architetti napoletani 3 - novembre 2000

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architetti napoletani rivista bimestrale dell’ordine degli architetti di napoli e provincia 3 novembre 2000

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rivista ordine architetti ppc di napoli e provincia

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Page 1: architetti napoletani 3 - novembre 2000

architettinapoletanirivista bimestrale dell’ordine degli architetti di napoli e provincia

3novembre 2000

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numero 3 · novembre 2000

editoreConsiglio dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

Paolo Pisciotta presidente

Francesco Bocchino vice presidentiBeatrice MelisGennaro Polichetti segretarioPasquale De Masi tesoriereFrancesco Cassano consiglieriGerardo CennamoVincenzo CorvinoPio CrispinoErmelinda Di PorzioFabrizio Mangoni di S. StefanoFulvio RicciAntonella PalmieriOnorato VisoneAntonio Zehender

direttore responsabilePaolo Pisciotta

direttore editorialeVincenzo Corvino

responsabile di redazioneGerardo M. Cennamo

comitato editorialePasquale De MasiErmelinda Di PorzioFabrizio Mangoni di S. StefanoAntonella PalmieriGiancarlo Smith

redazioneAntonio Acierno, Giuseppe Albanese, Antonio Ariano,Alba Cappellieri, Giovanna di Dio Cerchia,Claudio Correale, Marco De Angelis, Carmen Del Grosso,Luca Lanini, Giulia Morrica, Aldo Micillo,Mariarosaria Pireneo, Marcello Pisani, Adelaide Pugliese,Francesco Scardaccione, Roberto Vanacore

direzione e redazioneOrdine degli Architetti di Napoli e Provinciavia Medina, 63tel. 081.552.45.50 · 552.46.09fax 081.551.94.86http://www.na.archiworld.ite-mail: [email protected]

servizio editoriale e pubblicitàEidos s.a.s.via Napoli, 201 Castellammare di Stabia Napolitel./fax 081.8721910e mail: [email protected]

stampaGrafiche SommaGragnano Napoli

progetto graficoMichele EspositoCarlo Buonerba

foto diGiuseppe Albanese 6, 23Sonia Bruno 14, 15Peppe Maisto 8, 21Lucio Morrica 16, 17, 18Ufficio Enel 19

Registrazione Trib. di Napoli n°5129 del 28/04/2000

distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’albodi Napoli e Provincia, ai Consigli degli Ordini Provincialidegli Architetti e degli Ingegneri d’Italia,ai Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri,agli Enti e Amministrazioni interessate

spedizione in abb. postale45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96-filiale di Napoli

Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autoree non impegnano il Consiglio dell’Ordine né laredazione della Rivista.Di questo numero sono state stampate n° 7.000 copie

Chiuso in tipografia il 20/11/2000

rivista bimestrale dell’ordine degli architetti di napoli e provinciaarchitettinapoletani

in questo numero:

quale futuro per il nostro paesaggio? 6giuseppe albanese, luca lanini, francesco scardaccione

editorialeun paesaggio di paesaggi 7

franco purini

argomentiordine arboreo e ordine urbano 9

vittoria calzolari

alta velocità:una “sistemazione a verde” nel Mugello 13

sonia bruno

recupero ambientale delle cave in Campania 16lucio morrica

sostegni per l’ambiente 19fulvia fazio

lungo la Strada degli Americani 20fabrizia ippolito

la nuova cultura della sottrazione 22mario fazio

trasfromare le necessità in desideri 24sandro raffone

calendariomostrealba cappellieri 26

in copertinalucio morrica, cava di pietra vesuviana a cielo aperto

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quale futuro per il nostro paesaggio?Giuseppe Albanese, Luca Lanini, Francesco Scardaccione*

Con il termine paesaggio si è intesa la costruzione culturale dell’ambiente che agisce alle sue variescale: da quella territoriale a quella minuta del disegno degli arredi della città.All’inizio del nuovo secolo, in Italia, a qualsiasi scala il risultato appare desolante.Oltre cinquant’anni di colpevole incuria e brutale manomissione hanno compromesso in maniera quasiirreparabile sia i caratteri originari sia le possibilità di sviluppo sostenibile del nostro ambiente.Le condizioni attuali pongono con forza l’esigenza di intervenire, da una parte col recupero, e dal-l’altra, operando con maggiore sensibilità verso la QUALITA’ architettonica. Aspirazione raggiungi-bile, innanzitutto con lo strumento del concorso di progettazione che, come dimostrano alcunerecenti esperienze in Italia, può essere applicato a tutte le scale ed elementi della composizione delpaesaggio.Nel curare questo numero della rivista, abbiamo voluto evidenziare alcuni strumenti interpretativi edar voce ad alcune posizioni culturali operanti nel paese.

* architetti napoletani

Programma di riqualificazione urbana del quartiere Scampia a Napoli: …un’altra occasione perduta !!!

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Il paesaggio è un’entità metamorfica. Esso vive evivendo cambia, evolvendo verso configurazioni di-verse, a volte con continuità, a volte con mutamentiimprovvisi. Quella di paesaggio è inoltre una no-zione dall’incerta natura. Essa può infatti designa-re sia regioni del mondo nelle quali l’interventoumano è scarso, se non assente, come avvienead esempio per gli scenari più estremi delle Alpi,per le gelate distese dei ghiacciai che attraversa-no la Terra del Fuoco e per tutti i deserti del mon-do, sia parti del territorio quasi modellate del tuttodall’azione antropica. L’Olanda non ha praticamen-te alcunché di naturale, e il suo paesaggio è unacreazione integrale, a partire dallo stesso suolo. Inrealtà anche nel primo caso il paesaggio viene con-siderato tale solo attraverso una sorta di progettodi riconoscimento, ovvero di attribuzione di sensoestetico a qualcosa che solo a posteriori viene chia-mato a far parte di un sistema di elementi costruitosu valori artificiali: in ogni caso l’oscillazione del-l’idea di paesaggio tra l’assenza totale dell’inter-vento umano e la sua massima estensione non fache confermare l’impossibilità di costringere que-sta stessa idea in definizioni troppo precise. Le dif-ficoltà di separare nel paesaggio il ruolo dell’artifi-cio da quello della natura ha ovviamente un pesoconsiderevole nel rendere quanto mai arduo sta-bilire criteri progettuali certi, restando qualsiasiazione su di esso ampiamente congetturale. Il pa-esaggio è poi un’entità ambigua. Esso è una real-tà fisica ed insieme il risultato di una complessarappresentazione estetica, una costruzione paral-lela di significati e contenuti artistici la quale, apartire da scritti, poesie, dipinti e mitologie orali,crea un doppio immateriale del paesaggio reale. Ilprocesso di definizione di questa replica ideale diun sistema di segni terrestri è del tutto particolare.Il paesaggio si struttura per fasi progressive, sullabase di esigenze primarie. Prevalgono a lungomotivazioni insediative e produttive fino a che, percosì dire, il paesaggio prende coscienza di sé con-statando di possedere una forma compiuta, unasua bellezza. Da allora in poi ha inizio quella co-struzione parallela di significati e contenuti artisticicui si è fatto riferimento. Ovviamente tale immagi-ne non si definisce tutta in una volta, ma raggiun-ge una sua completezza attraverso una serie suc-cessive di fasi. Una volta formato, questo simula-cro tende a non modificarsi più, opponendo in qual-che modo la sua assolutezza iconica al paesaggioreale, che è invece sottoposto a continue modifi-cazioni. Si determina così un contrasto a volte in-superabile. A livello culturale si ritiene che un certopaesaggio pervenuto a un alto livello estetico – ilpaesaggio toscano, tanto per citare uno scenarioambientale giustamente famoso – debba conser-varsi autoproducendo costantemente il propriomodello, ma tale volontà si scontra con l’impossi-

un paesaggio di paesaggiFranco Purini

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bilità che le attività che nel tempo hanno costruitostrutturalmente quel particolare paesaggio possa-no proseguire. Conservare significa allora non tantoconfermare un particolare paesaggio così come ciè pervenuto, ma far sì che esso possa creare altreconfigurazioni dotate della stessa potenzialità este-tica, legate alla prima da una relazione di necessi-tà analogica. Occorre allora procedere verso unacomprensione più articolata e dialettica del pae-saggio, - per Bruno Zevi la più avanzata anticipa-zione del nuovo - una visione intrinsecamente pro-gettuale nella quale le relazioni tra il sito originarioe le trasformazioni indotte dall’uomo nel tempo si-ano considerate come fattori dinamici, volti a sta-bilire mobili soglie qualitative. Da questo punto divista conservare o restaurare un paesaggio nonsignificherà più arrestare l’ibrido ciclo biologico/estetico che lo ha formato, ma avviarlo verso nuo-ve forme dotate della stessa intensità figurativa.Tranne il caso di particolari parchi e giardini stori-ci, di visuali eccezionali e di ambienti costruiti dalcarattere formale talmente unitario da assimilarli aun unico manufatto, ogni altro paesaggio dovràquindi essere accompagnato, con il massimo del-le conoscenze e con ogni cautela previsionale,verso evoluzioni il più possibile libere, anche seorientate alla generazione di un’ulteriore bellezza.In questo quadro sarà necessario approfondire congrande accuratezza il rapporto tra ciò che un pae-saggio trasporta con sé come una sorta di resi-duo, seppure pregevole, e quei segni/materiali chepiù o meno esplicitamente esso rinnova dal pro-prio interno. Si dovrà ricorrere sempre di più allademolizione, ma senza la deriva mediatica e la pro-vocarietà pedagogica dispiegata nel caso delleVele di Secondigliano; sarà necessario risarcireelementi e segni compromessi o alterati; altre par-ti, rimosse, andranno ricostruite. Particolare atten-zione andrà rivolta all’essere il territorio anche unhardware il cui funzionamento, quando non ade-guatamente controllato, può essere molto perico-loso per chi lo abita. In poche parole si tratta diaffidare la permanenza di un paesaggio non tantoalla continua ricostruzione di una sua fase ritenutamatura ma, una volta decifrata la sua memoria ge-netica, far sì che essa si esprima in forme che sia-no compatibili con ogni singolo momento della suaesistenza.Purtroppo una linea aperta e sperimentale comequella appena esposta non trova nel paese unapprezzabile ascolto. In larga misura prevalgonoinfatti impostazioni ispirate a una concezione esclu-siva del paesaggio, una concezione più estetiz-zante che estetica. Ne sono evidenti prove sia ilrecente convegno promosso da Giovanna Melan-dri, dal quale è stata esclusa del tutto la presenzadel progetto, sia le posizioni di coloro tra i qualiMario Fazio, - autore di un recente pamphlet, pie-

Franco Puriniè nato a Isola del Liri

nel 1941.Nel 1966 costituisce

lo studio Purini/Thermescon Laura Thermes.

Partecipa a numerosiconcorsi nazionalied internazionali,

a numerose edizionidella Biennale di Venezia,

quelle di Cracovia e Cordoba,varie Triennali di Milano.

Tra le opere realizzatericordiamo la casa

del farmacista, le tre piazzee casa Pirrello a Gibellina,

un complessoper abitazioni a basso costo

a Napoli e la cappelladi S. Antonio a Padova.E’ attualmente ordinario

presso lo IUAVdi Venezia.

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no delle cose che un pubblico genericamente re-sponsabilizzato verso il paesaggio e la città vuolesentirsi dire - Pierluigi Cervellati e Vezio De Lucia.Quest’ultimo, a dire il vero, più consapevole dellanecessità che il progetto continui a pronunciarsisull’esistente, ma pur sempre troppo prigioniero diuna astratta prevenzione verso i rischi insiti in ogniscelta trasformativa che non sia garantita dal rifa-cimento dell’esistente stesso. Personalità, questitre rappresentanti del fronte protezionista, che al-l’interno di una sorta di colta nostalgia oppongonola bellezza della cultura preindustriale agli errori/orrori della contemporaneità, senza porsi ancora ilproblema di come ricreare la bellezza del nostrotempo, - il tempo della velocità, della distrazione edel frammento, - nel paesaggio attuale e nelle cit-tà che lo abitano. Mario Fazio, Pierluigi Cervellatie Vezio De Lucia, ma anche molti altri con loro,credono in sostanza che la bellezza sia qualcosadi incompatibile con ciò che può essere prodottonel presente, nella convinzione che essa consistain un fatto testimoniale, in una preziosa rovina este-tica, in una realtà in fondo perduta di cui si puòcontemplare solo l’immobilizzata effige. Al contra-rio la bellezza del paesaggio sembra darsi come

una sorta di instabile natività permanente, comeun avvicendarsi di adattamenti che è di per sé por-tatore di contenuti leggibili secondo i modi dell’arte.Queste posizioni conservatrici, che ottengono ungrande credito nella stampa, affiancate dall’elitariadistanza dalla realtà attuale di cui sono portatorinelle Facoltà di Architettura e nel mondo profes-sionale pressoché tutti gli architetti del paesaggio,ancora intrisi dai raffinati umori distillati in tempoormai remoti della aristocratica arte dei giardini,stanno contribuendo in larga misura all’emargina-zione della cultura progettuale italiana dal conte-sto internazionale. Un contesto pervaso, al contra-rio del nostro, da un forte spirito innovativo, capa-ce di sperimentazioni tanto audaci quanto medita-te. Anche se l’ingannevole slogan che vede l’Italiadetenere la maggior parte del patrimonio artisticodell’umanità può motivare nella penisola una certainterdizione verso tutto ciò che crea differenze evariazioni rispetto a immagini conosciute, ogni at-teggiamento di chiusura più o meno esplicita neiconfronti di iniziative trasformative paragonabili alledifficoltà tematiche del paesaggio italiano - un pae-saggio di paesaggi - non può che risultare a brevetermine più che dannoso letteralmente distruttivo.

