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Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno

Via Cervantes, 64 - 80133 Napolitel. 081.4935232 - Fax 081.4935289E-mail: [email protected] - www.srmezzogiorno.it

Consiglio Direttivo:Carlo Callieri, Giuseppe Castagna, Mario Ciaccia, Gregorio De Felice, Adriano Giannola,Antonio Nucci, Maria Teresa Salvemini Ristuccia

Collegio dei Revisori:Danilo Intreccialagli, (presidente), Giovanni Maria Dal Negro, Lucio Palopoli

Presidente:Federico Pepe

Direttore:Francesco Saverio Coppola

Coordinatore Scientifico:Maria Teresa Salvemini Ristuccia

Comitato Scientifico di SRM:Cristiana Coppola, Lilia Costabile, Melina Decaro, Pietro Garibaldi, Enzo Giustino, Cesare Imbriani, Alessandro Laterza, Alberto Majocchi, Mario Mauro, Andrea Monorchio, Vincenzo Pontolillo, Giam-paolo Rossi, Carlo Trigilia, Giuliano Urbani., Gianfranco Viesti

Soci fondatori:

L’associazione adotta un Sistema di Gestione per la Qualità in conformità alle Normative UNI EN ISo 9001:2000 nei seguenti campi: Studi, Ricerche, Convegni in ambito economico finanziario meridionale; sviluppo editoriale e gestione della produzione di periodici

Istituto Banco di Napoli Fondazione

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Competitività e sviluppo internazionaledel sistema economico meridionale:

Il ruolo dei servizi alla produzione in Campania

Pubblicazione realizzata con il sostegno

Giannini editore

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SRML’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno ‒ SRM ‒ ha come obiettivo la cre-azione di valore aggiunto nel tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno, nella sua dimensione europea e mediterranea, facendo leva sul miglioramento della conoscenza del territorio e sulla sua capacità di proposta, anche operando in rete con altre istituzioni di ricerca meridionali e non. L’Associazione, che vanta un consolidato know-how in campo di studi e ricerche sull’economia meridionale, costituisce un osservatorio privi-legiato di valutazione e di analisi dei fattori delle politiche di sviluppo del territorio. Gli studi e le ricerche sono orientati ai settori delle infrastrutture materiali ed immateriali, alla finanza pubblica locale, alle politiche di sviluppo, alla dinamica e struttura delle attività produttive, al settore della solidarietà e del nonprofit. L’Associazione pubblica, inoltre, due riviste Rassegna Economica e Dossier UE, e cura un Focus semestrale sull’economia delle Regioni meridionali. L’apporto tecnico di SRM è a disposizione di quanti – Istituzioni, forze imprenditoriali, società civile – riconoscono nella diffusione della cultura e nella conoscenza del sistema socio-economico i presupposti per il reale progresso del Sud del Paese.

IAIAssociazione culturale senza fini di lucro, lo IAI fu fondato l’11 ottobre del 1965 su iniziativa di Altiero Spinelli. Nel 1980 è stato eretto a ente morale con decreto del Pre-sidente della Repubblica. Scopo prioritario dell’Istituto è promuovere la conoscenza dei problemi dell’economia e della politica internazionale mediante studi e ricerche, incontri, pubblicazioni per contribuire ad accrescere la possibilità di un’evoluzione di tutti i paesi del mondo verso forme di organizzazione sovranazionale, verso le libertà democratiche, verso il progresso economico e la giustizia sociale. Il Laboratorio di Economia Politica Internazionale è l’area di studi e ricerche dello IAI dedicata ai temi dell’economia mondiale e dell’internazionalizzazione dell’economia italiana. Tra i principali programmi di ricerca del Laboratorio, svolti in collaborazione anche con altri istituti di ricerca nazionali ed internazionali, si segnalano: il Global Outlook – un forum sulle tendenze dell’economia globale; L’Italia nell’economia globale – un osservato-rio sui processi di ristrutturazione in atto e sulle politiche per l’internazionalizzazione dell’economia italiana; il WTO Desk – un ciclo di workshop sui negoziati commerciali bilaterali e multilaterali e sul ruolo dell’Italia.

ISBN: 978-88-7431-428-7

Grafica copertina Ciro D’Oriano

2009 © Giannini EditoreNapoli - Via Cisterna dell’Olio, 6/bwww.gianninieditore.it

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Pubblicazione curata da

Direttori della ricerca:Francesco Saverio Coppola (SRM), Paolo Guerrieri (IAI)

Il presente Rapporto è stato redatto da un Gruppo di lavoro composto da ricercatori dell’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) e dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). Nonostante il Rapporto sia frutto di un lavoro congiunto, lo IAI ha curato in particolare i capitoli 1, 2, 3, 4; SRM ha altresì curato i capitoli 5, 6 e 7.

Responsabili di ricerca:Salvio Capasso (SRM), Giulia Nicchia (IAI)

Gruppo di lavoro IAI:Paolo Guerrieri, Giulia Nicchia (Capitolo 1)Paolo Guerrieri, Valentina Meliciani (Capitolo 2)Renato Passaro, Antonio Thomas (Capitolo 3)Luigi Cantone (Capitolo 4)

Gruppo di lavoro SRM:Salvio Capasso, Renato Aurigemma, Olimpia Ferrara, Dario Ruggiero (Capitolo 5)Alessandro Panaro, Anna Arianna Buonfanti, Lucio Siviero (Capitolo 6)Francesco Saverio Coppola, Antonio Acampora (Capitolo 7).

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RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento particolare per il contributo alla ricerca, per la disponibilità offerta nella realizzazione dell’indagine territoriale e/o per la documentazione fornita va a:

Paolo Bellomia, Vice Presidente della Dema S.p.A., Placido De Alcubierre, direttore tecni-co della Vulcanair S.p.A., Massimiliano Marotta e Massimiliano Pastena, rispettivamente responsabile tecnico e relazionale della sede di Benevento della Gavazzi space S.p.A, Luigi Vinci, Presidente dell’ordine degli ingegneri di Napoli, per i casi studio del settore aerospa-ziale.

Zeno D’Agostino, Amministratore delegato di Logica Campania, Francesco Tavassi, Presi-dente di Tavassi group, Franco Zuccarino, Direttore Generale di MSC Le Navi, per il settore della logistica.

Marco Realfonzo, managing director di Nascar, Marcello Tortora, amministratore di Medias s.r.l., Biagio Vanacore, amministratore unico di BI.VA. & Associati, per i casi studi del set-tore della comunicazione.

A Marina Ripoli per aver collaborato alla realizzazione dell’indagine empirica e all’elabora-zione del capitolo 7.

A Lidia Carleo per aver collaborato all’elaborazione dell’appendice del capitolo 6.

A Stefania Gentili, Area Manager MSC Le Navi, e Antonio De Cesare, Direttore di Porto & Diporto, per aver collaborato alla realizzazione dell’indagine territoriale del capitolo 6.

A Pierpaolo Testa e a Nicola Cirillo per l’elaborazione dei dati contenuti nel questionario di ricerca e per gli utili spunti di riflessione all’interpretazione dei risultati dell’indagine empi-rica del capitolo 4.

Per la correzione delle bozze si ringraziano Anna Gaone (IAI) e Giulia Nicchia (IAI).

Composizione ed editing a cura di Marina Ripoli (SRM).

La riproduzione del testo, anche parziale, non può essere effettuata senza l’autorizzazione dell’Associa-zione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Pubblicazione aggiornata con dati ed informazioni disponibili a novembre 2008.Tutte le cariche dei soggetti nominati nel lavoro sono aggiornate alla data dell’intervista.

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INDICE

Prefazione 13

Sommario 15

Summary 19

Capitolo 1 - Competitività e sviluppo internazionale del sistema economico meridionale: il ruolo dei servizi alla produzione1. Introduzione 232. La relazione tra manufatti e servizi alla produzione 253. Innovazione e servizi 264. Processi di internazionalizzazione e servizi 295. I servizi alla produzione in Campania 306. I servizi e i cambiamenti nell’organizzazione delle imprese 327. I servizi e il polo aeronautico in Campania 358. Le grandi opportunità della logistica 379. Servizi e attività di comunicazione 3910. Considerazioni conclusive 40

Capitolo 2 - La specializzazione regionale nei servizi alle imprese: la tecnologia, il capitale umano ed i legami con il settore manifatturiero 1. Introduzione 452. L’internazionalizzazione dei servizi 463. Le determinanti della specializzazione nei servizi alle imprese 494. L’analisi empirica 545. Specializzazione nei servizi alle imprese e internazionalizzazione delle regioni italiane 596. Specializzazione nei servizi alle imprese, tecnologia e capitale umano in Campania 607. Conclusioni 62

Capitolo 3 - I servizi alla produzione nel sistema produttivo della Campania 1. Introduzione 652. Terziarizzazione dell’economia e competitività aziendale 683. Servizi alla produzione e sviluppo territoriale 704. L’aggregato dei servizi alla produzione 76

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5. Le consistenze quantitative 836. I servizi alla produzione di tipo avanzato 1027. Considerazioni conclusive 111

Capitolo 4 - Le scelte di investimento in tecnologie dell’informazione e della comunicazione: un’indagine empirica sulle imprese campane 1. Introduzione 1312. obiettivi e approccio metodologico 1343. Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, creazione di valore e relazioni tra imprese 1364. Un modello di analisi per la valutazione dell’impatto delle ICT sui processi di creazione di valore delle imprese 1465. Il sistema delle imprese ICT in Campania: una visione di sintesi 1496. I risultati dell’indagine empirica sul sistema di produzione locale in Campania 1547. Considerazioni conclusive e limiti della ricerca 170

Capitolo 5 - Il settore aereospaziale in Campania e il ruolo dei servizi alla produzione1. Introduzione 1872. La “supply chain” internazionale del settore aerospaziale 1893. Il settore aerospaziale in Italia ed in Campania 1934. I principali servizi e loro gestione nei processi produttivi in Campania 1995. Le principali fonti di domanda di servizi 2056. offerta e apertura internazionale dei servizi aerospaziali 2157. Conclusioni 220

Capitolo 6 - Lo sviluppo dei servizi nel comparto della logistica in Campania 1. Introduzione 2332. Traffico merci internazionale nei principali nodi logistici della Campania 2353. Reti infrastrutturali regionali e innovazione logistica 2414. Le opportunità derivanti dallo sviluppo di “piattaforme multiservizi e multiclienti” 2455. Internazionalizzazione e servizi: i risultati di un’indagine territoriale 2556. Conclusioni 261

Capitolo 7 - Il settore della comunicazione, le imprese e i servizi1. Introduzione 2752. Impresa e comunicazione: la relazione azienda-consumatore 276

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3. Le imprese di comunicazione: la relazione cliente-agenzia 2784. La domanda nel mercato della comunicazione 2815. L’offerta: il quadro delle imprese di comunicazione in Italia e in Campania 2886. I mercati e il livello di apertura internazionale delle imprese di comunicazione in Campania 2977. L’indagine territoriale 3008. Considerazioni conclusive 306

Bibliografia 309

Notizie sugli autori 335

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A coloro che con le idee,le opere e le azioni

contribuiscono allo sviluppo socialeed economico del Mezzogiorno,

in una visione europea e mediterranea

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PREFAZIONE

Con questa pubblicazione l’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, insie-me all’Istituto Affari Internazionali e grazie al contributo finanziario della Compagnia di San Paolo, presenta la terza tappa di un programma triennale di ricerca sull’inter-nazionalizzazione del sistema economico meridionale.

Dopo gli studi sulle dinamiche di apertura ai mercati globali dei sistemi produttivi delle regioni Campania e Puglia, questa volta la ricerca si è incentrata sull’analisi dei servizi alla produzione quali driver di crescita e stimolo della competitività e dello svi-luppo internazionale del sistema economico locale.

L’indagine, che vede la regione Campania quale territorio di riferimento per le ana-lisi di contesto e di verifica sul campo, ha l’obiettivo di contribuire alla individuazione di strategie aziendali e di policy volte ad agevolare l’inserimento delle PMI del Mezzo-giorno nelle nuove reti di produzione e divisione internazionale del lavoro.

Lo sforzo di analisi e di approfondimento è stato pertanto diretto ad evidenziare gli aspetti più significativi del comparto dei servizi alla produzione. Il lavoro segnala che lo sviluppo di questo settore si muove in un contesto in trasformazione, dove le economie più avanzate si distinguono per un constante e significativo incremento del contributo del settore dei servizi alla creazione di valore aggiunto, all’occupazione ed al commercio internazionale.

La specializzazione di questo comparto implica, infatti, un incremento dei processi di internazionalizzazione e di crescita del capitale materiale ed immateriale delle imprese. Ciò è supportato dal ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le quali determinano un ulteriore aumento di flessibilità del sistema produttivo.

Sono evidenti, dunque, i punti di rottura con la tradizione: l’utilizzo sempre crescente di “business services” come parte integrante e valorizzante dei comparti manifatturieri, e, grazie agli investimenti in ICT, la garanzia di sempre maggiori opportunità di specializzazione e fenomeni crescenti di “outsourcing” della produzione.

Lo studio dedica poi un ampio approfondimento a tre casi settoriali specifici, per individuare dinamiche di crescita, fattori di localizzazione e peculiarità dei servizi alla produzione con particolare attenzione alle loro prospettive di espansione nei mercati internazionali.

Sono stati selezionati, quindi, tre settori in grado di descrivere ‒ anche se in misura diversa ‒ le caratteristiche e le dinamiche di sviluppo più generali dell’offerta e della domanda di servizi alla produzione della regione Campania. I casi studio, in particolare, riguardano il comparto aerospaziale ‒ storicamente radicato nel territorio campano (che rappresenta l’incontro tra l’industria manifatturiera e il mondo dei servizi avanzati); il comparto della logistica ‒ oggi in rapida espansione (ovvero il caso del settore dei servizi già strutturato ed internazionalizzato) e infine quello

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della comunicazione ‒ ancora in fase di consolidamento ma di interessanti prospettive (che figura come il caso del settore dei servizi che nasce quale supporto trasversale al mondo produttivo).

La ricerca rappresenta, in conclusione, un ulteriore contributo di conoscenza e di riflessione sulle prospettive dell’economia meridionale che l’Associazione si propone di offrire ‒ spesso in sinergia con altri importanti centri di ricerca e studi a livello nazionale ‒ agli attori economici. Lo scopo è quello di individuare i giusti percorsi da intraprendere affinché il Sud possa fondare le proprie reali possibilità di sviluppo sul potenziamento delle forze competitive di cui dispone nel proprio tessuto produttivo.

Federico Pepe

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SOMMARIO

Il comparto dei servizi alla produzione ha assunto, negli ultimi due decenni, un ruolo sempre più rilevante nelle dinamiche di sviluppo dei paesi e delle regioni più avanzate sia in termini di occupazione, produzione e valore aggiunto che di scambi internazionali, investimenti diretti all’estero e processi di internazionalizzazione. Il peso crescente acquisito dai servizi alla produzione nell’economia è il risultato sia di una crescente complementarietà e integrazione tra manifattura e certe branche dei servizi, sia come sviluppo autonomo di aree e settori del terziario più avanzato. I servizi assumono, così, un ruolo autonomo e non più sussidiario nei mutamenti del sistema produttivo. In particolare alcune tipologie di servizi caratterizzate da alto contenuto di conoscenza (knowledge-intensive business services) influenzano in misura rilevante la competitività di imprese, settori e paesi. Lo sviluppo e la specializzazione di tali servizi disegnano una nuova divisione internazionale del lavoro, in cui le economie avanzate attraverso queste attività controllano una parte rilevante e strategica della “catena del valore” mondiale, trasferendo fasi a basso valore aggiunto della produzione materiale ai paesi in via di sviluppo. Lo sviluppo dei servizi rappresenta dunque una condizione essenziale per accrescere l’efficienza del sistema produttivo. Molti di essi hanno effetti rilevanti sulla produttività e competitività delle imprese.

Queste trasformazioni dello scenario europeo e internazionale hanno interessato anche l’economia italiana che ha visto fortemente aumentare, specie negli ultimi dieci anni, la quota degli occupati nel settore dei servizi ‒ in particolare dei servizi alla produzione ‒ rispetto al totale dell’economia.

