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Le emozioni nello sport. Teorie di riferimento e pratica per allenare, valutare, conoscere emozioni nello sport Prof.ssa Francesca Vitali Università degli Studi di Genova Macerata, 25 novembre 2007 Associazione Italiana di Psicologia dello Sport Comitato Regionale Marche

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Le emozioni nello sport.Teorie di riferimento e pratica per allenare, valutare, conoscere emozioni nello sport

Prof.ssa Francesca VitaliUniversità degli Studi di Genova

Macerata, 25 novembre 2007

Associazione Italiana di Psicologia dello Sport Comitato Regionale Marche

Prof.ssa Francesca Vitali

Il cuore ha le sue ragioniche la ragione non conosce.

B. Pascal, Pensieri

Le EMOZIONI fanno parte di tutti gli eventi della nostra vita, inclusi lo sport e l’esercizio fisico.

COSA SONO LE EMOZIONI?

Questa domanda fu posta da W. James nel 1884, cui rispose dicendo che un’emozione è la percezione del cambiamento corporeo (James, 1884). L’emozione sarebbe la percezione dell’attivazione del nostro corpo.Le prime risposte a questa domanda sono datate ben oltre 2 millenni di storia: la posizione di Aristotele sulle emozioni hainfluenzato profondamente la psicologia moderna. Egli ha introdotto il concetto di valutazione come fondamentale per la comprensione delle emozioni: il tipo di emozione provata dipende dalla valutazione che ne diamo, non a livello speculativo, ma a livello pratico.

Prof.ssa Francesca Vitali

Sul vasto oceano della vita veleggiamo,la Ragione è la mappa, ma la Passione è il vento.

A. Pope, An Essay on Man, Epistle II, 1733

Oggi la psicologia generale alla domanda…

COSA SONO LE EMOZIONI?

…risponde dicendo che le emozioni sono sensazioni o stati soggettivi temporanei (quando perdurano per una o più ore, le definiamo umori) (Atkinson et al., 1999).

Le emozioni sono di vario tipo (ansia degli atleti per la gara, irritazione di un allenatore per un errore di gioco, gioia dei fan per una vittoria) e variano per intensità (es. fastidio -> irritazione -> risentimento -> indignazione -> rabbia).

Temporalità ed esperienze emotive

Esperienze emotive

Tem

pora

lità

secondi

minuti

ore

giorni

settimane

mesi

anni

vita

emoz

ion

i

sen

tim

enti

um

ori

trat

ti e

mot

ivi

tem

pera

men

to

(Adattato da Vallerand & Blanchard, 2000)

Prof.ssa Francesca Vitali

Le componenti delle emozioni

In ogni emozione è possibile distinguere almeno 4 componenti:

1. I pensieri (valutazione cognitiva): non è lo stimolo ambientale in sé o la sensazione soggettiva, ma l’interpretazione o valutazione cognitiva dell’ambiente o della sensazione che provoca le emozioni.

Es. Non vi irritate immediatamente se l’arbitro vi ammonisce per un fallo di gioco, ma vi sentirete crescere dentro la rabbia se pensate che il fallo non l’abbiate compiuto e l’arbitro non abbia prestato l’attenzione necessaria.

Prof.ssa Francesca Vitali

Le componenti delle emozioni

In ogni emozione è possibile distinguere almeno 4 componenti:

2. Le sensazioni soggettive: le sensazioni soggettive sono l’essenza delle emozioni. Si riferiscono alle esperienze consapevoli che un individuo vive durante un episodio emotivo. É più difficile discutere e analizzare le sensazioni in sè, piuttosto che gli stimoli che le hanno provocate.

Es. Se chiedete ad un giocatore di basket quali siano le sue sensazioni nel momento in cui si sta preparando per un tiro da 3 punti, probabilmente vi dirà che si sente impaurito, terrorizzato e in apprensione (Watson & Clark, 1992).

Prof.ssa Francesca Vitali

Le componenti delle emozioni

In ogni emozione è possibile distinguere almeno 4 componenti:

3. Le modificazioni fisiologiche: le emozioni sono sempre accompagnate da modificazioni fisiologiche (a livello del SNC e SNA che incidono sulla secrezione ormonale, modifiche nel ritmo respiratorio e circolatorio, pressione sanguigna, risposta galvanica della pelle, etc.).

Es. Un atleta vincente “non sta più nella pelle”, ad un atleta ansioso “si chiude lo stomaco”, “le gambe cedono” e “la bocca si secca”, un atleta atterrito “diventa bianco come un lenzuolo”.

Prof.ssa Francesca Vitali

Le componenti delle emozioni

In ogni emozione è possibile distinguere almeno 4 componenti:

4. Comportamenti espressivi e tendenze all’azione: gli studiosi hanno attribuito grande importanza al volto come strumento di espressione emotiva (studi di Izard (1979) sulle basi innate della espressione e percezione delle emozioni). Tendenze all’azione influenzano anche il modo in cui far fronte emozioni (coping).

Es. “Piango quindi sono triste” -> scoperta che il sistema periferico funziona anche in modo svincolato da quello centrale: sorridendo di più, potremmo avere più pensieri piacevoli ed essere più felici (Schwartz et al., 1976; McCanne & Anderson, 1987).

Es. Giocatore di basket che si sta preparando per un tiro da 3 punti(impaurito, terrorizzato e in apprensione), vorrebbe scappare madifficilmente lo farà: la tendenza alla fuga influenza comunque la sua performance?

Principali teorie delle emozioni1. TEORIA DI JAMES-LANGE

2. TEORIA DI SCHACHTER-SINGER

3. TEORIE DELLA VALUTAZIONE

4. LE TEORIE BIOLOGICHE: IPOTESI DEL FEEDBACK FACCIALE

StimoloAttivazione fisiologica e comportamenti specifici per un certo tipo di emozione

Emozione = sensazione delle modificazioni

fisiologiche

StimoloAttivazione fisiologica generale

Valutazione cognitiva

dell’attivazioneEmozione

Teoria del jukebox: la moneta è attivazione, la valutazione cognitiva ci fa scegliere la canzone. É l’attivazione che dirige l’emozione e la sua qualità.

Stimolo + Valutazione dello stimolo EmozioneChi viene prima? Per Zajonc (1980) l’emozione, per Lazarus (1982) la valutazione.

Espressione facciale Emozione

Per Izard (1977) le emozioni hanno base innata e sono caratterizzate da una sequenza fissa di eventi: espressione, sensazioni soggettive e modificazioni fisiologiche.

