articoli - altervista

80

Upload: others

Post on 16-Oct-2021

9 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: ARTICOLI - Altervista
Page 2: ARTICOLI - Altervista
Page 3: ARTICOLI - Altervista

ARTICOLI15 Conoscere il territorio.

Quei caldi mari tropicali - Francesco Grossi

18 I fossili del Museo “Ardito Desio”.Trochactaeon matensis - Francesco Grossi

22 Geositi del Lazio.Il Monte Morra e i megalodontidi - Andrea Bollati

34 Convegni.Le Giornate di Paleontologia 2011 - Francesco Grossi

42 I Protagonisti.Alexander von Humboldt - Francesco Grossi

52 Paleontologia dei vertebrati.I mammiferi terrestri fossili del Lazio durante il Plio-Pleistocene - Anastassios Kotsakis

62 All’alba del Sistema solare.La sonda Dawn esplora Vesta - Maurizio Chirri

72 Fotografare il cielo.Gli strumenti per la ripresa planetariaSergio Alessandrelli

RUBRICHE4 Geo news (a cura di F. Grossi e C. Amadori)

12 Paleo news (a cura di F. Grossi)

31 Un libro alla volta.Walter Alvarez - Le montagne di san Francesco (a cura di M. Chirri)

Jack Repcheck - L’uomo che scoprì il tempo(a cura di F. Grossi)

68 Meteo. Il tempo che ha fatto. Gennaio-Giugno 2011(a cura dell’Associazione E. Bernacca)

74 Astronomia & filatelia (a cura di F. Grossi)

75 Variabilia. Stelle variabili: la Supernova SN2011fe (a cura di M. Vincenzi)

78 Il cielo nel mirino. La cometa… (a cura di B. Pulcinelli)

GEO-QUIZ40 Soluzioni cruciverba (del Quaderno n. 2-3)

e nuovi giochi (a cura di Akira)

APPUNTAMENTI AL MUSEO30 Attività didattica del museo51 La rocca delle stelle: serate osservative

Registrazione Tribunale di Roma n. 105 del 4/04/2011

Pubblicazione finanziata con il contributo della Provincia di Roma, L.R. 42/97

Direttore responsabile:Paolo D’Angelo………..

Comitato scientifico:Aldo Altamore, Luigi Campanella, Anastassios Kotsakis, Carla Marangoni,Massimo Mattei

Comitato di redazione:Chiara Amadori, Maurizio Chirri, Francesco Grossi, Maurizio Parotto

Collaborazioni redazionali:Chiara Amadori (disegni, ove non specificamente indicato)

Silvana Mora (preparazione testi)

Sede:Cooperativa “Archimede”, Via Nomentana, 175 - 00161 RomaE-mail: [email protected]

Impaginazione e grafica:[email protected]

Stampa:Tipografia Rotastampa s.a.s.,Via Giuseppe Mirri, 21 - 00159 Roma

Finito di stampare: Febbraio 2012

som

mar

io

PERIODICO QUADRIMESTRALE

N. 4 (Anno II)

4

1834

52

75

Page 4: ARTICOLI - Altervista

Gli investigatori dei vecchi terremotiL’enigmatico MercurioDinosauri in trappola

Ciro, il cucciolo di dinosauro“Bolle” di magma e megaeruzioni

Quasicristalli: da “una creatura del generenon può esistere!” al Nobel

4 GEO NEWS

Gli investigatoridei vecchi terremoti

Il terremoto è un tema sempre al centrodell’attenzione, scientifica o mediaticache sia. Tra le tante branche di indaginescientifica, si sta recentemente svilup-pando la possibilità di sapere qualcosain più riguardo ai terremoti del passato,quelli che, per forza di cose, non possia-mo aver rilevato direttamente. Qualchemese fa, la rivista Geology ha pubblicatouna ricerca di Shmuel Marco (fig. 1) deldipartimento di Geofisica e Scienza Pla-netaria della Tel Aviv University, cheassieme ai colleghi ha creato un “sismo-grafo fossile”, come lui stesso l’ha defi-nito. Questa nuova strumentazione po-trà aiutare i geofisici e altri ricercatoriad approfondire la conoscenza dell’atti-vità sismica del passato. “I dati sismo-grafici sui terremoti vanno indietro solodi un secolo o giù di lì”, afferma Marco.“Il nostro nuovo approccio indaga mo-delli di onda dei sedimenti. Questo ci

aiuta a capire l’intensità dei terremoti inepoche passate”.I ricercatori hanno analizzato dei livelliterrigeni (prevalentemente fangosi) delMar Morto: essi hanno applicato l’”in-stabilità di Kelvin-Helmholtz” a questilivelli fortemente deformati, una teoriaapplicata solitamente alla turbolenza

QUADERNI DEL MUSEO

a cura di Francesco Grossi e Chiara Amadori

Figura 1 - Il ricercatore Shmuel Marco

Page 5: ARTICOLI - Altervista

5Geo news

nei fluidi. In questo modo anno ana-lizzato la deformazione dei sedimentimettendola in relazione ai terremoti delpassato. L’instabilità si presenta quan-do i diversi strati di un fluido sono inmoto relativo gli uni rispetto agli altri:il prof. Marco ed i suoi collaboratori,analizzando la geometria delle defor-mazioni e combinandola con altri para-metri fisici, hanno scoperto che la de-formazione inizia come pieghe modera-te simili ad onde, si evolve in comples-se pieghe reclinate, e, infine, mostra in-stabilità generalizzata e frammentazio-ne. Il processo di deformazione procedea seconda della dimensione del terre-moto: più forte è il terremoto, più in-tensa la deformazione conseguente. Lostrumento, in grado di analizzare i sedi-menti risalenti a migliaia di anni or so-no, potrà essere particolarmente utilesoprattutto in quelle aree dove i ter-remoti coinvolgono specchi d’acqua oqualsiasi corpo idrico, come la West Coast degli Stati Uniti, e soprattutto po-trà offrire agli esperti un maggior nu-mero di informazioni per affrontare i ri-schi futuri. A detta dei ricercatori, unodei primi siti dove verrà applicata que-sta nuova metodologia “investigativa”sarà il Salton Sea in Colorado, situatodirettamente sulla ben nota faglia diSan Andreas. Inoltre, potrà anche essered’aiuto agli ingegneri per decifrare conmaggior precisione i rischi che si posso-no presentare nella progettazione dinuove centrali idroelettriche. (F.G.)

Per approfondire

Wetzler N., Marco S., Heifetz E., 2010. Quanti-tative analysis of seismogenic shear-inducedturbulence in lake sediments. Geology, 38 (4),pp. 303-306. (doi: 10.1130/G30685.1)

L’enigmatico Mercurio

Mercurio è sempre stato un pianeta ab-bastanza enigmatico: paragonabile allaLuna per dimensioni e per la superficiefortemente craterizzata, possiede peròcaratteristiche di tipo terrestre, come uncampo magnetico globale e segni di at-tività geologica recente. Nonostante ciò,gli altri pianeti terrestri, Marte e Vene-re, hanno sempre suscitato un interessemaggiore, non solo negli aspetti più po-polari e nell’immaginario collettivo: ne-gli anni ‘70 la sonda Mariner 10 sorvolòMercurio ma le immagini che restituìnon entusiasmarono la comunità scien-tifica e il pianeta più piccolo del Siste-ma solare e più vicino al Sole venne“messo in soffitta”.Ma alcune “stranezze” di questo roven-te pianeta erano emerse già allora: mi-surando la traiettoria della sonda fupossibile infatti determinare il campogravitazionale di Mercurio e quindi lasua densità, molto elevata (5,4 gr/cm3),simile a quella della Terra, e questo permise di supporre la presenza di unenorme nucleo metallico, quindi moltodenso, appena sotto lo strato rocciosoesterno.Nel 2004 la NASA lanciò la sonda Mes-senger proprio per colmare queste lacu-ne, ed ora, dopo circa 40 anni dalle pri-me immagini, l’astronomia e la geolo-gia planetaria potranno analizzare unagran quantità di nuovi dati e fornirequalche risposta. Nel marzo scorso, lasonda si è inserita con successo nell’or-bita di Mercurio, operazione non scon-tata a causa dell’elevata velocità orbita-le, della bassa velocità di rotazione delpianeta e della vicinanza con il Sole.

APRILE 2011 - N. 4

Page 6: ARTICOLI - Altervista

altre sono le domande a cuiMessenger potrà contribuire arispondere, tra cui: in che mo-do un pianeta tanto piccolo puòavere un campo magnetico glo-bale? Quelle grandi macchieprossime ai poli che appaionoluminose al radar sono ghiacci,su di un pianeta la cui tempera-tura al suolo è circa 500°C?Da “fratello povero”, ora Mer-curio è dunque sotto i riflettoridella comunità scientifica: gliscienziati credono infatti che lacomprensione dei segreti geolo-gici del pianeta sia la chiave percomprendere più a fondo la for-

mazione di tutti gli altri pianeti rocciosidel Sistema solare. (F.G.)

Per approfondire

Denevil B.W. et alii, 2009. The evolution of Mercury’s crust: a global perspective fromMessenger. Science, 324, pp. 613-618. (doi: 10.1126/science.1172226)

Murchie S.L., Vervack R.J., Anderson B.J., 2011.Destinazione Mercurio. Le Scienze, 513, pp.53-57.

Dinosauri in trappola

È stata davvero una bella sorpresa perPaul Sereno, paleontologo dell’Univer-sità di Chicago. Per anni ha guidato lasua squadra in tre continenti a caccia difossili, ma mai si era trovato di frontead un vero a proprio cimitero di dino-sauri! La spedizione nel deserto dei Gobi, nella Mongolia interna, si è rive-lata eccezionale: in alcuni strati rocciosidi 90 milioni di anni fa, i paleontologihanno infatti rinvenuto i resti di una

Le prime rilevazioni della sonda duran-te i “fly-by” (1) effettuati prima di entrarein orbita (fig. 2) hanno già rilevato piùsorprese di quante ci si potesse aspetta-re: sono state infatti raccolte immaginidettagliate di un emisfero mai osserva-to in precedenza, e sulla superficie sonostati rilevate tracce di vulcanismo effu-sivo ed esplosivo segno della vitalitàgeologica del pianeta.Messenger sarà la prima sonda a stu-diare nel dettaglio la geologia di Mer-curio: in particolare, uno degli obiettividel progetto sarà raccogliere informa-zioni per decifrare l’evoluzione del pia-neta e la formazione del suo grande nu-cleo metallico, solido e fuso che sia. So-no state ipotizzati, tra gli altri, un vio-lento impatto che abbia asportato granparte della crosta rocciosa oppure unevento solare che potrebbe aver vapo-rizzato parte della sua superficie. Tante

6 QUADERNI DEL MUSEOGeo news

Figura 2 - La sonda Messenger in orbita attorno a Mercurio

–––––––––(1) Fly-by: detto anche “sorvolo ravvicinato”,

è il passaggio di una sonda spaziale, ad alta velocità, sopra un pianeta o un altro corpo celeste.

Page 7: ARTICOLI - Altervista

dozzina di Ornitomimidi, dinosauridalle fattezze simili ai grandi uccellinon volatori come lo struzzo. Nel 2003,un giovane paleontologo giapponeseaveva trovato nella stessa area i resti diun esemplare di dinosauro, a cui avevadato il nome di Sinornithomimus dongi, eproprio su questa base, Sereno era con-vinto di poter trovare ancora qualcosa,ma la realtà ha superato le sue aspet-tative…La squadra ha iniziato così a scavare,nelle prime fasi grazie ad un bulldozer,in prestito da una base dell’esercito ci-nese, che ha consentito di ridurre i tem-pi di scavo ad alcune settimane.Il risultato finale è stato l’individuazio-ne di 13 scheletri quasi completi, ma c’èdi più: tutti gli scheletri puntano versosud-est. Questo ed altri indizi portanoalla conclusione che i resti fossili non sisiano accumulati nel sito nel corso dimillenni: i dinosauri hanno trovato lamorte tutti insieme, probabilmente fini-ti impantanati nel fango durante unodei loro spostamenti di branco… unavera e propria trappola mortale. Dopoessere rimasti intrappolati, gli animali

sono stati probabilmente prede di qual-che divoratore di carogne, dato chequasi tutti gli scheletri mancano delleossa pelviche.Quello del deserto dei Gobi è quindi unsito fossilifero ancor più sorprendenteed inusuale, rappresentando una dellerarissime sepolture di massa mai rinve-nute. Questo ha permesso ai ricercatoridi ottenere informazioni in genere proi-bitive, come quelle sulla struttura dellasocietà di questi dinosauri, sulla divi-sione nella scala gerarchica tra giovanied adulti, sull’interazione reciproca tragli individui.Così, una tragica storia di 90 milioni dianni fa si è rivelata una delle più pre-ziose scoperte per i paleontologi deivertebrati! (F.G.)

Per approfondire

Sereno P.C., 2011. Trappola per dinosauri. LeScienze, 513, pp. 90-95.

Varricchio D.J., Sereno P.C., Zhao X., Tan L.,Wilson J.A., Lyon G.H., 2008. Mud-trappedherd captures evidence of distintive dino-saur sociality. Acta Palaeontologica Polonica,vol. 53 (4), pp. 567-578.

Ciro, il cucciolo di dinosauro

Del piccolo Ciro, il primo dinosauro ita-liano rinvenuto, tanto si è già detto escritto a proposito del suo eccezionalestato di preservazione, con parte degliorgani interni e dei tessuti molli perfet-tamente conservati, cosa unica al mon-do (fig. 4). Dopo anni di studi e ricerchecon tecniche sofisticatissime, e dopo ilprimo articolo pubblicato nel 1989 suNature, è stata di recente data alle stam-

7Geo news

Figura 3 - Ricostruzione artistica del branco di Sinornithomimus

APRILE 2011 - N. 4

Page 8: ARTICOLI - Altervista

sta di caratteri morfologici neo-natali testimonia come questocucciolo di dinosauro, nato cir-ca 110 milioni di anni fa (Creta-cico Inferiore), trovò la mortepoche settimane dopo la nasci-ta, se non addirittura dopo po-chi giorni.L’analisi statistica di oltre 30.000caratteri ha confermato inoltrel’appartenenza di Ciro al grup-po dei Teropodi, i dinosauri car-nivori che comprendevano, tragli altri, anche i famosi Tyranno-saurus e Velociraptor, nonché la

forte somiglianza con gli uccelli, essen-do caratterizzato da ossa cave e saccheaeree come i moderni volatili. Fosse vis-suto fino all’età adulta, Ciro avrebberaggiunto i venti chili di peso e la lun-ghezza di circa un metro e mezzo.A conclusione di questa ricerca paleo-investigativa, resta ancora da chiarire lacausa della morte: sul corpo di Ciro nonci sono tracce di traumi. È quindi probabile che il cucciolo siaannegato durante un violento nubifra-gio, e sia stato rapidamente seppellitodai sedimenti sul fondale di un anticomare, in un ambiente che, per particola-ri e rare condizioni chimico-fisiche, per-metteva la perfetta conservazione degliorganismi. (F.G.)

Per approfondire

Dal Sasso C., Maganuco S., 2011. Scipionyx sam-niticus (Theropoda: Compsognathidae) fromthe Lower Cretaceous of Italy. Memorie dellaSocietà Italiana di Scienze Naturali e del MuseoCivico di Storia Naturale di Milano, vol. 37 (1),pp. 1-282.

Dal Sasso C., Brillante G., 2001. Dinosauri ita-liani. Marsilio Editore, pp. 1-256, Milano.

8

pe una imponente monografia di circa300 pagine nella quale Cristiano DalSasso e Simone Maganuco, paleontolo-gi del Museo di Storia Naturale di Mila-no, presentano tutti i risultati ottenuti.Le fotografie UV, le innumerevoli TACeffettuate, le analisi al microscopio elet-tronico a scansione (SEM) hanno rivela-to che i tessuti dello Scipionyx samniti-cus (questo il nome scientifico di Ciro),tra cui vasi sanguigni e fibre muscolari,sono ottimamente conservati anche a li-vello cellulare e sub-cellulare, e ciò hapermesso ai ricercatori di effettuare unavera e propria “paleo-autopsia”.L’intestino, nel quale sono preservatiperfino i batteri che lo colonizzavano,ha consentito di esaminare “l’ultimopasto” del piccolo dinosauro: dei pescisimili a sardine ed una zampa di lucer-tola, quest’ultima troppo grande perchéCiro potesse averla predata da solo, se-gno che Scipionyx era molto giovane edancora nutrito dai genitori con i restidei loro pasti.Altro dato rilevante riguarda infatti ladurata della vita di Ciro: la sua lunga li-

QUADERNI DEL MUSEOGeo news

Figura 4 - La lastra di calcare litografico che contiene Scipionyx samniticus (la barra corrisponde a 5 cm)

Page 9: ARTICOLI - Altervista

“Bolle” di magma e megaeruzioni

La storia della Terra è marcata da alcu-ne straordinarie eruzioni vulcaniche, edalcune zone del pianeta sono oggi testi-moni di queste “megaeruzioni”. Oltre due milioni di chilometri qua-drati di materiale vulcanico, emessi circa 250 milioni di anni fa, ricoprono la Siberia orientale, così come l’alto-piano del Deccan, nell’India nord-oc-cidentale, è interamente formato daespandimenti basaltici emessi 65 mi-lioni di anni fa.Non è un caso che queste due “istanta-nee” nel tempo geologico corrisponda-no a momenti di intensa crisi biologica,due dei cinque grandi eventi di estin-zione globale della Terra.Probabilmente assieme ad altri fattoriconcomitanti, questi periodi di intensaattività vulcanica causarono il deterio-rarsi degli ecosistemi e portarono allascomparsa della maggior parte dellespecie viventi.

Matthew Jackson, geologo della BostonUniversity, ha recentemente analizzatodal punto di vista chimico rocce mag-matiche provenienti da diverse “grandiaree ignee” (fig. 5), riscontrando unacombinazione di isotopi simile a quellaipotizzata per le antichissime rocce del-la “neonata” Terra. Secondo Jackson, ilmantello terrestre (la porzione del pia-neta compresa tra la superficiale crostaed il nucleo) non ha una composizioneomogenea, sarebbe piuttosto caratteriz-zato da enormi “bolle” di magma pri-mordiale ricche di elementi radioattivi,quindi più calde e meno dense delle arecircostanti. Ogni qualche milione di anni, queste “bolle” si farebbero stradaverso la superficie, causando le “me-gaeruzioni”. (F.G.)

