associazione italiana di diritto del lavoro e della

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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA SOCIALE Annuario di Diritto del lavoro N. 51 LAVORO, DIRITTI FONDAMENTALI E VINCOLI ECONOMICO-FINANZIARI NELL’ORDINAMENTO MULTILIVELLO ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIO DI DIRITTO DEL LAVORO FOGGIA, 28-30 MAGGIO 2015

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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA SOCIALEAnnuario di Diritto del lavoro N. 51

LAVORO, DIRITTI FONDAMENTALI E VINCOLI ECONOMICO-FINANZIARINELL’ORDINAMENTO MULTILIVELLO

ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIO DI DIRITTO DEL LAVORO

FOGGIA, 28-30 MAGGIO 2015

ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA SOCIALEAnnuario di Diritto del lavoro N. 51

LAVORO, DIRITTI FONDAMENTALIE VINCOLI ECONOMICO-FINANZIARINELL’ORDINAMENTO MULTILIVELLO

ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIODI DIRITTO DEL LAVORO

FOGGIA, 28-30 MAGGIO 2015

Copia riservata ai soci AIDLASS© Giuffrè Editore

ISBN 9788814215261

La pubblicazione degli Atti del Congresso AldLASS ha fruito di un contributo concesso dalla Fondazione Puglia

TUTTE LE COPIE DEVONO RECARE IL CONTRASSEGNO DELLA S.I.A.E.

© Copyright Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Milano - 2016

Via BUSTO ARSIZIO, 40 - 20151 MILANO - Sito Internet: www.giuffre.it

La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i microfi lm, i fi lm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i Paesi.

Tipografi a «MORI & C. S.p.A.» - 21100 VARESE - Via F. Guicciardini 66

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ELENCO DEI PARTECIPANTI

Agliata MariaAimo Maria PaolaAlaimo Anna MariaAlbè GiorgioAlbi PasqualinoAldovandri FabrizioAles EdoardoAlessi CristinaAllamprese AndreaAllegrezza RominaAllocca ValeriaAltavilla RenataAlvino IlarioAmendolito FrancescoAndreoni AmosAngelini LucianoAngiello LuigiAnnino MariellaAvio AlbertoAvondola AriannaBacchini FrancescoBagianti EmilioBalducci CataldoBallestrero Maria VittoriaBalletti EmilioBallistreri Gandolfo MaurizioBano FabrizioBarbieri MarcoBasenghi FrancescoBattisti Anna MariaBavaro VincenzoBavasso ElisabettaBellardi LauralbaBellavista AlessandroBellomo StefanoBernardo PatrizioBertocco SilviaBettini Maria NovellaBolego Giorgio

Bollani AndreaBologna SilvioBonura HaraldBorelli SilviaBorgogelli FrancaBorzaga MatteoBoscati AlessandroBozzao PaolaBrino VaniaBrollo MarinaBrun StefaniaCairoli StefanoCalafà LauraCalcaterra LucaCaloja MicaelaCammalleri Calogero MassimoCampanella PieraCanavesi GuidoCannati GiuseppeCaponetti BarbaraCaponetti SimoneCaracciolo Francesco PioCarchio ClaudiaCarinci Maria TeresaCarinci FrancoCarinci SusannaCarlucci RomildaCaruso BrunoCasale DavideCasillo RosaCassar SabrinaCataudella M. CristinaCataudella AntoninoCerbone MarioCerreta MicheleCester CarloChiaromonte WilliamChieco PasqualeChietera Francesca

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Cimarosti AlidaCiucciovino SilviaClaudi ClaudiaClemente BrigidaComande’ DanielaConsoli IlariaCorallo FrancescoCorazza LuisaCorbo CristianaCorrias MassimoCorrias PiergiorgioCorso IreneCorti MatteoCossu BrunoCrotti Maria TeresaD’Aponte MarcelloD’Arcangelo LuciaD’Onghia MadiaDe Angelis LuigiDe Falco FabrizioDe Felice AlfonsinaDe Feo AntonioDe Feo DomenicoDe Giudici AntonioDe Luca MicheleDe Luca Tamajo RaffaeleDe Marco CinziaDe Marinis NicolaDe Martino ClaudioDe Meo MonicaDe Michele VincenzoDe Michiel FrancescaDe Mozzi BarbaraDe Rosa MaddalenaDe Salvia AzzurraDe Simone GisellaDel Conte MaurizioDel Frate MariaDel Punta RiccardoDel Vecchio AlessandroDelfino MassimilianoDelogu AngeloDentici Lorenzo MariaDessì OmbrettaDi Bono FrancescoDi Casola AlessandroDi Corrado GiovanniDi Giorgio Giampaolo

Di Meo RosaDi Noia FrancescoDi Spilimbergo IreneDi Stasi AntonioDiamanti RiccardoDondi GermanoDonini AnnamariaDurazzo VittoriaEmiliani Simone PietroEsposito MarcoFaioli MicheleFaleri ClaudiaFalsone MaurizioFasano MonicaFenoglio AnnaFerluga LoredanaFernandez Sanchez SoniaFerrante VincenzoFerrara Maria DoloresFerraresi MarcoFerrari PaolaFerraro GiuseppeFerraro FabrizioFiata EmanuelaFicari Masi LuisaFilì ValeriaFilomeno CosimoangeloFiorillo LuigiFocareta FrancoFoglia LauraFontana GiacomoFontana GiorgioForlivesi MicheleFraioli Antonio LeonardoFranza GabrieleFrasca NicolettaFusco FedericoGabriele AlessiaGaeta LorenzoGalantino LuisaGalleano MarziaGambacciani MarcoGargiulo UmbertoGarilli AlessandroGarofalo CarmelaGarofalo RaffaeleGarofalo DomenicoGentile Giovanni

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Gentile RiccardoGermano TommasoGhera FrancescoGhera EdoardoGhitti CarlaGiammaria FrancescoGiampalmo GaetanoGiasanti LorenzoGiordano Francesco SaverioGirelli NadiaGiubboni StefanoGottardi DonataGragnoli EnricoGrandi BarbaraGreco Maria GiovannaGrieco AnnalisaGuarriello FaustaImberti LucioIoele LorenzoIzzi DanielaLa Forgia StellaLa Tegola OrnellaLamacchia CarmenLamberti Mario RosarioLambertucci PietroLa Monaca VincenzoLanotte MassimoLanzalonga DanielaLassandari AndreaLaudo CarloLazzari ChiaraLeardini FlavioLeccese VitoLeone GabriellaLepore AlbertoLepore MicheleLevi AlbertoLiebman StefanoLima AlessandroLo Faro AntonioLoffredo AntonioLoi PieraLorea CarmelindaLuciani VincenzoLudovico GiuseppeLunardon FiorellaMagnani MariellaMaiani Barbara

Mainardi SandroMaio ValerioMalzani FrancescaMarazza MaurizioMarazza MarcoMarcianò AngelaMarimpietri IvanaMarinelli FrancescaMarinelli Vincenza MarinaMarinelli MassimilianoMarranca ClaudiaMarsano MatteoMartelloni FedericoMartinelli Maria AntoniettaMartino LuciaMartone MichelMarzani MarcoMasi AngelaMastinu Enrico MariaMastrangeli Fabrizio DomenicoMattarolo Maria GiovannaMc Britton MonicaMenegatti EmanueleMenghini LuigiMezzacapo DomenicoMinervini Anna MariaMiraglia ValeriaMiscione AlessandraMiscione MicheleMocella MarcoMonaco Maria PaolaMonda PasqualeMontanari AnnaMonterossi LuisaMontuschi LuigiMorone AndreaMutarelli Matteo MariaNappi SeverinoNatullo GaetanoNavilli MonicaNicolosi MarinaNicosia Gabriella RosariaNogler LucaNorscia AntonioNovella MarcoNunin RobertaOcchino AntonellaOlivelli Filippo

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Olivelli PaolaOlivieri AntonelloOrlandi BenedettaOrlandini GiovanniPacchiana Parravicini GiovannaPace DomenicoPagni NicolettaPalladini SusannaPallini MassimoPanci MassimilianoPandolfo AngeloPanizza GiovanniPannone OttavioPantano FabioPascucci FedericoPascucci PaoloPasqualetto ElenaPasquarella ValentinaPassalacqua PasqualePellacani GiuseppePelliccia LuigiPellicciari ClaudiaPendolino GaetanaPersiani MattiaPerulli AdalbertoPeruzzi MarcoPessi AnnalisaPessi RobertoPiccari MichelePilati AndreaPileggi AntoninoPino GiovanniPinto VitoPiovesana AnnaPirelli FilippoPizzoferrato AlbertoPizzuti PaoloPoso VincenzoPozzaglia PietroPreteroti AntonioProia GiampieroProietti FabrizioProsperetti GiulioProtopapa VeneraPuccetti ElisaPugliese Maria AntoniettaPutaturo Donati FedericoPutignano Nicola

Quadri GiulioQuarato ChiaraRaffaele LuciaRaimondi EnricoRanieri MauraRavelli FabioRazzolini OrsolaReale AnnalisaRecchia Giuseppe AntonioRenga SimonettaRemida ValentinaReverso SaraRiccardi AngelicaRicci GiancarloRicci MaurizioRiccobono AlessandroRizzi FrancescoRocchini EmilioRollo MariaRomani FedericaRomei RobertoRomeo CarmeloRota AnnaRusciano MarioRusso CarmineRusso MariannaSala Chiri MaurizioSalimbeni Maria TeresaSalomone RiccardoSandulli PasqualeSantagata RaffaelloSantini FabriziaSantochirico RoccoSantoni FrancescoSantoro Passarelli GiuseppeSantucci RosarioSanvido FedericaSaracini PaolaSartori AlessandraSaulino FedericaScarano LorenzoScarpelli FrancoScarponi StefaniaScartozzi GinoSchiavetti FlaviaSchiavone TeresaSchiavone Enrico ClaudioSciarra Silvana

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Sciotti RossellaSena EufrasiaSerrano Maria LuisaSgarbi LucaSgobbo RobertoSigillò Massara GiuseppeSignorini ElenaSimoncini Gina RosamarìSitzia AndreaSpeziale ValerioSpinelli CarlaStolfa FrancescoTamburro LucianoTampieri AlbertoTebano LauraTempesta Giampaolo FulvioTerenzio Enrico MariaTesta LauraTesta FeliceTimellini CaterinaTinti AnnaritaTodaro AntonioTopo AdrianaTosi PaoloTremolada MarcoTreu TizianoTrojsi AnnaTullini Patrizia

Vaccaro Gammone IrmaValcavi GiampaoloValente LuciaVallauri MarialuisaVaresi Pietro AntonioVascello NellyVeltri AlessandroVenditti LuciaVentura AlessandroVettor TizianaVianello RiccardoVigilante Maria PiaVillani GiovanniVimercati AuroraVincenti Pietro CesareVincieri MartinaVinciguerra MariaViscomi AntonioVitaletti Bianchini VitalianaVitaletti MicaelaVoza RobertoZampini GiovanniZappalà LoredanaZilio Grandi GaetanoZilli AnnaZitti SerenaZoli CarloZoppoli AntonelloZoppoli Lorenzo

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CRONACA DEL CONGRESSO

Il XVIII Congresso dell’A.I.D.La.S.S. si è tenuto a Foggia neigiorni 28, 29 e 30 maggio 2015. L’organizzazione è stata curata dalprof. Maurizio Ricci, con la collaborazione dell’Università di Fog-gia e grazie al contributo di numerosi enti. Dopo gli interventi disaluto del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati diFoggia e del Rettore dell’Università di Foggia, i lavori sono statiaperti dal Presidente dell’Associazione, prof. Giuseppe SantoroPassarelli e sono proseguiti sotto la presidenza, a turno, dei proff.Francesco Santoni, Silvana Sciarra, Fiorella Lunardon, GiuseppeSantoro Passarelli e Maurizio Ricci. Nel corso dei lavori sono statiproclamati i vincitori dell’edizione 2014 dei premi « Ludovico Ba-rassi », « Francesco Santoro Passarelli » e « Massimo D’Antona ».Nella mattinata del 30 maggio si è svolta l’Assemblea dei soci cheha preceduto l’inizio delle votazioni per il rinnovo del Consigliodirettivo e le modifiche statutarie.

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Parte Prima

RELAZIONI E INTERVENTI

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Giovedì 28 maggio 2015 - pomeriggio

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CRISI ECONOMICA, VINCOLI EUROPEIE DIRITTI FONDAMENTALI DEI LAVORATORI

di PASQUALE CHIECO

SOMMARIO: Introduzione: le politiche europee di austerity. — A1. Il coordinamento dellepolitiche economiche nel diritto dell’Unione. — A2. Il rafforzamento della GovernanceEconomica Europea. — A3. Obiettivi e vincoli di stabilità finanziaria: bilancio a mediotermine e riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. — A4. Obiettivi e vincoli distabilità economica: individuazione, prevenzione e correzione degli squilibri macroe-conomici. — A5. La nuova governance economica europea: prime conclusioni sul ruolonel PSC della clausola delle riforme strutturali. — A6. Vincoli e obiettivi a regimerafforzato nella zona euro: dal Patto euro plus al Trattato intergovernativo sustabilità, coordinamento e governance nell’UEM. — A7. Obiettivi e vincoli europeiquali condizionalità dei programmi di assistenza finanziaria: il MES quale ulteriorepilastro della nuova governance economica europea. — A8. La grundnorm dell’equili-brio dei bilanci pubblici e l’effetto tenaglia sui diritti fondamenti dei lavoratori. —A9. Le Alte Corti europee di fronte alla nuova governance economica: sulle (poche)tracce della tutela dei diritti sociali fondamentali. — B1. I vincoli europei nell’ordina-mento interno: premessa. — B2. La Corte costituzionale tra vincoli di bilancio e difesadella “identità costituzionale”: la tecnica dei controlimiti (e i suoi limiti). — B3. Lacostituzionalizzazione dei vincoli di bilancio e l’impatto sui diritti fondamentali. —B4. I vincoli europei e la riduzione della spesa per il personale delle pubblicheamministrazioni. — B5. I vincoli europei e la clausola delle “riforme strutturali”applicata al mercato del lavoro: gli orientamenti integrati in materia di politicaeconomica e occupazionale. — B6. Le riforme del mercato del lavoro all’insegnaflessicurezza: cambiano Parlamenti e maggioranze ma non varia il disegno. — B7. Laflessicurezza e i diritti fondamentali del lavoratore: gli spazi delle tutele nell’ordina-mento costituzionale multilivello... — B8. (segue) ... e, in particolare, nella Carta deidiritti fondamentali. — B9. Un mercato del lavoro a misura dei diritti fondamentalidel lavoratore: alcuni caratteri necessari. — B10. Un mercato del lavoro partecipato einclusivo e, perciò, rispettoso del principio di eguaglianza (e del divieto di discrimina-zione). — Conclusioni.

Introduzione: le politiche europee di austerity

Siamo ormai ampiamente consapevoli che la crisi avviata conil collasso dei mutui subprime americani, emblematicamente rap-

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presentata il 15 settembre 2008 dal crollo della Lehman Brothers,per poi dilagare rapidamente nei mercati finanziari di tutto ilmondo scaricandosi, infine, nell’economia reale occidentale, è soloimpropriamente definibile in termini di crisi economica (1).

Non si esce uguali a come si era entrati da questa crisi perchéquella che stiamo vivendo è piuttosto una profonda e radicaletrasformazione (2), nella quale la globalizzazione, sulle ali di unaeconomia finanziaria e grazie all’uso delle tecnologie (3), ha via viaaperto nuovi mercati e nuovi luoghi di produzione in una dimen-sione globale che risulta poco accogliente per i diritti fondamentaliperché li rende terreno di confronto e di scontro (4).

L’ordine di grandezza di questa trasformazione l’ha rappresen-tato il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz affermandoche “il 15 settembre del 2008... rappresenta per il fondamentalismodi mercato quello che la caduta del muro di Berlino fu per ilcomunismo”. È un’affermazione che colpisce perché, pur evocandola portata epocale del cambiamento in atto, suona, almeno daquesta parte dell’oceano, alquanto stonata visto il tenore dellepolitiche europee messe in campo a partire dal 2010 (5).

(1) Come noto all’origine della crisi vi è « il credito allegro e l’improvvido indebita-mento del settore privato », come ha efficacemente riassunto De Ioanna, 2012, 60, prestotrasformato in un debito pubblico di enormi proporzioni.

(2) Pennacchi, 2012, 20 ss. che sottolinea come ci troviamo di fronte a una GreatTransformation (come quella tra le due grandi guerre del ’900 studiata da Polanyi) chenecessita di uno sforzo di produzione di pensiero, di categorie, di idee.

(3) Celebre la sintesi di Baumann: la nuova economia, liberata dalla pesantezza dellaprima modernità, si sottrae a ogni controllo « avendo scaricato la zavorra dei macchinaripesanti e della ciurma delle fabbriche, il capitale viaggia leggero con un semplice bagaglioa mano: una cartellina portadocumenti, un computer portatile, un telefono cellulare » (p.36).

(4) È l’incipit e il filo conduttore della riflessione di Franco Cassano, 2014.(5) In proposito, Bilancia P., 2014, 2, osserva con efficace sintesi che « La “crisi” ha

avuto, per le ben note ragioni, due sviluppi diversi, e fra loro quasi antitetici, in America ein Europa: nel Nuovo Mondo, infatti, ha comportato un’espansione del ruolo del Governofederale in funzione di “salvataggio” di istituzioni finanziarie gravemente compromesse ma,soprattutto, di “nazionalizzazione” dei debiti privati; in Europa, invece, fermo restando ilpoderoso tentativo messo in opera per il salvataggio di alcuni istituti di credito minacciatidalla “tossicità” dei titoli in portafoglio, essa ha principalmente colpito i debiti sovrani,generando — soprattutto nei Paesi più esposti — una pressione economico-finanziaria chesi è tradotta in una contrazione della spesa pubblica e in un aumento del prelievo fiscale...(e in una)... “privatizzazione” dei debiti pubblici, con conseguenti forti tensioni sociali edelevati rischi di “tenuta” della finanza e delle istituzioni pubbliche, oltre all’emergere di

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In Europa la risposta alla grande trasformazione dei sistemieconomici ha preso una strada tutt’altro innovativa che ha assuntoil nome di austerity (6), ponendosi così decisamente in linea conquel fondamentalismo di mercato dato da Stiglitz in caduta, dopoil 15 settembre 2008 (7).

Tra le parole d’ordine ripetute a tutti i livelli politico-istituzionali di governo della crisi spiccano, infatti, quelle delcontenimento del debito pubblico — e del suo necessario rientroper Paesi fortemente esposti come l’Italia — e della tenuta “inordine” dei conti pubblici, espressa nella “regola” del pareggio dibilancio, evocative della linea d’azione nel governo della grandetrasformazione.

Insomma, si è risposto « a una crisi neoliberista con un acca-nimento neoliberista » (8).

Ovviamente, additare i limiti di questa impostazione nonsignifica certo propugnare conti in disordine in quanto l’alto valoreetico insito nel principio di un uso sostenibile delle risorse vieneunanimemente riconosciuto in quanto espressione di un principiodi solidarietà, anzitutto intergenerazionale.

Il punto di discussione e di rottura sta, piuttosto, nel ruoloattivo rivendicato alle politiche pubbliche nel determinare le con-dizioni della crescita che non è mai avvenuta « senza massicciinvestimenti in aree fondamentali come l’istruzione, la ricerca e laformazione del capitale umano ». La crescita, continua DanielaMazzucato, necessita della spinta a fare cose altrimenti irrealizza-bili e “avventate” che solo lo Stato Innovatore è in grado di fornire

istanze politiche che hanno rimesso in discussione il processo stesso di integrazione euro-pea ». Una puntuale ricostruzione della crisi finanziaria in Dani, 2013, 339 e ss.

(6) Riconducibili alle tesi di Reinhart e Rogoff (2010), pubblicate su una prestigiosarivista economica, ma fondate su dati errati (come si è poi appurato nel 2014) e quindi sustrategie rivelatesi sbagliate. Si sosteneva, infatti, che oltre la soglia del 90% del PIL ildebito pubblico avrebbe prodotto automaticamente un calo della crescita: di qui il corollarioche l’austerità avrebbe portato più crescita.

(7) Paul Krugman, 2012, II-III, ha stigmatizzato la posizione della dottrina “auste-rica” dicendo che nella misurazione dell’efficacia della risposta alla crisi, in Europa siguardava alle percentuali del debito, negli Stati uniti alle percentuali dei disoccupati. AncheViscomi 2013, 546, riprendendo Krugman (da un articolo sul New York Times) si soffermasulla dottrina austerica e sulle gravi criticità che si aprono quando l’analisi economicatracima dal piano descrittivo a quello marcatamente prescrittivo.

(8) Secondo un’efficace definizione ripresa da Salazar, 2013, 3, e ivi per riferimenti.

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e che è alla base del dinamismo dell’economia capitalista che va« dalle ferrovie alla Rete fino alle nanotecnologie e alla farmaceu-tica dei nostri giorni... (e)... a tutte quelle tecnologie che hanno resocosì smart l’iPhone di Steve Jobs » (9).

Fatto sta che, seguendo la dottrina “austerica” e sotto l’incal-zare della crisi, le politiche di contenimento della spesa e di rientrodal debito hanno prodotto obiettivi e vincoli sempre più stringenti,introdotti da una regolamentazione europea che poi li ha sostenuticon (ulteriori) interventi di prevenzione e correzione degli squilibrieconomici e li ha infine immessi in un processo (Semestre europeo)finalizzato al loro stretto coordinamento e integrazione.

Per questa via e in funzione del più efficace perseguimentodell’obiettivo primario della tenuta dei conti pubblici, si è strut-turata la nuova governance (10) europea che ha inciso sempre più inprofondità sulla necessità e sul contenuto delle riforme “struttu-rali”, specie nei confronti degli Stati membri più in difficoltà,perché fossero congruenti con quell’obiettivo e, quindi, rispondentialla impostazione economica che lo ha individuato quale rispostaprimaria alla crisi. Questo percorso, fatto di norme e di attieuropei, ha investito in pieno il mercato del lavoro, ridisegnatonelle funzioni e nelle regole, per contribuire “utilmente” al com-plessivo percorso in atto, impattando inevitabilmente sui dirittifondamentali dei lavoratori.

Ha rilevato un attento osservatore come Colin Crouch « quasiovunque la diseguaglianza cresce, il welfare state viene ridimensio-nato, i sindacati perdono autorevolezza, i diritti dei lavoratori sirestringono » (11).

Sul punto, avremo modo di tornare potendo oggi contare sualcune evidenze empiriche (par. A8). Qui, invece, occorre analiz-zare i modi e gli strumenti attraverso i quali la strategia europea èstata realizzata.

(9) Mazzucato, 2013, pagg. XIII e 7.(10) Giovannelli, 2013, 59-60, osserva acutamente che « il dilagare della parola

governance — di origine aziendalistica — non pare casuale esprimendo, a tutti i livelli, ilpredominio della logica gestionale sulle esigenze della rappresentanza e della legittimità ».

(11) Crouch, 2013, X.

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A1. Il coordinamento delle politiche economiche nel diritto del-l’Unione.

Il quadro iniziale di riferimento è essenzialmente rappresen-tato dal Patto di stabilità e crescita (PSC) e, quindi, dalle sue basigiuridiche costituite dagli artt. 121 e 126 del TFUE e dal Proto-collo n. 12 allegato al Trattato, che fissa nel 3% il rapportodisavanzo pubblico/PIL e nel 60% il rapporto tra debito pubblico/PIL (12).

Certo, è vero che sulle politiche economiche il Trattato diLisbona (in vigore dall’1 dicembre 2009) si è limitato a una sem-plice sistematizzazione della corrispondente disciplina del Trattatoistitutivo della Comunità Europea (13); tuttavia, non vi è dubbioche i meccanismi di coordinamento e sorveglianza in essa stabilitiassumono ben diversa incisività con l’introduzione della monetaunica.

Basti pensare alla riproposizione, nell’art. 119 TFUE, degliobiettivi (già definiti dall’art. 4 TCE) dell’adozione di una politicaeconomica e monetaria comune « condotta conformemente al princi-pio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza » chedevono essere definiti sulla base dei criteri direttivi costituiti da« prezzi stabili, finanze pubbliche sane nonché bilancia dei pagamentisostenibile ». Quando, infatti, le politiche monetarie e dei cambi(seppure strettamente coordinate a livello europeo, ma) a titolaritànazionale e basate, quindi, su monete sovrane emesse dalle banchecentrali nazionali cedono il passo all’Euro e alla BCE, quei criteridirettivi (e la politica monetaria centralizzata nella BCE che lidefinisce: art. 3.1, lett. c, TFUE) diventano una rete capace diingabbiare la politica economica nazionale costituendo altrettante(pre)condizioni per l’azione degli Stati membri (14).

(12) I valori/tetto, rispetto al PIL, del 3% del disavanzo e del 60% del debito, eranogià stati fissati dal Trattato di Amsterdam.

(13) Il riferimento è agli artt. 99 e 104 TCE. Una diversa valutazione va fatta inveceper i contenuti sociali con particolare riferimento ad alcune significative innovazioni deiTrattati UE e FUE in tema di valori e di obiettivi dell’Unione: cfr., per tutti, Aimo, Caruso,2010, 5 ss.; Loi, 2012, 1235 ss. Per un esame delle innovazioni del Trattato di Lisbona e delvalore giuridico attribuito alla CDFUE, alla luce della giurisprudenza De Michele, 2011, 53ss.

(14) Cfr., Bilancia P., 2014, 5-6; Ciolli, 2012a. Sono note le svalutazioni della liradefinite “competitive” perché poste in essere per ridare fiato alle esportazioni e all’economia

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L’innalzamento del livello di incidenza dell’azione economicadell’UE a trazione euro trova espressa formulazione nell’art. 136TFUE, introdotto ex novo dal Trattato di Lisbona, che prevedel’adozione da parte del Consiglio, secondo la procedura pertinentedi cui agli artt. 121 e 126, di misure riferite agli Stati membridell’eurozona dirette a (i) rafforzare il coordinamento e la sorve-glianza della disciplina di bilancio e (ii) elaborare gli orientamentidi politica economica, (iii) vigilare affinché siano compatibili conquelli adottati per l’insieme dell’Ue e sorvegliarne la correttaattuazione. A cui si aggiunge, grazie al nuovo comma dell’art. 136TFUE (introdotto con procedura semplificata dal Consiglio euro-peo del 25 marzo 2011), la possibilità di istituire un meccanismo distabilità la cui assistenza « sarà soggetta a rigorosa condizionalità ».

Certo, è emblematico che l’euro non sia analogamente occa-sione per il rafforzamento del coordinamento delle politiche occu-pazionali di cui agli artt. 145 ss. TFUE né per l’innalzamento deglistandard delle politiche sociali di cui agli artt. 151 ss. TFUE (15).

Ma questo, al di là della direzione di marcia impressa dalmodello economico dominante che segnerà le politiche europee dirisposta alla crisi (v. infra), non desta eccessiva meraviglia postoche la strategia coordinata a favore dell’occupazione degli artt. 145e 148 TFUE non è espressione di un’autonoma linea di svolgimentoma, all’atto di incardinarsi negli orientamenti annuali del Consi-glio, deve essere espressamente declinata in termini coerenti con gliindirizzi di politica economica adottati ai sensi dell’art. 121 TFUE.

E conclusioni non dissimili valgono per le politiche socialiposto che il rafforzamento dell’integrazione dei sistemi economici emonetari degli Stati membri e di quelli dell’eurozona in partico-lare, finisce per spingere (per evidenti motivazioni ideologiche),piuttosto che nella direzione di innalzare gli standard comuni neidiversi e importanti settori di (possibile) intervento dell’UE elen-

reale, seppur pagando il prezzo dell’innalzamento dei costi delle importazioni (specieenergetiche). Ovviamente, non pretendiamo qui di analizzare e dare giudizi su questimeccanismi di “governo” delle economie nazionali anche se è diffusa l’idea che l’abbandonodel potere di stampare la propria moneta (melius, oramai di “crearla” con un clic) perpassare all’euro, ha comportato per uno Stato come l’Italia, dimostratosi incapace diallinearsi alla produttività dei paesi competitivi, il pagamento di prezzi altissimi in terminidi “svalutazione” del sistema produttivo e, ancor più del lavoro: cfr. Stiglitz, 2014, 189 ss.

(15) Una recente ricognizione in Aimo, 2012, 219 ss.

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cati nell’art. 153 TFUE, in favore del livellamento frutto dell’ope-rare del mercato unico a moneta unica (16).

Nonostante il rafforzamento nell’eurozona impresso dal nuovoart. 136 TFUE, le basi giuridiche del PSC sono rimaste formaleespressione nei Trattati di un’attività di semplice coordinamentodella politica economica che “gli stati membri attuano” allo scopodi contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definitidall’art. 3 TUE e nel contesto degli “indirizzi di massima” dell’art.121.2 (art. 120.1) (17). Ma, con l’incalzare della crisi, l’insufficienzadi questo assetto formale di soft law ha portato al progressivorafforzamento della governance economica europea (18), espresso inindirizzi e prescrizioni connotati da una decisa (anche se nonsempre evidente) vincolatività.

In ogni caso, al di là del grado di incisività e di vincolativitàimpressa agli atti europei di “coordinamento”, la politica econo-mica dell’Unione deve comunque puntare agli obiettivi stabilitidall’art. 3 TUE (19) e, quindi, a un mercato interno capace dipromuovere uno “sviluppo sostenibile dell’Europa” basato su duepilastri: il primo, costituito dalla crescita economica equilibrataassociata alla stabilità dei prezzi; il secondo rappresentato dalla“economia sociale di mercato” orientata alla piena occupazione e alprogresso sociale. Ed è scontato rilevare come, su questa pluralitàvaloriale, si innesta, con il Trattato di Lisbona, il poderoso raffor-zamento del fondamento sociale dell’economia di mercato rappre-

(16) Di questo effetto livellamento, del resto, avremo conferma in alcuni passaggiformali della regolazione di II livello contenuta nei cc.dd. six-pack e two-pack.

(17) Si tratta del noto sistema c.d. asimmetrico in base al quale la politica monetariaè rimessa alla competenza dell’Unione e quella economica e sociale agli Stati membri con unruolo di semplice coordinamento dellUEM. La ragione di questa distinzione nasce dall’ideache la politica monetaria e la stabilità dei prezzi è questione tecnica da affidare a unorganismo indipendente. Diversamente, le politiche di bilancio ed economiche, compor-tando scelte che hanno effetti di natura redistributiva, devono essere fondate su di unasolida legittimazione democratica: cfr., per tutti, Tuori, 2012, 43 ss.

(18) Il rilievo è diffuso: v. per tutti, Donati, 2013, 8 ss.; Giubboni, 2015, 9.(19) Cfr. Villani 2012, 43 ss. Più critico sull’impostazione dell’art. 3 TFUE Carabelli,

2011a, 47 ss. perché, pur mettendo sullo stesso piano libertà economiche e diritti sociali,genera delle profonde differenze perché mentre le prime sono oggetto dei quattro principifondamentali di libertà dei trattati, i secondi sono contenuti in norme di mero coordina-mento, di soft law costitutive di vincoli meramente programmatici.

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sentato dai diritti, dai principi e dalle libertà proclamati nellaCarta dei diritti fondamentali (20).

Fatto sta che, il rafforzamento della governance economicaeuropea si accompagna al perseguimento di obiettivi e alla deter-minazione di vincoli e condizionalità che vanno in una direzionediversa e via via più lontana da quella volta al perseguimento dellapluralità valoriale dei Trattati (21).

A2. Il rafforzamento della Governance economica europea.

L’aggravarsi della crisi determina l’Unione a rafforzare il Pattodi stabilità e crescita con interventi prioritari sugli squilibri dibilancio e del debito, poi estesi agli squilibri macro-economici eall’instabilità e solvibilità finanziarie (22).

Sotto la spinta della Commissione e con le conclusioni deiConsigli europei del 25-26 marzo 2010 e del 24-25 marzo 2011,

(20) Cfr. Veneziani, 2015; Laborde, 2013, 331 ss.; Barbera, 2012, 6; Pizzoferrato,2010, 524; Rossi, 2009, 77; per ulteriori approfondimenti v. par. B7. In proposito, v. ancheMorrone, 2014, 17, che, rispetto alla storica asimmetria tra il diritto europeo fondato sulmercato e sulla concorrenza e il diritto statale custode della sicurezza dei propri cittadini,vede nell’economia sociale di mercato ancora un “compromesso dilatorio” che “in assenza diuna decisione politica fondamentale” affida (di fatto) la risoluzione dei conflitti tra dirittieconomici e diritti sociali « alle cure tardive e, comunque, insufficienti di una giurisprudenzache si è mostrata assai volubile e contraddittoria » (il riferimento è alle sentenze della CGEViking e Laval). A me sembra, invece, che, come vedremo, attraverso tutti i provvedimentidi regolazione e, quindi, di attuazione della nuova governance economica e i Trattatiinternazionali sottoscritti a sostegno, le decisioni politiche fondamentali ci siano state esiano andate nella direzione di quell’arretramento del modello sociale europeo, ripetuta-mente denunciato dalla dottrina: cfr. Sciarra 2013a; Giubboni, 2012.

(21) In proposito (e pur anticipando quanto meglio si vedrà più avanti) è significa-tiva l’osservazione di Bilancia P., 2014, 8, che « proprio quando, col Trattato di Lisbona(2009), l’Unione, pur ovviamente continuando a prevedere il ricorso a “cooperazionirafforzate”, sembrava essersi decisamente avviata alla riconduzione dei suoi precedenti“pilastri” in un quadro armonico e unitario, è ricomparsa prepotentemente sulla scena lascelta di affidarsi circuiti di integrazione “esterni” al sistema dei Trattati, a “sotto-sistemi”ibridi che in parte mutuano, e in parte escludono, le istituzioni dell’Unione europea. ».

(22) In proposito, sul ruolo dello Stato e sui rapporti con le istituzioni europee nelladinamica dei processi di formazione delle decisioni economiche prima della crisi e dell’in-troduzione della nuova governance economica europea, è interessante rileggere le analisicontenute nella ricerca di Gabriele, Cabibbu, 2008, e ivi, in particolare, i saggi di Nico, Buccie Teutonico, dai quali emerge già la presenza di evidenti criticità circa la democraticità delsistema di governo dell’economia multilevel.

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prende avvio la costruzione di un mosaico normativo composto dadiversi sotto-sistemi, con reciproche interazioni, che nel complessodanno l’idea di una “fuga dal quadro istituzionale dell’U.E.” (23),non solo perché alcuni (importanti) tasselli sono frutto di Trattatiad hoc (24), ma anche perché, pure se incorporati in atti eurounitari(come i regolamenti), risultano piuttosto lontani, quando nontotalmente slegati, dal bilanciato perseguimento degli obiettivieconomici e sociali riassunti nella formula dell’economia sociale dimercato dell’art. 3 TUE.

Circa questi ultimi, il riferimento è anzitutto al c.d. six-packche si compone, per l’appunto, di sei provvedimenti adottati nel2011 (25), ulteriormente rafforzati e integrati, nel 2013, con iltwo-pack (26).

A3. Obiettivi e vincoli di stabilità finanziaria: bilancio a mediotermine e riduzione del rapporto debito pubblico/PIL.

Il six-pack, come anticipato, introduce anzitutto una profondamodificazione dei regolamenti 1496 e 1497 del 1997 (27) di attua-zione della governance economica comunitaria nell’ambito delleprerogative individuate dagli artt. 121 e 126 e, per la zona euro,dall’art. 136 TFUE.

Al centro di questa importante disciplina regolamentare vi

(23) L’espressione, riferita proprio ai meccanismi istituzionali che hanno portatoall’attuale governance dell’economia europea, è di Bilancia P., 2014, 8.

(24) Il riferimento è al Trattato sul c.d. Fiscal compact del 2 marzo 2012 e a quelloistitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (MES) del 2 febbraio 2012, ai quali vaaggiunto il Patto euro plus del 24-25 marzo 2011 (v. parr. A6 e A7).

(25) Regolamenti UE n. 1173/2011, n. 1174/2011, n. 1175/2011, n. 1176/2011, tuttidel 16 novembre 2011; il regolamento UE n. 1177/2011 dell’8 novembre 2011 e, infine ladirettiva 2011/85/UE dell’8 novembre 2011.

(26) Regolamento UE n. 472/2013 del 21 maggio 2013 (sul rafforzamento dellasorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri della zona euro che si trovano orischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria) e ilregolamento UE n. 473/2013 del 21 maggio 2013 (disposizioni comuni per il monitoraggio ela valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzieccessivi negli Stati membri della zona euro).

(27) Va detto che i due regolamenti del 1997 erano già stati emendati nel 2005, pocoprima dell’inizio della grande crisi, con due regolamenti che avevano già operato un primorafforzamento della governance.

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sono anzitutto i programmi statali di stabilità (per i paesi dellazona euro) e di convergenza (per tutti gli altri), soggetti al pareredel Consiglio, che individuano e perseguono precisi obiettivi dibilancio a medio termine insieme al percorso di avvicinamento alvalore di riferimento del rapporto debito pubblico/PIL.

Nel quadro del nuovo ciclo di coordinamento del Semestreeuropeo (v. par. successivo) (28), l’innovazione più significativaapportata da questi provvedimenti è certamente costituita dalrafforzamento del coordinamento delle politiche di bilancio edeconomiche degli Stati membri e, in particolare, di quelli dell’eu-rozona. Il sistema di sorveglianza multilaterale messo a punto neidue regolamenti opera sia sul versante dell’azione preventiva (29)di rispetto del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) che su quellodell’azione correttiva e dei relativi apparati sanzionatori (30) alfine di prevenire che lo sforamento di bilancio determini disavanzieccessivi (e, quindi, di fare crescere il debito pubblico) « sostenendoin tal modo il conseguimento degli obiettivi dell’Unione in materiadi crescita ed occupazione » (31).

Ebbene, in questo quadro tutto proiettato su contenimento econtrollo di disavanzo e debito, il ruolo delle politiche occupazio-nali e sociali, quando non del tutto assente, è marginale e, ciò chepiù conta, formalmente chiamato a una funzione ancillare (32).Certo, non mancano nei consideranda, qui e là, declamazioni enfa-

(28) Il Semestre europeo, dopo l’approvazione del Consiglio europeo nel 2010, è statoanaliticamente disciplinato dall’art. 2 bis del regolamento n. 1175/2011.

(29) V. Il reg. CE 1466/97, ampiamente riscritto dal reg. UE 1175/11 e sostenuto,sotto il profilo sanzionatorio, dal reg. UE 1173/11 e della clausola di “reverse voting” checonsente di modificare o bloccare le proposte della Commissione ma solo a maggioranzaqualificata: su questa clausola Donati, 2013, 10.

(30) Il reg. CE 1467/1997 viene profondamente riscritto dal reg. UE n. 1177/2011 e,per quello che concerne le sanzioni, dal reg. UE 1173/2011 (v. nota precedente).

(31) Art. 1 (obiettivo e definizioni) del reg. CE 1466/1997, come sostituito dal reg. UEn. 1175/2011. V. anche il considerando n. 3 dei reg.ti nn. 1175/2011 e 1177/2011 per i quali« Il PSC si fonda sull’obiettivo di finanze pubbliche sane come mezzo idoneo a rafforzare lecondizioni per la stabilità dei prezzi e per una crescita forte e sostenibile supportata dallastabilità finanziaria, e, conseguentemente, a sostenere il conseguimento delle finalità del-l’Unione in tema di crescita sostenibile e di occupazione ».

(32) Secondo un modello già inaugurato dalla flexicurity del Libro Verde dellaCommissione delle Comunità europee del 22 novembre 2006, COM (2006) 708 def.: cfr.Carinci M.T., 2012, 535 ss. Sul ruolo marginale nella governance economica europea deidiritti sociali v. altresì Veneziani, 2015. Ulteriori riferimenti nei parr. B5 e B6.

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tiche sulla crescita e sull’incremento dell’occupazione o sul ruolodelle parti sociali (v. infra), ma ben altro valore hanno le disposi-zioni dei regolamenti 1175 e 1177 dalla precisa portata prescrittiva.

Qui, oltre a una serie significativa di previsioni di con-torno (33), sono la precisa definizione e la chiara condizionalitàdegli obiettivi di bilancio rispetto a tutti gli altri (a cominciare dalquelli occupazionali e sociali, quando richiamati: v. infra) a dare ilsegno dell’ordine delle priorità perseguite. Infatti, seppure nelquadro delle specificità dettate dalle condizioni nazionali di bilan-cio, ognuno dei paesi della eurozona deve individuare il proprioobiettivo di bilancio a medio termine entro un « intervallo com-preso tra –1% del PIL e il pareggio o l’attivo » (34) mentre gli altripaesi « possono divergere dal requisito del saldo prossimo al pareg-gio o all’attivo offrendo al tempo stesso un margine di sicurezzarispetto al rapporto tra disavanzo pubblico e PIL del 3% » (35).Non solo. Nel perseguire il proprio obiettivo di bilancio, lo Statomembro per il quale il rapporto debito/PIL supera il valore diriferimento UE (60%), deve intervenire riducendo il differenziale(“in misura sufficiente” e, quindi, tale da avere una diminuzione intre anni) al ritmo medio di un ventesimo all’anno (36).

Prescrizioni stringenti accompagnate da ulteriori disposizioni

(33) Si è già ricordato, ad es., l’art. 1 che (nella nuova formula introdotta nel 2011,rispetto a quella già emendata nel 2005) sottolinea come l’obiettivo della sorveglianzamultilaterale del Consiglio e della Commissione di prevenire tempestivamente i disavanzipubblici eccessivi è il modo per sostenere il conseguimento degli obiettivi dell’Unione inmateria di crescita ed occupazione; e, ancora, all’art. 2 bis, par. 2, lettera b), che, nell’indi-viduare le attività oggetto del Semestre europeo, ricorda come la formulazione (prima) e laverifica dell’attuazione (dopo) degli orientamenti in materia di occupazione devono essereconformi a quanto stabilito dall’art. 148, par. 2, TFUE e, quindi, coerenti con gli indirizzidi politica economica ex art. 121 TFUE.

(34) Il riferimento è al miglioramento annuo del saldo di bilancio (seppure correttoper il ciclo e al netto di misure temporanee e una tantum) necessario per conseguirel’obiettivo di medio termine che deve avere come parametro lo 0,5% del PIL o, addirittura,un valore superiore per gli Stati membri (come l’Italia) con un indebitamento superiore al60% del PIL (art. 5 reg. CE 1466/97 come sostituto dal reg. UE 1175/2011).

(35) Art. 2 bis reg. CE 1466/97, introdotto dal reg. UE 1055/2005.(36) Art. 2, par. 1 bis, reg. CE 1467/1997, introdotto dal reg. UE 1177/2011, e ivi per

talune situazioni e/o condizioni (tra le quali vi è anche una situazione di grave recessioneeconomica) che consentono di ritenere comunque soddisfatta la riduzione necessaria deldifferenziale tra il valore in atto del rapporto debito pubblico/PLI e il valore di riferimento(60%) anche senza il raggiungimento della quota media del ventesimo annuo nel triennio.

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che, per un verso, mettono dentro precisi binari il percorso diavvicinamento a tali obiettivi, specie con riferimento ai parametridi contenimento della spesa pubblica (37), e per altro verso, pre-vengono i disavanzi eccessivi (38) sollecitandone la correzione conil sostegno di meccanismi sanzionatori (39).

Interventi e prescrizioni forti, quindi, che salgono ancora d’in-tensità e d’incisività con il two-pack e, in primo luogo, con il reg.UE n. 472/2013 del 21 maggio 2013 che riguarda i paesi con l’euroche, a giudizio della Commissione, sono o rischiano di trovarsi insituazioni di insostenibilità delle loro finanze pubbliche (40). Ilregolamento sottopone questi paesi a una pressante sorve-glianza (41) che prelude, anche con il supporto della Troika,all’adozione di misure correttive o all’adozione di un programma diaggiustamento macroeconomico (42).

(37) Nell’ambito della sorveglianza multilaterale, Consiglio e Commissione verificanol’applicazione dei programmi di stabilità (art. 6 reg. CE 1466/97 come sostituto dal reg. UE11° MESF75/2011) intervenendo, in caso di scostamenti, con avvertimenti e raccomanda-zioni sugli interventi da adottare entro termini prestabiliti (ex art. 121, par. 4, TFUE). Inparticolare, il progresso verso l’obiettivo medio di bilancio viene valutato analizzando lacrescita annua della spesa pubblica in rapporto al tasso di riferimento (a medio termine) delpotenziale di crescita del PIL: la spesa pubblica annua, infatti, non deve crescere più deltasso di riferimento a medio termine del PIL potenziale e, anzi, deve addirittura essereinferiore a quest’ultimo per gli Stati membri che non hanno ancora conseguito l’obiettivo dibilancio a medio termine.

(38) Il reg. CE 1467/1997 come modificato con il reg. UE 1177/2011.(39) V. in proposito, l’art. 126 TFUE, il reg. UE 1177/2011 e il reg. UE 1173/2011. Il

sistema sanzionatorio è stato ulteriormente rafforzato dal reg. UE n. 473/2013 del 21 maggio2013 (two-pack) che ha imposto allo Stato membro in disavanzo eccessivo l’adozione di unprogramma di partenariato economico (v. testo).

(40) Ma anche per i paesi che « richiedono o ricevono assistenza finanziaria da uno opiù altri Stati membri o paesi terzi, dal Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria(MESF), dal Meccanismo europeo di stabilità (MES), dal fondo europeo di stabilità finan-ziaria (FESF) o da altre istituzioni finanziarie internazionali pertinenti quali il Fondomonetario internazionale (FMI) ».

(41) Durante la sorveglianza rafforzata lo Stato membro (« previa consultazione e incollaborazione con la Commissione e d’intesa con la BCE, le AEV, il CERS ed eventual-mente l’FMI) adotta le misure atte a eliminare le cause di difficoltà tenendo conto di tuttele raccomandazioni ricevute nell’ambito del PSC (art. 3.1) ed è sottoposto a continuomonitoraggio (art. 3, co. 2-6). È qui riproposto quel modello circolare di rinvio e reciprocosostegno tra i diversi provvedimenti adottati nell’ambito del PSC che caratterizza la nuovagovernance economica europea rafforzandone progressivamente la vincolatività (v. oltre).

(42) È il Consiglio che, su proposta della Commissione, raccomanda allo Statomembro l’adozione di misure correttive o un programma di aggiustamento macroeconomico

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In questi articolati contesti molto significative — specie nel-l’ambito della nostra analisi — risultano quelle disposizioni chesegnano il rapporto tra gli obiettivi di bilancio e le riforme strut-turali.

In proposito, ai fini della valutazione del percorso di avvicina-mento all’obiettivo di bilancio di medio termine, il Consiglio e laCommissione possono tenere conto « soltanto di importanti riformestrutturali idonee a generare benefici finanziari diretti a lungotermine... e che pertanto abbiano un impatto quantificabile sullasostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche » (43). Sitratta della c.d. “clausola di riforme strutturali” che consente alloStato membro una deviazione temporanea dagli obiettivi di bilan-cio, seppure entro precise condizioni quantitative (44), così daavere le risorse a breve termine per attuare le riforme medesimecon effetti finanziari a lungo termine, compreso il potenziale dicrescita sostenibile.

E, in effetti, proprio la coerenza dei bilanci nazionali con gliindirizzi di politica economica emanati nel contesto del PSC e delSemestre europeo viene perseguito con le significative disposizioniintrodotte nel secondo regolamento del two-pack (n. 473/2013 del21 maggio 2013). Qui, infatti, la sorveglianza e il coordinamentodegli interventi del braccio preventivo e di quello correttivo delPatto di stabilità vengono ulteriormente rafforzati grazie a uncalendario di bilancio comune (45) nel quale l’esame preventivo dei

(art. 3.7). Quest’ultimo programma, in particolare, tiene conto di tutte le raccomandazionirivolte allo Stato membro nell’ambito del PSC, ne rafforza le misure ed è in ogni casosoggetto all’approvazione del Consiglio, su proposta della Commissione (art. 7).

(43) La clausola in questione è prevista nell’art. 5 e nell’art. 9 reg. UE 1175/2011. I“margini di sicurezza”, rispetto al percorso verso l’obiettivo di bilancio di medio termine,sono stati di recente precisati nella comunicazione della Commissione (COM/2015/012/def)per il miglior uso della flessibilità nel rispetto delle regole del Patto di stabilità. Margini piùstringenti (con termini, però, più lunghi di deviazione dagli obiettivi) sono oggi previsti perl’operatività della clausola nella fase correttiva del patto.

(44) La deviazione temporanea è ammessa a condizione che non superi lo 0,5% delPIL e non comporti un superamento del disavanzo del 3% del PIL.

(45) Entro il 30 aprile di ogni anno, nel corso del Semestre europeo, gli Stati membridevono presentare i loro programmi di bilancio nazionali a medio termine insieme aiprogrammi nazionali di riforma e ai programmi di stabilità e che « devono essere coerenti conil quadro di coordinamento delle politiche economiche nel contesto del ciclo annuale disorveglianza, che include, in particolare, le indicazioni generali fornite agli Stati membridalla Commissione e dal Consiglio europeo all’inizio del citato ciclo... con le raccomandazioni

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documenti di bilancio include (al pari del successivo monitoraggioper l’attuazione) specifiche e coerenti informazioni e raccordi (an-che) con le riforme che, adottate nell’ambito del PSC, abbiano lecaratteristiche definite dalla “clausola di riforme strutturali”.

E analogamente, nel caso in cui emerga un disavanzo eccessivodi bilancio, sono ancore le riforme (con le suddette caratteristiche)al centro del Programma di partenariato economico che il paeseinteressato deve presentare alla Commissione e al Consiglio e chedeve contenere gli « interventi e riforme strutturali necessari pergarantire una correzione effettiva e duratura del disavanzo ecces-sivo » e deve altresì sviluppare « il programma nazionale di riformanonché il programma di stabilità, tenendo pienamente conto delleraccomandazioni del Consiglio relative all’attuazione degli orien-tamenti integrati per le politiche economiche e occupazionali delloStato membro interessato » (art. 9. 1) (46).

E sono sempre le riforme capaci di sostenere, nei paesi in gravedifficoltà, i percorsi di rientro entro margini di stabilità finanziaria

formulate nel contesto del PSC e, se del caso, con le raccomandazioni formulate nel contestodel ciclo annuale di sorveglianza, compresa la procedura relativa agli squilibri macroeco-nomici istituita dal reg. UE n. 1176/2011 e con i pareri sul programma di partenariatoeconomico di cui al successivo articolo 9 » (art. 4.1). Entro il 15 ottobre di ogni anno, invece,gli Stati membri presentano, il loro progetto di bilancio per l’anno successivo che deve esserecoerente con le raccomandazioni formulate al paese nel contesto del PSC e deve contenere(tra l’altro) anche indicazioni sulle modalità di raccordo tra le riforme previste e « leraccomandazioni in vigore rivolte allo Stato membro interessato conformemente agli articoli121 e 148 TFUE ». (art. 6). Fatto importante è che il progetto di bilancio viene valutatodalla Commissione che emette un parere entro il 30 novembre con il quale (nel caso diinosservanza particolarmente grave degli obblighi di politica finanziaria definiti nel PSC)può chiedere allo Stato di rivedere il progetto presentato. Pur non essendo direttamentevincolante, il parere della Commissione finisce per imporsi al paese che lo riceve perché, ovenon sia tenuto in debito conto, provoca una serie di effetti negativi nell’adozione di altremisure e provvedimenti della Commissione e del Consiglio destinati ripercuotersi negativa-mente sul paese in questione (art. 12, reg. UE n. 473/2013).

(46) Il riferimento nell’art. 9.1 reg. UE n. 473/2013 a tali orientamenti va segnalatoperché gli “Orientamenti integrati per l’Europa 2020”, relativi al periodo 2010-2014 — cheesamineremo più avanti par. B5) — contengono le caratteristiche funzionali e i contenutifondamentali della “riforma strutturale” del mercato del lavoro coerente con gli orienta-menti di politica economica. Qui basta solo indicare che essi sono costituiti dalla Racco-mandazione 2010/410/UE del 13 luglio 2010 sugli orientamenti per le politiche economichedegli Stati membri e dalla Decisione 2010/707/UE del 21 ottobre 2010 sugli orientamenti perle politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione; provvedimenti ulteriormenterafforzati per la eurozona dalla Raccomandazione 213/c 217/24, del 9 luglio 2013.

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o di sostenibilità delle loro finanze pubbliche, a imporsi nei con-fronti dei paesi medesimi nell’ambito delle misure “raccomandate”dal Consiglio ovvero entro il programma di aggiustamento macroe-conomico sempre approvato dal Consiglio (ex reg. UE n. 472/2013).

In proposito, va peraltro sottolineato che, tolto il riferimento(indiretto) frutto del richiamo agli orientamenti integrati (art. 9.1,cit.), tra le materie di interesse lavoristico oggetto di riformestrutturali, l’unica a ricevere espressa attenzione nei regolamentisul Patto di stabilità del 2011 (nn. 1175 e 1177) è la riforma dellepensioni che introduca « un sistema multipilastro comprendente unpilastro obbligatorio, finanziato a capitalizzazione. » (47). Solo unariforma di tal fatta, assistita da un quadro di sostenibilità di lungoperiodo, consente allo Stato membro di deviare dall’obiettivo dibilancio a medio termine (entro i limiti del costo netto dellariforma), ferma la condizione che « tale deviazione resti tempora-nea e che sia mantenuto un opportuno margine di sicurezza ri-spetto al valore di riferimento del disavanzo » (48).

Insomma, l’unico riferimento diretto nel Patto di stabilità (enei regolamenti del six-pack e del two-pack che l’hanno rafforzato)a un’area di spesa pubblica direttamente riguardante gli standarddi tutela dei lavoratori, in pensione, è costruito confermando,seppure all’esito di un possibile deterioramento (precisamentequantificato) dei conti pubblici, la priorità finale degli obiettivi dibilancio.

(47) Art. 5 (per i programmi di stabilità) e art. 9 (per i programmi di convergenza)reg. CE 1466/1997, come sostituiti dal reg. UE n. 1175/2011. Il senso di queste (identiche)disposizioni è ulteriormente precisato nel considerando n. 23 del reg. 1175 ove si afferma che« È opportuno prestare un’attenzione particolare, in questo contesto, alle riforme sistemichedelle pensioni...., per cui la deviazione dovrebbe rispecchiare il costo aggiuntivo diretto deltrasferimento dei contributi dal pilastro a gestione pubblica a quello finanziato mediante unsistema a capitalizzazione. Le misure volte a ritrasferire le attività dal pilastro finanziatomediante un sistema a capitalizzazione a quello a gestione pubblica dovrebbero essereconsiderate temporanee e una tantum ed essere quindi escluse dal saldo strutturale cui si fariferimento per valutare i progressi verso l’obiettivo di bilancio a medio termine ».

(48) Analogamente, nelle fasi preventiva e correttiva della procedura per disavanzoeccessivo, il Consiglio e la Commissione possono prendere in considerazione nelle proprievalutazioni la riforma strutturale delle pensioni solo a condizione, però, che essa « pro-muov(a) la sostenibilità a lungo termine senza d’altra parte aumentare i rischi per laposizione di bilancio a medio termine » e « fintanto che il disavanzo non supera in modosignificativo un livello che può essere considerato prossimo al valore di riferimento, e ilrapporto debito/ PIL non supera il valore di riferimento »: art. 2, parr. 5 e 7, reg. UE1177/2011.

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Pochi riferimenti, in questi regolamenti, vengono dedicati aidiritti fondamentali dei lavoratori e dei pensionati. Il legislatoreeuropeo se ne ricorda solo nel two-pack del 2013, forse a causa dellaconsapevolezza che le riforme strutturali sulle quali si sta pun-tando per rimettere a posto bilanci e finanze della zona euro,investono (anche) delicate materie “sociali”.

Così, nelle disposizioni generali del reg. Ue n. 473/2013 vi sonodue clausole di salvaguardia con le quali si stabilisce che il regola-mento « non pregiudica l’art. 9 TFUE » né lede i diritti delle partisociali (ex artt. 152 TFUE e 28 CDFUE) (49).

La stessa clausola di salvaguardia del ruolo delle parti sociali sitrova nel reg. UE n. 472/2013 (artt. 7.1 e 8) dove si proclama altresìsolennemente che « gli sforzi di consolidamento del bilancio indi-cati nel programma di aggiustamento macroeconomico tengono inconto l’esigenza di assicurare mezzi sufficienti a politiche fonda-mentali come l’istruzione e l’assistenza sanitaria » (art. 7.7).

Tuttavia, quest’ultima proclamazione e la prima del reg. n.473/2011 risultano essere delle mere petizioni di principio posto chenon hanno successivi espliciti riscontri nella disciplina dei vincoliposti dai regolamenti né, ancor più, nelle relative condizionalità. Alcontrario, un impatto giuridicamente significativo può avere lasalvaguardia, nei due regolamenti, del ruolo delle parti sociali che,in presenza delle condizioni stabilite dalla norma, diventa un verovincolo seppure di natura (solo) procedimentale (v. B9).

A4. Obiettivi e vincoli di stabilità economica: individuazione, preven-zione e correzione degli squilibri macroeconomici.

Una diretta attenzione alle politiche e agli obiettivi economicipone il regolamento UE n. 1176/2011, adottato sulla base dell’art.121.6 TFUE e del principio di sussidiarietà dell’art. 5 TUE, e

(49) Più precisamente, l’art. 1.2 stabilisce che « L’applicazione del presente regola-mento deve conformarsi pienamente all’articolo 152 TFUE e le raccomandazioni adottatea norma del presente regolamento devono rispettare la prassi e i sistemi nazionali vigenti inmateria di determinazione delle retribuzioni. Conformemente all’articolo 28 della Carta deidiritti fondamentali dell’Unione europea, il presente regolamento non pregiudica il diritto dinegoziare, concludere o applicare accordi collettivi ovvero di intraprendere azioni collettivein conformità del diritto e della prassi nazionali. ».

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completato dal sistema sanzionatorio di cui al regolamento UE1174/2011, espressamente dedicato ai paesi della zona euro.

La necessità di prevenire e correggere squilibri macroecono-mici che « hanno, o potrebbero avere, effetti negativi sul correttofunzionamento dell’economia di uno Stato membro, dell’Unioneeconomica e monetaria o dell’intera Unione » o addirittura, quando“eccessivi”, « mettere a rischio il corretto funzionamento del-l’Unione economica e monetaria » (art. 2 reg. 1176/2011), si fondasu una constatazione ripetutamente espressa nei regolamenti in-trodotti nel 2011 e nel 2013.

La sorveglianza rafforzata di bilancio, pur essenziale, non èsufficiente ad assicurare l’obiettivo del coordinamento delle politi-che economiche degli Stati membri (previsto dall’art. 121TFUE) (50).

Occorrono (ulteriori) strumenti giuridici che consentano diestendere la sorveglianza multilaterale dai bilanci a un set diindicatori economici, finanziari e strutturali per individuare eprevenire squilibri macroeconomici così da intervenire per correg-gerli, raccomandando allo Stato membro interessato una rispostapolitica “adeguata” che dovrebbe riguardare « i principali settoridella politica economica, tra i quali figurano potenzialmente lepolitiche di bilancio e dei salari, i mercati del lavoro, i mercati deiprodotti e dei servizi e la regolamentazione del settore finanzia-rio » (51).

A tutto questo provvede ex novo il reg. 1176/2011, basatosull’art. 126.6 e sul principio di sussidiarietà dell’art. 5 TUE (52),

(50) Cfr. i consideranda n. 7 reg. 1176/2011 e n. 6 reg. 1174/2011 a mente dei quali « lasorveglianza delle politiche economiche degli Stati membri dovrebbe essere estesa al di làdella sorveglianza di bilancio per includere un quadro più dettagliato e formale, al fine diprevenire squilibri macroeconomici eccessivi e di aiutare gli Stati membri interessati adistituire piani correttivi prima che le divergenze si consolidino. Tale estensione dellasorveglianza delle politiche economiche dovrebbe svolgersi in parallelo con il rafforzamentodella sorveglianza di bilancio... ».

(51) Così, reg. UE 1176/2011, considerando n. 20.(52) V. considerando n. 27 reg. 1176/2011, ove si osserva che poiché l’obiettivo del

regolamento (vale a dire « l’istituzione di un quadro efficace per l’individuazione deglisquilibri macroeconomici e la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomicieccessivi » ovvero « l’effettiva esecuzione della correzione degli squilibri macroeconomicieccessivi nella zona euro... »), « non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Statimembri... e dunque può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima puòintervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione

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che assegna alla Commissione il compito di redigere una relazioneannuale di valutazione economica e finanziaria nella quale, con unvero e proprio “meccanismo di allerta”, sono segnalati gli Statimembri che possono presentare squilibri.

L’allerta (53) è frutto di un quadro di valutazione, basato suun numero ristretto di indicatori (pertinenti pratici, semplici,misurabili e disponibili), che consente di individuare squilibriesterni e interni (54) — tra i quali ultimi figura anche l’evoluzionedella disoccupazione — e che deve essere applicato dalla Commis-sione dando « attenzione specifica all’economia reale » (55).

L’attivazione del meccanismo di allerta determina l’esameapprofondito della situazione economica dello Stato membro arischio squilibrio che la Commissione compie analizzando la speci-fica situazione del paese. Si tratta di un esame fondato su di unaserie di dati quantitativi macroeconomici e sul (correlato) pro-gramma nazionale di riforma, tenendo conto delle raccomanda-zioni e degli inviti rivolti nei suoi confronti dal Consiglio (emanatianche ai sensi degli artt. 121, 126 e 148 TFUE) e, ancora, “oveopportuno”, del programma di stabilità e di convergenza (art. 5.2).

La sottolineatura di questi riferimenti mette in rilievo che,quantomeno in questa fase di analisi preventiva, l’allargamentodella sorveglianza rafforzata alla prevenzione degli squilibri ma-croeconomici sembra faccia uscire il Patto di stabilità dalle secchedell’analisi ragionieristica dei bilanci e della compatibilità finan-

europea ». Negli stessi termini il considerando n. 20 del reg. 1174/2011, che ovviamenterichiama il principio di sussidiarietà in relazione all’obiettivo della « effettiva esecuzionedella correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro... ».

(53) La relazione generale della Commissione è sottoposta all’esame del Consiglio(che la valuta globalmente) e dell’Eurogruppo quando si faccia riferimento a paesi dell’eurozona.

(54) Gli indicatori devono consentire di individuare: (a) gli squilibri interni, compresiquelli che possono derivare dall’indebitamento pubblico e privato, dall’evoluzione deimercati finanziari e dei valori mobiliari, compreso il settore immobiliare, dall’evoluzione delflusso dei prestiti nel settore privato e dall’evoluzione della disoccupazione; e (b) gli squilibriesterni, compresi quelli derivanti dall’evoluzione delle posizioni delle partite correnti e degliinvestimenti netti degli Stati membri, dai tassi di cambio effettivi reali, dalle quote dimercato all’esportazione e dai cambiamenti dei prezzi e dei costi, nonché dalla competitivitànon legata ai prezzi, tenendo in conto le diverse componenti della produttività.

(55) Così l’art. 4, par. 4, reg. UE 1176/2011 che include elementi come la crescitaeconomica, la situazione dell’occupazione e della disoccupazione.

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ziarie, per aprirsi alle condizioni dell’economia reale e ai processisociali che ne scaturiscono.

Significativa, in proposito, è la salvaguardia formale del ruolodelle parti sociali (con un rinvio all’art. 152 TFUE) e l’espressorichiamo ai diritti di contrattazione collettiva e alle azioni diautotutela dell’art. 28 CDFUE con la precisazione che « le racco-mandazioni adottate a norma del presente regolamento rispettanole prassi nazioni e gli organi preposti alla determinazione delleretribuzioni » (56). Anche in questo caso (v. par. A3), la clausola disalvaguardia introduce un preciso vincolo procedurale, questavolta riferito alle disposizioni nazionali attuative delle misure dicorrezione e/o contrasto agli squilibri macroeconomici (v. in pro-posito par. B9).

Tuttavia, l’apertura alla considerazione dei processi dell’eco-nomia reale e alla prevenzione e correzione degli squilibri che inessa si manifestano o possono manifestarsi (specie in correlazionecon gli effetti dei vincoli di bilancio) non va enfatizzata oltremisura (57).

Nel braccio preventivo (58), infatti, le misure raccomandatedal Consiglio (su raccomandazione della Commissione) trovanoloro base formale in quello stesso art. 121 TFUE sul quale si basanoi piani di stabilità e di convergenza per la prevenzione di disavanzie debiti (v. par. 2.1) e sono, inoltre, soggette a revisioni e adatta-menti nel contesto del Semestre europeo per garantirne il coordi-namento e la coerenza delle politiche economiche (v. infra).

Nel braccio correttivo, che scatta per i paesi dichiarati insquilibrio eccessivo, i vincoli e i condizionamenti diventano, sepossibile, ancor più intensi, nonostante che il Piano d’azione cor-rettivo richiesto allo Stato interessato (59) debba tenere espressa-mente conto dell’impatto sociale (oltre che economico) delle misureproposte ed essere coerente con gli indirizzi di massima per le

(56) Art. 1.3 reg. n. 1176/2011. Tuttavia le parti sociali e i diritti di contrattazione eautotutela vengono ulteriormente richiamati dall’art. 5.1, co. 2, con riferimento al proce-dimento di esame approfondito, e dall’art. 6.3 in relazione all’adozione delle misurepreventive.

(57) Cfr., Sciarra, 2014, 10, la quale sottolinea che, in ogni caso, le valutazioni operatenel corso del meccanismo di allerta non concernono i diritti sociali.

(58) Art. 6, par. 1, reg. UE 1176/2011.(59) Art. 7 e ss. reg. UE 1176/2011.

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politiche economiche e gli orientamenti in materia di occupazione.In particolare, i forti vincoli a cui soggiace il Piano operano amonte, con la raccomandazione che apre la procedura (contenente« le raccomandazioni strategiche da seguire » e in tempi entro cuifarlo) (60), e a valle con la raccomandazione che lo approva e checontiene « le misure specifiche necessarie e i termini per la loroadozione... (e) un calendario per la sorveglianza » (61), la cuicorretta attuazione viene sostenuta da un’apposita procedura dimonitoraggio e da specifiche sanzioni in caso di “inadempi-mento” (62); raccomandazioni e sanzioni assistite dalla regola delreverse voting che, come detto (v. nt. 28) consente di modificare obloccare le proposte della Commissione ma solo a maggioranzaqualificata.

Quando, poi, gli squilibri economici eccessivi si associano, peril paese preso in considerazione, a un disavanzo eccessivo, il Pianodi azione correttivo deve adeguarsi al (e, se del caso, inglobare il)Programma di partenariato economico previsto per correggere taledisavanzo che, come abbiamo visto, (v. par. precedente) prevedecondizioni particolarmente incisive proprio riguardo alle “riformestrutturali” (63).

È interessante ricordare, allontanandosi per un attimo dallaricognizione normativa, che negli anni 2012/2014 la procedura persquilibri macroeconomici ha visto un progressivo incremento deipaesi che, per effetto del meccanismo di allerta, sono stati sotto-posti all’esame approfondito anche se non si è mai arrivati alladichiarazione di squilibrio eccessivo da parte del Consiglio, nono-

(60) Il piano d’azione correttivo deve essere “basato” sulla raccomandazione delConsiglio, adottata ex art. 121, par. 4, TFUE, che (su raccomandazione della Commissione)« stabilisce l’esistenza di uno squilibrio eccessivo..., precisa la natura e le implicazioni deglisquilibri » e, infine, specifica quanto detto nel testo (art. 7, parr. 2 e 3, reg. 1176).

(61) Art. 8, reg. UE n. 1176/2011.(62) Il reg. UE n. 1174/2001.(63) Il Piano di azione correttivo (e l’intero reg. n. 1176/2011) al pari del programma

di partenariato economico (e buona parte del reg. n. 473/2013) non trovano applicazionequando lo Stato membro si trova sottoposto a una programma di aggiustamento macroe-conomico ai sensi del reg. UE n. 472/2013 (v. par. A3) ovvero a un programma di assistenzafinanziaria (v. par. A7), che fanno scattare meccanismi di governance ancora più stringentinei confronti dello Stato membro coinvolto.

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stante le raccomandazioni in tale senso della Commissione (chenell’anno 2014 ha riguardato anche l’Italia) (64).

A5. La nuova governance economica europea: prime conclusioni sulruolo nel PSC della clausola delle riforme strutturali.

Il complesso delle disposizioni esaminate ci consegna un qua-dro regolativo strutturato in modo tale da determinare una indub-bia finalizzazione delle politiche economiche al progressivo rag-giungimento degli obiettivi di bilancio e di rientro nei parametridel rapporto debito/PIL.

In questo contesto, anche la “clausola di riforme strutturali”risulta strumentale alle politiche di bilancio (deve produrre, diret-tamente o indirettamente, effetti positivi sulla sostenibilità dellefinanze pubbliche) e comunque è da quelle fortemente condizio-nata (posti i limiti alla deviazione a breve termine dagli obiettivi dibilancio che è consentita per realizzare le riforme). E ciò vale ancorpiù in presenza di situazioni di disavanzo eccessivo nelle quali,peraltro — come si è visto (par. A3) — c’è un espresso rinvio agli“Orientamenti integrati per l’Europa 2020” e, quindi, alle carat-teristiche funzionali e i contenuti fondamentali di una “riformastrutturale” del mercato del lavoro coerente con gli indirizzi eco-nomici dell’Unione (65) (cfr. par. B5).

Ovviamente, le conclusioni non cambiano con riferimento alle“riforme strutturali” necessarie a correggere gli squilibri macroe-conomici che investono « i principali settori di politica economica(dello Stato membro interessato) tra i quali figurano potenzial-

(64) Cfr. il quadro di sintesi allegato alla comunicazione della Commissione[COM(2014) 905 del 28 novembre 2014)] sul riesame della governance economica. I paesisottoposti a esame approfondito sono stati 12 del 2012 (tra i quali l’Italia), 14 nel 2013 (trai quali l’Italia) e 17 nel 2014 (tra i quali l’Italia). Va tuttavia sottolineato che tra questi visono anche Stati membri sottoposti a programma di assistenza (4 nel 2012; 5 nel 2013; 4 nel2014), con gli effetti indicati nel testo.

(65) Cfr. Lo Faro, 2014, 230; Giovannelli, 2014, 38-39, il quale sottolinea la crescentepressione UE verso le riforme strutturali « che diventano il centro della strategia tedesca ».Del Punta, 2013, 46, ragionando del rapporto (difficile) tra lavoro ed economia vede nellepressioni delle istituzioni europee e internazionali per le riforme strutturali del mercato dellavoro « il rischio che la subordinazione monistica del diritto all’economia possa manife-starsi ».

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mente le politiche di bilancio e i salari, i mercati del lavoro » (66)con particolare riguardo alla « evoluzione della disoccupa-zione » (67). Anche queste riforme, infatti, sono oggetto di racco-mandazioni della Commissione e del Consiglio (68) fondate (ex art.121, parr. 2 e 4, TFUE) sulle stesse basi giuridiche degli atti diregolazione delle politiche di bilancio e soggiacciono, quindi, aimedesimi vincoli della “clausola delle riforme strutturali” discipli-nata nel braccio preventivo e in quello correttivo del Patto distabilità (con un processo di integrazione e coordinamento ulte-riormente espresso nel Semestre Europeo: v. infra).

Ciò peraltro, è ancora una volta espressamente sottolineato nelreg. UE n. 1176/2011 che, nello svolgimento dell’esame approfon-dito (finalizzato all’adozione della raccomandazione contenente lemisure correttive degli squilibri: art. 6) dispone di prendere inconsiderazione « le raccomandazioni o gli inviti formulati dal Con-siglio agli Stati membri, adottati in conformità agli artt. 121, 126e 148 TFUE... » (art. 5.2).

Per modificare (in parte) il rapporto tra riforme strutturali epolitiche di bilancio bisognerà aspettare il 2015 (con i dati suglieffetti preoccupanti dei provvedimenti di austerity: v. par. A8), e lanuova Commissione guidata da Jean Claude Juncker che, con lacomunicazione COM(2015) 12 del 13 gennaio 2015 (69), torna, anorme invariate, su questi regolamenti in una prospettiva dichia-ratamente più attenta alla crescita e al rafforzamento del legametra investimenti, riforme strutturali e condizioni cicliche. Tutta-via, in questa comunicazione “interpretativa”, intitolata proprio« sfruttare al meglio la flessibilità esistente nelle regole del Patto distabilità e crescita », la Commissione tocca solo in parte le condi-zioni previste dai regolamenti CE n. 1466/97 e n. 1467/97 per

(66) Reg. UE 1176/2011, considerando n. 20(67) Reg. UE 1176/2011, art. 4.3, lett. a.(68) Nel braccio preventivo (art. 6.1) e correttivo (artt. 7.2 e 8. 2/3) disciplinati dal

reg. UE n. 1176/2011.(69) La Comunicazione, diretta al PE, al Consiglio, alla BCE, al CES, al Comitato per

le regioni, alla BEI, è conseguente all’analisi annuale della crescita del 2015 [COM(2014) 902del 28 novembre 2014] e al varo di un nuovo Piano di investimenti [COM (2014) 903 del 26novembre 2014] e tiene certo conto dei dati preoccupanti del Progetto di relazione comunesull’occupazione [COM(2014)906 del 28 novembre 2014].

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l’attivazione della clausola delle riforme strutturali (70) ribadendo,in ogni caso, la centralità dell’effetto che le riforme devono averesulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche (71).

La maggiore flessibilità, infatti, concerne i tempi di realizza-zione delle riforme strutturali (individuate, precisa la Commis-sione, tenendo conto del piano nazionale di riforme) e risultaassociata, in ogni caso, a un quadro dettagliato e credibile diattuazione, monitorato dalla Commissione nell’ambito della pro-cedura per squilibri macroeconomici (72) e degli strumenti disorveglianza in essa previsti.

Inoltre, riforme strutturali, raccomandazioni e misure per pre-venire o correre gli squilibri macroeconomici (ex reg. UE n. 1176/11) sono parte integrante del processo del Semestre europeo (reg.UE n. 1175/11) (73).

Esse rientrano, quindi, nella sorveglianza multilaterale delConsiglio in ordine (alla formulazione e) alla verifica nell’attua-zione degli indirizzi di massima per le politiche economiche (ex art.121.2. TFUE) e degli orientamenti in materia di occupazione (art.148.2) e in ordine alla (presentazione e) valutazione dei programmidi stabilità e di convergenza (reg. UE 1466/1997) e dei programminazionali di riforma (definiti sulla base degli indirizzi per le politi-che economiche e degli orientamenti per l’occupazione).

Ebbene, la stretta integrazione (74), gerarchicamente preordi-nata alla sostenibilità delle finanze pubbliche, di tutti gli attieuropei rientranti nelle politiche economiche e occupazionali e,

(70) Le (limitate) flessibilità nell’attuazione della clausola sono diversificate a se-conda che lo Stato membro si trovi nel braccio preventivo ovvero in quello correttivo delPatto di stabilità.

(71) In proposito, la Commissione precisa che tali effetti « possono derivare darisparmi di bilancio diretti delle riforme (come ad es. in pensioni o sanità) o da maggioriricavi disegnati nel medio-lungo periodo da un’economia più efficiente, con una produzionepotenziale più elevata (ad es a causa di minore disoccupazione strutturale o aumento diforza lavoro) o da una combinazione di entrambi gli effetti ».

(72) Ciò in quanto il quadro giuridico del Patto di stabilità (reg. CE n. 1466/97 e reg.CE n. 1467/97) non contiene gli strumenti per monitorare l’attuazione delle riformestrutturali (connesse alla legittima deviazione dall’obiettivo di bilancio e debito) che, invece,sono previsti nel reg. n. 1176/11 per monitorare le riforme strutturali previste per correggeregli squilibri macroeconomici.

(73) Lo sottolinea anche Lo Faro, 2014, 221 ss.(74) Ulteriormente rafforzata dall’esame preventivo dei bilanci dei paesi della zona

euro (reg. UE n. 473/2013).

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quindi, di tutte misure e le riforme strutturali (dalle pensioni, alsalario, al mercato del lavoro) richieste agli Stati membri (dellequali essi devono tenere conto (75)), costituisce elemento ulterioredel salto di qualità della governance economica europea nell’azionedi risposta alla crisi.

Sembra evidente, infatti, che il processo del Semestre europeoesalta e finalizzata al meglio le potenzialità direttive (e unifor-manti) insite in alcuni dei passaggi della regolazione esaminatapoiché l’integrazione riverbera le condizionalità in contesti diversida quelli propri e, in ultima analisi, costruisce vincoli circolari che“ingabbiano” parte considerevole delle politiche economiche deipaesi interessati.

Ciò, a maggior ragione, ove si pensi che « la mancata adozioneda parte di uno Stato membro di interventi conformi alle indica-zioni ricevute » può dare luogo nel processo del Semestre europeo adiverse conseguenze (76) ivi inclusa la sottoposizione dello Statomembro “inadempiente” alle misure correttive per squilibri dibilancio (reg. UE 1467/97 — reg. UE 473/2013) e macroeconomici(reg. UE 1176/11) e alle relative sanzioni.

Sulla portata di questi vincoli con riferimento alle politiche dibilancio e alle riforme strutturali del nostro paese, avremo modo diritornare.

A6. Vincoli e obiettivi a regime rafforzato nella zona euro: dal Pattoeuro plus al Trattato intergovernativo su stabilità, coordinamentoe governance nell’UEM.

Oltre che con gli strumenti propri dell’Unione raccolti nelsix-pack e nel two-pack, gli obiettivi posti dai vincoli di bilancio e didebito sono oggetto del Patto euro plus (per il coordinamento dellepolitiche economiche per la competitività e la convergenza) e delTrattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unioneeconomica e monetaria. Entrambi accordi internazionali esterni alperimetro giuridico dell’Unione.

(75) Art. 2bis.3, reg. UE n. 1175/2011; reg. UE 473/2013.(76) Fra le quali « ulteriori raccomandazioni affinché siano adottate misure specifi-

che » e « un avvertimento della Commissione ai sensi dell’art. 121, par. 4, TFUE: art. 3bis.3,secondo capoverso, del reg. UE 1175/2011.

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Il primo, concluso dagli Stati della zona euro (con l’adesione dialtri 6 paesi (77)) a margine del Consiglio europeo del 24-25 marzo2011, mira a rafforzare il coordinamento delle politiche economichee la loro convergenza verso più alti livelli di competitività me-diante l’adozione di quattro linee guida e altrettanti obiettivi chevanno dallo stimolo a competitività e occupazione al rafforza-mento della stabilità e della sostenibilità delle finanze pubbliche.

Ne emerge un programma complessivo di interventi destinati aintegrare, oltre che i piani di stabilità e di convergenza, i pro-grammi nazionali di riforma toccando settori essenziali per stimo-lare la competitività e la convergenza.

Il tutto con un approccio che appare più orizzontale di quelloespresso negli atti europei in quanto gli obiettivi di bilancio e distabilizzazione delle finanze pubbliche sono posti sullo stesso pianodi quelli mirati all’economica reale e all’andamento dell’occupa-zione, quasi a evocare l’approccio dell’art. 3 TFUE (nonostante,come detto, l’estraneità del patto all’ordinamento UE) (78).

Ciò è certo dovuto al fatto che il Patto euro plus ha naturameramente programmatica in quanto ogni paese conserva la com-petenza a scegliere gli interventi specifici per conseguire gli obiet-tivi comuni e non produce diretti obblighi giuridici salvo l’impegnoa “prestare attenzione” ad alcune riforme elencate nel patto stesso.

In ogni caso, è significativo constatare che, tra le riformeindicate, la gran parte gravitino nell’area del diritto del lavoro edella previdenza (79) e, ancora, che le loro caratteristiche si iscri-vano a pieno titolo nelle linee di azione perseguite con gli attidell’Unione da cui abbiamo preso le mosse.

(77) Oltre ai 17 Stati dell’euro, Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia eRomania.

(78) Nel Patto si precisa che nei settori d’intervento prescelti « i capi di Stato e digoverno fisseranno obiettivi comuni che gli Stati membri perseguiranno tenendo attuandocombinazioni proprie di politiche in considerazione delle sfide specifiche con cui devonoconfrontarsi ».

(79) In particolare, sono estranee alla ns. area di interesse le riforme che concernonol’obiettivo del rafforzamento della stabilità finanziaria e, quindi, del sistema bancario e chepuntano a misure di rigoroso monitoraggio, all’effettuazione di prove di stress delle banchee, più in generale, alla rivisitazione della legislazione bancaria.

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Così è nel capitolo dedicato allo stimolo della competitività,dove un ruolo essenziale viene assegnato alla retribuzione (80).

Qui, posta la stretta quanto astratta relazione tra produttivitàe retribuzioni in una prospettiva di convergenza tra i paesi firma-tari, si afferma che ciascun paese dedicherà particolare attenzionea riforme che, « nel rispetto della tradizioni nazionali di dialogosociale e relazioni industriali », siano « volte ad assicurare un’evo-luzione dei costi in linea con la produttività ». E, per fare ciò, lemisure suggerite sono di « riesaminare gli accordi salariali e laddovenecessario, il grado di accentramento del processo negoziale e imeccanismi d’indicizzazione, nel rispetto dell’autonomia delleparti sociali nella negoziazione dei contratti collettivi » e ancora di« assicurare che gli accordi salariali del comparto pubblico corri-spondano allo sforzo di competitività del settore privato (tenendopresente l’importanza del segnale dato dalle retribuzioni del set-tore pubblico ») (81).

Anche nei capitoli del Patto dedicati a stimolare l’occupazionee a rafforzare la sostenibilità delle finanze pubbliche, sono in primopiano riforme in termini di flessicurezza del mercato del lavoro (82)e in materia di welfare e pensioni (83).

Tali misure a connotazione lavoristica, si affiancano a quella

(80) Cfr., Giubboni, 2013, 23. In proposito, Sciarra, 2014, 4, sottolinea come il Pattoeuro plus ha (illegittimamente) interferito con la contrattazione collettiva raccomandandoagli Stati membri di collegare aumenti salariali e produttività discutendone a livellodecentrato.

(81) Ulteriori esempi di riforme per il sostegno alla produttività sono individuatenell’apertura dei settori protetti; nel miglioramento dei sistemi di istruzione e nella promo-zione di ricerca, sviluppo, innovazione e infrastrutture; nel miglioramento del sistema in cuioperano le imprese, specie le PMI, in particolare eliminando gli oneri amministrativi emigliorando il quadro normativo (ad es. leggi sui fallimenti, codice commerciale).

(82) Le riforme suggerite per far crescere l’occupazione sono all’insegna della flessi-curezza con interventi diretti ad assicurare una maggiore partecipazione al mercato dellavoro e un più deciso contrasto al lavoro sommerso. Il tutto accompagnato, oltre che dallapromozione dell’apprendimento permanente, dalla riduzione della tassazione sul lavoro (perrendere conveniente lavorare) seppure « mantenendo il gettito fiscale globale ». Su questitemi torneremo avanti più diffusamente.

(83) In proposito, posta la regola della sostenibilità finanziaria dei regimi pensioni-stici, di assistenza sanitaria e di previdenza sociale, le riforme suggerite (con l’obiettivo dellatenuta dei conti pubblici) vanno nel senso di allineare l’età pensionabile alla speranza di vitao di aumentare i tassi di attività, limitando i pensionamenti anticipati e sostenendo conincentivi le assunzioni dei lavoratori anziani (sopra i 55 anni).

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che, in termini ordinamentali, appare essere la più rilevante inquanto il Patto euro plus, al fine di rafforzare la sostenibilità dellefinanze pubbliche (84), stabilisce che « Gli Stati membri parteci-panti si impegnano a recepire nella legislazione nazionale le regoledi bilancio dell’UE fissate nel patto di stabilità e crescita. Gli Statimembri manterranno la facoltà di scegliere lo specifico strumentogiuridico nazionale cui ricorrere ma faranno sì che abbia unanatura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempiocostituzione o normativa quadro) (85) ».

Nel complesso, il Patto euro plus, pur assumendo naturadichiaratamente programmatica, esplicita in maniera stringente —e ad altissimo livello istituzionale (in un accordo tra Stati euro eoltre) — i fondamenti del disegno di politica economica perseguitoper uscire dalla crisi: bilancio in pareggio in costituzione (86) (esenza alcun accenno alla golden rule) e riforme strutturali che, conriferimento alla sostenibilità del sistema previdenziale, puntano adallungare l’età pensionabile, mentre per il mercato del lavoromirano allo spostamento del baricentro delle tutele dal contrattoalle transizioni da un contratto di lavoro all’altro (87), in un

(84) In tutti i settori di intervento, gli Stati firmatari si impegnano ad adottare lemisure specifiche (autonomamente individuate ma come sopra orientate) che « si rispecchie-ranno anche nei programmi nazionali e nei programmi di stabilità presentati ogni anno, chela Commissione, il Consiglio e l’Eurogruppo valuteranno nell’ambito del semestre europeo ».

(85) Il Patto precisa ancora che « Anche l’esatta forma della regola sarà decisa daciascun paese (ad esempio potrebbe assumere la forma di “freno all’indebitamento”, regolacollegata al saldo primario o regola di spesa), ma dovrebbe garantire la disciplina di bilancioa livello sia nazionale che subnazionale. La Commissione avrà la possibilità, nel pienorispetto delle prerogative dei parlamenti nazionali, di essere consultata in merito alla precisaregola di bilancio prima dell’adozione in modo da assicurare che sia compatibile e sinergicacon le regole dell’UE. ».

(86) La risposta dell’Italia, sotto la spinta dello spread, non si fa attendere: il 13aprile 2011 il Governo presenta il DEF al Parlamento impegnandosi a costituzionalizzare ilvincolo anche se poi la legge costituzionale sarà approvata l’anno successivo (20 aprile 2012)successivamente alla sottoscrizione del Trattato sul Fiscal compact (v. par. B6).

(87) Ovviamente, l’assunto di fondo di teoria economica sul punto è che ci sia unrapporto tra crescita e flessibilità e che la flessibilità faccia crescere l’occupazione; il Pattoeuro plus precisa in proposito: « Stimolare l’occupazione. Ogni paese sarà responsabile degliinterventi specifici che sceglie per stimolare l’occupazione, ma particolare attenzione saràdedicata alle seguenti riforme: riforme del mercato del lavoro per promuovere la “flessicu-rezza”... ».

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quadro di contenimento delle retribuzioni (specie dei lavoratoripubblici) (88).

Su questo quadro d’insieme interviene il Trattato sulla stabi-lità, coordinamento e governance nell’unione economica e moneta-ria (TSCG), spesso evocato come Fiscal compact, sottoscritto il 2marzo 2012 da tutti gli Stati euro e da altri paesi UE, che si muovesolo in parte nel solco del Patto euro plus.

A differenza di quest’ultimo, infatti, il TSCG, trascurando lequestioni legate alle politiche macroeconomiche e alle riforme strut-turali (89), si concentra essenzialmente sulle politiche e sui vincolidi bilancio e nel suo titolo III (ripro)pone le regole del PSC circapareggio di bilancio, rapporto debito pubblico/PIL ed eccezionalitàdelle deviazioni dal percorso imposto per il loro rispetto (90).

(88) Su questo disegno Veneziani, RGL, 2012, 7, è molto netto affermando che ilPatto per l’Euro è una chiara espressione della nuova governance economica europea perchéassume la competitività come canone irreversibile a cui rendere omaggio attraverso mec-canismi che toccano il cuore del rapporto di lavoro e del welfare, come la riduzione dei salarireali e l’innalzamento dell’età pensionabile; cfr. sul punto, Pennacchi, 2012, 15 e ss.Vedremo più avanti l’effetto (anche) di questi indirizzi sulle riforme italiane del mercato dellavoro. Qui basta solo anticipare che nelle raccomandazioni, adottate al termine delSemestre europeo, del Consiglio per l’Italia degli anni 2011 e 2012, vi è il richiamoall’attuazione degli impegni stabiliti nel Patto euro plus e viene sottolineato espressamenteil loro rilievo ai fini della definizione degli (ulteriori) interventi raccomandati: v. conside-rando 16 della Raccomandazione all’Italia del Consiglio del 12 luglio 2011 e il considerando20 della Raccomandazione all’Italia del Consiglio del 10 luglio 2012.

(89) A queste ultime, infatti, è dedicato il titolo IV del TSCG che contiene tre clausolecon generiche indicazioni sul coordinamento delle politiche economiche (che, di fatto, ripro-pongono processi del Semestre europeo) e sull’adozione da parte dei contraenti, magari previoconfronto preventivo, di misure atte a stimolare crescita, competitività e occupazione così da« contribuire ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche e rafforzare la stabilitàfinanziaria ». Nelle bozze precedenti l’ultima formulazione della clausola era presente il ri-chiamo espresso al Patto euro plus che è poi scomparso salvo a confermare i suoi principaliobiettivi, anche sul piano del coordinamento delle politiche economiche.

(90) In particolare: (a) la regola del pareggio o dell’avanzo di bilancio si considerarispettata se l’obiettivo di bilancio a medio termine del paese, definito nel patto di stabilitàe crescita, presenta un disavanzo strutturale massimo dello 0,5% del PIL che può crescerefino all’1% del PIL per i paesi che con debito inferiore (“significativamente”) al 60% delPIL; (b) la regola rapporto tra debito pubblico e PIL, fissa tale rapporto nel limite massimodel 60% mentre, per chi non la rispetta e versi in disavanzo eccessivo (ex art. 126 TFUE),stabilisce il rientro progressivo al ritmo medio di un ventesimo all’anno (secondo ledisposizioni dell’art. 2 reg. CE 1467/1997, come modificato dal reg. UE 1177/2011, espres-samente richiamate nell’art. 4 TSCG), fatte salve le deviazioni dell’art. 2 reg. 1177/2011; (c)la regola dell’eccezionalità della deviazione dagli obiettivi di bilancio, ammissibile solo in

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Ovviamente, la rilevanza del Fiscal compact non sta in questariproposizione di regole (in alcuni casi irrigidite) già in larga partepreviste nel Patto di stabilità (91), né nella riformulazione ditalune parti delle regole di governance (92).

Il rilievo del TSCG sta invece nell’ulteriore (rispetto agli attidell’Unione) rafforzamento del misure di contrasto dei disavanzi.

Le parti contraenti, infatti, assumono l’obbligo di attuare leregole (ripro)poste dal Trattato « tramite disposizioni vincolanti dinatura permanente — preferibilmente costituzionale — o il cuirispetto è in altro modo rigorosamente garantito... » e, ancora, nelcaso di deviazioni “significative” dagli obiettivi di bilancio, l’ob-bligo di attivare un meccanismo automatico di correzione, definitosulla base di principi proposti dalla Commissione europea e attuatoentro un anno nel diritto interno (art. 3.2) (93).

È un passo decisivo in direzione della vincolatività e dellapervasività dei vincoli finanziari del Patto di stabilità anche inconsiderazione del fatto che alle prescrizioni e alle sanzioni ditrattati e regolamenti “esterni” agli ordinamenti nazionali si af-fianca un meccanismo automatico, vincolante e permanente postoall’apice degli ordinamenti “interni”.

Ed è un passo talmente importante da accompagnarlo con

presenza di “circostanze eccezionali” (“eventi inconsueti” non imputabili alla parte con-traente che abbiano ripercussioni finanziarie sulla P.A. oppure di periodi di grave recessioneeconomica “ai sensi del patto di stabilità) e « purché la deviazione temporanea della partecontraente interessata non comprometta la stabilità del bilancio a medio termine ». Suquesti vincoli e sul loro rafforzamento v. per tutti Tosato, 2012; Donati, 2013.

(91) Ciò vale anche per altre previsioni contenute nel titolo III del TSCG come ad es.circa la comunicazione preventiva a Consiglio Europeo e Commissione dei piani di emissionedel debito. Va detto, però, che la formalizzazione nel trattato di regole già previste nel PSCle rende, di fatto, più rigide perché divengono modificabili solo con il consenso di tutti gliStati contraenti.

(92) Dalle dichiarazioni che richiamano il ruolo dei Parlamenti nazionali come ancheil rispetto del ruolo delle parti sociali, alle disposizioni più tecniche come la previsione, nelcaso di disavanzi eccessivi, di un programma di partenariato economico che « comprendauna descrizione dettagliata delle riforme strutturali da definire e attuare per una correzionedefinitiva e duratura del suo avanzo eccessivo » (art. 5 TSCG), posto che concernonoquestioni e interventi poi attuati dal reg. UE n. 473/2013 (v. par. A3).

(93) In proposito, Bifulco, 2014, 18, parla di decostituzionalizzazione delle normecostituzionali in materia di bilancio sottolineando gli effetti di un processo che si colloca inideale continuità con la decostituzionalizzazione dei diritti sociali denunciata (in altrocontesto) da Giubboni, 2013 e 2015. Ma v. par. B3.

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l’assegnazione di una nuova competenza alla Corte di giustizia che,su domanda di una o più parti contraenti (94), può pronunciarsi intermini vincolanti nei confronti dello Stato inadempiente impo-nendogli di « prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sen-tenza comporta entro il termine stabilito » (art. 8.1) (95), fattesalve ulteriori sanzioni (economiche) in caso di inosservanza dellasentenza (art. 8.2).

In proposito, e senza volere in alcun modo approfondire lemolte questioni di natura istituzionale poste dal Trattato in esame,va precisato che l’attribuzione alla CGE della competenza a trat-tare tale controversia è sostenuta dall’espresso richiamo dell’art.273 TFUE (96), mentre rimangono senza formale “copertura” imolti rinvii che il TSCG fa alle altre istituzione dell’UE (97).

(94) L’art. 8, par. 1, prevede che l’azione di inadempimento sia preceduta da unarelazione della Commissione che individua il o i paesi contraenti che non hanno rispettatol’obbligo di istituzione del meccanismo correttivo automatico. Tuttavia, l’azione innanzialla CGE può anche essere proposta da una parte contraente indipendentemente dallarelazione della Commissione.

(95) L’art. 8 non precisa il contenuto della domanda di inadempimento e delconseguente decisum della CGE. Tuttavia, dal tenore della disposizione e dalla sua strettacorrelazione con l’art. 3, par. 2, deriva che la Corte di giustizia individua e valuta iprovvedimenti la cui esecuzione consente di dare attuazione nell’ordinamento interno almeccanismo automatico di correzione dei disavanzi eccessivi: cfr. Giovannelli, 2014, 34. Didiverso avviso Bifulco, 2014, 18 (nota 71), per il quale la clausola in esame ha come effettola possibilità di un sindacato della Corte di giustizia sulla conformità della disciplinanazionale di bilancio all’art. 3 del Fiscal Compact. Ciò implica che, ove lo Stato membroabbia dato attuazione al suddetto art. 3 attraverso l’iscrizione della regola del pareggio inCostituzione, anche la norma costituzionale potrà essere oggetto di tale controllo, peraltroanche su iniziativa di altro Stato membro.

(96) L’art. 273 TFUE, com’è noto, stabilisce che la Corte di giustizia è competente aconoscere di qualsiasi controversia tra gli Stati membri in presenza della duplice condizioneche tale competenza sia oggetto di uno specifico compromesso tra gli Stati membri e che lacontroversia sia « in connessione con l’oggetto dei Trattati »: condizioni entrambe presentinella fattispecie posto che (a) l’equilibrio di bilancio e la correzione del disavanzo eccessivosono “oggetto” degli artt. 121 e 126 TFUE e che (b) l’art. 8, par. 3, TSCG dichiaraespressamente che l’attribuzione della competenza alla Corte di giustizia nella controversiain questione costituisce un compromesso tra le parti contraenti ex art. 273 TFUE. Si trattadi una previsione che la Corte di giustizia ha interpretato in maniera estensiva facendorientrare nella nozione di compromesso anche l’accordo per devolvere alla CGE “un’interacategoria di controversie predefinite” (cfr. CGE 27 novembre 2012, Pringle, sulla quale sirinvia al paragrafo successivo).

(97) Il Fiscal compact, infatti, assegna vari e rilevanti compiti alla Commissioneeuropea oltre a richiamare l’azione del Consiglio europeo. Tuttavia, a fronte della discussa

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In ogni caso, il rafforzamento delle regole del Patto di stabilitàpassa anche da altri impegni assunti dalle parti contraenti chevanno dal sostegno alle proposte e alle raccomandazioni dellaCommissione adottate nelle procedure per disavanzo eccessivo(art. 7), al migliore coordinamento delle emissioni di debito nazio-nale previste, fino a quello di stabilire un formale collegamento conil Meccanismo europeo di stabilità, istituito con Trattato del 2febbraio 2012 (v. par. successivo) e che costituisce certamente unodei pilastri del nuovo sistema di governance economica europea.

Infatti, seppure in sede di premesse, il TSCG stabilisce che laconcessione dei programmi di assistenza finanziaria del MES èsubordinata alla ratifica del trattato dalla parte interessata e alrispetto (alla scadenza del termine annuale previsto) del requisitodell’introduzione nell’ordinamento interno del meccanismo auto-matico di correzione (ex art. 3.2) (98).

Qui, in definitiva, sembra compiersi un percorso tanto piùrilevante perché espresso nel pieno degli effetti recessivi e di cadutadell’occupazione frutto della crisi in atto nei paesi europei e, traquesti, in quelli più esposti dell’arco mediterraneo (v. par. A9).

Posto il progressivo rafforzamento nel diritto dell’Unione delcoordinamento della politica economica e, dentro questo, la speci-fica centralità individuata nella tenuta dei bilanci e nella sosteni-bilità del debito dei 17 Stati che (rinunciando alla propria sovra-nità monetaria) hanno adottato l’euro, il definitivo innalzamento

legittimità di tali coinvolgimenti e, in particolare, di quelli della Commissione, la Corte digiustizia con la sentenza 27 novembre 2012, Pringle (v. par. successivo), ha affrontato erisolto in termini di compatibilità con i Trattati UE e FUE questioni analoghe sorte conriferimento al trattato MES avanzando argomentazioni sostanzialmente riproponibili anchein questo caso. Ulteriori profili di coordinamento istituzionale pone l’introduzione delVertice euro che si affianca all’Eurogruppo (previsto dal Protocollo n. 14 allegato aiTrattati)introducendo, secondo alcune letture, il dualismo Consiglio Europeo/Consigliodell’Unione anche se il Vertice euro si colloca fuori dell’ordinamento dell’Unione. Nessunaparticolare novità in tema di cooperazione interparlamentare propone infine l’art. 13 TSCGche nei rapporti tra PE e Parlamenti nazionali riproduce, in definitiva, il Protocollo sulruolo dei Parlamenti nazionali allegato al TFUE.

(98) A proposito della connessione dei due Trattati Rossi, 2012, 32, osserva che« Anche se si può discutere sulla capacità di un considerando contenuto nel TSCG dicondizionare giuridicamente l’applicabilità del MES, è evidente il suo potere deterrente,poiché gli azionisti di maggioranza del futuro Fondo di Stabilità, non a caso tenacipromotori del Fiscal Compact, avrebbero un’ottima scusa per non ammettere uno Stato agliaiuti del Fondo Salva Stati ».

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ad architrave del sistema delle politiche di bilancio dell’eurozona aopera del Fiscal Compact viene sostenuto dal Fondo salva statiche, a sua volta, è costruito in modo tale, come si vedrà, da legarel’assistenza finanziaria dello Stato richiedente alla sottoscrizione diun memorandum d’intesa improntato su misure centrate sugliobiettivi del Fiscal Compact (e, quindi, del PSC).

Ed è emblematico che quest’ultimo essenziale miglio vengapercorso, non dentro il diritto dell’Unione europea e della suamoneta, bensì fuori di essi, con appositi Trattati che, al di là dellemotivazioni contingenti (l’opposizione di Regno Unito e Repub-blica Ceca e, per converso, la forte pressione della Germania (99))possono più agevolmente perseguire obiettivi semplificati e adot-tare misure su di essi focalizzate, senza tener conto della complessaarchitettura valoriale espressa dall’ordinamento dell’Unione e deibilanciamenti che ne conseguono nell’attuazione delle azioni perrealizzarla (100) (v. infra).

Tuttavia, il quadro d’insieme è meno netto di quanto nonsembri.

Infatti, per espressa e dichiarata volontà delle parti contraenti,gli obblighi aggiuntivi del TSCG rinsaldano gli obiettivi (art. 1) e,comunque, fanno salvi gli obblighi (art. 3) derivanti dal dirittodell’UE. Con l’ulteriore e rilevante precisazione che le parti con-traenti applicano e interpretano il Fiscal Compact conformementeai trattati su cui si fonda l’UE e, in ogni caso, nella misura in cuiè con quelli compatibile (101) (art. 2).

Si tratta di una precisazione importante e vincolante in quantoall’atto di stesso di collocare il rafforzamento dei vincoli di bilancioe di debito all’esterno del diritto dell’UE, il TSCG introduce unavera e propria autolimitazione alla efficacia e vincolatività dellapropria disciplina che, proprio perché tenuta al rispetto del vincolodi compatibilità con i trattati UE, mostra di avere rispetto aquesti, in caso di conflitto, natura recessiva.

(99) Cfr. per tutti Rossi, 2012, 29.(100) Per l’analisi delle ragioni del ricorso durante la crisi a strumenti esterni al

diritto dell’Unione v. per tutti, De Witte, 2012, 139 s.(101) Sottolinea questo elemento regolativo, Veneziani, 2015.

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A7. Vincoli e obiettivi europei quali condizionalità dei programmi diassistenza finanziaria: il MES quale ulteriore pilastro dellanuova governance economica europea.

Come anticipato nel precedente paragrafo, il quadro dei vincolie delle prescrizioni in materia di politiche di bilancio ed economi-che, frutto della regolazione interna ed esterna al diritto del-l’Unione, passa infine dal Trattato istitutivo del MES, che è statoindividuato, a giusta ragione, come uno dei pilastri della gover-nance economica europea, pur essendo un accordo internazionalee, quindi, formalmente estraneo all’assetto istituzione dell’UE.

Il Meccanismo europeo di stabilità dal 2012 succede al mecca-nismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF) (102) e alFondo europeo per la stabilità finanziaria (FESF) (103), entrambidi natura temporanea e caratterizzati (secondo una connotazionecostante) dalla previsione di stringenti condizionalità ai fini dellaconcessione dell’assistenza finanziaria (104).

Frutto delle decisioni dell’11 marzo 2011 dei capi di Stato o digoverno delle zona euro, è stato adottato dal Consiglio europeo del24-25 marzo 2011 con la decisione 2011/199/UE di modificare, conprocedura di revisione semplificata, l’art. 136 TFUE, introducendonel par. 1 la possibilità per gli Stati membri la cui moneta è l’eurodi istituire un meccanismo di stabilità finanziaria per salvaguar-dare la stabilità della zona euro, nel quale « la concessione diqualsiasi assistenza finanziaria... sarà soggetta a una rigorosa con-dizionalità » (105).

La sua formale istituzione è avvenuta in base al Trattatointernazionale del 2 febbraio 2012 con la creazione di un ente didiritto internazionale (con sede in Lussemburgo) del quale gli Statisottoscrittori detengono “quote”, come nelle società private, po-nendo in essere strutture e procedure di governance fortementecriticate perché, pur esercitando un compito fondamentale alla

(102) L’EFSM è stato istituito dal reg. UE n. 407/2010 del Consiglio dell’11 maggio2010 sulla base dell’art. 122.2 TFUE.

(103) L’EFSF è una società anonima di diritto lussemburghese, creata con unaccordo internazionale dagli Stati dell’area euro con l’obiettivo di reperire risorse suimercati finanziari per intervenire a sostegno dei paesi in crisi.

(104) V. Donati, 2013, 3 ss.(105) Sulle criticità istituzionali della modifica dell’art. 136 TFUE e dell’approva-

zione del Trattato MES v. Donati, 2013, 337 ss.; Giovannelli, 2013, 935 ss.

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tenuta del sistema europeo (e, indirettamente, dell’euro), nonhanno alcuna forma di legittimazione democratica (106). Senza conciò trascurare l’obiezione di merito più stringente verso il MESdella cui compatibilità con i trattati UE si è molto dubitato speciein relazione al precetto di no bail out dell’art. 125 TFUE e, quindi,del divieto di “salvataggio finanziario” degli Stati membri (107).

E tuttavia, la Corte di giustizia, con la sentenza 27 novembre2012 C- C-370/12, Pringle (pronunciando su una questione pregiu-diziale proposta dalla Supreme Court irlandese), ha legittimato laprocedura seguita (con la modifica dell’art. 136 TFUE) e la stessacostituzione del MES, chiarendo alcuni profili sui quali si avràmodo di ritornare in sede di esame più analitico e in una dimen-sione multilevel circa le risposte date dalle alte Corti europee allanuova governance economica europea (v. par. A9).

Preso atto, allora, della sua “legittimità”, occorre qui eviden-ziare che il MES, « ove indispensabile per salvaguardare la stabilitàfinanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Statimembri » può fornire sostegno a un proprio membro nel costanterispetto, però, di rigorose e predefinite condizioni di ammissibilità(art. 12.1) incidenti, anche, in termini di inapplicabilità (seppuretemporanea) delle ordinarie procedure del Patto di Stabilità, so-stituite da quelle più stringenti del reg. UE n. 472/2013 e delrelativo programma di aggiustamento macroeconomico (cfr. A3).

Su decisione del Board of Governors compete alla Commissione,di concerto con la BCE e il FMI (la c.d. Troika), il compito dinegoziare con il membro interessato il Memorandum of Understan-ding nel quale stabilire le condizionalità per la concessione dell’as-

(106) Cfr. Giovannelli, 2014, 10-11, il quale osserva altresì che, avendo ogni Stato unpeso proporzionato alle quote versate, ciò acuisce l’egemonia dei grandi paesi — Berlino haben il 27% del capitale — rendendo il MES comparabile al FMI; v. altresì, Bilancia P. 2014,15, il quale sottolinea in proposito l’assenza, in questi sotto-sistemi di governance, di ogniforma di controllo democratico e di responsabilità dei decisori. È da notare, in proposito, cheil Parlamento europeo non è neppure menzionato nel trattato MES.

(107) In proposito, Donati, 2013, 5, giustifica l’introduzione dell’art. 125 TFUE conla volontà/necessità di impedire l’”azzardo morale”, cioè la propensione degli Stati adadottare politiche di bilancio non virtuose confidando nel salvataggio dell’Unione o degliStati membri. In proposito, v. tuttavia Giubboni, 2013, 21 (e ivi per ulteriori riferimenti) ilquale osserva che il divieto di bail-out dell’art. 125 TFUE, frutto dell’introduzione dellamoneta unica e del suo governo centralizzato (BCE), è espressione di una concezione dicomunità alla quale è estranea qualunque idea di solidarietà.

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sistenza finanziaria commisurate alla « gravità delle carenze daaffrontare e (al)lo strumento di assistenza finanziaria scelto » (108)che, alla fine, il membro interessato deve accettare prestando ilproprio “libero” consenso (109).

In proposito, di grande rilevanza, specie ai fini della nostraanalisi, è la prescrizione che « Il protocollo d’intesa è pienamenteconforme alle misure di coordinamento delle politiche economichepreviste dal TFUE, in particolare a qualsiasi atto legislativo del-l’Unione europea, compresi pareri, avvertimenti, raccomandazionio decisioni indirizzate al membro del MES interessato. » (art.13.3) (110).

Se a questo aggiungiamo poi che, come si è già detto, condi-zione immancabile per accedere all’assistenza finanziaria del MESè la preventiva sottoscrizione del Trattato Fiscal compact (e,quindi, l’adesione ai vincoli anche costituzionali da esso impostiper garantire il rispetto del Patto di stabilità) (111) emerge nuo-

(108) Art. 13.4, dove peraltro si ha cura di precisare che deve essere il direttoregenerale della tecnostruttura il soggetto che « prepara nel contempo una proposta di accordosu un dispositivo di assistenza finanziaria contenente le modalità finanziarie e le condizionie la scelta degli strumenti, che dovrà essere adottata dal consiglio dei governatori. ». Glistrumenti di assistenza finanziaria vanno dalla concessione di una linea di credito condi-zionale precauzionale (art. 14) alla ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie del paese(art. 15); dai prestiti (art. 16) al sostegno alla mercato primario e secondario (artt. 17 e 18).

(109) « Libero — dice Giovanelli, 2014, 11 — come lo è il consenso informato di chideve sottoporsi a un inderogabile intervento chirurgico ».

(110) Nella sentenza 27 novembre 2012, Pringle (v. par. A9), la CGE fa espressoriferimento all’art. 13.3, per affermare che il MES non contrasta con il diritto UE in materiadi politica economica perché « non costituisce uno strumento di coordinamento dellepolitiche economiche degli Stati membri, bensì è diretto a garantire la conformità delleattività del MES, in particolare, con l’articolo 125 TFUE e con le misure di coordinamentoadottate dall’Unione » (punto 111). Insomma il MES non è uno strumento “di coordina-mento” delle politiche economiche “alternativo” ma è esso stesso strumento delle politicheeconomiche UE. Sicché, « gli Stati membri restano liberi di istituire un meccanismo distabilità come il MES, a condizione tuttavia che, nel suo funzionamento, tale meccanismorispetti il diritto dell’Unione e, segnatamente, le misure adottate dall’Unione nel settore delcoordinamento delle politiche economiche degli Stati membri... (e)... l’articolo 13, paragrafi3, secondo comma, e 4, del Trattato MES è diretto a garantire che qualsiasi assistenzafinanziaria concessa dal MES sia conforme a siffatte misure di coordinamento. » (punto 121).

(111) Anche qui, come nel Trattato del Fiscal Compact, è nei consideranda (n. 5) chesi stabilisce che « Viene riconosciuto e accettato che la concessione dell’assistenza finanziarianell’ambito dei nuovi programmi previsti dal MES sarà subordinata, a decorrere dal 1°marzo 2013, alla ratifica del TSCG da parte del membro MES interessato e, previa scadenza

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vamente quella integrazione forte delle politiche economiche,frutto di molteplici vincoli e condizioni che, pur se (im)posti incontesti regolativi diversi, si richiamano e si coordinano, finendoper assegnare agli atti europei del processo di governance economicauna indubbia vincolatività nei confronti degli Stati membri (112).In questo caso, rafforzata da fonti internazionali (113).

Una vincolatività ulteriormente accentuata dalla previsioneche qualsiasi controversia sull’interpretazione e sull’applicazionedel trattato compete, dopo una prima decisione devoluta al consi-glio di amministrazione, alla decisione del Consiglio dei governa-tori. Solo dopo quest’ultima, infatti, la controversia può infineessere impugnata davanti alla Corte di giustizia (art. 37) (114).

del periodo di recepimento di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del TSCG, al rispetto deirequisiti di cui al suddetto articolo. ».

(112) In proposito, è opportuno segnalare quanto rileva Giovanelli, 2014, 14-19, circail fatto che le condizionalità del MES sono state riprese dalla BCE quali condizionalità perl’accesso al programma OMT di acquisizione dei titoli di stato (v. par. A9), illustrato nelsettembre 2012, dando ulteriore impulso alla circolarità dei vincoli del Patto di stabilità piùvolte constata nella regolazione esaminata.

(113) Cfr. Morrone, 2004, 5-6, il quale osserva che « L’assistenza europea [MES] sicollega così alla responsabilità dello Stato di fronte ai propri creditori, essendo diretta a farin modo che il beneficiario possa essere stimolato e supportato a portare avanti politichevirtuose. Astraendo dal caso, si può dire che prende forma nell’ordinamento europeo unoriginale principio di solidarietà responsabile interstatale, che assume un particolare signi-ficato proprio nell’attuale contesto di crisi economico-finanziaria: perché può svolgere unafunzione “costituente”, potendo imprimere una diversa direzione alla european process,verso un’unità economica non limitata ai vincoli di bilancio, ma implicante anche politichefiscali e di protezione sociale comuni. ».

(114) Ovviamente non è possibile affrontare in questa sede le questioni istituzionaliche il trattato pone sotto diversi profili riguardanti anche il rinvio che opera alle istituzionidell’Unione e, in particolare, alla Commissione, alla BCE e alla Corte di giustizia, chiaman-dole a svolgere attività e funzioni estranee ai Trattati europei. Tuttavia, la Corte digiustizia, con la sentenza Pringle (cit.), ha affermato che il ruolo e i compiti affidati dalTrattato MES alla Commissione e alla BCE non contrastano con i Trattati UE e FUE siaperché gli Stati membri hanno il diritto di affidare a tali istituzioni compiti che nonrientrano nella competenza esclusiva dell’Unione (e tali sono quelli concretamente affidatiad entrambe le istituzioni: punti 158-160); sia perché detti compiti « non snaturano leattribuzioni che i Trattati UE e FUE conferiscono a tali istituzioni » (punto n. 162). Ancheil ruolo assegnato alla Corte di giustizia, secondo Pringle, è compatibile con i Trattati UEperché si fonda sull’art. 237 TFUE e concerne controversie tra Stati membri che presentanouna “connessione con l’oggetto dei Trattati”. E qui, come si è già sottolineato, un ruolodeterminante ai fini della compatibilità del Trattato MES con il diritto UE è assegnatoall’art. 13.3 posto che secondo la Corte « una controversia legata all’interpretazione o

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Nonostante questo stretto legame con il PSC, il MES e altristrumenti di sostegno finanziario utilizzabili a sostegno degli Statiin difficoltà (anche per effetto degli stessi vincoli del Patto distabilità), sono stati oggetto di forti contestazioni in seno agliorganismi europei e all’interno dello stesso board della BCE (115),tanto da sfociare in importanti controversie innanzi alle alte Cortieuropee (v par. A9), su iniziative maturate nei paesi nord-europeiche più hanno spinto per l’applicazione rigida dei vincoli finanziariguardando, perciò, con sospetto l’attivazione (con risorse UE e,quindi, anche proprie) di meccanismi utilizzabili per allentarli.

A8. La grundnorm dell’equilibrio dei bilanci pubblici e l’effetto tena-glia sui diritti fondamentali dei lavoratori.

L’analisi dei regolamenti con i quali, in risposta alla crisi,l’Unione ha rafforzato la governance delle politiche economiche,accompagnati e sostenuti dal Patto euro plus e dai nuovi trattatiFiscal compact e MES, insieme ai provvedimenti che ne sono“ordinatamente” derivati, costituiscono uno dei punti di emersionedelle profonde trasformazioni che la crisi economico-finanziaria (ele sue emergenze) sta provocando negli (e tra gli) assetti costitu-zionali (116).

In proposito si è parlato di “sdoppiamento della legalità euro-pea in una ‘ordinaria’ — non impiegata — e in un’altra derivatadalla governance economica, che è quella vincolante e che si rende

all’applicazione del Trattato MES può vertere altresì sull’interpretazione o sull’applicazionedelle disposizioni del diritto dell’Unione. Infatti, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 3, di taletrattato, il protocollo d’intesa negoziato con lo Stato membro che chiede un sostegno allastabilità deve essere pienamente conforme al diritto dell’Unione e, segnatamente, allemisure adottate dall’Unione nel settore del coordinamento delle politiche economiche degliStati membri. Le condizioni cui è subordinata la concessione di un siffatto sostegno ad unoStato membro saranno quindi, almeno in parte, determinate dal diritto dell’Unione » (punton. 174).

(115) V. in proposito, la dettagliata e stimolante “cronaca” di Giovannelli, 2014, 14ss., in particolare sui conflitti del Governatore della BCE con il Presidente della BundesbankJens Weidmann.

(116) Cfr. Ruggeri, 2012, passim; Ciolli, 2012b, 6 ss.; Contiades, 2013, 3; Ferrajoli,2013, 146 ss.; Bifulco, 2014, 18 ss.. Ma v. altresì Morrone, 2014, 4, per il quale la riflessionesulla crisi economico-finanziaria e sui suoi effetti costituzionali deve essere declinata comeun aspetto della generale “crisi dello stato costituzionale”.

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prioritaria” (117), manifestandosi con una invasività della sovra-nità statale che non lascia adito a dubbi (118).

Uno sdoppiamento che si accompagna a un’altra importanteconseguenza della nuova governance economica, diffusamente di-scussa, specie da parte della dottrina costituzionale attenta aiprocessi istituzionali dell’Unione (119). Una conseguenza efficace-mente descritta da attento autore che, in relazione all’approva-zione dei Trattati internazionali Fiscal Compact e MES e allariforma semplificata (con la modificazione del 136 TFUE) di quellolicenziato a Lisbona, avverte « l’impressione che l’ordinamentoeuropeo sta scivolando fuori del suo guscio comunitario e dalle suetracce costituzionali (di cui la Carta è l’espressione più alta), perprendere sentieri intergovernativi » (120).

Ne emerge, e in modo (ancor più) evidente, la fragilità dell’ar-chitettura della nuova governance economica europea in relazionealla tenuta della legittimità democratica dei suoi fondamenti (121).

In questo panorama lo spazio assegnato ai diritti fondamentalidei lavoratori e, specificamente, alle riforme strutturali che, inrisposta alla crisi, dovrebbero affermarli e sostenerli al fine di

(117) Baylos, 2013, 586-587.(118) In proposito, emblematica è la decisione del Consiglio europeo dell’8 giugno

2010 che impone alla Grecia di ridurre le pensioni, i giorni festivi e la spesa sociale, il numerodegli impiegati pubblici e di intervenire con legge sui salari (nonostante l’art. 153.5 TFUEnon riconosca alcuna competenza all’Unione in materia di retribuzione e di armonizzazionedei salari); così come altrettanto emblematica è la famosa lettera della BCE del 5 Agosto2011 che chiede al governo italiano di adottare specifiche riforme strutturali tra le quali, inparticolare, la riforma del sistema pensionistico e quella del mercato del lavoro aventi precisicaratteri e contenuti (v. par. B6).

(119) Cfr., tra gli altri, Bilancia P, 2014, 11, la quale, a proposito della nuovagovernance integrata con i Trattati Fiscal Compact e MES, afferma che « Sembra alloraripresentarsi sulla scena un processo di integrazione europea all’interno del quale alcuniStati (e non tutti), solo per alcuni settori (distinti dagli altri), sulla base di accordi di tipointernazionale (solo parzialmente collegati ai Trattati europei attraverso apposite clausoledi rinvio) fissano obiettivi specificamente differenziati rispetto a quelli “comuni” e preve-dono meccanismi di funzionamento di tipo intergovernativo che esaltano l’interesse dome-stico rispetto a quello sopranazionale e che rafforzano i poteri di interdizione nazionali especialmente quelli degli Stati più forti e più influenti sul proscenio ». V., oltre agli autori giàcitati, Ciolli, 2012b, 5-6; Ponzano, 2013, 281 ss.

(120) Così, Bronzini, 2012, 56.(121) Cfr., Giubboni, 2013, 25 ss.; Donati, 2013, 10. V. altresì Giubboni, 2014, 273 il

quale osserva che meccanismi di governance consegnano le scelte a ristrette élite tecnocra-tiche che si sottraggono a forme di controllo e di accountability democratica.

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promuovere la piena occupazione nel progresso sociale (art. 3TUE) quali altrettante condizioni costitutive della dignità dellapersona (122), è certamente occasionale e marginale perché stru-mentale agli obiettivi “altri” perseguiti dall’Unione.

Certo, nei regolamenti e nei Trattati che fondano la nuovagovernance economica vi sono ripetuti formali riferimenti al ruolodelle parti sociali, in particolare ai fini dell’attuazione negli ordi-namenti interni degli “indirizzi” in tema di allineamento dei trat-tamenti retributivi agli obiettivi di bilancio (123) e macroecono-mici (124). Così come, specie nei consideranda dei regolamenti dellagovernance UE (particolarmente nel two-pack) e nel Patto europlus, vi sono richiami ai principi sociali che dovrebbero bilanciare,nell’azione dell’Unione, quelli espressione dell’economia di mer-cato.

Tuttavia, come si è visto, il bilanciamento delle politicheeconomiche in funzione della sostenibilità sociale delle misure dirisposta alla crisi viene poi accantonato da una regolazione che hanella solidità dei bilanci pubblici e nella stabilità delle finanze (edella moneta) i suoi obiettivi fondanti e che quando consideraovvero direttamente sollecita riforme strutturali, lo fa nella misuraed entro i limiti in cui tali riforme siano rispettose di quegliobiettivi e, quindi, degli strumenti (e dei vincoli) posti per perse-guirli (125).

Ciò è evidente in relazione alle riforme strutturali che hannodiretta incidenza sull’equilibrio dei bilanci pubblici come quellerichieste dall’UE sulle pensioni o sugli interventi di riduzione deglistandard di trattamento economico dei dipendenti pubblici.

Tuttavia, il ruolo ancillare delle riforme strutturali si manife-sta con altrettanta evidenza quando sono prese in espressa consi-derazione le politiche sociali e del lavoro e, quindi, specialmente aifini della correzione dei disavanzi eccessivi e degli squilibri macroe-

(122) Diritto della dignità della persona che l’art. 1 della CDFUE, precisano le“spiegazioni alla Carta, individua non soltanto come un diritto fondamentale in sé ma quale« la base stessa dei diritti fondamentali ». Sul ruolo della dignità nella costituzione econo-mica avremo modo di tornare: v. par. B1.

(123) Art. 1.2 reg. UE n. 473/2013.(124) Art. 1.3 reg. UE n. 1176/2011. Analoghe considerazioni svolge Veneziani, 2015.(125) Giubboni, 2013, 21, in proposito parla di un processi di radicalizzazione a

scapito delle politiche sociali; in termini non dissimili Lo Faro, 2014, 220.

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conomici e, ancora, quali elementi delle condizionalità (dei memo-randum d’intesa) per la concessione dell’assistenza finanzia-ria (126).

Ripetutamente, infatti, le riforme strutturali (anche) del mer-cato del lavoro, oggetto delle Raccomandazioni specifiche rivolteagli Stati membri, sono individuate e valutate in funzione dell’im-patto positivo sulla riduzione dei disavanzi e del rapporto debitopubblico/PIL prodotto dalla crescita economica (a cui sono vocatee quindi) che esse sono potenzialmente in grado di sostenere.Sempre che, ovviamente, abbiano i caratteri e i contenuti a ciò“necessari” (127).

In proposito, di grande interesse è la (ri)lettura delle indica-zioni contenute nei regolamenti UE della nuova governance (specieil n. 473/2013: par. A3) e nel Patto euro plus (par. A6) alla lucedegli “Orientamenti integrati per l’Europa 2020”, relativi al pe-riodo 2010-2014 contenenti le caratteristiche funzionali e i conte-nuti fondamentali della “riforma strutturale” del mercato dellavoro coerente con gli orientamenti di politica economica.

Tuttavia, ragioni di maggiore linearità espositiva consiglianodi posticiparne la trattazione (par. B5) all’esito dell’esame dellagiurisprudenza europea e costituzionale sviluppatasi a ridosso deiprovvedimenti esaminati e delle disposizioni applicative adottatenei diversi paesi.

Certo, e per concludere sul punto, colpisce il preoccupanteparallelismo tra la sovraordinazione gerarchica degli obiettivi dibilancio e la priorità delle libertà economiche rispetto ai dirittifondamentali; regole le prime eccezioni i secondi soggetti al prin-cipio di proporzionalità (128).

L’effetto che ne deriva è una sorta di manovra a tenaglia cheacuisce ancora di più l’aggressività della crisi (e delle sue risposte)sui diritti fondamentali (129). E in proposito basta richiamare

(126) Cfr. Koukiadaki, 2015.(127) Negli stessi termini, Bilancia F., 2014, 9, il quale osserva che « le politiche per

il rilancio della crescita economica... devono essere caratterizzate dalla flessibilizzazione delmercato del lavoro che, aumentando il numero potenziale degli occupati — almeno secondole dottrine monetariste — e contenendo il costo del lavoro potrebbe generare una spinta perun riequilibrio macroeconomico ». Per ulteriori riferimenti v. par. B5.

(128) Bronzini, 2012, 20.(129) Cfr., Barnard, 2012, 98 ss.; Deakin, 2013, 558 ss.; Bilancia F., 2014, 9 ss.

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alcuni dati macroeconomici, in larga parte forniti dalla Commis-sione Juncker, che misurano gli effetti prodotti dalla crisi inconcomitanza con le politiche economiche a trazione UE (fruttodei provvedimenti sin qui analizzati) che mostrano come le condi-zioni lavorative e sociali sono molto peggiorate con un aggrava-mento delle condizioni di disuguaglianza sociale.

Crescenti livelli di disoccupazione, compressione dei redditi dalavoro, maggiore concentrazione delle ricchezze nelle mani dipochi, minore stabilità dei posti di lavoro, sono i segni tangibilidel peggioramento della situazione sociale e del mercato dellavoro.

I dati sono eloquenti.Dal 2008 al 2013, il tasso di disoccupazione nell’UE-28 è

passato dal 7,0 % al 10,8 %. L’Eurostat, tuttavia, a febbraio 2015registra un lieve miglioramento (il tasso è al 9,8% e all’11,3 % perla ZE18) con un numero assoluto di 23,8 milioni di disoccupati,rispetto ai 26,4 milioni di un anno prima, mentre nella Eurozonaammonterebbero a 18,2 milioni (130).

Nonostante questo lieve miglioramento, i dati restano nonrassicuranti se analizzati sul piano qualitativo perché la disoccu-pazione sta diventando strutturale, come ci dicono i dati sulladisoccupazione di lunga durata (131) e quelli sulla percentuale digiovani (15-24 anni) disoccupati e al di fuori di ogni ciclo diistruzione e formazione (NEET) (132).