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ordine arboreo e ordine urbanoVittoria Calzolari

Vittoria Calzolarilaureata in architetturaall’Università di Roma,

Master in CityPlanning all’Università

di Harvard, USA, e Ordinariodi Progettazione del Territorio

presso la Facoltàdi Architettura dell’Università

“La Sapienza” di Roma- ha promosso e diretto

presso la stessa Universitàil “Corso di Perfezionamento

in Progettazione Paesisticae Ambientale” (1989-1997) e

la “Scuola diSpecializzazione in

Progettazione del Paesaggio”(1997-1999). Tra le principaliesperienze di progettazione:

il progetto per il Parcodell’Appia Antica

a Roma (1976 e 1984),i giardini e parchi realizzati

per il Comune di Napoli(1981-’86), il Piano

del sistema del verde edelle attrezzature sociali

di Brescia ((1986-’89),il Piano per il territorio

agricolo e per il sistemadel verde di Siena (1988-’90),

il Progetto del Parcodel fiume Imera a Palermo

(1990), il progetto del Parcoambientale e Termale

tra Tivoli e Roma(con M.Ghio, 1994),lo studio preliminare

al progetto di un sistemadi parchi per il

Comune di Roma (incarico diRoma-Natura, 1998-’99).

Alberi, sistemi verdi e cittàA Roma, in un pomeriggio di marzo, gelido, vento-so e chiaro, ripercorrevo in macchina per l’ennesi-ma volta una sequenza di strade ben note: Via deiFori, l’aggiramento del Colosseo, Via di S. Gregorio,V. Guido Baccelli, l’uscita dalle Mura Aureliane sullaVia Cristoforo Colombo.Si ritrovano sempre, in questo percorso, alcunicomplessi arborei o alberi isolati emergenti: il gran-de pino inclinato sostenuto da tiranti sul terrapienoattorno al Colosseo, l’albero di Giuda, allora fiori-to, sotto il Palatino a fianco del portale su Via di S.Gregorio (il più bello come forma, se non il più gran-de, Cercis Siliquastrum esistente a Roma); e poile masse di lecci e pini della Passeggiata Archeo-logica e i filari di cipressi di Via G. Baccelli.Ma in quella particolare occasione, forse per laqualità della stagione e della luce o forse perchéavevo in mente gli argomenti di questo scritto, leimmagini e i giudizi sulle presenze vegetali si sonomoltiplicati e articolati. Ho notato come immaginipositive le piantagioni regolari di alcuni orti e il di-segno classico di un giardino al di là di una recin-zione; mentre un insieme inusuale di canne, acericampestri, fichi e pruni selvatici fioriti sulla scarpa-ta a ridosso della porta Ardeatina testimoniava cheal di là delle mura, nel territorio dell’Appia Antica,esistono ancora tratti di autentica campagna.A parte queste ed alcune altre immagini positive,per il resto appena fuori dalle mura colpiva il gran-de disordine che impregnava il verde e gli spaziliberi non pavimentati di Roma, così come il costrui-to e le strade: disordine nella casualità delle speciarboree, nelle loro collocazioni e associazioni, neldegrado da smog e da potature incongrue, neldisseccamento delle zone a prato.Un albero in questa situazione rischia di apparirequasi altrettanto poco vitale e intruso quanto unpalo di cemento o un cartellone pubblicitario.Questo disordine apparentemente epidermico ecasuale ha in realtà motivazioni profonde. Tra que-ste sono:- la mancanza di attenzione, all’atto delle trasfor-

mazioni di siti più o meno vasti in luoghi ur-banizzati, alle loro qualità e potenzialità natu-rali: si perdono così risorse preziose – acquesorgive o correnti, terreni fertili, alberature esi-stenti o potenziali – e si sprecano occasioni perqualificare anche formalmente le nuove strut-ture urbane;

- la mancanza di un progetto complessivo chepreveda fin dall’inizio il rapporto verde-costrui-to: e questo vale per la creazione dei grandiparchi come per le opere in cui il verde si deveintegrare con il costruito e per il disegno di stra-de e viali: questi non sembrano pensati per ac-cogliere alberi ma semmai caricature d’alberi;

- le molteplici insufficienze nella attuazione e

gestione degli spazi aperti urbani da parte deinumerosi responsabili coinvolti: tra queste sonola generale mancanza di coordinamento, la nonpredisposizione di spazi sotterranei o in super-ficie per cavi e cabine elettriche – con la conse-guente continua aggressione alle radici deglialberi – i metodi assurdi di potatura.

Queste considerazioni valgono per la situazio-ne romana ma anche per molte altre città italia-ne dove a una struttura amministrativa, per altriaspetti molto meglio funzionante, corrispondeuna debolissima struttura responsabile della pia-nificazione e gestione del verde. Certo non è cosìin tutte le città italiane e certo negli ultimi 10-15anni c’è stato un intensificarsi di pubblicazioni,studi, progetti (molto meno di realizzazioni) chehanno in qualche modo coinvolto anche le pub-bliche amministrazioni.Resta il fatto che le iniziative che da esse proma-nano sono spesso più il risultato dell’attività di qual-che tenace e appassionato tecnico o amministra-tore o gruppo ambientalista che non l’espressionedi una linea politica duratura.Da ciò discende il fatto che nelle città italiane nonè stata prodotta negli ultimi 30-40 anni quasi nes-suna sistemazione verde che abbia una reale di-gnità urbana.

Pini sul terrazzo fluviale a Grottarossa.

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A Roma, dopo il complesso di interventi di Raffae-le De Vico e di Maria Teresa Parpagliolo, prima eall’epoca delle Olimpiadi del 1960, c’è una grandevuoto: e un avvenimento quale quello dei GiochiMondiali di Calcio del 1990 – che normalmentediventa l’occasione per grandi sistemazioni a ver-de nelle città – ha portato solo a qualche alberatu-ra di piazze e, per contro, all’occultamento del pro-filo delle colline di M. Mario con la contestatissimasovrastruttura dello stadio Olimpico.Negli ultimi otto anni, con la nuova amministra-zione e la creazione di un Dipartimento per lepolitiche Ambientali, e grazie anche ai fondi co-spicui destinati ai programmi di Roma Capitalee del Giubileo 2000, sono state realizzate nu-merose opere di creazione e riqualificazione delverde. Molte riguardano la risistemazione e il re-stauro di ville e giardini storici, come Villa Bor-ghese, Villa Torlonia, Villa Ada.Tra le grandi operazioni di acquisizione alla pro-prietà e all’uso pubblico e sistemazione paesisticae archeologica è quella relativa alla Valle dellaCaffarella, nell’ambito del Parco dell’Appia Antica.Tra le operazioni di sistemazione a verde urbanosono quelle relative alle piazze-giardino e ai nuovigiardini soprattutto nella periferia.Il limite di un programma per molti aspetti impor-tante è la mancanza di un suo inserimento in unprogetto di sistema degli spazi liberi esteso ad unambito comunale e sovracomunale coerente sottoil profilo storico-ambientale e paesistico.

Quantità e qualitàSpesso si attribuisce al periodo razionalista la re-sponsabilità di avere indebolito la capacità proget-tuale nel settore del verde, così come nel settoredei quartieri e delle città, orientando gli interessidei committenti e dei tecnici più verso problemi difunzionalità e di standards quantitativi che verso iproblemi della qualità e della identità formale.Questa tesi sembra piuttosto semplicistica se siconfronta con gli scritti dei teorici del razionalismoe con le vicende di altri paesi europei più o menotoccati dalla cultura razionalista.In un testo curato nel 1942 da L. Sert, che rias-sume il pensiero e i dettami di cinque congressie dieci incontri del C.I.A.M., mentre si indicanoin modo preciso e articolato la quantità e i tipi dispazi liberi e di attrezzature necessari a soddi-sfare le esigenze ricreative delle diverse com-ponenti di una collettività, si sottolinea come siaimpossibile misurare i bisogni di spazio liberosoltanto in ettari e dare formule generalmentevalide: lo vietano la varietà delle situazioni geo-grafiche, ambientali sociali. E si propone l’ideadi un sistema di spazi verdi, interni alle città,variati e collegati tra loro e ai grandi parchi pe-riurbani ed esterni da reti di strade-parco.

L’idea della park-way aveva già affascinato LeCorbusier come strumento di liberazione dal caosdel traffico, capace di introdurre lunghi nastri dinatura nella città.D’altra parte, a testimoniare che probabilmente icattivi influssi del razionalismo – che indubbiamentein alcuni campi ci sono stati – hanno penalizzatosoprattutto i paesi dove questo periodo è stato piùmarginalmente e tardivamente vissuto, sta il fattoche i paesi in cui le esperienze sono state portatepiù a fondo (Germania, Olanda) sono anche quellidove la nuova cultura del verde ha raggiunto unamaturazione più completa.Ovvero questo è accaduto nei paesi – come l’In-ghilterra – dove nel dopoguerra si riscopre unasostanziale continuità tra la cultura paesisticaelaborata nei due secoli precedenti e la suareinterpretazione e innovazione nella progettazio-ne del sistema degli spazi liberi delle grandi e pic-cole, vecchie e nuove città.Il Greater London Plan di Patrick Abercrombie –elaborato durante la guerra e pubblicato nel 1945,subito dopo il libro citato di L. Sert – prefigura perLondra una struttura degli spazi liberi naturali dieccezionale ricchezza: vi sono presenti le “grandibellezze sceniche” e i paesaggi agrari delle “enclo-sures”, i parchi storici, i paesaggi dei corsi d’ac-qua, delle zone umide, delle foreste e praterie, cosìcome i “greens” per giochi liberi, i play-groundsper bambini e i terreni sportivi, i giardini di risposoe le “squares” alberate, come pause nel tessutocostruito; e poi le interconnessioni delle strade-parco e dei percorsi per pedoni, biciclette, cavalli.Già nel piano di Abercrombie si prevede la reinte-grazione nel sistema naturalistico-paesistico-ricre-ativo di grandi aree di potenziale qualità, ma forte-mente degradate, quali la vallata del Fiume Lee.“Di tutti questi elementi – dice Abercrombie dopoaver ricordato che comunque il primo fattore nellapianificazione degli spazi liberi è l’adeguatezzadella superficie in rapporto alla popolazione e agliusi – deve tenere conto il pianificatore sistematico

Giardini, filari d’alberi, vigne, orti a Villa Montalto all’Esquilino,nella “Grande Pianta di Roma” di G.B. Nolli, del 1748.

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del sistema dei parchi”... In questo sistema “il Fiu-me Tamigi è il grande impositore della curva dibellezza della natura”.Altra vicenda è quella di Barcellona molto nota, mol-to studiata, recente ed eccezionalmente unitaria,in quanto sviluppatasi nell’arco di un decennio.Qui, dopo i progetti per l’organizzazione funziona-le degli spazi liberi del “Gruppo di Artisti e TecniciCatalani” proposti con la collaborazione di Le Cor-busier negli anni ’30, e dopo il vuoto del periodofranchista, il tema della qualità degli spazi liberi èal centro dei programmi di riqualificazione urbanadegli anni ’80.Nei grandi parchi (versante da Ponente di Montjuic)come nei parchi lineari (Fronte marittimo), nei rein-tegrati assi civici (Avenida M. Cristina) e nelle si-stemazioni delle piazze, la riconquista dei paesagginaturali ai margini della città, il recupero dei vuotiin un tessuto estremamente denso, la selezione ecomposizione dell’elemento vegetale e delle ac-que diventano fattori primari del progetto urbano.I casi citati vengono proposti come esempi – tra imolti altri possibili – di esiti perseguiti per la con-servazione e costruzione di un sistema verde, indiverse condizioni ambientali, culturali e urbane esecondo diversi modi di operare: in essi credo siastato ottenuto, più o meno compiutamente, quelloche viene di seguito indicato come ordine arboreo.