Un’analisi integrativa della ricerca/intervento sulle emozioni nello sport e nell’esercizio fisico

ANTECEDENTIdelle EMOZIONI

Fonte: Adattato da Vallerand & Blanchard (2000)

ESPERIENZE EMOTIVE

CONSEGUENZE delle EMOZIONI

Valutazioni cognitive

Schachter (1964)Arnold (1960)Weiner (1985)Vallerand (1987)Smith (1996)

Motivazioni

Deci & Ryan (1985)Nicholls (1984)Bandura (1997)

Emozioni

Sentimenti

Umori

Funzioni cognitiveForgas (1995)

Motivazione

Weiner (1985)

SaluteAndersen & Williams (1988)Smith (1986)

PerformanceHanin (1997)

Weiner(1985)

Fonte: Adattato da Vallerand & Blanchard (2000)

Stimolo-percezione

Vallerand(1987)

Smith(1996)

TEORIA PROCESSO PSICOLOGICO

EMOZIONI

Valutazionerisultato

Attribuzionecausale

Dimensione causale

Emozione generale

Emozione specifica

Sentimento stabile

(POS o NEG)

(POS o NEG)

Stimolo-percezione

Stimolo-percezione

Valutazione intuitiva e/o

analitica

Esperienza emotiva consapevole

Situazione oggettiva

Ansia di tratto

Meccanismi di difesa

Valutazioni

Analisi cognitiva delle emozioni

Ansia somatica

Deci & Ryan(1985)

Fonte: Adattato da Vallerand & Blanchard (2000)

Clima motivazionale

Nicholls(1984)

Bandura(1997)

TEORIA PROCESSO PSICOLOGICO

EMOZIONI

Motivazioni intrinseche

e motivazioni estrinseche auto-

determinate

Emozioni POS

Motivazioni estrinseche non

auto-determinate e assenza di motivazione

Emozioni NEG

Clima motivazionale

Coinvolgimento sugli obiettivi

Coinvolgimento sul sè

Emozioni POS

Emozioni NEG

Percezione di successo

o fallimentoSelf-efficacy Emozioni POS

Prof.ssa Francesca Vitali

Il senso di auto-efficacia

Il senso di auto-efficacia è una dimensione della personalità davvero fondamentale.Per senso di auto-efficacia si intende “la percezione e l’insieme delle convinzioni e aspettative riferite alle proprie capacità di organizzare e realizzare azioni necessarie alla gestione delle situazioni di un particolare contesto”(Bandura, 1977).Le aspettative di auto-efficacia determinano in quale misura e per quanto tempo gli sforzi saranno mantenuti, indipendentemente dagli ostacoli e dalle esperienze negative.

Prof.ssa Francesca Vitali

Il senso di auto-efficaciaIn generale, un individuo mantiene il suo impegno in un’attività nuova (e difficile) se ha fiducia nella sua capacità di condurla a termine in modo positivo e se èmotivato a raggiungere un determinato obiettivo.In termini operativi, l’auto-efficacia viene definita come la fiducia che una persona ripone nelle proprie capacità di affrontare un compito specifico (Bandura, 1986).L’auto-efficacia è il giudizio che ogni persona possiede circa le proprie capacità personali di agire Le convinzioni di auto-efficacia influenzano il modo in cui le persone pensano, si sentono, trovano delle fonti di motivazione personali e agiscono (Bandura, 1995).

Prof.ssa Francesca Vitali

Il concetto di auto-efficacia e affini

Concetto di sé: l’insieme delle idee su se stessi, frutto della propria esperienza diretta e le valutazioni degli altriStima di sé (autostima): è un giudizio di valore personale, mentre l’auto-efficacia è un giudizio di capacità personaleMotivazione alla competenza (effectance): è un bisogno umano intrinseco di affrontare in modo efficace l’ambienteControllo di sé: è il controllo personale che consente di prevedere gli eventi e determinarli. Pulsione innata o incentivo?Aspettative: le convinzioni di efficacia sono il giudizio circa la propria capacità di eseguire una prestazione, mentre un’aspettativa è un giudizio sulla probabile conseguenza che tale prestazioni produrrà (su di sé, sul controllo, sul risultato)

Prof.ssa Francesca Vitali

Le fonti delle convinzionidi auto-efficacia

Bandura (1995) identifica almeno 4 fonti principali:1. Le esperienze di gestione efficace, quelle in cui una

persona affronta con successo una certa situazione, costituiscono la via più proficua per acquisire un forte senso di auto-efficacia

2. L’esperienza vicaria, fornita dall’osservazione di modelli: vedere persone simili a noi che raggiungono i propri obiettivi con l’impegno e l’azione personale aumenta la convinzione di riuscire in situazioni analoghe

3. La persuasione verbale: le persone convinte verbalmente di possedere determinate capacità per agire efficacemente, hanno più probabilità di attivare impegno migliore e di ottenere risultati POS

4. Gli stati fisiologici, affettivi ed emotivi sono elementi su cui le persone si basano per valutare le proprie capacità (es. condizioni fisiche POS aumentano il senso di auto-efficacia)

Prof.ssa Francesca Vitali

La percezione degli statifisiologici e affettivi

Parte delle proprie convinzioni di auto-efficacia sono basate sulla percezione delle informazioni somatiche e corporee, legate agli stati fisiologici e affettivi e alle EMOZIONI che le persone costantemente esperiscono.Tali indicatori sono particolarmente importanti nell’ambito di prestazioni fisiche (es. sport), del fronteggiamento degli stressor, dello stato di salute individuale.Es. la percezione dell’attivazione è una fonte da cui in parte

dipendono le convinzioni personali di autoefficacia (tale percezione è una questione ancora scarsamente conosciuta, che solleva molti interrogativi tuttora insoluti: effetti di distorsione, effetti legati all’umore...)

Prof.ssa Francesca Vitali

Il senso di auto-efficacia e lo sport

Lo studio dell’auto-efficacia in ambito sportivo è centrale perchèconsente di:comprendere alcuni processi cognitivi legati allo sviluppo di abilitàsportive e atleticheconoscere e migliorare metodi di apprendimento motoriocomprendere il contributo del senso di auto-efficacia sull’acquisizione di abilità motorieanalizzare alcuni processi cognitivi che regolano la prestazioneatleticaconsiderare l’importanza del senso di auto-efficacia nella scelta degli obiettivi (cfr. goal setting)comprendere il ruolo dell’auto-efficacia nelle abilità di gestione dello stress e dell’ansia connessi alle competizioni...