Nell’ultimo anno la disoccupazione di lunga durata qualepercentuale della disoccupazione totale è aumentata ulterior-

(130) Si tratta del livello più basso dal settembre 2011 e la situazione è stabilerispetto ad agosto 2014, cfr. EU Employment and Social Situation - Quarterly Review -December 2014 (08 gennaio 2015), http://ec.europa.eu/epale/it/node/3754. Nel corso dell’ul-timo anno la disoccupazione è diminuita in 22 Stati membri, mentre è aumentata in sei. Lediminuzioni più evidenti si sono registrate in Spagna, Croazia, Ungheria e Portogallo,mentre si è verificato un ulteriore aumento in sei Stati membri (Francia, Italia, Lituania,Lussemburgo, Austria e Finlandia).

(131) Tra i lavoratori giovani (15 - 24 anni), unitamente agli scarsamente qualificati,si registrano i tassi di disoccupazione più elevati.

(132) In molti Stati membri le percentuali di NEET sono molto al di sopra dei livellipiù bassi registrati dal 2008 e sono ancora vicine ai limiti superiori. Ciò si verifica, inparticolare, in alcuni Stati membri con i tassi più elevati quali Bulgaria, Cipro, Grecia,Spagna, Croazia, Italia e Romania.

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mente dal 45,3% al 48,7% nell’UE-28 (47,5% e 51,5% nellaZE-18) (133).

E in questo quadro, desta specifica preoccupazione la disoccu-pazione giovanile (che a fine 2013 è al 23,1% e tocca 5,6 milioni digiovani) specie nei paesi più colpiti dal mix micidiale fatto di crisie vincoli di bilancio: Grecia, Spagna, Croazia, Italia (134), Cipro ePortogallo, a luglio 2014, hanno fatto segnare tassi di disoccupa-zione giovanile prossimi o superiori al 40%.

L’andamento preoccupante dei dati sulla disoccupazione siaffianca a quello del tasso di occupazione nell’UE-28 che, a partiredal 2008, è anch’esso negativo. Il tasso di occupazione, infatti, èdiminuito di circa 1,5 punti percentuali: da un picco nel 2008 al68,4% nel primo trimestre del 2014. Alla fine del 2014 l’area UE-28conta 227 milioni di occupati, mentre la ZE-18 ne conta 150milioni (135).

Anche i redditi delle famiglie, specie a partire dal 2011, sonodiminuiti in termini reali nell’UE-28 e nella ZE-18. Tale diminu-zione è stata accompagnata dalla diminuzione della spesa sociale,nonostante l’ulteriore deterioramento delle condizioni economichee sociali. La spesa per la protezione sociale, infatti, è un indicatorecorrelato positivamente al livello di reddito, e la sua diminuzione siè ripercossa sui redditi familiari marcatamente dal 2010 (136).

(133) Il tasso di disoccupazione di lunga durata, tra il 2010 e il 2013, nell’UE-28 èaumentato dal 3,9% al 5,1%. Fra i paesi in cui l’andamento è stato particolarmentenegativo, oltre alla Grecia e la Spagna, si segnala anche l’Italia. Al terzo trimestre 2014, iltasso di disoccupazione di lunga durata in Italia si è attestato al 7,4% in incremento dello0,9% rispetto al 2013.

(134) La situazione della disoccupazione italiana è tra le più preoccupanti e gli ultimidati sul mercato del lavoro diffusi dall’Istat, relativi al mese di marzo 2015, sono unaconferma. Dopo i cali registrati a dicembre e a gennaio e la lieve crescita a febbraio, a marzoil tasso di disoccupazione è salito ancora di 0,2 punti percentuali, arrivando al 13,0%. Neidodici mesi il numero di disoccupati è cresciuto del 4,4% (+138 mila) e il tasso didisoccupazione di 0,5 punti: dati Istat, nota informativa del 30 aprile 2015, su http://www.istat.it/it/archivio/158591.

(135) Cfr. EU Employment and Social Situation - Quarterly Review- December 2014(08 gennaio 2015), http://ec.europa.eu/epale/it/node/3754. Il tasso di occupazione in Italia,al febbraio 2015, è fermo al 60,2% ben lontano dall’obiettivo di Europa 2020, che mira adun tasso di occupazione del 75%.

(136) Secondo i dati Eurostat, dopo un picco nel 2009, dal 2011 i tassi di crescita dellaspesa sociale sono stati negativi in particolare per prestazioni e servizi in natura.

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Nonostante il volume netto delle risorse destinate alle politichedi sostegno al reddito sia aumentato, la redistribuzione dei redditiche ne è conseguita non ha generato una redistribuzione sufficientedei redditi, non registrandosi un abbassamento dei livelli di disu-guaglianza di reddito.

Impressionanti sono poi gli effetti della crisi, seppure condifferenze crescenti tra gli Stati membri, sulle persone a rischio dipovertà e di esclusione sociale che sono circa 8,7 milioni con unaumento del rischio di povertà tra la popolazione in età lavorativa(18-64 anni) (137).

E in tutto questo, la diseguaglianza è un male che continua acrescere (138).

Dalle rilevazioni dell’Agenzia europea di statistica, infatti, sidesume che i livelli di diseguaglianza nella distribuzione del redditosono in aumento in molti stati membri (139).

Il livello di disuguaglianza dal 2008, misurato dal rapportoS80/S20 è peggiorato per 16 paesi membri, con punte più signifi-cative per gli stati meridionali (140), anche se il rapporto per l’UE28 in media tra il 2010 ed il 2013 risulta stabile (il valore delrapporto è 5,2) ed è in leggera crescita nella zona euro (141).

(137) Il Progetto di relazione comune sull’occupazione della Commissione e delConsiglio che accompagna la comunicazione della Commissione sull’analisi annuale dellacrescita 2015, segnala che « tra l’inizio della crisi nel 2008 e il 2012 il numero di Europei arischio di povertà o di esclusione sociale è aumentato della cifra allarmante di 8,7 milioni,raggiungendo una percentuale del 25,1% della popolazione dell’UE-28 nel 2012 » (p. 18-19).

(138) Stiglitz, 2013, passim, il quale denuncia la progressione delle diseguaglianze intutti i paesi occidentali; v. altresì, Franzini, Granaglia, Reitano, 2015, passim, e ivi con ampiriferimenti quantitativi.

(139) FonteEurostat, http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-datasets/-/ilc_pns4(140) Il confronto tra i rapporti tra il reddito totale percepito dal 20% della

popolazione con il reddito più alto (quintile superiore) e quello percepito dal 20% dellastessa popolazione con il reddito più basso (quintile inferiore), detto anche rapportoS80/S20, offre una misura della disuguaglianza nella distribuzione del reddito (tutti i redditisono calcolati come redditi disponibili equivalenti). I livelli di diseguaglianza più allarmantisi registrano in Portogallo, Romania, Bulgaria, Italia, Spagna, Grecia, Lettonia, Lituania,tutti paesi nei quali il rapporto tra quintili di reddito si attesta oltre il 6,3. V. cfr. EUEmployment and Social Situation - Quarterly Review - December 2014 (08 gennaio 2015),http://ec.europa.eu/epale/it/node/3754.

(141) Le condizioni di disuguaglianza sono confermate anche attraverso l’indice diGini che colloca l’Italia al 9 posto fra i paesi UE28 con maggiore disuguaglianza d’assieme:v. http://noi-italia.istat.it/.

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Si aggravano, infine, la condizioni delle famiglie residenti neipaesi più colpiti dalla crisi (142)

Il quadro di sintesi viene autorevolmente rappresentato dalrecente studio su “The impact of the crisis on fundamental rightsacross Member States of the EU. Comparative analysis” (143), com-missionato dalla Commissione LIBE (libertà civili, giustizia eaffari interni) del Parlamento europeo che, con riferimento a 7paesi (144), analizza anche l’impatto delle misure di austerity suidiritti fondamentali del e sul lavoro nei diversi paesi (145). E inproposito, lo studio, evidenziata l’inadeguatezza (in generale e neisingoli paesi) della risposta alla crisi nella lotta contro la disoccu-pazione e per la creazione di posti di lavoro (punti 6.1 - 6.2.1 - 6.3- 6.4.1), segnala il forte deterioramento delle condizioni di lavoro(introduzione e punti 6.4.4), ulteriormente aggravato per i lavora-tori più “vulnerabili” (punto 6.4.7), frutto delle “riforme struttu-rali” a trazione UE.

A9. Le Alte Corti europee di fronte alla nuova governance economica:sulle (poche) tracce della tutela dei diritti sociali fondamentali.

È giudizio pressoché unanime che il disegno perseguito con lagovernance economica europea e attuato mediante i regolamenti (erelativi atti di esecuzione) e i Trattati internazionali esaminati èstato sostenuto e convalidato dal sistema costituzionale multile-vel (146), con poche seppure significative eccezioni.

Sembra quasi un paradosso ma, nonostante la compressione

(142) A fine 2014, la retribuzione netta di una persona single senza figli variava traE 3.898,66 in Bulgaria eE 38.253,84, in Lussemburgo. In Italia la retribuzione netta di unapersona single senza figli è di E 20.834,13, mentre una coppia sposata monoreddito con duefigli guadagna 24.539,93 (dati disponibili su http://ec.europa.eu/eurostat/web/labour-market/earnings/database).

(143) Lo studio è reperibile in http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2015.

(144) Cipro, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Irlanda, sono stati selezionatiperché sono stati particolarmente colpiti dalla crisi economica e hanno adottato misure inreazione ad essa.

(145) L’impatto delle misure è esaminato in relazione ai diritti concernenti istru-zione, sanità, lavoro, pensione, l’accesso alla giustizia, così come la libertà di espressione edi riunione.

(146) Cfr., per tutti, Fontana, 2014b, 3 ss.

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del welfare e dei diritti sociali e del lavoro prodotta da “riformestrutturali” funzionali agli obiettivi di tenuta del bilancio e deldebito; nonostante la situazione sociale esplosiva denunciata daanalisi quantitative e rapporti indipendenti sull’impatto delle po-litiche di austerity (par. A8), i due protagonisti (di fatto) indiscussidel controllo di legittimità della governance economica europea nonsi sono interrogati sull’effettivo rispetto della connotazione socialedell’economia di mercato da quella disegnata a margine dei Trat-tati.

Al contrario, i due protagonisti (di diritto e di fatto) indiscussidel controllo di legittimità della governance economica europea, laCorte di Giustizia e la Corte costituzionale confederale tede-sca (147), hanno sin qui affrontato questioni legate alla ipotizzatapossibilità che alcuni dei pilastri della governance potessero depo-tenziare o, addirittura, contraddire le politiche di stabilità finan-ziaria perseguite.

Il riferimento è anzitutto alla nota sentenza della Corte digiustizia nel caso Pringle del 27 novembre 2012 (148), con la qualei giudici di Bruxelles sono stati chiamati a pronunciarsi sullavalidità del Trattato MES e sulla legittimità dell’inserimento, conla decisione 2011/199/UE e mediante procedura semplificata ex art.48 TFUE, all’art. 136, del nuovo par. 3 (v. par. A7).

In proposito, fugando i dubbi del parlamentare irlandese (ilsig. Pringle), la Corte di giustizia sostiene la legittimità del Trat-tato istitutivo del MES — oltre che in relazione alle questioni più

(147) Ovviamente non è questa la sede per affrontare le delicate questioni istituzio-nali poste dalle (ripetute) decisioni della Corte costituzionale federale tedesca di pronun-ciarsi su atti e materie di competenza della Corte di giustizia. Una puntuale e severa criticanel saggio di Mayer, 2014, 111 ss., uno dei pionieri del costituzionalismo multilivello. V.tuttavia, Giovannelli, 2014, 20, il quale osserva che, per la gracilità del processi democraticieuropei, le istituzioni della RFT (e la Corte costituzionale federale, in particolare) sonodivenute protagonisti importanti del sistema costituzionale multilivello, in quanto fattori digaranzia della democraticità dei percorsi di integrazione europea. Esamina, anche in terminicomparati, le ragioni della centralità della Corte tedesca Bilancia, 2014, 5 ss. In proposito,De Martino, 2015, 5-6, osserva che il ruolo del tribunale federale costituzionale tedesco ècausa (e conseguenza allo stesso tempo) del rafforzamento del ruolo del Bundestag che sirisolve (nella “democratizzazione di un solo paese” e, quindi) in una speciale posizione disupremazia rispetto ai Parlamenti degli altri paesi, riflesso in ultima analisi di un’asimmetriamolto evidente nei rapporti di forza materiale tra gli Stati membri dell’Unione.

(148) La sentenza è stata emessa nella causa C-370/12, su domanda di pronunciapregiudiziale proposta dalla Supreme Court dell’Irlanda.

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strettamente procedurali (149) — in base alla decisa affermazioneche il meccanismo di stabilità non sconfina nel settore della politicamonetaria (150) e, quindi, non viola (come temuto) gli artt. 123 e,ancor più, l’art. 125 (no bail-out) (151) svolgendo indebite funzionidi sostegno alla sostenibilità del debito degli Stati membri.

Insomma, il MES non allenta i vincoli e gli obiettivi del Pattodi stabilità (152), costituisce piuttosto una misura di politicaeconomica « complementare del nuovo quadro regolamentare per ilrafforzamento della governance economica dell’Unione » (punto 58)che, tuttavia, non incide neanche sulla competenza riconosciutaall’Unione nel settore del coordinamento delle politiche economi-che degli Stati membri posto che questi ultimi sono competenti aconcludere tra loro un accordo per l’istituzione di un meccanismodi stabilità che supporti le rispettive politiche economiche.

Ciò che più conta, in proposito, per la Corte di giustizia è cheil MES contiene disposizioni che rispettano e garantiscono il dirittodell’Unione in quanto « la rigorosa condizionalità cui il meccanismodi stabilità subordina la concessione di un’assistenza finanziaria(...) è diretta a garantire che, nel suo funzionamento, tale mecca-nismo rispetti il diritto dell’Unione, comprese le misure adottatedall’Unione nell’ambito del coordinamento delle politiche econo-

(149) Dalla conformità al TUE della procedura semplificata seguita per integrarel’art. 136 TFUE alla legittimità dell’attribuzione nel Trattato MES di alcune funzioni allaCommissione e alla BCE nonché della competenza di decidere delle controversie attribuitadal trattato MES alla stessa Corte di giustizia (v. anche par. A7).

(150) Precluso agli Stati membri la cui moneta è l’euro posto che, ai sensi dell’art. 3.1,lett. c), TUE, la competenza nel settore della politica monetaria è esclusiva dell’Unione.

(151) La CGE, attraverso diversi passaggi argomentativi (punti 135-137) offre un’in-terpretazione dell’art. 125 TFUE coerente con il MES, nel senso che entrambi sonofunzionali ad assicurare l’“obiettivo superiore” del “mantenimento della stabilità finanziariadell’Unione europea” giacché « se l’art. 125 spinge gli Stati membri a rispettare “una politicadi bilancio virtuosa”, l’attivazione di una assistenza finanziaria (pure non vietata dalTrattato: cfr. art. 123) come quella del Mes è con quella regola compatibile, nella misura incui sia diretta a “salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso esia soggetta a condizioni rigorose ». Sul punto, cfr. Morrone, 2014, 5; cfr. Giubboni, 2013, 24.

(152) Conclusione confermata, peraltro, dal fatto che, come abbiamo visto (par. A7),condizione necessaria per accedere al MES è la sottoscrizione del Trattato Fiscal Compact.La CGE precisa che « l’obiettivo del MES è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornireun sostegno alla stabilità a beneficio dei suoi membri che già si trovino o rischino di trovarsiin gravi problemi finanziari. » (n. 110).

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miche degli Stati membri » (punto 69). In particolare, prosegue laCGE « l’articolo 13, paragrafo 3, secondo comma, del TrattatoMES prevede espressamente che le condizioni che presiedono ad unsostegno alla stabilità devono essere “pienamente conform[i] allemisure di coordinamento delle politiche economiche previste dal[Trattato FUE]”. Risulta peraltro dal paragrafo 4 dello stessoarticolo che la Commissione, prima di firmare il protocollo d’intesache definisce la condizionalità che presiede ad un sostegno allastabilità, verifica che le condizioni imposte siano pienamente con-formi alle misure di coordinamento delle politiche economiche »(punto 112).

Insomma, sostenendo che il meccanismo di stabilità costituisceun vero e proprio pilastro della governance economica europeanonostante venga istituito con un Trattato esterno all’UE, la Cortelegittima l’intervento e, con esso, il programma europeo sul qualeil MES si innesta, seppure giustificando « in modo giuridicamenteacrobatico le “fughe” dal diritto dei Trattati europei » (153).

E l’acrobazia, si coglie appieno (anche) nell’ultimo passaggiodella sentenza Pringle quando la Corte, disattendendo la richiestadel giudice remittente, ritiene che l’istituzione del MES non possapregiudicare l’articolo 47 della CDFUE (sulla garanzia della tutelagiurisdizionale effettiva). Se, infatti, il Trattato MES non investealcuna competenza specifica dell’Unione, ne deriva che esso non dàattuazione al diritto dell’Unione (ai sensi dell’art. 51.1 CDFUE)con la conseguenza che rimane esclusa in radice l’applicazione dellaCarta.

In altri termini, il MES è salvo perché deve rispettare il dirittodell’Unione ma non i diritti fondamentali dell’Unione proclamatinella Carta (154).

La “rassicurante” centralità che, nelle politiche economiche, lasentenza Pringle (in molti punti) assegna all’obiettivo della “vir-

(153) Così, Morrone, 2014, 5.(154) Come abbiamo visto, non solo le argomentazione della sentenza Pringle ma

anche (e ancor più) le stesse norme del trattato MES determinato un indissolubile legame trail trattato stesso e il diritto dell’Unione posto che l’art. 13.3 stabilisce che « Il protocollod’intesa è pienamente conforme alle misure di coordinamento delle politiche economichepreviste dal TFUE, in particolare a qualsiasi atto legislativo dell’Unione europea, compresipareri, avvertimenti, raccomandazioni o decisioni indirizzate al membro del MES interes-sato. ». Per ulteriori riferimenti v. par. A7.

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tuosità” dei bilanci, accanto alla nessuna rilevanza in essa ricono-sciuta ai diritti fondamentali e, specificamente, alla CDFUE,“parla” (155) alle preoccupazioni che agitano, in particolare, laGermania.

Infatti, è del 12 settembre 2012 (qualche settimana prima diPringle) la sentenza con la quale il Bundesverfassungsgericht, sep-pure in sede cautelare, si pronuncia sulla legittimità costituzionaledelle leggi federali di autorizzazione alla ratifica dei Trattati MESe Fiscal compact e della legge federale sulla Decisione del Consiglioeuropeo di modificazione dell’art. 136 TFUE.

Si tratta di una pronuncia che s’inserisce nel solco dei ripetutiinterventi del Tribunale costituzionale federale sul processo diintegrazione europea, maturati anche nel pieno della crisi, e con-ferma la giurisprudenza costituzionale precedente in materia (156),seppure con un passaggio innovativo di non poco conto.

Il BVerfG, infatti, ribadisce anzitutto come la Camera federalein particolare (e il Parlamento tutto in generale) sia l’organocostituzionale deputato al controllo delle decisioni del Governofederale, specie quando si tratta di vigilare sulle scelte governativedi bilancio e finanziarie che (tradotte in obblighi giuridici vinco-lanti) espongono la Federazione a gravi oneri economici.

Il Bundestag, in materia di bilancio, deve rimanere “padronedelle proprie decisioni” e, tuttavia, né l’approvazione del nuovoart. 136 TFUE, né l’adesione al Fiscal Compact (e il ruolo assegnatoalla BCE) trasferiscono competenze proprie del Parlamento

(155) Così, Besselink, 2012, 1.(156) A cominciare dalla sentenza del 1993 sulla ratifica del Trattato di Maastricht

per giungere a quella del 2009 relativa al Trattato di Lisbona fino alle sentenze in piena crisisugli atti interni di recepimento dell’assistenza finanziaria alla Grecia (No. 2 BvR 987/10,del 7 settembre 2011) e sulla disciplina dei procedimenti decisionali del Parlamento tedesconell’ambito del FESF (No. 2 BvE 8/11, del 28 febbraio 2012). In proposito, Bilancia F.,2014, 5, osserva che « la soluzione adottata ha seguito più o meno sempre il medesimoschema argomentativo, sul modello dialettico dello Ja, aber (sì, però) o, per utilizzare unoschema dispositivo più vicino all’esperienza costituzionale italiana, adottando una sorta disentenza interpretativa di rigetto. Il trattato — o altro atto sottoposto a giudizio delBVerfG — può essere considerato conforme al modello di democrazia tutelato dalla Leggefondamentale tedesca... purché non implichi una possibilità di estensione, in via interpre-tativa, dei poteri delle istituzioni europee tale da promuovere una lettura incrementale delprocesso di integrazione ».

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tedesco in materia di bilancio e, quindi, non intaccano il principiodi autonomia dei bilanci nazionali (157).

Ma, il cuore della decisione sta nella dichiarata legittimità dellalegge di ratifica del Trattato MES perché è l’occasione per ilBVerfG di (ri)affermare e rafforzare alcuni principi fondamentaliche, accanto al controllo ultra vires, devono essere sempre salva-guardati nei processi che “espongono” le finanze pubbliche tede-sche perché sono espressione della clausola di identità nazio-nale (158) e si traducono, quindi, in veri standard of review (159).

Di qui e in applicazione del principio democratico (cuore dellaclausola di identità), le espresse richieste del BVerfG di ratificare ilTrattato a condizione che vengano inserite due apposite dichiara-zioni interpretative atte a chiarire, per un verso che l’esposizioneper il MES della Germania non possa superare i 190 miliardiapprovati dal Bundestag e, per altro verso, che il Parlamentotedesco debba ricevere tutte le informazioni necessarie per garan-tire in ogni momento un corretto processo decisionale (160).

La sentenza del 12 settembre 2012, si è sottolineato, lasciaancora margini d’incertezza sul futuro di questo strumento (e dialtri simili) del processo di integrazione (161), anche perché ilBverfG fonda sul principio democratico « una limitazione giusti-ziabile all’assunzione di impegni finanziari... e (quindi) la possibi-lità di un controllo giurisdizionale volto a verificare la costituzio-nalità degli obblighi finanziari assunti a livello europeo e interna-zionale » (162).

Tuttavia, qui interessa sottolineare come, anche per la Cortecostituzionale tedesca, i Trattati MES e Fiscal Compact e, sullo

(157) Cfr., Bonini, 2012, 50.(158) Che concerne principi (come quello democratico) sottratti alla revisione costi-

tuzionale e, perciò, anche al processo di integrazione europea. Per ulteriori approfondimentisulla clausola di identità nella giurisprudenza del BVerfG v., di recente e proprio conriferimento ai temi qui discussi, Mayer, 2014, 128 ss.

(159) Ferrari Zumbini, 2013, 49.(160) Ovviamente, entrambe le richieste sono state accolte dalle Parti contraenti,

con l’aggiunta al Trattato di una dichiarazione interpretativa del 27 settembre 2012.(161) Cfr., Sciarra, 2013, 292.(162) Così, Ferrari Zumbini, 2013, 52, la quale tuttavia prosegue osservando che, con

un accorto self restraint, la Corte stempera la portata della sentenza sul punto individuandoi presupposti dell’intervento nel manifesto superamento di limiti estremi. Su questo delicatoprofilo v. Bonini, 2012, 11; Pinelli, 2014b, 7.

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sfondo, la governance economica europea evochino questioni che,dell’identità nazionale, toccano la sovranità del Parlamento nelledecisioni sulle finanze statali ma non altri profili, pure essenzialiper la clausola di identità, legati alla dimensione della tutela delladignità propria dei diritti fondamentali.

Con questo, non intendo certo passare sotto silenzio, l’osserva-zione di un’attenta dottrina secondo la quale questi strumenti diassistenza finanziaria esprimono (anche) un « originale principio disolidarietà interstatale responsabile » che è condizione e, nellostesso tempo, preludio di un processo più ampio di integrazione« verso un’unità economica non limitata ai vincoli di bilancio, maimplicante anche politiche fiscali e di protezione sociale co-muni » (163). Intendo, piuttosto, ancora una volta rimarcare l’u-nidirezionalità e la monovalorialità dello european process, tuttoproteso nella salvaguardia dei diritti fondamentali del cittadinocontribuente e dimentico di quelli del cittadino lavoratore.

In ogni caso, dopo le fondamentali sentenze del 2012, il con-fronto tra la Corte di Giustizia e la Corte costituzionale federale hadi recente fatto segnare un’altra tappa, sviluppatasi peraltro lungoi binari “ordinari” del rinvio pregiudiziale che, senza investiredirettamente la governance economica europea, si concentra sul(sempre delicato) versante delle politiche monetarie e del ruolodella BCE (164).

Ed è qui interessante notare che, pur in presenza di un primoriscontro circa il giudizio della Corte di Giustizia che supera ilsospetto di un esercizio ultra vires dell’azione della BCE con il varo

(163) Così, Morrone, 2014, 6, e, adesivamente, Caruso, 2014, 4.(164) Mi riferisco all’ordinanza del 14 gennaio 2014 con la quale il BVerfG ha

sollevato dinanzi alla CGUE un rinvio pregiudiziale circa la legittimità del meccanismoOMT (Outright Monetary transactions) alla luce del divieto di finanziamento monetario degliStati membri (art. 123 TFUE). La questione di legittimità viene sollevata, in particolare,perché l’OMT prevedrebbe l’acquisto illimitato sui mercati secondari da parte della BCE dititoli di stato di paesi che versano in difficoltà macroeconomiche gravi e accertate, seppurecontrobilanciato da una stretta condizionalità. La linea di confine tra politiche economichee monetarie è stata ripetutamente oggetto di discussione vuoi per contestare le misure diassistenza finanziaria disciplinate nel MES (viste come una modalità impropria di sostegnoall’euro), ora per contestare ora gli interventi della BCE (programmi di acquisto di titoli deldebito pubblico, come l’OMT) sia pure nel mercato secondario, nei quali si è vista unamisura di sostegno economico-finanziario (quindi, estranea ai compiti monetari e di tuteladella stabilità dei prezzi della BCE). Sulla questione per ulteriori approfondimenti Giova-nelli, 2014, 16 ss.

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del meccanismo Outright Monetary Transactions (OMT (165)), laquestione non può dirsi definitivamente chiusa visto che, nel suorinvio pregiudiziale, il BVerfG ha fatto riferimento (oltre al con-trollo ultra vires) all’identità nazionale. Quest’ultima, infatti, po-trebbe essere violata ove « La decisione sull’OMT... creasse unmeccanismo che implichi un’assunzione di responsabilità per ledecisioni di terze parti che comportino conseguenze difficili dacalcolare (cfr BVerfGE 129, 124), in modo tale che, a causa di talemeccanismo, il Bundestag tedesco non sarebbe più “padrone dellesue decisioni” e non potrebbe più esercitare l’autonomia di bilanciosotto la propria responsabilità (cfr. BVerfGE 129, 124, 132, 195) »(punto 72) (166).

Ora, tralasciando le veementi critiche per un’argomentazionedella Corte tedesca “ultra-tirata” (167), emerge ancora una voltache l’identità costituzionale tedesca viene tirata in ballo solo inrelazione a eventuali perdite per il contribuente tedesco fuori delcontrollo del Bundestag. Neppure in questo caso, c’è traccia dellapossibile incidenza di strumenti finanziari come l’OMT in termini(anche) di (positivo) sostegno ai diritti sociali fondamentali forte-mente intaccati dalla crisi economica (168).

In questo contesto che ha reso « il discorso sui diritti un flatusvocis », “marginali” e “controverse”, seppure “coraggiose”, sonostate definite (169) le sentenze dei giudici costituzionali portoghesie italiani, oltre che di alcune giurisdizioni minori (v. infra), nel

(165) L’avvocato generale Cruz Villalón, nelle Conclusioni nella causa C-62/14, PeterGauweiler e a. / Deutscher Bundestag, afferma che il programma della BCE « OutrightMonetary Transactions » è compatibile con il TFUE, seppure in linea di principio (e cioè inbase alle caratteristiche annunciate dalla stessa BCE), sottolineando come il programmastesso non sia stato ancora applicato mancando gli strumenti giuridici per attivarlo.

(166) Per un’analisi di dettaglio Bilancia F., 2014, 7 ss.(167) Cfr. Mayer, 2014, 131/132; ma v. di diverso avviso Bilancia F., 2014, 3 ss.(168) Cfr., Bilancia F., 2014, 9, che, al termine di un’analisi approfondita della

ordinanza del BVerfG del 14 gennaio 2014, osserva che sono il lavoro e i diritti sociali « ... ilpunto critico centrale, il problema che dovrebbe costituire l’oggetto delle analisi e dellepolitiche di riforma istituzionale: la gestione, in vista di un loro contenimento, degli effettidelle asimmetrie nella trasmissione della politica economica, oltre che ovviamente nellatrasmissione della politica monetaria ».

(169) Così, Morrone, 2014, 3, a commento delle sentenze dei Giudici costituzionaliportoghesi e italiani.

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silenzio (sin qui) delle altre alte Corti (170) e nella poca agibilitàdella Corte EDU che, tuttavia, quando è intervenuta ha convali-dato le misure di austerity (171). Pur in presenza di una fortecontrazione dell’auto-determinazione delle istituzioni della demo-crazia rappresentativa (172), le Corti costituzionali italiana e por-toghese, infatti, si sono prioritariamente preoccupate della tuteladel nucleo essenziale dei diritti sociali fondamentali, muovendosinel solco dei controlimiti rispetto alle norme interne di attuazione

(170) In Grecia, che (con il Portogallo) è il paese certamente più segnato dalle misureimposte nei Memorandum d’intesa per l’assistenza finanziaria (Koukiadaki, 2015; Kilpa-trick, De Witte, 2014), è sin qui intervenuto il Consiglio di Stato che, con sentenza n.668/2012, ha peraltro riconosciuto la legittimità e la proporzionalità delle misure di conte-nimento delle retribuzioni nella p.a. in ragione dell’eccezionale contingenza economica: perulteriori approfondimenti Abbiate, 2014, 533 ss.

(171) La Corte Edu è intervenuta due volte. La prima (sentenza Koufaki e Adedy c.Grecia del 7 maggio 2013) sulle misure greche di contenimento delle retribuzioni deidipendenti pubblici e la seconda (sentenza Da Conceicaoã Mateus c. Portogallo dell’8 ottobre2013) sulle misure portoghesi di riduzione dei diritti pensionistici. In entrambe le occasioni,esclusa la sussistenza di una privazione dei diritti tale da comportare una perdita dei mezzidi sussistenza, la Corte ha riconosciuto agli Stati, in presenza della grave crisi, un’ampiapossibilità di intervento per perseguire obiettivi di risanamento con misure incidenti (anche)sui diritti sociali. Per un’analisi più approfondita di queste pronunce v. Borrelli, 2014, 365ss.; Ricci, 2014, 20. In proposito, peraltro, non va dimenticato che la Corte EDU (mancandonorme a tutela dei diritti sociali nella CEDU) interviene sui diritti sociali attraversoun’interpretazione estensiva dei property rights che esprime la sua maggiore efficacia (nellatutela di tali diritti) quando opera in combinato disposto con l’art. 14 CEDU (divieto didiscriminazione) e, quindi, sul piano della ragionevolezza e proporzionalità nel grado diattribuzione/negazione del diritto. Il sindacato della Corte EDU, infatti, « non attiene maial merito della decisione sull’attribuzione della titolarità dei diritti sociali, la quale spettaallo Stato in assenza di obblighi convenzionali specifici. Tuttavia, una volta che taledecisione sia stata assunta, le autorità nazionali non possono escludere alcuno dal godimentoin assenza di un equo processo, né possono discriminare irragionevolmente tra i potenzialibeneficiari. »: così, Romeo, 2011, 501. V. tuttavia, proprio sul punto, Bronzini, 2015, 21, che(all’esito di un approfondito excursus sull’approccio casistico della Corte EDU) segnalaopportunamente come, stante la mancanza di una dimensione sociale della CEDU e lamarginalità della Carta sociale europea, risulta « estranea all’orizzonte ermeneutico delgiudice ordinario o costituzionale di paesi come il nostro ed anche della stessa Corte digiustizia » l’operazione di « tutelare il nucleo di un diritto sociale come riflesso di un dirittodi proprietà o di credito.... (specie) in presenza di problemi di bilancio o di ristrettezza dirisorse ».

(172) V. sul punto Ciolli, 2012a, 1 ss. e ivi per ampi riferimenti alla situazione dialcuni paesi europei come Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e di quella particolarmentegrave di Grecia e Cipro.

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delle prescrizioni della governance economica europea, seppure conesiti differenziati.

In particolare, rinviando a più avanti l’esame analitico circa lacollocazione (in relazione a questo contesto) della nostra Cortecostituzionale, spiccano le ripetute sentenze del Tribunal Constitu-cional che si pronuncia sulle leggi di bilancio del 2013 e del 2014 (esu altri provvedimenti di attuazione), sancendo in alcuni casil’illegittimità delle riduzioni imposte a stipendi (pubblici) e pen-sioni, quasi sempre per violazione del principio di eguaglianzaproporzionale (173).

Peraltro, va rimarcato che il giudice costituzionale portogheseinterviene dopo che su due ordinanze di rinvio pregiudiziale (circala compatibilità con la CDFUE di alcune misure di riduzione deisalari e delle ferie dei lavoratori del settore pubblico contenutenelle legge di bilancio portoghese), la CGE aveva dichiarato lapropria incompetenza in quanto « la decisione di rinvio non conte-neva alcun elemento concreto che consentisse di ritenere che dettalegge fosse intesa ad attuare il diritto dell’Unione » (174). Su questeordinanze avremo modo di soffermarci (v. par. B8).

Tornando, invece, ai (conseguenti) pronunciamenti del Tribu-nale costituzionale portoghese, emerge per la sua lunga e argomen-tata motivazione, la sentenza n. 187/2013 del 5 aprile 2013, nellaquale il taglio agli stipendi dei pubblici dipendenti — ritenutogiustificato e non irragionevolmente diversificato rispetto al man-cato intervento sul lavoro privato — viene giudicato sproporzio-nato nel suo ammontare, mentre sono fatti salvi il contributostraordinario di solidarietà e gli interventi restrittivi sulle pensioni.E in proposito va segnalato il passaggio argomentativo nel quale ilTribunale, premesso che « gli accordi internazionali si rispette-ranno fintanto che... » (175), afferma che occorre trovare « uncompromesso orientato verso l’integrazione: le misure di austerità

(173) Sciarra, 2014, 14 ss., la quale mette in evidenza il cambio di rotta dei giudicicostituzionali portoghesi (che nel 2011 avevano rigettato analoga questione di legittimitàcostituzionale) in presenza di un’ingiusta ripartizione dei sacrifici.

(174) Il riferimento è all’ordinanza 7 marzo 2013 causa C-128/12 e all’ord. 26 giugno2014 C-264/u2012 entrambe su rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE del Tribunal dotrabalho di Porto nell’ambito della controversia introdotta dal sindacato dos Bancários, conriferimento a misure, adottate in Portogallo con la legge finanziaria per il 2012, « durante lavigenza del programma di assistenza economica e finanziaria (PAEF) ».

(175) Con una formula, quindi, che riprende il modello del BVerfG.

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sono necessarie, ma non possono ledere i diritti inviolabili ed iprincipi supremi dell’ordinamento, per tale ragione suggerisce “ag-giustamenti” al legislatore interno, tali da rendere la norma legit-tima tanto a livello costituzionale, quanto comunitario » (176).

Sulla stessa scia si pongono altre (tre) sentenze del TribunalConstitucional pronunciate nel 2014, sempre con riferimento aprovvedimenti che, lo stesso Tribunale, ritiene adottati per farfronte agli impegni internazionali conseguenti all’appartenenza delPortogallo all’Unione europea e all’adozione dei programmi diassistenza finanziaria (PAEF e MESF), assistiti dai relativi memo-randum contenenti indicazioni per interventi di riduzione di retri-buzioni e pensioni (177).

Anche in tali pronunce il Giudice costituzionale portoghese,salvaguardati gli obiettivi di controllo della spesa pubblica e diriduzione del deficit imposti dai memorandum, in virtù del caratterevincolante delle norme di diritto primario e derivato dell’Unione,afferma che, tuttavia, i mezzi (vincolanti o meno che siano) perraggiungere questi obiettivi non sono affatto immuni dal sindacatodi legittimità costituzionale.

Precisa, infatti, il Tribunal Constitucional che anche se « ... lenorme adottate o che devono essere adottate dal legislatore nazio-

(176) Per un commento alla sentenza n. 187/2013 (con riferimenti anche alla sen-tenza interlocutoria n. 353/2012 del 5 luglio 2012), v. Salvino, 2013; Abbiate, 2013; MonteiroFernandes, 2013, 343 ss. In proposito, particolarmente critico il commento di Coelho e Carode Sousa, 2013, 533 ss., i quali ritengono (senza mezzi termini) che il Tribunal Constitutionalabbia preso posizione rispetto alle scelte di governo, sconfinando in valutazioni (e decisioni)di natura politica.

(177) Il riferimento è anzitutto alla sentenza del 30 maggio 2014 n. 413/2014, relativaalla questione di legittimità costituzionale di taluni articoli della Legge n. 83-C/2013 cheapprova il bilancio dello Stato per il 2014, nella quale Il Tribunale ha dichiarato incostitu-zionali tre dei quattro articoli sottoposti alla propria cognizione: (a) l’articolo 33, cheprevedeva un’ulteriore riduzione delle retribuzioni mensili dei dipendenti pubblici oscillantetra il 2,5% ed il 12% a partire da un salario lordo di euro 675; (b) l’articolo 115, cheassoggettava i sussidi per malattia e disoccupazione a un contributo pari, rispettivamente,al 5% ed al 6% e (c) l’articolo 117, sulla ridefinizione dei metodi di calcolo e sulla riduzionedelle pensioni di reversibilità. Accanto a questa vi sono poi le sentenze del 14 agosto 2014n. 574/2014 e n. 575/2014, con cui il Tribunale è stato chiamato a pronunciarsi su un ricorsopreventivo di costituzionalità promosso dal Presidente della Repubblica sulle disposizionidei Decreti 264/XII e 262/XII, contenenti (a) la revisione del metodo di rivalutazioneannuale delle pensioni e la riduzione temporanea delle retribuzioni totali lorde mensili deilavoratori del pubblico impiego; (b) l’introduzione di un contributo di solidarietà sullepensioni erogate dal sistema previdenziale pubblico.

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nale al fine di perseguire gli obiettivi sopra citati si devono con-formare alle norme dell’Unione europea, (ciò) non ha conseguenzeriguardo all’applicazione delle disposizioni costituzionali. Al con-trario, in un sistema costituzionale multi-livello, nel quale si inte-grano vari ordinamenti giuridici, le norme interne devono neces-sariamente conformarsi alla costituzione. Inoltre, proprio il dirittodell’Unione europea stabilisce che l’Unione rispetta l’identità na-zionale dei suoi Stati membri, riflessa nelle strutture politiche ecostituzionali di ciascuno di essi... ».

In questo modo, e specie in questi ultimi passaggi argomenta-tivi, il Giudice costituzionale portoghese — piuttosto che imbrac-ciare l’arma dei controlimiti — sembra farsi interprete e attuatore(anche) dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo unmodello di costituzionalismo multilevel che, in verità (come ve-dremo), sembra piuttosto appannato a beneficio del primato (as-soluto) del diritto dell’Unione (v. par. B8).

Nello stesso solco del Tribunal Constitucional portoghese sipone, infine, l’emblematica pronuncia del Tribunale Superiore diGiustizia di Castilla-La Mancha, Camera Amministrativa, cheopera il bilanciamento necessario tra politiche di austerity e dirittifondamentali della persona, dando particolare risalto (e rilievo)alle concrete situazioni in atto. Il Tribunale, infatti, su ricorso diun Comune, dispone il ripristino dei servizi continuativi e di prontosoccorso, già sospesi per effetto di un provvedimento di ristruttu-razione dei servizi sanitari di emergenza (adottato dal Governodella Comunità autonoma di Castilla-La Mancha) che, lo stessotribunale, ritiene espressione del « mandato costituzionale di sta-bilità fiscale, ai sensi dell’art. 135 della Costituzione spagnola,modificato nel 2011 e attuato dalla legge organica 2 del 27 aprile2012 » (178).

La lettura della sentenza, consente di cogliere, come si antici-pava, la rilevanza determinante assegnata all’esame dalla concre-tezza della situazione in cui versano i servizi sanitari, frutto dellaconvinzione del giudice che debba essere questo esame (e nonastratti e aprioristici indirizzi) a orientare il (necessario) bilancia-mento tra diritti fondamentali e vincoli finanziari, tenendo conto

(178) Per un commento a questa sentenza v. Bergo, 2013a, 3 ss.

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in ogni caso del valore della dignità umana che non può mairecedere rispetto a ragioni economico-finanziarie (179).

Quest’ultimo passaggio, peraltro, è opportunamente enfatiz-zato da quella (attenta) dottrina che, pur apprezzando la chiarezzacon cui i giudici spagnoli argomentano in ordine al rapporto fraesigenze di rigore finanziario e diritti fondamentali, auspicaun’evoluzione che consenta di fondare tali pronunce e la tuteladella dignità della persona sul diritto europeo e, in particolare,sulla CDFUE: anche se « fin quando ciò non avverrà tali pronuncedovranno fondarsi sui principi costituzionali » (180).

Il tema, evidentemente, è quello, centrale, dei diritti fonda-mentali e della loro tutela rispetto alle misure anti-crisi con mo-dalità che, pur senza tralasciare la tecnica dei controlimiti (v.infra, par. B2), siano capaci di coinvolgere pienamente il dirittodell’Unione anche su questo piano valoriale. Deve, infatti, rima-nere centrale l’osservazione che, come abbiamo (ritengo) dimo-strato, il diritto dell’Unione si è formalmente intestato le politichee gli interventi di bilancio e, insieme a essi, le stesse “riformestrutturali”, richieste e sostenute dai regolamenti UE solo secapaci di « generare benefici finanziari diretti a lungo termine... eche pertanto abbiano un impatto quantificabile sulla sostenibilitàa lungo termine delle finanze pubbliche » ovvero di « garantire unacorrezione effettiva e duratura del disavanzo eccessivo » (181).

Vedremo più avanti come sia proprio questa osservazione adaprire una prospettiva di maggiore coinvolgimento della CDFUEnella tutela dei diritti fondamentali incisi dalle politiche e dalleriforme strutturali frutto della governance economica europea. Epartendo proprio dal caso Italia.

(179) In proposito, il Tribunale afferma che « se da un lato è inevitabile l’attuazionedi un piano di razionalizzazione della spesa sanitaria nell’area di Castilla-La Mancha, ingrado di eliminare « la maggior parte di questo deficit che aveva messo in pericolo lacontinuità stessa del SESCAM »; dall’altro lato è necessario che « nessuna delle misureadottate (dalla razionalizzazione di alcune strutture sanitarie, all’eliminazione dei rimborsieccessivi; dalla riduzione del costo del personale, all’introduzione di ticket per i farmaci,ecc.), tra cui la chiusura di assistenza continuativa e di Pronto Soccorso, costituiscano unrischio non accettabile per i cittadini ».

(180) Così, Mone, 2014, 28.(181) Così, rispettivamente, artt. 5 e 9 reg. UE 1175/2011 e art. 9.1, reg. UE n.

473/2011 (v. parr. A5 e A8).

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B1. I vincoli europei nell’ordinamento interno: premessa

È giunto, quindi, il momento di cogliere l’esatta dimensione eprofondità dell’impatto nel nostro ordinamento dei vincoli, deiprovvedimenti e delle prescrizioni dell’Unione per contrastare lacrisi.

In proposito, non è forse superfluo rammentare il fecondodibattito circa la configurabilità, prima ancora che lo specificocontenuto, di una Costituzione economica quale parte della nostralegge fondamentale; un dibattito che ha messo in evidenza come ilnucleo essenziale della disciplina dei rapporti economici sia conte-nuto nei principi fondamentali della Carta che “conformano” edanno senso alle disposizioni del successivo titolo III (sui Rapportieconomici).

È nella prima parte della Costituzione, infatti, che si trova latrama fondamentale, l’ordito che tutto tiene, dando il senso di uncorpus unitario, costituito dalla persona umana, dotata di incom-primibile dignità e di irripetibile originalità, posta al centro del-l’universo giuridico (182) e che, nella sua immancabile e intrinsecareciprocità, si definisce anche come principio inseparabile da quellosolidarista (183). D’altro canto, lo stesso principio lavorista affer-mato nell’art. 1 cost. e rafforzato dal co. 2 dell’art. 4, manifesta unnesso indissolubile con il principio personalista considerato che illavoro è il « tramite necessario per l’affermazione della persona-lità » (184).

Ed è proprio questa intrinseca compenetrazione espressa dal-l’uomo che lavora, questa indissolubile continuità tra la persona e

(182) Cfr. Ruggeri, Spadaro, 1991, 343 (che parlano di valore supercostituzionale);Silvestri, 2009, 85 ss. (che la definisce criterio per il bilanciamento insuscettibile perciò diesserne l’oggetto); e, di recente, D’Andrea, 2014, 6, e ivi per ulteriori riferimenti.

(183) Sul punto, Ruggeri, 2013, 11 ss. e ivi per ampi riferimenti. V. altresì sulrapporto tra ragioni economiche e dignità umana Veneziani, 2011, 257 ss.; Lieto, 2013, 3 ss.

(184) Mortati, 1975, 157, che coglie così un punto essenziale del precetto costituzio-nale, poi sempre confermato. V., in proposito, il quadro generale di Loy, 2009, 197 ss.. V.altresì, Carlassare, 2012 (che, proprio riferendosi a Mortati, parla di valore dignitario dellavoro) e Rodotà, 2012, 183 ss., il quale ripercorre il cammino costituzionale della dignità ene afferma il valore essenziale (perché inseparabile dalla persona: art. 1 cost.) destinato adaffermarsi (insieme con la libertà) nel lavoro (artt. 1 e 13 cost.), dentro un intreccio cherappresenta l’« antropologia della modernità giuridica » (p. 189). Di “centralità antropolo-gica”, “etica” ed “economica” del lavoro parla anche Luciani, 2010, 642.

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il lavoro, a richiedere un ruolo attivo dello Stato (185) che ri-guarda, certo, le garanzie dei diritti dei lavoratori (specificata-mente subordinati ex artt. 36 e 40 Cost., ma non solo ex artt. 1 e 4)e la salvaguardia degli strumenti di autotutela individuale e col-lettiva, ma si spinge anche oltre, investendo ambiti di interventovariamente legati ai “fallimenti di mercato” e miranti al sostegnodella crescita e, specificamente, dell’occupazione (186).

Bastano questi pochi richiami per dare conto del perché, lagerarchizzazione delle politiche economiche attorno al nucleo durodi regole e prescrizioni su pareggio di bilancio e contenimento deldebito e sui percorsi a tappe forzate per raggiungerli, è apparsa inevidente distonia con l’architettura valoriale disegnata nella no-stra costituzione (187) il cui « fine è sempre e solo il soddisfacimentodei diritti della persona, non mai l’efficienza economica in sé e persé » (188) e che, in ogni caso, nella ponderazione tra esigenze distabilità finanziaria e diritti sociali non assegna a questi ultima unaprecostituita natura strumentale e recessiva rispetto alleprime (189).

Viceversa, nonostante le previsioni dei trattati dopo Lisbona(v. par. A1), nel sistema regolativo consegnatoci dalla governanceeconomica, caratterizzato — in un contesto istituzionale di monetae di mercato unici — da così forti vincoli e interdipendenze nellagestione delle risorse e della spesa pubblica discrezionale, il lavoroe i diritti sociali cessano di essere trattati come elementi fondantidella connotazione identitaria dello Stato e, quindi, delle suepolitiche economiche e “finiscono per essere assunti e trattati comeun problema di mera mobilitazione dei fattori produttivi al fine di

(185) Cfr. Bilancia P., 2014, 4-5.(186) Cfr. Andreoni, 2006, 91 ss.; D’Andrea, 2014, 7 ss., e ivi per un recente e

approfondita analisi dei diritti sociali fondamentali nel contesto della “costituzione econo-mica”.

(187) In proposito, Zagrebelsky, 2013, passim, denuncia il rovesciamento del ruolodel principio lavorista che da orientare si trova (al pari della politica) a dipendere dall’eco-nomia, specie finanziaria; cfr. anche Bilancia P., 2014, 4-5, la quale imputa questo rove-sciamento alla costituzione economica europea, contrapposta a quella italiana, con unavisione, tuttavia, non condivisibile, quantomeno dopo il trattato di Lisbona.

(188) Così, Luciani, 1994, 104; Mone, 2014, 23.(189) Cfr. Salazar, 2013, 6 ss., sul percorso della Corte costituzionale prima e durante

la crisi.

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contrastare gli squilibri finanziari in atto” (190). Insomma, èproprio questo impatto sui sistemi nazionali di diritti del lavoro edella sicurezza sociale a essere imputato alle « policies that are moreor less directly attributable to the pervasive deployment of the neweconomic governance of the crisis » (191).

B2. La Corte costituzionale tra vincoli di bilancio e difesa della“identità costituzionale”: la tecnica dei controlimiti (e i suoilimiti).

Ben si comprende, allora, perché, con il progressivo rafforza-mento della strategia europea del Fiscal Compact associata alleriforme strutturali di rivisitazione dei diritti individuali dei lavo-ratori in attuazione del modello della flessicurezza (v. infra), ècresciuta la sollecitazione della dottrina a una rilettura di questipercorsi del diritto europeo e internazionale attraverso il filtro deiprecetti della Carta costituzionale così da attivare un’adeguatareazione alla “caduta di prescrittività” della legge fondamentaleovvero al rischio di esprimere, di fronte alla crisi economico-finan-ziaria, una “normatività ineffettiva” (192).

In proposito, viene naturale evocare una rilettura della Gover-

(190) Bilancia F., 2014, 10. Nello stesso ordine di idee Perulli, 2012, 584, per il qualela pressione del sistema neoliberista sul diritto del lavoro mira a « ridurre la sua complessitàqualitativa per approdare a una sorta di semplificazione normativa basa sulla riduzione deldiritto a un sistema di prezzi » rispondente, perciò a sistema nel quale « l’economia... èdiventata principio ordinatore della società civile ». In proposito sembra riecheggiare lasevera critica di Rodotà, 2012, 189, alla « gestione industriale degli uomini » additata comeil segno del salto indietro nel tempo imposto dalla logica di mercato in nome dellaproduttività e degli imperativi finanziari.

(191) Così, Giubboni, 2015, 15.(192) Così, Morrone, 2014, 7, e ivi per più ampi riferimenti bibliografici. In questa

direzione, e già con riferimento alla sentenze della Corte di giustizia sull’equivalenzagerarchica tra diritti fondamentali e libertà economiche, Carabelli, 2011b, 1428 ss. il qualeriteneva tale equivalenza in contrasto con l’assetto della nostra Carta costituzionalesollecitando il ricorso alla teoria dei controlimiti. Tutt’altra prospettiva in Bifulco, 2014, 15,il quale inverte la prospettiva e piuttosto che di fenomeni di erosione del diritto costituzio-nale parla di denazionalizzazione del diritto costituzionale nel contesto di emersione di unnuovo tipo di ordinamento (l’esplicito riferimento è all’insegnamento di Santi Romano)basato su di un concetto descrittivo e non prescrittivo di costituzione. In questo contestopuò essere meglio letto il fenomeno dei Trattati espressione di un meccanismo di gerarchiz-zazione delle fonti, proprio dei processi di costituzionalizzazione (nel senso indicato).

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nance economica europea che (al pari di quella ripetutamenteavanzata dalla Corte costituzionale federale tedesca: v. par. A9) sisvolga alla luce della nostra clausola di identità costituzionale (193)nella quale, come si è ricordato, trovano posto proprio i dirittifondamentali (individuali e sociali) legati alla persona che lavora.È del tutto evidente, infatti, che siamo a un cambio di versorispetto alla fase dell’integrazione “aperta” posto che in quellaattuale « sono i principi fondativi dei singoli stati membri ad averebisogno di tutela da parte dei giudici interni » (194).

E, con riferimento a questi principi fondativi, la Corte costi-tuzionale ha ripetutamente affermato che, anche quando si operaentro un sistema “monistico” fondato sul primato del dirittoeuropeo, occorre tenere « ferma la garanzia che... l’esercizio deipoteri normativi delegati all’Unione europea trova un limite esclu-sivamente nei principi fondamentali dell’assetto costituzionale enella maggior tutela dei diritti inalienabili della persona » (195).Garanzia che diventa ancor più estesa quando al vaglio sono lenorme internazionali convenzionali come la CEDU il cui impattonell’ordinamento interno non deve ledere alcun precetto costitu-zionale (196).

Il riferimento, quindi, è ai c.d. controlimiti e al ruolo primarioche essi assegnano ai giudici interni, preso atto nel frattempo della“derubricazione” operata dalla Corte di giustizia dell’art. 53 dellaCarta dei diritti fondamentali (197) che, nell’attuazione del diritto

(193) Prendo lo spunto dal libro di Vecchio, 2012, che, peraltro, parla opportuna-mente al plurale delle nostre “identità costituzionali”.

(194) Così, Mone, 2014, 6.(195) Così, Corte cost. n. 227/2010 che richiama, quali precedenti conformi, pe

proprie sentenze n. 102 del 2008, n. 284 del 2007, n. 169 del 2006; ma già Corte cost. n.170/1984.

(196) In proposito, si v. la sentenza n. 264 del 2012 quando la Corte costituzionaleinterviene disapplicando una sentenza della Corte di Strasburgo interpretativa dell’art. 53della CEDU (in base al quale « l’interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicarelivelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali »), affermando che « il rispettodegli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispettoa quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituirestrumento efficace di ampliamento della tutela stessa ». Sul rapporto tra ordinamentointerno e Cedu con specifico riferimento al principio della massima espansione delle garan-zie, v. Dickmnn, 2013. Sul tema, comunque, torneremo più approfonditamente nel pa.fo A8.

(197) Sull’art. 53 della Carta dei diritti fondamentali che recita: « Nessuna disposi-zione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti

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europeo, « non impedisce che gli standard nazionali siano fatti salvipurché ciò non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta(come interpretato dalla Corte), né il primato, l’unità e l’effettivitàdel diritto dell’Unione » (198).

E, quasi a dare sostanza a questa spinta verso un rinnovatoruolo dei giudici interni, arriva la sentenza della Corte costituzio-nale n. 384 del 22 ottobre 2014 (199). Si tratta di una pronuncia

dell’uomo o delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione,dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali dellequali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare laconvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,e dalle costituzioni degli Stati membri” erano state riposte ».

(198) Il riferimento è a CGE 26 febbraio 2013, causa C-399/11 Melloni, Si tratta,come noto, di una pronuncia conseguente al primo caso nel quale la Corte costituzionaleitaliana ha sottoposto alla Corte di giustizia una questione che concerne direttamente lapotestà degli Stati membri di far valere ‘controlimiti’, in materia di tutela dei dirittifondamentali, rispetto agli obblighi di adeguamento dell’ordinamento nazionale al dirittoUE. I giudici di Lussemburgo, tuttavia, hanno risposto in maniera netta affermando chel’art. 53 CDFUE non consente agli Stati di rifiutarsi legittimamente di eseguire i propriobblighi europei, adducendo che tale esecuzione comporterebbe a sua volta la violazione deidiritti fondamentali, così come riconosciuti nell’ordinamento nazionale, perché ciò pregiu-dicherebbe il principio del primato del diritto dell’Unione. Insomma, se il diritto UErispetta i diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali, lo Stato membronon può rifiutare di adempiere gli obblighi che ne derivano, nemmeno nell’ipotesi in cui taliobblighi risultino in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dal proprio ordinamentocostituzionale. La sentenza Melloni è stata individuata dalla dottrina come un’occasionepersa per la comunitarizzazione dei controlimiti, v. Ruggeri, 2013, passim; v. Iacometti,2013, 17; Mone, 2014, 26.

(199) Il Giudice delle leggi interviene sulla questione della carenza di giurisdizionedel giudice italiano in relazione alla domanda di risarcimento dei danni da crimini control’umanità commessi, iure imperii, da uno Stato straniero (Germania) in Italia, durante laseconda guerra mondiale. La carenza di giurisdizione italiana in favore di quella tedesca(che, peraltro, aveva negato il diritto al risarcimento dei danni) era stata affermata da unapronuncia del 3 febbraio 2012 della Corte internazionale di giustizia — vincolante nel nostroordinamento (ex art. 94 Statuto ONU recepito con l. n. 848/1957) — e dalla l. 14 gennaio2013 n. 5 (adesione dell’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giuri-sdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004) che all’art. 3ha obbligato il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG. Con la sentenza n.384/2014, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità sia dell’art. 3 l. n. 5/2013 sia dell’art. 1,l. 848/1957, limitatamente all’esecuzione dell’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, perchécontrastanti con il principio fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti fondamen-tali assicurata dal combinato disposto degli artt. 2 e 24 Cost. Qui, peraltro, la conferma dellavia già indicata dalla Corte cost. con la sentenza n. 311/2009 in base alla quale il contrastodella norma internazionale con la Costituzione « esclude la sua idoneità ad integrare il

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“storica” perché, pur concernendo un caso regolato dalle fontiinternazionali e non il diritto europeo, mette a fuoco sul pianogenerale la tecnica dei controlimiti, categoria piuttosto sfuggentedel nostro ordinamento, sotto il cui ombrello convergono « i fram-menti di un lessico vario, distribuiti in segmenti giurisprudenzialicollocati in un arco temporale molto ampio e in settori materialidiversi. » (200).

Afferma con grande chiarezza la Consulta che « Non v’è dub-bio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, chei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i dirittiinalienabili della persona costituiscano un “limite all’ingresso [...]delle norme internazionali generalmente riconosciute alle qualil’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10,primo comma della Costituzione” (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73del 2001) ed operino quali ‘controlimiti’ all’ingresso delle normedell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n. 170del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre checome limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Late-ranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n.30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementiidentificativi e irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, perciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988) » (201).

Insomma, dopo ampie discussioni assistite da una casisticapressoché nulla, la Corte costituzionale appresta uno strumentoche fornisce precise risposte alle tecniche di reazione avversoviolazioni dei diritti fondamentali consacrati nella Carta costitu-

parametro dell’art. 117, primo comma, Cost. » e, pertanto, « non potendosi evidentementeincidere sulla sua legittimità, comporta (...) l’illegittimità (...) della legge di adattamento(sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

(200) Così, efficacemente, Faraguna, 2014, 2.(201) Punto 3.2 in diritto. Si tratta di una proposizione generale che coordina e

riassume gli indirizzi via via espressi nelle proprie sentenze e che, non a caso, viene ripresapiù avanti nella stessa sentenza dove si afferma che « Anche in una prospettiva di realiz-zazione dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principidi pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art. 11Cost.), il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazio-nale e sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) è costituito, come questa Corte ha ripetutamenteaffermato (...), dal rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo,elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale. » (punto 3.4, in diritto).

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zionale non solo quando provenienti dalle fonti primarie e/o daldiritto derivato, ma anche nel caso esse si concretizzino nell’inter-pretazione e nell’applicazione di tali fonti da parte di sentenzeemanate dalle giurisdizioni competenti (202).

Non a caso, proprio perché viene in discussione non il rapportotra giurisdizioni ma, piuttosto, la relazione tra ordinamenti, il giu-dice delle leggi ha ripetutamente affermato che si tratta di materiaper la quale è esclusa la competenza del giudice ordinario (203) postoche la declaratoria di un contrasto tra disposizioni comunitarie eprincipi fondamentali o diritti umani, anche se limitata a uno spe-cifico aspetto o questione (204) innesca un inevitabile momento ditensione tra ordinamento italiano ed europeo (205).

(202) Nel caso deciso da Corte cost. n. 384/2014, la pronuncia di incostituzionalità,non potendo attingere direttamente le fonti internazionali (sentenza n. 232/1898), investe lenorme del nostro ordinamento (art. 3, l. n. 5/2013 e art. 1, l. n. 848/1957) nella parte in cuirendono vincolante per l’ordinamento interno (non le sentenze ma) quella specifica sentenzadella Corte di giustizia internazionale (3 febbraio 2012) che ha stabilito, in coerenza con l’art.94 dello Statuto ONU (e in attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunitàgiurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004), la carenzadi giurisdizione del giudice italiano. L’interesse, quindi, sta proprio nel fatto che la pronunciarimuove gli effetti di una decisione adottata da una giurisdizione internazionale nell’eserciziodelle competenze ad essa affidate dal consesso internazionale, Italia inclusa.

(203) Cfr., da ultimo, Corte cost. n. 384/2014, sopra citata, che rinvia espressamente(punto 3.4, in diritto) alla sentenza n. 284/2007; ma già negli stessi termini Corte cost. n.129/2006, nonché l’ordinanza 28 dicembre 2006, n. 454. In dottrina, v. Villani, 2008, 1321.La Consulta smentisce il Consiglio di Stato che, con la sentenza 8 agosto 2005, n. 4207, avevainvece riconosciuto la propria competenza (nel conflitto tra una disposizione del TrattatoCE con una norma italiana oggetto di sentenza additiva della Corte costituzionale) e, inapplicazione dei controlimiti, aveva rigettato la richiesta della disapplicazione in quanto lanorma della legge italiana assumeva matrice costituzionale. Sul punto, per tutti, Di Seri,2005, 3408; Capuano, 2006, 241 ss.; Adinolfi, 2006, 139 ss. e, ivi, per ulteriori riferimenti.

(204) Può ormai considerarsi superato il rischio che ogni contrasto comporti l’effettoradicale e traumatico dell’uscita del Paese dall’Europa (secondo quanto a suo tempoaffermato da Corte cost. 3 ottobre 1997, n. 9653) con conseguenti (e altrettanto rischiosi)effetti paralizzanti sulle decisioni della stessa Corte. Infatti a partire dalla sentenza del 21aprile 189, n. 232, la Corte costituzionale ha definito l’oggetto del proprio giudizio checonsente di sindacare la “specifica” violazione di un diritto fondamentale da parte di unospecifico atto europeo: così, Villani, 2014, 1312.

(205) Questa competenza esclusiva, secondo Villani, 2008, 1321, quantomeno conriferimento alle disposizioni direttamente applicabili, non altera « la priorità logico-giuridicadella pregiudiziale comunitaria rispetto alla pregiudiziale costituzionale », con la conse-guenza che, prima di rimettere la questione innanzi alla Corte costituzionale, il giudiceordinario dovrà valersi del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Si tratta di una soluzione

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Nel complesso, l’intenso dibattito innescato dalla sentenza n.384/2014, pur a fronte di opposte valutazioni (206), lascia emergerela tendenza a ritenere aperta una nuova fase, un nuovo capitolo neirapporti tra ordinamento interno e ordinamenti sovranazionali cheassegna alla Carta costituzionale il ruolo di garante di ultimaistanza, di frontiera resistente rispetto alla deminutio dei dirittifondamentali conseguente al primato del diritto internazionale.

E tuttavia, si tratta di una frontiera chiamata a operare in pre-senza di una gravissima lesione dei diritti fondamentali, tale da tra-dursi nella loro negazione “quasi” assoluta posto che, sostiene laCorte, l’appartenenza a una comunità internazionale e al suo ordi-namento ammette la possibilità di un « minimo sacrificio » di talidiritti (e, quindi una sorta di bilanciamento) con il limite, comunqueinsuperabile, riveniente dalla dignità della persona; quando entra incampo, infatti, « la dignità non soggiace, né può mai soggiacere, abilanciamento alcuno, ponendosi piuttosto quale la “bilancia” sulla

discutibile (salvo a ritenere che la pronuncia richiesta alla Corte di giustizia vada nel sensodi chiarire l’esatto significato della normativa comunitaria ai fini del successivo giudiziosulla sussistenza, o meno, di un possibile conflitto da rimettere alla Consulta) e che, in ognicaso, non può essere certo posta in essere quando la questione dell’applicabilità deicontrolimiti consegua proprio all’interpretazione del diritto europeo da parte della Corte digiustizia (Villani, 2008, 1322). Ciò del resto, si evince dalla stessa giurisprudenza della Cortecostituzionale quando afferma che il rinvio pregiudiziale « non è necessario quando ilsignificato della norma comunitaria sia evidente, anche per essere stato chiarito dallagiurisprudenza della Corte di giustizia, e s’impone soltanto quando occorra risolvere undubbio interpretativo » (sent. n. 28/2010).

(206) In termini sostanzialmente adesivi, seppure con talune riserve in ordine al-l’inadeguata applicazione del principio del bilanciamento, Gradoni, 2014, passim; De Sena,2014, passim, secondo il quale la sentenza n. 384/2014 è conforme agli orientamenti inmateria posto che « Nel caso di un conflitto fra discipline di diritto internazionale generalee valori costituzionali fondamentali, attinenti alla stessa identità di fondo del nostroordinamento costituzionale... alle suddette discipline neppure è consentito entrare nell’or-dinamento italiano (“dualisticamente” parlando: neppure si formano norme di adattamentoaventi il medesimo contenuto di tali discipline, in ragione del meccanismo predispostodall’articolo 10) ». Molto critica, invece, la posizione di Guarino, 2014, 9 ss., per il quale lasentenza contraddice i fondamenti propri (di ogni ordinamento e, quindi, anche) dell’or-dinamento internazionale, della certezza del diritto e dall’eguaglianza dei soggetti davantialla legge e « tocca il massimo punto di lontananza, anzi di separazione orgogliosa (oarrogante?) tra l’ordinamento internazionale e l’ordinamento interno » (p. 17). Agli artico-lati commenti di questa importante sentenza è dedicata parte del fascicolo di QuestioneGiustizia n. 1/2015, reperibile in www.questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2015-1.pdf.

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quale si effettuano le ponderazioni tra i beni della vita ingioco » (207).

Insomma, con questa fondamentale sentenza, la Corte costi-tuzionale, proprio all’atto di dare concreta attuazione ai controli-miti, sembra ribadire che si tratta di “un’arma estrema” e selet-tiva, proprio per questo, insuscettibile di essere intesa quale espres-sione di una regressione, in particolare, nei rapporti tra dirittoeuropeo e diritto interno. Si tratta, piuttosto, del concreto eserciziodi una forma di “disobbedienza civile” (208) con l’obiettivo (non dirinnegare, ma) di concorrere all’evoluzione dello stesso dirittointernazionale (209), di migliorarlo (210).

Così intesi, allora, i controlimiti, piuttosto che rappresentareun cambio (conflittuale) di direzione rispetto alla fase di integra-zione “aperta” verso gli ordinamenti esterni, a cominciare daquello europeo, ne rappresentano una ulteriore modalità di mani-festazione perché concorrono a plasmarne il contenuto, come delresto emerge dalla volontà degli Stati espressa nell’art. 53 dellaCEDU e, a ben guardare, nello “spirito” (prima ancora che nellalettera) dell’art. 53 CDFUE (211).

E, non c’è dubbio che a dare preciso contenuto a questopossibile percorso di “disobbedienza collaborativa” ci possono es-sere proprio i diritti fondamentali del lavoratore posto che essirispondono pienamente ai criteri selettivi individuati dallaCorte (212) e chiamano in campo quel profilo della dignità dellapersona che costituisce, come si è visto, il punto di alto di intan-gibilità dell’ordinamento costituzionale.

Tuttavia, la percorribilità di questa “astratta” prospettiva di

(207) Così, efficacemente, Ruggeri, 2014d, 9; ma v. anche per un approccio piùarticolato in ordine al richiamo (tout court) alla dignità, Luciani, 2015, 91 ss.

(208) Così, Guazzarotti, 2014, passim. Ovviamente, nel caso di specie, la disobbe-dienza civile è all’ordinamento delle NU che impone il rispetto delle sentenza della CIG.

(209) Cfr., Gradoni, 2014, passim.(210) Cfr., Villani, 2014, 1312.(211) In questo senso, può essere letta la stessa vicenda di merito affrontata dalla

Corte costituzionale che difficilmente porterà al concreto riconoscimento dei diritti riven-dicati dai ricorrenti posto che la Germania potrà nuovamente ricorrere alla CIG (affermandoche la violazione da parte dell’Italia delle fonti internazionali, di fatto, disapplicatenell’ordinamento interno) e quest’ultima potrebbe “migliorare” (per i ricorrenti) la propriagiurisprudenza.

(212) Cfr., Villani, 2008, 1302.

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fase, deve concretamente misurarsi con l’attuazione da parte dellenostre istituzioni democratiche dell’impegno internazionale di raf-forzare i vincoli di bilancio a livello costituzionale.

B3. La costituzionalizzazione dei vincoli di bilancio e l’impatto suidiritti fondamentali.

Già in attuazione degli impegni (programmatici) del Pattoeuro plus e, quindi, prima della formale sottoscrizione del FiscalCompact, il Governo italiano ha attivato il processo che in pocotempo ha portato all’approvazione, con larga maggioranza, dellalegge costituzionale n. 1 del 30 aprile 2012 e, in attuazione delmandato stabilito dal suo articolo 6, della l. 24 dicembre 2012, n.243, contenente disposizioni per l’attuazione del principio delpareggio di bilancio.

Composta di sei articoli, la legge costituzionale n. 1/2012, oltread apportare alcune significative integrazioni alla disciplina degliartt. 97, 117 e 119 Cost., riscrive completamente l’art. 81 Cost. Qui,in particolare, si stabilisce (co. 1) che « Lo Stato assicura l’equili-brio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo contodelle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. », salvoa precisare immediatamente (co. 2) che « Il ricorso all’indebita-mento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del cicloeconomico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a mag-gioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventieccezionali ». La legge (art. 8) prevede un meccanismo di correzione(seppure “non automatico”) da attivare in caso di scostamentodall’obiettivo di bilancio a medio termine (previsto dal FiscalCompact).

Molto si è discusso e si discute sul “tasso” di dipendenza diquesta legge e delle disposizioni di attuazione che ne sono derivate,dall’ordinamento europeo e dai patti e trattati aggiuntivi che, vasottolineato, non richiedevano necessariamente l’adozione di unadisposizione costituzionale (213).

(213) Come ha precisato anche il Consiglio costituzionale francese nella decisione n.2012-653 DC del 9 agosto 2012, tale atto non comportava un obbligo nei confronti degli Statidi una revisione costituzionale, ma più precisamente richiedeva l’adozione di « disposizionivincolanti e di natura permanente... il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente

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Come abbiamo visto, infatti, le fonti europee e internazionalisono già di per sé obbligatorie (214) tanto da indurre alcunicommentatori a concludere per una valenza essenzialmente poli-tica della legge costituzionale n. 1/2012 (215).

In realtà, gli effetti normativi della “bandiera politica” pian-tata dalla legge costituzionale n. 1/2012 nella nostra Carta fonda-mentale, sono di grande impatto in quanto determinano una verae propria “interiorizzazione” di prescrizioni che fino a oggi “pene-travano” nel nostro ordinamento attraverso la finestra dell’art. 10cost. E questo processo è ulteriormente accentuato dalla letturadelle disposizioni di attuazione (ex art. 81, co. 6, Cost.) contenutenella l. n. 243/2012, che, nel definire le principali categorie e istitutidi esposizione del bilancio (216), fa costante rinvio alla necessità diintenderli e valutarli in conformità a quanto stabilito nei regola-menti e negli atti dell’Unione che, in alcuni casi, diventano fonti dideterminazione del contenuto materiale delle norme interne (217).

garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio »; cfr. sul punto e per un esame piùapprofondito della sentenza v. Cassella, 2012, 6 ss. Sull’insussistenza di un obbligo arevisionare la Carta costituzionale per effetto del Trattato Fiscal compact, v. per tutti,Tosato, 2013, 3.

(214) Cfr., per tutti, Di Martino, 2015, 15 ss. e ivi per riferimenti. Il rilievo, peraltro,ha trovato conferma nella decisione del 9 agosto 2012 dove il Conseil ricorda (a propositodella non necessità di introdurre una riforma costituzionale) che la Francia è « già è tenutaa rispettare in virtù del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e del protocollo n.12. »: cfr. Cassella, 2012, 6.

(215) Mone, 2014, 10.(216) L’art. 21, co. 3, della l. 243/2012, rinvia al 2016 l’entrata in vigore delle

disposizioni relative agli enti territoriali, con ciò derogando al principio stabilito dall’art. 4della legge costituzionale n. 1 del 2012, il quale ne prevedeva l’entrata in vigore nel 2014: cfr.Bergo, 2013b, 22.

(217) Così, le espressioni « fase favorevole » e « fase avversa » del ciclo economico (art.81, co. 1, cost.) vanno intese come « le fasi del ciclo economico individuate come tali sullabase dei criteri stabiliti dall’ordinamento dell’Unione europea » (art. 2); mentre l’equilibriodei bilanci (art. 97, co. 1, cost.) « corrisponde all’obiettivo di medio termine » (art. 3, co. 1 e2) e ammette scostamenti temporanei « esclusivamente in caso di eventi eccezionali, daindividuare in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea » (art. 6, co. 1), che inclu-dono « a) periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’interaUnione europea; b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse legravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sullasituazione finanziaria generale del Paese » (art. 6, co. 2). Analogamente, la sostenibilità deldebito pubblico (art. 97, co. 1, cost.) corrisponde « agli obiettivi relativi al rapporto tradebito pubblico e prodotto interno lordo coerenti con quanto disposto dall’ordinamento

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Non meraviglia che il nuovo assetto costituzionale sia oggettodi valutazioni piuttosto discordi.

Da una parte, infatti, si sottolinea che, facendo testuale rife-rimento agli obblighi (non di « pareggio » ma) di equilibrio dibilancio (218) e prevedendo possibili deviazioni legate agli effettidel ciclo economico, la nuova formula costituzionale lascia nellagestione del bilancio i necessari margini di flessibilità al Parla-mento in relazione alle proprie strategie di politica econo-mica (219). Da un’altra parte si rimarca, invece, che tali margini diflessibilità sono solo apparenti in quanto il sistema delle prescri-zioni e dei vincoli del PSC è costruito (nel processo del Semestreeuropeo) per dare preciso contenuto agli obiettivi di bilancio e dirapporto debito/PIL come anche alle condizioni e ai limiti delleeccezionali e temporanee deviazioni da tali obiettivi (220).

In proposito, se è indubbiamente vero che l’obiettivo tecnicodel pareggio strutturale non consente di arrivarci attingendo al-l’indebitamento (che diventa oramai un’eccezione (221)), rimane

dell’Unione europea » e nel caso « superi il valore di riferimento definito dall’ordinamentodell’Unione europea... si tiene conto della necessità di garantire una riduzione dell’eccedenzarispetto a tale valore in coerenza con il criterio e la disciplina in materia di fattori rilevantiprevisti dal medesimo ordinamento » (art. 4, co. 2 e 4).

(218) Brancasi, 2012, 1-2, sottolinea la genericità dei termini posto che la situazionedi pareggio tra entrate e uscite, tipica delle pp.aa. che applicano la contabilità pubblica,nulla dice sul come si raggiunge il pareggio (ad es. mediante contrazione del debitopubblico). Essi hanno, in questa dimensione, un accentuato carattere evocativo posto chel’equilibrio (una volta riferito al rapporto entrate/spese — art. 81 — un’altra ai bilanci —art. 97), in particolare, se non inteso come sinonimo di pareggio, sta a indicare un rapportotra due grandezze che può essere di eguaglianza ma anche di differenza.

(219) Cfr., Luciani, 2013, 17-18, per il quale la presenza di margini di flessibilitàcostituisce un elemento che depone per la conformità alla Costituzione della nuova disci-plina del bilancio. Ma già in questo senso De Ioanna, 2012, 7. V. da ultimo, anche perulteriori indicazioni, De Martino, 2015, 11 ss.

(220) Cfr. Mone, 2014, 10 ss., secondo la quale i problemi di conformità all’ordina-mento costituzionale italiano sono legati (non all’introduzione del precetto dell’equilibrio dibilancio, ma) all’assoggettamento delle decisioni relative alla determinazione quantitativadella variabili di bilancio a parametri decisi in sedi esterne al nostro Paese e, soprattutto,espressione di una gerarchia di principi (la tutela della stabilità dei prezzi ex art. 127 TFUEe art. 105 TCE) non coincidente con la gerarchia di principi caratterizzante il nostroordinamento costituzionale il cui fine ultimo è la persona e, quindi, la garanzia dei dirittifondamentali.

(221) Morrone, 2014, 8, individua in questa nuova regola una delle novità piùsignificative della riforma costituzionale.

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pur sempre la possibilità per lo Stato (222) di attingere a risorse dalmercato finanziario (223) per contrastare le fasi di ciclo avverseovvero (con l’autorizzazione delle Camere a maggioranza assoluta)per affrontare « eventi eccezionali ».

Ciò significa che l’equilibrio di bilancio è compatibile, comenegli altri paesi (224), con le politiche di deficit spending attivabili(anche) a sostegno dei diritti fondamentali, tenuto conto che, insede di attuazione del nuovo principio costituzionale, il legislatoreha stabilito l’introduzione del “Fondo straordinario per il concorsodello Stato” (225) che deve concorrere ad assicurare, anche soste-nendo le autonomie locali, « i livelli essenziali delle prestazioni edelle funzioni fondamentali inerenti i diritti civili e sociali » (l. cost.n. 1/2012, art. 5, co. 1, lett. g).

D’altro canto, tenendo a mente quanto osservato a propositodella strumentalità, nei regolamenti europei, della clausola delleriforme strutturali (v. par. A5), colpisce la precisazione della leggedi attuazione n. 243/2012, che l’equilibrio del bilancio può tenereconto dei riflessi finanziari soltanto « delle riforme strutturali conun impatto positivo significativo sulla sostenibilità delle finanzepubbliche » (art. 3, co. 4).

Insomma, mi sembra che, di fronte a una serie di elementiregolativi non tutti univocamente orientati o, comunque, suscet-tibili di interpretazioni sistematiche capaci di sostenere soluzionianche profondamente diverse, si possa infine considerare che l’im-missione nell’architettura costituzionale di principi posti dall’ordi-namento europeo e, quindi, da un sistema diverso di “produzionedi significato”, determina — per dirla con Luhmann — la loroinevitabile trasfigurazione in quanto vengono interagiti e, inevita-

(222) Ma non per regioni ed enti locali, ai quali si applica la golden rule e, quindi, lapossibilità di ricorrere al mercato finanziario esclusivamente per spese di investimento.

(223) Va almeno detto, però, che questa “possibilità” è essa stessa espressione di una“dipendenza” dello Stato dal sistema finanziario internazionale: dipendenza che la rinunciaa battere moneta (sovrana) in favore dell’adozione dell’euro ha ulteriormente accentuato,secondo un modello monetario (ed economico) che non ha eguali nella storia e che, per ovvieragioni, possiamo qui evocare ma non discutere. V. tuttavia Bagnai, 2014.

(224) Così, Morrone, 2014, 9, il quale peraltro effettua un’analisi comparata circa iprincipi dei bilanci pubblici nei principali paesi europei (Germania, Spagna, Francia).

(225) Cfr. Morrone, 2014a, 9. L’istituzione del fondo è stabilita dell’art. 11, l. n.243/2012.

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bilmente, ridefiniti quali (nuove) parti di un sistema “altro” che,autopoieticamente, si rigenera secondo la propria grammatica.

In altri termini, se è vero che i principi sul bilancio e sul debitosono ormai parte dell’ordinamento costituzionale (226) lo è altret-tanto che essi partecipano di un ordinamento che rifugge la “ti-rannia dei valori” (227) ed è formalmente insuscettibile di riorga-nizzarsi gerarchicamente attorno al primato del pareggio dei bi-lanci pubblici in quanto è strutturalmente e funzionalmente se-gnato da un insieme interagente di precetti costituzionali (acominciare da quelli di cui agli artt. 2 e 3 Cost.) che danno ben altricompiti alla Repubblica italiana; compiti che vanno perseguitiavendo come stella polare non uno ma un insieme di valori tuttirilevanti e tutti attesi all’inveramento secondo il fondamentaleprincipio del bilanciamento. Insomma, come è stato convincente-mente rilevato, « tra pareggio di bilancio e stato costituzionaleesiste una correlazione strutturale » nella quale trova adeguatospazio — oggi, certo, più di ieri — « una funzione costituzionale digaranzia dei diritti di cittadinanza inclusiva e generazionale » cheguarda, in un quadro di pari opportunità, sia alle compensazionifasiche (cicliche e anticicliche) sia alle future generazioni (228).

Nonostante il quadro che emerge dalla lettura del nuovo art.81 cost. sia meno “rigido” di quanto non ci si potesse aspettaredall’esame delle fonti europee e internazionali (a cominciare dalTrattato Fiscal compact) che l’hanno “determinato”, l’interiorizza-zione nell’ordinamento interno dei vincoli europei in materia dibilancio sembra togliere (ulteriore) spazio alla possibile attivazionedei controlimiti che, come si è detto, rappresentano nel nostrodibattito (e non solo) una possibile risposta all’invasività e vinco-latività delle politiche economiche formalmente provenienti dal-l’ordinamento europeo (229).

(226) Va sottolineato che, su ricorso delle regioni avverso la l. n. 243/2012, La Cortecostituzionale, con sentenza n. 88/2014, pur dichiarando l’incostituzionalità di due normepiuttosto marginali, ha statuito in parte inammissibili e in parte infondate le altre questionisollevate (rafforzando, così, la l. 243/2014 rispetto alla regole dei bilancio degli enti locali),senza però toccare i profili legati alla “dipendenza” della legge stessa dalle disposizionieuropee (v. supra).

(227) Schmitt, 2008.(228) Morrone, 2014b, 12-13.(229) Ma v. per un diversa prospettiva, Mone, 2014, 23 ss. secondo la quale « la

peculiarità dell’ordine costituzionale italiano rispetto a quello comunitario, ossia la centra-

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Se, infatti, già prima della riforma costituzionale la giustizia-bilità dei diritti sociali doveva fare i conti con le esigenze rappre-sentate dal contenimento della spesa pubblica, il rafforzamentocostituzionale di tali esigenze introduce ulteriori e oggettivi ele-menti a supporto della sostenibilità finanziaria delle riforme e,quindi, a « contrarre sensibilmente il raggio del controllo (dellaCorte) sulle scelte politiche in ordine alle riforme onerose » (230).

Queste considerazioni, tuttavia, devono oggi misurarsi condiversi pronunciamenti della Corte costituzionale che, pur inseren-dosi nel solco della (lunga) giurisprudenza sul conflitto-bilanciamento tra risorse pubbliche e diritti sociali, intervengononel pieno della crisi e avendo sullo sfondo il quadro normativodelineato.

B4. I vincoli di bilancio e la riduzione della spesa per il personaledella pubbliche amministrazioni.

La direzione impressa dalle politiche di bilancio e per l’attua-zione di “coerenti” riforme strutturali investe il nostro sistema didiritto del lavoro imponendo l’adozione di provvedimenti di ridu-zione della spesa pubblica per i trattamenti economici e pensioni-stici dei dipendenti pubblici ma anche (e, forse, soprattutto) diprofonda riforma della regolamentazione del mercato del lavoro.

Il primo versante è, quindi, direttamente collegato ai vincoliposti alla spesa pubblica e tocca un rapporto storicamente “deli-cato”, quello tra diritti retributivi e risorse pubbliche che, superatala stagione dei “magnifici trenta” e, in particolare, della retribu-zione come « variabile indipendente », si struttura secondo unmodello in base al quale « la misura del diritto alla retribuzione è

lità che in esso assume la dignità della persona rispetto a cui le ragioni dell’equilibrioeconomico-finanziario sono recessive, è affidata alla Corte costituzionale chiamata a farvalere i controlimiti anche a seguito delle nuove disposizioni costituzionali introdotte con lalegge costituzionale n. 1 del 2012, ma ancor prima al giudice comune. ». Ciò in quanto « LaCorte costituzionale avrà ancora la possibilità (rectius il dovere) di tutelare il nostro ordinecostituzionale... contro qualsiasi disposizione giuridica straniera, comunitaria, anche costi-tuzionalizzata dal momento che la legge costituzionale n. 1 del 2012 contrasta con lo spiritodella Costituzione nella parte in cui ha previsto la vincolatività di parametri europei sulladecisione politica di bilancio italiana » (p. 25).

(230) Così, Salazar, 2013, 6.

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strutturalmente condizionata nel settore privato, dalle compatibi-lità macroeconomiche e, nel settore pubblico, dalla sostenibilitàcomplessiva dei livelli stipendiali » (231).

Si tratta di un modello “sostenuto” dalla Corte costituzionaleche fin dai primi anni ’90, esclusa la “riserva legale” in favore dellacontrattazione collettiva nella determinazione e nella regolazionedel trattamento economico, ha stabilito il principio secondo ilquale le misure di contenimento delle dinamiche salariali si giusti-ficano, in una logica emergenziale dettata dalla crisi economica esolo se caratterizzate da temporaneità (232).

L’applicazione di questi principi e, quindi, il ruolo di Garantedella Corte costituzionale sono stati ripetutamente chiamati incausa a seguito delle misure adottate (specie a partire dal 2010), enon certo solo in Italia (233), per fare fronte agli obblighi e aivincoli di bilancio stabiliti dalle norme europee.

In particolare, le misure introdotte (234) (temporaneamente

(231) Ricci, 2014, 5. Id, più diffusamente, 2012.(232) Il riferimento è alla sentenza 124/1991 (relatore Luigi Mengoni), di accogli-

mento della questione di legittimità costituzionale di alcune misure contenute nella l.91/1977, ma vedi anche le successive n. 380/1991 (sempre relatore Mengoni) e n. 243/1993.La legittimità delle disposizioni di blocco delle retribuzioni è stata successivamente soste-nuta dalla Consulta ritenendo quei provvedimenti legislativi come norme fondamentalidelle riforme economiche e sociali della Repubblica che « muovono da una non irragionevolevalutazione della situazione sociale ed economica finanziaria, operata dal legislatore nellasua insindacabile discrezionalità politica, in base alla quale il congelamento temporaneodelle retribuzioni dei dipendenti pubblici, attuato in modo generalizzato e nel rigorosorispetto del dovere costituzionale di distribuire in modo eguale il carico dei sacrifici impostidall’emergenza, costituisce una componente essenziale di un disegno di politica economicadestinato, nel complesso dei suoi elementi e delle sue fasi, a trasformare profondamente lasituazione di grave squilibrio finanziario esistente nel settore pubblico » (Corte cost. 296/1993).

(233) Per una ricognizione dei provvedimenti di contenimento e di riduzione deitrattamenti retributivi messi in atto dai paesi in gravi difficoltà finanziaria (Cipro, Grecia,Irlanda, Portogallo, Spagna) in esecuzione delle condizionalità poste dai programmi diassistenza e dai relativi memorandum d’intesa della Trojka, v. Kilpatrick, De Witte, 2014;Ricci, 2014; Koukiadaki, 2015.

(234) Le disposizioni indicate nel testo sono state inoltre accompagnate dall’intro-duzione, in capo alle pp.aa., di vincoli, pesantemente sanzionati in caso d’inosservanza,operanti sul piano della spesa complessiva per il personale e di quella specificamenteconcernente l’utilizzazione, tra gli altri, di contratti di lavoro flessibile e di collaborazioniprofessionali (cfr. d.l. 78/2010 conv. l. 122/2010, contenente vincoli poi ripetutamenteprorogati).

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ma con effetti permanenti e, quindi, senza alcun possibile recu-pero) sono consistite nel blocco pluriennale delle dinamiche retri-butive per i dipendenti pubblici contrattualizzati (235) e, per glialtri, nel blocco degli adeguamenti automatici e dei meccanismi diprogressione (236), seppure con diverse articolazioni tra le variecategorie di dipendenti, nelle cui “discontinuità” si è “insinuata” laCorte costituzionale (v. infra).

Gli effetti sono stati molteplici e hanno investito la retribu-zione del dipendente pubblico nel suo profilo dinamico (anche) diprogressivo adeguamento al costo della vita, sia in quello statico,frutto dell’operare di un tetto massimo suscettibile, come tale, diimporre una diminuzione della retribuzione altrimenti spettante.

Questi effetti sono stati al centro di un grappolo di pronuncedella Corte costituzionale del periodo 2012-2015 che disegnanoquella che da più parti viene definita “giurisprudenza della crisi” enelle quali può leggersi il grado di “poca” resistenza opposto daidiritti fondamentali sanciti dalla Carta costituzionale e, in parti-colare, dal precetto di proporzionalità e di sufficienza della retri-buzione consacrato nell’art. 36, co. 1, Cost. rispetto alle esigenze dibilancio (237).

Infatti, proprio con riferimento ai diversi meccanismi (inci-denti sulla contrattazione ovvero sugli adeguamenti automatici) diblocco delle retribuzioni, la Corte costituzionale ne ha confermatola legittimità in ragione delle finalità perseguite di contenimento edi razionalizzazione della spesa pubblica (238). Queste, infatti,

(235) È questo il risultato del blocco della contrattazione collettiva (art. 9, co. 1, d.l.31 maggio 2010 n. 78, convertito nella l. 30 luglio 2010 n. 122) e dell’imposizione di un tettoalla retribuzione individuale di ogni dipendente (art. 9, co. 17, d.l. 78/2010 conv. l. 122/2010)fissato con riferimento alla retribuzione ordinaria percepita nel 2010 con esclusione peraltro,di una serie di “voci” del trattamento economico.

(236) Art. 9, co. 22, d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito nella l. 30 luglio 2010 n. 122.(237) In proposito, Bilancia F, 2014, 5-6 sostiene che « dagli inizi del 2012, la Corte

italiana ha di fatto anticipato gli effetti della riforma costituzionale dell’art. 81, avallandoi processi di più rigoroso controllo della spesa pubblica messi in atto dal Governo, e chesarebbero stati, poi, introdotti anche in termini formali proprio in attuazione di taleriforma »; Tega, 2014, 314 ss. che evidenzia « l’atteggiamento sostanzialmente restrittivo neiconfronti dei diritti sociali » esaminando le decisioni della Corte costituzionale in materia didiritti e di spesa sociale anche nel rapporto con le Regioni. Si tratta di giudizi che vanno,ovviamente, rimeditati dopo la pronuncia n. 70/2015 (v. infra).

(238) V. Corte cost. n. 310/2013 relativa ai professori e ricercatori universitari; Cortecost. n. 304/2013 per il personale del corpo diplomatico; Corte cost. n. 154/2014 per il

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richiedono misure di riequilibrio del bilancio con interventi didurata pluriennale e la loro incidenza sui diritti retributivi hasuperato il vaglio di legittimità sia sul piano del rispetto del nucleoessenziale del diritto fondamentale dell’art. 36 Cost. (239), sia sulpiano della ragionevolezza (riguardando tutto il comparto delpubblico impiego, in una dimensione solidaristica).

Ed è significativo che le uniche pronunce di accoglimento,vengano assunte dalla Consulta per la ritenuta violazione delprincipio di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3, co. 1,cost, seppure in triangolazione con altre norme costituzionali e conlo stesso art. 36 Cost., 1 co. (240).

In ogni caso, tralasciando le molte discussioni che tali pronun-ciamenti hanno innescato per la non univocità degli indirizzi

personale militare della guardia di finanza; Corte cost. n. 7/2014 relativa ai funzionari dellaBanca d’Italia e dell’AGCOM; Corte cost. n. 219/2014 relativa al personale ATA dellascuola; Corte cost. n. 223/2012 relativa ai magistrati; Corte cost. 113/2014 (ord.) relativaancora ai professori e ricercatori universitari.

(239) Ciò in considerazione del fatto che, confermando i propri precedenti, la Corteritiene che i requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza attengano — e vannoverificati — con riferimento non alle singole componenti ma al trattamento retributivo nelsuo complesso: v. in proposito la sentenza n. 310/2013 (che può essere considerata una sortadi leading case di queste pronunce). Tuttavia, il principio è richiamato anche da Corte cost.n. 304/2013 e da Corte cost. n. 219/2014 che confermano la posizione già espressa con Cortecost. n. 15/1995 (e con l’ord. n. 368/1999) nonché con Corte cost. n. 287/2006 e n. 366/2006.Seri dubbi esprime in Trojsi, 2015a, 11 ss., circa l’utilizzazione di questo principio conriferimento al meccanismo di adeguamento retributivo.

(240) Il riferimento è alla n. 223/2012 sul blocco dei meccanismi di adeguamentoretributivo dei magistrati (art. 9, co. 22, d. n. 78/2010) che viene dichiarato incostituzionaleper contrasto con gli artt. 3, 36, 100, 101, 104 e 107 della Costituzione; e ancora alla sentenzan. 116/2013 sul c.d. contributo di solidarietà imposto ai titolari di trattamenti pensionisticisuperiori a 90mila euro (art. 18, comma 22-bis, del dl 6 luglio 2011, n. 98) e dichiaratoincostituzionale ex artt. 3 e 53 Cost. In entrambe le pronunce l’incostituzionalità è statamotivata partendo dall’affermazione del carattere tributario delle misure, con conseguentedisparità di trattamento fiscale rispetto alla generalità dei contribuenti (ex artt. 3 e 53 Cost.)con l’aggiunta, nel caso dei magistrati, anche del vulnus al precetto di indipendenza. Vatuttavia sottolineato il passaggio argomentativo dell’unico caso (ovviamente prima dellasentenza n. 70/2015) in cui l’art. 36, 1 co. Cost.,viene utilizzato per dichiarare l’illegittimitàdelle norme impugnate, seppure in combinazione con l’art. 3, co. 1, Cost. Afferma, infattiCorte cost. n. 223/2012 (trattamento magistrati) che « Nel consentire allo Stato unariduzione dell’accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantitàdel lavoro prestato e perché — a parità di retribuzione — determina un ingiustificatotrattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti arivalsa da parte del datore di lavoro, la disposizione impugnata viola per ciò stesso gliarticoli 3 e 36 della Costituzione. ».

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seguiti dalla Corte (241), preme qui rilevare un altro aspetto checontribuisce a giustificare l’affermata natura recessiva del dirittodell’art. 36 Cost. con riferimento a misure incidenti, specifica-mente, sui meccanismi di adeguamento retributivo al costo dellavita e per più anni (242).

In questa giurisprudenza della crisi che quasi ignora il para-metro dell’art. 81 Cost., infatti, la Corte, nell’unica volta cherichiama il principio dell’equilibrio di bilancio lo associa espressa-mente a uno dei provvedimenti del six-pack (243) al fine di soste-nere « la ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure...(considerando)... l’evoluzione che è intervenuta nel complessivoquadro, giuridico-economico, nazionale ed europeo » (Corte cost. n.310/2013, punto 13.4).

Insomma, uno degli elementi del ragionevole bilanciamentotra esigenze di bilancio e diritto all’adeguamento retributivo,quello legato alla temporaneità delle misure, viene da questagiurisprudenza adeguato (allungando la temporaneità) proprio perconsentire interventi di contenimento della spesa commisurati agliobiettivi di bilancio di medio termine (v. par. A3).

Per tutte queste ragioni, ha suscitato grande meraviglia lasentenza n. 70 del 30 aprile 2015 con la quale la Corte costituzio-nale ha ritenuto il blocco biennale (2012 e 2013) del meccanismoperequativo applicato alle pensioni superiori a tre volte la pensione

(241) Basti pensare a quanto affermato dalla Consulta nella sent. n. 310/2013,relativa al blocco dei trattamenti retributivi di docenti e ricercatori universitari, quando lemedesime censure di costituzionalità (v. nota precedente) sono state rigettate perché laCorte ha escluso che si trattasse di prestazioni patrimoniali aventi natura di imposte e haritenuto la legittimità dell’intervento del legislatore finalizzato al contenimento della spesapubblica posto che « una politica di riequilibrio del bilancio... (richiede) sacrifici gravosi (...)che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica ». Per un’analisi più detta-gliata di questa pronunce, v. almeno Ricci, 2014, 17 ss.; Lo Faro, 2014a, 281 ss. Fontana,2014a, 17 ss.; Abbiate, 2014, 515 ss., Cataudella, 2013; Trojsi, 2015a, 1 ss.

(242) E, quindi, chiosa Corte cost. n. 310/2013, « per periodi più lunghi rispetto aquelli presi in considerazione dalle richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate conriguardo alla manovra economica del 1992 ».

(243) Il riferimento è alla direttiva 2011/85/UE dell’8 novembre 2011, sui requisitidei quadri di bilancio dalla quale la Corte evince il principio e regole che danno conto dicome « la maggior parte delle misure finanziarie hanno implicazioni sul bilancio che vannooltre il ciclo di bilancio annuale ».

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minima INPS (244), illegittimo per violazione degli artt. 3, co. 1,36, co. 1, e 38, co. 2, Cost.

L’articolata motivazione della Consulta poggia, infatti, sull’af-fermazione che la perequazione automatica dei trattamenti pen-sionistici mira a garantire nel tempo il rispetto del criterio diadeguatezza di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. e, contestual-mente, « a innervare il principio di sufficienza della retribuzione dicui all’art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurispru-denza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi qualeretribuzione differita » (punto 8).

Ed è questa stretta integrazione/interdipendenza tra adegua-tezza e sufficienza, espressa (non dal complessivo trattamentopensionistico, ma) dall’automatismo perequativo bloccato, a se-gnare l’iter argomentativo della Consulta supportato, in primoluogo, da un’analisi comparativa con altri interventi legislativi inmateria (antecedenti e successivi alla norma incriminata) ritenutimolto diversi rispetto alla « singolarità della norma censurata »(punto 8).

Tuttavia, il punto di leva più forte nell’argomentazione dellaCorte è rappresentato dal ripetuto riferimento al monito indiriz-zato al legislatore dal giudice delle leggi con la sentenza n.316/2010. Qui, infatti, pur reputando non illegittimo l’azzera-mento, per il solo anno 2008, dei trattamenti pensionistici diimporto elevato (superiore a otto volte il trattamento minimoINPS), la Corte aveva ammonito il legislatore affermando che « lasospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo,o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entre-rebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezzae proporzionalità, poiché risulterebbe incrinata la principale fina-lità di tutela, insita nel meccanismo di perequazione, quella cheprevede una difesa modulare del potere d’acquisto delle pensioni »(punto 9).

(244) L’art. 24, co. 25, d.l. 6 dicembre 2011 n. 2011 (Disposizioni urgenti per lacrescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,dall’art. 1, co. 1, della l. 214/2011, stabiliva che « In considerazione della contingentesituazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo ilmeccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, èriconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici diimporto complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 percento ».

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E, invece, il blocco del meccanismo perequativo del d.l. n.201/2011, toccando l’interesse dei titolari di trattamenti previden-ziali modesti alla conservazione del potere di acquisto e facendoloin modo tale da incidere (in contrasto con quanto stabilito da Cortecost. n. 349/1985) « in misura notevole e in maniera defini-tiva » (245), valica i limiti di ragionevolezza e proporzionalità.

« Non è stato dunque ascoltato il monito indirizzato al legisla-tore con la sentenza n. 316 del 2010. » conclude la Corte (punto 10).

Ovviamente non è questa la sede per un’analisi ulteriore didettaglio di una sentenza così rilevante e così ampiamente argo-mentata che ha già determinato molti e contrastanti commenti eprese di posizione (246).

Qui occorre piuttosto sottolineare che questa sentenza rappre-senta, insieme alle pronunce del Tribunal Constitutional porto-ghese (247), l’esempio più rilevante e incidente della rinnovatacapacità di resistenza dei diritti fondamentali dei lavoratori (inpensione, in questo caso) rispetto alle esigenze di bilancio che,questa volta, risultano esse stesse recessive e, quasi, defilate ri-spetto al cuore dell’argomentazione dei giudici costituzionali.

Non solo, infatti, il principio dell’equilibrio di bilancio dell’art.81 Cost. (anche in questo caso) non costituisce oggetto di confronto(e viene menzionato solo per effetto di un suo richiamo contenutoin altra pronuncia evocata dalla Corte).

Vi è anche che, quando il confronto con le esigenze di conte-nimento della spesa avviene, la sentenza (ormai alle ultime bat-tute) constata che la norma censurata « si limita a richiamaregenericamente la “contingente situazione finanziaria”, senza cheemerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delleesigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cuiconfronti si effettuano interventi così fortemente incisivi. Anche insede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non è dato

(245) In proposito, sottolinea la sentenza che « per le modalità con cui opera ilmeccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del tratta-mento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successiverivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimoimporto nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato ».

(246) Cfr. Bozzao, 2015; Cinelli, 2015; D’Onghia, 2015; Giubboni, 2015; Leone, 2015;Prosperetti, 2015; Sandulli, 2015, 44.

(247) Con le quali vi sono molte assonanze argomentative: v. par. A9.

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riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiorientrate, come previsto dall’art. 17, comma 3, della legge 31 dicem-bre 2009, n. 196 » (punto 10).

Credo che, insieme alla exit strategy dalle conseguenze dellapronuncia di incostituzionalità, per il legislatore questi ultimiriferimenti alle esigenze di motivazione debbano diventare unimportante elemento di considerazione (248).

In proposito, infatti, la sentenza della Consulta sembra richia-mare l’incipit di quella dottrina che, prendendo spunto dalla leggecostituzionale n. 1/2012 (v. par. B2), ha visto la possibilità diinverare una prassi consistente nell’inserimento di una “sorta dimotivazione” nella legge di bilancio, paragonabile a quella previstaper i decreti legge (249), che trova oggi riscontri oggettivi nelledisposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilanciodella l n. 243/2012 (250). Una motivazione che, esplicitando « leragioni che sorreggono la specifica distribuzione delle risorse divolta in volta effettuata, sia quando questa assicuri l’equilibrio dibilancio in relazione alla situazione economica, sia quando appaiainevitabile l’indebitamento » (251), renderebbe più chiare e, pro-babilmente, più resistenti le condizioni date e le scelte effettuate,anche in vista di “difese” motivate nei giudizi di impugnazione,specie sul piano dell’esercizio ragionevole e non arbitrario delladiscrezionalità legislativa.

In tal modo, peraltro, l’ordinamento italiano risulterebbe mag-giormente allineato agli standard di motivazioni e richiesti per gliatti giuridici europei dall’art. 296 TFUE.

(248) Negli stessi termini, Sgroi, 2015, Salerno 2015, Pepe, 2015 e ivi per ulterioriapprofondimenti. Non contesta questa esigenza ma la reputa ampiamente soddisfatta dallerelazioni tecniche di accompagnamento al decreto legge e alla legge di conversione, Mo-rando, 2015.

(249) Luciani, 2013, 44.(250) L’art. 6, co. 3, infatti, ha previsto che, in caso di scostamento dall’obiettivo

programmatico di bilancio, il Governo (sentita, ben inteso, la Commissione europea)presenti al Parlamento « una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici difinanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e ladurata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili inconseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l’obiettivo programmatico ».

(251) Così, Salazar, 2013, 7.

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B5. I vincoli europei e la clausola delle “riforme strutturali” applicataal mercato del lavoro: gli orientamenti integrati in materia dipolitica economica e occupazionale.

Le politiche di bilancio europee e, specificamente nel casodell’Italia, il rispetto dei parametri e dei vincoli connessi al rientrodal debito eccessivo, hanno avuto e continuano ad avere unrilevante impatto sulle c.d. riforme strutturali adottate e/o pro-grammate nel nostro paese, quali parte integrante (e fondamen-tale) di un insieme di provvedimenti il cui impatto economico èritenuto funzionale al percorso di rientro nei parametri di bilancioe di debito stabiliti (A5).

Ciò vale, in particolare, per le riforme mercato del lavoro che,come si è visto, sono parte integrante della governance economicaeuropea (252) che, tuttavia, ha via via assunto una funzionediversa da quella di “semplice” coordinamento delle politiche degliStati membri, inclinando sempre più marcatamente, verso unruolo direttivo esercitato (questo sì) coordinando le diverse leve diazione, reciprocamente interagenti, in funzione degli obiettivi per-seguiti (segnati a loro volta dai modelli macro-economici ispirati alneoliberismo).

Se, infatti, i vincoli di bilancio e di debito del settore pubblico,costretto a comportamenti ciclici (stringere la cinghia) (253),hanno costituito il fulcro delle direttive di politica economicatargate UE, ulteriormente puntellate dai Trattati Fiscal compact eMES, le riforme strutturali (melius, l’attuazione di precise riformestrutturali) come quella relativa al mercato del lavoro, sono state,come abbiamo visto, le condizioni per accedere alle flessibilità(alias, all’alleggerimento) nel percorso di avvicinamento agli obiet-tivi di medio termine del bilancio o del rapporto debito pubblico/PIL ovvero, per i paesi interessati, alle misure di sostegno o diassistenza finanziaria come il MES.

Una espressa conferma, viene dalla lettura delle raccomanda-zioni all’Italia dal 2011 (avvio del Semestre europeo) al 2014 in

(252) Cfr., Giubboni, 2015, 11, con riferimento alla governance economica parla di unapressione costituzionale permanente verso un mercato del lavoro flessibile e cioè de-regolamentato.

(253) Piuttosto che anti-ciclici, al fine di sostenere (anche) investimenti e innova-zione tecnologica, senza i quali dalla crisi non si esce o, al meglio, si esce male, pronti perrientrarci: cfr. Mazzucato, 2013.

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tema di mercato del lavoro che hanno investito questioni e istitutiprontamente manutenuti, quando non integralmente riformati,dal legislatore italiano (254). Mi riferisco non solo alle indicazioni(Racc. del 2011, 2012 e 2014) circa le caratteristiche fondanti dellecomplessive riforme strutturali del mercato del lavoro poste inessere nel 2012 e nel 2014 (v. infra), ma anche agli interventi suspecifici istituti come i licenziamenti e la loro disciplina sostanzialee procedurale (Racc. del 2011 e del 2014); come i salari e la lorocrescita in connessione con la produttività locali e delle singoleimprese (« ivi incluse eventuali clausole intese a permettere che lacontrattazione a livello d’impresa vada in questa direzione »: cosìRacc. 2011) (255); come la partecipazione al mercato del lavorodelle donne e dei giovani (Racc. 2012 e 2013).

Questa connessione tra riforme e “tenuta” dell’obiettivo dibilancio (256) investe, “ovviamente”, anche il mercato del lavoroche, dopo significative considerazioni preliminari (257), è oggetto

(254) Si tratta della Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 2011 sul pro-gramma nazionale di riforma 2011 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sulprogramma di stabilità aggiornato dell’Italia, 2011-2014 (2011/C 215/02); della Raccoman-dazione del Consiglio del 10 luglio 2012 sul programma nazionale di riforma 2012 dell’Italiae che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2015(2012/C 219/14); della Raccomandazione del Consiglio del 9 luglio 2013 sul programmanazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma distabilità dell’Italia 2012-2017 (2013/C 217/11); oltre che della citata Raccomandazione dell’8luglio 2014.

(255) Il passaggio viene sottolineato anche da Guarriello, 2015, 328-329, la qualeosserva che si tratta di prescrizioni che, quindi, non investono solo i paesi costretti a siglaredei Memorandum d’intesa per ricevere l’assistenza finanziaria ma che quelli semplicementetenuti al rispetto del Patto di stabilità.

(256) Oggetto di diverse perplessità del Consiglio nella Raccomandazione in que-stione che, tra l’altro, sottolinea come lo scenario macroeconomico sul quale si fondano leproiezioni di bilancio del programma « è leggermente ottimistico » e inoltre appare « nonconvalidato da un organismo indipendente » (considerando 9).

(257) In proposito molto significativo è l’elenco contenuto nel considerando n. 13:« La situazione del mercato del lavoro in Italia è ulteriormente peggiorata nel 2013, con untasso di disoccupazione salito al 12,2% e la disoccupazione giovanile che è arrivata al 40%.Garantire una corretta attuazione e un attento monitoraggio degli effetti delle riformeadottate in relazione al mercato del lavoro e al quadro di contrattazione salariale èfondamentale per ottenere i benefici previsti in termini di maggiore flessibilità in uscita, diuna flessibilità in entrata meglio regolamentata, di un sistema più integrato di sussidi didisoccupazione e di un migliore allineamento dei salari alla produttività... è necessarioprogredire rapidamente con i piani di miglioramento dell’efficacia dei servizi di colloca-

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dei provvedimenti che il Consiglio “raccomanda” all’Italia di adot-tare nel periodo 2014-2015.

In particolare, si raccomanda, in primo luogo, di valutare entrola fine del 2014, le riforme del mercato del lavoro e il livellosalariale in relazione alla creazione di posti di lavoro, ai licenzia-menti e alla competitività dei costi (del lavoro), alla dicotomia delmercato del lavoro, al fine di adottare eventuali ulteriori inter-venti. Accanto a ciò, e insieme ad altre misure di dettaglio (258), ilConsiglio raccomanda di agire con decisione nel raccordo tra poli-tiche attive e passive del lavoro (259) (presentando una tabella dimarcia dettagliata entro settembre 2014) e di rafforzare l’efficienzadei servizi pubblici per l’impiego in tutto il paese.

Queste, indicazioni, seppure temporalmente definite (anno2014), hanno in realtà un effetto ordinario in quanto riguardanointerventi strutturali destinati a incidere stabilmente nel sistemadi riferimento e che, come si è visto, sono oggetto di monitoraggioe di analisi (in ordine all’effettivo impatto positivo sui contipubblici ovvero nella correzione degli squilibri macroeconomici)nell’ambito del processo del (successivo) Semestre europeo, al finedi pervenire alle nuove raccomandazioni annuali sul PNR.

Un elemento di significativo valore sistematico va in propositorichiamato.

Ognuna di queste indicazioni così come l’intelaiatura che viavia disegnano, vanno lette in stretta connessione (costituendonespecifica attuazione) con il quadro degli orientamenti integratisulle politiche economiche e per l’occupazione adottati dal Consi-

mento rafforzando i servizi pubblici per l’impiego. Le misure intese a promuovere lacreazione di nuovi posti di lavoro a breve termine devono essere integrate da misure voltea ridurre la segmentazione. Complessivamente, il mercato del lavoro italiano continua aessere segmentato e caratterizzato da scarsa partecipazione, in particolare delle donne e deigiovani... Tuttora destinata in gran parte agli anziani e poco orientata all’attivazione, laspesa sociale in Italia non riesce a contenere i rischi di esclusione sociale e di povertà.... ».

(258) Come ad es. quelle (a) di aumentare il tasso di occupazione femminile adot-tando, entro marzo 2015, misure che riducano i disincentivi fiscali al lavoro delle persone checostituiscono la seconda fonte di reddito familiare, fornendo adeguati ausili di assistenza ecustodia; (b) di rispettare gli obiettivi di garanzia giovani.

(259) E qui, un richiamo preciso alla limitazione dell’uso della cassa integrazioneguadagni per « facilitare la ricollocazione della manodopera ».

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glio nel 2010 (per il periodo 2010-2014) in attuazione di Europa2020 (260).

Qui, infatti, sul versante delle politiche economiche e nelquadro dei noti parametri sui vincoli di bilancio e debito, ilConsiglio definisce gli orientamenti per la correzione degli squilibrimacroeconomici (n. 2) e della zona euro (n. 3), segnalando lanecessità di interventi « a livello di politica di bilancio, andamentosalariale, riforme strutturali connesse ai... mercati occupazionali inlinea con gli orientamenti in materia di occupazione » (261). E gliorientamenti sull’occupazione, sulla base di considerazioni prelimi-nari spesso di rilievo (262), disegnano un quadro piuttosto detta-

(260) Il riferimento è alla Raccomandazione 2010/410/UE del 13 luglio 2010 sugliorientamenti per le politiche economiche degli Stati membri e alla Decisione 2010/707/UEdel 21 ottobre 2010 sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favoredell’occupazione; provvedimenti ulteriormente rafforzati per l’eurozona dalla Raccoman-dazione 213/c 217/24, del 9 luglio 2013 (v. par. B5). L’attualità e la rilevanza della decisionesulle politiche occupazionali è stata di recente confermata dalla Comunicazione contenentela relazione sull’occupazione della Commissione e del Consiglio [COM (2014) 906] del 28novembre 2014 ove si afferma che « Gli orientamenti a favore dell’occupazione offrono agliStati membri indicazioni strategiche stabili per rispondere ai problemi in materia occupa-zionale e sociale nel contesto delle tendenze attuali e per conseguire gli obiettivi di Europa2020 ».

(261) In realtà, la Raccomandazione 2010/410/UE non si limita a rinviare agliorientamenti per l’occupazione, ma si spinge oltre precisando che « ... gli Stati membridovrebbero creare condizioni che favoriscano sistemi di contrattazione salariale e sviluppidel costo del lavoro coerenti con la stabilità dei prezzi, le tendenze della produttività amedio termine e la necessità di ridurre gli squilibri macroeconomici. Laddove opportuno,un’adeguata fissazione delle retribuzioni nel settore pubblico deve essere considerata unsegnale importante per assicurare moderazione salariale nel settore privato in linea conl’esigenza di migliorare la competitività. L’inquadramento salariale, comprese le retribu-zioni minime, deve consentire processi di formazione delle retribuzioni che tengano contodelle differenze in termini di competenze e condizioni dei mercati occupazionali locali e siadattino alle forti divergenze in termini di prestazioni economiche tra le regioni di uno stessopaese. In questo contesto, le parti sociali hanno un importante compito da svolgere. »; eancora gli Stati membri della zona euro « che presentano costantemente notevoli disavanzidella bilancia commerciale e gravi perdite di competitività... dovrebbero inoltre puntare aridurre i costi unitari del lavoro tenendo conto dell’evoluzione della produttività a livelloregionale, settoriale e imprenditoriale... ».

(262) La decisione 2010/707/UE, tra l’altro, evocati i principi sulla piena occupazionee sulla lotta alle discriminazioni e all’esclusione sociale (C. 1 e 2), richiama la necessità diprogrammi di riforma degli Stati membri orientati alla “crescita inclusiva” « capace difavorire l’occupazione sulla base di un lavoro dignitoso » e puntati « in via prioritaria agarantire il funzionamento dei mercati occupazionali mediante investimenti finalizzati albuon esito delle transizioni, ai sistemi d’istruzione e di formazione, allo sviluppo di

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gliato circa i contenuti delle riforme strutturali del mercato dellavoro e in stretta sintonia con il successivo Patto euro plus (v. par.A6).

Precisa, infatti, il Consiglio che « Questi nuovi orientamentiintegrati, in linea con le conclusioni del Consiglio europeo, dannoagli Stati membri indicazioni precise su come definire e attuare ipropri programmi nazionali di riforma, tenendo conto dell’interdi-pendenza e in linea con il patto di stabilità e crescita. Gli orienta-menti a favore dell’occupazione devono essere alla base di tutte leeventuali raccomandazioni specifiche per paese rivolte dal Consi-glio agli Stati membri a norma dell’articolo 148, paragrafo 4,TFUE, parallelamente alle raccomandazioni specifiche per paesetrasmesse agli Stati membri a norma dell’articolo 121, paragrafo 4del trattato, per ottenere un pacchetto coerente di raccomanda-zioni » (C. 18, ns. sottolineatura).

Non a caso, gli orientamenti integrati sono tra gli elementi chedevono essere considerati nell’ambito del processo del Semestreeuropeo (art. 2bis, reg. UE 1466/1997), oltre a essere espressamenterichiamati nei programmi (di riforme strutturali) da presentare incaso di disavanzi eccessivi (art. 9.1 reg. UE 473/2013).

Ebbene, entro questa stringente cornice, tutti gli orienta-menti (263) in materia di occupazione ruotano attorno ai « principidi flessicurezza appoggiati dal Consiglio... al fine di aumentare lapartecipazione al mercato del lavoro e combattere la segmenta-zione, l’inattività e la disuguaglianza di genere, riducendo nelcontempo la disoccupazione strutturale » (264).

competenze appropriate, al miglioramento qualitativo dei posti di lavoro e alla lotta controla segmentazione, la disoccupazione strutturale, la disoccupazione giovanile e l’inattività,assicurando una protezione sociale adeguata e sostenibile e un’inclusione attiva per preve-nire e ridurre la povertà, concentrandosi in particolare sulla lotta alla povertà di chi lavorae alla riduzione della povertà dei gruppi più esposti al rischio di esclusione sociale, tra cui ibambini e i giovani » (C. 11). Il tutto, peraltro, « sempre nel rispetto del risanamento dibilancio convenuto » (C. 11) e rimarcando che « le riforme devono tener conto delle proprieimplicazioni in termini di competitività esterna per stimolare la crescita e la partecipazionedell’Europa ai mercati aperti ed equi di tutto il mondo. » (C. 13).

(263) Gli orientamenti sono raggruppati in 4 macro aree di “Orientamento” che,significativamente, vanno dall’Orientamento n. 6 al n. 10, con una numerazione in sequenzacon gli orientamenti dal n. 1 al n. 6 in materia di politica economica.

(264) In particolare mentre gli orientamenti n. 8 e n. 9 hanno di mira lo sviluppodella qualità della forza lavoro (dalla formazione professionale, all’apprendimento perma-

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Di particolare interesse ai nostri fini è l’orientamento n. 7(incrementare la partecipazione al mercato del lavoro di donne euomini, riducendo la disoccupazione strutturale e promuovendo laqualità del lavoro) che chiede agli Stati membri provvedimentivolti a migliorare flessibilità e sicurezza con « una combinazione diforme contrattuali flessibili e affidabili, politiche attive del mercatodel lavoro, apprendimento permanente efficace, politiche a favoredella mobilità dei lavoratori e sistemi di previdenza sociale ade-guati volti ad assicurare transizioni nel mercato del lavoro... »,prestando « insieme alle parti sociali... particolare attenzione allaflessicurezza interna sul posto di lavoro... » (265).

Oltre a ciò e accanto a molto altro (266), l’orientamento n. 7chiede agli Stati membri, al fine di aumentare i livelli di competi-tività e di partecipazione, di « creare condizioni che favoriscanosistemi di contrattazione salariale e sviluppi del costo del lavorocoerenti con la stabilità dei prezzi e le tendenze della produtti-vità ».

nente, alla riqualificazione) e il miglioramento dei sistemi d’istruzione e di formazione, glialtri due investono più direttamente il mercato del lavoro. In particolare, l’orientamento n.10 promuove l’inclusione nel mercato del lavoro, specie dei soggetti più deboli ed esposti,attraverso servizi di alta qualità e sistemi di protezione sociale (finanziariamente sostenibili)nonché attraverso sistemi previdenziali chiamati a garantire il reddito dei lavoratoridurante le transizioni; l’orientamento n. 7 mira a incrementare la partecipazione al mercatodel lavoro riducendo la disoccupazione strutturale (v. infra). Struttura e contenuti degliorientamenti corrispondono perfettamente al concetto di flessibilità dell’Europa 2020 e allamappa dei percorsi della flessibilità della Commissione europea che constano di quattrocomponenti: (a) accordi contrattuali flessibili e affidabili; (b) politiche attive del lavoroefficienti; (c) lifelong learnig; (d) regolamentazioni efficienti di sicurezza sociale: così, Tros,2013, 382, il quale si chiede se le politiche di austerity europee, con riferimento alle politichesociali e occupazionali, non siano in contrasto con il fondamento stesso della flexicurity (pag.378). Nello stesso ordine di idee Ghera, 2013a, 710-711 che giudica indifferibile nell’attua-zione della flessicurezza la regolazione (e la protezione) del rischio della discontinuità dellavoro e del reddito. Un’analisi generale della flexicurity nel contesto delle politiche europeein Sciarra, 2009, 293 ss.

(265) Sottolinea questi aspetti, Borelli, 2012, 471, posto che il fondamento dellaflexicurity è costituito dal sostegno all’occupazione puntando in particolare sulla qualitàdella transazioni professionali (Transitional Labour Market — TLM); sul punto v. altresì,l’approfondita analisi di Tros, 2013, 380 ss.

(266) Oltre agli specifici interventi in materia di servizi per l’impiego e in ambitoprevidenziale e fiscale, l’orientamento n. 7 chiede agli Stati membri di affrontare « ilproblema della segmentazione del mercato del lavoro [e] prendendo iniziative per contra-stare l’occupazione precaria, la sottoccupazione e il lavoro non dichiarato » e di migliorare« la qualità del posto di lavoro e le condizioni lavorative ».

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Sono queste, allora, alcune delle chiavi di lettura delle finalitàovvero dei contenuti che, per stare all’ultima Raccomandazioneall’Italia sul PNR 2014, gli interventi attesi, ove già non realizzati,sul mercato del lavoro dovrebbero assumere per avere effetti sullacreazione di posti di lavoro, sul superamento della dicotomia delmercato e, ancora, sui licenziamenti, garantendo altresì, in materiadi livelli salariali, l’obiettivo della competitività dei costi.

Le precise caratteristiche strutturali e funzionali delle riformedel mercato del lavoro orientate verso la flessicurezza sono il fruttodi una strategia dettata dai sistemi economici e sociali più “forti”in Europa, in grado di proporsi e di assurgere a “modello” daesportare in quelli con un mercato del lavoro fiacco e duale (comeil nostro) (267), posto che il passaggio della tutela del lavoratoredal contratto al mercato rende più facili i progressivi adeguamentidegli equilibri di scambio dentro l’impresa e, quindi, più fluidi gliaggiustamenti macroeconomici, peraltro espressamente perseguiti(anche nel mercato del lavoro) dagli orientamenti integrati e dalPatto euro plus (par. A6)

Del resto, entro un mercato nel quale la moneta unica operatra sistemi-paese con elevati divari di produttività, la conseguenzaè inevitabilmente quella della svalutazione del lavoro (268).

La flessicurezza, allora, viene declinata, piuttosto che in chiavedi modernizzazione del diritto del lavoro (269), quale riforma

(267) In proposito, tuttavia, osserva opportunamente Zoppoli, 2012, 3, che « se nontutti i paesi assomigliano alla Danimarca le ragioni sono di vario genere e non possono esserecerto affrontate solo con un progetto globale ma discutibile di “modernizzazione” del dirittodel lavoro ». Cfr. Carinci M.T., 2012, 532; Perulli, Speziale, 2011, 2 ss. che ripercorrono le fasiconcitate dell’estate del 2011 alla luce delle “prescrizioni” europee in materia di flessicu-rezza.

(268) Cfr., Stiglitz, 2014, 192-193; Pennacchi, 2012, 13 ss. Un’ampia analisi deglieffetti della crisi sui diritti sociali in Barnard, 2012, 98 ss.; Deakin, 2013, 558.

(269) Cfr., per tutti, Sciarra, 2009, 299 ss.; Treu, 2012, 15 ss.; Tros, 2013, 377 ss., magià Ales, 2007, 523 ss. Come noto, è stata la Commissione europea con il Libro Verde« Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo » a porre le basidi discussione che hanno poi portato il Consiglio europeo del 14 dicembre 2007 ad approvarei “principi comuni” di flessicurezza. Per una ricostruzione, Caruso, Massimiano, 2007, 457 ss.Sono state decise le critiche a questo disegno europeo di “modernizzazione” (pur dopo gliinterventi correttivi del Consiglio al Libro verde), ritenuto molto basato sulla flessibilità epoco sulla sicurezza: cfr. Garofalo M.G., 2007, 143, ma di diverso avviso, De Luca Tamajo,2011, 421. Sulla questione v., in ogni caso, Carinci M.T., 2012, 535 ss. e ivi per più ampiriferimenti.

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strutturale di sostegno alla ripresa, quasi una sorta di misuraanti-ciclica (270), espressione perciò di una pervasività ben lontanadal metodo aperto di coordinamento che l’avrebbe dovuta accom-pagnare (271).

Nel complesso, gli “orientamenti integrati” e le precise indica-zioni agli Stati membri su come definire e attuare i propri pro-grammi nazionali di riforma, strutturalmente definiti in continuitàfunzionale con gli obiettivi del Patto di stabilità, danno nel com-plesso l’idea di quanto in profondità abbia scavato la cessione disovranità in favore dell’Unione (272) nonostante essa si basi, inmateria di politiche economiche e sociali, su disposizioni struttu-rate in termini di coordinamento, di accompagnamento e di inte-grazione degli interventi di competenza degli Stati membri (273).

B6. Le riforme del mercato del lavoro all’insegna flessicurezza: cam-biano Parlamenti e maggioranze ma non varia il disegno.

Non sorprende, quindi, che i contenuti regolativi definiti eveicolati dalla nuova governance economica europea hanno segnatoin profondità (e non poteva essere diversamente) le riforme delnostro mercato del lavoro (274), adottate negli ultimi anni impo-

(270) Così efficacemente Fontana, 2010, 123 ss. che legge il collegamento tra flessi-curezza e crisi già nella Relazione Mission for flexicurity della Commissione europea didicembre 2008 e, quindi, nella decisione del Consiglio europeo dell’11 marzo 2009, sottoli-neando la scomparsa di riferimenti a parole come flessibilità, adattabilità, occupabilità perfare posto ai concetti chiave di crisi, crescita, occupazione che, precisa, sarebbe tuttaviaingenuo considerare « frutto di un’improvvisa conversione alle ragioni della coesione socialee alla logica dei diritti ». Cfr. Ballestrero, 2012, 335 ss., per la quale l’obiettivo dellaflessibilità a trazione UE nei confronti del diritto del lavoro è spostare il baricentro dallavoro all’occupazione.

(271) Cfr. Sciarra, 2014, 2, che, in proposito, parla significativamente di declino delmetodo aperto di coordinamento. Sembrano, così, sfumare quei connotati di variabilità e diadattabilità che consentivano di interpretare la flessicurezza in coerenza con le tradizioni deidiversi Stati (Zoppoli, 2012, 6) ovvero di ritenerla una prospettiva affidata alla declinazioneconcretamente voluta dagli Stati (Carinci M.T., 2012, 532 ss.).