Ordine arboreo come principio di ordine urbanoL’ordine arboreo, nella definizione che qui ne vie-ne data, è il risultato percepibile e attivamente ope-rante della interpretazione del rapporto tra struttu-ra ambientale e struttura storica, secondo alcuniprincipi e finalità.Il termine ordine include sia il concetto di risultatoraggiunto che quello di capacità ordinatrice, quindidi intento progettuale.Il termine arboreo viene prescelto rispetto ad altripossibili termini più generali – quale ad esempio“naturale” – non solo come parte per il tutto maanche come sintesi di ciò che delle manifestazionidel sistema ambientale nelle città viene colto conpiù immediatezza da gran parte dei cittadini e ten-de ad assumere valore di simbolo.In realtà l’ordine arboreo, così inteso, coinvolge l’in-tero contesto vegetale, fino ai suoi elementi piùminuti e meno appariscenti; né è possibile prescin-dere dal complesso di correlazioni esistenti travegetazione, acque, suolo, clima. Né si può sepa-rare ciò che, nelle presenze vegetali in una città,esiste ancora di spontaneo e naturale da quanto èprogettato, impiantato e fatto crescere dall’uomo.La comprensione dei principi e delle regole dell’or-dine arboreo e dell’ordine naturale è indispensa-bile sia per operare nel campo specifico delle si-stemazioni a verde che per acquisire degli stru-menti utili al progetto del sistema degli spazi liberi,

nella ipotesi che questo possa essere assuntocome elemento primario di organizzazione dellacittà e del suo territorio.Questo intento comporta necessariamente la mes-sa a punto di criteri e categorie di giudizio finaliz-zati alla progettazione oltre che alla valutazione.E si sperimenta in tal caso come il ricercare i prin-cipi ordinatori di un sistema naturale – o parzial-mente naturale – sia insieme più semplice e piùcomplesso del ricercare i principi ordinatori di unsistema artificiale costruito. Appare più semplicein quanto ogni elemento fisico-naturalistico ha insé alcune leggi di organizzazione interna, cui cor-risponde un ordine formale; è più complesso, eanche più rischioso, in quanto è più forte la tenta-zione di trovare nell’equilibrio ecologico di un in-sieme o nella bellezza intrinseca di singoli oggetti(albero, foglia o roccia) le motivazioni di un giudi-zio estetico positivo: è sempre immanente l’assio-ma “utile uguale bello”.La correlazione tra equilibrio e armonia di tipo eco-logico ed equilibrio e armonia della forma e del-l’immagine spesso si verifica: ma il passaggio nonè immediato né garantito, né soprattutto dà di persé gli strumenti di progettazione.

Sistema storico-ambientale e progetto del si-stema per spazi liberi dell’area romanaSu questi temi stiamo lavorando da anni in unaricerca universitaria recentemente pubblicata conil titolo: “Storia e natura come sistema: un progettoper il territorio libero dell’area Romana” riguardan-te le risorse storico-ambientali e il progetto del siste-ma degli spazi liberi di Roma e del suo territorio.L’ipotesi di fondo da cui muoviamo è appunto chele risorse di carattere fisico-naturalistico e le risor-se ed i caratteri storici, considerati come sistemi enella loro reciproca interrelazione, siano da assu-mere come elemento primario, prioritario ed ordina-tore nella riorganizzazione fisica, funzionale e for-male del territorio antropizzato.Questa ipotesi – nel suo riferimento a Roma – cadein una fase della storia urbanistica della città in cui,

Masse arboree sempreverdi e architetture a Monte Mario.

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per dare una risposta alla precisa richiesta dellalegge n. 142/1990 sulle Autonomie locali, si sonorinnovate le proposte tendenti a risolvere l’annosaquestione dell’area metropolitana romana e deisuoi limiti. Parallelamente l’Amministrazione Co-munale di Roma sta sviluppando il nuovo PianoRegolatore Generale, con l’impegno di assumerecome tema di fondo quello delle risorse ambien-tali e storiche.Il nostro studio tende quindi anche a verificarein che misura, nel caso di Roma, la struttura sto-rico-ambientale possa essere assunta come cri-terio-guida per la delimitazione di un ambito co-erente e come principio per il suo piano diretto-re e sistema verde.Una particolare attenzione viene data, nello stu-dio, all’elemento acqua in quanto si riconosce comequasi ogni manifestazione vitale, ogni attività e for-ma sia in modo più o meno diretto condizionatadal sistema delle acque, meteoriche, correnti,sorgive. Per Roma in particolare la ricchezza delleacque che discendono dalla corona dei rilievi checircondano la città, scorrono lungo la valle del Te-vere, emergono dalle molte sorgenti, è stata unadelle ragioni dello sviluppo della città e della suagrandiosità architettonica e urbana: acquedotti eterme; piazze e corti con fontane; ville e parchi conbacini, cascate, catene d’acqua.Il sistema dell’acqua è stato il filo conduttore piùcostante del nostro studio. Ha innanzi tutto guida-to la perimetrazione dell’ambito assunto come“area romana”: esso corrisponde alla parte di ba-cino idro-orografico del Tevere, definito dai crinalidei rilievi che circondano la piana di Roma, dalla“porta” che essi determinano sulla valle del Teveree della linea di costa. Verso il mare il limite fisicodel bacino coincide con il terrazzamento dell’anti-ca linea costiera; e tuttavia la fascia tra questa el’acqua non può non essere considerata comeparte integrante del territorio romano ed è perciòinclusa nell’area di studio.Per l’ambito così definito – che costituisce il ba-cino idro-orografico di Roma – si è sviluppatauna ricerca e una proposta in cui terre, acque,boschi, campagne, parchi, costruzioni e luoghistorici, percorsi, tendono ad essere visti nellaloro interrelazione e integrazione come parti diun’unica struttura e di un progetto unitario: taleconcetto vale sia per il progetto di conservazio-ne del paesaggio storico che per il progetto dicreazione di nuovi paesaggi. Questo obiettivo èstrettamente connesso a quello di definire para-metri utili a progettare un sistema di spazi liberiefficiente sotto il profilo ambientale, soddisfacen-te come risposta alle richieste degli abitanti ecome qualità e identità degli spazi.

Lo studio si articola su due livelli:- quello relativo all’area romana nel suo insieme,

delimitata come bacino idro-orografico di Roma;- quello relativo alle parti di territorio caratteriz-

zate dall’intreccio di particolari caratteri fisico-naturalistici e storico-paesistici come luoghiidentificabili e come temi di progettazione ri-correnti.

Per il primo livello valgono come criteri –guida so-prattutto i grandi principi strutturali legati alla storiageologica e naturale del territorio: pensiamo, nelcaso di Roma, alle connotazioni derivanti dallastruttura vulcanica e dalle sue potenzialità di crea-re suoli fertili e boscati, o al reticolo idrografico delTevere, dell’Aniene e dei loro pur modesti affluen-ti: con la diversa forma e copertura vegetale dellevalli aperte e dei canaloni incisi nel suolo. Il siste-ma delle acque imprime ovunque diversi caratteripaesistici e crea diverse potenzialità nella cinturadi spazi liberi che ancora può costituire l’anello ela penetrazione verde intorno e dentro la città. Aigrandi principi fisico-naturalistici si intrecciano igrandi lineamenti storici, come ad esempio quellicreati in ogni epoca e società dal rapporto tra lacollocazione e forma del reticolo stradale, la topo-grafia e la natura del suolo, gli accessi, le visuali.Per il secondo livello occorre ricercare e creare del-le regole più minute: queste in parte discendonodai principi generali del primo livello, ma richiedo-no anche la elaborazione di una sintassi, costruitaattraverso l’identificazione dell’incrocio tra le sin-golarità e le ricorrenze, che possa diventare guidanella elaborazione progettuale.Tra i temi emersi nello studio è ad esempio quellodelle emergenze morfologiche, che sono state nellastoria di Roma sedi di insediamenti, di opere diarchitettura e di sistemazioni paesistiche partico-lari – Monte Mario o il Gianicolo ne sono esempi –e che costituiscono oggi importanti riferimenti e luo-ghi da recuperare ristabilendo affacci e connes-sioni da e verso la città. Altro tema è quello dellegrandi direttrici storiche e archeologiche – le vieConsolari in primo luogo e i complessi archeologicidell’Appia Antica, di Veio, di Ostia Antica. Ovveroquello del rapporto tra gli spazi liberi interni ai quar-tieri delle nuove periferie e le zone marginali al loroesterno, che sono a volte tratti di campagna anco-ra quasi integri.In questo contesto anche l’ordine arboreo, nel suosignificato più specifico e percepibile di selezio-ne, associazione, organizzazione del mondo ve-getale nella città, può essere regolato e sollecita-to da criteri più certi. Può includere una gammapiù numerosa, ma al contempo meno casuale diessenze: può divenire l’immagine del buon rap-porto tra città e natura.

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alta velocità:una “sistemazione a verde” nel MugelloSonia Bruno*

Dalla metà degli anni Ottanta siè cominciato a parlare, in termi-ni di fattibilità, del “Sistema Ita-liano Alta Velocità” specializzatoper gli Etr 500, mentre erano incorso di completamento i lavoridella ferrovia direttissima Roma-Firenze iniziati negli anni ’70, pri-ma iniziativa nelle linee europeead Alta Velocità. Contemporane-amente in Europa la rete ferro-viaria ad Alta Velocità era opera-tiva in Francia con il TGV, alloraesteso solo alla tratta Lione-Pa-rigi, ed in Germania erano in can-tiere le NBS, poi integrate da li-nee per treni ancora più veloci(ICE), attualmente in funzione.Nei primi anni Novanta, in Italia,il tracciato della rete dell’AltaVelocità era definito, a livello diprogetto esecutivo, lungo le trat-te interessate: l’Asse Milano-Na-poli sulla dorsale centrale e quel-lo trasversale Torino-Venezia,nell’ottica di un complessivoriammodernamento della reteferroviaria, della riqualificazionedelle stazioni esistenti, dove con-centrare nodi intermodali e lamaggiore domanda di mobilità.In quegli stessi anni l’UnioneEuropea ormai indicava la stra-tegia delle reti “transeuropee”,che coniugasse massima rapi-dità nei trasferimenti delle per-sone e delle merci con la ridu-zione ed il contenimento del-l’impatto ambientale nella mas-sima sicurezza.In merito al “Sistema Italiano AltaVelocità” va osservato che l’inte-ro progetto andava alla verificadell’impatto ambientale ed erasottoposto all’osservanza delMinistero dell’Ambiente, che do-veva vigilare sul rispetto dellecondizioni iniziali imposte dall’im-patto ambientale, sia in fase co-struttiva sia in fase di regime.Le problematiche di ordine eco-logico ed ambientale che le lineead Alta Velocità pongono sonoenormi, quali l’inquinamento acu-stico e la “rigidità” del tracciatoin termini planimetrici ed altime-trici. Tale “rigidità” su un territo-rio, come quello italiano, con una

movimentata orografia può im-porre «altissimi rilevati e lunghied intrusivi viadotti, oppure pro-fonde trincee, oltre all’inevitabileabbattimento di ogni preesi-stenza che coinvolga il ‘‘rettili-neo’’», con ovvie conseguenzein ambiti fortemente conurbati ericchi di preesistenze archeolo-giche e manufatti storici.Lascio ora a esperti e a voci piùautorevoli il compito di prose-guire questo dibattito, fino allametà degli anni Novanta moltoseguito da riviste come Casa-bella, per accennare, vicever-sa, ad un piccolo progetto che,seppure marginalmente, inte-ressa l’Alta Velocità.Il progetto, elaborato di recente(dal Professore Agronomo Car-mine Guarino, dall’Architetto An-tonella Ciotola e dalla sottoscrit-ta), è stato redatto su incarico diuna ditta, specializzata in inter-venti di opere a verde, che havinto una gara d’appalto, confornitura di prestazioni di proget-tazione, indetta dal ConsorzioCavet. L’intervento, ormai ultima-to, prevedeva la realizzazione dialcune ‘sistemazioni a verde’ peropere di connettivo stradale disupporto ed integrazione all’AltaVelocità, sulla linea Milano-Na-poli tratta Firenze-Bologna, e inparticolare per infrastrutture via-rie eseguite in alcuni comuni del-la Comunità Montana Mugello-Alto Mugello-Val di Sieve (Bor-go San Lorenzo, San Piero aSieve, Scaperia).Mi soffermo su queste coordina-te geografiche perché la Tosca-na evoca, immediatamente e piùdi altri luoghi, una forma edun’idea di paesaggio nella nostramente esente da quel processodi degrado e alterazione che, inmodo eclatante o supino e diffu-so, ha aggredito il territorio ita-liano. È un paesaggio connotatoda una grammatica variegata ecomplessa, frutto di un sapientee secolare incontro tra l’uomo ele componenti naturali (geosfera,biosfera) e storiche del luogo:l’insediamento sulla cima o sulla

cresta del poggio, il cipresso iso-lato o a gruppi a segnalare pun-ti o percorsi, zone boscose conprevalenza di leccio alternate oopposte alle aree a vigneto, aduliveto, a frutteto che disegna-no reticoli e maglie al pari dellezone a coltivo, ad orto o a semi-nativo, con il loro minuto orditodi trame, e che insieme con altrimanufatti artificiali conformanoil lessico delle sistemazioni agra-rie delle pendici o delle valli odelle piane.È perciò lecito perlomeno chie-dersi perché in questo lembodella Toscana, per molti di noiancora “Toscana felix”, il proget-to paesaggistico per alcune in-frastrutture stradali extraurbanesi riduce alla sola e semplicevoce: ‘sistemazione a verde’ omeglio impianto di piantuma-zione? Uso la parola “verde” inquell’accezione negativa cheunita al sostantivo “spazio” gliattribuisce Rosario Assunto,“spazio verde” inteso come su-perficie quantitativamente misu-rabile dello spazio, in cui la qua-lità verde diviene semplice attri-buto e surrogato della compo-nente quantità. Senza giungerealla contrapposizione dell’auto-re, tra la categoria dell’utile equella del bello, vorrei rimarca-re che se una ‘sistemazione averde’ interviene laddove le scel-te progettali sono già tutte ormaidefinite o in avanzato stadio didefinizione e la trasformazionedel territorio è affidata solo allecosiddette “grandi opere di inge-gneria”, ne consegue che lacomponente quantitativa divie-ne unico parametro valutativo.La ‘sistemazione a verde’, nelmigliore dei casi, si esaurisce inun’operazione di ‘maquillage’, didecoro, di quinta che serve amitigare l’impatto che la nuovainfrastruttura, in questo casostradale, con i suoi viadotti, gal-lerie, cavalcavia, snodi a raso,genera sull’ambiente, senza ri-solvere o costruire un rapportodialettico tra l’universo della stra-da e i paesaggi attraversati.