Nonostante la buona qualità media di modelli organizzativi delle attività di servizi “infrastrutturali”, l’Italia occupa una posizione relativamente debole e la dimensione media delle imprese di servizi italiane è inferiore a quella media europea. L’offerta si presenta assai diversificata sul piano territoriale influendo sulle disparità delle opportunità di sviluppo e della competitività delle produzioni regionali.

I servizi in generale, e i servizi alle imprese in particolare, oltre ad essere oggetto di crescenti scambi internazionali, favoriscono l’internazionalizzazione della produzione in molti settori. Il processo di internazionalizzazione del settore dei servizi si distingue, però, da quello dei prodotti. Nel caso dell’industria manifatturiera l’internazionalizzazione è legata al commercio e agli investimenti esteri, mentre nei servizi sono gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) a rappresentare l’elemento chiave. oltre a questi fattori, anche il diffondersi dell’offshoring gioca un ruolo importante.

Nello scenario italiano, le regioni maggiormente specializzate nei servizi alle impre-se sono anche le più internazionalizzate. Così tra le regioni con i più alti valori di spe-cializzazione troviamo la Lombardia e il Lazio (le due regioni in cui sono localizzate le maggiori città italiane: Milano e Roma); a queste regioni seguono in prevalenza aree set-

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tentrionali: il Piemonte, la Liguria, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, la Valle d’Aosta, la Toscana e il Veneto. Tra le regioni centrali e meridionali, nel complesso non specializzate nei servizi alle imprese, i livelli più alti dell’indicatore di vantaggio com-parato si riscontrano in Umbria, Marche, Basilicata, Campania e Puglia. In particolare, negli ultimi anni, tra le regioni centrali e meridionali, la Campania e la Puglia vedono crescere più delle altre il loro grado di specializzazione.

Per quanto riguarda il caso della Campania, a fronte di una generale terziarizzazione a livello europeo e nazionale, la regione vive un relativo rallentamento di tale processo. Nel contesto del Mezzogiorno italiano, la Campania rappresenta una realtà sicuramente dinamica ma nodi e problemi irrisolti ne condizionano le prospettive future. La Regione Campania dispone di tutte le condizioni necessarie per il potenziamento del terziario (anche di tipo avanzato): ha una densità industriale interessante, alcuni comparti indu-striali di punta, un elevato tasso medio di istruzione e qualificazione professionale, una posizione solida nel panorama universitario e scientifico, e un soddisfacente grado di internazionalizzazione.

Nonostante segni di evoluzione interessanti, l’area in esame risente però dei mol-teplici limiti del sistema socio-economico nazionale e ancor più meridionale. In primo luogo, le mancate liberalizzazioni e privatizzazioni del comparto continuano a alimen-tare e proteggere sacche di inefficienza. In secondo luogo, la mancata diffusione di reti aggrava l’isolamento delle imprese di ridotte dimensioni che per restare competitive dovrebbero integrarsi con altre unità e puntare sull’innovazione.

Il rischio è l’avvitamento di un circolo vizioso in cui la debole competitività delle imprese ostacoli lo sviluppo sul territorio dei servizi alla produzione, in particolare quelli di tipo avanzato o più innovativi, e penalizzi la capacità competitiva delle stesse imprese.

Sono dunque urgenti e necessari nuovi obiettivi e strumenti di una politica naziona-le e locale per lo sviluppo dei servizi alla produzione. L’intervento dei policy makers è necessario per incentivare l’avvio di circoli virtuosi di domanda-offerta di servizi a carattere sistemico favorendo altresì una più moderna organizzazione e gestione delle imprese. Risultano particolarmente importanti le misure di intervento volte a introdurre un maggiore grado di concorrenza nel settore in esame. Ciò contribuirebbe all’aumento del numero di imprese che operano in condizioni di mercato, riducendo i prezzi, miglio-rando la qualità, stimolando l’occupazione e arricchendo la gamma degli stessi servizi offerti. Garantire una maggiore concorrenza significa stimolare l’innovazione, l’impren-ditorialità, la produttività e la crescita, soprattutto nei settori di servizi che operano tradi-zionalmente in mercati più chiusi e frammentati.

Vanno valutate infine misure specifiche e politiche di sostegno all’internazionaliz-zazione nel comparto dei servizi, così da prospettare opzioni di intervento specifiche per il rafforzamento di un’offerta terziaria a sostegno dello sviluppo e dell’integrazione internazionale del tessuto produttivo della regione. La capacità di esportare le attività di servizio è determinante, non marginale, per lo sviluppo di un’area. La produzione e la vendita di servizi alle imprese sono divenuti fattori importanti per aumentare i flussi di

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esportazioni. Inoltre, il crescente peso dei business services influenza sensibilmente la capacità competitiva delle imprese che li erogano, che competono a livello globale, ma determinano anche una crescita della produttività e della competitività dell’intero siste-ma produttivo locale. Infine, un rafforzamento dell’internazionalizzazione dei servizi influenzerà i mercati del lavoro, sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi. Il settore dei servizi è infatti quello che più contribuisce alla creazione di nuova occupa-zione.

Le attività di servizio dunque accompagnano e stimolano il processo di internazio-nalizzazione complessivo di un’area determinando un vantaggio competitivo per quelle imprese che partecipano a tale processo. A questo riguardo, la disponibilità di conoscen-ze e competenze in questo comparto dei servizi si dimostra non meno rilevante della do-tazione infrastrutturale di un’area, della disponibilità di sbocchi di mercato e di adeguate pressioni competitive.

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SUMMARY

In the last two decades the service sector has assumed an increasingly important role in the development of the most advanced countries and regions, in terms of employment, production, added value, international exchanges, direct investments abroad and internationalization processes. The increasing importance of the production services in economy is the result of a growing complementarity and integration between manufacturing and some branches of the service industry and the autonomous development of the most advanced tertiary areas and sectors. Therefore, services assume an autonomous role in the changes occurring in the production system. Particularly, some service typologies characterized by high knowledge content (knowledge intensive business services) considerably influence the competitiveness of enterprises, sectors and countries. The development and specialization of these services outline a new international division of work, in which, through these activities, the advanced economies control an important and strategic part of the world “value chain”, transferring low added value phases of the material production to the developing countries. The service development then represents a basic condition for increasing the efficiency of the productive system. Many services in fact have significant effects on the enterprise productivity and competitiveness.

These transformations of the European and international scenery have affected also the Italian economy that, especially in the last ten years, has recorded an increase in the rate of employees in the service sector, particularly in production services.

In spite of the average good quality of the organizational models of the “infrastructural” service activities, Italy has a relatively weak position and the average size of the Italian service enterprises is lower than the European average. The offer is much diversified at territorial level, influencing the development and the competitiveness opportunities of the regional productions.

Services in general, and services for enterprises specifically, besides being the object of increasing international exchanges, favour the production internationalization in many sectors. The process of internationalization of the tertiary sector anyhow is different from the same process affecting the sector of products. In the case of the manufacturing industry, internationalization is connected with trade and foreign investments, while for services the Foreign Direct Investment (FDI) is the key element. Besides these factors, also the spreading out of the off-shoring plays an important role.

In the Italian scenery, the regions which proved to be the most specialized in serv-ices for enterprises are also the most internationalized regions. The regions that have recorded the higher specialization values are Lombardia and Lazio (where the two most important Italian cities, Milan and Rome, are localized), followed prevailingly by North-ern areas: Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Toscana and Veneto. Among the Central and Southern regions ‒ which in the whole are

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not specialized in services for enterprises ‒ the highest levels in the comparison advan-tage indicator have been recorded in Umbria, Marche, Basilicata, Campania e Apulia. Particularly, in the last years, among the Central and Southern regions, Campania and Apulia have increased their specialization level more than other regions.

For what concerns Campania, in comparison with a general tertiarization at national and European level, this region has recorded a relative slowing down of this process. In the context of Southern Italy, Campania represents an undoubtedly dynamic reality but unsolved problems condition its future perspectives. This region has all the necessary potentialities for strengthening its tertiary sector (also at advanced level): an interesting industrial density, some important industrial sectors, an average high level of instruction and professional qualification, a sound position in the university and scientific scenery and a satisfactory level of internationalization, but, in spite of interesting signs of evolu-tion, the area anyhow undergoes the manifold limits of the national socio-economical system and even more by the problems that affect Southern Italy’s system. First of all, the lack of liberalization and privatization of the sector continue feeding and protecting pockets of inefficiency. Second, the non-diffusion of networks worsens the isolation of small enterprises that, for being competitive, should be integrated with other organiza-tions and aim at innovation.

The risk deriving from this situation is a vicious circle in which the weak com-petitiveness of enterprises hinders the development of the production services on the territory ‒ particularly the most advanced and innovative services ‒ and penalizes the competitive capacity of enterprises.

Therefore, new objectives and tools of local and national policy are urgent and necessary for the development of production services. The intervention of policy makers is necessary for stimulating the starting-up of a systemic virtuous circle of demand-offer, favouring also a more modern enterprise organization and management. The intervention measures aimed at introducing a higher level of competition in the sector concerned are particularly important. This would contribute to increasing the number of enterprises operating in the market, reducing prices, improving quality, stimulating employment and enriching the range of the services offered. To guarantee an increased competitiveness means to stimulate innovation, entrepreneurialism, productivity and growth, especially in the service sectors traditionally operating in narrow and fragmented markets.

Finally, specific internationalization support policies in the service sector have to be assessed in order to hypothesize specific intervention options for strengthening a tertiary offer in support of the international development and integration of the productive tissue of the region. The capacity to export the service activities is a determining and not marginal factor for the development of a specific area. The production and sale of services for enterprises have become important factors for increasing the exportation flows. Moreover, the increasing importance of the business services noticeably influences the competitive capacity of the enterprises which provide them and compete at global level, but determine also an increase in the productivity and competitiveness of the whole local productive system. Finally, strengthening the service internationalization will influence

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the labour market, both in quantity and quality terms. The service sector, in fact, is the sector which mostly contributes to the creation of new job positions.

The service activities then accompany and stimulate the overall internationalization process of a specific area, determining a competitive advantage for the enterprises which take part in this process. With regard to this, the availability of knowledge and competences in this sector proves to be not less important than the infrastructural endowment of an area, of the possibility of market outlets and of adequate competitive pressures.

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CAPITOLO 1

COMPETITIVITÀ E SVILUPPO INTERNAZIONALE DEL SISTEMA ECONOMICO MERIDIONALE:

IL RUOLO DEI SERVIZI ALLA PRODUZIONE

Paolo Guerrieri, Giulia Nicchia

1. Introduzione

A partire dall’inizio degli anni Novanta il comparto dei servizi alla produzione ha assunto in misura crescente un ruolo di rilievo nelle dinamiche di sviluppo dei paesi e delle regioni più sviluppate sia in termini di occupazione, produzione e valore aggiunto che di scambi internazionali, investimenti diretti all’estero e processi di internazionalizzazione più generali.

Il settore dei servizi alla produzione per quanto vasto e eterogeneo comprende alcuni comparti di particolare rilevanza per la competitività di prodotto e di processo delle imprese quali le attività di ricerca e sviluppo, informatiche e comunicazione, progettazione e assistenza tecnica, logistica, distribuzione, design e engineering, consulenza professionale, gestionale e marketing.

Il peso crescente acquisito dai servizi alla produzione nell’economia non va letto come una mera sostituzione delle attività del terziario a quelle dell’industria ma come il risultato sia di una crescente complementarietà e integrazione tra manifattura e certe branche dei servizi sia come sviluppo autonomo di aree e settori del terziario più avan-zato.

La stessa distinzione tra le due categorie ‒ manifattura e servizi ‒ è divenuta assai labile e i comportamenti delle imprese manifatturiere e dei servizi sono contraddistinti in misura crescente da tendenze comuni. Le prime sono infatti costrette dalla crescente concorrenza internazionale a ricorrere a strategie service oriented volte a rafforzare la propria competitività di processo/prodotto rispetto ai diversi segmenti di mercato (attraverso processi di personalizzazione/differenziazione dell’offerta e l’erogazione di specifici servizi di accompagnamento). In parallelo, le imprese di servizi tendono a specializzarsi sempre più nella prestazione di funzioni e attività con un livello elevato di conoscenza specifica e “dedicata” che per le imprese manifatturiere non è più conveniente produrre in proprio e che sono, di conseguenza, esternalizzate.

Un numero crescente di città, sistemi locali e agglomerazioni territoriali in Europa sta così trasformando la produzione, distribuzione e commercializzazione di servizi nel proprio core business, perché divengano una fonte di rilevanti vantaggi competitivi e il principale elemento qualificante sul piano della loro attrattività internazionale. Lo svi-

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luppo di nuove forme di organizzazione e integrazione economica internazionale ha poi accentuato il ruolo dei servizi alla produzione come indispensabile fattore sia di suppor-to all’inserimento di imprese e sistemi locali nelle nuove reti internazionali produttive e commerciali che di attrazione territoriale di investimenti e iniziative estere.

Le trasformazioni dello scenario europeo e internazionale appena descritte hanno interessato anche l’economia italiana che ha visto fortemente aumentare, specie negli ultimi dieci anni, la quota degli occupati nel settore dei servizi ‒ in particolare dei servizi alla produzione ‒ rispetto al totale dell’economia. Consolidate evidenze confermano altresì il carattere tendenziale ed irreversibile dei processi di terziarizzazione in atto.

Nel panorama dell’offerta dei servizi alla produzione dell’Unione europea, l’Italia occupa una posizione nel complesso ancora relativamente debole e la dimensione media delle imprese di servizi italiane è assai inferiore a quella media europea. Ma al di là della ridotta dimensione, il tessuto di attività di servizi “infrastrutturali” alla produzione rivela nel caso italiano una buona qualità media di modelli organizzativi e gestionali.

L’offerta si presenta comunque assai diversificata sul piano territoriale e delle varie categorie di servizio in termini di dotazione e accesso (interno e/o esterno) da parte dell’impresa. La crescente terziarizzazione dell’economia nazionale, in effetti, pur inte-ressando tanto il Centro Nord quanto l’Italia Meridionale, presenta intensità e contenuti assai diversi nelle due aree e altrettanto diverso è il contributo fornito all’innalzamento della quantità-qualità (ed alla conseguente competitività) dell’offerta produttiva delle imprese. I servizi privati alle imprese, compresi quelli a più alto contenuto tecnologico e specialistico (servizi informatici, tecnologici, di R&S, banche dati, consulenza, pro-mozione, distribuzione, etc.), hanno così un peso relativamente più elevato nel nord e sensibilmente superiore alla media nazionale.

Numerose indagini effettuate, anche di recente, hanno evidenziato interessanti novità nel comparto del terziario avanzato: le imprese di minori dimensioni che tradizional-mente non hanno mai espresso una domanda significativa cominciano ora a domandare servizi di supporto tanto nella sfera gestionale che nei processi di apertura internazio-nale. Sono le crescenti pressioni competitive a spingere sempre più gli imprenditori a utilizzare servizi alla produzione, anche i più avanzati.

Ne deriva l’utilità di analisi indirizzate ad approfondire le diverse e peculiari con-dizioni di domanda-offerta dei servizi alla produzione e loro potenzialità di sviluppo internazionale.

In questa prospettiva il presente volume, frutto di un progetto di ricerca congiunto dell’Istituto Affari Internazionali e dell’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, si propone di analizzare e interpretare oltre alle dinamiche più generali che caratterizzano i servizi alla produzione a livello internazionale e nazionale, gli andamenti in particolare che hanno caratterizzato l’area della regione Campania, individuandone le principali determinanti, gli effetti prodotti, le prospettive. Tutto ciò al fine di ricavare suggerimenti e spunti per la formulazione di interventi e politiche indirizzate a promuovere lo sviluppo, la diffusione e l’internazionalizzazione dei servizi alla produzione ai vari livelli territoriali.

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2. La relazione tra manufatti e servizi alla produzione

Il punto di partenza del lavoro (capitolo 2) è un’analisi particolareggiata delle prin-cipali determinanti della specializzazione nei servizi alla produzione (SP) delle imprese (R&S; servizi informatici; altri servizi alle imprese). Oggetto dell’analisi sono le regioni europee nel periodo 1998-2005. Le determinanti della specializzazione nei servizi alle imprese a livello regionale sono individuate nella struttura dell’economia, nel capitale umano, e nella tecnologia.

