente di misurare la quantita di calore con la stessa unita di misura dell’energiaovvero il Joule. Il numero 4.18 risulta essere il fattore di conversione tra caloriae Joule. In forma differenziale possiamo dire che nel corso di uno dei processiconsiderati il calore scambiato eguaglia il lavoro compiuto:

∆Q = ∆L

e poiche cio non dipende dai dettagli del processo deve essere una funzione distato detta energia interna U per cui si ha

∆(Q− L) = ∆U (Primo Principio della Termodinamica)

Questa espressione viene assunta come principio e sancisce che il calore e unaforma di energia e che nel corso di una interazione tra corpi l’energia totale siconserva purche si tenga conto di tutti gli scambi di energia: energia meccanica,calore e variazioni di energia interna. Ad esempio quando una pallina rallentamuovendosi su un piano scabro la sua energia cinetica si trasforma in calore pereffetto degli attriti.

Resta da chiarire quale sia la natura dell’energia interna U che abbiamo in-trodotto. Il significato fisico dell’energia interna U si coglie particolarmente benenel caso dei gas che discuteremo in seguito.

1.5 Equazione di stato dei gas perfetti

Lo stato fisico di una certa quantita di gas contenuto in un recipiente e descrivibilespecificando alcune grandezze macroscopiche quali la pressione P esercitata sullepareti del contenitore, la temperatura T del gas, il volume V occupato e la quan-tita di gas presente generalmente misurata in numero di moli n . L’insieme dellequantita P, V, T, n costituiscono le coordinate termodinamiche che specificanolo stato del sistema considerato. I fatti sperimentali rilevanti noti a proposito deigas sono

• La legge di Avogadro: una mole di gas a temperatura di 0 e alla pressionedi 1 atm occupa un volume pari a 22,4 litri.

• La legge di Boyle: a temperatura costante il prodotto PV e costante

• la legge di Gay-Lussac: Il volume occupato da un gas cresce linearmentecon la temperatura se la pressione e mantenuta costante

V (T ) = V0 [1 + α(T − T0)] , α =1

273.15C

V0 e il volume occupato alla temperatura T0

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8 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

Questi fatti sperimentali si possono riassumere in una unica relazione tra le co-ordinate termodinamiche nota come equazione di stato dei gas perfetti.

Si consideri una mole di gas nelle condizioni della legge di Avogadro (P0, V0, T0)e mediante una trasformazione isobara (a pressione costante) ed una isoterma (atemperatura costante) facciamolo giungere nello stato qualunque P, V, T . Evi-dentemente si ha:

PV = P0V0(1 + αT ) > 0

La disuguaglianza deve essere verificata perche pressioni o volumi negativi nonhanno senso fisico. la disuguaglianza implica T > −273.5 C. Ovvero al di sottodi −273.15 gradi centigradi (zero assoluto) non e possibile scendere. Sara chiaroin seguito che questa non e una limitazione tecnica! Conviene ridefinire lo zerodella temperatura in modo che esso coincida con lo zero assoluto anziche conla temperatura di fusione del ghiaccio. La nuova scala di temperatura ottenutae sempre centigrada ma in essa il ghiaccio fonde a 273.15 C e l’acqua bolle a373.15 C. La nuova scala viene chiamata scala Kelvin (K). La conversione dagradi Centigradi a gradi Kelvin e semplicemente

TK = TC + 273.15

D’ora in avanti la temperatura sara sempre misurata in gradi Kelvin. Usando lanuova scala si ha la relazione

PV = RT , R = αP0V0

La costante R nota come costante dei gas perfetti, nel sistema internazionaleM.K.S.A. assume il valore 8.31J/K−1

Nel caso di un numero qualunque di moli si ha

PV = nRT equazione di stato dei gas perfetti

L’equazione di stato dei gas perfetti funziona particolarmente bene a bassepressioni (gas rarefatti) In figura 1.4 e mostrato l’andamento del rapporto

Z = PV/nRT

in funzione della pressione P per alcuni gas.

1.6 Il primo principio per un gas

In forma finita il primo principio stabilisce che il calore ∆Q fornito ad un sistemapuo essere utilizzato per compiere il lavoro ∆L e/o per variare l’energia internadella quantita ∆U con il vincolo di conservazione

∆Q = ∆L+ ∆U.

Nel caso dei gas il primo principio puo riscriversi in forma differenziale notandoche il lavoro elementare dL e sempre quello associato ad una variazione di volumedV fatta da o contro le forze di pressione dL = PdV Per tanto si ha

dQ = PdV + dU

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1.7. ENERGIA INTERNA DI UN GAS PERFETTO 9

Figure 1.4: Deviazione dal caso ideale per alcuni gas. Si noti che l’intervalloconsiderato di pressione si estende fino a 300 atm

1.7 Energia interna di un gas perfetto

L’energia interna di un gas perfetto essendo una funzione di stato dipende ingenerale dalle variabili (P,V,T) ma in virtu della equazione di stato la dipendenzapuo essere ridotta solo da una coppia di esse. Scegliamo Volume e temperatura

U = U(V, T )

Joule ha mostrato sperimentalmente che per un gas abbastanza rarefatto l’energiainterna dipende solo dalla temperatura. Infatti se un gas viene fatto espandereliberamente nel vuoto dunque senza scambi di calore ∆Q = 0 e senza compierelavoro ∆L = 0, allora per il primo principio si ha necessariamente ∆U = 0. Jouleosservo che nel corso dell’espansione libera, nonostante l’aumento di volume, latemperatura del gas non cambia. Se ne conclude quindi che

∂U

∂V= 0

ovvero che l’energia interna non dipende dal volume occupato. Consideriamoora una trasfomazione isocora (volume costante dV = 0, non si compie lavoroesterno) infinitesima nel corso della quale il gas scambia il calore dQ e cambia lasua temperatura della quantita dT Il primo principio combinato con la definizionedi calore specifico a volume costante

dQ = dU (primo principio per una isocora)dQ = ncvdT (definizione di calore specifico molare a volume costante)

si ottiene∂U

∂T= ncv

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10 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

da cuiU = U0 + ncvT

A parte la costante inessenziale U0 che si puo scegliere nulla (infatti intervengonosolo variazioni di energia interna) l’energia interna dipende linermente dalla tem-peratura. L’energia interna e una forma di energia posseduta dal gas per il fattostesso di trovarsi ad una certa temperatura.

1.8 Interpretazione miscroscopica dell’energia in-terna

Vogliamo mostrare che la temperatura e semplicemente una misura dell’energiacinetica media associata al moto incessante delle molecole che compongono ilgas. A livello atomico la pressione esercitata dal gas sulle pareti del recipientee originata dai continui urti delle molecole contro le pareti stesse. Una discus-sione in termini microscopici richiede preliminarmente utilizzo di un teorema dimeccanica noto come teorema del viriale.

1.8.1 Teorema del Viriale

Si consideri una particella in moto confinato tale che il vettore posizione r e laquantita di moto p siano limitati. Definiamo viriale di una particella lo scalare

A = r · v

Se il moto e limitato esiste sicuramente un qualche M finito e positivo per cui|A| < M . Derivando rispetto al tempo di ha

A = rp + rp

A = 2K + r · Fdove K e F indicano rispettivamente l’energia cinetica della particella e la forzaagente su di essa. Si prenda la media temporale di A

< A >=1

∆t

∫ ∆t

0

Adt =1

∆tA(∆t) −A(0)

In virtu della limitatezza di A, la media temporale su tempi molti lunghi e unaquantita piccola a piacere

lim∆t→∞

< A >= 0

In conclusione mediando su tempi molto lunghi avremo

2 < K > + < r · F >= 0

Questo risultato si estende facilmente ad un insieme di N particelle

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1.9. INTERPRETAZIONE MICROSCOPICA DELLA TEMPERATURA 11

N∑

i=1

2 < Ki > + < ri · Fi > = 0

1.9 Interpretazione microscopica della temper-atura

Consideriamo una mole di gas abbastanza rarefatto in modo tale che la distanzamedia tra le molecole che lo compongono sia molto piu grande del raggio d’azionedelle forze molecolari. L’ipotesi della rarefazione ci permette di affermare che lesole forze agenti su una molecola sono quelle esercitate dalle pareti che contengonoil gas. La forza e ovunque nulla tranne nei punti x = 0 e x = a che rappresentanole posizioni delle pareti nei quali la forza vale rispettivamente ±F . Applicandoil teorema del viriale a tutte le particelle del gas e tenendo conto che nel caso direcipiente tridimensionale esistono ovviamente tre coppie di pareti opposte si ha

2

N∑

i=1

< Ki > −3a

N∑

i=1

< F >= 0

La somma e estesa a tutte le particelle presenti nella mole considerata

N ∼ 6 × 1023numero di Avogadro

L’effetto della forza F sommata su tutte le particelle e mediata nel tempo simanifesta a livello macroscopico come la pressione P esercitata dal gas sullaparete del recipiente. Per tanto, indicata con S la superficie della parete e dettoV = aS il volume totale del recipiente, si ha

PS =

N∑

i=1

< F >

dalle precedenti relazioni si puo esprimere l’energia cinetica totale in terminidi pressione e volume

K =

N∑

i=1

< Ki >

2K = 3PV

Introducendo la velocita quadratica media< v2 > e tenendo conto della equazionedi stato dei gas perfetti si ottiene l’importante relazione tra energia cinetica mediae temperatura

1

2m < v2 >=

3

2KBT , KB =

R

N

La costante KB e chiamata costante di Boltzmann. Il risultato ottenuto mostrachiaramente che la temperatura e una misura della velocita media di agitazione

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12 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

termica delle molecole del gas. L’energia interna U(T ) si identifica naturalmentecon l’energia cinetica posseduta dal gas

U(T ) =3

2RT

da cui e possibile ricavare immediatamente il calore specifico molare a volumecostante

dU

dTcv =

3

2R

1.10 Calori specifici molari e gradi di liberta

Un notevole risultato di meccanica statistica noto come teorema di equi-partizionestabilisce che se l’energia dipende quadraticamente da n variabili a ciascun gradodi liberta compete una energia media pari a KT/2. Il caso trattato precedente-mente corrisponde a un gas monoatomico in cui ogni molecola e composta da unsingolo atomo libero la cui energia e data dalla somma di n = 3 quadrati

E =1

2m(x2 + y2 + z2)

Per una molecola biatomica, le cui dimensioni trasverse siano trascurabili rispettoalla distanza tra i due atomi si ha n = 5 essendo l’energia data dalla formaquadratica

E =1

2m(x2 + y2 + z2) +

1

2I(θ2 + φ2)

in cui θ e φ sono i due angoli necessari per specificare l’orientazione della molecola.Nel caso di un solido, i cui atomi sono organizzati secondo un reticolo cristallino,l’energia totale posseduta da un atomo si compone di una parte cinetica e diuna parte potenziale. Avendo ciascun atomo una propria posizione di equilibrioall’interno del reticolo, si puo descrivere la parte potenziale con un potenzialedi tipo elastico. L’approssimazione e possibile se ci si limita al caso di piccoleoscillazioni rispetto al punto di equilibrio. In questo caso si ha n = 6 essendo

E =1

2m(x2 + y2 + z2) +

1

2mω2(x2 + y2 + z2)

le coordinate (x, y, z) rappresentano lo spostamento dal punto di equilibrio e2π/ω e il periodo delle piccole oscillazioni.

In tabella (1.2) sono riassunti i calori specifici molari previsti dall’ipotesimolecolare statistica attraverso il teorema di equi-partizione. Tenendo contoche R = 8, 31J/K ∼ 2 cal/K, la previsione mostra un buon accordo con i valorisperimentali riportati nella tabella 1.1.

1.11 Conduzione del calore

Il passaggio di calore tra parti distinte dello stesso corpo solido o tra un solido eun altro puo avvenire attraverso due meccanismi:

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1.11. CONDUZIONE DEL CALORE 13

gradi di liberta sostanza calore specifico molare3 gas monoatomico 3R/25 gas biatomico 5R/26 solido 3R

Table 1.2: Calori specifici molari previsti dalla ipotesi molecolare-statistica

• Conduzione del calore: passaggio di calore tra un corpo ed un altro at-traverso la superficie di separazione tra essi. A Livello microscopico puo es-sere pensato come il trasferimento di energia cinetica associata all’agitazionetermica da quello piu freddo a quello piu caldo per contatto molecolare di-retto lungo la superficie di separazione

• Irraggiamento: Il corpo si raffredda spontaneamente perdendo energia sottoforma di radiazione elettromagnetica che, originando dal corpo stesso, sidiffonde dello spazio circostante.

Ci limiteremo a discutere solo il fenomeno della conduzione. Si consideri unelemento di solido di Volume V , l’energia, sotto forma di calore, posseduta dalcorpo alla temperatura T vale

Q = cρV T

dove c e ρ indicano rispettivamente il calore specifico e la densita del materiale.Definiamo l’energia nell’ unita di volume (densita di energia) la quantita

q = Q/V = cρT

Detta ∆Q la quantita di calore infinitesima che entra o esce dal volume con-siderato nel tempo infinitesimo ∆t attraverso la superficie elementare ∆S risultautile definire la densita di corrente di calore

j =∆Q

S∆tn

in cui n indica il versore normale all’elemento di superficie attraverso cui scorreil calore.