Per approfondire

Jackson M.G., Carlson R., Kurz M.D., KemptonP.D., Francis D., Blusztajn J., 2010. Evidencefor the survival of the oldest terrestrialmantle reservoir, Nature, 466, pp. 853-856.(doi: 10.1038/nature09287)

9Geo news

Figura 5 - Le rocce basaltiche della Baia di Baffin, tra quelle analizzate da Jackson

APRILE 2011 - N. 4

Page 10: ARTICOLI - Altervista

prevedeva assolutamente un’organiz-zazione periodica degli atomi nello spa-zio, così la visione di una struttura delgenere colse tutti di sorpresa e con mol-to scetticismo; perfino lo stesso Shecht-man impiegò due anni per pubblicarnei risultati. Dopo l’uscita del lavoro nel 1984, finoal 2009 si è susseguita una lunga seriedi esperimenti con la sintesi in labora-torio di centinaia di quasicristalli. Mate-maticamente queste strutture erano giàstate ipotizzate da molto tempo, infattine esistono testimonianze già in epocastorica (soprattutto dagli Arabi e dagliEgizi) con rappresentazioni artistichecome pavimentazioni, affreschi e mo-saici (fig. 7).Dopo aver detto ciò, allora, cosa è acca-duto di così straordinario da far tornareal centro dell’attenzione questo tema?La scoperta nel 2009 del primo campio-ne di quasicristallo naturale, effettua-

to da un gruppo inter-nazionale di ricercatoriguidato da un italiano: il Prof. Luca Bindi del-l’Università degli Studidi Firenze.Egli a quel tempo era il curatore della Sezionedi Mineralogia del Mu-seo di Storia Naturale di Firenze, in cui si oc-cupava, parallelamentealla collezione, di varitemi di ricerca tra cui iquasicristalli. Particolarmente incurio-sito da un articolo di ri-cercatori americani (pro-prio coloro che diven-teranno in seguito suoi

Quasicristalli: da “una creatura del genere non può esistere!” al Nobel

Ai quasicristalli abbiamo già accennatosul primo numero dei “Quaderni” mane parliamo nuovamente poiché nel2011 è stato assegnato il Premio Nobelper la Chimica (ricordiamo che pur-troppo non è stata istituita la categoriaper le Scienze della Terra) a DanielShechtman (fig. 6), scienziato del Tech-nion Israel Institute of Technology diHaifa, che nel 1982 descrisse per la pri-ma volta, dopo la sintesi di una lega diAlluminio e Manganese in laboratorio,una struttura inaspettata, in cui ricorre-va un ordine aperiodico (cioè senzasimmetrie traslazionali) a lungo raggio,con simmetria pentagonale.Ricordiamo che la definizione di mine-rale, fin a quell’epoca mai contrastata,

10 QUADERNI DEL MUSEOGeo news

Figura 6 - Il premio Nobel Daniel Shechtman

Page 11: ARTICOLI - Altervista

colleghi) cominciò a focalizzare la suaattenzione sull’analisi di alcuni minera-li da loro ipotizzati come quasicristallinaturali, essendo questi presenti pro-prio presso il museo fiorentino. Iniziò così una collaborazione che ini-zialmente non ebbe il successo sperato;i minerali in questione infatti, non si rivelarono gli sperati quasicristalli. Ma, forse anche grazie allo spirito diiniziativa italiano, la ricerca non si arre-stò ed altri campioni vennero scelti perla similarità della composizione chimi-ca rispetto ai primi e analizzati, tra cuiil piccolissimo esemplare di khatyrkite.Questo campione, che prende il nomeproprio dal fiume russo da cui provie-ne, si rivelò un aggregato di vari mine-rali (diopside, stishovite, forsterite), tracui il nuovo minerale chiamato Icosae-drite, un icosaedro (1) in fase quasicri-stallina di composizione Al63Cu24Fe13,che ha la stessa struttura e stechio-metria di quella sintetizzata da DanielShechtman.Le novità però non finirono qui; oltread essere stato rinvenuto per la primavolta in natura un minerale con quellesimmetrie finora escluse dalla minera-logia classica o ritenute temporalmentenon stabili, sono state effettuate moltis-sime analisi su tutte le altri fasi minera-logiche (pubblicate sulla prestigiosa ri-vista PNAS ad inizio anno) che hannofornito un esito ancor più sorprenden-te. La presenza del polimorfo del quar-zo (SiO2), la stishovite, che si forma soload altissime pressioni (superiori ai 10Gpa), testimonia un origine in condi-zioni impossibili sulla crosta terrestre;oltre a ciò, altre analisi isotopiche han-no datato il campione a 4.5 miliardi dianni e la fugacità dell’ossigeno stimata

è compatibile con quella presente nellaprotonebulosa che ha dato origine alnostro Sistema solare. Da ciò si è quindi dedotto che il cam-pione analizzato ha una genesi extrater-restre, compatibile con un meteoritecondritico(2) antichissimo che ha mante-nuto le sue fasi minerali stabili nel tem-po e conservando le simmetrie quasicri-stalline. Ora il testimone passa con orgoglio daimineralisti ai planetologi e agli astrofi-sici che cercheranno di ricavare il mag-gior numero di informazioni sulle mo-dalità e sulle condizioni della nascitadel nostro Sistema solare. (C.A.)

Per approfondire

Bindi L. et alii. Evidence for the extraterrestrialorigin of a natural quasicrystal. Proceedingsof the National Academy of Sciences. (doi: 10.1073/pnas.1111115109)

–––––––––(1) Icosaedro: poliedro avente 12 vertici, 30

spigoli e 20 facce, le quali sono tutte triangoliequilateri. L’icosaedro è uno dei cinque solidiplatonici.

(2) Condriti: meteoriti rocciose caratterizzatedalla presenza di condrule, microscopiche sferedi silicati in vario stato di cristallizzazione, ericche in acqua e carbonio, spesso sottoformadi composti organici.

11Geo newsAPRILE 2011 - N. 4

Figura 7 - Un arabesco a simmetria

pentagonale

Page 12: ARTICOLI - Altervista

di ricerca nazionali ed internazionali e, come ben sanno i lettori dei “Qua-derni”, nel suo piccolo anche il Museo“Ardito Desio”, che prende in esame lepeculiarità con cui esse affiorano neidintorni di Rocca di Cave e ci racconta-no la storia di un antico mare tropicale

di circa 100 milioni dianni fa.Nel numero 1 dei“Quaderni” abbiamoesaminato la compo-sizione, le caratteri-stiche e l’evoluzionedelle scogliere coral-line (“Le scogliere delpassato”, del Prof.Kotsakis), mentre nelnumero scorso, nel-l’articolo del Prof. Pa-rotto (“Lungo le rivedi un antico mare”), è stato riassunto il si-

12 PALEO NEWS

L’evoluzione e le caratteristiche dellepiattaforme carbonatiche del Cretacicoe le relative scogliere a rudiste sono dasempre al centro dell’attenzione deglistudiosi delle Scienze della Terra per i tanti spunti che queste possono forni-re, e di questi temi si occupano gruppi

Tettonica delle placche& rudiste

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 1 - Dominanza delle diverse componenti mineralogiche dei gusci degli organismi nel tempo (asse orizzontale:n. di specie di rudiste;asse verticale:scala del tempo)

Francesco Grossi

Page 13: ARTICOLI - Altervista

13Paleo news

gnificato geologico di una “piattaformacarbonatica”, testi ai quali rimandiamoper ogni tipo di approfondimento.Un filone molto interessante di ricercasulle piattaforme è quello che lega la lo-ro evoluzione ai cambiamenti globali,intesi sia come eventi paleoceanogra-fici, sia come quelle grandi variazioninella disposizione delle masse conti-nentali e nella produzione di nuovacrosta oceanica sui fondali marini notecome “tettonica delle placche”. Tra itanti lavori scientifici che si occupanodi questo, segnaliamo una recente pub-blicazione sulla rivista Geology di Tho-mas Steuber, ricercatore presso l’uni-versità di Bochum, in Germania.Nella parte basale del Cretacico (circa145-130 milioni di anni fa), le piattafor-me carbonatiche erano caratterizzatedalla dominanza di coralli ed alghe,espressa dai paleontologi con l’acroni-mo “chloralgal”: in seguito, il “succes-so” evolutivo del gruppo delle rudisteha progressivamente modificato le as-sociazioni di organismi presenti in que-sti particolari ambienti di mare basso,con acque ben ossigenate, a latitudinitropicali (fig. 1).Dapprima, con la comparsa delle fami-glie Caprinidae e Radiolitidae, tra ilBarremiano e l’Albiano (circa 130-100milioni di anni), mentre il vero e pro-prio dominio si verificò in corrispon-denza della comparsa della terza fami-glia di rudiste costruttrici di barriere, leHippuritidae, nel Turoniano, e per tuttoil Cretacico superiore (circa 95-65 milio-ni di anni), fino alla crisi biologica glo-bale che causò l’estinzione del 75% del-le specie viventi sul pianeta, tra cui an-che le rudiste.

Il guscio carbonatico delle rudiste pre-senta però delle differenze di composi-zione a seconda della famiglia cheprendiamo in considerazione: Caprini-dae e Ichthyosarcolitinae (una sottofa-miglia delle Radiolitidi, per alcuni au-tori una famiglia separata), dominatricidella prima parte delle associazioni arudiste cretaciche, sono costituiti in pre-valenza da aragonite, mentre le Hippu-ritidae e le altre radiolitidi hanno unadominanza della calcite (fig. 2). La for-mula chimica di entrambi i minerali èCaCO3, varia la densità, la struttura cri-stallina, il campo di stabilità per quantoriguarda pressione e temperatura: inparticolare, si è visto come un elevatorapporto tra magnesio e calcio nelle ac-que oceaniche favorisca la precipitazio-ne dell’aragonite, mentre un basso rap-porto quella della calcite.Durante il passaggio tra Cenomanianoe Turoniano si assiste ad una crisi biolo-gica che colpisce drasticamente alcunigruppi di organismi, tra cui le Capri-nidae, a vantaggio di una successivaesplosione dei gruppi a guscio domina-to da calcite, come appunto le Hippuri-tidae e alcuni generi di Radiolitidae.Questa netta variazione è stata messa inrelazione da Steuber ed altri autori conun forte incremento nella produzionedi nuova crosta oceanica nei fondalimarini, proprio in quel particolare in-tervallo di tempo nella storia della Ter-ra. Dalle spaccature che marcano comecicatrici i fondali, le dorsali oceaniche,fuoriuscì una notevole quantità di mag-mi basaltici, e ciò causò un alterazionenel rapporto Mg/Ca a vantaggio delcalcio, favorendo la precipitazione dellacalcite, che partecipò alla costruzione

APRILE 2011 - N. 4

Page 14: ARTICOLI - Altervista

14 Paleo news

del guscio di molti organismi, tra cui lerudiste. L’autore tedesco ha analizzato ed inte-grato un’enorme quantità di dati prove-nienti da depositi euro-asiatici ed ame-ricani (nella figura 1 i due contributi so-no differenziati), e sottolinea come, inrealtà, anche nell’Albiano e nel Ceno-maniano ci siano evidenze di una note-vole produzione di nuova crosta ocea-nica, ma in corrispondenza di quel pe-riodo di tempo la Terra conobbe un’im-ponente aumento globale delle tempe-rature (il Cenomaniano è correlato almomento più caldo dell’intero Cretaci-co), ed acque più calde favoriscono laprecipitazione dell’aragonite, cosicchésolo a partire dal Turoniano i gruppicon guscio costituito in prevalenza da

calcite hanno preso effettivamente il sopravvento.Geodinamica globale del pianeta, anti-chi ambienti di vita, geochimica delleacque, paleontologia: queste nuove li-nee di ricerca tengono insieme tuttiquesti aspetti della Geologia, a dimo-strazione che l’integrazione dei dati dipiù discipline è necessaria per poterspiegare al meglio l’evoluzione del no-stro pianeta e delle forme di vita che lohanno abitato.

Per approfondire

Steuber T., 2011. Plate tectonic control on theevolution of Cretaceous platform-carbonateproduction. Geology, 30 (3), pp. 259-262. (doi: 10.1130/0091-7613(2002)_030<0259:PTCOTE>_2.0.CO;2)

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 2 - Porzione di calcite ed aragonite nel guscio di alcune rudiste (nero: calcite; grigio: aragonite)

Page 15: ARTICOLI - Altervista

15CONOSCERE IL TERRITORIO

Il geosito di Rocca di Cave non finiscemai di riservare graditissime sorprese:durante i recenti lavori di ampliamentodella strada (tav. I, fig. 1) che collega ilversante nord-occidentale del paese(che comprende anche la Rocca Colon-na) alla porzione sud-occidentale, inprossimità del cimitero comunale, sonoinfatti venuti alla luce nuovi, ecceziona-li reperti fossili, fondamentali testimonidi un antico mare tropicale di circa 100milioni di anni fa.In particolare, ci vogliamo qui soffer-mare su un gruppo di organismi che hafornito gli esemplari probabilmente piùspettacolari anche dal punto di vistaestetico, oltre che dall’alto significatogeopaleontologico: i coralli.Nel numero 1 dei “Quaderni”, nell’arti-colo “Le scogliere del passato” a firmadel Prof. Kotsakis, abbiamo trattato del-le scogliere, delle loro caratteristichebiologiche e morfologiche, della loroevoluzione nel corso del tempo e deiprincipali organismi che hanno contri-buito alla loro costruzione: tra questi, icoralli sono stati, e sono tuttora, sicura-mente dei protagonisti. Lungo lo scassostradale sono stati rinvenuti interi cespi(tav. I, figg. 2,4), porzioni di colonie inposizione fisiologica di vita di diversimetri dette bioèrme, oltre a esemplari dicoralli isolati. Tra i coralli coloniali ri-trovati, citiamo Elasmocoenia, genere diesacorallo (ordine Scleractinia(1)). Que-

sto è caratterizzato da una colonia condiametro di ogni singolo “corallìte”(2) dicirca un centimetro e struttura facelloi-de, ossia con i corallìti che si accresconoin modo quasi paralleli tra loro, solotalvolta unendosi, a differenza dellastruttura dendroide (fig. 5). In tavola I, figura 3 è possibile osser-vare un particolare del “corallum”,(3) con il dettaglio dei setti di un singolo coral-lìte. Gli esemplari mostrati nelle figure(e molti altri!) sono stati identificati, ri-puliti dal terriccio ed ora sono conser-vati con cura ed esposti presso il MuseoArdito Desio, ed uno dei cespi più bellisi è già “guadagnato” la quarta di co-pertina dello scorso numero di questarivista!I nuovi fossili forniscono nuovi, interes-santissimi spunti per dettagliare mag-giormente gli ambienti di margine dipiattaforma del Cretacico superiore diRocca di Cave, in particolare per questointervallo di tempo, risalente al Ceno-maniano, circa 100-95 milioni di anni fa.Elasmocoenia è infatti segnalato nella letteratura scientifica da Carbone et alii

Eccezionali ritrovamenti di coralli fossili a Rocca di Cave

Quei caldi mari tropicaliFrancesco Grossi

–––––––––(1) Scleractinia: ordine di coralli sia coloniali

sia solitari, dallo scheletro aragonitico, presentidal Triassico all’Attuale.

(2) Corallìte: ciascun elemento scheletrico diuna colonia di coralli, ognuno dei quali ospita,in vita, un polipo.

(3) Corallum: detto anche polipaio, definiscel’intera colonia corallina.

APRILE 2011 - N. 4

Page 16: ARTICOLI - Altervista

16 Conoscere il territorio QUADERNI DEL MUSEO

TAV

OLA

I–

Fig.

1 - P

arte

del

nuo

vo s

entie

ro fo

ssili

fero

;Fig

.2, 4

- C

espi

di e

saco

ralli

recu

pera

ti;Fi

g.3

- Par

ticol

are

di u

n si

ngol

o co

rallì

te

12

34

Page 17: ARTICOLI - Altervista

nella lista dei Geositi della Regione La-zio (con il codice RM_16; Fattori e Man-cinella, 2010), e sono attualmente in iti-nere tutte le procedure scientifiche edamministrative per proclamare l’areafossilifera di Rocca di Cave “Monu-mento Naturale” della nostra regione.Nell’augurio di tutti, ciò comporteràun’ulteriore tutela, valorizzazione e di-vulgazione dei tesori naturali del no-stro territorio a livelli più ampi e conmaggiori risorse, obiettivo da semprepresente negli auspici di una “piccola”realtà come il Museo Ardito Desio, natoproprio come porta d’accesso al territo-rio circostante ed alla sua storia.

Bibliografia

Carbone F., Russo A., Sirna G., 1980. Comunitàa coralli e rudiste del Cretacico Superiore diRocca di Cave (Monti Prenestini, Lazio). An-nali dell’Università di Ferrara, Nuova Serie 9(6), pp. 199-217.

Fattori C., Mancinella D., 2010. La Conserva-zione del Patrimonio Geologico del Lazio:materiali, modelli, esperienze. Edizioni ARP– Regione Lazio, pp. 1-206.

Mariotti G., 1982. Alcune faune a rudiste deiMonti Carseolani:descrizione e correlazionedal bordo occidentale all’interno della piat-taforma laziale-abruzzese. Geologica Romana,21, pp. 885-902.

(1980) proprio nell’area di Rocca di Ca-ve lungo la via di Genazzano, con pic-cole porzioni di colonie di età coniacia-na (circa 87-86 milioni di anni fa), men-tre Mariotti (1982) la rinviene nei Montidel Matese in depositi di età santoniana(circa 84-83 milioni di anni fa), quindiin entrambi i casi in terreni più giovanirispetto a quest’ultimo, eccezionale rin-venimento.Per quanto riguarda gli aspetti paleoe-cologici, ricordiamo che la struttura e lamorfologia delle colonie di esacorallisono in stretta relazione con l’energiadel mezzo acquatico: sulla porzione su-periore del fronte della scogliera, la zo-na del frangersi delle onde, quindi adelevato idrodinamismo, dominano leforme incrostanti e/o massive, passan-do, all’aumentare della profondità, inambienti marini più “tranquilli”, sem-pre più verso forme ramificate, sottilie/o foliacee.Le colonie di Elasmocoenia sono ramifi-cate ma piuttosto massicce, suggerendodunque un ambiente ad energia medio-alta sul fronte della scogliera.Questo ulteriore ritrovamento arricchi-sce la rilevanza del sito geopaleontolo-gico di Rocca di Cave. È bene ricordareche il sito fossilifero è già stato inserito

Figura 5 - Possibili strutture delle

colonie coralline

17Conoscere il territorioAPRILE 2011 - N. 4

Page 18: ARTICOLI - Altervista

Trochactaeon matensis

Phylum MOLLUSCAClasse GASTROPODASottoclasse OPISTOBRANCHIAOrdine CEPHALASPIDEAFamiglia ACTAEONIDAEGenere Trochactaeon MEEK, 1863

Trochactaeon matensis (Fittipaldi), 1901

1901 Actaeonella matensis Fittipaldi, p. 11, tav. 1, figg. 14-14a1901 Actaeonella ellipsoides Fittipaldi, p. 12, tav. 1, fig. 131940 Actaeonella obtusa - Delpey, p. 232, tav. 11, fig. 91953 Trochactaeon matensis - Pchelincev, p. 302, tav. 50, figg. 8-111965 Actaeonella (Trochactaeon) matensis - Lupu, p. 56, tav. 4, figg. 32a,b

18 I FOSSILI DEL MUSEO “ARDITO DESIO” QUADERNI DEL MUSEO

Francesco Grossi

Come già precisato nei numeri precedenti di questi Quaderni, gli articoli di questa se-rie prendono in esame, per ciascun numero della rivista, uno o più fossili tra quelli pre-senti nella collezione del Museo “Ardito Desio”, esaminandone brevemente gli aspet-ti riguardanti la sistematica, la descrizione morfologica, l’antico ambiente e l’intervallocronologico in cui vissero, per conoscere un po’ più da vicino i protagonisti delle anti-che scogliere presenti nell’area di Rocca di Cave un centinaio di milioni di anni fa.Ricordiamo che, in paleontologia, ciascuna specie è inserita, dal punto di vista dellaclassificazione, in un genere di appartenenza assieme ad altre specie ad essa com-parabili, così come più generi, simili tra loro per alcune caratteristiche, sono inseriti inuna stessa famiglia, e così via per livelli superiori (si veda lo schema a colori nella se-conda pagina di copertina). Sono, queste, le categorie tassonomiche, ordinate in ma-niera gerarchica, secondo una nomenclatura codificata per la prima volta dal famosobotanico svedese Carl von Linné (Linneo) nel 1758.La prima parte della scheda identificativa dell’organismo fossile riguarda la sua collo-cazione nella grande famiglia di appartenenza, cui segue la cosiddetta sinonimia, os-sia la lista delle più importanti citazioni di quella stessa specie in lavori paleontologici.Questo elenco serve al paleontologo per vedere come, nel corso del tempo, dalla pri-ma istituzione, sia eventualmente cambiato il genere di appartenenza della specie inesame, in seguito a nuovi studi, e anche per correggere eventuali errori di classifi-cazione del passato; inoltre, è comunque uno strumento importante per chi volesseapprofondire le informazioni sulla specie in questione.