La crescita dei servizi, e in particolare dei servizi alle imprese, è dovuta soprattut-to ad un aumento della loro domanda come beni intermedi. La crescente complessità dell’organizzazione e della distribuzione dei beni manufatti, derivante dall’applicazione delle nuove tecnologie, e dei problemi di coordinamento, ha portato ad un aumento del contenuto di servizi di molti beni industriali. Viene messo in rilievo come la produzione di servizi alle imprese non è indipendente dalla produzione di beni manufatti.

La relazione tra manufatti e servizi alla produzione è stata oggetto di molte analisi nel corso dell’ultimo decennio. Più di recente è stato evidenziato il ruolo di primo piano e autonomo dei servizi nel guidare lo sviluppo economico: per cui il comparto manifat-turiero cresce e prospera proprio in quei paesi e in quelle aree dove le infrastrutture dei servizi sono più sviluppate. Allo stesso tempo è stata affermata la stretta relazione tra servizi e manufatti, per cui si è sostenuto che sempre più attraverso l’acquisto di servizi si comprano anche prodotti industriali e, viceversa, l’acquisto di manufatti presuppone anche quello di servizi. I settori del manifatturiero che fanno maggiore uso dei servizi sono quelli “ad alta intensità di conoscenza” (elaboratori elettronici e macchine per uffi-cio; strumenti; elettronica; chimica; farmaceutica), mentre sono medi o bassi utilizzatori i settori ad alte economie di scala e i settori tradizionali. La struttura dell’economia (in particolare la sua composizione settoriale) può dunque condizionare la crescita del settore dei servizi alle imprese. Paesi e regioni con un’alta quota di attività nei settori del manifatturiero ad alta intensità di conoscenza, come viene dimostrato, sono in grado di generare una maggiore domanda di servizi alle imprese, stimolandone in tal modo la crescita e favorendo la loro specializzazione in questi comparti.

Le caratteristiche da mettere in rilievo per descrivere questa evoluzione del sistema economico, in cui servizi e prodotti sono sempre più integrati, sono svariate. Innanzitut-to vengono superati i confini tradizionali dei settori produttivi, che erano fissati dall’at-tività dominante dell’impresa manifatturiera. Nella nuova economia, la produzione di beni e servizi avviene attraverso il concorso di più imprese che operano in settori diver-si. In questo senso, si supera il concetto di settore produttivo tradizionale, e il prodotto è un ibrido che vede l’utilizzo crescente di business services all’interno di comparti manifatturieri. Inoltre le trasformazioni del sistema produttivo sono sempre più collega-te all’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), le quali determinano un ulteriore aumento di flessibilità e una rottura con il modello tradi-zionale, garantendo maggiori opportunità di specializzazione, incorporazione di servizi alla produzione ed esternalizzazione della produzione. Infine, è necessario considerare

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anche l’apertura dei mercati e la progressiva internazionalizzazione delle produzioni con crescente uso dei servizi.

I servizi, quindi, oltre ad interagire con l’attività manifatturiera sono sempre più incorporati nei prodotti intermedi e finali come espressione di un processo produttivo in continua evoluzione. Tutto ciò ha aumentato il fenomeno dell’outsourcing, ovvero il ricorso a imprese esterne per lo sviluppo di attività che tempo fa erano svolte internamente alla singola impresa.

La crescita delle attività di servizi alla produzione avviene sia all’interno che all’esterno delle imprese, da un lato con la nascita di numerose funzioni e dipartimenti di servizio all’interno delle stesse imprese, dall’altro con il sorgere di numerose imprese autonome di servizio. Inoltre, la domanda intermedia di servizi proviene sia dal sistema industriale, ma anche, e in misura crescente, dallo stesso settore terziario. In altre parole lo sviluppo dei servizi, oltre ad essere una conseguenza delle trasformazioni del sistema produttivo, diventa anche il “veicolo” di questo cambiamento.

Negli ultimi quindici anni si è verificata una progressiva esternalizzazione (outsourcing) di molte attività prima svolte all’interno delle imprese. Nel tempo le atti-vità esternalizzate dalle imprese sono aumentate nel numero e per qualità. Inizialmente si è trattato di servizi non direttamente collegati all’attività dominante dell’impresa, ma poi sono state progressivamente esternalizzate anche attività più vicine a quelle del cosiddetto “core business”. Non si è trattato solo di un fenomeno di sostituzione in quanto l’outsourcing delle imprese ha determinato fenomeni di specializzazione e di accumulazione, oltre che di trasferimento di esperienza e conoscenza verso le nuove aziende di servizi. La ricerca di sempre maggiore flessibilità e la necessità di contenere i costi, in un’ottica di maggiore efficienza e produttività, hanno spinto le imprese di molti settori a rinunciare a svolgere al loro interno attività non considerate centrali (core) e a trasferirle verso unità esterne più specializzate ed efficienti.

Anche la tecnologia, come viene messo in luce nel capitolo 2 e in altre parti del pre-sente lavoro, gioca un ruolo importante nell’influenzare la specializzazione nei servizi alle imprese. Molte imprese promuovono l’innovazione non solo attraverso l’uso delle nuove tecnologie, ma anche contribuendo alla loro creazione e diffusione. Quello dei servizi alla produzione è un comparto innovatore: poco meno della metà delle imprese del settore ha intrapreso attività innovative tra il 1994 e il 1996, anche se le imprese innovatrici variano per dimensione e per settore. In particolare, la quota delle imprese innovatrici in alcuni dei servizi alle imprese (servizi finanziari ad esempio) è maggiore che nel settore manifatturiero.

3. Innovazione e servizi

In particolare se si considera il rapporto che intercorre tra servizi e innovazione, viene messo in evidenza che il fulcro della competitività si è progressivamente spostato dal settore manifatturiero a quello dei servizi, i quali sono in grado di aumentare la

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produttività del capitale sociale e il tasso di accumulazione. Significativo, a tal proposito è il crescente peso che hanno avuto il cambiamento tecnologico e la diffusione dell’ICT nella determinazione della crescita dei servizi. Tuttavia, non è possibile escludere il fatto che i servizi, oltre a guidare l’innovazione tecnologica, sono anche all’origine dell’innovazione sul piano organizzativo, la quale migliora il patrimonio immateriale delle imprese e le competenze dei lavoratori.

Per molto tempo, si è ritenuto che i servizi, per via delle loro caratteristiche, fossero scarsamente interessati dal cambiamento tecnologico e dalle attività innovative. Si ipotizzava che l’innovazione tecnologica fosse un fenomeno in misura prevalente legato al settore manifatturiero. Solo di recente si è riconosciuto il ruolo fondamentale che possono giocare nei processi innovativi le attività di servizio. Sia come generatori di innovazione che come veicolo di innovazioni per il resto del sistema. Diversi studi evidenziano questo ruolo dell’innovazione all’interno dei servizi.

I servizi assumono così un ruolo autonomo e non più sussidiario nei mutamenti del sistema produttivo. In particolare – secondo alcuni autori – alcune tipologie di servizio caratterizzate da alto contenuto di conoscenza (knowledge-intensive business services) influenzano in misura rilevante la competitività di imprese, settori e nazioni. Lo sviluppo e la specializzazione di tali servizi disegnano una nuova divisione internazionale del lavoro, in cui le economie avanzate attraverso queste attività controllano una parte rilevante e strategica della “catena del valore” mondiale, trasferendo fasi a basso valore aggiunto della produzione materiale ai paesi in via di sviluppo. Lo sviluppo dei servizi rappresenta dunque per il sistema produttivo una condizione essenziale per accrescere l’efficienza dello stesso. Molti di essi, infatti, hanno effetti rilevanti sulla produttività e competitività delle imprese.

Queste trasformazioni del sistema produttivo, come si è osservato, determinano una crescita sia dei servizi alla produzione più “tradizionali” (trasporti, comunicazioni, commercio intermedio, assicurazioni, credito, etc.), sia di quelli più “moderni” e “avanzati” (servizi tecnici, gestionali e organizzativi, servizi legati alla commercializzazione, servizi informatici, servizi finanziari nuovi, servizi di selezione e formazione del personale, attività di ricerca).

La crescita collegata ai servizi alle imprese è dunque una realtà, in particolare attraverso il ricorso a servizi ad alta intensità di conoscenze, che costituisce un canale complementare per lo sviluppo delle nuove tecnologie, per la creazione di nuove opportunità di lavoro e per l’acquisizione di vantaggi competitivi. Inoltre, diventa sempre più importante il ruolo di molti nuovi servizi e delle imprese che li erogano. Quest’ultime, nelle moderne economie, agiscono come veicoli per la produzione e la diffusione di nuove tecnologie, innovazione e conoscenza nei sistemi economici. A tal proposito, rivestono un ruolo importante i servizi alle imprese, business services, in particolare quelli ad elevata intensità di conoscenza, knowledge-intensive business services (KIBS).

Tra gli indicatori tecnologici, le tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione giocano un ruolo particolarmente rilevante nel facilitare la produzione e il commercio

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dei servizi alle imprese. è stato osservato che la diffusione soprattutto dei servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenza (KIBS) è fortemente influenzata dalla parallela diffusione e implementazione del paradigma tecnologico basato sull’ICT.

I servizi avanzati si differenziano dagli altri per la loro natura complessa, caratterizzata prevalentemente da un elevato contenuto di ricerca e conoscenze, con l’utilizzo di lavoro ad alta qualificazione e specializzazione professionale. Rientrano in questa categoria i cosiddetti knowledge-intensive business services (KIBS), quali attività economiche che hanno come contenuto la creazione, l’accumulazione e la distribuzione di conoscenze manageriali e tecnologiche fra imprese e settori. Sono dunque servizi che favoriscono l’introduzione di nuovi prodotti, nuovi processi produttivi e organizzativi.

I knowledge-intensive business services sono cresciuti di importanza in tutti i paesi avanzati e il loro ruolo crescente si inserisce nelle tendenze più generali alla specializzazione e frammentazione delle attività produttive che abbiamo prima richiamato. Il loro output è in larga misura costituito dal know-how che forniscono ai fruitori del servizio; in alcuni casi con la fornitura diretta di informazioni e conoscenze (analisi di mercato, consulenza, formazione); in altri fornendo prodotti intermedi e input per la creazione e l’elaborazione di informazioni da parte delle imprese utilizzatrici (computer services, servizi di comunicazione). Coprono quindi una ampia varietà di attività: alcune più standardizzate, altre più personalizzate per andare incontro alle domande dei singoli clienti. Molto spesso il rapporto che si instaura tra fornitori di KIBS e imprese è bilaterale: i KIBS offrono soluzioni specifiche alle aziende (analisi dei problemi, ventaglio di soluzioni, partecipazione al processo di problem-solving), che a loro volta trasmettono alle imprese di servizi la possibilità di acquisire nuove informazioni e conoscenze sulle modalità di riorganizzazione delle stesse imprese.

Si può creare così un “circolo virtuoso” tra KIBS e imprese utilizzatrici in grado di contribuire positivamente alla capacità di produzione e innovazione di entrambi. Le politiche dirette a favorire lo sviluppo e l’utilizzo delle nuove tecnologie possono avere così un effetto positivo sulla specializzazione dei servizi alle imprese.

I servizi alle imprese utilizzano lavoro altamente qualificato. La disponibilità di lavo-ro con elevati gradi di istruzione a livello regionale è, quindi, un prerequisito perché le regioni possano specializzarsi nei servizi ad alta intensità di conoscenza. Un altro dato rilevante emerso dall’indagine concerne l’occupazione che il settore dei servizi alle imprese può generare. Confrontando i dati nazionali con la media europea, in tutti i paesi il tasso di crescita dell’occupazione nei servizi alle imprese è stato decisamente più alto di quello medio (per la media UE 6.74 rispetto a 1.04), e superiore a quello riscontrato in qualsiasi altro settore dei servizi e nel comparto manifatturiero. L’Europa presenta comunque una situazione molto differenziata. I tassi di crescita più elevati si riscontra-no in Irlanda, Regno Unito, Portogallo e Romania e i più bassi nella Repubblica Ceca, in Spagna, in Norvegia e in Ungheria. Mentre le quote più alte di occupati nei servizi sull’occupazione totale si trovano nel Regno Unito, in olanda e in Belgio e le più basse in Bulgaria, Romania e Grecia.

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4. Processi di internazionalizzazione e servizi

L’analisi del capitolo 2 mette in evidenza che le regioni in cui sono collocate le “città capitali” tendono ad essere altamente specializzate nel settore dei servizi alle imprese. Le economie di agglomerazione giocano dunque un ruolo cruciale. Bisogna comunque anche considerare gli “effetti paese” che influenzano la specializzazione regionale nei servizi. Per quanto riguarda la distribuzione di tali servizi in Europa, nessuna regione del Portogallo, della Grecia, della Norvegia e della Finlandia (sempre ad eccezione delle regioni con le città capitali) mostra un vantaggio comparato nei servizi alle imprese. Le regioni spagnole, francesi e italiane mostrano un comportamento più variegato, mentre tra le undici regioni del Belgio quattro sono specializzate nei servizi alle imprese.

Infine, con riferimento all’Italia si riscontra una correlazione positiva tra la specia-lizzazione nei servizi alle imprese e il grado di internazionalizzazione delle regioni. I servizi in generale, e i servizi alle imprese in particolare, oltre ad essere oggetto di un crescente scambio internazionale, favoriscono il processo di internazionalizzazio-ne della produzione anche in altri settori. A questo riguardo va messo in rilievo che un’altra concezione dei servizi che è stata quasi del tutto superata, è quella che i servizi operassero in segmenti di mercato con poca competizione a livello internazionale. In realtà il settore dei business services ha accompagnato e stimolato il processo di inter-nazionalizzazione, incoraggiando direttamente o indirettamente le imprese di prodotto ad espandere e internazionalizzare le loro strategie di mercato.

Il processo di internazionalizzazione del settore dei servizi si distingue, però, da quello dei prodotti. Nel caso dell’industria manifatturiera, infatti, l’internazionalizzazione è legata al commercio e agli investimenti esteri, mentre per i servizi il commercio pur ricoprendo un ruolo importante, rappresenta solo uno dei possibili modi di rafforzare l’internazionalizzazione. Nel corso di recenti studi è stato dimostrato che, nei servizi, gli attori adottano differenti modi di internazionalizzazione, emerge chiaramente il ricorso agli Investimenti Diretti Esteri (IDE), come elemento chiave della concorrenzialità dei business services, nonostante la recente espansione del commercio internazionale. oltre a questi fattori, anche il diffondersi dell’offshoring e il ricorso alle risorse globali in generale stabilisce un nuovo ritmo nella competitività internazionale nell’offerta di molti servizi. Anche nei sevizi, pertanto, si creano dinamiche che determinano competitività nel settore e riproducono andamenti simili a quelli osservati nel settore manifatturiero.

Nonostante le difficoltà di misurazione del commercio internazionale dei servizi, e il relativo apporto del commercio diretto ad una espansione dei servizi, è possibile mettere in luce due aspetti dell’internazionalizzazione dei servizi alle imprese. Innanzitutto la crescita mondiale del commercio di servizi, benché ancora inferiore a quella dei prodotti, ha riscontrato una crescita più rapida negli ultimi decenni. Inoltre, la maggior parte del commercio internazionale di servizi è effettuata dai paesi industrializzati e la loro quota nel commercio dei servizi è superiore alla loro quota nel commercio dei beni. L’altra faccia dell’internazionalizzazione dei servizi, è una forma più sottile di penetrazione

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commerciale nei mercati esteri, ovvero l’apertura di filiali, agenzie, uffici decentrati, da parte delle grandi imprese di servizi dei paesi industrializzati.