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Il manufatto stradale non è unasemplice struttura fisica atta acollegare due punti dello spa-zio, non è un espediente tecni-co assoggettato alle funzioni ditransito per ottenere il massi-mo di veicoli/ora, è anche e so-prattutto “un luogo” che con-sente “di vedere” e svelareaspetti e qualità dei territori at-traversati e “da vedere” perchédiviene esso stesso, con la suaarchitettura, “componente strut-turale del paesaggio urbano eterritoriale”.Il progetto di ‘sistemazione averde’ è stato dunque elabora-to nella consapevolezza che gliobiettivi perseguibili fossero di‘minima’, anche per i forti con-dizionamenti e ‘limiti’ proget-tuali imposti.Gli spazi residuali di opere di in-frastrutturazione viaria, su cui siattesta l’intervento, sono con-notati da una morfologia spes-so molto accidentata e da suolicon spiccate restrizioni agrono-miche, essendo privi di struttu-ra fisico-chimica idonea allepiantumazioni.

Si sono quindi previste, come ri-portato nelle relazioni di proget-to, operazioni di preimpianto (la-vori di dissodamento, interventimigliorativi della composizionedel suolo, preparazione deglistrati superficiali) ed è stata svol-ta un’accurata analisi fito-socio-logica dei luoghi per seleziona-re le specie vegetali. Queste,contestuali al territorio, in cui pre-domina il bosco mesofilo di tipomediterraneo - sebbene con for-me ed elementi antropici tipici delpaesaggio toscano -, dovevanopresentare caratteristiche biolo-giche, agronomiche, climaticheidonee a rispondere ad alcunicriteri: adattabilità e resistenza afonti inquinanti, grande capacitàdi attecchimento anche su terre-ni piuttosto acclivi e argillosi, sod-disfacente velocità di crescita,per assicurare una copertura delsuolo in tempi brevi ed un gradodi schermatura costante in tuttele stagioni.Per ridurre l’impatto visivo delleopere infrastrutturali (imbocchi digallerie o cavalcavia), si sonoadottati esemplari arborei che in

natura assumessero notevoli di-mensioni (pioppo cipressino, ci-presso ecc.) e non generasseroproblemi di spalcatura. Sui rile-vati di gallerie e laddove eraconsigliabile l’impianto di speciearboree, si sono utilizzati gruppidi alberi con leccio, sempre do-minante, in consociazione all’or-niello, alla roverella, al carpinello,al sorbo selvatico ecc. e talvoltaesemplari di tiglio riccio, di ace-ro e di cerro.Sui pendii più ripidi, per la forma-zione di barriere di sicurezza oper contenere il pericolo di fra-ne, si sono scelte specie arbu-stive, tipiche della macchia me-diterranea, che attecchissero be-ne in condizioni orografiche sfa-vorevoli e garantissero una co-pertura invernale e pregevoliqualità decorative soprattutto inprimavera (ginestrone, ginestradei carbonai, alloro, agazzino,ginestra, ligustro), oppure picco-le e rustiche alberature di facileradicazione, con prevalenza disalice e di sorbo insieme conpruno selvatico, pioppo bianco eciliegio selvatico.

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In prossimità delle arterie stra-dali, sia per salvaguardare l’in-columità della circolazione siaper offrire, a distanza ravvicina-ta, una gradevole percezione vi-siva, si è prevista la messa a di-mora di basse specie arbustive,a forte valenza cromatica e or-namentale, con dominanza dibiancospino e corniolo.Per consolidare e mitigare l’im-patto di un preesistente argineartificiale è stato, inoltre, propo-sto un piccolo intervento di In-gegneria naturalistica. Il rileva-to, costituito da terreno da ripor-to e realizzato contro possibilistraripamenti del torrente Ba-gnone, è stato rinverdito con ta-lee del genere Salix - previo mi-glioramento del suolo e messain opera di biostuoia in cocco –e schermato da un filare di sali-ce caprino, piccolo arbusto conbelle fioriture, idoneo per zonecon ristagno idrico.Nel progetto, la materia vegeta-le è stata utilizzata sfruttando almassimo le qualità espressive,sensibili, morfologiche di ognisingola specie, prediligendo, se-condo i casi e il luogo, l’uso delfilare, del gruppo arboreo, delsingolo esemplare ed ancoradella macchia arboreo-arbu-stiva, del cespuglio, della siepee del prato.Concludo qui la descrizione del-l’intervento per ritornare all’as-sunto iniziale e, parafrasandoun’espressione di Ippolito Piz-zetti “Un parco è un parco”, direiuna ‘sistemazione a verde è unasistemazione a verde’ e non puòovviare ad un’assenza a priori disensibilità paesaggistica, nésvilirsi per ‘mascherare l’intruso’.Potrà al più essere un interven-to corretto secondo dei parame-tri ecologici o le metodologiedell’Ingegneria naturalistica, inquanto rispettoso del paesaggiovegetale circostante, perché in-nesca processi di “rinaturazione”o “ricuce” fratture dell’ecosiste-ma ecc.Ogni qualvolta un intervento im-plica l’inserimento di una gran-

de ‘presenza’ architettonica nelpaesaggio, sia esso urbano oterritoriale, come nel caso delle“opere d’ingegneria”, la questio-ne da risolvere a monte è la suasostenibilità ambientale.Richiede l’avvio di procedurenormate, trasparenti e partecipa-te (Via, studi d’Impatto ecc.), chevalutino realmente opzioni alter-native e non siano supporti, pre-testuosamente ‘oggettivi’, di pro-cessi decisionali in cui già tuttoè stabilito.Un’azione sul paesaggio, risor-sa e componente strutturale del-l’ambiente, esige sempre un pro-cesso progettuale ‘complesso’ edi ‘scala’ opportuna in cui sianoallo stesso modo ponderati sito,natura, costruzione umana, me-moria storica e, quindi, le diver-se discipline coinvolte nell’anali-si procedano, dai primi passi, instretto rapporto, per valutarequalità e vulnerabilità di un luo-

go rispetto ad azioni antropichee per stimare possibili processidi evoluzione.Affrontare tali questioni è un’esi-genza ormai improrogabile perl’ormai troppo compromessopaesaggio italiano. Urgono pro-getti ed interventi di alta qualità,che solo una corretta proceduraconcorsuale può perseguire, ca-paci, nel tentativo difficile di com-penetrare vecchie e nuove esi-genze e di comporre attività eluoghi spesso conflittuali, di ope-rare sul territorio una tutela, nonvincolistica, ma attiva ed effica-ce. Occorre una programmataazione progettuale in grado anchedi ridisegnare, restaurare, demo-lire, laddove occorre, per restituirciun paesaggio, che seppure ‘rin-novato’, conservi memoria e qua-lità figurale tale da poter essereancora “contemplato”, “goduto” esoprattutto tramandato.* architetto

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La qualità del paesaggio puòconsiderarsi ormai la più impor-tante infrastruttura di sviluppo delterritorio.Un paesaggio di qualità può di-venire infatti elemento di attra-zione - richiamo per investimen-ti futuri, luogo di localizzazionedi attività collegate con la do-manda crescente di tempo libe-ro e può entrare nella produzio-ne di molte attività economiche(ricreative/turistico-alberghiere/commerciali/artigianali).Un paesaggio di qualità, insom-ma, “sostiene” lo sviluppo delleattività economiche.Un paesaggio di qualità non pos-siede solo un valore d’uso per ilsingolo soggetto (collegato aibenefici psicologici, culturali,estetici, etc.) ed un valore d’usosociale per la comunità (in quan-to fonte di riconoscimento di co-mune appartenenza, identità,valori, etc.). Un paesaggio diqualità possiede anche un “valo-re d’uso produttivo”, nel sensoche possiede anche un valorestrumentale.Il paesaggio è in Campaniasempre più oggetto di aggres-sioni e di degrado, a causa del-le attività economiche connes-se al soddisfacimento dei vari bi-sogni umani: in conseguenza ilpaesaggio di qualità sta diven-tando una risorsa sempre piùscarsa. Un obiettivo fondamen-

recupero ambientaledelle cave in CampaniaLucio Morrica*

tale, dunque, dello sviluppo del-la Regione Campania è quellodella “tutela nonché della rico-struzione e restauro del paesag-gio”.Il paesaggio è il risultato interat-tivo e dinamico del lavoro dellanatura e del lavoro dell’uomo.Ciascuno di questi sistemi pos-siede una sua razionalità che de-termina traiettorie evolutive au-tonome.L’economia privata (l’industriaestrattiva, metallurgica, turistica,etc.) troppo spesso ha degrada-to l’economia della natura, talvol-ta fino a livelli irreversibili.Il paesaggio è il risultato visivo/percettivo, cioè il risultato “visibi-le” dell’attività di questi sistemi.Il tipo di interdipendenza tra i si-stemi dipende dalle istituzioniche sono le regole che discipli-nano lo scambio economico,politico ed ecologico.L’ambiente riflette la cultura diuna comunità, rappresenta lasua costruzione culturale. Ogniarea possiede il “suo “ paesag-gio che gli conferisce la partico-lare identità, in quanto è il risul-tato di un processo culturale spe-cifico (che riflette usi, costumi,norme, leggi, regolamenti, etc.)Il paesaggio incorpora, pertanto,una serie di valori culturali oltreche economici.In questo quadro va considera-to il problema delle cave.