Prof.ssa Francesca Vitali

Il senso di auto-efficacia e lo sport

…valutare il ruolo delle convinzioni dell’auto-efficacia nella gestione dei momenti di crisi e di insuccessoindagare il rapporto fra auto-efficacia e capacità di controllo della fatica, del dolore, della ripresa da infortunivalutare l’effetto delle convinzioni di auto-efficacia sulla prestazione sportiva (amatoriale, agonistica, estrema)comprendere appieno il ruolo dell’allenatore nello sviluppo e nel mantenimento dell’auto-efficaciaanalizzare il ruolo dell’auto-efficacia nei contesti collettivi (es. sport di squadra)indagare il legame fra convinzioni di auto-efficacia, pratica dell’esercizio fisico, stile di vita attivo/sedentario

Prof.ssa Francesca Vitali

Lo stressIl termine stress deriva dagli studi applicati di ingegneria meccanica, lett. “sfregamento di materiali, logorio”Buona parte delle nostre conoscenze derivano dagli studi pionieristici di Hans Selye, biochimico ed endocrinologo, a partire dagli anni ‘20Selye (1956) ha definito lo stress come “una risposta aspecifica di attivazione esibita dall’organismo quando deve affrontare un’esigenza”Selye (1956) ipotizza l’esistenza di una configurazione generale di risposta allo stress, indipendente dalla fonte di stress, che aiuta la persona a fronteggiarlo, detta Sindrome Generale di Adattamento (General Adaptation Syndrome)

Prof.ssa Francesca Vitali

Lo stress

Secondo Selye (1956) lo stress è una reazione fisiologica adattativa, caratteristica della vita, che assume un significato NEG, spiacevole o patogeno, solo se prodotta in modo troppo intenso, per periodi di tempo lunghi e se non si accompagna a risposte efficaci

Selye (1956) distingue 2 tipi di stress:(1) eustress, stress POS (necessaria attivazione)(2) distress, stress NEG (eccessiva attivazione)

Per approfondire:Favretto G. (1994), Lo stress nelle organizzazioni, Il Mulino, Bologna

Prof.ssa Francesca Vitali

La Sindrome Generale di Adattamento(Selye, 1956)

Selye (1956) parla di una Sindrome Generale di Adattamento comeuna “configurazione generale di risposta allo stress” che procede secondo 3 stadi successivi:(1) reazione d’allarme: cambiamenti fisiologici (aumento di: frequenza cardiaca e respiratoria, secrezioni endocrine, attivitàghiandole sudoripare, temperatura corporea, pressione sanguigna,tensione muscolare) prodotti dall’attivazione del sistema nervoso autonomo, in particolare dal sistema simpatico(2) stadio della resistenza: le persone si riprendono dall’allarme iniziale e cercano di affrontare lo stress, tanto che i livelli fisiologici ritornano alla normalità, ma è calma apparente, poiché nello sforzo di resistere allo stress si consumano molte risorse fisiche ed emotive

(3) esaurimento: se lo stress continua, si può avere esaurimento, le risorse diminuiscono e si possono avere danni anche gravi e duraturi

Prof.ssa Francesca Vitali

Il sistema nervoso autonomo

Il sistema nervoso autonomo si divide in:(1) simpatico(2) parasimpaticoQuesti 2 sottosistemi sono spesso antagonistiEs. il sistema parasimpatico costringe la pupilla, stimola il

flusso di saliva e rallenta il cuore, mentre il sistema simpatico ha effetti opposti in ognuno di questi casi

Solo in rari casi i 2 sottosistemi tendono ad interagire in modi complessi (es. stati di paura e di eccitazione)Mentre il sistema parasimpatico tende ad agire su un organo alla volta, quello simpatico agisce come un’unità

Prof.ssa Francesca Vitali

I costi dello stressSecondo il modello di Selye (1956), una volta che le persone si adattano ai fattori di stress, le loro risposte sembrano ridursi al minimo, come prevede lo stadio della resistenza (es. il rumore che prima infastidiva, dopo viene appena notato)Una volta terminato il periodo di resistenza, si può avere una doppia reazione: alla fonte di stress e allo sforzo di resistenza, fatto per contrastarloGlass a Singer (1972) da uno studio su alcuni militari che subito dopo la fine di un corso difficile e stressante furono presi da forte ansia, concludono che “lo sforzo d’adattamento può rendere più difficile, in seguito, contrastare richieste e frustrazioni ambientali e tale difficoltà può essere descritta come il costo psichico dell’adattamento a eventi stressanti”

Prof.ssa Francesca Vitali

I costi dello stressDi stress ci si ammala. Una via attraverso la quale lo stress può provocare malattie fisiche è l’adattamento che richiede alle personeLe malattie psicosomatiche sono dette anche malattie da adattamento perché hanno origine nel tentativo della persona di adattarsi allo stressA volte il termine psicosomatico è usato in modo improprio e viene applicato a sintomi patogeni solo di natura mentale, invece le malattie psicosomatiche sono reali malattie fisiche che devono essere curate da un medico (es. ipertensione; ulcere gastro-intestinali)Secondo la teoria della combinazione diatesi-stress (Sternbach, 1966; Schwartz, 1977; Gannon, 1981) per avere una malattia psicosomatica occorre sia una predisposizione biologica (diatesi), sia il verificarsi di eventi stressanti (stress)

Prof.ssa Francesca Vitali

I benefici dello stressChe lo stress abbia anche una dimensione POS, data l’usuale concezione dello stress, è un’idea controintuitivaI risultati delle ricerche mostrano però che le persone che hanno sperimentato precocemente situazioni di stress, da adulti si adattano meglio e più facilmente a contesti e situazioni nuove e stressantiAffrontare situazioni di stress sembra favorire la costruzione di maggiori risorse psicologiche, permettendo di affrontare lo stress in modo più efficace (Schonplug, Battmann, 1988)Se l’esposizione allo stress avrà risultati POS o NEG può dipendere dal fattore stress in sé, dalla fonte di stress o stressor, e dallo stadio di sviluppo: la positività o meno dello stress ècorrelata all’età (lo stress sembra influenzare più NEG i bambini più piccoli, mentre è più POS per gli adolescenti e gli adulti)

Prof.ssa Francesca Vitali

Costi e benefici dello stress

Contrastare lo stress può essere utile sul momento, ma può arrivare un duro contraccolpo a causa della doppia reazione (dovuta allo stressor e allo sforzo di resistenza)Il modello a 3 stadi successivi di Selye (1956) spiega quali possano essere i costi dello stress e come possa portare all’esaurimento delle risorse fisiche e psichiche personaliLa gestione dello stress non conduce necessariamente le persone all’esaurimento delle proprie risorse e/o a malattie psicosomatiche: ci possono essere reazioni POS allo stress, che ne determinano una buona ed efficace gestione

Prof.ssa Francesca Vitali

Le fonti di stress

In generale, lo stress deriva da richieste dell’ambiente alla persona

AMBIENTE PERSONA

STRESSLe fonti di stress o stressor possono essere molto diverse, ma ascrivibili ad almeno 2 macro categorie:(1) fonti fisiche (es. deprivazione dei bisogni fisiologici, fame, sete, sonno; stimoli sensoriali, rumore, vibrazioni; stimoli dolorosi; situazioni di pericolo; malattia)(2) fonti psicologiche (es. eventi della vita ed eventi traumatici; le difficoltà; i conflitti; i successi e gli insuccessi; i cambiamenti; l’isolamento sociale)

Prof.ssa Francesca Vitali

Le fonti di stress nello sportJanke (1976) individua 5 categorie di stressor relativi all’ambito sportivo:

1. Stressor esterni: legati all’ambiente (es. sport acquatici; sport in ambienti estremi); alla deprivazione sensoriale (es. cuffie nel tiro a volo); al rischio di infortuni

2. Stressor dovuti alla deprivazione dei bisogni primari (es. fuso orario può disturbare il sonno; condizioni climatiche non ottimali)