Le quantita q e j sono legate l’una all’altra dal fatto banale che se in unacerta porzione del solido la quantita di calore aumenta o diminuisce allora unauguale quantita di calore deve essere fluita attraverso la superficie che contornala porzione considerata. La relazione tra q e j si esprime matematicamente informa differenziale attraverso l’equazione di continuita

∂q

∂t+ ∇ · j = 0

Questa equazione esprime il fatto che il calore non compare dal nulla o nonscompare nel nulla. Integriamo l’equazione di continuita su tutto il volume V e

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14 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

applichiamo il teorema della divergenza considerando come contorno (chiuso) delvolume V la superficie S con normale uscente n

V

∂q

∂t+ ∇ · j

d3r

∂t

v

qd3r = −∫

S

j · ndS

Si noti che nel caso in cui non vi sia flusso di calore j = 0 la quantita totaledi calore resta ovviamente costante. Il segno negativo indica che se il calorediminuisce la corrente e uscente (positiva) altrimenti la corrente e entrante (neg-ativa). Sperimentalmente si osserva il calore fluire spontanemante dalle regionicalde verso le regioni fredde proporzionalmente al gradiente di temperatura.Volendo tradurre in formule questo fatto si ha la Legge di Fourier

j = −Kc∇T

dove Kc e una costante chiamata coefficiente di conducibilita ed una proprietadel materiale che compone il solido considerato. La temperatura del corpoT = T (x, y, z, t) e considerata come variabile nel tempo e da punto a punto.Combinando la legge di Fourier con l’equazione di continuita e tenendo contoche q = cρT si ottiene la celebre equazione del calore (equazione di Fourier) chestabilisce come avvengono le variazioni di temperatura in un solido dovuti allaconduzione termica

∂T

∂t= D∇2T D =

Kc

Il coefficiente D si misura in m2/s ed e chiamato coefficiente di diffusione termica.Alcuni valori di D sono dati nella tabella 1.3

Materiale D (m2/s)Diamante 1000Argento 430Rame 390Oro 320

Vetro 1Laterizi 0.8

Lana 0.05Aria (temp. ambiente) 0.026

crosta terrestre 5 × 10−3

Table 1.3: Coefficiente di diffusione termica per alcune sostanze. Scorrendodall’alto verso il basso si passa dai materiali conduttori di calore ai materialiisolanti

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1.12. APPLICAZIONI DELLA EQUAZIONE DI FOURIER 15

1.12 Applicazioni della equazione di Fourier

1.12.1 Sbarra con estremi mantenuti a temperatura fissa

T1 x

T2

L

Figure 1.5:

In figura 1.5 mostrata una sbarra di lunghezza L i cui estremi sono mantenutialle temperature T1 e T2. Per semplicita si suppone che attraverso le paretilaterali non possa fluire calore. In punto qualunque della sbarra si trova allatemperatura T (x) dipendente solo dalla coordinata longitudinale x. Se gli estremisono mantenuti a temperatura fissa la temperatura all’interno della sbarra sarastazionaria per tanto l’equazione di Fourier e semplicemente

∂T

∂t= D

∂2T

∂x2= 0

Avente come soluzione generale

T (x) = C1 + C2x

le costanti C1 e C2 si determinano imponendo le condizioni al contorno stabiliteT (0) = T1 e T (L) = T2 In conclusione si ha

T (x) = T1 +T2 − T1

Lx

1.12.2 Effetto Cantina

Le temperatura dell’aria a livello del suolo subisce oscillazioni giornaliere dovuteall’alternanza giorno/notte e anche oscillazioni stagionali estate/inverno. Pren-dendo come zero della temperatura il suo valore medio l’andamento nel tempo egrosso modo sinusoidale

T = τ cos(ωt)

dove τ e 2π/ω sono rispettivamente l’oscillazione massima e il periodo della os-cillazione. Il suolo terrestre a contatto con l’aria risente di queste oscillazionidi temperatura scaldandosi e raffreddandosi. Si vuole determinare l’andamentodella temperatura nel suolo in funzione del tempo e in funzione della profondita.Conviene svolgere i calcoli esprimendo l’andamento sinuosoidale della temper-atura in aria con gli esponenziali complessi

T = τeiωt

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16 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

bene inteso che solo la parte reale ha significato fisico. Determiniamo ora latemperatura al suolo dalla equazione di Fourier cercando una soluzione oscillanteavente la stessa frequenza ω della oscillazione in aria a cui permettiamo even-tualmente di avere uno sfasamento dipendente linearmente dalla profondita x (xe scelta positiva verso il basso)

T (x, t) = Aei(ωt+kx)

Le quantita ω e k devono essere legate fra loro in modo tale la temperatura T (x, t)soddisfi l’equazione di Fourier Se D indica il coefficiente di diffusione del suolo siha

k2 = −i ωD

che ammette le due soluzioni

k = ±λ1 − i√2

λ =

ω

D

La soluzione positiva si scarta perche da luogo ad una crescita esponenziale conla profondita e dunque non ha senso fisico. Infine la soluzione cercata e

T (x, t) = τe−λx/√

2 cos(ωt+ λx/√

2)

Si osservi lo smorzamento esponenziale dell’escursione di temperatura al cresceredella profondita. Inserendo i valori ω ∼ 10−5 s−1 corrispondente ad una oscil-lazione giornaliera e D ∼ 5×10−3 m2/s tipico del suolo, si ha λ ∼ 5 cm. Pertantogia ad una profondita pari a ∼ 20 cm dalla superficie le oscillazioni giornaliere ditemperatura non sono piu percepite. Nelle cantine la temperatura e all’incircacostante!

1.12.3 Problema di Kelvin e eta della Terra

Lord Kelvin verso la fine dell ’800 propose un metodo per stimare l’eta dellaTerra basato sulle seguenti ipotesi

• La terra era inizialmente una massa estremamente calda, fluida ed auto-gravitante come suggerito dalla sua forma di ellissoide schiacciato ai poliche e tipica dei fluidi autogravitanti posti in rotazione

• La massa fluida ha perso calore per conduzione interna trasferendolo allaatmosfera circostante la cui temperatura e mantenuta all’incirca costantegrazie all’apporto di energia proveniente dal Sole per irraggiamento.

• La solidificazione e avvenuta al tempo t = 0 quando la temperatura dellamassa fluida e scesa al valore T0 = 4000 gradi che e la temperatura tipicadi fusione delle roccie

• L’aumento di temperatura della crosta terrestre che si osserva attualmentein prossimita della superficie, pari a circa 3 gradi ogni 100 m di profondita,e dovuto al calore residuo ancora presente nelle parti interne della Terra.

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1.12. APPLICAZIONI DELLA EQUAZIONE DI FOURIER 17

• Il raggio della Terra e talmente grande (6350 Km) rispetto alle profonditaprese in esame per valutare il gradiente di cui al punto precedente, chela Terra puo essere approssimata come un solido di dimensione infinita cheoccupa il semi-spazio x > 0. In sostanza stiamo approssimando la superficiesferica con il suo piano tangente nel punto di tangenza. Si veda la figura1.6.

x x

terra T(x,t)

esterna costante temperatura

T = 0 aria

aria terra

Figure 1.6:

Tralasciando gli effetti di curvatura terrestre il problema equivale a risolverel’equazione di Fourier

∂tT = D∂xxT

con le condizioni al contorno

T (x ≤ 0, t) = 0per qualunque tempo t

T (x > 0, t = 0) = 4000

Prima di procedere con la soluzione dell’equazione di Fourier conviene sottolin-eare alcune differenze tra le condizioni iniziali del problema di Kelvin e quelledell’effetto cantina discusso precedentemente. Nel caso dell’effetto cantina lasoluzione e dipendente da x e t attraverso la combinazione lineare

η = (ωt− λx)

La possibilita di costruire la variabile adimensionale η nasce dal fatto che le con-dizioni iniziali del problema esibiscono una frequenza naturale ω che ha dimen-sione pari all’inverso di un tempo, con cui attraverso il coefficiente di diffusionee possibile costruire la grandezza λ =

ω/D che ha dimensione pari all’inversodi una lunghezza. Quindi il problema e formulato in modo tale da realizzarela grandezza adimensionale η che e la sola candidata per costruire la soluzionedell’equazione di Fourier. Nel caso del problema di Kelvin, le condizioni inizialinon contengono ne frequenze, ne lunghezze attraverso le quali costruire una vari-abile adimensionale di tipo combinazione lineare. La sola variabile adimensionalecostruibile si ottiene dalle variabili x, t e dal parametro D definendo

η =x2

Dt

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18 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

pertanto cerchiamo una soluzione del tipo ¡ T (x, t) = f(η) che obbedisca allaequazione di Fourier e alle condizioni iniziali del problema di Kelvin. Calcolandole necessarie derivate abbiamo

∂T

∂x=df

dx=

2x

Dt

df

∂2T

∂2x=

2

Dt

df

dη+

(

2x

Dt

)2d2f

dη2

∂T

∂t= − x2

Dt2df

sostituendo queste espressioni nella equazione di Fourier si trova una equazionedifferenziale per f nell’unica variabile η

4ηd2f

dη2+ (2 + η)

df

dη= 0

Questa e una semplice equazione differenziale che si puo risolvere come segue.Poniamo f ′(η) = df/dη e riscriviamo l’equazione come

f ′′

f ′ = − 1

2η− 1

4

riconosciamo che il membro di destra e una derivata logaritmica e integriamoambo i membri

log[

η1/2f ′]

= −η4

+ c

esponenziando ambo i membri si ha

f ′(η) =A

η1/2e−

η4

con una ulteriore integrazione si ottiene

f(η) = A

∫ η

η0

u−1/2e−u4 du

il cambio di variabilev = η1/2/2 =

x√4Dt

consente di scrivere la soluzione nella forma

T (x, t) = B

∫ v

0

e−s2

ds

L’integrale che compare al secondo membro e una funzione speciale nota sotto ilnome di funzione degli errori abbreviata in erf (error function) definita come

erf(x) =2√π

∫ x

0

e−s2

ds

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1.12. APPLICAZIONI DELLA EQUAZIONE DI FOURIER 19

Dalla definizione segue ovviamente che

d

dxerf(x) =

2√πe−x2

Il lettore puo dimostrare che la funzione gode della seguente proprieta

erf(0) =1

2lim

x→∞[erf(x) − erf(−x)]

La funzione erf(x) e anche chiamata funzione a scalino. Lascio al lettorel’esercizio di farne il grafico e di scoprire perche ha ricevuto questo soprannome.In conclusione il problema di Kelvin ammette la soluzione

T (x, t) = T02√π

∫ x/√

4Dt

0

e−u2

du

Il gradiente in prossimita della superficie terrestre vale al tempo t

g =∂T

∂x

x=0

=2T0√4πDt

Dal valore sperimentalmente misurato del gradiente g = 0.03 K /m si puocalcolare il tempo t

t =T 2

0

πg2D

Il parametro difficile da misurare e il coefficiente D, allo scopo Kelvin intrap-rese una campagna di misure del coefficiente di diffusione termica delle roccietrovando il valore D = 10−6 m2/s. Il tempo trascorso dalla solidificazione dellacrosta terrestre ai nostri giorni secondo il valore di D misurato da Kelvin risultadell’ordine di grandezza di 100 milioni di anni.

Stime piu recenti dell’eta della Terra (datazione con elementi radioattivi, ar-gomentazioni geologiche, etc..) sono concordi nell’attribuire al nostro pianetauna eta pari a circa 4 miliardi di anni. Il calcolo di Kelvin risulta sbagliato diun fattore circa 20. L’errore sta nell’aver considerato il coefficiente di diffusionecostante come se la Terra fosse interamente solida. Oggi sappiamo che l’internodella Terra e ancora fluido e che la roccia fusa e molto piu efficiente della rocciasolida nel trasportare calore1. L’effetto e quello di mantenere elevato il gradientedi temperatura nonostante siano passati 4 miliardi di anni dalla solidificazionedella crosta terrestre. La stima calcolata da Lord Kelvin e comunque importantedal punto di vista storico e culturale perche e stato il primo tentativo di calcolodell’eta della Terra su basi interamente fisiche. Possiamo immaginare quantofosse rilevante una stima dell’eta della Terra nel momento in cui si andavanosviluppando la Geologia e la Teoria dell’Evoluzione.

1I liquidi possono trasportare calore anche attraverso un processo noto come convezione incui avvengono spostamenti di materia - si pensi alle bolle d’acqua calda quando l’acqua e inebollizione. Nei solidi la materia rimane fissa in posizione e dunque non c‘e convezione

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20 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

1.13 Trasformazioni Termodinamiche

Vogliamo ora ritornare al caso dei gas e discutere alcune trasformazioni termod-inamiche di interesse

• Isocora: Trasformazione in cui il volume resta costante. In questo casoil gas non compie lavoro meccanico dL = 0 pertanto il calore sambiatoequivale alla variazione di energia interna

dQ = dU = ncvdT

• Isoterma: Trasformazione in cui la temperatura resta costante. Il gas noncambia la sua energia interna dU = 0 quindi

dL = dQ = PdV

Integrando tra lo stato iniziale e quello finale si determinano le variazionifinite

∆L = ∆Q =

∫ V2

V1

PdV = nRT logV2

V1

• Isobara: trasformazione in cui la pressione viene mantenuta costante

∆U = ncv∆T

∆L = P∆V = nR∆T

∆Q = ∆U + ∆L = n(cv +R)∆T

se definiamo la quantita cp come il calore specifico molare a pressionecostante si ha immediatamente la relazione di Meyer

cp = cv +R

• Adiabatica: Trasformazione durante la quale il gas non scambia caloredQ = 0 in questo caso il primo principio in forma differenziale assume laforma

PdV + ncvdT = 0

combinando con l’equazione di stato dei gas perfetti si ha

nRT

VdV + ncvdT = 0

dividendo entrambi i membri per ncv e ricordando la relazione di Meyer siha

(γ − 1)dV

V= −dT

T

Dove si e introdotto il coefficiente adiabatico γ = cp/cv tale che (γ > 1).Integrando si ha che

TV γ−1 = cost.

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1.13. TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE 21

o , equivalentemente, usando l’equazione di stato

PV γ = cost.

Le trasformazioni termodinamiche discusse si possono rappresentare grafi-camente sul piano P, V come mostrato in figura 1.7

Figure 1.7: Grafico di una trasformazione isoterma (linea continua) e adiabatica(linea tratteggiata). La trasf. isocore e iosobare sono rappresentabili da lineeparallele agli assi

La condizione γ > 1 implica che nel punto in cui una adiabatica e unaisoterma si incontrano la pendenza della adiabatica risulta maggiore di quelladella isoterma. Il lavoro svolto durante una trasformazione e graficamente rapp-resentabile come l’area sottesa dalla curva.

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22 CHAPTER 1. TERMOMETRIA E CALORIMETRIA

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Chapter 2

Secondo principio dellaTermodinamica

2.1 Introduzione

Abbiamo compreso come nella materia sia immagazzina energia sotto forma dicalore. Per avere un ordine di grandezza consideriamo, a titolo di esempio,l’energia termica immagazzinata in una mole di He a temperatura ambiente

U =3

2RT = 1.5 × 8.31 × 300 ' 4000J

Si tratta di una notevole riserva di energia che se fosse tutta utilizzabile perme-tterebbe di sollevare una massa di 100 kg fino ad una altezza di 4 m. In cio chesegue discuteremo quali limitazioni intervengono nel rendere disponibile l’energiatermica per compiere del lavoro meccanico.

2.2 Cicli termodinamici e Macchine termiche

Una trasformazione ciclica e una particolare trasformazioni il cui stato inizialecoincide con lo stato finale. Il sistema e sottoposto ad una successione di trasfor-mazioni e ritorna nel punto iniziale. Per i gas le trasformazioni cicliche si rapp-resentano come curve chiuse sul piano P, V . In qualunque ciclo si ha che unacerta quantita di calore Qass e assorbita dal gas, una certa quantita di calore Qced

e una certo lavoro meccanico L viene compiuto dal gas. Si noti che graficamente illavoro meccanico e rappresentato dall’area racchiusa dal ciclo. Il primo principioimplica che il calore assorbito, il calore ceduto e il lavoro svolto si equilibrino

Qass = Qced + L

Definiamo come rendimento di un ciclo il parametro adimensionale

η =L

Qass= 1 − Qced

Qass

23

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24 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il caso ideale sarebbe quello di avere η = 1 corrispondente a trasformare intera-mente tutto il calore assorbito in lavoro meccanico.

