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Assemblea pubblica 2015Monza, lunedì 22 giugno

Relazione del Presidente

Andrea Dell’Orto

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Fare manifattura per crescereil Modello BrianzaAutorità, relatori, gentili ospiti, colleghi imprenditori, cari amici,

sono lieto di darvi il benvenuto all’assemblea annuale di Con-findustria Monza e Brianza.

Rivolgo un ringraziamento particolare al Comune di Monza, alConsorzio di gestione della Reggia e alla Soprintendenza che cihanno nuovamente concesso di celebrare in questi meravigliosigiardini il nostro appuntamento annuale e di godere del piaceredi una Villa completamente aperta, ricca di attività e di proposteculturali di altissimo livello.

Come è noto, la nostra assemblea pubblica cade in un momentoparticolare della storia della nostra Associazione: nei giorniscorsi le assemblee degli associati di Monza e di Milano hannoapprovato la fusione fra Confindustria Monza e Assolombarda,che ci rende più forti e più competitivi.

Sono in via di completamento gli atti legali relativi e, non appe-na conclusi, sarà operativa la nuova, grande realtà di Assolom-barda – Confindustria Milano Monza e Brianza: sarà la più gran-de territoriale d’Italia.

Siamo naturalmente orgogliosi di essere tra i primi ad applicarele indicazioni della riforma e a dare un contributo al rinnova-mento complessivo del sistema-Confindustria, che siamo certicostituisca un esempio da seguire per lo snellimento della strut-tura amministrativa e burocratica dello Stato.

A questo proposito, rivolgo un saluto particolare a Carlo Pesenti,vicepresidente di Confindustria e autore della riforma che portail suo nome, e lo ringrazio vivamente della presenza.

Saluto e ringrazio gli ospiti istituzionali, il Viceministro del-l’Economia e delle Finanze Luigi Casero, il Presidente della Re-gione Roberto Maroni, l’economista Luigi Zingales, il Presidentedi Assolombarda Gianfelice Rocca, il Presidente di Confindu-stria Giorgio Squinzi.

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Quest’anno abbiamo voluto intitolare questa nostra Assemblea“Fare manifattura per crescere: il Modello Brianza”.Crediamo infatti che questi tre elementi – manifattura, crescita,modello Brianza – siano la sintesi del passato e del presente delnostro territorio, ma anche e soprattutto possono e devono esse-re i pilastri della visione per lo sviluppo nel futuro.

Nel DNA della Brianza, delle sue imprese e delle sue persone cisono creatività, innovazione, valore del lavoro, voglia di intra-prendere e di realizzare prodotti di eccellenza. Il “made inBrianza” è un punto di orgoglio per il nostro territorio e il nostromodo di fare impresa – il “modello Brianza” – è un modello vi-vo, competitivo e in grado di produrre ricchezza e sviluppo a be-neficio di tutti. Questo ce lo dicono i numeri, come verrò a brevea dirvi.

Certo, gli anni recenti non sono stati facili: la competizione glo-bale, la crisi internazionale, le difficoltà del Sistema-Italia sonofattori che pesano anche sulle nostre imprese. Oggi però non èpiù tempo di fare bilanci guardando al passato; è tempo di pren-dere coscienza dei nostri punti di forza per guardare al futuro,con concretezza e voglia di fare.

E proprio guardando al nostro futuro, al futuro del nostro terri-torio e delle nostre imprese, vedo cinque grandi sfide di cui vor-rei parlarvi oggi: le sfide per la crescita.

A queste cinque sfide arriverò tra poco. Prima il punto di par-tenza: la manifattura. La manifattura è il pilastro alla base della crescita dell’Italia edella Brianza.Mantenere una forte e competitiva base manifatturiera è essen-ziale: ce lo dice la teoria economica e ce lo dicono i fatti.

L’industria costituisce una componente fondamentale per losviluppo economico e sociale di ogni Paese. Una solida base in-dustriale contribuisce a creare posti di lavoro, a stimolare pro-duttività e investimenti tecnologici, a migliorare la bilancia deipagamenti e ad attivare filiere produttive in altri comparti. Il set-tore manifatturiero è “responsabile” ogni anno in Europa per il

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60% della crescita di produttività, per il 65% di tutti gli investi-menti commerciali in Ricerca e Sviluppo e per quasi il 70% del-l’export totale.

L’industria – in Europa come in Italia – affronta tuttavia una fasedifficile. La crisi economico-finanziaria, unita alla difficoltà daparte di molti Governi di stimolare una rapida e robusta ripresaeconomica, rischia di segnare negli anni a venire la competitivi-tà di un settore strategico non solo per le imprese specializzatee per il relativo indotto, ma soprattutto per le esternalità positi-ve che l’industria determina sull’intero sistema produttivo.

Guardando agli ultimi 10 anni, tra il 1995 e il 2014, il peso delsettore manifatturiero dell’UE-28 a livello globale è diminuitodi oltre 11 punti percentuali (dal 30% al 19%), principalmentea vantaggio delle economie emergenti dell’area asiatica. L’inci-denza della manifattura asiatica sul totale mondiale è infatti au-mentata dal 31,5% del 1995 al 48,1% del 2014. La sola Cina rap-presenta oggi il 21,7% della produzione totale.

In Italia, il valore aggiunto prodotto dal manifatturiero negli ul-timi quattro anni è calato del 5,5% e dal 2010 la produzione ma-nifatturiera è diminuita dell’8,2%.

In questo contesto difficile,Monza e Brianza si conferma una Pro-vincia a fortissima vocazione industriale e altamente resiliente.Certo, anche il nostro territorio ha sentito gli effetti della crisi, ma “resistiamo” di più emeglio: tra il 2011 e il 2014 il valore aggiunto della nostra manifattura è calatodell’1,2% in meno rispetto alla media nazionale (-4,3% contro il -5,5% nazionale).

Il manifatturiero si conferma il pilastro essenziale dell’economiadel nostro territorio anche se guardiamo ai positivi risvolti occu-pazionali che continua a creare. Dal 2011 al 2014 gli occupatinel settore manifatturiero sono cresciuti del 8,1%, con una cre-scita netta di occupati di oltre 14 mila unità. Al contrario, in Ita-lia nello stesso periodo, l’occupazione manifatturiera è calatadell’1%, con una perdita netta di oltre 319 mila occupati.

I risultati della nostra manifattura rimangono di assoluto rilievoanche se allarghiamo lo sguardo ad un confronto internazionale.Monza e Brianza sono ad oggi la sesta area industriale d’Europa

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e la terza in Italia (dietro soltanto a Brescia e Vicenza), con unvalore aggiunto del settore manifatturiero superiore a 7,4 miliar-di di Euro l’anno.

Nel complesso, il nostro territorio ha già raggiunto e ampiamen-te superato l’obiettivo fissato dall’Unione Europea di produrrecon il manifatturiero non meno del 20% del valore aggiunto to-tale entro il 2020. Noi, già nel 2014 producevamo dal manifat-turiero il 27% di tutto il valore aggiunto prodotto nella Provin-cia di Monza e Brianza, contro una media italiana del 15%.

Qui arriviamo però alla prima sfida: la nostra manifattura deveevolvere verso un nuovo modello produttivo per il 21° secoloper stare al passo della competizione globale.L’industria manifatturiera sta attraversando nel mondo una profonda trasformazionedel proprio modello produttivo e organizzativo. La diffusione di nuove tecnologie di-gitali applicate all’industria e la riconfigurazione delle catene del valore globali, pon-gono una grande sfida per la manifattura del nostro territorio. Questa trasformazione tecnologica e questi nuovi modelli di produzione si inseriscono poiin un contesto in cui cambiano le esigenze dei clienti finali e in cui è sempre più fortela richiesta di prodotti personalizzati in termini di caratteristiche, utilizzo e servizio. Per cavalcare al meglio queste onde di cambiamento, traendone i massimi vantaggi, oc-corre ripensare e aggiornare i modelli di business.