3. Stressor da prestazione: eccessiva pressione fisica e psichica; eccessiva monotonia e ripetitività degli allenamenti; gli insuccessi

4. Stressor sociali: i conflitti (es. con allenatori, compagni, genitori, altre figure di riferimento o con la scuola); l’isolamento sociale (es. continui viaggi, molti impegni possono portare a trascurare gli affetti)

5. Altri stressor: processi decisionali difficili; incertezze sul proprio futuro agonistico; ecc.

Prof.ssa Francesca Vitali

Lo stress e l’ansia:il modello dell’ansia cognitiva

Una delle risposte psicologiche suscitata dalla maggior parte degli stressor è l’ansiaMolte delle modalità di fronteggiamento dello stress sono mirate a ridurre l’ansia che può essere tanto intensa da divenire a sua volta una fonte di stress

Che cos’è l’ansia?“Una reazione psicologica di paura verso eventi stressanti”

Quali sono le cause?Sulle cause incide la percezione soggettiva dello stressor :Es. - eventi della vita quotidiana

- paure fondate e/o stati emotivi irrazionali- sintomi patologici, fisici e mentali- ...

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Le teorie dell’apprendimentoe la gestione dello stress

Le teorie dell’apprendimento affermano che le strategie di contrasto dello stress siano risposte di evitamento appreso, attraverso relazioni risposta-rinforzo, per ridurre l’ansiaI comportamenti di evitamento vengono usati finché si dimostrano capaci di ridurre l’ansiaUn’estensione di questa idea è il concetto di “impotenza appresa” (learned helplessness), che descrive il fenomeno per cui alcune persone che hanno appreso che nessuna loro riposta può modificare quanto accade loro, si “arrendono”, smettono di agire e sopportano passivamente

Non è necessariamente una risposta NEG, darsi per vinti può ridurre l’ansia e lo stress

Ma le sole strategie di evitamento non bastano, ci sono casi in cui è indispensabile affrontare gli stressor

Prof.ssa Francesca Vitali

L’approccio cognitivoe la gestione dello stress

L’interpretazione cognitiva e la percezione personale da parte di un individuo influenza l’esperienza e la gestione dello stressLazarus e Folkman (1984) descrivono lo stress come frutto degli stimoli dell’ambiente sulla persona, in cui la percezione che il soggetto ha della richiesta ambientale e delle proprie risorseper farvi fronte è la variabile di mediazione critica

STRESS

AMBIENTE PERCEZIONE PERSONA- richiesta ambientale- risorse personali

Prof.ssa Francesca Vitali

I modi di fronteggiare lo stress

Secondo l’approccio cognitivo le risposte di contrasto allo stress si possono dividere almeno in 2 tipologie fondamentali (Lazarus e Folkman, 1984):

(1) contrasto focalizzato sull’emozione: strategie di contrasto per controllare e gestire l’ansia, inducendo stati emotivi e di coscienza POS (es. tecniche di rilassamento)

(2) contrasto focalizzato sul problema: strategie di contrasto per tentare di modificare la situazione di stress stessa (es. tentativi di cambiare la situazione, di sviluppare nuove abilità necessarie per controllare le richieste ambientali)

Prof.ssa Francesca Vitali

Il processo di attivazioneManca una definizione unitaria, ce ne sono molteplici:

Magill (1990) descrive il processo di attivazione come sinonimo di motivazioneCox (1994) sostiene che l’attivazione è uno stato di allerta, dovuto a uno stato fisiologico di prontezzaMartens (1987) non parla di attivazione, ma di energia psicologica, caratterizzata da vigore, vitalità e intensità, che rappresenta il fondamento della motivazioneSpielberger (1966) afferma che l’attivazione non dovrebbe essere associata al concetto di ansia, poiché questa è associata a vissuti NEG, mentre l’attivazione è uno stato di prontezzaper rispondere agli stimoli

Prof.ssa Francesca Vitali

Il processo di attivazione

Per attivazione (arousal) si intende una condizione di energia e di prontezza

generalizzata, che ci rende capaci di percepire, analizzare e rispondere

efficacemente agli stimoli esterni o interni

(Terreni e Occhini, 1997).

Prof.ssa Francesca Vitali

Il processo di attivazione

Il processo di attivazione si può intendere come un…CONTINUUM

Sonno Veglia rilassata Veglia vigile Condizione di NREM* e attenta problem solving

*Sonno non paradosso, con respirazione, battito cardiaco e temperatura regolari e muscolatura con un certo tono. Contrapposto al sonno REM o sonno paradosso, che si ripete ogni 90 min. circa, per fasi sempre più lunghe (circa il 20% dell’attività di sonno)

Prof.ssa Francesca Vitali

Il processo di attivazione

Attivazione e attenzione sono processi strettamente connessi, ma non sovrapponibiliQuello di attivazione è un ambito di ricerca e di intervento importanteGli psicologi studiano il processo di attivazione per spiegare i processi messi in atto dalle persone per ottimizzare le loro prestazioni

In questo modo, si possono progettare metodi e strategie di intervento per supportare e migliorare le competenze e le abilità legate alla prestazione

Prof.ssa Francesca Vitali

Processi di attivazione e prestazione:modelli teorici

Modelli classici:Il modello della “drive theory” (Hull, 1943; Spence & Spence, 1966)Il modello della U capovolta (Yerkes, Dodson, 1908)

Modelli più recenti:La teoria della catastrofe (Fazey, Hardy, 1988)Il modello della “reversal theory” (Kerr, 1990)Il modello IZOF (Individual Zone of OptimalFunctioning) (Hanin, 1978, 1983, 1986, 1989, 1995, 1997)

Prof.ssa Francesca Vitali

Il modello della “drive theory”(Hull, 1943; Spence & Spence, 1966)

Secondo questo modello la prestazione (P) è una funzione della pulsione (D, drive), per la forza dell’abitudine (H):

P = D × HPer Hull (1943) la pulsione è un’attivazione fisiologica aspecifica che guida le persone al soddisfacimento dei bisogni, mentre l’abitudine è la prevalenza di risposte corrette o scorretteUn aumento dell’attivazione incrementa la probabilità che si manifesti la risposta dominante: se è corretta/scorretta, c’èmiglioramento/peggioramento della prestazioneEsiste una relazione lineare POS fra attivazione e prestazione

Prof.ssa Francesca Vitali

Il modello della “drive theory”(Hull, 1943; Spence & Spence, 1966)

Conferme dagli studi di Zajonc (1965): presenza di spettatori (D) facilita prestazione di compiti semplici, ma ostacola l’esecuzione di compiti complessi3 ragioni di critica di questo modello:(1) difficile da validare in ambito motorio, stabilendo gerarchie di abitudini che vadano da semplici a complesse(2) gli studi finora realizzati non hanno confermato il nucleo della teoria, che l’incremento dell’attivazione corrisponda all’incremento della prestazione(3) è esperienza comune degli atleti che un eccessivo livello di attivazione conduca a decremento della prestazione: ciò non è spiegato