(272) Determinando, così, come si è visto (par. A8), molte perplessità circa lalegittimità dell’assetto istituzionale a cui è pervenuto il sistema della nuova governance:cfr., Giubboni, 2015, 5.

(273) Cfr., Loi, 2012, 1234 ss.; Aimo, 2012, 235 ss.; Borelli, 2012, 465 ss.(274) Proprio a causa della “dipendenza” dagli atti dell’Unione, anche negli altri

paesi della zona euro, gli anni della crisi hanno fatto segnare ripetuti interventi di

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nendosi ai diversi parlamenti e maggioranze succedutisi durante illungo periodo della crisi (275) chiamati a « svolgere sempre più difrequente un’attività recettizio-normativa piuttosto che politico-normativa » (276).

Ovviamente, la direttività della governance europea nonesclude affatto pur rilevanti margini di manovra e decisionali degliStati membri comparabili con quelli propri della direttiva stabilitidall’art. 288.3 TFUE (277), che tuttavia devono esercitarsi nelrispetto delle caratteristiche e dei contenuti (talora molto precisi:v. infra) imposti da un modello di flessicurezza e da una regola-mentazione del mercato del lavoro funzionali agli obiettivi macroe-conomici perseguiti (278).

ridimensionamento degli standard di tutela dei diritti dei lavoratori che hanno toccato,ovviamente in modo diverso e con diversa intensità, i medesimi e cruciali istituti contrat-tuali del modello della flessicurezza e, precisamente, la retribuzione, gli orari di lavoro, illicenziamento e la flessibilità in entrata: cfr. Clauwaert, Schomann, 2012. Particolarmenteincisivi risultano poi questi interventi in relazione ai paesi sottoposti a misure di assistenzafinanziaria: cfr. Koukiadaki, 2015 con particolare riferimento a Grecia e Portogallo. Unarecente analisi comparata delle misure in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia, inKilpatrick, De Witte, 2014.

(275) Garilli, 2014, 3-4; Carinci F., 2013 ss.12; Tega, 2015, 308. V, tuttavia, CarinciF., 2015, 41 ss. che, invece, vede una discontinuità delle politiche del Governo Renzi.

(276) Così, Ciolli, 2012, 13 e ivi per ulteriori riferimenti bibliografici. V. in propositopar. A8.

(277) La direttiva « vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda ilrisultato da raggiungere, salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma eai mezzi ». Sulla natura intrinsecamente “incompleta” della direttiva v. Villani, 2014a,281ss.

(278) Osserva Bilancia F., 2014, 9 che « le politiche per il rilancio della crescitaeconomica, in tali Paesi, devono essere caratterizzate dalla flessibilizzazione del mercato dellavoro che, aumentando il numero potenziale degli occupati — almeno secondo le dottrinemonetariste — e contenendo il costo del lavoro potrebbe generare una spinta per unriequilibrio macroeconomico »; negli stessi termini Salazar, 2013, 16 ss. in relazione agliinterventi (in generale sul piano del welfare state e, per quanto qui più interessa) sul pianodel mercato del lavoro riguardanti salari, produttività e contrattazione, orari di lavoro, ela flessibilità in entrata e in uscita. Stesse valutazioni in Giubboni, 2015, 11, e in Pessi,2011, 824, il quale, in ogni caso, contesta la valenza occupazionale delle riforme del mercatodel lavoro. V. altresì Carinci F. 2012, 5 ss. che invece, guardando agli interventi del 2011e 2012, parla di una “flexicurity at the margin” all’italiana realizzata attraverso unamoltiplicazione dei contratti flessibili (lasciando pressoché intatto il persistente e diversostatus regolativo del contratto standard). Una critica che si ritrova anche nelle valutazionidi Ferraro, 2012, 568. In proposito, un ampio approfondimento sulla “flessibilità aimargini” in Carinci M.T., 2012, 529 ss., la quale imputa a essa, la segmentazione e le

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Peraltro, nella successione dei diversi provvedimenti europei einternazionali analizzati, il nostro paese è stato altresì destinatariodella famosa lettera riservata della BCE (a firma di Draghi eTrichet) del 5 agosto 2011 — pubblicata il 29 settembre successivosu un noto quotidiano — che ha assunto la funzione (e il contenuto:v. infra) di strumento improprio delle politiche di bilancio edeconomiche dell’eurozona. La lettera, infatti, richiamate le conclu-sioni dell’Eurovertice del 21 luglio 2011, sollecita il Governo ita-liano ad accelerare nell’attuazione degli impegni presi per realiz-zare condizioni di bilancio sostenibili e riforme strutturali, e nellostesso tempo dà evidenza a quella integrazione, fatta di conver-genze e condizionalità, che — come abbiamo visto — ha progres-sivamente caratterizzato tutta la nuova governance economicaeuropea.

Ovviamente, non intendo così sottovalutare l’assoluta ano-malia di questo intervento né le molte e rilevanti implicazioniistituzionali e costituzionali che comporta questa grave ingerenzain questioni “interne” (279). Da questo punto di vista, peraltro,tale anomalia, insieme ai provvedimenti che ne sono “ordinata-mente” derivati, costituiscono uno dei punti di emersione delleprofonde trasformazioni che la crisi economico-finanziaria (e le sueemergenze) sta provocando negli (e tra gli) assetti costituzio-nali (280).

È necessario piuttosto sottolineare come gli obiettivi e lecaratteristiche dei provvedimenti sollecitati dalla BCE sono pie-namente in linea con il quadro delle prescrizioni e degli orienta-menti integrati di politica economica e occupazionale analiz-zati (281).

Ciò vale, in particolare, per l’art. 8 del decreto legge n. 138(significativamente battezzato “Salva Italia”), emanato qualchegiorno dopo (13 agosto 2011) l’arrivo della lettera BCE, che “tra-

segregazioni (specie dei giovani) presenti nel mercato del lavoro italiano e consolidatesi giàsu impulso del d.lgs. 276/2003.

(279) Cfr. Olivito, 2014, 10 ss.; Tega, 2014, 306; v. altresì quanto più analiticamenteosservato sub par. A8..

(280) Cfr. Contiades, 2013, 3; Ferrajoli, 2013, 146 ss.; v. ante § 3.(281) Treu, 2012, 6.

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duce” con immediatezza (282) la richiesta di quest’ultima di rifor-mare il sistema di contrattazione collettiva consentendo di adat-tare i salari e le condizioni di lavoro alle specifiche esigenze azien-dali (283), ma che trova il suo input primario nella Raccomanda-zione del Consiglio del 12 luglio 2011 sul programma nazionale diriforma 2011 dell’Italia (v. par. precedente) che individua, tra lemisure da adottare quelle « volte a garantire che la crescita deisalari rifletta meglio l’evoluzione in termini di produttività e lecondizioni locali e delle singole imprese, ivi incluse eventuali clau-sole intese a permettere che la contrattazione a livello d’impresavada in questa direzione » (punto n. 3).

Peraltro, alla lettera BCE sono da ricondurre altre significativedisposizioni del d.l. 138/2011 che impattano direttamente sui contipubblici e sul trattamento economico e normativo dei dipendentipubblici (oltre che sui trattamenti pensionistici: v. par. B4), lequali, tuttavia, non costituiscono misure innovative per l’Italia inquanto sono in piena continuità con le norme di spending reviewadottate già nel 2010 con il d.l. n. 78 del 31 maggio 2010 (conv.nella l. 122/2010) e nel 2011 con il d.l. 98 convertito nella l. n. 111del 15 luglio 2011, e successivamente ripetutamente confermate.

In ogni caso, lasciandoci alle spalle l’accelerazione impressadalla BCE, sia la riforma Monti-Fornero del 2012 (XVI legislatura)che, ancor più, il Jobs Act di Renzi (XVII legislatura) del2014-2015, si muovono decisamente verso l’assetto regolativo delmercato del lavoro a trazione europea frutto delle raccomandazioniper l’Italia e degli orientamenti integrati di cui si è detto (v. par.precedente) e, ovviamente, del rilievo della loro ordinata e pun-tuale attuazione ai fini del rientro del nostro paese nei parametri enelle flessibilità/condizionalità del Patto di stabilità valutate nel-l’ambito del Semestre europeo.

In proposito, molto si è già detto in riferimento alla l. 28

(282) La lettera BCE afferma che è cruciale adottare le misure richieste con decretilegge da convertire in legge entro settembre, in considerazione della gravità della situazionedei mercati finanziari: sono i giorni in cui il differenziale tra i tassi di interesse dei Bptitaliani e dei Bund tedeschi si aggirava intorno alla soglia dei 400 punti. V. tuttavia, leosservazioni in proposito di Perulli, Speziale, 2011, 7 ss.

(283) Ma sulle radici più antiche dell’art. 8 del d.l. 138/2011 e sui problemi dicostituzionalità che esso pone v., per tutti, Leccese, 2012, ove ulteriori rinvii.

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giugno 2012 n. 92 (284) che, significativamente, individua ilproprio obiettivo di fondo nella realizzazione di un « un mercatodel lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire allacreazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescitasociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso didisoccupazione » (art. 1, co. 1); un mercato del lavoro, cioè, che,in attuazione delle prescrizioni europee, è dichiaratamente (ri)o-rientato a sostenere la creazione di nuova occupazione e a incre-mentare il tasso di partecipazione curvando a questi fini la“qualità” dell’impiego, posto che il connotato della stabilità —pur declinato in termini di predominanza del contratto a tempoindeterminato e di contrasto all’uso delle tipologie flessibili [art. 1,co. 1, lett. re a) e c)] — non coincide più — se mai può dirsi chelo sia stato (285) — con una tutela “forte” avverso i licenziamentiillegittimi (art. 1, co. 1, lett. c).

Insomma, nella legge 92/2012 il modello regolativo della fles-sicurezza a servizio della “finalità macroeconomica” (286) dellacrescita e dell’occupazione prende corpo nei diversi riquadri delmosaico che includono, necessariamente, gli ammortizzatori socialie le politiche attive « in una prospettiva di universalizzazione e dirafforzamento dell’occupabilità delle persone » (art. 1, co. 1, lett.d). Oltre che, ovviamente, la riforma delle pensioni che, tuttavia,proprio in uno dei profili più delicati quanto a impatto sul nucleoessenziale dei diritti fondamentali dei lavoratori in pensione (ilblocco biennale dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita)è stata — come abbiamo visto — sonoramente cassata dalla Cortecostituzionale (v. par. B4).

Insomma, non manca nessuno degli ingredienti della flessicu-rezza.

Con il Jobs Act e, in particolare, con la definizione degliobiettivi che ne dà la legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, la

(284) Cfr. Brollo, 2012, 869, la quale sottolinea la riconducibilità della riformaMonti-Fornero al disegno europeo di flessibilità, alla quale va aggiunta, ai fini dellacompiutezza del disegno riformatore (cfr. Chieco, 2013, 15), la l 22 dicembre 2011, n. 214, diriforma delle pensioni.

(285) L’inciso si riferisce evidentemente ai lavoratori (del settore privato) esclusidall’ambito di applicazione dell’art. 18 st. lav. che, nel mercato del lavoro italiano, sonocirca 5 milioni (dati CGIA 2014).

(286) Come significativamente l’ha definita Edoardo Ghera, 2013b, 23. Si tratta diuna valutazione ampiamente condivisa: v, per tutti, Salazar, 2013, 17 ss.

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finalità macroeconomica della riforma del mercato del lavoro vienedeclinata in forma ulteriormente accentuata.

Se, infatti, gli ulteriori interventi in materia di ammortizzatorisociali — ponendo l’accento su « tutele uniformi e legate alla storiacontributiva » e sulla razionalizzazione (alias, ridimensionamento)della cassa integrazione guadagni (art. 1, co. 1) — e di servizi perl’impiego — con l’intento dichiarato di garantirne la “essenziale”fruizione specie in relazione alle politiche attive (art. 1, co. 3) —definiscono gli obiettivi in modo più articolato ma con caratterinon dissimili da quelli dell’universalità e del rafforzamento dell’oc-cupabilità della riforma Monti-Fornero, ben diversa è la formula-zione degli obiettivi degli interventi sul mercato del lavoro.

Qui, infatti, la finalità occupazionale prende tutto lo spaziofinalistico della regolazione annunciata posto che, mentre non c’èalcun riferimento formale alla “qualità” dell’impiego (espressa-mente richiamata negli obiettivi della l. 92/2012), si punta a« rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro daparte di coloro che sono in cerca di occupazione » e, in particolare,a « riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggior-mente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale eproduttivo » (art. 1, co. 7).

Il tutto, secondo una “visione” già anticipata dal d.l. 20 marzo2014 n. 34 (« Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occu-pazione... ») che, dopo avere motivato l’adozione del decreto leggecon la straordinaria necessità e urgenza di generare nuova occu-pazione e di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro,giustifica l’ennesima rivisitazione del contratto a tempo determi-nato « considerata la perdurante crisi occupazione e l’incertezzadell’attuale quadro economico nel quale le imprese devono ope-rare » e nello stesso tempo ne sottolinea la portata anticipatoria invista dell’adozione di un testo unico della disciplina dei rapporti dilavoro e, in particolare, dell’introduzione del contratto a tempoindeterminato a protezione crescente (art. 1) (287).

Insomma, già il d.l. 34/2014 anticipa quello che (in attuazionedelle ricordate finalità della legge delega) il d.lgs. 4 marzo 2015 n.23 si è poi incaricato di chiarire definitivamente e, cioè, che ilcontratto a tempo indeterminato a tutele crescenti altro non è che

(287) Sottolinea questo incipit della riforma Magnani, 2014, 2-3.

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il nuovo contratto standard a tempo indeterminato la cui unicanovità, rispetto alla normativa previgente, consiste nell’ulterioreallentamento della tutela (reale e indennitaria) avverso i licenzia-menti illegittimi. È questo il punto di “necessaria” intersezione trale finalità economico-occupazionali e la riforma del contratto dilavoro standard (288): un punto eterodiretto dagli atti dell’Unionecon la Raccomandazione del Consiglio all’Italia del 12 luglio 2011e, da ultimo, con quella dell’8 luglio 2014 che, come si è visto,individuano nel licenziamento uno degli istituti cruciali da modi-ficare ai fini della realizzazione del nuovo modello di flessicu-rezza (289).

Ma, naturalmente, è tutta la riscrittura del diritto dei contratti(standard e non) che, intervenendo su snodi di senso e di sostanzacome l’acausalità del contratto a termine o lo ius variandi (dastrumento a sostegno a tutela della professionalità del lavoratore astrumento di ricollocazione occupazionale dentro l’impresa) o, perl’appunto, la disciplina dei licenziamenti (290), mira ad assecon-dare la fluidità di un mercato del lavoro funzionalmente orientatoal sostegno dell’occupazione in continuità con gli “strumenti” degliammortizzatori sociali e dei servizi all’impiego, nuovamente disci-plinati (291).

(288) Oltre che del contratto a tempo determinato: cfr., Speziale, 2015a, 11.(289) Secondo quanto ripetutamente sottolineato già in occasione della riforma

Monti-Fornero: v., per tutti, Borelli, 2012, 471, per lo stretto collegamento tra flessicurezzaeuropea e licenziamenti; Perulli, 2012, 583 ss., secondo il quale la modificazione delladisciplina dei licenziamenti è espressione di un processo di riconduzione agli imperativi delfunzionamento del mercato che, tuttavia, non tiene conto né delle esternalità negativeprodotte dal costo sociale del recesso (strumenti di accompagnamento al nuovo impiego) eneppure delle esternalità positive prodotte dalla legislazione sociale in genere e specifica-mente dal diritto del lavoro (come la coesione sociale).

(290) Si tratta, com’è noto, di una soluzione legislativa (seppure, come si è visto,espressamente prevista dagli orientamenti integrati del 2010 e prescritta dalle Raccoman-dazioni del Consiglio per l’Italia: v. supra) basata sulla correlazione tra rigidità delle regolein materia di licenziamento e tassi di occupazione/disoccupazione decisamente contestatadalla dottrina (cfr., per tutti, Speziale, 2012, 524 ss.; Id., 2013, 305 ss.), anche economica(Fabrizi, Peragine, Raitano, 2013, 49 ss.).

(291) Circa questi ultimi, che ovviamente rappresentato tasselli essenziali dellaflessicurezza disegnata dalla legge delega n. 183/2014 (e dei decreti delegati sin qui emanati),e la loro rinnovata funzione pro-occupazionale in continuità con la riforma Monti-Fornero,v., per tutti, Garofalo D., 2015.

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B7. La flessicurezza e i diritti fondamentali del lavoratore: gli spazidelle tutele nell’ordinamento costituzionale multilivello...

Il processo di attuazione della flessicurezza a trazione UE,tutto proiettato su obiettivi macroeconomici da perseguire nelrispetto di pesanti vincoli di bilancio e debito pubblico, determinaun evidente ridimensionamento degli standard di trattamento e ditutela del lavoratore che incide su alcuni diritti fondamentali,seppure in vista della “dichiarata” maggiore tutela e promozione dialtri diritti fondamentali legati alla partecipazione del mercato dellavoro e al superamento del suo dualismo, alla universalità dellatutela da disoccupazione, al sostegno nelle transizioni lavorative.(cfr. gli “orientamenti integrati” e le raccomandazioni all’Italiarichiamati al § B5).

In questa nuova architettura nella quale un insieme di postu-lati di teoria economica vengono normativizzati (292) e assurgonoa disciplina del mercato del lavoro e dei suoi equilibri, ognuno deidiritti fondamentali della persona del lavoratore è potenzialmentechiamato a misurarsi con la nuova regolazione collocandosi nelcampo della resistenza o, al contrario, in quello della resilienza e,quindi, a curvare la direzione impressa dalla flessicurezza ovvero acurvarsi rispetto a essa.

È una verifica, quella da condurre con riferimento al rispettodei diritti fondamentali, che, naturalmente, non può investire ilcomplesso della (ri)configurazione del mercato del lavoro apparte-nente allo spazio della decisione politica (293). Quella verifica,piuttosto, deve avere un andamento puntiforme, legato a specifi-che posizioni e garanzie soggettive (nel cono della prospettiva dellanostra analisi) riconducibili ai diritti fondamentali dei lavoratori edeve essere, nello stesso tempo, attenta alla legittimità dell’equi-librio concretamente realizzato in attuazione di una regolazioneformalmente improntata all’inclusività e alla partecipazione (v.par. B9).

(292) Nardini, 2013, 1 ss.; Fabrizi, Peragine, Raitano, 2013, 49 ss.(293) V., in proposito Salazar, 2013, la quale, pur rivolgendo severe critiche all’at-

tuazione di un modello di flessicurezza monco e, quindi, senza il bilanciamento necessariodella flessibilità con la sicurezza (con il corredo di costi umani che ciò comporta), non sembradedurne questioni di legittimità costituzionale proponibili al giudizio della Consulta; neglistessi termini, e con riferimento alla Corte di giustizia, Koukiadaki, 2015.

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In ogni caso, la natura resistente o resiliente dei diritti fonda-mentali rispetto ai contenuti delle riforme realizzate e in via direalizzazione passa, in primo luogo, per l’individuazione delle fontiche li proclamano e, quindi, della competenza di queste a incideresulle norme europee o interne che, in ipotesi, quei diritti discono-scano.

In proposito, il quadro di riferimento è offerto dall’art. 6 TUEche riconosce i diritti, le libertà e i principi della Carta dei dirittifondamentali e (dichiarata l’adesione dell’UE alla CEDU) pro-clama che fanno fare parte del diritto dell’Unione i diritti fonda-mentali della CEDU insieme a quelli risultanti dalle tradizionicostituzionali comuni agli Stati membri (294). Accanto a questidiritti fondamentali vanno anche considerati quelli proclamatidalla Carta sociale europea che, tuttavia, pur se richiamati dall’art.151 TFUE quali limiti all’esercizio dei poteri da parte delle istitu-zioni europee in materia di politica sociale, non individuano posi-zioni giuridiche azionabili in giudizio (nel contesto dell’Unioneeuropea) in quanto sono (solo) « tenuti presenti » dall’Unione edagli Stati membri (295).

Il complesso delle fonti di riferimento comporta che i dirittifondamentali, oltre a operare entro i confini (e secondo le regole)dell’ordinamento che di volta in volta li proclama, hanno l’attitu-dine a interagire entro uno spazio, quello europeo (296), molto più

(294) Cfr.,per tutti, Tesauro, 2009, 68 ss. anche alla luce delle pronunce (e, quindi, delcatalogo dei diritti fondamentali) della Corte di giustizia; nello stesso solco De Schutter,2011, 311 ss.. V. altresì, Rossi, 2009, 77 ss. e ivi per ampi riferimenti al corposo dibattitosviluppatosi in occasione dell’approvazione del Trattato di Lisbona. In proposito, ricordatoquanto osservato da Zagrebelsky, 2015, 38, circa il fatto che « è necessario tenere semprepresente il confine che tiene distinti i diritti dai diritti fondamentali », emerge sempre conchiarezza la rilevanza assunta al riguardo dalla CDFUE che segna una linea netta lungoquel confine, collocando nell’area di quelli fondamentali una parte rilevante dei dirittisociali.

(295) Romeo, 2011, 493. Sul punto v. altresì Fontana, 2014a, 24 ss. e qui l’osserva-zione che, di recente, le interrelazioni fra la giurisprudenza della Corte EDU e le decisioni delComitato europeo dei diritti sociali, siano state all’origine di importanti e innovative“letture” delle disposizioni della CEDU in materia di diritti fondamentali.

(296) Quello stesso spazio che ha espresso gli obiettivi e i vincoli perseguiti con leriforme contenenti norme, in ipotesi, lesive dei diritti fondamentali proclamati nelle Carte.

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ampio, seppure secondo modelli cooperativi di diversa intensità ecaratteristiche (297).

Così, se nell’interazione con i diritti fondamentali della CEDUe con l’interpretazione che ne dà la Corte di Strasburgo, la nostragiurisprudenza si è riservata la decisione di ultima istanza (298), ilrapporto tra diritti fondamentali della CDFUE e della CEDUprocede in modo più dialogico. Sulla base della clausola orizzontalecontenuta nell’art. 52.3 CDFUE, che « intende assicurare la neces-saria coerenza tra la Carta e la CEDU », qualora diritti fondamen-tali UE corrispondano a quelli garantiti dalla Convenzione europeadei diritti dell’uomo, il loro significato e la loro portata (compresele limitazioni ammesse) sono identici a quelli della CEDU o deirelativi protocolli e, in ogni caso, è sempre consentito che il dirittodell’Unione conceda una protezione più ampia (299). Conseguen-temente, l’interazione tra le rispettive Corti è caratterizzata da unabase normativa cooperativa che tende a fare prevalere il dialogo aipossibili conflitti (300).

Certamente più articolato risulta il rapporto tra la CDFUE e idiritti fondamentali proclamati dalle Carte costituzionali. Qui l’i-dea “accrescitiva” che, nell’ordinamento multilivello, suggeriva diselezionare e applicare la norma più favorevole all’affermazione del

(297) Sulla complessa questione v. gli interventi curati da D’Ignazio e Russo, 2013,423 ss. V. tuttavia, Barbera, 2012, 8, che a proposito della forma (o, meglio, delle forme) delcostituzionalismo europeo conclude sostenendo che anche nei sistemi multilivello occorrestabilire a chi spetti “the ultimate say”.

(298) Le norme CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, infatti, « inte-grano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre a un livello sub-costituzionale » e, pertanto, non sono immuni dal controllo di legittimità costituzionale.Sono questi gli approdi della giurisprudenza costituzionale, cristallizzati nelle già citatepronunce “gemelle” n. 348 e n. 349 del 2007, e confermati in numerose sentenze successive:su tutte v. Corte cost. n. 80/2011 e n. 113/2011. In proposito, tra i moltissimi interventi, v.Ruggeri, 2011, 1 ss.; Corti, 2011, 1 ss.; Mottese, 2010, parte II, e, di recente, Bronzini, 2015,24 e ss. al quale si rinvia per ulteriori riferimenti.

(299) Esemplificativa di tale orientamento ‘armonico’ è la sentenza Bosphorus HavaJollari Turizm ve Ticaret c. Irlanda del 30 giugno 2005, (ric. 45036/98) che, peraltro, ribadisceil precedente orientamento (Corte EDU, 10 luglio 1978, C.F.D.T.; Corte EDU, 9 febbraio1990, M. & Co.; Corte EDU, 18 febbraio 1999, Matthews). A tal proposito, Malfatti, 2010,204, parla di “incorporazione” di fatto della CEDU nell’ordinamento UE.

(300) Ma v. tuttavia, Bronzini, 2015, il quale rileva come proprio nella materiasociale questa sintonia è molto meno evidente e si deve anzi registrare una certa ritrosiadella Corte del Lussemburgo a fare propri alcuni orientamenti della Corte di Strasburgo.

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diritto fondamentale (301), ha ceduto il passo alla giurisprudenzadella Corte di giustizia e alla proclamazione del primato del dirittoeuropeo, in nome di un processo di integrazione compatibile con leprofonde differenziazioni degli Stati membri e, proprio per questo,affidato alla preminenza del momento dell’interpretazione secondoi canoni di « pluralismo, bilanciabilità, flessibilità e negoziabilità...che i diritti assumono nell’ordinamento multilivello » (302).

Ciò, tuttavia, non ha consentito di arricchire e dare maggiorespessore alla CDFUE con i diritti fondamentali delle Carte costi-tuzionali degli Stati membri costringendoli, nelle materie di com-petenza UE, a un ruolo recessivo (303), solo temperato dallapossibilità (peraltro remota: v. par. B2) di “resistere” nella dimen-sione dei controlimiti (304).

Questa constatazione (sulla quale torneremo: v. infra), ovvia-mente, non intacca in alcun modo il rilevantissimo spazio chediscende dal primato del diritto europeo e che si manifesta ogni-qualvolta vi siano fonti europee dotate di applicabilità diretta(come per le disposizioni chiare, precise e incondizionate dei trat-tati) ovvero aventi efficacia vincolante (come per le direttivetrasposte o scadute), capaci di innalzare la soglia di tutela e di

(301) Così, Spadaro, 2011, 12 ss. La dottrina ha in più occasioni e con più vociespresso fiducia in una tutela multilivello dei diritti, caratterizzata, nei rapporti tra Carta ecostituzioni nazionali, da una sussidiarietà reciproca “bidirezionale” (Ruggeri, 2001, 184)ovvero da una “sussidiarietà costituzionale al rialzo” (Ballestrero, 2001, 98). Non sonomancate però, e da subito, posizioni meno fiduciose in questo possibile sviluppo anche inragione della difficoltà di effettuare una comparazione tra i valori sottesi alle disposizionicostituzionali dei differenti sistemi prevista dall’art. 53: cfr. Liisberg, 2001; De Siervo, 2001,50 ss.; Alonso Garcia, 2002, 20 ss.; Giubboni, 2004, 9 ss. V. altresì, Serrano, 2009, 171 ss., cheparla di “deludente performance” dell’art. 53 e, in generale, delle clausole orizzontali dellaCDFUE. Di recente Bronzini, 2015, 24, rileva efficacemente che la clausola ex art. 53 si èrivelata di bassa intensità direttiva, poiché essa, « sembra operare bene quando sono in giocoil potere punitivo dello Stato e i diritti di libertà del cittadino... (ma)... diventa quasiinutilizzabile allorché, a proposito di diritti sociali, vengono in risalto delicati problemi dicosti dei benefici di welfare e interessi di natura pubblica a mantenere in equilibrio il bilanciodello Stato (interessi che risultano “ quasi-costituzionalizzati” anche nel così detto Fiscalcompact) ».

(302) Così, Caruso, 2009, 756; Id, 2007, 27-28.(303) Cfr., per tutti, Pallini, 2011, 455.(304) Cfr. Carabelli, 2011a, 195 ss. Sul primato del diritto europeo e sugli effetti della

mancata comunitarizzazione dei controlimiti (specie a seguito di CGE Melloni), v. Ruggeri,2013, passim; v. Iacometti, 2013, 17; Mone, 2014, 26. Per ulteriori approfondimenti v. par.B2.

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resistenza dei diritti fondamentali dei lavoratori che a esse possanorichiamarsi per opporsi a regolamentazioni interne contrastanti osemplicemente elusive. Il che vale, ovviamente, anche in terminiinversi, poiché assegna una « legittima forza di resistenza » allenorme interne quando sono esse siano attuazione ovvero espres-sione del perseguimento degli obiettivi di protezione sociale del-l’Unione europea definiti dai trattati (305).

Insomma, come dimostra la vicenda giudiziaria, emblematica,dell’abuso dei contratti flessibili da parte delle pubbliche ammini-strazioni (che ha via via investito tutti i più rilevanti profiliregolativi della flessibilità organizzativa connessa all’uso del con-tratto a tempo determinato nel settore della pubblica istru-zione (306)), è proprio la presenza di una direttiva e, quindi, di unafonte di diritto europeo, il primo e più solido anticorpo a tutela deidiritti fondamentali lesi, in ipotesi, da norme interne frutto (anche)dell’intento dichiarato di perseguire obiettivi di austerity (im)postidallo stesso diritto dell’Unione (307).

B8. (segue) ... e, in particolare, nella Carta dei diritti fondamentali.

Del primato del diritto europeo non hanno potuto pienamentebeneficiare i diritti fondamentali consacrati nella Carta (308),

(305) Così Pallini, 2011, 455.(306) Sulla complessa vicenda del personale (insegnante e ATA) della scuola v., di

recente, anche a commento della decisione CGE del 26 novembre 2014, Mascolo; Ferrante2014; De Marco, 2015; Aimo, 2015; Calafà, 2015; De Michele, 2015.

(307) Nello stesso ordine d’idee, Giubboni, 2014, 273-274; Lo Faro, 2014, 284 ss. Inproposito i richiami del Governo italiano alle esigenze di bilancio e di contenimento dellaspesa per giustificare la penalizzante disciplina (di reiterazione di contratti a tempodeterminato) riservata ai docenti della scuola pubblica è stata prontamente regolata dallaCGE 26 novembre 2014 cause riunite C-22/13, Mascolo, utilizzando proprio le disposizioni ele tutele offerte dalla direttiva 1999/70/Ce del 28 giugno 1999. Ha, infatti, affermato la Corteche « sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte dipolitica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata dellemisure che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia, di per sé, un obiettivoperseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misuradi prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempodeterminato ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (v., per analogia,sentenza Thiele Meneses, C-220/12, EU:C:2013:683, punto 43 e giurisprudenza ivi citata) »(punto 110).

(308) Cfr., Salazar, 2013, 25; Carabelli, 2011b, 1426.

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nonostante essa venga richiamata sempre più frequentementenelle sentenze della Corte di giustizia (309).

La Carta, infatti, è rimasta costretta entro lo spazio circo-scritto dalla clausola orizzontale dell’art. 51.1 che ne consentel’applicazione da parte degli Stati membri « esclusivamente nell’at-tuazione del diritto dell’Unione » (310).

In proposito, sono emersi diversi criteri, non sempre coerenti espesso frutto di un approccio casistico, che hanno di volta in voltaallargato o, al contrario, interpretato restrittivamente la nozione inquestione e, quindi, l’ambito di applicazione della Carta.

Su questo stingente vincolo normativo, ulteriormente raffor-zato dall’espressa prescrizione che le disposizioni della Carta nonestendono in alcun modo le competenze dell’Unione (311) è ripe-tutamente intervenuta la Corte di giustizia (312), indicando cosadebba intendersi per norme interne di “attuazione del dirittodell’Unione”.

In alcuni casi, a far scattare la tutela offerta dai diritti fonda-mentali europei, la Corte ha ritenuto sufficiente (entro, pur sempre,il perimetro della competenza UE) che la normativa interna rien-trasse per qualche suo aspetto nel « cono d’ombra » del diritto

(309) Cfr., da ultimo la relazione annuale sull’applicazione della Carta, al Parlamentoeuropeo al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni, del 14aprile 2014 relativa al 2013 [COM(2014)224 def.], nella quale la Commissione europea rilevauna triplicazione dei riferimenti alla Carta nelle pronunce della Corte di giustizia rispetto al2011, e un notevole incremento (65%) dei riferimenti ad essa nelle questioni pregiudizialisollevate dalle giurisdizioni nazionali.

(310) Il testo definitivo della dell’art. 51.1 CDFUE riprende l’elaborazione giurispru-denziale comunitaria dell’incorporation, con la quale la Corte di Lussemburgo aveva“incorporato” i diritti fondamentali nel tessuto normativo comunitario, vincolante sia leistituzioni europee che gli Stati membri, quando questi agiscono nell’ambito di applicazionedel diritto comunitario (e, dunque, non solo nel caso di attività di esecuzione ma anchequalora essi pretendano di invocare una clausola di giustificazione contenuta nei Trattatiper derogare o non applicare un obbligo comunitario). Sulla dottrina dell’incorporation, diorigine americana, Weiler, 1985, 135 ss.; Mancini, 1988, 92 ss.; Cartabia, 2001, 347-348.

(311) Criticamente su questa delimitazione, De Schutter, 2003, 197 ss. Tuttavia, laCorte di giustizia ha ripetutamente affermato che l’ambito della competenza UE vale altresìa definire l’ambito di applicazione della Carta.

(312) Un’analitica ricostruzione di questa giurisprudenza, con ampi riferimenti bi-bliografici, in Di Stasi, 2014, 453 ss. Si v. anche il recentissimo e puntuale contributo diBronzini, 2015, 11 ss.

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dell’Unione (313), anche in termini di mero collegamento (314), conun’apertura che ha raggiunto il suo punto più alto nella sentenzaÅklagaren del 26 febbraio 2013. In questo caso, infatti, la norma-tiva svedese diretta a sanzionare l’evasione IVA è ricaduta nel-l’ambito di applicazione della Carta in virtù del collegamento conil disposto dell’art. 325 TFUE (che obbliga gli Stati membri alottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziaridell’Unione) e, quindi, con l’esigenza di salvaguardare gli interessifinanziari europei (315).

Tuttavia, non mancano pronunce nelle quali l’applicazionedelle disposizioni risulta strettamente ancorata alla lettera dell’in-ciso (« attuazione del diritto dell’Unione ») dell’art. 51.1CDFUE (316), ritornando spesso il passaggio argomentativo nelquale la Corte ribadisce che « i diritti fondamentali garantiti nel-l’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situa-zioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori diesse » (317). Un passaggio sul quale i giudici di Lussemburgo sono

(313) Come preconizzato da Cartabia, 2001, 347. Cfr., sul punto, Bronzini, 2012, 64.V., tra le altre, CGE, ord. 15 aprile 2015, C-497/14, Burzio, che dichiara l’inapplicabilitàdella Carta quando venga richiamata « in un contesto che non presenta alcun nesso con ildiritto europeo ».

(314) Si tratta di un’opzione ermeneutica avallata dalla Commissione Ue, la quale,nella Comunicazione “Strategia per un’attuazione effettiva della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea” Bruxelles, 19 ottobre 2010 - COM(2010) 573 definitivo, al par.1.3, rubricato “Garantire che gli Stati membri rispettino la Carta nell’attuazione del dirittodell’Unione”, ritiene sufficiente che il caso presenti un elemento di collegamento con ildiritto UE.

(315) Cge 26 febbraio 2013, C-617/10, al punto 26, precisa che « ... sussiste quindi unnesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unioneapplicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorseIVA, poiché qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente unariduzione delle seconde ». Con l’ulteriore e rilevante precisazione che si rientra nell’ambito diapplicazione dell’art. 51.1 Cdfue anche quando si tratta di una disposizione o di unprovvedimento nazionale concernente « ... una situazione in cui l’operato degli Stati membrinon è del tutto determinato dal diritto dell’Unione... ». Su questa sentenza v. Lazzerini,2013, 907 ss.

(316) È il caso di Cge 27 novembre 2012, Pringle, che ha escluso l’applicazione dellaCarta con riferimento a norme interne di attuazione del Fiscal Compact stante la suaestraneità (quale trattato internazionale) al diritto UE, nonostante tali norme ripropones-sero disposizioni contenute nei regolamenti UE six e two pack: per approfondimenti sulcontraddittorio iter argomentativo di questa sentenza v. Chieco, 2015, par. A9.

(317) V. la stessa Cge 26 febbraio 2013, Åklagaren (punto 19).

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di recente nuovamente tornati precisando che, ai fini dell’applica-zione della Carta, è necessaria « l’esistenza di un collegamento diuna certa consistenza, che vada al di là dell’affinità tra le materieprese in considerazione o dell’influenza indirettamente esercitatada una materia sull’altra » (318).

Ne emerge, a conferma di quanto ripetutamente sottolineato,una potenziale incertezza nella determinazione dei “confini” deldiritto dell’Unione (319) che, fin dalla prima proclamazione delBill of Rights europeo, ha fatto intuire la rilevanza del ruolo dellaCorte di giustizia nel definire concretamente le questioni contro-verse (320).

In questo quadro che, al di là delle non univoche aperture dellaCGE, poggia su un criterio fortemente limitativo nell’applicazionedei diritti fondamentali della CDFUE (321), è necessario valutarepiù attentamente la natura delle disposizioni con le quali il legi-slatore italiano sta via via introducendo il modello regolativo dellaflessicurezza in attuazione di una profonda ridefinizione funzionaledella disciplina del mercato del lavoro.

Per il nostro ordinamento, infatti, si tratta di un vero cambiodi paradigma non solo per la strumentalità di queste riformestrutturali a obiettivi economici e, in ultima analisi, di soccorso(indiretto) alla tenuta dei bilanci pubblici, ma anche (e forseancora più) perché gli interventi richiesti e attuati hanno sensibil-mente spostato il focus della tutela dei diritti fondamentali dellavoratore dal contratto all’accesso al contratto, con interventi

(318) Così, Cge 6 marzo 2014, C-206/13, Siragusa, punto 24. Si tratta di unaprecisazione che richiama quanto sostenuto da Corte cost. n. 80 del 7 marzo 2011, secondola quale presupposto per l’applicabilità della Carta è che « la fattispecie sottoposta all’esamedel giudice sia disciplinata dal diritto europeo e non già da sole norme nazionali prive di ognilegame con tale diritto ».

(319) Sulle difficoltà nella ricerca dei “confini” del diritto dell’Unione, v. diffusa-mente Conti, 2013.

(320) In proposito, v. Di Stasi, 2014, 457-458, che propone una interessante letturadi questa giurisprudenza (che alterna aperture e chiusure) vedendovi espressa la tendenzadella Corte di giustizia a estendere i margini di applicazione della Carta quando il richiamoai diritti fondamentali in essa affermati sostiene le norme del diritto interno tornando,viceversa, a un criterio letterale di stretta applicazione negli altri casi (ovviamente sempreche si dubiti della riconducibilità di questi casi all’attuazione del diritto europeo).

(321) Per la ricorrente imputazione agli artt. 51 e 52 CDFUE dei limiti alla possibilitàespansiva dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, v. Tesauro, 2012, 210; Fontana,2014a, 22.

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“chirurgici” sul versante della flessibilità in entrata e in uscitaovvero di ridefinizione al ribasso degli standard contrattuali ditutela della professionalità in vista di un netto rafforzamento dellastrumentalità del contratto di lavoro al fabbisogno occupazionaledell’azienda rispetto alla tutela, recessiva, del contraente debole.Interventi “chirurgici” (e strategici) solo in parte bilanciati daalcune innovazioni di rilievo sul piano del diritto dei contratti dilavoro (come la cancellazione dei contratti di collaborazione aprogetto e l’introduzione del salario minimo (322)), e dal pilastrofondamentale della flessicurezza europea costituito dal rafforza-mento dagli ammortizzatori sociali e delle politiche attive (323).

In proposito, abbiamo anche analizzato i passaggi normativiche attestano come a questi profondi cambiamenti l’ordinamentoitaliano sia arrivato in esecuzione di una governance economicaeuropea che, curvando le modalità di esercizio delle competenzefissate in materia dai Trattati, ha espresso una serie di atti a fortevincolatività, strutturati per sostenersi reciprocamente e assistitida pesanti sanzioni (324) tanto da determinare in capo al binomioParlamento-Governo vincoli di attuazione, quanto se non piùstringenti di quelli ordinariamente sussistenti nell’attuazione delledirettive europee. (par. B6).

E infatti, gli interventi sulla regolazione del nostro mercato dellavoro (ma lo stesso vale per gli altri paesi) risultano etero-indirizzati verso materie e istituti precisi, nei quali il diritto euro-peo impone di intervenire mediante atti generali (regolamenti eorientamenti integrati) e di dettaglio (raccomandazione (325)) con

(322) V. in proposito, Magnani, 2015, 537 ss.; Guarriello, 2015, 327 ss.; Speziale,2015b, e ivi per riferimenti.

(323) Cfr., per una prima riflessione, Balletti, 2015, 277 ss.; Garofalo D., 2015;Alaimo, 2015.

(324) Non di rado in palese contraddizione con i tratti tipici della tipologia diappartenenza: si pensi alle “raccomandazioni” (per definizione non vincolanti) assistitetuttavia da sanzioni in caso di mancata osservanza delle disposizioni in esse contenute o che,sempre in caso di mancata osservanza, innescano processi che possono a loro volta sfociarein sanzioni (v. parr. A3, A4 e A5).

(325) Pur non essendo formalmente vincolante (art. 288.5 TFUE), la raccomanda-zione è un atto giuridico tipico dell’Unione (art. 288 TFUE). In proposito la Corte haprecisato che « gli atti provenienti dagli organi istituiti con un accordo internazionale eincaricati della sua attuazione fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario ». Inol-tre, secondo una consolidata giurisprudenza, il fatto che un atto di diritto comunitario sia

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l’enforcement delle condizionalità legate alla gestione flessibile deivincoli di bilancio e debito, e con il sostegno della solidarietà“compulsiva” di tutti gli attori della governance (326). Senza tra-scurare, ovviamente, l’enorme forza di pressione della BCE asostegno della stabilità monetaria e, quindi, delle politiche UE,come la recente crisi UE-Grecia ha ben evidenziato.

Insomma, anche considerando la giurisprudenza più restrittivadella Corte, espressa di recente con la sentenza Proclava (327),

privo di effetti obbligatori non può impedire alla Corte di pronunciarsi in via pregiudizialesull’interpretazione di tale atto, ai sensi dell’art. 177 del Trattato [oggi art. 267 Tfue] » (Cge21 gennaio 1993, C-188/91, Deutsche Shell; ma v. anche Cge 13 dicembre 1989, C-322/88,Grimaldi). In ogni caso, la valenza della raccomandazione quale fonte di diritto europeo (inrelazione al disposto dell’art. 51.1 Cdfue) va altresì considerata in riferimento alla questionedell’effettiva portata normativa delle Raccomandazioni emanate ex artt. 5.2, reg. UE1466/1997, e 6.1, reg. UE n. 1176/2011, nel contesto della nuova governance economicaeuropea; Raccomandazioni caratterizzate dal fatto che la loro inosservanza può determinareil passaggio dello Stato inadempiente nel braccio correttivo del Patto e degli squilibrimacroeconomici, con tutte le relative sanzioni. In proposito, va ricordato che la Corte digiustizia ha ripetutamente affermato che l’identificazione dell’atto, ovvero la sua apparte-nenza a una o all’altra categoria, non va fatta in base al nomen iuris ma in considerazionedel suo contenuto e dei suoi caratteri sostanziali: principio consolidato sin da Cge 14dicembre 1962, cause riunite 19-22/62, Fédération nationale de la boucherie en gros: cfr.,Villani, 2014a, 266.

(326) V. par. A8. In proposito, è sufficiente ricordare quanto dispone il Trattato sulfiscal compact all’art. 7 a mente del quale « Nel pieno rispetto dei requisiti procedurali deiTrattati su cui si fonda l’Unione europea, le parti contraenti la cui moneta è l’euro siimpegnano a sostenere le proposte o le raccomandazioni presentate dalla Commissioneeuropea, ove questa ritenga che uno Stato membro dell’Unione la cui moneta è l’euro abbiaviolato il criterio del disavanzo nel quadro di una procedura per disavanzi eccessivi ». E,ovviamente, ciò vale a maggior ragione quando la violazione del criterio del disavanzo passaattraverso l’applicazione (o meno) delle norme di flessibilità connesse all’attivazione dellaclausola delle riforme strutturali.

(327) Cge 5 febbraio 2015, C-117/14, Proclava, riprendendo l’ordinanza Polier (16gennaio 2008, C-361/07), ha affermato che un intervento nazionale in materia di licenzia-mento (patto di prova), pur incluso nelle competenze UE, non rientra nell’ambito diapplicazione del diritto dell’Unione quando non sia stato oggetto di misure adottate sullabase degli artt. 151 e 153.2 TFUE. (punto 41). Tuttavia, come si è visto, per effetto deiregolamenti six e two pack del 2011 e 2013, l’individuazione e la raccomandazione diattuazione di riforme strutturali del mercato del lavoro pienamente ricadenti negli obiettivie nelle materie degli artt. 151 e 153 TFUE, rientra nel percorso estremamente dettagliato efortemente integrato, corredato da sanzioni dissuasive, della governance economica europeache ha la caratteristica (tra le altre) di inglobare diverse tipologie di provvedimentivariamente basati sul diritto UE, come gli “orientamenti integrati” ovvero le raccomanda-zioni (ex artt. 121 e 126 TFUE). Ebbene, l’attitudine del complesso delle regole della

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ritengo che ci siano sufficienti e concordanti elementi per farescattare il requisito di applicabilità stabilito dall’art. 51.1 dellaCarta dei diritti fondamentali in quanto le disposizioni con le qualisi stanno introducendo le riforme strutturali del mercato del lavorostanno dando “attuazione” al diritto dell’Unione.

Del resto sarebbe davvero irragionevole che il diritto europeoe le sue fonti considerassero altro da sé, quasi fossero elementiestranei, gli assetti regolativi perseguiti con le riforme del mercatodel lavoro attuative della flessicurezza strutturata secondo le pre-scrizioni degli atti europei analizzati (328). Questa estraneità risul-terebbe oltretutto paradossale, posto che la mancata osservanza dimolti di quegli atti comporta l’applicazione di sanzioni da parte diquello stesso diritto europeo che, nello stesso tempo, sarebbe“estraneo” alla sua osservanza.

Certo, è pur vero che, in proposito, la Corte di giustizia hadichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi circa la compa-tibilità con l’art. 51 CDFUE delle misure, adottate in Portogallo,di riduzione dei salari e degli assegni per ferie dei lavoratori delsettore pubblico (329). Tuttavia, queste ordinanze sono assuntedalla Corte sul presupposto che « la decisione di rinvio non conte-neva alcun elemento concreto che consentisse di ritenere che dettalegge fosse intesa ad attuare il diritto dell’Unione ». Esse pertanto,piuttosto che esprimere un orientamento della Corte di Giustizia aritenere la propria incompetenza a pronunciarsi sulla disciplina

governance a integrare “diritto dell’Unione” attuato dalle riforme nazionali (ai sensi dell’art.51.1 Cdfue) non è stata mai compiutamente analizzata dalla Corte di giustizia.

(328) V. in proposito le pertinenti osservazioni di Delfino, 2014, 186-187, il qualeosserva che, nell’interpretare la clausola orizzontale dell’art. 51.1 CDFUE, osserva che ilriferimento all’attuazione del diritto dell’Unione non può significare che diritti e principidella Carta si applichino « soltanto al procedimento di attuazione riguardante l’istituto cuiil diritto o il principio fa specificamente riferimento » ma ogniqualvolta si proceda all’at-tuazione di tutte le fonti secondarie dell’Unione.

(329) Il riferimento è all’ord. 7 marzo 2013, causa C-128/12, e all’ord. 26 giugno 2014,C-264/2012, entrambe su rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE del Tribunal do trabalho diPorto nell’ambito della controversia introdotta dal sindacato dos Bancários, con riferimentoa misure, adottate in Portogallo con la legge finanziaria per il 2012, « durante la vigenza delprogramma di assistenza economica e finanziaria (PAEF) ». In termini non dissimili,peraltro, si era espresso il Tribunale UE con due ordinanze del 27 novembre 2012 (causaT-215/11, Adedy; causa T-541/10, Adedy) con riferimento ai ricorsi proposti da un sindacatogreco dei dipendenti pubblici.

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interna attuativa dei vincoli di bilancio europei (330), segnalano lanecessità che i presupposti normativi per radicare tale competenzadevono essere ben rappresentati nel rinvio pregiudiziale: avver-tenza ricorrente da parte degli studiosi e degli operatori che simisurano con la giurisdizione di Bruxelles (331).

In ogni caso, non bisogna trascurare un aspetto di granderilievo.

Si è ripetutamente sottolineato, infatti, che la Carta affidaanzitutto al giudice nazionale un ruolo “euro-costituzionale” per-ché lo valorizza quale “organo di base del sistema giudiziariomultilevel”, creando così le condizioni per una “irradiazione di-retta” dei diritti fondamentali negli ordinamenti degli Stati mem-bri” (332).

In questo contesto, che naturalmente si avvale della progres-siva affermazione dell’applicazione diretta nei rapporti interpri-vati dei diritti fondamentali (333), si apre uno spazio tutto dasperimentare. Uno spazio nel quale, si è efficacemente osservato,« il giudice ordinario, come giudice “naturale” dei diritti fonda-mentali, sarà costantemente “provocato” a dare... un qualchesignificato e sostanza al riconoscimento di diritti » (334) spingendoper la loro progressiva e piena realizzazione.

(330) Inclina su questa posizione Fontana, 2014a, 10 che, viceversa, va condivisaquando si tratti di misure e condizionalità adottate in attuazione dell’assistenza fondata sulTrattato MES che, come si è visto (CGE, sentenza Pringle: v. par. A9), non fa parte deldiritto UE. V. anche Giubboni, 2015, 14, il quale dubita che i giudici di Lussemburgosaranno in grado di prendere effettivamente il merito delle questioni “politiche” poste daquesto tipo di controversie. Questo giudizio prognostico, tuttavia, può assumere diversadirezione ove si condivida la lettura, qui proposta, che colloca la riforma strutturale delmercato del lavoro “dentro” il diritto europeo con gli effetti analizzati nel testo.

(331) Cfr., Barnard, 2013, 89; Bronzini, 2012, 71, e Id., 2015.(332) I passaggi virgolettati son tratti, rispettivamente, da Izzi, 2012, n. 167 (che

richiama, con riferimenti, una definizione di Sciarabba) e da Bronzini, 2012, 59. Cfr. DiStasi, 2014, 463, e ivi per più ampi riferimenti.

(333) Aventi un contenuto chiaro, preciso e incondizionato: cfr. sull’efficacia diretta,Villani, 2014, 244 e ss., e ivi ampi riferimenti giurisprudenziali. V. altresì, Bronzini, 2012, 69ss., il quale individua il proprium della sentenza Kücükdeveci (CGE 19 gennaio 2010, causaC-555/07) nell’applicazione diretta nei rapporti interprivati dei diritti fondamentali (di nondiscriminazione, basati sulla Carta): « si tratta di una dimensione difficilmente resistibile nelmedio periodo vista la naturale tendenza dei Bills of rights a imporre la loro cogenza neirapporti interprivati » (p. 69); Id, 2015, 8 ss.; sul punto cfr. anche Salazar, 2013, 23-24.

(334) Così, Bronzini, 2007. Sul cross fertilizing effect derivante dal riconoscimentoufficiale del valore vincolante della Carta di Nizza v. Knook, 2005, 385; Caruso, 2011, 4 ss.

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Certo, questo scenario di un possibile fervore applicativo dellaCarta dei diritti fondamentali, non va tuttavia enfatizzato postoche, come abbiamo visto, proprio la giurisprudenza che si è svi-luppata a ridosso dei provvedimenti di austerity (v. supra) èprincipalmente orientata a salvaguardarne il contenuto, anchequando investe significativamente i diritti sociali fondamentali. Népuò dimenticarsi che negli anni più recenti la costruzione del-l’Unione come comunità di diritti oltre che economica ha trovatopiù di un punto di arresto proprio in seguito alle pronunce dellaCorte (335) che di quei poteri è in larga misura depositaria.

D’altro canto, proprio questa constatazione potrebbe inne-scare, rispetto al percorso normativo (e interpretativo) qui inesame, spinte nella direzione inversa da parte della giurisdizionenazionale per sottrarsi al primato del diritto europeo e affermare lacentralità del ruolo delle Carte costituzionali nella valutazione dilegittimità dei provvedimenti di flessicurezza incidenti sui dirittidei lavoratori. Con un processo che replica sul piano (questa volta)dei diritti sociali fondamentali ciò che i giudici di Karlsurhe hannosostenuto sul piano del diritti, legati alla sovranità nazionale,concernenti le decisioni in materia di bilancio statale e di uso dellerisorse pubbliche (v. par. A9).

Il rischio, in proposito, è di ritenere “ordinaria” una risposta intermini di controlimiti che, invece, come abbiamo visto, ha portatastraordinaria e oggi deve misurarsi con la presenza in Costituzionedel principio dell’equilibrio di bilancio che, almeno sulla carta, èdestinato ad avere (anche per effetto della “dipendenza” dallefonti europee) una indubbia influenza sui diritti sociali, speciequando legati alle spesa pubblica (v. par. C3, ma v. anche C4).

Comunque, pur se possibile, questa prospettiva non è per moltiversi auspicabile. La riconduzione delle discipline di flessicurezza(poste in essere negli anni della crisi) al diritto dell’Unione,aprendo all’applicabilità della CDFUE e alla competenza del giu-dice “eurocostituzionale”, evita i rischi e, comunque, i limiti del“patriottismo costituzionale”, come l’ha suggestivamente definitoBruno Caruso (336), per aprirsi a un processo di integrazione

(335) Carabelli, 2011a, 141, che imputa al quartetto Laval « spinte depressive deitrattamenti economici e normativi nell’ambito dell’intero mercato interno ». Ma v. ancheChieco, 2012, 91 ss. e ivi per ulteriori riferimenti.

(336) Caruso, 2008, 19.

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europeo che non è senza rete e impone condivisibili caratteristichestrutturali ai mercati del lavoro nazionali (337).

D’altro canto, questo processo può utilmente valersi, pur nelriconoscimento del primato del diritto europeo, della maggioretutela che su un diritto fondamentale del lavoratore come laretribuzione possono assicurare pronunce come quelle del TribunalConstitutional portoghese (v. par. A9) e della nostra Corte costitu-zionale con la recente sentenza n. 70 del 30 aprile 2015 basata su undiritto (alla retribuzione proporzionata e sufficiente) “fortemente”garantito nel nostro ordinamento e, nello stesso tempo, sottrattoalla competenza del diritto europeo (art. 153.5 TFUE).

B9. Un mercato del lavoro a misura dei diritti fondamentali dellavoratore: alcuni caratteri necessari.

L’ancoraggio al “diritto europeo” dei provvedimenti normatividi attuazione della flessicurezza rimuove un freno significativo allapiena espansione delle potenzialità della Carta (338) e apre a poteriben più incisivi di quelli disponibili nei confronti delle leggi senzarapporti con l’ordinamento europeo (339).

Si apre, cioè, una prospettiva di analisi e di valutazioni circa lacompatibilità tra regolazione interna e diritto europeo che, poten-zialmente, coinvolge ogni fattispecie capace di riflettersi in cia-scuno dei diritti fondamenti della Carta (oltre che dei Trattati) eche allude a un « molecolare lavoro di costruzione di un nuovotessuto di diritti » (340).

(337) Cfr., in proposito, Salazar, 2013, 5, che rimarca la persistente necessità diriversare i controlimiti « nel cuore dell’Europa » sottolineando come « il legame tra artt. 4 e6 mostra come la pretesa dei singoli stati di salvaguardare la loro identità costituzionale nonvada considerata in chiave meramente nazionalista: la conservazione della specificitàcostituzionale di ogni singolo Stato è un valore anche per l’Unione europea ». Non moltodissimile l’opinione di Carabelli, 2011b, 1432, che vede i controlimiti non come un rifiuto delprocesso di integrazione ma come “soluzione interlocutoria” perché diretta a sollecitare un“ripensamento dei fondamenti regolativi della materia. Del resto, in questa direzione vannole letture più attente della sentenza n. 238 del 22 ottobre 2014 della Corte costituzionale: v.Villani, 2014b, 1312; Gradoni, 2014; Guazzarotti, 2014; cfr. per questa prospettiva nellautilizzazione dei controlimiti v. par. B2.

(338) Sui freni all’applicazione della Carta, v. Tesauro, 2012, 210.(339) Cfr., per tutti Bronzini, 2012, 64-65; Id, 2015, 8 ss.(340) Così, Rodotà, 2012, 68.

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Partendo da questa prospettiva, vogliamo qui analizzare, inparticolare, alcuni connotati strutturali e funzionali cui deve ri-spondere un mercato del lavoro regolato secondo i canoni dellaflessicurezza (im)posti dell’Unione europea.

In proposito, una prima questione deriva dalla ripetuta con-statazione che, nonostante le dichiarazioni (a volte enfatiche)presenti nei regolamenti della governance economica e nelle normedei Trattati che ne costituiscono la base giuridica, il focus dellaregolazione sui vincoli di bilancio e debito ha messo in ombra lapoliedricità dei diritti e dei valori affermati dalla CDFUE e dallostesso art. 3 TUE, che l’Unione deve perseguire con le sue politichee azioni (341).

Ne emerge una palese incoerenza e contraddittorietà tra lepremesse e la disciplina dei vari regolamenti europei analizzati,destinata a riflettersi sulle norme interne che vi hanno dato esecu-zione, come quelle sul mercato del lavoro.

Non solo, infatti, si tratta di una riforma — come tutte leriforme strutturali — dichiaratamente asservita al sostegno (an-corché indiretto) del Patto di stabilità, ma vi è anche che — adifferenza degli obiettivi di bilancio e debito — non c’è alcunmeccanismo comparabile di avvicinamento agli obiettivi postidagli stessi “orientamenti integrati di Europa 2020” (342). E solodi recente la Commissione ha preannunciato possibili innovazioniin questa direzione (a conferma di tale criticità) (343).

L’incoerenza/contraddittorietà tra la pluralità degli obiettivi

(341) In termini analoghi, Koukiadaki, 2015; Lo Faro, 2014, 219 ss.; Costamagna,2012, 18.

(342) La Decisione del 21 ottobre 2010 contenente gli orientamenti in materia dioccupazione — che, come si è visto (par. B5), con la Raccomandazione sugli orientamentieconomici del 13 luglio 2010, costituisce gli “orientamenti integrati di Europa 2020” per ilperiodo 2010-2014 — prevede che « L’obiettivo principale dell’UE, in base al quale gli Statimembri definiranno i propri obiettivi nazionali, tenendo conto delle rispettive posizioni dipartenza e situazioni nazionali, è portare il tasso di occupazione per gli uomini e le donne dietà compresa tra i 20 e i 64 anni al 75% entro il 2020, ampliando la partecipazione giovanile,dei lavoratori anziani e scarsamente qualificati e facilitando l’integrazione degli immigratiregolari. ».

(343) Cfr. la Comunicazione sull’analisi annuale della crescita 2015 [COM(2014) 902del 28 novembre 2014] (ma v. anche il Progetto di relazione comune sull’occupazione del 28novembre 2014 [COM(2014) 906] che l’accompagna) dove si afferma che, nel quadro del raf-forzamento della dimensione sociale dell’UEM, c’è una chiara necessità di monitorare i pro-gressi sociali e l’impatto delle riforme nel tempo e si annuncia che, nella procedura per gli

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dei Trattati e la unidirezionalità dei regolamenti della governanceeconomica europea (oltre che degli atti che ne sono derivati)segnala, in fondo, la dubbia rispondenza alle fonti primarie di unaregolazione del mercato del lavoro che risulti espressione di unaflessicurezza interamente protesa al sostegno all’occupazione pur-chessia, totalmente assorbita — nella costruzione dei tasselli che lacompongono — dalla funzione anticiclica di strumento a sostegnodella crescita economica (344).

Certo, vi è chi ritiene che la finalizzazione della regolazioneeuropea alle esigenze del libero mercato risponda proprio all’obiet-tivo di fondo del modello di governo dell’economia contenuto neiTrattati (345).

Del resto, proprio la Carta radica nei Trattati ai diritti socialifondamentali dando spessore alla necessaria connotazione socialedell’economia di mercato secondo la proclamazione dell’art. 3TUE (346). Nel nuovo quadro disegnato dalla CDFUE misure

squilibri macroeconomici, stanno per essere integrati indicatori occupazionali e sociali, dautilizzare per una migliore comprensione del mercato del lavoro e degli sviluppi e rischi sociali.

(344) Così Fontana, 2010, 123; anche Brollo, 2012, 860, considera non accettabile unafunzione meramente allocativa della regolazione del mercato del lavoro; di diverso avviso èinvece Viscomi, 2013, 554. V. altresì Bronzini, 2015, 11 ss., il quale sottolinea come la Cartasia un parametro di legittimità costituzionale delle norme del diritto derivato europeo.

(345) Cfr. Bilancia P., 2014, 5 ss, la quale contrappone al modello europeo deiTrattati quello della nostra Costituzione fondato sulla pari dignità sociale e, quindi,sull’utilità sociale come limite all’iniziativa economica; Bilancia F., 2014, 10; ma v. contraSpadaro, 2014.

(346) Non c’è dubbio, infatti, che la Carta, dal punto di vista dei diritti sociali fon-damentali, fa compiere un salto di qualità al riconoscimento e alla tutela dei diritti sociali(prima della sua emanazione): cfr., per tutti, Caruso, 2010, 22; Id., 2011, 2 ss. Si tratta di unaconclusione che, evidentemente, prescinde dalla discussione, che qui può essere solo evocata,circa la struttura della CDFUE e, quindi, intorno alle diverse valutazioni circa la posizioneequi-ordinata dei diritti e della libertà fondamentali in essa proclamati, contrapposta allaclassificazione gerarchica che caratterizzerebbe le Carte costituzionali nazionali (e quella ita-liana in particolare): per una chiara proposizione delle questioni in campo Azzariti, 2009, 140ss. D’altro canto, non mi sembra sia vera l’affermazione che le Carte costituzionali nazionalipropongano una precisa classificazione gerarchica dei diritti fondamentali: cfr. per questa ealtre considerazioni sul punto, Barbera, 2012, 6 ss. Illuminante in proposito la sentenza dellaCorte costituzionalen. 85del 9maggio 2013nellaquale, apropositodelladelicatissimavicendalegata alla continuità produttiva Ilva di Taranto (assicurata, a fronte dei provvedimenti disequestro dell’autorità giudiziaria penale, dal d.l. n. 207/2012, conv. nella l. n. 231/2012),possono leggersi chiare parole sulla necessità di un bilanciamento anche con riferimento aldiritto fondamentale alla salute: cfr.Onida, 2013;D’Andrea, 2014, 14, nonché, più in generale,

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economiche e rafforzamento del competitività devono bilanciarsicon gli obiettivi di coesione e di solidarietà (347) in una “nuova”economia sociale di mercato nella quale assumono valore caratte-rizzante obiettivi orizzontali come la lotta all’esclusione sociale ealle discriminazioni, l’affermazione dell’eguaglianza (a cominciaredi quella tra uomini e donne) e della solidarietà tra genera-zioni (348).

D’altro canto la (ri)lettura degli “orientamenti integrati diEuropa 2020” alla luce delle disposizioni dei Trattati (piuttosto chedegli atti della nuova governance economica) conferma la difficileconfigurabilità degli interventi sul mercato del lavoro in termini dimera allocazione ottimale delle risorse (umane) (349).

Se così è, allora, una concreta condizione di compressione di undiritto fondamentale del lavoratore ascrivibile a una norma in-terna che abbia dato esecuzione a quanto stabilito da uno o piùdegli atti europei in precedenza analizzati, consente di attivarel’ordinario strumento di cooperazione tra il giudice nazionale e laCorte di giustizia. L’art. 267 TFUE, infatti, stabilisce la compe-

sul bilanciamento ai tempi della crisi tra nello scontro tra diritti e risorse, Salazar. 2013, 12ss.

(347) Cfr. Gambino, 2006, 463; Caruso B., Alaimo A., 2010; Sciarra, 2014, 3, la qualesottolinea che scorporare la governance economica dal rispetto dei diritti individuali ecollettivi può dare luogo a violazioni dell’art. 2 TUE, dell’art. 9 TFUE, oltre che degli stessidiritti affermati dalla CDFUE.

(348) Così, condivisibilmente, Perulli, 2013, 105 ss.; cfr. Grisi, 2012, 484. V. anchenello stesso senso le conclusioni dell’Avvocato Generale Pedro Cruz Villalón nella causaC-515/08 (Santos Palhota e altri) decisa dalla Corte di Giustizia con sentenza del 7 ottobre2010 (par. A9). C’è chi (Paolo Savona, nell’audizione alla Camera del 5 dicembre 2013)spinge fino in fondo questa osservazione: osservando che la via Economica all’Europa èstata deviata dal suo naturale percorso perché l’obiettivo dello sviluppo oggetto dei Trattatisi è tramutato nell’obiettivo della stabilità sicché non resta che la via giudiziaria (sull’ondadi quanto già fatto dalla Germania) e chiedere il rispetto dei Trattati e, quindi, l’abolizionedel reg. UE 1466/1997 (e sue modificazioni: v. par. A3) che, in qualità di norma derivata,non può modificare i Trattati.

(349) In quest’ottica, la Decisione del 21 ottobre 2010, contenente gli orientamenti inmateria di occupazione 2010-2014 (v. supra par. B5) pone una serie di obiettivi (ad es.aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e combattere la segmentazione, l’inat-tività e la disuguaglianza di genere, riducendo nel contempo la disoccupazione strutturale;garantire che i provvedimenti volti a migliorare flessibilità e sicurezza siano equilibrati e sirafforzino a vicenda ecc.) e di vincoli (coinvolgimento delle parti sociali) che possonorisolversi in altrettanti parametri di valutazione della compiutezza dell’azione e delle misuredi attuazione da parte degli Stati membri.

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tenza della Corte di Bruxelles a pronunciarsi in via pregiudizialesia sull’interpretazione che sulla validità degli atti europei ai qualila norma interna invocata nel processo sia riconducibile e, quindi,di valutare la legittimità della norma europea alla luce delledisposizioni dei Trattati.

La riconducibilità agli atti europei di governance economicadella regolazione interna della flessicurezza come anche di quella dic.d. spending review incidente sui diritti dei lavoratori pubblici,consente di valutare questa regolazione in relazione all’effettivorispetto delle prescrizioni poste negli atti europei.

Ciò vale, in particolare, per le diverse norme contenute neiregolamenti e negli altri atti analizzati che, ai fini dell’adozione dispecifiche misure, salvaguardano espressamente il ruolo delle partisociali e, in alcuni casi, le prerogative nazionali in materia di dirittodi negoziazione collettiva (350).

Da questa angolazione, la possibile questione nei confrontidella legislazione interna non risiederebbe soltanto nella violazionedei diritti fondamentali riconosciuti dalla CDFUE alle parti so-ciali. Si tratterebbe, piuttosto, di verificare, accertare e contestarela violazione del vincolo procedimentale previsto dagli atti europeie (in ipotesi) non rispettato nell’adozione delle norme interne chene sono derivate, al fine di ottenerne la disapplicazione da parte delgiudice nazionale ovvero all’esito di un pronunciamento in viapregiudiziale della Corte di giustizia.

(350) V. l’art. 1.3, del reg. UE n. 1176/2011 che salvaguarda il ruolo delle parti socialicon un rinvio all’art. 152 TFUE e richiama espressamente i diritti di contrattazionecollettiva e alle azioni di autotutela dell’art. 28 CDFUE con la precisazione che « leraccomandazioni adottate a norma del presente regolamento rispettano le prassi nazioni egli organi preposti alla determinazione delle retribuzioni ». Anche i successivi artt. 5.1, co. 2,e 6.3 stabiliscono il coinvolgimento delle parti sociali nell’adozione delle misure concernentigli squilibri macroeconomici. E in proposito basta ricordare che le Raccomandazionidestinate all’Italia (come agli altri paesi) contengono le misure che devono rispettare proprioil disposto dell’art. 6.3 del Reg. UE n. 1176/2011. V. anche i rinvii alla salvaguardia del ruoloe dei diritti delle parti sociali nei regolamenti del two-pack (nn. 472 e 473 del 2013) analizzatinel par. A5. Il tutto, ovviamente, in continuità con le disposizioni dei Trattati circa il ruoloe le prerogative delle parti sociali, sui quali, v. Veneziani, 2015; Vimercati, 2014, 485 ss., oveampi rinvii.

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B10. Un mercato del lavoro partecipato e inclusivo e, perciò, rispet-toso del principio di eguaglianza (e del divieto di discrimina-zione).

L’art. 52.1 della CDFUE, introducendo una fondamentaleclausola orizzontale, stabilisce che occorre sempre rispettare “ilcontenuto essenziale” dei diritti e delle libertà in essa riconosciutiprecisando tuttavia che la legge può apporre limitazioni se “neces-sarie” o semplicemente funzionali agli interessi generali ovvero allaprotezione di diritti e libertà altrui, ma a condizione di rispettare ilprincipio di proporzionalità.

Salvaguardato il nucleo essenziale, lo spazio delle scelte dellapolitica che passano per la limitazione dei diritti fondamentali siapre al controllo giurisdizionale del principio di proporziona-lità (351) che costituisce « la chiave di mediazione e di dinamicoequilibrio di interessi costituzionalmente rilevanti » ovvero il brac-cio che consente di valutare il bilanciamento nella compressionedel diritto fondamentale e, nello stesso tempo, di disvelare il puntodi rottura, la soglia minima oltre la quale vi è il disconoscimentodel diritto (352).

Tuttavia, fino all’intervento della nostra Corte costituzionalecon la sentenza n. 70/2015 e fatte salve poche altre pronunce (353),la giurisprudenza delle alte Corti ha stabilmente assegnato ai dirittisociali fondamentali un ruolo recessivo convalidando le politiche ele misure che, in funzione dell’interesse superiore della “tenuta” delprocesso di integrazione, hanno dato massima espansione alleprescrizioni della governance economica.

Si vedrà se, anche alla luce dell’evidente distonia del primatoassoluto delle politiche di bilancio rispetto alla pluralità valorialedella Carta e dei Trattati (v. par. B9), siamo di fronte a una stabileinversione di tendenza (v. par. B4).

Qui, però, preme osservare che un impatto non trascurabile

(351) Lo spazio della giurisdizione nell’ordinamento europeo non cambia, nonostantealcune clausole nei nuovi Trattati (come quella contenuta nel Fiscal compact) potrebberoindurre a pensare a una nuova tappa (dopo la discussa sentenza Commissione c. Consigliodel 13 luglio 2004, C-2 2704) verso la “giurisdizionalizzazione” del controllo sulla politicaeconomica: v. le osservazioni sul punto di Fontana, 2014b, 7.

(352) Caruso 2014, 14.(353) Ci riferiamo in particolare alle sentenze del Tribunale Costituzionale del

Portogallo: cfr. par. A9.

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nella tutela dei diritti fondamentali può avere il principio diproporzionalità ove venga chiamato a triangolare con il principiodi eguaglianza dell’art. 20 CDFUE, architrave dell’Unione e delprocesso di integrazione (354) che, secondo una costante giurispru-denza della Corte di giustizia, « impone di non trattare situazionianaloghe in maniera differenziata e situazioni diverse in manierauguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giu-stificato » (355). Il tutto, ovviamente, con lo specifico ed essenzialeenforcement assicurato dal divieto di discriminazione che può va-lersi della forza di resistenza offerta, oltre che dalle direttiveeuropee (356), dalla diretta precettività dell’art. 21 CDFUE e delledisposizioni antidiscriminatorie dei Trattati (357).

Si tratta, quindi, di una tutela per “linee interne” all’ordina-mento disegnato dalla legge che punta a (possibili) interventi“correttivi” di ripristino dell’eguaglianza dei rapporti giuridiciovvero di verifica della ragionevolezza delle differenziazioni (358),particolarmente necessari nelle fasi di incertezza (come queste)nelle quali, come attesta il rapporto ILO 2011, si manifestano più

(354) Cfr., per tutti, Villani, 2014, 252; Piccone, 2009, 23, che lo definisce un“metaprincipio” del diritto sovranazionale. Sulla triangolazione tra diritti fondamentali eeguaglianza ai fini della tutela dei diritti individuali in relazione alle misure di contenimentodella spesa pubblica, v. Fontana, 2014b, 23-24; Lo Faro, 2014, 283.

(355) CGE 26 giugno 1995, C-56/94, Scac.(356) Direttive 2000/43/CE, 2000/78/CE e 2002/73/CE, ora abrogata e confluita nella

direttiva 2006/54.(357) È l’orientamento della Corte di Giustizia che emerge dalle note pronunce

Mangold (CGE 22 novembre 2005, causa C-144/04), Bartsch (CGE 23 settembre 2008, causaC-427/06) e Kücükdeveci (CGE 19 gennaio 2010, causa C-555/07), poi ripreso anche in Prigge(Corte di Giustizia, 13 settembre 2011, causa C-447/09), HK Danmark (Corte di giustizia del26 settembre 2013 nella causa C-476/11) e Vital Pérez (Corte di Giustizia, 13 novembre 2014,causa C-416/13). Qui troviamo statuito che il principio di non discriminazione in ragionedell’età costituisce un « principio generale del diritto comunitario », che trova la sua fonte invari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, conun indirizzo confermato anche nella pronuncia Association de mediation sociale, C-176/12,del 15 gennaio 2014 in cui la Corte di Giustizia ha ritenuto non applicabile ai rapportiinterprivati l’art. 27 della Carta di Nizza in quanto non self executing, caratteristica invecericonoscibile nell’art. 21 della Carta che rende il principio di non discriminazione unprincipio generale direttamente applicabile ai privati. Alla luce di questo orientamento,emerge che il principio di non discriminazione fondato sull’età preesiste alla direttiva (cfr.,Fuchs, 2011, 81), la quale ne costituisce solo l’« espressione concreta » o, meglio, la “speci-ficazione”: Ballestrero, 2011, 147.

(358) Morrone, 2014, 9.

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diffusamente pratiche discriminatorie o di ingiustificata differen-ziazione dei trattamenti (359).

Insomma, nell’eguaglianza proporzionale c’è l’essenza dei vin-coli strutturali che la flessicurezza “voluta” dall’Unione e, quindi,pienamente ricadente nell’ambito di applicazione della Carta, deverispettare.

E c’è anche la sfida che il diritto del mercato del lavoro devecogliere nella costruzione di un assetto equilibrato e giusto dei e trai diritti, per assicurare gli obiettivi di superamento della segmen-tazione (normativa) e dei limiti alla partecipazione e alla inclusi-vità legati a fattori personali (come il genere o l’età) o territoriali.Un mercato del lavoro inclusivo ed efficiente (anche dal punto divisto allocativo) impone che in ogni suo punto la distribuzione deidiritti e delle tutele sia rispettosa del precetto di eguaglianzaproporzionale; un precetto che, come sottolinea Bruno Veneziani,soprattutto in una congiuntura economica sfavorevole, consente disalvaguardare e promuovere la coesione sociale (360).

In proposito, le raccomandazioni all’Italia insieme agli Orien-tamenti integrati 2010-2014, come abbiamo visto, danno il quadrodi riferimento e interpretativo alle misure richieste al nostro paese.Si tratta di misure che (al netto dei rilievi già discussi: v. par. B5)disegnano una disciplina della flessicurezza che contrasta segmen-tazioni artificiose degli statuti normativi applicabili ai lavoratoriammettendo, viceversa, le differenziazioni basate su ragioni ogget-tive, costruite secondo il canone della proporzionalità, anche nel-l’accezione declinata (ove motivatamente motivata) secondo ilmodello della eguaglianza delle opportunità.

Questa dimensione per c.d. strutturale apre spazi per il ripen-samento e per la valutazione, anche giudiziale, di radicate artico-lazioni del nostro ordinamento alla luce dei diritti fondamentaliproclamati dalla CDFUE.

A cominciare dalla stessa separatezza dei diritti e delle tutele

(359) Cfr. Equality at work: The continuing challenge, 2011, in www.ilo.org, sezioneTopics, voce Equality and discrimination.

(360) Cfr. Veneziani, 2010, 296. Il quale osserva che « trasferito sul terreno delrapporto di lavoro, lo schema bipolare — principio di non discriminazione e di uguaglianza— costituisce la coppia fondativa delle garanzie normative che ricompongono la sagomadella dignità di tanti che non lavorano ancora, di quanti stanno lavorando e di coloro chehanno già lavorato restituendo tutti al circuito più ampio della convivenza civile ».

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costruita sulla nozione di lavoro subordinato (molto più restrittivadi quella europea) rispetto alla categoria del lavoro autonomodipendente (361) che, pur tralasciando qui i profili legati al man-cato rispetto dell’universalismo delle tutele nel mercato (362),chiama in causa l’effettiva sussistenza di ragioni che giustifichino,in modo oggettivo e proporzionale, statuti normativi separati edifferenziati in “danno” del lavoratore autonomo (363).

In proposito, sembra coerente la previsione dell’abrogazionedella disciplina dei contratti di collaborazione a progetto e lariconduzione dei relativi rapporti al contratto di lavoro subordi-nato a tutele crescenti operata dall’art. 2, c. 1, d.lgs. 81/2015 (364),salvo a verificare la legittimità, alla luce del principio di egua-glianza, di regimi regolativi diversi (da quello di lavoro subordi-nato standard) resi tuttora possibili solo perché previsti dallacontrattazione collettiva (art. 2, lett. A).

Ma ovviamente, gli spazi di un ripensamento delle articolazionidel modello di flessicurezza attuato dal nostro legislatore, inve-

(361) Cfr. Giubboni, 2009, 35 ss.(362) In proposito, basta richiamare le sintetiche quanto efficaci valutazioni di Treu,

2012, 16-17, secondo il quale « Il nostro sistema di ammortizzatori sociali, come è noto, èstato storicamente impostato su base categoriale e tale è rimasto fino a ieri nonostante itentativi dei decenni passati di imboccare la strada europea dell’universalismo. Questadiversità storica, sostenuta dalle parti sociali, ha influito profondamente sul sistema dellasicurezza sul posto e nel mercato del lavoro. Si è così alimentato un circolo vizioso. Laresistenza degli attori sociali e politici, condivisa anche da molti esperti, ad abbandonare lenorme di difesa del posto di lavoro, in primis l’art. 18, è motivata dalla carenza di efficacistrumenti di tutela e di accompagnamento sul mercato del lavoro; d’altra parte il ritardonell’attivare questi strumenti perpetua le spinte alla conservazione dello status quo, com-prese le resistenze, individuali e collettive, anche alla mobilità possibile fra posto e posto dilavoro ».

(363) Perulli, 2015; Pallini, 2013, e in entrambi per più ampi riferimenti. V., comun-que, Magnani, 2013, 4 ss.; ma v. anche Zoppoli, 2014, 27 ss., per un approccio più cauto. Ingenerale, per un inquadramento del lavoro autonomo. dipendente nel quadro complessivodello “statuto” del lavoro autonomo v. Treu, 2010, 603 ss.; Perulli, 2010, 621 ss. Unaprospettiva non dissimile da quella indicata nel testo e con riferimento alla sponda deldiritto europeo, Caruso, 2014, 6 ss. nonché Pinelli, 2014a, 208 ss.

(364) La previgente disciplina ben difficilmente avrebbe retto a un giudizio dilegittimità ancorato ai parametri testé ricordati, caratterizzata com’era da significativediversità (persistenti, nonostante le modificazioni introdotte con la legge 92/2012) dei dirittie delle tutele basate su qualificazioni formali (subordinazione/parasubordinazione/collaborazione a progetto) piuttosto che sulle condizioni di “dipendenza” dal lavoro delprestatore: cfr., Calcaterra, 2008, 54; Orlandini, 2012, 626-627.

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stono anche specifici seppure fondamentali istituti come quello dellicenziamento nel quale, com’è noto, si sostanzia e definisce ladisciplina del contratto a tutele crescenti di cui al d.lgs. n. 23/2015.

Il fatto che tale contratto sia un tassello strategico dellaflessicurezza declinata, in attuazione della disciplina europea infunzione di sostegno all’occupazione (365), determina anzitutto lanecessità che la nuova regolamentazione del licenziamento siaconforme al diritto fondamentale del lavoratore di essere tutelatocontro ogni licenziamento ingiustificato (art. 30 CDFUE) (366).

È questo, infatti, il primo tassello di un qualsiasi percorsomirante a valutare la corretta e proporzionata applicazione di undiritto fondamentale nel contesto di una comparazione tra statutinormativi condotto alla luce del principio di eguaglianza.

Ora, pure se l’opinione prevalente ritiene estranea all’art. 30CDFUE la volontà di assicurare una tutela reale avverso il licen-ziamento ingiustificato (367), neppure imposta dall’ordinamentointerno (368), nondimeno il suo disposto « non (è) affatto insigni-ficante e privo di impatto potenziale sugli ordinamenti nazio-nali » (369).

Infatti, il duplice diritto ivi riconosciuto in capo a “ognilavoratore” (che il licenziamento deve essere giustificato e che, incaso contrario, il lavoratore deve essere tutelato) impone alcunistandard alla disciplina interna che con l’art. 30 debba confron-tarsi, com’è nel nostro caso. E pensiamo, alla previsione di uncontrollo giudiziale delle cause effettive del recesso come anche alla

(365) Cfr. par. B6. Non torniamo qui alle molte e condivisili ragioni che contestanola produzione di effetti di incremento occupazionale legati alla maggiore flessibilità in uscitadel nuovo contratto standard, e che sono state ripetutamente esaminate da Valerio Speziale,anche a ridosso di accurate analisi “quantitative”. Seppure non vanno trascurati nell’otticadelle politiche di sostegno a una migliore occupazione, i processi di modificazione delladistribuzione quantitativa che la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti incombinato disposto di quella sul contratto a termine e di abrogazione dei contratti dicollaborazione a progetto potrebbe innescare in favore del contratto a tempo indeterminatostandard.

(366) Sulla limitata applicazione dell’art. 30 CDFUE in ragione delle clausole oriz-zontali sulla competenza, cfr., per tutti, Orlandini, 2012, 642 ss.

(367) V. Ichino, 2012; 19; Giubboni, 2012, 9, Speziale, 2013, 311 ivi per ulterioririferimenti; contra Orlandini, 2012, 634 ss.

(368) Cfr., per tutti, Albi, 2013, 161 ss.(369) Orlandini, 2012, 642, e ivi (621 ss.) per un’approfondita e convincente confu-

tazione delle letture riduttive del diritto fondamentale proclamato nell’art. 30 CDFUE.

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misura dell’indennità risarcitoria adeguata e dissuasiva (370) ca-pace di dare effettività ed efficacia deterrente alla sanzione per ilmancato rispetto del diritto del lavoratore (371).

In ogni caso, preteso (e in ipotesi, ottenuto nell’ordinamentointerno) il rispetto di questi standard, l’art. 30 CDFUE ne disponel’applicazione a “ogni lavoratore”, rendendo così, anche per effettodel combinato disposto dell’art. 20 CDFUE, difficilmente ammis-sibili (al di là del periodo di prova) statuti normativi differen-ziati (372). Il tutto in piena sintonia con i principi generali delmercato del lavoro da cui abbiamo preso le mosse.

In particolare, risultano di dubbia legittimità “zone franche”dalla tutela, come quelle previste per alcune categorie di lavoratoriovvero per alcune “fasi” del contratto di lavoro subordinato atempo indeterminato, come avviene per l’apprendistato al terminedel periodo di formazione (373).

In tal caso, la compressione dello standard di tutela assicuratoal diritto fondamentale dalla regolamentazione ordinaria non pareassistita da ragioni oggettive e, anzi, sembra contraddire le finalitàoccupazionali che orientano tutta la disciplina.

Allo stesso modo, il combinato disposto degli artt. 20 e 30CDFUE, rende non poco problematica la giustificatezza dellapersistente presenza nel nostro ordinamento (art. 9, co. 1, d.lgs. n.23/2015) di uno statuto protettivo dimidiato nei confronti deilavoratori licenziati da datori di lavoro che non raggiungono arti-colate soglie dimensionali (art. 18, co. 8 e 9, l. n. 300/1970). Cosìcome appare non esente da dubbi di legittimità, sempre conriferimento ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta, la scelta del

(370) Orlandini, 2012, 639.(371) Cfr., Carinci M.T., 2012, 549, la quale sottolinea che nella fissazione del

risarcimento del danno, il legislatore non è del tutto libero di determinarsi in quanto, oltreall’art. 30 Cdfue, vengono in rilievo l’art. 24 della Carta Sociale Europea e la ConvenzioneOIL n. 158/1982. Sulle questioni accennate nel testo v. altresì Speziale, 2013, 310 ss., e iviper ulteriori indicazioni di dottrina e giurisprudenza.

(372) Cfr. Orlandini, 2012, 626, e ivi per ulteriori riferimenti; Calcaterra, 2008, 51, ilquale tuttavia ammette possibili eccezioni fondate sul rinvio dell’art. 30 a « legislazioni eprassi nazionali »; rinvio che, tuttavia, vale a definire gli standard di tutela (« conforme-mente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali ») e non legittima articola-zioni nazionali dei regimi di tutela contrastanti con il principio di uniformità garantito a“ogni lavoratore” per effetto del combinato disposto degli artt. 30 e 20 CDFUE.

(373) Cfr., Orlandini, 2012, 626-627.

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nostro legislatore delegato che ha tradotto la disciplina della fles-sicurezza voluta dall’Unione ponendo in essere un sistema “bina-rio” (art. 1, d.lgs. n. 23/2015) che lascia coesistere diversi regimi ditutela avverso il licenziamento ingiustificato (374).

Nel complesso, questi pochi rilievi mirano a dare evidenza almetodo di analisi e di valutazione delle posizioni giuridiche disci-plinate nelle nostre riforme del mercato del lavoro alla luce del-l’applicazione della Carta e delle caratteristiche strutturali allequali esse devono rispondere.

E, in proposito, va infine segnalato, che sia le raccomandazioniper l’Italia che gli Orientamenti integrati per l’Europa 2020 fannocostante riferimento alla misurazione degli effetti della flessicu-rezza sia nel “braccio” della flessibilità che in quello della sicurezzavarando una sorta di modello “sperimentale” che il legislatorenazionale (ma anche europeo) deve implementare (375).

Per l’Unione europea gli equilibri della flessicurezza non vannosolo declamati ma vanno concretamente misurati per stabilire,sulla base degli effetti reali, eventuali misure correttive che, ovenon adottate, potrebbero innescare azioni concrete di inosservanzadelle direttive europee. Si pensi a fattispecie di particolare vantag-gio per il datore di lavoro a scapito dei diritti standard dellavoratore (come ad es nell’apprendistato con riferimento al sottoinquadramento professionale e retributivo) in merito alle quali nonseguano riscontri statisticamente significativi sul piano della effet-tiva continuità occupazionale.

Questo esempio, consente di cogliere come questo approcciosperimentale non debba essere orientato verso valutazioni di tipoesclusivamente quantitativo (pure rilevanti) posto che la misura-zione degli effetti delle riforme sul mercato del lavoro deve esserela base per valutazioni più strettamente giuridiche circa l’effetti-vità del bilanciamento in atto e, in particolare, in ordine alla realegiustificatezza del dimensionamento di diritti fondamentali di

(374) Cfr. Speziale, 2015a, 44, che solleva la questione di legittimità costituzionalecon riferimento all’art. 3 Cost.

(375) Sulla rilevanza nelle fonti europee del monitoraggio e della valutazione dellepolitiche occupazionali v. Sciarra, 2013, 37 ss. e ivi per più ampi riferimenti. Monitoraggioe misurazione degli effetti della regolazione del mercato del lavoro sono fortemente solleci-tati da Viscomi, 2013, 549 ss.

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volta in volta compressi in funzione degli obiettivo economici eoccupazionali perseguiti.

Conclusioni.

Tirale le fila dell’analisi proposta è prematuro per un testo e unpercorso offerti al dibattito del nostro congresso e che, da questo,trarrà certamente elementi per ulteriori approfondimenti e per piùcompiute valutazioni.

Certo, alcuni elementi mi sembra emergano con una sufficientechiarezza.

Il primo è di natura istituzionale ed è rappresentato da quel-l’insieme di regole e di procedure, interne ed esterne all’ordina-mento UE, strettamente intrecciate mediante reciproci rinvii econdizionalità, rinforzate da sanzioni, che va sotto il nome digovernance economica europea. Si tratta di vera e propria legisla-zione della crisi, funzionalmente strutturata al prioritario perse-guimento degli obiettivi di bilancio di medio termine e dellasostenibilità del debito pubblico, che produce effetti inusitati suiTrattati dell’Unione riservando a soggetti istituzionali (e non,come la Trojka) la definizione di politiche e, ancor più, di inter-venti e misure per attuarle caratterizzati da un alto tasso divincolatività nei confronti degli Stati membri destinatari, bendistante dagli assetti dei trattati.

Il secondo elemento che l’analisi ci consegna è che, a sostegnodei vincoli e degli obiettivi di stabilità finanziaria e macroecono-mica, la governance economica europea costruisce una rete serventedi “riforme strutturali” definite in vista di un impatto positivo(diretto o indiretto) sui quei vincoli e obiettivi. Quando entrano nelcircuito della governance queste riforme strutturali sono fortementesostenute perché diventano condizionalità per lo Stato membro,utili (a usufruire di margini di flessibilità nel perseguimento degliobiettivi di bilancio o nell’accesso a misure di assistenza finanziariao di politica monetaria) se attuate o, altrimenti, penalizzanti (perla rilevanza, diretta o indiretta, ai fini dell’applicazione di san-zioni).

E in questo contesto emerge dall’analisi proposta il terzoelemento, dato dallo spazio e dal ruolo che, tra le riforme struttu-rali, la governance economica assegna (limitandomi alle prospettive

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di analisi a me affidate) alla regolazione del mercato del lavoro,segnata con evidenza dalla funzione macroeconomica perseguita.Il modello della flessicurezza viene infatti definito con caratteristi-che e contenuti che hanno il loro focus sul sostegno all’occupazionee il loro sviluppo in posizioni giuridiche definite in funzione dellacentralità delle transazioni professionali. La flessicurezza a tra-zione Ue chiede la costruzione di un mercato del lavoro chegarantisca ampia partecipazione e lotta alla segmentazione, checontrasti l’inattività e la disuguaglianza riducendo la disoccupa-zione strutturale, che miri all’universalità della tutela da man-canza di lavoro. E chiede ancora di rendere alcuni snodi essenzialidella regolazione del contratto di lavoro (come le retribuzioni e ilrelativo sistema contrattual-collettivo di determinazione e come illicenziamento) congruenti a tale modello regolativo perché rispon-denti all’idea di una flessicurezza capace di assicurare la massimafluidificazione nel rapporto tra mercato del lavoro interno edesterno all’impresa, a sua volta funzionale agli obiettivi macroeco-nomici perseguiti.

Nella grammatica di queste riforme strutturali e della loroattuazione lo spazio dei diritti fondamentali attivi nella dimen-sione del contratto di lavoro quasi scompare, fatta eccezione per legaranzie e le tutele orizzontali fondamentali come quelle assicuratedalla normativa antidiscriminatoria. Ovviamente, solo regolazionidel mercato del lavoro rispondenti alle caratteristiche e ai conte-nuti richiesti (articolati poi per paese) rientrano nel novero delle“riforme strutturali” idonee a integrare le condizionalità.

Il quarto elemento offerto dall’analisi, confermando la (dif-fusa) convinzione che le riforme del mercato del lavoro italianohanno risposto (per caratteristiche e precisi contenuti) agli inputregolativi dell’Unione europea (con un rinforzo d’eccezione come lalettera Draghi-Trichet del 5 agosto 2011), ne definisce più esatta-mente le implicazioni giuridiche riconducendo tali riforme nelnovero delle “riforme strutturali” (im)poste dalla governance eco-nomica. Di qui la proposta interpretativa che partendo da que-st’appartenenza si spinge a rivendicare la piena e diretta applica-bilità, a tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori investiti dallaregolazione interna, della Carta dei diritti fondamentali.

La tesi, in proposito, è che la diretta riconducibilità delleriforme interne del mercato del lavoro all’attuazione della gover-nance economica sia tale da integrare il requisito di applicabilità

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stabilito dall’art. 51.1 della Carta dei diritti fondamentali trattan-dosi di riforme che stanno dando « attuazione al diritto del-l’Unione ».

È difficile pensare, infatti, a un diritto europeo che da unaparte consideri talune riforme strutturali come condizionalità pro-prie del sistema della governance economica (frutto, quindi, diregole e atti precisi) e dall’altro le valuti a sé estranee, negando cosìla sussistenza della condizione posta dalla clausola orizzontaledell’art. 51.1.

Si apre, così, uno spazio (in parte) nuovo che chiama in causa,ma in una prospettiva diversa, il ruolo della giurisprudenza dellaCorte di giustizia che, nel dialogo con la Corte costituzionalefederale tedesca, si è sin qui confermata come custode dei mecca-nismi della governance economica europea a tutela della stabilitàfinanziaria dell’euro zona, lasciando alle Corti costituzionali degliStati membri il compito di tutelare i diritti fondamentali deilavoratori segnati dalle riforme frutto della medesima governance.Una soluzione ispirata alla tutela dell’identità nazionale secondo latecnica dei controlimiti che, tuttavia, può funzionare in casiestremi, ma non può essere un modello proprio a causa del rap-porto funzionale che lega le riforme strutturali al Patto di stabilità.

Del resto, l’apertura all’ampio catalogo dei diritti fondamen-tali della Carta chiama in causa anzitutto, il giudice nazionale nelsuo ruolo di organo di base del sistema giudiziario multilevel e,quindi, di protagonista della costruzione di una comunità econo-mica fondata sui diritti.

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INTERVENTI

MATTIA PERSIANI

Grazie Presidente, e grazie anche al relatore per l’interessantee complessa relazione che abbiamo appena sentito.

Devo, però, far anche presente che, forse a ragione dell’età, nonsono riuscito a seguire ogni passaggio della articolata esposizioneche ci è stata offerta e, quindi, mi scuso fin d’ora se il miointervento non dovesse, in qualche modo, risultare sintonico conquanto abbiamo sentito.

Vorrei esporre due considerazioni: una generale e una partico-lare.

La considerazione generale è che, anche quando si parla ditutele previdenziali, sembra necessario chiarire cosa si intende per“diritti fondamentali”.

Ed infatti, tanto per fare un esempio, non basta dire che ildiritto alla retribuzione è un “diritto fondamentale” perché laretribuzione si compone di una pluralità di voci con funzionidiverse e può avere importi differenziati. Ne consegue che nontutta la retribuzione può essere considerata oggetto di un “dirittofondamentale”: se mai, se si tiene conto dei principi sanciti dallanostra Costituzione, oggetto di quel diritto sarà la “retribuzionesufficiente” (art. 36 Cost.) e, quindi, non saranno, sempre adesempio, gli assegni ad personam ancorché sempre retribuzionesono.

Lo stesso è da dire per il diritto a pensione: non ogni pensione,indipendentemente dal suo ammontare, può essere oggetto di un“diritto fondamentale”; se mai, se, ancora una volta, si tiene contodei principi sanciti dalla nostra Costituzione, oggetto di quel dirittosaranno le pensioni che garantiscono “mezzi adeguati alle esigenzedi vita” (art. 38 Cost.) e, cioè, garantiscono l’effettivo esercizio deidiritti civili e politici e non già quelle che, per effetto dei criteri in

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base ai quali ne è stato determinato l’ammontare, tendono, piut-tosto, a soddisfare l’interesse individuale del pensionato a conser-vare il tenore di vita raggiunto durante lo svolgimento dell’attivitàlavorativa.

La considerazione particolare riguarda la sentenza n. 70/2015della Corte costituzionale. L’impressione è che il relatore abbia, infin dei conti, apprezzato quella sentenza che, a mio sommessoavviso, merita, invece, molte critiche.

Infatti, la mia opinione è che, in quella occasione, i giudicicostituzionali non sono stati né iuris prudentes, né iuris periti.

Perché, in quell’occasione, i giudici costituzionali non sonostati iuris prudentes? Perché hanno deciso dimenticandosi dellanecessità di tener conto del, e dare soluzione al, conflitto interge-nerazionale.

Eppure nel periodo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 i giudicicostituzionali si erano preoccupati di risolvere quel conflitto ga-rantendo anche alle generazioni future la possibilità di godereun’adeguata tutela previdenziale. Ed è così che, per consentire lasoddisfazione delle aspettative di quanti ancora lavorano, queigiudici avevano superato i sospetti di legittimità costituzionaledelle leggi — a cominciare da quella Amato — che, nel tentativo diporre rimedio alla crisi finanziaria che affliggeva la gestione pen-sionistica, avevano ridotto l’effettività della tutela previdenziale.

Ed invece, rimuovendo, ora, indiscriminatamente e retroatti-vamente i limiti imposti alla perequazione sui trattamenti pensio-nistici medio-alti, i giudici costituzionali hanno appesantito la crisifinanziaria del sistema pensionistico e, così, hanno ulteriormenteridotto le aspettative di chi sta ancora lavorando.

Questi, oltretutto, finanziano con il loro lavoro le pensioni ingodimento, arricchite dalla sentenza contestata, ma non sanno sela loro pensione sarà adeguata e nemmeno se godranno di unapensione.

Ma v’è di più. In quell’occasione i giudici costituzionali nem-meno sono stati iuris periti. Hanno, infatti, utilizzato un’argomen-tazione che non solo è errata, ma che da tempo era stata superata.Trattasi dell’argomentazione che suppone l’equiparazione dellapensione alla retribuzione e, quindi, consente di far riferimento,anche ai fini di valutare la legittimità costituzionale delle leggi cheregolano la materia previdenziale, ai parametri di cui all’art. 36Cost. e non a quelli dell’art. 38 Cost.

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Fatto è che la motivazione della sentenza n. 70 del 2015, da unlato, presuppone un’inesistente corrispettività tra contributi eprestazioni previdenziali come se queste avessero natura retribu-tiva e, d’altro lato (anche se indirettamente), riesuma il falso tabùdei diritti quesiti.

Ora, l’art. 36 Cost. risolve l’inevitabile conflitto esistente tra gliinteressi di chi detiene i mezzi di produzione e gli interessi di chivive del proprio lavoro.

L’art. 38 Cost., invece, attua il principio di solidarietà di cuiall’art. 2 Cost. e a quello dell’uguaglianza sostanziale di cui alsecondo comma dell’art. 3 Cost., onde tende alla soddisfazione diun interesse pubblico riferibile all’intera comunità organizzatonello Stato a che tutti possano godere dei diritti civili e politici.

Ed in questo senso, l’art. 38 Cost. non esige affatto che leprestazioni previdenziali siano “proporzionate”, ma vuole soltantoche garantiscano “mezzi adeguati alle esigenze di vita”.

Formula questa che supera ogni ambiguità se messa in rela-zione, appunto, al principio enunciato dal secondo comma dell’art.3 Cost. e, quindi, all’esigenza di garantire l’effettivo esercizio deidiritti civili e politici.

Ora, con la sentenza n. 70 del 2015, i giudici costituzionalihanno “dato” a chi già aveva (i pensionati) e, sia pure indiretta-mente, “tolto” a chi dovrà avere.

Oltretutto, non hanno nemmeno tenuto conto di ciò che, cosìcome in altre occasioni aveva fatto il legislatore con disposizioniritenute costituzionalmente legittime, sarebbe stato legittimo edopportuno adottare una qualche gradualità se non altro in fun-zione dell’importo delle pensioni. Con la conseguenza che già c’è chisolleva la legittimità costituzionale del decreto n. 65 del 2015 cheha graduato, in relazione all’ammontare delle pensioni, il risarci-mento della perequazione non goduta.

E i giovani? I giovani, oggi, non solo non hanno lavoro, maquando lo hanno, si tratta spesso di lavoro intermittente e preca-rio. Eppure, lavorando, finanziano le pensioni in godimento (iooramai sono un pensionato) senza sapere chi finanzierà le loropensioni.

Si potrebbe ritenere, quindi, che quella sentenza è affetta damiopia politica e, quanto meno, dall’assenza di ragionevole pru-denza.

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MICHELE CERRETA

Il problema del contemperamento tra le politiche di austerity e latutela dei diritti sociali

SOMMARIO: 1. La regola della solidarietà. — 2. La crisi e il sistema multilivello delle fonti

normative. A) La rilevanza delle fonti internazionali. — 3. Segue: B) La rilevanza delle

fonti comunitarie. — 4. Le recenti vicende socio-politiche della crisi. — 5. La

prospettiva: l’esigenza di razionalizzazione dell’impiego delle risorse nazionali per

l’attuazione di politiche di solidarietà e, in particolare, del reddito minimo di cittadi-

nanza. — 6. Nota bibliografica essenziale.

1. La regola della solidarietà.

Innanzi tutto mi collego al più autorevole intervento del Prof.Mattia Persiani e formulo quindi qualche chiosa critica alla recentesentenza n. 70 del giudice delle leggi: il collegamento ivi indivi-duato tra gli artt. 36 e 38 Cost. (tutele retributiva e previdenziale)risente di un’antica e desueta concezione ottocentesca, di matricetedesca, che promosse la tutela previdenziale dei dipendenti dellepubbliche amministrazioni in considerazione dell’immedesima-zione organica (e/o antropomorfica) degli uni con le altre, onde ilpubblico impiegato avrebbe avuto il diritto a mantenere il mede-simo tenore di vita precedente al collocamento in quiescenza per ildecoro suo e dell’amministrazione di appartenenza.

Tale concezione, rimasta pressoché intatta fino alla riformaAmato del secolo scorso, è assolutamente superata ed infondatavuoi in apicibus, vuoi per l’evoluzione complessiva del sistemaprevidenziale fermentata dalla regola della solidarietà — equitàche ne è la grundnorm.

In apicibus, la teoria è destituita di fondamento perché laconcezione dell’immedesimazione organica e/o antropomorficatraeva origine da una concezione autoritaria e non democraticadelle amministrazioni pubbliche e indusse poi, in taluni casi, a

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ulteriori valutazioni aberranti, né adeguate ad attuare una rico-gnizione realistica dei dati normativi.

Inoltre, la teoria in argomento è erronea vuoi perché inizial-mente ha dato vita a situazioni di privilegio a favore dei soliimpiegati delle pubbliche amministrazioni, vuoi perché è stata poiproiettata più ampiamente, alla fine degli anni ’60 del secoloscorso, a favore di tutti i lavoratori mediante la statuizione delsistema di calcolo retributivo delle pensioni, che è stata la causafondamentale, ancorché non esclusiva, della crisi del sistema pre-videnziale, alla quale si è poi dovuto sopperire con numeroseriforme per stringere le cinghie della borsa dilatata oltre il limitedella sopportabilità di bilancio.

In una situazione di vacche magre si è tornati, con la riformaDini, alla statuizione del sistema di calcolo contributivo per i nuoviassunti, e con la riforma Fornero, all’estensione di quel sistema dicalcolo per i periodi lavorativi successivi ad essa per tutti gli altrilavoratori, cristallizzando tuttavia una situazione irragionevole dilesione della regola di solidarietà tra le generazioni, sapientementeillustrata dall’autorevole studioso che mi ha preceduto per quantoattiene al petitum della sentenza n. 70. Ma il giudice delle leggi, intal modo, si è attestato su una valutazione che lede quella regola,obliterando in assoluto — questo è il punto nodale — l’art. 2 dellaCarta. E se il legislatore è vincolato dalla ricerca del consenso, ilgiudice delle leggi non incontra quel limite!

2. La crisi e il sistema multilivello delle fonti normative. A) Larilevanza delle fonti internazionali.

Nell’indagine sul tema del Convegno si deve muovere dallaconsiderazione indefettibile che la crisi attuale è stata determinatadalla globalizzazione dei mercati e dalla governance assolutamentesbagliata di essa dalle istituzioni internazionali.

A ben guardare, il sistema multilivello non è solamente quellodelle norme dell’Unione Europea, degli Stati nazionali e delleistituzioni autonome di quest’ultimi. Il sistema in argomento è piùarticolato “a monte”: rilevano infatti “a monte” le norme delleistituzioni costituite nell’àmbito dell’ONU, e pure quelle ampia-mente ineffettive dell’OIL.

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Stiglitz soprattutto, ma in parte anche Amartya Sen e GuidoRossi hanno rilevato:

— che la WTO, favorendo la liberalizzazione dei commercimediante la quasi generalizzata soppressione dei dazi doganali, hadeterminato gravi distorsioni nel sistema della concorrenza, poichéle imprese di alcuni Stati hanno oneri sociali di produzione diretti(per le retribuzioni, i contributi previdenziali, le imposte e le tasse)e indiretti (per i vincoli del rispetto di norme urbanistiche e ditutela dell’ambiente, nonché di ulteriori norme amministrative) digran lunga superiori a quelle di altri Stati;

— che la Banca mondiale degli investimenti, imponendo agliStati in via di sviluppo modelli non consoni alle tradizioni nazio-nali e propri invece degli Stati già sviluppati, ha determinatorisultati opposti a quelli teoricamente prefissati, nonché danniambientali quasi irreversibili.

Si deve poi considerare che l’OIL, istituzionalmente deputataalla statuizione di tutele minime per tutti i lavoratori, stabiliscenorme ampiamente ineffettive, tranne casi isolati, come quandonel 1997 riuscì, con la cooperazione delle altre istituzioni interna-zionali, a promuovere la rappresaglia commerciale coalizzata di197 Stati contro il Myanmar (ex Birmania) per indurlo, riuscen-dovi, a recedere dall’imposizione del lavoro schiavistico di massa.E pure all’ineffettività costante dell’ordinamento dell’OIL, trannecasi isolati, si collega una formidabile differenza dei costi di pro-duzione all’esito poi di numerose e gravi conseguenze: la concor-renza sleale e il decentramento produttivo presso i paesi con il piùbasso costo del lavoro.

3. Segue: B) La rilevanza delle fonti comunitarie.

Né la normativa comunitaria, sapientemente illustrata condovizia di particolari dal Prof. Chieco nella sua bella e articolatarelazione, ha giovato al superamento della crisi. Vero è, come haattentamente considerato il Prof. Chieco, che l’Unione Europeadopo il Trattato di Lisbona ha prefissato obiettivi di crescitaeconomica da contemperare con regole di solidarietà finalizzatealla coesione sociale. V’è però da rilevare che le une, quelle sullacrescita economica sono interpretate in senso precettivo, e le altre,quelle sulla solidarietà e il rispetto dei diritti sociali, sono spesso

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valutate in buona sostanza dalla Corte di giustizia alla stregua dinorme vagamente programmatiche: faccio riferimento alle notis-sime sentenze Viking, Laval e Ruffert che sono state oggetto diampie e articolate disamine, affermandosi con esse la prevalenzadel principio della libertà d’impresa rispetto a quella della tuteladel lavoro.

4. Le recenti vicende socio-politiche della crisi.

La crisi, in questo momento storico del dibattito di questoConvegno, parrebbe attenuata, da una parte, per le vicende chehanno contingentemente favorito un rafforzamento dell’euro ri-spetto al dollaro e, quindi, la riduzione del prezzo in euro delpetrolio e degli altri materiali energetici, e, dall’altra parrebbeaggravata dalla crisi della Grecia che minaccia la secessione dal-l’Unione Europea. Il prodotto interno lordo della Grecia è sola-mente pari al 4% circa di quello globale dell’Unione ed è quindiirrilevante sotto un punto di vista macroeconomico, ma la Greciagiuoca con l’Unione una furbesca partita a poker, perché, nel casoin cui si alzasse dal tavolo di giuoco, la speculazione internazionaleaggredirebbe i debiti sovrani dell’Unione, compreso il nostro che èin assoluto quello più elevato. Onde l’evoluzione della crisi èsottoposta a variabili che sfuggono completamente agli indirizzi dipolitica economica degli Stati nazionali.

Una variabile ulteriore è quella che potrà derivare dalla sen-tenza che il giudice delle leggi dovrà molto presto pronunziare sulblocco della contrattazione collettiva, ed è un facile presagio chenon potrà fare a meno di accoglierla, ma senza effetti retroattivi inconsiderazione della ragionevolezza di quel blocco per un periodolimitato. Il riavviamento della contrattazione collettiva potrà ri-guardare poi anche la perdita del potere di acquisto delle retribu-zioni per il periodo pregresso.

5. La prospettiva: l’esigenza di razionalizzazione dell’impiego dellerisorse nazionali per l’attuazione di politiche di solidarietà e, inparticolare, del reddito minimo di cittadinanza.

Per stare con i piedi per terra, il giuslavorista, pur sensibile aitemi della politica economica, può limitarsi a registrare che l’ini-

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ziativa, promossa dal Parlamento europeo, di istituire il redditominimo di cittadinanza non è stata attuata in Italia (paese ina-dempiente unitamente alla sola Grecia, maggiormente giustifica-bile per la sua crisi più grave), ma che l’attuazione potrebbe essererealizzata mediante la razionalizzazione dell’impiego delle risorse:la soppressione dell’indennità di accompagnamento per i ciechiassoluti e gli inabili civili qualora abbiano un reddito personale ofamiliare superiore ad un determinato standard (attualmente èriconosciuta indipendentemente da qualsivoglia limite di reddito),la soppressione dell’indennità di comunicazione ai sordomuti cheparimenti abbiano un determinato standard reddituale personale ofamiliare (oggi è parimenti riconosciuta senza alcun limite direddito); la soppressione della regola di cumulabilità per i super-stiti della rendita dell’INAIL e della pensione indiretta dell’INPS;la statuizione della determinazione della misura delle prestazionipensionistiche per i superstiti alla data del decesso del loro fami-liare con riferimento al reddito ad essi imputabile con l’incrementodei corrispettivi di precedenti donazioni e l’esclusione di quellesuccessive (per evitare la gherminella di donazioni fittizie perridurre il livello del reddito e ottenere l’incremento delle presta-zioni); l’abrogazione della regola di condizionalità della pensione divecchiaia alla cessazione del rapporto di lavoro che attualmenteinduce i lavoratori ad accordi di novazione di precedenti rapportidi lavoro subordinato con fittizi rapporti di lavoro parasubordi-nato successivi alla data del pensionamento. E mi limito solo allaconsiderazione dei casi più eclatanti di erogazioni irragionevoli diprestazioni assistenziali e previdenziali.

Ma, a ben vedere, la legge della ragione contrasta, in questicome in altri casi, con la regola politica della ricerca immediata delconsenso, onde la razionalizzazione dell’impiego delle risorse incon-tra un ostacolo insormontabile. È auspicabile però che la ricercadel bene comune prevalga sugli egoismi tutelati dai gruppi dipressione. In tal senso spero di aver fornito il mio modesto contri-buto a questo Convegno.

6. Nota bibliografica essenziale.

Sulla teoria dell’immedesimazione organica, risalente a Ottovon Gierke, vedi per tutti R. ORESTANO, Il problema delle persone

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giuridiche in diritto romano, Torino, Giappichelli, 1968, passim.Sull’evoluzione storica del diritto della previdenza sociale vedi pertutti R. PESSI, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova,Cedam, 2014, VIII ediz., 35-178. Sul tema della globalizzazione misia consentito di rinviare (anche per gli ulteriori riferimenti aStiglitz, Amartya Sen e a Guido Rossi) a Globalizzazione dei mercatie gestione dei rapporti di lavoro nell’impresa — Profili generali a curadi M. Cerreta, Università degli Studi di Perugia, 2011. Sulle sen-tenze Viking, Laval e Ruffert vedi per tutti U. CARABELLI, Europadei mercati e conflitto sociale, Bari, Cacucci, 2009. Sullo specificotema vedi per tutti G. BRONZINI, Il reddito di cittadinanza, Torino,Gruppo Abele, 2011. Sul dibattito attinente al disegno di leggedelega recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordinodelle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali,approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 gennaio 2016 ed in itineredinanzi alle Camere, vedi il prossimo numero n. 1 del 2016 diRDSS.

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VINCENZO DE MICHELE

Grazie Presidente e complimenti a Pasquale Chieco per la suarelazione.

Mi voglio soffermare su alcuni punti da te trattati, innanzi-tutto sull’applicazione in orizzontale della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea e sul rapporto tra Corte di Giustizia eCorte Costituzionale, in particolare, la Corte Costituzionale ita-liana.

Nella tua relazione hai fatto soltanto un accenno alla com-plessa vicenda del precariato scolastico, definita dalla Corte digiustizia con la sentenza Mascolo (1) del 26 novembre 2014, sorvo-

(1) CGUE, sez. III, sent. 26 novembre 2014, in cause riunite C-22/13, C-61/13,C-62/13, C-63/13 e C-418/13 Mascolo, Forni, Racca, Russo e Napolitano ed altri c. Miur eComune di Napoli; su cui cfr. M. Aimo, I precari della scuola tra vincoli europei e mancanzedel legislatore domestico, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 2015; L. CALAFÀ, Ildialogo multilevel tra le Corti e la “dialettica prevalente”: le supplenze scolastiche al vaglio dellaCorte di giustizia, in RIDL, 2015, II, 336 ss.; P. COPPOLA, Breve commento alla sentenzaMascolo della Corte di giustizia, in europeanrights.eu, 2015; M. DE LUCA, Un gran arrêt dellaCorte di giustizia dell’Unione europea sul nostro precariato scolastico statale: il contrasto con ildiritto dell’Unione, che ne risulta, non comporta l’espunzione dal nostro ordinamento, né la nonapplicazione della normativa interna confliggente (prime note in attesa dei seguiti), in LPA,2014, 499 ss.; V. DE MICHELE, L’interpretazione “autentica” della sentenza Mascolo-Fiamingodella Corte di giustizia UE sulla tutela “energica” del lavoro flessibile alle dipendenze di datoridi lavoro pubblici e privati, in europeanrights.eu, 10 gennaio 2015; S. GALLEANO, La sentenzaMascolo sulla scuola rischia di avere effetti clamorosi per il precariato degli altri enti pubblici,in europeanrights.eu, 8 gennaio 2015; F. GHERA, I precari della scuola tra Corte di giustizia,Corte costituzionale e Giudici comuni, in GCost., 2015, 158 ss.; R. IRMICI, La sentenza Mascolodella Corte di giustizia dell’Unione europea e lo strano caso del giudice del rinvio pregiudizialeche immette ma non converte, in NDA, 2015, 2, 177 ss.; L. MENGHINI, Sistema delle supplenzee parziale contrasto con l’accordo europeo: ora cosa succederà?, in RIDL, 2015, II, 343 ss.; A.MINICHIELLO-M. MERCURI, Servizio studi del Senato, Sentenza della Corte di giustizia dell’Unioneeuropea del 26 novembre 2014 sulla successione dei contratti di lavoro a tempo determinato peril personale docente e ATA della scuola, — Nota breve n. 41 — dicembre 2014, in senato.it; M.MISCIONE, Il Tribunale di Napoli immette in ruolo i precari della Pubblica Amministrazione, inQGiur., 5 gennaio 2015, n. 5; R. NUNIN, « Tanto tuonò che piovve »: la sentenza “Mascolo”

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lando però sul punto del dialogo tra la Corte costituzionale e laCorte di Lussemburgo.

Mi sembra, invece, che la sentenza Mascolo della Corte europeacostituisca il punto di unione tra la giurisdizione europea e quellanazionale per quanto riguarda la maggior tutela dei diritti fonda-mentali e che tale decisione apra uno scenario molto interessanterispetto alla situazione di rottura che si sta verificando tra il poterelegislativo in ambito comunitario e il potere giurisdizionale sianell’Unione europea che a livello nazionale.

Infatti, è stata la prima volta che la Corte Costituzionale hasollevato una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia in sedeincidentale con l’ordinanza n. 207/2013 (2) sui precari della scuolapubblica.

La soluzione della questione era anche fortemente condizio-nata da problematiche di natura finanziaria di notevole (presunto)rilievo sul bilancio statale, ma la Corte Costituzionale nulla dice sulpunto, lasciando alla Corte UE la possibilità di verificare l’impattoeconomico sull’ordinamento interno di un’eventuale decisione diincompatibilità della disciplina sul reclutamento scolastico con ladirettiva 1999/70/CE, per la mancata applicazione di nessuna dellemisure preventive e sanzionatorie previste dalla clausola 5 dell’ac-cordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato per isupplenti scolastici.

La Corte di giustizia, come giustamente da te evidenziato nellarelazione, risponde che non ci sono ragioni finanziarie che possano

sull’abuso del lavoro a termine nel pubblico impiego, in LG, 2015, 146 ss.; A. M. PERRINO, LaCorte di giustizia come panacea dei precari?, in FI, 2014, II, 93 ss.; V. PINTO, Il reclutamentoscolastico tra abuso dei rapporti a termine e riforme organizzative, in LPA, 2015, 915 ss.; G.SANTORO PASSARELLI, Contratto a termine e temporaneità delle esigenze sottostanti, in ADL, 2015,189 ss.; N. ZAMPIERI, Sulle conseguenze nel lavoro pubblico della violazione delle disposizionicontenute nel d.lgs. n. 368/2001, in materia di assunzioni a tempo determinato, dopo le pronunceAffatato, Carratù, Papalia e Mascolo della CGUE, in RU, 2015, 2, 213 ss.

(2) Corte Cost., Pres. Gallo, Est. Mattarella, ord. 18 luglio 2013, nn. 206 e 207, su cuicfr. U. ADAMO, Nel dialogo con la Corte di giustizia la Corte costituzionale è un organogiurisdizionale nazionale anche nel giudizio incidentale. Note a caldo sull’ord. n. 207/2013, inforumcostituzionale.it., 2013; V. DE MICHELE, L’interpretazione comunitaria della Corte costi-tuzionale sulla “nuova” disciplina del contratto a termine, in LG, 2013, n. 8-9, 816 ss.; L.MENGHINI, Riprende il dialogo tra le Corti superiori: contratto a termine e leggi retroattive, inRGL, 2013, 4, 425 ss.; B. GUASTAFERRO, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudizialein un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: riflessioni sull’ordinanza n. 207del 2013, 23 ottobre 2013, in www.forumcostituzionale.it.

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giustificare l’attuale sistema di reclutamento scolastico (sentenzaMascolo, punto 110).

Quindi, sembrerebbe che la giurisdizione europea abbia negatorilevanza alla valutazione della parità di bilancio e all’impattofinanziario che una conseguente stabilizzazione del precariato sco-lastico italiano avrebbe provocato al bilancio erariale, applicandola direttiva 1999/70/CE. In realtà, non è così.

In quella sede, in Corte di giustizia, nella causa Mascolo siaattraverso le osservazioni scritte delle parti ricorrenti e intervenutenel giudizio pregiudiziale sia in sede di trattazione orale all’udienzadel 27 marzo 2014 è stata fatta una valutazione dell’impattofinanziario della stabilizzazione del personale precario — sia do-centi che lavoratori ausiliari, tecnici ed amministrativi — e, sullabase dei dati ricavati dalla Corte dei conti e dalla Ragioneria delloStato, è risultato che stabilizzare i supplenti scolastici comportavaun risparmio di spesa di circa 600 milioni di euro.

E questa situazione ci fornisce una importante chiave di let-tura anche rispetto alla sentenza sulla rivalutazione delle pensionidella Corte costituzionale n. 70/2015. Vi è un punto in cui il Giudicedelle leggi dice espressamente « non ha dato la prova il Governo diqual è l’impatto finanziario » e, quindi, io sono d’accordo, da unlato, con te per la valutazione positiva della sentenza n. 70 dellaConsulta, dall’altro, aderisco alla tesi del prof. Persiani sul meritodella questione.

Sono d’accordo con te perché la Corte Costituzionale non citaaffatto l’art. 81 Cost. e non lo cita perché con la legge costituzionalen. 1/2012 l’art. 97 della Costituzione è stato modificato.

Tuttavia, ci occupiamo sempre della parità di bilancio inrelazione all’art. 81 Cost., ma dimentichiamo sempre che è statopremesso un comma all’art. 97 Cost., in base al quale l’azioneamministrativa delle pubbliche amministrazioni deve operare incoerenza con tutto l’ordinamento dell’Unione europea, non sol-tanto con quelle legate alla contabilità pubblica e alle politiche diausterity.

Infatti, l’ordinamento UE non è evidentemente caratterizzato,per quanto riguarda i relativi obblighi nazionali, soltanto dal-l’obiettivo della parità di bilancio, ma la Costituzione imponel’applicazione dell’intero sistema di norme comunitarie, ai sensiappunto dell’art. 97, comma premesso, e dell’art. 117, comma 1, incombinato disposto.

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Quindi, è chiaro che la Corte Costituzionale, dopo la riformacostituzionale e l’introduzione dell’art. 97, comma premesso, cheva ad incidere direttamente sull’operato delle pubbliche ammini-strazioni per orientarle all’interno di un percorso sistematico diapplicazione dell’intera normativa europea, comprese le direttivesociali e la Carta dei diritti fondamentali UE, sia stata indotta,dopo la sentenza Mascolo della Cgue, a non applicare l’art. 81 Cost.in materia di pensioni, cioè proprio nell’unico caso in cui, come hasostenuto il prof. Persiani, avrebbe dovuto fare un’operazione dibilanciamento, che però è giustificata proprio dalla mancanza diprove contabili da parte del Governo sull’impatto finanziario ne-gativo per il bilancio statale, in assenza della norma “sospensiva”della rivalutazione automatica delle pensioni dichiarata illegittimacon la sentenza n. 70.

Queste brevi considerazioni mi inducono, da un lato, ad unavalutazione positiva della sentenza del Giudice delle leggi, dall’al-tro, la decisione sulle pensioni apre effettivamente ad uno scenarionegativo, di rottura del rapporto tra generazioni, come evidenziatodal prof. Persiani. Tuttavia, non va sottovalutato il profilo “retri-butivo” dei trattamenti pensionistici, sottolineato dal prof. Cer-reta, perché anche le pensioni del pubblico impiego possono essereinquadrate nel campo di applicazione dell’Unione europea.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la Corte di giustiziacon sentenza del 13 novembre 2008 (3), nel decidere in sensosfavorevole alla Repubblica italiana un ricorso per inadempimentoai sensi dell’art. 226 Trattato CE in materia di discriminazione trauomo e donna di accesso alla pensione di vecchiaia dei dipendentipubblici (uniformando a 65 anni l’età per l’accesso, prima dellariforma Fornero), ritenne che il regime pensionistico pubblicoitaliano fosse di natura professionale e non legale, come invecesostenuto dall’Italia (e dall’Inpdap).

Infatti, secondo la Corte di Lussemburgo il sistema pensioni-stico pubblico italiano rientrava (e rientra) nel campo di applica-zione dell’art. 141 Trattato CE e la pensione « il cui importo ècalcolato sulla base del valore medio della retribuzione percepitanel corso di un periodo limitato ad alcuni anni immediatamente

(3) CGCE, Sez. IV, sent. 13 novembre 2008, causa C-46/07 Commissione Ce controRepubblica italiana.

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precedenti il ritiro dal lavoro » è da considerarsi retribuzione “dif-ferita”.

È questa decisione della Corte UE, probabilmente, una delleragioni, implicita nella sentenza n. 70/2015, in base alle quali laCorte Costituzionale è pervenuta a quella determinazione, dalmomento che non solo il sistema di calcolo delle pensioni rimaneancora prevalentemente quello retributivo e non contributivo, maper la Corte di giustizia le pensioni dei pubblici dipendenti italianicostituiscono addirittura una retribuzione differita a causa, evi-dentemente, del mancato versamento della contribuzione idoneaad alimentare i fondi dell’Inps ex Inpdap, situazione di cui oggiscontiamo le gravissime conseguenze sul piano della tenuta deiconti pubblici previdenziali.

Concludo con un’altra riflessione.Tu hai parlato della possibilità di applicare la Carta dei diritti

fondamentali, evidentemente in orizzontale, collegandola all’at-tuazione del diritto dell’Unione europea e hai fatto riferimento aquelle due pronunce della Corte di giustizia, in cui effettivamentela Corte europea non ha evidenziato, rispetto alla prospettazionedel Giudice del rinvio, una possibilità giuridico-fattuale o link dicollegamento con il campo di applicazione di normativa comuni-taria.

Ti porto allora due esempi, uno confermativo della tua pro-spettazione, la sentenza Poclava (4), che riguarda molto da vicinol’ordinamento interno e il contratto a tempo indeterminato atutele crescenti introdotto dal d.lgs. n. 23/2015, perché il modelloda cui è stata tratta questa nuova tipologia contrattuale risentemolto dell’esperienza spagnola e del contratto a tempo indetermi-nato di sostegno agli imprenditori.

Il contratto “spagnolo” a tempo indeterminato di sostegno agliimprenditori è stato sottoposto all’attenzione della Corte di giusti-zia nella causa C-117/14 Poclava sulle due questioni pregiudizialisollevate dal Tribunale del lavoro di Madrid, che ha interrogato laCorte europea innanzitutto sul fatto che, se la normativa nazionalesecondo cui il contratto di lavoro a tempo indeterminato di soste-gno agli imprenditori comporta un periodo di prova di un anno,durante il quale è consentito il libero licenziamento, sia in contra-

(4) CGUE, X Sez., sent. 5 febbraio 2015, causa C-117/14 Poclava c. Toledano.