2.3 Il secondo principio e formulazioni equivalenti

Le due affermazioni che seguono sono elevate a rango di secondo principio dellatermodinamica.

• Enunciato A (Postulato di Clausius): il calore fluisce spontaneamente daicorpi caldi a quelli freddi

• Enunciato B (Postulato di Kelvin): e impossibile realizzare una macchinache scambi calore con una sola sorgente e lo trasformi completamente inlavoro meccanico

Dimostriamo che le due proposizioni sono equivalenti facendo vedere che la negazionedi uno dei due enunciati implica la negazione dell’altro.

Si supponga possibile trasferire spontaneamente (senza lavoro esterno) il caloreQ dalla sorgente a temperatura T1 a quella a temperatura T2 > T1. La figura2.1 a sinistra mostra le due sorgenti con la macchina ciclica M regolata in modotale da prelevare dalla sorgente T2 il calore Q2 = Q trasformarlo parzialmentenel lavoro L. Il bilancio netto del calore scambiato con la sorgente T2 e nullo percostruzione mentre alla sorgente T1 e prelevato il calore Q−Q1 che viene inter-amente convertito nel lavoro L. si e giunti dunque alla negazione dell’enunciato(B)

Nella stessa figura a destra e mostrata la macchina M1 che, negato l’enunciato(B), preleva calore dalla sorgente T2 e lo trasforma integralmente nel lavoro L.Tale lavoro viene utilizzato per azionare la macchina M2 che opera come “pompadi calore” assorbendo il calore Q1 dalla sorgente T1 e trasferendo il calore Q2 allasorgente T2. La macchina complessiva ottenuta dall’unione delle due macchinaopera negando l’enunciato (A) infatti trasporta il calore Q1 dalla sorgente freddaalla sorgente calda senza immissione di lavoro esterno.

Q1

Q2

T2 T2

T1T1

Q2

Q1

Q MM M21

Q

LL=Q − Q > 02 1

Figure 2.1: A sinistra: costruzione per mostrare come la negazione di (A) implicala negazione di (B) ; a destra: costruzione per l’implicazione nell’altro verso

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2.4. IL CICLO DI CARNOT 25

Abbiamo cosı dimostrato che i due enunciati sono equivalenti e, poiche l’enunciato(A) sembra essere universalmente verificato ne discende una prima limitazionealla possibilita di trasformare calore in lavoro. Infatti un’altra affermazione equiv-alente all’enuciato (B) e dire che il rendimento di una macchina termica e soggettodisuguaglianza stretta η < 1. Equivalententemente si puo affermare che si puoprodurre lavoro meccanico solo scambiando calore con almeno due sorgenti.

2.4 Il ciclo di Carnot

Il piu semplice ciclo termodinamico che produce lavoro scambiando calore condue sorgenti e il ciclo di Carnot ottenuto combinando due trasformazioni isotermee due adiabatiche. Il ciclo e schematizzato in figura (2.2) Quando il ciclo viene

Figure 2.2: Ciclo di Carnot

percorso in verso orario (1,2,3,4) si ha produzione di lavoro L prelevando caloreQass dalla sorgente calda e cedendone la parte Qced alla sorgente fredda ; Se ilciclo viene percorso in verso antiorario il sistema assorbe lavoro e trasferisce caloredalla sorgente fredda a quella piu calda. Il rendimento e facilmente determinabiletenendo conto che il calore viene assorbito o ceduto solo lungo i tratti isotermi

Qass = nRT2log

(

V4

V3

)

Qced = nRT2log

(

V2

V1

)

Gli estremi dei tratti adiabatici sono legati dalle relazioni

T2Vγ−14 = T1V

γ−11

T2Vγ−13 = T1V

γ−12

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26 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

dividendo a membro a membro le ultime due relazioni si ha

V4

V3=V1

V2

da cui si ottiene il rendimento

η = 1 − |Qced||Qabs

= 1 − T1

T2

2.4.1 Trasformazioni reversibili e irreversibili

Una trasformazione si dice reversibile se, dopo che e avvenuta, puo operare inmaniera inversa e riportare il sistema e l’ambiente circostante nelle medesimecondizioni iniziali. Una trasformazione e detta irreversibile quando cio non e pos-sibile. In pratica una trasformazione reversibile deve essere quasi-statica ovverodeve essere eseguita come una successione di trasformazioni infinitesime che sidiscostano di molto poco dalla trasformazione identica in modo che il sistemaattraversi una successione infinita di stati di quasi-equilibrio meccanico e ter-modinamico. Dal punto di vista pratico le trasformazioni reali non sono maireversibili ma possono approssimare bene quanto si vuole una trasformazione re-versibile se nel sistema in oggetto i gradienti di temperatura, di pressione e leaccelerazioni delle parti mobili possono essere pensate piccole a piacere. Unatrasformazione quasi-statica e una trasformazioni “lenta” in cui non interven-gono bruschi cambiamenti o salti da uno stato all’altro. L’espansione di un gasnel vuoto. o il passaggio spontaneo di calore tra due corpi a temperatura diversasono due esempi di trasformazioni massimamente irreversibili.

2.5 Teorema di Carnot

Il ciclo di Carnot e particolarmente importante perche vale il seguente teorema:

• Il rendimento di qualunque macchina reversibile o irreversibile che operitra due sorgenti T1 e T2 e minore o uguale al rendimento della macchina diCarnot reversibile operante tra le medesime sorgenti.

La dimostrazione procede per assurdo ipotizzando che esista una certa macchinaM , reversibile o meno, con un rendimento η > ηc dove ηc indica il rendimentodella macchina di Carnot C. In figura (2.3) sono mostrate la macchina M e Coperanti tra le medesime sorgenti T2 > T1. La macchina di Carnot essendo peripotesi reversibile viene impiegata come macchina frigorifera (ciclo inverso). Illavoro prodotto da M alimenta la macchina C In base alla definizione di rendi-mento si ha

η =L

Q2

ηC =L

Qc2

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2.5. TEOREMA DI CARNOT 27

M CL

T

T

Q

Q

Q

Q

c

c

2

1

22

11

Figure 2.3: Teorema di carnot

avendo negato l’ipotesi si ha η > ηC che implica

Qc2 −Q2 > 0

mentre la conservazione dell’energia impone

Q1 = Q2 − L e Qc1 = Qc

2 − L

Combinando le relazioni precedenti si ha che l’unione delle due macchine preleva ilcalore Qc

2−Q2 dalla sorgente fredda T1 e senza spendere lavoro trasferisce questocalore alla sorgente calda T2. Questo fatto e in contraddizione con il secondoprincipio della termodinamica come enunciato da Clausius. La contraddizione erimossa asserendo la tesi η < ηc. Nel caso in cui la macchina M sia reversibilee possibile farla operare in senso inverso, si lascia al lettore dimostrare che inquesto caso i due rendimenti sono uguali. In conclusione si ha che una qualsiasimacchina che operi tra T1 e T2 ha un rendimento minore o uguale a quello dellacorrispondente macchina di Carnot η ≤ ηc. Il minore stretto vale se la macchinaM e irreversibile, l’uguaglianza vale se la macchina M e reversibile. In sostanzatutte le macchine reversibili che operano tra la stessa coppia di sorgenti sono dalpunto di vista del rendimento equivalenti.

Se adottiamo la convenzione di dare segno positivo al calore assorbito e segnonegativo a quello ceduto, il teorema di Carnot si puo esprimere nella forma

Q1

T1+Q2

T2≤ 0

in cui l’uguaglianza vale se il ciclo considerato e reversibile.

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28 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

2.6 Teorema di Clausius

Vogliamo ora estendere il teorema di Carnot al caso di un ciclo in cui il calorepossa essere scambiato con un numero arbitrario, anche infinito, di sorgenti dicalore. La generalizzazione del teorema di Carnot assumera la forma

n∑

i=1

Qi

Ti≤ 0

dove Qi e Ti indicano rispettivamente il calore scambiato e la temperatura dellasorgente ima. Nel caso che il ciclo coinvolga una infinita continua di sorgenti lasommatoria diventa un integrale di cammino

γ

dQ

T≤ 0

Quest’ultima relazione e nota come disuguaglianza di Clausius. L’integrale dilinea e esteso lungo il ciclo descritto dalla curva γ, dQ indica il calore infinitesimoscambiato con la sorgente a temperatura T .

Allo scopo di dimostrare la disuguaglianza di Clausius premettiamo la di-mostrazione del lemma seguente:

Una trasformazione reversibile da A a B e sempre sostituibile da una suc-cessione di adiabatica, isoterma e adiabatica tale che il calore scambiato lungol’isoterma sia uguale a quello scambiato lungo la trasformazione originaria da Aa B.

A

B

A’

B’

O

adiabatica

adiabatica

isoterma

V

P

Figure 2.4: Generica trasformazione da A a B sostituita da una successione diadiabatica, isoterma e adiabatica

Nella figura (2.4) l’isoterma A′OB′ e scelta in modo che i triangoli mistilineiAA′O e BB′O racchiudano la medesima area. Il primo principio applicato alciclo AOBB′OA′A stabilisce che il calore scambiato eguaglia il lavoro svolto

dQ =

dL

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2.6. TEOREMA DI CLAUSIUS 29

Il lavoro e nullo perche le aree dei due triangoli mistilinei sono per costruzioneuguali e percorse una in senso orario e l’altro in senso antiorario. Inoltre il calorescambiato lungo i tratti adiabatici e nullo per tanto si ha che il calore scambiatolungo il tratto originario e uguale al calore scambiato lungo il tratto isotermo.

Il lemma permette di ricoprire un ciclo finito arbitrario con un “tassellamento”opportuno costituito da cicli di Carnot infinitesimi come illustrato in figura 2.5.Ogni ciclo di Carnot infinitesimo viene percorso nello stesso verso, orario o anti-orario, con cui si percorre il ciclo finito. Tenendo conto che per ogni ciclo di

Figure 2.5: Il ciclo arbitrario (rosso) puo essere approssimato bene quanto sivuole da una successione di tratti adiabatici e isotermi infinitesimi

Carnot infinitesimo vale la disuguaglianza Q1/T1 + Q2/T2 ≤ 0, sommando sututti i cicli del ricoprimento restano solo i contributi dovuti al contorno esterno(linea nera in grassetto della figura) per tanto si ha

n∑

i=1

Qi

Ti≤ 0

che dimostra la dissuguaglianza di Clausius nella sua forma discreta. La formacontinua della disuguaglianza si giustifica immaginando che il numero di ciclitenda ad infinito mentre l’area racchiusa dal singolo ciclo di Carnot tende a zero.

Si osservi che se il ciclo finito e totalmente reversibile vale il segno di uguaglianzamentre la presenza di anche solo un tratto irreversibile impone il minore stretto.

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30 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

2.7 Differenziali esatti e non esatti, richiamo di

analisi vettoriale!

Consideriamo una funzione dipendente da due variabili z = z(x, y). Il suo dif-ferenziale vale

dz =∂z

∂xdx+

∂z

∂ydy

poiche le derivate parziali sono a loro volta funzioni di x e y il differenziale dzassume la forma

dz = P (x, y)dx +Q(x, y)dy

Esaminiamo ora il problema inverso. Assegnata la quantita infinitesima dellaforma

P (x, y)dx +Q(x, y)dy

essendo P e Q due funzioni arbitrarie, sotto quali condizioni questa quantitainfinitesima rappresenta il differenziale di una funzione z = z(x, y) ? Se si riescea trovare questa funzione z si dice che Pdx + Qdy e un differenziale esatto,altrimenti il differenziale non e esatto. Se le funzioni P e Q sono continue insiemealle loro derivate prime si dimostra che il differenziale e esatto quando

∂P

∂y=∂Q

∂x

Questa condizione sulle derivate parziali equivale ad avere∮

(Pdx + Qdy) = 0lungo ogni cammino chiuso. Questa condizione e nota come condizione di Schwarzed e conseguenza del fatto che se z = z(x, y) e continua insieme alle sue derivateallora la derivate seconda mista non dipende dall’ordine con cui si eseguono lederivate:

∂2z

∂x∂y=

∂2z

∂y∂x

Si noti che il calore scambiato nel corso di una trasformazione infinitesimanon e un differenziale esatto infatti per i gas perfetti il primo principio in formadifferenziale si esprime come

dQ = PdV + ncvdT =nRTdV

V+ ncvdT

che non soddisfa la condizione di Schwarz.Non soprende che il calore scambiato non sia un differenziale esatto infatti il

calore necessario per portare il gas dallo stato A allo stato B dipende in generaledal cammino scelto per andare da A a B

2.8 Conseguenze del teorema di Clausius

Per ogni ciclo reversibile vale il teorema di Clausius con il segno di eguaglianza∮

dQ

T= 0

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2.9. PRINCIPIO DI ACCRESCIMENTO DELL’ENTROPIA 31

questo implica che il differenziale dS = dQ/T sia un differenziale esatto cioe deveesistere una funzione di stato

S = S(P, V )

tale che la sua variazione tra il punto A e il punto B non dipende dal camminopercorso ma solo dai punti A e B:

∮ B

A

dS = S(B) − S(A)

. Inoltre si osservi che per i gas perfetti si ha

dQ/T =nR

VdV +

ncvTdT

che, al contrario di quanto accade per dQ, e un differenziale esatto perche soddisfala condizione di Schwarz. Siamo dunque riusciti a costruire una nuova funzionedi stato S che chiameremo entropia. Il lettore puo integrare dQ

T per il gas perfettoe trovare

S(V, T ) = ncv log(PV γ) + S0

2.9 Principio di accrescimento dell’entropia

Consideriamo una trasformazione irreversibile (spontanea) che faccia passare ilgas dallo stato A allo stato B. Ci si puo ad esempio immaginare il raffreddamentodi un gas a volume costante quando il gas e posto a contatto con una sorgentefredda oppure l’espansione libera nel vuoto. Quindi immaginiamo di tornare daB ad A secondo un percorso reversibile. Evidentemente la trasformazione ciclicaA → B → A soddisfa la disuguaglianza di Clausius

dQ

T=

∫ B

A

dQirr

T+

∫ A

B

dQ

T< 0

dove con Qirr si vuole espressamente indicare che la prima trasformazione daA a B avviene irreversibilmente. Applicando la definizione di entropia si ha

∫ B

A

dQirr

T+ S(A) − S(B) < 0

ovvero

S(B) − S(A) >

∫ B

A

dQirr

T

Se il sistema considerato non puo scambiare calore con l’esterno (ad esempio unsistema chiuso da pareti adiabatiche) si ottiene il notevole risultato

S(B) − S(A) > 0

In un sistema chiuso, le trasformazioni spontanee determinano sempre unaccrescimento dell’entropia facendo passare il sistema da una stato a bassa en-tropia ad uno ad entropia alta. Poiche l’entropia non puo che aumentare o al

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32 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

limite restare costante nel caso di trasformazioni reversibili se ne deduce che unsistema chiuso evolve sempre verso lo stato di massima entropia

Poiche l’universo nella sua totalita rappresenta il miglior sistema chiuso pens-abile - l’universo non puo ovviamente scambiare calore con qualcos’altro - sene deduce che nell’universo avvengono solo trasformazioni tali da aumentarel’entropia.