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Il modello della U capovolta (Yerkes, Dodson, 1908)

Yerkes e Dodson identificano una relazione curvilinea fra prestazione e attivazioneLa prestazione è favorita da un grado di attivazione ottimale, al di sopra o al di sotto del quale la prestazione risulta deteriorataPrestazioni efficaci sono favorite da un’attivazione intermediaQuesto modello è stato indagato in ambito fisiologico, poiché il comportamento è visto come attivazione di specifiche aree di corteccia cerebrale

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Il modello della U capovolta (Yerkes, Dodson, 1908)

In psicologia dello sport molte ricerche hanno confermato tale modello (Martens, Landers, 1970; Sonstroem, Bernardo, 1982; Fenz et al., 1967, 1972)Una difficoltà per l’applicazione del modello è la determinazione del livello ottimale per l’esecuzione di compiti differenti, semplici e complessiOxendine (1970) classifica gli sport in funzione della complessità e del grado di controllo muscolare: da un lato, controllo specifico (es. atletica, tuffi), dall’altro controllo più globale (es. sollevamento pesi)I primi danno migliori prestazioni con livelli ridotti di attivazione, gli altri necessitano di attivazione più elevata

Prof.ssa Francesca Vitali

La teoria della catastrofe (Zeeman, 1976; Fazey, Hardy, 1988)

Teoria che tenta di spiegare le discontinuità del mondo fisico e matematico, poi applicata alle scienze socialiÈ un modello tridimensionale, formato da un fattore normale, un fattore splitting (determina effetti del fattore normale sulla variabile) e una variabile dipendente: la biforcazione è l’area dove il fattore normale ha un aumento o decrementoEs. (1) fattore splitting: ansia cognitiva

(2) fattore normale: attivazione fisiologica(3) variabile dipendente: prestazione sportivaLa relazione fra attivazione e prestazione varia in funzione del livello di ansia ed effetti NEG sulla prestazione si hanno solo con alti livelli di ansia

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La teoria della catastrofe (Zeeman, 1976; Fazey, Hardy, 1988)

Gould e Krabe (1992) riconoscono 2 aspetti POS del modello:(1) considera in modo integrato gli effetti dell’ansia e dell’attivazione fisiologica sulla prestazione(2) nella realtà la relazione fra attivazione e prestazione raramente si presenta in modo perfettamente simmetrico (come ipotizzato dal modello della U capovolta)Limiti attuali:- identifica in modo preliminare il fattore normale con l’attivazione fisiologica (non è chiara la relazione fra attivazione e ansia)- ha avuto scarse conferme empiriche

Prof.ssa Francesca Vitali

La teoria della catastrofe (Zeeman, 1976; Fazey, Hardy, 1988)

Prestazione

Superficiedi prestazione

Arousalfisiologico

Ansiacognitiva

BiforcazioneY

Z

X

Prestazione

Superficiedi prestazione

Arousalfisiologico

Ansiacognitiva

BiforcazioneY

Z

X

Prof.ssa Francesca Vitali

Il modello della “reversal theory”(Apter, 1984; Kerr, 1990)

Altro approccio allo studio della relazione fra ansia e prestazione, anche se in origine il modello prendeva in considerazione la relazione fra attivazione ed emozioniSi sostiene che la relazione fra attivazione ed emozioni dipende dall’interpretazione cognitiva del livello di attivazione:ALTA attivazione può essere interpretata:- eccitamento (POS) o ansia (NEG)BASSA attivazione può essere interpretata:- rilassamento (POS) o noia (NEG)Altro concetto guida è quello di metamotivazione, cioè i modi in cui un soggetto interpreta la motivazione

Prof.ssa Francesca Vitali

Il modello della “reversal theory”(Apter, 1984; Kerr, 1990)

Il modello ipotizza l’esistenza di diversi stati metamotivazionali, quelli introdotti in ps. dello sport sono:- stato TELICO (gr. Telos, obiettivo), per cui si preferisce livello basso di attivazione (rilassamento), mentre alto livello è associato ad ansia- stato PARATELICO, per cui si preferisce livello alto di attivazione (eccitamento), mentre basso livello è associato alla noiaLa teoria prevede che possano avvenire rovesciamenti (reversals) da uno stato metamotivazionale all’altro, a causa di (1) eventi contingenti, (2) condizioni frustranti, (3) saturazioneSebbene ogni persona abbia una predisposizione verso un certo stato metamotivazionale, può spostarsi verso l’opposto

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Ricerche e strumenti nomotetici ed idiografici

Le informazioni sono generalmente ricavate da ricerche e strumenti (es. scale e questionari) attraverso un approccio “nomotetico”, fondato cioè sui dati medi di più persone.Questi strumenti, in effetti, trascurano le differenze individuali nelle reazioni emozionali perché sono difficilmente sensibili alla complessità delle relazioni fra aspetti mentali e prestazione sportiva.L’approccio “idiografico”, orientato sul singolo può essere utilizzato in alternativa o ad integrazione dell’approccio nomotetico (Dunn, 1994; Martens, 1987b; Vealey, 1992).Lo scopo di questo approccio è di ottenere informazioni utili per programmare efficaci strategie di intervento mirate ai bisogni dell’atleta: in questa prospettiva si colloca il “Performance profiling” (Butler e Hardy, 1992; Butler, Smith e Irwin, 1993; Jones, 1993).

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Ricerche e strumenti idiografici

Un ulteriore interessante approccio idiografico è il “Modello individuale di funzionamento ottimale”(Individual Zones of Optimal Functioning, IZOF) (Hanin, 1978, 1983, 1986, 1989, 1995, 1997).Ricerche iniziali sull’ansia precompetitiva hanno dimostrato che non è il livello di ansia in assoluto di per sé importante, quanto il fatto che l’atleta prima della gara si trovi vicino o all’interno di una sua zona di intensità ottimale.Il modello e’ stato successivamente esteso all’intera gamma delle emozioni dell’atleta.

DIMENSIONI DELLE EMOZIONI

INIBENTI

Mancata mobilizzazione

energie e disturbo nell’utilizzo

Utilizzo inappropriato

energie e rischio sovraccarico

Mobilizzazionee utilizzo energie

Mobilizzazione energie

FACILITANTI

NEG

ATI

VE(S

piac

evol

i)

POSITIVE

(Piacevoli)

Il modello IZOF (Hanin, 1978, 1983, 1986, 1989, 1995, 1997)

Zona scadente

Emozionifacilitanti

Emozioniinibenti

All’interno della zona ottimale

Performance ottimale

Al di fuori della zona scadente

Al di fuori della zona scadente

Il modello IZOF

Zona scadente

Al di fuori della zona ottimale

Emozionifacilitanti

Emozioniinibenti

Zona ottimale

Il modello IZOF

Al di fuori della zona ottimale

Performance scadente

Zadro, I., e Robazza, C. (2000). Emozioni e prestazione in atletica leggera. Atleticastudi, 31 (1/2), 23-28.