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sto con il diritto dell’Unione e, in particolare, sul diritto fonda-mentale garantito dall’art. 30 della Carta dei diritti fondamentalidell’Unione europea; in secondo luogo, se il periodo di prova di unanno previsto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato disostegno agli imprenditori sia contrario agli obiettivi e alla disci-plina della direttiva 1999/70 e, in particolare, alle clausole 1 e 3dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

La fattispecie della causa principale è quella di una lavoratricedi nazionalità boliviana, assunta come cuoca con un contratto atempo indeterminato di sostegno agli imprenditori, cofinanziatodal fondo sociale europeo, il 16 gennaio 2013 e fino al 31 maggio2013, giorno in cui è stata licenziata per mancato superamento delperiodo di prova della durata massima di un anno.

Nel caso di specie, la sanzione per il mancato rispetto dellaclausola di durata minima di un anno ha fatto perdere al datore dilavoro i benefici fiscali e previdenziali che aveva maturato, equesta circostanza, in rapporto alla specifica disciplina contrat-tuale spagnola, consente di compararla con la regolamentazionedel contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti nel modelloitaliano, in particolare nell’ipotesi — implicitamente costruitacome “normale” dal legislatore delegato del d.lgs. n. 23/2015 — incui l’assunzione a tempo indeterminato sia legata ai benefici deglisgravi triennali della legge di stabilità.

Nel caso spagnolo l’azienda ha il riconoscimento della liberarecedibilità limitata al periodo dell’anno di prova, ma perde leagevolazioni del minor costo del lavoro nel caso di anticipatorecesso. Nel caso italiano del c.d. “catuc”, in caso di licenziamentoillegittimo l’ammontare dell’indennizzo per il licenziamento pro-duce un saldo positivo per le imprese tra il totale dei benefici(sgravi contributivi e taglio IRAP) e le indennità erogate al lavo-ratore, mettendo seriamente in discussione la effettività dellatutela contro il licenziamento per la mancanza di dissuasivitàdell’indennità (5).

(5) Sul punto v. M. DE LUCA, Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescentie nuovo sistema sanzionatorio contro i licenziamenti illegittimi: tra legge delega e legge delegata,in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT - 251/2015, 31. Sul rapporto tra la Carta di Nizza,la Cedu e la tutela dei diritti fondamentali v., in particolare, G. BRONZINI, Rapporto di lavoro,diritti sociali e Carte europee dei diritti. Regole di ingaggio, livello di protezione, rapporti tra ledue Carte in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT - 118/2015.

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La soluzione fornita dalla Corte di giustizia con la sentenzaPoclava sul contratto a tempo indeterminato di sostegno agliimprenditori sull’applicazione dell’art. 30 della Carta dei dirittifondamentali dell’Unione europea è identica a quella dell’ordi-nanza Polier (6) sul CNE francese, cioè di incompetenza interpre-tativa della Corte europea, dal momento che l’ambito di applica-zione della Carta di Nizza, per quanto riguarda l’operato degliStati membri, è definito all’art. 51, paragrafo 1, della medesima, aisensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Statimembri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione(punto 29) e risulta chiaro al Collegio a tre di Lussemburgo che lanormativa spagnola che istituisce e disciplina il contratto di lavoroa tempo indeterminato di sostegno agli imprenditori non costitui-sce un’attuazione del diritto dell’Unione (punto 44).

Infatti, il collegamento del patto di prova di durata annualecon la direttiva 1999/70/CE non convince la Corte di giustizia,perché il periodo di prova non è un contratto a tempo determinato,dal momento che serve essenzialmente a verificare l’idoneità e lecapacità del lavoratore, mentre il contratto a tempo determinato èutilizzato quando la cessazione del contratto o del rapporto dilavoro è determinata da condizioni oggettive (punto 36).

L’altro esempio, invece, è molto più calzante rispetto a quelloche tu sostenevi sull’applicazione diretta della Carta di Nizza, lasentenza Fenoll (7) della Corte di giustizia del 26 marzo 2015, diparticolare importanza soprattutto perché risponde ad una rimes-sione pregiudiziale da parte della Cassazione francese e perchépotrebbe avere effetti importanti sul nostro ordinamento.

Nella causa Fenoll si controverteva dell’eventuale diritto alleferie annuali (in applicazione diretta e orizzontale dell’art. 7 delladirettiva 2003/88/CE sull’organizzazione dell’orario di lavoro, incombinato disposto con l’art. 31 della Carta dei diritti fondamen-tali dell’Unione europea) di un lavoratore disabile con capacitàlavorativa inferiore a un terzo di quella normale, inserito nei Centridi aiuto attraverso il lavoro (CAT), strutture di accoglienza di tipomedico-sociale prive di scopo di lucro. Il lavoratore disabile per-cepiva un sussidio pubblico per l’attività “lavorativa” svolta nei

(6) CGCE, VII Sez., ord. 16 gennaio 2008, causa C-361/07 Polier c. Najar EURL.(7) CGUE, Sez. I, sent. 26 marzo 2015, causa C-316/13 Fenoll c. Centre d’aide par le

travail « La Jouvene ».

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CAT, senza essere qualificato come lavoratore subordinato nellalegislazione francese.

Il precedente “negativo” per il riconoscimento del diritto alleferie annuali era facilmente rinvenibile nella sentenza Bettray (8),in cui la Corte ha ritenuto che una persona che lavorava inun’impresa specificamente creata da un Comune olandese al solofine di occupare persone temporaneamente o durevolmente inca-paci di inserirsi in un ambiente di lavoro ordinario, non potesseessere considerata un lavoratore, in quanto le attività esercitatenon costituivano attività economiche reali ed effettive, essendosolo uno strumento di rieducazione e di reinserimento.

La Cassazione francese chiede rispetto a questa tipologia di“lavoro” se si tratta di lavoratore subordinato ai fini dell’applica-zione della direttiva n. 88/2003/CE sull’organizzazione del lavoro e,in particolare, per quanto riguarda il diritto alle ferie annuali.Sotto questo profilo, e in subordine rispetto all’eventuale applica-bilità della nozione di lavoratore subordinato ai fini della direttiva,il Giudice del rinvio chiede se si applica l’art. 31 della Carta deidiritti fondamentali in orizzontale in una controversia tra privati.

Nella causa Fenoll ha reso conclusioni scritte l’avvocato gene-rale italiano Mengozzi che, sulla nozione di lavoratore nel dirittodell’Unione, ha evidenziato che « ai fini dell’applicazione delladirettiva 2003/88, tale nozione non può essere interpretata in variomodo, con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma ha unaportata autonoma propria del diritto dell’Unione. Essa dev’esseredefinita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto dilavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle personeinteressate. Orbene, la caratteristica essenziale del rapporto dilavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certoperiodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione diquest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva unaretribuzione » (conclusioni causa Fenoll, punto 29).

Secondo Mengozzi, la nozione di lavoratore deve fondarsi sucriteri obiettivi, e tutte le circostanze del caso devono esserevalutate nel loro complesso. A tal riguardo, la natura giuridica suigeneris di un rapporto di lavoro con riguardo al diritto nazionale

(8) CGCE, Gr. Sez., sent. 31 maggio 1989, causa C-344/87 Bettray contro Staatssecre-taris Van Justitie.

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non può avere alcuna conseguenza sulla qualità di lavoratore aisensi del diritto dell’Unione. Ciò significa in concreto, nell’ambitodella causa Fenoll, che il fatto che le persone disabili che soggior-nano in un CAT siano assoggettate solo a talune disposizioni delcodice del lavoro francese non può costituire un ostacolo conriferimento alla potenziale qualificazione di suddette persone come« lavoratore » ai sensi della direttiva 2003/88/CE (conclusioni causaFenoll, punto 30).

Pertanto, la Corte di giustizia nella sentenza Fenoll, acco-gliendo le conclusioni dell’avvocato generale sulle questioni pre-giudiziali sollevate dalla Cassazione francese, ha precisato che lanozione di « lavoratore [subordinato] » di cui all’art. 7 della diret-tiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazionedell’orario di lavoro, e all’art. 31, par. 2, della Carta dei dirittifondamentali dell’Unione europea deve essere interpretata nelsenso che essa può comprendere un disabile ammesso in un centrodi aiuto attraverso il lavoro (CAT), nonostante l’ordinamentotransalpino configuri le prestazioni rese presso i CAT come dinatura meramente previdenziale e assistenziale, e non lavorativa.

La Corte di giustizia non si è pronunziata sull’applicazionediretta ed orizzontale della Carta dei diritti fondamentali del-l’Unione europea nella causa Fenoll perché, sempre accogliendo leconclusioni di Mengozzi, ha evidenziato che ratione temporis lafattispecie del giudizio principale si era conclusa in periodo ante-cedente all’entrata in vigore dal 1° dicembre 2009 del Trattato diLisbona, momento dal quale se ne potesse inferire l’applicazionediretta come norma dei Trattati (art. 6 TUE).

Naturalmente, questa sentenza è stata tradotta in tutte lelingue, tranne che in italiano (almeno fino ad oggi), e questo la dicelunga sulle problematicità del nostro ordinamento e del nostrosistema giuslavoristico rispetto all’effettiva applicazione delle di-rettive comunitarie, dal momento che si preferisce, anche in am-bito comunitario, ingenuamente, che le informazioni sulla giuri-sprudenza comunitaria che possono avere un impatto negativosugli istituti contrattuali della nostra flessibilità lavorativa “ati-pica” non vengano diffuse nella lingua nazionale della patria deldiritto.

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Venerdì 29 maggio 2015 - mattina

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L’AUTONOMIA COLLETTIVANEL NUOVO DIRITTO DEL LAVORO

di ALBERTO PIZZOFERRATO

SOMMARIO: 1. L’Europa e l’Italia: storia breve di un lungo itinerario. — 2. L’aggiornamentodelle procedure di sorveglianza per squilibri macroeconomici e di bilancio e la strategiadiEuropa 2020.—3.Gli orientamenti integrati: le risposte del nostro legislatore interno.— 4. Successi politici del nostro Governo. — 5. I sacrifici assunti sul versante delle tuteledel lavoro. Jobs Act e autonomia collettiva. — 6. Nuovi assetti della contrattazionecollettiva: verso un « decentramento disorganizzato »?. — 7. Dalle regole alle prassi,traiettorie di sviluppo della dimensione collettiva. — 8. Protezione e flessibilizzazionenell’attuale fase di globalizzazione dei mercati si possono tenere insieme?

1. L’Europa e l’Italia: storia breve di un lungo itinerario.

Non si può approcciare il tema degli effetti degli orientamentiintegrati europei sullo sviluppo del diritto sociale interno, con lerelative ricadute sul ruolo e competenze dell’autonomia collettiva,senza aver prima fornito una sintetica descrizione, dapprima, delletappe evolutive e funzionali fondamentali dell’ordinamento euro-peo, quindi del contesto normativo entro cui si muovono le attualidinamiche relazionali fra Istituzioni europee e Governo nazionale(procedure di sorveglianza sugli squilibri economici e di bilancio estrategia Europa 2020). L’intento è quello di verificare il grado dipervasività dell’azione europea sulle scelte interne di politica socialeperpotervalutare il gradodiautonomiadell’ordinamentonazionale,e successivamente come è stato utilizzato tale spazio di agibilità daparte del nostro legislatore e quali riflessi si sono già determinati equali potrebbero determinarsi nell’immediato futuro a carico dellerelazioni collettive e del sistema di rappresentanza sindacale (1).

(1) Sulla ingravescente ingerenza della dimensione sovranazionale europea nelladefinizione ed esecuzione delle politiche sociali nazionali quali ambiti regolativi diretta-

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Seguendo tali obiettivi, il presente contributo si articolerà inuna prima parte dedicata alla sintetica rappresentazione del mo-dello europeo, come determinatosi all’indomani della crisi finan-ziaria e produttiva mondiale, in costante oscillazione fra dimen-sione intergovernativa e rivendicazione di una propria identitàfederale; una seconda parte dedicata all’analisi delle principalimisure sociali adottate dal nostro Governo all’insegna di unariforma strutturale del mercato del lavoro, con particolare focussulle norme che coinvolgono la contrattazione collettiva; la terzaparte riguarderà l’uso che l’autonomia collettiva ha fatto dei nuovispazi di liberalizzazione e flessibilizzazione gestionale messi a di-sposizione dal legislatore; la parte finale del lavoro si farà cariconon solo di verificare le conseguenze prodotte dal new deal de-regolativo ma anche di ipotizzare nuovi scenari operazionali entrocui il contratto collettivo sarà chiamato a muoversi nel prossimofuturo, nella convinzione, radicata nell’esperienza maturata, cheogni riforma, per avere successo e dare i frutti sperati, dovrebbeessere graduale, socialmente accettabile e proporzionata allo scopoche si prefigge; diversamente verrà vissuta ed attuata in manierainiqua e con possibili « crisi di rigetto » da parte dello stesso sistemache intende plasmare.

La genesi dell’ordinamento europeo è stata assai complessa edarticolata e si colloca all’interno di una peculiare fase storica, comeemergente all’esito della seconda guerra mondiale, caratterizzatadalla divisione nei due blocchi, occidentale e orientale (2). Peraltro

mente incidenti sulla competitività dei sistemi economici di ciascun paese membro e quindisullo stato di salute dei rispettivi conti pubblici interni, cfr., da subito, F. SANTONI, Larevisione della disciplina dei rapporti di lavoro, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavorodel Governo Renzi Atto II, in Adapt Labour Studies e-book series, n. 32, 117; sia consentito ilrinvio anche al mio scritto Il percorso di riforme del diritto del lavoro nell’attuale contestoeconomico, in Arg. dir. lav., 2015, 53 ss.

(2) La più suggestiva ricostruzione delle vicende politiche, culturali e legislative chehanno portato alla nascita ed alla evoluzione dell’Europa comunitaria si trova, a mio avviso,in F. CARINCI, Piano, piano, dolce Carlotta: cronaca di un’“Europa” in cammino, in F. CARINCI,A. PIZZOFERRATO (a cura di), Diritto del lavoro. Commentario, UTET, Torino, 2010, 1 ss., edivi per ampi e mirati rinvii bibliografici. Si segnalano, altresì, oltre alle opere citate nelle noteche seguono, anche L. GALANTINO, Diritto del lavoro dell’Unione europea, Giappichelli, Torino,2014; P. MENGOZZI, C. MORVIDUCCI, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, Cedam, Padova,2014; C. BARNARD, S. PEERS, European union law, Oxford University Press, Oxford-NewYork, 2014; B. BERCUSSON, European labour law, Cambridge University Press, Cambridge,2009; P. GROSSI, L’Europa del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2009; S. GIUBBONI, Diritti sociali

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l’avvio istituzionale dell’esperienza sovranazionale nasce da unobiettivo economico ben preciso, che costituirà il faro illuminantedell’iniziativa comunitaria dei primi decenni: la creazione del mer-cato comune europeo per il tramite delle tre Comunità CECA,Euratom e CEE. Il progetto non era particolarmente invasivo sulversante della sovranità degli Stati aderenti in quanto circoscrittonell’azione e legato nelle competenze al principio di attribuzione; sifondava sui quattro pilastri della libertà delle merci, dei capitali,dei servizi e delle persone, e riteneva la questione sociale comeeffetto conseguenziale della prosperità o meno del sistema econo-mico, che andava sostenuto in una dimensione ultranazionale,anche al fine di favorire istanze solidaristiche e protettive deilavoratori. L’assunto era semplice: spingere la crescita e l’integra-zione economica per determinare, quale effetto indiretto, l’incre-mento della produttività e dell’occupazione ed innalzare la do-manda interna. D’altronde che il progresso sociale e delle condi-zioni di lavoro dovesse discendere automaticamente dallo sviluppoeconomico su base europea trovava il proprio riconoscimento for-male nell’art. 100 del Trattato CEE che funzionalizzava ognidirettiva comunitaria, al di fuori dei predetti ambiti (libertà dicircolazione e parità di trattamento), alla realizzazione di un’inci-denza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercatocomune.

Per il vero una siffatta « frigidità sociale » della Comunitàeuropea si è gradatamente affievolita nel corso degli anni ’70 (3),che hanno visto maturare una serie di importanti iniziative armo-nizzatorie sul versante sociale, volte a gettare le basi di un signi-ficativo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, almenodei cittadini degli Stati membri (all’epoca nove, dopo l’ingresso diDanimarca, Irlanda e Regno Unito nel 1973). Si è così intervenutosu materie sensibili e ad alto valore simbolico (licenziamenti col-

e mercato: la dimensione sociale dell’integrazione europea, Il Mulino, Bologna, 2003; M.BARBERA, Dopo Amsterdam. I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis ItaliaEditrice, Brescia, 2000; P. DAVIES, A. LYON-CAEN, S. SCIARRA, S. SIMITIS, European Commu-nity Labour Law: Principles and Perspectives. Liber Amicorum Lord Wedderburn of Charlton,Clarendon Press, Oxford, 1996; A. LO FARO, Maastricht ed oltre. Le prospettive socialidell’Europa comunitaria tra resistenze politiche, limiti giuridici ed incertezze istituzionali, inDir. rel. ind., 1993, 125 ss.

(3) Come noto, la famosa espressione fu coniata da F. MANCINI, L’incidenza del dirittocomunitario sul diritto del lavoro degli Stati membri, in Riv. dir. eur., 1989, 9 ss.

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lettivi, trasferimenti d’azienda, tutela dei crediti di lavoro in casodi insolvenza del datore di lavoro), con l’introduzione di standardminimi di trattamento da assicurare comunque ai lavoratori inte-ressati da fenomeni di riorganizzazione o disgregazione d’impresa.Tale processo di espansione della dimensione sociale è stato soste-nuto dalla Corte di Giustizia che, attraverso una giurisprudenzaspesso « creativa », ha affermato principi di portata generale quali:il primato del diritto comunitario su quello nazionale, la direttaapplicabilità negli ordinamenti interni delle norme del Trattato esegnatamente dell’art. 119 sulla parità salariale fra uomini e donne,l’efficacia verticale delle direttive chiare, precise ed incondizionate,il principio di effettività, proporzionalità e dissuasività delle san-zioni, il risarcimento del danno da parte dello Stato per tardivaattuazione di direttive comunitarie. È vero che l’assunto di fondoera quello per cui le eccessive sperequazioni di trattamentoeconomico-normativo dei lavoratori producevano dumping socialea carico delle imprese di quei paesi a maggiori tutele sociali e quindile stesse misure erano giustificate ed implementate con prevalenteriguardo al loro effetto protezionistico sul versante economico-imprenditoriale, ma è anche vero che esse hanno giocato un ruolosignificativo nel processo di innalzamento dei diritti sociali fonda-mentali e di democratizzazione dei luoghi di lavoro, tanto da darvita alla straordinaria stagione della formazione di una politicasociale europea.

Il favorevole trend (4) è stato raccolto e sostenuto dall’Attounico europeo del 1986 che ha promosso una legislazione comuni-taria per la sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso l’abbassa-mento del relativo quorum deliberativo del Consiglio (dall’unani-mità alla maggioranza qualificata); ha introdotto i concetti di« dialogo sociale », di « coesione economica e sociale » e di riduzionedel divario fra le diverse regioni europee attraverso il ricorso aifondi strutturali; ha innescato un processo di autonoma valorizza-zione della dimensione sociale e solidaristica europea che ha por-tato all’adozione, nel 1989, della Carta comunitaria dei dirittisociali fondamentali dei lavoratori nel Consiglio europeo di Stra-

(4) Confermato, oltre che dalle direttive in materia prevenzionistica sui rischi dalavoro, dalle normative sull’obbligo di informativa sulle condizioni applicabili al contrattodi lavoro, sul rapporto di agenzia, sulla formazione professionale, sulla libera circolazione deiprofessionisti.

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sburgo. La Carta, il cui passaggio dalla mera dichiarazione d’in-tenti alla valenza normativa tarderà a lungo, avvenendo solo conil Trattato di Amsterdam del 1997 (5), rappresenta peraltro unimportante step evolutivo poiché identifica dapprima il punto diriferimento dell’azione e della politica sociale comunitaria neldecennio a cavallo del secolo, quindi il parametro interpretativo ditutta la legislazione sociale.

Ma è con il Trattato di Maastricht e l’annesso Protocollosociale che viene data la massima accelerazione al processo diemersione della sfera sociale comunitaria. Sul versante delle pro-cedure legislative si tenta di colmare il deficit democratico e ditrasparenza sino a quel momento registrato con il diretto coinvol-gimento del Parlamento europeo nell’iter decisionale; si allargaespressamente l’ambito di competenza normativa concorrentedella Comunità (ora solo “europea”, non più “economica”), abbrac-ciando, in tali ambiti con la salvaguardia della regola dell’unani-mità, la sicurezza sociale, la protezione in caso di risoluzione delcontratto di lavoro, la rappresentanza e difesa collettiva degliinteressi dei lavoratori e dei datori, spostando le condizioni dilavoro nell’alveo della maggioranza qualificata ed escludendo dalcontesto di intervento le retribuzioni, il diritto di associazione, ildiritto di sciopero, custoditi gelosamente all’interno delle preroga-tive dei singoli ordinamenti nazionali (6); si consolidano i principidi sussidiarietà verticale nel rapporto fra Comunità e Stato mem-bro, con una manifesta accondiscendenza per l’espansione delcampo di intervento della prima (attraverso la previsione per cuispetta alla Comunità tutto ciò che non può essere realizzato inmisura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delledimensioni o degli effetti dell’azione prevista, essere realizzatomeglio a livello comunitario tramite l’introduzione di prescrizioniminime applicabili all’intera Comunità), e di sussidiarietà orizzon-tale nel rapporto fra le fonti e fra gli attori del sistema, con il

(5) Cfr. F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO, « Costituzione » europea e diritti sociali fondamen-tali, in Lav. dir., 2000, n. 2, 281 ss.

(6) “I rapporti collettivi si riconfermano particolarmente legati alle condizioni na-zionali e quindi più resistenti a interventi comunitari. Si ha infatti cura di precisare chel’intero articolo non si applica ai temi del diritto di associazione sindacale, del diritto disciopero e della serrata (oltre che della retribuzione), che sono del tutto esclusi dallacompetenza comunitaria”: così M. ROCCELLA, T. TREU, Diritto del lavoro dell’Unione Europea,Cedam Padova, 2012, 20.

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coinvolgimento preventivo delle parti sociali in sede di iniziativalegislativa nelle materie di pertinenza del lavoro e delle relazionisindacali; si argina il dissenso britannico nella formula dell’optingout sul Protocollo sociale, che non ha poi impedito al Regno Unitodi adeguarsi alle principali direttive armonizzatorie.

Intanto l’Europa cresce e diventa a 15 a metà del 1995,ampliando i propri confini geografici e irrobustendo il corpo isti-tuzionale con il Trattato di Amsterdam del 1997 che ha intestatoalla Comunità le politiche per l’occupazione, e ha dato la sturaall’elaborazione, nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000, delMetodo aperto di coordinamento (MAC) (7). Si affaccia così la fase« dell’oro » dell’agenda sociale europea, in cui si sperimentanocontestualmente pratiche di armonizzazione istituzionali, pratichedi armonizzazione dal basso tramite l’iniziativa legislativa delleparti sociali, pratiche di soft law attuate attraverso il coordina-mento per obiettivi promosso dal MAC. In sostanza nel decenniofra la fine del ’900 e l’inizio degli anni duemila, vengono emanatirilevanti esempi di hard law, in materia di orario di lavoro, comitatiaziendali europei, informazione e consultazione, congedi parentali,distacco dei lavoratori in prestazione di servizi, lavoro a tempoparziale, lavoro a tempo determinato, principio di non discrimina-zione, riconoscimento delle qualifiche professionali, previdenzacomplementare, che determinano un processo di uniformazionenormativa fra la legislazione degli Stati membri; cui si affiancanostrumenti regolativi non vincolanti variamente articolati secondoguidelines, benchmarks e best practices, tutti protési a favorire nelcontempo la coesione sociale e la governance economica.

In tale contesto, parallelamente, viene adottato il Patto distabilità e di crescita tramite risoluzione del Consiglio europeo del17 giugno 1997 (97/C 236/01), e regolamenti attuativi CE n.1466/97 e 1467/97, in cui si prende atto che per rimanere all’internodell’Unione economica e monetaria europea gli Stati membri de-vono evitare disavanzi pubblici eccessivi, poiché l’equilibrio dellefinanze pubbliche rappresenta uno strumento ineludibile per lastabilità dei prezzi e per una crescita vigorosa e sostenibile chepromuova la creazione di posti di lavoro. L’obiettivo del disavanzo

(7) Cfr. B. CARUSO, Il diritto del lavoro tra hard law e soft law: nuove funzioni e nuovetecniche normative, in M. BARBERA (a cura di), Nuove forme di regolazione: il metodo aperto dicoordinamento delle politiche sociali, Giuffrè, Milano, 2006, 77 ss.

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pubblico viene indicato nella soglia massima del 3% del PIL. Ilpatto prevede l’impegno degli Stati membri ad adottare le misurecorrettive di bilancio necessarie per scongiurare il rischio di undisavanzo eccessivo e, corrispondentemente, l’impegno di Commis-sione e Consiglio ad approntare ogni più opportuna attività dianalisi, monitoraggio e raccomandazione nell’ambito della proce-dura di sorveglianza economica delle situazioni di bilancio, in vistadell’eventuale dichiarazione di disavanzo eccessivo. Viene cosìinstaurato un intenso legame comunicativo, espresso dall’obbligodi presentare programmi nazionali di stabilità e convergenza, voltoa consentire alle istituzioni comunitarie di svolgere l’attività disorveglianza e di coordinamento delle politiche economiche, neces-saria a prevenire o tentare di prevenire il rischio default o di gravedissesto dei conti pubblici di uno Stato membro con nefaste con-seguenze anche sugli altri partecipanti all’Unione. Da tale valuta-zione dei programmi nazionali possono discendere raccomanda-zioni del Consiglio a carico dello Stato membro inadempiente perl’adozione di misure correttive che, se non ottemperate, possonoportare all’apertura di una procedura di disavanzo eccessivo, salvoche il superamento dell’obiettivo derivi da evento eccezionale otemporaneo, ivi inclusa la grave recessione economica (identificatanel declino annuo del PIL in termini reali pari almeno al 2%). Taleprocedura, foriera di sanzioni pecuniarie anche molto consistenti,può essere sospesa in caso di ottemperanza alle raccomandazioni edi leale collaborazione in sede attuativa da parte dello Statomembro interessato.

Il sistema di sorveglianza economica sullo stato dei bilanci deipaesi membri UE è stato implementato, pertanto, già nel 1997,come misura complementare rispetto all’introduzione della monetaunica, il cui iter attuativo inizia in quegli anni ed arriverà acompimento il 1° gennaio 2002. Come mai allora si sente parlare diesso solo nel 2010? Senza voler anticipare quanto si scriverà piùoltre, la risposta è evidente: in una fase di relativa tranquillitàeconomica come quella registrata nei primi anni del nuovo millen-nio, i controlli sono stati meno stringenti e le tolleranze più diffuse,e comunque il processo, andando ad incidere su aspetti moltodelicati della sovranità dei singoli stati membri (decisione in ordinealle politiche pubbliche e di bilancio), ha necessitato di una pru-dente fase di sperimentazione. La crisi economica globale ha spaz-zato via la prudenza, ha messo a nudo le difficoltà oggettive e ha

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reso impellente giungere ad un approdo operativo più efficace epenetrante (v. infra quanto alle normative di modifica del patto distabilità del periodo 2011-2013), imponendosi all’attenzione prima-ria dell’agendapolitica dei variGoverni e delle relative opinioni pub-bliche. Ma soprattutto, a noi giuslavoristi, il fenomeno è emerso intutta la sua crudezza nello stringente link adottato dalla strategiaEuropea 2020 fra politiche per l’occupazione e vincoli di bilanciorispetto non solo al disavanzo ma anche al debito pubblico (60% delPIL).Ciòha spinto a ragionare aduna riformadelmercatodel lavoronon solo senza o con limitati costi aggiuntivi per lo Stato e per leRegioni,maconuna forte compressionedelle tutele equindi dei costinormativi per le imprese, sì da ampliare le convenienze di questeultime nella gestione dei rapporti di lavoro, sostenendo la ripresaindustriale ed economica tramite un ridimensionamento dei conte-nuti protettivi del diritto del lavoro; insomma creando un circolovirtuoso fra minori tutele, maggiori investimenti in attività impren-ditoriali, maggiore occupazione, maggiori consumi ed incrementodel PIL. In sostanza è solo nell’ultimo biennio che la pressione sullasorveglianza economica di bilancio attuata a livello europeo sfociain una chiara « invasione di campo » o comunque in un’esplicita de-terminazione delle linee di intervento correttive sulle politiche dellavoro nazionali, ancorandone l’assunzione ad un giudizio favore-vole sulle dinamiche di bilancio, anche per il tramite della valoriz-zazione del parametro della “riforma strutturale”.

Ritornando sul nostro cammino, possiamo ricordare che ilConsiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 lancia la Strategiaeuropea per l’occupazione con l’obiettivo di giungere ad un tasso dioccupazione medio europeo pari al 70% nel 2010, a corollario delprincipale obiettivo per l’Europa di “diventare l’economia basatasulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado direalizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori postidi lavoro e una maggiore coesione sociale”, adottando la metodologiadella « convergenza » su tutte le principali aree della politica so-ciale. A stretto giro la Convenzione, costituita l’anno precedente,vara una Carta dei diritti fondamentali che verrà proclamata aNizza nel dicembre dello stesso anno (8), ma senza essere incorpo-

(8) Cfr. G. GHEZZI, G. NACCARI, A. TORRICE, Il libro bianco e la carta di Nizza, Ediesse,Roma, 2002.

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rata nel relativo Trattato, e pertanto per la sua efficacia giuridicavincolante si dovrà attendere sino al Consiglio europeo di Lisbonadel 2007, che darà vita al nuovo Trattato sul funzionamento dellaUE. La nuova carta, che racchiude in sé la solenne affermazionedei diritti fondamentali civili, politici e sociali dei cittadini europeiopera a largo raggio riconoscendo valori cardine dell’individuoquale la dignità, la libertà, l’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà.Su tale ultimo versante, oltre alle classiche previsioni in ordine aldiritto alla sicurezza ed assistenza sociale, alla protezione dellasalute, alla tutela dell’ambiente, alla protezione dei consumatori,alla protezione della famiglia anche nella conciliazione dei tempi divita e di lavoro, al divieto di lavoro minorile, al diritto a condizionidi lavoro giuste ed eque, compaiono anche previsioni più avanzatecome l’enunciazione del diritto di negoziazione e di azioni collettive(art. 28: « I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organiz-zazioni, hanno, conformemente al diritto dell’Unione e alle legisla-zioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concluderecontratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso diconflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei lorointeressi, compreso lo sciopero »), nonché il diritto di tutela in casodi licenziamento ingiustificato (art. 30: « Ogni lavoratore ha ildiritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, confor-memente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazio-nali »).

Nel frattempo si coprono alcune lacune ancora scoperte (es.direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale e sullo statuto dellasocietà europea) e si consolida l’acquis communitaire sul versantesociale attraverso una miriade di provvedimenti che recano testiconsolidati, rifusioni, addendum, cioè che realizzano forme distabilizzazione e generalizzazione della disciplina europea preesi-stente (es. orario, trasferimenti d’impresa, libertà di circolazione) atutti gli stati membri (27, a partire dal 1° gennaio 2007, conl’ingresso di Romania e Bulgaria). Si innesta così una fase diconsolidamento dell’esistente, che durerà fino all’avvento degliorientamenti integrati della strategia Europa 2020, quando siassisterà ad un deciso reflusso, contrastato solo dall’azione dellaCorte di Giustizia. Dalla prospettiva dell’armonizzazione nel pro-gresso o della diffusione di buone pratiche si passa ad una fase diliberalizzazioni e flessibilità attuata nel quadro degli orientamentiintegrati e delle raccomandazioni specifiche agli Stati membri,

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rinforzati dal dichiarato riferimento alle procedure di sorveglianzaeconomica e quindi all’intimo collegamento esistente fra pro-grammi nazionali economici e di riforma (spesso trasfusi all’internodi un medesimo documento) (9). Il nuovo corso, di certo rinfoco-lato dal peggioramento degli indicatori di bilancio connessi ad unacontrazione del PIL europeo, è in verità espressione di spintenazionalistiche, già presenti nei paesi dell’Est di più recente ade-sione, orientate alla realizzazione di un modello sociale europeocompetitivo e non distributivo, deregolato e imperniato sul risul-tato dell’occupazione tout court, piuttosto che su quello della« buona » occupazione. Ciò non significa che sia stata annullata ladimensione sociale europea e nemmeno che abbia perso i punti diriferimento acquisiti, semplicemente ciò significa che la dimensionesociale ha interrotto la propria forza propulsiva ed ora tende aconsolidare i confini raggiunti, riduce i propri obiettivi ed orizzontie si piega nuovamente al mercato. Con l’aggravante, rispetto alpassato, che ora subisce un pesante condizionamento anche dallesorti del bilancio pubblico e dal livello del debito (10).

La nuova revisione istituzionale realizzata a Lisbona nel 2007,ma entrata in vigore solo alla fine del 2009 all’esito di un secondoreferendum irlandese e di una finale adesione della RepubblicaCeca, si basa sul mantenimento del Trattato UE, cui si affianca il

(9) V. Relazione in premessa alla Raccomandazione del Consiglio del 27 aprile 2010,COM(2010) 193 def.: « Su queste basi, gli Stati membri elaboreranno programmi nazionali diriforma in cui saranno illustrate dettagliatamente le azioni che intendono intraprenderenell’ambito della nuova strategia, in particolare gli sforzi diretti a conseguire i traguardinazionali e le misure volte a eliminare gli ostacoli che frenano la crescita sostenibile a livellonazionale. Basandosi sul monitoraggio della Commissione e sul lavoro del Consiglio, ilConsiglio europeo valuterà ogni anno i progressi globali registrati a livello nazionale edell’UE nell’attuazione della strategia, analizzando simultaneamente gli sviluppi in terminimacroeconomici, strutturali e di competitività e la stabilità finanziaria generale ».

(10) Purtroppo l’auspicio formulato nel nostro scritto Le fonti comunitarie (in Lefonti. Il diritto sindacale a cura di C. ZOLI, in Diritto del lavoro. Commentario a cura di F.CARINCI, Utet, Torino, 2007, 38) di una « visione integrata tra sviluppo economico e coesionesociale, che non solo colloca i due target sullo stesso piano... ma li rende entrambiimprescindibili e complementari per la costruzione di un modello di crescita europeo ingrado di preservare e rafforzare le quote di mercato delle imprese comunitarie ma nelcontempo diffondere benessere, inclusione e giustizia sociale », si rivela, oggi, tristementeinattuale. Peraltro il diritto sociale europeo non è estinto e neppure è in via di smantella-mento, solo è entrato in una fase di retroguardia, nell’attesa che, ci auguriamo, si ripristininole condizioni politiche e di competitività favorevoli ad una rinnovata e piena agibilità.

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Trattato sul funzionamento UE. Nonostante le numerose modifi-che in ordine agli aspetti legati al funzionamento degli organi, allaloro configurazione e competenze, ai criteri di voto, alle procedurelegislative, con riguardo agli aspetti sociali, oltre alla richiamatacostituzionalizzazione dei diritti fondamentali che diventano do-cumento portante, al pari dei due Trattati, dell’architrave istitu-zionale dell’Unione (11), vi è una sostanziale conferma del modelloa due vie adottato dal Trattato di Amsterdam (politiche occupa-zionali e politiche sociali, scambio di informazioni e di miglioriprassi e prescrizioni minime applicabili progressivamente (12)).Viene mantenuto il riferimento al fatto che l’evoluzione sociale“risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favoriràl’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste daitrattati e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regola-mentari e amministrative” seppur temperato dalla preesistenteprecisazione per cui “l’Unione e gli Stati membri mettono in attomisure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, inparticolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mante-nere la competitività dell’economia dell’Unione”; così come vieneribadita la prima via delle raccomandazioni di policy (in autonomoart. 156), cui viene attribuita ulteriore enfasi dal nuovo inciso cheprevede che la Commissione operi a stretto contatto con gli Statimembri “in particolare mediante iniziative finalizzate alla defini-zione di orientamenti e indicatori, all’organizzazione di scambi dimigliori pratiche e alla preparazione di elementi necessari per ilcontrollo e la valutazione periodici”. L’inciso rappresenta il prelu-

(11) L’incipit della Carta è eloquente: “Il Parlamento europeo, il Consiglio e laCommissione proclamano solennemente quale Carta dei diritti fondamentali dell’Unioneeuropea il testo riportato in appresso”. Approfonditamente sul punto v. la relazione diPasquale Chieco.

(12) Art. 153, c. 2, TFU: “A tal fine il Parlamento europeo e il Consiglio: a) possonoadottare misure destinate a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraversoiniziative volte a migliorare la conoscenza, a sviluppare gli scambi di informazioni e dimigliori prassi, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze fatte, adesclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degliStati membri; b) possono adottare nei settori di cui al paragrafo 1, lettere da a) a i),mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto dellecondizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. Tali direttiveevitano di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolarela creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese”.

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dio alla successiva stagione degli orientamenti integrati della Stra-tegia Europa 2020 (v. infra, sub parr. 2 e 3).

Tale stagione subirà una brusca accelerazione dall’avventodella crisi, in Europa ed anche nel mondo industriale e produttivo,che indurrà le istituzioni europee ad intensificare l’azione di coor-dinamento, controllo ed ingerenza sui conti pubblici e sulle riformestrutturali di ciascuno Stato membro, ivi comprese quelle in am-bito sociale.

2. L’aggiornamento delle procedure di sorveglianza per squilibrimacroeconomici e di bilancio e la strategia di Europa 2020.

Il processo di aggiornamento delle regole fissate nel 1997 dalpatto di stabilità e crescita prende le mosse dal regolamento CE n.1055/2005, mediante il quale il Consiglio integra uno dei dueregolamenti attuativi del patto, e precisamente il regolamento CEn. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni dibilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle poli-tiche economiche, alla luce della relazione adottata il 20 marzo2005 dal Consiglio Ecofin (13). Viene in primo luogo introdotto ilconcetto chiave di “saldo strutturale”, inteso come il saldo dibilancio pubblico al netto degli effetti del ciclo economico e dellemisure una tantum: il patto di stabilità indirizza così gli Statimembri al miglioramento in termini strutturali delle finanze pub-bliche. Inoltre, viene introdotto l’ulteriore parametro dell’obiet-tivo di medio termine (OMT) di un risultato di bilancio prossimo alpareggio o in attivo, tale da garantire un margine di sicurezzarispetto alla soglia del 3% del PIL fissata per il disavanzo pub-blico. Gli Stati membri sono chiamati a raggiungere un saldo dibilancio strutturale pari all’obiettivo a medio termine o in conver-genza verso questo al ritmo di una correzione annuale del saldostrutturale di almeno lo 0,5% del PIL (o al più intenso ritmofissato per i Paesi con un debito superiore al 60% del PIL).

(13) Relazione del Consiglio Ecofin del 20 marzo 2005 “Migliorare l’attuazione delpatto di stabilità e crescita”, che mira a rafforzare la governance e la responsabilizzazionenazionale del quadro di bilancio tramite il rafforzamento dei fondamenti economici edell’efficacia del patto, a garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche a lungo termine,a promuovere la crescita e ad evitare di imporre oneri eccessivi alle generazioni future,approvata quale Allegato II delle Conclusioni del Consiglio europeo del 22-23 marzo 2005.

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Tuttavia, con l’intento di tenere conto dell’eterogeneità economicae finanziaria dell’Unione, l’obiettivo di medio termine viene diffe-renziato e specificato per ciascuno Stato della zona euro, con lapossibilità di divergere dal requisito del saldo al pareggio o inattivo all’interno di una forcella tra il − 1% del PIL e il pareggioo l’attivo. Contestualmente vengono aggiornate le funzioni disorveglianza multilaterale del Consiglio (14).

La crisi finanziaria e la recessione economica che dalla fine del2008 colpiscono progressivamente i Paesi europei determinano unavirata in senso cautelativo delle politiche economiche.

La riduzione della crescita, l’aumento del deficit di bilancio,l’indebitamento degli Stati membri e la destabilizzazione dei mer-cati finanziari inducono dapprima l’Unione europea ad istituire,con il regolamento UE n. 407/2010, un meccanismo di stabilizza-zione finanziaria diretto a fornire un’assistenza mirata al singoloStato in difficoltà, a garanzia della stabilità finanziaria dell’Unionenel suo complesso. Il meccanismo opera sotto forma di prestito olinea di credito a favore dello Stato che sia vittima o a serio rischiodi gravi perturbazioni finanziarie le cui cause sfuggono al controllodello Stato interessato. La concessione del credito è condizionataalla valutazione da parte della Commissione (in collegamento conla Banca centrale europea) del fabbisogno effettivo e di un pro-gramma di aggiustamento economico e finanziario presentato dalloStato, nonché all’approvazione del Consiglio. Le modalità dell’as-sistenza finanziaria, le condizioni generali di politica economica daapplicare nello Stato per ripristinare una condizione di equilibrio eil definitivo programma di aggiustamento sono dettati dall’Unionee sottoposti a verifiche periodiche di conformità.

(14) Sulla base delle nuove regole, il Consiglio: valuta l’obiettivo di bilancio a mediotermine presentato dallo Stato membro interessato; valuta se le ipotesi economiche sullequali il programma è fondato siano realistiche, se il percorso di aggiustamento proposto dalprogramma sia adeguato e se le misure adottate e/o proposte per la realizzazione di talepercorso di avvicinamento siano sufficienti per conseguire l’obiettivo di bilancio a mediotermine nel corso del ciclo; esamina se lo Stato membro interessato persegua il migliora-mento annuo del suo saldo di bilancio corretto per il ciclo, al netto delle misure una tantume di altre misure temporanee, richiesto per conseguire l’obiettivo di bilancio a medio terminecon lo 0,5% del PIL come parametro di riferimento; tiene conto se un maggiore sforzo diaggiustamento è stato compiuto in periodi di congiuntura favorevole o sfavorevole; tieneconto dell’attuazione di riforme strutturali sostanziali che producano effetti diretti dicontenimento dei costi a lungo termine.

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Nel 2011, in risposta all’intensificarsi della crisi, l’Unione in-terviene rendendo più rigorosa l’applicazione del patto di stabilitàattraverso l’approvazione del pacchetto di sei atti legislativi notocome “Six pack”. Oltre ai tre regolamenti che riformano diretta-mente il patto di stabilità (15), il pacchetto comprende due rego-lamenti che introducono procedure per la sorveglianza sugli squi-libri macroeconomici (16) e una direttiva sui quadri nazionali dibilancio (17).

Le normative mirano innanzitutto a vincolare il controllo dellefinanze pubbliche al concetto di “politica di bilancio prudente”,che è funzionale a favorire la convergenza verso gli obiettivi amedio termine. Pertanto viene introdotta una “regola della spesa”che agevola il rispetto dell’obiettivo in quanto pone un limitemassimo all’evoluzione temporale della spesa pubblica. La nuovaregola indirizza alla riduzione del disavanzo le entrate temporaneee, per i Paesi che non hanno raggiunto l’obiettivo di medio termine,anche parte delle risorse ordinarie. Il controllo dei flussi di bilanciosi affianca al vincolo di contenimento del debito pubblico entro il60% del PIL, secondo la regola che individua il ritmo di conver-genza del debito verso la soglia del 60% in un ventesimo all’annocome media calcolata con riferimento agli ultimi tre esercizi.

I regolamenti intervengono poi sul “braccio preventivo” delpatto di stabilità, ossia sull’insieme delle procedure e degli stru-menti di sorveglianza ex ante sulle politiche di bilancio degli Stati.Essi vengono inquadrati nell’ambito del Semestre europeo per ilcoordinamento delle politiche economiche (18), che si concretizza

(15) Regolamento UE n. 1175/2011 che modifica il regolamento CE n. 1466/97 per ilrafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e delcoordinamento delle politiche economiche; regolamento UE n. 1177/2011 che modifica ilregolamento CE n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazionedella procedura per i disavanzi eccessivi; regolamento UE n. 1173/2011 relativo all’effettivaesecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro.

(16) Regolamento UE n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli squilibrimacroeconomici; regolamento UE n. 1174/2011 sulle misure esecutive per la correzione deglisquilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro.

(17) Direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Statimembri.

(18) Il Semestre europeo è stato istituito sulla base della delibera del Consiglio Ecofindel 7 settembre 2010 con decorrenza dal 1° gennaio 2011 ed è stato normato dal regolamentoCE n. 1466/97, come modificato dal regolamento UE n. 1175/2011.

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in un ciclo di procedure programmate, volte ad assicurare il coor-dinamento e la sorveglianza delle politiche economiche e di bilan-cio mediante step di confronto e discussione: adozione dell’Analisiannuale della crescita, nella quale la Commissione definisce lepriorità per l’anno successivo in materia di politiche macroecono-miche (mese di novembre); definizione da parte del Consiglio, sullabase dell’Analisi, degli orientamenti dell’Unione per le politichenazionali (mese di marzo); presentazione dei programmi di stabi-lità e dei piani nazionali di riforma da parte degli Stati membri(mese di aprile); conseguente elaborazione da parte della Commis-sione, e adozione da parte del Consiglio, delle raccomandazionispecifiche per ciascun Paese in tema di politica economica e dibilancio (mesi di maggio-giugno). I regolamenti del 2011 hannoincrementato le informazioni da fornire nel programma di stabi-lità, annoverando, fra l’altro, il percorso previsto con riferimentoall’evoluzione del rapporto debito/PIL, il percorso programmato dicrescita della spesa pubblica, il percorso programmato di crescitadelle entrate pubbliche a politiche invariate e la quantificazionedelle misure discrezionali programmate in materia di entrate.

Nel valutare il percorso di avvicinamento all’obiettivo a mediotermine il Consiglio e la Commissione sono chiamati a verificare,facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa alnetto delle misure discrezionali in materia di entrate, che lo Statopersegua un adeguato miglioramento annuo del suo saldo di bilan-cio corretto per il ciclo, al netto delle misure una tantum e di altremisure temporanee, necessario a conseguire l’obiettivo di bilancioa medio termine, con lo 0,5% del PIL come parametro di riferi-mento, e che il miglioramento annuo del saldo di bilancio sia, pergli Stati membri con un livello di indebitamento superiore al 60%del PIL o che presentano rischi considerevoli in termini di soste-nibilità complessiva del debito, superiore allo 0,5% del PIL. Iregolamenti ridefiniscono una procedura composta da un avverti-mento della Commissione e da una successiva specifica raccoman-dazione del Consiglio contenente le misure da adottare da partedello Stato, che trova applicazione nel caso di scostamenti sensi-bili, in atto o prevedibili, dal saldo di bilancio rispetto all’obiettivoa medio termine e che contempla la possibilità di somministrareallo Stato che persista nell’inottemperanza una sanzione pecunia-ria costituita da un deposito fruttifero pari ad almeno lo 0,2% del

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PIL (ma non superiore allo 0,5% del PIL) destinato ad essererestituito una volta sanata la deviazione.

Nel 2013 l’Unione europea ha approvato due regolamenticonosciuti come “Two pack” destinati ad implementare ulterior-mente le norme del patto di stabilità (19) con particolare riferi-mento al coordinamento e alla sorveglianza rinforzata. Essi intro-ducono una tempistica comune per la presentazione e l’esame deidocumenti di bilancio da parte degli Stati della zona euro estabiliscono che la Commissione esprima il proprio parere su cia-scun progetto di bilancio mettendo in rilievo se questo ottemperi omeno ai requisiti del patto di stabilità e alle raccomandazioniricevute. Si è inoltre mirato ad intensificare la trasparenza e lasostenibilità delle finanze pubbliche nazionali chiedendo agli Statimembri di attivare istituzioni indipendenti con il compito disvolgere analisi di bilancio fondate su previsioni macroeconomicheindipendenti (20).

Quanto invece alla componente correttiva del patto di stabilità(costituita dagli strumenti per la correzione dei disavanzi ecces-sivi), gli interventi del 2011 hanno rafforzato la procedura per idisavanzi eccessivi già in vigore in forza delle normative prece-denti, ora attivabile anche in caso di superamento della soglia del60% per il rapporto debito/PIL, e non soltanto nelle ipotesi disuperamento del rapporto disavanzo/PIL del 3%, tenuto conto ditutti i fattori rilevanti e dell’impatto sul ciclo economico, e altresìse il divario tra il livello del debito e il riferimento del 60% non sisia ridotto negli ultimi tre anni al ritmo medio di un ventesimoall’anno. Il Paese che viene sottoposto a procedura per disavanzoeccessivo è tenuto a costituire un deposito infruttifero pari allo0,2% del PIL, che si converte in ammenda nell’eventualità diinottemperanza alle raccomandazioni ricevute dall’Unione per lacorrezione del disavanzo.

L’intervento del Two pack sul “braccio correttivo”, nel perdu-

(19) Regolamento UE n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21maggio 2013 sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membrinella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguardala loro stabilità finanziaria; regolamento CE n. 473/2013 del Consiglio del 21 maggio 2013sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmaticidi bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro.

(20) La legge n. 243/2012 ha istituito per l’Italia l’Ufficio parlamentare di bilancio.

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rare della crisi, ha accresciuto la sorveglianza sugli Stati della zonaeuro colpiti dal dissesto finanziario mediante la previsione di unasorveglianza automatica sui Paesi percettori di aiuti finanziariprovenienti da fondi “salvastati” creati a livello sovranazionale ela richiesta di adottare misure particolarmente stringenti per laripresa.

L’attenzione dell’Unione europea si è focalizzata anche sullasorveglianza macroeconomica, quale strumento per il riequilibriodelle finanze. Il “Six pack” ha così introdotto una procedura per glisquilibri macroeconomici, che si attiva con un meccanismo diallerta diretto ad individuare tramite undici indicatori, e di con-seguenza a monitorare, i Paesi che presentano squilibri, anchepotenziali. Sono definite soglie di allerta in relazione a ciascunindicatore ed il quadro complessivo è oggetto di un report annualein cui si indicano i Paesi a rischio, da sottoporre ad analisi piùapprofondite da parte della Commissione con l’intento di prevenirelo sviluppo o l’intensificazione degli squilibri. In presenza di squi-libri rilevanti la Commissione ha la facoltà di proporre al Consigliol’apertura di una procedura di squilibrio eccessivo, che implical’emanazione di raccomandazioni specifiche da parte del Consiglioper la correzione dello squilibrio e l’attuazione di un piano diazione correttiva sino al riassorbimento dello squilibrio.

Un ulteriore passaggio di rilievo nelle evoluzioni delle politicheeuropee è stato segnato nel 2012 dal “Fiscal compact”, destinato a“rinsaldare la disciplina di bilancio (...), a potenziare il coordina-mento delle politiche economiche e a migliorare la governance dellazona euro” (21). Mediante questo accordo (22) gli Stati membri sisono impegnati ad introdurre nei propri ordinamenti, con norme dirango costituzionale o di rango ordinario, l’obbligo del persegui-mento del pareggio di bilancio, che si considera rispettato se ilsaldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pariall’obiettivo di medio termine con il limite inferiore di un disa-vanzo strutturale dello 0,5% del PIL. È concesso tuttavia agliStati di deviare temporaneamente dall’obiettivo di medio termineo dal percorso di avvicinamento all’obiettivo in circostanze ecce-zionali, identificate in eventi inconsueti che sfuggono al controllo

(21) Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione eco-nomica e monetaria del 2 marzo 2012, art. 1.

(22) V. art. 3.

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del Paese interessato e che determinano rilevanti ripercussionisulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppurein periodi di grave recessione economica ai sensi del patto distabilità, a condizione che la deviazione temporanea non sia tale dacompromettere la sostenibilità del bilancio a medio termine. Qua-lora il rapporto debito pubblico/PIL risulti significativamente al disotto della soglia del 60%, e qualora i rischi per la sostenibilità amedio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore diriferimento del deficit può essere superiore allo 0,5%, ma in ognicaso non può eccedere il limite dell’1% del PIL. Nell’eventualità dideviazioni significative dall’obiettivo di medio termine o dal per-corso di aggiustamento verso di esso, è attivato un meccanismo dicorrezione automatica, che impone allo Stato di attuare le misuredi correzione entro un determinato arco temporale.

L’Italia ha risposto alle richieste del Fiscal compact con la leggecostituzionale n. 1/2012, che ha novellato gli artt. 81, 97, 117 e 119Cost. introducendo nel nostro ordinamento il principio di equilibriodi bilancio (23), ossia l’obbligo costituzionale gravante non solosullo Stato, ma su tutte le pubbliche amministrazioni, di garantirel’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio (dunque in realtànon il pareggio di cui al Fiscal compact), che viene correlato a unvincolo di sostenibilità del debito che allo stesso modo riguardatutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle regole euro-pee (24). Si dispone di tenere in debita considerazione le fasifavorevoli e quelle sfavorevoli del ciclo economico e si ammette

(23) Ai sensi dell’art. 81 Cost. “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spesedel proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del cicloeconomico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti delciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta deirispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi omaggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con leggeil bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio delbilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessiva-mente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criterivolti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debitodel complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggio-ranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con leggecostituzionale”.

(24) Ai sensi dell’art. 97, c. 1, Cost., “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza conl’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità deldebito pubblico”.

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l’indebitamento dello Stato solo in presenza di eventi eccezionali eprevia autorizzazione delle Camere approvata a maggioranza as-soluta dei componenti. Deroghe per spese di investimento sonoconcesse esclusivamente, entro determinati limiti, alle autono-mie (25). Il principio di equilibrio di bilancio e di sostenibilità deldebito delle amministrazioni è stato trasfuso nella legge n. 243/2012, ma l’effettiva entrata in vigore del principio è stata ripetu-tamente rinviata, da ultimo dal 2015 al 2017 (26).

Il sistema di vincoli di bilancio e meccanismi di sorveglianzache si è cercato di sintetizzare non rappresenta l’unico strumentomesso in campo dall’Unione europea per affrontare la crisi (27). Alrestringimento dei parametri economici e finanziari si è correlata lastrategia Europa 2020 (28), un programma decennale per la cre-scita e l’occupazione che l’Unione europea ha varato nel 2010 (29),basato su un intenso coordinamento delle politiche interne econo-miche e del lavoro. La strategia, che riprende alcuni elementi della

(25) Sul principio costituzionale di equilibrio di bilancio, v. in dottrina: F. GALLO, Ilprincipio costituzionale di equilibrio di bilancio e il tramonto dell’autonomia finanziaria deglienti territoriali, in Rass. trib., 2014, 6, 1199 ss.; G. LO CONTE, Equilibrio dei bilanci delle regionie degli enti locali: prime indicazioni della Corte costituzionale, in Giorn. dir. amm., 2014, 11,1068 ss.; D. MONE, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed il potenziale vulnus allateoria dei controlimiti, in Rivista AIC, 2014, 3; M. PASSALACQUA, “Pareggio” di bilancio controintervento pubblico nel nuovo art. 81 della Costituzione, e G. DI GASPARE, L’art. 81 dellaCostituzione, abdicazione della sovranità finanziaria dello Stato?, entrambi reperibili sul sitowww.amministrazioneincammino.luiss.it.

(26) Il differimento è stato disposto con la risoluzione alla nota di variazione delDocumento di Economia e Finanza (DEF) 2014 adottata dal Parlamento il 15 ottobre 2014.

(27) Sul tema dei vincoli di bilancio, v. in dottrina: C. CARUSO, M. MORVILLO, Economicgovernance and budgetary rules in the european context: a call for a new european constitutio-nalism, in Dir. Un. Eur., 2014, 4, 699 ss.

(28) Per un’analisi approfondita in dottrina della strategia Europa 2020, v. P.WATSON, EU social and employment law, Oxford University Press, Oxford, 2014; S. CIVITA-RESE MATTEUCCI, F. GUERRIELLO, P. PUOTI (a cura di), Diritti fondamentali e politiche del-l’Unione europea dopo Lisbona, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2013; C. BARNARD, EUemployment law, Oxford University Press, Oxford, 2012; M. NOGUEIRA GUASTAVINO, O.FOTINOPOULOU, J. MARIA MIRAN, Lecciones de derecho social de la Unión Europea, Tirant loBlanch, Valencia, 2012; M. SCHMITT, Droit du travail de l’Union europeenne, Larcier, Bru-xelles, 2012.

(29) Comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, COM(2010) 2020 def.“Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”; Conclu-sioni del Consiglio europeo del 25-26 marzo 2010. La Strategia è stata adottata in occasionedel Consiglio europeo del 17 giugno 2010.

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precedente strategia di Lisbona (30), persegue cinque obiettiviquantitativi per l’Unione: innalzamento al 75% del tasso di occu-pazione (per la fascia di età compresa fra i venti e i sessantaquattroanni); aumento degli investimenti nel settore della ricerca e svi-luppo in misura pari al 3% del PIL dell’Unione; riduzione dei tassidi abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% e aumento al40% dei soggetti fra i trenta e i trentaquattro anni con un’istru-zione universitaria; riduzione di venti milioni di unità del numerodelle persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione;riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del1990, produzione del 20% dell’energia attraverso fonti rinnovabilie accrescimento del 20% dell’efficienza energetica.

La strategia è attuata e sottoposta a verifiche periodichenell’ambito del Semestre europeo sulla base dell’Analisi annualedella crescita, e prevede annualmente: l’adozione da parte delConsiglio, su proposta della Commissione, di orientamenti perl’occupazione e per le politiche economiche (v. infra par. 3); lapresentazione di programmi nazionali di riforma da parte dei Paesimembri, la cui congruenza con gli obiettivi della strategia vienevalutata dalla Commissione; la conseguente eventuale formula-zione di raccomandazioni specifiche per Paese da parte della Com-missione, con l’indicazione di misure da adottare per il miglioreraggiungimento degli obiettivi; infine, l’elaborazione da parte delConsiglio di un documento di analisi denominato Relazione co-mune sull’occupazione. Nell’ambito dei programmi nazionali gliobiettivi comuni sono stati tradotti in obiettivi nazionali, chefacilitano agli Stati membri il monitoraggio dei progressi raggiunti:per l’Italia gli obiettivi sono stati delineati in un tasso di occupa-zione del 67-69%, nell’investimento dell’1,53% del PIL in ricercae sviluppo, nella riduzione del 16% del tasso di abbandono scola-stico, nell’aumento al 26-27% dei giovani laureati, nella riduzionedi due milioni e duecentomila unità dei soggetti a rischio di povertà

(30) La strategia europea per l’occupazione adottata nel Consiglio europeo di Li-sbona nel marzo 2000 poneva come obiettivo per il 2010 il raggiungimento di un tassogenerale di occupazione del 70% (tasso del 60% per le donne). Tale obiettivo non è stato,come ben noto, raggiunto.

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ed esclusione sociale, nella diminuzione del 13% delle emissioni,con aumento del 17% delle energie rinnovabili (31).

Ulteriori e diversificati sono peraltro i programmi che la Com-missione ha intrapreso allo specifico scopo di contrastare la disoc-cupazione giovanile in Europa (32), i quali si affiancano all’imple-mentazione del Fondo sociale europeo (33) nel quadro della stra-tegia per l’occupazione 2014-2020.

3. Gli orientamenti integrati: le risposte del nostro legislatore in-terno.

Anche per la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020l’Unione ha fatto ricorso allo strumento degli orientamenti previ-sto dal Trattato (34), confermando così l’opzione per interventi disoft law che impongono agli Stati membri vincoli di natura politicapiù che giuridica (35). Il carattere integrato di questi dieci orien-tamenti, che sostituiscono i ventiquattro orientamenti della stra-tegia di Lisbona, li rende maggiormente incisivi, poiché essi sipresentano come una serie integrata di politiche economiche e perl’occupazione, che gli Stati membri devono attuare integralmente

(31) “Overview of the Europa 2020 targets”, aprile 2014, in www.ec.europa.eu/aurope2020/.

(32) La Commissione gestisce il programma per l’occupazione e l’innovazione sociale(EaSI) in forza del regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1296/2013.Tale programma oggi comprende Progress (programma per l’occupazione e la solidarietàsociale istituito con la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1672/2006/CE esuccessivamente modificato mediante la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n.284/2010/UE), EURES (rete di cooperazione che collega la Commissione europea e i servizipubblici per l’impiego degli Stati membri e di ulteriori Paesi) e Microfinance (strumento dimicrofinanza per l’occupazione e l’inclusione sociale istituito con la decisione del Parla-mento europeo e del Consiglio n. 283/2010/UE).

(33) Regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1304/2013 relativoal Fondo sociale europeo; regolamento di esecuzione UE della Commissione n. 288/2014recante modalità di applicazione del regolamento UE n. 1304/2013.

(34) Ai sensi dell’art. 148 TFUE sul coordinamento delle politiche del lavoro, inmateria di occupazione il Consiglio emana orientamenti, i quali devono essere coerenti congli indirizzi di massima per le politiche economiche da adottarsi da parte del Consiglio aisensi dell’art. 121 TFUE.

(35) In dottrina, cfr. G. BALANDI, F. BANO, Chi ha paura del soft law?, in Lav. dir.,2003, I, 3 ss.

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e allo stesso ritmo, così da assicurare la realizzazione degli effettipositivi delle riforme strutturali.

Il 27 aprile 2010 il Consiglio ha individuato la prima parte degliorientamenti (resa definitiva nel luglio 2010) (36), che è costituitada sei indirizzi di massima per le politiche economiche degli Statimembri e dell’Unione, a cui è richiesto di: 1) garantire la qualità ela sostenibilità delle finanze pubbliche; 2) ovviare agli squilibrimacroeconomici; 3) ridurre gli squilibri nella zona euro; 4) sfruttareal meglio il sostegno a ricerca e sviluppo e all’innovazione, raffor-zare il triangolo della conoscenza (composto da istruzione, ricercae attività economiche) e liberare il potenziale dell’economia digi-tale; 5) migliorare l’efficienza sotto il profilo delle risorse e ridurrele emissioni di gas a effetto serra; 6) migliorare il clima per leimprese e i consumatori e ammodernare e sviluppare la baseindustriale per garantire il pieno funzionamento del mercato in-terno.

Nella medesima data il Consiglio ha proposto i quattro orien-tamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupa-zione (adottati nell’ottobre 2010) (37). Essi rappresentano la se-conda parte degli orientamenti integrati e chiedono di: 7) incre-mentare la partecipazione al mercato del lavoro di donne e uomini,riducendo la disoccupazione strutturale e promuovendo la qualitàdel lavoro; 8) sviluppare una forza lavoro qualificata rispondentealle esigenze del mercato occupazionale e promuovere l’apprendi-mento permanente; 9) migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemidi istruzione e formazione a tutti i livelli e aumentare la parteci-pazione all’istruzione terziaria o equipollente; 10) promuoverel’inclusione sociale e la lotta contro la povertà.

Gli orientamenti per le politiche occupazionali sono stati man-

(36) Raccomandazione del Consiglio del 27 aprile 2010 relativa agli indirizzi dimassima per le politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione. Parte I degliorientamenti integrati di Europa 2020, poi confluita nella raccomandazione del Consiglio del13 luglio 2010 sugli orientamenti di massima per le politiche economiche degli Stati membrie dell’Unione, 2010/410/UE.

(37) Proposta di decisione del Consiglio del 27 aprile 2010 sugli orientamenti per lepolitiche degli Stati membri a favore dell’occupazione. Parte II degli orientamenti integratidi Europa 2020, COM(2010) 193 def., poi confluita nella decisione del Consiglio del 21ottobre 2010 sugli orientamenti per le politiche a favore degli Stati membri a favoredell’occupazione, 2010/707/UE.

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tenuti per il 2011, 2012, 2013 e 2014 (38), al preciso scopo digarantirne la stabilità e mantenere la centralità della loro attua-zione coordinata.

Il 5 marzo 2014 la Commissione ha reso pubblici gli esitidell’esame realizzato sull’Italia (39) ai sensi dell’art. 5 del regola-mento UE n. 1176/2011, mettendo in evidenza la presenza disquilibri macroeconomici eccessivi e la conseguente necessità disottoporre il nostro Paese ad un monitoraggio specifico, in parti-colar modo a causa del persistere di un debito pubblico elevato, diuna debole competitività esterna e di un ridotto margine di cre-scita. Preso atto di questa valutazione, nell’ambito delle prescri-zioni di Europa 2020 e del Semestre europeo, il 22 aprile 2014 ilGoverno italiano ha presentato all’Unione per il 2014 il suo pro-gramma nazionale di riforma (40) ed il programma nazionale distabilità (41). Lo scenario economico illustrato in questi documentidà conto per il 2013 di una riduzione dell’1,9% del PIL, di unariduzione del 2,6% della crescita di prodotto, di una contrazionedelle esportazioni nette, di un mercato del lavoro debole e di untasso di disoccupazione salito al 12,2%. L’Italia si è pertantoimpegnata a conseguire l’obiettivo a medio termine di una posi-zione di bilancio in pareggio in termini strutturali entro il 2016,rispettando la regola del debito nel periodo di transizione2013-2015. L’aggiustamento strutturale è previsto in misura mo-desta, pari allo 0,1% del PIL nel 2014, in considerazione delle gravicondizioni economiche e della necessità di attuare un pesanteprogramma di riforme strutturali (legge elettorale, riforme costi-tuzionali, taglio del cuneo fiscale e dell’IRAP, riforme del mercatodel lavoro e del welfare, ecc.). La misura dell’aggiustamento strut-turale è comunque ritenuta utile alla riduzione del debito, a cui èpreordinato anche un programma di privatizzazioni da effettuare

(38) Decisione del Consiglio del 6 maggio 2014, n. 2014/322/UE.(39) SWD(2014) 83 final; Comunicazione della Commissione del 5 marzo 2014 “Bi-

lancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”,COM(2014) 130 final.

(40) Documento di economia e finanza 2014, sezione III, programma nazionale diriforma, parte I - La strategia nazionale e le principali iniziative, e parte II - Gli squilibrinazionali e le riforme in dettaglio.

(41) Documento di economia e finanza 2014, sezione I, programma di stabilitàdell’Italia.

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entro il 2017 a cui si connette un aumento annuale del PIL di 0,7punti percentuali.

La valutazione dei programmi italiani è contenuta nella rac-comandazione specifica elaborata dal Consiglio (42), dove si se-gnala che nel 2014 l’Italia registrerà una deviazione dal percorso diaggiustamento dell’obiettivo a medio termine che, se si ripetesseanche nel 2015, potrebbe essere valutata come significativa, e dovesi mette in evidenza che il raggiungimento degli obiettivi di bilan-cio non è totalmente suffragato da misure sufficientemente detta-gliate, soprattutto a partire dal 2015; le previsioni della Commis-sione per la primavera del 2014 segnalano la non conformità deiprogrammi italiani rispetto al parametro di riferimento per lariduzione del debito poiché l’aggiustamento strutturale prospet-tato (0,1% del PIL) è inferiore all’aggiustamento strutturale ri-chiesto (0,7% del PIL). Pertanto il Consiglio ha chiesto nellaraccomandazione, per il biennio 2014-2015, sforzi aggiuntivi al-l’Italia, indispensabili a garantire la conformità ai requisiti delpatto di stabilità e crescita (in particolare alla regola della ridu-zione del debito), fra i quali provvedimenti idonei a rafforzare lemisure di bilancio, ad attuare le privatizzazioni in programma, adattuare un aggiustamento di bilancio favorevole alla crescita ba-sato sui significativi risparmi annunciati come provenienti da unmiglioramento duraturo dell’efficienza e della qualità della spesapubblica e a ridurre il carico fiscale gravante sui fattori produttivi.

Il 10 aprile 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato ilDocumento di economia e finanza 2015, che comprende il nuovoprogramma nazionale di riforma ed il nuovo programma di stabi-lità, i quali saranno sottoposti alla valutazione del Consiglio e dellaCommissione europea. Gli obiettivi della politica economica delGoverno rappresentati nel documento di programmazione trien-nale sono: il sostegno alla ripresa economica, evitando aumenti delprelievo fiscale e allo stesso tempo rilanciando gli investimenti; laprogressiva riduzione del debito pubblico; l’aumento degli investi-menti e delle iniziative per il recupero dell’occupazione. Le prin-cipali misure di risparmio previste dal Documento consistono

(42) Raccomandazione del Consiglio del 2 giugno 2014 sul programma nazionale diriforma 2014 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità2014 dell’Italia, COM(2014) 413 final, confluita nella raccomandazione del Consiglio dell’8luglio 2014, 2014/C 247/11).

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nell’adeguamento del sistema dei fabbisogni e dei costi standardper gli enti locali e nella pubblicazione dei dati di performance e deicosti delle singole amministrazioni; nella razionalizzazione delleaziende partecipate; nella tracciabilità telematica delle transazionicommerciali; nella revisione degli incentivi alle imprese. È previstauna riduzione della pressione fiscale sotto il 43% nel 2015, desti-nata a scendere di un punto percentuale aggiuntivo al termine deltriennio.

Il Documento delinea un cambiamento di marcia nella situa-zione economica e finanziaria del Paese, con la previsione di un+0,7% per il PIL nel 2015 ed una percentuale di ripresa stabiliz-zata attorno all’1,4-1,5% nei prossimi anni. La previsione per ilrapporto debito/PIL è al 132,5% nel 2015 e al 130,9% nel2016 (43). L’obiettivo di bilancio dovrebbe essere raggiunto attra-verso il miglioramento del quadro macroeconomico (tenuto contodi un risparmio “da spread” pari allo 0,4% del PIL) e soprattuttoattraverso misure di spending review (per lo 0,6% del PIL) come ilriordino delle deduzioni e detrazioni fiscali mediante l’eserciziodella delega fiscale, che dovrebbe produrre 2,4 miliardi di euro.Sulla base delle previsioni di crescita il rapporto deficit/PIL siridurrebbe a 1,4% nel 2016, dunque l’Italia potrebbe raggiungereil pareggio strutturale di bilancio con un anno di anticipo rispettoalla scadenza concordata con l’Unione europea (2017). Tuttavia, ilGoverno intende formulare all’Europa la richiesta di accesso allaclausola dei patti che consente la discesa del deficit strutturale finoalla soglia dello 0,5% del PIL nell’eventualità in cui siano stateprogrammate misure idonee ad incrementare la crescita potenziale.Il Documento individua queste misure in una serie di dodiciprovvedimenti che spaziano dal Jobs act alla “Buona scuola”,passando per la riforma del fisco, della pubblica amministrazione edella giustizia. Per poterli realizzare, il Governo chiederà all’Eu-ropa di mantenere al 2017 la scadenza per il raggiungimento delpareggio strutturale di bilancio e di consentire un deficit all’1,8%del PIL per il 2016 (44). Vi corrisponderebbe una disponibilità di

(43) Secondo il World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale,pubblicato nell’aprile 2015, il debito pubblico raggiungerebbe invece 133,8% del PIL nel2015 e il 132,9% del PIL nel 2016.

(44) Secondo il Fondo monetario internazionale, il rapporto deficit/PIL dell’Italia siattesterebbe nel 2016 sull’1,7%.

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sei miliardi di euro che permetterebbe di evitare l’aumento del-l’IVA e l’applicazione delle altre clausole di salvaguardia (quanti-ficate in un punto di PIL, pari a circa sedici miliardi di euro),creando un circolo virtuoso che, secondo le proiezioni del Governo,farebbe risalire la crescita, riavviare gli investimenti pubblici eridurre le tasse.

4. Successi politici del nostro Governo.

La Relazione 2015 sul meccanismo di allerta (45), la qualecostituisce il punto di partenza del ciclo annuale della proceduraper la riduzione degli squilibri macroeconomici, pubblicata nelnovembre 2014, ha passato al vaglio la situazione degli Statimembri per verificare se gli squilibri segnalati nella precedentevalutazione siano stati corretti. Quanto all’Italia, che assieme allaCroazia e alla Slovenia era stata collocata fra i Paesi in condizionedi “squilibrio eccessivo”, all’esito del monitoraggio specifico con-dotto sul 2013 la Commissione riferisce che nel quadro di valuta-zione aggiornato alcuni dati superano la soglia indicativa: quotedel mercato delle esportazioni –18,4% (5 anni), debito pubblico127,9% del PIL, tasso di disoccupazione 10,4% (come media su treanni). La Commissione ha pertanto ritenuto di sottoporre adulteriore esame e monitoraggio la persistenza dei rischi macroeco-nomici per il nostro Paese, le cui conclusioni sono state rese notenella Relazione sull’Italia del 18 marzo 2015 (46). Viene qui evi-denziato come il persistere di bassi livelli di crescita della produt-tività (contrazione del PIL dello 0,5% nel 2014) determini ilmantenimento dei segnalati squilibri macroeconomici, ossia unamisura molto elevata del debito pubblico (rapporto debito/PILsalito al 132% nel 2014) e la debolezza della competitività esterna;come il protrarsi della crisi abbia messo in luce i rischi insiti nellostretto rapporto del settore bancario italiano con le imprese nazio-nali e l’emittente sovrano; come la qualità degli investimenti abbia

(45) Relazione della Commissione sul meccanismo di allerta (preparata conforme-mente agli articoli 3 e 4 del regolamento UE n. 1176/2011 sulla prevenzione e correzionedegli squilibri macroeconomici) del 28 novembre 2014, COM(2014)904 final.

(46) Documento di lavoro dei servizi della Commissione. Relazione per Paese relativaall’Italia 2015 comprensiva dell’esame approfondito sulla prevenzione e la correzione deglisquilibri macroeconomici, del 18 marzo 2015, COM(2015) 85 final.

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subìto un deterioramento a lungo termine. La Commissione os-serva poi che le carenze della pubblica amministrazione e delsistema giudiziario compromettono la qualità del contesto impren-ditoriale e riducono la capacità di attuare efficacemente le riforme;che la partecipazione al mercato del lavoro rimane bassa e lepolitiche attive sono deboli (tasso di disoccupazione al 13,3% nelquarto trimestre del 2014); che il sistema fiscale ostacola l’effi-cienza economica del Paese. Si osserva come, nel complesso, l’Italiaabbia compiuto qualche progresso a seguito della raccomandazionedel 2014, in particolar modo con la significativa riduzione del-l’onere fiscale sul lavoro e la riforma del mercato del lavoro incorso, ma tali progressi sono comunque ritenuti insufficienti allariduzione degli squilibri economici. La Relazione si chiude indivi-duando le sfide principali che l’Italia, nella complessa situazioneeconomica delineata, è chiamata ad affrontare nel risanamento dibilancio per la ripresa della crescita e nell’attuazione delle riformestrutturali per l’aumento della produttività.

Nonostante i dati incontrovertibili dello scenario economicoregistrato dalla Commissione occorre tuttavia dare conto del fattoche il nostro Governo ha raggiunto l’obiettivo della fuoriuscita delPaese dalla situazione di criticità procedurale per aumento pro-gressivo degli squilibri macroeconomici. La Comunicazione dellaCommissione del 26 febbraio 2015 sul Semestre europeo 2015 (47)mantiene infatti l’Italia fra i Paesi a squilibrio eccessivo ma non lacolloca fra quei Paesi, tra cui invece la Francia, per i quali i rischidi squilibrio sono notevolmente aumentati con il conseguentepassaggio della procedura ad uno stadio superiore. La Relazionedel 27 febbraio 2015 elaborata per l’Italia nell’ambito della proce-dura per i disavanzi eccessivi (48), pur ribadendo i dati sull’eccessodi debito pubblico (destinato, secondo le stime dell’Unione, araggiungere il 133% del 2015), dà conto del fatto che le attualicondizioni economiche sfavorevoli (e soprattutto i bassi tassi diinflazione) rendono il rispetto della rapporto fra debito e PIL

(47) Comunicazione della Commissione del 26 febbraio 2015, Semestre europeo 2015:valutazione delle sfide per la crescita, prevenzione e correzione degli squilibri macroecono-mici e risultati degli esami approfonditi a norma del regolamento UE n. 1176/2011,COM(2015) 85 final.

(48) Relazione della Commissione del 27 febbraio 2015, Italia. Relazione elaborata anorma del’articolo 126, paragrafo 3 del Trattato, COM(2015) 113 final.

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particolarmente difficile ed apprezza il sistema di riforme struttu-rali che il Governo si è impegnato a realizzare per conseguire gliobiettivi europei, giudicandole come riforme ambiziose, orientatealla crescita, idonee a contribuire alla riduzione del debito amedio/lungo termine e che hanno imposto una battuta di arrestoall’aumento degli squilibri. Si tratta pertanto di un risultato poli-tico di rilievo per il nostro Governo che, grazie alle riforme strut-turali, sta consentendo al Paese il riallineamento ai parametrieuropei, con una particolare menzione da parte della Commissioneal ruolo giocato nella valutazione della portata delle riforme dalJobs Act e dalla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro determinatadalla legge di stabilità 2015.

5. I sacrifici assunti sul versante delle tutele del lavoro. Jobs Act eautonomia collettiva.

Un siffatto esito ha avuto un prezzo, quello di iniettare dosimassicce di flexibility sia in entrata sia in uscita dal mercato dellavoro, allentando fortemente i vincoli ed i costi delle tutele. La viaseguita dal nostro Governo è stata quella di puntare sulla riformastrutturale del lavoro, non potendo incidere, per i descritti effettidi bilancio, né sulla spesa pubblica né sulla riduzione fiscale, e nontrovando altre sponde utilmente perseguibili o perseguibili a brevetermine (riforma costituzionale, riforma della giustizia civile, ri-forma degli appalti, misure anticorruzione, ecc.). La scelta, fruttodel pressing europeo, ma deliberatamente assunta in funzione degliobiettivi di crescita, di attrazione degli investimenti e di incre-mento occupazionale, è stata portata avanti con coerenza e congrande impatto mediatico, potendosi riassumere in un breve slo-gan: meno tutele, meno interferenze gestionali (dei sindacati, deigiudici), più libertà alle parti, più posti di lavoro e più fiducia deimercati (49). Complesso è valutare l’esistenza del suddetto nesso acosì breve distanza dalla riforma, intanto interessa capire il livello

(49) Sull’idea di fondo del Governo per cui la produzione di nuovi posti di lavoro èancorata alla modifica della disciplina giuridica del rapporto e del mercato del lavoro, cfr.F. CARINCI, Jobs Act, atto II: la legge delega sul mercato del lavoro, in F. CARINCI e M. TIRABOSCHI

(a cura di), I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, in ADAPT LabourStudies e-book series, n. 37, 2015, 1 s.

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di sacrifici e di arretramenti imposti ed i loro effetti sulle pratichecontrattuali collettive del nostro Paese.

Il Jobs Act si compone di due atti: il primo rappresentato dald.l. n. 34/2014 sul contratto a termine, sul contratto di apprendi-stato e su altre questioni minori, il secondo rappresentato dallalegge delega n. 183/2014 e successivi decreti legislativi attuativi(allo stato nn. 22 e 23/2015 sulle indennità da disoccupazioneinvolontaria e sul contratto di lavoro a tutele crescenti, ma con indirittura d’arrivo anche i decreti sulle tipologie contrattuali e sullamaternità e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro). Si tratta diun rilevante intervento normativo che va a toccare il cuore delladisciplina dei rapporti di lavoro privati (contratti a termine, som-ministrazione, co.co.pro., licenziamenti, ius variandi, controllo adistanza dei lavoratori, copertura contro la crisi d’impresa e ladisoccupazione involontaria), con qualche limitata incursione alsettore pubblico (ad esempio nel lavoro accessorio tramite voucher),e che, a differenza dell’ultimo quarto di secolo, è stato formatosenza alcun coinvolgimento né diretto né indiretto del sinda-cato (50). Gli obiettivi perseguiti sono chiari, anche se la valuta-zione di idoneità allo scopo degli strumenti apprestati è tutt’altroche univoca: promuovere la semplificazione normativa e la razio-nalizzazione delle procedure e degli atti di gestione del rapporto dilavoro, ridurre le protezioni e le rigidità per consentire una ridu-zione dei costi di impiego del lavoro e una flessibilizzazione dellemodalità di utilizzo, ridurre il dualismo nel mercato del lavoro e frainsider e outsider e fra protetti e non protetti, ridurre il contenziosoanche tramite la previsione di costi di separazione certi e prevedi-bili, contrastare il lavoro sommerso per incentivare la regolarizza-zione e aumentare i tassi di occupazione formale.

In tale prospettiva le principali misure adottate sono ormaiben note.

Con riguardo al termine (51) è stato eliminato ogni riferimentoalle ragioni giustificatrici del ricorso al contratto a tempo determi-

(50) Sul progressivo declino delle pratiche concertative cfr. M. RUSCIANO, Contratta-zione e sindacato nel diritto del lavoro dopo la l. 28 giugno 2012, n. 92, in Arg. dir. lav., 2013,1283 s.

(51) Cfr. M. BROLLO, La nuova flessibilità “semplificata” del lavoro a termine, in Arg.dir. lav., 2014, 3, 566 ss.; P. CAMPANELLA, Vincoli e sanzioni nel ricorso al contratto a termine:forma e tetti agli organici, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi,

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nato, il cui impiego è ora vincolato esclusivamente a requisiti dinatura quantitativo-temporale, con il superamento anche degliinterventi di modifica del predetto art. 1 apportati dalla riformaFornero per l’introduzione delle ipotesi di “acausalità” del con-tratto a termine (52). Il primo requisito risiede nella durata delrapporto di lavoro (concluso per l’esecuzione di qualunque tipo dimansione), che non può sconfinare oltre il tetto massimo di tren-tasei mesi, comprensivo di eventuali proroghe. Il secondo consistenel limite percentuale entro il quale deve attenersi il numerocomplessivo dei rapporti di lavoro a tempo determinato in azienda,pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato inforza al primo gennaio dell’anno di riferimento. La conseguenzadell’inosservanza del limite percentuale consiste nel versamento,per ciascun lavoratore, di una sanzione amministrativa pari al20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese supe-riore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numerodei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non siasuperiore a 1, e pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese ofrazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapportodi lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limitepercentuale sia superiore a uno (ed espressa esclusione, ad operadel decreto in approvazione, della sanzione della conversione delrapporto a tempo indeterminato). Peraltro alla contrattazionecollettiva posta in essere da organizzazioni sindacali comparativa-mente più rappresentative sul piano nazionale viene assegnata lafacoltà di caducare o restringere tali limiti, essendo abilitata adinnalzare ad libitum, fino al completo annullamento, la percentualedel 20% di contratti a termine sul totale del personale a tempoindeterminato, ad incrementare la durata massima del rapportoanche oltre la soglia dei trentasei mesi in caso di successione di unapluralità di contratti aventi ad oggetto le stesse mansioni, a ridurree/o annullare il regime degli intervalli e delle proroghe previstedalla legge; in sostanza ad eliminare ogni vincolo o presuppostogiuridico alla stipulazione di contratti a termine, il cui utilizzodiventa potenzialmente fungibile rispetto al contratto a tempo

cit., 174 ss.; A. PIZZOFERRATO, Il contratto a termine dopo il Jobs Act atto I: l’insostenibile ruoloderogatorio libero della contrattazione collettiva, ivi, 209 ss.

(52) G. ZILIO GRANDI, M. SFERRAZZA, Il lavoro a termine verso la liberalizzazione?, inArg. dir. lav., 2014, 4-5, 919 e ss.

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indeterminato. D’altro canto tale facoltà di deroga, che è sullacarta bilaterale, ma nei fatti è unilaterale ossia opera solo in sensoestensivo e flessibilizzante (v. infra), viene rimessa dapprima, conil d.l. n. 34/2014, al solo contratto nazionale per la percentualecardine del 20% e a tutti i livelli per gli altri profili (53), quindidallo schema di decreto legislativo sulle tipologie contrattuali e larevisione della disciplina delle mansioni (54), indifferentemente atutti i livelli contrattuali per qualsivoglia profilo e limite di utilizzodella fattispecie negoziale.

Con riguardo ai licenziamenti, è stato introdotto un nuovoregime degli effetti (d.lgs. n. 23/2015), valido anche per i licenzia-menti collettivi relativamente al personale assunto a partire dal 7marzo 2015, che marginalizza la reintegrazione ai casi di discrimi-natorietà, motivo illecito e intimazione orale, sottraendo il sinda-cato giudiziale sia in relazione alla manifesta insussistenza delleragioni economiche addotte sia in relazione alla riconduzione deifatti addebitati alle previsioni sanzionatorie conservative del co-dice disciplinare, uniformando la disciplina intorno a parametrieconomici estremamente contenuti (due mensilità di retribuzioneper ogni anno di anzianità di servizio, con il minimo di quattro edil massimo di ventiquattro), ulteriormente comprimibili del 50% incaso di offerta conciliativa e di eventuale accertamento di esclusivovizio procedurale e/o formale (55). Si è poi ulteriormente contenutala tutela nelle imprese di piccole dimensioni (sino a quindici dipen-denti nell’unità produttiva interessata) nella forbice vincolata

(53) Quanto agli intervalli e proroghe il disposto recita: “contratti collettivi, ancheaziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavorocomparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 5, c. 3, d.lgs. n. 368/2001);quanto al superamento della durata massima di 36 mesi in caso di successione di piùcontratti a termine, “contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendalecon le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”(art. 5, c. 4-bis, d.lgs. n. 368/2001); quanto alla caducazione del limite del 20%, “contratticollettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi”(art. 10, c. 7, d.lgs. n. 368/2001).

(54) V. art. 21, c. 1, che prevede come il divieto di assunzione di lavoratori a termineoltre la soglia del 20% opera “salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, ancheaziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sulpiano nazionale”.

(55) Cfr. M. DE LUCA, Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e nuovosistema sanzionatorio contro i licenziamenti illegittimi: tra legge delega e legge delegata, in WPC.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, IT - 251/2015.

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dall’anzianità di servizio di due — sei mensilità, e sono statecassate le due principali esperienze procedurali della legge Fornero,ossia il tentativo obbligatorio di conciliazione nei licenziamenti pergiustificato motivo oggettivo nell’ambito di applicazione dell’art.18 st. lav. ed il rito sommario dei licenziamenti individuali di cuiall’art. 1, cc. 48-68, l. n. 92/2012 (c.d. rito Fornero) (56). Leorganizzazioni di tendenza (“datori di lavoro non imprenditori chesvolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale,culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”) sono stateparificate a qualsivoglia altra impresa, in piena discontinuità con ilpassato e nonostante le perplessità sollevate anche dalle Commis-sioni parlamentari competenti in sede di esame obbligatorio manon vincolante dello schema di decreto. Nessuna apertura, dinessun tipo, alla contrattazione collettiva o alle organizzazionisindacali, compare nel decreto, per cui nessuna funzione in subiectamateria viene chiamata a svolgere l’autonomia collettiva che vieneprivata del compito di determinare il principio di proporzionalitàcon riguardo al licenziamento disciplinare (57).

Con riguardo al mutamento delle mansioni, si è ammessa lavariabilità in peius e dunque l’assegnazione a mansioni apparte-nenti al livello classificatorio inferiore in ogni caso di “modificadegli assetti organizzativi aziendali”, pur con il mantenimentoformale del medesimo inquadramento e relativa retribuzione. Larevisione operata sul testo dell’art. 2103 c.c. dallo schema didecreto legislativo, seppur chiara negli intenti flessibilizzanti, ètuttavia estremamente carente sul versante tecnico, tanto darischiare un effetto boomerang sul versante pratico-operativo.Innanzitutto poiché esce dalle direttive della legge delega (chetipizzava, all’art. 1, c. 7, lett. e, l. n. 183/2014, le causali diammissibilità dei mutamenti nei “processi di riorganizzazione,ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base diparametri oggettivi”), ed àncora ex lege la liceità di conciliazioni,anche rese in sede protetta, sulla modifica delle mansioni al ri-

(56) Si stenta a comprendere la ragione di tale abolizione, anche considerata la buonaprova di sé che hanno fornito, dopo un’inevitabile prima fase di assestamento dovutaprincipalmente all’imperfezione tecnico-giuridica delle norme, e che ha determinato apprez-zabili riscontri in termini di deflazione e accelerazione del contenzioso esistente.

(57) Rimane peraltro ferma la facoltà derogatoria del contratto aziendale ex art. 8d.l. 138 (v. infra).

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spetto “dell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occu-pazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglio-ramento delle condizioni di vita” (58); sicché potrebbe ricavarsiche ogni modifica per essere valida deve essere resa nelle sedi di cuiall’art. 2113, ult. c., c.c. o davanti alle commissioni di certificazionedi cui all’art. 76, d.lgs. n. 276/2013 (59) e comunque debba inter-venire solo in ipotesi obiettive predefinite nelle quali si ravvisi lanecessarietà dello spostamento ai fini della salvaguardia del postodi lavoro o della professionalità acquista dal dipendente (60). Di talché l’effetto innovativo del disposto non si scorge sul versante delladisciplina positiva recata (basti pensare alla giurisprudenza che datanti anni ammette la derogabilità del divieto anche in ipotesi, nonspecificamente autorizzate dal legislatore (61), connesse alla tuteladel bene preminente del posto di lavoro ovvero per periodi transi-tori in presenza di esigenze organizzative o produttive improroga-bili); bensì sul versante delle fonti, poiché abilita l’autonomiacollettiva di tutti i livelli ad introdurre deroghe in maniera inte-grativa e/o sostitutiva della legge (“Ulteriori ipotesi di assegna-zione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento infe-riore possono essere previste da contratti collettivi, anche azien-dali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rap-presentative sul piano nazionale”, cui è affidato altresì il compitodi fissare la durata oltre la quale l’assegnazione a mansioni supe-riori diventa definitiva, anche in via derogatoria rispetto alla legge

(58) E che la “diversa professionalità” debba essere intesa sì in senso dinamico e noncon anacronistiche ed astratte pesature di rilevanza di funzioni ma comunque in una logicadi sviluppo professionale e di salvaguardia del proprio standard professionale emerge anchedal raffronto con la legge delega che si esprime nei termini di “tutela del posto di lavoro,della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche”; e quindi non può attribuirsiall’aggettivo “diversa” un significato di rottura, pena la contrarietà con i criteri direttividella delega.

(59) Così rendendo illecita ex se la nota prassi del c.d. recesso modificativo, su cui, pertutti, cfr. F. SANTONI, op. cit., 139.

(60) Di diverso avviso il DEF 2015 (pp. 69-70), in cui si dichiara: “In presenza diprocessi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale l’impresa potrà, in via unilaterale,modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo tratta-mento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimentodel lavoro)”, senza peraltro tener conto della lettura sistematica complessiva del disposto.

(61) Lavoratrice madre, sopravvenuta inidoneità al lavoro, necessità di allontana-mento per motivi sanitari, accordi di mobilità ex art. 4, c. 11, l. n. 223/1991, accordi diprossimità ex art. 8 d.l. n. 138/2011.

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— che comunque estende il periodo a sei mesi per tutte le categorie— art. 55, schema d.lgs.). E qui la delega al contratto collettivo inmateria di variazioni peggiorative non è neutra o bilaterale, poichépuò operare solo in malam partem nei confronti dei lavoratori,introducendo nuove e più comprensive ipotesi di disattivazione deldivieto e di determinazione dei contenuti concreti dell’assegna-zione lecita (per quanti livelli inferiori, su quali inquadramenti eprofili professionali, per quale durata, ecc.). La cedevolezza deldivieto, se non si ricava, almeno in via univoca, dalle prescrizionilegislative, sarà in ogni caso realizzata dal contratto collettivo,quanto meno di livello aziendale.

Quanto poi alle altre tipologie contrattuali non standard, siassiste, da un lato alla sostanziale conferma della disciplina dellavoro part-time, intermittente, in apprendistato e accessorio (62),dall’altro alla forte accelerazione, almeno sul versante della dispo-nibilità disciplinare, impressa al contratto di somministrazione, cuiè stata dapprima sottratta, nella versione a tempo determinato, lacausale generale delle “ragioni di carattere tecnico, produttivo,organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività

(62) Anche se non mancano regressi di tutele anche su tale versante: fra gli altri, sisegnalano la nuova previsione dell’art. 8, c. 3, schema d.lgs. sulle tipologie flessibili che incaso di violazione delle condizioni, modalità e limiti, previsti dalla legge e dal contrattocollettivo, di utilizzo delle prestazioni elastiche o flessibili introduce, quale sanzione diriferimento, “un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno”; nonché l’abbas-samento del limite di conferma degli apprendisti al termine del periodo formativo per poterproseguire nelle assunzioni con tale tipologia contrattuale ex art. 2, c. 1, lett. a), n. 2), d.l.n. 34/2014 (“Ferma restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro,stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, di indi-viduare limiti diversi da quelli previsti dal presente comma, esclusivamente per i datori dilavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti l’assunzione di nuovi apprendisti èsubordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine delperiodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro”).

Quanto al ruolo del contratto collettivo viene mantenuto inalterato per tutte e quattrole fattispecie, con abilitazione di tutti i livelli per il part-time, circoscrizione al nazionale oterritoriale per l’individuazione dei casi di ricorso al lavoro intermittente, riserva alnazionale (o all’interconfederale) per la disciplina dell’apprendistato senza più il limite didurata di 6 mesi e con accentuazione del rilievo contrattuale nella determinazione deipercorsi e piani formativi, assenza di qualsiasi riferimento nell’ambito del lavoro accessoriotramite voucher.

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dell’utilizzatore” per il tramite del d.l. n. 34/2014 (63), quindi sonostate eliminate le causali specifiche della somministrazione a tempoindeterminato, lasciandosi esclusivamente un limite percentuale diutilizzo (10% sulla forza lavoro a tempo indeterminato), libera-mente derogabile dalla contrattazione collettiva in questo caso solonazionale svolta dalle associazioni sindacali comparativamente piùrappresentative, in analogia al primo step realizzato dall’atto I peril termine. D’altro canto, per la somministrazione a tempo deter-minato è stata confermata l’assenza di qualsivoglia limite quanti-tativo o di durata di origine legislativa, che potrà, eventualmente,essere introdotto dalla contrattazione collettiva nazionale. Cosìcome si è affermato che nel rapporto interno di lavoro a termine fraprestatore e agenzia di somministrazione, non si applica la disci-plina generale sul contratto a tempo determinato in relazione aivincoli di legge esistenti (durata massima, percentuale sul perso-nale a tempo indeterminato, regime degli intervalli e delle proro-ghe), potendo peraltro il “contratto collettivo applicato al sommi-nistratore” (parrebbe pertanto anche quello di livello aziendale)definire eventuali limiti alla prorogabilità ed alla durata massimadel contratto. In assenza di un tale intervento contrattuale inte-grativo o in assenza di adesione del datore di lavoro al contrattocollettivo applicabile, il contratto a termine presso le agenzie dilavoro somministrato è totalmente privo di qualsivoglia limiteapplicativo e pienamente fungibile con il contratto a tempo inde-terminato. A ciò si aggiunge l’abolizione dell’associazione in par-tecipazione con apporto di lavoro, fatti salvi i rapporti in esserefino alla loro cessazione, e la riconduzione al passato del lavoro aprogetto. Su quest’ultimo versante, nonostante la demagogia delmessaggio politico riformista, si è in verità consumata la cancella-zione del regime protettivo di cui al d.lgs. n. 276/2003, senzaperaltro una reale messa al bando delle collaborazioni coordinate econtinuative. L’assetto proposto dallo schema di d.lgs. del Go-verno, in maniera non immediatamente intellegibile, è il seguente:conservazione in vita delle norme di cui agli artt. 61-69-bis deld.lgs. n. 276/2003 solo per la “regolazione dei contratti già in atto

(63) Cfr. C. ZOLI, La somministrazione di lavoro dal pacchetto Treu al decreto Poletti: unlungo percorso sulla via della liberalizzazione, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavorodel Governo Renzi, cit., 242 ss.

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alla data di entrata in vigore del decreto” (64) e rinvio, per irapporti instaurati successivamente, alla disciplina di cui all’art.409 c.p.c.; individuazione di un periodo transitorio operante fino al31 dicembre 2015 in cui il datore di lavoro può stabilizzare i propricollaboratori a progetto (ma anche i propri collaboratori con par-tita IVA), lucrando l’estinzione di tutte le eventuali violazionicommesse nella gestione precedente del rapporto in materia diobblighi contributivi, assicurativi e fiscali a patto di mantenere inessere il rapporto una volta convertito per almeno dodici mesi(salvo recesso per giusta causa o giustificato motivo soggettivo);riconduzione, a far data dal 1° gennaio 2016, al lavoro subordinatodei contratti di collaborazione che si concretino in “prestazioni dilavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripe-titivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal com-mittente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Nontutte le co.co.pro. scompaiono, ma solo quelle che hanno talicaratteristiche, peraltro già anche prima espressive di una fittiziacollaborazione e della ricorrenza di un rapporto di lavoro subordi-nato (65). Alla contrattazione collettiva, cui viene negato ogniruolo disciplinare sulle stabilizzazioni della fase transitoria, vieneinvece concesso di derogare al divieto di co.co.co. con le suddettecaratteristiche di prestazioni personali, continuative, a contenutoripetitivo ed eterodiretto, ammettendo la sopravvivenza tipologicae fornendo una disciplina specifica “in ragione delle particolariesigenze produttive ed organizzative del relativo settore”. La sededeputata non può che essere quella nazionale, anche se la formu-lazione letterale, che si dissocia dalle altre analoghe impiegate neltesto legislativo, non è univoca, almeno con riguardo al livelloterritoriale (“accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sinda-cali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”).

(64) Tale singolare disposto configurerebbe una sorta di « abrogazione ad orologeria »,in quanto rinvia la caducazione finale delle norme di cui agli artt. 61-69-bis d.lgs. n.276/2003, alla cessazione dell’ultimo co.co.pro. già in atto alla data di entrata in vigore deldecreto e rimasto a seguito del vaglio di insussistenza delle condizioni di trapasso al lavorosubordinato (v. infra nel testo).

(65) Anche qui di diverso avviso è il DEF 2015 che, nel programma nazionale diriforma (p. 37 ss.), afferma: “A partire dall’entrata in vigore del decreto non potranno essereattivati nuovi contratti di collaborazione a progetto e, comunque, dal 2016 non potrannopiù essere attivati rapporti di collaborazione caratterizzati da mono-committenza”.

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Con riguardo infine alla determinazione dei minimi salarialiviene affermato un principio innovativo per cui, “nei settori nonregolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sin-dacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente piùrappresentative sul piano nazionale”, verrà applicato un compensoorario minimo fissato per legge (e per decreto ministeriale), cheavrà valore convenzionale di retribuzione minima sia nei rapportiinterni fra le parti sia nei rapporti con gli enti previdenziali. Ilmeccanismo, formalmente di tutela e di intervento residuale solo inassenza di contrattazione collettiva nazionale svolta da sindacaticomparativamente più rappresentativi, sembra celare un effettodepressivo della contrattazione collettiva e comunque una sottra-zione alle organizzazioni sindacali del ruolo classico di autoritàsalariale (66). Da un lato, infatti, non esiste settore merceologicosprovvisto di un contratto nazionale (come noto, i contratti nazio-nali in Italia navigano intorno a quota quattrocentocinquanta) ocomunque in cui non possa applicarsi in via analogica altro CCNLdi settore affine sottoscritto da organizzazioni comparativamentepiù rappresentative da cui trarre, per il tramite del combinatodisposto degli artt. 36 Cost. e 2099 c.c. (67), il parametro retribu-

(66) Cfr. P. TOSI, Le nuove regole su rappresentatività e rappresentanza sindacale traautonomia collettiva e legge, in F. CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sullarappresentanza sindacale a Corte costituzionale n. 231/2013, in Adapt Labour studies e-bookseries, n. 20/2014, 15.

(67) Da ultimo cfr. Corte cost. 11 marzo 2015, n. 51, relatore Prof. Silvana Sciarra,che conferma la legittimità del disposto soggetto a scrutinio di costituzionalità (art. 7,comma 4, del d.l. n. 248/2007: ”fino alla completa attuazione della normativa in materia disocio lavoratore di società cooperative, in presenza di un pluralità di contratti collettividella medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’am-bito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensidell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici comples-sivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazionidatoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella cate-goria”), sul presupposto che esso non realizzi l’efficacia erga omnes di alcuni contratti ascapito di altri in violazione dell’art. 39 Cost., ma si limiti ad identificare quali minimiretributivi, rispettosi dei principi dell’art. 36 Cost., quelli posti dalla contrattazione collet-tiva leader, siglata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative eda prendersi a riferimento per la quantificazione giudiziale, anche allo scopo, non dichiaratoma sicuramente condivisibile, di arginare il fenomeno della contrattazione collettiva c.d.pirata (“Il censurato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007,... richiama i predetti contratti,e più precisamente i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametroesterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la

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tivo minimale; dall’altro lato, l’esistenza di un parametro legale,che necessariamente in quanto comune e trasversale dovrà esseredi importo contenuto, allenterà l’interesse per la contrattazionenazionale e metterà pressione in senso riduttivo alle parti con-traenti, indotte ad ammettere passi indietro, diversificazioni terri-toriali, deroghe per aree e ambiti, pur di non consegnare la materiaalla fonte statuale (68). Così i minimi rimarranno di competenzacontrattuale, ma con la spada di Damocle del valore di riferimentolegale (69). L’effetto di depotenziamento della contrattazione col-lettiva, di alterazione del sistema di relazioni industriali, di abbas-samento dei salari si genererà comunque anche laddove si optasseper un’interpretazione letterale e restrittiva del disposto che limital’area di applicazione del minimo legale ai settori in cui non siaintervenuto alcun accordo tra le organizzazioni sindacali compa-

sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art.36 Cost. Tale parametro è richiamato — e dunque deve essere osservato — indipendente-mente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7, che fa riferimento « alla completaattuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative ». Nell’ef-fettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delledinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censuratosi propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzogiurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e dellasufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmatida associazioni comparativamente più rappresentative (fra le tante, la sentenza già citatadella Corte di cassazione n. 17583 del 2014)”.

(68) Nello stesso senso cfr. F. SANTONI, op. cit., 137, che in maniera assolutamentecondivisibile osserva: “Tanto più che in linea teorica una legge che stabilisca un salariominimo non sarebbe in contraddizione con un contratto di categoria, anche se di fatto, inuna fase di transizione come quella attuale del sistema industriale, la soluzione legalefinirebbe per rappresentare un’utile alternativa al contratto in quei settori più fortementepolarizzati, limitando fortemente il livello nazionale di contrattazione, a tutto vantaggiodella contrattazione decentrata”.

(69) Quanto al rilevante profilo, contenuto nella delega, della revisione della disci-plina dei controlli a distanza, è prematuro svolgere qualsiasi osservazione posto che la delegaè pressoché in bianco e non se ne riesce pertanto a cogliere alcuna direzione di marcia,neppure sul versante del ruolo del contratto collettivo e dei sindacati (art. 1, c. 7, lett. f):“tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive edorganizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”).Sul punto, nemmeno la blanda giurisprudenza della Corte costituzionale potrebbe, a nostroavviso, sopperire, posto che, in tal caso, non si tratta di revocare in dubbio la discrezionalitàtecnica attuativa del Governo ma di immaginare criteri direttivi in verità assenti: cfr. daultimo R. RUSSO, La delega in bianco nella giurisprudenza costituzionale, in Osservatoriocostituzionale AIC, Gennaio 2015, www.osservatorioaic.it/

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rativamente più rappresentative (70). L’esistenza infatti di “unsistema « duale », caratterizzato in via prevalente dalla presenzadei contratti collettivi applicati in via diretta e parametrica in basealla norma costituzionale, ed un altro settore, minoritario, garan-tito dal salario minimo legale” (71), non è indifferente né rispettoalle dinamiche della negoziazione collettiva né rispetto alle valu-tazioni equitative condotte dai giudici in sede di identificazionedella giusta retribuzione. Certo rallenterebbe il descritto impattoed eviterebbe, a breve, una fuga dal contratto e dalle associazionistipulanti, ma gli effetti destrutturanti si manifesterebbero comun-que nel tempo, a partire dai rinnovi contrattuali successivi all’in-troduzione del parametro legale, tanto più se venisse associato uncriterio di commisurazione per aree geografiche legato al costodella vita ovvero all’età o alla categoria di lavoratori. La previsionedi salari differenziati su base territoriale e/o sulla base di altriindicatori obiettivi o soggettivi non è in sé in contrasto con l’art. 36Cost., ma nell’attuale assetto ordinamentale deve passare attra-verso il contratto nazionale, che eventualmente attribuisca allasede decentrata facoltà di deroga e di differenziazione (72). L’ado-zione di un criterio selettivo per via legislativa bypasserebbe il

(70) Minimi contrattuali che, fra l’altro, sono fra i più bassi d’Europa. Cfr. E.GRAGNOLI, La parabola del contratto collettivo nella società economica italiana, in Lav. Giur.,2013, 7, 653 ss.: “Per ora, l’esito è l’impoverimento estremo delle risorse messe a disposizionedel negoziato di categoria, in cui si discute di aumenti retributivi minimi. Né si possonoprevedere svolte nel breve periodo, per le discrasie insite nello stesso modello, di fronte alladisarticolazione delle prospettive e delle risorse delle aziende e al venir meno di unarealistica possibilità di governo di una competizione nazionale”.

(71) Così V. SPEZIALE, Le politiche del lavoro del Governo Renzi: il Jobs Act e la riformadei contratti e di altre discipline del rapporto di lavoro, in F. CARINCI (a cura di), La politica dellavoro del Governo Renzi, in Adapt Labour studies e-book series, n. 40, 2015, 54, che peraltrorileva criticamente in relazione allanormativa sul salariominimo,pur ritenendone scongiuratigli effettinel casodi specie: “L’ampiautilizzazionedeiCCNL—cheriguardano, comesi èvisto,l’80% dei lavoratori — è conseguenza della estensione generalizzata dei minimi salariali daparte della giurisprudenza. Oggi, infatti, le imprese applicano spontaneamente il contrattocollettivo, anche se non sono iscritte alle associazioni sindacali stipulanti in quanto lamancataadesione ai sindacati non incide sulla possibile estensione dei minimi salariali ai sensi dell’art.36 Cost. Tra l’altro, in molti casi (anche se non tutti), questa situazione spinge le imprese adapplicare l’intero contratto collettivo e non soltanto le retribuzioni. E questo spiega perchéil gradodi applicazionedei contratti è ben superiore alla quotadi imprese edi lavoratori iscrittialle rispettive associazioni sindacali stipulanti i CCNL”.

(72) Cfr. S. BELLOMO, Retribuzione sufficiente e autonomia collettiva, Giappichelli,Torino, 2002.

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CCNL e annullerebbe il ruolo di mediazione confederale, sot-traendo un grande spazio alla contrattazione collettiva, anche sedeterminerebbe un’indubbia moderazione salariale tanto più ac-centuata nelle aree depresse del nostro paese (73). D’altro canto sesono chiari la finalità e gli effetti del disposto della legge de-lega (74), è altrettanto chiaro che il legislatore nazionale si muovenel solco tracciato dall’Unione europea che, forte di una prassidiffusa fra gli stati membri di previsione legale del minimo sala-riale (75), a più riprese ha raccomandato all’Italia di superare ilcentralismo contrattuale retributivo, di consentire la variabilitàdei minimi in funzione delle condizioni dei mercati locali e diancorare più efficacemente i livelli retributivi alla produttività disettore e d’azienda, ciò al fine di evitare squilibri macroeconomiciinterni e rafforzare gli indicatori occupazionali delle aree geogra-fiche più esposte alla crisi (76). Qui la sintonia fra UE e Governo èpiena e gli eventuali margini per una soluzione compromissoria

(73) Cfr. V. BAVARO, Reddito di cittadinanza, salario minimo legale e diritto sindacale,in Riv. dir. sic. soc., 2014, 2, 169 ss.

(74) Cfr. P. ICHINO, Minimum Wage: perché non piace ai sindacati?, in www.pietroi-chino.it, intervento del 3 novembre 2014: “Se il Governo è convinto che i minimi tabellari deicontratti nazionali si collocano a un livello troppo alto per poter essere assunto comestandard minimo universale, è suo dovere disattendere la pretesa delle organizzazionisindacali di avere l’esclusiva della determinazione di questo standard minimo”.

(75) Cfr. M. MAGNANI, Salario minimo, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavorodel Governo Renzi, cit., 538.

(76) “L’inquadramento salariale, comprese le retribuzioni minime, deve consentireprocessi di formazione delle retribuzioni che tengano conto delle differenze in termini dicompetenze e condizioni dei mercati occupazionali locali e si adattino alle forti divergenzein termini di prestazioni economiche tra le regioni di uno stesso paese. In questo contesto,le parti sociali hanno un importante compito da svolgere. Gli Stati membri con elevateeccedenze nelle partite correnti dovrebbero prendere misure per varare riforme strutturalivolte a rafforzare il potenziale di crescita e quindi anche a sostenere la domanda interna.Ovviare agli squilibri macroeconomici, incluso tra gli Stati membri, contribuirà anche aconseguire coesione economica”, raccomandazione del Consiglio del 13 luglio 2010 (parte Idegli orientamenti integrati), allegato, orientamento n. 2; “gli Stati membri dovrebbero crearecondizioni che favoriscano sistemi di contrattazione salariale e sviluppi del costo del lavorocoerenti con la stabilità dei prezzi e le tendenze della produttività”, decisione del Consigliodel 21 ottobre 2010 (parte II degli orientamenti integrati), allegato, orientamento n. 7; edancora “prove empiriche indicano che in un contesto di contrattazione salariale centraliz-zata e salari determinati prevalentemente dalle Regioni principali gli shock economicinegativi, quali la crisi attuale, hanno maggiore incidenza sulle Regioni arretrate. Infattidalla fine degli anni ’70 il Centro-Nord in Italia è stato più resiliente durante gli shock”,Report della Commissione sull’Italia del 18 marzo 2015, 82.

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paiono angusti, anche se probabilmente ricavabile nel caratteresperimentale e reversibile dell’intervento e nella salvaguardia del-l’attuale assetto contrattuale.

Dunque, se la flexibility in entrata ed in uscita è stata signifi-cativamente rafforzata, secondo le linee guida delle istituzioni UEma attraverso scelte e strumenti determinati dal Governo, proba-bilmente non potrà dirsi altrettanto della security nel mercato dellavoro, per il momento oggetto di misure solo sperimentali e nonancora strutturali (77). Non dimentichiamo infatti che negli orien-tamenti integrati (n. 7: incrementare la partecipazione al mercatodel lavoro di donne e uomini, riducendo la disoccupazione strut-turale e promuovendo la qualità del lavoro), si prevede che: “Iprovvedimenti volti a migliorare flessibilità e sicurezza dovrebberorisultare equilibrati e rafforzarsi a vicenda. Gli Stati membridovrebbero pertanto introdurre una combinazione di forme con-trattuali flessibili ed affidabili, politiche attive del mercato dellavoro, apprendimento permanente efficace, politiche a favoredella mobilità dei lavoratori e sistemi di previdenza sociale ade-guati volti ad assicurare transizioni nel mercato del lavoro accom-pagnate da una definizione chiara dei diritti e delle responsabilitàaffinché i disoccupati possano cercare attivamente un impiego.Insieme alle parti sociali, si dovrebbe prestare particolare atten-zione alla flessicurezza interna sul posto di lavoro”. Ora, non vi èdubbio che gli strumenti messi in campo siano articolati e multipli(riforma ammortizzatori sociali in costanza di rapporto, riformaindennità di disoccupazione (78), incentivi alle assunzioni, crea-zione di due nuove Agenzie di supervisione, indirizzo e controlloper il lavoro e per le ispezioni, lancio operativo della Youth Gua-

(77) Sui rischi del passaggio nel nostro ordinamento da un modello di “job property”ad uno di sicurezza nel mercato, cfr. E ALES, Il modello sociale europeo ai tempi dellaflexicurity: considerazioni critiche sul “Patto leonino di modernizzazione”, in Scritti in onore diEdoardo Ghera, Cacucci, Bari, 2008, vol. I, 38; in senso favorevole invece all’abbandono delmodello di “job property” per approdare ad un modello di liability rule combinata con misuredi protezione del lavoratore nel mercato, cioè al passaggio “da un regime che considera comeun valore l’inamovibilità del lavoratore e la non contendibilità della sua funzione produttivaa un regime che, invece, promuove e tutela la mobilità del lavoratore, necessaria per lamigliore allocazione e valorizzazione del suo lavoro”, P. ICHINO, La fine della job property ela cattiva coscienza della vecchia sinistra, in www.pietroichino.it, 2 marzo 2015.

(78) Cfr. E. BALLETTI, Gli ammortizzatori sociali nel Jobs Act del Governo Renzi, in F.CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, cit., 277 ss.

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rantee (79)), ma è altrettanto vero che la riforma della cassaintegrazione guadagni e dei contratti di solidarietà deve essereancora varata, anche se si preannuncia di minore copertura ri-spetto al passato sia per la versione ordinaria sia per quella inderoga; la riforma dell’Aspi incrementa le durate e gli importi, masul primo versante dal 1° gennaio 2017 si tornerà ai diciotto mesi,sul secondo la soglia massima subisce, già a partire dal quarto mese,tagli mensili dell’ordine del 3%, andando quindi fortemente a com-primersi per le ultime mensilità dell’eventuale biennio, d’altro cantola Dis-coll e l’Asdi, oltre ad essere di durata assai contenuta (seimesi), sono introdotte solo in via sperimentale per l’anno 2015 edovranno pertanto eventualmente essere rifinanziate nei prossimianni; le incentivazioni all’assunzione con contratto di lavoro subor-dinato a tutele crescenti, in attesa di una revisione complessiva degliincentivi disposta dalla legge delega, sono limitate al 2015 e valgonoentro il tetto massimo di stanziamento fissato; mentre la conforma-zione ed i poteri della due Agenzie non sono stati ancora divulgatie non se ne conosce, almeno da parte di chi scrive, il progetto, anchese visti i non brillanti risultati raccolti da precedenti esperienze isti-tuzionali, si può ragionevolmente nutrire qualche perplessità in or-dine al buon esito dell’iniziativa, anche in conseguenza dell’inevi-tabile accavallarsi di competenze e ruoli.

Il saldo della riforma in termini protettivi è quindi nega-tivo (80), ma date le descritte premesse economiche e politiche,difficilmente ci si poteva attendere un diverso esito. Piuttosto sipuò ragionare se l’effetto regressivo non si sarebbe potuto piùutilmente determinare non solo attraverso una maggiore gradua-lità di sacrifici ma anche evitando di destrutturare il sistemadell’autonomia collettiva che esce profondamente intaccato dallariforma, come dimostra l’ultima sua esperienza applicativa che

(79) Come noto, la Garanzia Giovani è un programma dell’Unione europea volto acontrastare il fenomeno dei giovani che non lavorano e non studiano (c.d. NEET) offrendoloro occasioni di tirocinio, formazione professionale o avanzata, occupazione temporanea,apprendistato, servizi di accoglienza e presa in carico da parte di organismi specializzatinella mediazione tra domanda e offerta di lavoro.

(80) In tal senso, cfr. V. SPEZIALE, op. cit., 65: “In una dimensione diacronica, si puòosservare come la riduzione costante dei diritti in tema di licenziamenti — già operata nel2012 ed ulteriormente accentuata con il contratto a tutele crescenti — non trovi unsignificativo riequilibrio nelle protezioni di cui il lavoratore potrà godere per affrontare ladisoccupazione”.

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risente di un robusto trend di decentramento regolativo, già av-viato dall’art. 8, d.l. n. 138/2011 (81).

6. Nuovi assetti della contrattazione collettiva: verso un « decentra-mento disorganizzato »?

L’avvento del Jobs act dischiude inediti orizzonti sul versantedelle relazioni contrattuali collettive, che entrano in una nuovastagione fortemente derogatoria e decentrata, in cui il modello diprossimità diventa la regola sia nella formalizzazione normativa sianella nuova prassi operativa e viene definitivamente superata ogniresidua remora alla devoluzione verso il basso della regolamenta-zione dei rapporti di lavoro, preludio alla probabile e finale sottra-zione al livello nazionale della determinazione degli standard mi-nimali anche con riguardo all’aspetto economico.

L’erosione della sede regolatoria nazionale a vantaggio di quellaaziendale è peraltro fenomeno in essere già da diversi anni, sulla sciadi convergenti indicazioni in tal senso formulate dalle istituzionieuropee, dal legislatore nazionale, dalla contrattazione interconfe-derale e non ultimo dalla giurisprudenza (82), tutti protesi, per fi-

(81) Quanto al passaggio dalla fase della c.d. deregolazione “controllata” a quelladella c.d. deregolazione “secca” all’epoca della legislazione flessibile, cfr. P. CAMPANELLA,Clausole generali e obblighi del prestatore di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2015, 91 s.

(82) L’unica eccezione al criterio dell’efficacia erga omnes del contratto aziendale èrappresentata dai lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, abbianoespresso esplicito dissenso rispetto all’accordo aziendale, sempre che l’accordo non intervengain ambiti rinviati e/o riservati dalla legge: cfr. Cass. 23 maggio 2013, n. 12722: « Si è, infatti,affermato (Cass. sez. lav. n. 6044 del 18 aprile 2012) che “i contratti collettivi aziendali sonoapplicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacalistipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sin-dacalediversa, ne condividono l’esplicitodissensodall’accordo epotrebbero addirittura esserevincolati da un accordo sindacale separato. (Nella specie, la S.C., affermando il principio, haritenuto applicabile l’accordo aziendale ad un lavoratore che, senza essere iscritto all’orga-nizzazione stipulante, non risultava tuttavia affiliato ad un sindacato dissenziente e avevaanzi invocato l’accordo medesimo a fondamento delle sue istanze)” (conforme a Cass. sez. lav.n. 10353 del 28 maggio 2004). Invero, la tutela di interessi collettivi della comunità di lavoroaziendale e, talora, la inscindibilità della disciplina, che ne risulta, concorrono a giustificare— secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte, le sentenze n. 17674/2002 e n.5953/99) — l’efficacia soggettiva “erga omnes” dei contratti collettivi aziendali, cioè nei con-fronti di tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacalistipulanti ». Quanto alla libera derogabilità, con la sola salvaguardia dei diritti già definiti-

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nalità e in contesti differenti, a salvaguardare l’efficacia erga omnesderogatoria e flessibilizzante del contratto decentrato. Tuttavia taleprocesso è stato realizzato sulprincipiodellapermanenzadella strut-

vamenteacquisiti nel patrimoniodei lavoratori, del contrattonazionale adoperadel contrattoaziendale, v., da ultimo, Cass. 15 settembre 2014, n. 19396: “La concorrenza delle due disci-pline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall’art. 2077 cod. civ.,va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, attesoche il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti ditutti gli iscritti, nell’ambitodel territorionazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contrattocollettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle or-ganizzazioni stipulanti, purché svolgenti l’attività lavorativa nell’ambito dell’azienda. I la-voratori ai quali si applicano i contratti collettivi aziendali possono, pertanto, giovarsi delleclausole dei contratti collettivi nazionali se risultano iscritti alle organizzazioni sindacali chehanno stipulato i relativi contratti collettivi (cfr. in tali senso: Cass. 26 giugno 2004 n. 11939cui adde ex plurimis: Cass. 7 giugno 2004 n. 10762). E sempre con riguardo al concorso tra idiversi livelli contrattuali è stato anche precisato che detto concorso va risolto non secondoi principi della gerarchia e della specialità propria della fonte legislative, bensì accertandoquale sia l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle variedisposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicchéanche i contratti aziendali possono derogare in peius ai contratti nazionali, senza che osti ildisposto dell’art. 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nelpatrimonio dei lavoratori, che non possono pertanto ricevere un trattamento deteriore inragione della posteriore normativa contrattuale, di eguale o di diverso livello (cfr. tra le tante:Cass. 2 aprile 2001 n. 4839, cui adde, Cass. 7 febbraio 2004 n. 2362 e Cass. 18 settembre 2007n. 19351)”. In dottrina, cfr. M. PERSIANI, Diritto sindacale, Cedam, Padova, 2012, 126 ss.; V.LECCESE, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimitàcostituzionale, inGiorn. dir. lav. rel. ind., 2012, 6 ss.;F.LUNARDON, Il contratto collettivo aziendale:soggetti ed efficacia, ibid., 21 ss.

Ricordiamo che per il CCNL vale allo stato, in attesa dell’attuazione del TU inter-confederale sulla rappresentatività e, all’esito di tale attuazione comunque negli ambiti noncoperti da tale disciplina, il principio dell’efficacia limitata agli iscritti alle associazionisindacali stipulanti ovvero agli aderenti, anche in via implicita, all’accordo (v. la massimatralaticia: “I contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della l.14 luglio 1959 n. 741, costituendo atti di natura negoziale e privatistica, si applicanoesclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscrittialle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fattoespressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso uncomportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione dellerelative clausole ai singoli rapporti, fermo restando, in detta ultima ipotesi, che non èsufficiente a concretizzare un’adesione implicita, idonea a rendere applicabile il contrattocollettivo nell’intero suo contenuto, il semplice richiamo alle tabelle salariali del contrattostesso, né la circostanza che il datore di lavoro, non iscritto ad alcuna delle associazionisindacali stipulanti il contratto collettivo, abbia proceduto all’applicazione di alcune clau-sole di tale contratto, contestandone invece esplicitamente altre” — così, fra le altre, Cass.8 maggio 2009, n. 10632; Cass. 29 ottobre 2013, n. 24336; Cass. 10 novembre 2014, n. 23925).

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tura tradizionale della contrattazione collettiva, in cui l’asse por-tante è rappresentatodal livellonazionale e confederale, conderoghelimitate e settoriali da parte del livello aziendale, specificamenteammesse dal centro (legge o CCNL) o comunque effettuate “nei li-miti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi na-zionali di lavoro”, in una logica di intervento eccezionale e/o spe-rimentale della periferia (83) (“La contrattazione collettiva azien-dale si esercita per le materie delegate e con le modalità previste dalcontratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla leg-ge”) (84). In tale ambito trovano collocazione le disposizioni sul con-tratto di prossimità (art. 8, d.l. n. 138/2011 (85)), sulle agevolazionifiscali e contributiveper laquotadi retribuzione contrattata a livelloaziendale (art. 1, cc. 481 ss., l. n. 228/2012 (86), art. 1, cc. 67 s., l. n.

(83) Significativa in tal senso è la clausola di derogabilità prevista dagli accordiinterconfederali (28 giugno 2011 e 10 gennaio 2014) secondo cui “I contratti collettiviaziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare lacapacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettiviaziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specificheintese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali dilavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali dilavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contrattocollettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusicon le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le relative organizzazionisindacali territoriali di categoria espressione delle Confederazioni sindacali firmatarie delpresente accordo interconfederale o che comunque tali accordi abbiano formalmente accet-tato, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorirelo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificativecon riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazionelavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definiteesplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”.

(84) Cfr. F. CARINCI, Il diritto del lavoro che verrà (in occasione del congedo accademicodi un amico), in Arg. dir. lav., 2014, 3, 669.

(85) Cfr. A. PERULLI, V. SPEZIALE, L’articolo 8 della l. 14 settembre 2011, n. 148 e la“rivoluzione di agosto” del Diritto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n.132/2011; A. VALLEBONA, L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali: si sgretolal’idolo della uniformità oppressiva, in Bollettino Adapt 3 ottobre 2011, n. 32; U. CARABELLI, Iprofili di incostituzionalità dell’art. 8 con riferimento alla sancita efficacia erga omnes deicontratti collettivi da esso previsti, in Riv. giur. lav., 2012, I, 549 s.; F. SCARPELLI, Il rapportotra la legge e la contrattazione di prossimità nell’art. 8 del d.l. n. 138/2011, ivi, 495 ss.; R. DE

LUCA TAMAJO, Prime valutazioni e questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della l. n. 148del 2011, in Arg. dir. lav., 2012, 1, 19 ss.

(86) Su cui peraltro non è ancora intervenuta l’estensione al 2015: da ultimo v. quindicircolare Min. lavoro n. 14/2014, Dpcm 19 febbraio 2014 e infra sub nt. 102.

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247/2007 (87)), sulle deroghe al termine della legge Fornero, cosìcome il Testo unico sulla rappresentanza di cui all’accordo 10 gen-naio 2014 che riprende i precedenti accordi del 28 giugno 2011 e del31 maggio 2013 (88).

È vero che lo scenario fattuale si è trasformato in sensomultipolare a causa dei vistosi arretramenti di rappresentanza delsistema confederale, che hanno prestato il fianco non solo all’af-fermarsi di una contrattazione esclusiva di gruppo / aziendale (89),ma anche alla fine dell’era della concertazione sociale (90), all’in-nervarsi di modelli contrattuali nazionali competitivi e conflittualicondotti dall’esterno e all’interno delle stesse organizzazioni sin-dacali comparativamente più rappresentative (91), nonché dalrinvio regolatorio a contratti nazionali relativi a diversi settori

(87) Il meccanismo agevolativo, un tempo strutturale, è stato reso transitorio apartire dal 2008, ma sino ad ora sempre reiterato, anche se in misura e con capacità dicopertura differenti. Allo stato manca, però, per il 2015, il decreto attuativo ed il mecca-nismo è dunque in stand by: v. infra sub nt. 102.

(88) Cfr., in particolare, M. RICCI, L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: un’inver-sione di tendenza nel sistema di relazioni industriali, in Arg. dir. lav., 2012, 43 ss.; P. TOSI,L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: verso una (nuova) autoricomposizione del sistemacontrattuale, in Arg. dir. lav., 2011, 1212 ss.; T. TREU, Modifiche in materia di contrattazionecollettiva. L’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, in Treccani, Libro dell’anno deldiritto, Roma, Istituto della enciclopedia italiana; A. MARESCA, Il contratto collettivo nazionaledi categoria dopo il protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 707 ss.; A.ZOPPOLI, Il protocollo del maggio 2013, una svolta sospesa tra prassi (assenti) e norme(inadeguate), in Dir. lav. merc., 2013, 2, 249 ss.; A. VISCOMI, Prime note sul Protocollo 31maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 749 ss.; F. CARINCI (a cura di), Il Testo Unico sullaRappresentanza 10 gennaio 2014, in ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 26/2014; R. DEL

PUNTA, Note sparse sul Testo Unico sulla rappresentanza, in Dir. rel. ind., 2014, 673 ss.; P.LAMBERTUCCI, La rappresentanza sindacale e gli assetti della contrattazione collettiva dopo il testounico sulla rappresentanza del 2014: spunti di riflessione, in Riv. it. dir. lav., 2014, I, 237 ss.