Page 19: ARTICOLI - Altervista

La specie Trochactaeon matensis è unaspecie di gasteropode fossile apparte-nente alla Famiglia Actaeonidae, unadelle famiglie di molluschi più diffusenel Cretacico Superiore in ambiente dimargine di piattaforma, in associazionecon le nerinee e le rudiste (la figura 1 il-lustra la struttura generale dei gastero-podi e della famiglia Actaeonidae).T. matensis è stata istituita dal medico enaturalista Emilio Fittipaldi ad iniziodel ‘900 nei terreni del Matese, ed è ca-ratterizzato da una robusta conchigliadi forma ovale, subellittica, raramentebulbosa, con il labbro columellare mar-cato da 3 pieghe, carattere comune amolte specie appartenenti a questa fa-miglia.Gli individui di T. matensis mostranouna spiccata variabilità dimensionale,con l’altezza da circa 3 a 10 centimetri euna spira generalmente molto pronun-ciata ma a volte corta e debolmentesporgente: in questi casi, l’ultimo girooccupa quasi per intero l’altezza dellaconchiglia.In Tavola I:1 è illustrato un particolaredel calcare ad acteonidi presenti all’ini-zio della via di Genazzano, dove le se-zioni variamente orientate mostrano lanotevole abbondanza degli individuipresenti, tanto da costituire, con l’accu-mulo dei loro gusci, i principali compo-nenti di alcuni corpi rocciosi. In I:2 si

osserva invece la sezione longitudinaledi un singolo esemplare di T. matensis.T. matensis, come tutti gli acteonidi, abi-tava le zone di retroscogliera e lagunainterna, settori caratterizzati dall’ener-gia del moto ondoso meno elevata ri-spetto alla zona di scogliera. Inoltre, co-me tutte le specie riferibili al genere Tro-chactaeon, anche T. matensis è epibionte,ossia viveva all’interfaccia acqua-sub-strato, al contrario del genere Actaeonel-la, il quale, dopo lo sviluppo post-larva-le, assume una modalità di vita endo-bionte, ossia infossata nel sedimento.Da ciò deriva anche la maggiore varia-bilità morfologica e dimensionale inTrochactaeon, “esposto” maggiormente avariazioni ambientali rispetto ad Ac-taeonella.Per quanto riguarda la distribuzionecronostratigrafica, T. matensis è segnala-to nei depositi del Cenomaniano e delTuroniano (da circa 100 a 90 milioni dianni fa) di Rocca di Cave, dei Monti delMatese (Molise), del Carso triestino esloveno, in Romania, Grecia e Caucaso.

Bibliografia

Carbone F., Praturlon A., Sirna G., 1971. TheCenomanian shelf-edge of Rocca di Cave(Prenestini Mts., Latium). Geologica Romana,10, pp. 131-198.

Fittipaldi C.F., 1901. La fauna coralligena delCretaceo dei monti d’Ocre. Memorie Descrit-tive della Carta Geologica d’Italia, 5: 3-235.

Galvani R., 1997. Le principali malacofaune delCretacico Superiore del Carso. Atti del MuseoCarsico Geol. Paleont., 2, pp. 1-30.

1965 Actaeonella (Trochactaeon) conica - Lupu, p. 56, tav. 4, figg. 31a,b1976 Mesotrochactaeon ellipsoides - Hacobjan, p. 327, tav. 73, figg. 3-51987 Trochactaeon matensis - Kollmann, pp. 51-52, tav. 3, figg. 32-341990 Trochactaeon ghazirensis - Galvani, pp. 59-63, fig. su p. 611997 Trochactaeon matensis - Galvani, p. 28

Francesco Grossi: PhD, Dipartimento ScienzeGeologiche Università degli Studi “Roma Tre”;E-mail: [email protected]

19I Fossili del Museo “Ardito Desio”APRILE 2011 - N. 4

Page 20: ARTICOLI - Altervista

Struttura generale degli acteonidi

20 QUADERNI DEL MUSEO

Figura 1 - a: Caratteri morfologici dei gasteropodi. b: Disegno di T. matensis (da Fittipaldi,1901). c-d: Diversa morfologia della conchiglia nel genere Trochactaeon (c, spira sporgente) edActaeonella (d, spira involuta) (da Galvani, 1997)

I Fossili del Museo “Ardito Desio”

a b

c d

Page 21: ARTICOLI - Altervista

21I Fossili del Museo “Ardito Desio”

TAVOLA I

Trochactaeon matensis (Fittipaldi)

1 - Sezioni trasversali naturali (per erosione) di molti esemplari di T. matensis. La barra corri-sponde a 2 cm. 2 - Sezione longitudinale di un singolo esemplare, che permette di osservarela spira sporgente.

1

2

APRILE 2011 - N. 4

Page 22: ARTICOLI - Altervista

22 GEOSITI DEL LAZIO

Con questo numero dei “Quaderni delMuseo” inauguriamo la rubrica dedica-ta ai geositi del Lazio, ed in particolarea quelli che seppur meno conosciutimeritano certamente una visita. Il pri-mo luogo d’interesse geologico chesuggeriamo è sito sui Monti Lucretili(ubicati a N dei Monti Prenestini e diRocca di Cave) che rappresentano i ri-

lievi più occidentali dell’AppenninoCentrale e che si ergono ripidamente aest della Campagna Romana.

Cos’è un GeositoUn Geosito, definito come “una località,area o territorio che presenta un interessegeologico - geomorfologico per la conserva-zione” (W.A.P. Wimbledon, 1996), è unbene naturale non rinnovabile, rappre-senta un patrimonio geologico inesti-mabile che bisogna censire, tutelare e

Alla scoperta del nostro patrimonio geopaleontologico

Il Monte Morra e i megalodontidi

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 1 - Ubicazione del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili e del M. Morra

Andrea Bollati: PhD, Dipartimento di ScienzeGeologiche, Università degli Studi “Roma Tre”

Andrea Bollati

Page 23: ARTICOLI - Altervista

valorizzare; la maggior parte di essi èsconosciuta ai più e assumono grandeimportanza anche per nuove forme diTurismo come il GeoTurismo che guar-da alla geodiversità come il fattore chia-ve che sta alla base della biodiversità epiù in generale agli ambienti naturali.La “geodiversità”, intesa come l’insie-me naturale degli aspetti, associazioni,sistemi e processi geologici e geomorfo-logici, “include testimonianze della sto-ria della Terra (testimonianze della vitapassata, degli ecosistemi e degli am-bienti) ed un insieme dei processi (bio-logici, idrologici ed atmosferici) usual-mente agenti sulle rocce, sulla geomor-fologia e sul suolo” (Eberhard, 1997).

Il Geosito del Monte Morra:I calcari dolomiticia megalodontidiIl geosito proposto èuno dei molteplici pre-senti nel Parco Natura-le Regionale dei MontiLucretili e sicuramenteuno dei più interessan-ti e facilmente raggiun-gibili tramite una brevee piacevole escursione.

Come arrivareDal centro abitato diMarcellina (fig. 1) siprende la strada per S.Polo dei Cavalieri; do-po poche centinaia dimetri (a circa quota 360m) si prende la stradache sale con ampi tor-nanti alla località diPrato Favale, luogo di

23Geositi del Lazio

Figura 2 - Stralcio della carta escursionistica dei Monti Lucretili (scala 1:25.000; ed. Il Lupo), con l’ubicazione dei geositi

e del tracciato del percorso del M. Morra proposto. Nella foto in alto a destra la grande quercia all’inizio del percorso (vista da sud)

partenza di alcune delle più interessan-ti escursioni nel Parco.Arrivati a Prato Favale, in prossimitàdell’ultimo tornante (q. 780 m) ha inizioil sentiero n. 302 (fig. 2); ci si dirige ver-so S prendendo come riferimento unagrossa quercia isolata (fig. 2), superatala quale ha inizio una evidente tracciadi sentiero che s’inoltra in un bosco nontroppo fitto. Si procede in leggera salita (presenti al-cuni segnavia bianco/rossi) sino ad ar-rivare (dopo c.a. 15-20 minuti) ad unpianoro (q. 865 m) dove la vegetazioneè più rada; qui vi sono le indicazioni(bandierine b/r su roccia) per i sentieri303D (che prosegue verso S) e 302A(che prosegue verso NE); si prendedunque quest’ultimo che sale versomonte lungo una traccia poco evidente,

APRILE 2011 - N. 4

Page 24: ARTICOLI - Altervista

24 Geositi del Lazio

sono presenti però segnavia b/r su roc-ce e alberi (aguzzare la vista!). Salendo,alcune radure permettono di ammira-re il versante N di M. Gennaro (che coni suoi 1273 m è il monte più alto di quest’area dei Lucretili); non è raro in-contrare cavalli allo stato brado (nientepaura, all’avvicinarsi dell’escursionistasi allontanano tranquilli per altri luo-ghi). Si prosegue in direzione NE se-guendo la traccia sempre meno eviden-te, ma la vegetazione meno fitta e i se-gnavia aiutano comunque a non per-dere il sentiero.Dopo circa 10 minuti dall’incrocio deisentieri 302A e 303D, a quota 940 m, siarriva al geosito (fig. 2, sito n.1) e all’af-fioramento (fig. 3) dei calcari dolomiticicon gusci di Magalodon (bivalvi).Dopo avere visitato il sito si consigliavivamente di proseguire per la vicinacima del M. Morra, salendo in direzio-

ne ENE (seguire i segnavia b/r), sino aquando le pendenze diminuiscono de-cisamente, la vegetazione è rappresen-tata da qualche albero isolato e la vettaè ormai a vista; raggiunta questa (10minuti dal geosito) è possibile ammira-re il magnifico panorama a 360° (fig. 4)su buona parte dell’Appennino Centra-le (si riconoscono i vicini monti Genna-ro e Cervia e le più lontane dorsali delGran Sasso e Velino, verso SE e S siscorgono i Monti Simbruini, Ernici ePrenestini e verso SW i Colli Albani eancora a W la Campagna Romana e lacapitale).Il ritorno avviene per il percorso dell’an-data (seguendo il segnavia b/r e la trac-cia a volte più evidente a volte meno).

Descrizione del geositoIl sito (fig. 3) è costituito da una succes-sione di strati calcarei e calcareo-dolo-

mitici, color da grigioscuro a nocciola scuro,del Triassico Superiore(Retico); gli strati im-mergono verso E (ver-so monte) e hannospessori medi di qual-che decimetro ma al-cuni di questi possonoraggiungere il metro;proprio quest’ultimisono ricchi di grossibivalvi magalodonti-di (genere Megalodon)con dimensioni anchedi qualche decimetro(figg. 5 e 6). La partico-larità dell’affioramen-to è rappresentata dal-la rarità di rocce cosìantiche (più di 200 mi-

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 3 - Affioramento dei calcari dolomitici a megalodontidi

Page 25: ARTICOLI - Altervista

lioni di anni!) in Appenino Centrale edalla conservazione e abbondanza deifossili presenti (per tali motivi è severa-mente vietato danneggiare il sito e pre-levare frammenti di roccia e fossili).Nel Triassico quest’area (come tuttol’Appennino Centrale) faceva parte diun ambiente definito piattaforma car-bonatica poiché i sedimenti presenti,prodotti anche dall’accumulo di gusci escheletri di animali, sono formati dacarbonato di calcio (la litificazione diquesti sedimenti origina le rocce deno-minate calcari).I megalodontidi vivevano nei bassi fon-dali (profondità massima 10 m) fangosimarini caratterizzati da acque calde,trasparenti e ben ossigenate, sotto la li-nea della bassa marea. Queste condizio-ni risentono di correnti e moto ondosoe per tale motivo questi bivalvi aveva-no sviluppato conchiglie a guscio spes-so con gli umboni piegati ad uncino(figg. 6 e 7) che permettevano loro diancorarsi meglio nel sedimento scioltoin cui erano infossati parzialmente.Gli strati a bivalvi si trovano al tettodella successione di depositi della For-mazione della Dolomia Principale, del

25Geositi del Lazio

Triassico Superiore, costituita da alcunecentinaia di metri di strati di dolomie ecalcari dolomitici; salendo al M. Morraè possibile osservare il passaggio ai più“giovani” calcari bianchi della forma-zione del Calcare Massiccio del Giurassi-co anch’essi di ambiente di piattaformacarbonatica (fig. 8), dove la stratifica-zione è molto meno evidente e la ma-crofauna è rappresentata prevalente-mente da gasteropodi (dimensioni cen-timetriche).Per approfondire l’argomento piattafor-me carbonatiche del passato si consigliala lettura dell’articolo del ProfessorMaurizio Parotto (“Lungo le rive di unantico mare”) nel numero 2-3 di questi“Quaderni”.L’Atlante dei geositi dell’Agenzia Re-gionale Parchi (ARP) del Lazio segnalasul M. Morra altri due siti di interessegeologico, il Sovrascorrimento del MonteMorra (n. 222) e le Megabrecce del MonteMorra (n. 223): il primo si trova lungo la strada che da Marcellina sale verso S. Polo dei Cavalieri (fig. 2, sito n. 2),poche decine di metri dopo l’inizio del-la strada che porta a Parto Favale, e corrisponde al fronte di una cava inat-

Figura 4- Salendo alla cima del M. Morra: panorama verso i Monti Prenestini e i Colli Albani (sullo sfondo a destra)

APRILE 2011 - N. 4

Page 26: ARTICOLI - Altervista

26 Geositi del Lazio QUADERNI DEL MUSEO

Figura 5 - Sezioni di megalodontidi

Figura 6 - Megalodontidi in posizione di vita (con gli umboni rivolti verso il basso)

Page 27: ARTICOLI - Altervista

27Geositi del Lazio

tiva dove è possibile osservare la so-vrapposizione tramite faglia delle dolo-mie e calcari dolomitici (color grigioscuro) del Triassico Superiore sui calca-ri (color bianco) del Giurassico Inferio-re; i colori ben distinguibili di questerocce di età diversa permettono di os-servare meglio la superficie della sud-detta faglia (fig. 9).Il secondo geosito (n. 223) è ubicatolungo la strada che sale a Prato Favale(fig. 2, sito n. 3): un taglio stradale met-te in evidenza (all’altezza del I e del IIItornante) la presenza di materiale detri-tico grossolano (megabrecce) nella par-te inferiore dei calcari fini di mare pro-fondo (bacino) della formazione dellaCorniola, successivi (più recenti) rispet-to ai calcari del Calcare Massiccio; la pre-senza di tali calcari di bacino (con faunemolto diverse da quelle di mare poco

profondo) indica che in quest’area è av-venuto un parziale sprofondamentodella piattaforma carbonatica, mentre lapresenza delle megabrecce all’internodi questi sediementi indica la vicinanzadi una porzione della stessa piattafor-ma non disarticolata da cui proveniva(tramite crolli e scivolamenti) tale mate-riale detritico; questo si distribuiva lun-go la scarpata di raccordo tra l’ambien-te di mare basso e quello di mare pro-fondo e veniva col tempo ricoperto dafanghi calcarei (i calcari della Corniola).Un altro luogo dove è possibile osser-vare comodamente e forse più facil-mente le megabrecce di Calcare Massic-cio entro la Corniola si trova sul versantemeridionale di M. Arcaro (fig. 2, sito n.4), lungo la strada asfaltata che da S.Polo dei Cavalieri sale verso N al M.Morra (fig. 10).

Figura 7 - I Megalodontidi in una tavola della pubblicazione “Paléontologie Lombarde”(1860-65) di Antonio Stoppani (in Pinna, 1976)

3

7

6

54

12

APRILE 2011 - N. 4

Page 28: ARTICOLI - Altervista

28 Geositi del Lazio QUADERNI DEL MUSEO

Figura 8 - Schema geologico dell’area del M. Morra (in AA. VV, 1993, modificato).1 detrito di falda (a), depositi marino salmastri plio-pleistocenici (b); 2 Unità tettonica 1 (a, Calcaremassiccio; b, Dolomia Principale); 3 Unità tettonica 2; 4 megabrecce; 5 geositi; 6 sovrascorrimento;7 faglia diretta; 8 faglia verticale

Figura 9 - Geosito il n. 222 (ARP Lazio): il Sovrascorrimento del Monte Morra.

Page 29: ARTICOLI - Altervista

29Geositi del Lazio

Bibliografia

AA. VV. (1993) - Guide Geologiche Regionali-Vol. 5: Lazio. Società Geologica Italiana, BE-MA ed., pp. 177-190, 208 - 223.

Accordi G. & Carbone F. (1987) - La successionetriassica di M. Morra (Monti Sabini meridio-nali). Rend. Soc. Geol. It., 10, pp. 83-86.

Bosellini A. (1989) - La Geologia delle Dolomiti.Ed. Athesia, pp.1-191.

Bollati A., Pitzianti P., Coronati C. (2010) - Mon-te Catillo, Monti Lucretili, Monti Navegna e Cervia, guida escursionistica. Escursioni,trekking e MTB nei tre parchi a nord-est diRoma. Ed. Il Lupo, pp. 1-144.

Bollati A., Corrado S., Cosentino D., MarinoM., Mattei M. & Parotto M. (2011) - Assettostrutturale della catena a pieghe e sovrascor-rimenti Umbro-Sabina (Italia Centrale) deri-vato dal rilevamento dei fogli 366 “Palomba-ra Sabina” e 375 “Tivoli” (Progetto CARG).Rendiconti Online della Soc. Geol. It., Vol.14/2011.

Cosentino D., Cipollari P. & Pasquali V. (2010) -Carta della geodiversità del settore sabino -lucretili - cornicolano. Regione Lazio, Agen-zia Regionale Parchi. Ed. ARP.

Cosentino D., Cipollari P. & Pasquali V. (2011) -La geodiversità in ambiente carbonatico: un

esempio dal settore sabino-cornicilano-lu-cretile dell’Appennino laziale. In: Fattori C.,Mancinella D. (eds.). La conservazione delpatrimonio geologico del Lazio. Regione La-zio, Agenzia Regionale Parchi. Ed. ARP.

De Angelis G. (2010) - I Monti della Lince.Aspetti storico-geografici, geo-paleontologi-ci, floristici, faunistici e paletnologici. Ed. Par-co Regionale dei Monti Lucretili, pp. 1-280.

Eberhard (1997) - Pattern and Process: Towardsa Regional Approch to National Estate As-sessment of Geodiversity; Technical Series n. 2, Australian Heritage. Commision & En-vironment Forest Taskforce, EnvironmentAustralia, Canberra, pp. 1-102.

Il Lupo Edizioni (2010) - Monte Catillo, MontiLucretili, Monti Navegna e Cervia, Cartaescursionistica (scala 1:25.000).

Pinna G. (1976) - Il grande libro dei fossili. Riz-zoli Ed., pp. 1-383.

Wimbledon W.A.P. (1996) - Geosites - a newconservation initiative. Episodes 19, pp. 87-88.

Siti internet consigliati

http://www.arplazio.ithttp://www.geositi.net/public/http://www.parchilazio.ithttp://www.parcolucretili.it/

Figura 10 - Megabrecce di Calcare Massiccio (C.M.) entro i calcari della Formazione dellaCorniola (CO) (località M. Arcaro, versante sud)

MONTE ARCARO

COCO

APRILE 2011 - N. 4

C.M.

C.M.

Page 30: ARTICOLI - Altervista

30 APPUNTAMENTI AL MUSEO QUADERNI DEL MUSEO

ATTIVITÀ DIDATTICHE DEL MUSEO

Ufficio Comune (lunedì-sabato ore 9-13.30):tel. 06 9584098/9574952; fax 06 9584025

siti web: [email protected] / www.hipparcos.it

mail: [email protected]

Orari di apertura: Pubblico: sabato e domenica: 10.00 - 13.00 e 16.00 - 19.00

Scuole e gruppi: martedì e venerdì su prenotazione (per scuole e gruppi superiori alle 20 unità). Costi: euro 4-5 (per tipologia di attività).

Note: Le attività si svolgono durante l’intero periodo scolastico. Attività previste:Visita al museo; Laboratorio; Percorso esterno; Intervento in classe: su richiesta.

■ SCUOLE PRIMARIE - Alla scoperta delle rocce e dei fossili.Età: 8-10 anni; classi: 3-4-5; durata attività: 3 ore; costi: 4 euro.

Obiettivi didattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, l’orientamento geografico, il riconoscimento delle rocce e dei fossili.

■ SCUOLE MEDIE - La storia del Lazio raccontata dalle rocce e dai fossili.Età: 10-13 anni; durata: 3 ore; costi: 4 euro.

Obiettivi didattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, l’orientamento geografico, il riconoscimento delle rocce e dei fossili, le fasi del-l’evoluzione dell’Appennino.

■ SCUOLE MEDIE SUPERIORI - Sulle sponde di un altro mare: l’evoluzione geologica dell’Appennino centrale.Età: 14-18 anni; durata: 3 ore; costi: 4 euro.