Per tornare al capitolo 2, in Italia, le regioni maggiormente specializzate nei servizi alle imprese sono anche le più internazionalizzate. Così tra le regioni con i più alti valori di specializzazione troviamo la Lombardia e il Lazio (le due regioni in cui sono localiz-zate le maggiori città italiane: Milano e Roma); a queste regioni seguono in prevalenza aree settentrionali: il Piemonte, la Liguria, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, la Valle d’Aosta, la Toscana e il Veneto. Tra le regioni centrali e meridionali, nel complesso non specializzate nei servizi alle imprese, i livelli più alti dell’indicatore di vantaggio comparato si riscontrano in Umbria, Marche, Basilicata, Campania e Puglia. In parti-colare, negli ultimi anni, tra le regioni centrali e meridionali, la Campania e la Puglia vedono crescere più delle altre il loro grado di specializzazione.

5. I servizi alla produzione in Campania

Come viene sottolineato nel capitolo 3 non è facile definire con precisione quali siano esattamente i servizi destinati al sistema produttivo e classificarli in categorie predefinite. L’inclusione o meno di un settore può infatti modificare notevolmente il contenuto del fenomeno. Per alcuni autori, ad esempio, i servizi di trasporto e comunicazione sono da considerarsi servizi collettivi e quindi destinati prevalentemente al consumo finale, mentre per altri essi devono essere inclusi per la loro elevata intensità di capitale. In alcune classificazioni la distribuzione è inclusa, mentre in altre è considerata un’attività di servizio per il consumo finale. Per altri, ancora, l’attenzione deve concentrarsi soprattutto sui servizi più “moderni”, che sono stati sviluppati più di recente (informatica, organizzazione, marketing) e che rappresentano la vera novità rispetto ai servizi più tradizionali (credito, assicurazioni, consulenze legali, etc.). Altri infine, preferiscono distinguere i servizi strategici e ad alto contenuto di conoscenze, knowledge intensive business services (KIBS), dagli altri servizi alle imprese. In realtà il più delle volte si tratta di classificazioni convenzionali, vincolate dal livello di disaggregazione delle statistiche disponibili. All’interno di molti settori dei servizi per il sistema produttivo una quota abbastanza rilevante è finalizzata anche al consumo finale; così come all’interno di ogni settore convivono segmenti più avanzati, ad alto contenuto di conoscenza, e segmenti più standardizzati e di basso profilo professionale.

Più in particolare le principali caratteristiche del settore dei servizi possono essere riassunte come segue: (i) la produzione si caratterizza generalmente per la sua natura immateriale anche se i prodotti di alcune attività di servizio, quali, ad esempio, la ricerca, il software, etc., possono essere scambiati come beni fisici. Inoltre grazie alle tecnologie dell’informazione, molti servizi possono essere integrati nei prodotti e in questo modo essere conservati, trasportati e consegnati; (ii) la produzione di servizi in generale, soprattutto quelli ad alta intensità di conoscenze, richiede un interazione fra produttore e cliente-utilizzatore; (iii) i servizi ad alta intensità di ricerca e conoscenze forniscono

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gli input immateriali (know-how, software, competenze organizzative, capacità di R&S, etc.) che spesso rappresentano una parte essenziale della creazione di valore, mentre le attività materiali tendono a diventare componenti relativamente meno importanti.

Pur tenuto conto di queste difficoltà di misurazione il capitolo 3 analizza i servizi alla produzione nello specifico caso della Regione Campania. Per quanto riguarda il caso della Campania, a fronte di una generale terziarizzazione dell’economia a livello europeo e nazionale, la regione vive un relativo rallentamento di tale processo, nonostante la regione conservi ancora una posizione predominante nel Mezzogiorno. L’evoluzione di questi anni mostra un rallentamento del processo di terziarizzazione dell’economia locale anche se la Campania continua a presentare una maggiore terziarizzazione rispetto al resto del Mezzogiorno. Ciò si spiega, da un lato, con la maggiore presenza di servizi alla produzione data la più intensa concentrazione di attività economiche; dall’altro con gli elevati tassi di disoccupazione e densità abitativa, che porta alla ridondanza di alcune attività di servizi alla produzione. Basti pensare all’elevatissimo numero di avvocati e commercialisti presenti nell’area e computati come aziende individuali.

Il rischio è l’avvitamento di un circolo vizioso in cui la relativa arretratezza e debole competitività delle imprese induce una ridotta presenza dei servizi alla produzione, in particolare quelli di tipo avanzato o più innovativi, che a loro volta indebolisce la capa-cità competitiva delle stesse imprese. Al contempo, i servizi più avanzati sono composti da una complessa e variegata gamma, quali le consulenze aziendali, la progettazione, l’ingegneria gestionale e progettuale, la realizzazione di software, la R&S – in cui la qualità e competenza del lavoro gioca un ruolo predominate. Si tratta, da un lato, di possedere qualifiche idonee allo sviluppo di tali complessi servizi e dall’altro, di sapersi relazionare con i clienti/partner al fine di sviluppare il mercato. Non a caso, in Italia, è il Nord-ovest l’area dove sono concentrati la maggior parte dei servizi più innovativi e tecnologici, con una quota di occupati pari al 39,8% di tutti gli addetti del settore. Segue il Centro col 22,8%, il Nord-Est con il 20,3% e, ultimo, il Mezzogiorno, con una quota pari al 17% (quasi 397.000 addetti con un’incidenza dell’8,5% sul totale degli occupa-ti), pur se in crescita. Si tratta di dinamiche ancora modeste ma va comunque segnalato che la crescita del comparto in molte regioni meridionali (Abruzzo, Puglia, Calabria e Sardegna) è al di sopra della media nazionale.

Nel caso specifico della Campania emergono delle criticità di fondo che, sono in parte comuni al resto del Paese, ostacolano l’espansione qualitativa e quantitativa del comparto dei servizi alla produzione. In primo luogo, le mancate liberalizzazioni e pri-vatizzazioni del comparto continuano a alimentare e proteggere sacche di inefficienza. In secondo luogo, la mancata diffusione di reti aggrava l’isolamento delle imprese di ridotte dimensioni che per restare competitive dovrebbero integrarsi con altre unità e puntare sull’innovazione. Al riguardo lo sviluppo di reti, filiere e distretti integrati manifatturiero-servizi, non vi è dubbio, potrebbero dare un valido contributo al supera-mento del fenomeno della micro dimensione delle imprese.

La Regione Campania dispone di molti fattori sulla carta in grado di favorire lo svi-luppo di un terziario per le imprese, anche avanzato. Ha una densità industriale interes-

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sante, alcuni comparti industriali di punta, un elevato tasso medio di istruzione e quali-ficazione professionale, una posizione solida nel panorama universitario e scientifico, e un soddisfacente grado di internazionalizzazione. Nonostante ciò il comparto dei servizi alla produzione della regione non ha raggiunto capacità e competenze adeguate a sod-disfare le esigenze del tessuto produttivo locale. Se l’incidenza dei servizi sull’insieme delle attività economiche è in aumento, il livello medio qualitativo dell’offerta è basso e la maggioranza delle imprese e degli addetti è presente nel segmento più tradizionale dell’ampio aggregato dei servizi alla produzione, con scarsissima presenza nella parte più innovativa ed avanzata ad alto contenuto di know-how. Spesso, peraltro, la domanda per tali tipologie di servizi è diretta all’estero. Il quadro descritto, peraltro, non appare destinato a mutare a breve e medio termine, sia per vincoli e rigidità ascrivibili all’ope-rare del settore pubblico sia all’assenza di scelte e di un sistema coeso di iniziative.

6. I servizi e i cambiamenti nell’organizzazione delle imprese

La nascita di molte imprese di servizi ha coinciso in questi anni con il cambiamento dell’organizzazione dell’impresa e della stessa struttura industriale, ridefinendo i confini di molti settori. Quello che si configura è così un panorama ampio e variegato, fatto di servizi per il consumatore finale (banche, assicurazioni, trasporti, etc.), servizi alle imprese e attività di servizio nelle imprese. Questo scenario, in continua evoluzione, è il risultato di processi di ristrutturazione complessi e variegati che vengono colti solo parzialmente dalle statistiche esistenti e dalle classificazioni tradizionali dei settori pro-duttivi.

La gamma di attività affidate in outsourcing è estremamente ampia e diversifica-ta, spaziando dall’affidamento a terzi di funzioni di relativa importanza strategica, all’esternalizzazione di attività complesse, spesso essenziali per il funzionamento dell’organizzazione delle imprese: si pensi alla gestione del personale o alla gestione dei servizi logistici o, ancora, alla gestione e manutenzione delle reti informatiche e telematiche.

Un ulteriore aspetto da considerare è l’influenza che la diffusione delle reti telema-tiche e l’informatizzazione delle procedure gestionali, di grandi strutture produttive, sta avendo sui processi di esternalizzazione. La possibilità di erogare attraverso reti tele-matiche parte o tutto il servizio in outsourcing, o di accompagnare alcuni servizi con una rapida trasmissione di dati e informazioni o, ancora, di monitorare costantemente lo stato di avanzamento delle attività esternalizzate, sta contribuendo alla rapida diffusione dell’outsourcing. In particolare, la crescente diffusione delle tecnologie dell’informa-zione (Information Technologies) nelle imprese di servizi sta consentendo una continua evoluzione dell’offerta di servizi sempre più tagliati su misura alla domanda degli uti-lizzatori.

Naturalmente la crescita dei servizi alla produzione non può essere ricondotta ad una mera redistribuzione delle attività tra il settore manifatturiero e quello dei servizi

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attraverso operazioni di esternalizzazione di queste attività messe in atto dalle imprese manifatturiere. Per quanto importante tale fenomeno spiega solo in parte l’accresciuto ruolo dei servizi. In realtà la crescita del settore può essere spiegata da andamenti più generali riassumibili sotto il termine di cambiamento dell’organizzazione dei sistemi produttivi, che hanno interessato tutte le economie più avanzate negli ultimi decenni in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie ICT. In particolare in Europa, il settore dei servizi ha beneficiato di tali cambiamenti strutturali in due differenti modi. In primo luogo il crescente peso dell’ICT nel determinare le dinamiche produttive ha significato, innanzi tutto, un maggiore utilizzo di servizi; in secondo luogo, l’aumento dei fenomeni di outsourcing e offshoring hanno accresciuto la complessità della divisione del lavoro intra-settoriale e inter-settoriale aumentando la domanda di servizi. La crescente com-plessità della divisione del lavoro, infatti, ha favorito in Europa processi innovativi e una maggiore specializzazione delle tecnologie, aumentando e migliorando l’uso degli input forniti dalle imprese di servizi alla produzione.

Per la maggior parte dei servizi alla produzione, infatti, si riscontra un approfondi-mento della divisione del lavoro tra imprese utilizzatrici e fornitori esterni. Le imprese tendono a ricorrere a consulenti esterni specializzati sia per le funzioni più generali e/o con rilevanti economie di specializzazione dell’offerta, sia per quelle prestazioni a carattere più mirato e occasionale. Più in generale, è lo stesso ricorso a fornitori esterni che presume un innalzamento del livello di competenze interne. Ciò è vero soprattutto nel caso dei servizi a più alto contenuto di conoscenze (i cosiddetti KIBS). La com-petitività delle imprese dipende in misura crescente dalla qualità dei servizi utilizzati e dal processo di interazione, legato alla riduzione dei tempi di decisione, all’adozione di innovazioni nei processi produttivi non solo di tipo tecnologico ma anche organizzativo. Importante, quindi, diventa lo sviluppo delle competenze e della qualità del capitale umano. In questo contesto, fattori rilevanti per il successo delle imprese, oltre ai tra-dizionali investimenti in capitale e altre attività materiali più tradizionali, diventano il know-how e le competenze specialistiche. Di qui il ruolo chiave dei servizi alla produ-zione e l’aumento della loro domanda come input intermedi.

Lo sviluppo dei servizi alla produzione in quest’ultimo decennio riflette così i mutamenti avvenuti nell’organizzazione della produzione e delle attività delle imprese in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie dell’ICT, con rilevante presenza di economie dinamiche di scala esterne. Specie nel caso dei servizi a più alto contenuto di conoscenze, ma anche in altri servizi alla produzione più tradizionali, si rilevano spesso positive interazioni tra fornitore e utilizzatore dell’attività di servizio e forti complementarietà nell’attività innovativa. Queste complementarietà implicano, a loro volta, importanti interazioni tra conoscenze interne e esterne e forme di vera e propria coproduzione dell’innovazione tra utente e fornitore.

A questo riguardo il capitolo 4 analizza le motivazioni strategiche delle scelte di investimento in ICT, e, quindi, il ruolo e l’impatto che tali tecnologie hanno, anche in prospettiva, nei processi di creazione di valore delle imprese e del sistema produttivo della Campania. In primo luogo è stato valutato l’insieme dei ritorni (innovazione

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di prodotto, di servizio, di processo, nelle relazioni e nei canali di comunicazione tra imprese) e dei costi (acquisto, installazione, apprendimento, switching, di rischio per-cepito, problemi procedurali e operativi, costi opportunità e di obsolescenza) della deci-sione di un investimento in ICT. Nel caso specifico delle imprese della Campania molto importante risulta essere l’analisi della percezione dei vincoli e/o ostacoli esogeni alle stesse imprese, e quindi relativi al contesto, che influenzano gli investimenti in ICT.

Dall’analisi svolta, emergono tre categorie o gruppi di imprese in Campania: un primo livello sono le imprese ICT “potenziali”; un secondo livello è rappresentato dalle imprese IT “operative”, distinte in imprese con “competenze ICT non specialistiche” e in imprese con “competenze ICT specialistiche”. Ciascuno di questi ultimi sottoinsiemi è stato scomposto, e questo è il terzo livello di analisi, in tre tipologie di imprese con riguardo al grado di complessità e al valore aggiunto delle attività svolte.

L’analisi dimostra innanzi tutto che la percentuale degli addetti nei settori ICT si è ridotta negli ultimi anni. è un trend comune a tutto il Mezzogiorno, e in contrasto con il generale aumento della quota percentuale degli addetti sia al nord sia al centro. Anche l’indice di specializzazione ICT della regione Campania evidenzia una tendenza alla riduzione, ma il suo livello rimane elevato e inferiore soltanto alla regione Lazio. Se si guarda alla distribuzione per provincia delle imprese operative in Campania, il mag-giore addensamento è nella provincia di Napoli (55%) e di Salerno (21%). Seguono in ordine, e molto distaccate, le provincie di Caserta (10,7%), Avellino (7,6%) e Benevento (5,7%).

Dal questionario rivolto alle imprese campane sono emersi, in particolare, alcuni risultati interessanti. In primo luogo, le imprese campane mostrano un interesse elevato nei confronti degli investimenti in ICT confermato dagli investimenti effettuati in tali tecnologie nel recente passato, e dall’intenzione di investire ‒ magari aumentando le risorse di budget destinate a questi investimenti ‒ ancora nel prossimo futuro. L’analisi della composizione della spesa in ICT evidenzia che il software e l’hardware assorbono una quota percentuale simile (rispettivamente 37% e 36%), mentre i servizi assorbono il 26% circa. Un dato significativo è che le ICT sono utilizzate oltre ché nelle più tra-dizionali fasi della catena del valore – produzione, logistica, amministrazione, gestione delle reti di vendita – anche in attività o processi di business trasversali, ad alta intensità relazionale nonché ad alta intensità di conoscenza e di innovazione.

Se si analizza la percezione dei manager circa l’impatto sull’organizzazione e il management delle ICT e gli ostacoli alla loro adozione si rilevano quattro cluster di aziende: un primo gruppo con elevata valutazione dei benefici organizzativo-manageria-li e bassa considerazione degli ostacoli endogeni e esogeni all’adozione delle ICT. Per un secondo gruppo di manager i benefici organizzativo-manageriali degli investimenti in ICT sono considerati modesti, da un lato, e dall’altro poco rilevanti gli eventuali ostacoli all’adozione di queste tecnologie. In questo gruppo, il grado di internaziona-lizzazione è più basso del precedente. Nel terzo gruppo di aziende, il management ha una valutazione bassa dei benefici organizzativo-manageriali delle ICT e una percezione di elevati ostacoli interni ed esterni esistenti e da rimuovere. Le imprese di questo rag-

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gruppamento sono prevalentemente di piccola e media dimensione. Il management del quarto gruppo di aziende, infine, ha attese di elevati ritorni organizzativo-manageriali, da un lato, e, dall’altro, la percezione di altrettanto elevati ostacoli all’adozione di tec-nologie ICT. Il grado di internazionalizzazione di tali imprese è analogo a quello del primo raggruppamento.