Il piano delle attività estrattive èpertanto uno strumento fonda-mentale per consentire questa“ricostruzione del paesaggio” nelcontesto della promozione dellosviluppo sostenibile dellaRegione, cioè di uno svilupponon solo economico, ma anchesociale ed ecologico.Tale sviluppo dovrebbe identifi-care criteri per affrontare il con-flitto tra lo sviluppo economico ela conservazione di un ambien-te/paesaggio di qualità.Il piano che disciplina le attivitàestrattive deve affrontare quindiil dilemma dei valori di cui sopra,che sono tutti rilevanti, ma spes-so in conflitto tra loro. Deve indi-viduare criteri per cercare di ri-solvere tale conflitto tra tanti“beni” o valori diversi, che trova-no un loro riconoscimento e tu-tela anche nella Carta Costitu-zionale (l’art.9 della Costituzio-ne tutela il paesaggio e l’art.4tutela le attività economiche).Quindi una strategia della Regio-ne che dovrebbe garantire nonsolo la compensazione tra i dan-ni che una attività economicacomporta al paesaggio, ma an-che un plusvalore ambientale. Inaltri termini, come ha scritto direcente L. Fusco Girard “ogni tra-sformazione del territorio do-vrebbe essere tale da generareinsieme un plusvalore economi-co (a beneficio dei singoli sog-getti economici) ed anche un plu-svalore ecologico/ambientale (abeneficio della comunità)”.L’art. 2 della L.R. 54/85 ed il suc-cessivo art.1 della L.R. 17/95prevedono che la Regione Cam-pania deve redigere “Il piano re-gionale del settore estrattivo(omissis) per attuare una politi-

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ca organica di approvvigiona-mento e di razionale utilizzazio-ne delle materie di cava”.La Regione Campania affidavaoperativamente dal 1998 all’Uni-versità di Napoli Federico II, edin particolare al Dipartimento diConservazione dei Beni Archi-tettonici ed Ambientali, al Dipar-timento di Scienza della Terra eal Dipartimento di Teoria e Sto-ria dell’Economia pubblica, conapposita convenzione, gli studiper la redazione di una propo-sta di piano delle attività estrat-tive regionali.I contenuti degli studi effettuatidal Dipartimento di Conservazio-ne dei Beni Architettonici ed Am-bientali della Università Federi-co II di Napoli sono stati:a) individuazione dei vincoli pae-sistici e urbanistici esistenti;b) individuazione di aree criticheper incrocio tra potenzialità evincolo, per disponibilità o man-canza delle infrastrutture d’ap-poggio e formulazioni di indiriz-zi per i piani di dettaglio relativia dette aree;c) formulazione di criteri e indiriz-zi per la individuazione di priori-tà e modalità di ricomposizioneambientale.Inoltre, in relazione agli studi so-pra citati è stato redatto dall’in-sieme dei Dipartimenti uno stu-dio per il Piano delle attivitàestrattive e la relativa normati-va quadro.L’indagine effettuata per la reda-zione del Piano Cave, ha avutoper oggetto l’intero territorio del-la Regione. Il lavoro è stato svol-to in stretta collaborazione con igruppi di lavoro del Dipartimen-to di Scienza della Terra dellaFacoltà di Geologia e in collabo-

razione con l’ufficio Cave regio-nale dell’Assessorato all’Indu-stria regionale diretto dal dott.Vitale, al fine di avere un quadrogenerale omogeneo dei dati ri-guardanti le cave presenti nelterritorio regionale.L’indagine, effettuata dal Dipar-timento di Conservazione, at-traverso una sistematica sche-datura di tutte le cave in areevincolate (circa un migliaio dischede suddivise per provin-cia), si è sviluppata con le se-guenti modalità:— Individuare le Cave ricadentiin aree soggette a vincoli presen-ti nella Regione Campania:- Legge 1497/39, sulle “Bellez-ze Naturali”;- Legge 431/85, Legge Galasso;- Piani Territoriali Paesistici disingole aree;- Zone Site lungo i corsi d’acquae comprese nei Piani di Difesadalle alluvioni, individuati dalleAutorità di Bacino;- Vincoli idrogeologici, Legge3267/23;- L.R. 33/91 e L. 349/91 “LeggeQuadro sulle aree protette “e”Parchi Nazionali”;- Zone soggette a vincolo Bio -Italy.— Individuare il rapporto e l’im-patto ambientale delle cave e learee critiche;— Proporre, per quanto possibi-le, elementi per i progetti di ri-composizione ambientale.

L’indagine ha consentito una let-tura delle diverse problematicherelative all’attività estrattiva aseconda di ogni specifica area:in quelle nelle quali si concentraun maggior numero di cave atti-ve è forte il conflitto tra la stessa

attività, legata evidentemente anotevole richiesta di mercato, ela legislazione vigente per la tu-tela dell’ambiente; quelle aree,invece, nelle quali è prevalenteil numero di cave in abbandonoe che richiedono studi per l’in-dividuazione di un riuso compa-tibile con il contesto ambientalee paesaggistico ovvero per unloro ripristino ambientale, ancheal fine di evitare il proliferare, pro-prio nella cave abbandonate, diattività improprie quali discaricheabusive di materiali non control-labili spesso nei territori vicini aicentri urbani.Inoltre, sono state rilevate areedi cava, sempre in abbandono,per le quali, paradossalmente,sono da individuare strumentiche garantiscano la conservazio-ne dallo status quo ed altre areeper le quali le stesse cave ab-bandonate offrono spunti e po-tenzialità per il loro recupero.Queste ultime due categorie diaree sono quelle in cui le cavein abbandono fanno ormai partedi un contesto ambientale signi-ficativo: per la morfologia dellacava, per il processo di antro-pizzazione avvenuto nel tempo,perché esempio di spazio otte-nuto per sottrazione, spesso distraordinaria qualità espressiva.Per ciascuna zona di studio, aseguito dei rilevamenti effettuatisono state individuate alcunearee critiche, da approfondireattraverso progetti di dettaglio, incui la presenza di cave costitui-sce un elemento di grave impat-to negativo per l’ambiente in cuisono inserite.La provincia di Caserta, peresempio, presenta numerosearee critiche omogenee concave dislocate a distanza ravvi-cinata che sono raggruppate in7 aree.Dall’indagine effettuata sono ri-sultate nella Provincia di Casertacirca n. 220 cave.È stata individuata, ad esem-pio, un’area di crisi nella zonamontuosa che delimita la pia-nura casertana da Capua fino

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a Maddaloni; quasi tutte le cavesono visibili da grande distanza(perfino da Napoli) per la loro no-tevole estensione ed espansione.Questa area comprende n° 34cave attive risultando ad alto ri-schio per gli effetti diretti ed indi-retti dell’attività estrattiva per varimotivi come:- la vicinanza di centri abitati con-sistenti;- le interferenze con infrastrutture;- il notevole impatto paesaggi-stico;- l’emergenza sanitaria determi-nata da inquinamento acustico,veicolare e patologie derivantidalle polveri di lavorazione.

In quest’area le scelte contrad-dittorie tra i diversi livelli di pro-grammazione urbanistica con-sentono ancora oggi la frammi-stione tra attività estrattive inqui-nanti ed attrezzature di interes-se generale quali ospedali, scuo-le ed in prospettiva il nuovo Poli-clinico della II Università di Na-poli, ubicato a ridosso delle gran-di cave nel tratto da Caserta aMaddaloni.Altro esempio: l’area dei CampiFlegrei- Area eterogenea per la presen-za sia di attività estrattiva che dicave abbandonate. Si estraeprevalentemente tufo giallo epozzolana, materiali impiegatiper l’edilizia ed in particolare peril recupero delle costruzioni neicentri storici.In questa area l’attività estrattivaavviene spesso al margine diaree sottoposte a vincolo ed inalcuni casi la stessa area di cava,rientra in area di interesse ar-cheologico.Nei Campi Flegrei sono nume-rose le cave abbandonate, spes-so all’interno di aree ora densa-mente abitate.Si ritiene che alcune cave, di ri-dotta dimensione e regolamen-tate per i tempi, le modalitàestrattive, e gli obblighi di ripri-stino ambientale, debbano esse-re consentite, in particolare peralcune qualità di tufo giallo, indi-

spensabile ad interventi di re-stauro edilizio. Il paesaggio deiCampi Flegrei è segnato, ormaistoricamente, da tale “estrazio-ne”, partecipe quindi della tra-sformazione e dello stesso prin-cipio generativo.Molto più grave appaiono alcu-ne degenerazioni del paesaggiodovute ad una antropizzazioneselvaggia e da “periferia”.Dall’esame delle singole areeesaminata si segnalano comearee critiche, per estensione perincrocio tra vincoli e caratteripaesaggistici - ambientali e rile-vanza, per aspetti qualitativi, deimateriali da estrarre, anche quel-la dei Comuni Vesuviani.- L’area “Vesuviana” vede in con-temporanea la presenza di unaforte attività estrattiva ed il vin-colo imposto dall’istituzione delParco. Da non trascurare, adesempio, l’importanza che assu-me il basalto per il recupero deicentri storici, per delicati inter-venti di restauro e per la sua la-vorazione artigianale. Nondime-no è evidente la necessità di re-golamentare l’attività estrattivaal fine di ridurre “danni”, in parti-colare quelli legati alle estrazio-ni abusive, e salvaguardarel’ambiente.Infine, oltre ai casi critici sopraesaminati, in particolare in rela-zione al loro impatto ambienta-le, è stato esaminato il proble-ma di numerose cave abbando-nate diffuse in tutto il territorioregionale.Per gran parte di esse necessi-ta un progetto di ripristino am-bientale, soprattutto al fine disottrarre questi spazi, a volte an-che stimolanti e affascinanti, adusi impropri, più preoccupantidella ferita già provocata, dellatraccia lasciata ed ora “parte” delpaesaggio trasformato. Altre vol-te è invece necessario interve-nire per colmare vuoti all’inter-no di aree densamente abitateoltre che per sanare ferite inflit-te al paesaggio e per ristabilirecondizioni di sicurezza e igiene.Sul piano progettuale, in partico-

lare sul tema del recupero am-bientale e funzionale delle cavedismesse, vale la pena far riferi-mento, come esempio da imita-re, alla città di Barcellona.In questa città infatti, nell’am-bito del piano urbanistico ge-nerale, le cave abbandonatesono state riprogettate e riqua-lificate attraverso concorsi diprogettazione e utilizzate perusi pubblici; tra queste vale lapena ricordare:i parchi, le attrezzature sportivee grandi piscine all’aperto comeil Parco de la Creuta del Cool(caratterizzato dalla scultura diChillida 1981-1987);i cimiteri come il Fossar de la Pe-drera per i morti della Catalogna(1983-1986) e il Cimitero nuovodi Igualada, (1991).Queste realizzazioni, di notevo-le interesse architettonico e so-ciale e coscienti del ruolo delprogetto di architettura, rifletto-no il livello culturale degli abitantidi Barcellona.Una utile indicazione per i no-stri problemi.* docente della Facoltà di Architetturadi Napoli

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“sostegni per l’ambiente”Fulvia Fazio*

La particolare storia e conformazione dell’Italia,la sua straordinaria e stratificata ricchezza di mo-numenti, beni artistici e di aree ad alto valorenaturalistico costituiscono un patrimonio di luo-ghi e di valori unico.L’Italia è anche tra i primi paesi industrializzati almondo e le infrastrutture sono un elemento decisi-vo per il suo sviluppo economico e sociale. La lorointerazione con il paesaggio è la sfida che ogniazienda italiana oggi deve saper affrontare con unanuova sensibilità e con nuovi strumenti progettuali,impiantistici e di relazione con chi vive sul territo-rio o lo amministra.Il coordinamento tra autorità centrali e locali, comeanche la collaborazione fattiva tra amministrazionilocali, operatori industriali e cittadini per una tutelacondivisa del territorio è un’esigenza particolarmen-te sentita oggi, in presenza di un sistema energeticoche viene progressivamente liberalizzato a livelloeuropeo. Considerando positivamente le iniziativevolte a rendere più trasparente, efficace e diretto ilprocesso di autorizzazione riguardante le infrastrut-ture, proprio ai fini di uno sviluppo compatibile, chesappia coniugare con rigore, efficienza e rapiditàle ragioni dell’ambiente con quelle dell’economia,Enel ha aderito attivamente alla Conferenza delPaesaggio, mettendo a disposizione del dibattito ilproprio bagaglio d’esperienze, di analisi e di pro-poste. A questo scopo Enel ha sviluppato il pro-getto “Sostegni per l’ambiente”: un concorso inter-nazionale di architettura, che ha trovato la sua con-clusione naturale con la premiazione del vincitoreproprio in occasione della Prima Conferenza In-ternazionale del Paesaggio.I sostegni delle linee elettriche ad altissima tensio-ne utilizzati dalle aziende elettriche sono general-mente progettati dalle stesse aziende elettriche infunzione delle specifiche esigenze di servizio, su-scitando talvolta problematiche di compatibilità am-bientale che aumentano parallelamente all’accre-scersi della sensibilità nei confronti del paesaggio.Enel già da qualche anno sta rivedendo i criteriprogettuali delle proprie linee sulla base della lorointerazione con l’ambiente.Al fine di ricercare strutture in linea con gli arre-di urbani e meno intrusive in ambiente naturale,Enel ha affidato a grandi architetti l’ideazione ela progettazione di tralicci che non siano perce-piti unicamente come manufatto industriale, masiano rivisitati in chiave di design artistico sot-traendoli alla condanna della mera funzionalitàe della banalità estetica.Al concorso hanno partecipato: Aldo Aymonino,Achille Castiglioni, Michele De Lucchi, Norman Fo-ster, Giorgetto Giugiaro, Corrado Terzi, Jean-MichelWilmotte. Il pregio estetico e l’interazione con l’am-biente rurale e con le aree suburbane è stato giu-dicato da una Giuria di esperti nominati dai Mini-

steri dell’Ambiente, dei Lavori Pubblici, per i Benie le Attività Culturali insieme ad esponenti del mon-do della cultura e di Enel.La Giuria era composta da:Chicco Testa (Presidente Enel), Mario Dal Co (Di-rettore Immagine e Comunicazione Enel), SergioMobili (Amministratore Delegato di Terna), Costan-za Pera (Direttore Generale Ministero LLPP), Ma-ria Rosa Vittadini (Direttore Generale Ministerodell’Ambiente), Augusto Mario Lolli Ghetti (Sovrin-tendente BBAA per le provincie di Firenze, Pistoiae Prato), Luigi Paris (Prof. di Sistemi elettrici perl’energia presso la Facoltà di Ingegneria dell’Uni-versità degli Studi di Pisa), Andrea Emiliani (Presi-dente Accademia Belle Arti di Bologna), RenatoMannhaimer (Presidente ISPO).Nella complessiva positiva valutazione dei proget-ti in gara, sono risultati vincitori a pari merito il pro-getto degli Studi Castiglioni/De Lucchi e dello Stu-dio Foster and Partners.E’ anche stata effettuata una indagine qualitativa,basata sulla tecnica dei focus group,con l’obiettivodi valutare la percezione estetico-paesaggistica deiprogetti in gara da parte dei cittadini. E’ interessanteosservare che l’indagine (condotta dall’ISPO, Isti-tuto per gli Studi sulla Pubblica Opinione) ha datorisultati sostanzialmente in linea con le valutazionidella Giuria del Concorso.Il progetto “Sostegni per l’ambiente” ha poi avutodue ulteriori sviluppi, nella fattispecie l’allestimen-to di una mostra itinerante per l’Italia ospitata pres-so i più importanti Musei di Arte Contemporaneaquali la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma,il Museo Pecci di Prato, la Triennale di Milano e lostudio del processo di ingegnerizzazione volto arendere questi modelli progettuali una realtà con-creta sul territorio.