(89) Il riferimento d’obbligo è al gruppo Fiat, sulla cui vicenda si rinvia a M. BROLLO,Lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il rapporto individuale, in Arg. dir. lav., 2010, 6,1095 ss.; B. CARUSO, La rappresentanza negoziale irrisolta. Il caso Fiat tra teoria, ideologia,tecnica e... cronaca, in Riv. it. dir. lav., 2011, I, 265 ss.; S. LIEBMAN, Sistema sindacale “difatto”, crisi dell’unità sindacale e rinnovi contrattuali separati: prime verifiche giudiziali, inArg. dir. lav., 2011, 484 ss.

(90) Cfr. M. TIRABOSCHI, La contrattazione collettiva ai tempi del Jobs Act, in Contratti& Contrattazione collettiva, 2015, n. 3, 4 s.

(91) Caso emblematico della competizione interna fra le stesse organizzazioni com-parativamente più rappresentative è costituito dal settore degli agenti di assicurazione ingestione libera, dove in sede di rinnovo si è determinata una frattura fra le tre principalisigle sindacali datoriali che ha comportato l’attivazione di un nuovo distinto tavolo fra lamaggiore associazione imprenditoriale (SNA) e nuove organizzazioni sindacali prima total-

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merceologici per l’intervenuta dismissione dell’affiliazione sinda-cale imprenditoriale. Ma è altrettanto vero che tali deviazionihanno portato fuori dal sistema confederale pezzi del mondo dellavoro intaccando solo marginalmente il modello di riferi-mento (92), che si è ridimensionato nel grado di copertura, ma hacomplessivamente retto l’urto, anche per l’azione sinergica svoltadalle contrapposte organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori.

mente estranee al settore (Fesica Confsal e Confsal Fisals), che ha portato alla sigla di duecontratti antagonisti, quello SNA del 10 novembre 2014 in piena discontinuità, anche nelledecorrenze di efficacia, con i precedenti, e quello ANAPA-UNAPASS del 20 novembre 2014che si è mosso in continuità disciplinare e di interlocutori sindacali (Fiba Cisl, Fisac Cgil, Fna,Uilca Uil). Il Ministero del lavoro, con interessante nota del 24 marzo 2015, pur riconoscendola legittimità di entrambi gli accordi, ha assegnato solo al secondo la patente di accordosottoscritto da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello na-zionale della categoria, con ciò richiedendo laverificadi rappresentatività su entrambe le particontraenti, ed espungendo pertanto il primo contratto dal raggio di applicazione delle di-sposizioni legislativepremiali o selettive inbase al criterio della significativa rappresentatività(es. in materia di agevolazioni e benefici normativi e contributivi — art. 1, c. 1175, l. n.296/2006; di retribuzione parametro per il calcolo dei contributi — art. 1, c. 1, d.l. n. 338/1989;di trattamenti economici riconosciuti ai soci lavoratori di cooperative — art. 7, c. 4, d.l. n.248/2007; di deroga al limite percentuale del 20% dei contratti a termine — art. 1, d.lgs. n.368/2001; di disciplina del contratto di apprendistato — art. 2, d.lgs. n. 167/2011).

(92) Imperniato su due livelli contrattuali, con facoltà di deroga del livello inferioreanche al di fuori delle clausole di non ripetibilità purché all’interno di un percorso disupervisione da parte delle sedi territoriali, con adozione di un criterio maggioritariospecificato nel riferimento al consenso elettorale — adesione della maggioranza dei compo-nenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole pattuite in sedeinterconfederale —, e alla delega associativa — adesione di RSA appartenenti alle associa-zioni sindacali che risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contri-buti sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda (i.e. adesione della maggioranza deilavoratori iscritti al sindacato) (e possibilità di sottoposizione a referendum confermativo incaso di richiesta di organizzazione sindacale firmataria accordo ovvero di richiesta da partedel 30% dei lavoratori dell’impresa), e con il sostegno all’implementazione delle nuove RSUdefinite dall’accordo 10 gennaio 2014 per le unità produttive con più di 15 dipendenti (“Leparti contraenti il presente accordo concordano che in ogni singola unità produttiva con piùdi quindici dipendenti dovrà essere adottata una sola forma di rappresentanza”, cosìProtocollo sociale 10 gennaio 2014). Nell’accordo del 10 gennaio 2014 dunque, si adotta uncriterio maggioritario per la sottoscrizione e di contratti nazionali e di contratti aziendali,ma tale criterio nel primo caso rappresentata la media ponderata in via egualitaria fra datoassociativo e dato elettorale, nel secondo caso invece viene assunto l’uno o l’altro parametroin via alternativa (maggioranza dei componenti RSU ovvero delle RSA che detenganocomplessivamente il maggior numero di deleghe in azienda). Cfr., oltre agli Autori citatisupra, anche F. SANTONI, Decentramento contrattuale e potere di rappresentanza nella disciplinainterconfederale sui contratti collettivi, in Mass. giur. lav., 2014, 6, 363 ss.

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Ora invece cambia la qualità dell’intervento legislativo, poichéviene concesso all’autonomia contrattuale di incidere sulle tutelefondamentali del lavoro, di superare lo schema legislativo su ma-terie core, qualificanti la situazione di dipendenza economica di unaparte del rapporto (93), senza richiami a forme di contempera-mento di interessi o a situazioni eccezionali di salvaguardia dellacontinuità d’impresa ed occupazionale. Ciò altresì senza rispettodel principio maggioritario, né di quello finalistico propri del mo-dello dell’art. 8 (94).

La contrattazione collettiva aziendale, potendo essere sgan-ciata da ogni rapporto funzionale con il livello nazionale rispetto alquale si pone in condizione di piena fungibilità, e rinforzata nellecapacità regolative derogatorie, si muove priva di puntelli e disostegni esterni, risultando così fortemente condizionata dai rap-porti di forza esistenti, sempre più sbilanciati dalla crisi economicae produttiva in atto (95). Non è pertanto più una contrattazioneche scambia (occupazione per flessibilità oraria, retribuzione va-riabile per aumento di produttività, innovazione di processo perflessibilità tipologica), ma è una contrattazione principalmenteablativa che, anche nelle situazioni di ordinarietà o addirittura diespansione organizzativo-finanziaria, abbassa le soglie di tutela,riduce i costi normativi ed economici delle imprese senza aprire adalcuna contropartita (96), poiché la spinta interna sindacale non

(93) Come visto, ad esempio, contratti a termine, inquadramento, controllo deilavoratori, orari di lavoro.

(94) Sulla nullità degli accordi aziendali derogatori in violazione, anche formale, deilimiti scopo di cui all’art. 8 d.l. n. 138, cfr. A. PERULLI, La contrattazione collettiva « diprossimità »: teoria, comparazione e prassi, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 941-944. In sensoopposto, per una lettura “di continuità in senso evolutivo del sistema sindacale italiano”dell’art. 8, M. DEL CONTE, La riforma della contrattazione decentrata: dissoluzione o evoluzionedel diritto del lavoro?, in Dir. rel. ind., 2012, 1, 37-39.

(95) In tal senso cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Autonomia privata individuale e collettivae norma inderogabile, in Riv. it. dir. lav., 2015, I, 80: “Il potenziamento del contrattoaziendale in deroga, soprattutto se svincolato dal controllo a monte da parte del contrattonazionale, rischia inevitabilmente di far saltare il primo livello di contrattazione e le relativelogiche solidaristiche, a tutto vantaggio di discipline aziendali in cui il sindacato può esserepiù condizionato dalla controparte”.

(96) Rectius, con l’unica contropartita di garantire la continuità dell’occupazione. Intal senso cfr. C. ROMEO, Il processo di “aziendalizzazione” della contrattazione collettiva: traprossimità e crisi di rappresentatività sindacale”, in Arg. dir. lav., 2014, 4-5, 882, che rileva:“ciò in ragione di una logica pervasiva, oggi sempre di più ispirata ad una vera e propria

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riesce a realizzarsi o comunque si realizza con insufficiente presadissuasiva. Ciò naturalmente non è dovuto solo alle norme, maanche alla globalizzazione dell’economia e dei mercati che rende leimprese sempre più dipendenti dall’export e dalla capacità dipenetrazione internazionale dei propri prodotti e, in ultima analisi,dalla comparabilità di costo dei fattori della produzione, nonpotendosi più scaricare eventuali differenze sui prezzi finali di ven-dita. Sicché l’alternativa della delocalizzazione della produzione edei servizi interni, della chiusura di rami aziendali e conseguenteesternazionalizzazione, della finanziarizzazione dell’attività d’im-presa, non lasciano margini di manovra alle rappresentanze sinda-cali in azienda, costrette adavallare le scelte aziendali, cheassumonola veste negoziale pur in presenza di una sostanza largamente uni-laterale. D’altro canto se la competitività non riesce a giocarsi solosull’innovazione, sulla produttività, sulla rete, non può che tradursiin un abbassamento delle soglie di tutela minimale del lavoro, conun’inevitabile compressione dei costi di utilizzo e gestione delle ri-sorse umane. Ciò riduce gli spazi di agibilità del contratto nazionalee amplia in funzione derogatoria quelli del contratto aziendale, in-ducendo moderazione salariale e deterioramento degli standardquale contraltare dell’integrazionedeimercati e dell’esposizione allaconcorrenza internazionale delle imprese.

La contrattazione aziendale rischia di diventare un simulacronegoziale costruito per giustificare la permanenza in vita del prin-cipio di inderogabilità della legge ma di fatto cavallo di Troia peruna forte compressione dei livelli di tutela esigibili. Ecco così cheparadossalmente, in una versione inedita rispetto al passato, su-pera i preesistenti ostacoli alla sua diffusione perché diventa at-traente anche per le medie imprese dato che i costi di transazionesono significativamente compensati dai benefici ottenuti e non vi èpiù la necessità di attivare l’incentivazione di risultato, che rimaneconfinata in una soglia media relativamente contenuta del 10%,mentre ne viene incentivato il ricorso (97) ai fini dell’applicazione

apertura nei riguardi dell’azienda, nella volontà di perseguire, a qualunque costo, lasalvaguardia dell’occupazione, come ampiamente si manifesta dalla definitiva entrata invigore del Jobs Act del 2014”.

(97) Sarebbe in verità più appropriato usare il tempopassato poiché lemisure non sonostate, almeno almomento, reiterate per il 2015 (v. infra subnt. 102). La percentuale di impreseche hanno fruito del regime di detassazione sul salario di produttività si è attestata intorno

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del beneficio della detassazione e della decontribuzione in presenzadi indicatori quantitativi di produttività, efficienza e qualità,nonché di flessibilità degli orari e delle ferie e di fungibilità dellemansioni, oltre che di introduzione di sistemi di controllo a di-stanza sull’attività dei lavoratori. Indicatori peraltro spesso solonominali, privi di reale riscontro effettuale incrementale sull’atti-vità organizzativa d’impresa (98).

In tale contesto appare un semplice flatus vocis, sicuramenteun buon auspicio ma difficilmente realizzabile, quello di chi pre-conizza (99) un nuovo contratto aziendale, non più “classico”perché più orientato al cambiamento organizzativo, ma nemmeno“derogatorio” ex art. 8, d.l. n. 138/2011 perché eccessivamenteliberalizzante, all’interno di una disciplina legislativa di corniceche individui un modello unico di rappresentanza sui luoghi dilavoro e fissi criteri univoci di legittimazione negoziale e di attri-buzione di efficacia al contratto. Un siffatto scenario non tieneconto né dell’assoluta promiscuità di funzioni registrata nellaprassi dal contratto di secondo livello, corroborata dalla stessagiurisprudenza che ha ritenuto irrilevante l’esplicita spendita delrichiamo all’art. 8 ai fini della realizzazione degli effetti tipiciprevisti dalla norma, né dell’avversione dimostrata dalla politica edalle stesse organizzazioni sindacali rispetto all’ipotesi di una leggesulla rappresentanza che conferisca patenti di legittimazione esubordini l’efficacia degli accordi a condizioni maggioritarie veri-ficate di sottoscrizione. Nonostante l’inattualità di una tale posi-zione contraria da parte di organizzazioni sindacali confederali deilavoratori che avrebbero tutto l’interesse ad imporre il rispetto diun criterio maggioritario misurato ed effettivo per scongiurare ilrischio di una fuga incontrollata dal contratto nazionale e dalsistema confederale, in verità non si manifesta alcuna iniziativa a

al 50% (pari a circa il 60% dei lavoratori), segno che in alcune imprese l’unica contrattazioneesistente è quella volta all’applicazione del suddetto regime agevolato.

(98) In senso contrario, ma in relazione agli assetti consolidati nel quadrienniopassato non con valenza proiettiva, riportano indagine statistica del CNEL che evidenziacome la presenza di contrattazione integrativa sia espressiva in azienda di una maggiorediffusione di pratiche di gestione del personale ad alta performance (lavoro in team,retribuzione variabile per dirigenti, coinvolgimento dei livelli gerarchici inferiori nelledecisioni aziendali), F. D’AMURI, C. GIORGIANTONIO, Stato dell’arte e prospettive della contrat-tazione aziendale in Italia, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n. 242/2015, 11.

(99) Cfr. F. D’AMURI, C. GIORGIANTONIO, op. cit., 29 s.

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favore dell’intervento legislativo secondo una datata linea di pen-siero che valorizza tout court l’autonomia contrattuale e teorizza unself restraint da parte del legislatore nelle vicende interne al sinda-cato e nelle modalità di estrinsecazione della libertà contrattuale.

Si assiste così ad una mutazione funzionale del contratto azien-dale che lascia gli spazi tradizionali della retribuzione variabile edella flessibilità controllata (la prima a causa della mancanza di ri-sorse o della presunzione strumentale di tale mancanza e dell’effettodisincentivante rappresentato dall’elemento di garanzia o perequa-tivo nazionale per le imprese che non hanno contrattazione decen-trata, la seconda a causa dello sgretolamento della struttura arti-colata), per transitare sul terreno dell’autonoma determinazionedella misura e forme di flessibilità e di welfare aziendale, definendogli standard effettivi di tutele sul lavoro (c.d. decentramento disor-ganizzato) (100). In tal modo si avvia un processo di ritorno allaradici dell’ordinamento sociale, lasciato in misura prevalente ai rap-porti di forza tra le parti per fronteggiare l’urto della competizioneglobale in relazione alle condizioni date del nostro paese (v. supra subpar. 3), con un PIL in stagnazione, il debito pubblico in costanteascesa che non consente alcun allentamento della morsa fiscale econtributiva, la disoccupazione incalzante e l’export che cede pro-gressive quote di mercato mondiale.

Il contratto di secondo livello perde pertanto la funzione didistributore di ricchezza in azienda o sul territorio, di volàno perl’innovazione e l’incremento di produttività (101), proponendosi

(100) Certo, vi sono anche i contesti in cui il sindacato in azienda ha la forza diimporre regimi di protezione ulteriori contro i licenziamenti, in via surrogatoria e/o sosti-tutiva rispetto al d.lgs. n. 23/2015. In tal caso la contrattazione aziendale gioca un ruoloautonomo e polivalente, potendo nel contempo presentarsi quale veicolo di liberalizzazionenella gestione delle risorse umane ma anche di supplenza alla legge e al CCNL in funzionedi salvaguardia di specifici beni fondamentali della persona. Ma si tratta di situazionicircoscritte sul territorio ed in determinati ambiti merceologici, che non intaccano, anziconfermano, il trend all’autosufficienza o alla esclusività del contratto aziendale.

(101) In maniera del tutto imprevista il Governo non ha peraltro, allo stato, reiteratole misure, certo formalmente cicliche e non strutturali ma indispensabili per dare maggiorefiato ai valori reali dei salari medio-bassi, della detassazione, per cui nulla ha disposto lalegge di stabilità per il 2015 (a fronte delle disponibilità da ultimo espresse relativamente al2013 e 2014 dall’art. 1, c. 481, l. n. 228/2012), e della decontribuzione, per cui ha dispostonella legge di stabilità per il 2015 (art. 1, c. 313, l. n. 190/2014) un sostanzioso ridimensio-namento (circa un terzo) della dotazione del relativo fondo, senza peraltro aver ancoraadottato il relativo DM attuativo concernente le forme e modalità di distribuzione.

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quale sede regolatoria alternativa e di smantellamento delle prin-cipali rigidità gestionali, in una logica di risparmio dei costi e dicomparazione rispetto alle condizioni di lavoro garantite all’estero.In tal senso, non sarà come prima per cui il contratto aziendale eraappannaggio solo del 25% delle aziende italiane, quelle aperte almercato (102), mentre le altre rimanevano ancorate esclusiva-mente al contratto nazionale; ora la contrattazione aziendale siestenderà ulteriormente sul versante normativo a prescindere dal-l’attitudine competitiva dell’azienda e dalla sua proiezione inter-nazionale, anche se per queste ultime i contenuti non saranno soloderogatori ma potranno muoversi in una pluralità di direzioni inlinea con le maggiori possibilità organizzative d’impresa. Con ilsolo limite delle dimensioni aziendali, poiché, come noto, prima diuna certa soglia minimale (dieci-venti dipendenti), la negoziazioneè in larga parte individuale e non vi sono vantaggi né oneri cheinducano al ricorso alla contrattazione collettiva.

E d’altro canto non dovrebbero formarsi resistenze o remorederivanti dall’incertezza applicativa legata agli spazi di agibilitàdella contrattazione collettiva, anche aziendale. Tali incertezze, untempo legate ai criteri di legittimazione sindacale e di efficaciagenerale dell’accordo, sono in via di stemperamento all’interno delmondo confederale industriale per il tramite dei menzionati ac-cordi interconfederali che hanno introdotto uno sbarramento al-l’accesso al tavolo negoziale nazionale del 5% quale media ponde-rata di voti e deleghe ed una soglia maggioritaria del 50% + 1 perla sottoscrizione degli accordi nazionali ed hanno chiarito la pienaesigibilità ed efficacia dell’accordo di secondo livello nei confrontidi tutto il personale in forza e di tutte le associazioni sindacaliespressione delle Confederazioni sindacali firmatarie se adottatonelle previste forme maggioritarie; nonché per il tramite dellaricorrente formula derogatoria del Jobs Act rappresentata dal“contratto collettivo, anche aziendale, stipulato da associazionesindacale comparativamente più rappresentativa sul piano nazio-nale”, che mantiene il filtro selettivo su base nazionale compara-tiva e non si esprime in ordine al criterio maggioritario. Il modelloche ne scaturisce è composito, poiché all’interno del mondo confe-

(102) Con evidente incremento della percentuale di diffusione del contratto collettivoaziendale al crescere delle dimensioni, in termini di numero di dipendenti, dell’impresa.

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derale industriale o di altri settori che aderiscano al TU sullarappresentanza del 2014 (103), vige sia il doppio canale rappresen-tativo (elettivo ed associativo), sia il criterio maggioritario (pon-derato fra i due dati a livello nazionale, e alternativo — maggio-ranza componenti rsu o rsa — a livello aziendale), al di fuori da talecircuito vige il solo canale associativo di significativa rappresenta-tività sul versante nazionale e non opera invece il criterio maggio-ritario. Ma le regole sono comunque identificate.

Per altro verso, l’affermazione di uno schema derogatorio delcontratto collettivo aziendale rispetto alla legge (104) e rispetto alcontratto collettivo nazionale non influenza la natura inderogabiledelle norme lavoristiche, che rimane presente e continua a costi-tuire l’architrave della materia, anche se ridimensionata drastica-mente negli ambiti applicativi dalla descritta riduzione dei conte-nuti protettivi. In altre parole, il venir meno della funzione ordi-nate del CCNL e delle clausole di non ripetitività, l’affacciarsi dinumerose ipotesi derogatorie ex lege, l’ampliamento dei casi dicontrattazione aziendale esclusiva, non hanno sottratto alla leggela funzione regolatoria primaria dei rapporti di lavoro, piuttostohanno ristretto il novero delle posizioni soggettive invalicabili,hanno ridisegnato il nocciolodurodi tutele intangibili. Infatti, anchel’attuale legislatore ha confermato il tradizionale meccanismo delrinvio derogatorio al contratto collettivo e dunque, da un lato, hainibito all’autonomia individuale qualunque forma dispositiva apriori, dall’altro ha segnato i confini entro cui la contrattazione col-lettiva può cimentarsi senza incorrere nel classico meccanismo san-

(103) Che, peraltro, non è ancora operativo, almeno sul versante dell’efficacia delCCNL, stante la presenza della sola convenzione con Inps (16 marzo 2015) riguardante laraccolta, elaborazione, comunicazione dei dati relativi alla rappresentanza delle organizza-zioni sindacali stipulanti il TU attraverso le dichiarazioni mensili dei datori di lavoro(UNIEMENS) e la creazione di una banca dati dedicata contenente in forma anonima i datidi affiliazione sindacale per azienda, territorio e categoria, nonché, con riferimento alle unitàcon più di quindici dipendenti, per contesto produttivo dotato o meno di rsa; mentre nonrisulta ancora sottoscritta analoga convenzione con Cnel, chiamato a raccogliere i datielettorali e a fare la ponderazione.

(104) Le funzioni derogatorie del contratto collettivo nazionale per rinvio legislativomostrano invece un’esperienza ormai ultratrentennale: cfr. G. PROIA, Il contratto collettivofonte e le “funzioni” della contrattazione collettiva, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro,Atti del Convegno AIDLASS, Foggia-Baia delle Zagare, 25-26 maggio 2001, Giuffrè, Milano,2002, 113 ss.; A. PIZZOFERRATO, I rapporti tra legge e contratto collettivo, in C. ZOLI (a cura di),La fonti. Il diritto sindacale, cit., 419 ss.

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zionatorio della nullità con sostituzione automatica delle clausolecontrattuali difformi (105). È chiaro che più si ampliano gli oggettidellederogheepiù l’impiantodibasevacilla, poiché lanormadi leggeda inderogabile si trasforma in di default, di intervento residuale incaso di mancato intervento dell’autonomia collettiva; ciò può por-tare a rilevanti problemi se vengono compromessi valori fondantidell’ordinamento quali la libertà, la dignità, l’uguaglianza, la buonaoccupazione (106), ma tali problemi vanno analizzati singolarmentein sede di bilanciamento di principi e interessi, non potendosi rite-nere che la tecnica legislativa adottata abbia di per sé dissolto lanatura inderogabile dei diritti del lavoro. Tale tecnica si è infattiimperniata intorno al tradizionale strumento della delega deroga-toria, seppur esteso nel suo raggio d’azione qualitativo e quantita-tivo, che chiama in causa sempre le organizzazioni sindacali com-parativamentepiù rappresentative sul pianonazionale; non si trattaquindi di uno strumento di rottura sul piano formale rispetto alsistema di relazioni industriali sperimentato nel passato, ma di unaforte sollecitazione sul versante sostanziale alle confederazioni sin-dacali chiamate a dover governare il sistema contrattuale senzapunti fermi, con ampia fungibilità di competenze regolatorie fra idiversi livelli (107). Ma la sfida è ardua considerata la spinta del

(105) Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Autonomia privata individuale e collettiva e normainderogabile, cit., 78, che, in maniera ineccepibile, fa notare peraltro come l’eccessivoassottigliamento della regolamentazione legale, in uno con l’ampliamento dei contenuti dellederoghe, riduce fatalmente lo spazio di intervento del suddetto meccanismo sostitutivo neiconfronti della contrattazione collettiva. Sulle tecniche legislative di ibridazione tra inde-rogabilità e indisponibilità condotte nel corso del primo lustro del nuovo millennio, cfr. P.TULLINI, Indisponibilità dei diritti dei lavoratori: dalla tecnica al principio e ritorno, in Giorn.dir. lav. rel. ind., 2008, 443 ss.

(106) Sul punto v. infra sub par. 8, in relazione alla compatibilità delle deroghe alcontratto a termine con il divieto europeo di abuso dei contratti temporanei.

(107) Ciò in via di principio; la prima realtà contrattuale attuativa della riforma è statadi segno talmente negativo sul versante della tenuta dei vincoli legali da far sorgere fortipreoccupazioni sulla sopravvivenza fattuale del principio di inderogabilità e dell’attuale as-setto fra le fonti del diritto del lavoro. V. infra nel testo, sub par. 9. In tal senso anche l’espe-rienza di altri paesi europei (es. Germania, Francia, Ungheria, Paesi Bassi): sul punto cfr. A.JACOBS, Decentralisation of Labour Law Standard Setting and the Financial Crisis, in N. BRUUN,K. LÖRCHER, I. SCHÖMANN (a cura di), The Economic and Financial Crisis and Collective LabourLaw in Europe, Hart Publishing, Oxford and Portland, Oregon, 2014, 174: “All these examplesin theory should not lead to the conclusion that statutory labour law is weakened by the expansionof provisions allowing derogations by collective agreements. This technique was not originally

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particolare produttivo e la facoltà comunque di scelta fra una seriedi interlocutori possibili, non indistinti, selezionati dal criterio disignificativa rappresentatività su base nazionale, ma in ogni casonon tassativamente indicati nelle principali confederazioni e nonnecessitanti, per legge, di un consenso maggioritario in azienda eneppure a livello nazionale (108).

Come è noto, i criteri misuratori della rappresentatività nonricevono, nel settore privato, un’esplicita configurazione legislativaquanto all’ammissione alla negoziazione collettiva, sicché la capa-cità di esprimere gli interessi del gruppo sociale di riferimento èlasciata all’interprete che dovrà valutare il grado di radicamentoassociativo e organizzativo dell’associazione in esame. Il richiamoalla circostanza di essere associazioni “firmatarie di contratti col-lettividi lavoroapplicati nell’unitàproduttiva”oppuredi aver“par-tecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappre-sentanti dei lavoratori dell’azienda” (109), funziona per l’ambito

intended to be used in this way. It was assumed that the parties are of equal strength at the levelof collective bargaining. However, this is often not the case today. Many trade unions have seentheir strength weakened by lower membership and the rise of yellow unions. This being the case theexpansion of statutory labour law subject to derogation by collective agreement is certainly a wayof weakening labour law”; A. SEIFERT, European economic governance and the labour laws of theEU member states, in Comp. Lab. Law & Policy Jour., 2015, vol. 35, 3 ss.

(108) Sul persistente favore per l’autonomia dell’ordinamento intersindacale, “sino adoggi è stata sicuro presidio di un sistema di relazioni industriali dinamico e creativo, idoneoad imporre anche esperienze concertative. La sua istituzionalizzazione ne verrebbe a com-prime l’essere genetico ed a favorire fenomeni di stanca burocratizzazione”, cfr. R. PESSI,Ordinamento statuale e ordinamento intersindacale: promozione o regolazione?, inRiv. it. dir. lav.,2014, I, 15. Il problema di fondo è, a mio avviso, che, non essendo più stagione, né sul versantepolitico né su quello finanziario pubblico, di legislazione promozionale al sindacato confede-rale, l’attuale laissez faire inmateriadi selezionedei soggetti sindacali, di efficaciadel contrattocollettivo e di definizione dei rapporti fra diversi livelli, ampiamente condiviso e in dottrinae presso i sindacati, rischia di provocare brusche accelerazioni nel processo di “picconatura”del modello esistente, con dilatati vuoti di tutela collettiva o con trascinamento sostitutivoverso il basso della contrattazione collettiva, sia in senso di sede regolativa sia in senso dipeggioramento delle condizioni lavorative. In tal senso ritiene “che il nostro ordinamento èormaiprontoad introiettare ilprincipiomaggioritario « comecriteriodeterminativodella sferadi efficacia soggettiva del contratto », F. LUNARDON, op. cit., 61.

(109) Corte cost. 3 luglio 2013, n. 231, su cui cfr. F. CARINCI, Il buio oltre la siepe: Cortecostituzionale 23 luglio 2013, n. 231, in Dir. rel. ind., 2013, 899 ss.; R. DEL PUNTA, L’art. 19Statuto dei Lavoratori davanti alla Consulta: una pronuncia condivisibile ma interlocutoria, inLav. dir., 2013, 527 ss.; R. DE LUCA TAMAJO, La sentenza n. 231/2013 della Corte costituzionalesullo sfondo della crisi del sistema sindacale anomico, in Riv. giur. lav., 2014, 45 ss.; A.

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aziendale in relazione alla costituzione di rsa ed alla titolarità deiconseguenti diritti sindacalimanon è criterio dirimente per valutarel’associazione ai fini del superamento della soglia di sbarramento anegoziare in deroga. Se si tratta di associazioni firmatarie o aderential TU del 2014, vigono le regole assunte consensualmente per cuinulla quaestio; ma se si tratta di associazioni estranee all’accordointerconfederale, quid iuris? Si può applicare comunque, eventual-mente attingendo in via analogica dalla norma sul pubblico im-piego (110), la soglia del 5% o si deve svolgere un’analisi empiricadi tutti gli aspetti connotativi della vita, delle finalità e degli assettiorganizzativi interni dell’associazione ai fini dello svolgimento delsuddetto scrutinio (magari da effettuarsi a posteriori, su istanza dellavoratore che rivendichi l’inapplicabilità nei suoi confronti di unanorma recessiva assunta da un contratto aziendale stipulato da rap-presentanza sindacale aderente a circuito nazionale reputato dal-l’istante non comparativamente più rappresentativo)? (111).

Il terreno in cui ci muoviamo è sicuramente instabile e diffi-cilmente prevedibile nelle evoluzioni, ma quello che interessa rile-vare al fine del ragionamento che ci occupa è che comunque larappresentatività nazionale richiesta per la firma dell’accordo,indipendentemente da come si risolva il quesito sopra posto, è sìeffettiva e non presunta, è sì su base nazionale e non meramenteaziendale, ma può ben essere minoritaria e anche solo categoriale,l’importante è che non sia simbolica e che si traduca in un anco-raggio certo strutturale, organizzativo, funzionale e di adesioniall’ambito merceologico o professionale in cui si collocano l’azienda

MARESCA, Costituzione delle Rsa e sindacati legittimati, in Arg. dir. lav., 2013, 1298 ss.; M.RICCI, La rappresentatività sindacale dopo gli interventi della Corte costituzionale e dellacontrattazione collettiva: problemi e prospettive, in Le rappresentanze sindacali in azienda:contrattazione collettiva e giustizia costituzionale, Atti del convegno AIDLASS (Roma, 16settembre 2013), Jovene, Napoli, 2014, 155 ss.

(110) Cfr. S. MAINARDI, Legge n. 15/2009 e decreti di attuazione: il rapporto tra fontelegislativa e contrattazione collettiva nazionale e integrativa, in G. ZILIO GRANDI (a cura di), Illavoro negli enti locali: verso la riforma Brunetta, Giappichelli, Torino, 2009, 1 ss.

(111) Favorevole al primo esito, A. GARILLI, Crisi e prospettive della rappresentativitàsindacale: il dialogo tra Corte costituzionale e accordi sindacali, in Arg. dir. lav., 2015, 52; G.FERRARO, Sul rinnovato “sistema” di relazioni industriali, in Arg. dir. lav., 2014, 562; contrarioV.BAVARO,Azienda, contratto e sindacato, cit., 190 ss., per cui l’espressione « comparativamentepiù rappresentativa » sottende una misurazione del consenso maggioritario.

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ed i lavoratori coinvolti (112). Va da sé pertanto che il richiamonella deroga ai sindacati comparativamente più rappresentativi alivello nazionale se è sufficiente a filtrare i contratti collettivi« pirata » o quelli stipulati da organizzazioni sindacali più rappre-sentative solo da un lato (vuoi imprenditoriale vuoi dei lavora-tori) (113), non è invece in grado di scremare né gli accordiseparati (114), né gli accordi che siano intestati ad associazionisindacali dotate di una certa legittimazione rappresentativa nazio-nale, anche se non maggioritaria, che saranno fuori dal sistemaconfederale, ma dentro le deroghe legislative; così come non è ingrado di scremare accordi che, pur muovendosi al livello negozialeaziendale esclusivo, e quindi al di fuori della struttura articolataconfederale (115), siano stipulati da rappresentanze aziendali affi-liate a confederazioni o organizzazioni di rilievo nazionale.

7. Dalle regole alle prassi, traiettorie di sviluppo della dimensionecollettiva.

Il descritto scenario, inevitabilmente destinato a realizzarsi nelprossimo futuro, per le irresistibili spinte concentriche alla sempli-ficazione, razionalizzazione e riduzione dei costi del lavoro, conrobusto arretramento delle logiche solidaristiche ed egualitarie,messe fortemente in discussione dall’attuale stato dell’economia edel bilancio pubblico, è peraltro tendenziale ed in via di matura-zione ed espansione. D’altronde il processo è in progress e presup-pone tempi di metabolizzazione operativa non irrilevanti, non solo

(112) In tal senso cfr. G. FERRARO, op. loc. cit.: “È quasi superfluo poi aggiungere chein tal modo si registra uno scivolamento del senso letterale della formula utilizzata, e anchedella sua portata normativa, che prima assumeva una valenza prevalentemente selettivaescludendo i sindacati meno rappresentativi nella comparazione, ora ne assume una preva-lentemente inclusiva con un tendenziale apertura anche a quei sindacati che abbianosuperato la fatidica soglia del 5%”.

(113) V. supra sub nt. 92.(114) Su cui cfr. A. LASSANDARI, Problemi e ricadute della contrattazione separata, in

Giorn. dir. lav. rel. ind., 2010, 323 ss.; A. BELLAVISTA, Contrattazione separata, in F. CARINCI (acura di), Da Pomigliano a Mirafiori: la cronaca si fa storia, Ipsoa, Assago, 2011, 57 ss.

(115) Sulla rilevanza giuridica della dimensione territoriale nel diritto sindacaleitaliano, cfr. L ZOPPOLI, Istituzioni e negoziazioni territoriali: un’analisi della strumentazionegiuridica, in Riv. giur. lav., 2015, 29 ss.; D. GAROFALO, Gli accordi territoriali, in Mass. giur.lav., 2012, 3, 171 ss.

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per il peso conformativo di una tradizione sindacale ultracinquan-tennale, ma anche per la naturale spinta inerziale dell’assettoesistente, che gioca in via di conservazione anche in virtù dellelimitate dimensioni del nostro tessuto imprenditoriale (116). Primainfatti che i principi contenuti nelle norme di apertura alla con-trattazione collettiva derogatoria sopra richiamati si traducano inprassi contrattuali diffuse e consolidate, sono inevitabili tappeprogressive di avvicinamento, molto influenzate dalla capacità ditenuta del sistema confederale, dall’unità d’azione dei suoi prota-gonisti e dalla effettività rappresentativa che dimostrerà tra ilavoratori, nei diversi ambiti produttivi e professionali.

Ciò spiega come, nelle indagini condotte su campioni contrat-tuali aziendali relativi a periodi non successivi al 2013, si rilevi unacomplementarietà funzionale fra contratto aziendale e relativocontratto nazionale, e quindi una sostanziale tenuta del modello digovernance multilivello proprio della contrattazione articolata, conlimitato uso delle deroghe (117). A parte l’ovvia osservazione chel’esito dipende molto dai settori analizzati e dalla loro storia sin-dacale, non sfugge che la vera svolta è stata realizzata a partire dalconcepimento e implementazione del Jobs Act, poiché è da lì che siè presa consapevolezza da parte degli addetti ai lavori del mutatoclima operativo, del disfavore verso la sede contrattuale nazionale,dell’ampliamento delle competenze derogatorie del contratto azien-dale anche non maggioritario purché indirettamente agganciato arealtà organizzative nazionali, della possibilità concreta di poter in-

(116) Pensiamo solo, a mo’ di esempio, cosa significhi per un’impresa di piccoledimensioni, che abbia scelto di gestire in proprio gli adempimenti lavoristici, fiscali eprevidenziali, sganciarsi dagli applicativi esistenti e creare un proprio gestionale lavoro,contenente la disciplina risultante dall’accordo esclusivo aziendale, che potrebbe essereautonoma e sostitutiva dell’intero contratto nazionale, ovvero di una sua parte, ed ancoraderogatoria, anche in parte, della legge, con la necessità di operare gli opportuni raccordi esistemazioni vuoi al CCNL vuoi alla legge. Il rischio dell’ignoto, tende, almeno prima facie,a prevalere sul vantaggio dell’assetto derogatorio.

(117) Da ultimo cfr. la ricerca empirica condotta su un campione di trecentocin-quanta contratti integrativi aziendali sottoscritti tra il 2008 ed il 2013 nell’industriametalmeccanica lombarda da P. TOMASSETTI, Il decentramento contrattuale in Italia: primiprofili ricostruttivi di una ricerca empirica, in Arg. dir. lav., 2014, 1321 ss. che, pur rilevandola complementarietà fra livello aziendale e livello nazionale, tuttavia stigmatizza l’assenzadi “conseguenze tangibili sul piano endoassociativo e su quello della responsabilità contrattuale”in caso di violazione da parte dei livelli organizzativi inferiori delle norme contrattualiobbligatorie assunte in ambito nazionale (p. 1340).

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cidere sugli assi portanti del diritto del lavoro (quali termine, som-ministrazione, ius variandi, controllo a distanza, orario di lavoro),senza consistenti rischi di giudizi ex post di nullità di clausole col-lettive che propongano rilevanti arretramenti di tutela. È la svoltaflessibilizzante e di assottigliamento dei diritti invalicabili impressadal Governo che ha mutato e sta mutando da un lato la percezionedei rapporti di forza delle relazioni industriali, dall’altro le convin-zioni imprenditoriali in ordine alla fattibilità di curvature dell’at-tività lavorativa sulle esigenze di adattabilità, ricomposizione per-manente e liquidità dell’impresa, già presenti da anni nei nuovi mo-delli organizzativi (struttura a matrice, struttura di rete, manage-ment by objectives o by results, ecc.) ma ritenute finora incompatibilicon l’assetto di interessi costituzionale del lavoro. In questo ambitocrescono contestualmente, e in alcuni casi anche in maniera stru-mentale, l’opzione o la minaccia di opzione di exit nei confronti delleassociazioni sindacali, e le spinte derogatorie sui diversi tavoli ne-goziali, ormai largamente e liberamente alternativi fra loro, fondatesu vere o presunte situazioni di crisi e/o ristrutturazione e/o salva-taggio aziendale.

Si sono così registrati fenomeni contrattuali nuovi rispetto alpassato. Abbiamo assistito nel corso dell’ultimo anno ad un’esplo-sione dei contratti nazionali derogatori per quanto concerne il ri-corso al termine, che hanno ampiamente superato, congiuntamenteo singolarmente, le già deboli soglie minimali previste dal legislatoresia sul versante della percentuale complessiva del 20% (118), sia

(118) Sul superamento del limite quantitativo del 20%, v. Accordo nazionale di re-cepimento nel CCNL Industria Alimentare del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, convertitoin legge 16 maggio 2014, n. 78, in materia di contratto a tempo determinato, del 7 novembre2014, che alza la soglia al 25%; Accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoroper gli addetti delle piccole e medie industrie di cemento, fibrocemento, calce e gesso CON-FAPI del 14 luglio 2014, che consente di modificare la soglia percentuale mediante accordosindacale, anche aziendale, qualora se ne ravvisi la necessità ed in funzione delle specificheesigenze aziendali; Verbale di accordo per il rinnovo del CCNL 19 aprile 2010 per i lavoratoridipendenti delle imprese edili e affini e del CCNL Cooperative del 26 aprile 2010, del 1° luglio2014, che alza la soglia al 25% e consente un ulteriore 15% di assunzioni a tempo determinatocon riferimento ai lavoratori iscritti in BLEN.IT. (Borsa lavoro edile nazionale); Protocollod’intesa sull’art. 4, Sezione Quarta - Titolo I del CCNL 5 dicembre 2012 MetalmeccaniciIndustria del 25 settembre 2014, che rinvia alla contrattazione aziendale l’individuazione dilimiti quantitativi diversi quando si ravvisi la necessità, per l’esecuzione di un’opera, di unservizio, di una commessa o di un appalto definiti o predeterminati nel tempo, di assumerelavoratori con contratto a tempo determinato oltre il limite legale del 20%; Contratto col-

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sugli intervalli minimi (119) e sul numero massimo di proro-

lettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle agenzie di assicurazione in gestione libera del10 novembre 2014, che eleva la soglia al 30%; Accordo di rinnovo del CCNL 22 gennaio 2013Energia e Petrolio del 28 novembre 2014, che eleva la soglia al 25%, consentendo l’ulterioreinnalzamento al 40% con riferimento all’esecuzione delle attività di cantiere e di quelle dicommessa, nei settori di ingegneria, servizi, montaggio e perforazione; Accordo sul contrattoa tempo determinato per gli Studi Professionali o Società che amministrano condomini epatrimoni immobiliari o erogano servizi integrati agli edifici del 21 agosto 2014, che ammettele assunzioni a termine senza limiti quantitativi a fronte delle elencate ragioni oggettive,soggettive e di rioccupazione; Accordo di prossimità sui contratti a tempo determinato nelleaziende del settore terziario distribuzione e servizi nella Provincia Autonoma di Bolzano del17 giugno 2014, che non sottopone a limiti quantitativi i contratti a termine stipulati perprestazioni da svolgersi nei periodi: connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;connessi allo svolgimento di manifestazioni; interessati da iniziative promozionali e/o com-merciali; in cui si svolgono le svendite di fine stagione; di intensificazione stagionale e/o ciclicadell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale; Accordo 20 giugno 2014 per la ProvinciaAutonoma di Bolzano relativa agli Studi professionali che esclude dall’applicazione del 20%leassunzioni a termine in casodi avviodinuoveattivitàonuovaaperturadi studiprofessionaliper un periodo massimo di 18 mesi; Accordo per il rinnovo del CCNL Area Tessile - Moda del3 dicembre 2010 per i dipendenti delle imprese artigiane dei settori Tessile, Abbigliamento,Calzaturiero, Pulitintolavanderia, Occhialeria del 25 luglio 2014, che consente, nelle impreseche occupano da 0 a 5 dipendenti (comprendendo tra questi sia i lavoratori a tempo inde-terminato, sia gli apprendisti) l’assunzione di 2 lavoratori a termine, e nelle imprese cheoccupano più di 5 dipendenti, l’assunzione di un lavoratore a tempo determinato ogni 2dipendenti in forza, inoltre sottrae dal computo dei limiti quantitativi i lavoratori assunti concontratto a tempo determinato per sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conser-vazione del posto ed esenta in ogni caso da limitazioni quantitative i contratti a tempo de-terminato conclusi nei primi 18 mesi dalla fase di avvio di nuove attività d’impresa, nuovoreparto, nuovo appalto o nuova linea di produzione, ovvero per quelle aree geografiche e perle esigenze la cui individuazione è rimessa alla contrattazione collettiva regionale; Accordointegrativo CCNL Energia e Petrolio del 28 novembre 2014 che, nelle attività di cantiere edin quelle di commessa, nei settori di ingegneria, servizi, montaggio e perforazione, statuisceche lapercentualedei lavoratori assunti concontrattoa termine, comemediaannua,nonpotràsuperare complessivamente il 40%dei lavoratori a tempo indeterminato in ruolo nell’azienda;Accordo 22 dicembre 2014 di rinnovo del CCNL per i dipendenti degli istituti investigativiprivati e Agenzie sicurezza sussidiaria; CCNL del 3 dicembre 2014 relativo al personale di-pendente da Imprese esercenti l’Attività Funebre in base a cui è ammessa l’assunzione di duelavoratori a terminenelle impresefinoa5dipendenti, cinque lavoratori a terminenelle impresefra 6 e 10 dipendenti, sette lavoratori a termine nelle imprese fra 11 e 25 dipendenti, diecilavoratori a termine nelle imprese fra 26 e 50 dipendenti, 20% nelle imprese oltre i 50 di-pendenti.

(119) Sulla successione dei contratti, v. Accordo nazionale di recepimento nel CCNLIndustria Alimentare del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito in legge 16 maggio2014, n. 78, in materia di contratto a tempo determinato, del 7 novembre 2014; Accordosulla Sezione specifica Gestori aeroportuali del CCNL del Trasporto aereo del 1° ottobre2014; Verbale di accordo per il rinnovo del CCNL 19 aprile 2010 per i lavoratori dipendenti

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ghe (120), sia perfino sul versante della durata massima dei trentaseimesi (121).Quindi, nonostante la forte iniezionediflessibilitàpraticadal Jobs Act atto I, e nonostante il fatto che la possibilità di derogasia stata prevista in via bilaterale dal legislatore anche in senso mi-gliorativo per i lavoratori, la contrattazione nazionale e territorialehanno fatto saltare totalmente oparzialmente i vincoli legali residui,consegnando in molte realtà imprenditoriali ampia libertà nella ge-stione del termine, reso largamente fungibile rispetto al contratto diriferimentoa tempo indeterminato.Ciò è accadutonon solo in settoriminori o a ridotta intensità di lavoro, ma anche in settori trainanti,dove è presente un sindacato storico rappresentativo e reat-tivo (122), a dimostrazione che il trend è inarrestabile ed èdivampatoproprio in costanza delle riforme del lavoro in itinere, che hanno

delle imprese edili e affini e del CCNL Cooperative del 26 aprile 2010, del 1° luglio 2014;Accordo ponte per il rinnovo del CCNL per i dipendenti delle aziende grafiche ed affini edelle aziende editoriali anche multimediali (Grafici Editoriali Industria) del 16 ottobre 2014;Accordo per il rinnovo del CCNL Area Tessile - Moda del 3 dicembre 2010 per i dipendentidelle imprese artigiane dei settori Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero, Pulitintolavanderia,Occhialeria del 25 luglio 2014.

(120) Cfr. Accordo nazionale di recepimento nel CCNL Industria Alimentare deldecreto legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78, in materia dicontratto a tempo determinato, del 7 novembre 2014.

(121) Sul superamento del tetto dei 36 mesi da parte della contrattazione collettiva,v. Accordo ponte per il rinnovo del CCNL per i dipendenti delle aziende grafiche ed affini edelle aziende editoriali anche multimediali (Grafici Editoriali Industria) del 16 ottobre 2014,che eleva di 24 mesi (per totali, dunque, 60 mesi) la durata massima del rapporto nell’ipotesidi assunzione a termine di lavoratori che abbiano prestato per l’azienda, entro i 12 mesiantecedenti l’assunzione, attività lavorativa con contratti a progetto, di lavoro autonomo conpartite IVA o in somministrazione; Accordo di prossimità sui contratti a tempo determinatonelle aziende del settore terziario distribuzione e servizi nella Provincia Autonoma di Bolzanodel 17 giugno 2014, che non sottopone al limite dei 36 mesi i contratti a termine stipulati perprestazioni da svolgersi nei periodi: connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;connessi allo svolgimento di manifestazioni; interessati da iniziative promozionali e/o com-merciali; in cui si svolgono le svendite di fine stagione; di intensificazione stagionale e/o ciclicadell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale; inoltre l’esenzione è estesa alle impreseche stipulano contratti a tempo determinato per prestazioni di lavoro nell’ambito di appalticonclusi con le scuole, fatto salvo il diritto di precedenza.

(122) Cfr., per tutti, Accordo di Rinnovo del CCNL per i dipendenti da aziende delterziario della distribuzione e dei servizi del 30 marzo 2015, che ammette il travalicamentodel limite del 20%, nei casi di contratti conclusi per la fase di avvio di nuove attività e persostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto nonché per la stipuladi contratti a tempo determinato di sostegno all’occupazione (in questo caso nel limite mas-simo complessivo del 28%), riservato a lavoratori disoccupati da almeno 6 mesi o occupati inattività di lavoro autonomooparasubordinato da cui scaturisca un reddito inferiore al reddito

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lasciato le briglia sciolte al contratto collettivo, riducendo o annul-lando l’area di incomprimibilità dei diritti soggettivi. In forza dirinvii espliciti derogatori del contratto nazionale al contratto azien-dale, ovvero in via direttamente derogatoria da parte del contrattoaziendale, anche senza richiamo formale esplicito all’art. 8, d.l. n.138/2011, la contrattazione di secondo livello si è a sua volta spesain funzione estensiva del modello legale di risulta, con previsioni chehanno talvolta comportato anche la soppressione, temporanea e/olegata ad evenienze produttive, di qualsivoglia limite di uti-lizzo (123).

L’esempio è sintomatico della ridotta capacità sindacale, ad-dirittura a livello nazionale, di contrastare fenomeni di smantella-mento di limiti protettivi alla precarizzazione dei rapporti dilavoro quando promossi e autorizzati dalla sede legislativa, contenuta solo minimale o di facciata dello strumento negoziale, inverità principalmente plasmato sulle esigenze organizzative e pro-duttive del settore o dell’impresa interessata. Peraltro, a talecontrattazione derogatoria sul termine ha fatto da pendant unacontrattazione aziendale derogatoria che si è cimentata non solonella gestione della crisi, con accordi di mobilità, di trasferimento dirami d’azienda, di confluenza, di utilizzo in maniera variamente ar-ticolata degli ammortizzatori sociali, ma anche una contrattazioneaziendale derogatoria “in prevenzione” della crisi, ossia effettuataproprio per mantenere gli esistenti livelli occupazionali e garantirele opportune flessibilità organizzative. Quindi, anche in sede di ac-cordi sulla produttività, sullo sviluppo delle professionalità, sullastabilizzazionedegli organici, trovano spazio evannoconsolidandosiprevisioni derogatorie all’art. 2103 c.c., sia sotto forma dell’amplia-mento, oltre al livello di inquadramento, del concetto di equivalenzadelle mansioni, con revisione ed adattamento della disciplina na-zionale delle classificazioni e dell’ammissibilità di una promiscuitàdelle mansioni assegnate che prescinde dal criterio della prevalenza,sia sotto forma di stabile o provvisorio declassamento, funzionale ad

annuale minimo personale escluso da imposizione e caratterizzato da una durata massima di24 mesi e da un inquadramento in due livelli inferiori per il primo semestre ed in un livelloinferiore per la durata residua a fronte di una formazione iniziale di 16 ore.

(123) Cfr. l’accordo aziendale Easyjet Airline Ltd del 4 marzo 2015 che prevedel’esclusione del conteggio delle percentuali di legge delle “assunzioni a termine legate allafase di start up per le nuovi basi per un periodo di 18 mesi dall’apertura”.

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una ancor più incisiva fungibilità nell’utilizzo della forza la-voro (124); previsioni derogatorie agli artt. 4 e 6 St. lav. (125); pre-visioni derogatorie alla disciplina dell’orario di lavoro (126).

(124) Cfr. Accordo integrativo aziendale Benetton del 22 gennaio 2015, che consentela permanenza in mansioni di livello inferiore per un periodo massimo di sei mesi; AccordoCIA Carrefour Italia del 30 gennaio 2013, che, in relazione alle mansioni, richiama lapromiscuità, fungibilità e polivalenza da applicare all’interno delle singole unità produttivee tra i rispettivi settori e reparti; CIA Coca-Cola HBC Italia srl del 25 luglio 2014 chepromuove percorsi di sviluppo professionale volti ad accrescere il livello di polivalenza(capacità di ricoprire più posizioni di lavoro) e di polifunzionalità (capacità di svolgere piùattività di diverso contenuto) per aumentare la capacità di ricollocazione all’interno delgruppo e favorire la copertura dei posti vacanti del “mercato interno”; CIA Coin spa del 30aprile 2013 che ammette la possibilità di ricoprire l’orario settimanale di personale addettoai servizi (ufficio/ricevimento merci) anche in attività di vendita; CIA Lavazza del 9dicembre 2014 che autorizza l’azienda a procedere ad una fungibilità trasversale ai diversireparti dello stabilimento, sulla base delle esigenze organizzative e produttive dell’impresa;Accordo aziendale Luxottica del 19 dicembre 2012 che ammette in ipotesi di mobilitàterritoriale infra gruppo, la possibilità di assegnare i lavoratori coinvolti a mansioni diverseanche in deroga all’art. 2103 c.c.; Accordo aziendale RAI del 7 febbraio 2013 che, inconseguenza dell’evoluzione delle tecnologie che caratterizza la produzione radiotelevisiva,ammette che il tecnico della produzione svolga anche attività di montaggio e precisaulteriori sistemazioni e promiscuità rispetto ai profili professionali previsti in CCNL.

(125) Ad esempio, Accordo aziendale Ferrari del 30 maggio 2012; Accordo separatoBanca Carim del 24 giugno 2013.

(126) Cfr. Accordo integrativo Generali Assicurazioni del 27 febbraio 2015, chedispone che al personale addetto al Call Center Sinistri e addetti al Back Office (sinistri evendite) potrà essere assegnata una distribuzione dell’orario di lavoro settimanale checomprenda anche il pomeriggio del sabato (dalle ore 14.00 alle ore 20.00); Accordo Auto-strade per l’Italia del 18 luglio 2013, che, pur rimanendonell’arco della derogabilità consentitaex lege (ai sensi dell’art. 3, d.lgs. n. 66/2013), statuisce: “qualora dall’andamento delle pre-stazioni giornaliere assegnate derivi che in una settimana venga superato l’orario di trenta-sette ore e che in altra esso non venga raggiunto, non si dà luogo a compensi aggiuntivi odetrazioni, compensandosi tra di loro le misure delle prestazioni settimanali e realizzandosile trentasette ore nell’arco di un periodo di sei mesi”; CIA Coin spa del 30 aprile 2013 cheprevede “In funzione del processo di liberalizzazione degli orari di lavoro commerciali è in-tenzione dell’Azienda massimizzare le aperture domenicali. Le Organizzazioni Sindacali con-siderano non condivisibile il modello di liberalizzazione degli orari commerciali.... A tal finesi concorda che le prestazioni dei dipendenti con contratto individuale che preveda l’obbligodelle prestazioni domenicali, dovranno essere programmate dal 1° giugno 2013 non superando40 domeniche lavorative su base annuale (anno di calendario) per ciascun lavoratore, salvoil caso in cui il dipendente si dichiari disponibile a lavorare per un numero di domenichesuperiori a tale limite...”; Contratto integrativo per lo stabilimento di Settimo Torinese dellaLAVAZZA del 9 dicembre 2014, che ammette la flessibilità nella giornata di sabato, “che saràeffettuata nel modo seguente: a) due turni diurni di otto ore ciascuno (6.30 - 14.30 e 14.30 -22.30); b) a fronte di specifiche e urgenti esigenze produttive, che saranno oggetto di verifica

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È filtrata e si sta diffondendo l’idea che la flessibilità del lavorodipende dalle forme di produzione dell’impresa e che la dinamicitàdella professionalità poggia sulla duttilità, polivalenza e polifun-zionalità, e dunque sulle capacità di adattamento continuo dellavoro alle mutevoli esigenze aziendali; e da ciò prendono corpo, eancor più prenderanno corpo nell’immediato futuro con esponen-ziale diffusione, prassi contrattuali aziendali che smantellano di-ritti e prerogative, con l’obiettivo di rendere la prestazione lavo-rativa perfettamente aderente agli input organizzativi, con mas-sima ottimizzazione ed efficientamento, in vista della crescita dicompetitività dell’impresa, a prescindere dal suo stato di saluteeconomico-finanziario. Il processo di « aziendalizzazione » della di-sciplina dei rapporti di lavoro, già preconizzato in dottrina aseguito dell’avvento della legge Sacconi (127), si colora di nuove epregnanti esperienze e si incanala su un binario tracciato dallalegge, sempre più lungo e solido, poiché interviene non solo aposteriori, per salvaguardare il salvabile e per attenuare gli effettisociali negativi della disgregazione o della cessazione di attività,ma anche a monte, in via regolatoria generale, per conformare gliordinari assetti normativi e organizzativi del lavoro (128). L’ac-cordo aziendale allarga così i suoi confini operativi, oltre a confi-gurarsi quale strumento negoziale di scambio in caso di difficoltàdell’impresa (riduzione dell’orario di lavoro o azzeramento dellapregressa anzianità o abbassamento del livello di inquadramentoversus mantenimento, anche parziale, dell’occupazione) (129), ov-vero quale strumento di distribuzione della ricchezza generata

con le RSU, potrà essere effettuato un ulteriore turno di recupero con inizio alle ore 22.30 delladomenica e termine alle ore 6.30 del lunedì”.

(127) Cfr. V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, Cacucci editore, Bari, 2012, 11 s.:“Il termine « aziendalizzazione », comincia ormai ad essere utilizzato nel discorso giuslavo-ristico per evocare quella specifica tendenza a rompere l’unità della tradizionale « comunitàdi riferimento » della regolazione giuridica del lavoro, costituita dallo Stato-nazione ovverodalla categoria merceologica di ambito nazionale, e sostituirla con un nuovo perimetro entrocui esercitare la funzione normativa: la sostituta comunità di riferimento è la singolaazienda”; E. ALES, Dal “caso Fiat” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro “di prossimità”, le suescaturigini e i suoi limiti costituzionali, in Dir. rel. ind., 2011, 1061.

(128) La balcanizzazione del diritto del lavoro, tanto temuta all’epoca della leggecostituzionale n. 3/2001 di riforma dell’art. 117 Cost., si avvia a realizzarsi ora, non più peril tramite della legislazione regionale ma attraverso il contratto collettivo aziendale.

(129) Cfr. A. ALLAMPRESE, Sindacato e potere dispositivo, Cacucci Bari, 2015, 107 ss.

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dall’impresa e di propulsione all’aumento della produttività tra-mite l’incentivazione individuale e collettiva, acquisisce la veste disede regolatoria primaria della flessibilità e dell’adattabilità dellaprestazione al processo produttivo aziendale, con conseguentecurvatura e personalizzazione di gran parte dei profili del lavoroche hanno incidenza sulla gestione dei rapporti (130).

8. Protezione e flessibilizzazione nell’attuale fase di globalizzazionedei mercati si possono tenere insieme?

Verificata la significativa spinta europea nei confronti delnostro paese ad introdurre maggiore flexibility nella gestione e inuscita dal rapporto di lavoro subordinato, anche tramite il decen-tramento contrattuale e l’aziendalizzazione dei rapporti di lavoro,verificata la necessità del Governo di puntare sulla riforma delmercato del lavoro per giustificare lo sforamento temporaneo daiparametri del Fiscal Compact e per realizzare una riforma « strut-turale » ad un costo molto limitato per il bilancio dello Stato, everificato altresì che il Jobs Act ha raggiunto pienamente i duetarget prefissati, dobbiamo interrogarci se una riforma così liberistae di cesura rispetto all’esperienza pregressa fosse davvero necessa-ria e non si potessero raggiungere i medesimi effetti con unamigliore e più accettabile gradualità degli interventi.

Lo scenario di contesto, abbiamo visto, è indiscutibile sia sulversante della globalizzazione dei mercati, che induce inevitabil-mente forte dumping sociale, sia sul versante della situazione dibilancio del nostro paese, che impedisce l’adozione di serie politichedi sviluppo e di sostegno all’impiego a causa dell’esiguità di risorsedestinate allo scopo. Analogamente dovrebbe essere indiscutibile lacircostanza per cui le normative sul lavoro non generano occupa-zione, che dipende solo dalla crescita dell’economia, il mercato dellavoro dipende infatti dal mercato dei beni e solo l’aumento delladomanda aggregata innesta il circolo virtuoso che conduce allacrescita dell’occupazione. Ciononostante l’esistenza di vincoli o

(130) E con sostanziale superamento dei profili inerenti all’efficacia (l’erga omnesdiscende implicitamente dal rinvio derogatorio legislativo e dalla sottoscrizione da parte disindacati effettivamente rappresentativi) e quindi alla (ir)rilevanza del dissenso individuale,fagocitato all’interno della nuova funzione normativa contrattuale.

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costi normativi assai consistenti può rappresentare un deterrenteall’assunzione in contesti economici di mercato del compratore-datore di lavoro, ossia quando vi è un forte sbilanciamento a favoredella seconda fra domanda e offerta di lavoro. “C’è un classicorisultato della teoria economica che identifica l’informazione asim-metrica come una delle cause di fallimento del mercato (marketfailure): la sua presenza ha l’effetto di ridurre il numero delletransazioni rispetto a quelle che sarebbero possibili e convenientiin sua assenza. Questo risultato si applica anche al mercato dellavoro ed è tanto più rilevante quanto maggiore è il livello deifiring costs che — come abbiamo visto — hanno l’effetto di renderemeno reversibile la scelta dell’impresa di assumere un nuovolavoratore e quindi più costoso l’effetto dell’informazione asimme-trica al momento dell’assunzione. La conseguenza è che un regimedi regolazione come quello basato sull’articolo 18 ha l’effetto discoraggiare le assunzioni. Questo effetto è trascurabile in situazionidi crescita economica sostenuta e di pieno impiego, in cui l’offertadi lavoro è scarsa rispetto alla domanda; ma diventa rilevantequando la crescita rallenta. Le imprese, cioè, tendono a considerareil lavoro come un input fisso con tempi di sostituzione (turnover)relativamente lenti e — come abbiamo visto — incerti. Questofatto le induce, a parità di condizioni (prezzi relativi) a privilegiaretecniche più capital intensive” (131). Tuttavia non va dimenticatoche, almeno sul versante UE, esistono principi giuridici comuni chevalorizzano non solo l’occupazione ma anche l’occupazione stabile,buona e di qualità, ossia innanzitutto rispettosa dei diritti dellapersona fondamentali inclusi quella alla libertà, dignità, privacy,autodeterminazione, espressione, retribuzione equa e sufficiente. Ifenomeni occupazionali non possono pertanto essere lasciati esclu-sivamente alla mano invisibile del mercato ma devono riceverecorrettivi legislativi volti a sostenere la parte debole del rapporto,soprattutto in casi di contrazione della domanda a causa di crisieconomiche di scala internazionale.

Dunque non vi è dubbio che vanno lasciati a terra dirittifaticosamente conquistati in decenni passati di lotte sindacali perevitare disincentivi troppo forti all’investimento in risorse umane,

(131) Così G. RODANO, Il mercato del lavoro italiano prima e dopo il jobs act, inwww.pietroichino.it, 11 maggio 2015, 18.

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anche in una logica comparata con altri modelli sociali europei edextra-europei, ma rimane che una risposta da parte dell’ordina-mento va data e deve essere coerente ed efficace. Nel Jobs Act talerisposta è chiaramente fornita con una riduzione di tutela del postoa fronte dell’incremento della tutela nel mercato, quindi secondo ilmodello nord-europeo fatto proprio dall’Unione. Forse non si ètrattato di una vera compensazione fra i due elementi, dato che,come visto più sopra, la compressione della prima è stata assai piùaccentuata dell’ampliamento della seconda e soprattutto mentre laprima ha avuto connotati di definitività la seconda è stata solosperimentale e di durata annuale o, al massimo, biennale, masoprattutto a tale revisione legislativa verso il basso delle soglieminimali si è affiancata la conferma ed estensione del descrittofenomeno di aziendalizzazione dei rapporti di lavoro, che ha asse-gnato anche alla sede contrattuale aziendale ampie funzioni dero-gatorie a standard di legge, che prima erano invalicabili e che oranon lo sono più (132). Sicché al di là delle possibili critiche minutesulle singole scelte effettuate, la forzatura di sistema indotta dallariforma è stata a nostro avviso eccessiva, poiché ha determinato, invia concomitante e convergente, un abbassamento dei livelli diprotezione dei lavoratori ed un affievolimento del loro carattereinderogabile a tutto beneficio della contrattazione collettiva, anchedi livello aziendale, che peraltro, per le ragioni già menzionate, nonè stata in grado di reggere l’urto e si è prodigata in una rincorsa allederoghe e a far prevalere le esigenze particolari dell’ambito pro-duttivo di riferimento rispetto a quelle del lavoro.

Così si può discutere se le quattro — due mensilità di retribu-zione riconosciute in caso di licenziamento illegittimo di lavoratorecon anzianità sino a due anni di servizio siano congrue e sufficientia far ritenere il contratto a tutele crescenti un contratto stabile dilavoro; così come si può criticare la scelta di adottare un range in-dennitario assai esteso fra il minimo di due ed il massimo di venti-quattro mensilità, con ciò tendendo alla polarizzazione dei licen-ziamenti sul segmento minimale e massimale della curva e la sceltadi non rendere certo epredefinito l’importoma sottoporlo comunque

(132) Si segnala che si sta ora affacciando anche la contrattazione di sito produttivoderogatoria, dietro rinvio disciplinare da parte dell’aziendale di gruppo o di holding: cfr., adesempio in materia di organizzazione degli orari di lavoro, Accordo di rinnovo dell’integra-tivo aziendale del gruppo Granarolo del 8 luglio 2014.

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allo scrutinio giudiziale secondo le tradizionali categorie della giustacausa e del giustificatomotivo; ancora si può enfatizzare il fortissimosquilibrio a favore della precarizzazione derivante dal combinatodisposto delle norme sui licenziamenti e sul termine, che ammettonoliberamente una sorta di test permanente sul lavoratore, che puòessere scaricato dall’impresa senza alcun costo aggiuntivo o con uncosto assaimodesto dopo aver avuto esperienze plurime temporaneein azienda (stage, apprendistato, somministrazione, termine), per-sino sulle stesse mansioni, che potrebbero essere durate tanti anni,magari culminate in un’esperienza di lavoro a tempo indeterminato,che tuttavia rimane insensibile ai pregressi rapporti, a meno che nonvi sia un’espressa previsione di tutela a livello individuale.

Tuttavia più preoccupante delle pur numerose fragilità conte-nutistiche e delle incertezze applicative delle singole disposizioni incui si articola il nuovo corpus normativo, è la deriva dell’assettodelle fonti che scaturisce dalla riforma, che mina nella sostanza,anche se non lo fa nella forma, il tradizionale connotato dell’inde-rogabilità. Esempio illuminante in tal senso è rappresentato dald.lg. n. 34/2014 che, a fronte dell’abolizione del requisito dellacausalità dei contratti a termine, introduce alcune restrizioni al suoricorso, per mantenere la regola della specialità ed evitarne un usototalmente libero e abusivo. Tutte le restrizioni poste (soglia per-centuale del 20%, durata massima di trentasei mesi, intervalliminimi, numero massimo di proroghe), sono però derogabili dallacontrattazione collettiva, anche aziendale, che può, in un’unicasede o a più riprese e in più sedi, eliminarle totalmente o parzial-mente a suo piacimento (ad esempio, escludere l’applicazione deivincoli in certe condizioni di contesto o in certe situazioni aziendalio ancora graduarne l’operatività sino a renderli esistenti solo inapparenza). Ora, una tale soluzione non assicura il nostro ordina-mento dal rischio di un massiccio utilizzo abusivo dello strumento,eppure formalmente conforme alla vigente disciplina come risul-tante dall’attuale assetto delle fonti, con un forte sospetto diincompatibilità con la normativa di riferimento dell’Unione euro-pea rappresentata dalla direttiva 1999/70/CE, nell’interpretazionefornitane dalla Corte di Giustizia. Se infatti la direttiva non indicaspecificamente quale sia la misura da preferirsi per evitare unasuccessione abusiva di contratti a termine che vanifichi l’obiettivoprimario di « migliorare la qualità del lavoro a tempo determinatogarantendo il rispetto del principio di non discriminazione » e di

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« creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi deri-vanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti dilavoro a tempo determinato », né quale apparato sanzionatoriomettere a presidio dell’eventuale violazione di tale misura; comun-que la direttiva impone agli Stati membri l’adozione di « ragioniobiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti orapporti », ovvero « durata massima totale dei contratti o rapportidi lavoro a tempo determinato successivi », ovvero « numero dirinnovi dei suddetti contratti o rapporti », dunque di una misurache sia « effettiva », « vincolante » e « adeguata » (quanto al-l’aspetto prevenzionistico) per l’impresa (133), nonché l’adozionedi rimedi proporzionati ed effettivamente dissuasivi in caso diviolazione. La Corte di Giustizia, da ultimo in Mascolo, ha inmaniera trasparente e coerente sempre affermato che le disposi-zioni attuative interne devono essere ispirate alla realizzazionedello scopo e dell’effetto utile della direttiva (prevenzione delricorso abusivo ai contratti a termine), e che “il rinnovo di con-tratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato al fine disoddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non giàprovvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, non è giu-stificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordoquadro. Infatti, un utilizzo siffatto dei contratti o dei rapporti dilavoro a tempo determinato è direttamente in contrasto con la pre-messa sulla quale si fonda tale accordo quadro, vale a dire il fatto chei contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la formacomune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempodeterminato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcunisettori o per determinate occupazioni e attività (sentenza Kücük,EU:C:2012:39, punti 36 e 37 nonché giurisprudenza ivi cita-ta) (134)”. Dunque, l’abbassamento dei requisiti obbligatori di ac-cesso alla tipologia contrattuale non è solo passibile di censura in sépoiché probabilmente eccessivamente permissivo e poco funzionaleallo scopo antiabusivo, ma abbinato alla tecnica legislativa devo-lutiva alla contrattazione con poteri derogatori costituisce una mi-scela dirompente per l’alterazione dell’assetto regolatorio tradizio-

(133) Per l’esplicazione concettuale di tali caratteri, v. Corte di Giustizia 3 luglio2014, cause riunite C-362/13, C-63/13 e C-407/13, Fiamingo, punto 56.

(134) Così Corte di Giustizia 26 novembre 2014, cause riunite C-22/13, da C-61/13 aC-63/13 e C-418/13, Mascolo, punto 100.

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nale, con ulteriori effetti non solo di incompatibilità con specificiprincipi superiori di rango europeo o costituzionale ma anche di na-tura destabilizzante l’intero complesso garantistico. Il venir menoinfatti, in via diretta o indiretta, tramite meccanismi di rinvio de-rogatorio quale quello esaminato, dei capisaldi della tutela (garan-zia, anche solo economica ma di una minima consistenza, di con-servazione del posto, garanzia della professionalità acquisita, ga-ranzia di trasferimento solo in caso di comprovate ragioni tecniche,organizzative e produttive, garanzia di rispetto delle proprie opi-nioni e delle proprie azioni), rischia di rendere gli altri diritti sempremeno fruibili e di fatto non rivendicabili e tanto meno giustiziabili,pena la perdita del posto di lavoro o comunque l’emarginazione e la“ricollocazione” organizzativa.

È indubbio che la difesa dei diritti e quella del lavoro nonsempre sono conciliabili (135) e che in situazioni di difficoltà tuttidevono fare la loro parte per evitare la disgregazione della realtàproduttiva e l’impoverimento del corrispondente tessuto sociale edeconomico, senza aperture di credito alle ideologie o alle soluzioni diprincipio impraticabili nel caso concreto. Ma arretramenti moltoconsistenti devono avere uno scopo contingente ed essere funzio-nalizzati all’obiettivo specifico di dare una risposta positiva ai di-versi attori in campo in fase di irreparabile reflusso produttivo ocommerciale; non costituire il substrato regolatorio comune dellanuova disciplina dei rapporti di lavoro, che rischia altrimenti di in-teriorizzare, nell’ordinarietà, un tasso di flessibilizzazione incompa-tibile con la tutela minimale dei valori della persona che lavora.D’altronde non è solo il tasso di crescita che conta (136), non è solola diminuzione del tasso di disoccupazione a rappresentare la cartina

(135) Cfr. M. MASCINI, Se per avere di più si perde tutto, in Il Diario del lavoro, 29 aprile2015, http://www.ildiariodellavoro.it/, che osserva: “Per questo la vertenza della Franco Tosiè lo specchio del nostro paese, che forse non ha capito fino in fondo che non siamo più ricchicome una volta, che un posto di lavoro va salvaguardato perché rappresenta un tesoro,anche se c’è da fare qualche sacrificio. Lottare fino in fondo, fino all’olocausto, forse nonserve, forse non è la scelta migliore, almeno per chi deve sopportare il peso di questa scelta”.

(136) In tal senso si può senz’altro fare riferimento all’esempio della Spagna in cui èprevisto per il 2015 il tasso di incremento del PIL più alto d’Europa (2,4%), ma tale crescitapare portare ulteriore precarizzazione e disparità sociali, creando occupazione principal-mente in ambiti a basso livello di specializzazione professionale (braccianti agricoli, came-rieri, dipendenti di imprese di pulizia, operai non qualificati dell’industria manifatturiera,ecc.), con ciò aumentando le schiere dei c.d. working poors.

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al tornasole dello stato di benessere sociale del paese, ciò che rilevamaggiormente è che si tratti di una crescita duratura ed equamentedistribuita, che produca posti di lavoro stabili e di elevata qualifi-cazione, che rafforzi il livello di internazionalizzazione delle nostreimprese consentendo lorodi espandere il propriobusiness e lepropriecapacità di export sulla base di efficienze organizzative ed innova-zioni di prodotto e di processo, ma rimanendo fedeli ad un modellosociale evoluto, di sicuro alleggerito e più modulabile, ma non de-potenziato nei fondamentali e nelle strutture portanti minimali.

Si condivide pertanto il giudizio favorevole sull’opportunitàdell’intervento promosso dal Governo che non solo ci ha consentitodi superare, almeno provvisoriamente, il vaglio delle procedure disorveglianza macro-economica UE, ma ci ha riportato in unadimensione globale dei mercati, dalla quale nemmeno il diritto dellavoro italiano può prescindere. Ma in nome di tali finalità, illegislatore si è spinto oltre rispetto alla stretta funzionalizzazionedelle misure agli scopi assunti, liberalizzando in maniera massicciaanche tramite il ricorso al contratto collettivo aziendale derogato-rio. Anche qui, il trend a favore dell’aziendalizzazione e del decen-tramento più o meno organizzato e consequenziale differenziazionedisciplinare su base di prossimità non può essere arrestato, mapossono essere meglio indicati i vincoli minimi di sistema, in gradodi evitare, per interi settori o per gruppi aziendali di rilievo, laprematura dipartita di una disciplina giuridica di salvaguardia eriequilibrio dei poteri negoziali delle parti. In tal senso il necessariostep backword dovrebbe essere governato, entro un quadro multi-vello europeo, all’interno di soglie e standard minimali che pon-gano comunque prescrizioni di base, un minimo comune denomi-natore di limiti gestionali, che ancorino la crescita economica alraggiungimento di valori di solidarietà sociale inalienabili (137).

Dunque, non ci sembra tramontato il valore assiologico-garantistico del diritto del lavoro, da valorizzare sicuramente inchiave di sostenibilità e di compatibilità con le esigenze di liquidità

(137) N. COUNTOURIS, M. FREEDLAND, Resocialising Europe in a time of crisis, Cam-bridge, 2013; G. FONTANA, Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, in WPCSDLE “Massimo D’Antona”, INT, n. 104/2014; M. FREEDLAND, The segmentation of workers’rights and the legal analysis of personal work relations: redefining a problem, in Comp. Lab.Law & Policy Jour., 2015, vol. 36, 2; J. LOPEZ, Formalizing the segmentation of workers’ rights:tensions among regulatory levels, in Comp. Lab. Law & Policy Jour., 2015, vol. 36, 2.

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e di trasformazione organizzativa permanente dell’azienda, maanche di giustizia economica e di più equa allocazione delle risorse,pur nella consapevolezza della comparazione su scala globale delcosto economico e normativo del lavoro, della regressione — e dellospostamento sul versante aziendale — della dimensione collettivadi regolazione del lavoro con una più intensa autonomia negozialeindividuale, della restrizione dello spazio di azione delle politichepubbliche per l’impiego e, più in generale, dello Stato sociale. Talifenomeni, che segnano irreversibilmente lo statuto del lavoro nelnostro Paese, richiederebbero una gradualità di impatto, una pro-gressione di interventi, socialmente accettabile e sostenibile nellalogica di medio periodo. La polverizzazione tout court delle tutele ocomunque strappi troppo laceranti rispetto ai modelli dati nongiovano a nessuno, e rischiano crisi di rigetto che si scaricano poi inletture o applicazioni del nuovo sistema in linea di continuità conil pregresso ambiente regolativo e quindi con evidenti forzaturedella ratio legis. Basti richiamare a tal fine la nozione di licenzia-mento discriminatorio o di licenziamento per motivo illecito ex art.1345 c.c. Dinanzi ad una così drastica riduzione degli indennizzi,inidonei, almeno allo stato attuale, a rendere giustizia nel casoconcreto è molto probabile che si assisterà ad una escalation del-l’utilizzo delle suddette figure, in via surrogatoria rispetto alleinadeguatezze del regime ordinario, che comporterà lo svolgimentodi processi lunghi ed articolati (oltre tutto non più bifasici in primogrado poiché è stato abolito per i nuovi contratti il c.d. ritoFornero) in quanto la ricostruzione di un intento discriminatorio ofraudolento o illecito, dovendosi fondare su elementi sintomaticidel fatto, necessita di un’istruttoria molto approfondita, dall’esitoincerto e con il rischio per l’impresa di dover assumere un costofinale imprevisto e assai consistente, rappresentato dal combinatoricorrere della reintegrazione e del risarcimento del danno.

L’adozione di una maggiore gradualità, con una riduzione diimporti tollerabile dalle prassi e dalla sensibilità sociale attuale,avrebbe, come peraltro già accaduto per la revisione dell’art. 18 st.lav. da parte della legge Fornero, introiettato nel sistema la riforma,dandole piena agibilità e consolidandola nella finalità primaria rap-presentata dallo spostamento del regime degli effetti verso forme ditutela indennitaria. Purtroppo così non è stato e questo alimentagrande sconcerto tra gli operatori, potendo determinare esiti alta-mente sperequativi poiché legati alle contingenze di contesto in cui

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si muovono i singoli casi o gruppi di casi, alle prossime evoluzionidella giurisprudenza, anche costituzionale, che sarà senz’altro chia-mata a valutare la compatibilità di una pluralità di regimi differentiapplicabili a situazione sostanzialmente analoghe, nonché all’even-tuale capacità della contrattazione collettiva nazionale o, più pro-babilmente, aziendale, di arginare le differenziazioni e di sperimen-tare modelli di tutela ultra-legislativi, come consentito, ma sinoramai praticato, ai sensi dell’art. 8, d.l. n. 138/2011. Insomma nonappena si poteva affermare che la riforma Fornero aveva raggiuntoun buon grado di stabilizzazione e di univocità negli orientamentiapplicativi (138), ecco affacciarsi la nuova riforma che, invece dimuoversi sul solco precedente, migliorandone ulteriormente gliaspetti critici eventualmente con una ridefinizione verso il bassodelle tutele, ha imposto profonde revisioni di sistema, che necessi-teranno di lunghi tempi di assuefazione e consolidamento, non ne-cessariamente orientati nella direzione assunta dall’Esecutivo.

In tale scenario si realizza, come sopra riportato, il definitivo“sdoganamento” delle funzioni derogatorie del contratto collet-tivo, che, oltre ad avere un contraccolpo sulle capacità di tenutadel sistema confederale già interessato da un’evidente crisi dirappresentatività, inaugura una stagione nuova delle relazionicollettive in cui diventa necessario l’esercizio di responsabilità edequilibrio da ambo le parti onde evitare strappi e cesure che

(138) Da ultimo, anche sul piano processuale, tramite la pronuncia della Cortecostituzionale 29 aprile 2015, n. 78, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimitàcostituzionale degli artt. 51, primo comma, numero 4), del codice di procedura civile, e 1,comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, sul presupposto che il giudizio di opposizionenon innesca una vera e propria impugnazione, una seconda fase risolventesi in una « revisioprioris instantiae », bensì rappresenta una componente dello stesso giudizio articolato in viabifasica; esso non verte, infatti, sullo stesso oggetto dell’ordinanza opposta (pronunciata suun ricorso semplificato, e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato, indispen-sabili), né è tantomeno circoscritto alla cognizione di errores in procedendo o in iudicandoeventualmente commessi dal giudice della prima fase, può investire anche diversi profilisoggettivi (stante anche il possibile intervento di terzi), oggettivi (in ragione dell’ammissi-bilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli stessi fatticostitutivi) e procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedottecircostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già addotti e chesi dia corso a prove ulteriori. “Pertanto, il fatto che entrambe le fasi di detto unico grado delgiudizio possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio diterzietà del giudice e si rivela, invece, funzionale all’attuazione del principio del giustoprocesso, per il profilo della sua ragionevole durata”.

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possano tradursi in laceranti ed insostenibili tensioni sociali, nellaconsapevolezza che, al centro del sistema, nel prossimo futuro,potrebbe non esserci più il contratto collettivo nazionale (139).Avanti tutta, dunque, con il contratto aziendale, ma che siaespressione di un consenso maggioritario effettivo e sia in grado dievitare la “de-costruzione del diritto sindacale, rimpiazzato da unmeccanismo di governo unilaterale dell’azienda” (140). È veroinfatti che l’azienda deve avere grande flessibilità di impiego peraffrontare le sfide globali, deve essere in grado di potersi scomporree ricomporre rapidamente, non solo sul versante societario e delleaggregazioni temporanee e di rete, ma anche su quello della desti-nazione geografica e funzionale delle proprie risorse umane (141);per questo non si può prescindere dalla dimensione collettivaaziendale (anche perché l’alternativa sarebbe appunto il governounilaterale, temperato solo in relazione a precise, strategiche,professionalità, dotate di elevato potere contrattuale individuale),inserita però in un quadro di riferimento certo e minimale, e quindisecondo schemi di decentramento controllato, anche se a magliepiù larghe e permissive rispetto al passato (142).

(139) Pur valorizzando il ruolo del contratto aziendale nella logica della crescitaproduttiva e dello sviluppo aziendale, si pone in senso critico rispetto ad un siffatto esito, G.FERRARO, La riforma del sistema contrattuale, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, 48: “La forte spintaa una maggiore rilevanza della contrattazione a livello di imprese, riscontrabile in numeroserealtà nazionali europee..., sinanche nella versione derogatoria, non trova ostacoli diprincipio nel nostro Paese, se la funzione peculiare della contrattazione aziendale rimaneimpregiudicata e non costituisce invece il veicolo per adulterare il sistema di relazioniindustriali, che in Italia rimane incentrato sul contratto di settore”. L’Autore peraltro scriveil contributo prima dello tsunami Fiat, prima del diffondersi di pratiche nazionali didumping contrattuale, prima del definitivo declino delle pratiche concertative e soprattuttoprima della riforma del lavoro allestita dal Governo Renzi.

(140) Così la presentazione del convegno in onore del Prof. Giorgio GHEZZI, L’idea deldiritto del lavoro, oggi, in programma a Venezia nei giorni 25-26 settembre 2015.

(141) Deve cioè saper creare capabilities, ossia capacità di mescolare ed organizzarele risorse umane per creare nuove competenze, migliori team, migliori interazioni e maggioriefficienze nei processi produttivi con indubbio vantaggio competitivo durevole per leimprese interessate (aumento performance).

(142) Sull’inconciliabilità, come valori assoluti, di libertà ed eguaglianza, e sullavariabilità storica delle relative formule compromissorie e relativo impatto applicativo (“Idiritti del lavoro, infatti, non possono essere puramente declamati: nella misura in cuiimpongono restrizioni e vincoli all’organizzazione imprenditoriale, comportano un innalza-mento dei costi dell’impresa, cioè qualcosa che l’imprenditore può accettare solo a patto chei margini di profitto — che a loro volta risultano fissati dall’altezza dei tassi di interesse —

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Il trend di differenziazione disciplinare, che non è solo su baseaziendale, ma che diventerà inevitabilmente anche su base geogra-fica interna, risulta pertanto inarrestabile, e la disciplina legislativadovrebbe ricalibrarsi in funzione di protezione ed emancipazioneminimale, identificando i contenuti effettivamente esigibili deidiritti fondamentali (143). D’altronde, nella stessa Relazione pro-grammatica 2015 della Presidenza del Consiglio dei Ministri si leggeche “l’Italia ritiene che tra le priorità dell’Unione debbano rima-nere la creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani, lalotta alla povertà e all’esclusione sociale. l’Italia seguiterà adimpegnarsi sulle misure che favoriscono la mobilità, il dialogosociale, la creazione di posti di lavoro di qualità e gli investimentiin capitale umano” (144). Ma a tali promesse dovrebbe darsiseguito attraverso una rimodulazione degli interventi che meglioorienti l’avviata race to the bottom nelle relazioni collettive, sì daevitare che « The decline in statutory protective labour law andcollective bargaining coverage is mirrored by the growth in inequal-ity » (145) o quanto meno che tale ineguaglianza possa dilatarsisenza argini e che, dopo l’aziendalizzazione, si assista alla pienaindividualizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro.

Non si possono, infatti, tanto meno nel contesto attuale cheprivilegia l’autonomia all’eteronomia, revocare in dubbio i principi

vengano garantiti...”), cfr. L. CAVALLARO, Servitore di due padroni, ovvero il paradosso delgiudice del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2014, I, 137 ss., cit. a p. 155).

(143) Cfr. C. CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto dellavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2008, 412, che condivisibilmente osserva: “Non si trattadi fare l’elogio a tutti i costi dell’inderogabilità, né di arroccarsi in una sua difesa adoltranza, difesa che, alla luce della complessa evoluzione sopra segnalata (e tanto più nellaprospettiva da ultimo riferita), sarebbe probabilmente perdente. Si tratta, piuttosto, digovernarla, nella consapevolezza che essa, per una parte, può convivere con il suo contrarioe dunque si perde e si ritrova più volte, a seconda della combinazione di tanti fattori,economici, sociali, culturali”. Diversamente A. TROJSI, Ragioni dell’economia e tutela delladignità e dei diritti fondamentali della “persona” del lavoratore, in Scritti in memoria di M.G.GAROFALO, in corso di pubblicazione, 876 (provv.), che rileva il possibile contrasto dell’art. 8,d.l. n. 138/2011 anche con riguardo al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. poichéla norma produrrebbe “mediante la realizzazione di regimi contrattuali differenziati,ingiustificate disparità di trattamento fra lavoratori rispetto al godimento dei dirittifondamentali della persona, a seconda dell’azienda o del territorio in cui operano”.

(144) Dipartimento per le Politiche europee, http://www.politicheeuropee.it/attivita/19259/relazione-programmatica-2015.

(145) Così A. JACOBS, op. cit., 192.

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volontaristico e pluralistico che da sempre governano le nostre re-lazioni sindacali, ma forse un intervento legislativo che delinei loscenario di agibilità del contratto aziendale sul versante della rap-presentatività dell’organismo collettivo stipulante e dei presuppostidi efficacia, oltre a incentivarne il ricorso tramite rinnovati mecca-nismi di alleggerimento degli oneri indiretti del lavoro, potrebbegiovare allo scopo di garantire un decentramento organizzato, difavorire comunque prassi concertate effettive a livello aziendale, didelimitare in maniera più equilibrata i confini fra quanto intangibileper via legislativa e quanto consentito dalle pressanti esigenze didiversificazione territoriale e produttiva. In sostanza, se sta inelut-tabilmente volgendo al tramonto la stagione delle contrattazionecollettiva articolata e centralizzata, parallelamente, da un lato, an-drebbe salvaguardato un nocciolo duro e inderogabile di dirittiespressione dei valori fondanti della nostra carta costituzionale e diquella europea, dall’altro andrebbero definite in via legislativa lecondizioni di operatività del contratto aziendale per sostenere mag-giormente l’avvio del nuovo corso, incrementando il grado di con-senso sulle scelte organizzative aziendali (146).

La crisi non ci deve spaventare, così come la globalizzazionedei mercati ed il raffronto di costo dei fattori produttivi operato suscala internazionale: bisogna comprendere i fenomeni in atto,apportare le dovute regressioni giuslavoristiche, sia di contenutisia di assetti, per proteggere le nostre imprese o le imprese localiz-zate sul nostro territorio, poi però va definita una nuova linea delPiave su cui arrestarsi, e sui cui chiedere la convergenza di tutti gliattori del sistema. Essere più realisti del re, non solo è inutile se nonaddirittura dannoso sul versante degli effetti economici prodotti,ma rischia di spazzare via decenni di conquiste sociali e del lavoro,trapiantando un modello liberista avanzato che non ci appartienee che, peraltro, rischia di essere rigettato dalla stessa comunità diriferimento, proprio per il suo eccesso di discontinuità.

(146) In senso analogo, cfr. S. SCIARRA, Social law in the wake of the crisis, in WPCSDLE “Massimo D’Antona”.int - 108/2014, 17: “The shift from legislation to contract’ clearlyunderlined with references to present institutional circumstances, shows the many risks inherentin negotiations undertaken in a state of emergency. Hence, there is an urgent need to regain spacefor legislation inspired by the fundamental values of the EU. We should recall that solidarity isa source of social integration, besides money and administrative power. In this perspective EUlegislation should re-assign entitlements to individuals and to groups representing collectiveinterests and should do so with full respect for democracy and the rule of law”.

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DIRITTI SOCIALI E DISCREZIONALITÀ DELLEGISLATORE NELL’ORDINAMENTO MULTILIVELLO:

UNA PROSPETTAZIONE GIUSLAVORISTICA (*)

di EDOARDO ALES

« Now I been lookin’ for a job but it’s hard to findDown here it’s just winners and losers anddon’t get caught on the wrong sideof that lineWell I’m tired of comin’ out on the losin’ endSo honey last night I met this guy and I’mgonna do a little favor for him »(BRUCE SPRINGSTEEN, Atlantic City da Nebraska, 1982)

SOMMARIO: 1. I diritti sociali: una prospettazione giuslavoristica. — 2. Le fonti costitutive deidiritti sociali e i loro rapporti nell’ordinamento multilivello: alla ricerca di un sistemae dei suoi contenuti. — 2.1. Il diritto al lavoro. — 2.2. Il diritto alla previdenza eall’assistenza sociale. — 2.3. Il diritto dei disabili all’inserimento professionale. —2.4. Il diritto alla salute sul luogo di lavoro. — 2.5. Il diritto alla conciliazione tra vitafamiliare e vita professionale. — 3. Le condizioni di titolarità dei diritti e dellacittadinanza sociale nell’ordinamento multilivello. — 4. Diritti sociali e prestazionisociali: il livello quali-quantitativo di benessere nell’ordinamento multilivello e i suoico-decisori. — 5. La realizzazione concreta dei diritti sociali: ripartizione degli onerifinanziari e competitività dell’impresa. — 6. La partecipazione attiva del beneficiarioquale condizione essenziale di realizzazione dei diritti sociali: a mo’ di conclusione.

(*) Desidero ringraziare sentitamente Lorenzo Gaeta, Donata Gottardi, Antonio LoFaro, Pasquale Passalacqua e Pasquale Sandulli per le preziose riflessioni critiche sullaversione provvisoria. The usual disclaimer applies. Un ringraziamento va ad Antonio Riccioe ad Antonio Riefoli per essersi fatti carico di molte delle incombenze cassinati nei mesi chehanno preceduto il Congresso. Il ringraziamento più grande va a Sabina per il sovraccaricodi “condivisione” e a Mafalda che ha fatto del suo meglio per rendere il sovraccarico menopesante.

Questa Relazione è dedicata a Mario Napoli, in memoriam, pur nella consapevolezzadel fatto che non avrebbe apprezzato l’accostamento della stabilità del rapporto a unachimera.

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1. I diritti sociali: una prospettazione giuslavoristica.

Nella prospettazione sottesa a questa relazione, una prospet-tazione strettamente connessa alla condizione lavorativa (1), in-tesa quale titolarità passata o presente di un rapporto di lavoro oquale aspettativa futura ad una occupazione, i diritti sociali (2)sono considerati come diritti strumentali all’inclusione sociale deltitolare nella comunità che li afferma ovvero costitutivi di unacittadinanza sociale fondata sulla garanzia di un determinatolivello quali-quantitativo di benessere.

La realizzazione dei diritti sociali così prospettati, necessitadella mobilitazione finanziaria di quella comunità, attraverso l’ero-gazione di prestazioni (3), in denaro e/o servizi, o mediante l’ac-collo di obbligazioni altrimenti incombenti sul titolare del diritto(si pensi alla contribuzione figurativa).

La cittadinanza sociale così configurata, si distingue, qualita-tivamente e quantitativamente dalla cittadinanza politica (4).

Mentre, infatti, da un punto di vista qualitativo, quest’ultima èstatica e concessiva, in quanto può essere garantita attraverso il“semplice” riconoscimento dei diritti politici, la cittadinanza so-ciale è dinamica e proattiva, giacché la sua stessa esistenza dipende

(1) O, se si vuole, professionale: Prosperetti U., 1958, ripreso da Foglia L., 2012.(2) La letteratura sui diritti sociali è sconfinata. Senza alcuna pretesa di completezza,

e limitandosi ai contributi più recenti, Andreoni, 2006; Giubboni, 2003; Gambino, 2009;Guazzarotti, 2013; Perfetti, 2013; Ruotolo, 2013; Salazar, 2013; Treu, 2000.

(3) Non si intende, quindi, aderire alla prospettazione, dai più sostenuta, secondo laquale i diritti di libertà connessi alla condizione di lavoro, sebbene non implicanti lamobilitazione finanziaria della comunità in favore del titolare, dovrebbero considerarsidiritti sociali. Questo perché, come vedremo tra breve, è proprio la necessità di mobilita-zione finanziaria che rende i diritti sociali costitutivamente soggetti a limitazioni dettate dalloro costo e, quindi, da questo condizionati. I diritti del lavoro, non a prestazione,avrebbero, dunque, tutto da perdere, nell’essere ribattezzati diritti sociali, in quanto la loroesistenza, la loro titolarità e il loro esercizio potrebbero essere (ancor più di quanto già nonavvenga e, soprattutto, costitutivamente) condizionati alla loro sostenibilità economica,rispetto, non solo, alle esigenze della collettività, ma, anche e soprattutto, a quelle dell’im-presa. Paradigmatica, in questo senso, l’applicazione del test di proporzionalità all’eserciziodel diritto di sciopero nei casi Viking e Laval, non nella corretta prospettiva del bilancia-mento tra diritti, ma di quello tra interessi, che finisce per riguardare l’ammontare deldanno subito dall’impresa, danno che, nel bilanciamento tra diritti, viene in questione solonella prospettiva del divieto di annientamento della controparte: Ales, 2015a; Fontana,2014.

(4) Sul punto v. anche Costa, 2009.

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dalla realizzazione dei diritti sociali, condizionata, a sua volta,all’attivazione del decisore politico che ha inteso riconoscerla. Se,dunque, la cittadinanza politica è una cittadinanza “a costo zero”,la cittadinanza sociale implica costi diretti a carico della comunitàche si mobiliti per realizzarla. L’ammontare e la natura di queicosti variano a seconda del livello quali-quantitativo di benessereche si intende garantire e dell’estensione della comunità sociale chesi intende realizzare.

Così concepita, la cittadinanza sociale neppure coincide neces-sariamente con quella politica da un punto di vista quantitativo,potendo essere attribuita, proprio attraverso il riconoscimentodella titolarità dei diritti sociali, anche a coloro che non hannoaccesso ai diritti politici di una determinato soggetto nazionale otransnazionale (5).

Proprio per questo, nella prospettazione dei diritti sociali, unruolo fondamentale giocano i livelli ordinamentali ai quali si col-locano le loro fonti costitutive e attuative, livelli che, come ve-dremo, non sempre coincidono.

Altrettanto fondamentale per la prospettazione dei diritti so-ciali, risulta l’individuazione dei soggetti preposti alla loro realiz-zazione e l’analisi delle modalità di ripartizione dei costi (6) neces-sari a sostenerli; entrambi elementi qualificativi dell’assetto ordi-namentale della comunità che intende realizzare la cittadinanza

(5) In questa prospettiva, come vedremo, neppure la cittadinanza europea risolve ilproblema della titolarità dei diritti sociali, come invece molti ritengono: tra i tanti Giubboni,2013.

(6) Per costi si intendono quelli consistenti negli esborsi necessari all’erogazione diprestazioni in denaro e servizi, ma anche nel mancato introito di importi altrimenti dovutia seguito di fiscalizzazioni e sgravi di vario genere. Questa definizione di costo si riferisce,evidentemente, al finanziamento pubblico dei diritti sociali. Quanto all’ipotesi, non infre-quente, nella quale il costo dei diritti sociali sia accollato a soggetti privati (quali l’impresa),la nozione di costo deve essere collegata all’esborso e non al risparmio ottenibile a seguitodell’eventuale eliminazione di una disposizione posta a tutela del lavoratore. Se, infatti,nella nozione di costo, rientrassero anche i costi negativi, ovvero quelli che il datore dilavoro potrebbe non sostenere se una determinata disposizione posta a tutela del lavoratorevenisse abrogata, i diritti del lavoro, così “trasformati” in diritti sociali, sarebbero costitu-tivamente condizionati dal mero calcolo economico. Nel caso dei diritti sociali il cui costodebba essere sopportato dall’imprenditore, il costo negativo da valutare, a carico dellacomunità di riferimento è, invece, o quello sociale, derivante dalla mancata realizzazione deidiritti sociali in questione o quello economico, derivante dall’eventuale trasferimento deicosti dall’imprenditore alla collettività. Sul punto v. infra § 5.

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sociale, utili, anche, per determinare se esso coincida con quello deipubblici poteri o se valorizzi la prospettiva della sussidiarietàorizzontale.

La partecipazione attiva del titolare alla loro realizzazione,costituisce, inoltre, a nostro avviso, un elemento fondativo deidiritti sociali, come emerge con chiarezza dalla loro strutturazione,almeno nella Costituzione italiana (7), in termini di diritti-doveri:al lavoro (attraverso l’attivazione), all’istruzione (attraverso lostudio), alla salute (attraverso la prevenzione obbligatoria), allatutela previdenziale (attraverso l’assicurazione e la contribuzione),all’assistenza sociale (ancora attraverso l’attivazione).

Il principio di condizionalità (8) permea, poi, i diritti sociali (9).Ciò in una duplice prospettiva: attiva, rispetto all’esistenza stessadella cittadinanza sociale, della quale, se realizzati, costituisconocondizione necessaria; passiva, sia rispetto alla disponibilità (rec-tius allocazione (10)) delle risorse economiche e strumentali indi-spensabili alla loro realizzazione, sia rispetto alla loro titolarità,condizionata all’adempimento del dovere di attivazione “in sensolato” e al possesso di requisiti soggettivi posti, talvolta diretta-mente, dalle fonti costitutive e, più spesso, da quelle attuative, deidiritti (11).

La cittadinanza sociale è, dunque, a sua volta, sottoposta a unregime di duplice condizionalità: generale, connesso alla realizza-zione dei diritti sociali da parte del decisore politico (della « politicacostituzionale » per dirla con Zagrebelsky (12)); individuale, legatoal possesso dei requisiti, attivi e passivi, che determinano la tito-larità dei diritti sociali da parte del singolo.

(7) In una prospettiva che si potrebbe definire di mutuo impegno per distinguerla daquella contrattualistico-utilitaristica del mutuo vantaggio. Sulla « strategia delle obbliga-zioni reciproche » v. Alaimo, 2013. In generale sul punto Pinelli, 2009.

(8) Alaimo, 2013; Ales, 2007a; Corazza, 2013.(9) D’altro canto, il principio di condizionalità informa la funzione stessa del Diritto,

da individuarsi nella regolazione della fruizione di beni, materiali e immateriali, nonillimitatamente disponibili.

(10) Sul punto v. infra.(11) Si pensi, in questa prospettiva, alle condizioni di inabilità al lavoro e di disagio

economico alle quali l’art. 38, c. 1, Cost. subordina il « diritto al mantenimento e all’assi-stenza sociale » e alla condizione di lavoro (« i lavoratori ») alla quale l’art. 36, c. 1, e l’art. 38,c. 2, Cost. sottopongono, rispettivamente, la garanzia di una « esistenza libera e dignitosa »e il diritto ai « mezzi adeguati alle [...] esigenze di vita ».

(12) Zagrebelsky, 1992, 10.

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Ciò vuol dire che l’individuo può essere “legittimamente”escluso dalla cittadinanza sociale anche in presenza di un sistemadi diritti sociali “in atto”. L’esclusione (dalla cittadinanza) socialeè, dunque, un’opzione contemplata dal modello dei diritti sociali.Ovviamente essa ha un costo sociale con evidenti ricadute econo-miche, che la comunità si troverà, prima o poi, a dover a sostenerein condizioni emergenziali (13).

In questa prospettazione, la determinazione concreta dei dirittisociali è condizionata al e, al tempo stesso, condiziona il livello (14)quali-quantitativo di benessere che la comunità di riferimento intende(o può permettersi di) garantire.

Si tratta, dunque, di un sistema fondato su di una sceltapolitica, si spera ponderata e consapevole. Un sistema che, tutta-via, proprio per questo, deve realisticamente mettere in conto sial’inazione del decisore politico ovvero l’assenza di una « politicacostituzionale » che realizzi i diritti sociali costituzionalmente af-fermati, sia la possibilità, per il medesimo decisore, di modificare“in corsa” l’assetto del sistema di protezione sociale dato, fruttoanch’esso di una scelta politica compiuta in un determinato con-testo socio-politico-economico-demografico, e per ciò stesso, fisio-logicamente destinata ad essere riconsiderata al mutare di quello.

Questa osservazione induce a un’ulteriore e centrale conside-razione sui diritti sociali così ricostruiti, che riguarda il senso stesso

(13) In questa prospettiva, il reddito minimo garantito in maniera incondizionata,sempre più spesso, anche populisticamente, evocato e invocato, sfugge alla logica dei dirittisociali, collocandosi, piuttosto, in quella della beneficienza pubblica, chiaramente rifiutatadai Costituenti attraverso il richiamo al dovere al lavoro. Neppure il reddito minimogarantito al solo ricorrere delle disagiate condizioni economiche integrerebbe la fattispeciedi diritto sociale di cui al testo, non contemplando il rispetto di quel dovere. Persino ilreddito minimo sottoposto alla duplice condizione delle disagiate condizioni economiche edel dovere di attivazione del beneficiario risulterebbe ultroneo rispetto al dettato costitu-zionale, riconoscendo l’art. 38, c. 1, Cost. solo agli inabili al lavoro il diritto al mantenimentoe all’assistenza sociale (vedi dibattito nell’Assemblea Costituente: Tripodina, 2013). Sipotrebbe, dunque, concludere per l’incostituzionalità del reddito minimo per contrasto congli art. 4, c. 2, e 38, c. 1, Cost.. Di opposto parere proprio Tripodina, 2013; Bozzao, 2011 eBronzini, 2011.

(14) Nella prospettiva multi-livello interna, ispirata al principio del riparto dellecompetenze tra Stato e autonomie, l’azione del legislatore italiano si dovrà conformare, poi,all’indicazione contenuta nell’art. 117, c. 2, lett. m, Cost. circa la « determinazione dei livelliessenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sututto il territorio nazionale », sulla quale, v., almeno: Ales, 2003; Pinelli, 2002.

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del loro assoggettamento al controllo di costituzionalità e della lorogiustiziabilità “contenutistica” a tutti i livelli.

Pur nella ben nota distinzione, si tratta, come altrettanto noto,di due piani reciprocamente interrelati, e, nel caso dei diritti aprestazione, spesso persino destinati a sovrapporsi, almeno qualoral’erogatore della prestazione sia una pubblica amministrazione chesi pone come primo interprete, aspirante-autentico verrebbe dadire, delle disposizioni che è chiamata ad applicare (15). Di qui,sovente, il concentrarsi, in concreto, del giudizio di costituzionalitàdi una norma che realizza diritti sociali sull’interpretazione, re-strittiva, datane dall’erogatore della prestazione nell’esercizio dellapropria discrezionalità.

Ed è proprio il tema della discrezionalità, del legislatore ancorprima che dell’amministrazione, consustanziale alla realizzazionedell’imperativo valoriale, spesso vago, sotteso al diritto socialecostituzionalmente affermato, a sollevare l’interrogativo rispetto aquella che potremmo definire legittimazione democratica del con-trollo costituzionale e giurisdizionale contenutistico, su atti, intrin-secamente politici, di determinazione/allocazione delle risorse di-sponibili (16).

Controllo che, è bene ricordarlo, l’art. 28 l. n. 87 del 1953,istitutiva della Corte costituzionale, esclude (tanto) recisamente(quanto vanamente), ritenendo, evidentemente, che la “lotta” peruna determinata « politica costituzionale » debba essere condottain Parlamento, massima espressione della democrazia rappresen-tativa, e non nella camera di consiglio della Consulta (17).

Peraltro, come noto, la tematica del check and balance assumerilievo ulteriore in considerazione della moltiplicazione e della

(15) V., di recente, il caso Stefanetti, sul quale infra.(16) V., a tal proposito, la posizione assunta da Palmiro Togliatti in Assemblea

Costituente: Tripodina, 2013. In generale, sulle problematicità connesse al controllo dicostituzionalità, Pasquino, 2006.

(17) Non pare dirimente l’obiezione circa la nomina parlamentare di alcuni giudicidella Corte, non potendosi, ovviamente, configurare, nei loro confronti, un vincolo dimandato. Pericolosa pare, poi, l’osservazione relativa alla crisi del sistema rappresentativoparlamentare e della sua autorevolezza, trattandosi di rilievo destinato soltanto ad alimen-tare un pensiero oligarchico ed elitistico, peraltro tipico anche di alcuni giuslavoristi, chevorrebbe prescindere dalle (è vero, talvolta scarse) qualità intellettuali dell’elettore medio ilquale, tuttavia, rimane l’asse portante e indispensabile della sovranità democratica asuffragio universale.

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sempre più complessa interrelazione dei livelli ordinamentali aiquali si collocano le fonti costitutive ed attuative dei diritti sociali:livelli dotati, tutti, di propri organismi di controllo, “costituzio-nali”, giurisdizionali o para-giurisdizionali (18).

Ritornando alla discrezionalità operativa, occorre non sotto-valutare, poi, il ruolo che la pubblica amministrazione svolgenell’attuazione dei diritti sociali così definiti.

Riflessione, questa, che porta, per ultimo ma non da ultimo, adenfatizzare il peso che, nella realizzazione dei diritti sociali, deveessere attribuito all’efficienza e all’efficacia dei soggetti erogatoridelle prestazioni, siano essi pubblici, per i quali quei principiassumono rango costituzionale (art. 97 Cost.), o privati.

Ovviamente la riflessione su efficienza ed efficacia riporta aldiscorso sui costi, in termini di strumenti adeguati alla realizza-zione dei diritti sociali. Il costo della prestazione, dunque, non silimita all’erogazione in denaro nella quale essa eventualmente sisostanzia, ma include il costo organizzativo della sua erogazione o,qualora inefficacie e inefficiente, il costo socio-economico della suadenegazione.

Dalla prospettazione proposta, derivano i punti focali dellariflessione che si intende sviluppare.

2. Le fonti costitutive dei diritti sociali e i loro rapporti nell’ordina-mento multilivello: alla ricerca di un sistema e dei suoi contenuti.

Il primo punto riguarda le fonti costitutive dei diritti sociali, iloro contenuti e la possibilità di una loro riconduzione a sistemanell’ordinamento multilivello.

In questa prospettiva, un veloce passaggio descrittivo, unasorta di catalogo delle fonti, si impone, dato il loro numero impo-nente. Infatti, tutti i livelli regolativi classici si sono occupati didiritti sociali: il livello nazionale, attraverso la Costituzione; illivello sovranazionale ovvero dell’Unione Europea, attraverso la

(18) Ci si riferisce, qui, ai vari comitati di esperti chiamati a valutare la correttaapplicazione da parte degli Stati contraenti degli obblighi internazionali pattizi assunti:Carta Sociale Europea, Principi comuni, Convenzioni OIL. Sul valore problematico diqueste “giurisprudenze” v. il caso emblematico del diritto all’azione collettivo nelle sentenzedella Corte EDU Demir e Baykara, da un lato, e RTM, dall’altro: De Stefano, 2014a e Id.,2014b.

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Carta dei diritti fondamentali, così come integrata dai Trattati; illivello internazionale, per il tramite del Consiglio d’Europa, attra-verso la Convenzione dei diritti umani e la Carta Sociale Europea,e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), attraverso laDichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Patto Interna-zionale di New York relativo ai Diritti Economici, Sociali e Cul-turali, la Convenzione sui diritti dell’infanzia e la Convenzione suidiritti delle persone con disabilità.

Si tratta, ovviamente, di strumenti giuridici molto diversi traloro, i quali, tuttavia, proprio in ragione della loro interrelazione,tendono ad un ambito soggettivo di applicazione coincidente:l’essere umano, pur nelle sue diverse dimensioni, individuale, la-tamente familiare e/o professionale anche collettiva.

Questi strumenti tendono, inoltre, anche qui in larga parte, adavere un centro di imputazione unitario dei costi economici direalizzazione dei diritti sociali che affermano ovvero il soggettopolitico nazionale nei confini della quale soggiornano l’individuo e lasua famiglia, spesso, ma non sempre, coincidente con la comunitàprofessionale nella quale l’individuo è attivo. Ciò comporta uninevitabile sovraccarico finanziario della comunità nazionale, afronte di una scarsa, se non inesistente, partecipazione finanziariadelle comunità sovranazionali o internazionali che quei dirittihanno posto, seppure con l’accordo (19) del soggetto politiconazionale chiamato a realizzarli (20).

Venendo al sistema dei diritti sociali nell’ordinamento multi-livello, una prima considerazione, ovvia, ma che è necessarioribadire, riguarda la profonda differenza, sul piano giuridico (21),tra i rapporti che intercorrono tra ordinamento nazionale e ordi-namento comunitario, da un lato, rispetto agli obblighi assuntidall’Italia nei confronti degli organismi internazionali dei quali faparte, dall’altro.

L’integrazione comunitaria, determina, infatti, un’osmosi tra

(19) Almeno in linea di principio. Ma sul punto v. infra, con particolare riferimentoal ricorso al diritto di proprietà al fine di configurare un diritto a prestazioni sociali.

(20) Un tema centrale è, qui, naturalmente, quello della libertà di circolazione,stabilimento o soggiorno, sul quale torneremo più avanti.

(21) Più volte sottolineata dalla Corte costituzionale, soprattutto dopo l’entrata invigore del nuovo testo dell’art. 117, c. 1, Cost. a partire dalle sent. nn. 348 e 349 del 2007.Sul punto v. almeno: Panzera, 2009; Ruggeri, 2010.

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livello nazionale e sopranazionale che non trova riscontro negliobblighi internazionali, i quali, almeno nei sistemi dualistici qualequello italiano, vincolano lo Stato come parte contraente e, solo informa mediata, producono effetti sul suo ordinamento interno. Ciòrisulta vero anche laddove il livello internazionale sia dotato di unapropria giurisdizione, come nel caso del Consiglio d’Europea con laCorte Europea dei Diritti Umani (d’ora in avanti Corte EDU),custode dell’omonima Convenzione (d’ora in avanti CEDU).

Di contro, qualora l’Unione Europea sia parte contraente eabbia approvato uno strumento internazionale, quest’ultimo siintegra nel sistema comunitario e determina un’interpretazione deldiritto derivato dell’Unione per quanto possibile conforme, inci-dendo, così, indirettamente, anche sulla conformità comunitariadel diritto nazionale (sentenze HK Danmark, Z. e Glatzel) (22).

Interpretazione conforme e disapplicazione del diritto internoda parte del giudice nazionale, rimangono, dunque, riferibili al solodiritto dell’Unione, mentre il diritto internazionale, per imporsi,necessita di una dichiarazione di illegittimità costituzionale dellanorma interna che eventualmente lo contraddica.

Ciò non impedisce, come vedremo, che uno Stato venga con-dannato dalla Corte EDU a risarcire il singolo il cui diritto siaritenuto violato, ma comporta che, nei sistemi dualistici, sia ap-punto lo Stato, quale parte contraente, e non l’ordinamento, asubire le conseguenze del mancato rispetto degli obblighi interna-zionali assunti e a potervi porre rimedio attraverso un auto-adeguamento (23).

(22) Un esempio significativo in tal senso è costituito dalla Convenzione ONU suidiritti delle persone con disabilità, ampiamente utilizzata dalla Corte di giustizia, incombinato disposto con l’art. 5 della direttiva 78/2000/CE, per condannare recentementel’Italia per non aver approntato le « soluzioni/accomodamenti ragionevoli » richieste siadalla Convenzione che dalla direttiva, in favore dei lavoratori disabili: Commissione c.Repubblica Italiana, C-312/11. Sul punto v. infra. Peraltro, la rilevanza che il dirittointernazionale pattizio potrebbe assumere nei confronti del sistema giuridico dell’Unionetrova conferma indiretta nel parere negativo reso dalla stessa Corte di giustizia sulProtocollo di adesione dell’Unione Europea alla Carta EDU (Parere 2/2013 del 18 dicembre2014), quasi (o proprio) a rimarcare l’incommensurabilità dei due sistemi giuridici el’impossibile coesistenza delle due Corti, una volta collegate le due giurisdizioni.

(23) Per una interessante ricostruzione de iure condito e de iure condendo dell’in-fluenza del diritto internazionale pattizio e, in particolare, di quello prodotto nell’ambito delConsiglio d’Europa, sui sistemi di sicurezza sociale, verrebbe da dire soprattutto conriferimento ai sistemi monistici, v. Becker, 2015; Pieters, 2015; Kapuy, 2015.

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Nel ricostruire il sistema dei diritti sociali nell’ordinamentomultilivello in una prospettiva italiana, sembra, quindi, opportunoprivilegiare il rapporto tra Costituzione e Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione Europea (d’ora in avanti Carta UE) (24), cosìcome integrata dai Trattati sull’Unione e, soprattutto, sul suofunzionamento (d’ora in avanti, rispettivamente, TUE e TFUE).

In una simile prospettiva, dialogica e integrata, possono rien-trare nella definizione di diritti sociali sopra proposta: il diritto allavoro, il diritto alla previdenza sociale e all’assistenza sociale, ildiritto all’abitazione, il diritto alla conciliazione della vita profes-sionale con quella familiare, il diritto delle persone disabili all’in-serimento, il diritto alla salute e il diritto all’istruzione.

Peraltro, tutti questi diritti presentano legami più o menoevidenti con la condizione lavorativa, la quale, come detto, costi-tuisce il perno di questa riflessione. Si tratta, ovviamente, dilegami storicizzati che mutano al mutare della percezione dell’ap-porto che il lavoro è chiamato a fornire alla realizzazione dellacittadinanza sociale (25).

Questa caratteristica pare emergere con chiarezza per ciò checoncerne: a) il diritto alla salute, un tempo e anche oggi, in moltiordinamenti europei, condizionato, direttamente o indiretta-mente (26), alla titolarità di un rapporto di lavoro, titolarità chegarantisce ora, in Italia, “soltanto” la tutela della salute nel luogoe nel rapporto di lavoro; b) il diritto delle persone disabili all’inse-rimento professionale, che, a partire dalla primitiva impostazionedel collocamento obbligatorio, si è evoluto nel collocamento mi-rato, al quale si è aggiunto l’obbligo datoriale di garantire « acco-modamenti ragionevoli » (27); c) il diritto all’istruzione, che cicli-camente si è aperto e (colpevolmente) chiuso all’osmosi con ilmondo del lavoro e della formazione professionale; d) il diritto allaconciliazione della vita professionale con quella familiare, a seguitodel superamento, almeno sul piano legislativo, del principio ditutela della sola madre nell’adempimento della sua « essenziale

(24) Sul confronto tra Costituzione e Carta UE in materia giuslavoristica v. già i duenumeri monografici della RDPE 2008 (1 e 2).

(25) Di Gaspare, 2008; Groppi, 2012; Hoop, 2014; Nogler, 2009; Pinelli, 2009;Rescigno, 2009; Tanghe, 2014.

(26) Vedi familiari a carico della persona che lavora.(27) Sul punto v. infra § 2.3.

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funzione familiare » (art. 37 Cost.), funzione riconosciuta ora, al-meno in linea di principio, alla figura genitoriale, senza distinzionedi genere e di orientamento sessuale.

Sia pure con diverse gradazioni, in tutti i diritti evocati, ilnesso con la condizione lavorativa si colloca nell’ambito dellaprospettazione dei diritti sociali sopra proposta ovvero della ga-ranzia di prestazioni connesse a quella condizione, sia essa passata,presente o futura.

Potendo prescindere dagli assetti normativi positivi, si po-trebbe sintetizzare il sistema giuslavoristico dei diritti sociali mul-tilivello in due macro sotto-sistemi: quello del diritto-dovere allavoro, nel quale ricomprendere i) il diritto all’istruzione — purconsapevoli della contrarietà che, in Italia, la semplice connessionedell’istruzione al lavoro tuttora incontra —, ii) il diritto ai serviziper l’impiego (28) e il diritto delle persone disabili all’inserimento,quale ideale completamento del loro diritto ad un collocamentomirato e agli « accomodamenti ragionevoli », iii) il diritto a presta-zioni in denaro e servizi, le quali consentano la reale conciliazionedella vita professionale con quella familiare e, iv) il diritto all’as-sistenza sociale, quale surrogato dell’attività lavorativa, incondi-zionato per l’inabile totale, condizionato all’attivazione per l’ancheminimamente abile, proprio in presenza del collocamento mirato edegli « accomodamenti ragionevoli »; e un secondo sotto-sistema,quello del diritto alla previdenza sociale, nel quale ricomprendere leprestazioni collegate alla condizione lavorativa, ivi incluse quellevolte a garantire la prevenzione, la protezione e la cura della salutedel lavoratore.

Gli assetti normativi positivi richiedono, tuttavia, di analiz-zare partitamente i suddetti diritti.

2.1. Il diritto al lavoro.

Di complesso inquadramento ma di centrale rilevanza per ilnostro ragionamento è il diritto al lavoro (29).

(28) Per evidenti motivi di spazio, non si tratterà del diritto alla formazione profes-sionale, pure garantito dall’art. 35 comma 2 Cost., il quale, probabilmente, costituisce unautonomo sottosistema nell’ambito dei diritti sociali. Sul punto v., però, almeno, Loffredo2012.

(29) Alaimo, 2009; D’Antona, 1999.

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Dal combinato disposto degli art. 5 e 15 Carta UE (30), essoemerge, infatti, più come diritto di libertà che come diritto so-ciale (31), per l’assenza di un corrispettivo dovere al lavoro, impo-sto, invece, come rilevato in apertura, dall’art. 4, c. 2, Cost.Peraltro, l’art. 5 vieta non solo il lavoro forzato, ma anche l’impo-sizione di un lavoro obbligatorio (32), ponendo pesanti interroga-tivi circa la legittimità stessa delle politiche di workfare (33)estremo, intendendosi per tali quelle che condizionano la titolaritàdi prestazioni assistenziali all’accettazione di una qualsiasi attivitàlavorativa (34).

In favore della qualificazione del diritto al lavoro in termini didiritto sociale, milita, invece, l’art. 29 Carta UE (35), il qualericonosce il diritto di ogni persona ad accedere a un servizio dicollocamento gratuito, ponendo, però, l’interrogativo circa la pre-senza di un obbligo « a istituire [...] servizi gratuiti in materia dioccupazione per tutti i lavoratori », come previsto dall’art. 1(3)della Carta Sociale Europea, o di un semplice diritto di accesso, nelcaso il servizio già esista. Né, a questo riguardo, può venire insoccorso l’art. 36 della Carta UE (36), che, pur occupandosi diservizi di interesse generale, nei quali ben possono rientrare iservizi per l’impiego, si limita a riconoscerne e a rispettarne l’ac-cesso, senza configurare un obbligo di loro istituzione.

D’altro canto, occorre ricordare che la Costituzione italiananeppure menziona i servizi per l’impiego (o, con espressione più inlinea con quei tempi, il collocamento), dovendosi ritenere la loro“costituzionalizzazione” frutto di una meritoria riflessione dottri-nale (37), volta a conferire significato al diritto al lavoro tout court,riflessione che potrebbe essere estesa anche al diritto dell’Unione,

(30) Ashiagbor, 2014a.(31) Pare davvero ingeneroso nei confronti della Carta UE parlare di « diritto

negato » come fa Cantaro, 2007. Per una diversa prospettiva v., almeno, Alaimo, 2009; Ales,2001 e Giubboni, 2006.

(32) Sul punto già Ales, 2001.(33) Da ultimo Dermine, Dumont, 2014.(34) Forse a questo tipo di condizionalità si riferisce la critica di Gragnoli, 2012. Sulla

dubbia compatibilità delle politiche di workfare estremo con la Carta EDU: Mantouvalou,2013.

(35) Ashiagbor, 2014b.(36) Szyszczak, 2014. Sul tema, in generale, cfr. Gottardi, 2010, 538 ss.(37) Rusciano, 1999.

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visto che, avvicinandosi molto all’art. 4, c. 1, Cost., l’art. 15, par.1, della Carta UE, recita: « ogni persona ha il diritto di lavorare ».

Il riferimento all’art. 36 Carta UE, in materia di servizi diinteresse generale, consente, tuttavia, di chiarire immediatamenteil senso del richiamo alle norme dei Trattati quali previsioniintegrative della Carta. La disposizione sui servizi di interessegenerale, la quale sintetizza fedelmente e felicemente il sensodell’art. 14 TFUE sullo stesso tema, e che, per questo, nellespiegazioni della Carta UE viene portata ad esempio “virtuoso” dinorma che non riconosce nuove competenze in favore dell’Unione,non solo, infatti, come detto, può ben essere riferita ai servizi perl’impiego, ma, per stessa ammissione della Commissione Euro-pea (38), anche a tutti i servizi sociali di interesse generale (SSIG),compresi quelli previdenziali.

Le espressioni che contiene, « riconoscimento » e « rispetto »,riferite all’Unione, collegate alla ribadita « competenza degli Statimembri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finan-ziare tali servizi », di cui all’art. 14 TFUE, connotano, dunque,l’art. 36 (e tutte le altre disposizioni della Carta UE che utilizzanoespressioni simili) quali disposizioni “permissive” dell’inserimentodei diritti sociali in un contesto nel quale devono convivere conprincipi potenzialmente confliggenti con le loro usuali modalità direalizzazione.

Si pensi, per rimanere in tema di servizi (economici) di inte-resse generale, al potenziale contrasto tra finanziamenti pubblicierogati per compensare il “costo effettivo” sostenuto dalle impreseche prestano detti servizi e la disciplina restrittiva degli aiuti diStato in favore delle medesime imprese (artt. 107-109 TFEU) (39).

2.2. Il diritto alla previdenza e all’assistenza sociale.

Allo stesso modo, ma in maniera più specifica, l’Unione, all’art.34(1) (40) « riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni disicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casiquali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipen-denza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro,

(38) COM(2007) 725 def.(39) Tebano, 2012.(40) Ales, 2008.

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secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni eprassi nazionali »; mentre, all’art. 34(3), al fine di lottare control’esclusione sociale e la povertà, riconoscimento e rispetto vengonotributati al « diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abita-tiva (41) volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro chenon dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite daldiritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. ».

Si tratta, dunque, come detto, di diritti sociali la cui realizza-zione è consentita (« riconosce » e « rispetta »), secondo le modalitàstabilite dal diritto dell’Unione e realizzata dalle legislazioni eprassi nazionali. Alla domanda “quale diritto dell’Unione”, oc-corre, anzitutto, dare una risposta in linea con quella data inprecedenza: le norme dei Trattati (e il diritto secondario cheeventualmente le attua) in materia di libera circolazione lavoratori(artt. 45-48 TFUE), libertà di stabilimento (artt. 49-55), liberaprestazione di servizi (artt. 56-62), spazio di libertà, sicurezza egiustizia (art. 67), concorrenza imprese (artt. 101-106) e aiuti diStato (artt. 107-109).

L’affermazione del « diritto alla sicurezza sociale e all’assi-stenza sociale » si riduce, quindi, ad un “via libera” condizionato alrispetto del diritto dell’Unione (in questo caso concorrenza e liberaprestazione dei servizi) e ad un rinvio alle legislazioni e prassinazionali? In effetti, se si adotta la nozione minimalista di dirittodell’Unione propugnata dalla Corte di giustizia (sentenze ÅkerbergFransson e Poklava tra le tante), le sole disposizioni rilevanti ainostri fini sono le norme dei Trattati, le quali, tuttavia, come noto,non affermano alcun diritto alla sicurezza e all’assistenza sociale.

Non lo afferma l’art. 151 TFUE, che si limita a “tenere conto”della Carta Sociale Europea e della Carta dei diritti sociali fonda-mentali dei lavoratori del 1989, ribadendo, così, per la prima, lanatura di strumento internazionale, vincolante, nei sistemi duali-stici come quello italiano, lo Stato quale parte contraente, ma nondirettamente incidente sul suo ordinamento; per la seconda, lafunzione di supporto valoriale eventuale all’azione degli organismicomunitari e degli Stati membri.

Non lo afferma, l’art. 153(1), lett. c, TFUE, che riconosce incapo agli organismi comunitari una competenza concorrente con gli

(41) Sul quale si tornerà in seguito.

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Stati membri in materia di « sicurezza sociale e protezione socialedei lavoratori », competenza che, se esercitata all’unanimità, puòdar luogo a direttive che fissano requisiti minimi, con il limite dinon compromettere « la facoltà riconosciuta agli Stati membri didefinire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza so-ciale » e di non « incidere sensibilmente sull’equilibrio finanziariodello stesso » (art. 153(4) alinea TFUE).

Non lo affermano, infine, le disposizioni in materia di lottaall’esclusione sociale e modernizzazione dei sistemi di protezionesociale (art. 153(1) j e k TFUE), in quanto anch’esse attributive dicompetenze, peraltro di solo coordinamento (42).