Va menzionato altresì come l’atteggiamento prevalente delle imprese campane verso gli investimenti in ICT sia positivamente orientato ad integrare tali tecnologie in tutte le fasi della catena del valore, sia quelle relative all’organizzazione, sia quelle trasversali e ad alta intensità relazionale. Naturalmente il processo di adozione di tali tecnologie va meglio interiorizzato e organizzato nella più ampia struttura aziendale, soprattutto in quelle imprese che continuano a sottostimare i benefici organizzativo-manageriali. La percezione dei vincoli esogeni evidenzia altresì la necessità di migliorare le condizioni di contesto, quali: la quantità di risorse umane qualificate e dotate di competenze e for-mazione adeguate alla gestione delle ICT; la disponibilità di infrastrutture sul territorio; la presenza di una rete di servizi specifici alle imprese; la disponibilità di un’offerta adeguata ai bisogni e alle caratteristiche delle imprese (prevalentemente di piccole e media dimensione). Tutti aspetti, questi ultimi, che richiamano la necessità di una più ampia strategia di sviluppo e politica industriale a livello regionale.

7. I servizi e il polo aeronautico in Campania

I capitoli 5-6-7 sono dedicati all’approfondimento di tre casi settoriali, per individuare dinamiche di crescita, fattori di localizzazione e peculiarità dei servizi alla produzione con particolare attenzione alle loro prospettive di espansione nei mercati internazionali. Sono stati selezionati settori in grado di rappresentare – anche se in misura diversa ‒ caratteristiche e dinamiche di sviluppo più generali dell’offerta e domanda di servizi alla produzione della regione. I casi studio in particolare sono i seguenti tre: il comparto aerospaziale ‒ storicamente radicato nel territorio campano; il comparto della logistica ‒ oggi in rapida espansione; quello della comunicazione ‒ ancora in fase di consolidamento. L’obiettivo comune delle tre analisi settoriali è stato individuare il ruolo effettivo e potenziale dei servizi alle imprese e il contributo offerto da questi ultimi all’internazionalizzazione della produzione nei tre settori.

Per quanto riguarda il settore aerospaziale, è possibile distinguere due grandi sub-componenti: l’Aeronautico, legato ai due grandi ‘system integrator’ mondiali – Boeing, Airbus – e alle ‘supply chain’ dalle caratteristiche piramidali; lo Spaziale, caratterizzato da una maggior componente di servizi e dalle agenzie spaziali nazionali ed internaziona-li, dai grossi player locali ed infine da supply chain tendenzialmente più orizzontali.

In Campania, il settore aeronautico è animato da una grande impresa (Alenia), for-nitore diretto dei due leader mondiali, da alcune imprese di medie e piccole dimensioni nella veste di fornitori, alcune imprese che operano principalmente nel campo dell’Avia-zione generale ed un insieme di piccole imprese che fanno da loro subfornitori. I servizi

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nel settore aeronautico si suddividono essenzialmente in: servizi ingegneristici, servizi ed apparati per la qualifica e il testing, servizi di manutenzione e riconversione e servi-zi di tipo generale. Tutte le tipologie elencate risultano coperte dalle PMI presenti sul territorio campano, almeno a livello di offerta potenziale. La domanda di alcuni servizi tende spesso a privilegiare la vicinanza geografica delle aziende subfornitrici, per cui la fonte di domanda è Alenia Aeronautica.

opportune differenziazioni vanno fatte tra le diverse tipologie di servizi. Alcuni ser-vizi possono essere considerati “collaterali” (consulenze fiscali, servizi di mensa, teleco-municazioni, trasporti, etc.) o comunque non significativi per il ciclo produttivo. Per tali servizi le grandi e medie aziende optano spesso per l’outsourcing, trattandosi spesso di attività a basso valore aggiunto. Per i servizi di tipo “specialistico” che sostanzialmente possono essere scomposti in servizi ingegneristici, servizi tecnici e consulenze tecnico-gestionali, la domanda risulta fortemente correlata all’andamento delle commesse della grande azienda (Finmeccanica), la quale ricorre a collaborazioni esterne in funzione dei propri carichi di lavoro. Per quanto concerne i servizi relativi al comparto spaziale, la domanda è storicamente attivata dal sistema pubblico (Agenzia Spaziale Italiana – ASI; Agenzia Spaziale Europea – ESA). Allo stesso tempo con lo sviluppo a livello mondiale del mercato delle applicazioni civili, il ruolo di fornitore di servizi spaziali, per lungo tempo appannaggio delle agenzie governative, si è spostato nella direzione di imprese private in grado di controllare una larga parte della catena del valore che va dal satellite al prodotto finale ed alla sua utilizzazione.

L’esternalizzazione dei servizi da parte delle imprese di media dimensione è marcata per quanto riguarda aziende che operano come system integrator in campo aeronautico. Più limitato è il ricorso all’esternalizzazione dei system integrator spaziali (come la Carlo Gavazzi Space S.p.A.), anche se il ricorso a fornitori qualificati con rapporti di lungo periodo sono una necessità del settore che richiede standard qualitativi estrema-mente elevati e competenze molto specifiche. Infine per quanto concerne il caso delle aziende di media dimensione operanti come fornitori all’interno della supply chain inter-nazionale appare evidente che la tendenza a chiedere componenti sempre più complesse, comprensive della fase di progettazione, portano tali imprese, per necessità strategiche, a internalizzare tale fase e esternalizzare una parte non significativa di servizi, mentre elevata appare la necessità di ricorrere all’esterno per componenti non core di servizi (legali, finanziari). è auspicabile quindi anche una crescita sul territorio di operatori che offrano servizi di questo tipo.

Per ciò che concerne l’apertura internazionale delle imprese campane erogatrici di servizi aerospaziali, è necessario sottolineare che la maggior parte di tali aziende opera principalmente sul territorio locale e nazionale. Solo pochissime, infatti, riescono ad avere commesse all’estero offrendo principalmente servizi di progettazione meccanica. In molti casi l’apertura internazionale è spesso relativa ad attività commissionate in Italia da parte dei Prime Contractor nazionali su commesse internazionali. Fanno ecce-zione, nel settore spazio, le attività svolte da alcune aziende locali (quali: Carlo Gavazzi Space, consorzio Antares, Technosystem e MARS) che operano direttamente sui mercati

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internazionali costituiti dalle agenzie spaziali europee, da quella russa, dalla NASA e da quelle dei paesi orientali e mediorientali.

L’offerta di servizi è dunque qualitativamente buona in tutti i campi, mentre, se si eccettua l’offerta di servizi legati alla progettazione aeronautica di tipo “meccanico”, poche aziende soddisfano o possono soddisfare una domanda internazionale, soprattutto a causa delle piccole dimensioni. Pertanto, la consapevolezza delle numerose piccole e microaziende campane di non poter sostenere le sfide internazionali e, allo stesso tempo, di non potersi limitare al solo mercato locale, le ha spinte a creare diverse aggregazioni, solitamente consorzi o società consortili. Tali aggregazioni non hanno ancora avuto una effettiva ricaduta in termini di incrementi delle quote di mercato e nuovi clienti acquisiti dalle aziende partecipanti. In alcuni casi hanno consentito la partecipazione a progetti di ricerca congiunti o a programmi nel settore dello spazio.

In conclusione, le aziende di servizi del settore aerospaziale hanno buone potenziali-tà di internazionalizzazione. L’ostacolo principale è rappresentato dalla piccola dimen-sione che non offre la base economica necessaria per affrontare i costi che il processo di internazionalizzazione comporta. A ciò si aggiunge un sostegno pubblico scarso e poco efficace. Un maggiore supporto a carattere finanziario, per esempio, potrebbe essere disposto per la partecipazione ai bandi emessi dalle grandi aziende estere e dalle Agen-zie Spaziali. La partecipazione a questi bandi comporta dei costi elevati per la piccola impresa e i finanziamenti delle aziende più meritevoli sarebbero un utile supporto per una partecipazione maggiore e più qualificata a queste gare internazionali.

Un altro grave limite delle piccole aziende campane è rappresentato da un capitale umano non adeguatamente qualificato per le sfide globali. La regione dispone del più importante centro di ricerca nazionale specializzato in campo aerospaziale, il CIRA e vanta un buon sistema universitario. In questi ultimi anni sul territorio sono state avvia-te diverse iniziative rivolte alla qualificazione delle PMI del settore aerospaziale attra-verso programmi specifici di ricerca e sperimentazione, progettazione, manutenzione ed offerta di servizi. Ma risulta necessaria un’ ulteriore integrazione tra università, ricerca applicata e sistema industriale ed è pertanto auspicabile nel futuro una proiezione inter-nazionale finalizzata ad accrescere la professionalità e la competenza del personale.

8. Le grandi opportunità della logistica

Il secondo caso studio ha analizzato il settore della logistica. La rinnovata centralità del Mediterraneo, l’aumento degli scambi tra l’Asia e l’Europa, e la nascita a breve di una area di libero scambio Euro-Mediterranea, prevista entro il 2010, pongono la Cam-pania ed il suo sistema logistico in una posizione strategica, tanto da poterle attribuire il ruolo di ponte mediterraneo tra l’Asia, l’Africa e l’Europa centro-settentrionale. Entro il 2015 nel Mediterraneo centrale è previsto un aumento esponenziale del traffico. In un tale contesto, i poli logistici campani (situati all’incrocio strategico con il corridoio transeuropeo I, con l’Autostrada del Mediterraneo occidentale e con quella del Medi-

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terraneo orientale) hanno grandi opportunità di potenziare i sistemi di intermodalità e ampliare le aree destinate alla logistica per “catturare” quote crescenti di tale traffico in espansione.

Elemento chiave è lo sviluppo degli interporti, strutture logistiche intermodali e integrate per la gestione delle attività di movimentazione, transito e stoccaggio delle merci. Negli interporti le attività logistiche si integrano con quelle di produzione e commercializzazione mediante un’offerta di servizi ampia ed articolata, suddivisibili in servizi di distribuzione e logistica, di supporto, che trasformano gli interporti da semplici aree immobiliari per lo stoccaggio delle merci a delle vere e proprie piattaforme logistiche, in grado di trasformare i prodotti e conferirgli valore aggiunto.

Nel complesso la presenza di infrastrutture intermodali nelle regioni meridionali non supera il 40% del valore medio nazionale. La Campania pur presentando una buona dotazione infrastrutturale con riferimento alle reti terrestri stradale e ferroviaria ed alla portualità commerciale, è quasi del tutto priva di un sistema logistico integrato per le piccole e medie imprese, fatta eccezione per quello fondato sui rapporti con la Grande Distribuzione organizzata. Molte aziende hanno affidato a terzi, mediante un processo di outsourcing, la gestione integrata delle attività di magazzinaggio e trasporto (che inci-dono dal 9 al 13% sul costo finale dei prodotti industriali), sia con contratti di servizio che con veri e propri ‘spin off’ di segmenti di attività aziendale. Benché l’Italia sia oggi il quarto più grande mercato logistico europeo, il ricorso alla terziarizzazione è relativa-mente poco diffuso rispetto al resto d’Europa. Ciò comporta la mancata concentrazione della logistica a discapito del territorio e delle infrastrutture come gli interporti, che non riescono a concentrare i flussi su pochi nodi.

Nell’ambito dell’interporto è possibile distinguere due principali categorie di servizi: servizi di competenza della società di gestione; servizi di competenza degli operatori ivi insediati. In genere, i servizi amministrativi sono svolti direttamente dalla società di gestio-ne mentre i servizi di gestione e manutenzione degli impianti comuni vengono delegati a terzi in virtù della molteplicità e specificità delle competenze richieste. Per quanto riguarda il profilo societario, la composizione azionaria riscontrata più frequentemente nelle società di gestione degli interporti è di tipo misto pubblico-privato, ma con maggioranza pubblica, seppur non mancano casi dove il capitale è completamente privato.

La regione Campania presenta buone prospettive di apertura internazionale nei settori della distribuzione e della logistica, grazie al rinnovato ruolo di tali attività nel quadro della competizione internazionale. Per il settore logistica e trasporti al 2006, 12 imprese ‒ che corrispondono al 12% delle 101 imprese campane ‒ sono a partecipazione estera. Le imprese campane del settore rappresentano il 3,3% delle 364 imprese italiane del settore L&T partecipate dall’estero. La maggioranza delle imprese controllanti ha sede nell’Unione Europea.

Le interviste condotte con imprese e organizzazioni presenti sul territorio hanno confermato le notevoli potenzialità del sistema logistico campano (vasta dotazione infrastrutturale e ben distribuita a livello territoriale; posizione geograficamente van-taggiosa nel bacino del Mediterraneo) ma, allo stesso tempo, la difficoltà di realizzare

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infrastrutture (difficile espansione degli spazi nelle prossimità dei porti). Ulteriori cri-ticità del sistema logistico campano riguardano l’inadeguata integrazione tra i nodi e le lungaggini per le verifiche doganali nel porto di Napoli che rallentano molto la velocità di trasferimento delle merci. Nonostante l’importanza dei sistemi logistici integrati, però, delle ingenti somme destinate alle infrastrutture intermodali negli ultimi 20 anni soltanto il 6% è stato speso per attrezzare i porti con piattaforme intermodali. Non svi-luppare tali piattaforme significherebbe l’emarginazione del Mezzogiorno dall’ingente flusso internazionale di merci.

Dall’analisi condotta risulta quindi urgente e importante completare il disegno di sviluppo dell’interportualità italiana, con particolare riferimento alla Campania, attra-verso interventi di carattere strutturale, strategico e programmatico: potenziamento degli impianti ferroviari; potenziamento della capacità dei terminal ferroviari intermodali; rafforzamento delle attrezzature e dei macchinari per la movimentazione delle merci; sviluppo dell’offerta di servizi logistici di standard sempre più elevati; diffusione delle tecnologie informatiche e telematiche.

La globalizzazione e la conseguente internazionalizzazione degli scambi commer-ciali impone di consolidare piattaforme logistiche altamente competitive ed in grado di offrire servizi in tempo reale. Il mancato raccordo tra programmazione nazionale e regionale ha contribuito negli anni a rallentare la realizzazione delle infrastrutture, a non sostenere l’attività delle imprese e, in definitiva, a non consentire la creazione di un’offerta logistica in grado di rispondere tempestivamente alle mutevoli esigenze di un mercato ormai globale. Andrà evitato di ripetere analoghi errori in futuro.

9. Servizi e attività di comunicazione

L’ultimo capitolo si è occupato del comparto della comunicazione in Campania. La comunicazione è uno strumento fondamentale del vantaggio competitivo, basti pensare al branding, ossia alla capacità delle imprese di costruirsi un marchio con un’imma-gine particolarmente forte. In particolare la pubblicità, importante leva strategica, è il mezzo attraverso cui l’impresa crea le condizioni necessarie per generare una relazione interattiva tra azienda e acquirente. Ma la pubblicità è solo una parte del processo di comunicazione (progettazione e gestione che utilizzano i mass media).

Il territorio italiano vanta numerose strutture che svolgono attività connesse all’ero-gazione di consulenze e servizi per la comunicazione d’impresa. In Italia, infatti, la vocazione ad intraprendere è molto forte, nonostante le note difficoltà esistenti. Ma se si raffrontano le medie di profitto lordo delle imprese di comunicazione straniere con quelle italiane si evidenzia un gap notevole. Sempre negli altri paesi avanzati le imprese investono molto in comunicazione, molto di più che in Italia. L’Italia meridionale, in particolare, non ha una forte tradizione di investimenti in comunicazione, soprattutto per la pubblicità propriamente detta.

Per quanto concerne i servizi, le agenzie di comunicazione svolgono in genere pre-

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stazioni creative consistenti nello studio e nella ideazione delle campagne di comuni-cazione. Ma esse si propongono di assumere anche un ruolo di consulenza esteso alla parte organizzativa. L’advertising classico ha sempre più bisogno di essere integrato con eventi, internet e altri strumenti che interagiscano costantemente.