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Punteggi medi degli scarti delle emozioni dalla prestazione ideale (10 gare)N = 34 velocisti (100, 200, 400) e ostacolisti (100, 110, 400)

Età: 18-32; livello medio e alto; M e F- la prestazione ideale corrisponde alla linea dello zero -

Profilo emozionale di un atleta d’élite (karateka).

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N- N+ P+ P-

Optimal ZonesDysfunctional Zones

Implicazioni pratiche del modello IZOF

Condizioni psicofisicheassociate alla prestazione

CONSAPEVOLEZZA

CONTROLLO

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Livelli di attivazioneÈ opinione diffusa tra atleti ed allenatori che per affrontare adeguatamente una prestazione sportiva, sia necessario incrementare il livello di attivazione dell’organismo, per ottenere soprattutto in gara la “carica” indispensabile per rendere al massimoTale convinzione non risulta sempre fondata alla luce delle teorie esaminateCi sono atleti preparati e fiduciosi nelle proprie capacitàche anche durante le competizioni sono tranquilli e solo moderatamente attivati

Buona gestione dell’attivazione per una risposta efficace alla situazione

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La regolazione dell’attivazione (1/2)

Ci sono situazioni ad eccessiva o a ridotta attivazione che necessitano di strategie per l’abbassamento o l’incremento del livello di attivazione

Per la regolazione dell’attivazione è importante:- analisi dei sintomi di attivazione eccessiva o ridotta- tecniche per la riduzione dell’attivazione- tecniche per l’incremento dell’attivazione

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La regolazione dell’attivazione (2/2)

Per una buona prestazione sportiva è fondamentale che l’attivazione risulti ad un livello ottimaleTale livello è soggettivo e deve essere riconosciuto sulla base dell’esperienza e dell’analisi dei sintomiLa competenza legata all’autoregolazione del proprio livello di attivazione è fondamentale e decisivo per una buona prestazione sportiva

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Sintomi di attivazione eccessivaSINTOMI di attivazione eccessiva:(1) fisici: aumento della tensione muscolare, del battito cardiaco, della frequenza respiratoria, sensazione di fatica(2) comportamentali: stati di agitazione generalizzata, aumento di reazioni irrazionali(3) psicologici: dialogo interno NEG, pensieri irrazionali, riduzione della motivazione, livello di attenzione ristretto, stati d’animo spiacevoliCAUSEValutazioni cognitive di elementi che favoriscono l’affermarsi di tale stato (es. richieste ambientali, risorse individuali, conseguenze della prestazione, significato soggettivo attribuito a tali conseguenze), mediate dalla fiducia e dalla consapevolezza di sé

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Sintomi di attivazione ridotta

SINTOMI di attivazione ridotta:(1) fisici: abbassamento della tensione muscolare, del battito cardiaco, della frequenza respiratoria, ridotta energia psicofisica(2) comportamentali: azioni lente, svogliate, imprecise(3) psicologici: scarsa motivazione, livello di attenzione basso, sentimento di distanza dal contestoCAUSEEccessiva sicurezza personale, ridotta motivazione o mancanza d’interesse

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Tecniche per la riduzione dell’attivazione

Zaichkowsky e Takenaka (1993) ne presentano una rassegna:Il controllo del respiro, per indurre uno stato di rilassamentoIl rilassamento progressivo neuromuscolare, per la riduzione volontaria del tono muscolare per ottenere la calma (esercizi digraduale contrazione-distensione muscolare associati ad un programma di decondizionamento) (Jacobson, 1929)Il metodo del training autogeno (Schultz, 1966), simile al metodo precedente, che contempla in più la ripetizione di frasi affermative, semplici e breviLa pratica della meditazione, che determina abbassamento del consumo di ossigeno (Wallace & Benson, 1972)L’uso delle immagini mentali (imagery)La tecnica del biofeedback, per il controllo delle funzioni dell’organismo tramite l’uso di un apparecchio (es. EEG, FC)

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Tecniche per l’aumento dell’attivazione

Zaichkowsky e Takenaka (1993) ne fanno una rassegna:Il controllo del respiro e l’aumento del ritmo nella fase di inspirazione, può aumentare l’attivazioneEsercizi di stretching e di preparazione muscolare sono un ottimo sistema per l’attivazione organica e mentale (es. associazione di immagini mentali agli esercizi)Modalità individuali per l’aumento dell’attivazione e della motivazione e per tradurre sentimenti sgradevoli (es. rabbia) inenergia POSIl metodo del goal setting, stabilire obiettivi raggiungibili ma motivanti. Obiettivi realistici e chiari riducono l’ansia, aumentano la concentrazione e la fiducia in sé (Burton, 1989)

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Le immagini mentali

Quello delle immagini mentali è un tema importante per la psicologia dello sport, poiché rappresenta un terreno di studio e di intervento

Un po’ di terminologia:In ambito sportivo si usano termini diversi per illustrare il concetto di immagine mentale, come imagery, visualization, visual motor behavior rehearsal, ideomotortraining, visuomotor training…Il termine imagery traduce quello di immagine mentale

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I punti di vista dell’immaginazione

Esistono modi diversi di immaginare, in relazione a 2 punti di vista fondamentali:

(1) esterno: immaginare esternamente qualche cosa significa pensarla dall’esterno (es. immaginare la propria prestazione come se l’atleta vedesse un filmato su di sé)

(2) interno: immaginare internamente qualche cosa significa viverla nella propria mente (es. immaginare la propria prestazione come se l’atleta la stesse vivendo realmente)

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L’imageryRichardson (1969) definisce l’imagery come l’insieme delle esperienze quasi-sensoriali e quasi-percettive di cui siamo coscienti, che esistono in assenza degli stimoli che realmente determinano quelle specifiche reazioni sensoriali e percettiveCi sono 3 caratteristiche fondamentali delle immagini mentali:(1) il soggetto è consapevole dell’immaginazione(2) sono soggettive(3) la condizione psico-fisica che accompagna

l’immaginazione è determinata a livello mentale, in assenza degli stimoli reali

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L’imagerySuinn (1983) distingue fra:- ripetizione mentale (attività cognitiva che non coinvolge immagini mentali)- ripetizione delle immagini mentali (esercizio mentale specifico, in cui le immagini mentali, generalmente in movimento, sono caratterizzate da sensazioni e percezioni e causano reazioni fisiologiche)Es. gesto atletico: schiacciata nella pallavolo- ripetizione mentale: ripetizione degli elementi strutturali

del gesto atletico (3 passi, doppio appoggio, il salto)- ripetizione dell’immagine mentale: vedersi (pdv esterno)

o sentirsi (pdv interno) nell’atto di eseguire il gesto atletico

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La teoria dell’attivazioneSecondo la teoria dell’attivazione l’imagery favorisce l’instaurarsi di un livello di attivazione ottimale, necessario per una buona performance sportivaL’uso delle immagini mentali permetterebbe:(1) la gestione efficace dell’attenzione, facendo

concentrare l’atleta solo sui pensieri rilevanti per un compito specifico

(2) di preparare l’atleta all’azione, sviluppando livelli di attivazione ottimali