Se guardiamo a livello internazionale, si stanno consolidandocinque grandi «mega trend» che definiranno la trasformazionedel settore manifatturiero.

La «Fabbrica 4.0» o Smart FactoryL’introduzione diffusa e l’integrazione delle tecnologie digitalista trasformando radicalmente il modello delle imprese mani-fatturiere.Dalla Fabbrica 4.0 o «Smart Factory» si aprono opportunità totalmente nuove: dallatracciabilità in real time dei prodotti nel processo produttivo, ai nuovi sistemi di pro-gettazione, dall’abilitare una capacità elaborativa diffusa (il cosidetto “UbiquitousComputing”), a poter utilizzare una vasta mole di dati per monitorare tutti i passaggidella produzione (Big Data Analytics), e infine a gestire gli asset della fabbrica con l’uti-lizzo di intelligenze artificiali.Si tratta di un cambio di paradigma epocale. Per sostenerlo occorre uno sforzo comu-ne tra imprenditori e istituzioni per accompagnare questa trasformazione. Il governo te-desco, ad esempio, ha adottato una strategia organica – Industrie 4.0 – per supportarel’integrazione digitale nelle fabbriche e stima aumenti di produttività del 15-20%, conpunte particolarmente alte nella componentistica manifatturiera (+20-30% di produt-tività). Nel complesso i benefici netti attesi della digitalizzazione per le imprese tede-sche sono nell’ordine di 30 miliardi di Euro di ricavi aggiuntivi.

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Nanotecnologia e NanomanifatturaLa nano-manifattura è uno dei trend emergenti più importantinel sistema manifatturiero. Combinando scienze dei materiali etecnologia, diventa oggi possibile trasformare la materia a livellomolecolare creando nuovi prodotti e metodologie di produzione.Le nano-particelle, nano-strutture e nano-device offrono grandi opportunità in moltis-simi settori, dall’automotive, all’elettronica, all’energia, alla chimica, fino al biomedico,l’aerospazio e la salute, solo per citarne alcuni. Anche le nostre imprese manifatturiere ne possono trarre un grande vantaggio.Le nanotecnologie permettono di ridurre l’utilizzo di materie prime (ricordo che il costodelle materie prime è aumentato del 40% in termini reali negli ultimi 30 anni), ridurresignificativamente gli scarti di produzione, nonché il consumo di energia (e tutti sap-piamo quanto le nostre imprese siano penalizzate con un costo dell’energia che arrivaad essere anche il doppio di quello della Francia).

Integrazione servizi e manifattura (il manu-service)La crescente richiesta di personalizzazione dei prodotti sta spin-gendo le imprese manifatturiere a passare da un modello di bu-siness orientato al prodotto ad un modello orientato al cliente.Questa trasformazione richiede di affiancare all’offerta di pro-dotti, un’offerta di servizi personalizzati sul cliente.Già oggi, in Italia, i servizi valgono circa il 6% circa del valore totale del fatturato in-dustriale, raggiungendo il 20% nel comparto dell’elettronica. La quota dei lavori colle-gati ai servizi nel manifatturiero raggiunge il 37,2% del totale in Italia, in crescita ri-spetto al 33,9% nel 2002.

L’integrazione di servizi/manifattura apre nuove opportunitàper le imprese per scalare la catena del valore e trovare nuovifonti di fatturato.Penso alla possibilità di utilizzare il contatto post-vendita con il cliente per anticiparetendenze di mercato e di incorporare i feedback del cliente per aggiustare i processiproduttivi in tempo reale. Inoltre, la vendita integrata di prodotti e servizi permette direalizzare profitti importanti sul mercato dei pezzi di ricambio e della manutenzione edi aumentare il valore aggiunto prodotto dall’impresa.

La manifattura additivaLa manifattura additiva rappresenta una vera e propria rivo-luzione, potenzialmente in grado di capovolgere gli attuali mo-delli produttivi. Il mercato della manifattura additiva è in cre-scita esponenziale, ma è ancora limitato in termini assoluti. At-tualmente solo l’1% degli investimenti in macchinari a livellomondiale è in manifattura additiva, ma il valore complessivodei manufatti con questo sistema raggiungerà i 100 miliardi diDollari già entro il 2020.

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A significare l’enorme potenziale di crescita, ricordo solo che il mercato delle stampanti3D è cresciuto nel mondo del 45% solo nell’ultimo anno. Le nostre imprese devono essere pronte ad anticipare le sfide aperte da questo nuovosistema di produzione che disintermedia il progettatore del prodotto dal consumato-re finale. Nel medio-lungo periodo questa tecnologia ha il potenziale di far emergere nuovi mo-delli basati su piccole unità di produzione 3D che «stampano» una varietà di prodotti,decentralizzare le catene logistiche e tagliare radicalmente i costi fissi di produzione,gli scarti e i magazzini.

I cluster tecno-manifatturieriLa crescente integrazione tra manifattura e tecnologia rendenecessario creare sinergie forti tra imprese manifatturiere e im-prese all’avanguardia nel campo dell’high-tech e delle tecnolo-gie digitali e istituzioni di ricerca.I cluster favoriscono le dinamiche di cooperazione e forniscono un’importante piatta-forma di collaborazione e sinergia per le PMI, aggregando in uno stesso territorio im-prese manifatturiere, imprese ad alto tasso di innovazione tecnologica, start-up, centridi ricerca applicata e università. Si creano in questo modo ecosistemi innovativi ca-paci di attirare capitale umano, investimenti, infrastrutture nel territorio. È semprepiù a questo livello che si possono creare vantaggi competitivi difendibili nel tempo.Un modello a cui guardare è certamente la Germania, che ha istituito a livello nazio-nale 15 cluster manifatturieri ciascuno dei quali ha ricevuto finanziamenti per 40 mi-lioni di Euro tra il 2007 e il 2012. Ogni cluster è specializzato in tecnologie d’avan-guardia ed è gestito in stretta collaborazione tra governi regionali, associazioni di ca-tegorie e istituti di ricerca applicata, come ad esempio il Fraunhofer istituite.

Per restare al passo di queste trasformazioni è necessario unonuovo approccio di politica industriale che parta dai punti diforza del sistema manifatturiero della nostra Provincia e checoinvolga tutti gli attori del territorio, per supportare le impresenel processo di digitalizzazione.

Su questo ritornerò però tra poco.

Prima vorrei fare una considerazione sullo scenario in cui ci tro-viamo ad operare.

Le nostre imprese, lo sappiamo, hanno operato e operano tut-t’ora in un contesto di grande sofferenza economica e sociale.Siamo dunque chiamati a una doppia sfida: resistere e aumen-tare la competitività a breve per rimanere sul mercato. Continua-re ad operare cercando di difendersi e fare quello che si è sem-pre fatto, anche bene, non basta più.È vitale incrementare la nostra competitività e questo deve av-

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venire all’interno di un contesto Paese che, come sappiamo, nonaiuta per la sua burocrazia e le sue rigidità.L’Italia ha attraversato, insieme al resto d’Europa, la più profon-da e lunga crisi economica dal 1929 e le prospettive indicanomiglioramenti economici marginali o molto limitati verso settorie imprese che operano in determinate nicchie di mercato.