Dunque, in quanto diritto fondamentale dell’Unione, il dirittoalla sicurezza sociale e all’assistenza sociale, come d’altronde moltialtri dei diritti enunciati nella Carta UE, è un diritto vuoto dicontenuti e pieno di limiti, i quali ultimi, se si escludono quelli di cuiall’art. 153(4) alinea TFUE, agiscono sui sistemi nazionali disicurezza sociale con logiche, come detto, sovente del tutto estra-nee alla materia, e, proprio per questo, spesso perturbandoli (43).

Quindi, al netto dei vincoli e, occorre aggiungere, del principiodi libera circolazione, che, invece, come vedremo più avanti, risultadecisivo sul piano della titolarità, il diritto dell’Unione lascia ildiritto nazionale solo (44) nella determinazione contenutistica deldiritto alla previdenza (sicurezza) e all’assistenza sociale.

Acclarata, con riferimento al diritto in questione, la debolezzadella prospettiva multilivello, per individuarne i contenuti, oc-corre, dunque, volgere lo sguardo all’ordinamento nazionale.

La vicenda dell’art. 38 Cost. è troppo nota e anche troppocomplessa per poter essere oggetto, in questa sede, di una detta-gliata ricostruzione (45). Tuttavia, ai fini del nostro ragionamento,alcune considerazioni, non brevi, si impongo.

(42) Sul punto cfr., però, Schokens, 2015.(43) Fuchs, 2009.(44) Non convince la proposta interpretativa avanzata in dottrina (Pessi, 2008

ripreso da Battisti, 2008), peraltro in forma dubitativa, secondo la quale in Robins, la Cortedi giustizia avrebbe riconosciuto un diritto “comunitario” a prestazioni adeguate. Comeribadito dalla Corte anche nella successiva Hogan, il punto è, piuttosto, che l’art. 8 delladirettiva insolvenza può dirsi correttamente attuato solo qualora il meccanismo di garanziaprevisto dallo Stato membro riconosca almeno il 49% della prestazione che sarebbe statadovuta al lavoratore in condizioni normali.

(45) Per tutti Persiani, 1979.

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Mentre, infatti, il primo comma dell’art. 38, afferma con chia-rezza il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, circoscri-vendone la titolarità agli inabili al lavoro che versino in disagiatecondizioni economiche (46), il secondo comma dell’art. 38 affermail diritto, che atecnicamente potremmo definire imperfetto, allagaranzia di mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori, alverificarsi dei più classici rischi/eventi che li possono privare dellacapacità/fonte di reddito. Diritto imperfetto, in quanto manca diuna indicazione, anche minima, circa quelle che sono state effica-cemente definite « le caratteristiche modali della tutela accor-data » (47), per brevità, d’ora in avanti, il quomodo.

La considerazione secondo la quale l’art. 38, c. 2, Cost. sia unanorma imperfetta, trova, peraltro, conferma nel dibattito in senoall’Assemblea Costituente (48), durante il quale, da più parti, si erainsistito nel fornire un’indicazione circa il quomodo della garanziadei mezzi adeguati, ora riferendosi esplicitamente alle « assicura-zioni sociali » (Togliatti), ora proponendo l’introduzione di un nessocondizionale rispetto all’attività lavorativa svolta (« in ragione dellavoro che prestano »: Dossetti).

In assenza di simili o altre specificazioni, la generica garanziadei mezzi adeguati prevista dall’art. 38, c. 2, Cost., già all’indomanidell’entrata in vigore della Costituzione, è sembrata destinata adegradare, consustanzialmente, da diritto costituzionale a dirittolegislativo.

Quello che si vuole qui sostenere, è che, in assenza di specifi-cazioni “modali”, l’ultra-sessantennale riflessione, soprattutto giu-risprudenziale, sull’art. 38, c. 2, Cost., ha invertito la sequenzalogica tipica del ragionamento giuridico, sovrapponendo la rifles-sione sul quomodo a quella sul quid del diritto (i mezzi adeguati),con l’effetto che il (quantum del) quid è risultato profondamenteinfluenzabile e influenzato dalle soluzioni tecniche contingentiadottate dal legislatore, rispetto, appunto, al quomodo, determi-nando una sorta di “costituzionalizzazione” di quelle soluzioni.

Ed è quanto avvenuto con l’adozione del metodo retributivo dicalcolo della prestazione pensionistica, al quale ha fatto seguitol’erronea equiparazione funzionale, in termini di “retribuzione

(46) Per tutti, Sandulli, 1989.(47) Cinelli, 2012, 139.(48) Pelliccia, Tandoi, 2015; Tripodina, 2013.

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differita”, tra retribuzione e prestazione pensionistica, dimenticadel fatto che, anche se quest’ultima è calcolata utilizzando quelmetodo, essa risponde a una logica profondamente diversa: laretribuzione essendo primariamente legata al principio di corrispet-tività lavoristica, la prestazione previdenziale, quale che sia il suometodo di calcolo, a quello di corrispettività previdenziale, condi-zionata, a sua volta, dalla determinazione politica dell’equilibrioeconomico, sociale e demografico-attuariale del sistema (49).

Il metodo retributivo in particolare, tanto più in presenza diun minimale e di un massimale di retribuzione imponibile, sfugge,infatti, alla razionalità giuridica e si colloca nell’alveo della razio-nalità politica sottesa a ciascuna scelta di allocazione di risorse(pubbliche o private), che caratterizza, invece, la corrispettivitàprevidenziale (50).

(49) Nel momento in cui si invoca il principio di corrispettività, occorre, infatti,essere avvertiti del fatto che esso non trova applicazione nel diritto del lavoro e dellaprevidenza sociale nella sua forma pura. La corrispettività lavoristica è, infatti, quellachiaramente indicata dall’art. 36, c. 1, Cost. in termini di proporzionalità quali-quantitativatra prestazione resa e retribuzione dovuta al lavoratore. In questo caso, tuttavia, l’affermazionedel principio di sufficienza che dovrebbe correggere (« comunque ») quello di proporziona-lità, ha portato ad escludere che si possa parlare di corrispettività pura: Zoppoli L., 1991. Lacorrispettività previdenziale ovvero quella tra contribuzione e prestazione previdenziale, nontrova, invece, riscontro a livello costituzionale, proprio in assenza di un richiamo, nell’art.38, c. 2, Cost., non solo a un qualsiasi principio relazionale (proporzionalità o analoghi) tracontribuzione e prestazione, ma anche e, soprattutto, al quomodo della realizzazione deimezzi adeguati, assenze, queste, che hanno portato a escludere persino la presenza neces-sitata di un nesso relazionale tra contribuzione e prestazione previdenziale, tanto daindividuare, quale elemento portante del sistema, il principio del bisogno e non quello delrischio: Persiani, 1985. Così, come nel caso della corrispettività lavoristica la prestazionelavorativa è una delle determinanti della retribuzione, essendo il principio di proporziona-lità, come detto, corretto da quello di sufficienza, nel caso della corrispettività previdenziale,affermata dal diritto legislativo ma non a livello costituzionale, la contribuzione versata èuna delle determinanti, peraltro solo eventuale, della prestazione previdenziale (o disicurezza sociale). In entrambi i casi, pare evidente come il principio di corrispettività, sialavoristica che previdenziale, non sia in grado di garantire il ����� degli artt. 36 e 38 Cost.(rispettivamente, esistenza libera e dignitosa e mezzi di vita adeguati), senza le necessariecorrezioni “politiche”, le quali, nei fatti, lo ridimensionino o, persino, lo mettano indiscussione (come nel caso dell’approccio di sicurezza sociale sopra richiamato).

(50) La stessa Corte di giustizia UE ha affermato che nell’ambito di uno schemalatamente assicurativo, in quanto finanziato da contributi e non, integralmente, dallafiscalità generale, la corrispettività pura, non corretta da una dose sufficiente di solidarietà,seppure intra-categoriale, esclude la natura previdenziale del sistema, configurando l’entegestore come impresa e sottoponendolo, dunque, alle regole del TFUE in materia di

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Vale la pena ricordare come, nell’ordinamento nazionale, l’in-dividuazione di un nesso diretto tra retribuzione e prestazionepensionistica, originariamente operata dalla Corte costituzionale ameri fini strumentali (51), abbia determinato, almeno per un certoperiodo, l’attrazione delle prestazioni pensionistiche nell’orbitadell’art. 36 Cost., e un utilizzo alquanto singolare del principio diproporzionalità, invocato quale surrogato del principio di corri-spettività previdenziale, erroneamente ritenuto non applicabile almetodo retributivo di calcolo della prestazione.

Di qui, anche l’affermazione, nella giurisprudenza costituzio-nale degli anni Sessanta (52), dell’inconferenza dell’art. 38 Cost.,recuperato tardivamente, e solo in tandem con l’art. 36 Cost., in

concorrenza e libera prestazione di servizi (sentenze Cisal e Kattner tra le tante). Anche laCorte di giustizia è, tuttavia, incorsa nel medesimo errore rilevato nel testo, laddove, al finedi dichiarare discriminatoria la previsione di una diversa età pensionabile tra uomini edonne, ha pensato di superare l’ostacolo costituito dalla direttiva n. 79/7/CE, che taledifferenziazione consente, affermando la natura retributiva delle prestazioni previdenzialicalcolate con il metodo retributivo ed erogate nell’ambito di un sistema categoriale, qualesarebbe il pubblico impiego (!?), assoggettandole, dunque, al divieto di discriminazione dicui all’art. 157 TFUE (Commissione contro Repubblica Italiana C-46/07). Sul punto, pertutti, Bonardi, 2013.

(51) Vale la pena richiamare testualmente il passaggio cruciale della sentenza n. 3 del1966 nella quale la Corte afferma che « la retribuzione dei lavoratori — tanto quellacorrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, a fini previdenziali, allacessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o diquiescenza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore e ai suoi aventi causa — rappresenta, nelvigente ordine costituzionale [...], una entità fatta oggetto, sul piano morale e su quellopatrimoniale, di particolare protezione. L’art. 36 garantisce espressamente il diritto ad unaretribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni casosufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. E nonappare compatibile con i principi ispiratori di questo precetto costituzionale collegareindiscriminatamente (come fa l’art. 28, n. 5, del Codice penale, integrato dall’art. 29), per ilpersonale degli enti pubblici e i loro aventi causa, la perdita di tale diritto al fatto che iltitolare di esso abbia riportato la condanna a una certa pena detentiva ». Si tratta, dunque,di una pronuncia resa in un caso molto particolare, nel quale, la Corte, chiamata a valutarela costituzionalità di una norma in base alla quale l’interdizione dai pubblici uffici compor-ta(va) la privazione « degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico delloStato o di un altro ente pubblico » (appunto l’art. 28, n. 5, del Codice penale, integratodall’art. 29), al limitato fine di rimanere nell’ambito dell’art. 36 quale parametro dicostituzionalità indicato dal remittente, forza il concetto di retribuzione per ricomprenderviquelli di « pensioni » e « assegni ».

(52) C. cost. n. 124 del 1968, la quale, però, è bene sottolinearlo, si riferisce al sistemadel pubblico impiego, nel quale, in effetti, la prestazione previdenziale poteva con qualcheragione essere intesa in termini di retribuzione differita, in assenza di un meccanismo di

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una prospettiva di immedesimazione funzionale tra le due dispo-sizioni che ha finito per diventare anche osmosi strutturale, nellaquale la proporzionalità si sostituisce alla corrispettività e l’ade-guatezza alla sufficienza, subordinando la discrezionalità del legi-slatore all’interesse dei beneficiari del caso concreto, a detrimentodell’equilibrio complessivo e della sostenibilità, presente e futura,del sistema (53).

L’impostazione descritta è sempre rimasta latente nella giuri-sprudenza della Corte, anche quando, dalla fine degli anni ot-tanta (54), essa ha iniziato a valorizzare il principio del bilancia-mento complessivo degli interessi costituzionali, nel quadro dellecompatibilità economiche e finanziarie, ed è riemersa, prepotente-mente ma non inaspettatamente (55), nella recentissima, ma giàcommentatissima (56), sentenza n. 70 del 2015, la quale ha dichia-rato l’illegittimità costituzionale dell’azzeramento del meccanismodi perequazione (57).

Secondo la Corte, infatti, « [s]i profila con chiarezza, a questoriguardo, il nesso inscindibile che lega il dettato degli artt. 36,primo comma, e 38, secondo comma, Cost. [...]. Su questo terrenosi deve esercitare il legislatore nel proporre un corretto bilancia-mento, ogniqualvolta si profili l’esigenza di un risparmio di spesa,nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo [...] ».

Al di là della prospettazione, sopra criticata, della prestazioneprevidenziale in termini di “retribuzione differita”, della sentenzapreme sottolineare il riferimento al vincolo di scopo, riferimentoche risulta molto promettente nella prospettiva qui assunta. So-prattutto se messo in connessione con il passaggio della sentenzasecondo il quale: « [l]a disposizione concernente l’azzeramento delmeccanismo perequativo [...] si limita a richiamare genericamentela “contingente situazione finanziaria”, senza che emerga dal dise-gno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie

finanziamento analogo a quello del settore privato: Avio, 2008; Colapietro, 1996; D’Onghia2013.

(53) C. cost. n. 26 del 1980.(54) C. cost. n. 220 del 1988, n. 99 e 390 del 1995, tra le tante.(55) C. cost. n. 316 del 2010.(56) Bozzao, 2015; Cinelli, 2015.(57) Art. 24, c. 25, d.l. n. 201 del 2011, conv., con modificazioni, dalla l. n. 214/2011.

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sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuanointerventi così fortemente incisivi ».

Secondo la Corte, dunque, la ragionevolezza della scelta èdeterminata dalla sua razionalità, la quale, a sua volta, deve esserechiara e, soprattutto, mirata in termini di (in)sostenibilità finan-ziaria del sistema, nella prospettiva, complessiva, del pareggio dibilancio, così come disciplinato dagli artt. 97, c. 1, e 81 Cost. (58),i quali diventano, dunque, parametri essenziali del giudizio dicostituzionalità delle disposizioni di legge riguardanti i diritti so-ciali.

In questi termini condivisibili, si profila un’indicazione dellaCorte riferita, non tanto, ad una generica irragionevolezza del-l’azzeramento, indicazione che risulterebbe prettamente “poli-tica” (59), ma ad una irrazionalità dello stesso, in assenza di undisegno, complessivo e coerente, di rimodulazione della spesapubblica e, dunque, di riallocazione delle risorse.

Nel caso in cui un provvedimento di ridimensionamento (inriallocazione) della spesa pubblica risultasse razionale ovvero coe-rente rispetto a un disegno complessivo, il legislatore tornerebbepadrone di determinare, all’esito del processo democratico parla-mentare, la propria razionalità, nel merito sottratta al giudiziodella Corte (60).

Peraltro, il rischio insito nella sovrapposizione/inversione dellalogica dei piani (tra quid e quomodo), è emerso con tutta chiarezzaal mutare del quadro normativo realizzatosi negli anni No-vanta (61), nel quale il metodo contributivo a capitalizzazione, siapure virtuale, prende (molto gradualmente, almeno fino al 2011) ilposto di quello retributivo a ripartizione, modificando radical-mente i termini della questione, se non altro quella relativa alrapporto tra artt. 36, c. 1, e 38, c. 2, Cost., evidenziando lanecessità e, potrebbe dirsi, l’urgenza, di una riflessione sul (quan-tum del) quid (cioè i mezzi adeguati), posta a monte di quella sulquomodo (sistema retributivo o contributivo, ma anche previdenzasociale — sicurezza sociale), riflessione che dovrebbe anche verifi-

(58) Sul nuovo art. 81 Cost.: Di Gaspare, 2014; sul nuovo art. 97: Bottino, 2014.(59) Sul punto v. infra.(60) Sul punto v. infra.(61) l. n. 335 del 1995.

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care la coerenza “costituzionale” del quomodo (in questo caso ilmetodo contributivo a capitalizzazione) rispetto al quid.

Esemplare, da questo punto di vista, è la vicenda del fonda-mento costituzionale della previdenza complementare, indivi-duato, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (62), nell’art.38, c. 2, in quanto essa « concorre ad assicurare funzionalità edequilibrio all’intero sistema pensionistico, in corrispondenza del-l’obiettivo perseguito dal legislatore di coniugare l’entità della spesapensionistica, da ricondurre a parametri sostenibili, con un piùadeguato livello di copertura previdenziale ».

Il diritto ai mezzi adeguati si configura, dunque, evidente-mente, quale diritto legislativo a limiti giurisprudenziali variabilipiuttosto che diritto costituzionale.

2.3. Il diritto dei disabili all’inserimento professionale.

Un terzo diritto sociale “riconosciuto” e “rispettato” dallaCarta UE è quello, di cui all’art. 26, « delle persone con disabilità dibeneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimentosociale e professionale e la partecipazione alla vita della comu-nità » (63). Diritto che si pone in stretta connessione con il divietodi discriminazione sancito, con riferimento, tra l’altro, alla disabi-lità, dall’art. 21, par. 1, Carta UE (64). Anzi, si può dire che lemisure promozionali stabili (per ciò stesso non qualificabili comeazioni positive), nelle quali il diritto sociale si sostanzia, perse-guono proprio l’obiettivo di rendere effettivo quel divieto, nellaprospettiva della parità di trattamento e delle pari opportunitàall’inserimento sociale del disabile. Peraltro, la riconduzione aldiritto antidiscriminatorio, pilastro del diritto dell’Unione, contri-buisce anche a superare, nei confronti del diritto in questione, lariserva posta dall’art. 51, par. 1, Carta UE (65) rispetto all’opera-tività dei principi e dei diritti in essa sanciti.

Non è un caso, dunque, che la disposizione già richiamata intema di « soluzioni ragionevoli » sia contenuta nell’art. 5 dir. 78/2000/CE, la quale costituisce uno degli strumenti principali di

(62) C. cost. n. 393 del 2000.(63) O’Brian, 2014.(64) Kilpatrick, 2014.(65) Ward, 2014.

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attuazione del programma antidiscriminatorio che l’Unione si èdata all’art. 19(1) TFUE (66).

Data la relativa novità del concetto di portatore di handicap e,ancor più, di quello di disabile, la Costituzione italiana non con-templa un diritto simile a quello enunciato all’art. 26 Carta UE.Certo, in generale, esso può essere ricondotto al programma costi-tuzionale contenuto nell’art. 3, c. 2, Cost., mirante alla rimozionedegli ostacoli alla partecipazione sociale oppure all’art. 38, c. 3,Cost., il quale, peraltro in forma alquanto rozza, riconosce agliinabili e ai « minorati » il diritto all’avviamento professionale (67).

Tuttavia, in un’applicazione da manuale del metodo multili-vello, proprio la condanna subìta all’esito della procedura di infra-zione aperta dalla Commissione per non corretta trasposizionedella dir. 78/2000/CE, nella specie dell’art. 5 sulle « soluzioni ragio-nevoli » (68), ha portato il legislatore italiano a dare attuazione aldictum dell’art. 26, par. 1, Carta UE, almeno in ambito professio-nale, per il tramite del riferimento all’art. 2 della ConvenzioneONU dei diritti delle persone disabili, utilizzato dalla Corte digiustizia quale parametro interpretativo e integrativo del dirittosecondario dell’Unione.

Nel 2013, infatti, è stato introdotto l’obbligo per il datore dilavoro di adottare, non le « soluzioni ragionevoli » richieste dalledirettiva, ma gli « accomodamenti ragionevoli » invocati dalla Con-venzione (69), evitando, dunque, sorprendentemente, qualsiasiriferimento sia al diritto dell’Unione che alla sentenza di condanna.Proprio rispetto a quest’ultima, anche la sede nella quale si collocala disposizione (teoricamente) “riparatoria” risulta singolare, nontrattandosi, come usuale, della legge Comunitaria, ma del cosid-

(66) Barbera, 2007a; Bell, 1999; Meenan, 2014.(67) Colapietro, 2009.(68) Barbera, 2007b; Bell, 2015; Cimaglia, 2013.(69) Con l’art. 9 del d.l. n. 76/2013, conv. con l. n. 99/2013, il legislatore italiano ha

aggiunto il c. 3-bis all’art. 3 d.lgs. n. 216 del 2003, il quale recita: « Al fine di garantire ilrispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori dilavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definitidalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata aisensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro [...]. I datori di lavoro pubblicidevono provvedere all’attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per lafinanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazionevigente ».

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detto “Decreto Lavoro” adottato dall’allora Governo Letta. Quasiche il legislatore italiano abbia voluto così ribadire il netto rifiutoopposto agli argomenti utilizzati dalla Commissione e fatti propridalla Corte di giustizia per giustificare la condanna (70).

D’altro canto, era stata l’Italia, nel lontano 1987, a promuo-vere (71) l’adozione della Convenzione da parte dell’Assembleagenerale delle Nazioni Unite.

Quali che ne siano le ragioni politiche, gli effetti di questascelta paiono comunque rilevanti sul piano giuridico. Se, infatti, simette a confronto la definizione di « accomodamenti ragionevoli »con quella di « soluzioni ragionevoli » fornita dalla direttiva, è facileconstatare come quest’ultima superi di gran lunga la prima, inprecisione e specificità. Mentre, infatti, per la Convenzione, l’e-spressione « accomodamenti ragionevoli indica le modifiche e gliadattamenti necessari ed appropriati che non impongano un caricosproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi partico-lari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento el’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i dirittiumani e libertà fondamentali », per la direttiva, le « soluzioniragionevoli » comportano « che il datore di lavoro prend[a] i prov-vedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioniconcrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, disvolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere unaformazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte deldatore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale solu-zione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modosufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Statomembro a favore dei disabili ».

Ora, come noto, la Corte di giustizia non utilizza la Conven-zione in funzione sostitutiva del diritto dell’Unione, bensì in chiaveinterpretativa o integrativa, per colmare lacune, quale quellarelativa alla definizione di disabile (72), o per precisare contenuti,

(70) Molto critico rispetto alla sentenza di condanna Cinelli, 2013.(71) Per il tramite dall’allora negoziatrice speciale Maria Rita Saulle, stimata inter-

nazionalista, venuta a mancare mentre occupava lo scranno di giudice costituzionale, le cuisquisite doti umane fa piacere qui ricordare.

(72) Come accaduto nella sentenza FOA, nella quale la Corte di giustizia, per colmarela lacuna esistente nella direttiva 78/2000/CE, ha utilizzato un’interpretazione estensiva delconcetto di disabilità, che ricomprende l’obesità, qualora quest’ultima « determini una

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come nel caso degli « accomodamenti ragionevoli », affermando« che tale concetto deve essere inteso nel senso che si riferisceall’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano lapiena ed effettiva partecipazione delle persone disabili alla vitaprofessionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori » (HKDanmark) (73).

Risulta, dunque, necessario spingere all’estremo l’utilizzo delmetodo multilivello per sostenere che il legislatore italiano, conl’optare per gli « accomodamenti ragionevoli » abbia prodotto unadisposizione conforme al diritto dell’Unione.

Ad ogni modo, che si tratti di accomodamenti o di soluzioni, ilpunto da sottolineare è che essi risultano parte integrante deldiritto del disabile all’integrazione professionale, sancito sia dallaCarta UE che dalla Convenzione ONU e recepito, appunto nellalogica multilivello, dal legislatore italiano. Diritto che, proprio inragione dei costi che comporta, può configurarsi, a pieno titolo,sociale nel senso inteso in apertura.

In questo caso, peraltro, i costi di realizzazione incombonodirettamente e primariamente sul datore di lavoro, il quale èchiamato a predisporre gli accomodamenti ragionevoli, appor-tando, dunque, le modifiche necessarie sia all’ambiente che allemodalità di lavoro, entro il limite della proporzionalità rispetto alleproprie capacità economiche, da valutarsi anche con riferimentoall’eventuale concorso finanziario pubblico (art. 5, direttiva 78/

limitazione, risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature,la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettivapartecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianzacon gli altri lavoratori. ».

(73) Peraltro, a voler essere precisi, l’espressione « accomodamenti ragionevoli »utilizzata nella Convenzione, echeggia chiaramente l’Americans with disability Act del 1990,il quale richiede che siamo previste reasonale accommodations al fine di a) assicurare pariopportunità nel procedimento di selezione del disabile, b) consentire ad un disabile profes-sionalmente qualificato di svolgere le funzioni essenziali di una determinata attività lavo-rativa; c) consentire ad un lavoratore disabile di godere degli stessi benefici e diritti deglialtri lavoratori. Tuttavia, lo stesso legislatore statunitense non fornisce una definizione direasonale accommodation, la quale è stata elaborata dalla US Equal Employment OpportunityCommission (EEOC) nella Enforcement Guidance on Reasonable Accommodation and UndueHardship Under the Americans with Disabilities Act. Ai sensi di quest’ultima, le reasonableaccommodations consistono, fondamentalmente, in una modificazione dell’ambiente di la-voro e delle modalità nelle quali il lavoro è svolto.

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2000/CE). Della definizione di diritti sociali proposta in apertura,ricorre qui, dunque, anche il requisito della condizionalità.

L’obbligo legale di predisposizione degli accomodamenti ragio-nevoli, integra, quindi, il contenuto degli obblighi contrattualidatoriali, completando(si), laddove esista, (con) l’obbligo, an-ch’esso legale, ad assumere una quota di lavoratori disabili.

Certo, l’assenza dell’obbligo di assunzione può vanificare ilsenso stesso dell’obbligo di garantire gli accomodamenti ragione-voli, risultando, a nostro avviso, il solo divieto di discriminazione,sia diretta che indiretta, in fase di assunzione, strumento di tutelapoco incisivo. Paradossalmente, proprio in considerazione dellamisura promozionale appena illustrata, che impone al datore dilavoro, laddove assuma un disabile, di modificare sia l’ambienteche le modalità di lavoro.

2.4. Il diritto alla salute sul luogo di lavoro.

Anche il quarto diritto sociale, quello alla salute, nel suoesplicarsi nel rapporto/luogo di lavoro, è strutturato, in buonaparte degli ordinamenti europei (74), come obbligo legale, in questocaso di prevenzione e protezione, che integra l’obbligazione con-trattuale di entrambe le parti. Ciò in considerazione dell’obbligo disicurezza del datore di lavoro e del corrispondente dovere di colla-borazione nell’adempimento di detto obbligo, che incombe su co-loro i quali, a vario titolo, operano nel luogo di lavoro, ancheattraverso la « partecipazione bilanciata » (75) che questi ultimipossono esercitare, eventualmente attraverso loro rappresentanti.Risulta, tuttavia, chiaro che i costi dell’obbligo di sicurezza incom-bono integralmente sul datore di lavoro.

Anche in questo caso, il sistema multilivello offre degli inte-ressanti spunti di riflessione.

In Italia, come noto, la migliore dottrina (76), ha ricondotto ildiritto alla prevenzione e protezione della salute e sicurezza neiluoghi di lavoro all’art. 32 Cost., anche al fine di affiancare,soprattutto in una prospettiva rimediale, la responsabilità extra

(74) Ales, 2013.(75) Ales, 2015b; Vales de la Vega, 2013.(76) Montuschi, 1976.

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contrattuale a quella contrattuale, in caso di violazione dell’ob-bligo di sicurezza sancito dall’art. 2087 c.c. (77).

Un effetto, finora non considerato, di tale inquadramento, ècostituito proprio dall’assurgere dell’obbligo di sicurezza a dirittosociale costituzionalmente garantito, configurazione che gli si puòoggi riconoscere a pieno titolo a seguito del riferimento operatodalla Corte di giustizia (Regno Unito contro Consiglio, C-84/94) e,più di recente dal legislatore italiano con il d.lgs. n. 81/2008 (78),alla definizione di salute elaborata dall’Organizzazione mondialedella Sanità (OMS) in termini di benessere psico-fisico del lavora-tore. Benessere che, per essere realizzato, necessita, ovviamente, diun intervento attivo e “prestazionale” da parte del soggetto sulquale incombe l’obbligo di sicurezza.

Che si tratti di un diritto sociale nel senso della prospettazioneproposta, è confermato, poi, dal dibattito sul limite di ragionevo-lezza che il titolare dell’obbligo di sicurezza potrebbe invocarenella sua realizzazione, ragionevolezza che, nell’impostazione dellaCorte di giustizia (Commissione contro Regno Unito, C-127/05),sarebbe da riferirsi, anche, se non essenzialmente, al livello deicosti che l’obbligato dovrebbe sostenere rispetto al livello di rischioriconducibile alla natura dell’attività svolta. Laddove il primoeccedesse il secondo, la soluzione richiesta sarebbe praticamenteirragionevole (79) e, quindi, non obbligatoria.

In questi termini deve essere, dunque, interpretato il diritto a« condizioni sane, sicure e dignitose » riconosciuto a tutti i lavora-tori dall’art. 31 Carta UE (80) e, con impegno specifico e modalitàappropriate, ai giovani, dall’art. 32, par. 2, Carta UE (81). Anchein questo caso, si tratta di un ambito in cui il diritto dell’Unionerisulta ormai consolidato, sia dal punto di vista delle competenzeche della normazione secondaria, il che consente di superare, anchein questo caso, la riserva posta dall’art. 51, par. 1, Carta UErispetto all’operatività dei principi e dei diritti in essa sanciti.

(77) Albi, 2008.(78) Pascucci, 2008; Malzani, 2014; Natullo, 2015.(79) Bell, 2013.(80) Bogg, 2014.(81) Stalford, 2014.

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2.5. Il diritto alla conciliazione tra vita familiare e vita profes-sionale.

Un quinto diritto, garantito dall’art. 33 Carta UE (82), è quelloalla « protezione della famiglia sul piano giuridico, economico esociale », che trova espressione, con riferimento alla condizione dilavoro, nel diritto alla conciliazione tra vita familiare e vita profes-sionale, il quale, a sua volta, nella prospettiva dei diritti sociali, sisostanzia nel « diritto a un congedo di maternità retribuito e a uncongedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio » (art.33, par. 2, Carta UE).

Anche in questa circostanza, l’approccio multilivello risultacentrale, dato che un analogo diritto non viene garantito, neppureimplicitamente, dalla Costituzione italiana.

Da un lato, infatti, l’art. 30 riconosce il diritto-dovere deigenitori di mantenere, istruire ed educare i figli e l’art. 31 Cost.afferma l’impegno della Repubblica ad agevolare « con misureeconomiche e altre provvidenze la formazione della famiglia el’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo allefamiglie numerose », proteggendo « la maternità, l’infanzia e lagioventù » e « favorendo gli istituti necessari a tale scopo » (83);dall’altro, come già sottolineato, l’art. 37, c. 1, Cost., predica dellasola donna la « essenziale funzione familiare », enfatizzando il ruolomaterno piuttosto che la maternità quale fatto biologico, ignorando,così, il concetto di genitorialità, al quale, invece, come visto l’art.33, par. 2, Carta UE riconosce piena cittadinanza.

In questa prospettiva, dunque, ancora una volta, l’approcciomultilivello consente di colmare, sul versante costituzionale, quellalacuna che, sul piano del diritto legislativo, l’ordinamento italianosta affrontando, da tempo e con qualche successo (84).

Ciò senza, tuttavia, dimenticare che nello stesso art. 33, par. 2,Carta UE (85) non mancano elementi problematici sul pianocontenutistico.

(82) Costello, 2014.(83) Ciò in linea in linea con quanto ora previsto dall’art. 24 Carta UE (« i minori

hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere »): Lamont, 2014.(84) V. da ultimo, il d.lgs. n. 80 del 2015. Sul tema Calafà, 2004; Del Punta, 2009;

Vianello, 2011.(85) Così come, nel suo complesso, nel diritto UE in materia: Gottardi, 2009.

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Infatti, essendo il congedo parentale collocato « dopo la nascitao l’adozione di un figlio », il congedo di maternità risulterebbecoincidere con il periodo di gravidanza. Il che sembrerebbe deltutto condivisibile se non fosse per il fatto che solo per quest’ul-timo vigerebbe l’obbligo “costituzionale” di retribuzione. A menodi non riproporre, questa volta nel diritto dell’Unione, “l’essenzialefunzione familiare” della donna, al fine di far coincidere il congedoparentale usufruito dalla madre con quello di maternità, dunqueretribuito; con l’effetto paradossale, però, di far degradare il solocongedo parentale spettante al padre a congedo non retribuito e dinegare, così, nella sostanza, la rilevanza della genitorialità, laquale, invece, come detto, si colloca al centro della norma inquestione.

Peraltro, che sulla distinzione tra astensione obbligatoria (odivieto di lavoro della madre e del padre), congedo facoltativo dimaternità (per la sola madre, dunque) e congedi parentali, laconfusione, nel diritto dell’Unione, regni sovrana, lo conferma lagiurisprudenza recente della Corte di giustizia (Betriu Montull).Confusione certamente alimentata dalle legislazioni nazionali, inmolti casi ancora troppo legate alla divisione sessuata dei ruoli, mache, altrettanto certamente, l’art. 33, par. 2, Carta UE non aiuta achiarire.

D’altro canto, la remunerazione del congedo, sia essa a caricodel datore di lavoro o della fiscalità generale (86), non costituiscesolo una condizione essenziale per la qualificazione del diritto allaconciliazione tra vita professionale e vita familiare in termini didiritto sociale, ma consente anche di rendere effettivo quel dirittoe meno utopica la realizzazione del diritto-dovere alla condivisionedel lavoro di cura tra i genitori (87).

3. Le condizioni di titolarità dei diritti e della cittadinanza socialenell’ordinamento multilivello.

Tanto precisato circa il contenuto e il sistema dei diritti socialinell’ordinamento multilivello, risulta possibile passare ad esami-narne le condizioni di titolarità.

(86) Sul punto, v. infra § 5.(87) Ales, 2008; Ales, 2010; Ballestrero, De Simone, 2009; LD, 2009.

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Ciò impone di chiarire, preliminarmente, l’assunto dal quale sisono prese le mosse e cioè che la cittadinanza sociale non coincidecon quella politica, tradizionalmente fondata sulla nazionalità.

Come visto, l’articolazione multilivello dell’ordinamento com-porta la moltiplicazione delle fonti di produzione e regolazione deidiritti sociali, la realizzazione dei quali permane, però, affidata, inmassima parte, al livello nazionale. Tuttavia, la presenza di unlivello sopranazionale (Unione Europea), dotato di una particolareefficacia nei confronti di quello nazionale, ha comportato l’inseri-mento di un’ulteriore variabile di sistema che consiste nell’affer-mazione del principio di libera circolazione delle persone, alla cuiattuazione concorrono il principio di parità di trattamento e ildivieto di discriminazione sulla base della nazionalità.

Pur non essendo possibile ricostruire in questa sede la com-plessa vicenda del principio di libera circolazione (88), qualcheconsiderazione, funzionale al ragionamento complessivo, si im-pone.

Anzitutto, è essenziale ricordare che il principio in questioneviene affermato, nel Trattato di Roma, con riferimento ad unacategoria di persone dotate di un determinato status, quello dilavoratore. In particolare, di lavoratore migrante, il quale, decideo è costretto dal bisogno, ad accettare un’occupazione in uno Statodiverso da quello di provenienza. La libera circolazione si fonda,dunque, almeno originariamente, sulla presenza di un’offerta dilavoro che motiva lo spostamento e attribuisce un diritto diaccesso, nella prospettiva del soggiorno del lavoratore nello StatoMembro che lo ospita (il concetto è ben reso dall’espressionetedesca Gastarbeiter).

Scattano, qui, due principi-corollario di quello di libera circo-lazione: il principio di parità di trattamento, nel senso della garan-zia di condizioni di lavoro non difformi da quelle poste per ilavoratori comparabili nazionali e il principio di portabilità delleposizioni previdenziali eventualmente già attive nello Stato diprovenienza.

Per quanto riguarda, dunque, i diritti a prestazione, la disci-plina comunitaria in materia di libera circolazione dei lavora-

(88) Giubboni, Orlandini, 2007.

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tori (89) afferma la parità di trattamento attraverso il divieto didiscriminazione in base alla nazionalità e garantisce la portabilitàe la totalizzazione finale delle posizioni assicurative e contributiverelative alla prestazioni cosiddette di sicurezza sociale, nella pro-spettiva del coordinamento dei relativi sistemi nazionali.

In questo schema, le prestazioni non contributive di tipoassistenziale trovano spazio solo se collegate dal diritto nazionale,come eventualmente integrato dal diritto comunitario, a quellecontributive o, in ogni caso, allo status di lavoratore. Dunque, dalpunto di vista che qui ci occupa, è quest’ultimo status che, deter-minando il soggiorno, determina anche la titolarità dei diritti aprestazione eventualmente maturati, in linea di principio a pre-scindere dalla nazionalità.

Come ampiamente noto, il Trattato di Maastricht (1991) in-troduce la cittadinanza dell’Unione che non si sostituisce ma sisomma a quelle nazionali. Dalla cittadinanza dell’Unione deriva,tra l’altro, un diritto di muoversi e di risiedere liberamente nelterritorio dell’Unione (ora art. 21 TFUE). Alla libera circolazionedei lavoratori (ora artt. 45 ss. TFUE) si aggiunge, dunque, quelladelle persone. Al pari della prima, quest’ultima non è, però, incon-dizionata, essendo soggetta alle limitazioni derivanti dal Trattatoe dal diritto secondario che eventualmente le attui.

L’introduzione della cittadinanza dell’Unione e del suo corol-lario in termini di libera circolazione delle persone, amplifica ilproblema, peraltro già emerso nella giurisprudenza della Corte digiustizia, del diritto del lavoratore (ma ora anche cittadino) mi-grante alle prestazioni non contributive garantite ai cittadini na-zionali. Ciò in nome del principio di parità di trattamento che,espressamente, per ciò che concerne le condizioni di lavoro e lafruibilità delle prestazioni sociali connesse al loro status, informa lalibera circolazione dei lavoratori, ma che non è chiaro se debbainformare anche la libera circolazione delle persone, le quali, pro-prio per il non essere (necessariamente) lavoratori, possono averbisogno delle prestazioni assistenziali di cui sopra.

In assenza di un intervento chiarificatore da parte del legisla-tore comunitario, la Corte di giustizia, per circa un decennio, haelaborato una giurisprudenza nella quale, sebbene con qualche

(89) Originariamente contenuta nei regolamenti n. 1612/68 e 1408/71.

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ripensamento, enfatizza la rilevanza del principio di parità di trat-tamento tra cittadini dell’Unione, a prescindere dalla loro naziona-lità, collocando in secondo piano il profilo della sostenibilità econo-micadei sistemidi assistenza socialenazionali, chiamati a farsi caricodell’erogazione delle prestazioni in favore di cittadini dell’Unioneliberamente circolanti, ma in possesso di altra nazionalità.

Di qui la conferma (e anche la precisazione) dell’affermazionein base alla quale, soprattutto in un sistema multilivello, la citta-dinanza sociale non coincide con quella politica legata alla nazio-nalità, tuttora richiesta, invece, a fini di titolarità ed esercizio deidiritti politici nazionali.

In questa prospettiva, l’anno di svolta per il diritto del-l’Unione, è rappresentato dal 2004, quando, all’esito di un lungo ecomplesso processo di gestazione, vengono contestualmente ema-nate le due disposizioni che, sia pure con alcune modifiche eintegrazioni, tuttora regolano la materia, non senza qualche pro-blema di sovrapposizione e fraintendimento.

Si tratta del Regolamento n. 883/2004, relativo al coordina-mento dei sistemi di sicurezza sociale, e della Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiaridi circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Statimembri (90).

Con essi il diritto dell’Unione adegua al nuovo quadro giuridicodelle fonti primarie, la disciplina della libera circolazione elaboratain un contesto normativo il quale: i) ancora la riconosceva soltantoin capo ai lavoratori, ii) riferiva la parità di trattamento allecondizioni di lavoro e iii) si occupava delle prestazioni socialicontributive nella prospettiva della portabilità.

Le nuove disposizioni si fondano ora anche sulla base giuridicadelle norme del Trattato le quali affermano: i) la cittadinanzadell’Unione (ora art. 20 TFUE), ii) il generale principio di nondiscriminazione su base della nazionalità (art. 18 TFUE), iii) lalibertà di soggiorno e circolazione dei cittadini (art. 21 TFUE),

(90) Rispettivamente, regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e delConsiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale edirettiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa aldiritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamentenel territorio degli Stati membri: Borelli, 2012; Chiaromonte, Giubboni, 2014; Pennings,2015.

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oltre che, ovviamente, continuare a riferirsi, per quel che riguardai lavoratori, alle disposizioni specifiche, contenute ora negli artt.45, 46, 48 e 50 TFUE.

Ai nostri fini, il regolamento 883/2004, riveste un’importanzarelativa, dato che, in quanto norma di coordinamento, non puòrisultare, in sé, creatrice di nuovi diritti, avendo come obiettivo ladisciplina della titolarità di quelli già riconosciuti dagli ordina-menti nazionali e le condizioni della loro continuità di godimentonella libera circolazione.

Occorre, tuttavia, sottolineare che, rispetto alla logica stretta-mente assicurativo/contributiva fatta propria dai regolamenti diprima generazione, il regolamento 883/2004 dedica un’attenzionespecifica alle « prestazioni speciali in denaro di carattere non con-tributivo », tassativamente elencate nell’allegato X, assoggettate auna legislazione nazionale « la quale, a causa del suo ambito diapplicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizionidi ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in ma-teria di sicurezza sociale [...] quanto di quella relativa all’assistenzasociale » (art. 70, par. 1, regolamento 883/2004).

Si tratta, più precisamente, di prestazioni intese a fornire« copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischicorrispondenti ai settori di sicurezza sociale [...] e a garantire, allepersone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazioneal contesto economico e sociale dello Stato membro interessato;oppure [...] unicamente la protezione specifica dei portatori dihandicap, strettamente collegate al contesto sociale del predettosoggetto nello Stato membro interessato; e [...] relativamente allequali il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione ob-bligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioniper la concessione e per il calcolo della prestazione, non dipendonoda alcun contributo da parte del beneficiario. ».

La definizione, è bene sottolinearlo, non produce effetto sullelegislazioni nazionali in funzione di armonizzazione, ma serve,esclusivamente, ad individuare le prestazioni alle quali il regola-mento si applica, nella prospettiva della loro portabilità e dell’in-dividuazione della legislazione applicabile (91).

(91) Quello della portabilità non è, tuttavia, un aspetto marginale nella nostraprospettiva d’indagine, in quanto potrebbe determinare l’esportabilità nello Stato ospitante

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Tanto precisato circa il regolamento 883/2004, pare opportunoconcentrare l’attenzione sulla direttiva 2004/38, dato il suo essere,invece, strumento di armonizzazione dei requisiti di ingresso esoggiorno (anche permanente) di un cittadino dell’Unione e deisuoi familiari (anche non cittadini dell’Unione) in uno Stato mem-bro diverso da quello di origine o di provenienza.

Procedendo per sintesi estrema, si può affermare che, ai sensidella direttiva, il soggiorno regolare, al di là dei primi tre mesi“liberi”, è condizionato o al possesso dello status di lavoratore o alpossesso di mezzi economici sufficienti ad evitare che coloro cheesercitano la libertà di circolazione divengano un onere eccessivoper il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

Coloro che non risultano in possesso dei requisiti possono essereallontanati, a meno che non dimostrino di essere alla ricerca di unposto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.

Tuttavia, proprio perché l’allontanamento è un provvedi-mento la cui adozione si pone in netta contraddizione “politica”,più che giuridica, rispetto al principio di libera circolazione, leautorità dello Stato ospitante devono valutare la singola situazionesenza procedere per automatismi.

La questione concreta che si è posta è se, nel caso in cui, pur inmancanza dei requisiti richiesti dalla direttiva, a un cittadinodell’Unione sia stato comunque rilasciato un permesso temporaneodi soggiorno, questi, in quanto legalmente soggiornante e, quindi,formalmente titolare del diritto alla parità di trattamento, abbiadiritto di accedere alle prestazioni sociali che gli consentirebbero diliberarsi dalla condizione di bisogno, l’assenza della quale coincidecon i requisiti richiesti per il soggiorno regolare.

Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte di giustiziaha fornito due risposte difficili da conciliare, in quanto elaborateadottando due diversi angoli prospettici (92).

Sempre sintetizzando, in Brey, la Corte ha risposto positiva-mente, sulla base del presupposto formale che soggetti regolar-mente soggiornanti hanno diritto alla parità di trattamento e,dunque, all’accesso alle prestazioni sociali al ricorrere dei medesimi

del diritto a prestazioni assistenziali non contributive già godute nello Stato di provenienza,con costi di tale prestazione che verrebbero a pesare sul primo invece che sul secondo.

(92) Peraltro, sulle stesse tematiche, v. quanto deciso dalla Corte in Alimanovic eGarcia Nieto.

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requisiti richiesti per i cittadini nazionali, anche se il possesso didetti requisiti escluderebbe, di per sé, la regolarità del soggiorno.Peraltro, in una sorta di circolo vizioso, il riconoscimento dellaprestazione sociale risulterebbe necessario alla realizzazione deirequisiti richiesti per il soggiorno regolare. Il mancato riconosci-mento determinerebbe, infatti, la carenza di detti requisiti e,dunque, il possibile allontanamento del richiedente dallo Statoospitante, nonostante il possesso di regolare permesso di soggiorno.Lo Stato ospitante, sembrerebbe dire la Corte, rilasciando il per-messo di soggiorno in assenza delle condizioni previste, si è assuntoil rischio economico dell’onere che andrà a gravare sul propriosistema di assistenza sociale. Per rifiutare legittimamente la pre-stazione, non può, dunque, invocare un automatismo ovvero l’as-senza dei requisiti, ma deve dimostrare, in concreto, l’insostenibi-lità dell’onere che sarà chiamato a sopportare.

In Dano, la Corte giunge ad una conclusione diversa, sulla basedi un approccio sostanzialista secondo il quale, al di là del formalepermesso di soggiorno, i richiedenti la prestazione non posseggonoi requisiti necessari per il rilascio del permesso stesso e, quindi,possono essere legittimamente esclusi dalla prestazione socialerichiesta, in quanto, non essendo in possesso dei requisiti necessariper il rilascio del permesso (che pure è stato loro rilasciato...), a loronon trova applicazione il principio di parità di trattamento. Inquesto caso, la Corte non prende neppure in considerazione l’even-tualità dell’allontanamento quale conseguenza della mancanza deimezzi sufficienti, considerazione, invece, centrale e decisiva inBrey, fornendo, come detto, un’interpretazione sostanzialistica delrequisito, nel senso che allo Stato membro è consentito decidere dirilasciare un permesso di soggiorno in assenza dei requisiti richiestie, al tempo stesso, di negare le prestazioni sociali (in denaro) checonsentirebbero di integrare quei requisiti.

L’approccio, attento al dato formale e alla coerenza del si-stema, utilizzato dalla Corte in Brey per i cittadini dell’Unione,echeggia, non è dato sapere quanto consapevolmente, quello adot-tato dalla Corte costituzionale nelle sentenze del biennio 2008-2009(redattore Amirante) (93) con riferimento ai cittadini extracomu-

(93) C. cost. nn. 306 del 2008 e 11 del 2009.

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nitari legalmente soggiornanti in Italia ma ancora privi del per-messo di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (94).

La Corte, infatti, dichiara l’illegittimità costituzionale dellenorme che escludono che una prestazione di assistenza socialepossa essere loro attribuita soltanto perché essi non risultano inpossesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di sog-giorno e ora previsti per il permesso di soggiorno CE.

Nelle numerose pronunce successive rese sulla medesima nor-mativa nel quinquennio 2010-2015 (redattore Grossi) (95), inun’ottica decisamente multilivello, dati i numerosi riferimenti allagiurisprudenza della Corte EDU, la Corte elabora, poi, quella chepotremmo definire la dottrina della tutela universale dei bisogniprimari dei regolarmente soggiornanti anche di breve periodo.

Letto alla luce di questa giurisprudenza, la possibilità, ricono-sciuta agli Stati membri dall’art. 11, c. 4, direttiva 109/2003/CE (96), di « limitare la parità di trattamento in materia di assi-stenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali »,peraltro ai lungo soggiornanti, appare per l’Italia piuttosto teorica,visto che la Corte costituzionale ricomprende già, nel concetto diessenzialità, tutte le prestazioni assistenziali offerte dalla legisla-zione vigente.

Nella medesima prospettiva, anche la “dottrina” Dano appareperdente, non potendosi immaginare che quanto riconosciuto alcittadino extracomunitario venga negato al cittadino dell’Unione.

Prima facie, dunque, il criterio discretivo della titolarità deidiritti sociali sembra configurarsi in termini di regolarità del sog-giorno, quale ne sia la durata, attestata dalle autorità competenti.Il che, oltre, ovviamente, all’esclusione dei cittadini extra-comunitari illegalmente soggiornati, in una logica difensiva dellasostenibilità del sistema da parte del legislatore nazionale, po-trebbe comportare, il rischio di inasprimento dei criteri di accessooppure una riduzione mirata della quota di risorse destinate alfinanziamento delle prestazioni di assistenza sociale alle quali icittadini extracomunitari legalmente soggiornanti possono acce-dere.

(94) Sul punto Biondi Dal Monte, 2013; Calafà, 2012; Chiaromonte, 2013.(95) C. cost. nn. 187 del 2010, 329 del 2011, 40 del 2013 e 22 del 2015.(96) Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status

dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

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Due recenti pronunce della Corte di giustizia confermano lafondatezza di queste preoccupazioni, ma, al tempo stesso, le fu-gano quanto ad effetti concreti.

In Tümer, infatti, la Corte constata come « l’articolo 137,paragrafo 2, CE [ora 153 par. 2 TFUE], che costituisce il fonda-mento normativo della direttiva 2002/74, non limita ai soli citta-dini degli Stati membri, ad esclusione dei cittadini dei paesi terzi,la competenza ad adottare prescrizioni minime volte a realizzare,in particolare, l’obiettivo del miglioramento delle condizioni di vitae di lavoro, previsto all’articolo 136 CE [ora 151 TFUE] » (punto32).

« Ne consegue che le disposizioni della direttiva 80/987 [ora2002/74] ostano ad una normativa nazionale sulla tutela dei lavo-ratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro [...] cheesclude un cittadino di un paese terzo dal diritto di percepire unaprestazione d’insolvenza in ragione della illegalità del propriosoggiorno, mentre il medesimo cittadino di paese terzo è qualifi-cato, in virtù delle norme di diritto civile di tale Stato membro,come « lavoratore subordinato » avente diritto ad una retribu-zione » (punto 46).

Si tratta, come evidente, di una affermazione che riguarda unaprestazione, almeno in parte, contributiva, ma che, comunque,apre la strada ad un’interpretazione sostanzialista del requisito delsoggiorno, da intendersi quale presenza fisica nello Stato (97), laquale, se abbinata ad un rapporto di lavoro dichiarato, seppureillegale ai sensi della direttiva 2009/52/CE (98), supera, ai fini dellacittadinanza sociale, l’illegalità del soggiorno. Rimane ovviamenteimpregiudicato il profilo sanzionatorio connesso all’utilizzo dellavoro illegale.

Quanto al secondo aspetto, nella meno recente Kamberaj,occupandosi di una disposizione della Provincia autonoma di Bol-zano in materia di assistenza abitativa, la Corte constatava che:« [...] la determinazione della quota di fondi concessi, a titolo disussidio per l’alloggio, ai cittadini dell’Unione, da un lato, ed ai

(97) In questa prospettiva si muove la Corte di giustizia mediante l’adozione delcriterio del centro di interessi: B (C-394/13).

(98) Direttiva 2009/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori dilavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

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cittadini di paesi terzi, dall’altro, è stata oggetto di un metodo dicalcolo diverso. L’applicazione di coefficienti diversi ha l’effetto disfavorire la categoria composta da cittadini di paesi terzi, inquanto lo stanziamento disponibile per soddisfare le loro domandedi sussidio per l’alloggio è più esiguo, e rischia pertanto di essereesaurito più rapidamente, rispetto a quello attribuito a detti cit-tadini dell’Unione ».

La Corte, dunque, inquadrando la fattispecie nell’ambito del-l’articolo 11, par. 1, lett. d, direttiva 2003/109/CE (parità di trat-tamento in materia di prestazioni sociali, assistenza sociale eprotezione sociale ai sensi della legislazione nazionale), ha conclusoche questo deve essere interpretato nel senso che osta ad unanormativa nazionale o regionale, la quale, per quanto riguarda laconcessione di un sussidio per l’alloggio, riservi ad un cittadino diun paese terzo, beneficiario dello status di soggiornante di lungoperiodo conferito conformemente alle disposizioni di detta diret-tiva, un trattamento diverso da quello riservato ai cittadini nazio-nali residenti nella medesima provincia o regione nell’ambito delladistribuzione dei fondi destinati al sussidio summenzionato, acondizione che tale sussidio rientri in una delle tre categoriecontemplate dalla disposizione sopra citata e che il paragrafo 4 delmedesimo articolo 11 non trovi applicazione.

Il che, alla luce della teoria della tutela universale dei bisogniprimari dei regolarmente soggiornanti, a maggior ragione se dilungo periodo, è pressoché scontato.

Nel prospettiva multi-livello, dunque, cittadinanza nazionale,cittadinanza dell’Unione, regolarità del soggiorno, quali requisitidi titolarità dei diritti sociali, tendono a perdere significato rispettoalla presenza fisica dell’individuo nei confini di un determinatosoggetto politico nazionale.

4. Diritti sociali e prestazioni sociali: il livello quali-quantitativo dibenessere nell’ordinamento multilivello e i suoi co-decisori.

Quanto detto finora, ha messo in evidenza uno degli aspetticentrali della tematica dei diritti sociali ovvero il ruolo delleprestazioni sociali quale strumento di attuazione della cittadi-nanza sociale e, dunque, della garanzia di un determinato livelloquali-quantitativo di benessere.

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Proprio quest’ultimo concetto necessita di una delucidazione.Il livello quali-quantitativo di benessere dipende dalla quantità

di diritti sociali che sono riconosciuti dall’ordinamento “costituzio-nale” multilivello e dalla qualità delle prestazioni sociali che sonopreviste per la loro realizzazione.

La latitudine della platea dei destinatari costituisce, poi, unafondamentale determinante esterna del livello di benessere, inci-dendo in maniera direttamente proporzionale sull’aspetto qualita-tivo: più è ampia la platea, più è elevata la quantità di risorsenecessarie a mantenere un determinato livello qualitativo delleprestazioni.

Sistema costituzionale dei diritti sociali e sistema delle presta-zioni sociali, come determinato dal decisore politico, si pongono,dunque, in un rapporto circolare di reciproca influenza, nel quale ilprimo indica al secondo i settori prioritari di intervento, mentre ilsecondo determina il grado di realizzazione del primo o, per tornarealla definizione iniziale, della sua « politica costituzionale ».

Il compito del decisore politico nazionale è, dunque, quello dideterminare, in considerazione delle risorse rese disponibili, il li-vello di benessere qualitativo nell’ambito del sistema “costituzio-nale” multilivello dato, del quale, nel tempo, ha anche concorso adefinire i contorni.

Di concorso e non di determinazione autonoma si deve, infatti,parlare in quanto nei sistemi multilivello operano, con differentilegittimazioni, diversi decisori, alcuni dei quali extra ordinem.

Se, infatti, la legittimazione giuridica costituisce un elementofondante dell’ordinamento multilivello (99), soprattutto nel rap-porto tra dimensione nazionale e sopranazionale, consentendo diindividuare quale decisore sia competente a regolare una determi-nata materia, ciò non esclude, tuttavia, che il decisore giuridica-mente legittimato venga influenzato nella sua decisione da soggettiformalmente non legittimati o che possa “liberamente” vincolare leproprie decisioni alla volontà di questi soggetti, i quali, proprio inforza del vincolo, assumono legittimazione co-decisionale, al difuori della teorica classica dell’ordinamento multilivello, venendo acostituire, essi stessi, un livello di governance extra-ordinem rispettoal sistema di government formalizzato nei Trattati.

(99) Bache, Flinders, 2004; Hooghe, Marks, 2001.

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Il pensiero va, in primo luogo, al ruolo svolto dalle cosiddette“Istituzioni” (olim Trojka) e dal Meccanismo Europeo di Stabilitànella vicenda della crisi del debito sovrano (100).

Dal punto di vista giuridico o, se si vuole, di goverment (101),pare corretto affermare che siamo di fonte a una “non questione”ovvero a una questione squisitamente politica.

Lo ha confermato con chiarezza la Corte costituzionale nelmomento in cui, proprio nella sentenza n. 70 del 2015, ha tenuto innon cale la motivazione addotta dal Governo Monti che quelrapporto, peraltro in maniera vaga, richiamava.

Anche per quel che concerne i vincoli “esterni” di bilancio(patto di stabilità), questi, essendo quantitativi e non qualitativi,non paiono limitare il potere del decisore nazionale di allocare lerisorse disponibili come meglio (o peggio) crede. Altro è, infatti,invocare, condivisibilmente, deroghe al patto di stabilità in caso dispese chiaramente mirate alla realizzazione dei diritti sociali (102).

Lo stesso va detto, proprio in quanto tali, delle raccomanda-zioni adottate nell’ambito del cosiddetto Semestre Europeo.

Persino le procedure per deficit eccessivo, seppure minuziosa-mente disciplinate sul piano giuridico, vengono chiaramente ap-plicate in base a un criterio politico, come clamorosamente confer-mato dall’eccezione operata qualche anno fa in favore di Francia eGermania.

D’altro canto, come sta ampiamente dimostrando il caso greco,anche laddove esista uno dei famigerati Memorandum of understan-ding, la sua vincolatività sul piano, non solo giuridico, ma sempli-cemente politico-finanziario, pare alquanto debole o comunque,soggetta a negoziazioni infinite.

Peraltro, come è stato sottolineato dai più attenti e obiettiviosservatori, anche nel caso irlandese (103), il cambio di governo haconsentito aggiustamenti di non poco conto degli accordi in pre-cedenza assunti.

Di qui l’idea che, nella prospettiva giuridica, sia pure multili-vello, il discorso sulla New Economic Governance non meriti l’at-

(100) Senza, tuttavia, dimenticare o sottostimare, il ruolo, decisivo, svolto daimercati finanziari, sul quale, per tutti, acutamente, Di Gaspare, 2012.

(101) In contrapposizione a governance, sulla quale: Ferrarese, 2014.(102) Pinelli, 2013.(103) Achtsioglou, Doherty, 2014.

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tenzione che gli si sta dedicando (104), rientrando quest’ultima inlogiche di negoziazione politica, per definizione ricollegate a rap-porti di forza e di convenienza, spesso contingenti.

Dal punto di vista giuridico, pare, invece, maggiormente signi-ficativo concentrare l’attenzione sul ruolo giocato, nel processo cheabbiamo definito co-decisionale, da quelli che potremmo generica-mente e, almeno in parte, atecnicamente, chiamare “giudici delleleggi” ovvero giudici legittimati a vagliare, sia pure con modalitàmolto diverse, la rispondenza degli atti del decisore politico ri-spetto al sistema “costituzionale” multilivello: la Corte costituzio-nale, la Corte di giustizia e la Corte EDU.

Al di là dei parametri specifici e contingenti, possiamo dire cheil vaglio di rispondenza avviene utilizzando alcuni criteri guida, trai quali, ai nostri fini, assumono una speciale rilevanza: a) l’adegua-tezza delle prestazioni, spesso connessa al (non) regresso delletutele; b) la razionalità (coerenza) della singola disposizione ri-spetto al sistema normativo multilivello e ai suoi obiettivi; c) lanatura non discriminatoria della disposizione stessa.

Si tratta di criteri, talvolta utilizzati in combinazione, comunialle tre Corti, le quali, naturalmente, li declinano in maniera anchemolto diversa. Essi sono frutto dell’interpretazione sistematica deidiritti sociali nell’ordinamento multilivello elaborata dalle Cortistesse nel corso degli anni, spesso in forma solo implicitamentedialogica, con alcuni momenti di proficua cooperazione e altri dipalese contrasto (105).

Il primo di questi criteri, quello di adeguatezza, appare il piùproblematico con riferimento ai diritti sociali, in quanto porta i“giudici delle leggi” a mettere in discussione, in nome di unavisione politica alternativa, la scelta operata dal decisore politicocon riferimento all’allocazione delle risorse rispetto ad una singoladisposizione, spesso estrapolandola dal contesto sistemico, finendoper privilegiare l’interesse di un singolo o di un gruppo, rispetto aquello generale, alla cui valutazione il decisore politico è (dovrebbeessere) vincolato dal principio democratico.

Utilizzando il criterio di adeguatezza, i “giudici delle leggi” sisostituiscono, dunque, al decisore politico nella determinazione

(104) Peraltro, con qualche fondato scetticismo da parte dei commentatori piùavvezzi a frequentare gli ambienti euro-unitari: Barnard, 2012.

(105) Per un’idea Bücker, Dorssemont, Warneck, 2011.

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contenutistica di un livello qualitativo di benessere alternativorispetto a quello originariamente deciso, frutto, quest’ultimo, diuna determinata allocazione delle risorse disponibili ed esito di uncompromesso, per definizione politico, tra le forze democratica-mente elette, che teneva conto dell’equilibrio e della sostenibilitàcomplessiva, anche di medio e lungo periodo, del sistema.

L’adozione di una « politica costituzionale » alternativa aquella del legislatore, risulta ancor più dannosa, in termini ditenuta del sistema, quando le decisioni delle Corti colpiscono,magari in maniera retroattiva, la rimodulazione di prestazioni innome di un principio di non regresso applicato al caso concreto,che, magari, si giova dell’utilizzo, quale parametro di “costituzio-nalità”, di diritti che, nella prospettazione qui adottata, nullahanno a che fare con i diritti sociali.

Ci si riferisce alla posizione assunta dalla Corte EDU nel casoStefanetti (106), nel quale, una rimodulazione con efficacia retroat-tiva del meccanismo di calcolo di una prestazione pensionistica chedetermina una riduzione dell’importo di quest’ultima, è statagiudicata dalla Corte eccessiva e ritenuta, perciò, configurare unaviolazione del diritto di proprietà, dando luogo a una responsabi-lità per danni in favore dei ricorrenti da parte dello Stato che l’haposta in essere.

Su sollecitazione della Corte di cassazione, la Corte costituzio-nale si esprimerà, a breve, per la terza volta, su quel meccanismo.Nelle due precedenti occasioni (107), la Corte ha dichiarato l’in-fondatezza delle questioni, sul presupposto che il meccanismoopera « impedendo alterazioni della disponibilità economica asvantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, [...] cosìgarantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà,che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privi-legiata nel bilanciamento con gli altri valori ».

La speranza è che, anche in questo caso, la Corte confermi lasua linea, senza cedere alla tentazione dell’adeguatezza empirica laquale produce l’effetto di sostituire il giudice delle leggi al decisorepolitico, peraltro, in nome di un diritto, quello di proprietà che,

(106) Bronzini, 2015.(107) C. cost. 19 novembre 2012 n. 264; C. cost. 3 giugno 2013 n. 116.

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almeno nella tradizione costituzionale italiana (108), nulla ha a chevedere con i diritti sociali.

Molto positivo, nella prospettiva di una maggiore efficacia delprocedimento decisionale politico, appare, invece, il criterio dirazionalità, da non confondersi con quello di ragionevolezza, merosinonimo di quello di adeguatezza e, quindi, altrettanto politico.Quello di razionalità è, infatti, un criterio che potremmo direpedagogico, attraverso il quale i “giudici delle leggi” possono im-porre al decisore politico una riflessione in termini di sistematicitàdella legislazione e di collocazione coerente della singola disposizionenel sistema, a maggior ragione se multilivello, soprattutto quandosi tratta di norme che modificano, talvolta retroattivamente, unadeterminata allocazione di risorse.

Non è necessario dilungarsi sul punto, in considerazione degliesempi virtuosi già segnalati e analizzati in precedenza, rappresen-tati dalle sentenze 70 del 2015 della Corte costituzionale e Breydella Corte di giustizia.

Proprio il riferimento a Brey, fornisce lo spunto per affrontareil terzo criterio, quello della natura non discriminatoria delladisposizione sottoposta al vaglio dei “giudici delle leggi”.

Rispetto all’esigenza di salvaguardare la discrezionalità deldecisore politico, il criterio in questione appare, almeno per unverso, adeguato, in quanto consente alle Corti di censurare dispo-sizioni incoerenti rispetto al sistema dei diritti (non solo) sociali. Ilpensiero, oltre che a Brey, va alla giurisprudenza, prima richia-mata, della Corte costituzionale in tema di cittadini extracomuni-tari.

Per altro verso, però, mentre in Brey la Corte di giustizia,proprio perché “giudice delle leggi” sui generis, lascia aperto unospiraglio al bilanciamento, affidando al giudice nazionale, autoredel rinvio, la verifica (peraltro estremamente complessa) dellasostenibilità finanziaria dell’ampliamento della platea dei benefi-ciari della prestazione, la Corte costituzionale, elaborando la teoriadella tutela universale dei legalmente soggiornanti, proprio perchégiudice delle leggi a pieno titolo, accolla definitivamente il pesofinanziario dell’ampliamento sulle spalle del bilancio pubblico, adispetto di quanto stabilito dal decisore politico.

(108) Nella prospettiva tedesca Becker, 2015. Più in generale, Novitz, 2012.

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5. La realizzazione concreta dei diritti sociali: ripartizione deglioneri finanziari e competitività dell’impresa.

Nel corso di questo scritto si è più volte sottolineata l’asimme-tria esistente tra produzione dei diritti sociali a livello internazio-nale e sopranazionale e loro prevalente realizzazione a livellonazionale, in una prospettiva di sussidiarietà verticale che, mentre,nel caso delle competenze, risulta spesso auspicata dal livellonazionale, nel caso del finanziamento, lo è molto meno, fino adiventare del tutto indesiderata.

Se questa affermazione rimane, in linea di principio, incontro-vertibile, occorre, tuttavia, sottolineare come, almeno a partire dalvaro, nel 2005, della Strategia di Lisbona rivisitata, l’UnioneEuropea abbia deciso di affermare con chiarezza il proprio coin-volgimento nel (co)finanziamento degli strumenti di realizzazionedei diritti sociali. Ciò proprio al fine di rispondere alle critichemosse al suo essere produttrice di diritti i cui costi gravano suisingoli Stati membri, in assenza di una specifica voce nel bilanciodell’Unione che testimoni della presenza di una mobilitazionesopranazionale.

In questa prospettiva, si può individuare nel 2013 l’anno disvolta, a partire dal quale, con il nuovo regolamento generale suiFondi Strutturali (109) e con i nuovi regolamenti specifici sul FondoSocialeEuropeo (110), sul FondoEuropeo diAdeguamento allaGlo-balizzazione (111) e, nel 2014, con l’istituzione del Fondo di AiutiEuropei agli Indigenti (112), l’Unione, almeno per il settennio2013-2020, si è dotata di una strumentazione di sostegno finanziariochiaramente focalizzata sulladimensione sociale.Ciò èavvenutononsolo utilizzando la base giuridica fornita dalle disposizioni sul FondoSociale Europeo (art. 164 TFUE), ma anche quella, raramente uti-

(109) Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17dicembre 2013.

(110) Regolamento (UE) n. 1304/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17dicembre 2013.

(111) Regolamento (UE) n. 1309/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17dicembre 2013.

(112) Regolamento (UE) n. 223/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11marzo 2014.

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lizzata prima di allora a questi fini, della coesione economica, socialee territoriale (art. 175, c. 3. TFUE) (113).

L’impegno finanziario dell’Unione, si riferisce alle due diret-trici di intervento che, a partire dai vertici di Lussemburgo (1997)e Lisbona (2000), ne hanno caratterizzato le politiche sociali, intesein senso ampio: occupazione/occupabilità e inclusione sociale, de-clinate nel prisma del genere, dell’età e della disabilità.

Si tratta, tuttavia, è bene precisarlo di (co)finanziamenti dipiani o progetti nazionali (ma anche regionali o locali) o transna-zionali che non incidono sulla strutturazione dei singoli sisteminazionali né introducono prestazioni gestite ed erogate diretta-mente dall’Unione, come, pure, qualcuno aveva proposto e pro-pone. Inoltre, proprio in considerazione della natura progettualedelle azioni che possono sostenere (cosiddette azioni eleggibili), ifondi dell’Unione non possono essere utilizzati nel finanziamentoordinario di prestazioni nazionali permanenti.

La scelta di non creare un sistema di prestazioni sociali diret-tamente riconducibili all’Unione, ma di procedere sulla linea delco-finanziamento e del coordinamento delle politiche occupazionalie sociali nazionali, appare, peraltro, condivisibile nonché coerentecon la previsione dell’art. 153, par. 4, TFUE, la quale esclude cheinterventi del legislatore dell’Unione possano compromettere lafacoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i principi fonda-mentali del loro sistema di sicurezza sociale. L’introduzione diprestazioni dell’Unione riproporrebbe, infatti, immediatamente, lequestioni insolute circa le differenti impostazioni sistemiche tut-tora esistenti negli Stati membri in materia di sicurezza sociale,quelle stesse questioni che, già negli anni settanta, avevano sug-gerito di abbandonare i propositi di armonizzazione delle normenazionali in materia.

Se, dunque, il sistema di finanziamento comincia ad esserepartecipato dal bilancio dell’Unione, la strutturazione del sistemadi sicurezza sociale rimane prerogativa nazionale, dando luogo, aldi là della (più o meno convincente) modellistica ricostruttivaproposta dalla dottrina socio-politologica (114), a un numero disistemi pari al numero degli Stati membri, lasciando, dunque,

(113) Ales, 2007a.(114) V., almeno, Esping-Andersen, 1990; Ferrera, 1993.

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intatta la discrezionalità del legislatore nazionale, a condizione chesi muova nei limiti indicati dalla Corte di giustizia per quel checoncerne i profili, già segnalati, di concorrenza e libera prestazionedi servizi.

Il tema del finanziamento dei diritti sociali, anche nell’ordina-mento multilivello, non può, però, esaurirsi in termini di sussidia-rietà verticale, dovendosi necessariamente declinare anche nellaprospettiva della sussidiarietà orizzontale, la quale, a sua voltaevoca gli antecedenti logici e cronologici dell’intera modellisticaelaborata sui sistemi di protezione sociale, il modello bismar-ckiano (115) e, per contrapposizione, quello beveridgiano (116).

Ai nostri fini, di questi due archetipi, è sufficiente rimarcarel’aspetto centrale relativo alla scelta di fondo che li caratterizza,anche se con approdi diametralmente opposti, e che riguardaproprio il grado di coinvolgimento finanziario di lavoro e impresanella realizzazione dei diritti sociali.

Peraltro, proprio in quanto modelli, nessuno dei due trova (e,forse, ha mai trovato (117)) nel diritto positivo, realizzazionecompiuta, esclusiva ed escludente (l’altro). Piuttosto, si può par-lare di sistemi di protezione sociale ‘integrati’ che si compongono,in misura diversa, di strumenti che si collocano tutt’intorno e distrumenti che si innestano sul rapporto di lavoro, che, del sistema,costituisce, dunque e comunque, il fulcro. Per i primi, in quantofonte di produzione di reddito, che, soggetto a tassazione nei livelliindividuati dal decisore politico (costo fiscale del lavoro), deter-mina un gettito fiscale che lo stesso decisore politico può utilizzareper finanziare il sistema, il quale, proprio per questo, viene funzio-nalizzato all’incremento dell’occupazione; per i secondi, in quantofonte di auto-finanziamento, stante il coinvolgimento diretto, tal-volta anche regolativo e gestionale (Selbstverwaltung, bilateralità),dei gruppi categoriali interessati (costo previdenziale del lavoro).

Costo fiscale e costo previdenziale del lavoro, sono, comeampiamente noto, strumenti di politica economica a disposizionedel decisore politico, che ne determina la consistenza, bilanciandole esigenze della cittadinanza sociale (e del relativo livello di

(115) V., almeno, Eichenhofer, 2000.(116) V., almeno Abel-Smith, 1992.(117) Ferrera, 1993.

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benessere) con quelle della competitività dell’impresa e del SistemaPaese.

Tuttavia, anche in questo caso, risulterebbe fuorviante pen-sare che ciascun costo sia chiaramente riconducibile all’una piut-tosto che all’altra tipologia di strumenti.

Mentre, infatti, nel caso degli strumenti che si collocano tut-t’intorno al rapporto di lavoro è evidente che il livello delleprestazioni è frutto di una scelta politica discrezionale di (ri)allo-cazione di risorse sotto forma di prestazioni in denaro e servizi,potendosi parlare, dunque, di un puro costo fiscale, nel caso deglistrumenti che si innestano sul rapporto di lavoro, un ruolo impor-tante, se non centrale, dovrebbe essere giocato dal principio dicorrispettività tra contribuzione e prestazione, sia pure necessaria-mente corretto dal principio di solidarietà interna che conferisce alsistema i connotati di socialità.

In questo secondo caso, il punto politico cruciale, sul quale, dasempre, si esercita la discrezionalità del legislatore italiano, attienela latitudine del principio di solidarietà (118) rispetto al principiodi corrispettività, latitudine che determina anche il grado di ester-nalizzazione della solidarietà stessa, esternalizzazione che, nell’an enel quantum, costituisce anch’essa un atto di discrezionalità poli-tica, in grado di determinare un costo fiscale che si aggiunge o sisostituisce a quello previdenziale, non gravando direttamente sulleparti del rapporto, in particolare sul datore di lavoro.

Peraltro, e questa è una tendenza amplificata dai principi diflexicurity elaborati dalla Commissione Europea (119), i costi (fi-scali e/o previdenziali) che dovrebbero gravare su lavoro e impresa,da tempo, vengono gradualmente spostati verso la comunità na-zionale di riferimento. Ciò attraverso i vari meccanismi di sgravioe fiscalizzazione, già citati, che quegli oneri tendono a mitigare: innome della solidarietà sociale, nel caso della contribuzione figura-tiva, delle integrazioni al minimo e dei “famigerati” meccanismi diperequazione; in nome della già richiamata competitività dell’im-presa, nel caso degli sgravi, delle fiscalizzazioni e delle decontribu-zioni. Competitività dell’impresa che finisce per diventare compe-titività del Sistema Paese e, nella logica di politica economica

(118) Giubboni, 2012; Rodotà, 2014.(119) COM(2007) 359 def.

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sopranazionale, della stessa Unione Europea rispetto ai suoi com-petitori globali.

L’abbandono della razionalità bismarckiana, auspicato dalleistituzioni dell’Unione in nome della flexicurity di stampo latamentebeveridgiano, la quale presuppone una partecipazione solo esternadell’impresa alla realizzazione dei diritti sociali attraverso la crea-zione delle opportunità di lavoro, stenta, tuttavia, a realizzarsi, pro-prio per i costi che impone sul bilancio dello Stato, a sua volta postosotto pressione dalle stesse istituzioni dell’Unione (120).

Questa tensione spiega il riposizionamento del finanziamentopubblico dei diritti sociali in corso ormai da tempo (non solo) inItalia, che passa per: a) l’adozione del metodo contributivo dicalcolo delle pensioni, accompagnato dalla gestione a capitalizza-zione virtuale della contribuzione e dall’innalzamento dell’età pen-sionabile, misure che dovrebbero ridurre ai minimi termini ilfenomeno dell’esternalizzazione della solidarietà categoriale; b) lostimolo, contrastato e incerto, delle forme di previdenza comple-mentare (121), volte a compensare, nella prospettiva dell’adegua-tezza, la riduzione delle prestazioni pubbliche di base, legataall’appena richiamata adozione del metodo contributivo a capita-lizzazione; c) il ripensamento, quanto a modalità di finanziamentoe gestione (bilateralità (122)) e, soprattutto, a durata, degli am-mortizzatori sociali legati alla riduzione dell’attività lavorativa incostanza di rapporto; d) la destinazione prioritaria delle risorse cosìrisparmiate alla realizzazione del diritto al lavoro, attraverso ilsostegno al mantenimento o l’acquisizione delle condizioni di oc-cupabilità dell’individuo, in un sistema che ha abbandonato lachimera della stabilità del singolo posto di lavoro e mira allacontinuità dell’impiego.

(120) In questo assunto sta la contraddittorietà intrinseca dell’utilizzo della flexicu-rity nei momenti di ciclo economico negativo (Ales, 2007b) e l’impossibilità di qualificarla,in assoluto, come beveridgiana o bismarckiana. Ante litteram, su vantaggi, condizioni elimiti della flexicurity Renga, 1996. Di flex insecurity parla Zoppoli L., 2012.

(121) Per tre diversi profili problematici della questione: Gambacciani, 2011; Giub-boni, 2009; Passalacqua, 2007.

(122) Sulla quale Passalacqua, 2013; Renga, 2013.

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6. La partecipazione attiva del beneficiario quale condizione essen-ziale di realizzazione dei diritti sociali: a mo’ di conclusione.

Quest’ultima considerazione ci riporta, idealmente, in sede dibrevissima conclusione, all’inizio del percorso, dove, tra le carat-teristiche consustanziali dei diritti sociali, abbiamo enfatizzato laloro declinazione in termini di diritto-dovere, la quale implica unapartecipazione attiva del beneficiario alla loro realizzazione. Lapartecipazione attiva costituisce, infatti, a nostro avviso, unaspetto fondamentale del principio di condizionalità che, comedetto, informa il Diritto e, in particolare, i diritti sociali, mettendoin discussione le fondamenta stesse della concezione proprietaria,statica dei diritti sociali e premiando una visione dinamica epartecipata dell’integrazione sociale.

Questa accezione ampia di condizionalità si addice particolar-mente al diritto al lavoro, inteso nei termini sopra descritti, sulquale, nell’ordinamento multilivello, si concentrano sia le istitu-zioni dell’Unione che il decisore politico nazionale.

Quest’ultimo, proprio per il tramite dell’azione legislativa piùrecente, si fa portatore di un concetto integrale di occupabilità, che,per essere realizzato presuppone un investimento massiccio, nonsolo economico ma anche e, soprattutto, culturale, in termini di: a)riforma della scuola (123), nella prospettiva di un suo più strettocollegamento con il mondo del lavoro, attraverso una ristruttura-zione focalizzata dell’offerta formativa che consenta una reale eproficua alternanza scuola-lavoro; b) adeguamento dei programmidi studio universitari finalizzato allo sviluppo dell’apprendistato inalta formazione; c) riforma della pubblica amministrazione (124)che consenta la predisposizione e la gestione di servizi per l’impiegoefficienti, efficaci e mirati, finalmente in grado di formulare, inconcreto, una « congrua offerta di lavoro » (125) finora soltantovagheggiata, al cui rifiuto il legislatore ricollega, ora, il concetto dialiunde percipiendum (126), facendo emergere, in una norma didettaglio, la coerenza del sistema.

Tutto ciò risulterebbe, ovviamente, inutile, in assenza di una

(123) l. n. 107 del 2015.(124) l. n. 124 del 2015.(125) Ex art. 4, c. 1, lett. c, del d.lgs. n. 181 del 2000.(126) Di cui all’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 23 del 2015.

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partecipazione attiva e convinta dell’individuo che riduca al mi-nimo la necessità del sostegno al reddito, da considerarsi comeultima ratio, in presenza di un fallimento individuale, che sarebbe,però, al tempo stesso, un fallimento del sistema, rivelatosi incapacedi fornire lo strumento primario di cittadinanza sociale: il lavoroattraverso l’occupabilità integrale.

Riassunto. Il saggio, partendo dalla considerazione dei diritti sociali qualidiritti costitutivi di una cittadinanza sociale fondata sulla garanzia di un deter-minato livello quali-quantitativo di benessere, si propone, anzitutto, di investi-gare le loro fonti costitutive nell’ordinamento multilivello. In questa prospettiva,l’Autore propone una sintesi del sistema giuslavoristico dei diritti sociali multili-vello in due macro sotto-sistemi: quello del diritto-dovere al lavoro e quello deldiritto alla previdenza sociale. Alla sintesi segue un’analisi puntuale dei dirittisociali strettamente legati alla condizione lavorativa e delle loro condizioni dititolarità. Il saggio si sofferma, poi, sulle modalità di individuazione del livelloquali-quantitativo di benessere e sulla ripartizione degli oneri finanziari anche conriferimento alla competitività dell’impresa, concludendo in favore della parteci-pazione attiva del beneficiario quale condizione essenziale di realizzazione deidiritti sociali.

Parole chiave: Diritti sociali; Cittadinanza sociale; Diritto al lavoro; Previ-denza sociale; Competitività; Condizionalità.

Abstract. The essay, looking at social rights as rights that ground a socialcitizenship based on the guarantee of a certain level qualitative and quantitativelevel of well-being, aims at investigating, first, their sources within a multi-levelperspective. In such a view, the Author proposes a synthesis of the multi-levelsystem of social rights related to the working condition divided into two sub-systems: that one of the right to work and that one of the right to social security.A punctual analysis of those rights and of their conditions of entitlement follows.The essay focuses then on the ways in which that level of well-being is defined andon the burdens that companies have to bear in this view, concluding that,anyway, the activation of the beneficiary is essential to make social rights real.

Keywords: Social rights; Social citizenship; Right to work; Social security;Competitiveness; Conditionality.

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INTERVENTI

DONATA GOTTARDI

In ricordo di Marcello De Cristofaro

Molti tra voi che siete qui ad ascoltare non hanno conosciuto dipersona Marcello De Cristofaro. Alcuni tra voi avevano con lui unintenso rapporto di amicizia e di stima.

Si può comprendere così da subito uno degli aspetti più pro-fondi del suo carattere, personale e insieme accademico. Non c’èscissione, come spesso avviene, ma una innata riservatezza, che siaccompagna alla selettività degli impegni e delle persone, allafedeltà ai principi così come agli affetti, alla disponibilità al dialogoe all’approfondimento più che ai fugaci contatti superficiali.

Mi pare importante iniziare così e così cercherò di concludere.È stato titolare dello stesso insegnamento di Diritto del Lavoro

presso la Facoltà di Economia, dall’a. a. 1970-71, appena conse-guita la libera docenza, e fino alle dimissioni nel 2008 per ragionifamigliari. È uno dei pochissimi casi, probabilmente l’unico nellanostra materia, di pater familias — consentitemi l’utilizzo dellaformula originaria — che decide di lasciare la docenza universitariaper occuparsi della compagna della sua vita, prendendo a carico ilfardello dell’impegno fisico e sentimentale, anche per proteggere ealleggerire il compito ai tre figli.

La Facoltà di Economia a Verona è stata la sua amata sede dilavoro, per l’intera vita accademica. Vi ha affiancato, per alcunianni, l’insegnamento del diritto privato, a riprova della sua origi-naria formazione e passione e ripercorrendo l’esempio di LuigiCarraro, il civilista con cui si è laureato nel 1962, allievo diFrancesco Santoro Passarelli prima del suo trasferimento a Roma.Quando la cattedra di diritto del lavoro divenne autonoma, fuaffidata a Giuseppe Suppiej, che divenne il suo maestro.

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Nella Facoltà veronese, ha diretto quello che allora venivachiamato Istituto di diritto privato, fino al passaggio alla formuladipartimentale, quando ha assunto il ruolo di direttore vicario.

Si è fatto promotore di importanti iniziative. Una prima digrande successo — rimasta nella memoria dei partecipanti e tut-tora ricordata come fondamentale punto di riferimento, soprat-tutto in ambito privatistico — è un lavoro di ricerca dedicato ai“Minori tra famiglia e società”, sfociato in una pubblicazionecollettanea curata assieme ad Andrea Belvedere. È stata una delleprime sperimentazioni di un’idea che solo da poco si sta cercandodi attuare nelle sedi universitarie: creare un gruppo di lavoro checoinvolga la maggior parte dei componenti attorno ad un tema digrande interesse, al fine di analizzarlo sotto le diverse angolaturedelle nostre discipline, producendo risultati da confrontare e di-scutere con colleghi di altri Atenei. In questo volume, si intendeproporre una “visione d’insieme, idonea ad unificare la vastacongerie di frammentarie disposizioni legislative”, che si occupanodel minore, “di volta in volta, come cittadino, o figlio, o lavora-tore” (così nella Premessa a sua firma), dopo l’emanazione deiprovvedimenti di riforma della disciplina dei rapporti familiari e diquella della maggiore età. Marcello De Cristofaro si è occupato diquest’ultima con riferimento al lavoro.

Ha poi voluto e coordinato nel 1988 gli “Studi in memoria diMarino Offeddu”, altro nostro collega. Il ponderoso volume con-tiene scritti giuridici di studiosi di varia estrazione (civilisti, pena-listi, pubblicisti e internazionalisti), “tutti accomunati dal com-pianto per l’amico scomparso”.

Grazie alla documentazione che mi hanno fornito i figli — duedei quali qui presenti: una avvocata a Londra e l’altro ordinario didiritto civile e direttore del dipartimento giuridico a Ferrara — hopotuto leggere quanto redigeva e conservava come relazioni trien-nali sull’attività svolta, ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 382 del1980. La prima è del 1985, l’ultima del 2006. Quanti di noicompilano queste relazioni, tuttora previste da disposizione maiabrogata?

Vi si dà conto, ad esempio, dei rapporti di collaborazionescientifica con colleghi austriaci sfociati in pubblicazioni in linguatedesca. Ma soprattutto, in ogni relazione, Marcello De Cristofaroribadisce la sua attiva “presenza accanto ai giovani ricercatoridell’Istituto affidato alla sua direzione, con larga disponibilità ad

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offrire consigli e occasioni, stimoli e prospettive”. Quanti di noipenserebbero anche solo di inserirvi l’indicazione di questa dispo-nibilità come attività rilevante?

La sua formazione è, e resta nel tempo, quella di un rigorosocivilista, attento alla ricostruzione sistematica delle fonti e all’er-meneutica dei testi normativi. Lo testimoniano da subito i primis-simi lavori, che consistono prevalentemente in recensioni — comeera d’uso in quegli anni — di opere di civilisti. E si osservi che lacollocazione editoriale dei suoi lavori sarà quasi sempre in alcuneriviste giuslavoristiche (la RIDL e DL, di cui ha fatto parte delladirezione) e civilistiche (la Rivista di diritto civile e la Trimestrale).

Inizia da subito la produzione monografica, concentrata neldecennio ’70, e di cui colpisce innanzitutto la scelta di temi delprofilo collettivo di rappresentanza dei lavoratori: le Commissioniinterne, pur prive di supporto legislativo, e l’organizzazione spon-tanea dei lavoratori. L’esito è impressionante e di profonda attua-lità. Una raffinata analisi, condotta utilizzando gli strumenti piùtradizionali del giurista e rivolta ad ogni possibile aspetto. Èsoprattutto il racconto da giurista della fiammata dell’autunnocaldo e delle attese di protagonismo delle persone che lavorano.

La prima monografia sulle Commissioni interne, del 1970,sviluppo della sua tesi di laurea, pone al centro la natura degliinteressi rappresentati, fondamento di ogni successiva riflessionesulle scelte dell’ordinamento tra fonte eteronoma e fonte auto-noma, tra canale unico e canale doppio di rappresentanza, trainteressi del personale e interessi di categoria, tra interessi indivi-duali e interessi collettivi.

Centrale nell’analisi è la ricostruzione del rapporto — in bilicotra collaborazione e conflittualità, tra aziendalismo e lotta di classe— che lega le Commissioni interne da un lato all’impresa e dall’al-tro alle organizzazioni sindacali. Sono pagine illuminanti sullastoria della nostra disciplina, che indagano sulla natura degliAccordi interconfederali, sul carattere normativo o obbligatoriodelle clausole che definiscono i compiti delle Commissioni interne,sulla qualificazione come contratto a favore di terzi; e insieme dibruciante attualità, quando si indirizzano sul sentiero troppospesso lasciato inesplorato dei collegamenti con metodi e tecnichedell’organizzazione del lavoro, o quanto toccano il ruolo di unastruttura rappresentativa (degli interessi) dei lavoratori nelle ridu-

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zioni del personale, in un confronto serrato e proficuo con l’im-pianto dell’ordinamento tedesco.

Nella monografia sull’Organizzazione spontanea dei lavoratoridel 1972 ha colto uno degli aspetti sottesi al sistema di relazionisindacali e criticato l’abitudine degli studiosi italiani di dirittosindacale “ad esaminare i problemi della tutela collettiva deilavoratori secondo la logica propria dei sindacati” (p. 7).

È una rilettura che fa riannodare i fili della dialettica traorganizzazione e movimento, tra democrazia rappresentativa edemocrazia diretta. Nulla di più attuale nel dibattito giuridico esociale.

L’analisi dell’impianto degli istituti principali del titolo terzodello Statuto dei lavoratori è particolarmente preziosa oggi, allaluce della travagliata e tuttora non conclusa vicenda che hacoinvolto l’articolo 19 e la rappresentanza nei luoghi di lavoro.

La monografia sul lavoro a domicilio del 1978 presenta unimpianto sistematico solido, sviluppato a partire dalla ricognizionedel sistema delle fonti.

Interessante ricordare come proprio nel lavoro a domicilio si èregistrato uno dei (primi) casi di ‘infortunio’ nel processo di ap-provazione della legge, sul punto centrale della qualificazionegiuridica della fattispecie in relazione agli elementi della discussaconnotazione della etero-direzione. La vicenda è nota: la difformitàdei testi approvati da Camera e Senato ha portato nel 1980 a una‘leggina’ di interpretazione autentica. Marcello De Cristofaromuove critiche all’intervento legislativo interpretativo in meritoall’inserimento di una ‘e’ oppure di una ‘o’ nella definizione dellafattispecie, osservando che il legislatore avrebbe dovuto occuparsidi ampliare il raggio di azione e “perfezionare una tutela ancoraincompleta o inadeguata” oltre che “chiarire i numerosi dubbiinterpretativi sulla disciplina da applicare” (p. 282). “Amare con-siderazioni si potrebbero fare su questo provvedimento legislativo,in apparenza così strano e paradossale, che costituisce un ulterioreesempio di uso improprio dello strumento della interpretazioneautentica” (p. 289).

Altri ‘incidenti’ sono seguiti e siamo in presenza di un crescenteinarrestabile abbandono di convincenti tecniche di formulazionearticolazione delle discipline legislative che si susseguono, annodopo anno, a modificare l’impianto normativo.

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Tutto ruota, allora come ora, attorno alla nozione di subordi-nazione e di lavoro ‘economicamente dipendente’. Prevalente inMarcello De Cristofaro è, ancora una volta, l’attenzione alla pro-tezione della persona che lavora, compreso l’accesso ad una efficaceorganizzazione collettiva: “il lavoratore a domicilio è abbandonatoa sé stesso” (p. 161).

Oltre al lavoro a domicilio, sono in via generale i rapportispeciali di lavoro ad aver attratto il suo interesse. Se ne è occupatopartitamente nel Manuale di Diritto del lavoro, con GiuseppeSuppiej e Carlo Cester, la cui prima edizione è del 1998 e la quartadi un decennio successiva.

Nella sistematica del manuale, assume una peculiare prospet-tiva, rifiutando la generica diversità di disciplina rispetto allafattispecie negoziale tipica e indagando sulle peculiarità funzionali.

Altro ambito di indagine è stata la figura del dirigente. Rin-grazio Andrea Pilati, che è rimasto da solo a tenere l’insegnamentodi diritto del lavoro nei corsi di economia, per la collaborazione allaanalisi dei lavori più recenti.

Nei lavori dedicati alla figura dirigenziale, Marcello De Cristo-faro ha saputo cogliere alcune delle più significative e peculiariprevisioni introdotte dalla contrattazione collettiva, in serratoconfronto con la giurisprudenza, in materia di recesso: dimissioniper “mutamento di posizione” (DL, 1996) e licenziamento cononere di contestuale motivazione da parte del datore di lavoro(DL, 2000). È però il lavoro sportivo quello che lo ha portato nonsolo ad essere ‘la dottrina di riferimento’, ma che lo ha vistoinvestito di incarichi operativi. Lo studio sul lavoro subordinatosportivo (NLCC, 1982), pubblicato a ridosso della legge n. 91 del1981 costituisce tuttora uno dei più significativi contributi inmateria. Vi viene ricostruito il travagliato e contraddittorio anda-mento dell’iter formativo della legge, messa a fuoco la specialità delrapporto, impostato il problema del coordinamento delle previsionieteronome con le fonti normative dell’ordinamento sportivo, ap-profondita la disciplina dell’organizzazione e dell’attività sinda-cale, esaminati gli aspetti salienti della disciplina del contratto edel rapporto di lavoro. La compenetrazione tra l’ordinamentostatuale e quello sportivo lo ha indotto ad approfondire ulterior-mente il sistema organizzativo dell’attività sportiva, incentrato sulCONI e sulle Federazioni sportive nazionali (DL, 1989), con par-ticolare riferimento alla FIGC (DL, 1988). Mettendo a frutto

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l’esperienza quale componente della commissione di studio nomi-nata dal CONI nel 1996 (notizia sul Corriere della sera dell’epoca),ha approfondito la questione della rappresentanza degli atleti e deitecnici negli statuti federali (DL, 1997), sostenendo con convin-zione la necessità di una effettiva partecipazione istituzionale deirappresentanti di tali categorie negli organi federali, attraverso“una sostanziale equiparazione tra tesseramento (dei calciatori eallenatori) e affiliazione (delle società e associazioni sportive) (p.174). A distanza di qualche anno, tali istanze sono state recepite,come noto, dal d.lgs. n. 242 del 1999, di riordino del CONI, che hacodificato il principio di democrazia interna e di partecipazione algoverno federale.

Ad ulteriore dimostrazione della sua profonda conoscenza dellavoro sportivo, va ricordato che, nell’estate del 1985, ha assistitoavanti al Collegio di disciplina e conciliazione della FIGC il gioca-tore Paulo Roberto Falcao. È stato uno dei primi pionieristicicontenziosi che videro contrapposte una importante società calci-stica (la Roma, difesa da Gino Giugni) ed un calciatore di famainternazionale per vicende inerenti al contratto di lavoro (recessoanticipato della società per inadempimento del contratto).

Arrivati a questo punto, è consuetudine evitare di prendere inconsiderazione quelli che sono considerati scritti minori.

Infrangerò questa regola, sia pure limitandomi a brevissimicenni, perché solo tenendone conto si comprende l’ampiezza e ilpionierismo dei suoi interessi.

È del 1973 un saggio dedicato al Consiglio d’Europa e allasicurezza sociale dei lavoratori migranti, che affronta la relazionefra fonti e istituzioni europee, registrando la prudenza del Consiglionel non voler invadere competenze dell’allora CEE e di alcuni suoiStati membri, preferendo agire sul piano del coordinamento.

È di tre decenni dopo, del 2003, uno scritto sull’associazione inpartecipazione in cui, dopo aver ricostruito lo scarno dispostolegislativo e la sua collocazione anomala tra le disposizioni finali etransitorie, incentra le perplessità più che sulla “vaghezza deicriteri di determinazione del livello richiesto della ‘partecipazione’,che deve essere ‘effettiva’, e delle ‘erogazioni’, che devono essere‘adeguate’“, sulla “almeno apparente contraddittorietà della loroprevisione cumulativa, perché se la ‘partecipazione’, per essere‘effettiva’, deve comportare condivisione del rischio di impresa (odell’affare)... non si vede come le ‘erogazioni’ corrispettive deb-

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bano, nel contempo, essere garantite, e in misura ‘adeguata’“ (p.189).

Infine, e andando a ritroso, è del 1988 un corposo scrittodedicato alla salute del lavoratore nella normativa internazionale ecomunitaria, dedicato a dimostrare le “effettive potenzialità ope-rative racchiuse” nelle disposizioni dell’Atto unico europeo (p.336), anche per il tramite del determinante ruolo affidato alle partisociali, a livello europeo e nazionale. È del 1983 l’analisi dedicata aldivieto di indagini su fatti non rilevanti ai fini della valutazionedell’attitudine professionale del lavoratore, ricca di spunti rile-vanti sulla distinzione tra ‘attitudine’ e ‘idoneità’, tra valutazioneed esercizio dei poteri del datore di lavoro. Un anno prima, si èoccupato del lavoro part-time, in un breve saggio del 1982 antici-patorio della disciplina, pubblicato sulla Rivista internazionale discienze economiche e commerciali. Risale addirittura al 1966 unoscritto che ricostruisce dottrina e giurisprudenza in tema di con-tratti aziendali.

Ne emerge il quadro di un giurista che ha abitato il suo tempo,che si è dedicato ad una molteplicità di temi, spaziando dalrapporto individuale di lavoro, ai profili collettivi, agli aspettiprevidenziali. Che è arrivato ad una visione organica partendodall’esterno, da tematiche importanti, ma considerate marginalinell’impianto tradizionale della materia, come — e solo per portarealcuni esempi — il lavoro minorile e il lavoro sportivo, il lavoro deidisabili, la figura dei funzionari e dei dirigenti, l’organizzazionesindacale dei pensionati, la tutela antinfortunistica, il divieto diindagini sulle opinioni. In altri termini, un giurista che andava alcuore delle tematiche topiche della materia procedendo dai confini.

Che ha cambiato costantemente l’oggetto delle sue ricerche,sperimentando e percorrendo terreni diversi, ogni volta applicandorigore metodologico e acume scientifico.

Che si è sempre avventurato in ambiti inesplorati: in numerosicasi è stato il primo ad occuparsene, subito attratto da altrecuriosità, da altri approfondimenti. Un giurista eclettico e antici-patore, ma senza alcun desiderio di apparire o di ottenere ricono-scimenti.

La sua è una precisa e consapevole propensione ad analizzarei fenomeni giuridici legati al lavoro nella prospettiva della valoriz-zazione della persona, ponendosi sempre tra fatto e diritto.

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La notizia della sua scomparsa è arrivata all’improvviso, aiprimi giorni dell’anno. Improvvisa per tutti. E ha aperto una feritadolorosa non solo per i famigliari e gli amici, anche per i colleghi.Ed è una ferita profonda personale, che ho chiesto di condividere,inviando, come usa fare in questi tempi, un messaggio in rete.

Unanimi sono stati il sentimento e l’apprezzamento per lequalità scientifiche, la stima e l’attestazione di amicizia dei colleghidel Dipartimento di scienze giuridiche dell’ateneo veronese e dellacomunità dei giuslavoristi.

Ricorrente il ricordo di alcune qualità, tra le più evidenti: ilrigore e la raffinatezza dell’analisi giuridica e la signorilità delcarattere, la correttezza, la gentilezza se non addirittura la dol-cezza e la discrezione.

Molti hanno sottolineato la disponibilità nei confronti anchedei più giovani, in un inusuale rapporto paritetico. Ma lui era, è erimarrà per tutti noi che lo abbiamo conosciuto una personadistinta ed elegante, ma con un atteggiamento che lo facevasembrare sempre un ragazzino.

Ho avuto modo in questo periodo di ripensare a lungo allapersona cui devo la scelta e l’opportunità di svolgere il lavoroaccademico.

E ho finalmente compreso quanto profondo sia stato il legamee il suo insegnamento. Un insegnamento basato sul rispetto e lalibertà. La libertà di scelta. Compresa quella, del tutto inusualenell’accademia, di dedicarsi agli affetti e ai propri cari.

La vita ci porta così su strade che sembrano separarsi e invececostantemente si ricongiungono.

Ed eccomi qui a ricordare con voi la perdita di una personacara, di un maestro gentile e disponibile, sempre presente e semprepronto a dare senza chiedere.

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TIZIANO TREU

In ricordo di Mario Napoli

1. Inizierei il ricordo di Mario Napoli prendendo spunto dalvolume “Diritto del lavoro in trasformazione” che conferma lavastità degli interessi e degli interventi di Mario. Più di altri suoiscritti, questo volume rivela la tensione e la passione di un giuristaprofondamente coinvolto nelle vicende sociali, ora più che maiperturbate da tante fratture ed incertezze.

Non a caso già le prime righe della prefazione segnalano conpreoccupazione che il diritto del lavoro ha risentito più di altrisettori del “primato politico e culturale dell’economia”. Mario,profondo cultore del diritto e convinto del suo ruolo sociale, mettein guardia dal sopravvalutare il ruolo delle norme, perché ciò sitraduce in una delegittimazione culturale e politica del diritto dellavoro. E più volte sottolinea l’errore e l’illusorietà di cercare neldiritto la soluzione di problemi politici.

L’ammonimento e la criticità sono specificamente diretti allatesi secondo cui la regolazione del lavoro sarebbe una delle causedella crisi. Questa tesi, purtroppo diffusa anche da noi, nella suagenericità e assolutezza, non è suffragata dai fatti, come confer-mano analisi autorevoli anche di organismi internazionali, qualil’OIL e l’OCSE. Il diritto del lavoro resta una variabile dipendentedel sistema sociale — ribadisce Mario nella stessa prefazione —. Maciò non significa che debba essere succube dell’economia rinun-ciando al suo compito di portare nel mondo economico principi eregole essenziali per la tutela e la promozione del lavoro.

D’altra parte con l’economia il diritto del lavoro deve fare iconti, se non vuole ritenersi variabile indipendente. Nel mondoglobalizzato, percorso da novità tecnologiche e da pressioni com-petitive senza precedenti, il confronto con le ragioni dell’economiaè più difficile di quanto non fosse nell’epoca delle economie pro-tette e in crescita dei nostri paesi.

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Mario cita come esempio di sopravvalutazione della regola-zione del lavoro la “forsennata campagna contro l’art. 18 delloStatuto dei lavoratori”, che ha portato la legge Fornero a produrre“una norma irrazionale, vero e proprio mostro giuridico”. Anch’iopenso — e non da oggi — che tutto il dibattito sull’art. 18 sia statotroppo ideologizzato ed enfatizzato: sia da chi attribuiva alla nor-ma una responsabilità decisiva nel cattivo funzionamento delnostro mercato del lavoro, sia da chi la difendeva come baluardo diciviltà. E concordo con Napoli sul giudizio negativo sulla modificadell’art. 18 introdotta dalla legge 92/2012. L’ulteriore e radicalemodifica della norma apportata dal decreto 23/2015 è meno cen-surabile sul piano strettamente tecnico, perché è più netta di quelladella legge 92/2012. Ma non credo che incontrerebbe l’approva-zione di Mario, strenuo difensore della stabilità reale del rapportodi lavoro.

In questo le nostre idee erano diverse. Se il principio per cui illicenziamento deve essere giustificato è un punto fermo del mo-dello sociale italiano ed europeo, non altrettanto si può dire dellareintegrazione come conseguenza del licenziamento ingiustificato.Tant’è che l’equilibrio fra reintegrazione e tutela indennitaria dellavoratore licenziato ingiustamente è variamente apprezzato neivari ordinamenti europei; ed è soggetto a modifiche nel tempo, inbase a valutazioni storiche e politiche. Queste sono influenzate dadiverse variabili: in generale dagli orientamenti sociali e politici deivari paesi, e specificamente dalle modalità con cui si configura latutela del lavoratore nel posto di lavoro e nel mercato del lavoro,e da come si contempera tale tutela con l’interesse dell’impresa allaflessibilità dell’impiego dei lavoratori.

Condivido del tutto il richiamo di Mario al fatto che la man-canza e la inosservanza delle regole (non solo del lavoro) pesanosulla società italiana in modo altrettanto grave della disoccupa-zione giovanile. Ed è opportuno il suo appello alla dottrina giuri-dica, soprattutto ad opera dei giovani, di inserire il dibattito “nellascia della ripresa dello sviluppo”, cui la cultura giuridica può esseredi aiuto. Ma perché sia così e affinché le regole del lavoro non sianoun ostacolo allo sviluppo occorre verificare l’adeguatezza delleregole costruite nel secolo scorso alla luce delle nuove condizionidella economia e della società.

Su questo probabilmente non c’è stato ancora un impegnosufficiente della nostra cultura giuridica per la indubbia difficoltà

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dell’opera, ma anche per una resistenza a mettere in discussioneposizioni e convinzioni acquisite. Si tratta di valutare criticamente— senza pregiudizi — quali parti dell’ acquis consolidatosi neglianni costituiscono un patrimonio di diritti irrinunciabili e qualiinvece rappresentano tutele normative e benefici economici daridimensionare per renderli fruibili alla generalità dei lavori edifendibili dalle pressioni competitive.

Si tratta di una revisione difficile perché richiede una valuta-zione dei diversi interessi in gioco e della incidenza effettiva, nonsolo formale, delle norme lavoristiche sui rapporti sociali; ed essava condotta in un contesto socioeconomico radicalmente diversoda quello storico di formazione del diritto del lavoro e della nostracultura giuridica. Ma una simile ricerca è necessaria per adeguaregli strumenti della nostra disciplina alle nuove sfide economiche esociali, senza rinunciare alla propria missione di difesa e di promo-zione del lavoro; e anche per evitare che le pressioni della compe-tizione globale si traducano in una “corsa al ribasso” incontrollatae rovinosa specie per i soggetti e per le aree più deboli.

Questa revisione critica implica non la riduzione indifferen-ziata di benefici e tutele dei lavoratori, ma anzitutto una lororicalibratura valutata alla stregua di due ordini di fattori entrambiessenziali; da una parte le esigenze dell’economia e delle imprese,con le pressanti necessità di flessibilità e di innovazione, dall’altrala necessità di aggiornare le tutele e i sostegni del welfare tenendoconto dei nuovi bisogni dei lavoratori e delle crescenti disegua-glianze provocate da uno sviluppo squilibrato.

Del primo ordine di problemi si discute largamente, spesso conuna eccessiva condiscendenza, come rilevava Mario, verso le ra-gioni dell’impresa e con insufficiente impegno a ricercare forme diflessibilità aziendale che permettano di contemperarle con i dirittie col benessere dei lavoratori. Non mancano esperienze aziendali edi contrattazione, ad es. in tema di orario e di mobilità professio-nale, che mostrano come tale contemperamento sia possibile.

Sul secondo tipo di questioni, cioè sul riequilibrio interno degliistituti di welfare e di tutela, si è discusso ancora troppo poco e conmolte reticenze. Eppure il nostro sistema presenta gravi squilibririspetto a ordinamenti vicini, evidenti già prima della esplosionedella crisi e della globalizzazione. Una correzione di tali squilibri èessenziale affinché diritto del lavoro possa corrispondere meglio alsuo obiettivo di tutela di tutti i lavoratori e di correzione delle

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diseguaglianze; e per altro verso affinché possano essere impiegatemeglio le risorse scarse. Si tratta non tanto di risparmiare sullaspesa sociale (ma) soprattutto di ridefinirne le priorità; del resto inItalia come in altri paesi europei, l’ammontare complessivo diquesta spesa non ha avuto significative riduzioni negli anni piùrecenti (a prova della sua resilience).

Esempi di squilibrio si trovano in vari ambiti del nostrosistema sociale. Si pensi anzitutto a quelli in ambito pensionisticofra la moltitudine di pensioni insufficienti e le “pensioni d’oro” cheancora sopravvivono, e in generale al peso di tante pensioni “pre-coci”, frutto di scelte passate che sono mediamente più alte dellepensioni di vecchiaia.

Lo squilibrio permane grave fra l’ammontare della spesa pen-sionistica e la endemica scarsità degli investimenti nelle politicheattive del lavoro, negli aiuti alle famiglie e nella lotta alla povertà.Per non parlare dell’insufficiente attenzione alla qualità e alladiffusione dell’educazione, che invece in una società della cono-scenza è essenziale per lo sviluppo economico e personale.

Tali squilibri della spesa sociale colpiscono soprattutto i gruppipiù deboli, a cominciare dai giovani, e pregiudicano la funzione delwelfarenon solo come sistemadi tutelemacome investimento socialein grado di qualificare lo sviluppo invece di ostacolare la crescita.

Un altro settore storico del welfare, quello degli ammortizzatorisociali, va ripensato, in più direzioni: per accentuarne i caratteriuniversalistici così da estenderne la copertura a gruppi di soggettifinora scoperti (spesso i più bisognosi); per accompagnarlo conpolitiche efficaci di attivazione e per attrezzarlo a sostenere im-prese e lavoratori non più solo nelle crisi occasionali delle aziendema nelle transizioni che caratterizzano in modo ricorrente le vi-cende economiche di tutti i settori.

2. Il rafforzamento di reti sociali di sicurezza e di strumenti dipolitica attiva è essenziale anche per riconsiderare il rapporto tratutele nel rapporto di lavoro e protezione/sostegno dei lavoratorinel mercato del lavoro.

Questo è oggi il punto dolente dell’assetto istituzionale delmercato del lavoro che si è tradizionalmente concentrato, in Italiapiù che altrove, sulle regole del rapporto individuale di lavoro,quasi che fossero l’unico possibile strumento di tutela dei lavora-tori. È un punto dolente, perché oggi questo livello di tutela risulta

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sempre meno adeguato a fronteggiare i rischi cui sono esposti ilavoratori, quale che sia la rigidità della protezione del singoloposto di lavoro. D’altra parte abbandonare la (rassicurante) tuteladella stabilità del posto può essere socialmente e individualmentesostenibile solo se tale rinuncia è compensata da efficaci ammor-tizzatori sociali in caso di perdita del posto sia da aiuti allaricollocazione di chi ha perso il posto, in nuovi rapporti di lavoro.Questo è l’insegnamento delle migliori esperienze europee di flexi-curity, che sono basate su un effettivo e non teorico equilibrio fraflessibilità nel rapporto e sicurezza sul mercato.

Come si vede le modifiche del contesto economico e socialerichiedono una revisione profonda degli strumenti e degli obiettividel diritto del lavoro, su entrambi i piani, del rapporto individualee del governo del mercato del lavoro. In questa revisione possonoessere arricchiti i contenuti dei diritti sociali e la stessa natura delcontratto di lavoro. Qualcuno ha prospettato, l’ipotesi che questocontratto (possa) trasformarsi in uno status professionale dellavoratore includente le varie forme di lavoro, ove si coniughinopercorsi individuali, mobilità delle posizioni e stabilità occupazio-nale.

A tal fine sono chiamati a contribuire diversi istituti che nellevisioni tradizionali delle nostre discipline sono distinti, quali gliobblighi e i diritti delle parti del rapporto, le attività di formazionecontinua necessarie ad arricchire le qualità del lavoro e dell’im-presa, i servizi di sostegno alla occupabilità e gli istituti del welfarenei vari cicli di vita.

Una visione integrata dei diritti sociali allarga la responsabilitàsia delle istituzioni pubbliche sia delle imprese: perché richiede adesse non solo l’adempimento degli obblighi tradizionali del rap-porto di lavoro e un uso positivo delle flessibilità, con preferenzaper quella interna rispetto a quella esterna, ma anche scelte inno-vative in tema di formazione e di valorizzazione delle capacitàdelle persone atte a sostenere una effettiva occupabilità.

Il ripensamento degli istituti lavoristici e dei loro equilibriimplica una ricerca di grande impegno e dai percorsi incerti. Ancheperché si dovrà svolgere in condizioni di incertezza e al di fuori deiparadigmi che hanno caratterizzato il sistema giuridico e socialeprecedente. Gli obiettivi di sistematicità dell’ordinamento cui Ma-rio è stato sempre particolarmente sensibile non sono più quellidefiniti nel passato. Anzi non si presentano definibili una volta per

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tutte. Non per niente la prevedibilità e la stabilità dei sistemi sonomesse in discussione anche in ambiti e in discipline, quelle scien-tifiche, più solide del diritto.

La stessa coerenza interna del sistema giuridico diventa di piùdifficile apprezzamento se l’assetto sistematico diventa variabile eindefinito. Non a caso sono sempre più frequenti le situazioni in cuiil criterio di riferimento per il legislatore e per l’interprete puòfondarsi non tanto sulla sistematicità e sulla coerenza dell’ordina-mento quanto su una difficile opera di bilanciamento fra i diversiinteressi in gioco.

3. L’importanza della coerenza interna dell’ordinamento e deisuoi istituti portanti, sottolineata nell’opera di Mario, non oscurala sua sensibilità alla realtà degli interessi sottesi ai rapportiindividuali e collettivi di lavoro.

Questa sensibilità è ben presente nelle molteplici prese diposizione su argomenti ove le tensioni fra gli interessi sono parti-colarmente evidenti: la contrattazione collettiva e le relazioniindustriali e per altro verso la normativa sugli ammortizzatorisociali e in generale sul welfare.

Mario ha analizzato con lucidità e praticità i variabili rapportifra legge e contratto, già complessi prima della crisi e da questa resiancora più critici. Il fatto che l’evoluzione dei tempi e della stessalegislazione abbia messo in discussione la tecnica della norma inde-rogabile di legge ha confermato la sua convinzione che il diritto dellavoro “ha sempre respirato con due polmoni: la legge inderogabilee la contrattazione collettiva”; e che questa seconda si è caricata diresponsabilità senzaprecedenti, ancheper delega legislativa. “Senzala legge si rinuncia al compito della Repubblica di tutelare il lavoroin tutte le sue forme e manifestazioni (art. 35). Senza la contratta-zione si finirebbe con il considerare i sindacati un’appendice dellapolitica e non un’autonoma espressione del tessuto pluralistico.L’evoluzione sociale deve spingere a trovare un equilibrio tra le duesedi di regolazione. Questo dovrebbe essere la sintesi unitaria delleforze riformistiche vicine al mondo del lavoro”.

La sua fiducia nel valore del metodo contrattuale non na-sconde la utilità di interventi legislativi ispirati a obiettivi disostegno, come nella migliore tradizione italiana, ma anche direttiad attribuire alla contrattazione ampi poteri di deroga “La con-trattazione collettiva su rinvio legislativo realizza il massimo del-

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l’incontro fra le fonti del diritto del lavoro e cioè fra i suoi duepolmoni”.

Ma proprio la sensibilità e l’equilibrio di Mario lo hanno por-tato a criticare interventi indifferenziati e invasivi come quellodell’art. 8 della legge 148/2011. “Una esagerazione”, come Mariotitola il suo commento, perché “una cosa è la deroga a specificidisposti legislativi, un’altra la deroga generalizzata dell’art. 8”; eaggiunge: “la sua vastità è sì contenuta dalle delimitazioni dicampo, alla cui luce vanno riportate le esemplificazioni, ma non ègiustificata dalle finalità che si vogliono raggiungere”.

4. La stessa sensibilità ed equilibrio sono presenti nei com-menti “partecipati” di Mario ai difficili rapporti fra le organizza-zioni sindacali e alla decisione con cui la Corte Cost. n. 231/2013ha “legiferato” sulle vicende FIAT in relazione all’art. 19 StatutoLav.

Fedele alla sua fiducia nell’autonomia collettiva, egli osservache “forse è meglio non invocare l’intervento del legislatore”, marealisticamente prende atto delle ragioni di un possibile intervento.E allora aggiunge utili precisazioni: “se il legislatore vuole inter-venire, lo deve fare abbandonando del tutto la logica del sindacatomaggiormente rappresentativo, abrogando l’art. 19 e dettando ladisciplina delle rappresentanze sindacali unitarie come organismoaziendale. Potrebbe essere l’occasione per legiferare anche sull’at-tuazione dell’art. 46 Cost.”; cioè per promuovere finalmente, anchein Italia, forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delleimprese, dando corpo a un obiettivo da tempo coltivato da Napolie da molti di noi.

Lo sguardo attento di Mario alla evoluzione delle relazionicollettive nelle imprese e della legislazione, lo porta a sottolineareche la contrattazione collettiva ha assunto obiettivi ulteriori aquelli distributivi, per cimentarsi sui temi dello sviluppo, dellaproduttività e dell’occupazione.

Non a caso i recenti accordi interconfederali del 2009-2011segnalano che il problema centrale per le parti sociali non è più solol’inflazione o l’andamento dei conti pubblici che erano ancora alcentro del patto del ’93, ma la ripresa dello sviluppo e dell’occu-pazione. E Napoli aggiunge che “la produttività come valorecondiviso allarga, non diminuisce, gli spazi negoziali del sinda-cato”. Non si tratta di affermare una funzionalizzazione della

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contrattazione collettiva su cui Napoli interloquisce con le tesi(contrarie) di M. Rusciano, ma di prendere atto che la contratta-zione collettiva di oggi ha acquistato una latitudine ben più ampiadel passato.

5. La stessa fiducia nell’autonomia collettiva spiega l’interessedi Mario per le sue manifestazioni organizzate e multifunzionali,costituite dagli enti bilaterali. Questi sono una espressione disussidiarietà orizzontale ricca di possibili interventi, partecipatadelle parti sociali in materie diverse: dalla formazione, alla previ-denza integrativa, alla integrazione della tutela del reddito, finoalla gestione del mercato del lavoro. Qui si ha un’altra confermadella vastità e della modernità degli interessi di Mario, che lo hannoportato a occuparsi con apporti di grande valore teorico e praticodi materie come quelle del mercato del lavoro poco praticate daigiuristi del lavoro. Questi suoi contributi sono arricchiti dall’usualesuo rigore analitico e insieme da approfondite conoscenze pratiche,in particolare quelle maturate come presidente dell’Agenzia dellavoro di Trento, che è stata un’esperienza pilota nella attuazionedi efficaci politiche attive.

Un’altra conferma delle modernità e della concretezza del-l’opera di Mario è il suo interesse, alquanto marginale fra i giuristi,per le legislazioni regionali che in tema di politiche del lavoro e diservizi all’impiego sono di importanza decisiva. Di qui le analisicondotte sulle normative e sulle esperienze di regioni diverse, daquelle della Campania a quelle della Lombardia. Le riflessioni suquest’ultima sono emblematiche del pensiero di Mario; secondo luila dote lavoro di queste regioni si basa su due principi forticondivisi da tutti: la centralità della persona e il principio disussidiarietà orizzontale.; egli ci tiene a precisare che “il sistemadella dote può essere utile alla occupabilità dei lavoratori e nondiventarne un ostacolo solo se i servizi all’impiego fossero edificatirealmente”.

Il suo interesse per questi temi è alimentato anche dall’at-tenzione alle esperienze comparate, che sono state coltivate di-rettamente dai suoi allievi. Mario riconosce che la situazioneitaliana, per la debolezza delle sue istituzioni, non facilita lacomparazione, né l’affermazione di un modello di welfare to workadattato a livello nazionale. E qui Mario mette in guardia dalsovrapporre il piano del mercato del lavoro a quello della rego-

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lazione del rapporto, ribadendo che la regolazione del rapportonon è esclusa da un’efficace regolazione del mercato del lavoro;ove traspare una cautela, se non la esplicita riserva, circa leimplicazioni delle politiche di flexicurity in ordine alla stabilità deirapporti individuali di lavoro.

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Venerdì 29 maggio 2015 - pomeriggio

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INTERVENTI

DOMENICO GAROFALO

Perché è condivisibile Corte cost. n. 70/2015

Voglio sviluppare qualche osservazione sulla relazione di Edo-ardo Ales, al quale va il mio vivo apprezzamento, per gli spunti checi ha fornito sia nel testo scritto, sia nella relazione orale.

Parto dal collegamento tra gli artt. 38, c. 2, e 36, c. 1, Cost.,operato sia dal giudice remittente, sia dalla sentenza n. 70/2015della Corte costituzionale.

Quest’ultima è arrivata alla conclusione che il blocco dellaperequazione menoma l’adeguatezza della prestazione e lede ilprincipio di proporzionalità tra trattamento pensionistico e retri-buzione, alla luce degli artt. 38, c. 2, e 36 c. 1, Cost.

Decisa a questo riguardo è la critica di Ales che parla di« immedesimazione funzionale » tra le due norme costituzionali,che finisce per essere anche « osmosi strutturale ». Secondo Ales, inassenza di una indicazione costituzionale circa il « quomodo », lariflessione sull’art. 38, c. 2, Cost., ha risentito, e risente tuttora, deldominio del metodo retributivo, inducendo anche la stessa Cortecostituzionale a ritenere la pensione come retribuzione differita,così perdendo di vista il « quid » del diritto; tale impostazioneandava ripensata dopo la riforma Dini del 1995, che ha introdottoil metodo di calcolo contributivo.

Altrettando critica verso tale collegamento tra le due normecostituzionali è stata Paola Bozzao, che in un recente scritto, hasottolineato come la qualificazione della pensione quale « retribu-zione differita », operata molte volte dalla Corte costituzionale,riguardi i trattamenti dei dipendenti civili e militari dello Stato.Ma anche sotto questo profilo — afferma Paola Bozzao — agli inizi

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degli anni ’90 il legislatore ha omogeneizzato la disciplina pensio-nistica di questa categoria di lavoratori a quella del settore privato.

Esclusa, quindi, la natura di retribuzione differita e di conse-guenza il nesso tra le due norme costituzionali prima citate, vamessa in discussione la sussistenza di un diritto al costante ade-guamento della pensione al mutevole potere di acquisto dellamoneta.

A me pare che entrambe le argomentazioni critiche sul nessotra le due norme costituzionali, in special modo quelle sviluppateda Ales, non siano condivisibili alla luce delle seguenti considera-zioni.

In primo luogo, l’assimilazione del trattamento pensionisticoalla retribuzione non è imputabile alla Corte costituzionale, ma allegislatore che, disciplinando il reddito imponibile ai fini fiscali,assimila il trattamento pensionistico alla retribuzione, assogget-tandolo allo stesso sistema di prelievo fiscale.

In secondo luogo, ritengo totalmente fuorviante il richiamo almetodo di calcolo contributivo della pensione, per sostenere chequest’ultima sia totalmente sganciata dalla retribuzione, conside-rato che la contribuzione viene calcolata sul reddito percepito dallavoratore, con l’effetto che il collegamento tra pensione e retribu-zione è dato proprio dalla contribuzione.

Ancora, è sempre il legislatore a prevedere che per garantirel’equilibrio finanziario del sistema previdenziale sia la retribuzionea costituire il parametro unico per calcolare le prestazioni (uscite)e la contribuzione (entrata).

Se fosse fondata la tesi di Ales si potrebbe ritenere legittimo unintervento legislativo che scolleghi dalla retribuzione tutte le pre-stazioni temporanee assicurate dall’art. 38, c. 2, Cost.

Non può negarsi che al legislatore sia consentito apporre untetto alle prestazioni (si pensi a quello operante per i trattamenti didisoccupazione o per la tutela nel caso di insolvenza del datore dilavoro), mantenendo l’adeguatezza, ma ciò non esclude che latutela previdenziale ex art. 38, c. 2, Cost., sia collegata, a mioparere ontologicamente, al reddito percepito dal lavoratore, sia nelcorso del rapporto di lavoro, sia nella fase in cui per qualsiasiragione manchi o venga meno l’attività lavorativa.

Mettere in discussione tale nesso, per inficiare la soluzioneadottata dalla sentenza n. 70, significa mettere in discussione ilparametro costituzionale dell’adeguatezza.

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Passando ora al ruolo della Corte costituzionale, e con riferi-mento specifico ai criteri che assumono rilevanza nel vaglio dellarispondenza della legislazione ordinaria al sistema costituzionalemultilivello dei diritti sociali, Ales richiama in primis quello del-l’adeguatezza delle prestazioni, spesso connesso al (non) regressodelle tutele; ebbene, secondo Ales questo criterio porta il Giudicedelle leggi a mettere in discussione, in nome di una ragionevolezzapolitica alternativa, la scelta operata dal decisore politico conriferimento alla allocazione delle risorse rispetto ad una singoladisposizione estrapolandola dal contesto sistemico e finendo con ilprivilegiare l’interesse di un singolo o di un gruppo, rispetto aquello generale alla cui valutazione il decisore politico è vincolatodal principio democratico.

L’effetto di tale operazione è un’arbitraria sostituzione dellaCorte costituzionale al decisore politico nella determinazione dellivello quali-quantitativo di benessere da accordare ai cittadini.

Tale effetto va contrastato, onde salvaguardare la discrezio-nalità del decisore politico.

In totale sintonia appare la posizione di Paola Bozzao cheinvoca il principio di adeguatezza inteso nella sua accezione redi-stributiva (più che retributiva), essendo volto a soddisfare uninteresse collettivo a rilevanza pubblica.

Si tratta del patto intergenerazionale di cui parlava ieri nel suointervento il Professore Persiani.

Voglio replicare a tale impostazione, che ovviamente noncondivido, riportando letteralmente l’opinione di Maurizio Cinelliche, a conclusione di un commento alla sentenza n. 70/2015 dellaCorte costituzionale, così scrive: « Alla sentenza, piuttosto, è dariconoscere il pregio di aver avvertito il problema e, pur tuttavia,di aver ritenuto giusto richiamare con forza l’attenzione sui “di-ritti” e sull’esigenza di uno scrupoloso, equilibrato bilanciamentotra due obiettivi — quello della sostenibilità economica e quellodella sostenibilità sociale — che, in nessun caso, possono essereapprezzati e vissuti come obiettivi antagonisti. Un segnale, questo,particolarmente significativo in un periodo, come l’attuale, nelquale sempre più spesso — troppo spesso — il settore previdenzialediviene bersaglio privilegiato delle manovre di politica finanziaria,e i diritti risultano pesantemente conculcati dalle “ragioni” del-l’economia ».

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Al contempo, si condivide la critica avanzata da Prosperettinei confronti del legislatore, che ha avuto la responsabilità « di nonchiarire adeguatamente l’intento macroeconomico dell’operazione,ancorandola ad un problema contingente, ciò che ha, appunto,indotto la Corte ad individuare una contraddittorietà tra le finalitàe lo strumento utilizzato ». Infatti, la maggiore responsabilità dellegislatore in questione è quella di essere letteralmente passato suivalori e sull’impianto Costituzionale con un’indifferenza istituzio-nale che non ha eguali: oggi chi scorge la pagliuzza nell’occhioaltrui, dovrebbe prima guardare il trave che offusca il propriosguardo.

Voglio concludere il mio breve intervento ritornando sul temadel rapporto tra decisore politico e Corte costituzionale.