Qualunque siano i processi che governano l’universo due vincoli fondamentalidevono essere rispettati:

• L’energia totale dell’universo e costante

• L’entropia dell’universo tende a raggiungere il massimo valore

2.10 Aumento di entropia e rimozione dei gradi-enti termici

Un semplice esempio mostra il destino termico di un sistema isolato. Consid-eriamo un sistema chiuso costituito da due corpi solidi uguali aventi la stessacapacita termica che inizialmente si trovano a temperature diverse T i

1 e T i2. Ri-

cordiamo che per un solido la capacita termica e definita come

c =dQ

dT

Vediamo quali temperature finali T f1 , T f

2 ci si aspetta compatibilmente con ilprincipio di massimo accrescimento dell’entropia. La variazione totale di entropiadel sistema e data dalla somma delle variazioni individuali

∆S = c

∫ T f1

T i1

dT

T+ c

∫ T f2

T i2

dT

T= c log

(

T f1 T

f2

T f1 T

f2

)

se il sistema e chiuso la sola trasformazione ammessa e il passaggio di calore trai due corpi bene inteso che il calore ceduto da un corpo deve eguagliare il caloreacquistato dall’altro secondo il principio di conservazione dell’energia.

c(T f1 − T i

1) + c(T f2 − T i

2) = 0

Il lettore verifichi che il massimo di ∆S compatibilmente con il vincolo dellaconservazione dell’energia si ha quando

T f1 = T f

2 = (T i1 + T i

2)/2

Il destino entropico dei due corpi e quello di portarsi alla stessa temper-atura. Il principio di massimo accrescimento dell’entropia richiede che tutte ledifferenze iniziali di temperatura vengano prima o poi azzerate. Su scala cosmo-logica questo impone ad esempio che tutte le parti dell’universo in interazionefra loro raggiungano prima o poi la medesima temperatura. Ovviamente la scaladi tempo in cui questo avviene e stabilita dalla dinamica dei processi con cui levarie parti interagiscono tra loro.

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2.11. DEGRADO DELL’ENERGIA MECCANICA ORDINATA 33

2.11 Degrado dell’energia meccanica ordinata

Consideriamo un sistema chiuso composto da un corpo di massa m, capacitatermica c , temperatura iniziale Ti, in moto con velocita iniziale v0 su un altrocorpo (guida) di capacita termica e massa infinita e temperatura TS. Si vuoledeterminare la temperatura Tf e la velocita v del corpo in moto nello stato aventemassima entropia. La variazione entropica totale e data da

∆S = c log

(

Tf

Ti

)

+Q

Ts

dove Q e l’eventuale energia che il corpo in moto ha trasferito alla guida sottoforma di calore. La conservazione dell’energia impone che il calore ceduto allaguida, la variazione di energia interna e la variazione di energia cinetica obbedis-cano al vincolo

Q+ c(Tf − Ti) +1

2m(v2

0 − v2) = 0

i valori di Tf ,Q e v che rendono massima la variazione di entropia si determinanocon la tecnica dei moltiplicatori di Lagrange. Consideriamo la funzione ausiliaria

F = ∆S + λ

[

Q+ c(Tf − Ti) +1

2m(v2

0 − v2)

]

dove λ e il moltiplicatore. L’annullarsi delle derivate prime di F rispetto a Tf ,Qe v si ottiene Tf = TS e v = 0. Il sistema dunque evolve spontaneamente nellostato di massima entropia in cui il corpo e in quiete rispetto alla guida e inoltre- come trovato precedentemente - le differenze di temperatura tra la guida e ilcorpo sono azzerate. Questo esempio illustra come l’aumento di entropia implicail degrado di energia meccanica ordinata che si trasforma in calore o agitazionetermica. I moti coerenti, quelli nei quali tutte le parti del sistema hanno lavelocita diretta lungo la stessa direzione, sono destinati a scomparire.

2.12 Una condizione di consistenza per l’equazione

di stato

La definizione di entropia nella sua forma differenziale TdS = dQ consente discrivere il primo principio in modo che compaiano solo differenziali esatti

TdS = PdV + dU

In generale l’energia interna U puo essere funzione sia della temperatura sia delvolume per tanto si ha

TdS = PdV +∂U

∂TdT +

∂U

∂VdV

da cui dividendo per T si ottiene

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34 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

dS =1

T

(

P +∂U

∂V

)

dV +1

T

∂U

∂TdT

Se la funzione S = S(V, T ) non presenta discontinuita - come e naturaleper una quantita dotata di senso fisico - allora deve soddisfare la condizione diSchwarz sulla derivata seconda mista. Imponendo

∂2S

∂V ∂T=

∂2S

∂T∂V

si ottiene una condizione di consistenza tra energia interna , pressione e temper-atura:

T∂P

∂T= P +

∂U

∂V

questa relazione permette ad esempio di trovare l’espressione per l’energia internaU una volta assegnata l’equazione di stato P = P (V, T ). Il lettore verifichi chel’equazione di stato dei gas perfetti e l’energia interna U = ncV T +U0 soddisfanol’equazione di consistenza

2.13 I gas reali e l’equazione di Van der Waals

I gas reali si comportano in buona approssimazione come gas perfetti quandosono abbastanza rarefatti. All’aumentare della pressione si manifestato delledeviazioni dal caso PV = nRT . Sono stato proposte svariate modifiche semiem-piriche alla funzione di stato dei gas perfetti per adattarla alle reali situazionimisurabili. L’equazione di stato di Van der Waals e per certi versi la piu fortunatadi queste modifiche ed assume la forma

(

P + an2

V 2

)

(V − nb) = nRT

Il termine contenente il parametro a modifica la pressione tenendo conto delleinterazioni tra molecola e molecola cioe non tratta le molecole di gas come sefossero delle sfere rigide come avviene nel caso dei gas perfetti. Il parametrob chiamato co-volume molare rappresenta il volume occupato da una mole dimolecole e va sottratto al volume totale del recipiente che contiene il gas.

Sostituendo l’equazione di van der Waals nella condizione di consistenza ot-teniamo

∂U

∂V= a

n2

V 2

ovvero l’energia interna per i gas reali dipende dal volume occupato a differenzadi quanto avviene per i gas perfetti. In una espansione libera nel vuoto si haovviamente dU = 0 che ora - nel gaso di gas reale - diventa

∂U

∂TdT +

∂U

∂VdV = 0

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2.13. I GAS REALI E L’EQUAZIONE DI VAN DER WAALS 35

gas a L atm/mol2 b L/molHe 0.03 0.023H2 0.244 0.026O2 1.36 0.031H2O 5.36 0.030CCl4 20.4 0.138

Table 2.1: Parametri di Van der Waals per alcuni gas. L’unita di misura Lindica litro

tenendo conto della definizione di calore specifico a volume costante valida ovvi-amente anche per i gas reali si ha

ncvdT + an2

V 2dV = 0

integrando tra lo stato iniziale (V0, T0) e quello finale (Vf , Tf ) si trova che latemperatura finale vale

Tf = T0 −an

cv

(

1

V0− 1

Vf

)

Quindi nel caso di un gas reale l’espansione libera nel vuoto determina un piccoloraffreddamento del gas stesso. Nel caso di gas rarefatto, la densita n/V0 e moltopiccola e l’effetto non e praticamente misurabile.

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36 CHAPTER 2. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

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Chapter 3

Onde nei mezzi elastici

3.1 Elasticita dei corpi

Alcuni corpi, deformati per l’applicazione di una forza F , riassumono la formae il volume iniziale quando F viene azzerata. Tali corpi si dicono perfettamenteelastici. altri corpi invece mantengono completamente la deformazione subitaanche dopo la scomparsa delle forze deformanti e sono detti perfettamente plastici.Una categoria piu ristretta di corpi gode anche della proprieta che, per valori delleforze contenuti entro certi limiti l’entita della deformazione e proporzionale alvalore della forza deformante. Se a questi corpi si applica una forza deformanteF essa produce una deformazione ∆x dove x indica un qualche caratteristicageometrica del corpo (lunghezza, volume, superficie, angolo ) tale che:

F = K∆x (3.1)

ove K e una costante che dipende dal materiale deformato; il corpo ovviamentereagisce con una forza elastica F = −K∆x secondo il principio di azione-reazione.

3.2 Modulo di Elasticita

Si consideri una sbarra composta da materiale elastico fissata per un suo estremomentre l’altro estremo e sottoposto alla forza F traente.

Le forze agenti sulla sbarra sono la reazione vincolare R che trattiene l’estremovincolato e la forza F. Non siamo interessati al moto traslatorio collettivo dellasbarra per tanto assumiamo la sbarra in quiete con F = R in modulo. Sperimen-talmente si osserva che la sbarra sottoposta alla forza trattiva F si allunga nelladirezione in cui e applicata la forza. Si definiscono “deformazione” e s“sforzo”rispettivamente il rapporto ∆L/L e il rapporto F/S tra la forza agente e lasuperficie sulla quale la forza e applicata. Lo sforzo ha le dimensioni di unapressione e si misura in Pascal (1 Pa = 1 N/m2) mentre la deformazione e unnumero adimensionale Si definisce modulo di elasticita il rapporto tra lo sforzo e

37

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38 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

L ∆l

S

FR

Figure 3.1: Sbarra sottoposta a una forza traente

Liquido

Figure 3.2: sfera sottoposta a compressione uniforme

la deformazione:modulo = sforzo/deformazione

Nel caso della sbarra in figura 3.1 si definisce il modulo di elasticita E (modulodi Young o mudulo di allungamento) la grandezza:

E =F/S

∆L/L.(3.2)

La definizione di modulo elastico appena data e facilmente generalizzabile a corpicon diversa geometria e diversi sistemi di forze deformanti. Si consideri ad es-empio una sfera immersa in un fluido (figura 3.2), se la pressione idrostaticaesercitata dal fluido sulla sfera aumenta della quantita ∆P ci si aspetta che ilvolume della sfera diminuisca di una quantita ∆V . L’incremento di pressione∆P si identifica con uno sforzo di compressione che causa la deformazione ∆V/VLa grandezza che caratterizza l’elasticita della sfera e il modulo di compressionedefinito come:

B = − ∆P

∆V/V0.

Il segno negativo sta ad indicare che se la pressione aumenta il volume diminuisce.L’utilita di definire il modulo di elasticita consiste nel fatto che, quando le

forze deformanti non sono troppo intense, sperimentalmente il modulo assumone

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3.3. PROPAGAZIONE DI ONDE 39

valore costante indipendente dalle forze applicate, cioe vale la legge di Hooke: Losforzo e direttamente proporzionale alla deformazione.

Figure 3.3:

In figura 3.3 e mostrato un tipico andamento dello sforzo di trazione rispettoall’allungamento di una sbarra metallica. Per piccole deformazioni la dipendenzae lineare (cioe il materiale obbedisce alla legge di Hooke) e la sbarra riacquistala sua lunghezza iniziale quando cessa la sollecitazione (perfetta elasticita). Se losforzo supera il limite di elasticita la sbarra non riacquista piu la sua lunghezzaoriginaria ma presentera una deformazione permanente. Aumentando ancora losforzo la sbarra si spezza al punto di rottura.

Materiale Y (109 N/m 2

Acciaio 200Alluminio 70

Ferro 190Osso 16 (trazione)

Ottone 90Piombo 16Rame 110

Table 3.1: Modulo di allungamento per alcune sostanze

3.3 Propagazione di onde

La legge di Hooke rappresenta la generalizzazione ai corpi solidi della nota forzaelastica di una molla F = −Kx. Cosı come nella molla l’elasticita instaura

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40 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

dei moti oscillatori allo stesso modo nei corpi estesi elastici si possono verificareanaloghi fenomeni oscillatori che propagandosi coinvolgono tutto il corpo. Esempiquotidiani di questo tipo di fenomeni si hanno ad esempio quando si getta unapietra in uno stagno e si osserva che sulla superficie dell’acqua cominciano aformarsi delle increspature (onde) che si propagano su tutta la superficie liquida.

y

y

x

t = ∆t

t = 0

x xa b

Figure 3.4: Propagazione di una deformazione in una corda tesa

Possiamo provvedere ad una “cinematica” della propogazione ondosa con-siderando un impulso trasversale che si propaga lungo una corda tesa. Comemostrato in figura 3.4 al tempo t = 0 una deformazione della corda e localiz-zata in una certa posizione ed e descritta specificando lo spostamento trasversaley(x, t = 0) che ogni punto della corda esibisce rispetto alla posizione orizzontaledi equilibrio. Evidentemente si ha

y(x, t = 0) = f(x) quando xa < x < xb.

Al tempo successivo t = ∆t la forma della corda appare uguale a quella dell’istanteprecedente ma con la deformazione traslata della distanza v∆t essendo v e unaopportuna velocita di propagazione. La forma assunta dalla corda al tempogenerico risulta essere

y(x, t) = f(x− vt) quando xa < x− vt < xb.

In generale una deformazione (ondosa) che si propaga lungo la corda assume laforma

y(x, t) = f(x± vt)

a seconda che la propagazione avvenga nel verso crescente (onda progressiva) odecrescente (onda regressiva) delle ascisse. La funzione f(x, 0) che descrive ladeformazione e entro certi limiti arbitraria ma sicuramente non deve divergere,deve annullarsi per x→ ±∞.

Osserviamo che ogni funzione y(x, t) = f(x±vt) soddisfa l’equazione differen-ziale alle derivate parziali di d’Alembert:

(

∂2

∂x2− 1

v2

∂2

∂t2

)

y(x, t) = 0 (3.3)

In generale le onde si possono propagare anche in 2 o 3 dimensioni, in questocaso basta aggiungere le derivate seconde rispetto alle altre coordinate:

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3.4. ONDE LONGITUDINALI IN MEZZO ELASTICO 41

(

∂2

∂x2+

∂2

∂y2+

∂2

∂z2− 1

v2

∂2

∂t2

)

ψ(x, y, z, t) = 0 (3.4)

La funzione ψ(x, y, z, t) rappresenta in questo caso una opportuna “defor-mazione” rispetto all’equilibrio definita nello spazio tridimensionale il cui sig-nificato fisico va specificato a seconda dei casi. A titolo d’esempio la funzioneψ(x, y, z, t) potrebbe rappresentare un’onda di pressione come avviene nel casodella propagazione del suono oppure il campo elettro-magnetico nel caso dellapropagazione della luce. Qualunque sia la natura fisica della “deformazione”,essa rappresenta un’onda propagantesi liberamente tutte le volte che soddisfal’equazione 3.4. L’equazione di d’Alembert e l’analogo ondulatorio del primoprincipio della dinamica

md2~r

dt2= 0

3.4 Onde longitudinali in mezzo elastico

x + ∆xF(F( x)

x + ∆x

α(x) x + ∆xα( )

)

x

A

Figure 3.5: Modello meccanico per la propagazione di un onda longitudinale entrouna sbarra di materiale

Vogliamo ora mostrare che l’equazione di d’Alembert , almeno nella sua ver-sione a 1 dimensione, e effettivamente conseguenza della elasticita dei corpi. Siconsideri un cilindro uniforme di sezione A fatto di un materiale elastico di den-sita ρ. Esaminiamo in dettaglio le forze agenti su uno strato di spessore ∆x.All’estremita sinistra dello strato e applicata una forza di modulo F1 = F (x)mentre l’estremita destra si ha, sempre in modulo, F2 = F (x + ∆x). Si osservila figura (3.5) in cui le due forze sono state disegnate in verso opposto.