* Responsabile identità e immagine Enel

Norman Foster and partners Castiglioni-De Lucchi

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Tra il 1955 e il 1970 la Provincia di Napoli costrui-sce nell’area compresa tra Napoli e Lago Patria laCircumvallazione esterna-Strada Provinciale n° 1,che collega Napoli con il mare attraverso la primacinta di comuni esterna alla città. La strada è notacome “Strada degli Americani” o come “Doppio sen-so”. Era la “Strada degli Americani” prima ancoradi nascere, perché sorgeva su un sentiero apertonel dopoguerra dagli alleati, ma lo è diventata sem-pre di più negli anni, quando i grandi contenitori ele pubblicità, i capannoni e le villette unifamiliaril’hanno trasformata in una versione nostrana delpaesaggio dei sobborghi americani. E’ stata il“Doppio senso” da subito, per il suo percorso diandata e ritorno -una novità per quell’epoca-, nel-l’immaginario popolare “come le strade che si ve-devano nei film”.La strada è l’unico legame tra oggetti diversi dis-seminati lungo i suoi bordi, è la causa e lo spec-chio di molti cambiamenti di questo territorio. Pro-vare a descriverla può essere un’occasione perconfrontarsi con questi cambiamenti, e per ricon-durli al dibattito più generale sulla città contempo-ranea e sul rinnovamento della nozione di paesag-gio. Le questioni a grandi linee sono note, perfinousurate dal dibattito recente. Città e campagna nonsi riconoscono più, centro e periferia sembrano averperso il loro significato, l’edificazione si diffondeindifferentemente sul territorio saldando tra loro inuclei urbani e appoggiandosi agli assi a scorri-mento veloce. Il paesaggio diventa tutto paesag-gio urbano, di un’urbanità diversa da quella tradi-zionale, diffusa, frammentata, che trae le sue regoledall’innesto con la campagna e con i segni dellageografia. La scala di riferimento si amplia fino aperdere di vista il carattere locale, si accelerano itempi di percorrenza e cambiano le modalità d’uso,esigenze e consuetudini omologate tendono a ren-dere simili luoghi in origine molto diversi e a classi-ficarli senza distinzioni nella categoria dei “nuovipaesaggi urbani”. A ben guardare però, qui comealtrove, le differenze emergono e si scopre un ter-ritorio costruito sul compromesso: tra permanenzae trasformazione, tra locale e globale, tra specifici-tà e omologazione; un’”architettura senza architetti”che, riproponendo con insistenza le stesse rispo-ste spontaneee a bisogni ricorrenti, trasforma ra-dicalmente gli scenari della vita urbana.Lungo la Strada degli Americani l’originario paesag-gio delle distese agricole intervallate da piccoli cen-tri abitati è diventato un paesaggio ibrido e comples-so, una sequenza di paesaggi: agricolo, industriale,residenziale e commerciale. Nonostante la continui-tà del segno, il percorso ha perso il suo carattereunitario, è frammentato in tratti -il tratto extraurbanodi Giugliano, quello urbano di Villaricca, quello indu-striale di Casoria-, come tante strade diverse quasicasualmente collocate sulla stessa sede.

lungo la Strada degli AmericaniFabrizia Ippolito*

I paesaggi si susseguono e si incrociano, sisovrappongono in più punti; il paragone ormai scon-tato con il montaggio cinematografico suggeriscequi tempi alterati, dissolvenze e sovraimpressioni.A Melito in pochi metri quadri un edificio commer-ciale -MILLEPIEDI-, palazzine e palazzoni residen-ziali, un traliccio dell’elettricità, alcuni vivai -VIVAICHIANESE, VIVAI MAISTO- e un certo numero diinsegne si contendono la visibilità dalla strada; poiper lunghi tratti c’è solo campagna; più avanti glistessi oggetti ricompaiono con logiche diverse dicombinazione; di tanto in tanto una rotonda o ungrande centro commerciale funzionano da punti diriferimento. La ripetizione, la bassa densità, la gran-de dimensione, soprattutto l’allineamento lungo lastrada, sono le nuove regole in base alle quali sicostruisce questo paesaggio; ma le vecchie rego-le sopravvivono ancora attraverso la magliacenturiale o gli assi fondativi dei nuclei urbani, edè dallo scontro di vecchie e nuove regole che deri-vano i conflitti. E’ come se due trame totalmenteautonome venissero a sovrapporsi, quella più fittadel preesistente e quella più larga del sistema-stra-da con le sue appendici di recinti e contenitori.C’è un salto di scala, da quella minuta, locale, ditutto ciò che si costruisce per contiguità a quellagrande, territoriale, delle relazioni a distanza traepisodi dislocati secondo logiche estranee ai luo-ghi. L’esempio più tipico è quello degli ipermercati,solo tre in zona, l’EUROMERCATO di Casoria,CITTÀMERCATO di Mugnano e l’IPERCOOP diAfragola che si dividono un territorio ridotto a ter-reno di competizione commerciale -bacini d’utenzadi prima, seconda o terza fascia-, mentre si atten-de l’apertura di un quarto ipermercato a Giugliano.Con il salto di scala emergono ancora due pae-saggi, che corrispondono ai due tempi della nuovacittà estesa: il tempo veloce dell’automobile, chemette a fuoco solo alcuni oggetti relegando tutto ilresto in uno sfondo confuso, e il tempo lento delpedone, che misura gli intervalli tra le cose e rac-coglie le tracce anche impercettibili che disegna-no gli spazi. Il primo è un paesaggio fondato sul-l’impatto e sulla comunicazione immediata, comequello della Las Vegas di Venturi, il paesaggio del-le insegne e delle facciate pubblicitarie, delle co-struzioni isolate e della grande dimensione, diCITTAMERCATO, dell’AMERICAN SUPERMAR-KET, dell’hotel LA LANTERNA e del MY TOY. Ilsecondo è il paesaggio della continuità, dei trac-ciati storici e delle cortine edilizie, dei lotti agricolie degli isolati residenziali, delle relazioni brusca-mente interrotte dal passaggio della strada. E’ ilpaesaggio che l’ultimo film di Linch rende visibilecon un artificio: la lentezza di un trattore su unastrada dove tutti corrono, lo sguardo di un vecchiosu un mondo mostrato di solito attraverso gli oc-chi dei giovani.

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Tra questi, i moltissimi paesaggi dell’ibridazione checombinano le logiche insediative e confondono iriferimenti architettonici. Sono i paesaggi dell’au-to-organizzazione, quelli che non rispondono amodelli prestabiliti e che sono di conseguenza piùdifficili da decifrare. Si sviluppano nell’intersezionetra le varie scale, negli spazi tra il sistema dellastrada e quello delle preesistenze, utilizzano ar-chitetture dismesse e riadattano gli edifici a nuovedestinazioni. Si manifestano con usi non codificatidegli spazi, con attività che nascono come provvi-sorie e poi si radicano nei luoghi. Sono i paesaggidel caos e dell’assenza di regole, quelli in cui siannidano il degrado e l’illegalità, ma anche quelliin cui è più forte la vitalità e lo spirito di adattamen-to di un territorio capace di metabolizzare qualsia-si trasformazione e di un’architettura capace diservirsi di ciò che ha a disposizione per risponde-re alle necessità. Sono paesaggi che creano in-consapevolmente nuovi modelli nella ripetizionespontanea delle soluzioni, paesaggi che se nonaltro rivelano nuovi bisogni. Il geografo J. B. Jack-son in America li ha definiti vernacolari, utilizzandoun termine solitamente riferito all’architettura spon-tanea lontana nel tempo e specificamente legataad un luogo. Oggi il vernacolo è un altro, e includeanche quel tanto di omologazione inevitabile in uncontesto allargato come quello contemporaneo; perJ. B. Jackson è vernacolo l’edificazione sponta-nea dei bordi delle autostrade come la trasforma-zione della casa per l’inclusione del garage.Da queste parti il catalogo può comprendere l’oc-cupazione degli spazi sottostanti il viadotto o l’ar-chitettura provvisoria di vivai e chioschi nella fa-scia di rispetto della strada; l’aggregazione dellevillette unifamiliari in parchi e le loro costantitipologiche e formali; l’architettura del commercio,

dai contenitori alle palazzine trasformate in centricommerciali; infine insegne e pubblicità, che rico-prono ogni superficie disponibile per indicare, conuna sovrabbondanza d’informazioni, ciò che altri-menti il disordine renderebbe invisibile e per spie-gare, come didascalie, quello che non sarebbe ri-conoscibile per l’assenza di modelli noti. Qui unacasa è uguale ad un centro commerciale, che èuguale a una discoteca, che è uguale ad un hotel,a meno degli elementi aggiunti, e tutti ricalcano ilmodello della palazzina, mentre nascono sponta-neamente nuovi tipi di architetture, la casa-offici-na, la casa-centro commerciale, il centro commer-ciale-fabbrica, invenzioni recenti ottenute da com-binazioni inedite di elementi comuni: una tettoiaaddossata ad una casa rurale, insegne al neon suibalconi di un edificio residenziale, una vetrina ag-giunta ad un capannone industriale provocano in-consapevoli effetti di “straniamento”, come la re-cinzione di un bowling che diventa la vetrina di unnegozio di biancheria, o la facciata di un hotel ricop-erta da un enorme affresco, o il recinto di una villafuori scala -GLORIA- che racchiude a sua voltaaltri recinti e piscine e case e casette di tutte lemisure in vendita per le ville vere.Recinti grandi, recinti più piccoli, recinti che conten-gono recinti sono il tema ricorrente di questo pae-saggio. Emblemi di separazione funzionale e socia-le, dalla sicurezza di uno stabilimento produttivo allaprivacy di un parco residenziale fino all’emargi-nazione del campo nomadi, alle spalle del carceredi Secondigliano, sono le declinazioni che un anticorito di appropriazione dello spazio assume all’inter-no di questa nuova forma di città, pulviscolare, indi-vidualista, non pianificata; sono le tracce che ricon-ducono la grandissima alla piccolissima scala.* architetto