(3) di gestire lo stress, creando un livello minimo di tensione (distress) che consenta una performance sportiva ottimale

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La teoria dell’attivazioneFeltz e Riessinger (1990) hanno scoperto che l’imagery ha un ruolo importante come attivatore della resistenza allo sforzo fisico e alla faticaLee (1990) ha evidenziato come anche il contenuto delle immagini mentali sia fondamentale per il miglioramento della performance:

l’uso di immagini mentali rilevanti per il compito da svolgere (es. immagine di un gesto atletico specifico) migliora la prestazione rispetto all’uso di generiche immagini mentali (es. generica immagine mentale per indurre uno stato mentale POS)

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L’attenzione

L’attenzione è il processo attraverso il quale elaboriamo attivamente una quota limitata di informazione a partire dall’enorme quantità di

informazione di cui disponiamo attraverso i sensi

SensazioniRicordi ATTENZIONE AZIONIPensieri

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L’attenzioneRappresenta un processo cognitivo complesso, indispensabile per la nostra vita

William James (1890) afferma che “focalizzazione e concentrazione della coscienza sono la sua essenza”

Come funziona l’attenzione?

Il nostro SNC potremmo definirlo a “capacità limitata di canali”: tutte le informazioni in entrata devono passare attraverso un solo canale nel medesimo punto e in un certo momento riesce a passare solo un tipo di informazione( FILTRO)

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Lo studio dell’attenzione

Gli studi sull’attenzione si sono concentrati almeno su 4 aspetti importanti:(1) la selettività dell’attenzione(2) attenzione come processo a capacità limitata

di gestire informazioni(3) il rapporto fra attenzione e attivazione(4) l’orientamento e la gestione dell’attenzione

nell’elaborazione dell’informazione

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La selettività dell’attenzione

Il fenomeno della attenzione selettiva è il processo per cui, in una data situazione, alcune informazioni vengono selezionate per essere trattate, mentre altre vengono ignoratePer gli atleti è vitale selezionare le informazioni corrette e ignorare quelle irrilevanti, per fornire una risposta efficaceEsperti e principianti si differenziano nelle abilitàdi gestire l’attenzione selettiva, legate a competenze specifiche acquisite e consolidate tramite l’allenamento (Starkes e Deakin, 1984)

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Attenzione come processo a capacità limitata

Gli esseri umani hanno una capacità limitata di trattare più informazioni contemporaneamente.Nonostante le limitazioni, le capacità attentive non sono rigidamente fisse, possono modificarsi con flessibilità.L’attenzione più che su uno stimolo unico, può suddividersi in processi paralleli.L’attenzione non è una singola risorsa, ma un insieme di risorse, ognuna corrispondente ad una certa capacità preposta ad affrontare certi tipi di processi informativi (McLeod, 1977).

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Attenzione come processo a capacità limitata

L’attenzione può, nello stesso momento, essere orientata su fasi separate del processo di azione.Due compiti simultanei ma efficaci, richiedono che almeno uno dei due necessiti di attenzione moderata o debba essere eseguito automaticamente (problema del doppio compito).Il criterio dell’interferenza è fondamentale per conoscere se un compito richiede attenzione.L’allenamento rappresenta un modo per ridurre tale interferenza.

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Attenzione come processo a capacità limitata

Molti atleti e campioni affermano di essersi trovati in una condizione automatica quando hanno fornito le loro prestazioni migliori (Kreiner-Phillips e Orlick, 1993).Gli atleti quando forniscono prestazioni efficaci si trovano in una condizione di estrema focalizzazione(attenzione), ma senza la percezione dell’impegno fisico e mentale che stanno producendo, con l’impressione di eseguire in automatico la propria prestazione e si percepiscono più fiduciosi e pronti alla sfida (Csikszentmihalyi, 1975).Lo stato di FLOW è quello in cui una persona è immersa quando è rapita dall’attività che sta facendo tanto da non preoccuparsi di altro e l’esperienza è così piacevole che la continuerà nonostante i costi Csikszentmihalyi, 1990, pag. 4).

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Attenzione come processo a capacità limitata

Per principianti e atleti meno esperti, prevalgono processi controllati volontariamenteLa pratica e l’allenamento conducono all’automatizzazione, attivando sequenze motorie tramite la memoria a LT

CONTINUUMProcessi Processicontrollati automatici

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Attenzione e attivazione

Attenzione e attivazione sono processi strettamente connessi, ma non sovrapponibiliKanheman (1973) afferma che la quantità di capacitàattentiva disponibile in un dato momento dipende dal livello di attivazioneIl rapporto fra attenzione e attivazione è stato studiato seguendo il modello della U capovolta(La prestazione è favorita da un grado di attivazione ottimale, intermedia, al di sopra o al di sotto del quale la prestazione risulta deteriorata)

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L’orientamento dell’attenzioneLo studio dell’orientamento dell’attenzione fornisce risposte sul trattamento dell’informazione nello sportL’orientamento più studiato è quello visivoIl FOCUS ATTENTIVO aumenta con il livello di competenza sportiva ma anche in relazione al tipo di disciplina praticata:

(1) sport open skill : la prestazione si adatta ai continui cambiamenti dell’ambiente; attenzione diffusa è la più efficace per un’analisi globale

(2) sport closed skill : la prestazione si svolge in condizioni ambientali relativamente costanti; attenzione mirata su piccola parte del campo è la più efficace

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Lo stile cognitivo

Le persone affrontano la loro realtà quotidiana con un determinato stile personale di percepire, apprendere, ricordare o immaginare la propria attivitàLo stile cognitivo personale di un atleta riveste grande importanza nell’influenzare la sua attivitàNideffer (1976) ha applicato per primo tale concetto alla psicologia dello sport, elaborando:(1) un sistema di valutazione dello stile attentivo

(Test of Attentional and Interpersonal Style, TAIS)

(2) un metodo di allenamento per incrementare l’attenzione (“Attention control training”)

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Lo stile cognitivo(Nideffer, 1976, 1985, 1992, 1993)

Il modello di Nideffer si articola su 4 punti chiave:(1) I processi attentivi possono considerarsi sia tratti

distintivi della personalità sia condizioni di stato(2) Differenti tipi di sport richiedono differenti stili

cognitivi(3) L’efficacia della prestazione dipende dal grado

in cui lo stile cognitivo è compatibile con le richieste ambientali

(4) L’abilità di servirsi di uno stile cognitivo adeguato alla situazione è correlata al livello di attivazione generale dell’atleta

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Migliorare la concentrazionenello sport

L’interesse per lo studio dei processi cognitivi si èaccompagnato a quello per la costruzione di programmi di sviluppo delle abilità mentaliGli psicologi dello sport hanno elaborato diverse tecniche, strategie e didattiche per migliorare le abilità mentalies. - allenamento dell’attenzione

- tecnica del goal setting- pianificazione di routine pre-performance- gestione del dialogo interno POS (self talk)- uso di immagini mentali