Pochi dati sono sufficienti per ricordarci quanto è stato perso eche danno abbiamo subito.Il PIL nel 2014 è risultato in termini reali del 9% inferiore ri-spetto al livello pre-crisi del 2007. In termini reali ciò significacirca 150 miliardi di Euro di valore aggiunto in meno prodottonel 2014 rispetto al 2007, che diventano circa 180 miliardi seconsideriamo nel calcolo anche la crescita dovuta all’inflazione.Gli investimenti, sempre dal 2007, si sono contratti di quasi il30%, un dato allarmante. Noi sappiamo bene che senza investi-menti non c’è innovazione, e senza innovazione di processo o diprodotto non c’è crescita ed è impossibile rimanere sul mercatoin modo competitivo.Infine, elemento tra tutti forse più preoccupante, è la disoccupa-zione: era al 6,2% nel 2007 e oggi è più che raddoppiata atte-standosi al 12,6%. Quella giovanile è da mesi intorno al 43%. I“NEET” (Not in Education, Employment or Training) cioè i gio-vani che non studiano, non lavorano e non stanno facendo atti-vità di tirocinio o di formazione al lavoro, sono il 26% del totaledei giovani. Siamo al quartultimo posto tra i 34 Paesi dell’OCSE.

Dopo aver atteso l’uscita dalla crisi che veniva indicata già a par-tire dal 2012, gli unici segnali che si sono avuti sono stati quellidi un progressivo rallentamento della caduta, ma non di una ve-ra e propria inversione di tendenza.

Il quadro, seppur in miglioramento oggi, non appare roseo e co-munque non in grado di porre le basi per una crescita che aprapossibilità nuove per le imprese e per i lavoratori.Guardiamo le stime. Quelle più recenti del FMI, del Governo Italiano, della Commissio-ne Europea, dell’ISTAT e dell’OCSE, indicano un aumento del PIL per l’Italia que-st’anno compreso tra lo 0,6% e lo 0,7%. Questi valori sono stati già rivisti al rialzo ri-spetto alle previsioni di fine 2014, quando il PIL era previsto in un aumento compresotra lo 0,2% e lo 0,6%. Il maggiore ottimismo di questi mesi ha portato ad alzare le stimedello 0,3%-0,4%. Le stime per il 2016, invece, indicano una ulteriore accelerazionefino all’1,0%-1,2%.

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Questo è il contesto economico in cui dobbiamo competere oggi.Una crescita stimata dell’1,8-1,9% del PIL nel biennio 2015-2016. Uguale, nei fatti, alla contrazione del PIL registrata nelsolo 2013. Se le previsioni risultassero corrette, diversamente daquanto successo nel recente passato dove i numeri positivi nellestime hanno virato in segno negativo nella realtà, a fine 2016 do-po due anni di “crescita” non torneremo neanche al livello del-l’inizio del 2013.

Sempre confidando nelle previsioni del FMI, OCSE e degli altriorganismi, se applicassimo i tassi di crescita previsti nei prossi-mi anni il PIL italiano tornerebbe ai livelli del 2007 solo nel2025, tra dieci anni, gli investimenti tornerebbero ai livelli del2007 nel 2029, tra 14 anni, e la disoccupazione tornerebbe ai li-velli del 2007 nel 2031, tra 16 anni.

Non penso possiamo permettercelo e accettarlo. Dobbiamo re-cuperare i livelli pre-crisi entro un orizzonte di medio periodo.Se ci poniamo 5 anni come orizzonte temporale, per tornare ailivelli del 2007 dovremo crescere rispettivamente dell’1,9%all’anno di PIL, dell’8% all’anno di investimenti e dovremmo ri-durre la disoccupazione dell’1,25% all’anno.

Questa è la vera sfida che abbiamo davanti.Non aumentare dello “zero virgola”. Lo zero virgola qualcosanon è vera ripresa economica, ma stagnazione, e non consentedi risolvere la grave crisi che ha prodotto la forte contrazione deiconsumi e il raddoppio della disoccupazione.La sfida che abbiamo davanti è grande e noi vogliamo affron-tarla e vincerla.

Le imprese la vogliono affrontare e, come vi dirò tra poco, le ana-lisi che abbiamo realizzato in collaborazione con The EuropeanHouse – Ambrosetti, evidenziano come nel nostro territorio cisiano imprese manifatturiere che non solo hanno resistito allacrisi, ma hanno aumentato il loro potenziale competitivo, evi-denziando un ulteriore elemento di forza del “Modello Brianza”.La forza e la competitività delle nostre imprese è dimostrata dai dati record dell’export(che ha raggiunto quasi i 9 miliardi di Euro) che dimostrano come i consumatori e leimprese estere apprezzano e comprano i nostri prodotti. Anche a livello italiano l’ex-port complessivo ha raggiunto nel 2014 i 400 miliardi di Euro, circa il 26% del PIL.

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Il calo dei consumi sul mercato interno di questi anni ha penalizzato e fatto chiude-re molte aziende, non necessariamente quelle meno competitive, ma quelle meno in-ternazionalizzate e più esposte sul mercato domestico in termini di fatturato.

Per il futuro tutti noi (rappresentanze di categoria, imprese, la-voratori, istituzioni) dobbiamo tenere a mente che quando latanto attesa ripresa economica si mostrerà in modo più robusto,esistono segnali di cambiamento e discontinuità rispetto al pas-sato nelle strutture competitive dei mercati e nei sistemi di of-ferta che devono essere tenuti in considerazione. Se ci sarà unaripartenza, non sarà più come prima, in ogni caso. Non seguiràle stesse dinamiche passate.Alcuni elementi suggeriscono che si stia assistendo alla formazione di nuovi paradig-mi di consumo (es. la voglia da parte del consumatore di poter disporre di un prodottosempre più “tagliato su misura” per le sue necessità) e di produzione (meccanica ad-ditiva, automazione industriale, 3d printing, ecc.) generati da nuovi trend e comporta-menti di consumo e da nuovi modelli e tecnologie produttive più efficienti.

Oggi si è aperta una finestra, seppur piccola, dopo 13 trimestricontinui di crescita negativa. Le azioni messe in campo dallaBCE, l’indebolimento dell’Euro, i tassi di interesse mai così bas-si nella storia italiana e la riduzione del prezzo del petrolio, cihanno offerto l’occasione per ripartire.

Questa occasione va sfruttata appieno non per soffiare controla crisi come fatto finora, ma per iniziare a soffiare a favoredella ripresa.

E qui sta la seconda sfida, quella della politica industriale: sitratta di una sfida a cui l’Italia, come sistema-Paese, è chiamataa rispondere.La crisi del 2008, l’avvento di Internet e della rivoluzione digi-tale, il ribilanciamento degli equilibri economici globali spostatisempre più ad Est, hanno segnato una sorta di “anno zero”.

La volatilità, l’incertezza e la complessità dello scenario con cuici confrontiamo – il “new normal”, come lo chiamano alcuni –richiede strategie nuove da parte delle imprese, ma anche nuoverisposte da parte delle politiche pubbliche.

Dopo la deregulation degli anni ‘70/’80 e il libero mercato deglianni ‘90, la politica industriale è oggi al centro dell’Agenda dei

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Governi nel mondo come strumento per reagire alla crisi eco-nomica e rilanciare il tessuto produttivo.Tra i grandi Paesi industrializzati, l’Italia non ha definito unastrategia organica in grado di difendere i vantaggi competitividel proprio sistema industriale. Occorre che il nostro Paese ri-torni a fare politica industriale.