Al pari di ciò che avviene nel resto dell’economia italiana, il comparto in generale è contraddistinto dalla forte presenza di microimprese, composte anche di una sola unità. Non fa eccezione la Campania con un tessuto estremamente frammentato di piccole aziende di comunicazione che si destreggiano in un mercato ancora poco sviluppato, dove la domanda di servizi di comunicazione è ancora appannaggio di poche imprese. Tra le moltissime imprese che si definiscono agenzie di pubblicità ve ne sono molte che svolgono solo marginalmente questa attività e che si dedicano in realtà a processi rela-tivi alla stampa, alla produzione di gadget o al ‘direct marketing’. I processi di nascita e fallimento delle imprese (microimprese o società unipersonali) sono molto diffusi nel comparto. Il problema riscontrato in molti casi è di tipo gestionale: molte di queste realtà imprenditoriali non sono capaci di allargare il proprio bacino d’utenza.

Va comunque sottolineato che le imprese di comunicazione in Campania rappre-sentano una realtà vitale e un’autentica espressione di vivace pluralismo culturale, con iniziative localizzate praticamente in tutti i territori della regione. Ma solo alcune (poche) di queste imprese di comunicazione sono riuscite a superare i confini regionali e nazionali ottenendo risultati di indubbio interesse.

Sul piano dell’internazionalizzazione numerosi fattori – tecnologici, economici, imprenditoriali e normativi – hanno determinato condizioni favorevoli aprendo la strada ad una progressiva apertura dei mercati e delle imprese, che si manifesta con la ricerca di coalizioni – accordi, joint ventures, fusioni etc. Rispetto ad altre regioni italiane, la Campania è ancora una regione relativamente poco integrata nei mercati internazionali, con pochissimi casi di imprese di comunicazione internazionalizzate.

Infine le interviste effettuate (BI.VA & Associati, Medias, Nascar) mettono in eviden-za che le imprese di marketing e comunicazione sono basate su due drivers fondamen-tali, capitale innovativo/tecnologico e capitale umano. Come mostrano le affermazioni degli intervistati la condizione del successo è investire in formazione e innovazione. Disporre di un know how nonché di competenze qualificate e specialistiche è di vitale importanza per le imprese. Anche per quelle campane, che vorranno affermarsi in Italia e all’estero.

10. Considerazioni conclusive

Per riassumere la crescita dei servizi destinati alla produzione ha molteplici cause, in qualche modo riconducibili ai rilevanti cambiamenti che hanno interessato la strut-tura organizzativa dei sistemi produttivi negli ultimi due decenni. Anche in Europa l’interesse crescente verso i servizi alla produzione è stato determinato dal fatto che essi rappresentano un comparto in forte espansione, sia per quanto riguarda la creazione di

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nuovi posti di lavoro, sia per la nascita di nuove imprese. Allo stesso tempo i servizi alla produzione hanno offerto in questi anni un contributo assai rilevante alla performance produttiva delle economie europee, in particolare del comparto manifatturiero. La mag-gior parte dei beni manufatti include in effetti una componente crescente di servizi alla produzione, con un forte contributo di questi ultimi al valore aggiunto complessivo.

Negli ultimi anni, abbiamo così assistito allo sviluppo di nuove tipologie di servizi alla produzione legate alle trasformazioni dei sistemi di produzione, alla loro maggiore flessibilità, alla maggiore concorrenza sui mercati internazionali e al ruolo crescente dell’ICT nelle economie europee. La trasformazione dei sistemi produttivi ha portato da un lato, ad una maggiore complessità della produzione, dall’altro ad una crescente complementarietà tra fornitura di beni e servizi. Quest’ultimi diventano tanto più neces-sari, quanto più aumentano le diversificazioni e il cambiamento tecnologico dei processi produttivi.

Un altro dato generale e importante che è stato sottolineato riguarda l’internaziona-lizzazione delle imprese di servizi, dal momento che queste ultime sono state spesso considerate come organizzazioni caratterizzate da una dimensione essenzialmente “locale”, a causa delle peculiari caratteristiche delle attività svolte che renderebbero eccessivamente rischioso e arduo un processo di internazionalizzazione. I cambiamenti avvenuti nel settore, tuttavia, hanno portato a una significativa espansione internazio-nale delle imprese di servizi e, nonostante l’impostazione storicamente consolidata che vuole le imprese di servizi inadatte al superamento dei confini nazionali, occorre pren-dere atto dell’esistenza di un grado di internazionalizzazione di fatto.

Anche in Italia i settori terziari sono cresciuti rapidamente ma in misura diversa nelle singole economie regionali. Essi rappresentano una componente cruciale dello sviluppo economico locale non solo per il loro peso, ormai superiore a quello degli altri settori produttivi ma anche per la funzione svolta nel facilitare i flussi nelle reti di beni, di prodotti intermedi, di fattori produttivi e di informazioni tra le imprese locali e quelle esterne ad una determinata economia regionale. La dotazione differente di servizi nelle singole regioni influisce sulle disparità di sviluppo a scala interregionale ed in partico-lare sulla rapidità nell’adozione delle innovazioni e sulla competitività delle produzioni regionali. Inoltre, i servizi influiscono sui cambiamenti nella struttura territoriale, dato che da un lato i servizi di tipo più tradizionale sono per lo più concentrati nei centri urbani e dall’altro quelli di tipo più innovativo rappresentano la base economica delle grandi aree metropolitane.

Nel contesto del Mezzogiorno italiano, la Campania rappresenta una realtà sicura-mente dinamica ma con nodi e problemi irrisolti che ne condizionano le prospettive future. La Regione ha manifestato segni di evoluzione interessanti anche se risente dei molteplici limiti del sistema socio-economico nazionale e ancor più meridionale.

Anche nel caso della Campania la crescente domanda di servizi alla produzione, specie da parte del sistema industriale, è la risultante di tre fattori principali: in primo luogo, l’affermarsi delle nuove tecnologie informatiche, che modificano l’organizzazio-ne della produzione e aumentano l’utilizzo di input immateriali ad elevato contenuto

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di informazioni; poi, i cambiamenti del contesto economico globale e, in particolare, l’internazionalizzazione dei mercati; infine, la crescita del numero delle piccole imprese di servizi, che comporta un ampliamento delle reti di servizi esterni, quindi la crescita del fenomeno dell’outsourcing. Anche nel caso campano, dunque, come già avviene a livello più generale, l’evoluzione più recente del sistema produttivo e dell’organizza-zione dell’economia contribuisce a spiegare larga parte della crescita dei servizi alla produzione. Allo stesso tempo il processo evolutivo delle dinamiche di sviluppo inter-no ed internazionale del settore dei servizi alla produzione è ben lontano dall’essersi concluso.

è importante infine mettere in rilievo che dall’analisi condotta dei mutamenti in corso e dei processi di sviluppo e di internazionalizzazione nella regione trova conferma la tesi principale del presente lavoro ovvero che lo sviluppo del comparto dei servizi alla produzione ‒ e soprattutto dei servizi avanzati ‒ e l’internazionalizzazione degli stessi è di cruciale importanza per la ripresa della crescita produttiva della regione campana e del suo processo di internazionalizzazione.

Sono urgenti e necessari dunque nuovi strumenti e obiettivi di una politica nazionale e locale per lo sviluppo dei servizi alla produzione. L’individuazione di misure di intervento specifiche potrebbe favorire l’avvio di circoli virtuosi di domanda-offerta di servizi a carattere sistemico favorendo altresì una più moderna organizzazione e gestione delle imprese, che sia in accordo coi nuovi modelli che si stanno affermando nelle aree più avanzate e che sia in grado di inserirsi nelle nuove reti della produzione e del commercio internazionali.

Un rilevante ostacolo da rimuovere è il permanere di una forte regolazione e protezione. Questo fa si che sia necessario l’intervento dei policy makers ai diversi livelli (internazionale, nazionale e locale) per assicurare e influenzare una maggiore liberalizzazione nei servizi. L’introduzione di un maggiore grado di concorrenza in alcuni servizi, potrebbe contribuire a far aumentare il numero di imprese che operano in condizioni di mercato, riducendo i prezzi, migliorando la qualità, stimolando l’occupazione e arricchendo la gamma degli stessi servizi offerti. Garantire una maggiore concorrenza significa stimolare l’innovazione, l’imprenditorialità, la produttività e la crescita, soprattutto nei settori di servizi che operano tradizionalmente in mercati più chiusi e frammentati.

Vanno valutate infine misure specifiche e politiche di sostegno all’internazionalizzazione nel comparto dei servizi, così da prospettare opzioni di intervento specifiche per il rafforzamento di un’offerta terziaria a sostegno dello sviluppo e dell’integrazione internazionale del tessuto produttivo della regione. Alcuni fattori in particolare spiegano i motivi per cui lo scambio internazionale di servizi influenza lo sviluppo economico. La capacità di esportare le attività di servizio è determinante, non marginale, per lo sviluppo di un’area. La produzione e la vendita di servizi alle imprese sono divenuti fattori importanti per aumentare i flussi di esportazioni. Inoltre, il crescente peso dei business services influenza sensibilmente la capacità competitiva delle imprese che li erogano, che competono a livello globale, ma determinano anche una crescita della

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produttività e della competitività dell’intero sistema produttivo locale. Infine, un rafforzamento dell’internazionalizzazione dei servizi influenzerà i mercati del lavoro, sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi. Il settore dei servizi è infatti quello che più contribuisce alla creazione di nuova occupazione.

Le attività di servizio dunque accompagnano e stimolano il processo di internazionalizzazione complessivo di un’area determinando un vantaggio competitivo per quelle imprese che partecipano a tale processo. Il ricorso alle imprese di servizio determina in effetti un rafforzamento della competitività per tutte quelle aziende che ricorrono a servizi intermedi per affrontare meglio la concorrenza all’estero. A questo riguardo la disponibilità di conoscenze e competenze in questo comparto dei servizi si dimostra non meno rilevante della dotazione infrastrutturale di un’area, della disponibilità di sbocchi di mercato e delle pressioni competitive imposte dai concorrenti.

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CAPITOLO 2

LA SPECIALIZZAZIONE REGIONALE NEI SERVIZI ALLE IMPRESE: LA TECNOLOGIA, IL CAPITALE UMANO ED I

LEGAMI CON IL SETTORE MANIFATTURIERO

Paolo Guerrieri, Valentina Meliciani

1. Introduzione

Recentemente la letteratura economica si è soffermata sul ruolo che i servizi alle imprese hanno per la crescita economica, la diffusione della tecnologia e l’interna-zionalizzazione (si veda tra gli altri Guerrieri et al. 2005; Cox e Rubalcaba, 2007a e 2007b). I paesi industrializzati più avanzati stanno vivendo un processo di trasforma-zione attraverso il quale il contributo del settore dei servizi alla creazione di valore aggiunto, all’occupazione ed al commercio internazionale è in crescita. La competi-tività e la crescita potenziale di queste economie sono perciò fortemente influenzate dalle trasformazioni che stanno avvenendo nel settore dei servizi. L’attenzione ai servizi è giustificata non solo per il loro crescente ruolo nell’economia, ma anche perché stanno attraversando un profondo processo di cambiamento tecnologico e organizzativo, facilitato dalla diffusione delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), che a sua volta influenza la performance di tutta l’economia. All’interno dell’ampia categoria del settore dei servizi, i Servizi alle Imprese hanno un ruolo particolare, dal momento che la loro crescita è andata di pari passo con un processo di riorganizzazione del modo in cui i beni ed i servizi sono prodotti e scam-biati sia all’interno dei paesi che tra i paesi.

Alcuni lavori hanno analizzato il ruolo della domanda intermedia (Francois 1990a; Rowthorn e Ramaswamy, 1999; Klodt, 2000; Francois e Woerz, 2007), dei legami inter-settoriali (Guerrieri e Meliciani, 2005) e della crescente produzione e uso delle TIC (Freu-nd e Weinhold, 2002; Guerrieri e Meliciani, 2005) per spiegare il rapido processo di cre-scita e internazionalizzazione dei servizi alle imprese. Tuttavia la dimensione regionale del fenomeno è stata finora trascurata dalla letteratura. A nostro avviso questo aspetto richiede particolare attenzione, in quanto la vicinanza geografica, i rapporti fornitori-utilizzatori e, in generale, le economie di agglomerazione giocano un ruolo rilevante nella crescita dei servizi alle imprese. In effetti le teorie della nuova geografia economica hanno mostrato come, in presenza di costi di trasporto, la domanda varia con la distanza geografica e i legami a valle e a monte giocano un ruolo fondamentale nel determinare la localizzazione internazionale della produzione in quanto le imprese/settori tenderanno a localizzarsi in prossimità dei fornitori e degli utilizzatori. In questo lavoro si mostrerà come, nel caso dei servizi alle imprese, i legami a valle giochino un ruolo fondamentale per le scelte di

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localizzazione in quanto la crescita di queste attività è fortemente dipendente dalla crescita della domanda intermedia proveniente da specifici settori industriali o dei servizi.

L’importanza della vicinanza geografica dà anche un ruolo speciale alle economie di agglomerazione nello spiegare la localizzazione dei servizi alle imprese. Al fine di catturare meglio questi elementi questo lavoro adotta una prospettiva regionale.

La domanda intermedia e le economie di agglomerazione, da sole, non sono sufficienti a spiegare la specializzazione nei servizi alle imprese. Studi recenti hanno mostrato come queste attività siano ad alta intensità di conoscenza, ad alta intensità di capitale umano e come il processo di riorganizzazione della produzione al quale contribuiscono richieda l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Di conseguenza, al fine di spiegare la specializzazione nel settore dei servizi alle imprese, si terranno in con-siderazione variabili di capitale umano e variabili tecnologiche a livello regionale.

In particolare questo lavoro studia le determinanti della specializzazione nel settore dei servizi alle imprese (R&S, servizi di informatica e altri servizi alle imprese) nel periodo 1998-2005, analizzando il ruolo giocato da: (1) la struttura regionale dei legami intersettoriali; (2) il capitale umano; (3) una serie di indicatori dell’intensità tecnologica regionale; (4) le economie di agglomerazione. La struttura del lavoro è la seguente: il paragrafo 2 mostra la crescente internazionalizzazione dei servizi che ha avuto luogo a partire dagli anni novanta e, con particolare intensità, nel primo quinquennio degli anni duemila; il paragrafo 3 riporta una rassegna della letteratura volta a selezionare le variabili che possono spiegare la specializzazione regionale nei servizi alle imprese; il paragrafo 4 descrive l’equazione stimata, i dati e i risultati della verifica empirica; il paragrafo 5 analizza la relazione tra specializzazione nei servizi alle imprese e interna-zionalizzazione delle regioni italiane; il paragrafo 6 si sofferma sulla posizione occupata dalla regione Campania nel settore dei servizi alle imprese e nelle attività che ne facili-tano lo sviluppo; infine, il paragrafo 7 riporta le conclusioni principali del lavoro.