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Da qualche tempo vengono alleribalta episodi di demolizionispettacolari, vedi il “Mostro delFuenti”, le Vele di Secondigliano,alcune costruzioni abusive nellaValle dei Templi di Agrigento, abi-tazioni ancora abusive nelle pe-riferie di Roma. Si tratta forzata-mente di episodi, carichi di valo-re simbolico, salutati come se-gnali della volontà di rimettereordine sul territorio dopo troppianni di scempio urbanistico e diincapacità nel far rispettare leleggi, se non di mancata volon-tà. Il ricorso alla dinamite non misembra, però, il rimedio univer-sale. Vale nei casi di abusi edili-zi conclamati e, di deturpazioniirrimediabili del paesaggio, comele Torri del Villaggio Coppola aPinetamare.Ma non tutti i “mostri” sono abu-sivi; esistono nel centro delle cit-tà quelli regolarmente autorizza-ti, al pari di quelli che abbonda-no lungo le coste delle Penisolae delle Isole Maggiori. Dai sin-goli edifici dissonanti e fuori scalalungo la Riviera Ligure (alcunicon Firma di Maestri famosi) al-l’albergo sorto sulla Punta Fal-cone; una delle meraviglie dellaSardegna costiera compromes-sa da insediamenti turistici ingran parte autorizzati benché incontrasto con le esigenze di tu-tela del paesaggio. Va dunquesfatata l’idea diffusa dell’equa-zione “Mostro=abusivismo”. Seil 46,14 per cento del territorionazionale è sottoposto a vincolidi tutela, come spiegare miglia-ia di mostri tutt’altro che nasco-sti, addirittura esibiti?La quantità di edifici da abbatte-re è tale che non basterebbe ladinamite, né basterebbero i quat-trini per compiere interamente leoperazioni fino allo smaltimentodei detriti e alla sistemazionedegli spazi rimasti vuoti. Nessu-no ha mai fatto la stima, ma èevidente che i volumi da abbat-tere arriverebbero a milioni emilioni di metri cubi con una spe-sa non quantificabile. A Lionel’abbattimento con la dinamite

controllata della prima di diecitorri nel quartiere Democratie (10ottobre 1994) costò l’equivalen-te di 4 miliardi e mezzo, più unmiliardo e mezzo per dare pub-blicità alla operazione. E’ dunquenecessario chiarire quali sono icasi con forte valore esemplare,quali sono necessari e realizza-bili, che cosa si deve e si può faredopo per restituire qualità e di-gnità all’ambiente ripulito.Le difficoltà maggiori nell’appli-care la cultura della sottrazionesi incontrano nelle città dovesono sorti edifici (regolarmenteautorizzati o in qualche misurafuori legge ma tollerati) di cui agran voce si chiede la demolizio-ne benché i giudizi siano contro-versi. Faccio alcuni esempi. ANapoli sono sotto tiro la torre co-struita ai tempi di Lauro nel chio-stro di un Convento, il Palazzac-cio di Piazza Cavour, diverseemergenze del Vomero.A Torino vorrebbero demolire il pa-lazzo per uffici di Piazza San Gio-vanni, di fronte al Duomo e a latodella Porta Palatina, progettatomolti anni fa in un momento infe-lice da un pur bravo architetto.Qualcuno vorrebbe buttar giùanche la torre littoria che stridesullo scenario del Centro Stori-co. A Genova ecco l’orrendo in-serimento pseudomoderno nel-la Palazzata medievale di Sotto-ripa, e ancora nel Centro Stori-co il pasticciato palazzo dellaCassa di Risparmio. Quanto al“Torracchione” aggiunto da AldoRossi al teatro “Carlo Felice” ipareri prevalenti sono quelliorientati alla rassegnata accet-tazione. A Roma sarebbero dabuttar giù gli obelischi di via del-la Conciliazione, almeno quelli(operazione di costo limitato maculturalmente significativa) A Ve-nezia dovremmo far sparire l’iso-la artificiale del Tronchetto. Enelle città di minori dimensioninon possiamo dimenticare lostrambo Palazzo di Giustizie diSavona, i grattacielini di Noto edi Gallipoli, le torri sulle spiaggedella Riviera Romagnola. La

caccia agli orrori, presunti o ve-ramente tali, rischia però di di-ventare un gioco da salotto.Molto più serio, e a volte ango-scioso, il problema delle abita-zioni abusive non condonate osorte dopo l’ultimo condono, co-minciando da quelle sulle pen-dici del Vesuvio e nelle periferiedi Roma. Quando si tratta di co-struzioni dovute a chiari intentispeculativi il ricorso alle ruspeappare doveroso.Quando le ruspe abbattono mo-deste casette abitate da famigliea basso reddito, certamente col-pevoli di illegalità ma compiutasenza alcun intervento repressi-vo quando il cantiere era all’ini-zio, il dramma umano è sconvol-gente. Abbiamo assistito in TValle scene di disperazione degliabitanti di povere case demolitedalle ruspe distruggendo mobili,arredi, letti e cucine, mentre lapolizia teneva lontani i proprie-tari. In questi casi, oltre ai pre-avvisi formali, sarebbe opportu-na la ricerca di alternative inter-venendo dopo aver trovato so-luzioni convenienti e senza farea pezzi tutto quanto è contenutonelle abitazioni, compresi i ritrat-tini di famiglia, il televisore e glielettrodomestici acquistati a rate.Contrasta, con queste manife-stazioni di violento ripristino del-la legalità, la tolleranza versotanti abusi che ancora si stannocompiendo apertamente o inmodo mascherato in zone vin-colate, vedi il rustico che diven-ta villa con piscina. E poi chefare delle migliaia di abitazioni,condonate o no, in zone di gra-ve pericolo per frane, dissesti inatto, rischio sismico? C’è da rab-brividire pensando alle pendicidel Vesuvio.Un capitolo a parte è quello deimegaedifici nei quartieri di tipoeconomico-popolare e del nau-fragio di altri quartieri dello stes-so tipo progettati con nobili inten-zioni ma realizzati male, rimastiincompiuti, abbandonati al de-grado per mancanza di servizi edi manutenzione, per occupazio-

la nuova cultura della sottrazioneMario Fazio

Mario Faziovive ad Alassio

dove è nato nel 1924.Scrive su “La Stampa”

di Torino dal 1957,occupandosi di ambiente,

architettura, urbanistica.E’ stato presidente nazionale

di “Italia Nostra” dal 1986al 1990. Tra le sue opere

“I Centri Storici Italiani”,“L’inganno nucleare”,

“Antico è bello”(in collaborazione con

Renzo Piano, ed. Laterza).Nel febbraio di quest’anno

la Einaudi ha pubblicatoil suo libro “Passatoe futuro delle città,

processo all’architetturacontemporanea”,

presentato a Roma,a Genova, a Torino (Facoltà

di Architettura) e in altre città.Su “Repubblica” è stato

recensito da Gregotti,su “La Stampa” (16/5)

Renzo Piano ha firmato il suo“omaggio a Mario Fazio”.

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ni abusive. Lo “Zen” di Palermoè stato definito “uno degli episo-di più tristi dell’edilizia sovvenzio-nata in Italia” dal suo stesso au-tore, Vittorio Gregotti. Alla cate-goria dei megaedifici apparten-gono le sette Vele di Scampia, ilCorviale di Roma, e Lavatrici diGenova, per fare gli esempi piùclamorosi e certamente ben co-nosciuti da chi legge questa rivi-sta, anche se nelle Facoltà di Ar-chitettura se ne è parlato poco,preferendo limitarsi alla qualitàdei progetti e sorvolando sui pro-blemi sociali causati da “mostri”ritenuti magari “capolavori” comeil Corviale, addossando ogni col-pa dei fallimenti al comporta-mento degli assegnatari, alla ina-deguatezza dei servizi ecc.A Scampia tre Vele sono stateabbattute, ne rimangono quattroed una di queste viene convertitaper uffici pubblici. Si impone conurgenza il problema di nuovi al-loggi per gli occupanti delle Veledemolite o destinate ad altri usi.A questo punto emerge la neces-sità di cambiare metodo nellaprogettazione, non più immagi-nando a tavolino aspirazioni edesigenze degli abitanti, non piùimmaginando nello studio dell’ar-chitetto le tipologie più idonee,ma cercando anzitutto di capirei motivi del disagio per rimuoverliconcretamente senza ripetere glierrori del passato. La consulta-zione degli abitanti è indubbia-mente difficile. La maggioranzaaspira quasi ovunque alla caset-ta individuale con un pezzo diorto-giardino. Ma la via di mez-zo, case di abitazione a non piùdi 4 o 5 piani, sembra da studia-re con attenzione. E’ la strada giàindicata a suo tempo da AlvarAalto, il quale aveva tratto dal-l’esperienza la convinzione del-la pericolosità sociale delle casea torre. Altra svolta determinan-te: lo studio preventivo del mi-croclima, della natura del suolo,delle tecniche costruttive più ido-nee per garantire condizioni divita confortevoli (l’uso dei prefab-bricati con pareti divisorie in

cartongesso nega qualsiasi inti-mità). Non pretendere di impor-re il pezzo di bravura ma tenerconto dei minuti problemi del-l’abitare, dal ripostiglio allo sten-ditoio, allo spazio protetto per fargiocare i bambini quando piove.Ottimi esempi si hanno nei sob-borghi di città scandinave, vediFarsta a Stoccolma,e nelle NewTowns dell’ultima generazione.Diversi accademici e critici no-strani continuano a ignorarle o aconsiderarle con sufficienza, maavremmo molto da imparare. Ri-mando, per brevità al capitolo delmio libro “Passato e futuro dellecittà, processo all’architettura con-temporanea” uscito nei mesi scor-si da Einaudi. Ho seguito l’evolu-zione delle New Towns dagli anniSessanta ad oggi.Le esperienze di altri Paesi sonointeressanti in materia dì demo-lizioni e dimostrano che la dina-mite non baste per risolvere iproblemi. Il precedente più lon-tano risale al 15 luglio 1972: aSt.Louis la dinamite controllatadistrusse le torri di 14 piani pro-gettate da Minoru Yamasaki (ce-lebre per i gemelli di Manhattan)e divenute inabitabili. In Franciafa testo il caso di Lione-Venissi-cux dove le demolizioni non han-no risolto i problemi sociali gra-vissimi. Ma il fiasco probabilmen-te più ricco di insegnamenti èquello di Bijlmermeer, quartieredi iniziativa pubblica nei dintornidi Amsterdam, costruito a parti-re dal 1966 e divenuto un mitonelle scuole di architettura: lun-ghi blocchi di undici piani, galle-rie interne, percorsi pedonali se-parati, autorimesse sotterranee,ballatoi, servizi fortemente accor-

pati, abbondanza di verde. Una“perfetta” macchina per abitare,divenuta in pochi anni teatro diviolenza e di abbandono. Alleproposte di demolizione fu pre-ferita quella della riconversione:tagli e alleggerimento dei bloc-chi, eliminazione delle gallerie,frazionamento degli spazi e deiservizi. Anche a Liverpool ses-santa torri “popolari” di 15-20 pia-ni furono parzialmente smonta-te negli anni Ottanta, per trasfe-rire gli abitanti in case a tre-quat-tro piani.Per la riqualificazione delle peri-ferie più delle demolizioni valgo-no gli interventi minuti e umili dichirurgia plastica, dopo esteseconsultazioni degli abitanti. Cer-tamente gli architetti vanno sceltiattraverso concorsi, ma si devetener conto della molteplicitàdelle discipline in gioco e dellaloro interazione. Dall’architettu-ra del paesaggio alla bioarchitet-tura, all’ecologia urbana, alla bio-climatica. Si stanno moltiplican-do i corsi su queste materie indiverse Facoltà italiane. Segna-lo i laboratori di Torino, comin-ciando da quelli di Gabetti e Iso-la dove si discute finalmente delcome ridisegnare paesaggi co-struiti, non mimetizzando con unpo’ di verde quelli casuali e mal-vissuti ma cercando di risponde-re a esigenze non soltanto este-tiche. Soprattutto si deve evita-re la ripetizione di modelli formalie di metodi che attribuiscano alsingolo architetto la capacità efacoltà di tutto prevedere. Citoancora una volta Alvar Aalto: “Lavera architettura esiste soltantoquando pone l’uomo al centrodel progetto”.

Demolizione delle “Vele” a Scampia, Napoli

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Va dato merito al CNA per la battaglia, nobile enecessaria, che rivendica con forza “l’architetturadi qualità”. Tuttavia ritengo che l’aggettivo sia im-proprio perché già nel termine architettura - daarchè, il primo, l’ottimo, l’eccellente e tekton, il fare- è contenuto un attributo positivo. Sarebbe piùappropriato parlare di “edilizia di qualità”, quellache ha conformato il paesaggio urbano ed ha datovalore a quello agricolo.Monti, boschi, deserti, campagne, strade, ponti, re-cinti, muri, castelli, fabbriche, «laghi con la casadel contadino che sembra fatta da Dio» fino al piùstraordinario scenario prodotto dall’uomo, la cittàche ha generato il termine civiltà, tutto questo èpaesaggio. Già fortunato genere pittorico, prota-gonista o fondale per illustrare accadimenti storicie mitologici, il paesaggio è oggi un soggetto foto-grafico di successo, privilegiato per catturare turi-sti oppure come sfondo di spot pubblicitari per autoa sedici valvole. Il mercato del paesaggio-immagi-ne non disdegna alcun soggetto ed un obiettivo benpuntato nobilita perfino il peggior degrado di perife-ria. Tuttavia il paesaggio urbano, divenuto tale pernecessità, prima che per l’immagine interessa tuttigli uomini perché è un fattore per la qualità della vita.Oggi siamo consapevoli di quanto tempo è statonecessario per conformare la bellezza del territo-rio e in quanto poco si può alterarla. Sappiamoanche che la città è un corpo vivo che se imbalsa-mato perderebbe proprio quei valori che si voglio-no preservare. Sappiamo infine che è necessarioadeguare le metropoli alle nuove necessità con ilsolo mezzo che le ha valorizzate, l’architettura,come sta avvenendo in tutte le città d’Europa.In Italia, persa quell’arte di costruire che per secoliè stato un riferimento, in questo periodo di rinno-vamento restiamo custodi, non sempre all’altez-za, di gloriosi paesaggi che invecchiano. Invece ilritardo accumulato nel cambiamento in atto ci haescluso dal confronto internazionale dove abbia-mo perso anche quel minimo di credito teorico chein anni recenti ha goduto di qualche attenzione.Forse è stato proprio l’eccesso di riflessione, incui sono transitati i surrogati dell’architettura par-lata, disegnata, teorizzata, di ricerca, urbana, equant’altro a compensare il disinteresse progres-sivo che dal dopoguerra - prima i politici e di rifles-so l’intera società - ha allontanato l’architetturadalla cultura italiana. E’ probabile, come sostienequalcuno, che la rimozione dell’architettura sia ini-ziata in opposizione alle forti vocazioni costruttivedel fascismo. Nell’Italia partitocratica raramente legrandi opere sono divenute architettura mentre ingenere sono state una buona merce di scambiopolitico e per l’arricchimento di imprese e profes-sionisti senza scrupoli. Ma quello che soprattuttoè mancato, in modo graduale e progressivo, è laqualità comune del costruire.