La produzione manifatturiera italiana dal 2007 è calata di oltreil 25%, mentre nel mondo è cresciuta del 10%. La produttivitàper ora lavorata è stagnante (nel 2012 appena un +0,6% rispettoai valori del 2005, contro il +12% in Francia e il +13,7% in Ger-mania) e gli investimenti in ricerca e sviluppo sono tra gli ultimiposti tra le economie sviluppate (abbiamo una spesa lorda in R&S nel set-

tore manifatturiero pari allo 0,8% dell’output della produzione contro il 2,6% dellaGermania e il 4,1% degli Stati Uniti). Nel complesso, dal 2005 ad oggi, abbiamo persooltre 550mila posti di lavoro nella nostra manifattura.

Oggi, il 2015, deve essere l’anno della ripartenza e per questonon si può procedere con interventi una tantum: occorre unprogramma strutturato di policy di medio-lungo periodo construmenti selettivi che supportino il nostro sistema industrialee ne agevolino la sua evoluzione, prendendo pieno beneficio deigrandi trend tecnologici che stanno rivoluzionando il modo difare manifattura. Questa è politica industriale.

È urgente che l’Italia agisca velocemente perché i nostri concor-renti internazionali – come la Germania, la Francia e il RegnoUnito1 – fanno politica industriale a sostegno delle loro imprese.Negli anni recenti alcuni tentativi di politica industriale sono stati fatti, ma si sono poiarenati nei vincoli burocratici, nei ritardi dei finanziamenti e nella scarsa stabilità deiprogrammi. Tutti ci ricordiamo di “Industria 2015” che ha visto 3 progetti sui 303 pre-sentati ricevere i finanziamenti, per un totale tra il 3% e il 5% del fondo messo a di-sposizione, come certificato dalla Corte dei Conti.

Manca un vero sostegno alle imprese: gli aiuti pubblici all’indu-stria e ai servizi nel 2013, come rilevato dalla Commissione Eu-ropea, in Italia sono stati lo 0,17% del PIL; metà della Germania(0,39%), un terzo della Francia (0,55%). Occorre un cambio di passo e un nuovo modo di fare politicaindustriale. Questo vuole dire fare delle scelte concrete su alcu-ni punti chiave.

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In primo luogo occorre definire le priorità.Una efficace politica industriale per il nostro Paese deve punta-re a difendere i settori industriali strategici: tra questi certamen-te il metalmeccanico e il mobile arredo – su cui il nostro territo-rio eccelle. Penso però anche ai settori ad alta intensità di cono-scenza come la chimica e la filiera dell’elettronica, che qui, aMonza e Brianza, producono quasi il 20% del valore aggiuntomanifatturiero e producono il 15% dei posti di lavoro. Occorre anche preservare l’integrità delle filiere industriali,con un potenziamento delle filiere dei beni intermedi/accessori(materiali, semilavorati, componenti) e integrare sempre di piùindustria e servizi – il cosiddetto modello “manu-service” –perché oggi la creazione di valore si ha sempre di più nelle atti-vità a monte (Ricerca&Sviluppo e Progettazione) e a valle dellaproduzione (marketing e servizi pre-o-after sale).

È necessario sostenere la leadership delle nostre produzioni nel-l’alto di gamma, ma aiutare le nostre imprese a raggiungere an-che la classe media emergente nel mondo perché è questa do-manda, che già oggi supera i 20 trilioni di Dollari e arriverà nel2030 a 60 trilioni, che trainerà i fatturati nel futuro.

Occorre infine aiutare – con interventi integrati sulle politichedella ricerca, della formazione e dello sviluppo industriale – aportare le tecnologie di frontiera all’interno dei settori tradizio-nali dell’industria, creando processi virtuosi di “ibridazione”.Penso al ruolo abilitante che già giocano – e che giocherannosempre di più in futuro – le nuove tecnologie come il biotech, ilnanotech, i nuovi materiali, l’ICT.

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1 La Germania ha lanciato nel 2010 il Piano “Germany as a Competitive Industrial Nation” conincentivi all’innovazione, al miglioramento delle competenze della forza lavoro e ai nuovi pro-cessi produttivi sostenibili con la massima integrazione tra manifatturiero e terziario.La Francia, con la strategia “La Nouvelle France Industrielle” del 2013 e i suoi 34 piani di ri-conversione industriale, vuole stimolare la propria industria sfruttando i propri “campioni na-zionali” nei settori dell’energia, dei trasporti e della salute e sviluppando nuovi settori ad altopotenziale legati alla transizione alla green economy e alla rivoluzione informatica e digitale.Il Regno Unito – riconoscendo che i soli servizi non bastano a sostenere l’economia – ha varatola nuova “Industrial Strategy” (2013) per migliorare la competitività globale delle filiere indu-striali avanzate del Paese (aerospazio, edilizia, bioscienze, energia, agricoltura, ICT, automoti-ve) e promuovere le tecnologie emergenti per la manifattura avanzata come l’additive manu-facturing e i nuovi materiali.

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Oltre alla priorità occorrono anche obiettivi concreti per misu-rare i progressi fatti e progettare gli interventi correttivi dellepolitiche. Nei prossimi 5/7 anni, dovremmo darci l’ambizione di raddop-piare la quota di mercato globale dell’export manifatturiero tor-nando al 4% come eravamo 20 anni fa, mentre oggi siamo scesi al 2,75%.

Ma anche raggiungere la Germania per quota dei lavori collegati ai servizi nel settoremanifatturiero (oggi: Italia=37%; Germania=52%) e superare il 10% del valore aggiun-to manifatturiero da prodotti high-tech (oggi siamo al 7,4% vs. 11,9% Regno Unito,10% Francia, 8,3% Germania).

Occorre creare l’ “ecosistema” favorevole all’industria, interve-nendo con la massima decisione sui “fattori igienici” che oggiostacolano la nostra industria. Questi sono noti, ma è necessa-rio ribadirli:Occorre ridurre la tassazione sulle imprese, tra le più elevate inEuropa, con una pressione al 65,8% degli utili contro il 42%della media UE-28.Occorre ridurre la burocrazia: secondo la Banca Mondiale, su189 Paesi ci posizioniamo al 56° posto per facilità di fare busi-ness, dopo Romania e Slovenia e subito prima di Bielorussia,Giamaica e Ghana.Occorre ridare efficienza al sistema della giustizia e intensifi-care la lotta alla corruzione: la durata media di un processo le-gale di primo grado in Italia è di 2 anni e di secondo grado è piùdi 3, mentre le cause pendenti di prima istanza sono 3,7 milionicontro gli 1,6 milioni in Francia e le 544 mila in Germania.Occorre ridurre i costi dell’energia: le nostre imprese paganol’elettricità il doppio di quelle francesi e l’incidenza delle tassesul prezzo totale è il 56%, quasi 10 punti più della Germania. Suquesto punto credo che il recente rilancio della Unione Europeadell’Energia sia una opportunità che l’Italia deve cogliere, attra-verso un ruolo attivo per la costruzione di una volontà politicacondivisa con i Paesi della core europe e un’azione forte a Bru-xelles per fare sentire i nostri interessi e il nostro peso.Occorre aumentare la capacità di technology transfer: oggi so-lo l’1,2% della ricerca svolta nelle nostre Università è finanziatadalle imprese, contro il 14% della Germania e il numero di bre-

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vetti pro-capite in Italia è poco più di 60, contro gli oltre 330 del-la Germania.Occorre ricostruire le condizioni, anche di fiducia, per riattiva-re il ciclo gli investimenti: negli ultimi 7 anni gli investimentipubblici e privati sono calati in termini reali di quasi il 30%.Può aiutare a questo fine rivalutare il modello di funzionamentodegli istituti di credito speciale, anche prevedendo una Bancaper lo sviluppo industriale dell’Italia sulla scorta di quello chesta facendo in altri Paesi, come ad esempio il Regno Unito (laBritish Business Bank).Occorre aggiornare le competenze della forza lavoro: il 36%dei nostri lavoratori ha solo un diploma di scuola primaria (ildoppio di Francia e Germania) e il 50% ha competenze digitaliinsufficienti (vs. 25% di Francia e Germania). Le attività di ag-giornamento permanente nel nostro Paese, negli ultimi 10 anni,sono state meno dei 2/3 di quelle che si sono svolte in Europa.