L’azione di F1 −F2 consiste nell’accelerare il baricentro dello strato cilindrico(seconda legge della dinamica) mentre l’azione di F1 + F2 determina una com-pressione dello strato e una sua conseguente deformazione (legge di Hooke). Lamassa infinitesima dello strato vale ρA∆x, si indichi con xcm la coordinata del

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42 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

baricentro e con α(x, t) lo spostamento longitudinale del punto che all’equilibrio(assenza di forze) occupa la posizione x. Si hanno le due equazioni

F1 − F2 = F (x) − F (x+ ∆x) = −∂F∂x

∆x = ρA∆xxcm

F1 + F2 = 2F (x) +∂F

∂x∆x = −2EA

∂α

∂x

Alcuni commenti sulla seconda equazione:

• il segno negativo indica che per come si e scelta la direzione delle forze haluogo una compressione (diminuzione della lunghezza)

• il fattore 2 indica che le forze agiscono sulla coppia di superficie oppostedelimitanti lo strato

• La deformazione che moltiplica il modulo E si valuta come segue

x+ ∆x+ α(x+ ∆x) − x− α(x) − ∆x

∆x=∂α

∂x

Si noti che ovunque si e fatta l’ipotesi che la deformazione sia piccola quindisi sono tenuti solo i primi termini degli sviluppi in serie di Taylor ovunque essicompaiano.

La coordinata del baricentro per definizioni vale

xcm =1

2(x + ∆x+ α(x+ ∆x, t) + x+ α(x, t))

da cui derivando due volte rispetto al tempo si ricava l’accelerazione

xcm =∂2α

∂t2+

1

2

∂3α

∂x∂t2∆x

passando al limite per ∆x → 0 cioe considerando uno strato di spessoreinfinitesimo si ottengono le due equazioni

−∂F∂x

= ρA∂2α

∂t2

F (x) = −EA∂α∂x

eliminando F (x) dalle due si ottiene l’equazione di d’Alembert

(

∂2

∂x2− ρ

E

∂2

∂t2

)

α(x, t) = 0 (3.5)

che rappresenta un’onda di spostamento con velocita di propagazione

v =√

E/ρ (3.6)

Facciamo due importanti osservazioni:

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3.5. ONDE TRASVERSALI IN UNA CORDA TESA 43

• La velocita di propagazione dipende da due fattori: un fattore elastico (ilmodulo di Young) e un fattore inerziale (cioe relativo alla massa del ma-teriale). In casi diversiVogliamo mostrare che queste definizioni combinatecon le nuove definizioni di energia e momento portano ad un teorema diconservazione. da quello discusso della sbarra , questi due fattori avrannoespressioni diverse ma sempre, come confermera l’analisi dimensionale, siavra

v =

fattore elastico

fattore inerziale

Per esempio, anticipiamo che la velocita di propagazione di onde trasver-sali in una corda tesa deve dipendere dalla tensione T della corda (fattoreelastico in quanto responsabile della elasticita della corda) e dalla massalineare µ della corda (massa per unita di lunghezza che svolge il ruolo difattore inerziale). Si lascia al lettore verificare che la grandezza

T/µ hale dimensioni di una velocita.

• Non bisogna confondere la velocita di propagazione dell’onda con la ve-locita di vibrazione di una particella del mezzo intorno alla sua posizionedi equilibrio. Questa e semplicemente data da

v′ =∂α

∂t.

Si chiamano longitudinali le onde in cui la vibrazione avviene nella stessastessa direzione della propagazione, si chiamano trasversali le onde in cuila vibrazione e la propagazione avvengono lungo direzioni ortogonali.

3.5 Onde trasversali in una corda tesa

x x + dx

θθ+ dθ

M

Deriveremo ora l’equazione dinamica di una corda tesa e mostreremo comenella approssimazione di piccole deformazioni si pervenga nuovamente all’equazionedi D’Alembert. Allo scopo immaginiamo di avere allestito un monocordo comemostrato in figura 3.5: una corda viene fermata ad un suo estremo mentre l’altroestremo passando per una puleggia e collegato ad un massa m soggetta allagravita. Lo scopo della massa appesa e quello di mantenere la corda in tensione.La posizione di equilibrio della corda e quella indicata dalla linea tratteggiata. La

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44 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

corda e deformata (in modo esagerato nel disegno) in modo da discostarsi dallaposizione di equilibrio ma in modo tale che la sua lunghezza non cambi apprez-zabilmente. Cio significa che la massa e supposta sempre in quiete nonostantela deformazione della corda e che l’angolo θ indicato e piccolo. Con queste ap-prossimazioni la tensione T della corda si mantiene costante in modulo T = mgma non in direzione (la direzione e sempre tangente al profilo della corda). Lacorda ha massa lineare µ (massa per unita di lunghezza). Consideriamo il trattoelementare di corda dx di massa µdx e scriviamo le sue equazioni del moto lungola direzione y ortogonale alla posizione di equilibrio. Ad un fissato istante, lalegge F = ma diventa l’equazione del moto:

µdx∂2y

∂t2= T sin(θ + dθ) − T sin θ

L’approssimazione di piccoli angoli consente l’approssimazioni sin θ ∼ tanθ ∼ θda cui si ottiene

θ =∂y

∂x

e differenziando ancora una volta

dθ =∂2y

∂x2dx

combinando queste espressioni con l’equazione del moto si ottiene

∂2y

∂x2=µ

T

∂2y

∂t2

che rappresenta l’equazione di un’onda con velocita di propagazione

v =√

T/µ

Si osservi che i punti della corda vibrano in direzione ortogonale alla direzione dipropagazione dell’onda: onda trasversale.

3.6 Soluzione dell’equazione delle onde (caso scalareunidimensionale)

L’equazione∂2u

∂x2=

1

v2

∂2u

∂t2

ammette una soluzione dipendente da due condizioni iniziali che specificano laposizione e la velocita di ogni punto della corda ad un istante iniziale che sceglier-emo come origine dei tempi t = 0

u(x, t)|t=0 = w1(x)∂∂tu(x, t)|t=0 = w2(x)

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3.6. SOLUZIONE DELL’EQUAZIONE DELLE ONDE (CASO SCALARE UNIDIMENSIONALE)45

Nel caso (ideale) di corda di lunghezza infinita le funzioni w1 e w2 sono definitesu tutto l’asse reale.

La soluzione di d’Alembert consiste nel diagonalizzare l’equazione introducendola coppia di variabili (X,Y ) definite come

X = x− vtY = x+ vt

La sostituzione trasforma le derivate prime come

∂xu = uX + uY

∂tu = v (uY − uX)

e derivando una seconda volta

∂xxu = uXX + 2uXY + uY Y

∂ttu = v2 (uXX − 2uXY + uY Y )

nelle nuove variabili l’equazione della corda assume la forma

uXY = 0

la cui soluzione generale e data da

u(X,Y ) = g1(X) + g2(Y )

ripristinando x e tu(x, t) = g1(x − vt) + g2(x + vt)

determiniamo le due funzioni generiche g1 e g2 imponendo le condizioni iniziali

u(x, t = 0) = g1(x) + g2(x) = w1∂∂tu(x, t)|t=0 = v (−g′1(x) + g′2(x)) = w2

possiamo integrare la seconda del sistema e cambiando il segno si ha

g1(x) − g2(x) = −1

v

∫ x

0

w2(z)dz + C

nella quale possiamo imporre C = 0 e confrontando con la prima si ha:

g1(x) =1

2w1 −

1

2v

∫ x

0

w2(z)dzg2(x) =1

2w1 +

1

2v

∫ x

0

w2(z)dz

Finalmente abbiamo la soluzione

u(x, t) =w1(x− vt) + w1(x+ vt)

2+

1

2v

∫ x−at

x+at

w2(z)dz

Esercizio: si consideri w2 = 0 e si provi a rappresentare graficamente lapropagazione della deformazione iniziale w1.

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46 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

3.7 Corda con estremi fissi (onde stazionarie)

Se la corda ha lunghezza finita l e se i suoi estremi sono mantenuti fissi daopportuni vincoli, come capita ad esempio nel caso degli strumenti musicali incui una corda e mantenuta tesa tra due ponticelli rigidi, allora la soluzione devesoddisfare per qualunque istante t anche le condizioni al contorno

u(x = 0, t) = u(x = l, t) = 0

Proviamo a cercare una soluzione del tipo

u(x, t) = f(x)g(t)

fattorizzando la dipendenza da x e da t in due funzioni distinte da determinarsi.Sostituendo nella equazione delle onde si ottiene la condizione:

fxx

f=

1

v2

gtt

g

che e soddisfatta soltando quando i due membri sono uguali ad una stessa costante.Troviamo le soluzione quando questa costante e un numero negativo non nullo

fxx + k2f = 0gtt + v2k2g = 0

la soluzione di equazioni di questo tipo e

f(x) = A cos(kx) +B sin(kx)g(t) = C cos(vkx) +D sin(vkt)

la condizione di quiete per gli estremi e soddisfatta se

A = 0k = nπ

l n = ±1,±2,±3

I valori opposti di k generano soluzione identiche quindi si considera solo i kmultipli interi positivi di π/l.

Scegliendo un valore particolare per k si ottiene la soluzione particolare

u(x, t) = sin(kx) C cos(vkt) +D sin(vkt) .

Notiamo che l’equazione delle onde e una equazione e lineare dunque vale ilprincipio di sovrapposizione: date due soluzioni u1 e u2 anche la loro genericacombinazione lineare u = a1u1 + a2u2 e ancora soluzione. La soluzione piugenerale del problema della corda a estremi fissi e quindi data dalla serie (serietrigonometrica o anche serie di Fourier) :

u =

∞∑

n=1

sin(nπx

l) Cn cos(vkt) +Dn sin(vkt)

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3.8. SPETTRO DI FREQUENZE CARATTERISTICHE 47

i coefficienti Cn e Dn si possono determinare imponendo le condizioni inizialiespresse dalle funzioni w1 e w2. Si puo dimostrare che l’espansione in serie diFourier e in grado di generare tutte le soluzioni che hanno senso fisico.

Le soluzioni sinuosoidali dell’equazione delle onde sono di particolare impor-tanza e di solito si scrivono nella forma

u = A sin(kx ± ωt)

con la condizione ω/k = v.

3.8 Spettro di frequenze caratteristiche

La condizione k = nπl definisce un insieme discreto (spettro) di frequenze per le

vibrazioni in una corda di lunghezza finita

νn =n

2l

T/ρ (formula di Pitagora-Galileo

L’esistenza di uno spettro di frequenze possibili e una caratteristica peculiaredi ogni corpo elastico di dimensioni finite. Tale spettro definisce le sole frequenzepermesse per le vibrazioni interne del corpo in questione.

Cosı come si e ricavato lo spettro nel caso di una corda vibrante, analogamentesi potrebbe investigare - a parte la difficolta di calcolo - lo spettro di tutte levibrazioni possibili di una membrana tesa (tamburo), di una colonna d’aria (lecanne di un organo), di una trave elastica, di un ponte sospeso e cosı via. Laconoscenza di questo spettro e importante per prevedere come il corpo in esamereagisca alle forze esterne (Si veda piu avanti il fenomeno della risonanza).

3.9 Considerazioni Energetiche

Si consideri una corda tesa infinitamente lunga di densita lineare µ e tensione Tin cui si sta propagando un’onda progressiva ψ(x, t) = ψ(x − vt). La funzione ψobbedisce alle equazioni

∂2ψ

∂x2=

1

v2

∂2ψ

∂t2(3.7)

∂ψ

∂x= −1

v

∂ψ

∂t(3.8)

la seconda di queste equazione e soddisfatta perche l’onda considerata e soloprogressiva. Definiamo la quantita

J(x, t) = µv2ψ∂ψ

∂x

e consideriamone la derivata

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48 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

∂J

∂x= µv2

(

∂ψ

∂x

∂ψ

∂x+ ψ

∂2ψ

∂x2

)

combinando con la 3.7 si riscrive come

∂J

∂x=∂ε

∂t(3.9)

avendo definito

ε(x, t) =1

2µv2

(

∂ψ

∂x

)2

+1

(

∂ψ

∂t

)2

.

Integriamo la 3.9 lungo tutta la lunghezza (infinita) della corda

∫ +∞

−∞

∂J

∂xdx =

∂t

∫ +∞

−∞ε(x, t)dx

Se la funzione ψ rappresenta un’onda “regolare” e ragionevole assumere cheψ e le sue derivate siano funzioni continue asintoticamente nulle all’infinito. Incaso contrario si avrebbe una perturbazione in grado di coinvolgere in ogni istantetutto il mezzo infinitamente lungo, la qual cosa non sembra realistica !!! Convienepertanto assumere che

limx→±∞

ψ = 0 limx→±∞

∂ψ

∂x= 0

Con questa ipotesi si ha∂

∂t

∫ +∞

−∞ε(x, t)dx = 0

ovvero abbiamo ottenuto a partire dalla equazione delle onde la costante del moto

E =

∫ +∞

−∞ε(x, t)dx

Risulta naturale identificare questa costante del moto con l’energia totale trasportatadall’onda ψ e interpretare la quantita ε(x, t) come la densita di energia ovverol’energia presente nella corda all’istante t in un tratto infinitesimo compreso trax e x+ dx. I due termini che compongono ε(x, t) si interpretano come:

1

2µv2

(

∂ψ

∂x

)2

= V (x, t) densita di Energia Potenziale

1

(

∂ψ

∂t

)2

= K(x, t) densita di Energia Cinetica

Elevando a quadrato entrambi i membri della 3.8, si mostra facilmente che ledue densita V (x, t) e K(x, t) sono uguali fra loro:

V (x, t) = K(x, t) = ε(x, t)/2

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3.9. CONSIDERAZIONI ENERGETICHE 49

Combinando la definizione di J(x, t) con la 3.8 e con relazione precedente siottiene

J(x, t) = ±vε(x, t)dove il segno e scelto a seconda che si consideri un’onda regressiva o progressiva.Per assegnare alla quantita J un significato fisico e opportuno fare una analo-gia con la meccanica dei fluidi. In fluido-dinamica si definisce la grandezza jcome la quantita di fluido che attraversa l’unita di superficie nell’unita di tempo.La massa ∆m fluita in un tempo ∆t attraverso la superficie S e, seguendo ladefinizione di j, pari a

∆m = jS∆t

Indicata con v la velocita con cui scorre il fluido e con ρ la densita del fluido,questa quantita sara evidentemente uguale alla massa di fluido contenuta in uncilindro infinitesimo di altezza v∆t e base S, se la densita del fluido e ρ sia ha

∆m = ρvS∆t

dal confronto di queste due espressioni si ottiene

j = vρ

ovvero la quantita j e il prodotto di una velocita e di una densita esattamentecome l’espressione di J(x, t) in cui la velocita di propagazione dell’onda moltiplicala densita di energia. L’analogia con i fluidi ci permette di interpretare J(x, t)come il flusso di energia trasportato dall’onda nell’unita di tempo e nell’unita disuperficie. Abbiamo cosı mostrato che una caratteristica di qualunque onda equella di trasportare energia senza trasporto di materia.