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L’allenamento dell’attenzione

Lo scopo di migliorare la capacità di focalizzazione è quello di eliminare pensieri irrilevanti, tensioni eccessive e orientare il focus attentivo solo su ciò che è rilevante per la prestazioneCi sono molte tecniche la cui efficacia dipende dall’intuizione e dall’esperienza dello psicologo, poiché molte sono sviluppate senza cornice teoricaes. - prova di concentrazione di Harris (1984)

- tecnica del “training simulato” di Orlick (1990), detta tecnica dell’ “allenamento per avversità”da Loehr (1986)

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La tecnica della pianificazionedi routine pre-performance

Pianificare la competizione (goal setting) e una routine pre-performance è un’altra tecnicaROUTINE = un insieme integrato di pensieri, azioni e immagini che si attivano in modo coerente prima della prestazioneSono utili perché consentono di:

spostare l’attenzione dagli stimoli irrilevanti, per concentrarsi su quelli rilevantievitare di pensare alla prestazione da eseguirestabilire un adeguato livello di attivazione fisica e mentalegestire il comportamento in gara (es. le pause)

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La tecnica della pianificazionedi routine pre-performance

Le routine che precedono una prestazione variano molto in funzione della disciplina sportiva praticataCi sono diverse ragioni dell’efficacia delle routine:

(1) permettono la concentrazione sul compito, evitando le distrazioni

(2) servono a controllare il distress e l’ansia cognitiva(3) aiutano l’atleta ad essere concentrato oltre che

sull’ambiente anche su di sé(4) prevengono il decremento della prestazione dopo una

pausa (Warm-Up Decrement, WUD), decremento molto evidente negli sport dove subito dopo una pausa, si deve fornire performance (es. pause nella pallavolo, pallacanestro, nel tiro…)

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La gestione del dialogo interno(self talk)

Le persone dialogano continuamente con se stesse, anche se non sempre ne sono consapevoliParole, frasi, immagini mentali POS possono svolgere una funzione POS sulla percezione di efficacia (self-efficacy) che l’atleta ha di se stesso (Rushall, 1989)Il self-talk può costituire una forma di controllo attentivo e direzionare l’attenzione verso segnali rilevanti per il compitoCi sono tecniche di thought stopping, cioè di blocco dei pensieri, ideate per eliminare pensieri NEG

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La gestione del dialogo interno(self talk)

Rushall (1989; Rushall et al. 1988) evidenzia 3 tipi di pensieri che favoriscono l’incremento della prestazione:

(1) affermazioni rilevanti per il compito(es. aspetti tecnici o tattici)

(2) parole o frasi chiave per l’umore(es. che ripetute favoriscono sensazioni e stato emotivo POS)

(3) affermazioni POS(es. con cui l’atleta si incoraggia e stimola la fiducia)

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L’uso delle immagini mentaliper la concentrazione

La letteratura scientifica conferma il ruolo delle immagini mentali nel favorire i processi attentividell’atleta:

(1) programma di ripetizione mentale migliora la performance e favorisce incremento dell’attenzione e una migliore gestione del focus attentivo

(2) le immagini mentali sono l’elemento chiave della pratica simulata. L’esecuzione ideomotoria èfondamentale sia per l’apprendimento che per il perfezionamento delle sequenze motorie

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L’uso delle immagini mentaliper la concentrazione

Se l’attenzione può considerarsi un fascio di luce di una certa ampiezza, l’esercizio

mentale insieme a quello fisico, consentono all’atleta di migliorare

le sue abilità a restringere o ampliare tale raggio in relazione al compito

(Cei, 1998)

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L’uso delle immagini mentaliper la concentrazione

Ericsson et al. (1993) identificano 4 fattori che migliorano l’efficacia dell’allenamento mentale:

(1) la motivazione dell’atleta nella continua ricerca di miglioramento

(2) l’adeguatezza dell’immagine mentale per una determinata abilità da perfezionare

(3) l’immediato feedback fornito dall’allenatore all’atleta sulla qualità dell’esecuzione motoria

(4) la continuità nel tempo dell’allenamento mentale, fino all’affermarsi dell’automatizzazione

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“Attention control training”di Nideffer (1976)

L’allenamento dell’attenzione non consiste nella semplice esecuzione di una tecnica da parte dell’atleta, ma nasce da un sistema di valutazione:

(1) valutazione punti di forza e di debolezza dell’attenzione dell’atleta

(2) identificazione delle richieste attentive legate alla prestazione

(3) valutazione delle caratteristiche situazionali e interpersonali che possono influenzare prestazione e concentrazione

(4) identificazione dei problemi attentivi(es. difficoltà, problematiche psicologiche…)

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“Attention control training”di Nideffer (1976)

Sulla base della valutazione, si possono progettare programmi individuali per migliorare la concentrazione

Programmi di thought stoppingL’atleta impara a bloccare i pensieri NEG, per essere totalmente coinvolto nella prestazioneProgrammi di centeringConsente all’atleta di usare le risorse attentive in modo POS

I pensieri NEG possono essere rimossi e attraverso il processo di centering è possibile sviluppare dei pensieri POS

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“Attention control training”di Nideffer (1976)

Le fasi del metodo di thought stopping e di centering sono le seguenti:

(1) rimuovere attraverso pensieri POS, i pensieri NEG che affiorano alla coscienza

(2) centrare l’attenzione su di sé, mantenendo ottimale il livello di attivazione

(3) restringere il focus attentivo sulle informazioni rilevanti per il compito

(4) una volta raggiunto il controllo attentivo, eseguire immediatamente l’azione

Per approfondire …Bandura, A. (2000). Autoefficacia. Teoria e applicazioni. Trento: Erickson. Cei, A. (1987). Mental training. Guida pratica all’allenamento psicologico

dell’atleta. Roma: Ed. Luigi Pozzi.Cei, A. (1998). Psicologia dello sport. Bologna: Il Mulino. Giovannini, D. e Savoia, L. (2002). Psicologia e sport. Roma: Carocci. Hanin, Y. (a cura di) (2000). Emotions in sport. Champaign, IL: Human

Kinetics.Martens, R. (1991). Psicologia dello sport. Manuale per gli allenatori.

Roma: Borla. Oatley, K. (2007). Breve storia delle emozioni. Bologna: Il Mulino.Robazza, C., Bortoli, L. e Gramaccioni, G. (1994). La preparazione mentale

nello sport. Roma: Ed. Luigi Pozzi.Rossi, B. (2007). La pancia degli atleti. Compendio pratico e teorico

di psicologia applicata allo sport. Perugia: Edizioni Nuova PrhomosTamorri, S. (a cura di) (1999). Neuroscienze e sport. Psicologia dello sport,

processi mentali dell’atleta. Torino: UTET.Terreni, L. e Occhini, L. (2000). Psicologia dello sport. Aspetti sociali e

psicopatologici: valutazione e programmi di intervento. Milano: Guerini & Associati.

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Grazie dell’attenzione!