La politica industriale deve essere collegata ad una più ampiavisione per lo sviluppo del Paese e in questa, dei territori ad altavocazione manifatturiera come la Brianza.Occorre dare alle nostre imprese e ai nostri imprenditori rispo-ste concrete a tre domande fondamentali:Perché un’impresa dovrebbe insediarsi qui? Perché un’impresagià presente sul territorio dovrebbe decidere di rimanervi?Perché un talento, un lavoratore dovrebbero decidere di lavo-rare qui?

Oggi è il tempo delle scelte e del fare, come ci insegnano i nostriimprenditori. Occorre un nuovo corso, un “new deal”: occorreposizionare l’industria al centro di un grande progetto comunedel Paese in uno spirito costruttivo a beneficio di tutti. Il governo deve avere la forza di realizzare una politica industrialepartendo dalle imprese e dalle dinamiche economiche dei merca-ti. Noi siamo pronti a metterci in gioco e fare la nostra parte.

La terza sfida si chiama innovazione. L’innovazione è la levacompetitiva per crescere nell’economia della conoscenza e perrispondere al costante mutamento dei modelli produttivi e del-le condizioni ambientali.

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La Commissione Europea stima che ai processi innovativi è le-gata più del 50% della crescita dell’economia europea.

Sottrarsi alla sfida innovativa non è un’opzione. Dobbiamoprendere piena coscienza che l’emergere di centri produttivi inAsia, Africa e America Latina ha rivoluzionato l’orizzonte con-correnziale per i prodotti a media tecnologia – su cui l’Italia e laBrianza ha una specializzazione produttiva – e ha fortementeaumentato il premio competitivo dell’introduzione sul mercatodi prodotti avanzati.

Nei prossimi anni il cambiamento si intensificherà: l’“econo-mia della conoscenza” e la cosiddetta “quarta rivoluzione in-dustriale”, quella guidata dalle tecnologie digitali e dai nuovimetodi di produzione, rimescoleranno le carte creando nuoviorizzonti di opportunità e sfida a livello mondiale.La capacità di garantire percorsi sostenibili di crescita poggiasulla capacità di spostare avanti la frontiera dell’innovazione,anticipando le trasformazioni tecnologiche e le tendenze di mer-cato e massimizzando la velocità e l’efficacia dei processi di tra-sferimento tecnologico.

Oggi però il modo stesso di fare innovazione sta fortementecambiando. L’innovazione è un processo sempre meno lineare ela ricerca di base, quella applicata e lo sviluppo industriale van-no via via integrandosi. I processi di Ricerca&Sviluppo sono piùcomplessi e sempre più legati all’interazione tra attori con com-petenze diversificate in “filiere lunghe” dell’innovazione. Letecnologie sono più pervasive e ICT, robotica, materiali avanzatie nanotecnologie rivoluzioneranno il modo in cui produciamo.L’innovazione è sempre più veloce, così come l’obsolescenza diprodotti, processi e servizi e non esistono settori o nicchie pro-tetti a priori. Le risorse necessarie per l’innovazione aumenta-no e richiedono sforzi sempre maggiori in termini di risorseumane e di investimenti dedicati.

Questi cambiamenti portano una domanda di nuovi ruoli.Le Università sono chiamate ad essere delle “entrepreneurialuniversities” che, accanto alla didattica e alla ricerca, puntino

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anche alla “terza missione” del trasferimento tecnologico, crean-do una relazione più forte con le imprese2. Anche l’orientamento delle imprese all’investimento in innova-zione deve fare un salto quali-quantitativo per poter abbracciarecon successo le sfide competitive. Le reti collaborative diventa-no fondamentali e il settore pubblico – a tutti i livelli – ha un nuo-vo ruolo diventando centro di raccordo, stimolo e sostegno deiprocessi di integrazione fra gli attori. Il sistema finanziario si con-figura come soggetto strategico nei processi di Ricerca&Svilup-po per assicurare in modo efficiente le risorse economiche ne-cessarie.

L’Italia da oltre 10 anni viene indicata nello Innovation UnionScoreboard un “innovatore moderato”. Questo non rende giu-stizia alle nostre eccellenze in campo industriale e della ricer-ca: ricordo che i nostri ricercatori hanno il doppio delle citazio-ni scientifiche di quelli francesi o tedeschi. È pur vero però che vi sono dei problemi.Gli investimenti in Ricerca&Sviluppo sono bassi: l’1,27% del PIL contro una mediaEU-28 del 2,1%. La sola regione tedesca del Baden Wurttemberg dedica alla R&S quat-tro volte la spesa totale dell’Italia. Allinearsi alla media UE attiverebbe oltre 32 miliardidi Euro di spesa in R&S pubblica e privata, contro gli attuali 20.

È limitato lo sviluppo del mercato dell’equity. L’innovazione è finanziata per oltrel’80% dall’autofinanziamento (con tutti i limiti che ne conseguono) e gli investimentidi venture capital in Italia sono stati meno di 50 Dollari per milione di PIL contro i 210della Germania, i 407 del Regno Unito e i 1.710 degli Stati Uniti.

Anche l’efficienza della protezione della proprietà intellettuale ci penalizza: l’Intel-lectual Property Right Index ci posiziona 40° su 97 Paesi; Germania e Regno Unito sono11°. Prima di noi fanno meglio il Botswana e la Costa Rica.

Per rilanciare la capacità di innovare dell’Italia – e quindi la cre-scita – occorre costruire un ecosistema-Paese dell’innovazionein grado di favorire i processi di innovazione strutturale attra-verso l’uso efficiente dell’intelligenza e della ricerca disponibi-le, l’assegnazione meritocratica dei fondi e il coordinamento trail sistema delle imprese e il mondo accademico.

Per questo occorre lavorare su cinque priorità.

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2 Questo implica una maggiore autonomia e flessibilità gestionale degli Atenei, nonché una re-visione ed adeguamento delle risorse dedicate, anche secondo logiche competitive e merito-cratiche.

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Occorre una strategia nazionale dell’innovazione – come cel’hanno i Paesi più avanzati – con un orizzonte temporale di al-meno 10 anni, che definisca una visione condivisa del progetto diinnovazione del Paese e che dia coerenza alle politiche della ri-cerca, del lavoro, della formazione e dello sviluppo industriale.

Occorre razionalizzare gli incentivi pubblici per l’attività di Ri-cerca&Sviluppo e avere pochi strumenti fiscali chiari, stabili,automatici e significativi (credito di imposta, defiscalizzazione investimenti,tax holiday per la costituzione di imprese innovative, ecc.) snellendo drastica-mente i tempi e le procedure burocratiche.Il Governo sta intervenendo: occorre proseguire con ulteriore coraggio, guardando an-che alle best practice come la Francia.

Occorre rafforzare la cooperazione Ricerca-Industria, defiscaliz-zando significativamente le imprese che assumo dottori di ricerca3, riformando il regi-me di proprietà intellettuale per la ricerca pubblica e sostenendo gli Uffici di Trasferi-mento Tecnologico delle università oggi sottodimensionati (in media 3,8 addetti) e as-sicurando a questi risorse e professionalità adeguate con profilo internazionale assuntecon meccanismi aperti e competitivi.