La quantita J(x, t) si chiama flusso di densita di energia o piu comune-mente Intensita e si misura in Joule al metro quadrato al secondo. Nel casodi un’onda piana sinusoidale monocromatica propagantesi lungo la direzione xψ = A cos(kx − ωt) si ha

J(x, t) ∝ A2ω2 cos2(kx− ωt)

conviene definire l’intensita media di energia trasportata mediando su un periodoT = 2π/ω

< J >=1

T

∫ T

0

J(x, t)dt.

Si consiglia al lettore di verificare che

1

∫ 2π

0

cos2(x+ φ)dx =1

2

utile per convincersi che< J >∝ A2ω2

In conclusione l’energia trasportata da un onda elastica risulta proporzionale alquadrato dell’ampiezza e al quadrato della frequenza.

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50 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

3.10 Onde sinusoidali monocromatiche

Abbiamo visto come nel caso della corda vibrante, la soluzione generale dellaequazione delle onde si puo esprimere come sovrapposizione discreta di infinitesinusoidi

ψ(x, t) =

∞∑

n=1

An sin(knx− ωnt+ φn) Serie di Fourier

Si immagina facilemente che in casi ancora piu complessi la soluzione generalesia data da una sovrapposizione continua del tipo

ψ(x, t) =

∫ ∞

0

A(ω) sin(kx− ωt+ φ(ω))dω Integrale di Fourier

Le onde sinusoidali monocromatiche 1 rappresentano quindi una sorta disoluzione elementare, una base rispetto alla quale scomporre la soluzione piu gen-erale del problema in analogia con la base ~e1, ~e2, ... rispetto alla quale scomponi-amo un vettore generico ~v =

∑∞n=1 an~en. Considerando onde nelle 3 dimensioni,

un caso interessante e quelle delle onde piane monocromatiche

ψ(~r, t) = A sin(~k~r − ωt) Onda Piana Monocromatica

il vettore ~r = (x, y, z) rappresenta un punto dello spazio mentre ~k (vettore d’onda)

rappresenta la direzione di propagazione dell’onda. La frequenza ω e ~k soddisfanola condizione

v =ω

|~k|in cui v e la velocita di propagazione dell’onda. L’argomento della funzionecircolare (~k~r−ωt) e chiamato “fase”. Si definisce fronte d’onda il luogo dei puntitali che

A sin(~k~r − ωt) = cost

e immediato verificare il fronte d’onda sono una famiglia di piani che traslano convelocita v nella direzione definita dal vettore d’onda. A fissato istante di temposi possono tracciare tutti i piani corrispondenti alla fase π/2 in cui l’onda assumeil massimo del suo valore, e immediato verificare che la distanza tra un piano el’altro e data da

λ = 2π/|~k| lunghezza d’onda.

L’onda viene chiamata piana perche le superficie a fase costante sono dei piani.Un secondo caso interessante e dato dalle onde sferiche quelle per cui la su-

perfice a fase costante e una sfera.Introducendo le coordinate sferiche (r, θ, φ) siha

ψ(r, θ, φ, t) = A(r, θ, φ) sin(kr − ωt) Onda sferica Monocromatica

1monocramatico = di un colore solo: metafora presa dall’ottica per indicare un’onda chevibra con una sola frequenza

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3.11. PRINCIPIO DI HUYGENS-FRESNEL 51

che rappresenta una onda sferica progressiva che dal centro si propaga versol’esterno. l’onda sferica e detta isotropa se l’ampiezza non dipende dagli angoli.La conservazione dell’energia permette di ricavare immediatamente la dipendenzadell’ampiezza A da r nel caso di un onda isotropa. L’energia totale fluita at-traverso una sfera di raggio r1 deve essere uguale all’energia che fluisce attraversoad una seconda sfera concentrica alla prima di raggio r2. Infatti se l’energia siconserva non puo sparire o crearsi nello strato compreso tra le due sfere. Informule

J(r1)4πr21 = J(r1)4πr22

Tenendo conto che l’energia fluente e proporzionale al quadrato dell’ampiezza siha

A(r) ∝ 1

rcaso tridimensionale

ovvero l’ampiezza delle onde sferiche (tridimensionali) decresce con l’inverso delladistante dal punto in cui l’onda ha origine. Nel caso di onde circolari come adesempio quelle che si osservano sulla superficie liquida di uno stagno si ha

A(r) ∝ 1√r

caso bidimensionale

3.11 Principio di Huygens-Fresnel

Spesso si pone il problema di determinare la forma dei fronti d’onda quando l’ondaincontra degli ostacoli come ad esempio una superfice riflettente o assorbente oquando si propaga in mezzi non omogenei per cui la velocita di propagazionepuo variare da un punto ad un altro. Torna particolarmente utile il ricorsoad un metodo approssimato che va sotto il nome di di Principio di Huygens-Fresnel. Il principio si puo enunciare affermando che ogni punto raggiunto daun fronte d’onda diventa sorgente di onde sferiche di ampiezza decrescente alcrescere dell’angolo θ e che si annulla per θ = π l’angolo θ e misurato prendendocome asse la normale al fronte d’onda uscente nel verso di propagazione del forntestesso. Senza scendere nei dettagli della dipendenza dell’ampiezza dall’angolo,diamo come soluzione approssimata

A(θ) ∝ (1 + cos θ)

Tra le applicazioni del principio di Huygens citiamo

• L’angolo di incidenza e uguale all’angolo di riflessione

• La dipendenza tra angolo di incidenza e angolo di rifrazione e le velocita dipropagazione in mezzi diversi

• Il caratteristico fronte d’onda triangolare che si osserva quando una navesolca la superficie del mare muovendosi con una velocita superiore a quelladelle onde del mare nel mezzo.

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52 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

3.12 Effetto Doppler

..... ANCORA DA SCRIVERE .....

3.13 Il fenomeno della risonanza

Il trasferimento di energia da un luogo ad un altro da parte di onde ha moltepliciapplicazioni facilmente sperimentabili. Allo scopo di illustrarne qualcuno e benesoffermarci sul fenomeno della risonanza. Nel caso di una massa m attaccata aduna molla di costante elastica K, lo spettro di frequenze si riduce ad una solafrequenza

ω0 =√

K/m

. Consideriamo ora il caso realistico in cui oltre alla forza di richiamo della mollasia presente un attrito che assumiamo proporzionale alla velocita. L’equazionedel moto diventa:

x+ ω0x+ ηx = 0

Cerchiamo una soluzione della forma

x(t) = Aeiωt

Sostituendo nell’equazione del moto si perviene ad una equazione di secondogrado per la pulsazione ω

ω2 − iηω − ω20 = 0

le cui due soluzioni sono

ω =1

2

(

iη ±√

Ω2)

, Ω2 = 4ω20 − η2

Ipotizziamo che il termine di attrito non sia troppo grande in modo da avere ildiscriminante positivo Ω2 > 0. La soluzione generale e data dalla combinazionelineare delle due soluzioni trovate

x(t) = e−ηt/2(

AeiΩt +Be−iΩt)

prendendo solo la parte reale, l’unica che abbia significato fisico, e rinominandole costanti si ottiene

x(t) = Ae−ηt/2 cos(Ωt+ φ)

in cui l’ampiezza A e la fase φ si possono determinare dalle condizioni inizialix(0) e x(0). La soluzione trovata x(t) rappresenta una oscillazione smorzata.La presenza dell’attrito porta alla estinzione del moto indipendentemente dallecondizioni iniziali. Per evitare l’esaurirsi del moto occorre applicare una forzaesterna alla massa in modo da contrastare la dissipazione di energia dovuta agliattriti. Vogliamo studiare il caso in cui la forza esterna applicata sia periodicacon andamento sinusoidale F (t) ∝ cos(Ωt). L’equazione del moto scritta con lostratagemma dei numeri complessi diventa

x+ ω0x+ ηx = f0eiΩt

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3.13. IL FENOMENO DELLA RISONANZA 53

come in precedenza solo la parte reale di questa equazione ha senso fisico. cer-chiamo la soluzione sempre nella forma

x(t) = A(Ω)eiΩt

in cui abbiamo esplicitato che l’ampiezza della oscillazione puo dipendere dallapulsazione Ω della forza periodica esterna. La quantita A deve soddisfare lacondizione

A(

ω20 − Ω2 + iηΩ

)

= f0

da cui si ottiene

A(Ω) =f0

(ω20 − Ω2) + iηΩ

conviene esprimere il numero complesso che compare a denominatore in notazioneesponenziale

|z|eiφ = (ω20 − Ω2) + iηΩ

dove

|z| =√

(ω20 − Ω2)2 + (ηΩ)2 , tanφ =

ηΩ

ω20 − Ω2

.

La soluzione cercata e

x(t) =f0|z|e

iΩte−iφ

prendendo solo la parte reale si ha:

x(t) =f0

(ω20 − Ω2)2 + (ηΩ)2

cos(Ωt− φ)

la funzione x(t) rappresenta una oscillazione avente pulsazione uguale a quelladella forza esterna e ampiezza variabile con la pulsazione. Si lascia al lettoreverificare che l’ampiezza risulta massima quando Ω2 = ω2

0 + η2 in questo casosi dice che la frequenza esterna e in risonanza con la frequenza del sistema. Siosservi che l’energia meccanica totale immagazzinata nella molla e data da

E =1

2KA(Ω)2

pertanto il massimo trasferimento di energia alla molla da parte della forza es-terna si ha quando si realizza la condizione di risonanza. Gli oscillatori si classi-ficano in base al fattore di qualita adimensionale

Q =ω0

η

Il fattore Q indica piu o meno il numero di oscillazioni che il sistema compieprima di spegnersi per effetto dell’attrito. In un buon oscillatore si ha un valoremolto grande di Q e quindi omega0 >> η Per gli oscillatori buoni la condizionedi risonanza coincide sostanzialmente con la frequenza propria del sistema.

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54 CHAPTER 3. ONDE NEI MEZZI ELASTICI

Questo risultato si puo facilmente generalizzare a sistemi meccanici piu comp-lessi aventi un insieme piu ricco di frequenze proprie. Se indichiamo con ω1, ω2, ....tutte le frequenze proprie di un sistema (si pensi ad esempi al caso della cordavibrante in cui tutte le frequenze proprie sono multipli interi di una frequenzabase) Si avra una condizione di risonanza, cioe di massimo trasferimento di en-ergia al sistema, ogni volta che la frequenza della forza esterna agente e pari aduna delle frequenze proprie del sistema.

Si immagini di avere due corde poste l’una vicina all’altra e attaccate ad unmedesimo ponticello (come in uno strumento musicale) Se una viene pizzicatae posta in oscillazione, nel materiale di sostegno comune alle due corde inizianoa propagarsi delle onde elastiche che sono percepite dalla seconda corda comeuna forza perturbatrice periodica. Se le due corde hanno delle frequenze propriein comune si realizza una condizione di risonanza e avviene un trasferimentodi energia da una corda all’altra. Si noti che il trasferimento di energia non eaccompagnato da traferimento di materia.

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Chapter 4

Relativita del moto

4.1 Introduzione: principio zero della dinamica

In meccanica classica si definisce sistema di riferimento inerziale un sistema diriferimento nel quale il moto di un corpo sul quale non agiscono forze viene vistocome moto rettilineo uniforme. La definizione appare un po’ vuota se non sispecifica cosa si debba in concreto fare per stabilire se su un corpo non agisconoforze. Per quanto se ne sapeva fino alla scoperta dei fenomeni radioattivi enucleari (XX secolo), le forze responsabili di qualunque processo fisico alloraconosciuto erano essenzialmente di due tipi: le forze gravitazionali (gravitazioneuniversale Newtoniana) e le forze elettriche (forza di Coulomb tra due cariche)Entrambe hanno la caratteristica di spegnersi come l’inverso del quadrato delladistanza. Si fa l’assunzione (principio zero della dinamica) che tutte le forzedebbano tendere asintoticamente a zero con la distanza. Che la cosa piaccia ono il principio zero della meccanica deve essere in qualche modo postulato. Sele forze non si spegnessero con la distanza, qualunque fenomeno fisico potrebbeessere spiegato ad hoc in termini di misteriose forze che giungono fino a noi daremoti angoli dello spazio. Sebbene agli astrologhi e agli appassionati di para-normale la cosa possa sembrare allettante, il principio zero e per noi insindacabilequando si voglia fare della scienza secondo i metodi e le forme tramandateci dallatradizione. Postuliamo allora che se un corpo si trova sufficientemente lontano daqualunque distribuzione di massa e da qualunque distribuzione di carica su di essonon agiscono forze. Non possiamo fare altro che postulare questo fatto perchetentare di provarlo empiricamente e assolutamente impossibile: come si potrebbeportare un corpo a distanza infinita da qualunque altra cosa dell’universo ? Conbuona pace di qualunque atteggiamento scientista e vetero-positivista la fisica -e la scienza in genere - si poggia su questo principio metafisico indimostrabile.

55

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56 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

4.2 Principio di relativita Galileiano

Il principio zero appena discusso assicura che la definizione di sistema di rifer-imento inerziale e sensata. Poniamoci ora il problema se dato un sistema diriferimento inerziale se ne possono trovare altri. Il sistema di riferimento in-erziale O dispone di un sistema per misurare le coordinate e il tempo (righello edorologio) e assegna ad ogni evento una coppia di numeri (x, t) che ne identificanospazio e tempo. Immaginiamo che esista un altro sistema di riferimento inerziale0′ che come il precedente cataloga gli eventi secondo il suo sistema di coordinate(x′, t′). Ci proponiamo di trovare la legge di trasformazione che fa passare dallecoordinate di O a quelle di O′. Ovvero vogliamo trovare la trasformazione Gdefinita dalla coppia di funzioni

G :

x′ = x′(x, t)t′ = t′(x, t)

Osserviamo che la trasformazione G deve essere invertibile per permettere dipassare da un sistema di riferimento all’altro e anche di tornare indietro. Inoltrela meccanica classica postulata, perche non ha mai avuto accosaione di dubitaredel fatto che, il tempo scorre uniformemente in entrambi i sistemi di riferimento.Il famoso tempo assoluto di cui parla Newton nei Principia. In meccanica classicaesiste la nozione assoluta di simultaneita: se due eventi capitano allo stesso tempoper un osservatore, capitano allo stesso tempo per qualunque altro osservatore. Inconclusione la meccanica classica postula che t′ = t semplificando notevolmentela trasformazione G.