L’analisi del trend normativo della legislazione previdenzialedegli ultimi vent’anni rende evidente l’esistenza di un collega-mento tra prestazioni pensionistiche e contribuzione, andandooltre il semplice stato di lavoratore che in passato ha legittimato difatto l’erogazione dei trattamenti.

Il primo provvedimento che ha consacrato l’avvio di questonuovo percorso legislativo è stata la l. n. 335 del 1995, consolidatopoi con l’avvio del sistema del bilateralismo e l’istituzione dellaprevidenza complementare, ed ulteriormente rafforzato con ild.lgs. n. 22 del 2015. In sintesi, il fil rouge di questo trend risiedenell’abbandono della vocazione solidaristica con emersione dellalogica corrispettiva o sinallagmatica, sia per i trattamenti pensio-nistici (grazie al passaggio al metodo contributivo con la l. n. 335del 1995), sia per i trattamenti di disoccupazione (con il d.lgs. n. 22del 2015).

A fronte di ciò è doveroso interrogarsi sulla legittimità diquesti interventi e dei connessi tagli alla sicurezza sociale, a frontedi un atteggiamento del decisore politico che non riduce in modoaltrettanto drastico le spese di altri settori, si pensi alla difesa o allostesso costo, lato sensu, della politica, di fatto attingendo in mododiscutibile, continuo e sistematico al settore previdenziale, senzaapportare alcun miglioramento alle connesse prestazioni.

A chi teme una neutralizzazione delle decisioni politiche ine-renti i diritti fondamentali, con l’emersione di una « preoccupanteconcezione individualistica e spoliticizzata dei diritti fondamen-tali » (Morrone) occorrerebbe ricordare che la Repubblica è fattaanche di formazioni sociali, di lobby, di stake-holders, il cui peso

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specifico politico sovente condiziona le scelte di politica economicain un senso o in un altro, e che troppo spesso il legislatore hapreferito tutelare alcuni di questi, in danno di altri (in questo casoi pensionati), in ragione delle conseguenze politico-sociali derivantidall’impopolarità delle scelte.

Sicuramente v’è discrezionalità del decisore politico, ma que-sta incontra il limite della coerenza delle scelte fatte in passatodallo stesso legislatore e del principio di ragionevolezza, così comedeclinato dalla stessa Corte costituzionale nella propria giurispru-denza.

Al fondo della sentenza n. 70 del 2015, emerge il fondamentaleproblema di individuare il grado di resistenza del nostro sistema diwelfare, non potendo che condividersi l’opinione di Giulio Prospe-retti quando afferma che il vero problema è l’incerta ratio delsistema pensionistico italiano, o meglio dell’intero sistema di wel-fare italiano, e quindi il difficile equilibrio tra il soddisfacimento deidiritti fondamentali ed i connessi vincoli economico finanziari,ovvero, come afferma Madia D’Onghia il « tentativo di tenereassieme gli obiettivi di sostenibilità economica (e, quindi, equilibrifinanziari e riduzione della spesa) e di sostenibilità sociale ». Appa-rentemente, il problema appare di facile soluzione, invocandosi lacosiddetta tecnica del bilanciamento, sebbene la ricerca del puntodi equilibrio non sia proprio così agevole, alla stregua dei principiinvalicabili di ragionevolezza e proporzionalità, richiamati dallaCorte Costituzionale ogni qualvolta v’è da valutare la legittimità dinorme che in nome dei secondi (i vincoli) determinano il sacrificioo la compressione dei primi (i diritti fondamentali).

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ALBERTO AVIO

Mi trovo molto d’accordo con la relazione del Prof. Ales, che mipare del tutto condivisibile e convincente, così come i risultati aiquali arriva.

Vorrei sottolineare due aspetti toccati dalla relazione che misembra meritino un particolare approfondimento nel dibattito. Ilprimo è relativo alla natura della prestazione pensionistica. Iprecedenti della Corte Costituzionale che vengono richiamati rela-tivamente al carattere retributivo o no della pensione sono — nona caso — tutti concernenti pensioni di dipendenti pubblici. Questo,a mio avviso, fa sì che non si possano utilizzare per individuare lanatura giuridica della prestazione sociale della vecchiaia stabilitadall’art. 38 Cost. Il motivo è semplice: sino al 1992 (e le sentenze siriferiscono a vicende legate alla normativa pre-riforma 1992) ilfondamento delle prestazioni erogate ai dipendenti pubblici inquiescenza era radicalmente diverso dalle prestazioni erogate aidipendenti privati. Tale diversità emergeva chiaramente in alcunecaratteristiche di quella prestazione: il diritto non era collegatoall’età di collocamento a riposo ma solo all’anzianità di servizio(anzi, l’età di collocamento a riposo veniva individuata in norma-tiva totalmente distinta da quella previdenziale); la prestazioneera cumulabile con qualsiasi forma di reddito e di lavoro. Il nomestesso della prestazione — chiamata, per gli statali, debito vitaliziodello stato — ci indirizzava verso lidi diversi da quelli dellapensione di vecchiaia. Probabilmente il fondamento era da indivi-duarsi in un debito di riconoscenza verso il suddito settecentesco enon nel diritto del cittadino della Repubblica ad essere sollevato dasituazioni di bisogno. Dalla riforma del 1992 abbiamo assistitoall’instradamento (non immediato, in forza della tutela delle aspet-tative) delle pensioni erogate ai lavoratori pubblici nell’alveo dellanormativa che regola le pensioni dei lavoratori privati. Sarebbeutile cominciare a ragionare, anche relativamente alle pensionimaturate in tutto o pro-quota con la vecchia normativa, secondo i

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criteri e principi che sono alla base delle riforme del 1992-1995. Perquesto non posso che concordare con Ales, sul fatto che il dibattitodebba spostarsi (o tornare) sull’individuazione del concetto diadeguatezza della prestazione stabilito dall’art. 38 Cost., sgancian-dosi, finalmente, dall’abbraccio (troppo stretto da non essere sof-focante) con l’art. 36 Cost.. Il motivo della necessità di ripensare irapporti tra i principi enunciati dai due articoli è nel fondamentodella riforma pensionistica: mi sembra indiscutibile che il metododi calcolo della prestazione contributiva (alias il fondamento tec-nico-giuridico della prestazione) poggi su di un principio esclusi-vamente solidaristico e minimamente (ma vorrei dire per niente)assicurativo. Al momento in cui il montante contributivo è riva-lutato sulla base dell’andamento del PIL e non dell’inflazione ed ilcoefficiente di trasformazione varia secondo criteri comprensibilisolo nell’ottica di redistribuzione della ricchezza e non certo direndimento del capitale, pare evidente la natura tributaria deicontributi e la natura non retributiva ma solidaristica della pre-stazione.

Un secondo aspetto è quello relativo ai limiti dell’ordinamentomultilivello e alla giusta distinzione tra ragionevolezza e raziona-lità. Le leggi che hanno modificato l’età pensionabile nell’ambitodella pensione contributiva non hanno alcuna razionalità: deno-tano solo il fatto che non si è capita — anche qui — la funzione delcoefficiente di trasformazione della l. 335/1995; un sistema che legauna parte del quantum della prestazione alla speranza di vitadeterminata all’età di pensionamento è — dal punto di vistaeconomico — indifferente al momento di effettivo pensionamento.Il calcolo è tale, infatti, da stabilire un costo complessivo per loStato pressoché uguale nei confronti di tutti i pensionati. Peresemplificare: se il soggetto va in pensione al momento in cui hauna speranza di vita di 20 anni, avrà una pensione di 1 per anno;se la speranza di vita è, invece, di 10 anni — a parità di montante— avrà 2 per anno. Il totale erogato non cambia. Nonostantequesto si è ugualmente provveduto ad alzare l’età pensionabile eda ridurre la possibilità di scelta del momento di pensionamento conla (ragionevole?) speranza che i mercati finanziari internazionali ela Commissione UE pensassero che queste misure avrebbero con-tribuito a ridurre a spesa pensionistica. Il meccanismo della legge335 non è stato capito in Italia ed all’estero, innanzitutto perchénon è stato immediatamente attuato. Il problema non è solo di

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razionalità, è eminentemente politico. Arrivo quindi al problema.Il punto chiave risiede nella legittimazione democratica del-l’Unione Europea o, meglio, del ripensamento/riposizionamentodei valori sui quali si basa l’Unione. Se le norme interne si muo-vono non più avendo come faro la Costituzione ma la normativaeuropea — o meglio, il pareggio di bilancio — rischiamo di modi-ficare implicitamente la parte fondamentale della nostra Costitu-zione e non guardare più ad un bilanciamento dei diritti ma ad unbilanciamento degli interessi. L’Unione Europea è una realtà ne-cessaria ed irrinunciabile, ma acerba in tema di legittimazionedemocratica e di condivisione dei diritti fondamentali (ed inviola-bili) della persona, come ci ha ampiamente dimostrato il nostrorelatore. Dobbiamo attendere (anzi, lavorare per ottenere) il pas-saggio dal riconoscimento dei diritti di cittadinanza europea aidiritti di cittadinanza sociale europea.

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MARÍA TERESA DÍAZ AZNARTE

Flessibilità interna e contrattazione collettiva in Spagna. L’interpre-tazione dei diritti costituzionali in chiave economica

La riforma del diritto del lavoro spagnolo (sempre incompiuta)sta stravolgendo i pilastri del modello di relazioni di lavoro conpromesse di raggiungimento di obiettivi di dubbio compimento.L’ablazione dei diritti sociali è evidente, però il tasso di disoccu-pazione non diminuisce. Inoltre, stiamo accettando che i lavoratoriche si inseriscono nel mercato del lavoro o chi, con difficoltàrimanga inserito, lo facciano in condizioni significativamente peg-giori di quanto avveniva dieci anni fa. L’interventismo statale,imprescindibile nel determinare le condizioni minime di tutela dellavoro e segno d´identità del Diritto del Lavoro, si sta ritirando, enon precisamente per lasciare un maggior spazio all’autonomiacollettiva delle parti sociali (com’è successo con la riforma del1994), ma per far pendere la bilancia a favore del lato datoriale, ilche si configura come una scelta assolutamente non innocenterispetto allo squilibrio immanente che sussiste nei rapporti dilavoro.

Le voci che insistevano sulla necessità di flessibilizare il mer-cato del lavoro, avanzare nell’aumento della produttività (compe-titività), razionalizzare le prestazioni sociali, sostenere meccanismidi protezione sociale complementare (vaticinando che la prote-zione pubblica sarà insufficiente), hanno favorito la riforma giu-slavorista spagnola del 1994 e hanno istigato le riforme degli anni2010, 2011 e 2012. Sebbene sia similare il discorso che costituisce ilfilo conduttore di queste riforme, non dobbiamo perdere di vistache la intensità del confronto legislativo è notevolmente cresciutonel momento attuale, poiché la legislazione del lavoro ha subitouna serie di modifiche che incidono in modo sostanziale sugliistituti fondamentali del modello di relazioni di lavoro.

In un breve intervallo, si sono succedute riforme che incidono

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su profili essenziali del modello di relazioni di lavoro. Oggi, èinteressante soffermarsi su uno degli aspetti più importanti dellariforma del 2012: la destrutturazione del modello spagnolo dicontrattazione collettiva (rilevante relativizzazione della efficacianormativa dei contratti di livello superiore a quelli aziendali).Partendo da una realtà verificata (fino allora, all’80% dei lavora-tori si applicava un contratto collettivo di livello superiore a quelloaziendale essendo il protagonista, senza subbio, il contratto collet-tivo provinciale), il legislatore ha destrutturato il modello classicodi contrattazione collettiva spagnola. La contrattazione collettivaarticolata, continua formalmente ad essere prevista nell’Estatuto delos Trabajadores, tuttavia nelle ipotesi di crisi aziendale (causeeconomiche, tecniche, organizzative o di produzione), l’impresapuò “svincolarsi” della normativa contrattuale regolamentata contali contratti di livello superiore. Tale possibilità, ammessa condiverse sfumature in merito alle condizioni retributive dal 1994, èstata notevolmente ampliata in seguito alla riforma del 2012 (Ley3/2012, de medidas urgentes de reforma del mercado de trabajo) (1). Siscommette così sulla prevalenza dei contratti aziendali rispetto auna serie di materie fondamentali: il valore della retribuzione,orario straordinario, retribuzione dei turni, distribuzione dell’ora-rio di lavoro e riposi, sistema di inquadramento professionale,adattamento della contrattazione alle esigenze dell’impresa. Allaluce di quanto detto, è evidente che si è pervenuto allo scardina-mento del modello classico di contrattazione collettiva verso ununiverso quasi infinito di possibilità, giacché la riforma consente didisapplicare le disposizioni pattuite con il contratto collettivo dicategoria, il che pone in forse l’efficacia vincolante dei contrattiproclamata dall’art. 37.1 della Costituzione spagnola.

Naturalmente, non siamo davanti ad una questione pacifica.La Corte Costituzionale spagnola ha dovuto pronunciarsi alla lucedella circostanza che questa riforma ha colpito, più che significa-

(1) Certamente, l’istituto giuridico che consente di affrancarsi delle regole in materiaretributiva esiste nel nostro ordinamento giuridico dalla riforma del 1994. La crisi econo-mica ha favorito il suo ulteriore allargamento, e così, la riforma del 2010 ha reso più ampioil suo ambito di applicazione; la riforma del 2011 ha nuovamente ripreso la questione ed èstata quella del 2012 che ha dato una nuova svolta in quello che è stato qualificato come “uncambio qualitativo importante”, poiché da questo momento, non vi sono garanzie che ilricorso a tale misura sia iscritta all’interno di una logica di flessibilizzazione negoziata.

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tivamente l’efficacia giuridica degli accordi collettivi, denominatadall’art. 37.1 della Costituzione spagnola, “efficacia obbligatoria”(fuerza vinculante):

— In primo luogo, perché ha inciso su ragioni e procedured’impresa che consentono di derogare ai vigenti contratti collettivistatutari ovvero ad efficacia normativa generale (2). Ci riferiamoall’istituto conosciuto come “descuelgue” (disapplicazione) azien-dale, in base al quale, in presenza di ragioni economiche, tecniche,organizzative o produttive, l’impresa può, in accordo con i rappre-sentanti dei lavoratori aventi diritto a negoziare un contrattocollettivo, come previsto dall’articolo 87.1, trascorso un periodo diconsultazione (...) disapplicare le clausole negoziali previste dalcontratto collettivo applicabile, sia questo di categoria o aziendale,sulle seguenti materie: giornata di lavoro; orario e distribuzione deltempo di lavoro; regime di lavoro a turni; trattamento retributivo;organizzazione del lavoro e produttività; mansioni, superando ilimiti alla mobilità professionale di cui all’articolo 39 ET; forme diprevidenza volontarie. Il nuovo art. 82.3 ET prevede che, in questicasi, in assenza di un accordo con la rappresentanza dei lavoratori,la situazione possa essere sbloccata tramite arbitrato obbligatorio,che viene affidato alla “Comisión Consultiva Nacional de ConveniosColectivos” (3). Quest’ultima disposizione solleva seri dubbi dicostituzionalità, giacché la sottomissione con carattere obbligato-rio e su iniziativa di una sola delle parti ad una decisione dellacitata Comisión, evoca istituti che si pensavano ormai banditidall’ordinamento giuridico spagnolo. Dobbiamo ricordare che l’ar-bitrato obbligatorio trova posto nell’ordinamento spagnolo solo incircostanze eccezionali, per ragioni di tutela degli interessi generali(Corte Cost. 8 maggio 1981, n. 11).

— In secondo luogo, perché ha riconosciuto agli accordi col-lettivi aziendali la priorità assoluta rispetto a quelli di livello più

(2) Alludendo in questo caso ai contratti collettivi statutari o ad efficacia generaleche si negoziano in conformità a quanto stabilito nel terzo Titolo dell’ET, in cui all’art. 82.3si prevede che essi “vincolano tutti gli imprenditori e i lavoratori compresi nel loro ambitodi applicazione e per tutta la durata della loro vigenza”.

(3) Organo collegiale, tripartito, nel quale sono rappresentate l’AmministrazioneGenerale dello Stato, le Organizzazioni Sindacali e le Associazioni Imprenditoriali piùrappresentative.

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elevato a proposito di determinate materie (4) (art. 84.2 ET),estremizzando quel processo di decentramento che marginalizza ilruolo dei contratti collettivi statali, regionali e provinciali. Si èeffettivamente prodotta una disgregazione del modello spagnolo dicontrattazione collettiva, in una realtà imprenditoriale i cui datiparlano da soli (il 99,8% delle organizzazioni produttive hannomeno di 50 dipendenti, e il 95,7% sono microimprese, cioè conmeno di 9 dipendenti) (5). In questo contesto, l’importanza dellacontrattazione collettiva sovra-aziendale è innegabile (6). Tenutoconto di questa realtà, la legge 3/2012 ha riconosciuto prevalenzaassoluta agli accordi aziendali in caso di concorrenza con altri dilivello superiore, giungendo persino a vietare che accordi settorialio di categoria possano contenere patti contrari. Per quanto ri-guarda l’eventuale frattura rispetto al modello costituzionale deirapporti di lavoro, la Corte Costituzionale dichiara che la Costitu-zione spagnola non contiene un “modello chiuso di contrattazionecollettiva”, ma si limita a sancire all’art. 37.1 tale diritto, indi-cando quali sono i soggetti titolari (rappresentanti dei lavoratori edei datori di lavoro) e riconoscendo ai contratti collettivi efficaciaobbligatoria. Sulla base di questa idea, la Corte sostiene che illegislatore dispone di “un ampio margine discrezionale nell’artico-lazione del diritto alla contrattazione collettiva, sebbene non sitratti di una discrezionalità assoluta”. Infatti, secondo la CorteCostituzionale “non esiste un modello costituzionale predetermi-nato di contrattazione collettiva” per cui può risultare costituzio-nalmente legittima un’opzione legislativa che si schieri “tanto perla priorità del contratto collettivo settoriale o sovra-aziendale,quanto per la preferenza del contratto collettivo aziendale, trat-

(4) Le materie colpite sono: l’ammontare dello stipendio base e supplementi salariali,compresi quelle relativi alla situazione ed ai risultati dell’impresa; il pagamento o compensoper il lavoro straordinario e la remunerazione specifica del lavoro a turni; l’orario e ladistribuzione del tempo di lavoro; il regime di lavoro a turni e la pianificazione annuale delleferie; l’adattamento all’impresa del sistema di classificazione professionale dei lavoratori;l’adeguamento degli aspetti riguardanti le procedure di contrattazione attribuite dallapresente Legge agli accordi d’impresa; e le misure per favorire la riconciliazione dei tempi dilavoro, famiglia e vita personale.

(5) Ritratto delle PYME 2014, Ministerio de Industria, Energía y Turismo, 1.(6) Le statistiche ufficiali sulla struttura della contrattazione collettiva spagnola

mostravano la prevalenza del contratto collettivo provinciale nella maggior parte dei settorieconomici.

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tandosi in entrambi i casi del risultato di una contrattazionecollettiva tra soggetti legittimati in tal senso”. In definitiva, “ildecentramento della contrattazione collettiva è un obiettivo che illegislatore può legittimamente affermare, in conformità a conside-razioni di politica sociale ed economica che ritiene opportune”.

Le due sentenze della Corte Costituzionale spagnola (STC119/2014 e STC 8/2015), hanno avuto una relazione di minoranzadal Giudice Fernando Valdés dal Re, che ha espresso il suo “disac-cordo con il canone costituzionale utilizzato dalla sentenza, cheruota di continuo intorno all’idea di salvaguardare la competitivitàe la redditività imprenditoriale come rimedio per favorire il man-tenimento di posti di lavoro” ritenendo inaccettabile che i dirittifondamentali dei lavoratori e delle loro organizzazioni rappresen-tative siano interpretati osservando essenzialmente la cosiddetta“costituzione economica” (7). Per Valdés Dal Ré “la STC 119/2014ha introdotto nel ragionamento della dottrina della Corte un nuovocanone di costituzionalità (...). Hanno deciso di elevare allo statusdi canone costituzionale lo sfavorevole scenario economico che laSpagna e, individualmente, i suoi abitanti, hanno sofferto per anni(...). Questo è un canone preoccupante, con conseguenze impreve-dibili per la vigenza nell’ordinamento in questione di clausolesociali”. Su questa stessa linea di ragionamento, nel “Voto particu-lar” si manifesta una profonda preoccupazione per il fatto che lamaggior parte dei giudici della Corte costituzionale in composi-zione plenaria, per dichiararsi a favore della riforma operata con lalegge 3/2012, ricorrono insistentemente all’idea che i diritti costi-tuzionali coinvolti sono diritti di “configurazione legale” (in parti-colare per quanto riguarda il diritto al lavoro, art. 35 CE, e il dirittoalla contrattazione collettiva, art. 37.1 CE). Sembra che ciò equi-valga ad non avere limiti per modificare gli istituti giuridici dellavoro, perdendo di vista un fattore importante: i diritti costitu-zionali sono portatori di un contenuto essenziale che il legislatoreordinario è tenuto a rispettare, come non ha fatto con la riforma inquestione.

(7) E ciò perché il diritto alla libertà d’impresa proclamata nell’art. 38 CE “non èincondizionato e assoluto, ma limitato dalla normativa che i pubblici poteri possonoprevedere per le distinte attività imprenditoriali in concreto, rispettando in ogni caso ilcontenuto essenziale del diritto.” (SSTC 53/2914, 18/2011, del 3 marzo, 135/2012, del 19 degiugno)

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È piuttosto evidente, allora, che la riforma del lavoro spagnoladel 2012 si colloca nel solco di ben noti postulati politico-giuridici— pure promossi dalle istituzioni comunitarie — che vedono unostacolo alla crescita dell’occupazione nell’eccesso di rigidità dialcuni sistemi giuslavoristi; ciò giustifica secondo alcuni — traquesti, purtroppo, anche la Corte Costituzionale spagnola — l’am-pia serie di misure traumatiche che stanno erodendo il contenutoessenziale dei diritti costituzionali fondamentali; diritti che hannosvolto un ruolo primario nell’edificare il modello democratico deirapporti di lavoro in Spagna. Il legislatore ordinario ha superatonon solo i limiti imposti dalla Costituzione, ma ha anche permessodi realizzare l’aggressione alla normativa internazionale ratificatadalla Spagna (Carta sociale europea, Convenzioni OIL...). Da de-cenni la legislazione spagnola del lavoro ha sperimentato una seriedi riforme di diverso spessore che hanno avuto un denominatorecomune: la necessità di flessibilizzare il mercato del lavoro, par-tendo dal presupposto che il quadro normativo in materia direlazioni di lavoro fosse troppo rigido e, quindi, non in grado dirispondere alle continue sfide presentate dal nostro sistema econo-mico. Il dibattito sulle esigenze del nostro modello di produzione,che ha il fine di raggiungere livelli più elevati di competitività e direndimento, è noto e riguarda non solo la Spagna, e del resto è statosollevato da istanze Comunitarie a partire dagli anni ’90. Ma anostro modo di vedere la questione di fondo da sollevare riguardala struttura del sistema produttivo spagnolo, vera responsabiledegli effetti devastanti sull’occupazione dei recenti cambiamentieconomici. Poiché l’inefficienza del mercato spagnolo del lavoro —indiscutibile, alla luce dei terribili dati esistenti sulla disoccupa-zione — non trova la sua causa nella legislazione del lavoro, ma neiproblemi fondamentali che affliggono il nostro tessuto produttivo.

Oggi però, uno dei principali argomenti utilizzati per influen-zare la flessibilità del quadro dei rapporti di lavoro rimane il suolegame con il tasso di disoccupazione (in marzo 2015, 23% (8)).L’assioma sopravvive fino ai giorni nostri: la rigidità della legisla-zione lavoristica provoca un aumento del numero di disoccupati enon permette di porre rimedio a questa situazione. Così la flessi-

(8) Disoccupazione maschile 21,7%, femminile 24,4%, giovani minori da 25 anni:uomini 50,1%, donne 49%.

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bilità del lavoro diviene il filo conduttore di varie riforme legisla-tive, assumendo un enorme influenza sul piano qualitativo. E disicuro uno dei principali errori commessi dal legislatore è statoquello di introdurre, contemporaneamente, modifiche legislativeche hanno rafforzato la flessibilità nelle tre aree della contratta-zione, dell’esecuzione del contratto e dell’estinzione del vincolocontrattuale. Misure che non solo non aiutano, come i fatti dimo-strano in maniera nitida, a ridurre il tasso di disoccupazione, maprovocano un’alterazione nell’essenza del modello giuslavoristico,attaccando frontalmente i diritti costituzionali in materia di la-voro.

È imprescindibile modificare i postulati del discorso attuale.L’alternativa non è semplicemente lavoratori occupati controlavoratori disoccupati. Gli obiettivi di politica legislativa nonpossono essere limitati al raggiungimento del tasso di occupazione,ma riguardano anche la vigilanza accurata della qualità del lavorogenerato al fine della realizzazione di perlomeno due requisitiessenziali: stabilità e sufficienza salariale. Ciò che è in gioco inquesto momento è la sopravvivenza dello Stato Sociale, il qualenon è viabile se non si fonda su un modello di relazioni di lavoroil cui pilastro fondamentale sia il lavoro di qualità. Si devescommettere sul raggiungimento di obiettivi di natura qualita-tiva, dandone priorità nei confronti di quelli di natura quantita-tiva. Nella società spagnola sta irrompendo un nuovo fenomeno difronte al quale non possiamo rimanere impassibili: la formazionedi un gruppo di lavoratori poveri (non sono a rischio povertà, sonodiventati poveri silenziosamente). In un dossier pubblicato dal-l’Istituto Nazionale di Statistica lo scorso martedì (26 maggio2015), si afferma che un cittadino spagnolo su cinque (il 22,2%)ha superato la soglia di povertà (ciò significa che sopravvivono conmeno di 7.900 euro per anno). Queste sono le conseguenze del-l’esclusione di obiettivi qualitativi dalle politiche legislative.

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ANNA TROISI

Diritto alla retribuzione (e alla contrattazione collettiva) ed esigenze difinanza pubblica

1. Non è certo la prima volta che l’Italia si trova ad affrontareuna crisi economica, anche di dimensioni sovranazionali, o graviproblemi di finanza pubblica, e dinanzi alla conseguente necessitàdi intervenire in senso contenitivo sulla spesa pubblica e, in taleambito, su una delle principali (quali-quantitativamente) voci diquesta, ovvero sul costo del lavoro pubblico. Basti pensare, tra glieventi più recenti, a quello dei primi anni ’90.

E non rappresenta certo una novità lo strumento utilizzato persiffatte situazioni ed esigenze di spending review: ossia, il bloccodegli incrementi della retribuzione dei dipendenti pubblici. Siveda, per tutti, il precedente costituito appunto dal d.l. n. 384/1992, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 438/1992 (art. 7).

La differenza tra i pregressi episodi di sacrificio retributivo peril pubblico impiego, e quello realizzato — dall’art. 9 del d.l. n.78/2010 — in occasione dell’ultimo periodo di crisi economico-fi-nanziaria, è il diverso metro della legittimità delle misure utilizzatodalla Corte costituzionale nei due casi.

Allora, la Corte (con sentenza n. 245/1997; nonché ordinanza n.299/1999) ritenne il blocco degli incrementi retributivi (per il 1993)legittimo — in rapporto al canone della ragionevolezza (e relativaproporzionalità), di cui all’art. 3 Cost., in connessione col parame-tro dell’art. 36 Cost., e dunque non lesivo del diritto alla retribu-zione dei dipendenti pubblici — a patto che fosse “eccezionale etranseunte” (oltre che non arbitrario e consentaneo allo scopoprefisso): ovvero “temporaneo”, ritenendo tale quello limitatonella durata ad un solo anno, pur collocando la misura già “in unambito estremo”.

Oggi, invece, la Corte — con giurisprudenza pressoché co-stante: tutte le pronunce in materia del 2013-2014 (nn. 304/2013,

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310/2013, 154/2014 e 219/2014), tranne la prima, ossia la n. 223/2012 — ha ritenuto legittime misure pluriennali (per l’esattezzatriennali, mostrandosi peraltro — nella sentenza n. 310/2013 —tollerante anche nei riguardi della ulteriore proroga annuale), equindi parimenti soddisfatto il requisito della temporaneità diqueste. La Corte ne ha giustificato la maggiore lunghezza colcambiamento dei tempi, specie con la necessità di tener conto delpiù ampio contesto economico europeo, anche in virtù dei vincoliistituzionali derivanti dalla appartenenza dell’Italia all’Unioneeuropea, e dunque del ciclo pluriennale dell’economia imposto dairitmi (e dai dettami) di quest’ultima (oltre che da quelli dellafinanza internazionale), e della relativa attuale programmazione (eprospettiva) delle politiche di bilancio, di cui è espressione l’inse-rimento in Costituzione del principio dell’equilibrio dei bilancipubblici (e il sotteso obiettivo della sostenibilità degli stessi) (artt.81, 97, co. 1, e 119, co. 1, Cost., come modificati dalla l. cost. n.1/2012; nonché legge attuativa n. 243/2012).

E, per il pubblico impiego privatizzato — per il quale il bloccoretributivo si realizza mediante il blocco (della parte economica)della contrattazione collettiva — la Corte (nella sentenza n. 219/2014) ha ritenuto, in aggiunta, che dette misure non violanoneppure l’art. 39 Cost., esaminato in combinato disposto con l’art.36 Cost. (essendo il rapporto di lavoro pubblico privatizzato, e inparticolare il trattamento economico, disciplinato in sede di con-trattazione collettiva, e dunque venendo in rilievo al riguardo lerelazioni tra la legge e i contratti espressione dell’autonomia col-lettiva). La Corte ha, in sostanza, affermato che il diritto costitu-zionale alla contrattazione collettiva (con i due principi dellalibertà sindacale e dell’autonomia collettiva, di cui all’art. 39 Cost.)si configura, per il pubblico impiego, in maniera differente rispettoal lavoro privato: richiamando, in quest’ottica, il compito dellegislatore di fissare i limiti generali di compatibilità della contrat-tazione collettiva con le finanze pubbliche, entro i quali puòsvolgersi l’attività negoziale delle parti (come, di fatto, avvienesempre, poiché è la legge che ogni volta individua le risorsedestinate a finanziare i rinnovi contrattuali nell’impiego pubblico);e, in tale ambito, riconoscendo il potere di intervento del legisla-tore in funzione di compressione o addirittura di annullamentodell’autonomia collettiva nei suoi esiti concreti, e ciò non soloquando la contrattazione introduca un trattamento deteriore ri-

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spetto a quanto previsto dalla legge, ma anche quando sussistal’esigenza di salvaguardia di superiori interessi generali, come lafinalità di contenimento e razionalizzazione della spesa per ilsettore del pubblico impiego (peraltro imposta dall’art. 2, co. 1,della legge n. 421/1992 e ribadita dall’art. 1, co. 1, lett. b), del d.lgs.n. 165/2001). La Corte ha, pertanto, concluso che la fissazione di unlimite agli incrementi economici, che possono essere disposti daicontratti collettivi in relazione alla maturazione delle posizionistipendiali, rientra in tale legittimo compito legislativo di definireappunto il confine entro il quale può svolgersi l’attività negozialedelle parti.

In questo, il bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco— ossia, le esigenze di finanza pubblica (e il pareggio di bilancio)dell’art. 97 Cost. (nonché dell’art. 81 Cost.), da una parte, e i dirittiindividuali (alla retribuzione, di cui all’art. 36 Cost.) e collettivo-sindacali (ai sensi dell’art. 39 Cost.), dall’altra parte — pende piùa favore dei primi, rispetto al passato (non solo in Italia, ma anchenegli altri ordinamenti europei), nonostante la intervenuta procla-mazione dei diritti alla retribuzione (es. art. 23) e alla contratta-zione collettiva (art. 28) tra i diritti fondamentali sanciti nellarelativa Carta, e quindi nel Trattato, dell’Unione europea.

C’è, però, anche da dire che la Corte, pur ritenendo sussistenteil requisito della temporaneità rispetto a misure di durata triennale(in realtà, anche quadriennale), ha al contempo (nella sentenza n.223/2012) reputato non più sostenibile tale connotato di tempora-neità di misure che, per le loro caratteristiche (a causa dellapeculiarità delle modalità di attribuzione dell’adeguamento), tra-valichino questo arco temporale, in quanto le garanzie stipendialirisulterebbero sospese oltre il periodo reso necessario dalle esigenzedi riequilibrio di bilancio.

2. Nel frattempo, dette misure sono state ulteriormente pro-rogate dal legislatore complessivamente di altri due anni, assu-mendo un’estensione quinquennale (d.p.r. n. 122/2013, attuativodell’art. 16, co. 1, lett. b), del d.l. n. 98/2011; art. 1, co. 256, l. n.190/2014).

Al riguardo, anche alla luce di quanto anticipato dalla Cortecostituzionale nel 2012, occorre chiedersi se tale più ampio svi-luppo temporale e, ancora di più, lo strumento stesso utilizzato dallegislatore per prolungare il blocco retributivo nato come eccezio-

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nale e di durata circoscritta — ossia, quello di successive proroghelegislative di anno in anno (mediante previsioni contenute di voltain volta in provvedimenti legislativi di carattere finanziario) —possano continuare a ritenersi parimenti satisfattivi del requisitodella “temporaneità” del blocco retributivo-contrattuale. Ciò, con-siderata anche l’intenzione (o quanto meno, la non esclusione) dellaulteriore proroga del blocco degli effetti economici della contrat-tazione collettiva: desumibile dalla previsione — nella disciplinadella misura e delle limitazioni di erogazione della relativa inden-nità di vacanza contrattuale — del periodo temporale che arrivafino al 2018 (art. 1, co. 255, l. n. 190/2014). O se, invece, la prassi(appunto intrapresa) di successivi slittamenti della durata delblocco contravvenga alla indicazione già impartita dalla stessaCorte costituzionale, secondo cui i gravosi sacrifici, per esserelegittimi, devono (“non possono non”) interessare periodi di tempo“definiti”, ovvero “limitati”, benché più lunghi di quelli mera-mente annuali. E induca a ritenere snaturata la restrizione retri-butiva, se protratta oltremodo nel tempo, rendendo di fatto stabileun meccanismo nato come eccezionale, producendo anzi effettipotenzialmente permanenti del blocco.

Le considerazioni sulla necessaria “temporaneità” delle misure— già dubbia, o almeno ai limiti della sostenibilità, se allungata aquattro anni (benché ritenuti dalla Corte costituzionale del2013-2014 un arco temporale ancora congruo) — inducono, così, adubitare della legittimità dell’ulteriore proroga del blocco operatadalla legge n. 190/2014 (la legge di stabilità 2015).

Anche qualora la Corte, dati i precedenti costanti, non avessela possibilità di accogliere le ulteriori analoghe questioni di costi-tuzionalità pendenti — riguardanti sia il personale contrattualiz-zato (sollevate dalle ordinanze del Tribunale di Roma, 27 novem-bre 2013, e del Tribunale di Ravenna, 1° marzo 2014: entrambeconcernenti la prima proroga annuale del blocco triennale, fino al31 dicembre 2014), sia quello non privatizzato (poste dall’ordi-nanza del Tar Lazio, 28 maggio 2014, sul personale della carrieraprefettizia) — sarebbe, pertanto, opportuno almeno un interventointerpretativo (pur se di rigetto), volto a fissare (e in tal modo acontenere, quantificandolo auspicalmente non oltre il quinquen-nio), o quanto meno a stabilire i criteri per individuare, il limitetemporale massimo: entro il quale dette misure pluriennali possanoancora ritenersi munite del carattere della provvisorietà (e, per tale

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ragione, legittime), pur nel rispetto dei tempi delle politiche eco-nomiche europee (e, quindi, l’intervento sufficientemente circo-scritto da reputarsi meritevole di tutela l’impedimento delle ero-gazioni pubbliche per esigenze finanziarie e da evitare la lesione delprincipio retributivo); ed invece, superato il quale debba conside-rarsi venuto meno (di fatto) tale requisito di “temporaneità”(facendo perdere il carattere transitorio alla misura) e, dunque, ilsacrificio economico irragionevolmente esteso nel tempo e leso ildiritto alla retribuzione dell’art. 36 Cost. (nonché quello alla con-trattazione collettiva dell’art. 39 Cost.) dei dipendenti pubblici. Lapronuncia dovrebbe fungere pure da monito al legislatore a nonperseverare nella prassi di ulteriori proroghe annuali del blocco.

Ciò, analogamente a quanto sostenuto dalla Corte costituzio-nale in precedenti, note occasioni (in particolare, nella sentenza n.106/1962), di fronte ad operazioni legislative di per sé ai limiti dellalegittimità, ritenute rientranti entro detti confini di costituziona-lità in virtù della “funzione transitoria, provvisoria ed eccezionale”delle stesse; ed essendo stata, invece, dichiarata illegittima lasuccessiva estensione temporale di queste (anche mediante unasola proroga del periodo di vigenza), in quanto appunto atta a farperdere alle misure di legge i caratteri della transitorietà e dell’ec-cezionalità. Come pure, in termini di invito al legislatore contro lareiterazione delle misure, similmente a quanto effettuato dallaCorte proprio a proposito dell’analogo blocco della rivalutazioneautomatica dei trattamenti pensionistici, nella sentenza n. 316/2010, poi seguita dalla pronuncia di incostituzionalità n. 70/2015.

Tanto più che, come già detto, nel caso di specie questaconclusione è suggerita anche da ragioni di coerenza costituzionale,avendo appunto la Corte, con la prima delle sentenze in materia(l’unica di accoglimento della questione), ritenuto illegittimo ilblocco retributivo per i soli magistrati, proprio perché dotato dieffetti finanziari che, per le peculiari caratteristiche del tratta-mento retributivo di tale categoria, oltrepassavano i limiti tempo-rali del triennio, propagandosi al di là di questo.

In mancanza, si produrrebbe, dunque, la accentuazione, adopera della stessa Corte costituzionale, della ingiustificata diffe-renza di trattamento tra magistrati e “resto del mondo” del lavoropubblico italiano. Non a caso, proprio la dicotomia tra magistratie altro personale pubblico, introdotta nell’ordinamento italiano daquesta giurisprudenza — con i relativi profili di disparità di trat-

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tamento retributivo e problemi di ragionevolezza della disciplinadel blocco stipendiale — è una delle principali argomentazioni allabase dei ricorsi pendenti davanti alla Corte europea dei dirittidell’uomo, concernenti (a quanto consta) le forze armate e i docentiuniversitari.

Sugli esiti delle questioni proposte, i precedenti della Corteeuropea non sono promettenti, avendo per lo più essa negato laillegittimità di misure similari e riconosciuto un margine di discre-zionalità piuttosto ampio agli Stati contraenti in materia, sullabase della considerazione che le scelte di bilanciamento tra spesapubblica e retribuzione dei lavoratori implicano valutazioni poli-tiche, economiche e sociali, a maggior ragione quando si tratti difronteggiare crisi economiche. Ma i casi pregressi si fondavano sumotivi di ricorso differenti, essendo probabilmente appunto laprima volta che la questione sia stata posta per violazione deldivieto di discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertàriconosciuti dalla Convenzione, di cui all’art. 14 della Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo (in combinato disposto con la disci-plina a protezione della proprietà: art. 1, Protocollo addizionale n.1 alla Convenzione). Oggetto di contestazione non è, cioè, (solo) iltipo di misura in sé, ma piuttosto il fatto che essa sia applicata inmaniera discriminatoria tra le categorie di personale pubblico, checioè i sacrifici economici non siano distribuiti equamente tra que-ste, principalmente per effetto della sottrazione dei magistrati alblocco, operata dalla Corte costituzionale italiana, ossia di unadiscriminazione di matrice giurisprudenziale (e non legislativa):essendo possibile — secondo i precedenti rinvenibili nella giuri-sprudenza della Corte europea — invocare una disparità di trat-tamento (ai sensi dell’art. 14 CEDU) non di diretta origine legisla-tiva, ma conseguente all’interpretazione effettuata da sentenze deigiudici nazionali (tanto più se della Corte costituzionale). Dunquel’esito in questo caso potrebbe essere differente.

3. Epilogo. — Nelle more della pubblicazione di questo inter-vento, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178/2015, haaccolto la questione di costituzionalità del blocco della contratta-zione collettiva nel pubblico impiego, dichiarando la illegittimitàsopravvenuta (decorrente dal giorno successivo alla pubblicazionedella sentenza in Gazzetta ufficiale) del regime di prolungatasospensione della contrattazione collettiva per il periodo 2010-2014

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(nonché della successiva proroga, disposta per l’anno 2015 dallarelativa legge di stabilità), imposto dal legislatore attraversonorme susseguitesi senza soluzione di continuità, proprio perchéaccomunate da analoga direzione finalistica, ossia quella di perse-guire il palesato obiettivo di contenimento della spesa.

L’illegittimità è stata ritenuta sussistente per violazione delprincipio di libertà sindacale garantito dall’art. 39, co. 1, Cost., dalmomento in cui tale sospensione della contrattazione collettiva(ossia, il blocco negoziale per la parte economica delle procedurecontrattuali) si prolunga nel tempo al punto da acquistare carat-tere sistematico, senza poter trovare più giustificazione nelle esi-genze di razionale distribuzione delle risorse e di controllo dellaspesa, di cui all’art. 81, co. 1, Cost. Al riguardo, la Corte ha rilevatocome, in virtù della sua scansione temporale, il blocco della con-trattazione economica per il periodo 2013-2014 non può essereconsiderato atomisticamente, ovvero avulso dalla successiva pro-roga al 2015: esso, infatti, così come emerge da tutte le disposizioniche, nel loro stesso concatenarsi, ne definiscono la durata comples-siva, non può che essere colto in una prospettiva unitaria. Ladisamina globale delle misure di blocco della contrattazione collet-tiva le colloca in un orizzonte meno angusto e contingente, e nepone in luce l’incidenza, tutt’altro che episodica, sui valori costi-tuzionali coinvolti. La Corte ha, quindi, osservato che le disposi-zioni della legge di stabilità per il 2015 tendono a rendere struttu-rali le misure introdotte: in particolare, la destinazione alla perpe-tuazione nel tempo di queste si evince dalla cristallizzazione, fino al2018, dell’ammontare dell’indennità di vacanza contrattuale aivalori del 31 dicembre 2013 (art. 1, co. 255, l. n. 190/2014). Né ilcarattere strutturale delle misure, e la conseguente violazionedell’autonomia negoziale, possono essere esclusi solo perché, per latornata 2013-2014, è stata salvaguardata la libertà di svolgere leprocedure negoziali riguardanti la parte normativa (art. 1, co. 1,lett. c), d.p.r. n. 122/2013): in quanto la contrattazione deve potersiesprimere nella sua pienezza su ogni aspetto riguardante la deter-minazione delle condizioni di lavoro, che attengono immancabil-mente anche alla parte qualificante dei profili economici.

L’estensione fino al 2015 delle misure che inibiscono la con-trattazione economica e che, già per il 2013-2014, erano statedefinite eccezionali, svela, dunque, secondo la Corte, un assettodurevole di proroghe. Tale vocazione, che mira a rendere struttu-

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rale il regime del blocco, pone quest’ultimo di per sé in contrastocon la libertà sindacale, tutelata dall’art. 39, co. 1, Cost. nella suaduplice valenza, individuale e collettiva, che trova il suo necessariocompletamento nell’autonomia negoziale: essendo, peraltro, ilnesso funzionale — che lega un diritto ad esercizio collettivo, qualeè la contrattazione, con la libertà sindacale — evidenziato danumerose fonti internazionali (come, in particolare: le ConvenzioniOIL nn. 87/1948, 98/1949 e 151/1978; l’art. 11 CEDU, interpretatoestensivamente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; l’art. 6della Carta sociale europea; l’art. 28 della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea; e l’art. 152, par. 1, del Trattato sulfunzionamento dell’Unione europea); pertanto, l’interpretazionedella fonte costituzionale nazionale si collega sincronicamente conl’evoluzione delle fonti sovranazionali e da queste trae ulteriorecoerenza.

E così, il reiterato protrarsi della sospensione delle procedure dicontrattazione economica altera la dinamica negoziale in un set-tore che al contratto collettivo assegna un ruolo centrale: in quantotale contratto, nei limiti tracciati dalla legge, si atteggia comeimprescindibile fonte, che disciplina anche il trattamento econo-mico, nelle sue componenti fondamentali ed accessorie, e i diritti egli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonchéle materie relative alle relazioni sindacali; e, in costante dialetticacon la legge, chiamata nel volgere degli anni a disciplinare aspettisempre più puntuali, contempera in maniera efficace e trasparentegli interessi contrapposti delle parti e concorre a dare concretaattuazione al principio di proporzionalità della retribuzione, po-nendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parità ditrattamento dei lavoratori e, per altro verso, come fattore propul-sivo della produttività e del merito. Il contratto collettivo chedisciplina il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministra-zioni si ispira, proprio per queste peculiari caratteristiche che negarantiscono l’efficacia soggettiva generalizzata, ai doveri di soli-darietà fondati sull’art. 2 Cost.. Tali elementi danno conto sia dellemolteplici funzioni che, nel lavoro pubblico, la contrattazionecollettiva riveste, coinvolgendo una complessa trama di valoricostituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97 Cost.), in un quadro di tutelepresidiato anche da numerose fonti sovranazionali, sia delle disar-monie e delle criticità, che una protratta sospensione della dina-mica negoziale rischia di produrre.

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Secondo la Corte, pertanto, se i periodi di sospensione delleprocedure “negoziali e contrattuali” non possono essere ancorati alrigido termine di un anno, individuato dalla giurisprudenza costi-tuzionale (alla fine degli anni ’90) in relazione a misure diverse e aun differente contesto di emergenza, è parimenti innegabile cheessi debbano essere comunque definiti e non possano essere pro-tratti ad libitum. A tal proposito, la Corte costituzionale ha richia-mato proprio la giurisprudenza della Corte europea dei dirittidell’uomo, sottolineando come anche quest’ultima converga su talelinea: in particolare, nella sentenza 8 ottobre 2013 la Corte europea(Sezione seconda) ha evidenziato la necessità di « un “giusto equi-librio” tra le esigenze di interesse generale della comunità e irequisiti di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo » e hasalvaguardato le misure adottate dal legislatore portoghese — intema di riduzione dei trattamenti pensionistici — sulla scortadell’elemento chiave del limite temporale che le contraddistingue.

La Corte costituzionale ha, così, concluso che il carattere ormaisistematico della sospensione della contrattazione collettiva nellavoro pubblico italiano sconfina in un bilanciamento irragionevoletra libertà sindacale (art. 39, co. 1, Cost.) — indissolubilmenteconnessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata dalimiti normativi e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48,d.lgs. n. 165/2001) — ed esigenze di razionale distribuzione dellerisorse e di controllo della spesa, all’interno di una coerente pro-grammazione finanziaria (art. 81, co. 1, Cost.). Il pieno affiora-mento della natura strutturale della sospensione della contratta-zione ha reso, proprio per questo, non più tollerabile il sacrificio deldiritto fondamentale tutelato dall’art. 39 Cost. e ha determinato lasopravvenuta illegittimità costituzionale della relativa normativa.Rimossi, in tal modo, per il futuro i limiti che si frappongono allosvolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte econo-mica, la Corte ha sollecitato il legislatore statale a svolgere il suocompito di dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrat-tuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne rispecchino lanatura, disgiunta da ogni vincolo di risultato: in quanto il carattereessenzialmente dinamico e procedurale della contrattazione collet-tiva non può che essere ridefinito dal legislatore, nel rispetto deivincoli di spesa, lasciando impregiudicati, per il periodo già tra-scorso, gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata.

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La Corte ha, invece, dichiarato infondata la questione dilegittimità costituzionale della medesima previsione di blocco re-tributivo (dell’incremento dei trattamenti economici complessividei dipendenti e dell’ammontare delle risorse destinate ai tratta-menti accessori, nonché degli effetti economici delle progressioni dicarriera) per il lavoro pubblico privatizzato, esteso fino al 31dicembre 2014, in riferimento all’art. 36, co. 1, Cost.. La Corte,infatti, ha, da un lato, ammesso che l’emergenza economica, purpotendo giustificare la stasi della contrattazione collettiva, nonpuò avvalorare un irragionevole protrarsi del blocco delle retribu-zioni, in quanto si finirebbe, in tal modo, per oscurare il criterio diproporzionalità della retribuzione, riferito alla quantità e allaqualità del lavoro prestato: essendo tale criterio strettamentecorrelato anche alla valorizzazione del merito, affidata alla con-trattazione collettiva, e destinato a proiettarsi positivamente nel-l’orbita del buon andamento della pubblica amministrazione (art.97 Cost.). Pur tuttavia, la Corte ha, dall’altro lato, ribadito che ilgiudizio sulla conformità all’art. 36 Cost. non può essere svolto inrelazione a singoli istituti, né limitatamente a periodi brevi, poichési deve valutare l’insieme delle voci che compongono il tratta-mento complessivo del lavoratore in un arco temporale di unaqualche significativa ampiezza, alla luce del canone della onnicom-prensività. Al riguardo, la Corte ha sottolineato che le disposizionicensurate sul blocco retributivo hanno cessato di operare da gen-naio 2015, poiché la legge di stabilità per il 2015 non ne haprorogato l’efficacia, dettando disposizioni che riguardano unica-mente l’estensione fino al 31 dicembre 2015 del blocco della con-trattazione economica ed escludono gli incrementi dell’indennitàdi vacanza contrattuale. Da ciò emergerebbe con chiarezza l’oriz-zonte delimitato entro cui si allocano le misure restrittive in esame.Tra i fattori rilevanti, da valutare in un arco temporale più ampio,la Corte ha annoverato, poi, la pregressa dinamica delle retribu-zioni nel lavoro pubblico: che, attestandosi su valori più elevati diquelli riscontrati in altri settori, ha richiesto misure di conteni-mento della spesa pubblica. Alla stregua della valutazione neces-sariamente proiettata su un periodo più ampio, la Corte ha rite-nuto, pertanto, non dimostrato l’irragionevole sacrificio del (e ilmacroscopico scostamento dal) principio di proporzionalità dellaretribuzione da parte di una normativa destinata ad applicarsi,

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nella sua valenza generale ed astratta, ad una vasta platea didipendenti del settore pubblico.

La Corte costituzionale ha altresì dichiarato la infondatezzadella questione di legittimità costituzionale della previsione legi-slativa del primo triennio (2010-2012) di blocco della contratta-zione collettiva (e della parallela preclusione degli incrementi deitrattamenti economici, e dell’efficacia economica delle progressionidi carriera, dei dipendenti pubblici privatizzati fino al 2013),negando la irragionevolezza e la sproporzionalità del relativo sa-crificio del diritto alla retribuzione commisurata al lavoro svolto edel diritto di accedere alla contrattazione collettiva. Tale valuta-zione è stata incentrata sul contemperamento dei diritti, tutelatidagli artt. 36, co. 1, e 39, co. 1, Cost., con l’interesse collettivo-generale al contenimento della spesa pubblica, che va adeguata-mente ponderato in un contesto di progressivo deterioramentodegli equilibri della finanza pubblica. La Corte ha riconosciuto lamaggiore stringenza delle misure di restrizione retributivo-contrattuale, in seguito all’introduzione nella Carta fondamentaledell’obbligo di pareggio di bilancio; ma, al contempo, il sistemadella contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, inteso nella suainterezza, contempla la pianificazione degli oneri connessi al suosvolgersi nel tempo, secondo un modello dinamico, in coerenza coni parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilan-cio (art. 48, co. 1, d.lgs. n. 165/2001). La Corte ha, quindi, rilevatola specularità tra la durata pluriennale (triennale) delle tornatecontrattuali e la natura parimenti pluriennale delle politiche (erelative manovre) di bilancio: il che paleserebbe la spiccata dimen-sione programmatica della contrattazione collettiva, sia per laparte normativa, sia per quella economica. A conferma, inoltre,della natura dinamica, tipica dei meccanismi di rinnovo dei con-tratti collettivi, la Corte ha evocato le interrelazioni degli stessi conla manovra triennale di finanza pubblica, secondo le cadenzescandite dall’art. 11, co. 1, e i criteri indicati dall’art. 17, co. 7, dellal. n. 196/2009 (la legge di contabilità e finanza pubblica): spettandoalla legge di stabilità indicare, per ciascuno degli anni compresi nelbilancio pluriennale, l’importo complessivo massimo destinato alrinnovo dei contratti del pubblico impiego (art. 11, co. 3, lett. g), l.n. 196/2009). La ragionevolezza delle linee direttrici delle misurecensurate discenderebbe, secondo la Corte, oltre che dalla partico-lare gravità della situazione economica e finanziaria, concomitante

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con l’intervento normativo (confermata dai dati contingenti ripor-tati da fonti ufficiali, che hanno avvalorato l’urgenza di intervenirecon misure di contenimento delle retribuzioni, attestandosi peral-tro la dinamica retributiva pubblica su valori più sostenuti diquanto registrato nei settori privati dell’economia), dal caratteregenerale dei provvedimenti — che, pur diversamente modulati, siapplicano all’intero comparto pubblico e impongono limiti e restri-zioni generali, in una dimensione connotata in senso solidaristico— e dal loro inserimento in un disegno organico improntato a unadimensione programmatica, scandita su un periodo triennale: ciòrisponderebbe all’esigenza di governare una voce rilevante dellaspesa pubblica, che aveva registrato una crescita incontrollata,sopravanzando l’incremento delle retribuzioni del settore privato.

La Corte costituzionale ha, infine, parimenti rigettato le que-stioni di legittimità del blocco retributivo-contrattuale, sollevatein riferimento all’art. 3, co. 1, Cost., anche in rapporto ai doveri disolidarietà di cui all’art. 2 Cost., negando la sussistenza di un’in-giustificata disparità di trattamento sia tra il lavoro pubblico e illavoro privato, sia tra differenti figure e comparti del lavoropubblico, privatizzato e non. La Corte ha, in proposito, osservatocome la disciplina impugnata persegua l’obiettivo di un risparmiodi spesa, che opera riguardo a tutto il comparto del pubblicoimpiego, in una dimensione solidaristica, sia pure con le differen-ziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle cate-gorie che vi appartengono: i giudici rimettenti non hanno, quindi,tenuto conto della diversità degli statuti professionali delle cate-gorie appartenenti al lavoro pubblico e hanno comparato fattispe-cie dissimili, che non possono fungere da utile termine di raffronto.Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere, infatti, intutto e per tutto assimilati, e le differenze, pur attenuate, perman-gono anche in seguito all’estensione della contrattazione collettivaa una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbli-che amministrazioni. La medesima eterogeneità dei termini posti araffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato el’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrat-tuale: che preclude ogni plausibile valutazione comparativa sulversante dell’art. 3, co. 1, Cost. e risalta ancor più netta in ragionedell’irriducibile specificità di taluni settori (forze armate, personaledella magistratura), non governati dalla logica del contratto e,dunque, non utilizzabili come tertia comparationis. La Corte ha

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valorizzato, inoltre, la funzione solidaristica delle misure adottate,strettamente collegata all’eccezionalità della situazione economicagenerale, ritenuta in piena armonia con il dettato dell’art. 2 Cost..

In ossequio alla rilevante sentenza della Corte costituzionale n.178/2015, qui analizzata, la legge di stabilità 2016 (l. n. 208/2015)non ha rinnovato né il blocco della contrattazione collettiva, néquello degli incrementi stipendiali, dei dipendenti pubblici, cosìponendo fine al periodo di sacrificio retributivo imposto per vialegislativa al settore del pubblico impiego. Ed ha, anzi, previsto leregole di quantificazione degli oneri per i rinnovi contrattuali nelleamministrazioni pubbliche per il triennio 2016-2018 (art. 1, co.466-470).

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MATTIA PERSIANI

Ho ritenuto doveroso prendere di nuovo la parola perché,ancora una volta, siamo costretti a constatare che pochissimi sonogli studiosi di diritto del lavoro che hanno un’idea della tecnicheche presiedono alla gestione del nostro sistema pensionistico inquanto pochissimi sono quelli che si sono voluti dedicare allostudio del diritto alla previdenza sociale.

Stamattina mi è sembrato che il Prof. Avio, con il suo inter-vento, sia stato uno dei pochi a tener conto correttamente delletecniche della gestione pensionistica.

Nell’incertezza suscitata da alcuni degli altri interventi, ri-tengo doverose due ulteriori precisazioni che confortano le criticheche ieri avevo mosso alla sentenza della Corte costituzionale n. 70del 2015.

La prima considerazione è che la contrapposizione determi-nante non è quella tra sistema retributivo e sistema contributivo,ma quella tra tecnica della capitalizzazione e tecnica della riparti-zione.

La tecnica della capitalizzazione è quella che comporta l’isti-tuzione di conti individuali ai quali, sia pure virtualmente, afflui-scono i contributi previdenziali versati dai, o per i, lavoratori.Peraltro, l’ammontare della pensione è, poi, determinato, più omeno rigorosamente, sulla base di quanto accreditato per ciascunlavoratore sul suo conto individuale, restando, però, indifferente seè garantita, o no, l’effettività della tutela.

Invece, la tecnica della ripartizione comporta che il livello delleprestazioni sia determinato in base a valutazioni politiche, e all’oc-correnza di opportunità, garantendo in ogni caso l’erogazione di“mezzi adeguati alle esigenze di vita” (art. 38 Cost.). Peraltro, ed èper questo che si dice tecnica della “ripartizione”, l’onere delleprestazioni pensionistiche non è finanziato con i contributi cheerano stati versati da, e per, i pensionati mentre lavoravano, ma èfinanziato dai contributi versati da quanti stanno lavorando.

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Quindi, la tecnica della ripartizione realizza una vera e propriasolidarietà intergenerazionale, nel senso che chi lavora finanzia lepensioni di chi già è in pensione.

Una volta adottata, come da noi è avvenuto da tempo, latecnica della ripartizione, è, poi, indifferente, per individuare lafunzione del sistema, che l’ammontare della pensione sia determi-nato con il sistema detto retributivo o con quello detto contribu-tivo e, cioè, da uno dei due sistemi che presiedono alla determina-zione dell’importo della pensione.

L’uno e l’atro sistema, infatti, fanno pur sempre riferimento,sia pure in guise e a condizioni diverse, alla retribuzione percepitadurante l’esecuzione del rapporto di lavoro, sia essa l’ultima ov-vero la media di quelle, via via, percepite.

Il sistema retributivo, come dice il nome, fa apertamenteriferimento alla retribuzione. Il sistema contributivo, invece, fariferimento alla contribuzione previdenziale versata, ma sia pureindirettamente fa, pur sempre, riferimento anch’esso alla retribu-zione. Ed infatti, la contribuzione è determinata in percentualedella retribuzione.

Giustamente ricordava questa mattina il prof. Avio che, nelsistema contributivo, una funzione determinante è affidata aicoefficienti di trasformazione. Ma un filtro analogo era utilizzatoanche quando era adottato il sistema retributivo. Ed infatti, laretribuzione rilevante a fini previdenziali era soltanto quella infe-riore al cosiddetto tetto massimo, mentre la pensione era calcolatasulla base del 2% della retribuzione percepita e per non più diquarant’anni.

Qual è la conseguenza di queste considerazioni?È che, una volta adottata la tecnica della ripartizione, la

funzione del sistema previdenziale è quella di realizzare una soli-darietà tra chi ha già lavorato, e percepisce una pensione, e chi staancora lavorando e finanzia quella pensione mentre ha soltantol’aspettativa che anche lui maturerà il diritto ad una pensione eche questa sarà finanziata, a sua volta, da quanti lavoreranno dopodi lui.

Si tratta, dunque, di una solidarietà che caratterizza il sistemapensionistico anche se può trattarsi di solidarietà più o menointensa a seconda dei criteri di calcolo della pensione che possonoessere adottati.

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In questa prospettiva, il problema non è quello della tutela deidiritti (come avvertito ieri, più o meno) fondamentali dei pensio-nati, ma quello di evitare che la solidarietà intergenerazionale sitrasformi in un conflitto intergenerazionale.

In altri termini, il problema è quello della contrapposizione tral’egoismo dei pensionati (quale sono io) e gli interessi di quanti(come siete molti di voi), lavorando, finanziano, con il loro lavoro,le pensioni in godimento.

La seconda considerazione ha riguardo alla perequazione: laperequazione, in tutti i sistemi, non è, e non può essere, finanziatacoi contributi previdenziali che erano stati versati da chi ne gode.

Come abbiamo ricordato poc’anzi, l’importo della retribuzionepercepita influisce, sia con tecnica della capitalizzazione che conquella della ripartizione, sulla determinazione dell’importo dellapensione, ma ciò soltanto nel momento in cui la pensione è liqui-data.

La perequazione che è stata oggetto della sentenza n. 70 del2015 della Corte costituzionale, invece, ha la funzione di conser-vare il valore reale delle pensioni che già sono state liquidate. Edinfatti, la perequazione ha l’esclusiva funzione di adeguare, costan-temente e automaticamente, il valore monetario alle variazioni delcosto della vita.

Pertanto, la perequazione delle pensioni, da un lato, nemmenopuò essere finanziata da chi ne gode perché, per definizione, èpensionato e, quindi, non lavorando, non concorre con la contri-buzione al finanziamento di quella o di altre prestazioni previden-ziali.

D’altro lato, e proprio per questo, la determinazione dell’am-montare della perequazione non comporta l’applicazione di unatecnica, capitalizzazione o ripartizione, che sia, né è influenzata dasistemi di calcolo, retributivo o contributivo che sia. L’importodella perequazione è condizionata soltanto dalle variazioni delcosto della vita ed è, quindi, interamente a carico della solidarietàsia essa quella tra generazioni che quella a carico dell’intera col-lettività.

È per questo che l’attentato a quella solidarietà è grave, nonsolo dal punto di vista delle difficoltà finanziarie che ne derivano,ma anche per il suo significato politico.

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MASSIMILIANO DELFINO

Sull’applicabilità delle norme lavoristiche della Carta dei diritti fon-damentali agli ordinamenti interni

1. La tesi proposta nella relazione di Pasquale Chieco è indub-biamente importante. Chieco sottolinea che molti degli interventinormativi interni italiani in ambito lavoristico siano stati realizzatiperché condizionati, più o meno direttamente, dall’ordinamentoeurounitario ed in particolare da quelle che il relatore definisce“discipline della flessicurezza”. Tali condizionamenti avrebberointeressato molte previsioni degli ultimi anni: dall’art. 8, d.l. 138/2011 alla l. 92/2012, dalle norme sulla spending review, di cui al d.l.78/2010, al c.d. Jobs Act.

Pertanto, la riconduzione di tali discipline al diritto del-l’Unione aprirebbe la strada all’applicabilità, per il tramite del-l’art. 51, paragrafo 1 (1), della Carta dei diritti fondamentalidell’Unione europea e della competenza della Corte di giustizia.Ovviamente, una ricostruzione di tal genere ha l’obiettivo primariodi rendere applicabili le norme della Carta contenenti diritti eprincipi alle previsioni interne alla quali si è fatto rapido cennopoco fa. Eloquente, secondo questa ricostruzione, l’esempio del-l’art. 30 (“ogni lavoratore ha diritto ad una tutela contro ognilicenziamento ingiustificato”) che si applicherebbe al nuovo con-tratto a tutele crescenti, la cui regolamentazione dovrebbe essereattentamente vagliata alla luce di quella norma, insieme al com-plesso della disciplina in tema di licenziamento. Non è qui il caso dichiedersi quali e quanti effetti (limitati?, dirompenti?) produr-

(1) Secondo il quale “le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzionie agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Statimembri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggettirispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettivecompetenze”.

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rebbe nel nostro ordinamento la diretta applicabilità dell’art. 30,quanto, piuttosto, è opportuno domandarsi quali siano gli appigliinterpretativi per sostenere la tesi proposta.

2. Per la verità mi sembra che una ricostruzione di questogenere presenta più elementi contrari che a suo favore. Anzitutto,sul piano delle fonti, è necessario ricordare che le “discipline dellaflessicurezza” sono piuttosto variegate, in quanto includono orien-tamenti integrati, decisioni del Consiglio, della Commissione e delParlamento europeo, accumunati dalla caratteristica di non essere,almeno sul piano formale, vincolanti (2). Inoltre, la strada delriconoscimento della competenza della Corte di giustizia, eviden-temente volta ad accertare il rispetto da parte degli ordinamentiinterni delle previsioni della Carta dei diritti fondamentali, devepassare necessariamente per il riconoscimento della competenzadella stessa Corte in merito agli atti di attuazione che renderebberooperative le previsioni della Carta. In altre parole, se i giudici diLussemburgo possono verificare la compatibilità delle norme in-terne con quelle della Carta, dovrebbero anche poter intervenirenel rapporto fra discipline della flessicurezza e norme della Carta odel Trattato. Purtroppo, nella giurisprudenza della Corte di giu-stizia non c’è alcun segnale in questa direzione, ma addiritturaindicazioni che vanno esattamente nella direzione opposta (3).

3. Il riferimento è ad una sentenza della Corte di giustizia,richiamata da Edoardo Ales nella sua relazione, il caso Poclava delfebbraio 2015 (4). In quella pronuncia la Corte propende perun’applicazione “tradizionale” dell’espressione “attuazione del di-

(2) In merito v., L. ZOPPOLI, DELFINO (a cura di), Flexicurity e tutele, Ediesse, 2008 e,da ultimo, L. ZOPPOLI, (voce) Flexicurity [dir. lav.], in Enciclopedia Treccani on line, 2015,(www.treccani.it/enciclopedia).

(3) Sull’inapplicabilità dell’art. 30 della Carta alla disciplina italiana del contratto atutele crescenti e dei licenziamenti individuali, v. CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, WPC.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT - 273/2015, 8 ss. SPEZIALE, Il contratto a tempo indeter-minato a tutele crescenti tra law and economics e vincoli costituzionali, in WP C.S.D.L.E.“Massimo D’Antona”. IT - 259/2015, 41. Contra BUFFA, La compatibilità del contratto a tutelecrescenti con il diritto europeo, in Questione giustizia, 2015, n. 3, 43 ss.

(4) Si tratta di CGUE 5 febbraio 2015, C-117/14, Grima Janet Nisttahuz Poclava c. JoseMaría Ariza Toledan. V. anche CGUE 18 gennaio 2014, C-176/12, Association de médiationsocial c. Union Local des Syndicats CGT; CGUE 26 febbraio 2013, C-617/10, Åkeberg Fransson;

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ritto dell’Unione”, di cui all’art. 51, paragrafo 1, della Carta.Questa sentenza, infatti, esclude che si possa applicare l’art. 30 alcontratto con “prova lunga” previsto nell’ordinamento spagnoloperché, da un lato, tale fattispecie negoziale non rientra nel campodi applicazione della direttiva 99/70 e, dall’altro, l’utilizzo di fondistrutturali non è sufficiente a dimostrare tale attuazione. Inoltre,la Corte, nella parte dedicata al contesto normativo, con partico-lare riguardo al diritto dell’Unione, non fa alcun riferimento alledecisioni e alle raccomandazioni sulle politiche occupazionali cui facenno il giudice del rinvio, in considerazione del fatto che lariforma spagnola del mercato del lavoro (alla quale è riconducibileil contratto a tempo indeterminato con prova lunga) è stataadottata in seguito proprio a quegli atti dell’Unione. Insomma, peri giudici di Lussemburgo, le decisioni e le raccomandazioni sullepolitiche occupazionali non sono diritto dell’Unione e quindi non èpossibile parlare di attuazione di tale diritto neppure nell’ipotesi incui sia dimostrato, come nel caso di specie, che la riforma delmercato del lavoro sia ricollegabile alla strategia occupazionale.

4. Che la strada tracciata da Chieco non sia di facile percorri-bilità si deduce anche da quanto affermato da Alberto Pizzofer-rato, nella sua relazione, a proposito di salario minimo. Pizzofer-rato ci ricorda che l’Europa ha raccomandato a più riprese all’Ita-lia di intervenire sul centralismo contrattuale in materia retribu-tiva e, con riguardo ad altri Paesi (Spagna, Grecia, Portogallo), laCommissione europea ha praticamente imposto tagli consistenti deiminimi salariali. Per la precisione, la Commissione è intervenuta inmateria salariale, attraverso raccomandazioni emanate nell’ambitodel coordinamento integrato delle politiche occupazionali, rivoltenei confronti di alcuni Paesi dell’Unione. In molti casi, si è trattatodi raccomandazioni piuttosto vaghe, nelle quali si richiedeva mo-derazione negli incrementi salariali, in generale (Bulgaria, Finlan-dia, Italia e Slovenia), o dei minimi salariali, in particolare (Franciae Slovenia). Raccomandazioni più precise sono state rivolte ad altriPaesi (Belgio, Italia e Spagna) con riferimento alla riforma dei si-stemi di determinazione del salario. Invece, forti critiche sono state

CGUE 8 maggio 2014, C-483/12, Pelckmans Turnhout NV e, da ultimo, CGUE 6 ottobre 2015,C-650/13, Thierry Delvigne c. Commune de Lesparre-Médoc, Prèfet de la Gironde.

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indirizzate a quei Paesi (Belgio, Lussemburgo, Malta e Cipro) cheprevedono meccanismi automatici di rivalutazione, i quali vanno senon eliminati almeno profondamente riformati. Con specifico rife-rimento ai minimi salariali, le istituzioni europee sono intervenutenei confronti dell’Irlanda, che, su pressione della Troika, nel 2011 haridotto la paga orariaminima, per poi riportarla ai valori precedenti,soltanto perché il Governo irlandese, in cambio, ha deciso di ridurrei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro (5): si trattaquindi di una misura adottata sul piano dello scambio politico.Invece, la Lituania, il Portogallo, la Romania e, seppure in manierapiù informale, la Spagna sono stati indotti a congelare i livelli sa-lariali minimi, mentre nel 2012 la Troika ha di fatto imposto allaGrecia un taglio del 22% del salario minimo (6).

Ed allora è necessario porsi alcune domande. Si tratta in questicasi di interventi che rientrano nel diritto dell’Unione europea, aiquali gli Stati membri sono tenuti a dare attuazione? Tali interventisono molto differenti rispetto a quelli in materia di discipline dellaflessicurezza? Risponderei in senso negativo ad entrambe le do-mande. Non mi pare siano interventi normativi riconducibili al di-ritto eurounitario, se non altro perché l’Unione europea non ha com-petenza in materia di retribuzione (7). Inoltre, la circostanza che sitratti di uno degli atti utilizzati anche nell’ambito della strategia perl’occupazione e delle discipline della flessicurezza mi sembra dimo-stri che nemmeno in quest’area ci si muova all’interno del dirittodell’Unione.

(5) SCHULTEN, MÜLLER, A new European Interventionism? The impact of the NewEuropean Economic Governance on Wages and Collective Bargaining, 2013, www.epsu.org/IMG/pdf/EU_intervention_on_CB_Schulten_Mueller_final_version_.pdf, 4.

(6) Sugli interventi in materia salariale in alcuni Stati membri dell’Unione europea,v. G. RICCI, La retribuzione in tempi di crisi: diritto sociale fondamentale o variabile dipen-dente?, in CARUSO, FONTANA (a cura di), Lavoro e diritti sociali nella crisi europea. Un confrontofra costituzionalisti e giuslavoristi, il Mulino, 2015, 205 ss.

(7) I termini della questione non mutano ricordando che gli interventi in materiaretributiva hanno la propria base giuridica nell’art. 136 TFUE, secondo il quale i membridel Consiglio che rappresentano gli Stati dell’area euro possono prendere misure al fine di:“a) rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio; b) elaborare...gliorientamenti di politica economica vigilando affinché siano compatibili con quelli adottatiper l’insieme dell’Unione...”. Infatti, da questa previsione del Trattato non deriva l’amplia-mento delle competenze dell’Unione europea.

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5. Quanto detto finora fa sì che la “battaglia” per l’applicabi-lità dei principi e dei diritti garantiti dalla Carta è difficile dacombattere sul piano del diritto interno e quindi va spostata nelladimensione sovranazionale. L’attenzione va concentrata sullaprima parte dell’art. 51, paragrafo 1, secondo la quale le disposi-zioni della Carta “si applicano alle istituzioni, organi e organismidell’Unione” e, come affermato in una Comunicazione della Com-missione del 2010, orientano “in particolare il lavoro legislativo edecisionale della Commissione, del Parlamento e del Consiglio, i cuiatti giuridici devono essere pienamente conformi alla Carta” (8).La Commissione fa riferimento agli “atti giuridici” emanati daqueste istituzioni, ma la circostanza che si riferisca anche al “la-voro decisionale” di quegli organi fa sì che si possa prescinderedall’accertamento della giuridicità delle raccomandazioni e, più ingenerale, delle discipline della flessicurezza. Insomma, le istitu-zioni, gli organi e gli organismi dell’Unione devono rispettare idiritti, osservare i principi e promuoverne l’applicazione. E ciò valeprincipalmente per le istituzioni, gli organi e gli organismi chepartecipano alla formazione del diritto dell’Unione, ma anche aiprocessi decisionali in senso più ampio, cosicché è di immediataevidenza che le previsioni contenute negli atti, vincolanti e nonvincolanti, indipendentemente dalla materia su cui vertono, nonpossono essere in contrasto con i diritti e i principi tutelati dallaCarta dei diritti fondamentali e, comunque, nei casi dubbi vannointerpretati in conformità a quei diritti e a quei principi. Unesempio sono gli atti della Commissione e del Consiglio dell’Unioneeuropea del 2007, nei quali si evidenziava l’opportunità di inter-venire in materia di licenziamento, inclusa quindi la sua giustifi-cazione (9). Ebbene, se già allora la Commissione e il Consigliofossero stati tenuti ad applicare l’art. 30, tali atti avrebbero dovutoessere intesi nel senso di programmare interventi anche sul profilodella giustificazione del licenziamento, senza tuttavia poterne mai

(8) Comunicazione della Commissione, Strategia per un’attuazione effettiva della Cartadei diritti fondamentali dell’Unione europea, COM(2010)573 final del 19 ottobre 2010, 3.

(9) Il riferimento è soprattutto alla Comunicazione della Commissione del 27 giugno2007, Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie allaflessibilità e alla sicurezza e alle Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea del 6 dicembre2007, Verso principi comuni di flessicurezza: sul punto v. L. ZOPPOLI, Flex/insecurity. La ri-forma Fornero (l. 28 giugno 2012, n. 92) prima, durante e dopo, Editoriale Scientifica, 2012,15-21.

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prevedere l’eliminazione. Ovviamente, ciò vale a maggior ragionese dovessero essere approvati altri atti dell’Unione in materia, orache la Carta dei diritti fondamentali ha valore vincolante (10).Pertanto, eventuali provvedimenti interni che introducessero unlicenziamento ingiustificato non potrebbero essere in nessun casoemanati in attuazione della normativa europea che, come detto,non può prescindere dalla giustificazione del licenziamento, masarebbero approvati dal legislatore interno in totale autonomiarispetto all’ordinamento sovranazionale (11).

6. Nella ricostruzione proposta un problema rimane aperto,ovvero chi esercita il controllo sugli atti non vincolanti provenientidalle istituzioni europee, verificando la loro compatibilità con lenorme della Carta. L’art. 263, par. 1, TFUE è molto chiaro inmerito, affermando che “la Corte di giustizia dell’Unione europeaesercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli attidel Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea chenon siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parla-mento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effettigiuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo dilegittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinatia produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”. Anche in questocaso si rivela utile la Comunicazione prima richiamata, in quantoci ricorda che “la Commissione ha già preso misure organizzativeinterne — ‘la metodologia’ — per garantire che i suoi serviziprocedano alla verifica sistematica e rigorosa del rispetto di tutti idiritti fondamentali in causa sin dall’elaborazione di una propostalegislativa”, precisando che “anche gli atti non legislativi adottatidalla Commissione, come le decisioni, che non sono oggetto divalutazione d’impatto, vengono sottoposti durante la preparazioneal controllo di compatibilità con la Carta” (12). Non è certamente

(10) Sulla necessità della giustificazione del licenziamento derivante dall’art. 30 dellaCarta, v. M.T. CARINCI, L’“adeguata tutela economica” contro il licenziamento ingiustificato: ivincoli posto dall’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in NOGLER,CORAZZA (a cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Marcello Pedrazzoli,FrancoAngeli, 2012, 788-789.

(11) Cfr. amplius DELFINO, La Corte e la Carta: un’interpretazione “utile” dei diritti edei principi fondamentali, in Diritti lavori mercati, 2014, 175 ss.

(12) Le citazioni sono tratte dalla Comunicazione della Commissione, Strategia perun’attuazione effettiva della Carta, cit., rispettivamente, 5 e 4.

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la stessa cosa che prevedere la giustiziabilità delle previsioni euro-pee davanti alla Corte di giustizia ed inoltre si tratta di unaposizione assunta autonomamente dalla Commissione e non esten-sibile ad altri organi o istituzioni dell’Unione, ma è pur sempre untimido passo sperando che in futuro si possa arrivare al controllo dilegittimità rispetto alle norme della Carta.

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VINCENZO FERRANTE

Mi associo ai complimenti per le tre relazioni introduttive, chemi sono sembrate tutte molto approfondite. In particolare, segnalol’interessante indagine (contenuta nella relazione del prof. Chieco)sulle pronunce delle altre Corti costituzionali, soprattutto quellaportoghese e quella spagnola, che mi pare abbiano in qualchemisura indirizzato la recente sentenza n. 70, a testimonianza dellavivacità del c.d. “dialogo fra le Corti”, che è anche un dialogocomparato fra le istituzioni costituzionali dei Paesi europei.

L’argomento su cui volevo intervenire è, in particolare, il temadei diritti sociali, che è già stato in parte affrontato nell’interventodel prof. Persiani e nella relazione del prof. Ales. Come sottolineagiustamente Persiani, il problema consiste innanzitutto nell’indi-viduazione di questi diritti. A proposito, Ales parla senz’altro didiritti “a prestazione”. Questa impostazione certamente consentedi fare chiarezza su alcuni aspetti e, in particolare, permette dicollegare il problema dei diritti sociali fondamentali ai limiti dibilancio previsti dall’art. 81 Cost.

Tuttavia ritengo che questa prospettiva non sia del tuttosoddisfacente, soprattutto perché non risolve il tradizionale pro-blema, trattato da tutti i manuali di diritto della previdenzasociale, relativo alla differenza tra assistenza e previdenza. Infatti,tanto i diritti di previdenza quanto i diritti di assistenza sono“diritti a prestazione”. La differenza, che finora ha consentito ditenere ferma tale distinzione, concerne la tecnica di finanziamento.Come è noto, infatti, nella previdenza ricorre una tecnica di tipoassicurativo, con un rinvio ad una solidarietà che, per quantovivificata dalle previsioni dell’art. 3 Cost., rimane comunque unasolidarietà di gruppo, che conosce — quindi — una pluralità digestioni e che, nell’ambito della pluralità di gestioni (e mi limito alcampo Inps, perché si potrebbero richiamare anche le ipotesi dellavoro autonomo), procede alla redazione di bilanci tecnici perciascuna di esse.

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Da questo punto di vista, dunque, mi sembra che, al di là diquelle che possono essere le indicazioni costituzionali, la realtà difatto, in qualche misura, continui a mantenere la distinzione inparola. E io ho l’impressione che questa distinzione tra previdenzae assistenza agevoli molto la risoluzione di un secondo problema,come è stato correttamene messo in evidenza da molti fra coloroche sono intervenuti prima di me. Mi riferisco, in particolare, alproblema della definizione dei limiti alla discrezionalità del legisla-tore. Ebbene, io ritengo che proprio la tradizionale distinzione traprevidenza e assistenza offra un aiuto importante, se pur nondecisivo, ai fini dell’individuazione di questi limiti.

A riguardo, si può, per esempio, ricordare la famosa questionerelativa ai pagamenti tardivi delle prestazioni assistenziali o pen-sionistiche, che ha consentito di porre in risalto il collegamento tral’art. 36 e l’art. 38 della Costituzione, nell’ottica di un reciprocorafforzamento del significato di entrambe le norme. Il problema delpagamento tardivo supera la tematica della distinzione tra presta-zioni contributive e non contributive. In questo caso, come è noto,la questione centrale riguardava la possibilità di applicare l’art.429 c.p.c. anche al di fuori delle ipotesi dallo stesso espressamentecontemplate. Per risolvere il problema, si individuò il rimediodell’art. 1224 c.c. e la figura del soggetto che sostanzialmente vivedel proprio reddito. Da questo punto di vista, come sottolineacorrettamente anche il prof. Garofalo, pensione e retribuzione sonosullo stesso piano. In questi casi, infatti, sia il pensionato che illavoratore subordinato hanno in quel reddito la propria fonte disostentamento, con la conseguenza che il pagamento tardivo incidedirettamente sui loro livelli di vita. È chiaro, dunque, che, sebbeneil problema dei pagamenti tardivi alla fine sia stato risolto attra-verso il rinvio all’art. 1224 c.c., il ragionamento di fondo era senzadubbio basato sul concetto di equivalente funzionale. Mutatismutandis, questo genere di considerazioni sembra ricorrere anchenell’argomentazione contenuta nella recente sentenza n. 70.

Vi è, poi, un altro limite, che è costituito da quella relazione diproporzionalità “inversa” di cui ha parlato il prof. Sandulli nei suoiscritti. Questo limite esige che vi sia una qualche correlazione trai contributi versati e la misura della prestazione. Chiaramente,questa correlazione può aprirsi a correttivi, ispirati a principi disolidarietà generale; ma, in linea di massima, deve comunqueessere tenuta in considerazione. A questo proposito, la giurispru-

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denza ordinaria, di fronte al problema dei versamenti tardivi osuccessivi al pensionamento nel sistema retributivo, ha sottoli-neato, in alcune pronunce, la necessità che i contributi versatiabbiano comunque una qualche utilità, riconoscendo, dunque, ildiritto a raggiungere una pensione commisurata al livello dellecontribuzione versata, nonostante gli ultimi anni registrino degliimporti ridotti.

A mio avviso, questa relazione di proporzionalità fra contri-buzione e misura della prestazione non ha soltanto un addentellatodi carattere costituzionale, poiché ritengo che debba essere richia-mato anche l’art. 1 del Primo Protocollo alla Convenzione europeadei diritti dell’uomo, relativo al diritto di proprietà.

Invero, proprio facendo leva sul Primo protocollo e sul princi-pio di non discriminazione, la Corte europea, in vari casi concer-nenti fenomeni di cd. turismo assistenziale, ha riconosciuto, incapo a lavoratori che avevano versato i contributi, il diritto dipercepire determinate prestazioni non contributive. A me nonsembra che il diritto di proprietà sia del tutto irrilevante rispetto aproblematiche di questo genere. Innanzitutto, perché la proprietànella nostra Costituzione è sicuramente un diritto funzionalizzato,aperto cioè ad esigenze di tutela sociale. In secondo luogo, perchéè proprio affrontando problemi connessi al diritto di proprietà — ein particolare il tema dell’espropriazione — che la dottrina giu-spubblicistica, in passato, si è interrogata circa i limiti del poterediscrezionale della pubblica amministrazione e del legislatore or-dinario.

Come è noto, il problema dell’espropriazione ha rappresentatouna questione di primaria importanza nell’ambito del diritto pub-blico del XIX secolo. In quel contesto, si trattava infatti dicomprendere fino a che punto l’interesse generale possa legittimareuna limitazione o addirittura una radicale compressione dei dirittidel singolo. Da questo punto di vista, sebbene il problema in esameconcerna la tutela di un credito (o forse di un’aspettativa) dellavoratore, ritengo che il richiamo al diritto di proprietà non sia unargomento del tutto inconferente.

A sostegno di questa opinione devo ricordare come, in un caso,la nostra Corte costituzionale ha richiamato i principi sancitidall’art. 47 Cost., nella prospettiva di riconoscere il diritto aprestazioni più elevate a favore di coloro che hanno versato più

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contributi e che, quindi, hanno dimostrato una maggiore propen-sione al risparmio.

È chiaro che questo ragionamento consente di mettere inevidenza un ulteriore limite alla discrezionalità del legislatore, ilcui significato può essere compreso soltanto tenendo presenti lepeculiarità che contraddistinguono il sistema della previdenzasociale. Infatti, la partecipazione al finanziamento delle prestazionida parte degli stessi lavoratori, a mio avviso, consente di tracciarei confini del sistema previdenziale, distinguendolo chiaramente dalcampo dei diritti a prestazione, i quali, invece, sono finanziatiesclusivamente dall’Erario.

Ovviamente, un vincolo ulteriore deriva, poi, dall’art. 81 Cost.A differenza da alcuni miei colleghi, io non sono così critico inmerito all’applicazione di questa norma. In particolare, ritengo chesia riduttivo considerare i principi previsti dall’art. 81 come unlimite aggiuntivo, imperativamente imposto dall’ordinamento eu-ropeo. Innanzitutto, perché, se fosse stata applicata corretta-mente, questa norma avrebbe portato a configurare determinativincoli, anche prima della sua recente riscrittura ad opera dellalegge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. In secondo luogo, perché,a ben vedere, essa si limita a richiamarci alle nostre responsabilitànei confronti delle generazioni future, a fronte della massa sconfi-nata del nostro debito pubblico. A riguardo, ricordo le politiche del1992-1993, le quali, pur non essendo imposte dall’ordinamentoeuropeo, erano sicuramente dirette a porre dei limiti in questosenso. Questo genere di interventi era dettato anche da considera-zioni relative all’andamento dei mercati finanziari, i quali, inqualche misura, rapportano l’entità del debito pubblico al patri-monio complessivo dello Stato. In questa prospettiva, ricordo beneche quando si procedette alle privatizzazioni delle società in manopubblica non si mancò di rilevare che questo tipo di interventi allalunga finisce col ridurre la garanzia del debito pubblico e dunque,da un certo punto di vista, anche la ricchezza complessiva delPaese.

Infine, vi sono sicuramente dei limiti tecnici. A questo propo-sito, io ritengo che il sistema contributivo sia perfettamente coe-rente con le politiche di flessicurezza. Infatti, in un sistema retri-butivo come il nostro, è tecnicamente molto complesso — e inquesto momento probabilmente impossibile — configurare unapensione unitaria, che tenga conto delle differenze di aliquota,

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nelle ipotesi in cui il lavoratore, nell’arco della sua vita professio-nale, sia passato, per esempio, da un’attività di lavoro subordinatoad un’attività di lavoro autonomo e poi ancora ad un’attività dilavoro parasubordianto. Al contrario, in un sistema contributivoquesto obiettivo può essere realizzato attraverso una sempliceoperazione di aggiustamento, che consiste nella somma dei mon-tanti contributivi delle diverse gestioni previdenziali. Infatti, es-sendo l’ammontare del trattamento pensionistico mensile correlatoall’età e quindi al coefficiente di trasformazione e alla misuracomplessiva del montante contributivo, tutti i diritti pensionisticimaturati saranno sicuramente riconosciuti anche al lavoratore cheabbia svolto differenti attività professionali. Come è noto, unesempio della difficoltà che consegue al passaggio da un sistema adun altro, nell’ambito del modello retributivo, si è avuta in relazioneai lavoratori italiani che hanno lavorato in Svizzera e che hannopoi chiesto di ricevere una prestazione unitariamente calcolata.Anche in Italia, peraltro, sembra che alcune recenti pronunce dellagiurisprudenza di merito, forzando in parte il dato normativo,cominciano a consentire, entro certi limiti, un cumulo dell’anzia-nità tra le diverse gestioni.

In conclusione, mi sembra di poter affermare che la tradizio-nale distinzione tra previdenza e assistenza rende possibile ricavaredal nostro sistema normativo qualche limite in più alla discrezio-nalità del legislatore.

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ANDREA LASSANDARI

Grazie molte presidente.Mi associo intanto ai complimenti di chi mi ha preceduto. Ho

trovato le relazioni molto interessanti e stimolanti. Pur emergendonotevoli distinzioni tra di esse, sia nell’impostazione che nei con-tenuti.

Questo si evidenzia intanto a proposito di un aspetto, su cuivorrei a mia volta soffermarmi. Un profilo obiettivamente moltoimportante, che vede punti di vista quasi opposti tra i relatori.

In effetti la relazione di Pasquale Chieco è fondamentalmentevolta a dimostrare che gli orientamenti provenienti dall’Unioneeuropea, qui minutamente descritti, condizionanti da ultimo inte-ramente sia le politiche economiche che del lavoro degli ordina-menti nazionali, in particolare dell’Europa meridionale, assumanorilievo prescrittivo anche in termini formali. Acquisizione chenell’economia del ragionamento svolto appare funzionale a consen-tire l’applicazione della Carta di Nizza all’insieme delle riforme dellavoro, compreso il c.d. Jobs Act. Secondo questa prospettivainsomma tali orientamenti risulterebbero appartenere alla partec.d. “hard” del diritto dell’Unione europea: oppure — potrebbeforse anche essere detto — all’interno di questo diritto non avrebbecomunque significato distinguere tra parte “hard” e parte “soft”.

Edoardo Ales invece, esattamente al contrario, esclude che gliorientamenti di cui si discute abbiano rilievo giuridico: nella suaanalisi a questi andrebbe invece attribuito il ruolo di “mero”condizionamento politico. Incisivo quanto si vuole: ma spiegabile erilevante esclusivamente all’interno di una dimensione di caratterepolitico.

Infine la relazione di Alberto Pizzoferrato mi pare si situi traquesti due punti di vista: probabilmente risultando tuttavia piùvicina a quello di Pasquale Chieco.

Non prendo posizione sulla questione, che credo richieda in

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effetti uno studio approfondito. Il dibattito però mi induce adalcune considerazioni.

Io trovo meritevoli di attenzione entrambe le prospettive. Laprima perché ricercare una configurazione adeguata, anche intermini formali, rispetto ad indirizzi che in concreto si sono rivelaticosì pervasivi ed irresistibili, non solo in Italia, mi sembra oppor-tuno, se non necessario: per cui la questione, in relazione pure alleimplicazioni connesse, di cui già dicevo, è del tutto rilevante.

Pure il secondo punto di vista tuttavia reca con sé elementidegni della più ampia considerazione. Anche perché normalmentetrascurati, se non del tutto ignorati, quando si affrontano i temi del“condizionamento” europeo: ancora di più poi, se si parla dei“condizionamenti” dovuti alla globalizzazione. Infatti la dimen-sione (anche) politica, in cui questi fenomeni vanno correttamentecollocati ed inseriti — assumano o meno rilevo giuridico, a propo-sito almeno degli orientamenti europei —, viene per lo più preter-messa: in verità sostituita da una considerazione quasi fatalisticadi ciò che accade. Ritenuto immodificabile.

A me pare invece che l’approccio volto a ricordare la radicepolitica delle scelte effettuate risulti non solo corretto: ma nelcontesto contemporaneo addirittura prezioso.

Derivandone alcune inferenze. Innanzitutto che ha sensoesprimersi su ciò che accade: esercizio da molti dimenticato. Non sitratta infatti di prender posizione sulla forza di gravità. Quindi hasenso dire se gli avvenimenti con cui ci si confronta piacciono alcommentatore oppure no; se le opzioni prescelte risultano a suogiudizio opportune o meno.

Edoardo Ales in effetti coerentemente si è pronunciato: dandoad es. un giudizio abbastanza positivo, se ho ben compreso, sullescelte dell’Esecutivo.

Anche se nei ragionamenti di Edoardo vengono particolar-mente valorizzati i profili connessi ai servizi per l’impiego; all’ap-prendistato di alta formazione e ricerca; allo stesso legame traformazione, scuola, università, da una parte, e lavoro, dall’altra.Dovendosi però nel contempo registrare come a proposito deiservizi per l’impiego sia notorio il forte ritardo dell’Italia; le espe-rienze di apprendistato di alta formazione e ricerca fino ad ogginote e realizzate siano probabilmente state più ridotte e limitate...dei contratti sottoscritti di lavoro ripartito; la connessione trascuola e lavoro risulti infine oggetto di dichiarazioni e dibattiti da

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moltissimo tempo, tuttavia senza particolari risultati. Cosicché siha la sensazione che il giudizio positivo espresso da Edoardo siafondamentalmente sulla fiducia, per così dire.

Al momento in effetti assistiamo a numerosi annunci, comepure rilevato da Alberto Pizzoferrato. Si può essere più o menoottimisti sul fatto che ad essi seguiranno idonee soluzioni concrete:ma di annunci ancora si tratta.

Altri elementi invece risultano già indubbiamente definiti,presenti ed anzi fortemente potenziati: ciò dovendo senz’altroessere detto per la flessibilità (nell’interesse dell’impresa: specifi-cazione quest’ultima oggi probabilmente inutile, posto che sulsegno di tale flessibilità non sembra possibile ingannarsi).

Si parla in effetti oramai da tempo, anche in Italia, di Flexse-curity, contesto ordinamentale e culturale (oltre che politico, comesi diceva) con cui evidentemente si confrontano tutte le relazioni.Tuttavia sembra proprio che all’interno della Flexsecurity la fles-sibilità risulti prevalente, se non addirittura dominante, sullasicurezza.

La cosa è piuttosto evidente nella vicenda italiana: anchesemplicemente rinviando a quanto detto, molto brevemente, suiservizi per l’impiego nonché sulla connessione tra formazione elavoro. Ma credo emerga con chiarezza nelle politiche e normativepure dell’insieme dei Paese meridionali dell’Europa.

D’altra parte non mancano segnali di ridimensionamento dellasicurezza sociale in tutta Europa: quindi anche nei Paesi, orasettentrionali, dove la Flexsecurity è sorta e si è consolidata. Ciòemergendo sotto i profili della quantificazione economica comedella durata delle prestazioni assicurate; inoltre dello stesso raffor-zamento della condizionalità.

Allora si parla di Flexsecurity ma è molto forte il dubbio che cisi trovi di fronte ad una formula “di bella presenza”, ben spendibilenel dibattito mediatico e politico nonché nelle sedi convegnistiche,ma fondamentalmente menzognera: perché propone una rappre-sentazione, quanto innanzitutto all’equilibrio tra flessibilità e si-curezza, falsa. Quantomeno in Italia. Ma probabilmente pure inaltri Paesi che non l’hanno mai conosciuta e stanno introducendoriforme dichiaratamente in suo nome. Infine, sempre di più, neglistessi Paesi che l’hanno storicamente sperimentata.

In effetti quel che oggi sta accadendo appare più efficacemente

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— ed onestamente — descrivibile in altro modo: che molto poco haa che fare con la Flexsecurity.

A me pare che, a partire da alcuni decenni, si assista ad unaprofonda ristrutturazione del capitalismo: basta leggere Piketty,che dice sul punto cose tanto interessanti quanto documentate.

Tale tendenza si è tradotta, in termini lavoristici, in un fattopreciso: è tornato centrale, all’interno dell’impresa, il potere uni-laterale dell’imprenditore. Questo a me pare il punto: non si trattache di una traduzione, se volete meccanica, della ristrutturazionecapitalista in corso.

Certamente non mancano punti di vista, nel dibattito pub-blico, volti a sostenere che scelte come quelle effettuate dal c.d.Jobs Act generino effetti positivi, sul piano economico e quindisociale (esattamente in quest’ordine: facendo cioè interamente edesaustivamente dipendere i benefici sociali dalla dinamica inne-stata in sede economica). Mentre è ovvio che ciò accada neldibattito politico: peraltro oramai asfittico, data la convergenza ditutte le forze politiche, pressappoco, sugli elementi fondamentalidel “processo riformatore” (la di là delle schermaglie, pure com-prensibili e prevedibili).

Questi effetti positivi, a dire il vero, li stiamo attendendo dadecenni: visto che il segno delle politiche realizzate dal Jobs Actrisulta tutt’altro che nuovo. Oggi semmai sono divenute decisa-mente più massicce le “quantità”, se così si può dire, di flessibilitàintrodotta nell’ordinamento.

Personalmente esprimo dubbi sul fatto che tali effetti si ma-nifestino: o conseguano alle scelte normative realizzate. Si parli diriduzione del tasso di disoccupazione; di incremento del tasso dioccupazione; anche e soprattutto di rafforzamento della competi-tività delle imprese nazionali.

Ma anche se qualche effetto positivo si producesse, osservocome ciò avvenga del tutto a prescindere dalle dinamiche descritte:le quali hanno palesemente altre origini e finalità.

Evidentemente se la ricostruzione è corretta. Se però lo fosse,invito a considerare come dovrebbero derivarne ulteriori conse-guenze. Occorrerebbe infatti a questo punto chiedersi se il ritardonell’introduzione di adeguati modelli di sicurezza, sul versante siadel sostegno del reddito che delle politiche attive del lavoro, risultirealmente tale. O invece non ci si trovi di fronte ad un ritardo:perché la sicurezza nel mercato semplicemente non arriverà mai.

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In effetti se l’obiettivo è rafforzare il potere unilaterale del-l’imprenditore, il quale diviene pervasivo, appare del tutto coe-rente e funzionale che la sicurezza sul mercato, al di là degliannunci e delle promesse, in verità non giunga affatto o risultimolto debole. Perché se il lavoratore sa che, una volta perduto illavoro — oltre a subire significativi pregiudizi sul piano previden-ziali — non trova adeguate misure di sostegno, risulta evidente-mente più condizionabile e soggetto ai poteri, proprio nel corso delrapporto.

Ma la stessa disoccupazione, a voler portare tali rilievi alla loroestrema conseguenza, è funzionale rispetto all’obiettivo ipotizzato.Al riguardo non si inventa in effetti nulla: è sufficiente richiamarei ben noti rilievi marxiani sull’esercito di riserva. Sorgendo allora ilsospetto che la disoccupazione, proprio nei Paesi dove è più con-sistente, sia combattuta soprattutto nelle dichiarazioni: sospettonon certo eliminato dalle politiche realizzate dall’Unione europeanonché da molti Stati.

Si tratta pertanto di un sistema che — per tornare sullaopportunità di esprimersi — non pare accettabile né socialmenteequilibrato. Occorrendo tuttavia chiedersi quale soggetto e conquali modalità potrebbe intervenire, provando a modificarne icaratteri o solo introducendo limiti.

A proposito della contrattazione collettiva, condivido i giudiziespressi da Alberto Pizzoferrato sulla dinamica evolutiva. Trovoperò poco realistica la soluzione da lui prospettata: l’ipotesi cioè didiffusione di contratti collettivi aziendali, all’interno però di unsistema organizzato. Perché non comprendo come sia possibile,nell’economia di questo ragionamento, porre i presupposti della c.d“organizzazione”.

Io credo che solo un sistema di contrattazione collettiva chemantenga una sua articolazione, quanto ai livelli, permetta direalizzare un sistema organizzato. Ciò implicando che sarebbeinnanzitutto necessario mantenesse rilievo il contratto nazionale dicategoria; inoltre che sorgesse un ulteriore livello, sovranazionale,capace di confrontarsi con le dinamiche di mercato oramai quiprevalentemente allocate. Proprio quest’ultimo livello — eviden-temente tutto da costruire — permetterebbe in effetti oggi di dareuna risposta convincente alla crisi, regolativa e funzionale, delcontratto nazionale: mentre il contratto aziendale, connesso ad un

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sistema così configurato, sarebbe a quel punto coordinato edorganizzato.

In carenza di tali presupposti sono invece molto scettico sullapossibilità di giungere a quest’ultimo esito.

A proposito invece del ruolo dei giudici — sottolineato comepure il medesimo risulti oggi fortemente messo in discussione, inprimis a questo punto dalla legge — una domanda sorge sponta-nea, dopo aver ascoltato le relazioni. Si prevede che questo ruolo siconcentri soprattutto, se non solamente, sui diritti fondamentali,provando a garantire ad essi un presidio adeguato, oppure chepossa/debba andare anche oltre? Qualunque sia la nozione chevenga peraltro accolta di diritti fondamentali.

Il punto è che non si è per nulla certi del fatto che un sistemadove siano garantiti i soli diritti fondamentali risulti socialmenteequilibrato. Apparendo tra l’altro tutto da verificare se i dirittifondamentali, lasciati pressoché da soli, riescano a svolgere dav-vero un concreto e significativo ruolo regolatore.

Sull’intervento giudiziale un’ultima questione mi pare infineabbia implicazioni significative. Edoardo Ales ha manifestatodubbi sulla opportunità che i giudici intervengano, a tutela ap-punto dei diritti fondamentali, soffermandosi, oltre che sulla ra-zionalità e sull’eventuale contenuto discriminatorio dei provvedi-menti legislativi, pure sull’adeguatezza delle prestazioni garantite.

Però nella stessa riflessione di Ales, a proposito dei dirittifondamentali, si attribuisce rilievo pure al dato qualitativo, inrelazione sempre all’adeguatezza. Ma se è così, risulta coerentesostenere che sulla adeguatezza delle prestazioni possano pronun-ciarsi esclusivamente il legislatore e quindi la sovranità popolare?

Specie considerando che le complesse modificazioni economi-che, sociali ed ordinamentali, su cui tutte e tre le relazioni sisoffermano, certo non lasciano indenne neanche la democraziarappresentativa.

Grazie.

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ROSA CASILLO

1. Intervengo prendendo spunto dalla relazione del ProfessorAles, e mi concentro su una delle situazioni soggettive previsteall’art. 38 Cost.: sul diritto alla pensione di vecchiaia, esso purediritto sociale. Più esattamente, diritto di eguaglianza sostanzialeai fini partecipativi in funzione di reale democrazia, perciò dirittodi cittadinanza sociale (B. Ales).

Mi soffermo sul modo in cui è declinato, oggi, un aspetto distruttura di questo diritto, per evidenziare che la discrezionalitàlegislativa — senz’altro legittimamente espressa in base alla con-tingenza economica, politica ed euro unitaria a cui si consacra la l.n. 214/2011 che tanto lo ha rivisitato — non solo ne ha ristretto, eper tante ragioni, il godimento — così interpretando “il livello dibenessere pensionistico che la comunità, oggi, può permettersi digarantire” (B. Ales). Ha influito anche sull’impostazione costitu-zionale della tutela, sulla sua ratio, modificandone in qualche modoi presupposti. E se il ridimensionamento della tutela può ancoratrovare sistemazione costituzionale se si forzano un po’ i principi sucui è costruita aggiornandoli all’evoluzione dei tempi — penso allasolidarietà e all’adeguatezza delle pensioni — il mutamento deipresupposti reagisce sulla fattispecie costitutiva del diritto, e,credo, non trovi spazio nell’art. 38, co. 2.

Il che, da una parte, rafforza l’importanza della verifica che ladiscrezionalità legislativa non sia libertà — verifica da compiereanche e soprattutto attraverso lo strumento del dato “documen-tale” valorizzato dalla Corte nella sentenza n. 70/2015, che valemolto a chiarire la discrezionalità rispetto all’arbitrio — e, dall’al-tra, pone in risalto il fatto che il limite a quella discrezionalità,nella decisione sui modi di attuazione del diritto a pensione ma ditutti i diritti c.d. imperfetti, è la garanzia di un nucleo essenziale(del diritto) costruito intorno a tutte le sfumature in cui si declinal’interesse alla cui soluzione essi sono preordinati, che non è defi-nito solo dalla prestazione.

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Il mutamento nell’impostazione della tutela, che intendo se-gnalare, lo rilevo nella configurazione che assume l’evento vec-chiaia in esito all’innalzamento dell’età di pensione ed ai modi èstato disposto, all’art. 24 della l. 214/2011. Dico subito che questo,a mio giudizio, tramuta l’evento generatore del diritto in un veroe proprio rischio, fuori dalla logica dell’art. 38, co. 2.

2. Credo che nella prospettiva di diritto l’aumento dell’etàanagrafica di pensione debba essere letto come strumento di invec-chiamento attivo, garanzia di un’istanza personalistica ex art. 2 e3, co. 2, Cost. Perché se è configurato come strumento di sosteni-bilità economico-finanziaria del sistema e di adeguatezza dellepensioni, come è sempre stato configurato, non regge alla criticagiuridica. Non posso svolgere compiutamente questo punto perragioni di tempo. Dico solo che a questa conclusione giungo indialogo con gli economisti, traducendo nei termini giuridici ciò cheessi dimostrano, e non da ora, circa la sostanziale inefficacia dellamisura, o quantomeno la sua estrema condizionalità, rispetto alfine economico e finanziario (F.R. PIZZUTI, Invecchiamento e sistemipensionistici: problemi reali e soluzioni ingannevoli, in Meridiana,2004, 199 ss.; E. FORNERO, Crisi finanziaria e riforme previdenziali:quale ripensamento critico?, in Politica Economica, 2009, 57 ss.; M.RAITANO, Carriere fragili e pensioni attese: i possibili correttivi alsistema contributivo e la proposta di una pensione di garanzia, inRivista delle politiche sociali, 2011, 99 ss.; A. MARANO, Equità eadeguatezza del sistema contributivo. Problemi e possibili soluzioni, inPolitiche sociali, 2015, 481 ss.). È questa sostanziale inefficaciaeconomico-finanziaria che ricade nella illegittimità giuridica dellamisura, che così risulta non solo irrazionale, perché potenzialmenteinadeguata al fine di stabilità del sistema che pure è un valore peril diritto, ma anche irragionevole, per la sproporzione tra il dubbiofine economico ed il certo sacrificio di beni giuridici della vitaimposto ai titolari del diritto. Uno scenario che cambia completa-mente se l’aumento dell’età è, invece, ricondotto alla garanzia dellapersonalità in età tardo adulta. È vero che, anche rispetto a questofine, l’efficacia della misura è condizionata (da variabili culturali,sociali e dalle condizioni di vita e di lavoro degli anziani). In questocaso, però, la misura non compone il conflitto tra economia ediritto, risolto subordinando l’istanza personalistica — che subisceun sicuro pregiudizio — alle regioni finanziarie — che ottengono un

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vantaggio incerto; all’opposto, dà soluzione di una prerogativafondamentale della persona.

3. Nell’ottica dell’active ageing, per il differimento dell’età diritiro dal lavoro non è strumento di grande coerenza l’aumentodell’età di pensione in misura fissa. Se il proposito è aggiungere vitaattiva all’aumentata longevità, è su di essa, sul prolungamentodella longevità, che deve calibrarsi il prolungamento della vitalavorativa. L’Unione Europea ripetutamente lo segnala, e lo stru-mento che suggerisce è logico e razionale rispetto al fine, ed è ilcollegamento dell’età di vecchiaia alle variazioni dell’attesa di vita(Libro Verde, Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili esicuri in Europa, COM(2010)365; Libro Bianco, Un’agenda dedicataa pensione adeguate, sicure e sostenibili, COM(2012)55)

Ciò che, in effetti, ha disposto la l. 214/2011. Ha disposto,esattamente, l’adeguamento universale e indiscriminato di tutti iparametri di accesso alla pensione alle variazioni dell’attesa di vitamedia (art. 24, co. 12). Segnalo, per inciso, che dall’aggiornamentoattuariale non deriva un semplice innalzamento dell’età di pen-sione — a cui pure ci hanno abituato le passate riforme. Deriva,piuttosto, il suo conferimento ad un processo di innalzamentoprogressivo del quale, allo stato, non è prevedibile l’arresto — cheprobabilmente mai ci sarà, dal momento che, probabilmente, maici sarà l’arresto dell’aumento della vita attesa.

Nel confronto coi principi intorno ai quali è intessuta la tutelapensionistica, non si può dire che la regola dell’adeguamentoattuariale, in sé e per sé, tradisca il precetto dell’art. 38 Cost.

In questo precetto leggo tre cose:a) il diritto alla pensione come “retribuzione della virtù

repubblicana”: “retribuzione” nel solo ed esclusivo senso che altermine attribuiva la civitas romana di ciò che nella civitas repub-blicana è la sola virtù che dà dignità, e cioè il lavoro. L’interesseper il quale il diritto è posto, per il privilegio che l’etica repubbli-cana accorda al lavoro e ai lavoratori, è la continuità del profilopartecipativo verificato nella vita attiva grazie al lavoro; e laprestazione che lo soddisfa, quella adeguata, riflette la formaqualitativa e quantitativa del contributo individuale al progressocomunitario mediante, appunto, il lavoro. Anche in vecchiaia,dunque, il lavoro è condizione di — e condiziona la — cittadinanzasociale (B. Ales).

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Anche questo è un aspetto a cui non posso dedicare tempo, senon per precisare che il legame tra prestazione e contributo dilavoro non pretende la rilevanza della ricaduta retributiva dellavoro nel quantum della prestazione, potendo essere realizzato,quel legame, anche mediante la valorizzazione della ricaduta con-tributiva del lavoro — sono i diversi quomodo nella realizzazionedel quid, (B. Ales) dove è lo spazio per la discrezionalità legislativa.Anche nella prospettiva che io accolgo, quindi, la connessione traart. 36 e 38 Cost. è assai sfumata (lo sottolineavano, prima di me,M. Persiani, D. Garofalo, e A. Avio). È una connessione appenaideale: il quid ed il quantum, così come i caratteri fondamentali delquomodo e del quando della prestazione, sono tutti e solo nell’art.38, co. 2 e nelle disposizioni che sintetizzano la funzione socialedello Stato della quale l’art. 38 è implementazione.

b) Su questa base, nell’art. 38 Cost. leggo anche la vecchiaiagiuridica nel significato più tradizionale di momento, convenzio-nale, di presunta inabilità al lavoro (oggi 66 anni, 67 nel 2021).

c) La vecchiaia giuridica — ed è la terza cosa che leggo nelladisposizione costituzionale — ha un limite non valicabile nellavecchiaia biologica, che è il momento della reale decadenza dell’at-titudine al lavoro (presunto a 70 anni, limite massimo di pensio-namento “incentivato”).

Se l’evento che invera la fattispecie costitutiva del diritto — lavecchiaia giuridica — si individua secondo queste coordinate,l’adeguamento dell’età di pensione alle variazioni della vita attesa,in sé, non contrasta con l’art. 38, co. 2, Cost., come dicevo. Noncontrasta con la regola che vuole il tempo della presunta inabilitàal lavoro rientrante nel tempo della vita in cui cade la vecchiaiabiologica. È, anzi, questo aggancio, senz’altro armonico con essa,perché un allungamento della durata della vita è sintomatico dellospostamento in avanti pure della decadenza biologica, ed è, perciò,almeno in astratto, indice di allungamento della longevità, cioèdella vita in condizioni che rendono ancora possibile e desiderabilela partecipazione sociale di lavoro.

4. Il problema giuridico — il vulnus all’art. 38, co. 2, Cost. —nasce perché, secondo la disposizione legale, la variazione della vitaattesa deve tradursi interamente in un aumento dell’età di pen-sione.

In esito a questa modalità applicativa, l’età di vecchiaia giu-

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ridica — che è il tempo della vita in cui si presume l’inabilità allavoro, ordinaria e biologica — va ben oltre l’età di vecchiaiabiologica effettiva — che è il tempo della vita in cui si riscontra ilreale decadimento dell’attitudine al lavoro — perché l’aspettativadi vita, a cui la vecchiaia giuridica è adeguata, indica la duratamedia della vita e corrisponde all’età anagrafica che della vitasegna, in media, la fine.

La conseguente destinazione al lavoro di ogni guadagno delladurata della vita che residua alla vecchiaia giuridica, sia ordinaria(66/67 anni) sia biologica (70 anni), non è collocabile nel quadrogiuridico nazionale, perché per quanto si tenti di allargare le magliedell’art. 38 Cost., in una lettura che pure lo combini col diritto-dovere di lavoro dell’art. 4 Cost., nel nostro ordinamento non c’ètraccia di un principio, generale o settoriale, espresso o implicito,che renda razionale e ragionevole una regola legale che impone alcittadino di lavorare fino alla fine della vita.

5. Il giudizio problematico non cambia se si guarda al fatto chel’aspettativa di vita su cui si ritaglia la variazione adeguabile è soloquella media, e che, perciò, non può dirsi universale e certo il fattodell’identità tra vecchiaia giuridica e durata della vita individuale.Viceversa, proprio l’osservazione della casualità del fatto materialeevidenzia che la nuova regola introduce la causalità anche nel fattogiuridico. È vero, infatti, che, per essere, il valore adeguabile, unvalore medio, non è né universale né certa l’identità tra i duemomenti anagrafici nella vita della persona — la vecchiaia giuri-dica e la fine della vita. Ma, per la stessa ragione, non sono né certiné universali nemmeno gli scostamenti tra di esse in nessuna delledue direzioni. Voglio dire che se è solo un caso che non si soprav-vive all’età di vecchiaia giuridica — e che, quindi, non si gode deldiritto fondamentale — è solo un caso anche che ad essa, invece, sisopravvive — e che si accede al godimento del diritto.

Ed è in questo modo che si inserisce nella struttura dellafattispecie giuridica a cui si connette l’insorgere della garanziapersonalistica un elemento di aleatorietà che incide sulla stessatitolarità formale del diritto per il profilo sostanziale, rendendolatutt’altro che certa ma, all’opposto, formalmente e sostanzial-mente solo eventuale. Il che è incompatibile con la logica della“retribuzione della virtù repubblicana” di cui all’art. 38, co. 2,Cost., perché traduce l’evento generatore del diritto, la vecchiaia,in un vero e proprio rischio, il rischio di morte.

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ALESSANDRO BELLAVISTA

C’è ancora un futuro per il diritto del lavoro

Non si può esprimere che un vivo compiacimento per le trerelazioni, le quali sono, in primo luogo, estremamente ricche edense di suggestioni. Ma, inoltre, esse mettono in evidenza come ivincoli economico-finanziari, che sorreggono l’attuale politica eu-ropea ed italiana dell’austerity, non siano in realtà tanto rigidi sulpiano giuridico e che, invece, i diritti fondamentali dei lavoratorisiano più vincolanti di quanto sembri in apparenza. Peraltro, lerelazioni confermano un’opinione alquanto diffusa, sebbene conscarsa audience nelle sedi decisionali, secondo cui non vi sia unacorrelazione automatica tra input e politiche europei e scelte alivello nazionale, le quali restano sempre libere. Ovviamente, ènoto che, da tempo, i governi italiani usano furbescamente l’ap-pello alle richieste degli organi comunitari e dei cosiddetti mercatiper varare misure fortemente impopolari e per farle comunquedigerire all’elettorato. E quindi è molto complicato sperare in unimmediato mutamento di questo atteggiamento di governo: chemira alla semplificazione, alla riduzione dello spazio critico e che,in ultima analisi, non è altro che una delle tante versioni del verboneoliberista. Tuttavia, è molto importante che la scienza lavori-stica, e gran parte del mondo intellettuale, continuino ad affermarela primazia e l’esigenza di salvaguardare i diritti fondamentali deilavoratori di fronte alle aggressioni provenienti dalle rozze ricettesomministrate per fronteggiare gli attuali tempi bui di crisi.

Certo, non si può che restare scoraggiati di fronte alle politichedel lavoro dell’attuale Governo, di fatto volte ad alleggerire ivincoli normativi alla gestione della forza lavoro, applicando larozza ricetta, di pura ispirazione neoliberista, secondo cui l’abbas-samento delle tutele dei lavoratori genererebbe l’aumento dell’oc-cupazione. Ma tant’è. Il giurista si trova di fronte a nuovi enun-ciati normativi che ribaltano drasticamente l’impostazione del

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diritto del lavoro adottata fin dal varo dello Statuto dei lavoratori.È evidente che il rispetto della lettera delle disposizioni legislativecostituisce sempre il limite al di là del quale non può spingersinessuna operazione ermeneutica. Tuttavia, alcuni recenti prodottinormativi presentano fitti margini di ambiguità, proprio sul pianodella loro costruzione tecnica, in grado di stimolare interpretazioniprobabilmente di segno ben diverso rispetto agli obiettivi perse-guiti da chi le ha disegnate. Un caso del genere sembra quello delnuovo articolo 13 dello Statuto. La disposizione appare consentire,almeno a prima vista, un demansionamento alquanto ampio. Tut-tavia, essa apre un vasto terreno alla contrattazione collettiva che,nel forgiare i nuovi sistemi di inquadramento, può benissimocircoscrivere i differenziali professionali entro i quali è consentitolo spostamento unilaterale a mansioni inferiori. Nemmeno èescluso che la giurisprudenza possa individuare un solido e rinno-vato diritto della professionalità nonostante l’abrogazione del vec-chio testo dell’art. 13. Questa direzione potrebbe trarre spuntodall’art. 2087 del codice civile e dalle innumerevoli fonti di dirittoeuropeo e internazionale che fanno riferimento all’esigenza dellasalvaguardia di condizioni di lavoro decenti e, più in generale, dellagaranzia della dignità della persona e quindi del lavoratore. Il cheaprirebbe un vasto campo all’intervento giudiziario, per giunta incontrotendenza rispetto ai desiderata dell’attuale legislatore. Sipensi ai singolari e affascinanti risultati che si possono ottenere nelvalutare un demansionamento alla luce del principio di dignità,tenendo conto delle sue applicazioni fatte dalla giurisprudenzainternazionale ed europea. Basti ricordare la sentenza sul cosid-detto “lancio del nano” della Corte di Strasburgo o la pronuncia sulnoto “caso Omega” della Corte di Lussemburgo.

Il “pericolo” di un accentuato decisionismo giudiziario è an-cora più grande di fronte al nuovo testo dell’art. 4 dello Statuto deilavoratori. Questo perché molteplici fonti normative nazionali,europee e internazionali, di soft e hard law, pongono fitte barriere altrattamento dei dati personali del cittadino e pertanto anche dellostesso lavoratore. E, inoltre, è ormai indiscussa la natura di dirittofondamentale del cosiddetto diritto alla protezione dei propri datipersonali.

È chiaro che una valutazione più completa delle politiche dellavoro odierne potrà essere fornita solo tra qualche tempo. Non v’èdubbio che tutti, a questo punto, sperano che esse contribuiscano,

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anche in misura minima, a riattivare la propensione delle impresead assumere e a creare lavoro. Sia consentito però ribadire qualcheperplessità sulla loro efficacia, in assenza di una più generalepolitica economica, di reale sostegno agli investimenti produttivi eall’utilizzazione di capitale umano di alta qualificazione.

Al momento, quindi, al giurista del lavoro non resta chericordare la specificità del suo mestiere nei discorsi sia de iurecondito sia de iure condendo. E cioè quello di tentare di individuarepunti di equilibrio, per quanto mutevoli, tra gli interessi che siscontrano, a livello individuale e collettivo, nei rapporti di lavoro.Ciò ritenendo che il conflitto d’interessi, per quanto strutturalenelle economie di mercato, non debba assumere toni distruttivi,bensì debba essere diretto a raggiungere adeguate forme di com-posizione che assicurino il progresso sociale e il miglioramento dellecondizioni di vita dell’intera popolazione e, in particolare, deisoggetti meno fortunati. Vaste programme, direbbe forse il generaleDe Gaulle. Ma nulla impedisce di continuare a provarci se si credein un mondo più giusto.

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PASQUALE SANDULLI (*)

1. Prima ancora di svolgere le riflessioni suscitate in me dalletre relazioni, intendo immediatamente collegarmi al significativointervento della collega Rosa Casillo, che si è intrattenuta sullainterrelazione fra vecchiaia giuridica, vecchiaia biologica e spe-ranza di vita, anticipandoci il frutto delle sue ricerche in materia,e manifestando le sue perplessità sugli automatismi di innalza-mento dell’età pensionabile (età giuridica per la pensione), adot-tati con grossolana approssimazione e senza tenere conto difondamentali elementi identificativi della categoria in discorso (ilriferimento è alle differenze di genere). Questo approccio merita lamassima considerazione, in quanto concorre a definire ulterior-mente la problematica derivante dalla configurazione degli eventiprotetti dall’art. 38 Cost., per definizione mutevoli anche senominalmente identici, ed a connotare in termini di rischio lavecchiaia: la relatività delle categorie giuridiche definitorie afronte degli eventi naturali costituisce una delle linee sottese allarelazione di Ales, e si ispira all’insegnamento di Francesco SantoroPassarelli nella sua prolusione romana del 1948. L’attenzionededicata alla identificazione, ai fini pensionistici, della vecchiaia,mi offre lo spunto per estendere le riflessioni critiche sul tentativodi categorizzazione della vecchiaia anche alla pasticciata soluzioneaccolta in termini di prolungamento dell’età lavorativa protetta,ben al di là dell’età pensionabile, con un meccanismo di estensioneattraverso strumenti meramente potestativi della protezione con-tro il licenziamento. La questione, complicata da prese di posi-zione ufficiali del Ministero, ora è all’esame delle Sezioni Unite

(*) Il presente testo, salve le inevitabili correzioni e taluni approfondimenti, ricalcal’esposizione verbale in occasione dell’intervento.

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della Cassazione, cui la Sezione Lavoro si è rivolta, così rifiutandol’ostacolo (1).

Prima ancora di esprimere l’apprezzamento per le tre relazioni,desidero sottolineare l’importanza del tema individuato dal Con-siglio dell’Aidlass, che ci pone dinanzi al delicato problema deirapporti fra livelli regolativi, che ha imposto ai relatori uno sforzoimmane per la ricerca più completa possibile delle fonti rilevanti,impegnandoli anche nel mantenere netta la distinzione fra il profilosocio-politico e quello tecnico-giuridico. Il tema del Convegnocoinvolge l’intera materia giuslavoristica, nelle sue tre componentifondamentali, rinnovando così quella scelta di unitarietà già com-piuta a Pisa nel 2012. Una scelta consolidata dall’adozione a livelloeuropeo del termine flexicurity, nel quale è evidente la acquisitaconsapevolezza della essenziale interazione, all’interno del mercatodel lavoro, della disciplina del rapporto di lavoro con rinnovatistrumenti previdenziali, messi peraltro a dura prova dalle resi-stenze coltivate fino ai massimi livelli giudiziarie sfruttando le lineedi rigidità del sistema ed invocando la intangibilità dell’assettoconseguito. Dunque, si impone la intensificazione di sforzi volti allaconvergenza dell’azione dei c. d. lavoristi puri con i c.d. previden-zialisti puri: il diritto del lavoro rischia di essere senza futuro, senon si correla adeguatamente con il sistema previdenziale, e questoinaridisce se perde la sua matrice lavoristica, per assumere unadimensione solo assistenziale.

Vengo ora a considerare qualche passaggio specifico delle trerelazioni, sempre mantenendo ferma l’idea della unitarietà tema-tica.

2. È stata affrontata, dapprima nella relazione di Pizzoferratoe poi nell’intervento di Lassandari, la questione dei livelli dicontrattazione collettiva: il primo ha parlato di smantellamentodella contrattazione collettiva in vista di una “compressione deilivelli di tutela”, il secondo ha auspicato una sorta di riverticaliz-zazione, il ripristino dunque di una gerarchia. È evidente la preoc-cupazione che, per effetto di questo processo di sgretolamento delsistema delle fonti negoziali collettive, possa pervenirsi ad una

(1) Con sentenza 7 settembre 2015, n. 17589,/15, le SS. UU. hanno escluso che sipossa configurare un diritto potestativo alla prosecuzione del rapporto di lavoro in capo aldipendente.

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ulteriore segmentazione delle regole che presiedono lo svolgimentodel rapporto di lavoro e soprattutto — per stare al nostro tema —livellamento, come previsto dall’art. 51 del d. lgs n. 81/15, fino allaindividualizzazione della regolazione del contratto. So bene quantodibattuto sia il problema e quanto divergenti le opinioni al ri-guardo. Io stesso esprimo delle perplessità, ma soprattutto per ilmodo in cui si è pervenuti a questo diverso assetto, rispetto allesoluzioni adottate nel protocollo Giugni del 1993, frutto peraltro diun clima unitario delle relazioni sindacali, ben diverso da quelloattuale. Peraltro, proprio a ridosso di quella bella pagina dellerelazioni industriali, abbiamo assistito alla nascita dei contratticollettivi pirati, ufficialmente osteggiati, ma cui molti occhieggia-vano. Ne è seguito un processo molto contrastato, con significativiriscontri anche a livello europeo, che ha finito per approdare conmolte perplessità nell’art. 8 l. 148/11, che si è proposto come snodolegislativo di una complessa vicenda di disarticolazione della rap-presentanza, volto a dare una configurazione nobile della contrat-tazione collettiva di secondo livello con capacità derogatoria, dovela nobiltà si è espressa nella fissazione di ambiti precisi di inter-vento e nell’assunzione di obiettivi presupposti di elevata qualitàsocio-economica. E tuttavia è ben noto che la, politicamentevoluta, mancanza di una pur semplice inventariazione delle espe-rienze di questo tipo, anche solo per avere una idea della diffusionequalitativa e quantitativa del fenomeno, ha finito per degradare inun meccanismo, in sé dotato di serie potenzialità. Oggi la previstaapprovazione di una norma di “accatastamento” dei contratticollettivi finisce per completare il percorso, con le incognite di cuici ha parlato Pizzoferrato. Vale però la pena di spendere ancorauna parola in ordine alla diversa modalità di configurazione deicontratti collettivi aziendali per il conseguimento dei vantaggidella decontribuzione (l. 247/07, art. 1, cc. 67 ss.), i quali manten-gono una loro specificità formale ai fini del richiesto monitoraggio,essenziale per consentire di misurare l’impegno di finanza pub-blica: se incidono sulla finanza pubblica, i contratti collettivivengono monitorati, se incidono sull’assetto organizzativo si pro-fila una spinta forte alla liberalizzazione.

3. Vengo ora a qualche spunto in tema di livelli di protezionesociale.

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Uno dei più significativi è collegato alla progressiva afferma-zione del criterio di corrispettività, che può anche essere declinatoai vari livelli del sistema di protezione sociale.