Occorre aumentare l’attrattività e la cultura-Paese dell’innova-zione. Questo passa da due strade: da un lato attraverso un programma per valoriz-zare i talenti della ricerca in Italia, introducendo la negoziazione salariale individualeper i ricercatori e il direct recruiting nel sistema della ricerca pubblica; dall’altro pro-muovendo nuove strategie educative che introducano l’innovazione e l’imprenditoria-lità come materie di insegnamento nei programmi scolastici.

Occorre infine mettere a sistema i fondi disponibili (centrali elocali) per la ricerca di base, allocandoli con logica pluriennale su pochi fi-loni prioritari ad alto potenziale per il Paese in logica industriale. Penso alle tecnologieinnovative per l’energia; ai nuovi materiali; al mobile Internet; alle nanotecnologie; alletecnologie per le piattaforme Smart City.

Per il nostro territorio lanciamo una ulteriore sfida che speriamogli altri attori vogliamo raccogliere: proponiamo di creare uncentro di eccellenza per la ricerca pre-competitiva.Pensiamo ad una struttura di ricerca – gestita secondo canoni disostenibilità economica – focalizzata su pochi settori rilevantiper l’industria del nostro territorio che svolga attività di ricercadi eccellenza riconosciuta, collocata tra la ricerca pura (ancoralontana dalla applicazioni concrete) e quella industriale (troppolegata alla esigenze di una singola azienda).Questo centro permetterebbe di coprire uno spazio strategico

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della ricerca molto importante e poco presidiato, attrarre talentinel nostro territorio e insediare una fonte di vantaggio competi-tivo strutturale attivando meccanismi di trasferimento dell’in-novazione a beneficio di interi settori.

Prima di arrivare alle ultime due sfide, vorrei fare alcune breviconsiderazioni sul nostro modello di fare impresa, il “ModelloBrianza” appunto, come abbiamo voluto indicare nel titolo diquesta nostra Assemblea.

In questi lunghi anni di crisi abbiamo sentito, più di una volta,parlare della crisi del “Modello Brianza”. La nostra esperienza, tuttavia, ci ha mostrato come non tutto siafermo e che segnali di apertura di nuove possibilità di sviluppoesistono e vanno colte.Anche in settori tradizionali esistono aziende capaci di funzio-nare, rimanere competitive e sviluppare valore aggiunto per ilterritorio.Con soddisfazione, questi segnali sono emersi in modo chiaro dauno studio condotto da The European House – Ambrosetti su uncampione di 1.450 imprese manifatturiere della nostra Provincia4.

Negli ultimi 7 anni di crisi, infatti, The European House - Am-brosetti ha evidenziato come il 20,3% delle imprese manifattu-riere di Monza e Brianza rientrano nella categoria delle “im-prese resilienti alla crisi”, cioè di imprese che oggi presentanovalori di fatturato e marginalità superiore ai valori pre-crisi.

Queste aziende resilienti alla crisi hanno operato in un contestodi distruzione di ricchezza economica e occupazionale senzaprecedenti, come indicavo prima, ma hanno saputo performarein modo positivo non subendo gli effetti della crisi economica.In sintesi, le imprese resilienti hanno saputo raggiungere impor-

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3 Alcuni primi passi per una più forte presenza di PhD nelle imprese sono stati mossi con PhDITalents (6 Agosto 2014), progetto di placement promosso dal MIUR in collaborazione conFondazione CRUI e Confindustria, con l’obiettivo di introdurre persone altamente qualificatenel mondo del lavoro e intensificare le relazioni fra imprese e università i dottori di ricerca inazienda. L’iniziativa consentirà di introdurre 136 giovani altamente qualificati in imprese for-temente orientate all’innovazione e alla ricerca, per un periodo di almeno due anni. Il pro-gramma ha un finanziamento totale di 16,236 milioni di Euro.

4 Selezionate aventi un fatturato superiore al milione di Euro e organizzate in forma di societàdi capitali.

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tanti traguardi di vendite, nell’attuale contesto economico dicontrazione della domanda aggregata, hanno mantenuto la red-ditività evidenziando, così, la capacità dell’impresa di farsi rico-noscere dal mercato il proprio valore aggiunto, senza ricorrerein modo eccessivo ad aggressive politiche di vendita basate so-lamente sulla riduzione dei prezzi medi.

Come ci indica The European House - Ambrosetti il 20,3% diimprese manifatturiere resilienti è un dato molto alto rispetto aquelli ottenuti in altri contesti territoriali italiani dove le impre-se manifatturiere resilienti nel periodo 2007-2013 sono compre-se tra il 5% e l’8%-10%.

Andiamo a vedere come sono fatte queste imprese e a quali set-tori appartengono, in modo tale da poter focalizzarci insieme suquegli elementi di forza già presenti e espressi dal tessuto eco-nomico e produttivo territoriale su cui far leva per favorire lacrescita complessiva di tutto il manifatturiero e dell’economiadi Monza e Brianza.

Su 1.450 imprese analizzate, 295 sono quelle resilienti (cioè il20,3% del totale del campione). Queste imprese generano 3,7miliardi di Euro di fatturato e impiegano 11.646 dipendenti. Inmedia le 295 imprese resilienti producono 12,5 milioni di Eurodi fatturato (contro un valore di 8,7 milioni di Euro in media delcampione totale) e impiegano 39,5 dipendenti in media per im-presa (contro un valore di 31,6 in media del campione totale).Le imprese resilienti si concentrano nei settori di tradizionaleforza della Brianza come le metalmeccanica con il 39% del to-tale delle imprese resilienti, legno-arredo con il 14%, tessile eabbigliamento con il 7,8%. La chimica con il 6,8% del totaledelle imprese resilienti, e il settore della gomma e materie pla-stiche, anch’essa con il 6,8%, esprimono anch’esse un numeroimportante di imprese resilienti e competitive.Proporzioni leggermente differenti emergono se guardiamo alla quota di fatturato sultotale delle imprese resilienti suddivisa per settore economico. La metalmeccanica siconferma al primo posto con il 28,4% dei ricavi totali, mentre al secondo e terzo postosi posiziona la chimica con il 16,7% dei ricavi totali e il settore dell’elettronica con il12,2%. Il legno e arredo si posiziona quarto con l’11,1% dei ricavi totali e a seguire sicollocano le imprese che operano nel settore della gomma e materie plastiche con il7,1% e le aziende farmaceutiche con il 6,7%.

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In termini di occupazione, infine, il primo settore rimane sem-pre la metalmeccanica con il 26,8% del totale degli occupatidelle imprese resilienti, al secondo posto con una quota del15,8% si colloca il settore elettronico-high tech, al terzo posocon l’11,2% il legno-arredo. A seguire la metallurgia con il9,2%, la chimica con l,8,5%, la farmaceutica con il 7,8% e il tes-sile e abbigliamento con il 7,1%.

Dall’analisi emerge una conferma importante: il 92,2% delle im-prese resilienti rientrano nella categoria delle Piccole e MedieImprese. Questo dato è molto significativo e, unito all’elevataquota di imprese resilienti sul totale, dimostra come il “ModelloBrianza” che ha generato crescita e sviluppo in passato nonstia scomparendo.Al contrario, gran parte delle imprese resilienti in Provincia di Monza e Brianza con-servano quelle caratteristiche distintive tipiche del territorio: Piccole e Medie Impre-se manifatturiere nei settori della metalmeccanica, del legno arredo e del tessile, conl’aggiunta della chimica, gomma plastica, farmaceutica e prodotti dell’elettronica.