Vogliamo ora mostrare che la trasformazione G deve essere lineare. Alloscopo sfruttiamo il fatto che per costruzione i due osservatori sono inerziali cioese entrambi osservano lo stesso corpo su cui non agiscono forze entrambi scrivonole equazioni del moto nella forma

d2x

dt2= 0

d2x′

dt′2= 0

l’osservatore O assegna al corpo la velocita v = dx/dt. Inoltre si ha dt′/dt = 1.La velocita da O′ vale

dx′

dt′=∂x′

∂x

dx

dt′+∂x′

∂t

dt

dt′= v

∂x′

∂x+∂x′

∂t

per l’accelerazione basta derivare ancora una volta rispetto a t′

d2x′

dt′2= v2 ∂

2x′

∂x2+ 2v

∂2x′

∂x∂t+∂2x′

∂t2

Essendo la velocita v arbitraria, il polinomi in v si annulla per ogni valore div solo se sono nulli tutti i coefficienti dunque tutte le derivate seconde sia nullee quindi la trasformazione cercata e lineare.

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4.2. PRINCIPIO DI RELATIVITA GALILEIANO 57

La trasformazione cercata G assume dunque la forma matriciale

G =

(

a b0 1

)

Esaminiamo separatamente l’azione dei parametri a e b. Ponendo b = 0 si hache l’azione di a e quella di dilatare o contrarre la coordinata spaziale x′ = ax

Questo sarebbe il caso se O e O′ utilizzassero unita di misura diverse per lospazio (ad esempio se O usasse le miglia nautiche e O′ i kilometri si avrebbe ilfattore di conversione a = 1.856). Assumiamo che le unita di misura siano lestesse in entrambi i sistemi di riferimento e quindi poniamo a = 1. diamo ora unsignificato fisico al parametro b. Applichiamo la trasformazione G all’origine delsistema O′ che ha coordinata x′ = 0

0 = x+ bt

da cuib = −dx/dt

ovvero il parametro b altro non e che la velocita con cui il sistema O vede muoversil’origine dell’altro sistema. In conclusione le trasformazioni cercate hanno laforma

G(v) =

(

1 −v0 1

)

dove v sta ad indicare la velocita di trascinamento con cui un sistema traslarispetto all’altro.

Il lettore puo facilmente verificare che l’insieme delle matrici G(v) formanoun gruppo commutativo. Il prodotto di due matrici del gruppo e ancora unamatrice del gruppo secondo la legge di composizione

G(v1)G(v2) = G(v1 + v2)

Questo gruppo viene chiamato gruppo di Galileo ed e il gruppo fondamen-tale di trasformazioni che lascia invariata l’accelerazione garantendo che tutti gliosservatori inerziali osservino la medesima dinamica.

Il principio di relativita galileiano si enuncia dicendo che le leggi fisiche dellanatura devono essere invarianti rispetto al gruppo di Galileo.

Si puo verificare come esercizio che qualunque forza agente tra due corpi chedipendente solo dalla distanza relativa ammette il gruppo di Galileo come gruppodi invarianza.

Le considerazioni fatte si generalizzano facilmente al caso tridimensionale(x, y, z). Se v = (vx, vy − vz) e il vettore che indica la velocita con cui O′

trasla rispetto ad O si ha

G =

1 0 0 −vx

0 1 0 −vy

0 0 1 −vz

0 0 0 1

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58 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

Ogni matrice del gruppo ha determinante positivo, det(G) = 1 cio capitaperche ci siamo ristretti al gruppo di Galileo ortocrono 1 - quello che preservala direzione di scorrimento del tempo. In sostanza non abbiamo preso in consid-erazione l’inversione temporale t′ = −t nemmeno la riflessione delle coordinatex′ = −x. Il lettore curioso dovrebbe pero domandarsi se i fenomeni che avven-gono in natura sono invarianti o no rispetto alle inversioni menzionate. La gravi-tazione newtoniana ad esempio e invariante per inversione del tempo e riflessionespaziale infatti le caratteristiche orbitali (leggi di Keplero) di due corpi gravitantiuno rispetto all’altro non cambiano se le orbite sono osservate allo specchio e se sifa scorrere il tempo all’indietro. Il periodo di rivoluzione dipende solo dal raggiodell’orbita e non dal verso di percorrenza.

4.3 Natura della luce ed Etere luminifero

La prima valutazione qualitativa circa la velocita di propagazione della luce la sideve all’astronomo danese Roemer il quale intorno al 1685 osservando i periodicianticipi e ritardi nelle occultazioni del satellite Io dietro Giove interpreto corret-tamente il fenomeno attribuendolo alla finita velocita di propagazione della luce.Le sue osservazioni combinate con la stima allora disponibile della distanza Terra-Sole gli fecere attribuire alla luce una velocita di circa 2 × 105 Km/s. Le misurepiu recenti attestano tale valore intorno a 3 × 105 Km/s. Si tratta comunquedi un valore estremamente elevato, praticamente infinito se paragonato con levelocita tipiche dei fenomeni meccanici accessibile in laboratorio. Per secoli il di-battito sulla natura della luce aveva visto due posizioni contrapposte: coloro chesostenevano che la luce era formata da corpuscoli (Newton) e chi invece conferivaalla luce una natura ondulatoria (Huyghens). C’erano in effetti ragioni speri-mentali a sostegno dell’una e dell’altra tesi. La soluzione venne quando Maxwellverso la fine del XIX sec. dimostro che i campi elettro-magnetici possono propa-garsi secondo un processo ondulatorio - cioe seguendo l’equazione delle onde - conuna velocita sorprendentemente vicina al valore c = 3 × 105 Km/s. Finalmentesi aveva la prima solida indicazione che la luce poteva essere immaginata comeuna vibrazione ondulatoria di campi elettrici e magnetici. Se la luce e un’ondaquale mezzo ne permette la propagazione? Tutte le onde fino ad allora notehanno bisogno di un mezzo che le sostenga esattamente come il suono ha bisognodell’aria. I fisici dell’800 postularono l’esistenza di un mezzo estremamente rar-efatto e cristallino (dato l’enorme valore di c ) denominato etere luminifero chepervadendo tutto l’universo consentiva alla luce di propagarsi per tutto il cosmo.

Se le cose stessero effettivamente cosı dovrebbe essere possibile osservare glieffetti dovuti al moto degli osservatori o delle sorgenti rispetto all’etere.

1Non abbiamo nemmeno considerato il caso di due sistemi O e O′ in quiete l’uno rispettoall’altro ma con gli assi relativamente ruotati. La rotazione relativa non aggiunge nulla didinamicamente rilevante semplicemente la piu generale matrice del gruppo di Galileo sara datadal prodotto di una matrice di tipo G(v) per una generica matrice ortogonale responsabiledella rotazione. Se l’angolo di rotazione cambia nel tempo allora il sistema O′ non e piuinerziale perche nascono i ben noti effetti non inerziali che si manifestano come forze apparenticentrifughe e di Coriolis

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4.3. NATURA DELLA LUCE ED ETERE LUMINIFERO 59

4.3.1 Il paradosso di De Sitter

Una buona frazione delle stelle che vediamo in cielo sono stelle doppie binarieovvero fanno parte di un sistema di due stelle in orbita una rispetto all’altra. Laluminosa stella Sirio e una di queste, intorno ad essa orbita la compagna Sirio Bnon visibile ad occhio nudo ma facile da vedere con un telescopio.

De Sitter osservo che se la composizione classica delle velocita e valida allorasotto certe condizioni una stella in orbita rispetto ad un’altra dovrebbe appariresimultaneamente in due posizioni opposte. Il suo argomento e illustrato nellafigura 4.1

T

A

B

c+v

c−v

Figure 4.1: Orbita di una stella doppia e osservatore terrestre posto in T

Detta v = ωr la velocita scalare della stella doppia lungo un orbita circolare,secondo la composizione classica delle velocita la luce emessa nel punto A viaggiaverso la terra con velocita c+ v mentre la luce emessa nel punto B con velocitac− v. Il raggio R dell’orbita e molto piu piccolo della distanza d tra la Terra e ilsistema doppio quindi i due raggi sono quasi paralleli. La differenza tra i tempidi arrivo sulla terra dei due segnali luminosi vale

∆t =π

ω+

d

c+ v− d

c− v

nell’approssimazione v << c si ottiene

∆t =T

2

(

1 − 2d

πR

v2

c2

)

dove T = 2π/ω e il periodo dell’orbita. Esiste dunque una combinazione di dis-tanza, raggio e velocita che possono anche annullare la differenza tra i tempi.Questi significa che per alcuni sistemi doppi (nemmeno tanto esotici) un osser-vatore terrestre dovrebbe vedere la stella simultaneamente in due posizioni. DeSitter si mise alla ricerca di questa bizzarra ubiquita predetta dalla cinematicaclassica ma non ne trovo traccia. I tempi non erano ancora maturi e l’argomentodi Sitter passo inosservato.

I tempi maturarono rapidamente quando verso la fine del XIX secolo il famosoesperimento di Michaelson e Morley mostro inequivocabilmente che la velocitadella luce sembra essere indipendente dalla velocita sia della sorgente sia dell’osservatore.I dettagli dell’esperimento non rientrano nell’argomento del corso qui basti men-zionare che in sostanza l’esperimento diede conferma sperimentale che la velocita

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60 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

di propagazione della luce appare la stessa in qualunque sistema di riferimentoinerziale. Un duro colpo per il principio di relativita Galileiano e per tutta ladinamica classica che su di esso si basa.

4.4 Le trasformazioni di Lorentz

L’esperimento di Michaelson e Morley porta inequivocabilmente alla conclusioneche Il gruppo G(v) di Galileo deve dunque essere sostituito da un nuovo gruppodi invarianza che rispetti due condizioni:

• Se un osservatore inerziale vede un corpo muoversi di moto rettilineo euniforme allora un qualunque altro osservatore inerziale deve assegnare allostesso corpo un moto rettilineo uniforme.

• Due osservatori inerziali devono attribuire la medesima velocita di propagazionealla stessa onda luminosa.

Il solo modo per soddisfare contemporaneamente le condizioni date e rinun-ciare al al tempo assoluto classico. Non e piu lecito assumere t′ = t.

La nuova trasformazione di coordinate cercata avra la forma

Λ(v) =

x′ = x′(x, t)t′ = t′(x, t)

Funzione della v e la velocita relativa tra un sistema e l’altro. La prima condizionee soddisfatta imponendo che la Λ sia lineare. La dimostrazione procede sulla falsariga di quanto fatto per dimostrare la linearita di G(v). Non riportiamo i contiperche si tratta di Algebra veramente noiosa! Riguardo alla seconda condizionenotiamo che se la velocita di propagazione della luce e la stessa per entrambi gliosservatori allora ciascuno deve descrivere la propagazione della medesima ondaluminosa con la stessa equazione delle onde, ognuno usando il proprio sistema dicoordinate

(

∂2

∂x2− 1

c2∂2

∂t2

)

ψ(x, t) = 0

(

∂2

∂x′2− 1

c2∂2

∂t′2

)

ψ′(x′, t′) = 0

Decidiamo di organizzare le 3 variabili spaziali x, y, z e la variabile temporalenel quadri-vettore

xµ = (ct, x, y, z) , µ = 0, 1, 2, 3

Abbiamo scelto di moltiplicare il tempo per la costante c in modo che le 4 compo-nenti del vettore siano dimensionalmente omogenee (tutte lunghezze). La compo-nente µ = 0 viene detta componente temporale, le rimanenti sono dette spaziali.In seguito si intendera sempre che gli indici greci µ, ν, ... assumono i valori 0, 1, 2, 3mentre gli indici latini i, j, ... assumono solo i valori spaziali 1, 2, 3.

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4.4. LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ 61

La trasformazione cercata in notazione matriciale ha la forma

x′µ = Λµν(v)xν

in cui utilizziamo la convenzione di Einstein intendo la sommatoria sugli indiciripetuti. Si tratta di uno stratagemma formale molto utile per scrivere le oper-azioni tra vettori e matrici. Il fatto che le quattro coordinate abbiano la stessadimensione fa si che gli elementi della matrice Λ siano quantita adimensionali.Riscriviamo l’operatore differenziale che compare nell’equazione delle onde come

(

∂/c∂t , ∂/∂x)

(

1 00 −1

)(

∂/c∂t∂/∂x

)

=∂2

∂x2− 1

c2∂2

∂t2

Il vantaggio di questa notazione e quello di presentare l’equazione delle onde comeuna forma quadratica nelle derivate parziali associata alla matrice

η =

(

1 00 −1

)

Per tanto le trasformazioni lineari che lasciano invariata l’equazione delle ondesono le trasformazioni lineari Λ che lasciano invariata la matrice η ovvero

η =t Λ · η · Λ

che equivale al sistema 2

Λ200 − Λ2

10 = 1Λ2

11 − Λ201 = 1

Λ00Λ01 − Λ10Λ11 = 0

tenendo conto della relazione fondamentale delle funzioni iperboliche

cosh2 x− sinh2 x = 1

possiamo ridurre il sistema a due sole incognite ricorrendo alla parametrizzazione

Λ00 = coshαΛ10 = sinhαΛ11 = coshβΛ01 = sinhβ

l’ultima equazione del sistema fornisce la condizione

coshα sinhβ − sinhα coshβ = 0

2Il lettore notera una certa somiglianza con le rotazioni negli spazi euclidei. Il fatto che nellospazio euclideo le rotazioni lascino invariata la distanza tra due punti si esprime dicendo che lematrici ortogonali che descrivono le rotazioni lasciano invariata la forma quadratica associataalla matrice identita 1 =t R · 1 · R.

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62 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

e tenendo conto dell’identita

sinh(x+ y) = sinhx cosh y + sinh y coshx

si hasinh(α− β)

che e soddisfatta solo se α = β la matrice cercata e dunque funzione del soloparametro reale α.