Obiettivi didattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, il riconoscimento delle rocce e dei fossili, le principali fasi dell’evoluzione e dellastrutturazione della catena appenninica, la nascita del Mar Tirreno e dei vulcanilaziali.

MODULO DIDATTICO “ESPLORIAMO IL CIELO”

Laboratorio: Serata astronomica (o Planetario didattico, sostitutivo per cause me-teorologiche o su richiesta); durata: 150’-180’; costi: 5 euro.

Attività previste: Visita al museo; Seminario; Osservazione astronomica; Plane-tario (opzionale); Percorso esterno.

Obiettivi didattici: Favorire l’acquisizione delle conoscenze di base dell’Astronomia.

Page 31: ARTICOLI - Altervista

31UN LIBRO ALLA VOLTA

di vista intellettuale, se è vero che Tho-mas Jefferson scrisse “nessun posto almondo poteva pretendere di competerecon Edimburgo”.Il saggio dedica inoltre ampio spazio al-le conseguenze della “rivoluzione hut-toniana” sul pensiero dell’800, in spe-cial modo su un giovane inglese che, af-fascinato dall’idea di un mondo in pe-renne evoluzione, volle verificare se ciòfosse valido anche nel mondo biologico:Charles Darwin. Forte delle letture deltesto huttoniano, “Teoria della Terra”, edi quello di Lyell, “Principi di Geologia”,Darwin elaborò così la sua teoria evolu-tiva, altra pietra miliare dell’evoluzionedel pensiero scientifico dell’uomo, testi-monianza di come spesso, nella storiadella scienza, singole personalità raccol-gano l’eredità di contemporanei e pre-decessori e facciano compiere al saperescientifico un ennesimo balzo in avanti:giganti sulle spalle di altri giganti.Il testo di Repcheck è quindi fortementeconsigliato: una meravigliosa avventu-ra scientifica descritta con taglio forte-mente divulgativo senza però rinuncia-re agli approfondimenti e a una rigo-rosa documentazione.

Jack Repcheck

L’uomo che scoprì il tempo

Jack Repcheck L’uomo che scoprì il tempo

Raffaello Cortina Editore, 2004, 233 pp., collana Scienza e Idee,

traduzione di Stefano Moriggi

a cura di Francesco Grossi

APRILE 2011 - N. 4

Il saggio di Jack Repcheck racconta unadelle più grandi rivoluzioni della scien-za e rende il giusto merito a James Hut-ton, scienziato scozzese della secondametà del ‘700, il primo a distaccarsi dal-l’ortodossia cattolica e a teorizzare un’e-tà della Terra molto più antica di quei6000 anni dedotti dalle Sacre Scritture.Una Terra in continua trasformazione,continuamente plasmata da forze impo-nenti, ben lontana dalla visione fissistae catastrofista propugnata dai maggioriuomini di scienza di un’epoca forte-mente permeata dai dogmi religiosi.Le intuizioni di Hutton furono poi ri-prese e sistematizzate da Charles Lyell,ed entrambi possono a pieno diritto es-sere considerati i padri della geologiamoderna.“L’uomo che scoprì il tempo” descrivecon dovizia di particolari la Scozia nellaquale Hutton crebbe, pervasa da fervoriilluministi, fortemente viva dal punto

Page 32: ARTICOLI - Altervista

32

ma area a dare lo spunto al titolo del vo-lume, con suggestive riflessioni privatesul paesaggio, sulla storia, sull’arte. Nelperiodo compreso fra il 1970 e il primodecennio del secolo, si è verificata unavera rivoluzione nella comprensionedei meccanismi geologici dell’orogenesiappenninica. La descrizione delle diver-se tappe e dei protagonisti dell’ecce-zionale fioritura di studi e ricerche che l’hanno prodotta, sono ampiamente de-scritti con molti riferimenti ai protago-nisti. Dalle scuole geologiche toscane,con Livio Trevisan, Carlo Migliorini,Giovanni Merla, Paolo Pialli, al ruolodei geologi dei gruppi di ricerca delleuniversità romane, “La Sapienza” e“Roma Tre”, in primis Renato Funiciel-lo. Alcuni capitoli sono dedicati alla Sto-ria della geologia italiana, a partire dalleosservazioni e studi in Toscana del da-nese Niels Stensen, Niccolò Stenone, di-mostrando così una sensibilità non co-mune negli autori stranieri. Citando igrandi fondatori della Geologia moder-na, Smith, Hutton, Lyell, l’autore dimo-stra di essere cosciente del problema deldebito per le acquisizioni precedenti edei molteplici contributi a loro con-temporanei, su cui si sono comunquefondate le riflessioni e le scoperte deipadri nobili delle moderne Scienze del-la Terra. Vale sempre la considerazioneespressa nel detto “se abbiamo visto piùlontano, è solo perché abbiamo guarda-to sulle spalle di altri prima di noi”. Co-

QUADERNI DEL MUSEOUn libro alla volta

Walter Alvarez

Le montagne di san Francescoa cura di Maurizio Chirri

L’autore è noto al pubblico italiano peril volume “T. rex e il cratere dell’apoca-lisse” (Mondadori, 1998), in cui ha af-frontato le tematiche connesse alla sco-perta nel 1979 del livello di iridio nellaGola del Bottaccione, unitamente a suopadre, Louis Alvarez (Premio Nobel perla Fisica) e le implicazioni con la grandeestinzione della fine del periodo Creta-cico. “Le montagne di san Francesco”segna un momento di particolare rifles-sione nella sua carriera di geologo, svol-tasi per oltre tre decenni, in gran partenel nostro paese. Il libro offre un quadrocomplesso che mescola la vicenda per-sonale con le ricerche condotte in diver-si settori geologici nella parte d’Italiacentrale compresa fra la Campagna ro-mana e il settore dell’Appennino um-bro-marchigiano. È proprio quest’ulti-

Page 33: ARTICOLI - Altervista

33Un libro alla volta

sì la ricostruzione dei primordi dell’in-terpretazione geologica è affidata aisuggestivi disegni di Stenone, con la suecaverne crollate e invase dal mare, concui spiegava l’aspetto delle valli e dei ri-lievi toscani. Si può notare che ancheStenone, per la sua interpretazione geo-logica, si fondava su altri prima di lui:la sua “teoria pneumatica” dei terremo-ti, le ingressioni marine, insieme a mol-to altro ancora, era stato descritto oltre15 secoli prima dai geografi greci. Nellesue pagine si susseguono i contributi dialtri scienziati italiani, fra cui il fondato-re della micropaleontologia, l’aretinoAmbrogio Soldani, il veronese Giovan-ni Arduino, tra i fondatori della moder-na Stratigrafia, i geologi italiani di fineottocento fra cui Guido Bonarelli. Con-tributi successivi, acquisizioni più o me-no valide, che comunque contribuironoprogressivamente prima a intuire e poicomprendere la complessa storia geolo-gica dei nostri rilievi. Il lettore può se-guire, con chiarezza espositiva, il succe-dersi delle teorie, dapprima nel quadrodi una Terra immobile, il “Fissismo”, leonde compressive e distensive dellageologia degli anni ‘50, la scoperta delruolo delle faglie inverse. Quindi in unavisione dinamica, quella della “Tettoni-ca delle placche”, il riconoscimento diampi sovrascorrimenti orizzontali, delruolo dei mari di neoformazione, comeil Tirreno, con i grandi vulcani che vi siaffacciano. Infine le integrazioni più re-centi, che si basano su un Mediterraneodinamico dove negli ultimi 20 milionidi anni, la traslazione antioraria dellapenisola è collegata allo smembramen-to della porzione meridionale della ca-tena alpina, formata dai blocchi sardo-corso e calabro-peloritano, capaci di

movimenti dell’ordine di molti centime-tri annui, mentre alla fine del Miocenela progressiva chiusura della soglia diGibilterra generava nei fondali mediter-ranei un ubiquitario orizzonte evapori-tico. Le evaporiti messiniane, traccia diuna catastrofe ambientale di 6 milionidi anni fa, sono state scoperte durantegli anni ‘70 in prospezioni di geologiamarina, cui ha contribuito direttamentel’autore. L’aspetto delle nostre monta-gne è spiegato con teorie via via mag-giormente complesse, più comprensivedel quadro globale in cui sono inserite:il Mediterraneo, laboratorio delle inda-gini più avanzate, quali la tomografiasismica, e delle ipotesi più innovative,come la “Teoria della delaminazionedella crosta profonda”. Il libro si leggecon grande interesse ed è in grado disvelare prospettive inusuali con cui os-servare il panorama che ci circonda: lemontagne dell’Appennino, i vulcani,anche il cuore della nostra città, il Cam-pidoglio. È il punto di vista della geolo-gia che permette di vedere nello spazioe nel tempo profondo. Le relazioni conle molteplici vicende storiche e arti-stiche della penisola, che costituisconola seconda prospettiva. Infine, il terzoorizzonte, rappresentato dagli uominidi questa storia e dall’autore. Traspare,in ogni pagina, un profondo coinvolgi-mento emotivo per il Bel Paese “ch’Appennin parte, e ‘l mar circonda e l’Alpe”(F. Petrarca, sonetto XCVI).

Walter Alvarez

Le montagne di san Francesco

Fazi Editore, 2011, 413 pp.

APRILE 2011 - N. 4

Page 34: ARTICOLI - Altervista

34 CONVEGNI

Dal 2 al 4 Giugno 2011 si sono tenute leannuali “Giornate di Paleontologia”,convegno organizzato dalla S.P.I., la So-cietà Paleontologica Italiana (fig. 1), perfare il punto della situazione sullo statodella ricerca paleontologica italiana ecoinvolgere in questo tipo di manife-stazioni scientifiche anche tutti gli appassionati e i “paleontofili” non ac-cademici.Quest’anno il titolo scelto per il simpo-sio, “Fossili senza confini”, è ampia-mente giustificato dalla location, vera-mente speciale: Il Monte San Giorgio(di seguito chiamato MSG), località inparte in territorio italiano e in parte inSvizzera, che si affaccia sul suggestivo

Lago di Lugano (figg. 2-3). La paleonto-logia italiana ha risposto con un ottimonumero di partecipanti!La località è da anni oggetto di studiodel gruppo di ricercatori dell’Universi-tà di Milano, con il Prof. Andrea Tintoriquale referente scientifico, i quali si so-no poi dimostrati ottimi ospiti ed orga-nizzatori delle Giornate.Per chiarificare l’importanza geo-pa-leontologica del MSG, basti dire che loscorso anno il versante italiano è entra-to a far parte dei siti dichiarati “Patri-monio Mondiale” dall’Unesco (il ver-sante svizzero aveva concluso l’iter burocratico già da qualche anno), pro-prio per l’abbondanza, la completezza e la conservazione dei resti fossili divertebrati marini del Triassico Medio,

La bellissima cornice del Monte San Giorgio per l’adunanza annuale dei paleontologi italiani

Le Giornate di Paleontologia 2011

QUADERNI DEL MUSEO

Francesco Grossi

Figura 1 - Il logo della Società Paleontologica Italiana

Figura 2 - Il logo del geosito Monte San Giorgio

Page 35: ARTICOLI - Altervista

35Convegni

che ne fanno uno dei lagerstätten (1) euro-pei più noti.I referenti italiani si sono riuniti in unaConvenzione dei Comuni, quelli sviz-zeri in una Fondazione, ma è già attivoun “tavolo di lavoro” comune, un boardtrans-nazionale per poter gestire al me-glio il sito, diviso da frontiere nazionalima unico, grande patrimonio “senzaconfini”. Il gruppo comprende rappre-sentanti delle amministrazioni locali, si-te menager e referenti scientifici, e tra isuoi obiettivi ci sono quindi la gestionedel geosito e la tutela, la valorizzazionee la divulgazione di un tale patrimonionaturale, tra l’altro inserito in un’area,la regione insubrica, ricca di altri geo-

parchi e siti di interesse geologico e na-turalistico che potranno essere coordi-nati in modo organico. L’accoglienzadei visitatori al geosito MSG sarà ga-rantita da un “visitor center” per il latoitaliano, posto a Clivio, ed uno per il la-to svizzero, a Meride, attualmente sededi un piccolo museo paleontologico.Le Giornate di Paleontologia sono ini-ziate nel paese di Besano, in provinciadi Varese, uno dei comuni italiani inse-riti nel sito Unesco come “zona di pro-tezione”. Gli organizzatori hanno pre-visto dapprima la visita al museo loca-le: i resti fossili provenienti dal MonteSan Giorgio sono talmente abbondantiche arricchiscono le collezioni paleonto-logiche dei musei di Zurigo, Lugano,Milano e Induno Olona, oltre ai già citatiMeride e appunto Besano. È presenteanche la riproduzione di uno dei verte-

Figura 3 - Scorcio panoramico dal MSG verso il Lago di Lugano

–––––––––(1) Lagerstätten: giacimento di rocce sedimen-

tarie caratterizzato da ricchissime associazionifossili e/o dalla straordinaria conservazionedelle stesse.

APRILE 2011 - N. 4

Page 36: ARTICOLI - Altervista

zioni di scarsa ossi-genazione di quegliantichi fondali mari-ni hanno permesso la conservazione deireperti fossili. Rettilimarini, pesci, mollu-schi ed altri organi-smi che vivevano inquei mari sono sta-ti così “intrappolati”nel sedimento e di-venuti poi fossili sen-za che i batteri ae-robici potessero com-

piere il loro “lavoro” distruttivo (fig. 4).Tutti i partecipanti all’escursione hannoquindi tentato di essere protagonisti, al-meno per un giorno, di uno straordina-rio, ulteriore ritrovamento tra gli stratima, ahimé, la fortuna non è stata dallaloro parte (fig. 5)! L’escursione è poiproseguita fino all’imbocco di anticheminiere (fig. 6), scavate già dall’800 perestrarre il bitume da questi livelli scuri,

brati marini più grandi di tutta l’asso-ciazione fossile del MSG, chiamato pro-prio Besanosauro, un rettile lungo oltre6 metri il cui originale è conservatopresso il Museo di Storia Naturale diMilano per ricerca. La giornata è prose-guita sul terreno, andando a toccare conmano le successioni rocciose così im-portanti per il mondo paleontologico: il sentiero percorso ha portato il grup-po di paleontofili sulletracce della Formazio-ne di Besano (TriassicoMedio), una serie di al-ternanze tra dolomie (2)

laminate e scisti bitu-minosi, livelli nerastrifittamente stratificati ericchi in materia orga-nica, nei quali le condi-

36 Convegni QUADERNI DEL MUSEO

Figura 4 - Gli strati laminati della Formazione di Besano ricchi di fossili

Figura 5 - Alla ricerca di fossili…

–––––––––(2) Dolomia: roccia sedi-

mentaria carbonatica costi-tuita principalmente dal mi-nerale dolomite, un carbo-nato doppio di calcio e ma-gnesio; prende il nome dalnaturalista e geologo fran-cese Déodat de Dolomieu.

Page 37: ARTICOLI - Altervista

37Convegni

e successivamente usato per pomatecurative come l’Ittiolo (che localmenteera chiamato Saurolo vista l’abbondan-za di resti di rettili!)… come dire, im-portanza scientifica di queste rocce manon solo!La seconda giornata del simposio ha vi-sto come protagoniste le comunicazioniscientifiche, presentazioni orali e poster,svoltesi in una confortevole sala con-gressuale dell’Hotel Serpiano, postoproprio a mezzacosta sul versante sviz-zero del MSG: la magnifica vista pano-ramica sul Lago di Lugano e sulle vettedel Monte Generoso che si insinuanonei rami del lago ha sicuramente allie-tato i congressisti!Le comunicazioni scientifiche sono sta-te di ottimo livello, piuttosto varie neitemi, alcune rivolte esclusivamente aspecialisti, altre hanno maggiormenteevidenziato l’uso della paleontologia

come strumento nelle scienze geolo-giche.Anche il Museo “Ardito Desio” era pre-sente con un suo prodotto, un postersulla prima segnalazione in Appenninocentrale dei bivalve Neithea zitteli (Piro-na, 1884) (per maggiori informazioni suquesta specie, si veda l’articolo relativosul precedente numero dei “Quaderni”).Al termine della giornata, il Presidentedella S.P.I., lo stesso Prof. Tintori, pun-tuale organizzatore delle Giornate, haindetto l’adunata della Società Paleon-tologica, riservata ai soli soci, in cui sisono discussi problemi, risorse e obiet-tivi futuri. Una larga convergenza si èraggiunta riguardo alla necessità di di-vulgare in modo sempre più ampio leconoscenze legate al patrimonio geo-paleontologico italiano, in tutte le mo-dalità e le forme possibili, tentando difar uscire la paleontologia (ma, in gene-

Figura 6 - Ingresso di un’antica miniera

APRILE 2011 - N. 4

Page 38: ARTICOLI - Altervista

38 Convegni

rale, tutte le scienze della Terra) al difuori di una sorta di “torre d’avorio” incui troppo spesso si imprigiona. Unastrada che sembra interessare anche al-cune amministrazioni locali, con l’isti-tuzione ufficiale sempre più frequentedi geositi e geoparchi di interesse regio-nale o nazionale forniti di percorsi at-trezzati, che possono così valorizzare lericchezze della storia naturale italianaanche sul fronte del geoturismo. Tuttele strutture, atenei, musei, enti, si impe-gnano, con i rispettivi mezzi, a produr-re idee, iniziative, come la “Settimanadella Scienza”, che, prossimamente,consentirà l’apertura al pubblico di tan-tissime strutture solitamente non visita-bili, o percorsi guidati particolari ed exhibit nelle strutture museali dedicatianche, ma non solo, alle scuole.Nel suo “piccolo”, questa è anche la li-nea guida del Museo “Ardito Desio”,che aderirà quindi con entusiasmo a

qualsiasi forma di divulgazione coordi-nata, sfruttando anche, come tanti altrimusei locali, il radicamento sul terri-torio. Come disse già nel 1971 Huguesde Varines, nella prima definizione di“ecomuseo”, questo deve rappresenta-re una “porta” sulla storia naturale,passando dal concetto di “immobile aquello di territorio”, e dalle collezionifine a se stesse a quello di patrimonioda tutelare e da divulgare nel suo pienosignificato.Un altro punto di convergenza dei socidella S.P.I., questa volta purtroppo ne-gativo, è stata la denuncia della costan-te difficoltà nel reperire fondi adeguatiche possano permettere di sviluppare almeglio i piccoli e grandi progetti che ri-schiano troppo spesso di rimanere sullacarta… Stabilita, infine, anche la sededelle Giornate di Paleontologia 2012:spettano all’Università di Catania l’o-nore e l’onere dell’organizzazione.

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 7 - Foto di gruppo dei congressisti

Page 39: ARTICOLI - Altervista

39Convegni

La terza giornata del simposio si è aper-ta con una mattinata dedicata ad alcu-ne conferenze ad invito riguardanti l’evoluzione della regione insubrica, lageologia delle Alpi meridionali e, inparticolare, del settore del MSG. Alcunecomunicazioni si sono poi focalizzatenel dettaglio sulle faune a pesci e rettilidella Formazione di Besano, mentrequella conclusiva, tenuta dal Prof. Tin-tori, ha illustrato le analogie tra i terrenitriassici del MSG e gli equivalenti in Ci-na, oggetto di studio del Dipartimentodi Scienze della Terra di Milano. Dopopranzo, e dopo la foto di rito che ha ri-tratto tutti i congressisti (fig. 7), le Gior-nate di Paleontologia si sono conclusecon un’ultima escursione, purtroppoparzialmente disturbata dal tempo,questa volta sul versante svizzero delMSG, guidata da Heinz Furrer, paleon-tologo dell’Università di Zurigo che datempo studia i rettili fossili del MSG.

Ultima tappa prima del ritorno a casa,la visita al museo di Meride, che sarà,come detto, presto ristrutturato ed am-pliato e fungerà da centro visitatori delgeosito MSG.Anche questo piccolo museo è comun-que attualmente ricco di tanti reperti,ed è impreziosito da antiche illustrazio-ni che permettono di visualizzare gliantichi fondali marini del Triassico.Nella figura 8 è illustrato un esemplaredi Felberia excelsa presente nel museo,una delle tante specie di pesci fossilirinvenute con individui perfettamenteconservati.Così si è conclusa questa “tre giorni”paleontologica al confine tra Italia eSvizzera, con la certezza che la cono-scenza dei beni paleontologici e geolo-gici porta anche ad una comprensionepiù viva della storia naturale dei nostriterritori, in modo che si possano anchemaggiormente rispettare e valorizzare.