2. L’internazionalizzazione dei servizi

Anche se il commercio di servizi, rispetto al commercio di beni, rappresenta ancora una piccola quota del commercio totale mondiale, negli ultimi venticinque anni è cresciuto ad un tasso più elevato. Di conseguenza la sua quota sulle importazioni totali è cresciuta dal 15.2% nel 1980 al 18.8% nel 2005 (tabella 1).

tabella 1 Il commercio di servizi 1980-2000

Miliardi $ 1980 1985 1990 1995 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005Importazioni 2035 1951 3442 5079 5447 5662 6453 6186 6486 7578 9203 10431Esportazioni 2075 2009 3542 5218 5667 5899 6724 6481 6740 7857 9556 10783SERVIZI Importazioni 365,1 382 782,7 1189 1334 1357 1491 1493 1601 1828 2186 2414Esportazioni 400,9 400 818,3 0,912 1329 1355 1474 1491 1578 1796 2131 2347QUOTA SERVIZIImportazioni 15,2 16,4 18,5 19 19,7 19,3 18,8 19,4 19,8 19,4 19,2 18,8Esportazioni 16,2 16,6 18,8 18,7 19 18,7 18 18,7 19 18,6 18,2 17,9Fonti: WTo, 2002 e 2005

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Adottando la classificazione dei servizi commerciali adottata dal Fondo Monetario Internazionale, possiamo distinguere tre categorie principali all’interno del più ampio settore dei servizi commerciali: Trasporti, Viaggi e Altri servizi commerciali. Questo ultimo gruppo include i servizi più innovativi quali i servizi alle imprese, i servizi di comunicazione, i servizi informatici. I dati disaggregati sul commercio dei servizi (tabel-la 2) mostrano come la categoria “Altri servizi commerciali” sia cresciuta ad un tasso di crescita maggiore rispetto alle altre categorie (13% paragonato al 10% per i trasporti e all’8% per i viaggi nel periodo 2000-2006). Gli alti tassi di crescita della categoria degli “Altri servizi commerciali” si riscontrano in tutte le aree geografiche (tabella 2).

tabella 2 La crescita delle esportazioni di servizi commerciali per categoria e regione, 1990-2006

crescita % annua

Mondo Nord America

America Centrale e

MeridionaleEuropa CSI Africa Medio

Oriente Asia

Servizi commerciali1990-95 9 8 9 - - 7 ... ...1995-00 5 7 6 ... ... 4 ... 42000-06 11 6 8 12 19 13 12 12

2004 20 13 15 20 28 21 16 272005 11 10 18 9 20 12 14 152006 12 9 13 11 23 11 14 17

Trasporti1990-95 6 4 7 - - 5 ... 111995-00 3 3 2 3 ... 0 ... 32000-06 10 6 10 11 16 12 13 13

2004 25 19 21 25 21 21 17 282005 13 13 21 12 16 17 17 132006 10 11 8 7 18 12 11 23

Viaggi1990-95 9 7 10 - - 9 ... ...1995-00 3 6 7 2 ... 6 ... 22000-06 8 2 7 9 18 14 8 10

2004 18 14 14 15 39 22 8 322005 8 8 13 6 10 15 13 92006 9 5 11 8 22 12 7 14

Altri servizi commerciali1990-95 10 12 10 - - 5 ... 161995-00 7 11 9 ... ... 6 ... 62000-06 13 8 10 14 27 10 14 14

2004 19 11 13 20 30 19 22 122005 12 11 24 10 35 3 13 192006 15 11 20 13 30 9 21 21

Fonte: WTo, 2007

Se guardiamo ai quindici maggiori esportatori di queste categorie di servizi (tabella 3) troviamo che questi sono gli Stati Uniti, diversi Paesi europei (Regno Unito, Germa-nia, Irlanda, Francia, olanda, Italia, Lussemburgo, Belgio e Spagna), Giappone, India, Hong Kong, Cina e Canada. Nel periodo 2000-2005 le esportazioni degli Altri servizi commerciali sono aumentate in tutti questi paesi con l’Irlanda e la Cina che hanno spe-rimentato i maggiori tassi di crescita (più del 20% su base annua), mentre il Canada, gli

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Stati Uniti, il Giappone, la Francia, e Hong Kong hanno registrato i tassi di crescita più bassi (inferiori al 10% su base annua). I paesi leader nelle esportazioni, ad eccezione del Lussemburgo e di Hong Kong, sono anche leader nelle importazioni. In particolare nel caso degli Stati Uniti troviamo che le importazioni sono molto maggiori delle esporta-zioni mentre il contrario è vero nel Regno Unito.

tabella 3I paesi leader nelle esportazioni e importazioni degli

“Altri servizi commerciali”

PaeseEsportazioni Importazioni %

delle esportazioni mondiali

% delle

importazioni mondiali

Variazione % annua2000-2005(miliardi $) (miliardi $)

2005 2005 2000 2005 2000 2005 Esportazioni ImportazioniStati Uniti 188,8 119,4 19,5 16,3 12,2 11,5 8 10Regno Unito 127,1 58,1 11,7 10,9 5,5 5,6 10 11Germania 81,4 84,8 6,2 7 9,3 8,2 15 8Giappone 59,7 54,7 5,9 5,1 7,9 5,3 9 2Irlanda 46,1 58 2,2 4 4,2 5,6 26 17Francia 45,7 45,1 4,6 3,9 3,9 4,3 8 13olanda 45,1 40,5 3,7 3,9 4 3,9 13 10India 43,8 33 - 3,8 1,2 2,6 . -Italia 42,2 48,3 2,9 3,6 4,2 4,6 17 13Lussemburgo 33,9 - - 2,9 - - - -Hong Kong 32,3 - 3,3 2,8 - - 8 -Belgio 29,7 23,4 - 2,6 - 2,3 - -Spagna 29,7 32,5 2,1 2,6 2,7 3,1 16 14Cina 29,2 33 1,5 2,5 2 3,2 23 22Canada 29 31,4 3,2 2,5 3,5 3 7 8Nota: Lussemburgo e Hong Kong sono tra i 15 leader nelle esportazioni ma non nelle importazioniFonte: WTo, 2006

Distinguendo tra le diverse categorie all’interno del più ampio settore degli Altri servizi commerciali possiamo evidenziare come la categoria degli “Altri servizi alle imprese” sia la più ampia (nel 2005 rappresentava metà delle esportazioni degli altri servizi commerciali), seguita dai servizi finanziari (14%), licenze e royalties (11%) e servizi informatici (9%). Tra il 2000 e il 2005 i settori a crescita maggiore in termini di esportazioni sono stati i servizi informatici (17%), le assicurazioni (14%) e gli altri servizi alle imprese (13%) (WTo, 2007).

I dati che abbiamo commentato pongono in evidenza la crescente importanza di alcu-ne categorie di servizi, in particolare i servizi alle imprese ed altre categorie di servizi innovativi, nel commercio internazionale. Questo è solo un aspetto del ruolo che i ser-vizi giocano nel processo di internazionalizzazione delle economie. Infatti, la presenza di alcune tipologie di servizi si accompagna ad un processo di internazionalizzazione dell’intera economia, come vedremo nella parte finale di questo lavoro. Nei paragrafi che seguono ci chiederemo invece quali sono i fattori che facilitano l’acquisizione di vantaggi comparati nel settore dei servizi alle imprese.

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3. Le determinanti della specializzazione nei servizi alle imprese

In questo paragrafo si analizzano le determinanti della specializzazione nei ser-vizi alle imprese. La teoria economica suggerisce un ruolo sia per fattori di offerta (disponibilità di risorse, tecnologia) che per fattori di domanda (si veda ad esempio Midelfart-Knarvik et al. 2000). Nel caso dei servizi alle imprese la localizzazione dei settori utilizzatori è particolarmente rilevante in quanto mostreremo che queste attività sono utilizzate come beni intermedi da specifici settori del manifatturiero e dei servizi. Inoltre sottolineeremo come le economie di agglomerazione giochino un ruolo rilevante nell’influenzare la localizzazione dei sevizi alle imprese (paragrafo 3.1).

Insieme al ruolo della domanda intermedia la teoria suggerisce di guardare anche alla tecnologia e al capitale umano. Il ruolo della tecnologia e del capitale umano sarà discusso estesamente nel paragrafo 3.2.

3.1 Servizi alle imprese, interdipendenze settoriali ed economie di agglomerazione

Diversi studi hanno evidenziato come la crescita dei servizi, e in particolare dei ser-vizi alle imprese, sia dovuta soprattutto ad un aumento della loro domanda come beni intermedi (Francois, 1990a; Francois, 1990b; Rowthorn e Ramaswamy, 1999; Klodt, 2000). La crescente complessità nell’organizzazione e nella distribuzione dei beni manufatti che risulta dall’applicazione delle nuove tecnologie e la crescita di ogni sorta di problemi di coordinamento hanno portato ad un aumento del contenuto di servizi di molti beni industriali (Miozzo e Soete, 1999). Bhagwati (1984) ha suggerito che i servizi alle imprese sembrano essere un settore in forte crescita in parte perché le imprese hanno iniziato ad esternalizzare alcune attività di servizi che prima svolgevano all’interno. Tuttavia l’esternalizzazione non è in grado di spiegare la crescita dei servizi e, in effetti, i servizi alle imprese rappresentano anche una quota crescente delle attività svolte all’in-terno delle imprese manifatturiere (Francois, 1990a; Mozzo e Miles, 2003).

L’evidenza che emerge dagli studi citati suggerisce che la produzione di servizi alle imprese non è indipendente dalla produzione di beni manufatti. Uno studio recente (Guerrieri e Meliciani, 2005) ha utilizzato le tavole Input/output per mostrare come ci siano delle regolarità tra paesi nei principali settori utilizzatori dei servizi finanziari, di comunicazione e dei servizi alle imprese. In particolare tra i settori del manifatturiero che fanno uso considerevole di questi servizi si trovano i settori “ad alta intensità di conoscenza” (elaboratori elettronici e macchine per ufficio; strumenti; elettronica; chi-mica; farmaceutica), mentre i settori ad alte economie di scala e i settori tradizionali sono medi o bassi utilizzatori dei servizi finanziari, di comunicazione e alle imprese. Anche un recente studio di Francois e Woerz (2007) trova che i servizi alle imprese sono domandati soprattutto dai settori ad alta intensità di conoscenza.

Al fine di verificare empiricamente se ci sono delle regolarità tra paesi nei settori che sono i maggiori/minori utilizzatori dei servizi alle imprese, si è condotta un’analisi della varianza per mostrare l’importanza di effetti di settore nello spiegare la quota dei servizi

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alle imprese sulla produzione di vari settori del manifatturiero e dei servizi utilizzando le tavole simmetriche Input/output dell’Eurostat per l’anno 2000 per un ampio campione di paesi europei1.

L’analisi della varianza mostra come ci siano effetti significativi di settore nello spie-gare l’utilizzo dei servizi alle imprese (R2=0.67, F=41.52 significativo all’1%), anche se più deboli rispetto a quelli riscontrati in un campione ristretto di paesi che includeva solo i paesi europei più grandi, il Canada, gli Stati Uniti e il Giappone utilizzato da Guerrieri e Meliciani (2005). La tabella 4 riporta i coefficienti della regressione della quota dei servizi alle imprese sulla produzione totale su dummies settoriali, distinguen-do tra settori del manifatturiero e dei servizi. Tra i settori del manifatturiero che fanno un uso intenso dei servizi alle imprese troviamo settori ad alta intensità di conoscenza (ad eccezione dei prodotti del tabacco) quali Stampa e riproduzione di supporti registrati; Fabbricazione di prodotti chimici; Fabbricazione di computers; Fabbricazione di prodot-ti dell’elettronica; Apparecchiature elettromedicali, di misurazione e di orologi, mentre i settori ad alta intensità di lavoro o ad elevate economie di scala appaiono, in media, bassi o medi utilizzatori dei servizi alle imprese (tabella 4).

Allo stesso tempo possiamo osservare che, tra i settori dei servizi, i maggiori utiliz-zatori sono lo stesso settore dei servizi alle imprese, seguito da altri settori dei servizi ad alta intensità di conoscenza (come quelli legati alle assicurazioni, alla finanza, le poste e telecomunicazioni, insieme al settore del commercio al dettaglio e all’ingrosso), mentre i minori utilizzatori sono i settori dei servizi dei trasporti, alberghi e ristoranti e attività immobiliari.

1 Il campione è formato dai seguenti paesi: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Regno Unito.

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tabella 4 La quota dei servizi alle imprese sulla produzione totale degli altri settori dei servizi e

del manifatturieroIndustrie del manifatturiero sopra la media Quota Industrie dei servizi sopra la media Quota

Stampa e riproduzione di supporti registrati 8,20% Informatica e attività connesse 19,50%Fabbricazione di prodotti chimici 8,10% Altri servizi alle imprese 17,50%Fabbricazione di computers 8,00% Servizi di Ricerca e Sviluppo 13,90%Prodotti del tabacco 7,60%Fabbricazione di prodotti di elettronica 7,30%Appar. elettromedicali, di misurazione e di orologi 6,40%

Industrie del manifatturiero nella media Quota Industrie dei servizi nella media QuotaFabbricazione di macchinari e apparecchiature NCA 5,00% Assicurazioni e fondi pensione 10,50%

Fabbricazione di apparecchiature elettriche 4,80% Attività ausiliare dell’intermediaz. finanziaria 9,00%Fabbric. di altri mezzi di trasporto 4,80% Commercio all’ingrosso e intermediari del commercio 8,90%Fabbric. di articoli in gomma e materie plastiche 4,50% Poste e telecomunicazioni 8,10%

Industrie alimentari e delle bevande 4,40% Nol. di macch. e attrezz. senza operatore e di beni pers. 8,00%

Mobili e altri manufatti 4,20% Servizi di intermediazione finanziaria 7,70%Confezione di articoli di abbigliamento 4,10% Commercio, manutenzione e riparazione di autoveicoli 7,60%Fabbric. prodotti minerali non metalliferi 4,00% Comm. al dettaglio; ripar. beni personali e per la casa 6,70%

Industrie del manifatturiero sotto la media Quota Industrie dei servizi sotto la media QuotaFabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semi-rimorchi 3,90% Att. supp. ed ausil. dei trasporti; agenzie di viaggio 5,30%

Fabbricazione di carta e di prodotti di carta 3,70% Trasporti marittimi e per vie d’acqua 5,20%Fabbric. di prodotti in metallo 3,40% Trasporti aerei 4,50%Industrie tessili 3,30% Alberghi e ristoranti 4,10%Fabbricazione di articoli in pelle 3,00% Attività immobiliari 3,50%Metallurgia 2,80% Trasport terrestri; trasporti mediante condotte 3,30%Industria del legno e dei prodotti in legno e sughero 2,30%

Fabbric. di coke e di prodotti della raffin. del petrolio 2,00%

Media 4,7 8,4Deviazione standard 1,9 4,5

Nota: i settori sono definiti sopra (sotto) la media quando la quota è superiore (inferiore) alla media più (meno) (1/2) della dev. stand.Fonte: Tavole Input/output, Eurostat

Nell’insieme questi risultati suggeriscono che la struttura dell’economia (in partico-lare la sua composizione settoriale) può condizionare la crescita dei servizi alle imprese. Infatti ci si attende che i paesi/regioni con un’alta quota di attività nei settori del manifat-turiero ad alta intensità di conoscenza genereranno una maggiore domanda di servizi alle imprese, stimolandone in tal modo la crescita e favorendo la specializzazione di questi paesi/regioni nel settore dei servizi alle imprese.

Non solo i legami intersettoriali possono giocare un ruolo importante nell’influen-zare la crescita dei servizi alle imprese attraverso la domanda intermedia, ma è stato osservato come queste attività (e in particolare i cosiddetti KIBS “knowledge intensive business services”) sono tipicamente offerti alle imprese attraverso importanti intera-zioni tra i fornitori e gli utilizzatori (Miles et al., 1995; Muller e Zenker, 2001). Questo porta sia all’importanza della vicinanza geografica tra settori fornitori e settori utilizza-tori (e quindi ancora alla possibilità che i servizi alle imprese si localizzino laddove sono presenti i settori del manifatturiero che li domandano) sia al ruolo chiave giocato dalle

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economie di agglomerazione nell’influenzare la localizzazione dei servizi alle imprese: “KIBS are confronted with the specific problems of their clients and thus they require most often direct contacts with them in order to conceive solutions by recombining existing knowledge and complementing it with new inputs if necessary. A high share of these interactions, especially in the starting phase of a consulting activity, is char-acterized by a strong tacit content, requiring personal contacts in particular. Proximity (geographical, social, cultural, etc.) is hence helpful to manage these phases” (Muller e Zenker, 2001, p. 1506).

Coerentemente a quanto osservato, Antonietti e Cainelli (2007) trovano che l’agglo-merazione spaziale, ossia la localizzazione delle imprese in una area industriale “densa”, dove la probabilità di trovare fornitori specializzati è elevata e dove i contatti “faccia a faccia” e l’interazione spaziale sono presenti, è un fattore importante alla base della localizzazione dei servizi alla produzione. Sulla base di questa evidenza si prenderà in considerazione il ruolo delle economie di agglomerazione nell’influenzare la specializ-zazione regionale nei servizi alle imprese.