L’ultima applicazione di tale criterio si rinviene nel percorsotracciato dal Jobs act in ordine alla rimodulazione dell’Assicura-zione sociale per l’impiego: coerentemente con il criterio delladelega che rapporta la durata della prestazione in parola “allapregressa storia contributiva del lavoratore” (l. n. 183/14, art. 1, c.2, lett. b, n. 1 ma anche n. 2, ove il riferimento anche a “carrierecontributive più rilevanti”), la prestazione viene corrisposta conuna durata proporzionale al numero delle settimane coperte dacontribuzione, salve ulteriori limitazioni disposte dal 1° gennaio2017. Su questa caratteristica si sono intrattenuti vari colleghi neiprecedenti interventi; qui ritengo di aggiungere una riflessionecirca il profilo dell’adeguatezza in termini temporali: nel caso delbisogno da disoccupazione, la indicata commisurazione appare perlo meno incongrua, potendosi del tutto ragionevolmente ritenereche il rischio “breve occupazione” sia meritevole di più consistente,anche se comunque limitata, tutela previdenziale, introduttiva diinterventi assistenziali quali quelli caratterizzati dalla “condizioneeconomica di bisogno” (art. 16, c. 1).

Un profilo qualitativo (potendosi così qualificare il rilievo delcomportamento dei destinatari della prestazione) della corrispet-tività si coglie nel consolidamento del requisito della condiziona-lità, sempre in riferimento alle prestazioni per il sostegno delreddito in caso di disoccupazione, siano esse di natura previden-ziale (art. 7 d.lgs. n. 22/15), siano di natura assistenziale (art. 16, c.5, stesso decreto). Si tratta di un presupposto (un vero e proprioonere) da sempre presente nel sistema delle prestazioni del soste-gno del reddito, e che tuttavia ben ricordo che nelle giornate pisane(2012) fu messo seriamente in discussione dal relatore Gragnoli e dauna significativa serie di colleghi: ritengo di poter confermarel’opinione da me espressa come discussant in ordine alla essenzia-lità di questo presupposto, in ragione della struttura stessa dellaprestazione e della sua valenza funzionale: la condizionalità rap-presenta il rovescio della medaglia della prestazione economica,accompagnandosi questa tutte le volte che possibile (in una logicaassicurativa in senso ampio) alla coessenziale offerta di reinseri-mento nel circuito produttivo. Il rifiuto di questa componenteprestazionale vale rifiuto della componente economica e ne impe-

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disce l’accesso. In linea con la logica della condizionalità stal’incentivo all’autoimprenditorialità, soluzione anche essa rive-niente dal passato, fondata sulla valorizzazione della continuitàsocio-economica della condizione lavorativa nel percorso dallasubordinazione all’autonomia.

4. Se il d.lgs. n. 22/15 segna un ulteriore punto a favore dellacorrispettività individuale nel sistema prestazionale della previ-denza, per altre prestazioni è dato registrare in concreto una derivaopposta, nonostante gli sforzi compiuti in particolare nel dicembre2011 attraverso la spinta al differimento delle prestazioni intesocome modalità tecnica di contenimento della prestazione (alias, dicontenimento della spesa). Già all’inizio di questo mio interventoho richiamato l’attenzione sulla problematica relativa al concettodi vecchiaia; e d’altra parte abbiamo sentito da Mattia Persiani ilrichiamo alla connotazione erariale della fonte di finanziamento deimeccanismi perequativi delle prestazioni. La stessa giurisprudenzacostituzionale sul matrimonio anagraficamente squilibrato ha sem-pre affermato la prevalenza del valore della libertà della sceltafamiliare su ogni considerazione di corrispondenza contributo/prestazione, e la soluzione ora accolta (d.l. n. 98/11, art. 18, c. 5) —che non risulta più messa in discussione — segnala sul punto unalinea di compromesso, che solo parzialmente attenua il profilo dinon corrispettività della prestazione: nell’ipotesi in cui si raggiungail decimo anno di questo matrimonio, il trattamento si consolida e,in tempi di longevità, non sarà difficile che un trattamento pen-sionistico si prolunghi per un arco di 60/70 anni.

Segnalo alla vostra attenzione che l’Ente Europeo di Vigilanzasui Fondi pensione sottopone a verifica di sostenibilità i fondipensione a prestazione definita, sotto il duplice profilo dell’impattodel fattore anagrafico (rischio di longevità), e dell’impatto delfattore finanziario (rischio del mercato finanziario), che per laverità è più immanente sui fondi a capitalizzazione, specialmenteindividuale. Non intendo qui introdurre il tema del secondo livelloprevidenziale; voglio soltanto sottolineare che si tratta di unapreoccupazione che — specialmente quanto alle pensioni — ècomune anche al primo livello. Anzi, le vicende economiche delPaese hanno evidenziato la necessità di un correttivo all’impiantodel regime a contribuzione definita, che (l. 335/95, art. 1, c. 9)aveva assunto l’andamento del PIL come parametro per l’accre-

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scimento dei montanti individuali. Senonché la ristagnazione eco-nomica ha prodotto un segno rosso nelle variazioni appunto delPIL, e l’esigenza di mantenimento del patto sociale fondato sullaobbligatorietà/automaticità del sistema ha costretto il legislatoread utilizzare il veicolo del d.l. 65/15 (per il contenimento deglieffetti della sentenza Corte cost. n. 70/15) per correggere gli effettiimmediati di una troppo stretta correlazione fra economia delPaese e spesa pensionistica. Un relativamente piccolo episodio ditenuta del sistema, che evidenzia il difficile equilibrio fra sosteni-bilità ed adeguatezza.

Della sentenza della Corte cost. n. 70/15 non intendo quiparlare: rinvio alla noterella apparsa nell’immediato su CSDLE, edalle riflessioni sistematiche che sto mettendo a punto per Giuri-sprudenza Costituzionale. Mi limito qui a ritenere che non manca-vano i presupposti per confermare la linea di cui alla precedentesentenza del 2010, magari con piccoli assestamenti. La vera preoc-cupazione suscitata dalla combinazione fra la sentenza 70 e laricordata reazione governativa sta nel fibrillante contenzioso cheva annunciandosi contro l’INPS e contro i fondi pensione, cheporterà ad una nuova decisione della Corte, se non prima a deci-sioni delle Corti Europee; non è certamente detto che la nostraCorte possa cambiare opinione, sebbene la, anche qui rinnovata,vicenda sulle c.d. pensioni d’oro potrebbe offrire in anticipo qual-che spunto di riflessione alla luce della diversa destinazione dellerisorse risparmiate, in quanto mantenute nel circuito previdenziale(Ales ci ha parlato di uniformità di intenti del legislatore).

Ed allora occorrerà riconsiderare l’intero impianto, alla ricercadi sistemi rinnovati di definizione dell’adeguatezza dei mezzi,intesa in senso dinamico e non solo statico, senza trascurare leesigenze di transizione nei processi di revisione.

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MONICA MC BRITTON

Naturalmente, anch’io mi unisco al coro di quanti e quantehanno ringraziato i relatori per il loro lavoro.

Il mio intervento è stato sollecitato dalla relazione del prof.Ales e intende accrescere il ventaglio delle questioni problematicheevidenziate.

In tal senso, vi è una questione che spesso rimane sottotraccianelle sentenze, ricordate da Ales, della Corte Costituzionale: trat-tasi del cortocircuito fra cittadinanza politica e cittadinanza so-ciale. Si tratta delle sentenze in tema di accesso degli stranieriextracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia alle presta-zioni di assistenza sociale. In effetti, se si aderisce alle più tradi-zionali letture dell’art. 38 co. 1 Cost., che, come è noto, delimitanol’ambito di applicazione letteralmente alla cittadinanza, si esclu-derebbe lo straniero dall’accesso alle prestazioni assistenziali. Lesentenze in parole, il cui relatore è Grossi, invece, optano per unalettura di carattere più sistematico della Carta fondamentale incoerenza con le esigenze di superamento dei limiti e delle aporieconseguenti alla crisi della modernità, della sovranità dello Stato-Nazione e alle sfide della globalizzazione.

Peraltro, alcune delle perplessità sollevate dalle sentenze inparola incrociano un ulteriore rilevante problema: la sostenibilitàeconomica dello Stato sociale. Spesso, le decisioni riferiscono ledifese dell’INPS che paventano il rischio del c.d. turismo assisten-ziale.

Tuttavia, trattando di queste questioni, non ci si soffermaabbastanza sulle difficoltà sottese alla nozione di cittadinanza insenso strettamente giuridico. Infatti, ci si dimentica spesso chel’Italia ancora oggi segue lo ius sanguinis. Il paradosso è cheesistono cittadini e cittadine italiani (di quarta o quinta genera-zione) che vivono all’estero (Brasile, Argentina, Venezuela, USA,ad es.), che nulla sanno della concreta situazione economico-politico-sociale del Paese, che hanno solo una vaga idea del fun-

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zionamento delle istituzioni, che a stento capiscono l’italiano, chenon hanno mai contribuito — né direttamente né attraverso igenitori e i nonni — allo Stato sociale italiano, ma possono votarenelle elezioni politiche. Non solo, ove mai si trasferiscano in Italiapossono accedere alle prestazioni assistenziali.

Di converso, ci sono persone nate e cresciute in Italia, dagenitori stranieri, escluse da qualsiasi forma di partecipazionepolitica perché extracomunitari e, il più delle volte, escluse anchedalle prestazioni assistenziali. In una delle prime decisioni dellaCorte Costituzionale (n. 306/2008), la norma impugnata era fonda-mentalmente l’art. 80, co. 19, l. n. 388/2000 che restringe al titolaredella carta di soggiorno (oggi permesso di soggiorno CE per sog-giorno di lungo periodo) l’accesso alle prestazioni di assistenzasociale. Di conseguenza, l’INPS ha rifiutato la domanda di eroga-zione di un’indennità di accompagnamento di una cittadina alba-nese rimasta invalida a seguito di un incidente stradale. La Corteha accolto il sospetto di incostituzionalità, ritenendo irragionevolesubordinare l’erogazione della prestazione alla richiesta del pos-sesso di un titolo di soggiorno che, a sua volta, per essere rilasciatonecessita che il richiedente dimostri di soddisfare una certa sogliareddituale (1). A prescindere da altri interessantissimi spunti chequesta decisione offre, sui quali non è questa la sede per soffer-marsi, si vuole qui rilevare che se si fosse trattato di un cittadinoitaliano di quarta o quinta generazione trasferitosi in Italia, ilproblema non si sarebbe posto

Dunque, se dobbiamo riconsiderare profondamente l’assettodello Stato sociale italiano in una prospettiva di riforma sosteni-bile, il nodo della cittadinanza e dei correlativi oneri e benefici nonpuò essere trascurato. Tali riconsiderazioni passano, a mio avviso,dalla “riscoperta” del principio di solidarietà contenuta nell’art. 2Cost. Le sentenze della Corte Costituzionale lo richiamano sempre

(1) La Corte tuttavia ha ritenuto anche che « tale irragionevolezza incide sul dirittoalla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, allemenomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza. Ne consegue il contrasto delledisposizioni censurate non soltanto con l’art. 3 Cost., ma anche con gli artt. 32 e 38 Cost.,nonché — tenuto conto che quello alla salute è diritto fondamentale della persona (..) — conl’art. 2 della Costituzione ». Ritiene anche violato l’art. 10, co. 1 per mancato rispetto deldiritto internazionale nella misura in cui non si garantiscono i diritti fondamentali dellepersone a prescindere « dall’appartenenza a determinate entità politiche ».

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di più e credo di poter affermare che esse consentano di prospettareil superamento — o l’allargamento — della tradizionale nozione dicittadino, frutto del pensiero politico moderno strettamente vin-colato alla nozione di Stato nazionale sovrano, oggi messa indiscussione dalla globalizzazione economica. Trattasi della c.d.nozione di cittadinanza di residenza (Davies, 2005). L’Autore parteda una sentenza della CGE (2) che ha visto coinvolta l’Italia:alcuni comuni italiani, come Firenze e Venezia, praticavano age-volazioni tariffarie per l’ingresso a musei e monumenti storici afavore di cittadini italiani o alle persone residenti in tali comunicon età superiore a sessanta o sessantacinque anni, escludendoturisti o non residenti, compresi i cittadini comunitari nelle stessecondizioni di età. La difesa italiana ha cercato di giustificare ladisparità di trattamento sulla base della coerenza del sistemafiscale, sostenendo che tali agevolazioni costituirebbero “il corre-spettivo del pagamento delle imposte mediante cui tali cittadini oresidenti partecipano alla gestione dei siti considerati”. Tale argo-mentazione non ha tuttavia convinto la Corte, la quale ha affer-mato che le motivazioni di carattere meramente economico nonpossono giustificare limitazioni alle libertà previste dal Trattato.Essa ha dunque ritenuto che quelle differenziazioni fossero illegit-time, in quanto discriminatorie.

Ciò detto, ai fini di questo contributo paiono rilevanti leconclusioni dell’Autore: le differenziazioni tariffarie praticate daglienti locali in questione sono una maldestra risposta alla minacciaalla solidarietà di carattere locale, intendendo come tale un terri-torio molto più ristretto rispetto allo spazio europeo. In altreparole, poiché all’interno dell’UE la solidarietà va intesa comeestesa a tutto il territorio europeo, ciò indebolirebbe gli spazi disolidarietà delle comunità locali e sarebbe paradossalmente all’ori-gine di quel tipo di reazione.

Ebbene, secondo Davies, stante la limitatezza di risorse, lanecessità di individuare meccanismi selettivi di accesso a presta-zioni sociali in senso ampio è questione spinosa ma ineludibile. Inuna certa misura sarebbe necessario tener conto del fatto che lecomunità locali hanno il bisogno di restringere le prestazioni a

(2) C-388/2001, Commissione c/ Repubblica italiana. La sentenza è del 16 gennaio2003.

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coloro che ne fanno parte, e che questo può comportare svantaggiper gli estranei: ciò che è rilevante è che l’esclusione non sia maiconseguenza della semplice nazionalità dei singoli.

Le riflessioni di Davies rappresentano uno stimolo fecondo neldibattito sui limiti della tradizionale concezione della cittadinanzain quanto vincolo di status, visto che non ignorano le difficoltà chel’ormai ricorrente crisi fiscale dello Stato comporta (O’Connor,1973). Senza voler qui arrivare alle naturali conseguenze politicheche l’evocazione del vecchio moto della rivoluzione americana (notaxation without representation) potrebbe comportare, è sufficientericordare come questo vetusto principio liberale sia oggi trascu-rato, e ciò rende difficile per le società avanzate sciogliere alcuninodi. Il legame permanente e duraturo è un portato della nozionedi cittadinanza ed evoca un vincolo di solidarietà fra i consociati,come, peraltro, spesso evidenziato anche nelle decisioni della Cortecostituzionale. Sebbene abbia avuto finora meno fortuna del prin-cipio di uguaglianza, la solidarietà è presente in molte importantinorme costituzionali. Per quello che qui ci interessa, è sicuramentealle radici dell’art. 38, co. 1, Cost. e letteralmente appare comeintrinseco alla cittadinanza e, come tale, storicamente si manife-stava pure al costituente.

Tuttavia, come rileva la giurisprudenza costituzionale richia-mata anche nella relazione del prof. Ales, nell’art. 2 Cost. lasolidarietà è configurata come un precetto non limitato alla collet-tività dei cittadini. Inoltre, nell’art. 38, co. 1, Cost. la solidarietà siesprime attraverso la fiscalità generale che finanzia le prestazionidi assistenza sociale. Senza trascurare, poi, il contributo dato dallostraniero regolarmente presente e radicato alla fiscalità generale, inquanto parte della collettività dei contribuenti, ma anche, più ingenerale, alla produzione di ricchezza, la quale — conviene ricor-dare con i padri e le madri costituenti — non è solo materiale, maanche culturale e morale.

In definitiva, con tutte le dovute cautele, è da rilevare come laproposta qui sostenuta sia tesa a superare l’esclusione degli stra-nieri extracomunitari dal godimento dei diritti di assistenza so-ciale, affinché, quindi, per definizione, vada oltre il godimento delnucleo essenziale dei diritti inviolabili. Si è, tuttavia, ben consa-pevoli che, ferma restando una tutela tendenzialmente universaledei diritti sociali, permane il problema di quale debba essere, arisorse date, l’ampiezza della cerchia dei soggetti beneficiari, non-

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ché, forse più a monte, di quale sia criterio per includere o esclu-dere lo straniero.

Trattasi di una proposta di politica del diritto che, da un lato,non ignora alcune aporie poste dallo stretto vincolo cittadinanza/accesso allo Stato sociale, in un mondo che è sempre più globaliz-zato e con una consistente parte della popolazione che si muovealdilà delle frontiere dei propri Stati. Dall’altro lato, non ignoraneppure che il superamento dell’organizzazione statuale nazionale,sebbene in crisi, non sia alle porte. In verità, si tratta anche qui diaccettare un bilanciamento di interessi ove la residenza stabilediventa un discrimine fondamentale in quanto appartenenza allacomunità, non in senso mitico o ideale, ma in senso concreto. E intale prospettiva, la cornice istituzionale fondamentale fornisceindubbiamente un solido ausilio: infatti, l’art. 2 Cost. fa riferi-mento alle formazioni sociali dove le persone, quelle in carne e ossa,sviluppano la propria personalità concorrendo, a loro volta, allosviluppo degli altri e delle altre, nonché delle stesse formazionisociali.

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ANTONELLA OCCHINO

Controllo di razionalità e funzionalizzazione del potere normativo

Del tutto inusuale, e da apprezzarsi, è il fatto che nel dibattitosu di un tema quale il fronteggiarsi dei diritti sociali rispetto aivincoli economico-finanziari i giuslavoristi abbiano operato unasorta di “analisi giuridica dell’economia”, piuttosto che una analisieconomica del diritto. Trattandosi di un tale tema nell’ordina-mento multi-livello, va sottolineato anche che il discorso si siaspostato concettualmente dalla Comunità Europea (CE) alla Go-vernance Europea (GE), con uno slittamento del linguaggio equindi anche del pensiero verso forme di approccio più realisticoalle questioni dell’equilibrio economico-finanziario, pur tenendofede al valore dei diritti sociali, rectius ai valori sottesi ai dirittifondamentali in quanto tali.

Con lo sguardo alla storia, tuttavia, è anche notevole che lateoria dei contro-limiti, che necessariamente viene evocata e ri-presa nel contesto attuale, sia stata elaborata in una fase storico-politica dove l’obiettivo era quello di fare scudo tramite il modellodei diritti fondamentali nazionali, inverati nelle Costituzioniscritte di quasi tutti gli Stati membri, all’interferenza dei poterinormativi assegnati dagli Stati fin alla nascente CEE nel 1957,sotto forma di competenze, anche concorrenti o condivise. Nelcontesto attuale e paradossalmente la stessa teoria dei contro-limiti viene invece ripresa a vantaggio di una operazione di reci-proca difesa tra questioni nazionali ed europee, in un delicatogioco-dialogo che però suona all’inverso.

Da un lato la Corte di Giustizia UE viene adita per la valuta-zione di normative nazionali in materie di competenza ancoranazionali, mai devolute, con la conseguenza che le decisioni dellaCorte, formalmente di incompetenza, suonano secondo l’anticoadagio che le questioni meramente nazionali non competono al-l’Europa e quindi nemmeno alla Corte. D’altro lato si sottolinea

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che il giudizio delle Corti costituzionali sulle normative interne nonè impedito dai vincoli europei, potendo dar luogo ad una valuta-zione di incostituzionalità anche di regole poste in obbedienza aivincoli stessi.

Il tipo di controllo che si effettua è una species di controllo discopo, o di controllo sulle motivazioni; il che, rispetto ai contenutidi legge, può anche generare perplessità, poiché sembra in contrad-dizione con lo stesso principio della discrezionalità legislativa, chenon è ammissibile nemmeno sull’an dell’esercizio del potere legi-slativo. D’altronde è anche risalente l’esperienza nella giurispru-denza costituzionale anche italiana circa sentenze cdd. di monito allegislatore perché si attivasse interrompendo uno stato normativodi inerzia, soprattutto per la realizzazione dei diritti fondamentali,e tra questi in particolare dei diritti sociali, in quanto più espostiall’attuazione progressiva nel tempo. Nella sola Costituzione por-toghese è direttamente previsto un tipo di ricorso che può portarealla condanna esplicita del legislatore inerte, e proprio in materia didiritti sociali.

La struttura costituzionale dei diritti sociali è e resta diversada quella dei diritti civili e politici, poiché include una decisione diredistribuzione delle risorse o comunque di loro amministrazionepiù incisiva, e poiché la implementazione del progetto di egua-glianza sostanziale che sostiene l’idea stessa dei diritti sociali èrimessa ad un giudizio di fattibilità, in base alle risorse, oltre cheper sua natura mai completato, o, per così dire, in progress. Ladecisione sui modi della loro implementazione risente anche dell’i-dea di giustizia che supporta le decisioni redistributive, né lasoluzione può dirsi affidabile al cd. criterio del merito, se si consi-dera che per i diritti sociali il criterio del bisogno sopravanza ognimotivazione e che una questione forse non del tutta impropria puòessere posta sul punto di dove risieda il merito di chi abbia i meriti.Alle spalle risuona sempre la questione della giustizia.

Particolarmente in una fase storica come quella attuale com-pito del diritto è quello senz’altro di riappropriarsi delle questionidell’an, quid, quantum, quando dell’attuazione dei diritti fonda-mentali, e prima ancora del loro rispetto, tenuto conto che ladefinizione del numero e dell’entità delle prestazioni è il vero snodoper arrivare a chiudere la partita a risorse definite (e talvoltapurtroppo ridotte), secondo la nozione di Teilnhamerechte, che nelnome stesso evoca il senso della divisione di quote del sociale.

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Contemperamento dei valori, inveramento della socialità edella solidarietà nello Stato, appunto sociale, razionalità o ragio-nevolezza del prevedere, prevedibilità e certezza del diritto e deidiritti, anche in termini di definizione di gradi di aspettativemeritevoli di tutela costituzionale, appartengono ad una idea didiritto in senso proprio, dove l’origine semantica del “directum”ricorda costantemente che lo jus è sempre da ritenersi indirizzatoin qualche verso, e pur sempre alla realizzazione di una giustizia.

Il controllo costituzionale avviene però fisiologicamente suicontenuti, non sugli scopi, se si considera che come atti-fonte lalegge è e resta atto libero. E il discorso non sarebbe diverso suquesto punto per il contratto collettivo, che è considerato fontequando si tratta di assicurare l’implementazione del diritto euro-peo o di controllarne la non violazione, benché non possa essereconsiderato tale in assenza di erga omnes ai fini della garanzia diefficacia della implementazione di direttive sociali europee, mentrecomunque non soggiace al controllo della Corte costituzionale.

Ancora la sentenza della Corte costituzionale n. 103/1989, inun caso relativo alla definizione contrattuale del mansionario edelle relative retribuzioni, inaugurava l’idea di un controllo dirazionalità ugualmente definito per la legge, sotto il controllo dellaCorte stessa, e affidato per il contratto collettivo al giudice ordi-nario: controllo mai realizzato nella giurisprudenza ordinaria suc-cessiva, ma comunque limitato ai contenuti dell’atto-fonte, e nonai suoi scopi. Una novità in questo senso è già stata portata dallaprevisione dell’art. 8 d.l. 138/2011, in quanto la derogabilità gene-rica del contratto di prossimità rispetto ai vincoli di legge e dicontratto di categoria è pure condizionata a cdd. vincoli di scopo,il che può dare adito ad una interpretazione che ammetta l’ideastessa di una giurisdizione sugli scopi contrattuali.

Trattandosi di una disciplina che interroga lo stesso sistemadella inderogabilità in pejus, fondativo del modo con cui il Dirittodel lavoro risponde alla questione della protezione del contraente-lavoratore in modo differenziato, ed anzi anticipatorio, rispetto alDiritto privato, è urgente indagare se e quanto la novità legislativaindichi direzioni nuove al dibattito giuslavorista, proprio in ter-mini di inderogabilità e quindi di senso della materia.

La struttura dei diritti sociali ha bisogno di restare nellefondamenta del Diritto del lavoro perché è congegnata comerisposta dell’ordinamento civile al bisogno, a giustificazione di un

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processo in itinere di realizzazione di un progetto di eguaglianzasostanziale, che richiede in re ipsa la rimozione dei bisogni stessi,come altra faccia della medaglia dove si trova, sull’altro lato, lagiustizia. L’eguaglianza, infatti, è normalità della divisione dellerisorse, normalità dello stato di fatto e a sua correzione di dirittonelle situazioni troppo diverse, o comunque ingiustamente diverse,mentre il benessere altro non è che il risultato cui mira l’azione deirule makers nella direzione dell’attuazione dei diritti sociali, arisorse possibili.

In questo senso il Diritto del lavoro è il Diritto sociale pereccellenza, con il compito di definire nel tempo il livello, l’asticella,di una ragionevole implementazione della socialità, sotto il vincologiuridico costituzionale della solidarietà, che si fa principio costi-tuzionali fondante in base all’art. 2 Cost. italiana ma soprattuttodopo che ha preso il posto di un Titolo intero nella Carta di Nizza.Ma, scontato l’affidamento al legislatore della definizione dell’an(non sempre), quid, quantum, quando dei diritti sociali, resta apertae molto problematica la questione del quia, che evoca troppo davicino il cd. vincolo di scopo e desta le perplessità richiamate. Lalibera distribuzione delle risorse, secondo razionalità, resta unaleva essenziale all’operare del legislatore e in questo senso ancheuna garanzia della sua attività, e della sua non inerzia.

Se la gradualità è insita nel discorso di attuazione in progressdei diritti sociali, e una soglia di convivenza civile vuole esserecomunque cercata nella Costituzione, è al concetto di Wesengehaltche occorre tornare, come riproposto alla fine della stessa Carta diNizza, per dire che un nucleo essenziale dei diritti sociali è comun-que rintracciabile nelle disposizioni dei Costituenti, ovunque, equindi tecnicamente non negoziabile. Le questioni economicheurgenti nella crisi portano a ricordarsene.

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Sabato 30 maggio 2015 - mattina

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Si apre l’assemblea dei soci, all’esito della quale si sono tenutele elezioni per il rinnovo delle cariche sociali e le modifiche statu-tarie. Presiede il Prof. Santoro Passarelli, di cui si riporta l’inter-vento.

Seguono gli interventi dei Professori Ricci, Zoppoli, Bellavista,Cerreta, Lassandari e Carinci.

Si passa dunque alle votazioni.Segue estratto dei relativi verbali.

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INTERVENTI

GIUSEPPE SANTORO PASSARELLI

Nell’arco di questo triennio stiamo assistendo a una profondamutazione del diritto del lavoro o, se preferite, il diritto del lavorosta cambiando il proprio volto. Si tratta di capire quali siano iconnotati di questo nuovo volto.

Secondo alcuni, siamo in presenza di un arretramento delletutele e, quindi, del depotenziamento del codice protettivo dellavoratore subordinato, tant’è che qualcuno parla di destruttura-zione del diritto del lavoro.

Secondo altri, invece, il nuovo volto rispecchierebbe l’esigenzadi superare il doppio o, secondo studi più recenti, addirittura iltriplo mercato del lavoro, contrassegnato non solo dagli insiderssuper tutelati, dagli outsiders precari con poche tutele e da un terzosegmento, costituito da chi lavora in nero e senza alcuna tutela,prevalentemente immigrati.

L’obiettivo dichiarato dal legislatore del jobs act e della legge distabilità, che ha esonerato i datori di lavoro dalla contribuzione perle assunzioni fino al 31 dicembre 2015, è favorire un aumentodell’occupazione regolare, a tempo indeterminato, e in terminireali.

Le prime statistiche segnalano un leggero saldo attivo. Sitratta di verificare se il risultato della maggior occupazione diven-terà un dato stabile o almeno tendenziale o sarà soltanto il fruttotemporaneo dovuto alle agevolazioni fiscali. Senza essere un eco-nomista, è facile dire che l’aumento stabile dell’occupazione di-pende, come si dice oggi, dalla crescita.

D’altra parte, non si può fare a meno di rilevare che è forte-mente attenuato, per non dire sfarinato, uno dei capisaldi deldiritto del lavoro nel quale ci siamo formati: sia la norma indero-gabile di legge sia la clausola inderogabile del contratto collettivo.

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Ormai non solo la legge autorizza il contratto collettivo, ancheaziendale, a derogare in peggio norme di legge ma lo stesso testounico del 2014 prevede, fra l’altro, la figura del contratto aziendalein deroga alle clausole del contratto nazionale

Infine, il Jobs act ha ormai ridimensionato drasticamente l’am-bito di applicazione della sanzione della reintegrazione rispetto allicenziamento illegittimo, privilegiando fra i due interessi contrap-posti, quello del lavoratore alla continuità e alla stabilità del postodi lavoro e quello dell’imprenditore alla temporaneità del vincolocontrattuale, decisamente il secondo, spostando quindi di 180° ilbaricentro della tutela rispetto allo Statuto dei lavoratori. Ed èfacilmente comprensibile che l’eliminazione della reintegrazioneindebolirà fortemente il potere negoziale del lavoratore sia incostanza di rapporto sia alla cessazione del medesimo.

Su questo tema del licenziamento così delicato, l’Aidlass in-sieme con il Centro Domenico Napoletano ha prontamente pro-mosso un affollatissimo convegno con la partecipazione di autore-voli giuristi ed eminenti magistrati nell’aula magna della Cassa-zione alla presenza del Primo Presidente proprio sulle tematiche deLe nuove tutele contro il licenziamento illegittimo nel regime del jobsact, (13 febbraio 2015) (relatori per l’Aidlass F. Carinci, C. Cester,e A. Garilli), ancor prima dell’emanazione del decreto a tutelecrescenti del 4 marzo 2015.

Mi piace segnalare questo evento, che in realtà è uno degliultimi promossi da questa consiliatura, perché è stato impegnocostante del direttivo da me presieduto affrontare le tematichenormative e sindacali, man mano emerse in questo periodo, persottolineare come l’impegno scientifico di un’Associazione come lanostra non possa e non debba essere disgiunto dall’analisi e dal-l’esame di processi normativi e dei principali atti sindacali chehanno conseguenze rilevanti sugli assetti dell’impresa e sulle con-dizioni economiche e sociali dei lavoratori.

Inoltre, desidero sottolineare che tutti i convegni e seminari,promossi o organizzati dall’Aidlass, confermano la tradizione diaffidare a studiosi di diverse scuole e formazione i diversi temitrattati.

Nel cinquantenario dell’associazione, nel 2013, abbiamo coin-volto tutti gli ex presidenti dell’Associazione nell’affrontare iltema, già allora visibile e ormai diventato scottante, del rapportotra crisi economica e fondamenti del diritto del lavoro per passare

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a esaminare, nel convegno annuale dell’Associazione, un’altra te-matica di ordine generale e sempre controversa delle clausolegenerali nel diritto del lavoro (Roma, 29-30 maggio, 2014), Clausolegenerali e diritto del lavoro presso l’Università di Roma “Sapienza”relatori Loy, Bellomo, Campanella.

Sempre a Roma, all’indomani della sentenza della Corte costi-tuzionale sull’art. 19, abbiamo promosso un convegno il 16 settem-bre 2013, Le rappresentanze sindacali in azienda: contrattazionecollettiva e giustizia costituzionale, Università di Roma “Sapienza”con la partecipazione dei più autorevoli cattedratici (Alleva, Ca-rinci, De Luca Tamajo, Magnani, Maresca, Proia, Ricci, Rusciano,Scarpelli, Tosi, Zoppoli).

L’Aidlass ha patrocinato due convegni in onore del prof.Rusciano: il primo organizzato a Napoli (28-29 novembre), Unanuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, Universitàdi Napoli “Federico II”, il secondo organizzato a Roma (27 marzo),Regole della rappresentanza sindacale e vincoli costituzionali, Uni-versità di Roma “Sapienza”, incentrato in particolare sull’esamedel Testo Unico del 10 gennaio 2014.

Vanno inoltre ricordate tutte le altre iniziative convegnisticheallegate alla presente relazione.

In secondo luogo desidero ricordare nell’arco di questo trienniol’approvazione della nuova disciplina dell’ordinamento della pro-fessione forense del 31 dicembre 2012, che ha introdotto il titolo diavvocato specialista. In questa prospettiva il Consiglio Direttivodell’Associazione si è prontamente attivato per chiedere e ottenereil riconoscimento di associazione specialistica da parte del CNF,ponendo così le basi per assumere un fondamentale ruolo —insieme con gli altri soggetti previsti dalla l. n. 247/2012 — nellaformazione permanente degli avvocati.

Il Consiglio Direttivo dell’Aidlass non si è limitato a chiederel’iscrizione ma ha anche promosso un convegno a Roma il 5 maggio2014, La formazione dell’avvocato specialista giuslavorista — Uni-versità di Roma “Sapienza”, relatori i proff. F. Carinci e A. Perulli,perché la formazione degli avvocati è un’importante funzione chepuò essere svolta efficacemente dall’Aidlass non solo per la forteimpronta culturale dell’Associazione e quindi per la serietà deicorsi da organizzare con l’ausilio delle strutture delle diverse Uni-versità, ma anche perché la nostra Associazione è, allo stato,sganciata dall’intreccio degli interessi professionali.

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Resto ancora convinto della giustezza della scelta fatta. Incaso contrario, se l’Aidlass rinuncerà a partecipare ai processi diformazione dell’avvocato specialista, perderà inevitabilmente ca-pacità di incidenza e di influenza nel mondo delle professionirispetto alle altre associazioni che operano nel settore della forma-zione.

Beninteso l’obiettivo di promuovere contatti più intensi con ilmondo delle professioni non significa abdicare anche alla propriafunzione primaria di promozione della cultura giuridica giuslavo-ristica, favorendo ormai un approccio interdisciplinare socioecono-mico e storico alle tante tematiche di nostra competenza.

In terzo luogo mi fa piacere ricordare il forte impegno delConsiglio Direttivo per la internazionalizzazione, per la progressivaconoscenza della normativa europea che ormai pervade la nostradisciplina e per la necessità di approfondire la conoscenza compa-rata dei diversi ordinamenti nazionali in materia di lavoro.

È sufficiente richiamare— il XX Congresso Mondiale ISLSSL 2012 (Relatore: prof. S.

Bellomo, Discussant: prof. R. Del Punta).— gli Incontri euromediteranei (Relatori 2013, Valladolid,

11-12 aprile, Le riforme del lavoro negli ordinamenti nazionali nelquadro della crisi economica, Seminario Euromediterraneo di Di-ritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale, proff. G. Santoro-Passarelli, A. Garilli, L. Zoppoli; 2014, Avignone, 22-23 maggio, Ilfatto religioso nelle relazioni di lavoro, Seminario Euromediterraneodi Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale, prof.ssa Aimo; 2015,Lisbona, 14-15 maggio, The Economic Crisis: Towards the End or theRe-founding of Labour Law?, Seminario Euromediterraneo di Di-ritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale, proff. G. Santoro-Passarelli, E. Gragnoli, F. Guarriello, S. Mainardi);

— il Convegno europeo di Dublino del 2014 (Relatore: prof. A.Pizzoferrato, Discussant: prof.ssa S. Sciarra; Presidente di sessione:dott. Casale);

— Venezia, 1-10 luglio 2014, Fundamental social rights in theage of globalization, Seminario ISLSSL di Diritto Internazionale eComparato del lavoro organizzato dal prof. A. Perulli;

— lo Young scholar session sotto la supervisione del prof. S.Bellomo e il coordinamento dei proff. M. Corti, M. Delfino e C.Spinelli (Dublino, 2014); proff. M. Faioli, A. Lepore (Santiago deCompostela 2015);

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— il XXI Congresso mondiale ISLSSL 2015 a Cape Town;— Venezia, 30 giugno-9 luglio 2015, Enterprise Transformation

and Social Rights, II Seminario ISLSSL di Diritto Internazionale eComparato del lavoro (con borsa di studio Aidlass).

Infine, si colloca nell’attenzione all’incidenza della politicaeconomica europea sui diritti dei lavoratori anche il tema delXVIII Congresso Aidlass (Foggia, 28-30 maggio), “Lavoro, dirittifondamentali e vincoli economico-finanziari nell’ordinamento multi-livello”.

Nel congresso regionale di Dublino l’Aidlass ha sostenuto conconvinzione la candidatura del Prof. Tiziano Treu, che è statoeletto per il triennio 2015-2018 Presidente dell’Associazione inter-nazionale e ha ottenuto che il prossimo congresso mondiale sisvolgerà in Italia nel 2018.

Vanno anche ricordati i seguenti incontri:Call for Paper in memoria di Gianni Garofalo (Bari, 21-22

marzo 2014, I giovani giuslavoristi e gli studi di diritto del lavoro (IIªedizione). Discussant seniores: proff. F. Borgogelli, C. Cester, M.D’Onghia, V. Leccese, S. Mainardi, G. Proia, R. Santucci.

I Seminari di Pontignano: (Modena, 16-19 luglio 2013), I licen-ziamenti individuali — Seminario internazionale di diritto dellavoro comparato “Pontignano XXX”.

(Gaeta, 9-12 settembre 2014), Lavoro stabile e lavoro flessibilenell’organizzazione dell’impresa, Pontignano XXXI.

(Modena, 1-4 settembre 2015) L’orario di lavoro flessibile, Pon-tignano XXXII.

I seminari sono tuttora organizzati dai proff. E. Ales e L.Gaeta in convenzione con la Fondazione Marco Biagi

In quarto luogo registro che continua, anche in questa consi-liatura, una scarsa interlocuzione con le sedi sindacali e parlamen-tari, pur avendo talvolta invitato ai nostri convegni autorevolisindacalisti e i presidenti delle Commissione Lavoro della Camerae del Senato.

In quinto luogo, invece, mi piace sottolineare che l’Aidlass haconfermato la propria attenzione ai problemi della valutazionedella ricerca patrocinando già nel 2012 un seminario di Bertinoro(25 26 ottobre 2012) al quale furono invitati i colleghi di diversescuole interessati a misurarsi su queste complesse problematiche.Inoltre l’Aidlass ha collaborato costantemente con gli organi pre-posti al governo del sistema universitario anche mediante la nuova

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struttura di coordinamento, costituita con le altre associazioniscientifiche dell’area delle scienze giuridiche, alla cui istituzione ilConsiglio Direttivo in scadenza ha attivamente contribuito.

Tale impegno ha prodotto il significativo risultato dell’elimi-nazione legislativa di alcune delle maggiori criticità della disciplinadell’abilitazione scientifica nazionale, riconoscendo spazio e dignitàa criteri di valutazione non bibliometrici per le materie umanisti-che.

Recentemente l’Anvur ha distribuito un questionario concer-nente i criteri che dovranno informare la prossima VQR 2011-2014e l’Associazione ha segnalato, tra le altre cose, l’opportunità direndere più trasparenti i processi di designazione dei Gev.

Infine, voglio rivolgere un pensiero, un ricordo e un ringrazia-mento ai colleghi Marcello De Cristofaro e Mario Napoli, che inquesto triennio ci hanno lasciato prematuramente.

E, last but not least, desidero ringraziare sentitamente tutti icomponenti del Consiglio Direttivo e, in particolare, il segretariogenerale che si è prodigato senza risparmiarsi in un costruttivo epermanente contraddittorio per aiutarmi a gestire i rapporti con leistituzioni, e le altre associazioni scientifiche e a risolvere le piccolee grandi problematiche che in questo triennio hanno riguardatotangenzialmente e talvolta anche frontalmente la nostra Associa-zione.

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VERBALE DELLA COMMISSIONE ELETTORALE

Il giorno 30 maggio 2015, alle ore 10,15, presso l’Università degli Studi diFoggia, si è riunita la Commissione Elettorale per il rinnovo del ConsiglioDirettivo dell’Aidlass.

Sono presenti i componenti:Prof. Domenico Garofalo (Presidente)Prof.ssa Lucia Venditti Prof. Laura CalafàProf. Massimiliano DelfinoProf. Umberto Gargiulo (segretario)Avv. Vincenzo De MicheleAvv. Stefania Chietera Dott. Davide Casale Dott. Marco PeruzziRisultano n. 428 aventi diritto al voto.La Commissione stabilisce quanto segue:l’identificazione dei votanti avviene tramite documento d’identità ovvero

per riconoscimento diretto da parte del Presidente;il voto si esprime attraverso l’indicazione inequivocabile della persona pre-

scelta.Le operazioni di voto hanno inizio alle ore 10,30 e terminano alle ore 13,05.Dopo la chiusura dei seggi e prima delle operazioni di scrutinio, il dott.

Federico Fusco chiede di allegare al verbale la dichiarazione che viene indicatacome allegato 1 al presente verbale.

Si procede dunque alle operazioni di scrutinio. All’esito dello scrutiniorisultano espresse le seguenti preferenze:

Maurizio Ricci 241Paolo Tosi 228Marina Brollo 227Carlo Cester 225Alessandro Bellavista 222Alfonsina De Felice 217Vito Leccese 212Lorenzo Zoppoli 204Mariella Magnani 198Patrizia Tullini 192Donata Gottardi 192Proia Giampiero 188Pasquale Chieco 1Risultano pertanto eletti:1. Maurizio Ricci2. Paolo Tosi

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3. Marina Brollo4. Carlo Cester5. Alessandro Bellavista6. Alfonsina De Felice7. Vito Leccese8. Lorenzo Zoppoli9. Mariella Magnani10. Patrizia Tullini11. Donata Gottardi

La Commissione termina i lavori alle ore 17 e redige seduta stante il presenteverbale che viene approvato dalla Commissione, redatto e sottoscritto dal Presi-dente e dal Segretario.

Il PresidenteProf. Domenico Garofalo

Il SegretarioProf. Umberto Gargiulo

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VERBALE DELLA COMMISSIONE DI VERIFICA

Il giorno 28 dicembre 2015, alle ore 9,45, presso il Rettorato dell’Universitàdegli Studi di Foggia si sono riuniti il prof. Domenico Garofalo, nella qualità diPresidente della Commissione Elettorale nominata in occasione delle elezioni delConsiglio Direttivo dell’Aidlass per il triennio 2015-2017, e il prof UmbertoGargiulo, nella qualità di Segretario della medesima Commissione.

Il Consiglio Direttivo dell’Aidlass ha richiesto ai predetti di verificare ilverbale del 30 maggio 2015 « ed, eventualmente, di rettificarlo, laddove opportuno.Ciò per assicurare, tra l’altro l’effettiva riconduzione del delegato al delegante, nonchéper svolgere gli altri accertamenti che si rendessero opportuni ».

La Commissione di Verifica, composta come in epigrafe, ha avuto a dispo-sizione i seguenti documenti:

1) n. 4 elenchi degli aventi diritto al voto, utilizzati dalla CommissioneElettorale per la registrazione dei votanti anche su delega;

2) n. 201 deleghe;3) n. 429 schede di votazione.Sulla base di tale documentazione la Commissione di Verifica provvede a

dare riscontro ai quesiti posti dal Direttivo nella seduta del 20 luglio 2015, il cuiverbale è stato trasmesso ai predetti componenti dal Segretario dell’Aidlass, prof.Alessandro Bellavista.

Esito della Verifica

1) Gli aventi diritto al voto risultanti dagli elenchi confrontati, come inte-grati manualmente dalla Commissione Elettorale in corso di votazione, risultanoessere pari a n. 441 soci, di cui n. 425 risultanti dagli elenchi dattiloscritti e n. 16aggiunti in corso di votazione, previa verifica del possesso del diritto a voto inquanto in regola con il pagamento delle quote associative; nominativi che qui diseguito si richiamano:

426 Morone Andrea427 Mormile Paolo428 Di Teodoro Franco429 Salente Angelo430 Pietanza Elena431 Scillieri Marcella432 Alleva Piergio vanni433 Lazzeroni Lara434 Tursi Armando435 Aurilio Antonio

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436 Pietra Valeria437 Lozito Marco438 Quaranta Mario439 Bonardi Olivia440 Nanni Rossana441 Roma Giovanni.2) Il numero dei votanti risulta essere stato di 429, di cui 203 su delega.3) Con riferimento alle deleghe, la Commissione di Verifica ha constatato 3

tipologie di criticità, che qui di seguito si descrivono.

3.1) Socio delegato che ha firmato per sé, ma non anche nel rigo riservato aldelegante:

— Clemente Brigida (n. 82) su delega di Cimarosti Alida (n. 79);— Di Meo Rosa (127) su delega di Di Teodoro Franco (n. 428);— De Luca Tamajo Raffaele (n. 104) su delega di Morone Andrea (n. 426);— Occhino Antonella (n. 269) su delega di Sartori Alessandra (n. 358);— Corbo Cristiana (n. 87) su delega di Vettor Tiziana (n. 406).

3.2) Deleghe utilizzate in bianco:— Crotti Maria Teresa (n. 93) utilizzata da Ferraresi Marco (n. 146);— Mastinu Enrico Maria (n. 241) utilizzata da Magnani Mariella (n. 221);— Monaco Maria Paola (n. 253) utilizzata da Del Punta Riccardo (n. 117).

3.3) Deleghe utilizzate, ma non reperite nel plico dei documenti cartaceiconsegnati alla Commissione di Verifica:

— Pendolino Gaetana (n. 293) che ha delegato Lima Alessandro (n. 213);— Viscomi Antonio (n. 414) che ha delegato Ranieri Maura (n. 324).

Le restanti deleghe, controllate una per una e numerate, non presentanoalcuna irregolarità e trovano conferma nei quattro elenchi degli aventi diritto alvoto, utilizzati dalla Commissione Elettorale.

La Commissione di Verifica termina i lavori alle ore 13 e redige il presenteverbale, che viene sottoscritto seduta stante e trasmesso al Segretario dell’Aidlass,prof. Alessandro Bellavista, affinché venga allegato al verbale della CommissioneElettorale redatto il 30 maggio 2015.

Il Presidente Il SegretarioProf. Domenico Garofalo Prof. Umberto Gargiulo

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ASSEMBLEA DEI SOCI A.I.D.LA.S.S. -FOGGIA, 30 MAGGIO 2015

PROPOSTA DI MODIFICA DELLO STATUTO

Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le

aggiunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 6L’ammissione dei soci è deliberata dal Con-siglio direttivo dell’Associazione. La qua-lità di socio si perde per dimissioni o perdecadenza, in caso di mancato versamentodei contributi, o per radiazione, quandol’attività del socio sia in contrasto con gliscopi dell’Associazione o sia ad essi pregiu-dizievole oppure quando il socio si sia resocolpevole di atto lesivo della morale e del-l’onore.

ART. 6L’ammissione dei soci è deliberata dal Con-siglio direttivo dell’Associazione. La qua-lità di socio si perde per dimissioni o perdecadenza, in caso di mancato versamentodei contributi per più di tre anni consecu-

tivi, o per radiazione, quando l’attività delsocio sia in contrasto con gli scopi dell’As-sociazione o sia ad essi pregiudizievole op-pure quando il socio si sia reso colpevole diatto lesivo della morale e dell’onore.

CONTRARI: 39ASTENUTI: 7

FAVOREVOLI: 304

Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le

aggiunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 6-BIS

L’elenco dei soci è pubblicato sul sito del-

l’Associazione, tempestivamente aggior-

nato, e comunque reso disponibile a qua-

lunque socio lo richieda alla Segreteria del-

l’Associazione.

CONTRARI: 153ASTENUTI: 7

FAVOREVOLI: 190

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Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le

aggiunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 8L’Assemblea è composta da tutti i soci e siriunisce di regola una volta ogni triennio suconvocazione del Presidente, previa deli-bera del Consiglio direttivo. L’avviso diconvocazione deve essere inviato ai socialmeno quindici giorni prima della data fis-sata e deve contenere l’indicazione delluogo, giorno ed ora della riunione e l’elencodegli argomenti da trattare.Ogni socio dispone di un voto e deve espri-merlo personalmente o a mezzo di un altrosocio munito didelega. Ogni socio non puòessere munito che di una sola delega.

ART. 8L’Assemblea è composta da tutti i soci e siriunisce di regola una volta ogni triennio suconvocazione del Presidente, previa deli-bera del Consiglio direttivo. L’avviso diconvocazione deve essere inviato ai socialmeno quindici giorni prima della data fis-sata e deve contenere l’indicazione delluogo, giorno ed ora della riunione e l’elencodegli argomenti da trattare.Ogni socio dispone di un voto e deve espri-merlo personalmente o a mezzo di un altrosocio munito di delega accompagnata da

fotocopia di documento di identità del de-

legante. Ogni socio non può essere munitoche di una sola delega.

CONTRARI: 20ASTENUTI: 7

FAVOREVOLI: 323

Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le

aggiunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 8-bis

Le deliberazioni dell’assemblea sono prese amaggioranza di voti e con la presenza dialmeno un terzo dei soci. Per modificarel’atto costitutivo e lo statuto occorrono lapresenza di almeno un terzo dei soci ed ilvoto favorevole di più di due terzi dei pre-senti. Per deliberare lo scioglimento del-l’Associazione e la devoluzione del patrimo-nio occorre il voto di almeno tre quarti deisoci.

ART. 8-bis

Le deliberazioni dell’assemblea sono prese amaggioranza di voti e con la presenza dialmeno un terzo dei soci. Per modificarel’atto costitutivo e lo statuto occorrono lapresenza di almeno un terzo dei soci ed ilvoto favorevole di più di due terzi dei pre-senti. Per deliberare lo scioglimento del-l’Associazione e la devoluzione del patrimo-nio occorre il voto di almeno tre quarti deisoci.

CONTRARI: 180ASTENUTI: 10

FAVOREVOLI: 160

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Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le

aggiunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 9 (prima parte)Il Consiglio direttivo è composto di undicimembri eletti dai soci con votazione se-greta, senza liste di candidati. La legittima-zione attiva e passiva è subordinata allacondizione di cui all’ultimo comma dell’art.8. Ciascun socio può designare non più di seinomi. Le schede recanti un numero mag-giore di designazioni sono valide limitata-mente alle prime sei. [...]

ART. 9 (prima modifica)Il Consiglio direttivo è composto di undicimembri eletti dai soci con votazione se-greta, senza liste di candidati. La legittima-zione attiva e passiva è subordinata allacondizione di cui all’ultimo comma dell’art.8. Ciascun socio può designare non più di seiquattro nomi. Le schede recanti un numeromaggiore di designazioni sono valide limi-tatamente alle prime sei quattro. [...]

CONTRARI: 183ASTENUTI: 30

FAVOREVOLI: 137

Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le

aggiunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 9 (seconda parte)[...] I membri del Consiglio direttivo duranoin carica tre anni e non possono essere rie-letti più di due volte consecutive. In caso divacanza nel corso del triennio subentrano,nell’ordine, i primi dei non eletti.

ART. 9 (seconda modifica)[...] Al fine di garantire la rappresentanza pa-

ritaria di donne e uomini, i soci devono espri-

mere le preferenze alternando i generi, a pena

diinvaliditàdelvotoapartiredallaprimapre-

ferenza che non rispetta l’alternanza. [...]

CONTRARI: 190ASTENUTI: 30

FAVOREVOLI: 130

Testo vigenteProposta di emendamento (in grassetto le ag-

giunte, sbarrate le abrogazioni)

ART. 9 (seconda parte)[...] Imembri del Consiglio direttivo durano incarica tre anni e non possono essere rieletti piùdiduevolteconsecutive.Incasodivacanzanelcorso del triennio subentrano, nell’ordine, iprimi dei non eletti.

ART. 9 (terza modifica)[...] Imembri del Consiglio direttivo durano incarica tre anni e non possono essere rieletti piùdiduevolteconsecutive.Incasodivacanzanelcorso del triennio subentrano, nell’ordine, iprimi dei non eletti.

CONTRARI: 181ASTENUTI: 30

FAVOREVOLI: 139

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REPLICHE

EDOARDO ALES

La relazione è stata pubblicata nel presente volume in versionedefinitiva. Pertanto, essa tiene conto degli interventi che l’hannoriguardata.

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ALBERTO PIZZOFERRATO

Gli interventi che si sono susseguiti sono stati tutti, a mioavviso, di grande interesse e spessore, e almeno parzialmente,condivisibili.

In queste brevi note di replica desidero rimarcare alcuniaspetti che reputo di significativo rilievo con riguardo all’oggettodella mia relazione e più in generale di questo nostro Congresso.

Il primo riguarda l’influenza del diritto europeo sulle dinami-che operazionali del diritto interno. Mi sembra evidente, per leragioni espresse nella relazione, che l’effetto conformativo ed orien-tativo realizzato dal complesso regolativo UE sia indubbio e si siamanifestato non solo negli atti di hard law ma anche in quelli di softlaw, primi fra tutti le raccomandazioni del Consiglio nell’ambitodella procedura del Semestre europeo e che quindi le riformerealizzate dal nostro Governo siano in larga parte mutuatarie degliscopi ed obiettivi europei; nello stesso tempo è indubbio che taleeffetto abbia comportato una drastica battuta d’arresto del nostroordinamento sociale nella misura in cui le riforme del lavoro sonostate concepite in sede europea, e conseguentemente ed inevitabil-mente in sede italiana, quale partita di scambio per evitare l’aper-tura di procedimenti di allerta per eccessivi squilibri macroecono-mici ovvero per evitare ancora più gravi situazioni di defaulteconomico-finanziario. Il meccanismo del bailout conditionality hapoggiato indiscutibilmente sul pilastro delle riforme del lavoro insenso liberistico e flessibilizzante, anche se poi le declinazioni didettaglio sono frutto di opzioni politiche interne agli stati indifficoltà economica o in crescita stagnante, quale il nostro paese.

Tuttavia non si deve dimenticare che esiste un ordinamentoeuropeo costituito da diritti sociali fondamentali immediatamenteesigibili nei singoli ordinamenti nazionali. È vero che la Carta deidiritti sociali fondamentali è stata letta ed applicata dalla Corte digiustizia come catalogo di principi orientativi dell’azione delleistituzioni europee o, al più, come principi di riferimento per la

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corretta interpretazione delle normative primarie e secondarieeuropee (v., ad esempio, causa C-176/12 AMS; causa C-426/11Alemo-Herron). La Carta quindi non è stata ritenuta di immediataapplicazione nei singoli ordinamenti interni e quindi non le è stataattribuita efficacia orizzontale ma si è ritenuto che dovesse operarequale semplice criterio interpretativo dell’assetto giuridico europeoesistente e quindi nei limiti di intervento e di competenza regola-tiva della UE. Rimane però che tali principi esistono, e sono statiimplementati in numerosi atti normativi dell’Unione Europea equindi il ventaglio della loro concreta operatività non può dirsimarginale.

Di ciò prende atto la stessa Commissione europea laddovelancia la consultazione delle parti sociali per un nuovo Pillar of So-cial Rights tramite il documento dell’8 marzo 2016 (COM(2016)127final): pur riconoscendo che la Carta non costituisce nuovi poteri ocompetenze in capo all’Unione, tuttavia la Commissione affermache la stessa normativa europea deve essere interpretata ed appli-cata alla luce ed in modo tale da risultare compatibile con gliassetti di principio posti dalla Carta. D’altro canto che la regola-mentazione europea non si esaurisca in questa fase storica ad unapredominanza assoluta ed incontrastata dei diritti di libertà diiniziativa economica e di libera circolazione, stabilimento e presta-zione di servizi delle imprese ai danni dei diritti sociali fondamen-tali, è testimoniato dalle recenti iniziative della Commissione eu-ropea che si sono estrinsecate, da ultimo, non solo nel suddettoPillar of Social Rights per l’Euro-zona ma anche nella istituzione diuna piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazionevolta a contrastare il lavoro non dichiarato (decisione 2016/344 delParlamento Europeo e del Consiglio), nonché, e soprattutto, nellanuova proposta di direttiva della Commissione (COM 2016)128final) sul distacco transnazionale dei lavoratori che ha segnato unsignificativo punto a favore dei paesi a più intensi standard socialicon l’introduzione del principio della estensibilità delle tutele so-ciali minimali del paese ospitante per i lavoratori distaccati daoltre un biennio, in forte analogia rispetto alla norma previdenziale(anche se la tecnica normativa utilizzata è più « contorta », rievo-cando il luogo di abituale esecuzione della prestazione lavorativa aisensi della Convenzione di Roma e del reg. CE n. 593/2008); nonchécon l’estensione dell’obbligatorietà ai lavoratori distaccati infra-biennali delle norme, vuoi legislative, vuoi contrattuali anche se

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non a valenza ordinamentale erga-omnes, in materia di retribuzionedi riferimento e quindi non solo di tariffe salariali minime (laprevisione ha naturalmente minore impatto nel nostro paese non— ancora — interessato dal salario minimo legale). Non dobbiamodimenticare che l’Unione europea è basata sul concetto di econo-mia sociale di mercato e che la piena occupazione, il progresso el’integrazione sociale, la protezione sociale, la solidarietà e coesionerappresentano capisaldi del Trattato UE. Sicché, in ultima istanza,le due anime, armonizzatoria e orientativa, del diritto del lavoroUE dovrebbero convergere nell’assicurare stabilità e qualità dellavoro, in un contesto di adeguata protezione sociale e di lottaall’emarginazione ed alla povertà, fatti salvi i principi ispiratoridella costruzione comunitaria di sussidiarietà e di proporzionalitàche non devono tuttavia minare l’acquis social né scardinare l’ideaper cui il progresso sociale non deriva ma è parte integrante delmodello di crescita economica assunto dall’Unione.

Se quindi non si può negare che « si è assistito ad un singolareprocesso di destrutturazione dei diritti e delle garanzie, frutto discelte assunte a livello istituzionale ed intergovernativo europeo,sorretto dall’obiettivo preminente di risollevare l’economia, laproduttività ed i bilanci dei singoli Paesi europei, che i Governinazionali hanno dovuto accettare ed implementare con una discre-zionalità di misure attuative solo all’interno dei target prefissati »(Diritto del lavoro dell’Unione Europea, a cura di F. Carinci, A.Pizzoferrato, Giappichelli, Torino, 2015, 1); d’altro canto ciò hacostituito la spinta per tentativi, senz’altro apprezzabili, di moder-nizzazione e semplificazione delle regole del lavoro, delle tipologiee dei modelli contrattuali, dei sistemi di sicurezza sociale. Il fattodi aver subito una stagione di riforme del lavoro regressive sotto laspinta della crisi economico-finanziaria e del debito pubblico incontinua espansione (come noto, siamo ormai oltre il 130% sulPIL) non deve pertanto ingenerare l’erronea convinzione di undiritto sociale UE in via di smantellamento ovvero di riformenecessariamente segnate dalla predominanza del risparmio deicosti a scapito della dignità sociale del lavoro. E di ciò si traeevidenza non solo dal rinnovato fervore sociale delle istituzioni UEma anche dalle ultime riforme del Governo Renzi che, in via diriequilibrio, stanno rinforzando il versante della sicurezza e dellaoccupabilità, dopo aver profondamente accelerato, come argomen-tato nella relazione, sul versante della flessibilità in entrata ed in

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uscita dal mercato del lavoro (pensiamo, a titolo puramente indi-cativo, al decreto legislativo sugli ammortizzatori sociali — n.148/2015 —, all’art. 22 del d.lgs. n. 151/2015 sulle nuove e piùincisive sanzioni contro il lavoro nero, al d.lgs. n. 149/2015 sull’isti-tuzione dell’Agenzia unica sulle ispezioni del lavoro).

Il diritto del lavoro, europeo ed italiano, esce dunque ridimen-sionato e costretto all’esito delle procedure di sorveglianza econo-mica UE in nome di un necessario allentamento dei vincoli econcessione di deroghe temporanee; non dobbiamo ora assecondaretrend demolitori o derogatori ma al contrario dobbiamo sfruttare isegnali di ripresa per imprimere nuovo slancio al dialogo sociale,alle prassi partecipative e ad una riforma della contrattazionecollettiva che rispecchi la reale rappresentatività degli attori ne-goziali e la concentrazione delle sedi regolatorie, per contrastare ilradicamento della deriva individualizzante nella regolamentazionedei rapporti di lavoro. Oltre alla globalizzazione dei mercati, allacrisi produttiva e finanziaria, all’aggravarsi delle condizioni strut-turali del debito e del disavanzo pubblico, dobbiamo infatti met-tere in conto la nuova vera e destabilizzante sfida che ci attendenell’immediato futuro: quella dell’accesso al lavoro dei migranti,regolari, clandestini, rifugiati, richiedenti asilo, sui cui l’Unioneeuropea in primis, e gli Stati membri in via di implementazione,non possono più rimanere passivi ma devono affrontare con deter-minazione e lungimiranza per favorire l’accoglienza e l’inclusione,nel rispetto della legalità e delle regole, a partire proprio da quelledel lavoro (non basta a tal fine la pur lodevole iniziativa della c.d.blu card directive, dir. 2009/50/CE, sulle condizioni di ingresso esoggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavorialtamente qualificati nella UE), ma anche previdenziali ed assi-stenziali (e su queste ultime si gioca la maggiore partita politicaeuropea: v. il referendum inglese sull’opting out dalla UE).

Partitamente, sugli interventi che hanno interessato la miarelazione, con piacere osservo quanto segue.

L’interessante prospettazione fornita dalla Prof. Diaz Aznartein merito al modello spagnolo di contrattazione collettiva incen-trato sulla « proceduralizzazione » del contratto in azienda deroga-torio con un rafforzamento del controllo del contratto aziendale alivello nazionale, pare difficilmente esportabile nel nostro sistema,che ha conosciuto, solo sulla carta, esperienze similari (TU sullarappresentatività sindacale del 2014), mai però davvero decollate

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sia per la debole presa del centro sulla periferia sia per il diffondersidi prassi contrattuali esterne al modello confederale. Non ci sem-bra quindi che la proceduralizzazione, almeno nel nostro paese,possa rappresentare il migliore antidoto alla fuga in avanti delcontratto aziendale ed al suo accreditarsi solo in funzione deroga-toria e regressiva.

Quanto al pregevole intervento del collega Massimiliano Del-fino, vorrei fare due annotazioni.

Condivido quanto riferito sulla sentenza Poclava del 2015(causa C-117/14) e sulla occasione mancata per un maggiore corag-gio istituzionale e ricostruttivo della Carta dei diritti sociali fon-damentali, tuttavia non ne enfatizzerei i risvolti negativi, met-tendo in luce al contrario gli aspetti procedurali (trattasi di sen-tenza di incompetenza sul rilievo che il periodo di prova neicontratti a tempo indeterminato non ha formato oggetto di disci-plina comunitaria e quindi travalica l’oggetto del sindacato giuri-sdizionale della Corte) e quindi la sostanziale indifferenza/neutralità della stessa rispetto al dibattito in corso sulla prescrit-tività dei principi comunitari generali e sulla loro evoluzione fu-tura. Certo, si ribadisce la strumentalità dei principi socialifondamentali all’attuazione del diritto UE, e quindi la loro nonautonoma azionabilità (questione ritenuta esulante dalla sfera deldiritto dell’Unione), ma non se ne comprime o sottovaluta il ruolodirimente o informatore della disciplina UE, che al contrario neesce pienamente confermato.

Condivido altresì il riferimento alla contraddizione UE, lad-dove, da un lato, non può occuparsi, non avendone competenzadiretta regolatoria (v. art. 153, c. 5, TFUE), della materia retribu-tiva, dall’altro pretende di imporre agli Stati membri, tramite ilmeccanismo degli orientamenti integrati, un modello di formazionedel trattamento economico incentrato sulla tariffa minima ex lege(con chiaro riferimento al Regno Unito e ad alcuni paesi dell’Esteuropeo), che sia tale da favorire la competitività delle impreseeuropee sul mercato mondiale. Tale influente invito al « taglio »degli standard minimi retributivi è stato peraltro raccolto dallanostra legge delega (l. n. 183/2014), che sul punto, per le ragioni giàespresse nella relazione, potrebbe rivelarsi estremamente destabi-lizzante per il nostro sistema sociale, con un disincentivo moltoforte all’applicazione del CCNL nel nostro tessuto produttivo diridotte dimensioni e a spiccata fragilità finanziaria.

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Quanto all’interessante intervento di Andrea Lassandari, con-divido senz’altro l’assunto per cui la flessibilità proposta dallariforma italiana è hard, mentre gli strumenti di sicurezza socialesono ancora di là da venire, anche se sul punto siamo stati en-trambi smentiti dall’evoluzione degli atti legislativi implementa-tivi della legge delega, che hanno ristabilito un maggiore equilibrioe contemperamento dei due corni del noto binomio della flexicu-rity. Ma ritengo che il nuovo quadro regolamentare abbia forte-mente risentito del clima « banco-centrico » che si è respiratonell’Unione europea sino all’inizio del 2016 e che quindi la politicadel Governo sia in non irrilevante componente il portato inevita-bile di quel clima e di quegli atti di orientamento e raccomanda-zione. Poi, sicuramente, una certa sfiducia nel dialogo sociale e nelruolo delle organizzazioni sindacali è senz’altro propria, e preva-lentemente attribuibile, all’azione dell’attuale Esecutivo.

Quanto al bell’intervento di Alessandro Bellavista in meritoall’art. 2103 c.c., registro la sua diversa posizione sull’interpreta-zione del disposto. In particolare non condivido la sua lettura dinetta discontinuità rispetto al passato, proponendo, nella relazionee nella presentazione, una diversa e più « tranquillizzante » rico-struzione, in linea di tendenziale continuità con la precedenteformulazione dell’art. 2103 c.c. e della giurisprudenza correlata.Ciò, fra l’altro, poiché, diversamente opinando e quindi valoriz-zando l’unilateralità a scapito della consensualità, si rischierebbedi dar luogo ad un’ipotesi di incostituzionalità per eccesso di delegae comunque ci si muoverebbe al di fuori degli stessi lavori prepa-ratori al testo legislativo che sottolineano la sua piena compatibi-lità con l’assetto giurisprudenziale consolidatosi in materia. Ri-tengo dunque vada valorizzato in chiave ermeneutica il riferi-mento contenuto nella legge delega alla salvaguardia dell’occupa-zione e della professionalità ed al miglioramento delle condizioni divita e di lavoro del dipendente.

Concordo con i precisi rilievi di Pasquale Sandulli in merito al« tabù » dei contratti aziendali ed alle difficoltà di loro materialeapprensione e cognizione, nonostante gli obblighi di deposito legalee di quanto questo nuoccia alla corretta conoscenza degli effettiviandamenti e delle concrete dinamiche della contrattazione azien-dale.

Infine, condivido senz’altro quanto brillantemente riferito daAntonella Occhino, mi limito ad osservare, secondo quanto già

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espresso nella relazione, che sebbene a livello formale di fonti e diloro rapporti la massiccia iniezione legislativa di poteri derogatorial contratto aziendale non scalfisce il principio di inderogabilitàdella norma lavoristica, è di tutta evidenza che l’introduzione diampie ed espresse deroghe determina un deciso contraccolpo siste-mico, con il rischio di inesorabile scivolamento dalla norma inde-rogabile alla norma di default.

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PASQUALE CHIECO

Colgo e mi adeguo all’indicazione del Presidente prof. Riccisulla necessità, dato il protrarsi dei lavori congressuali, di conte-nere il più possibile l’intervento di replica.

Mi limito, quindi, solo a qualche battuta sull’idea che la nuovagovernance economica europea, con tutti i provvedimenti che lastrutturano, contenga prescrizioni e vincoli di natura essenzial-mente politica piuttosto che giuridica. Insomma saremmo di frontea un ordine di questioni intorno al quale, data la sua intrinsecanatura politica, sarebbe poco utile applicare le analisi e le valuta-zioni proprie del giurista.

Ora, le ragioni di profondo dissenso da questa idea, bizzarra, ame pare, derivano dall’analisi dei sette regolamenti e della diret-tiva con i quali, in risposta alla crisi, l’Unione ha rafforzato lagovernance delle politiche economiche, accompagnati e sostenutidal Patto euro plus e dai nuovi trattati Fiscal compact e MES, maanche dall’insieme degli atti europei e dei singoli ordinamenti chene sono “ordinatamente” derivati e che rappresentano uno deipunti di emersione delle profonde trasformazioni che la crisi eco-nomico-finanziaria (e le sue emergenze) sta provocando negli (e tragli) assetti costituzionali.

Tanto da fare dire a molti studiosi, che pure guardano agliaspetti istituzionali da diverse prospettive (dagli economisti agliinternazionalisti, dai costituzionalisti ai giuslavoristi) che siamo difronte a uno “sdoppiamento della legalità europea”: quella ‘ordi-naria’ — non impiegata — e quella ‘derivata’ dalla governanceeconomica. Ed è quest’ultima che, in questi anni di profondatrasformazione, ha assunto il ruolo prioritario nel definire le sceltedell’Unione europea (sul piano economico come su quello delle“riforme strutturali”) e nel dare esecuzione agli interventi conse-guenti, manifestandosi con un’invasività della sovranità stataleampiamente indagata nel dibattito scientifico con il quale mi sonoconfrontato e al quale rinvio.

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Né, ovviamente, l’intrinseca giuridicità dei vincoli e dellecondizionalità del complesso regolativo e attuativo frutto dellanuova governance economica europea viene intaccata dall’osserva-zione che ci sono pur sempre margini per la composizione politica,come dimostrano le procedure per deficit eccessivo non applicatequalche anno fa nei confronti di Francia e Germania ovvero larivisitazione delle condizioni dei memorandum d’intesa con la Gre-cia o il Portogallo.

Rivisitare i patti non significa che essi non siano vincolanti; néla sanzione muta la propria natura giuridica per il fatto che ilConsiglio, usando dei suoi poteri, può decidere o meno di appli-carla. Banalmente, qualsiasi creditore può valutare e decidere se ea quali condizioni rinunciare a valersi delle sanzioni che l’ordina-mento gli mette a disposizione nei confronti del debitore inadem-piente. E questa considerazione è ancor più vera se facciamoriferimento al rapporto tra gli Stati partecipanti e l’UE posto che,come ho ricordato nella relazione, vi sono precisi meccanismi nelpatto di stabilità che ne flessibilizzano gli obiettivi (e le sanzioni incaso di sforamento) in relazione alla valutazione delle riformestrutturali di volta in volta messe in campo.

E vengo così, al tema del grado di vincolatività degli obiettivi,dei vincoli ovvero delle condizionalità implicati nella c.d. clausoladi riforme strutturali; tema emerso nel dibattito — penso inparticolare agli interventi di Alessandro Bellavista e di AndreaLassandari — e che rimanda al rapporto tra fonti della nuovagovernance economica europea e riforme interne del mercato dellavoro.

In proposito, la sintesi che (rispetto alla relazione scritta) hodovuto operare e l’enfasi della relazione orale, con molta probabi-lità, hanno dato l’idea di un’eccessiva accentuazione del grado divincolatività di tali fonti di regolazione, quasi una sorta di dere-sponsabilizzazione dello Stato italiano nell’implementazione delleprescrizioni europee con gli interventi del 2011-2012 (riformeMonti-Fornero) e del 2015 (jobs act).

In realtà, fatta eccezione per la disciplina del licenziamento (e,per taluni versi, delle pensioni), oggetto di specifiche e dettagliateprescrizioni contenute negli “orientamenti integrati sulle politicheeconomiche e per l’occupazione” adottati dal Consiglio nel 2010(per il periodo 2010-2014), nel Patto euro plus e nelle raccoman-dazioni all’Italia del 2011 e 2014 (oltre che nella famosa lettera

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riservata al Governo italiano della BCE del 5 agosto 2011 a firmadi Draghi e Trichet), queste fonti e le altre analizzate nella rico-struzione della regolazione riconducibile alla nuova governanceeconomica europea, lasciano certamente margini di scelta e diautonoma determinazione, in alcuni casi particolarmente ampi,nella realizzazione della riforme strutturali del mercato del lavoro.È un aspetto che ho già evidenziato nella relazione scritta e che,cogliendo le sollecitazioni del dibattito, sottolineerò ulteriormente.

Ciò, tuttavia, non muta il punto di approdo della ricostruzioneche ho proposto.

Anche con i margini di flessibilità e di autodeterminazionelasciati agli Stati (e, specificamente all’Italia), la regolamentazioneposta dalla governance economica europea costituisce diritto euro-peo; con la conseguenza che le “riforme strutturali” italiane del2012 e del 2015, frutto della governance e concernenti il mercato dellavoro, costituiscono attuazione del diritto europeo, ricadendopienamente, pertanto, nel perimetro segnato dall’art. 51.1 perapplicazione della CDFUE.

E, a conferma di questa osservazione, basta ricordare le carat-teristiche della stessa direttiva, tipica fonte di diritto europeo inmateria di politiche sociali, che « vincola lo Stato membro cui èrivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva lacompetenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi »(art. 288.3 TFUE).

Certo. Sono consapevole di proporre un percorso che apparecomplicato dalla presenza, accanto a sentenze che interpretanoestensivamente la clausola dell’art. 51.1 CDFUE, di pronuncia-menti della Cge che vanno nella direzione opposta, come nel casorecente di Proclava (Cge 5 febbraio 2015, C-117/14); sentenzapertinentemente richiamata da Massimiliano Delfino quale espres-sione di un orientamento particolarmente restrittivo nella indivi-duazione dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (riser-vato a misure adottate sulla base degli artt. 151 e 153.2 TFUE).

E tuttavia, è un fatto che l’attitudine del complesso delleregole della governance a integrare “diritto dell’Unione” attuatodalle riforme nazionali (ai sensi dell’art. 51.1 Cdfue) non è stata maianalizzata dalla Corte di giustizia: penso, infatti, che sia difficil-mente riproponibile un approccio come quello della sentenza Pro-clava (che ha riguardato la riconducibilità al diritto europeo di unaregolamentazione interna riguardante il patto di prova) ai regola-

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menti six e two pack del 2011 e 2013 i quali individuano e racco-mandano l’attuazione di riforme strutturali del mercato del lavoropienamente ricadenti negli obiettivi e nelle materie degli artt. 151e 153 TFUE, e rientrano nel percorso estremamente dettagliato efortemente integrato, corredato da sanzioni dissuasive, della gover-nance economica europea che ha la caratteristica (tra le altre) diinglobare diverse tipologie di provvedimenti variamente basati suldiritto UE, come gli “orientamenti integrati” ovvero le raccoman-dazioni (ex artt. 121 e 126 TFUE) innanzi ricordati, che l’adozionedi quelle riforme strutturali interne espressamente prevedono.

Senza peraltro trascurare il fatto che, come osservo nellarelazione scritta, le raccomandazioni adottate nell’ambito del pro-cesso attuativo della governance economica non rispondono alparadigma dell’art. 288.5 TFUE in quanto sono assistite da speci-fiche sanzioni per l’inosservanza (incompatibili con la sua naturaordinariamente non vincolante), con effetti di necessaria e corretta(ri)qualificazione della natura dell’atto europeo già statuiti, in altreoccasione, dalla Corte di giustizia.

Non solo. A rafforzarne la portata vincolante vi è che laraccomandazione al singolo stato membro che chiude il processodel semestre europeo è l’ultimo anello di un complesso di obiettivi,di vincoli, di disposizioni, di condizionalità, di controlli ex ante edex post e, infine, di un grappolo variegato di sanzioni che costituisceil tratto più marcato e incisivo della governance economica euro-pea; un insieme integrato, coordinato e funzionalizzato la cuiportata (anche) prescrittiva (seppure con i margini decisionaliinterni di cui dicevo poc’anzi) si apprezza correttamente soltantocollocando il singolo provvedimento nel contesto complessivo dellaregolazione, così da cogliere tutte le implicazioni che possonoderivare dall’inosservanza del provvedimento medesimo anche sulpiano delle conseguenze sanzionatorie, magari previste e dispostecon riferimento ad altri contesti e provvedimenti riguardanti ilpaese interessato.

Insomma, proprio questa evidenza mette in luce quanto siaparadossale che, di fronte all’imponente complesso della governanceeconomica europea e degli atti che ne sono derivati (anche) per ilnostro paese e, specificamente, per la disciplina del nostro mercatodel lavoro, si possa pensare che le riforme strutturali di questi annisiano estranee al diritto europeo, alle sue prescrizioni come anchealle sue tutele, a cominciare dalla CDFUE.

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Credo, insomma, che ci siano le condizioni per fare un ragio-namento serio mirante alle rimozione di questo paradosso.

Questa conclusione, peraltro, è pienamente in linea con unaferma convinzione che ho tratto dalla ricostruzione e dall’analisiche vi ho proposto. Si tratta di questo: ritengo insoddisfacente che,di fronte alle politiche di austerity, la risposta alle esigenze di tuteladei diritti fondamentali debba svolgersi e arrestarsi davanti alleAlte Corti nazionali. Voglio essere chiaro in proposito: trovo, comeho scritto, condivisibile l’impostazione della sentenza n. 70 dellanostra Corte costituzionale e il richiamo alla “motivazione”, sep-pure con le avvertenze e le cautele, specie sul piano del controllo dirazionalità, di cui ha efficacemente parlato Antonella Occhino;trovo, inoltre, convincenti le questioni di legittimità costituzionaleavanzate da Anna Trojsi con riferimento al blocco sine die dellacontrattazione collettiva nel pubblico impiego.

Tuttavia, ritengo che la collocazione della difesa dei dirittifondamentali esclusivamente sul fronte dell’ordinamento nazio-nale sia in grado di fornire una tutela solo parziale e, comunque, dicorto respiro perché ci pone in stabile contrasto con l’Unione e coni processi decisionali che, come abbiamo visto, connotato la gover-nance economica europea (e i suoi meccanismi regolativi e sanzio-natori).

Per questo, la difesa dei diritti fondamentali deve poter pog-giare sul diritto europeo e sulla massima espressione di quei dirittirappresentata dalla Cdfue così da porsi quale elemento (non dicontrasto ma) di costruzione di un’europa sociale basata suglianticorpi agli eccessi da liberismo, frutto dello stesso diritto del-l’Unione.

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Parte Seconda

NOTIZIARIO A.I.D.La.S.S.

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NOTIZIARIO NAZIONALE

ASSEGNAZIONE PREMIO « LODOVICO BARASSI »PER LA MIGLIORE TESI DI LAUREA

IN DIRITTO DEL LAVORO(2014)

VERBALE DELLA COMMISSIONE

La Commissione composta da: — Prof. Giulio Prosperetti,Presidente; — Prof. Franca Borgogelli, Segretaria; — Prof. Seve-rino Nappi. La Commissione si è riunita in conference call il giorno25 maggio 2015 e, dopo ampia discussione, ha ritenuto di attribuireil Premio “Barassi” alla tesi di laurea del Dott. Antonio Iannì sultema: “La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle impresein una prospettiva storico-comparata”, di cui è stato relatore ilProf. Alessandro Somma. La tesi ricostruisce storicamente le di-verse teorie della partecipazione e della cogestione dei lavoratorinelle imprese, con particolare riguardo all’esperienza tedesca. Ana-lizza l’esperienza italiana partendo dall’art. 46 della Costituzione.Di particolare interesse è la ricostruzione dell’esperienza Olivettidegli anni ’60 sino alla cd. partecipazione conflittuale. La tesi,molto ben scritta, è sicuramente originale e va apprezzata ancheper la ricostruzione storica che l’autore coniuga con il dibattitoattualmente in corso sul problema della partecipazione dei lavora-tori alla gestione delle aziende. Anche le altre tesi — che si indicanoin ordine alfabetico — meritano comunque apprezzamento: —Dott. Ermanno Bolzonella, “Le rappresentanze sindacali azien-dali: passato, presente e futuro”; — Dott. Emanuele Dagnino,“Social media e lavoro: profili positivi e problematici connessiall’utilizzo dei social media in ambito lavorativo”; — Dott.ssaRosa Di Meo, “La cd. contrattazione di prossimità nella l. 148/2011”; — Dott. Giovanni Gaudio, “Teoria e politica dell’interpre-tazione nel diritto del lavoro: usi aziendali, parità di trattamento

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ed obbligo di repechage”; — Dott. Pietro Polizzotto, “Ascesa edeclino di un modello di relazioni industriali. La vicenda delgruppo Zanussi-Electrolux da una prospettiva europea”.

In particolare la Commissione ritiene di formulare una specialemenzione per la tesi del Dott. Emanuele Dagnino, “Social media elavoro: profili positivi e problematici connessi all’utilizzo dei socialmedia in ambito lavorativo”, di cui è stata relatrice la Prof. LauraCastelvetri. Tale tesi offre in modo completo e organico, utiliz-zando anche fonti esterne all’ambito del diritto, una ricostruzioneben argomentata e molto apprezzabile del non semplice temadell’interazione tra social media e normativa lavoristica, eviden-ziando i casi in cui tali strumenti possono influire sui vari aspettidel rapporto di lavoro, dal punto di vista sia de iure condito sia deiure condendo.

Il Presidente della Commissione, Prof. Giulio ProsperettiLa Segretaria della Commissione, Prof. Franca Borgogelli

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ASSEGNAZIONE PREMIO« FRANCESCO SANTORO PASSARELLI »

PER LA MIGLIORE TESI DI DOTTORATOIN DIRITTO DEL LAVORO

(2014)

VERBALE DELLA COMMISSIONE

La Commissione per il conferimento del premio “FrancescoSantoro Passarelli” alla migliore tesi di Dottorato di ricerca inDiritto del Lavoro, composta dai professori Giuseppe SantoroPassarelli, Piera Campanella e Alberto Tampieri, si è riunita in viatelematica il 25 maggio 2015. Dopo un’attenta valutazione deilavori dei dieci candidati, la Commissione ritiene meritevole diaggiudicazione del Premio la tesi del dottore Alessandro Venturadal titolo “Bilateralità al tempo della crisi: origini e sviluppi di unmodello comparativo di relazioni industriali” — Università degliStudi di Bari — Relatrice Prof.ssa Gabriella Leone.

La ricerca si diffonde ampiamente sul tema, individuando,dapprima, le caratteristiche peculiari dello stesso, riassumibili neidue concetti chiave della partecipazione e della contrattazione, insecondo luogo, le attività concretamente svolte dagli enti bilate-rali.

La tesi mostra buona capacità critica del Candidato, nonchégrande impegno nello studio e nella ricerca da parte del medesimo.Sorretto da un uso corretto del metodo giuridico, l’elaboratogiunge a ipotesi ricostruttive non prive di spunti di originalità.

Anche le altre tesi — che si indicano di seguito in ordinealfabetico — meritano comunque apprezzamento:

Mirko ALTIMARI, “Il lavoro a tempo parziale tra influssieuropei e ordinamento interno” — Relatore prof. Ferrante. Univer-sità Cattolica di Milano;

Silvio BOLOGNA, “Il contratto collettivo aziendale in una pro-spettiva comparata. Italia, Francia, Spagna e Stati Uniti a con-

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fronto” — Relatori Proff. Marinelli e De Val Tena — Università diPalermo;

Daniele CHAPELLU, “L’obbligo di sicurezza del datore di la-voro, tra posizione lavorativa ed organizzazione aziendale” — Rela-tori Proff. Napoli e Ludovico — Università Cattolica di Milano;

Costantino CORDELLA, “Flessibilità e controllo industriale nelmercato del lavoro contemporaneo: il caso del contratto di lavoro atempo indeterminato” — Relatori Proff. Mainardi e Lassandari —Alma Mater Studiorum Università di Bologna;

Stefano Mattia CORSO, “Lavori e rischio di imprese nel sistemadel D. Lgs. 8 giugno 2001. a 231” — Relatore Prof. Liebman —Università Bocconi di Milano;

Gabriele GAMBERINI, “La tutela dei lavoratori nelle esterna-lizzazioni” — Relatore Dott.ssa Pasquini — Università di Ber-gamo;

Fabiola LAMBERTI, “La tutela del lavoro nella successione diappalti” — Relatore prof. Maresca — Sapienza Università diRoma;

Chiara PEDERZOLI, “Il licenziamento per ragioni oggettiveindennizzo e transigibilità. Un approccio comparato” — Relatoreprof. Pedrazzoli — Fondazione Marco Biagi Università di Modena.

La Commissione formula altresì speciale menzione per la tesipresentata dal dott. Filippo Lattanzio dal titolo “I limiti alladerogabilità delle norme sul rapporto di lavoro” — Università degliStudi Milano — Relatrice prof.ssa Maria Teresa Carinci. La tesimerita menzione per la completezza dell’analisi e per gli esitiraggiunti.

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ASSEGNAZIONE PREMIO« MASSIMO D’ANTONA »

PER LA MIGLIORE OPERA PRIMAIN DIRITTO DEL LAVORO

(2014)

VERBALE DELLA COMMISSIONE

Oggi, 28 maggio 2015, alle ore 17 e 45, si è riunita a Foggia laCommissione — composta dai professori Giampiero Proia, Dome-nico Garofalo e Valerio Speziale — cui il Direttivo dell’Associa-zione Italiana di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale haaffidato il compito di assegnare il premio “Massimo D’Antona”2013-2014 per la migliore opera prima in materia di Diritto delLavoro, Diritto Sindacale, Diritto della Previdenza Sociale, DirittoComunitario e Comparato del Lavoro che siano state pubblicate investe definitiva fra il 1° gennaio 2013 e il 31 dicembre 2014.

La Commissione, ha provveduto ad esaminare le seguentiopere, presentate nei termini stabiliti dal bando:

ALVINO Ilario, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici,Giuffrè, 2014

BATTISTI Anna Maria, Welfare e no profit in Europa, Giap-pichelli, 2013

BIASI Marco, Il nodo della partecipazione dei lavoratori inItalia, Egea, 2013

CHIAROMONTE William, Lavoro e diritti sociali degli stra-nieri, Giappichelli, 2013

MALZANI Francesca, Ambiente di lavoro e tutela della per-sona, Giuffrè, 2014

PALAZZI Anna, Libertà negoziale e vincoli finanziari, Il Glifo,2014

SARACINI Paola, Contratto a termine e stabilità del lavoro,Editoriale Scientifica, 2013

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SARTORI Alessandra, Servizi per l’impiego e politiche del-l’occupazione in Europa, Maggioli, 2013

La Commissione osserva preliminarmente che tutte le operecandidate al premio sono apprezzabili per impegno e qualità.

Si segnalano, in particolare, per la ricchezza del contributo,quelle di:

Francesca Malzani, Alessandra Sartori, William Chiaromonte,Paola Saracini e Ilario Alvino.

Fra queste opere la Commissione, con il voto unanime dei suoimembri, individua per l’assegnazione del premio — ex aequo — lemonografie di Paola Saracini e Ilario Alvino.

Le due opere si segnalano per la capacità argomentativa e lapadronanza nell’uso delle categorie giuridiche, nell’ambito di rico-struzioni che presentano spunti di originalità.

Giampiero ProiaDomenico GarofaloValerio Speziale

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Parte Terza

NOTIZIARIO INTERNAZIONALE

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SEMINARIO INTERNAZIONALE DI DIRITTOCOMPARATO DEL LAVORO - PONTIGNANO XXXII

“FLEXIBLE WORKING TIME”Modena, 1-4 settembre 2015

Sintesi dei lavori a cura di Stefania Buoso (*)

SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. Le relazioni nazionali. — 2.1. Austria. — 2.2. Belgio. —2.3. Francia. — 2.4. Germania. — 2.5. Italia. — 2.6. Paesi Bassi. — 2.7. Spagna. —2.8. Regno Unito. — 3. Il lavoro dei gruppi. — 3.1. Finalità delle regole sull’orario dilavoro. — 3.2. Fonti di regole e deroghe. — 3.3. Definizioni. — 3.4. Modalità, strumentie procedure di attuazione della flessibilità. — 4. Conclusioni.

1. Introduzione.

Dall’1 al 4 settembre 2015 si è svolto, nella cornice modenese— presso i locali della Fondazione Marco Biagi — il Seminariointernazionale di diritto comparato del lavoro, Pontignano XX-XII; l’evento è organizzato dalla Fondazione Marco Biagi, dal-l’Università di Modena e Reggio Emilia e patrocinato dal-l’A.I.D.La.S.S. (Associazione Italiana di Diritto del Lavoro e dellaSicurezza Sociale).

L’incontro annuale, atteso dalla intera comunità dei giovanigiuslavoristi, riesce a coniugare una significativa vitalità scientificae un clima di cordiale incontro e scambio, direi quasi di familiarità,tra i partecipanti, il tutto facilitato dalle non secondarie occasioniconviviali promosse al termine dei lavori della giornata; una men-zione particolare va a Lorenzo Gaeta, figura di coordinamento e dicoesione dell’intero gruppo di studiosi partecipanti, sempre dispen-satrice di consigli e attenzioni per ciascuno.

Nella edizione 2015, i professori che si sono confrontati sul

(*) Stefania Buoso è assegnista di ricerca in Diritto del lavoro presso l’Universitàdegli studi di Ferrara.

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tema sono stati: Franz Marhold (Austria), Filip Dorssemont (Bel-gio), Sylvaine Laulom e Pascal Lokiec (Francia), Katja Nebe(Germania), Edoardo Ales, Stefano Bellomo, Lorenzo Gaeta e VitoLeccese (Italia), Myke Houwerzijl (Olanda), Jaime Cabeza (Spa-gna), Jeff Kenner e Ewan McGaughey (Regno Unito). Alcuni diloro hanno, peraltro, svolto relazioni — nella fase iniziale delseminario — dando conto del contesto normativo nazionale rela-tivo al tema flexible working time.

I giovani studiosi partecipanti (dottorandi o dottori di ricerca)sono stati numerosi, con delegazioni nazionali ben distribuite sututto lo spazio europeo: due austriaci (Christoph Ludvik e VerenaZwinger), quattro belgi (Sarah De Groof, Laura De Meyer, Jona-than de Wilde d’Estmael e Renaud Linguelet), quattro francesi(Loredane Besnier, Helene Cavat, Loic Malfettes e Laetitia Morel),quattro tedeschi (Lisa Dornberger, Elena Maksimek, CathleenRabe-Rosendahl e Nicole Thoma), dodici italiani (Alice Biagiotti,Silvio Bologna, Stefania Buoso, Francesco Carugno, Alida Cima-rosti, Emilia D’Avino, Francesco Marasco, Alberto Mattei, Gio-vanna Pistore, Noemi Miniscalco, Venera Protopapa, MariannaRusso), quattro olandesi (Marjolein van Everdingen, AntoinetteNiebeek, Charlotte Waterman e Lisanne Wierckx), quattro spa-gnoli (Stefano Bini, Alessandra Cocaina, Natalia Pauner e RosaRodriguez) e due inglesi (Niall O’Connor e Ania Zbyszewska).

Dal punto di vista organizzativo sono stati dedicati martedi po-meriggio (1 settembre, giornod’iniziodei lavori) emercoledimattinaai report nazionali sul tema, mercoledi pomeriggio, l’intero giovedie venerdi mattina alla riflessione nei gruppi di lavoro e venerdi po-meriggio (4 settembre giorno di chiusura dei lavori) alla relazionefinale prodotta da ciascuno dei quattro gruppi, alla discussione e allachiusura dei lavori da parte del prof. Stefano Bellomo (Perugia).

Il lavoro nei gruppi, che ha ricoperto buona parte del temposeminariale, è stato sapientemente guidato dai docenti presenti edai tutores: Iacopo Senatori (Italia), Adoración Guaman (Spagna),Femke Laagland (Paesi Bassi), Marco Rocca (Belgio) e FranciscoTrillo (Spagna).

2. Le relazioni nazionali.

Dopo i saluti iniziali, Edoardo Ales e Lorenzo Gaeta hanno in-

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trodotto e inquadrato il tema nel contesto dell’odierno diritto dellavoro.

Di seguito, i report nazionali (della durata di 30 minuti cia-scuno) hanno illustrato specificità e tipicità della disciplina nazio-nale. Nel quadro sintetico che segue si è cercato di dare conto deitratti salienti di ogni intervento, senza alcuna pretesa di omoge-neità sistematica o quantitativa.

2.1. Austria.

Franz Marhold ha ricostruito l’assetto delle fonti in materia diorario di lavoro in Austria: la fonte legale (deputata a disciplinare lostandard di orario di lavoro, lo standard di riposo), la contrattazionecollettiva (dalla quale discende la annualizzazione dell’orario di la-voro), gli accordi che ammettono l’uso del c.d. flexitime, il contrattoindividuale (potenzialmente foriero di disposizioni più favorevoli).

Gli standard di orario giornaliero e settimanale sono rispetti-vamente di 8 e 40 ore, limiti elevabili a 10 o a 50 per via dellostraordinario. È precisata, inoltre, la diversa denominazione delleore di superamento di quelle concordate in un contratto a tempoparziale: non overtime ma extra work; la remunerazione dell’orariodi lavoro standard è pari al 100% con incrementi premiali per extrawork (125%) e overtime (150%), il riposo compensativo è alterna-tivo rispetto al premio retributivo.

Tra le forme di flessibilizzazione oraria si è fatto cenno al parttime e allo short time.

2.2. Belgio.

In Belgio, la normativa sull’orario di lavoro ha costituito theoldest part of Belgian labour law, a partire da una regolamentazionerisalente a fine ’800 e inizio ’900, destinata ai lavoratori consideratipiù vulnerabili: prima in specifici settori, poi con una diffusione piùgenerale.

Venendo alla legislazione vigente, secondo la Loi sur le travaildel 1971 costituiscono orario di lavoro le ore in cui il lavoratoresvolge la prestazione lavorativa o quelle in cui il lavoratore è adisposizione del datore di lavoro e fisicamente presente sul luogo dilavoro (on call time). Lo standby time, ossia il tempo a disposizione

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del datore di lavoro ma non nel luogo di lavoro, non costituisce,invece, orario di lavoro.

Il limite massimo dell’orario giornaliero e settimanale si attestarispettivamente sulle 8 e 40 ore, anche se la contrattazione collet-tiva può ridurre quest’ultimo a 38 o 39 ore.

Interessante la precisazione secondo cui il sistema orario belgaè caratterizzato dal c.d. internal limit applicabile quando il calcolodell’orario di lavoro settimanale avviene in media nell’arco di unperiodo di riferimento. Ciascun lavoratore — in un dato tempo —non può, cioè, accumulare più di un certo ammontare di ore al dilà della media settimanale. Quando è raggiunto il massimo consen-tito dal limite interno (per esempio 78 ore) egli non può lavorareoltre la media dell’orario di lavoro settimanale finché non halavorato per una o più settimane sotto quel massimo.

Da rilevare, nella normativa, un limite minimo di orario di la-voro: al lavoratore non può essere richiesto di lavorare per meno di3 ore, questo lo salvaguarda da eventuali forme di part time “mi-nimo”.

Tra i regimi di orario di lavoro flessibile si è parlato della c.d.small flexibility (introdotta nel 1985) alla quale si perviene tramitecontratto collettivo di settore o accordo aziendale (l’orario dilavoro giornaliero massimo può arrivare fino a 9 ore, le ore setti-manali possono arrivare a 45, le ore settimanali possono esserecalcolate in media in un periodo di riferimento di un anno) o dellac.d. big flexibility (introdotta nel 1987) che può essere richiesta daldatore di lavoro alla sectoral joint commission, prevista nel con-tratto collettivo di settore o aziendale stipulato con tutte le siglesindacali rappresentate nell’azienda. La big flexibility consente diraggiungere al massimo 12 ore di orario di lavoro giornaliero, favenire meno il limite massimo settimanale dell’orario di lavoro econsente (potenzialmente) di derogare a tutti e 4 i divieti legali, inlinea di massima comunque superabili da specifiche disposizionisecondo la normativa generale (di lavorare la domenica e i festivi,di lavorare di notte, di lavorare oltre i massimali settimanali, dilavorare fuori dalle ore concordate).

Un’altra forma di flessibilità è data dal c.d. plus minus contointrodotto nel 2006 per il settore automotive o dal c.d. flexi job o zerohours contract à la Belge.

Gli interventi di Filip Dorssmont e Marco Rocca hanno, con-clusivamente, evidenziato che la legislazione belga sull’orario di

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lavoro mantiene in sé importanti principi protettivi, seppur lospazio per le deroghe sia ampio ma al tempo stesso “controllato”dai sindacati che continuano a detenere le chiavi per tali deroghe.

2.3. Francia.

La relazione francese ha posto al centro della flessibilità orariail lavoro a tempo parziale che ha visto, negli anni ’80 e ’90, un forteincremento.

Il part time è individuato come veicolo di una maggiore flessi-bilità e come strumento deputato a migliorare le condizioni dilavoro dal punto di vista del lavoratore, facilitando l’equilibrio tralavoro e vita privata.

A partire dal 2008 la legislazione francese in tema ha elaboratouna serie di riforme al fine di estendere l’uso del c.d. short time,l’ultima di queste è stata la Loi de securisation de l’emploi, n. 504del 2013. È, così, consentita la riduzione oraria rispetto al limite di24 ore settimanali: il lavoratore può individualmente chiedere aldatore di lavoro di ridurre tale limite e, in ogni caso, negoziarelimiti differenti a livello collettivo.

2.4. Germania.

Fin dal principio, l’intervento di Katja Nebe configura lalegislazione sull’orario di lavoro come importante tool of flexibili-sation che deve incontrare sia l’interesse dei lavoratori che deidatori di lavoro.

In Germania, tra le forme di flessibilità oraria sono ricompresi:l’inizio e la fine della giornata lavorativa (il c.d. flex time o Gleitzeit),lo straordinario, la variazione delle ore di lavoro settimanali, gli ac-cordi sull’orario di lavoro annuale, la possibilità di ridurre l’orario dilavoro tramite accordo (il c.d. short time), il diritto di ridurre l’orariodi lavoro (il c.d. part time), il diritto alla redistribuzione dell’orariodi lavoro e gli accordi relativi ai turni di lavoro.

Tra i casi di flessibilità in ragione delle esigenze del datore dilavoro il § 12 del TzBfG configura il c.d. work on demand, unaccordo privo della individuazione della durata oraria minima,l’obbligo lavorativo sussiste solo se l’orario di lavoro è predetermi-nato 4 giorni prima. Sono, però, possibili ulteriori deroghe me-diante contratto collettivo.

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Alcuni profili dell’orario di lavoro sono, peraltro, oggetto dicogestione nei consigli di fabbrica, in particolare con riferimento:all’inizio e alla fine della giornata lavorativa, alle pause, alladistribuzione dell’orario di lavoro nei singoli giorni della settimana,alla riduzione temporanea o alla estensione nelle normali ore dilavoro. Nel caso di mancanza di accordo tra consiglio di fabbrica edatore di lavoro sarà il comitato di conciliazione a decidere. Inaltre parole, il datore di lavoro non può fissare tali elementi senzal’accordo del consiglio di fabbrica.

2.5. Italia.

Nella relazione di Vito Sandro Leccese, la flessibilità nell’inte-resse del datore di lavoro è parte di una più generale flessibilità c.d.« funzionale » nella quale rientra il potere di organizzazione dellavoro senza costi eccessivi o ostacoli posti dalla legge o dallacontrattazione collettiva, da esercitarsi con riferimento all’organiz-zazione, al cambiamento, all’incremento delle ore di lavoro.

La disciplina del d.lgs. n. 66 del 2003, di trasposizione delladirettiva europea sull’orario di lavoro, riproduce molti degli stru-menti di flessibilità in essa presenti. Tra questi si ricorda: la duratamassima settimanale di 48 ore da calcolare in media nel periodo diriferimento (di 4, 6, 12 mesi), con la possibilità per i contratticollettivi di prevedere l’assetto multi-periodale fino all’annualizza-zione dell’orario.

L’art. 17 del d.lgs. n. 66 del 2003 investe i contratti collettiviconclusi dai sindacati maggiormente rappresentativi sul pianonazionale di imponenti poteri derogatori, potendo questi ultimi,tra l’altro, superare il limite di riposo minimo giornaliero di 11 ore,le disposizioni sulle pause giornaliere, i limiti di orario notturno(cfr. art. 17 co. 1).

L’art. 8 della legge n. 148 del 2011, d’altra parte, consente allacontrattazione c.d. di prossimità di trespass the annual limit, dero-gando ai limiti legali in materia di orario di lavoro.

È stato evidenziato che le regole sull’orario di lavoro si pon-gono al centro della contrapposizione tra esigenze economico-organizzative datoriali e della persona del lavoratore di « riconci-liare » il lavoro con altri bisogni personali, familiari, sociali; a taleriguardo, le regole europee e italiane sembrano favorire più la

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pretesa di flessibilità favorevole al datore di lavoro che la prote-zione del lavoratore.

Vito Leccese sottolinea, nonostante le molteplici previsionidella contrattazione collettiva in materia, la oggettiva limitatezzadella legislazione di supporto agli strumenti di flessibilità nell’in-teresse del lavoratore dei quali si trova traccia praticamente solonei contratti collettivi, si pensi per esempio al c.d. flexitime o ai c.d.working time accounts.

Lo strumento della banca delle ore (combinato o meno alflexitime) consente al lavoratore, che abbia effettuato determinatequote di straordinari, di ottenere riposi compensativi, trasfor-mando lo straordinario in riposo. Tra le regole contenute neicontratti collettivi alcune significative riguardano il metodo diutilizzo dei crediti nel caso di saldi positivi, è segnalato che talvoltala contrattazione decentrata contiene clausole migliorative ri-spetto alla contrattazione nazionale.

La flessibilità oraria nel contratto a tempo parziale di cui ald.lgs. n. 81 del 2015 è rintracciabile nella possibilità, per le parti delrapporto contrattuale, di stipulare clausole elastiche relative allavariazione della collocazione temporale della prestazione lavora-tiva ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata,effettuando straordinari o lavoro supplementare.

L’intervento si è concluso rivolgendo l’attenzione ad alcunequestioni che rimangono aperte: su tutte, ci si è chiesti se ipropositi di miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro possano pas-sare solo attraverso disposizioni legislative di flessibilità favorevoleal datore di lavoro che già accentuano il suo potere unilaterale.

2.6. Paesi Bassi.

La regolamentazione olandese è racchiusa all’interno del Wor-king hours Act e nel Working hours decree, quest’ultimo, peraltro,contenente eccezioni generali e addizioni rispetto al primo.

Nella disciplina di base è previsto un massimo di orario setti-manale di 60 ore.

È del 2015 il Flexible Working Act che, tra le altre disposizioni,conferisce al lavoratore il diritto di chiedere adattamenti dell’ora-rio di lavoro e al datore di lavoro l’obbligo di considerare larichiesta.

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2.7. Spagna.

La disciplina spagnola sull’orario, di recepimento della diret-tiva europea, ha mantenuto la differenza tra orario di lavoronormale e straordinario (quest’ultimo veicolo di elasticità aggiun-tiva), conferendo alla contrattazione collettiva il compito di incre-mentare la flessibilità; il contratto collettivo di categoria, in molticasi, ne delega la disciplina al contratto aziendale nel quale sipossono trovare importanti regole inerenti alla distribuzione del-l’orario, ai turni di lavoro, alla pianificazione delle ferie.

A partire dal 2010, compaiono nei contratti collettivi — anchea livello nazionale — nuove clausole come la banca delle ore,utilizzabile nei casi di crescenti necessità produttive o in alterna-tiva alla cassa integrazione. Una delle riforme più recenti risale al2013, quest’ultima ha stabilito che le differenze derivanti dallairregolare distribuzione dell’orario di lavoro siano compensate neidodici mesi nel caso in cui il contratto collettivo non lo prevedaespressamente.

2.8. Regno Unito.

Jeff Kenner inquadra la disciplina dell’orario di lavoro, Wor-king Time Regulations del 1998, a partire dalle disposizioni limita-tive della durata massima settimanale, mutuate dal diritto euro-peo (48 ore settimanali in media nel periodo di riferimento consi-derato).

Egli differenzia, in particolare, due tipi di flessibilità: quella inlinea con gli obiettivi di tutela della salute e sicurezza dei lavora-tori (attuata principalmente dalla contrattazione collettiva) equella riconducibile all’opt out individuale dal limite massimodell’orario settimanale, cavallo di battaglia del Regno Unito inquanto strenuo sostenitore del mantenimento di questa disposi-zione nel testo della direttiva nei vari e falliti tentativi di revisione.

Anche Ewan McGaughey si sofferma sui diversi significatidella flessibilità: da un lato l’adeguamento del lavoro e dei suoiritmi alle esigenze del mercato e, in senso lato, organizzative, conla possibilità di incrementare the allocative efficiency; dall’altrol’adeguamento del lavoro all’essere umano e alle sue esigenze. Iltempo dedicato alla famiglia e agli interessi sociali renderebbe ilavoratori più contenti, incrementando the productive efficiency.

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3. Il lavoro dei gruppi.

3.1. Finalità delle regole sull’orario di lavoro.

Il gruppo numero uno (composto da L. De Meyer, H. Cavat, S.Bini, E. Maksimek, F. Carugno, V. Protopapa, A. Niebeek, N.Miniscalco) si è posto di fronte alle regole con un approccio finali-stico, avendo come scopo quello di ricostruire le rationales ricon-ducibili al tema del seminario.

La prima distinzione si sviluppa intorno alla ricostruzionedella finalità protettiva della salute e sicurezza dei lavoratori inrapporto alle diverse misure di flessibilità oraria: di competitività,bilanciamento lavoro-vita privata, di mantenimento o incrementodell’occupazione.

È stato imprescindibile, allora, il richiamo alla disciplina eu-ropea della direttiva 2003/88/Ce, finora solo citata da ciascuno deireport nazionali, ma necessario punto di riferimento per la armo-nizzazione delle regole nei vari contesti nazionali. La riflessionecomparativa, infatti, trova giovamento proprio dalla preliminareanalisi delle finalità comuni disegnate dalla fonte europea cherappresentano, allo stesso tempo, lo spazio di movimento — anchein termini di flessibilità delle regole — delle diverse soluzioniregolative nazionali sopra delineate.

Nella relazione di fine lavoro di gruppo, è richiamato il consi-derando n. 4 della direttiva secondo cui « il miglioramento dellasicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavororappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazionidi carattere puramente economico », strettamente connesso, peral-tro, al considerando n. 11 nel quale si legge che « le modalità dilavoro possono avere ripercussioni negative sulla sicurezza e sullasalute dei lavoratori; l’organizzazione del lavoro secondo un certoritmo deve tenere conto del principio generale dell’adeguamentodel lavoro all’essere umano »: sono, questi, gli orizzonti di sensodella disciplina dei limiti orari giornalieri e settimanali, dellostraordinario, delle pause e dei riposi, delle ferie.

Sono stati, di seguito, presentati i tre filoni giustificativi dellaflessibilità: la competitività, il bilanciamento lavoro-vita privata, ilmantenimento-incremento occupazionale.

Il primo fonda le proprie radici nel contesto globale di cam-biamento tecnologico che ha portato anche a nuovi modi di pro-durre e alla progressiva erosione del potere di negoziazione sinda-

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cale; la flessibilità diventa, così, sinonimo di deregolazione e dirimozione di ogni forma di rigidità. Per l’Italia, è emblematico ilrichiamo alla competitività rintracciabile nel testo del preamboloal d.l. n. 138 del 2011: « Ritenuta la straordinaria necessità edurgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria eper il contenimento della spesa pubblica al fine di garantire lastabilità del Paese con riferimento all’eccezionale situazione di crisiinternazionale e di instabilità dei mercati e per rispettare gliimpegni assunti in sede di Unione Europea, nonché di adottaremisure dirette a favorire lo sviluppo e la competitività del Paese e ilsostegno dell’occupazione », alla base della possibile derogabilità,da parte della contrattazione decentrata, di ogni disposizione dilegge o di contratto collettivo in materia di orario di lavoro (cfr.art. 8 co. 2 lett. d d.l. n. 138 del 2011).

Il bilanciamento lavoro-vita privata, favorito per esempio dalflexi time — diffuso in molti contesti nazionali (in Austria, Germa-nia, Italia...) — soprattutto grazie alla previsione collettiva, con-sente un innalzamento della produttività individuale e beneficiconseguenti anche sul piano economico complessivo. Nella rela-zione introduttiva al Flexible working Act olandese del 2016 si leggeche « A proper balance of work, care and education is of growingimportance to employees (...) research shows that employees are inneed of options to regulate their working time flexibility ».

La variazione oraria in funzione occupazionale è utilizzata inmolti Paesi, ad esempio in Francia e Olanda. In Spagna la legge n.3 del 2012 introduce “relevant mechanisms in the flexible organiza-tion of work and in the adaptation of working time to the professionaland personal needs of the workers, as well as instruments of redistri-bution of employment”.

In conclusione, viene posto in evidenza che la flessibilità del-l’orario di lavoro è paradigma dell’ambivalenza del rapporto dilavoro, la prospettiva del suo riequilibrio è raggiungibile, tuttavia,se la flessibilità è promossa dalle fonti regolative, sia in favore deldatore di lavoro che del lavoratore.

3.2. Fonti di regole e deroghe.

La ricostruzione del gruppo numero due (composto da F.Marasco, G. Pistore, A. Biagiotti, L. Christoph, N. Thoma, L.Malfettes, A. Cocaina, R. Linguelet) prende le mosse dal confrontodi senso tra source of regulation e source of deregulation: le regole

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sull’orario di lavoro e le disposizioni che ne eccettuano l’applica-zione. Talvolta, le eccezioni — di fonte collettiva o individuale —sono così ampie da superare addirittura le regole generali, leeccezioni diventano « nuove regole ».

Tra i fattori che favoriscono l’uno o l’altro approccio rileva: ilcontesto socio-politico, il fattore “crisi” se di lungo o di breveperiodo, la presenza di una cultura sindacale più o meno forte.

In alcuni Stati membri la tendenza più recente è quella delladecentralizzazione della contrattazione collettiva e delle scelteinerenti a diversi aspetti normativi del rapporto di lavoro, dal-l’analisi comparata è emerso che Italia, Francia e Spagna si muo-vono proprio in questa direzione.

Il gruppo si è avvalso di alcuni grafici per delineare il quadrocomparativo, con riferimento allo standard orario settimanale(n.1), ai periodi di riferimento per il flexitime (n. 2), agli standardper il riposo (n. 3), all’orario massimo giornaliero (n. 4), all’orariomassimo settimanale (n. 5):

GRAPHIC n. 1 (Legend: + = in favour of the employee; 1=primaryregulation; 2=first level derogation; 3=second levelderogation)

GRAPHIC n. 2 (Legend: 1= primary regulation; 2= first derogation;3= secondary derogation).

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GRAPHIC n. 3 (Legend: 1= primary regulation; 2= first derogation;3= secondary derogation).

GRAPHIC n. 4 (Legend: 1= primary regulation; 2= first derogation;3= secondary derogation; + = in favour of the em-ployee; — = in favour of the employer)

GRAPHIC n. 5 (Legend: 1= primary regulation; 2= first derogation;3= secondary derogation; + = employee; — = emplo-yer)

3.3. Definizioni.

Il terzo gruppo (composto da N. O’Connor, R. RodriguezMartin-Retortillo, J. De Wilde, S. Buoso, A. Mattei, L. Besnier, S.Bologna, L. Dornberger) ha riflettuto, invece, sull’ambito di ope-ratività delle definizioni afferenti al tema, a partire dall’art. 2 della

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direttiva 2003/88/Ce rubricato « definizioni » e descrivendo il qua-dro comparato, rilevandone omogeneità e differenze. È emersa, finda subito, la concezione binaria del tempo: è riposo « qualsiasiperiodo che non rientra nell’orario di lavoro, il riposo — in altreparole — è definito in negativo ma è ben evidente che, se i confinidella nozione di orario di lavoro non sono così chiari sarà difficile,altresì, definire cosa sia il riposo, una nozione che, peraltro, risultamolto ridotta. Parlare di definizioni è estremamente significativoperché, non solo consente di delineare l’ambito della doverosità maanche di stabilire quali frangenti temporali concorrano al raggiun-gimento dei limiti orari settimanali massimi e, correlativamente,del riposo necessario per la reintegrazione delle energie psico-fisi-che.

La nozione di orario di lavoro, ossia « qualsiasi periodo in cui illavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro enell’esercizio delle sue attività o funzioni », è stata oggetto dell’in-tervento della Corte di Giustizia che, con una serie di pronunce(Cfr. Simap, Jaeger, Dellas, Vorel, Grigore), ha stabilito come deb-bano essere combinati i tre criteri, se debba essere prevalente laloro lettura congiunta o disgiunta, arrivando a dire che la presenzadi due di questi, variamente combinati, costituisce orario di lavoroin conformità al diritto europeo.

Ci si sofferma su alcuni concetti importanti, definiti key words:on call time/stand by time, availability, workplace, activity/inactivity,remuneration/protective ratio.

In un’ottica comparata il gruppo di studio si è posto di frontealla eterogeneità delle soluzioni definitorie adottate in ciascunordinamento e nella gran parte dei Paesi considerati ha registratola presenza di una definizione di orario (seppur, molte volte,parziale): in Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Italia,Olanda; in Spagna, invece, non c’è una definizione legislativaesplicita.

Circa i contenuti, in tre dei Paesi considerati il testo è integral-mente mutuato dalla direttiva europea: in Italia, Regno Unito eOlanda.

Si rinvengono, invece, sfumature differenti in Germania(« working time is the time from the beginning to the end of the workwithout the recreation time), Belgio (« working time is the time duringwhich the worker is at the disposal of his employer ») e Francia (« is

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working time the time during which the worker is at the disposal of theemployer and without being able to conduct personal activity »).

Sopravvive, in tutti i contesti regolativi considerati, una zonagrigia nella quale rientrano gli intervalli di tempo non immediata-mente riconducibili alla nozione e oggetto di disposizioni collettiveo di pronunce giurisprudenziali: si pensi, in particolare, al tempodel viaggio e al tempo per indossare gli indumenti da lavoro.

Il tempo dello spostamento tra la propria abitazione e il postodi lavoro non è considerato orario di lavoro in tutti gli Statimembri mentre lo spostamento da un cliente all’altro è orario dilavoro in Regno Unito, Belgio, Spagna, Italia, Francia e Germania.Il tempo per indossare gli indumenti da lavoro, in linea di massima,non si considera orario di lavoro, tuttavia se la vestizione è richie-sta sul luogo di lavoro il tempo impiegato si considera orario inBelgio, Germania e Italia; in Spagna la contrattazione collettivapuò prevedere regole specifiche mentre in Francia è prevista, adeterminate condizioni, una remunerazione.

Vengono, in conclusione, sollevati alcuni interrogativi circa lacapacità dell’attuale nozione europea di orario di lavoro-riposo dimisurarsi con i nuovi modelli di lavoro dotati di una straordinariaflessibilità, si pensi allo smart working in cui il lavoratore gode diampia autonomia: ci si è chiesto come misurare, in tali circostanze,orario di lavoro e riposo, quali valutazione effettuare in materia disalute e sicurezza e di remunerazione.

La binarietà della definizione appare insufficiente così come lamancanza di una definizione positiva di riposo. È suggerita, alcontempo, l’individuazione di una definizione legale dei tempi c.d.del terzo tipo.

3.4. Modalità, strumenti e procedure di attuazione della flessi-bilità.

Il gruppo numero quattro (composto da V. Zwinger, S. DeGroof, L. Morel, C. Rabe-Rosendahl, E. D’Avino, M. Russo, A.Cimarosti, M. van Everdingen, N. Pauner, E. McGaughey) confi-gura la flessibilità dell’orario come uno tra i tanti modi di gestioneflessibile del rapporto di lavoro. Si parla, infatti, di flessibilità c.d.esterna, « in entrata » e « in uscita », di flessibilità salariale rappor-tata alla performance, di flessibilità funzionale o organizzativa e di

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flessibilità « interna » laddove l’orario di lavoro, lo straordinario, ilpart time acquistano un significato importante.

Le prime sollecitazioni riguardano il tipo di flessibilità esistenteo in aumento e se si possa sostenere che il lavoratore abbia dirittoo sia obbligato a essere flessibile.

Vengono affrontati, in ottica comparata, due strumenti diflessibilità: il contratto a tempo parziale e quello c.d. a zero ore.

Per quanto riguarda il primo, sono esposte le specifiche ragioniche possono giustificare il diritto ad avere una riduzione oraria inAustria, Francia, Italia, Spagna mentre in Belgio, Germania eOlanda sussiste, in generale, un diritto alla trasformazione delrapporto contrattuale in part time.

I contratti c.d. a zero ore sono ammessi in Belgio, Italia eOlanda (on call contracts), non così invece in Austria, Germania,Francia e Spagna. Secondo quanto rilevato questi ultimi paionoavere un impatto limitato nella pratica.

4. Conclusioni.

Al termine della presentazione di ciascun gruppo di lavoro,Stefano Bellomo ha tracciato linee di connessione e individuatospunti problematici relativi al tema flexible working time.

Le regole sull’orario di lavoro sono definite come « a borderlandbetween several values » rintracciabili nello scambio economico cor-rispondente al tempo speso al lavoro, nel bilanciamento tra lavoroe vita privata-familiare, nella protezione della salute e sicurezza.

Da questo deriva la fisiologica coesistenza o integrazione frafonti regolative di diversi livelli, così come emerge agli articoli 4, 6,8, 15, 17, 18, 19 della direttiva 2003/88/Ce e, in particolare, conriferimento all’art. 17 par. 2 della stessa e al sistema di deroghe.Succede molto spesso che le norme generali devolvano ad altrefonti — atti amministrativi o, più spesso, alla contrattazionecollettiva — la precisa determinazione dei limiti.

Alcune tra le tradizionali categorie del diritto del lavoro, qualiper esempio l’inderogabilità, richiedono un riadattamento e, indefinitiva, le regole sull’orario di lavoro risultano essere il terrenonaturale della flessibilità che talvolta è in crescita proprio comecondizione di sopravvivenza di alcuni sistemi economici e di man-

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tenimento dei livelli occupazionali nell’epoca della globalizzazionee delle delocalizzazioni.

La crescita del tasso di flexibilization molto spesso corrispondeall’estensione delle aree di intervento delle regole contrattuali,collettive o individuali.

Restano, allora, alcuni interrogativi sulla adeguatezza delleregole sull’orario di lavoro a raggiungere in maniera appropriata gliobiettivi che si pongono, restano oggi irrisolti alcuni problemidefinitori e quelli relativi alla connessione tra limiti orari e legisla-zione sui contratti flessibili. L’esigenza di coordinamento tra lefonti regolative dell’orario non è, al contempo, secondaria e poneuna importante responsabilità in capo alle parti sociali.

Stefano Bellomo ci ha posto, al termine, di fronte a un dupliceinterrogativo: come migliorare la flessibilità sostenibile rispettandoi limiti derivanti dai sottosistemi regolativi e come limitare laflessibilità possibile in vista e a fronte di tali inevitabili limiti?

Gli interrogativi e i motivi di approfondimento sistematico,restano ancora molti.

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INDICE

Elenco dei partecipanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V

Cronaca del congresso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XI

PARTE PRIMA

RELAZIONI E INTERVENTI

Giovedì 28 maggio 2015 - pomeriggio

Relazione

PASQUALE CHIECO, Crisi economica, vincoli europei e diritti fondamentali dei lavoratori. 5

Interventi

MATTIA PERSIANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139MICHELE CERRETA, Il problema del contemperamento tra le politiche di austerity e la

tutela dei diritti sociali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142VINCENZO DE MICHELE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148

Venerdì 29 maggio 2015 - mattina

Relazioni

ALBERTO PIZZOFERRATO, L’autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro. . . . . . . 159EDOARDO ALES, Diritti sociali e discrezionalità del legislatore nell’ordinamento multili-

vello: una prospettazione giuslavoristica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241

Interventi

DONATA GOTTARDI, In ricordo di Marcello De Cristofaro . . . . . . . . . . . . . . . . 297TIZIANO TREU, In ricordo di Mario Napoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305

Venerdì 29 maggio 2015 - pomeriggio

Interventi

DOMENICO GAROFALO, Perché è condivisibile Corte cost. n. 70/2015 . . . . . . . . . . . 317

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ALBERTO AVIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322MARÍA TERESA DÍAZ AZNARTE, Flessibilità interna e contrattazione collettiva in Spagna.

L’interpretazione dei diritti costituzionali in chiave economica . . . . . . . . . . 325ANNA TROISI, Diritto alla retribuzione (e alla contrattazione collettiva) ed esigenze di

finanza pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332MATTIA PERSIANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345MASSIMILIANO DELFINO, Sull’applicabilità delle norme lavoristiche della Carta dei diritti

fondamentali agli ordinamenti interni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 348VINCENZO FERRANTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355ANDREA LASSANDARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360ROSA CASILLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 366ALESSANDRO BELLAVISTA, C’è ancora un futuro per il diritto del lavoro . . . . . . . . . 371PASQUALE SANDULLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374MONICA MC BRITTON. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380ANTONELLA OCCHINO, Controllo di razionalità e funzionalizzazione del potere normativo. 385

Sabato 30 maggio 2015 - mattina

Interventi

GIUSEPPE SANTORO PASSARELLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393

Repliche

EDOARDO ALES . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407ALBERTO PIZZOFERRATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408PASQUALE CHIECO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 415

PARTE SECONDA

NOTIZIARIO A.I.D.LA.S.S.

Notiziario nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423Premio Ludovico Barassi - edizione 2014 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423Premio Francesco Santoro Passarelli - edizione 2014 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425Premio Massimo D’Antona - edizione 2014 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 427

PARTE TERZA

NOTIZIARIO INTERNAZIONALE

Seminario internazionale di diritto del lavoro comparato - Pontignano XXXII“Flexible working time”. Modena, 1-4 settembre 2015. Sintesi dei lavori a curadi STEFANIA BUOSO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 431

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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA SOCIALE

Annuario di Diritto del lavoro

01. I licenziamenti nell’interesse dell’impresa (1969), 8°, pag. IV-204.02. L’obbligo di fedeltà nel rapporto di lavoro (1970), 8°, pag. IV-176.03. La sistemazione didattica del diritto del lavoro nell’insegnamento universitario

(1970), 8°, pag. IV-144.04. La rappresentanza professionale e lo statuto dei lavoratori (1971), 8°, pag. IV-224.05. I poteri dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori (1972), 8°,

pag. IV-368.06. Statuto dei lavoratori ed enti pubblici (1974), 8°, pag. IV-228.07. Mansioni e qualifi che dei lavoratori: evoluzione e crisi dei criteri tradizionali (1975), 8°,

pag. IV-232.08. Il nuovo processo del lavoro (1977), 8°, pag. IV-292.09. Il rischio professionale (1977), 8°, pag. IV-176.10. La disciplina giuridica del lavoro femminile (1978), 8°, pag. IV-204.11. Il lavoro a termine (1979), 8°, pag. IV-268.12. Le sanzioni nella tutela del lavoro subordinato (1979), 8°, pag. IV-252.13. Innovazioni nella disciplina giuridica del mercato del lavoro (1980), 8°, pag. IV-236.14. Problemi giuridici della retribuzione (1981), 8°, pag. IV-216.15. Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello (1982), 8°, pag. IV-144.16. Prospettive del diritto del lavoro per gli anni ’80 (1983), 8°, pag. XII-340.17. L’intervento del giudice nel confl itto industriale (1984), 8°, pag. VIII-212.18. Rischio e bisogno nella crisi della previdenza sociale (1985), 8°, pag. VIII-180.19. Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro (1986), 8°, pag. VIII-296.20. Il tempo di lavoro (1987), 8°, pag. XII-264.21. Licenziamenti illegittimi e provvedimenti giudiziari (1988), 8°, pag. X-312.22. Lo sciopero: disciplina convenzionale e autoregolamentazione nel settore privato e pub-

blico (1989), 8°, pag. X-378.23. Rappresentanza e rappresentatività del sindacato (1990), 8°, pag. X-430.24. Licenziamenti collettivi e mobilità (1991), 8°, pag. X-322.25. Riforma pensionistica e previdenza integrativa (1994), 8°, pag. VIII-220.26. Autonomia individuale e rapporto di lavoro (1994), 8°, pag. X-252.27. Il dialogo fra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale del lavoro (1994), 8°,

pag. X-338.28. Il processo del lavoro: bilancio e prospettive (1994), 8°, pag. VIII-240.29. Poteri dell’imprenditore, rappresentanze sindacali unitarie e contratti collettivi (1996),

8°, pag. X-248.30. Lavoro e discriminazione (1996), 8°, pag. X-404.31. Le trasformazioni dei rapporti di lavoro pubblico e il sistema delle fonti (1997), 8°,

pag. XX-410.32. Autonomia collettiva e occupazione (1998), 8°, pag. VI-300.33. Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro (1999), 8°, pag. X-292.34. Diritto del lavoro e nuove forme di decentramento produttivo (2000), 8°, pag. XVIII-392.35. Il diritto del lavoro alla svolta del secolo (2002), 8°, pag. IV-392.36. Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro (2002), 8°, pag. IV-558.37. Interessi e tecniche nella disciplina del lavoro fl essibile (2003), 8°, pag. X-778.38. Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme (2005),

8°, pag. IV-396.39. Rappresentanza collettiva dei lavoratori e diritti di partecipazione alla gestione delle

imprese (2006), 8°, pag. X-510.40. Il danno alla persona del lavoratore (2007), 8°, pag. XIV-472.41. Formazione e mercato del lavoro in Italia e in Europa (2007), 8°, pag. XII-462.42. Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro (2008), 8°, pag. VIII-560.43. Inderogabilità delle norme e disponibilità dei diritti (2009), 8°, pag. VI-416.44. La fi gura del datore di lavoro - Articolazioni e trasformazioni. In ricordo di Massimo

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240/2010, a cura di Marina Brollo e Raffaele De Luca Tamajo (2011), 8°, pag. XIV-476.47. Le relazioni sindacali nell’impresa (2012), 8°, pag. VIII-450.48. Il diritto del lavoro al tempo della crisi (2013), 8°, pag. XII-610.49. La crisi economica e i fondamenti del diritto del lavoro (2014), 8°, pag. X-428.50. Clausole generali e diritto del lavoro (2015), 8°, pag. VIII-594.51. Lavoro, diritti fondamentali e vincoli economico-fi nanziari nell’ordinamento multilivel-

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