Figura 8 - Esemplare di Felberia excelsa

APRILE 2011 - N. 4

Page 40: ARTICOLI - Altervista

40 GEO-QUIZ

1. Geo-crucintarsio

2. Il cercafossilida sinistra: corallo massivo,pesce, bivalve, uovo, stellamarina, corallo ramificato,dente di squalo, ammonite,rudista, nerinea, cranio

3. Li riconoscete?a. Nerineab. Acteonellac. circa 100 milioni di anni fa

QUADERNI DEL MUSEO

In questo riquadro sono nascosti alcuni nomi “geologici”.Le parole possono essere scritte anche al contrario, oblique e dal basso verso l’alto…

TROVATELI!

SOLUZIONI DEI GIOCHI DEL NUMERO PRECEDENTE

1. GEO-CRUCINTARSIO

MONTE - GEOSITO - MINERALE - VALVA - STELLA - NERINEA- CONCHIGLIA - GIACIMENTO - BIVALVE - ROCCIA

Page 41: ARTICOLI - Altervista

41Geo-Quiz

Completate lo schema di parole orizzontali, aiutandovi con gli articoli di questonumero dei Quaderni e con le lettere presenti; troverete così la parola verticale nelle caselle evidenziate, che corrisponde ad una famiglia di rudiste molto diffusatra i fossili di Rocca di Cave!

Si chiama C e, con la sua conchiglia un po’ particolare, è un tipico abitante delle scogliere di Rocca di Cave. Anche con l’aiuto del Quaderno precedente, provate a rispondere:

a. chi è C?b. a quale grande gruppo

di molluschi appartiene?

a cura di Akira

3. LO RICONOSCETE?

2. TROVA LA PAROLA

1. Provoca movimenti del suolo2. Famiglia di gasteropodi con forma

ad “oliva”3. Il paese che ospita il nostro Museo4. Nel passato, la costruivano rudiste

e coralli5. Colui che studia la Terra6. Protagonisti “coloniali” delle scogliere7. Cantone svizzero con

il Monte San Giorgio8. Importante geologo scozzese

del ’7009. “Cucciolo” di dinosauro italiano

10. Il celebre Ardito a cui è dedicato il Museo

11. Pianeta del Sistema solare più vicino al Sole

APRILE 2011 - N. 4

Page 42: ARTICOLI - Altervista

Si narra che nel 1778, Federico II,re di Prussia, si rivolse ad unbambino di 8 anni: “Nome?” –“Alexander von Humboldt, Si-re” – “Alexander…” fece pensie-roso Federico il Grande… “Mipare di ricordare che sia esistitoun grande conquistatore conquesto nome. Anche tu vuoi di-ventare conquistatore?” – “Sì Si-re, ma con il mio cervello”, rispo-se il giovane Humboldt.

Nel 2009 ricorreva non solo il150° anniversario della pubblica-zione de “L’origine delle specie”di Charles Darwin, giustamentecelebrato, ma anche il 150° annodalla scomparsa di FriedrichHeinrich Alexander Freiherr vonHumboldt (Berlino, 14 settem-bre 1769 - Berlino, 6 maggio1859), il padre delle Scienze Na-turali (fig. 1). Allievo di grandigeologi e naturalisti come Wer-ner, Heyne, Lichtenberg e Blumenbach,la sua opera e il suo esempio di natura-lista-esploratore contribuirono a far na-scere in Darwin stesso, Wallace, Haec-kel ed in molti altri l’amore per la scien-za e per l’esplorazione naturalistica. Se-condo Charles Darwin, Alexander von

42 I PROTAGONISTI

Alexander von HumboldtEsploratore romantico

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 1 - Alexander von Humboldt nel ritratto di Joseph August Stieler (1843)

Francesco Grossi

Francesco Grossi: PhD, Dipartimento ScienzeGeologiche Università degli Studi “Roma Tre”;E-mail: [email protected]

Humboldt “è stato il più grande esplo-ratore di tutti i tempi” e nutriva per iltedesco una vera e propria venerazione(“I have always admired him; now Iworship him”). Secondo Goethe, unasettimana sui libri non era così soddi-sfacente e produttiva come un’ora diconversazione con Humboldt.Il padre di Alexander von Humboldt,Alexander Georg, era un ufficiale prus-siano originario della Pomerania. Fu la

Page 43: ARTICOLI - Altervista

43I protagonisti

madre che si incaricò dell’educazionedei due figli garantendo ottimi inse-gnanti che consentirono loro di accede-re agli ambienti intellettuali berlinesi.Nel 1787, la donna inviò entrambi i ra-gazzi a studiare presso l’università diFrancoforte sull’Oder, una delle più importanti della Prussia. Alexander vistudiò per sei mesi finanza, scienzemercantili, scienze storiche, medicina,matematica e fisica.Il 25 aprile 1789 si immatricolò, seguen-do il fratello (Wilhelm von Humboldt,in seguito stimato statista ed intellet-tuale) presso l’università di Gottinga, ilcentro dell’illuminismo scientifico tede-sco. Nello stesso anno un’escursione sulReno produsse la prima delle sue operenaturalistiche: un trattato scientificosulle rocce basaltiche del Reno. Da que-sto momento in poi tutto il suo percor-

so di studi fu finalizzato ad un soloobiettivo, diventare esploratore percondurre ricerche scientifiche. Studiòlingue ed economia ad Amburgo, geo-logia a Freiberg e anatomia, astronomiae l’uso di strumenti scientifici a Jena. Il29 febbraio 1792 fu ufficialmente assun-to presso la società mineraria stataleprussiana, ma, sebbene non trascurassela professione, dedicò molto tempo aisuoi studi scientifici. Nel 1795 fece unviaggio di studio in Svizzera e in Italiadove acquisì conoscenze di geologia ebotanica. L’anno successivo morì lamadre, ed il patrimonio ereditato glipermise di tralasciare i suoi impegniprofessionali e dedicarsi completamen-te ai suoi progetti di viaggio.A Parigi conobbe il medico e botanicofrancese Aimé Bonpland, e con lui si di-resse nel 1799 a Marsiglia, con lo scopo

Figura 2 - Humboldt e Bonpland ai piedi del Chimborazo nel dipinto di Friedrich George Weitsch (1810)

APRILE 2011 - N. 4

Page 44: ARTICOLI - Altervista

44 I protagonisti

di dirigersi verso l’Egitto ed incontrareNapoleone. I due finirono invece per ri-trovarsi a Madrid da dove partironoper una spedizione nelle colonie ameri-cane grazie al supporto del ministro Ra-phael d’Urquijo.Leggiamo per un attimo il suo diario etroveremo lo stato d’animo di un uomoche sembra prevedere la grandezza diquel viaggio ormai imminente:“Tra poche ore salperemo... Che felicitàdi fronte a me! Quale tesoro di osserva-zioni potrò compiere per arricchire ilmio lavoro sulla costituzione della Ter-ra. Intendo raccogliere fossili e piante efare un’analisi chimica dell’atmosfera.Farò anche osservazioni astronomiche,la mia attenzione sarà sempre volta al-l’osservazione dell’armonia delle forze

naturali e dell’influenza esercitata dallacreazione inanimata sui regni vegetaleed animale”.Così, il 5 giugno 1799 salparono da LaCoruña sulla “Pizarro”, a bordo dellaquale trovarono una strumentazionescientifica di prim’ordine per effettuareil maggior numero di misurazioni pos-sibili, tra cui sestanti, quadranti, tele-scopi, cronometri, teodoliti, cianometri,igrometri, barometri e termometri. Do-po una traversata durata 22 giorni ap-prodarono, il 16 luglio 1799, Cumanà,in Venezuela, la prima tappa nel nuovomondo. La notte fra l’11 e il 12 novem-bre dello stesso anno osservarono unosciame di meteoriti delle leonidi; la de-scrizione di quest’evento fornì gli stru-menti per il riconoscimento della perio-

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 3 - La corrente di Humboldt

Page 45: ARTICOLI - Altervista

ro viaggio quinquennale (1799-1804),Humboldt e Bonpland percorsero 9650km a piedi, a cavallo o in canoa, un’e-splorazione del tutto scevra da interessicommerciali: ciò che li spinse fu il purodesiderio di conoscenza e la curiosità. Avevano fissato meridiani e paralleli,preparato mappe geografiche, studiato60.000 piante, delle quali 6300 eranosconosciute, introdotto la fitogeografiae descritto la corrente di Humboldt, co-sì chiamata in suo onore (fig. 3); comu-nicò all’istituto di Parigi la scoperta del-l’indebolimento del campo magneticoterrestre dai Poli all’equatore. I suoicontributi alle scienze della Terra furo-no molteplici, tra cui le sue attente os-servazioni dei vulcani del nuovo mon-do. Accennò all’origine vulcanica di al-cuni tipi di rocce, portando così un con-tributo essenziale alla definitiva archi-viazione del nettunismo (dal nome deldio del mare), una teoria affermatasi al-la fine del XVIII secolo grazie soprattut-to all’opera del geologo tedesco Abra-ham Gottlob Werner, secondo la qualetutte le rocce avevano un’origine mari-

dicità di tali eventi. Nel febbraio 1800abbandonarono la costa per esplorare ilsistema fluviale del Rio delle Amazzo-ni: il viaggio, che durò 4 mesi e li portòad attraversare quasi 3000 km di terri-tori inesplorati, mostrò i legami fra ilfiume Orinoco e il Rio delle Amazzoni estabilì l’esatta posizione del punto incui i due fiumi si separano.Sostarono alcuni mesi a Cuba, per poifare ritorno sulla terraferma a Cartage-na, in Colombia. Attraversarono le An-de e raggiunsero Quito il 6 gennaio1802, dopo un estenuante viaggio. Quifurono i primi europei a scalare entram-be le cime del vulcano Pichincha, pros-sime ai 5000 m. Durante il loro soggior-no tentarono di scalare il monte Chim-borazo (6310 m, fig. 2): giunsero fino aquota 5600 m, oltre i quali descrissero isintomi del mal di montagna; per alcu-ne decine d’anni mantennero comun-que il record di altitudine raggiunta du-rante una scalata. Il 9 novembre 1802,mentre si trovava a Callao, in Perù,Humboldt osservò il passaggio d Mer-curio. Studiò inoltre le proprietà ferti-lizzanti del guano, fon-damentali per la suasuccessiva introduzionein Europa. Una traversa-ta tempestosa li portò inMessico, dove vi resta-rono per quasi un anno,analizzando il calenda-rio degli Aztechi. Giun-sero poi negli USA, dovefurono ricevuti perso-nalmente dal presidenteThomas Jefferson. Il 3 agosto 1804 rien-trarono in Francia, aBordeaux. Durante il lo-

45I protagonisti

Figura 4 - Canzoccoli: il granito ed i filoni magmatici (“serpentino”)che tagliano il marmo (“calcare modificato”) in uno schizzo d’epoca

APRILE 2011 - N. 4

Page 46: ARTICOLI - Altervista

46 I protagonisti

na, in favore del plutonismo, teoria pro-posta dal geologo scozzese James Hut-ton (uno dei “padri” della geologia), se-condo il quale nei processi generatoridelle rocce occorreva prendere in consi-derazione anche i fenomeni magmatici.Quando il naturalista arrivò a Bor-deaux, nell’agosto del 1804 era, assiemea Napoleone, l’uomo più famoso delmondo. Humboldt si trattenne per qua-si un ventennio principalmente a Pari-gi, la capitale europea della scienza edella cultura, per valutare la sua spedi-zione e pubblicarne il resoconto.Il suo viaggio in Sud America fornì mi-riadi di nuove informazioni; questo ilpensiero di Jules Verne: “I risultati deiviaggi di Humboldt sono tali da per-mettere di definirlo l’autentico scoprito-re dell’America equatoriale. Prima dilui, questa terra veniva sfruttata senzaconoscerla ed una quantità innumere-vole delle ricchezze da essa prodotteveniva assolutamente ignorata. Occorredirlo chiaramente: nessun viaggiatoreaveva mai fatto compiere un tale pro-gresso alla geografia fisica e a tutte lescienze ad essa correlate. Humboldt èl’archetipo del Viaggiatore, nel sensopiù ampio e completo del termine”. (da“Les Voyageurs du XIX siècle”, 1880).Tra il 1807 ed il 1833 pubblicò un’operain 34 volumi in lingua francese sullaspedizione sudamericana, corredata dimolte mappe a colori e di illustrazionidi famosi incisori ramai. Questo impor-tante lavoro dissipò quasi completa-mente il suo intero capitale. Nel 1805,Humboldt divenne ciambellano del re-gno di Prussia e membro dell’Accade-mia delle Scienze.Nel 1822 ci fu un’importante “parentesiitaliana” nelle sue ricerche: uno degli

scenari decisivi nella diatriba tra nettu-nisti e plutonisti fu infatti una localitàdelle Dolomiti presso Predazzo, i Can-zoccoli (fig. 4), già ben nota ad inizio‘800 non solo dai turisti: i graniti ed ingenerale tutte le rocce vulcaniche pre-senti nell’area dei Monti Monzoni ciraccontano dell’esistenza di un anticovulcano nel periodo Triassico (circa 230milioni di anni fa), uno dei più grandid’Europa. Anche grazie alle precedentiintuizioni del Conte Giuseppe Marzari-Pencati, perito minerario dell’ImperoAustro-Ungarico, Humboldt volle visi-tare personalmente questa località. L’ar-rivo di una personalità così autorevolenella cittadina dolomitica è ancora ogginella memoria di quei luoghi: l’Albergo“Nave d’oro”, rimesso a nuovo per l’oc-casione, conserva con cura la firma del-l’illustre ospite sul proprio registro deivisitatori allora inaugurato.

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 5 - Federico Guglielmo III di Prussia

Page 47: ARTICOLI - Altervista

47I protagonisti

Le sue osservazioni sulle rocce magma-tiche dei Canzoccoli diedero uno deicolpi mortali alla teoria nettunista: cosìcome Plutone, l’antica divinità romanache regna nel sotterraneo mondo degliinferi, anche queste rocce si formanonel sottosuolo per processi legati a ma-nifestazioni vulcaniche. I geologi chia-mano ancora oggi questo tipo di roccemagmatiche solidificatesi all’internodella crosta terrestre “plutoniche”.

Nel 1827, il re Federico Guglielmo III(fig. 5) chiamò definitivamente Hum-boldt a Berlino garantendogli un vitali-zio annuo di 5000 talleri: Humboldt ob-bedì, anche perché era a corto di mezzieconomici.A 60 anni, Humboldt fu chiamato dallozar di Russia Nicola I che intendeva fi-nanziare un viaggio per ottenere infor-mazioni su possibili giacimenti minera-ri. Per circa sei mesi percorse a bordo diuna carrozza quasi 15.000 km in com-pagnia del mineralista Gustav Rose. Laspedizione lo portò nelle steppe dellaSiberia fino al confine con la Cina: stu-diò la natura del Mar Caspio e feceesperimenti sulla natura chimica dellesue acque, descrisse diverse famiglie dipesci, raccolse piante, misurò altitudini,temperature ed il magnetismo, presecampioni di roccia e scoprì la prima mi-niera di diamanti al di fuori dei tropici.Al contrario della spedizione sudameri-cana, quella asiatica non fu affatto libe-ra: Humboldt si era impegnato di fron-te allo zar di non commentare la situa-zione politica del paese. Tutto il suoviaggio fu sorvegliato da poliziotti efunzionari: “non potevo fare un passo,senza che mi trascinassero via comefossi stato malato”, scrisse in seguito

Humboldt. Tra il 1843 ed il 1844 vennepubblicato “Asia centrale”, il resocontodella spedizione.

Ma Humboldt aveva ancora un so-gno… “Ho in mente un’idea: racchiu-dere in un’opera tutto il mondo mate-riale, tutto ciò che oggi sappiamo delleapparizioni della volta celeste e dellavita sulla Terra”. Questa idea lo tenneimpegnato fino agli ultimi giorni: negliultimi 25 anni della sua vita Alexandervon Humboldt scrisse a Berlino la sua

Figura 6 - Frontespizio di un’edizione americana del 1856 di “Kosmos”

APRILE 2011 - N. 4

Page 48: ARTICOLI - Altervista

48 I protagonisti

summa scientifica, “Kosmos, Entwurfeiner physischen Weltbeschreibung”(“Il Cosmo, progetto di una descrizionefisica del mondo”, fig. 6). L’opera è unadelle più ambiziose nel mondo scienti-fico che mai siano state pubblicate: unadescrizione della struttura dell’Univer-so in uno stile letterario. I cinque tomidi “Kosmos” vennero pubblicati tra

il 1845 e il 1862 (l’ultimo uscì postumo).Tutti i volumi raggiunsero una tiraturadi 87.000 copie, cifra sensazionale perl’epoca, e vennero tradotti in quasi tuttele lingue d´Europa.È sicuramente l’opera di un uomo ma-turo, ma risuonano ancora i suoi slancientusiastici e un certo velo poetico cheha sempre contraddistinto i suoi scritti:“un libro sulla natura deve suscitare lastessa emozione che suscita la naturastessa”, scrisse…Opera di alta divulgazione scientifica,“Kosmos” racchiude, nelle sue migliaiadi pagine, il messaggio epistemologicodi Humboldt: l’osservazione e l’analisiempirica della realtà permette di averepiena consapevolezza dell’unità organi-ca della natura, di tutto ciò che esiste.Interessante è il rilievo che lo scienziatodà alle relazioni tra i fenomeni del co-smo, non soltanto considerati in sensospaziale, ma anche temporale: un pun-to di vista che una scienza storica comela geologia può fornire, e che Hum-boldt mostrava di aver metabolizzatoed elaborato:“Ma se vogliamo davvero comprenderela natura, non dobbiamo mantenerecompletamente disgiunto lo studio del-lo stato attuale della realtà da quellodelle sue precedenti fasi di sviluppo.Non possiamo farci un giusto concettodella natura delle cose senza guardareindietro come queste si sono formate.Non è solo la materia organica ad esse-re sottoposta ad un continuo mutamen-to, ad essere disgregata per dar formaad altre combinazioni. Il globo stesso ri-vela il mistero dei suoi stadi precedenti.Non possiamo esaminare la crosta ter-restre del nostro pianeta senza ricono-scere le tracce di passate presenze e di-

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 7 - Spheniscus humboldtiFranz Meyen, 1834 (disegno di Chiara Amadori)

Page 49: ARTICOLI - Altervista

immortali successi, ricolma delle piùeccelse ricchezze del sapere, e animatae vivificata dalle più preziose qualitàdel cuore. Un rudere? Macché, una piramide, un tempio umano perfettoquanto il Pantheon”.

Alexander von Humboldt morì il 6maggio 1859 all’età di 90 anni, propriomentre stava terminando “Kosmos” aBerlino. Non aveva congiunti e vennesepolto nella tomba di famiglia nel par-co dello Schloss Tegel. Pochi mesi dopo,come in un gioco di rimandi, CharlesDarwin diede alle stampe “L’originedelle specie”. Così scriveva nel 1831l’inglese, poco prima della partenzaverso il Sud America sul Beagle, nelviaggio che avrebbe cambiato la storiadella scienza: “Con la mente non faccioche correre ai tropici: leggo Humboldt eil mio entusiasmo è tale che a malapenami riesce di star seduto composto sullasedia”.Nel corso della sua vita Humboldt fusempre molto attento e partecipe dellegrandi rivoluzioni sociali: da ragazzo si

struzioni di un mondo organico. Le roc-ce sedimentarie presentano una serie diforme organiche, associate in gruppi,che si sono succedute e rimpiazzatel’un l’altra. Le diverse stratificazioni so-vrapposte ci mostrano faune e flore didiverse epoche. In questo senso la de-scrizione della natura è intimamenteconnessa con la sua storia; e il geologo,che cerca il nesso esistente tra i fatti os-servati, non può farsi un concetto delpresente senza ripercorrere, attraversole infinite epoche, la storia del passato”.