Durante gli anni di crisi queste imprese hanno contribuito in modo essenziale almantenimento di quote di reddito e ricchezza sul territorio. Dall’analisi emerge, in-fatti, che oggi la quota di fatturato generato dalle imprese resilienti sul totale generatodalle imprese in Provincia di Monza e Brianza si attesta al 27,9%.

In altre parole, oltre un quarto del fatturato delle imprese manifatturiere della Pro-vincia è generato da imprese resilienti. Imprese che hanno dimostrato di superare lacrisi migliorando le performance economiche e contribuendo alla tenuta di quote di oc-cupazione e ricchezza sul territorio.

Considerando che, a parità di perimetro d’analisi, queste stesseimprese nel 2007 generavano il 21,6% del fatturato totale, ilcontributo in termini di ricchezza generata dalle imprese resi-lienti è estremamente rilevante e stimabile in circa 800 milionidi Euro di fatturato aggiuntivo nel 2014. 800 milioni ottenutinonostante la crisi, nonostante l’aumento della pressione fiscalee nonostante la forte restrizione al credito subita dalle imprese.

La passione dei nostri imprenditori, la professionalità dei no-stri lavoratori e il territorio ha permesso di ottenere questi ri-sultati straordinari, in un contesto estremamente difficile.

Il nostro territorio non ha smesso di fare manifattura. A livelloPaese, siamo tra i primi (e pochi) al mondo per surplus commercia-le nel settore manifatturiero, dietro a Cina, Giappone e Germania.

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La Provincia di Monza e Brianza è ai primi posti in Italia perquota di PIL prodotto dal manifatturiero sul totale. Oltre il 27%del valore aggiunto prodotto in Brianza è generato dal manifat-turiero.

Se consideriamo che in Europa l’obiettivo è di portare nei prossi-mi anni il PIL manifatturiero sul totale dall’attuale 15% al 20%,capiamo subito quanto il nostro territorio è strategico per poterraggiungere, a livello Paese e a livello Comunitario, l’obiettivo del20% di PIL generato dalla manifattura sul totale.

Siamo anche i primi in Italia per valore aggiunto per occupatonel settore manifatturiero con 75.000 Euro.

Siamo davanti a realtà industriali importanti come Bergamo,Brescia e Varese, dove il valore aggiunto per occupato nel mani-fatturiero si attesta a circa 60.000 Euro.

Siamo però indietro rispetto alla media dei distretti manifattu-rieri in Germania dove il valore aggiunto per dipendente è intor-no ai 100.000 Euro. Questo ci deve stimolare a lavorare con an-cora maggiore impegno per “scalare” la catena del valore, inte-grare sempre di più il prodotto con il servizio e entrare nei mer-cati emergenti che guideranno la domanda nel futuro.

La passione e la volontà non ci manca. Su quella non registria-mo crisi, e non l’abbiamo mai registrata. Abbiamo un tessutomanifatturiero che è strategico per gli obiettivi che si è posto ilPaese e l’Europa, molto differenziato e che si basa sui settoritradizionali, ma anche sui nuovi.

Il cuore del Modello Brianza ha resistito alla crisi, ma dobbia-mo saper leggere i cambiamenti e i trend futuri di settore e diconsumo, adattando le nostre strutture ai nuovi modelli produt-tivi e adottando le nuove tecnologie per conservare l’“imprin-ting” del nostro saper fare manifattura, del nostro saper fareimpresa.

Il successo di lungo termine del manifatturiero della Brianzadipenderà dalla capacità di penetrare nuovi mercati emergen-ti. Questa è la quarta sfida.

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Sappiamo che il sistema manifatturiero dell’Italia ha una fortis-sima vocazione all’export: Ogni anno il nostro Paese esporta prodotti per un valore di oltre380 miliardi di Euro, pari a oltre il 23% del PIL nazionale.Gli ultimi dati Istat di marzo parlano di esportazioni in crescita del 9,2% sull’anno pre-cedente con un avanzo positivo tra import ed export di quasi 8 miliardi di Euro, chesfiorano i 16 miliardi e mezzo se non contiamo le importazioni energetiche.

Di questo pilastro dell’Italia – l’export – che sostiene i contipubblici e la nostra economia, la Brianza è un indiscusso puntodi eccellenza e un’area leader.

Negli ultimi cinque anni le esportazioni del nostro territorio so-no cresciute complessivamente del 20,6% contro una crescitamedia italiana del 18,4%. In valori assoluti, nel 2014 il nostrosettore manifatturiero ha esportato prodotti per oltre 8,6 miliar-di di Euro. Questo export vale da solo oltre il 35% del PIL ditutta la provincia.

Non vi è alcun dubbio che nel nostro territorio il settore manifat-turiero è strutturalmente più forte rispetto al resto del Paese: inmedia le nostre imprese, in relazione alla popolazione residente,esportano quasi 10mila Euro pro-capite, contro una media italia-na di poco più di 6.200 Euro. Parliamo di quasi il 60% in più.

Resta tuttavia ancora del lavoro da fare per consolidare edespandere il posizionamento competitivo dei nostri prodotti suimercati internazionali. Oggi oltre i due terzi, quasi il 70% del-l’export manifatturiero del nostro territorio è diretto verso l’Eu-ropa e in particolare verso i paesi limitrofi: Germania, Francia eSvizzera da sole assorbono quasi il 40% di tutte le nostre espor-tazioni. Il nostro è quindi un modello che ad oggi guarda prin-cipalmente i mercati che possiamo considerare domestici. E quisi apre la grande sfida.

Nei prossimi anni, se prendiamo a riferimento le previsioni al2020 del Fondo Monetario Internazionale, i nostri mercati di ex-port consolidato registreranno tassi di crescita relativamentebassi e stabilmente sotto il 2%, con l’eccezione degli Stati Unitiche si orientano su un tasso di crescita del 2,5% annuo.

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Al contrario, i mercati a maggiore potenziale di crescita – quelli con il PIL in crescitaa doppia cifra per intenderci – sono ancora sotto-penetrati dalle nostre imprese. Lodimostra il fatto che ad oggi solo il 9% del nostro export manifatturiero è diretto versoi cosiddetti BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Questi sono Paesi in boom,con un’economia che chiede macchinari, vestiti, arredi e con una domanda semprepiù sofisticata in grado di apprezzare e riconoscere la qualità dei prodotti made inItaly, o meglio, made in Brianza.

Pensando all’abbigliamento il solo mercato cinese al 2025 varrà 540 miliardi di Dollari,contro i 440 dell’Europa. Insieme alla Russia, al Brasile e all’India il valore sfiorerà i1.000 miliardi di Dollari, una volta e mezzo il valore dell’Europa insieme agli Stati Uniti.

Se vogliamo aumentare significativamente i nostri fatturati,l’obiettivo strategico per il prossimi anni, dovrà necessariamen-te essere quello di aprire una nuova fase di internazionalizzazio-ne, una “internazionalizzazione 2.0” e quindi penetrare nuovimercati ad alto potenziale dove c’è una crescente domanda diprodotti di alta qualità.

Per fare internazionalizzazione, lo sappiamo, la dimensione èun vincolo. Guardando a livello italiano, abbiamo la metà delleimprese con più di cinquanta addetti rispetto alla Germania,mentre abbiamo più del doppio di imprese con meno di 20 ad-detti rispetto alla Germania.