Λ =

(

coshα sinhαsinhα coshα

)

queste matrici sono definite per qualunque valore reale di α e si mostra facil-mente che formano gruppo rispetto alla moltiplicazione matriciale:

• Λ(0) = 1 (elemento neutro)

• det(Λ) = 1 ogni matrice e invertibile

• Λ(α)Λ(−α) = 1 ogni elemento ha il corrispondente inverso

Il gruppo viene chiamato Gruppo delle trasformazioni di Lorentz e rappresentatutte le trasformazioni lineari che lasciano invariata l’equazione delle onde ed eanche il gruppo di trasformazioni che connettono le coordinate di due sistemi diriferimento inerziali a sostituzione delle trasformazioni di Galileo

(

ct′

x ′

)

=

(

coshα sinhαsinhα coshα

)(

ct′

x′

)

Per trovare il legame tra il parametro α e la velocita relativa tra un sistemainerziale e l’altro notiamo che l’origine del sistema 0′ ha sempre coordinata x′ = 0mentre in O ha coordinata x = vt. Questo porta alla condizione

v coshα+ c sinhα = 0

da cuitanh(α) = −v

c

Come d’uso comune definiamo

β = v/c , γ =1

1 − β2

e manipolando ulteriormente si ottiene

cosh(α) = γ , sinhα = −γβ

Di solito la matrice e scritta nella forma

Λ =

(

γ −γβ−γβ γ

)

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4.5. ADDIZIONE RELATIVISTICA DELLE VELOCITA 63

infine le trasformazioni delle coordinate, scritte per x, t sono

x′ = γ(x− vt)t′ = γ(t− vx/c2)

Si noti che le trasformazioni di Lorentz coinvolgono la variabile spaziale x ovveroquella nella cui direzione si ha la velocita relativa tra O e O′ mentre le altre sonoinvariate.

Le trasformazioni di Lorentz coincidono con quelle galileiane nel limite c→ ∞Si noti che se v = c allora γ = ∞, di conseguenza un sistema di riferimento

inerziale non puo passare da una velocita sub-luminale v < c ad una supra-luminale perche attraverserebbe una singolarita in cui spazio e tempo diventanoinfiniti. Se ne conclude che tutti i sistemi inerziali hanno sempre velocita relativastrettamente minore di c. Si vedra in seguito che solo un corpo di massa nullapuo muoversi alla velocita c.

4.5 Addizione Relativistica delle velocita

Si consideri una particella che nel sistema 0 si muove di moto rettilineo uniformex = ut e scriviamo le trasformazioni di Lorentz per i differenziali delle coordinate

dx′ = γ(dx− vdt)dt′ = γ(dt− vdx/c2)

sostituendo dx = udt si ha

dx′

dt′= u′ =

u− v

1 − uv/c2

che rappresenta la legge di composizione relativistica delle velocita. Si noti chese u = c allora u′ = c a conferma che le trasformazioni di Lorentz sono quelletrasformazione che mantengono invariata la velocita della luce. Inoltre se c→ ∞la legge composizione si riduce all’usuale composizione galileiana.

4.6 Che fine fa l’etere?

La questione di quale sia il mezzo che permette la propagazione luminosa, nonos-tante l’invenzione delle trasformate di Lorentz, resta formalmente ancora aperta.Tuttavia osserviamo che le trasformazioni di Lorentz stabiliscono chiaramente chenon e possibile determinare il moto assoluto di una sorgente luminosa rispettoall’etere. L’etere e dunque un mezzo che, se anche esiste, non produce effetti vis-ibili. Epistemologicamente, l’etere viene consegnato dunque alla metafisica - cheper suo statuto disciplinare si occupa di enti esistenti non rilevabili - e in fisicanon se ne sentira piu parlare. Piu seriamente si puo dire che esiste un solo altromezzo che non produce altri effetti tranne quello di permettere lo spostamentodei corpi. Questo mezzo si chiama “vuoto”. L’etere diventa quindi il “vuoto ”che permette la propagazione della luce. Salutiamo affettuosamente il concettodi “etere ” e la sua storia millenaria.

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64 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

4.7 Una conseguenze sperimentalmente verifica-

bile

Si consideri una particella instabile che nel suo sistema di quiete si disintegradopo un tempo τ dall’istante della sua creazione. Si puo ad esempio immaginareun muone, una particella presente nei raggi cosmici di massa circa 200 voltequella dell’elettrone con una vita media τ ∼ 2 × 10−6s. Nel sistema O in cui laparticella e in quiete, essa“nasce” nel punto xa = (0, 0, 0, 0) e “muore” nel puntoxb = (cτ, 0, 0, 0) mentre nel sistema 0′ in moto rispetto ad 0 cioe nel sistema incui la particella viene vista muoversi con velocita v = βc, le trasformazioni diLorentz ci danno per il punto di creazione e di disintegrazione le coordinate

x′a = xa

x′b = γcτ(1, β, 0, 0)

ovvero la particella viene vista disintegrarsi dopo un tempo piu lungo rispettoa quello visto da 0 infatti γ > 1 e durante la sua vita percorre la distanzaγβcτ . Lo stesso calcolo, assumendo le trasformazioni di Galileo, porta alla con-clusione che la particella dovrebbe disintegrarsi dopo la distanza βcτ . La teo-ria classica e quella relativistica predicono distanze diverse e tali previsioni sipossono confrontare con l’esperienza. Il fatto che i muoni prodotti negli stratialti dell’atmosfera (∼ 15 km dal suolo) sono visti arrivare sulla superficie ter-restre conferma la predizione relativistica, infatti classicamente un muone anchemuovendosi alla velocita della luce (β = 1) potrebbe percorre solo una distanzapari a cτ = 600 m .

4.8 Simultaneita e causalita

Consideriamo due eventi visti da O aventi coordinate t1, x1 e t2, x2. Letrasformazioni di Lorentz danno in 0′ una distanza temporale pari a

∆t′ = γ(

∆t− v

c2δx)

Questo significa che se due eventi sono visti simultanei ∆t = 0 in un sistemadi riferimento possono in generale non essere piu simultanei in un altro sistemadi riferimento. Addirittura il segno puo cambiare quindi anche la successionetemporale, il prima e il dopo, possono cambiare da un sistema all’altro. Questosignifica che la nozione di simultaneita non ha piu significato assoluto. La cosa diper se non rappresenta un problema se i due eventi non hanno tra loro relazionedi causa e effetto. Se invece un evento e causa dell’altro e ovvio che l’ordinetemporale deve essere preservato. Ripugna alla logica immaginare di poter vedereun effetto prima di assistere alla sua causa! Ammettiamo ∆t ≥ 0, si ha anche∆t′ ≥ 0 se

∆x

∆t≤ v

cc

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4.9. DINAMICA RELATIVISTICA 65

poiche per qualunque sistema di riferimento inerziale si ha v < c segue

∆x

∆t≤ c

ovvero i due eventi possono avere tra loro relazione di causa ed effetto solo seuno e raggiungibile dall’altro con velocita minore o uguale a quella della luce.La cinematica relativistica dunque impone che sempre ci debba essere un certoritardo tra l’effetto e la causa. Le azioni istantanee a distanza, come ad esempiola gravitazione nella concezione Newtoniana, sono impossibili per la cinematicarelativistica. Le interazioni tra i corpi devono piuttosto essere immaginate comel’azione di un campo di forza propagantesi nello spazio con velocita minore ouguale a c.

4.9 Dinamica Relativistica

Le coordinate xµ rappresentano il primo quadri-vettore dello spazio-tempo 4-dimensionale che abbia fino ad ora incontrato, a partire da questo proviamo acostruirne altri. Si noti che non tutte le quaterne di numeri vanno egualmentebene ma risultano utili solo quei quadrivettori che si trasformano come le coor-dinate nel passare da un sistema inerziale ad un altro. 3

In generale per quadrivettore uµ ben formato deve aversi

u′µ = Λµνuν

Il primo vettore buono costruibile e la quadri-velocita definita come

uµ = dxµ/dτ

doveτ2 = x2

0 − x21 − x2

3 − x23 = ηµνxµxν

La quantita τ2 e chiamata tempo proprio ed e per costruzione invariante rispettoalle trasformazioni di Lorentz. Si noti che la quantita dxµ/dτ e sicuramente unbuon quadrivettore perche a denominatore contiene il differenziale delle coordi-nate che e un buon quadrivettore mentre a denominatore contiene una quan-tita invariante per trasformazioni di Lorentz. La quantita dxµ/dt non e unbuon quadrivettore perche il differenziale dt cambia da un sistema di riferimentoall’altro (dilatazione dei tempi)

Se un corpo si muove di moto rettilineo uniforme lungo x1 con velocita βcvista in un certo sistema di riferimento, il suo tempo proprio vale

dτ2 = (x20 − β2dx2

1)

3Anche nella ordinario spazio euclideo bidimensionale non tutte le coppie (x, y) sono vettoriben formati. Ad esempio il vettore velocita (vx, vy) e ben formato perche per rotazione delsistema di riferimento si trasforma come le coordinate ma un vettore a due componenti in cuila prima fosse la massa m1 di un corpo e la seconda la massa m2 di un secondo corpo, nonsarebbe un vettore ben formato perche per effetto di una rotazione delle coordinate di sicurola massa del primo resta invariata e non diventa m1 → m1cosθ − m2sinθ.

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66 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

dτ =dx0

γ

nel sistema in cui il corpo e in quiete γ = 1 e tempo ordinario x0 e tempo propriocoincidono.

La quadri-velocita vale

uµ =dxµ

dτ= γ(1, β, 0, 0)

il lettore verifichi cheηµνuµuν = 1

che per l’appunto e invariante per trasformazioni di Lorentz.Definiamo quadri-impulso il prodotto di massa per quadri-velocita

pµ = muµ

in analogia con quanto si fa in meccanica classica in cui l’impulso e definito come~p = m~v.

Se il corpo e fermo nell’origine le sue coordinate sono xµ = (ct, 0, 0, 0) e si

ha τ = ct da cui pµ = mc(1, 0, 0, 0) Lo stesso vettore guardato da un altrosistema inerziale che vede il corpo muoversi con velocita β vede quadri-vettorepµ trasformato secondo le trasformazioni di lorentz

p′µ = mc(γ, γβ, 0, 0).

Per interpretatare il significato fisico di questo vettore consideriamo il limitedi basse velocita β << 1 ed esprimiamo il termine γ tenendo il primo oridinesignificativo in β

γ = (1 − β2)−1/2 ∼ 1 + β2/2 + ...

la componente temporale moltiplicata per c diventa

cp0 = mc2 +1

2mv2 + ...

Il primo termine dello sviluppo e una costante mentre il secondo e una quantitaben nota in meccanica classica chiamata energia cinetica. ALl’ordine piu bassoin β, la componente spaziale coincide con l’impulso classico

p1 = mv

Tentativamente possiamo dare un senso fisico al quadri-impulso pµ stabilendo chela componente temporale p0 rappresenta l’energia cinetica divisa per c mentre lacomponente spaziale e la quantita di moto.

pµ = (E/c, ~p)

Si noti che la quantita ηµνpµpν e per costruzione invariante per trasformazionidi Lorentz il calcolo diretto fornisce

m2c4 = E2 − ~p2c2

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4.10. CENNI DI DINAMICA RELATIVISTICA 67

si noti che se la particella e in quiete il suo impulso e nullo ma la sua energia vale

E = mc2

Inoltre si ha

γ =E

mc2

β =pc

E

4.10 Cenni di dinamica relativistica

Il lettore potrebbe essere turbato dalla disinvoltura con cui i concetti classici dienergia e impulso sono stati estesi alla dinamica relativistica. Facciamo notareche fin qui sono state proposte solo delle definizioni. Abbiamo definito comeenergia la quantita E = γmc2 e come impulso la quantita p = γβmc. Ognuno hala liberta di definire cio che vuole come vuole semmai la bonta di una definizionesi giudica in base alla sua utilita 4. L’utilita delle definizioni qui proposte consistenel fatto che si puo dimostrare un teorema di conservazione.

Consideriamo il moto unidimensionale di una particella di massa m soggettaalla forza F La forza e definita come la variazione di quantita di moto nell’unitadi tempo

F =dp

dt

inoltre definiamo - come in meccanica classica - il lavoro come

dL = Fdx

Dalla definizione di Forza e momento abbiamo

F = m

(

dtv + γ

dv

dt

)

inoltre dalla definizione di γ si puo calcolare direttamente

dt= γ3 v

c2dv

dt

sostituendo si ha

F = mγ3 dv

dt

Si consideri ora il lavoro svolto nel corso dello spostamento dx

dL = mγ3 dv

dtdx = mγ3vdv

4Si definiscono numeri magici i numeri che sono uguali alla somma dei propri divisori. Adesempio 6 = 3 + 2 + 1 e un numero magico. Il lettore potrebbe cercare di convincere chi scriveche tale definizione e utile scoprendo soprendenti teoremi validi per tutti i numeri magici. Buonlavoro!

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68 CHAPTER 4. RELATIVITA DEL MOTO

che riespresso in termini del differenziale dγ diventa

dL = mc2dγ = dE

ovvero abbiamo dimostrato che la variazione di energia cinetica eguaglia il la-voro svolto. Risultato noto come teorema delle forze vive. Se introduciamo ilpotenziale

V (x) = −∫

Fdx

si haE + V (x) = cost

4.11 Moto sotto l’azione di una forza costante

Si noti che sia in meccanica classica sia in meccanica relativistica la forza e definitacome il tasso di variazione della quantita di moto

F =dp

dt

la differenza tra le due nasce quando si prova a esprimere la forza in funzionedella accelerazione. La meccanica relativistica trova (nel caso unidimensionale)

F = mγ3 dv

dt

la meccanica classica si ritrova facendo il limite

limc→∞

F = ma

che e la ben nota “lex secunda” di Newton.Come esempio discutiano il moto di un corpo di massa m sotto l’azione di una

forza costante F con le condizioni iniziali x(0) = 0 e x(0) = 0. Conviene risolvereil problema del moto utilizzando la conservazione dell’energia. L’energia totale sicalcola immediatamente al tempo t = 0 quando il corpo e fermo nell’origine doveL’energia cinetica relativistica vale mc2 mentre l’energia potenziale V (x) = −Fxnell’origine e nulla. La conservazione dell’energia implica

mc2γ − Fx = mc2

dividiamo ambo i membri per mc2

γ = 1 +x

l, l =

mc2

F

introduciamo la variabile ausiliaria

y = 1 +x

l, x = ly

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4.11. MOTO SOTTO L’AZIONE DI UNA FORZA COSTANTE 69

da cui1

γ2= 1 − l2

c2y2 =

1

y2

separando i differenziali si ha

ydy√

y2 − 1=c

ldt

che integriamo tenendo conto che y(0) = 1

y2 − 1 =ct

l

ripristinando la variabile x si ottiene

x =mc2

F

(√

1 +F 2t2

m2c2− 1

)

derivando si ottiene la velocita in funzione del tempo che scriviamo in terminidella accelerazione a = F/m

dx

dt=

at√

1 + a2t2

c2

che mostra una dipendenza monotona crescente dal tempo ma con il limite

limt→∞

dx

dt= c

che ripropone il gia noto risultato della insuperabilita della velocita della luce.Nel limite c→ ∞ si ha il comportamento asintotico

x =mc2

F

[(

1 +1

2

F 2t2

m2c2

)

− 1

]

da cui si ottiene il noto risultato classico

x =1

2at2