Nel novembre del 1856, il giornalista esaggista americano Bayard Taylor giun-se a Berlino per intervistare Humboldt,ormai quasi novantenne, che nell’ac-commiatarsi lo salutò in modo autoiro-nico: “Lei ha viaggiato molto e avrà vi-sto tanti ruderi… ecco, ora ne ha avutodi fronte un altro”.Questo il ricordo del saggista: “Strinsicosì la mano che aveva stretto quella diFederico il Grande, di Forster, di Schil-ler, di Napoleone e dei marescialli del-l’Impero, del Presidente Jefferson, Goe-the, Cuvier, Laplace, Bee-thoven, Walter Scott… inbreve, di tutti i grandi chel’Europa aveva generato intre quarti di secolo. Fissai ilmio sguardo in quegli occhiche avevano osservato le ra-pide di Aturès, il Chimbora-zo, il Rio delle Amazzoni, lecatene siberiane dell’Altai,le steppe tartare e il Mar Caspio… una vita dedicatacon devozione alla scienza.Non avevo mai visto un’im-magine di età venerandatanto sublime, coronata da

49I protagonisti

Figura 8 - Lagothrix lagotricha Humboldt, 1812

APRILE 2011 - N. 4

Page 50: ARTICOLI - Altervista

50 I protagonisti

entusiasmò per la notizia della rivolu-zione francese; quando a Berlino, nel1848, le rivolte culminarono nelle barri-cate, si sentì emotivamente legato ai ri-voluzionari. Nel 1857 si impegnò perl’abolizione della seconda servitù dellagleba in Prussia. Degno di nota è ancheil suo saggio politico sul regno di Nuo-va Spagna, che oltre ad aver apportatoun’ingente quantità di materiale sullageografia e sulla geologia del Messico,comprende appassionate descrizionidelle condizioni politiche e sociali; l’ap-pello che formulò in quest’opera controla schiavitù rimase tuttavia inascoltato.Nonostante ciò, i popoli latino-america-ni considerano tuttora Humboldt unodei fautori della loro indipendenza.Grande fu il rammarico, durante la suaspedizione in Asia, di essersi accordatocon una delle potenze la cui tiranniaegli ripudiava, ma la sua voglia di co-noscenza superò anche questo tenten-namento.Fu sempre colpito dal contrasto tra gliaspetti deteriori delle strutture socialicreate dagli uomini e la splendida ar-monia ed unità della natura:“Il viaggiatore che percorre il globo,proprio come lo storico che risale il cor-so dei secoli, ha davanti a sé sempre lostesso quadro desolante dei conflittidella specie umana. Ecco perché, testi-mone dei permanenti dissensi tra i po-poli, l’uomo che aspira alle gioie pacifi-che dell’anima ama volgere il propriosguardo alla tranquilla vita dei vegetalie alle energie misteriose della forza fe-condante della Natura; oppure, abban-donandosi a quell’istinto innato cheabita il suo cuore, l’uomo, colto daun’intuizione sacra, eleva i propri occhiverso il firmamento ove gli astri prose-

guono le loro evoluzioni eterne, gover-nate da un’inalterabile armonia”Per questo combatté sempre con vigore“politico” tutte le forme di discrimina-zione, di oppressione, nella speranzache anche la specie umana potesse sen-tirsi parte integrante di quell’armonia.

Perfino brevi note biografiche mostranocome Humboldt, genio poliedrico, ab-bia inseguito per tutta la sua esistenzaun sogno, anche quando lo portò allarovina economica: fu l’archetipo del ri-cercatore romantico. Tante sono le spe-cie animali e vegetali a lui dedicate, tracui il Pinguino di Humboldt (Spheniscushumboldti Franz Meyen, 1834, fig. 7), così come quelle da lui istituite, tra cuiricordiamo la scimmia lanosa bruna(Lagothrix lagotricha Humboldt, 1812,fig. 8), primate della famiglia degli Ate-lidi “incontrato” durante la sua spedi-zione sudamericana.La sua sete di conoscenza in camposcientifico non ha davvero avuto confi-ni di tempo e spazio, e il suo ideale diricercatore che insegue un sogno a sca-pito di tutto deve essere ancora oggi daesempio:“L’uomo deve aspirare al Bene e alle co-se grandi! Il resto dipende del destino”(Alexander von Humboldt, 1799).

Per approfondire

Di Bartolo A., Visconti A., 2009. Immagini discienza, viaggi e arte a 150 anni dalla mortedel naturalista tedesco Alexander von Hum-boldt. Ibis Edizioni, pp. 1-68.

Focher F., 2009. Alexander von Humboldt,schizzo biografico “dal vivo”. Il Prato, pp. 1-408.

Gould S.J., 2009. I have landed. Codice Edizio-ni, pp. 76-98.

QUADERNI DEL MUSEO

Page 51: ARTICOLI - Altervista

51APPUNTAMENTI AL MUSEO

Sabato 18 febbraio 2012 - Serata pianetiore 18:00 – 21:00 info Bruno e Tiziana 06-5566271

Sabato 17 marzo 2012 - Serata pianetiore 18:30 – 21:30 info Marco e Rossella 335-6575023

Sabato 31 marzo 2012 - Serata Luna e Saturnoore 21:00 – 23:30 info Bruno e Tiziana 06-5566271

Sabato 14 aprile 2012ore 21:00 – 23:30 info Bruno e Tiziana 06-5566271

Sabato 12 maggio 2012ore 21:00 – 23:30 info Marco e Rossella 335-6575023

MUSEO GEOPALEONTOLOGICO“ARDITO DESIO”

GRUPPO ASTROFILI HIPPARCOS

LA ROCCA DELLE STELLESERATE OSSERVATIVE 2011 / 2012

Il programma prevede una breve conferenza introduttiva seguita dall’osser-vazione guidata della volta celeste a occhio nudo, al binocolo e al telescopio.Il calendario può subire delle modificazioni, quindi si consiglia di telefonarealcuni giorni prima al numero indicato per ogni serata. L’appuntamento è fissato al Castello Colonna posto nella parte più alta del paese. Le serate sisvolgono a circa 1000 metri di quota, pertanto si consiglia un abbigliamentoadeguato. Non serve prenotazione e il costo del biglietto è 5 euro.

APRILE 2011 - N. 4

Page 52: ARTICOLI - Altervista

52 PALEONTOLOGIA DEI VERTEBRATI

I geologi hanno, da molto tempo, sud-diviso la storia della Terra in una seriedi periodi, di durata variabile, ognunodei quali è caratterizzato da una serie dieventi e da particolari faune e flore.L’ultimo periodo, chiamato Quaterna-rio, è a sua volta suddiviso in due sot-toperiodi, fortemente differenti dalpunto di vista di durata, il Pleistocene el’Olocene. Quest’ultimo comprende gliultimi 10.000 anni; per il Pleistocene lafine è stabilita appunto a 10.000 anni famentre il suo inizio si fissa a circa 2,6milioni di anni (= m.a.) fa, in coinciden-za con l’inizio di un raffreddamentoglobale e la formazione della CalottaGlaciale Artica (quella Antartica era giàformata molti milioni di anni prima).A parte scarsi lembi di terreno che era-no emersi occasionalmente, come testi-moniano alcune tracce di impronte didinosauri nel Lazio meridionale, la sto-ria geologica della regione laziale è unastoria marina, e per buona parte delPliocene il mare lambiva la base dei ri-lievi appenninici (fig. 1). Durante il Pleistocene si formerà il La-zio emerso come lo conosciamo oggi(fig. 2) e nei depositi sedimentari attri-

buiti a questo lasso di tempo si trovanooggi i resti di vertebrati e in primo luo-go di mammiferi fossili che caratteriz-zano la nostra area. Le faune a mammiferi fossili del Plei-stocene laziale cominciano a essere notee studiate a partire dal Seicento conspiegazioni che oggi vengono chiamatefantasiose, ma che testimoniano il climaintellettuale dell’epoca e il perduraredel dibattito circa l’origine organica oinorganica di tutti i fossili. Con l’iniziodel Settecento si accetta generalmentel’origine organica dei fossili e si cercanospiegazioni di tipo storico. Si pensa chetutte le grandi ossa scoperte nel Lazio ein tutta la penisola italiana appartenga-no a elefanti portati da Annibale, mapoi ci si rende conto che i resti raccolticorrispondono ad un numero moltomaggiore di esemplari rispetto a quelliattribuiti al generale punico da Tito Li-vio e dagli altri storici classici. FilippoBonanni, per risolvere questa situazio-ne paradossale sostiene (nel 1709) che iresti elefantini (almeno quelli della re-gione laziale) appartengono ad animaliimportati dall’Africa all’epoca di Anto-nino Pio. Verso la fine del Settecento invece, co-mincia a farsi strada la convinzione chei resti di elefanti e di altri mammiferirappresentano i fossili di animali vissu-

I mammiferi terrestri fossili del Laziodurante il Plio-Pleistocene

QUADERNI DEL MUSEO

Anastassios (Tassos) Kotsakis: Ordinario diPaleontologia, Dip. di Scienze Geologiche,Università degli Studi “Roma Tre”

Anastassios Kotsakis

Page 53: ARTICOLI - Altervista

53Paleontologia dei vertebrati

ti in questo territorio in periodi passatie rappresentano preziose testimonianzedella vita del passato e delle condizioniambientali che allora dominavano. Fragli scienziati (viventi esclusi) che più ditutti hanno contribuito dalla secondametà dell’Ottocento, allo studio dellefaune a vertebrati della regione si pos-sono menzionare Giuseppe Ponzi, Ro-molo Meli, Giuseppe Tuccimei, EnricoClerici, Alessandro Portis, GioacchinoDe Angelis d’Ossat, Carlo AlbertoBlanc, Geremia D’Erasmo, Angiola Ma-ria Maccagno.

I vari fossili che noi troviamo oggi, ap-partengono ad associazioni faunisticheo floristiche vissute in tempi differenti.Il primo compito di qualsiasi paleonto-logo è di attribuire ad un determinatoperiodo i fossili che sta studiando, allastessa maniera con la quale un archeo-logo cerca di assegnare ad un secolo ose possibile ad un decennio i resti di at-tività umana che sta studiando. Oggi la

geochimica, attraverso vari metodi, cioffre la possibilità di avere datazionimolto precise. Tuttavia il primo approccio è semprequello di una datazione relativa: tale as-sociazione faunistica è più evoluta ri-spetto a quell’altra e di conseguenza èpiù recente e così via. I paleontologi deivertebrati italiani hanno stabilito unasuccessione temporale per alcune asso-ciazioni faunistiche (chiamate UnitàFaunistiche = U.F.) raccolte in determi-nate località, che fungono da “campio-ni” per i ritrovamenti faunistici succes-sivi. Si confrontano i nuovi ritrovamen-ti con le U.F. e a seconda del grado evo-lutivo dei componenti della nuova as-sociazione scoperta, si collocano all’unao all’altra U.F. oppure a cavallo fra due.Varie U.F. sono poi raggruppate a unitàtemporali più ampie chiamate Età aMammiferi. I paleontologi italiani uti-lizzano come scala biocronologica per ilPliocene e il Pleistocene continentale treEtà a Mammiferi: Villafranchiano (cor-

APRILE 2011 - N. 4

Figura 1 - Paleogeografia del Lazio centrale verso la fine del Pliocene (disegno di M. Parotto)

Page 54: ARTICOLI - Altervista

54 Paleontologia dei vertebrati

rispondente approssimativamente adun intervallo temporale da 3,3 m.a. finoa 1.1 m.a.), Galeriano (fra circa 1,1 m.a.e 0,4 m.a.) e Aureliano (fra circa 0,4 m.a.e l’inizio dell’Olocene, cioè circa 10.000anni fa).

La più antica fauna del Villafranchianoè rappresentata in Italia da varie specielegate con l’ambiente forestale (masto-donti, rinoceronti, cervidi appartenentia generi estinti, bovidi del genere Lepto-bos). Intorno 2,6 m.a. avviene un eventochiamato dai paleontologi l’Evento del-l’Elefante e del Cavallo poiché per laprima volta compaiono nella penisolaspecie appartenenti alla famiglia Ele-phantidae e al genere Equus. Durante ilperiodo seguente varie forme di originepliocenica si estinguono e intorno a 2,0m.a. un altro evento, chiamato l’Eventodel Lupo, porta in Italia, leggermente

scaglionate nel tempo, una serie di spe-cie della famiglia Canidae e la iena gi-gante del genere Pachycrocuta. La scom-parsa delle antilopi e di varie altre spe-cie e la comparsa dell’ippopotamo e dicervidi e bovidi più evoluti caratteriz-zano l’ultima parte del Villafranchiano.Alla fine di questo periodo una serie diestinzioni, scaglionate nel tempo, costi-tuisce insieme con la comparsa del cer-vide gigante Praemegaceros verticornis edi alcune altre specie, il cosi detto Even-to Fine-Villafranchiano.Nell’area laziale, alla più antica fase delVillafranchiano (3,3 – 2,6 m.a.) risale unresto di un tapiro, Tapirus arvernensis,raccolto in una località imprecisa dellaSabina, resto che testimonia a favore diun ambiente forestale. Di età poco piùrecente è una fauna raccolta a Collepar-do, nel bacino di Anagni (Valle del Sac-co), nella quale sono presenti una tigre

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 2 - Paleogeografia del Lazio centrale al passaggio tra Pleistocene inferiore e medio(disegno di M. Parotto)

Page 55: ARTICOLI - Altervista

55Paleontologia dei vertebrati

con i denti a sciabola (Megantereon cul-tridens), un cane viverrino (Nyctereutesmegamastoides) simile a quello che at-tualmente vive in Asia e alcuni erbivorifra i quali un rinoceronte di tipo plioce-nico (Stephanorhinus cf. S. jeanvireti) (1).Condizioni simili ma con presenza dispazi aperti sono quelli che caratteriz-zano il Villafranchiano medio (2,6 - 1,9m.a.), testimoniati nel Lazio nella regio-ne della Sabina (questa volta le localitàdei ritrovamenti sono note) dalla pre-senza di un mastodonte, Anancus arver-nensis, di alcuni cervidi e di un topocampagnolo primitivo (Mimomys polo-nicus). Una fauna della stessa età è stataraccolta a Costa San Giacomo, nellaValle del Sacco.

Essa è caratterizzata dalla presenzasempre dello stesso mastodonte, dallaprima comparsa di un rappresentantedel genere Canis (Canis sp.) (2), un gros-so suide (Sus strozii), una gazzella (Ga-zellospira torticornis), un bue di piccoledimensioni (Leptobos furtivus), un rino-ceronte (Stephanorhinus cf. S. etruscus),più evoluto rispetto alla forma pre-sente a Collepardo, e un grosso istrice(Hystrix cf. H. refossa). Al Villafranchia-no superiore (1,9 - 1,1 m.a.) possono es-sere attribuiti i fossili trovati a MonteRiccio (Tarquinia), assegnati a un lupoprimitivo (Canis etruscus), ad una volpe

primitiva (Vulpes cf. V. alopecoides), a unequide di tipo zebrino (Equus stenonis),ad un cervide simile agli Axis attualidell’India e ad una specie estinta di ip-popotamo (Hippopotamus antiquus). In fasi più recenti del Villafranchianosuperiore appartengono i resti di unmammut primitivo (Mammuthus meri-dionalis), molto differente rispetto al bennoto mammut peloso delle ultime fasidel Pleistocene, dell’ippopotamo anti-co, del rinoceronte etrusco e di alcunicervidi, raccolti nella zona della Sabina,lo scheletro quasi completo dell’ippo-potamo antico raccolto a Sant’Oreste,alle pendici di Monte Soratte, e un mo-lare dell’elefante meridionale raccoltonel XIX secolo alla sommità di MonteMario a Roma. Alle fasi finali del Villa-franchiano si possono attribuire duescheletri parziali di Axis farnetensis euno scheletro completo di un bisonteprimitivo, Bison degiulii, raccolti a Ca-pena (durante i lavori per la costruzio-ne della direttissima Roma-Firenze nel1970). Durante il Galeriano compaiono in Ita-lia, in fasi successive, elefanti (Elephasantiquus, Mammuthus trogontherii), rino-ceronti (Stephanorhinus kirchbergensis,Stephanorhinus hemitoechus), un ippopo-tamo (Hippopotamus amphibius), cervididi grande taglia (Praemegaceros verticor-nis, Megaloceros savini), cervidi di picco-la e media taglia (Capreolus capreolus,Cervus elaphus, Dama clactoniana), bovi-di di grande (Hemibos galerianus, Bisonschoetensacki, Bos primigenius, fig. 3) emedia taglia (Hemitragus bonali, Ovisammon), equidi (Equus altidens, Equus ferus) e fra i carnivori ienidi (Crocutacrocuta, “Hyaena prisca”), felidi (Panthe-

APRILE 2011 - N. 4

–––––––––(1) La sigla “cf.” fra il nome del genere e

quello della specie significa che i resti non per-mettono una classificazione sicura ma che co-munque, molto probabilmente, si tratta dellaspecie riportata.

(2) Se dopo il nome generico seguono le let-tere “sp.”, cioè specie, significa che il materialefossile è sufficiente per un’attribuzione gene-rica ma non specifica.

Page 56: ARTICOLI - Altervista

56 Paleontologia dei vertebrati

ra leo), ursidi (Ursus deningeri, Ursus arctos) e canidi (Canis mosbachensis) (fig. 4).Nel Lazio la fauna più antica del Gale-riano è stata raccolta a Cava Redicicoli

(Bufalotta) a Roma. Ne fan-no parte oltre ad alcunespecie già presenti nel Villa-franchiano come il mam-mut meridionale, l’ippopo-tamo antico, il bisonte pri-mitivo e i rappresentantidel genere Axis, anche alcu-ne specie che compaionoper la prima volta, come ilrinoceronte Stephanorhinushundsheimensis e il cavalloEquus altidens. Le fasi suc-cessive dell’evoluzione del-le faune del Galeriano sonotestimoniate a Ponte Gale-ria (Roma). In una succes-

sione di sedimenti sono state raccoltetre faune differenti. La più bassa inclu-de solamente due roditori della fami-glia degli arvicolidi, uno dei quali (Pre-dicrostonyx sp.) è un primitivo lemming

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 3 - Scheletro di Bos primigenius conservato presso l’Università “La Sapienza” di Roma

Figura 4 - Ricostruzione artistica della valle del Tevere nel Pleistocene medio basale (disegno di S. Maugeri)

Page 57: ARTICOLI - Altervista

57Paleontologia dei vertebrati

dal collare. Da notare che si tratta didue specie che indicano ambienti apertie clima molto più freddo rispetto aquello attuale. La seconda fauna diPonte Galeria è caratterizzata dallacomparsa di varie forme nuove: duenuove specie di elefanti, Elephas anti-quus (fig. 5) e Mammuthus trogontherii rispettivamente chiamati elefante di fo-resta e elefante di steppa, che sostitui-scono l’elefante meridionale, due nuo-ve specie di cervi di grandi dimensioni,Praemegaceros verticornis e Megalocerossavini, uno strano bovide forse impa-rentato con un gruppo di bovidi india-

ni, Hemibos galerianus. Insieme fanno laloro comparsa alcune specie che vivonofino ad oggi, come la iena macchiata(Crocuta crocuta), una forma primitivadel cervo rosso (Cervus elaphus) e, forse,il cavallo selvatico (Equus ferus), oppureche si sono estinti in epoca storica, ster-minati dalla caccia dell’uomo come l’u-ro (Bos primigenius). Nella terza faunadi Ponte Galeria, oltre a varie specie giàpresenti nella fauna precedente, fannola loro comparsa varie specie come iltasso (Meles meles), la bertuccia (Macacasylvanus), una forma primitiva del cin-ghiale moderno (Sus scrofa), il capriolo

APRILE 2011 - N. 4

Figura 5 - Resto di Elephas antiquus rinvenuto nel 1932 nel centro di Roma

Page 58: ARTICOLI - Altervista

58 Paleontologia dei vertebrati

(Capreolus capreolus) e una forma estintadi bisonte (Bison cf. B. schoetensacki) mapiù evoluta rispetto al bisonte fine-vil-lafranchiano. Ne fanno parte anche uncriceto primitivo (Allocricetus bursae) euna specie fossile del genere Arvicola(Arvicola mosbachensis). Ritrovamenti diquesta fase di faune galeriane sono notiin varie località dell’area di Roma, il checi permette di aggiungere un daino pri-mitivo (Dama cf. D. clactoniana) e unaforma arcaica di un muflone viventeorientale (Ovis ammon) alla lista dellespecie di questo lasso di tempo. La fasepiù recente delle faune galeriane è rap-presentata in alcune località dell’arearomana (Cava Nera Molinario, strati in-feriori di Sedia del Diavolo) e al di fuo-ri di Roma a Palombara Sabina e suiMonti Ceriti (zona di Cerveteri). Ma la

località di riferimento è Fontana Ranuc-cio nella Valle del Sacco. In questa loca-lità sono state rinvenute fra i carnivoril’orso fossile (Ursus deningeri), antenatodell’orso speleo, il leone (Panthera leo) eil dohl o cuon (Cuon alpinus), un canidea distribuzione asiatica meridionale eorientale. Fra gli erbivori sono comunile specie già presenti nelle faune più antiche.