Per consolidarci nei mercati emergenti abbiamo bisogno di unosforzo di sistema e un nuovo approccio: dobbiamo supportare leimprese che vanno all’estero con una logica di filiera, e non solopiù di supporto alla singola impresa. Anche a livello di singoloterritorio, come il nostro, possiamo fare molto. Ad esempio, lan-ciando politiche di relazione mirata con territori esteri in fortesviluppo, costruendo con questi – attraverso accordi quadro –rapporti privilegiati di lungo periodo e sfruttando le nostre com-petenze industriali per assistere i governi locali nel mettere apunto importanti progetti in settori selezionati, con l’obiettivodi acquisire canali preferenziali per le nostre aziende.

C’è poi infine un problema di governance del sistema di sup-porto all’internazionalizzazione che deve essere risolto.La recente riforma dell’ICE è un passo in questa direzione, ma ènecessario un maggior sforzo di coordinamento tra imprese eistituzioni, che eviti le eccessive duplicazioni burocratiche cheabbiamo visto negli ultimi anni.

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Infine la quinta e ultima sfida, quella della formazione e dell’ag-giornamento delle competenze per continuare a crescere in futu-ro. Occorrono nuove competenze per l’industria del 21° secolo.In pochi anni la società ha assistito ad un radicale cambiamento negli strumenti di la-voro, nelle modalità di fruizione di informazioni e prodotti/servizi e nelle modalità di re-lazione tra gli individui e degli stili di consumo. Questi cambiamenti hanno inizialmenteimpattato i settori più dinamici e aperti all’innovazione, per poi estendersi gradualmen-te alla generalità delle attività economiche e produttive, anche quelle più tradizionali.

La recente crisi ha, inoltre, accelerato questi processi e li ha consolidati, intensificandogli effetti di un generale “ricambio di competenze” nel sistema produttivo già in par-te in corso negli anni precedenti alla crisi. In termini occupazionali, in Europa dal2007 al 2014 si sono persi oltre 7 milioni di posti di lavoro, con forti differenze tra iPaesi membri; nello stesso periodo l’Italia ha perso 1,2 milioni di posti di lavoro (solola Spagna registra un dato peggiore, -3,4 milioni).

In questo contesto di costante cambiamento e dove le tecnologie stanno rapidamentediventando pervasive, le competenze della forza lavoro sono, sempre più, un elemen-to centrale per le imprese. Con le competenze della forza lavoro e con le sue professio-nalità, un’impresa può crescere e svilupparsi, dando vita a uno scambio reciproco.

Le imprese colgono le sfide nel modificare e adeguare la propria struttura, i processi ele modalità di lavoro per sfruttare le possibilità offerte dalle trasformazioni nei servizie nell’industria, i lavoratori sviluppano competenze distintive e ad elevato valore ag-giunto che gli consentano di crescere professionalmente e come individuo.

Senza un importante aggiornamento delle competenze della forza lavoro e l’intro-duzione ampia e diffusa di attività di life long learning, il Modello Brianza manche-rà di importanti leve su cui agire per svilupparsi.

Non ci potrà essere quell’evoluzione del Modello Brianza, che ho delineato prima,senza un importante investimento nella formazione in chiave innovativa della forzalavoro e specializzazione, in forte contatto e sinergia con l’evoluzione delle imprese.

Guardando al futuro, la formazione tecnica e professionale de-ve essere declinata all’interno delle nuove esigenze del mondoproduttivo e in accordo con i trend della domanda di nuovecompetenze nelle imprese.Ad esempio, la domanda occupazionale nuova si concentra nel-l’innovation/change management, nel data management, nelmondo del digitale e, in particolare, nel digital strategic plan-ning, nel 3D design, nel risk management e nell’additive manu-facturing.

Dobbiamo tenere presente che l’integrazione di nuove compe-tenze nelle nostre imprese è necessaria non solo per produrre,ma anche per rispondere in modo efficace alla competizioneche sta cambiando.

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La rivoluzione digitale – quella che alcuni chiamano la “digitaldisruption” – sta radicalmente trasformando le arene competi-tive. In tutti i settori – e anche nel manifatturiero – emergononuovi concorrenti molto aggressivi che fino a pochi anni fa nonerano nemmeno immaginabili. Aziende come Amazon, Alibabae i portali di vendita on-line oggi si pongono come veri e propricompetitori di aziende manifatturiere che basavano il propriosuccesso anche sulla presenza capillare di una rete di distribu-zione sui mercati di tutto il mondo.

In questo contesto dobbiamo rendere maggiormente attraentiper i giovani, i percorsi di formazione tecnica, veicolando unanuova immagine della fabbrica, che sappia superare gli stereo-tipi tradizionali ormai superati dai fatti e comunicando le pos-sibilità connesse a una formazione di questo tipo come le mag-giori opportunità di impiego e la possibilità di lavori altamentequalificati e specializzati anche in settori tradizionali.

Le Università, con l’introduzione di corsi specifici e le ScuoleProfessionali sono l’interlocutore chiave e di riferimento dacoinvolgere e con cui costruire lunghe e stabili relazioni. Suquesto, proprio come Confindustria Monza e Brianza siamo giàattivi; il nostro impegno è per uno sforzo ancora ulteriore e de-terminato.

Infine, è fondamentale mettere in atto azioni volte ad aumenta-re l’attrattività del tessuto economico e produttivo della Pro-vincia di Monza e Brianza nei confronti di giovani e talenti.

Dobbiamo superare le perplessità che frenano i giovani a cercareun impiego e un percorso di sviluppo professionale in impresedi medie e piccole dimensioni operanti anche in settori tradizio-nali. Questo può essere fatto solo attraverso un’ampia azione diinformazione esterna che veda coinvolti tutti gli attori territo-riali, dalle imprese, all’università, alle parti sociali, alle istitu-zioni locali.

Cari amici, in questo mio discorso oggi ho voluto condividerecon voi la mia visione sul futuro prossimo e sulle sfide che ci at-tendono:

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La sfida della nuova manifattura del 21° secolo per stare alpasso della competizione globale.La sfida della politica industriale che, già come dicevo lo scor-so anno, non può che partire dai territori ad alto contenuto ma-nifatturiero come il nostro.La sfida dell’innovazione, per crescere nell’economia della co-noscenza e per rispondere al costante mutamento dei modelliproduttivi.La sfida della nuova internazionalizzazione per penetrare inuovi mercati emergenti.La sfida dell’aggiornamento delle competenze e della formazio-ne per continuare a crescere in futuro.

Diceva Sun Tzu, il grande generale e filosofo cinese: “Una voltacolte le sfide, le opportunità si moltiplicano”.

A questo proposito una grande opportunità è quella che ci deri-va dalla recente fusione con Milano e la creazione della nostragrande associazione Assolombarda Confindustria Milano, Mon-za e Brianza.Si tratta dell’unione di due grandi tessuti industriali con proprielementi di distintività e di forza. Il nostro “modello Brianza”che come vi ho detto prima è forte, vivo, e competitivo, ora guar-da ad una nuova e più grande dimensione di area economica in-tegrata.In un mondo globalizzato in cui la dimensione è la chiave divolta competitiva, io vedo in questo opportunità enormi: oppor-tunità di fare massa critica per attrarre risorse e talenti; opportu-nità per fare sinergie tra le nostre PMI e le grandi imprese; op-portunità per lanciare più grandi e ambiziosi progetti di sistema.

Ecco, credo che questo sia il senso della nostra riflessione e diquesta Assemblea: dobbiamo guardare alle cinque sfide che ciattendono e alle nuove opportunità che si aprono come impren-ditori e come Brianza, abbracciandole senza paura e in uno spi-rito positivo per coglierne le opportunità con la voglia di fare edi intraprendere che ci contraddistingue.

Quindi, evviva l’impresa, evviva la manifattura, evviva la Brianza!

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