Gli effetti dovuti all’assenza della “committenza”,cioè della matrice consapevole del valore “archi-tettura”, sono stati la frammentazione dei ruoli, ladispersione delle responsabilità e l’inadeguamentodell’insegnamento. L’Università italiana - che a fron-te del duro impegno richiesto agli studenti mal pre-para a progettare e peggio a costruire - ha immessosul mercato la più inutile concentrazione di laurea-ti architetti d’Europa che dovrebbe produrre archi-tettura per una committenza che non sa esigerla.In questo scenario l’architetto italiano è stato tal-volta complice ma non sempre è colpevole. Se me-diamente non ha prodotto beni architettonici è per-ché nessuno li ha richiesti: chi si confronta con leaspettative dei privati deve spesso scontrarsi conlo stesso committente per fare il suo interesse; neilavori pubblici, al contrario, l’indifferenza per i va-lori architettonici è bilanciata dalle energie assor-bite dagli iter burocratici che talvolta sono superio-ri a quelli del progetto mentre i tempi di realizza-zione sono biblici; nei rari concorsi non sempre chigiudica è all’altezza di valutare (quando l’esito non èscontato e prevedibile) ed infine - confermando l’in-capacità delle Istituzioni di scegliere - il paradossodelle gare su curriculum economico o le garanziecercate dalle grandi firme. La nostra realtà è che inquesti anni chi ha prodotto architettura lo ha fattomalgrado la committenza. Intanto il mestiere, chedovrebbe alimentarsi della prassi, appassisce.Nelle nostre belle riviste (comprese quelle delCNA), dove non abbiamo più nulla da mostrare,ammiriamo le nuove espressioni della tecnologiain vetro, acciaio, rame, alluminio e titanio, ilminimalismo, le lamelle orizzontali che ridanno ruo-lo all’involucro, le linee sghembe, curve ed ellitticheottenute coi frattali e sostenute da qualche teoriadel caos. Non credo che abbiamo i mezzi materialie soprattutto mentali per adeguarci a tale situazio-ne (francamente l’affrettato aggiornamento rivi-staiolo non è decente) e probabilmente quell’ar-chitettura, che è divenuta una sorta di spettaco-larizzazione, non ci appartiene. Da questo rinno-vamento possiamo però filtrare alcuni comporta-menti, opposti alla teatralizzazione dell’architettu-ra-immagine, di matrice costruttiva e strutturalescaturiti dall’uso e dal luogo. Sono modi che si rial-lacciano ad una tradizione che in Italia ha solideradici, una tradizione che è stata interrotta ed emar-ginata ma non è morta.Credo che Napoli possa offrire le condizioni idealiper ritrovare nel moderno i fili della nostra consue-tudine costruttiva. La città è satura ed il processodi costruzione è virtualmente concluso tuttavia, maicome in questo momento, Napoli ha un disperatobisogno di rinnovamento architettonico nelle infra-strutture, nella periferia e nel centro. Come altro-ve, anche a Napoli non è stata l’architettura mo-derna ad aver fallito: si è costruito talmente male

trasformare le necessità in desideriSandro Raffone*

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che proprio le espansioni - dove si sarebbero po-tute espletare le potenzialità dell’architettura con-temporanea - sono gli ambiti che necessitano diazioni di riqualificazione urbana ed ambientale. Ilcentro invece con i suoi duemila e più anni di sto-ria è già qualificato. Tuttavia ritengo che, a partele cure per la conservazione (manutenzione ordi-naria, straordinaria e restauro), il tessuto anticoha urgenti necessità d’interventi di modificazione,che chiamerei di chirurgia, in edifici o ambiti parti-colari in abbandono, difficili da restaurare e chesarebbe conveniente restituire all’uso. Il patrimo-nio storico non è riproducibile, pertanto è impera-tivo che gli interventi non diano luogo a pentimen-ti anche se il carattere della città è talmente for-te che può perfino digerire l’arte applicata comenegli chalet della villa comunale. Eppure per ri-lanciare l’architettura sono indispensabili esempid’autentica architettura contemporanea mentrei nuovi padiglioni, (che paradossalmente hannouna matrice neoclassica quindi consona alla vil-la), hanno rinforzato il fronte dei conservatori chenel moderno individuano un pericolo per il pae-saggio urbano.L’educazione alla buona edilizia si alimenta conl’Architettura ma questa deve uscire dal circuitodegli architetti ed entrare nell’interesse della gen-te. Se sollecitata da modelli comprensibili ed ap-propriati, la domanda di qualità urbana potrebbepartire dal cittadino, essere accolta dagli am-ministratori e finalmente ritornare agli architetti. Conalcune garanzie che si possono trovare nei modi enelle condizioni d’intervento. Napoli non ha risoltoalcuni problemi primari, così l’architettura può es-sere ancora cercata nella risposta alle necessitàed all’economia limitando l’autogratificazione delprogettista. Inoltre forse proprio il nostro ritardo nel-l’aggiornamento può fornire gli anticorpi per nonimitare passivamente la progettazione alla moda.Altre semplici condizioni per circoscrivere modalità

non invasive possono essere: costruire non dove èpossibile ma dove è necessario farlo; comporre conle cose e non sulle cose; cercare l’espressione deltema e non quella dell’architetto; servirsi dei mezzidisponibili ed infine, oggi che a tutti è concesso difare tutto, selezionare le competenze e ridefinire iruoli con le specifiche assunzioni di responsabilità.Da qualche tempo il processo di modernizzazioneè già in atto alla radice dove il rinnovamento dilocali pubblici e negozi, ridà smalto anche ai pa-lazzi. La città può auspicare di estendere le mo-dificazioni, e quindi l’arricchimento del paesaggiourbano, sulla traccia dalla mostra “Additions d’Ar-chitetcture” esposta lo scorso anno all’IstituteFrancais de Naples che, con la formula “1+1=1”,ha illustrato gli interventi - orizzontali, verticali esotterranei - nel tessuto di Parigi. Per farlo, è ne-cessario che gli amministratori promuovano l’ar-chitettura e, come avviene in Europa, che questadiventi argomento di discussione fra i cittadini pernon subirla a cose mal fatte. Nei lavori pubblici benvengano i concorsi se saranno credibili, ben istru-iti e soprattutto correttamente giudicati. Tuttavia pervalorizzare il paesaggio urbano, la qualità del cam-biamento non dovrà costituire l’eccezione ma per-meare la normalità del quotidiano. “Il cambiamen-to è una condizione della vita - ha detto HassanFathy - ma dobbiamo anche riconoscere che il cam-biamento da un punto di vista etico è neutrale. Uncambiamento che non sia per il meglio, è per ilpeggio, e dobbiamo giudicarlo in questo senso”.Lo slogan dell’ultima Biennale di Venezia racco-manda, non senza qualche contraddizione, “Più eti-ca e meno estetica” ma l’esortazione deve essereperseguita con tenacia per pretendere dagli archi-tetti napoletani, quando per conservare la città sitornerà a richiedere “architettura”, di trasformarele necessità in desideri.

* docente della Facoltà di Architettura di Napoli

Ripristino del vecchio ingresso delle catacombe di S. Gennaro con strutture museali e di servizioLab. Progettazione 2 - Allievo Giuseppe Basso

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calendariomostrea cura di Alba Cappellieri

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Italia

Bologna - Padiglione Esprit Nouveau • Adolfo Natalini. Temporanea Occupazione fino al 10 gennaio info: +39 051 2912514Firenze - Palazzo Strozzi • Calatrava. Scultore, ingegnere, architetto fino al 7 gennaio info: +39 055 2335376Firenze - Università di Firenze • V Festival di Architettura in Video fino al 3 dicembre info: [email protected] - Villa Pignatelli • Klaus Kada: palazzo multimedia a Graz fino al 17 dicembre info: + 39 081 5524550Venezia - IUAV • Edoardo Gellner e Carlo Scarpa fino al 22 dicembre info: +39 041 710025Venezia - Peggy Guggenheim Collection • Venice/Venezia fino al 7 gennaio info: +39 041 2405404Verona - Museo di Castelvecchio • Carlo Scarpa: mostre e musei 1944-1976 fino al 10 dicembre info: +39 045594734Vicenza - Palazzo Barberan da Porto • Carlo Scarpa: case e paesaggi 1972-1978 fino al 10 dicembre info: +39 0444 323014

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Chicago - The Art Institute • Optical Delusion fino al 15 gennaio www.artic.eduLos Angeles - County Museum of Art • Made in California fino al 25 febbraio www.lacma.orgNew York - Solomon R. Guggenheim • Amazons of the Avant-Garde fino al 7 gennaio info: +1- 212 4233840

• Giorgio Armani fino al 17 gennaio info: +1- 212 4233840New York - Cooper Hewitt • 100 Masterpieces from the Vitra Museum fino al 4 marzo www.si.edu/ndm/New York - The Metropolitan Museum of Art • American Modern.Design for a New Age fino al 7 gennaio info: +1 212 57003951San Francisco - MoMA • American Studio Jawelry, 1940-1960 fino al 2 gennaio www.sfmoma.org/

Austria Vienna - Architektur Zentrum • Gronegger’s Workshop Body and constr. fino al 22 gennaio info: + 43-1 5223115Vienna - Generali Foundation • Viviencias/Life-Experience fino al 22 dicembre info: + 43 1 5049880

Francia Parigi - Institut Français d’arch. • Chazelle et Renaud fino al 14 gennaio info: www.archi.fr/IFA/Germania Berlino - Bauhaus-Archiv • Herbert Bayern zum 100 Geburstag fino al 28 novembre info: +49 30 25400278

Essen - Museum Folkwang • Bauhaus: Dessau, Chicago, New York fino al 12 novembre info: +49 2018845103Gran Bretagna Londra - Tate Modern • Herzog & de Meuron fino al 26 novembre info: + 44 20 78878000Olanda Amsterdam - Van Googh Museum • Light Art, technology and society … fino al 21 febbraio [email protected] Barcellona - Centre de Cultura Contemporanea • Architecture without shadows fino al 10 dicembre info: +34 93 3064100

Chicago - The Art Institute of Chicago • Skyscrapers: the new Millenium fino al 15 gennaio www.artic.edu• Chicago Architects fino al 30 marzo www.artic.edu

Los Angeles - UCLA Hammer Museum • The Un private House 26 Recent Homes fino al 7 gennaio info: +1 310 44437020New York - Metropolitan Museum • Art and the Empire City: New York 1825-1861 fino al 7 gennaio www.metmuseum.orgNew York - Museum of Modern Art • Open Ends fino al 31 gennaio info: +1 212 708 9750San Francisco - MoMA • Hiroshi Sugimoto: The Architecture Series fino al 2 gennaio www.sfmoma.org/

Faenza - Museo delle Ceramiche • Enzo Mari fino al 26 novembre info: +39 0546 21240Napoli - Palazzo Reale, Scuderie • Peter Willburger fino al 30 gennaio info: +39 081 5808111Napoli - Real Bosco di Capodimonte • Il Bosco Sacro dell’Arte fino al 30 marzo info: +39 081 5808111Reggio Emilia - Galleria Parmeggiani • 2000 Anni Luce fino al 31 dicembre info: +39 0522 456477Torino - Castello di Rivoli • Mirror’s Edge fino al 7 gennaio info: +39 0119581547

Finlandia Helsinki - Museum of Art and Design • Tapio Wirkkala: eye,hand and thought fino al 14 gennaio www;designmuseum.fiFrancia Parigi - Centre Pompidou • La donation Kartell.DeColombo a Arad fino al 4 dicembre info: +33 1 44784069

Parigi - Musée de la Publicité • Citroen, une saga publicitaire fino al 28 gennaio info: +33 1 44555750Danimarca Humlebaek - Louisiana MoMA • Vision and Reality fino al 14 gennaio www.louisiana.dk/Germania Berlino - Bauhaus-Archiv • Herbert Bayer fino al 28 novembre www.bauhaus.deGran Bretagna Londra - Hayward Gallery • Spectacular Bodies fino al 14 gennaio info: +44 20 79283144

Londra - Design Museum • Isambard Kingdom Brunei fino al 25 febbraio info: +44 20 74036933