Le faune aureliane sono caratterizzatein Italia dalla scomparsa di varie speciecaratteristiche del Galeriano e dallacomparsa di alcune specie estinte comel’orso delle caverne (Ursus spelaeus), illeone delle caverne (Panthera spelaea), illupo (Canis lupus), il cervo gigante (Me-galoceros giganteus), l’asino delle steppe(Equus hydruntinus) e dalla presenza di

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 6 - Il sito di Saccopastore fotografato nel 1929 (data del primo ritrovamento nella località di H. neanderthalensis) da Sergio Sergi

Page 59: ARTICOLI - Altervista

59Paleontologia dei vertebrati

una serie di forme oggi estinte già pre-senti precedentemente, come l’elefantedella foresta (E. antiquus) i rinoceronti(S. kirchbergensis e S. hemitoechus), l’ip-popotamo (H. amphibius), l’uro (B. pri-migenius) oppure viventi come il cervo(C. elaphus), il cinghiale (S. scrofa), il cavallo (E. ferus). Durante le fasi più recenti dell’Aureliano faranno la lorocomparsa forme quali lo stambecco (Ca-pra ibex), i camosci (Rupicapra pyrenaicae Rupicapra rupicapra), il daino (Damadama), la marmotta (Marmota marmota)che fanno parte della fauna attuale ita-liana.

Durante le fasi fredde dell’Aurelianosuperiore scompariranno le faune “apachidermi” e faranno la loro compar-sa alcune specie legate al clima freddo:il mammut lanoso (Mammuthus primige-nius), il rinoceronte lanoso (Coelodontaantiquitatis) e, limitatamente all’Italiasettentrionale, l’alce (Alces alces) e, inuna singola località, la renna (Rangifertarandus).Nel Lazio, le località che hanno fornitoresti di faune dell’Aureliano sono molto

numerose. Caratteristiche della parte diquesto periodo che si inquadra nel Plei-stocene medio e la prima parte del Plei-stocene superiore (circa 0,4 – 0,08 m.a.)sono le associazioni dell’area romanaraccolte a Torre in Pietra (livelli inferio-ri), La Polledrara di Cecanibbio (con lasua grandissima quantità di resti di E.antiquus), Castel di Guido, Malagrotta,Sedia del Diavolo (livelli superiori),Monte delle Gioie, Prati Fiscali, Vitinia,Torre in Pietra (livelli superiori), Casalde’ Pazzi, Saccopastore (dove sono statirinvenuti importanti reperti di Homoneanderthalensis, fig. 6). Parecchi di que-sti siti sono caratterizzati dalla presen-za di industria litica e qualche restoumano. Fuori dell’area romana si pos-sono segnalare i giacimenti di GrotteSanto Stefano, Riano Flaminio (che hafornito scheletri interi di E. antiquus, C.elaphus e Dama clactoniana), Cerveteri,Fara Sabina, Campo Verde, Pofi, Cepra-no, Arpino, Pontecorvo, Pignataro Inte-ramna, oltre a numerose località dovesono stati raccolti resti isolati di una o al massimo di due specie. Le faune diquesto periodo sono dominate dalla

APRILE 2011 - N. 4

Figura 7 - Ricostruzione artistica della valle del Tevere durante l’ultimo glaciale (disegno di S. Maugeri)

Page 60: ARTICOLI - Altervista

60 Paleontologia dei vertebrati QUADERNI DEL MUSEO

Figura 8 - Schema biocronologico delle Faune Locali dell’area romana

Page 61: ARTICOLI - Altervista

61Paleontologia dei vertebrati

presenza di E. antiquus e dalle altre for-me menzionate nella parte generale sul-l’Aureliano.Fra i piccoli mammiferi (sui quali le nostre conoscenze sono piuttosto limi-tate), si trovano generalmente specieidentiche a quelle attualmente viventicome il ghiro (Glis glis), il castoro (Ca-stor fiber) oggi assente dall’Italia, il toposelvatico (Apodemus sylvaticus) e altri,oppure più raramente forme estinte co-me gli arvicolidi dei generi Pliomys eIberomys, raccolti a Polledrara di Ceca-nibbio. Durante la parte più recentedell’Aureliano i giacimenti che hannorestituito il maggior numero di restifossili sono quelli di cavità carsiche.L’area che ha fornito il maggior numerodi reperti è Monte Circeo con le sue varie grotte (Fossellone, delle Capre,Guattari – famosa per il suo cranio diHomo neanderthalensis – Breuil, ecc.). Al-tre località fossilifere sono quelle dellaGrotta Polesini (vicino a Tivoli), la Grot-ta Sant’Agostino (Gaeta), la Grotta diPalidoro (vicino a Cerveteri) e nell’areadi Roma il giacimento di Tor Vergata. Inquesti siti le associazioni sono spessodominate dal piccolo equide E. hydrun-tinus, l’uro e il cervo. In alcune localitàfanno la loro comparsa sia lo stambeccosia il camoscio dell’Appennino (fig. 7).Nel Circeo (non in grotta) è stato scava-to un cranio di rinoceronte lanoso (C.antiquitatis) mentre a Grotta Polesini fala sua comparsa anche il ghiottone (Gu-lo gulo), forma decisamente boreale.Nella fauna dei piccoli mammiferi, rac-colta sia in grotta sia in giacimenti aper-

ti (Ponte San Pietro presso Montalto,Caldera di Baccano a nord di Roma), sinota la presenza, accanto a quella diforme attualmente viventi nella regio-ne, di alcune specie che attualmente sitrovano più a nord, come il criceto (Cri-cetus cricetus) e i topi campagnoli (Mi-crotus agrestis e Microtus arvalis), oppurein alta montagna come la marmotta(Marmota marmota) e l’arvicola delle ne-vi (Chionomys nivalis). Anche un pipistrello vespertilionide,Myotis dasycneme, oggi vivente nell’Eu-ropa nord-orientale e in Asia centro-set-tentrionale, fa una sua fugace compar-sa nella Grotta di Cittareale (Rieti).Con l’inizio dell’ultimo riscaldamentoche segna anche l’inizio dell’Olocene lafauna assume il suo aspetto attuale an-che se molte specie presenti circa 10.000anni fa, come il lupo oppure l’orso, ogginon popolano più la nostra regione.Riassumendo, la figura 8 elenca le principali Faune Locali riferite all’arearomana.

Bibliografia

Angelelli F., 1990. Le mammalofaune plio-plei-stoceniche dell’area laziale. 1 carta, ServizioGeologico Nazionale.

Kotsakis T. & Barisone G., 2008. Cenni sui verte-brati fossili di Roma. Memorie Descrittive dellaCarta Geologica d’Italia, 80 (1), pp. 115-143.

Palombo M.R., 2004. Le mammalofaune dellaCampagna Romana: biocronologia, paleoambienti. II Congresso GeoSed, Escursionepre-congresso, 29 pp.

Petronio C., Di Stefano G. & Sardella R., 2000.Roma: due milioni di anni fa. Le Scienze, 381,pp. 52-62.

APRILE 2011 - N. 4

Page 62: ARTICOLI - Altervista

62 L’ALBA DEL SISTEMA SOLARE

Il 15 luglio 2011 la sonda Dawn (Alba),della NASA, dopo un viaggio di 2,4 miliardi di km ha raggiunto l’asteroideVesta, il suo primo obiettivo. Partita il 27 settembre 2007 da Cape Ca-naveral e spinta da un motore a propul-sione ionica, si è immessa nell’orbitadel pianetino, collocandosi, nella primafase della missione, a un’altezza mediadi 2000 km. La stazione automatica de-ve il suo nome alla peculiare natura dei

suoi due obiettivi (l’altro è il pianetinominore Cerere), che sono i principalioggetti della Fascia degli Asteroidi.Questi sono considerati residui dellostesso materiale da cui hanno avuto ori-gine i pianeti e i loro satelliti, ovverouna testimonianza dell’alba del Sistemasolare. Fra gli oltre 100 mila corpi di dimensio-ni superiori al chilometro che costitui-scono la fascia, i primi quattro, scopertifra il 1801 e il 1807, Cerere, Pallade, Ju-no e Vesta, costituiscono oltre il 50%della massa totale.

Alla scoperta delle origini del Sistema solare:

la sonda Dawn esplora Vesta

QUADERNI DEL MUSEO

Maurizio Chirri

Maurizio Chirri: Direttore del Museo, Docentea contratto, Università degli Studi “Roma Tre”

Figura 1 - Il pianetino Vesta la sera del 29 marzo 1807, sullo sfondo le stelle della Vergine (simulazione con Stellarium)

Page 63: ARTICOLI - Altervista

63L’alba del Sistema solare

■ La scopertaA gettare il primo sguardo sul piccoloastro di magnitudine 6,2 fu un medicodi Brema, Heinrich Wilhelm Olbers, chedal proprio osservatorio, nella notte del29 marzo 1807, ne osservò il lento movi-mento sullo sfondo della costellazionedella Vergine (fig. 1). Olbers, che nel1802 aveva già scoperto il pianetino Ju-no, fu aiutato da Friedrich Gauss per ilcalcolo dei parametri orbitali: il semias-se maggiore risultò di 2,8 U. A., il perio-do di circa 3,6 anni, e fu Gauss a sceglie-re il nome della dea romana del focola-re, Vesta. Quei dati apparvero un’ul-teriore conferma della cosiddetta Leggedi Titius-Bode, sull’esistenza di un piane-ta intermedio fra Marte e Giove. A se-guito di queste scoperte, fra gli astrono-mi europei si costituì un coordinamentoosservativo denominato “Himmelpoli-zei” (polizia celeste), il cui compito eral’individuazione del maggior numerodei corpi in orbita fra Marte e Giove. Fuproprio Olbers a sostenere che i piccolipianeti fossero i frammenti del pianetaprevisto dalla sequenza di Titius-Bode,disgregatosi in una catastrofe primor-diale. Almeno dalla prima metà del XXsecolo è noto che la miriade di piccolicorpi della Fascia principale sono in ef-fetti il materiale residuale della costru-zione dei pianeti, dunque una preziosatestimonianza sulle fasi più antiche del-l’evoluzione del Sistema solare.

■ 1807-2007: due secoli di scoperte

Gli studi su Vesta sono proseguiti percirca 200 anni con vari tipi di osserva-zioni. Già nella seconda metà del XIXsecolo le tecniche fotometriche avevano

consentito una stima attendibile del dia-metro, circa 500 km (Pickering, 1879),del periodo di rotazione, di oltre 5 ore,dell’elevata albedo superficiale. Tramitele perturbazioni gravitazionali indottesull’asteroide 197 Arete, si è ricavata laprima stima della massa: 1,3 1023 g, euna valutazione della densità media: 3g/cm3 (Hertz, 1966). Una campagna os-servativa in coincidenza dell’occultazio-ne della stella SAO 93228 nel 1991, hapermesso di dedurne la forma schiac-ciata. Le osservazioni spettroscopicheavevano indicato una probabile natu-ra basaltica delle rocce, costituenti un“unicum” fra tutti gli asteroidi che han-no, per la gran parte, una composizionesuperficiale assai simile a quella dellemeteoriti chiamate Condriti ordinarie.In effetti una famiglia di meteoriti, leEucriti, appartenenti alle Acondriti, hacaratteristiche spettrali perfettamentesovrapponibili a quella di Vesta (McCord et alii, 1970; Drake e Consolma-gno, 1977) (figg. 2 e 3). Queste meteori-ti, che presentano fra loro piccole varia-zioni di composizione, sono collettiva-mente note agli studiosi con l’acronimo

Figura 2 - Eucrite, meteorite acondritica probabilmente proveniente da Vesta,

caduta a Pasamonte, New Mexico, USA

APRILE 2011 - N. 4

Page 64: ARTICOLI - Altervista

64 L’alba del Sistema solare

HED, dalle iniziali delle famiglie Ho-warditi, Eucriti, Diogeniti. Strappatedagli impatti di bolidi alla superficie diVesta, hanno fatto un lungo viaggio nelSistema solare e infine, attratte dallaforza di gravità, hanno attraversato ladensa atmosfera del nostro pianeta, peressere successivamente individuate,raccolte, studiate e, quindi, costituire iprimi frammenti di remotissimi mondia disposizione degli studiosi.Così, la superficie di Vesta risultava for-mata presumibilmente da materiali si-mili, a quelli degli altopiani e mari lu-nari, costituiti da anortositi e basalti.Questa composizione petrografica sug-geriva l’esistenza di una crosta differen-ziata, ovvero di un piccolo mondo sucui erano stati attivi quei processi geo-logici che sono tipici dei pianeti terre-stri: fusione dell’interno (parziale ocompleta), differenziazione in nucleo,mantello, crosta, forse un oceano mag-matico primordiale, espandimenti lavi-ci. Dunque una storia comune ai piane-ti interni, anche se in un mondo le cuidimensioni sono appena 1/20 di quelleterrestri, e la massa (2,6 x 1023 g) menodi 1/10000!

Importanti scoperte sono arrivate, apartire dagli anni ‘90, dal telescopiospaziale Hubble, che ha mostrato lamorfologia ellissoidale dell’asteroide, loschiacciamento polare, di circa 1/10(quello della Terra è 1/297), la presenzadi un gigantesco cratere al polo sud, re-gioni chiare e scure e un’albedo del35%: caratteristiche, queste ultime due,assai simili a quelle della Luna. La ta-bella 1 riassume alcuni parametri orbi-tali e fisici di Vesta.

■ La missione Dawn: 2011-2012

Le prime immagini rinviate da Dawnhanno confermato la natura eterogeneadella superficie di Vesta. La mappaturafotografica ha individuato singolariaspetti della morfologia, come la pre-senza di una fascia periequatoriale asolchi e creste (fig. 4). Il polo sud presen-ta un grande bacino da impatto, chia-mato Rheasilvia, di oltre 450 km di dia-metro. Al centro, un gigantesco picco sieleva per oltre 22 km sulla pianura cir-costante (fig. 5), costituendo la massimaaltezza montuosa nel Sistema solarenon prodotta da fenomeni vulcanici.Le caratteristiche morfologiche del pic-co centrale permettono di stimare unospessore crostale del pianetino moltoelevato (oltre 1/4 del raggio). L’impattoche generò il cratere tra 1 e 2 miliardi dianni fa, ha scagliato nello spazio un co-spicuo volume di materiali rocciosi. Si èprodotta così una famiglia di asteroidi icui parametri orbitali sono simili aquelli di Vesta e che costituiscono i co-siddetti asteroidi di Tipo V: da questafonte derivano le meteoriti HED.Le analisi condotte dallo spettrometrodi bordo (realizzato dall’I.N.A.F.-Roma)

QUADERNI DEL MUSEO

Figura 3 - Diagramma che confronta lo spettro di Vesta, in alto, con gli spettri ricavati da 3 meteoriti cosiddette HED

Page 65: ARTICOLI - Altervista

hanno evidenziato un’elevata varietànella composizione mineralogica dellerocce superficiali, rivelando una strut-tura crostale stratificata. La superficiesarebbe costituita da un regolite di brec-ce basaltiche simili alle Howarditi e alleEucriti non cumulitiche, mentre gli stra-ti crostali profondi sarebbero formati darocce magmatiche intrusive corrispon-denti alle Diogeniti ed Eucriti (fig. 6).

Alcune macchie oscure superficiali so-no depressioni i cui dati topografici so-no ancora incerti e costituiscono il corri-spondente dei mari lunari, espandi-menti basaltici verificatisi nelle primefasi della storia di Vesta. Una di questearee scure, il Mare di Olbers, di circa 200km di diametro, è stata scelta per loca-lizzare il meridiano zero, origine del si-stema cartografico planetario.

65L’alba del Sistema solare

Tabella 1 - Parametri orbitali e fisici di Vesta (i valori tra parentesi sono riferiti alla Terra)

Figura 5 - Ripresa del polo sud: si riconosce il bordo circolare del cratere Rheasilvia,

con il picco montuoso di oltre 22 km di altezza

Figura 4 - Ripresa della regione a solchi e creste, al confine con l’emisfero settentrionale

APRILE 2011 - N. 4

Page 66: ARTICOLI - Altervista

completare la mappatura dell’emisferosettentrionale. Infatti nel luglio scorso ilpolo nord del pianeta era in ombra pergli effetti stagionali dovuti all’obliquitàdi 29° dell’asse di rotazione: le stagionisi presentano pertanto invertite rispettoa quelle della Terra. Una singolare coin-cidenza: da Vesta, in questo periodo, sa-rebbe visibile una particolare e sugge-stiva congiunzione planetaria (fig. 7).La missione costituisce insieme il prose-guimento di oltre due secoli di lavori didiverse generazioni di astronomi suipiccoli mondi del Sistema, e degli studisulla conoscenza della genesi dei proto-pianeti che diedero origine alla famigliaplanetaria del Sole, di cui Vesta costi-tuirebbe l’ultimo rappresentante. Nelprossimo luglio la sonda lascerà la suaorbita e inizierà il lungo inseguimentodi 1,5 miliardi di km fino al successivoobiettivo, Cerere. Non resta che augu-

rarsi un felice svolgimento di mis-sione e un buon proseguimentoper il lunghissimo viaggio alla ri-cerca delle comuni origini.

Siti web di consultazionewww.nasa.comwww.asi.itwww.ifsi-romainaf.it/vir

Bibliografia

AA.VV., 1998. Planetary materials. Minera-logical Society of America.

Beatty J.K., Chaikin A., 1990. The New So-lar System. Cambridge University Press.

Bell J., 2011. Dawn e Vesta si sono incontra-ti. Le Stelle, n. 101.

Fairbridge, Rhodes (a cura di), 1997.Encyclopedia of Planetary Sciences. Chap-man & Hall.

Moore P., 1990. Il Guinness dell’Astrono-mia. Rizzoli.

Sono state elaborate ipotesi sui mecca-nismi che hanno consentito il riscalda-mento planetario di un oggetto di di-mensioni così modeste. Il combustibiledel motore geologico sarebbe stato unaparticolare concentrazione all’internodel corpo dell’isotopo a breve vita 26Al,per decadimento radioattivo. La vitageologica di Vesta sarebbe durata poco,circa 10-20 milioni di anni, sufficienti,tuttavia, a produrre il vulcanismo su-perficiale.L’attuale fase d’indagine (High AltitudeMapping Orbit) prevede una mappaturafotografica ad elevata risoluzione daun’orbita a 600 km dalla superficie.Nella successiva fase, (Low AltitudeMapping Orbit), l’orbita sarà abbassata a160 km, per riprese fotografiche di det-taglio ad altissima risoluzione. Infine,nella prossima primavera, la sonda saràricollocata alla quota di 600 km, per

66 L’alba del Sistema solare QUADERNI DEL MUSEO

Figura 6 - Cartografia geologica dell’emisferomeridionale, centrata sul picco del cratere Rheasilvia.In grigio: regolite brecciato. In colore: coperture diejecta prodotti da impatti sulla superficie, costituiti da frammenti di rocce magmatiche intrusive (eucriti e diogeniti).

Page 67: ARTICOLI - Altervista

Glossario

albedo: proprietà fisica della superficie di uncorpo planetario di riflettere la radiazione so-lare incidente. Varia fra valori inferiori a 0,10,tipici degli asteroidi carboniosi di colore scu-ro, a oltre 0,9 per le superfici delle lune ghiac-ciate, che riflettono come uno specchio la lucesolare. L’albedo della Terra è 0,39.

anortositi: rocce magmatiche intrusive, formatein prevalenza da plagioclasi ricchi in Ca; sul-la Luna costituiscono le terre (o altopiani), conetà di circa 4,4 miliardi di anni.

Eucriti: famiglia di meteoriti appartenenti algruppo HED della sottoclasse Acondriti. So-no assai simili a rocce magmatiche basiche eultrabasiche terrestri e presentano caratteri-stiche spettrali simili alla superficie di Vesta,che è pertanto ritenuto il corpo progenitore.

Diogeniti: famiglia di meteoriti appartenenti algruppo HED, simili a rocce magmatiche in-trusive ultrabasiche terrestri. Sono riferite allacrosta profonda di Vesta, a cui sono statestrappate da un gigantesco impatto circa 1,2miliardi di anni fa.

Howarditi: famiglia di meteoriti appartenenti algruppo HED, simili a rocce magmatiche effu-sive basiche e ultrabasiche terrestri. Si ritieneche provengano dal regolite e dal suo lettoroccioso della superficie di Vesta.

occultazione: fenomeno astronomico causatodal transito di un oggetto di dimensioni an-

golari maggiori rispetto a uno minore, lungola linea di vista dell’osservatore. Le eclissi so-no una categoria speciale di occultazioni. Leoccultazioni da parte della Luna rispetto aipianeti lontani o stelle, o dei pianeti e asteroi-di fra loro o rispetto alle stelle, sono essen-zialmente fenomeni topocentrici, riguardanopertanto, come le eclissi solari, porzioni limi-tate della superficie terrestre.

regolite: strato superficiale costituito da fram-menti del letto roccioso, da ejecta di impatti,da materiale meteoritico, in forma di brecce,tipico dei pianeti o lune senza atmosfera.

schiacciamento: parametro fisico relativo allaforma più o meno sferica di un corpo plane-tario; è espresso mediante la formula [a-b/a],dove a e b sono rispettivamente il raggioequatoriale e polare. Questo valore è propor-zionale alla velocità di rotazione.

semiasse (minore, maggiore, medio): parame-tro fondamentale indicante la distanza dalSole, espressa in U. A., unità astronomichepari alla distanza media Terra-Sole.

spettro: suddivisione della luce emessa o ri-flessa di un corpo celeste, nelle diverse lun-ghezze d’onda che la compongono.

legge di Titius-Bode: scoperta indipendente-mente dagli astronomi tedeschi Johann D. Ti-tius (1766) e Johann E. Bode (1772), è una se-quenza empirica che prevede con discretaprecisione i semiassi maggiori delle orbiteplanetarie.

67L’alba del Sistema solare

Figura 7 - Alba su Vesta: guardando l’orizzonte est poco prima della levata del Sole, un eventuale osservatore ammirerebbe la stretta congiunzione dei pianeti “interni”

Marte, Terra e Venere (simulazione con Stellarium)

APRILE 2011 - N. 4

Page 68: ARTICOLI - Altervista

68 METEO QUADERNI DEL MUSEO

In questo spazio vengono presentati i dati registrati dalla stazione me-teorologica del Museo Geopaleontologico (nella figura 1 sono illustratele caratteristiche tecniche):

temperatura (minima e massima), vento (direzione e velocità), precipitazioni e stato del cielo (S = sereno, M = misto, C = coperto)

Il tempo che ha fattoAssociazione Onlus Edmondo Bernacca

Page 69: ARTICOLI - Altervista

69Meteo

Associazione Edmondo Bernaccaonlus

L’Associazione Edmondo Bernacca racconta la scienza deltempo attraverso la divulgazione e l’informazione della meteo-rologia passata, presente e futura. Fra i soci fondatori, oltre amolti meteo-appassionati, il figlio di Edmondo, Paolo, l’amico ecollega di sempre il Gen. Andrea Baroni, la Dott.ssa FrancaMangianti (Presidente dell’Associazione), responsabile del-l’Osservatorio meteorologico del Collegio Romano di Roma, ei noti meteorologi Giancarlo Bonelli e Francesco Laurenzi.Proprio in quest’ottica è nato il Progetto CLIMA, in cui rientrala centralina meteo di Rocca di Cave, un sito importante vistala sua posizione dominante sulla Provincia Romana.

APRILE 2011 - N. 4

Page 70: ARTICOLI - Altervista

70 QUADERNI DEL MUSEOMeteo

Page 71: ARTICOLI - Altervista

71Meteo

Figura 1 - Caratteristiche tecniche della centralina posta sulla terrazza della Rocca

APRILE 2011 - N. 4

Page 72: ARTICOLI - Altervista

72 FOTOGRAFARE IL CIELO

Nel numero precedente della rivista ab-biamo velocemente introdotto i risulta-ti ottenibili in ambito amatoriale nelcampo dell’imaging planetario. Voglia-mo ora focalizzare la nostra attenzionesugli strumenti e le tecniche da usareper chi volesse cimentarsi in questa in-teressante attività. Il sistema di ripresa è composto da po-chi elementi, in genere non eccessiva-mente costosi e semplici da usare. Fon-damentalmente la nostra attrezzaturasarà composta da un telescopio, da si-stemi di ingrandimento, da una teleca-mera e da un personal computer: vedia-moli nel dettaglio. Il componente fondamentale è ovvia-mente il telescopio: è questo lo stru-mento che consente di raccogliere la luce proveniente dai corpi celesti, for-mandone una immagine dettagliata. La scelta del telescopio è sicuramentequella che pone maggiori domande, siaper il costo che per la grande varietà diconfigurazioni ottiche disponibili. Partiamo allora da quelli che devono es-sere i requisiti del nostro strumento. Amio parere il parametro più importanteè la facilità e l’immediatezza d’uso. Laripresa in alta risoluzione richiede infat-ti di poter sfruttare il massimo numero

di serate di cielo sereno, in modo da au-mentare la probabilità di trovarci in unamomento di buon seeing (visibilità, tur-bolenza), in cui i dettagli del pianeta sia-no visibili al meglio. Per questo non ab-biamo bisogno di un grande diametro.Uno specchio tra i 20 ed i 30 cm, ben lavorato e a bassa ostruzione, sarà quan-to al massimo riusciremo a sfruttare in condizioni normali di seeing. Fonda-mentale sarà curare la collimazione de-gli specchi e l’acclimatamento del tubo,ossia dare tempo al telescopio di rag-giungere l’equilibrio termico con l’am-biente che lo circonda. L’ideale a questo proposito è lasciare iltelescopio all’aperto per almeno due oreprima di iniziare le riprese, specie se siopera con tubi chiusi e di grande dia-metro, caratterizzati da una maggiorecapacità ed inerzia termica.

Gli strumentiper la ripresa planetaria

QUADERNI DEL MUSEO

Sergio Alessandrelli: Ingegnere informatico.Gruppo Astrofili Hipparcos

Sergio Alessandrelli

Figura 1 - Schmidt-Cassegrain da 9.25”,un ottimo strumento planetario

Parte prima: Telescopio e telecamera

Page 73: ARTICOLI - Altervista

Per quanto riguarda la telecamera di ri-presa (la reflex è ormai relegata all’am-bito della ripresa a grande campo diLuna e Sole), la scelta deve tener contodi diversi aspetti tra cui le dimensionidel soggetto (se vogliamo riprendereprincipalmente la Luna avremmo biso-gno di un sensore di buone dimensioni),la necessità di usare filtri (che ci faran-no optare per una camera b/n), il tipo di connessione al PC e non per ultimo il prezzo. Una buona scelta è optare per una ca-mera a colori, dal sensore di medie di-mensioni (1024x768 pixel), con elevatoframe rate e filtro IR rimovibile. Diverseaziende producono ottimi prodotti conqueste caratteristiche con prezzi chepossono variare tra i 300 e i 500 euro aseconda del modello.

L’alternativa economica è adattareuna comune webcam per PC. Leprestazioni sono certamente infe-riori ma si avrà modo di acquisirele tecniche e verificare la nostrapassione in questa attività. Per ultimo dobbiamo considerare ilPC. Qui non ci sono particolari pro-blemi, tutti più o meno ne abbiamogià uno in casa. Dobbiamo al più

Questi fattori, seeing, collimazione e ac-climatamento, concorrono più di ognialtra cosa al raggiungimento di un buonrisultato. Particolare cura dovrà poi essere postanella messa a fuoco per la quale po-tremmo affidarci ad un focheggiatoremicrometrico motorizzato e a metodinumerici come la misura dell’FVHM.Quale strumento, quindi? Una buona scelta, specie per iniziare,potrebbe essere un classico ed economi-co Newtoniano f/8 di 25 cm, ovverouno Schmidt-Cassegrain di 23-28 cm.La focale di questi strumenti sarà in ge-nere troppo piccola per riprendere i piùminuti dettagli planetari. Per aumenta-re l’ingrandimento dovremmo quindiricorrere a sistemi quali le lenti di Bar-low o le Powermates. Questi dispositiviconsentono di moltiplicare di n volte lafocale (e di conseguenza il rapporto fo-cale) dello strumento. Quale sia l’in-grandimento migliore dipende da mol-ti fattori. Se da una parte abbiamo me-todi teorici ben precisi (es. teorema delcampionamento di Nyquist-Shannon),dall’altra dovremmo basarci su conside-razioni più empiriche, legate alla turbo-lenza atmosferica, alla sensibilità dellatelecamera etc. Una Barlow 2x o 3x checi consenta di raggiungere rapporti fo-cali tra f/20 ed f/30 potrebbe essere unbuon compromesso.

73Fotografare il cielo

Figura 2 - Principio di funzionamento di una lente di Barlow

Figura 3 - Una telecamera per la ripresa planetaria

APRILE 2011 - N. 4

Page 74: ARTICOLI - Altervista

Lo Stato della Città del Vaticano ha ricordato, in un’emissione congiunta con laCroazia, il terzo centenario della nascita di Ruggiero Boscovich.Ruggiero Giuseppe Boscovich (18 maggio 1711 - 13 febbraio 1787) è stato unastronomo, matematico e padre gesuita originario della Repubblica di Ragusa (re-pubblica marinara dalmata il cui territorio corrisponde all’attuale Croazia), che visseed operò prevalentemente in Italia. Boscovich studiò al Collegio Romano e divenneprofessore di matematica nel 1740. Fin dalle sue prime ricerche iniziò ad elaborareuna teoria sulla struttura del mondo fondata su una particolare legge che esprimes-se tutte le forze della natura: essa trovò una formulazione definitiva nella sua opera“Philosophiae naturalis theoria” (1758).È stato uno dei primi nell’Europa conti-nentale ad accettare le teorie gravitazio-nali di Isaac Newton e fu autore di circa70 scritti sull’ottica, astronomia, gravita-zione e meteorologia. Osteggiato dalCollegio, si recò, nel 1759, in Francia edin Inghilterra, dove fu nominato membrodella Royal Society, mentre quattro annipiù tardi fu nominato professore di mate-matica all’Università di Pavia. Fu tra i fondatori dell’osservatorio astronomico di Bre-ra e dal 1782 fece parte, quale socio fondatore, anche dell’Accademia dei XL, cheintendeva includere per l’appunto i quaranta migliori scienziati dell’epoca. Boscovichfu il primo a fornire una procedura per il calcolo dell’orbita di un pianeta sulla base ditre osservazioni della sua posizione e diede anche una procedura per determinarel’equatore di un corpo celeste. Inoltre, formulò quella che oggi è chiamata ipotesi diBoscovich ed è alla base della definizione fisica di corpo rigido.Il francobollo celebrativo, emesso nel 2011, ha un valore di 3,30 euro: raffigura sul-la destra Ruggiero Boscovich, mentre sulla sinistra è raffigurata la cupola di SanPietro, oggetto di uno studio per il suo consolidamento da parte dell’astronomo.

verificare di avere porte di connessioneveloci (USB2, Firewire o Gigabit Ether-net), parecchio spazio libero sul disco ri-gido (una sessione di ripresa può tran-quillamente generare 30 o 40 GByte didati). Ovviamente servirà anche unprocessore veloce coadiuvato da unabuona scheda grafica. Sul software e le tecniche di elaborazio-ne parleremo in un prossimo articolo,

speriamo intanto di aver fornito qualchespunto utile ad orientarsi nella sceltadell’attrezzatura di ripresa.

Per approfondire

Carbognani A., 2006. Astronomia con la web-cam. Sirio Editore, pp. 1-143.

Mobberley M., 2007. Imaging planetario: Guidaall’uso della webcam. Springer Verlag, pp. 1-229.

(a cura di Francesco Grossi)astronomia

&f ilatelia

74 QUADERNI DEL MUSEOFotografare il cielo

Page 75: ARTICOLI - Altervista

L’oggetto del quale ci occupiamo inquesta puntata è la supernova denomi-nata SN2011fe, comparsa all’internodella galassia M101, nella costellazionedell’Orsa Maggiore (fig. 1).Il 24 agosto 2011, alcuni astronomi delprogetto di ricerca denominato “Palo-mar Transient Factory”, mirato alla sco-perta ed allo studio di fenomeni tran-sitori, annunciarono la scoperta di unadebole stellina di magnitudine 17,2comparsa alla periferia della galassiaM101 (NGC 5457).La nuova arrivata, inizialmente etichet-tata come “PTF11kly”, cominciò subitoa manifestare una grande vivacità, au-mentando la propria luminosità moltorapidamente, e catturando immediata-mente l’attenzione degli scienziati, iquali si resero ben presto conto che ci sitrovava davanti ad un oggetto non co-mune. Appena ricevuta la conferma chesi trattava di una supernova, le vennesubito attribuita la denominazione uffi-ciale “SN2011fe”.

■ Supernovae di tipo I e II

Storicamente, gli astronomi hanno di-stinto le supernovae in due classi fon-

damentali, ciascuna delle quali può es-sere a sua volta distinta in alcune sotto-classi (a seconda delle presenza o menonel loro spettro elettromagnetico di al-cune righe caratteristiche). In particolare, le supernovae di tipo Inon mostrano linee dell’idrogeno, men-tre si verifica il contrario per quelle ditipo II. Dall’esame spettroscopico si è scopertoche la SN2011fe appartiene al tipo Ia(una sottoclasse del tipo I, che non contiene elio e mostra delle tipiche ri-ghe di assorbimento del silicio) che, siritiene, derivi dal collasso di una nanabianca che si trova in orbita stretta in-sieme ad un’altra stella di massa mag-giore, alla quale risulta legata gravita-zionalmente. Simili coppie di stelleprendono il nome di variabili catacli-smatiche. Quello che accade in un sistema del ge-nere è che la stella di massa maggioreversa parte della sua materia sulla nanabianca a causa di forze mareali di im-mane potenza, e quando questa materiasupera un certo limite critico detto “Li-mite di Chandrasekhar”, pari a circa 1,4masse solari, la nana bianca collassa su se stessa, per poi esplodere con unapotenza enorme.

La SupernovaSN2011fe

75

Marco Vincenzi: Gruppo Astrofili Hipparcos, Sezione Variabili. Membro AAVSO

Marco Vincenzi

VARIABILIAAPRILE 2011 - N. 4

Page 76: ARTICOLI - Altervista

76 QUADERNI DEL MUSEOVariabilia

■ L’importanza dellesupernovae di tipo Ia

Le supernovae di questo tipo sono co-smologicamente molto importanti, per-ché possono essere usate per determi-nare la distanza delle galassie che leospitano (fig. 2). Oggi gli studiosi ritengono che tutte lesupernovae di tipo Ia raggiungano si-mili picchi di luminosità, fondamental-mente perché il limite di Chandrase-khar è sempre lo stesso, e proprio la mi-surazione di questo picco rappresentaun importante indicatore per la calibra-zione delle distanze delle galassie otte-nute anche con altri sistemi (ad esem-pio il redshift). Individuando e misuran-do il flusso luminoso proveniente dalle

supernovae di tipo Ia possiamo, quindi,misurare le dimensioni e la strutturadell’Universo.

■ Le SN più luminose

Le supernovae molto luminose sonoabbastanza rare, ed ancora più raro èche raggiungano una luminosità comequella raggiunta dalla SN 2011fe. L’ultima supernova che raggiunse unaluminosità comparabile fu la SN1993J,una supernova di tipo II che raggiun-se la magnitudine 10, mentre dobbia-mo tornare al 1972 per trovarne una ditipo Ia (cioè la SN1972E), che raggiunsela magnitudine 8,5, quindi ormai 40 anni fa.

Figura 1 - La supernova ripresa dall’autore la sera del 15/09/2011

Page 77: ARTICOLI - Altervista

La supernova risulta molto luminosa,in quanto si trova abbastanza vicino anoi. Infatti la galassia che la ospita, de-nominata M101, è distante dal Sole sol-tanto 20 milioni di anni luce, una di-stanza che su scala cosmica la pone co-me una immediata vicina della nostragalassia.

■ Le osservazioni

La relativa vicinanza della galassiaospite, unita al fatto di essere riusciti acogliere, fatto ancora più raro, la stellanella fase di luminosità crescente men-tre si trovava nelle fasi finali della suaesistenza, ha fatto sì che la SN2011ferappresentasse una occasione molto

ghiotta per meglio comprendere il feno-meno supernova, e così la comunitàscientifica internazionale ha potuto di-spiegare tutta la propria capacità osser-vativa a livello strumentale, effettuan-do campagne di osservazione pratica-mente in tutte le bande dello spettroelettromagnetico, con una massiccia edattivissima partecipazione anche dellanutrita schiera di astrofili che si sonospecializzati nello studio di simili feno-meni.

Bibliografia

Hogan C.J. Il mistero delle supernove lontane.Le Scienze (American Scientific), 367, p. 42.

Burrows A., 2000. Supernova explosions in theuniverse. Nature, Vol. 403, p. 727.

77Variabilia

Figura 2 - Curva di luce tipica di una supernova di tipo I

APRILE 2011 - N. 4

Page 78: ARTICOLI - Altervista

78 IL CIELO NEL MIRINO QUADERNI DEL MUSEO

La cometa, il “Velo” e la supernova

a cura di Bruno Pulcinelli

Il terrazzo alla sommità della Rocca Colonna ospita una stazione per l’osservazionedella volta celeste, sia direttamente, sia utilizzando strumenti astronomici, conl’aiuto e la guida degli astronomi dell’Associazione Hipparcos. La strumentazione,che comprende un telescopio principale Celestron C14 (diametro 360 mm, lunghez-za focale 3950 mm), consente anche di ottenere splendide immagini degli oggetticelesti: prosegue quindi anche in questo numero dei “Quaderni” la serie di imma-gini astronomiche realizzate a Rocca di Cave.

Nella pagina a fronte :

Figura 1 - “Incontro ravvicinato” tra la cometa C/2009-P1Garradd e l’ammasso globulare M15 nella costellazione diPegaso; la cometa, scoperta nel 2009 dall’americano Gar-radd, è stata qui ripresa all’inizio di Agosto 2011, quando eraa 225 milioni di km da noi; essa si stava avvicinando e hatoccato il perielio a fine dicembre, per raggiungere la massi-ma luminosità all’inizio di febbraio 2012.

Figura 2 - La nebulosa “Velo” nel Cigno (NGC6960), resto diuna supernova esplosa circa 40000 anni fa; la sua distanza è di 6500 a.l.

Nell’ultima pagina di copertina :

La galassia M101 raffigurata prima e dopo l’esplosione dellasupernova SN2011fe (agosto/settembre 2011).

Gruppo Astrofili Hipparcos - Sezione Gnomonica.Socio UAI

Tutte le immagini sono state ottenute attraverso una reflex Canon EOS350 su un riflettore-guida montato in parallelo allo strumento principale (diametro 80 mm, lunghezza focale 500 mm), con, rispettivamente, una somma di tre tempi di posa di 4 minuti (fig. 1) e unasomma di tre tempi di posa di 6 minuti (fig. 2 e ultima di copertina).

Page 79: ARTICOLI - Altervista
Page 80: ARTICOLI - Altervista