3.2 Il ruolo della tecnologia e del capitale umano

Insieme alla domanda intermedia anche la tecnologia e il capitale umano possono giocare un ruolo importante nell’influenzare la specializzazione nei servizi alle imprese. Mentre i servizi sono stati a lungo considerati “ritardatari” nello sviluppo e nell’ado-zione delle nuove tecnologie, oggigiorno si evidenzia un ruolo crescente delle imprese nel settore dei servizi che promuovono l’innovazione non solo attraverso l’uso delle nuove tecnologie, ma anche contribuendo alla loro creazione e diffusione. Utilizzando i dati dell’Indagine europea sull’innovazione, i servizi emergono come settori innova-tori (Tether et al., 2001): appena meno della metà delle imprese nel settore dei servizi ha intrapreso attività innovative tra il 1994 e il 1996, anche se le imprese innovatrici variano per dimensione e per settore. In particolare la quota delle imprese innovatrici in alcuni dei settori dei servizi (servizi finanziari e servizi alle imprese) è maggiore che nel settore manifatturiero (Eurostat, Third Community Innovation Survey, 2004).

Alcuni settori dei servizi sono non solo tra i maggiori utilizzatori delle tecnologie informatiche (IT), ma giocano anche un ruolo chiave nel diffondere i miglioramenti tecnologici negli altri settori. Molti studi evidenziano questo ruolo nel caso dei servizi alle imprese (ad esempio Miles et al., 1994; Antonelli, 1998). La capacità innovativa a livello regionale, dunque, è un’altra dimensione rilevante per spiegare la specializzazio-ne nel settore dei servizi alle imprese.

Tra gli indicatori tecnologici, le Tecnologie dell’Informazione e della Comunica-zione (TIC) giocano un ruolo speciale nel facilitare la produzione e il commercio dei servizi alle imprese. è stato osservato che la diffusione dei servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenza (KIBS) è fortemente influenzata dalla parallela diffusione e implementazione del paradigma tecnologico basato sulle TIC (Antonelli, 1998). La natura intangibile e basata sull’informazione dei servizi dà alla generazione e all’uso

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delle TIC un ruolo centrale nella performance e nelle attività innovative delle imprese (Evangelista, 2000).

Il ruolo delle TIC come tecnologie “facilitanti” è anche alla base del modello del “ciclo di vita del prodotto rovesciato” proposto da Barras (1986) per rappresentare la dinamica del processo innovativo nei servizi. In questa visione, nel primo stadio del ciclo di vita del prodotto, i servizi utilizzano le tecnologie dell’informazione per ragioni di efficienza. Successivamente, le attività di apprendimento portano a innovazioni di processo e di prodotto. Infine le tecnologie dell’informazione portano i servizi nell’era industriale quando iniziano ad usare una tecnologia industriale appropriata per le loro attività ad alta intensità di conoscenza. Le tecnologie dell’informazione e della comu-nicazione accrescono anche la trasportabilità dei servizi rendendo possibile che questi siano prodotti in un posto e consumati simultaneamente in un altro (Soete, 1987; Mioz-zo e Soete, 2001). Guerrieri e Meliciani (2005) trovano che le TIC hanno un effetto positivo sia sulla specializzazione che sulle quote di mercato (esportazioni) nei servizi finanziari, di comunicazione e nei servizi alle imprese.

Anche il capitale umano appare un fattore cruciale per i servizi alle imprese. Kox e Rubalcaba (2007b) trovano che il settore ha un orientamento molto forte verso l’istru-zione superiore, molto di più di altri settori industriali o dei servizi. I dati dell’Indagine europea sulla forza lavoro indicano che nei paesi europei nell’aggregato del settore manifatturiero e dei servizi il profilo di istruzione degli occupati è dominato dai livelli intermedi di istruzione. Nel settore manifatturiero c’è anche un’alta quota di lavoratori con livelli di istruzione bassi, mentre nei servizi i livelli alti prevalgono su quelli bassi. Quando andiamo a guardare alle tre categorie di servizi considerati in questo studio, sia i servizi informatici che la R&S mostrano quote molto alte di occupati con livelli di istruzione alti. Inoltre anche negli Altri servizi alle imprese, nonostante questo settore includa sottosettori come servizi di pulizia o sicurezza, che impiegano molti lavoratori con basse qualifiche, la quota di lavoratori con alte qualifiche è elevata (Kox e Rubal-caba, 2007b).

Un’altra indicazione dell’alto profilo educativo nei servizi alle imprese può essere dedotta dalla percentuale di imprese in questo settore che fanno attività di addestramento dei loro lavoratori. Questo indicatore può riflettere il grado in cui i lavoratori si prepa-rano ad adattarsi alle nuove richieste e a gestire la maggiore complessità organizzativa e lavorativa. I dati della Indagine europea sulle forze lavoro per il 2000 (riportati in Kox e Rubalcaba, 2007b) indicano che, in tutti i paesi UE15, il settore dei servizi alle imprese investe più nel fornire addestramento continuo ai lavoratori rispetto alla media di tutti gli altri settori economici.

Nel complesso l’evidenza mostra come i servizi alle imprese utilizzino intensamente lavoratori con gradi di istruzione elevati, pertanto ci si può attendere che la specializza-zione regionale in questo settore sia legata alla disponibilità di capitale umano a livello regionale.

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4. L’analisi empirica

4.1 L’equazione stimata

Come abbiamo già discusso nei paragrafi precedenti, la specializzazione può dipen-dere sia da fattori legati all’offerta (tecnologia, dotazioni fattoriali) che, in presenza di costi di trasporto, dalla distribuzione della domanda tra paesi/regioni. Nel caso dei servizi alle imprese abbiamo argomentato che la localizzazione dei settori a valle e le economie di agglomerazione sono fattori particolarmente rilevanti in quanto i servizi alle imprese sono domandati intensamente come beni intermedi da settori specifici del manifatturiero e in quanto le interazioni tra fornitori e utilizzatori sono particolarmente rilevanti. Insieme a fattori di domanda, la letteratura suggerisce di tener conto del ruolo giocato dalla tecnologia e dal capitale umano. Infatti, come si è già discusso, i servizi alle imprese sono un settore con un alto tasso d’innovazione e occupano persone con elevati livelli di istruzione, quindi, ci si può attendere che le imprese che operano in questo settore si localizzeranno in regioni con un’elevata intensità tecnologica e un’am-pia disponibilità di capitale umano. Stimeremo, dunque, la seguente equazione per la specializzazione nei servizi alle imprese:

(1) BUSit=α1Sit+α2TECit+α3HCit+α4AGGLit+eit

dove BUSit indica la quota di occupati nel settore dei servizi alle imprese sul totale degli occupati nella regione i al tempo t; S è la quota ponderata dell’occupazione nei settori del manifatturiero che sono alti utilizzatori dei servizi alle imprese sull’occupazione totale (per una descrizione più dettagliata della variabili si veda il paragrafo successivo), TEC è una variabile tecnologica (rapporto tra Ricerca e Sviluppo e Pil e brevetti nelle TIC sul totale della popolazione), HC è il capitale umano (numero di studenti con istruzione supe-riore sul totale della popolazione) e AGGL è l’effetto delle economie di agglomerazione (catturato dalla densità della popolazione e da dummies per le regioni in cui sono situate le città capitali). L’equazione stimata include anche dummies di paese e temporali.

L’equazione (1) è stata stimata con il metodo dei minimi quadrati su un panel di 259 regioni UE27 nel periodo 1998-2005.

4.2 I dati

Al fine di misurare la specializzazione regionale nei servizi alle imprese si utilizzerà la banca dati “Regio” dell’Eurostat. Questa banca dati contiene informazioni sul numero degli occupati, il numero di unità locali, l’investimento in beni tangibili e i salari e gli sti-pendi al livello settoriale (NACE Rev. 1.1) per un campione di regioni europee a diversi livelli di aggregazione (NUTS 1 e 2) per il periodo 1995-2005. Per l’analisi empirica abbiamo scelto di focalizzare l’attenzione sui seguenti settori dei servizi: Informatica e attività connesse (K72); servizi di R&S (K73); Altri servizi alle imprese (K74).

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Questa scelta è dettata da diverse ragioni. In primo luogo questi servizi hanno mostrato livelli di innovazione particolarmente elevati; inoltre si sono mostrati parti-colarmente dinamici anche in termini di commercio internazionale (WTo 2002, 2005, 2007) e contribuito alla produzione (Kox e Rubalcaba, 2007a). Infine sono input strate-gici per i settori del manifatturiero.

Nel complesso la letteratura sugli effetti economici dei servizi alle imprese ha sot-tolineato non soltanto gli effetti positivi diretti sulla crescita e sulla creazione di occu-pazione (i paesi con alte quote di produzione/occupazione in questi settori hanno una maggiore probabilità di crescere velocemente in termini di produzione/occupazione) ma anche gli effetti indiretti dovuti alla riorganizzazione della produzione che ha luogo attraverso una crescente produzione e un crescente utilizzo di servizi alle imprese (Cox e Rubalcaba, 2007b).

La tabella 5 mostra il tasso di crescita percentuale annuo per questo gruppo di servizi paragonato con altri settori dei servizi, con il totale del settore manifatturiero e con l’oc-cupazione totale a livello di paese e come media europea (i dati si riferiscono a medie tra regioni NUTS1 per le quali i dati sono disponibili).

Dalla tabella si può osservare che in tutti i paesi il tasso di crescita dell’occupazione nei servizi alle imprese è stato decisamente più alto del tasso di crescita medio dell’oc-cupazione (per la media UE 6.74 rispetto a 1.04).

tabella 5 La crescita dell’occupazione nei servizi alle imprese e negli altri settori

PaeseBS/

Occupati(quota)

Servizi alle imprese

(BS)

Comm. dettaglioe ingrosso

Alberghi eristoranti

Trasporti eComunicazioni Manifattura Occupati

totali

Austria 7,24% 5,57% 2,21% 2,89% -0,11% -0,17% 0,92%Belgio 10,49% 6,80% 1,35% 1,77% 0,16% 3,97% 0,96%Bulgaria 3,35% 7,29% 3,17% 4,58% -2,26% -2,81% 0,99%Repubblica Ceca 8,74% 2,17% -1,96% 0,12% -1,91% -0,84% 0,36%Germania 8,59% 6,12% 0,11% 1,98% 4,67% -0,93% 0,58%Spagna 8,12% 3,08% 2,37% 3,26% 3,35% 2,15% 3,81%Finlandia 5,08% 8,11% 2,09% 2,37% 2,67% -0,85% 0,95%Francia 6,65% 6,80% 2,35% 3,42% 3,88% 0,83% 1,74%Grecia 3,92% 6,33% 4,78% 2,00% -2,17% 12,01% 0,93%Ungheria 7,09% 4,02% -0,46% 2,91% -4,31% -2,85% 0,42%Irlanda 5,69% 11,56% 5,86% 2,40% 2,73% -0,30% 3,80%Italia 8,17% 5,83% 1,54% 15,51% 1,10% 0,24% 1,47%olanda 13,34% 4,70% 1,91% 3,84% 0,60% -0,93% 1,36%Norvegia 7,83% 3,04% 0,88% -2,83% -1,47% 1,60% 0,56%Polonia 4,45% 5,36% 1,20% 0,84% -2,83% -1,84% -0,56%Portogallo 6,34% 18,55% 3,96% 5,51% 8,35% -1,18% 1,13%Romania 3,14% 14,41% 2,15% 3,77% -2,31% -2,05% -1,90%Slovacchia 4,27% 8,24% 9,36% 8,18% -0,51% -1,44% 0,96%Regno Unito 12,93% 11,24% 2,01% 7,61% -1,30% 1,21% 0,84%Media 8,07% 6,74% 2,02% 5,03% 1,06% 0,82% 1,04%Fonte: Bancadati Eurostat Regio

Inoltre in quasi tutti i paesi il tasso di crescita dell’occupazione in questo settore è superiore a quello riscontrato in qualsiasi altro settore dei servizi e nel settore manifat-

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turiero (ad eccezione della Spagna, la Grecia, l’Italia e la Slovacchia). I tassi di crescita più elevati si riscontrano in Irlanda, Regno Unito, Portogallo e Romania e i più bassi nella Repubblica Ceca, in Spagna, in Norvegia e in Ungheria, mentre le quote più alte di occupati nei servizi sull’occupazione totale si trovano nel Regno Unito, in olanda e in Belgio e le più basse in Bulgaria, Romania e Grecia.

La tabella 6 mostra la lista di regioni specializzate nei servizi alle imprese nell’anno 2005. L’indice di specializzazione utilizzato è il vantaggio comparato calcolato come la quota degli occupati nei servizi alle imprese sul totale degli occupati della regione i divi-sa per la quota media di occupati nel settore dei servizi alle imprese tra tutte le regioni. Indici superiori a uno indicano che una regione è specializzata nel settore, mentre indici inferiori a uno indicano despecializzazione.

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tabella 6Le regioni specializzate nei servizi alle imprese nel 2005

Codice Regione CA Codice Regione CAUKI1 Inner London 5,81 NL23 Flevoland 1,42BE1 Région de Bruxelles-Capitale 3,54 UKH1 East Anglia 1,38ES3 Comunidad de Madrid 3,14 UKK2 Dorset and Somerset 1,37FR1 Ile de France 2,98 DE21 oberbayern 1,36UKJ1 Berkshire, Bucks and oxfordshire 2,68 UKL2 East Wales 1,35NL31 Utrecht 2,48 UKJ4 Kent 1,35PT17 Lisboa 2,41 UKE3 South Yorkshire 1,33NL32 Noord-Holland 2,21 UKF1 Derbyshire and Nottinghamshire 1,32UKH2 Bedfordshire, Hertfordshire 2,19 NL42 Limburg (NL) 1,32DE6 Hamburg 2,11 DE92 Hannover 1,32UKJ2 Surrey, East and West Sussex 2,05 BE21 Prov. Antwerpen 1,29DE71 Darmstadt 2,03 DE25 Mittelfranken 1,27FR71 Rhone-Alpes 1,98 DE73 Kassel 1,26No01 oslo og Akershus 1,95 UKD5 Merseyside 1,26HU1 Kozép-Magyarorszàg 1,95 FR82 Provence-Alpes-Cote d’Azur 1,26UKJ3 Hampshire and Isle of Wight 1,95 ITC3 Liguria 1,25AT13 Wien 1,94 UKH3 Essex 1,25UKD2 Cheshire 1,91 ITC1 Piemonte 1,24NL33 Zuid-Holland 1,89 UKM2 Eastern Scotland 1,20DE5 Bremen 1,88 UKD4 Lancashire 1,20Ro08 Bucuresti (SRE 2002) 1,84 BE31 Prov. Brabant Wallon 1,20UKD3 Greater Manchester 1,79 ES21 Pais Vasco 1,19ITC4 Lombardia 1,78 ITD5 Emilia-Romagna 1,18UKK1 Gloucestershire, Wiltshire and Bristol/Bath area 1,71 DEC Saarland 1,16UKI2 outer London 1,70 ITD2 Provincia Autonoma Trento 1,15DEA2 Koln 1,69 ITC2 Valle d’Aosta 1,15UKG3 West Midlands 1,67 NL12 Friesland (NL) 1,14ITE4 Lazio 1,65 UKE2 North Yorkshire 1,11NL41 Noord-Brabant 1,64 ITE1 Toscana 1,10UKG1 Herefordshire, Worcestershire and Warks 1,64 ITD4 Friuli-Venezia Giulia 1,09DE12 Karlsruhe 1,62 UKK4 Devon 1,09DEA1 Dusseldorf 1,62 GR3 Attiki 1,08DE3 Berlin 1,59 DED3 Leipzig 1,07BE24 Prov. Vlaams Brabant 1,59 UKC1 Tees Valley and Durham 1,06SK01 Bratislavsky kraj 1,59 PL12 Mazowieckie 1,06UKF2 Leicestershire, Rutland and Northants 1,55 FI18 Etela Suomi 1,05DE11 Stuttgart 1,55 UKG2 Shropshire and Staffordshire 1,05NL22 Gelderland 1,49 NL34 Zeeland 1,04UKM3 South Western Scotland 1,49 AT31 oberosterreich 1,04ES51 Catalana 1,48 ITD3 Veneto 1,02NL21 overijssel 1,48 DEA4 Detmold 1,02UKC2 Northumberland, Tyne and Wear 1,48 ITE2 Umbria 1,01UKE4 West Yorkshire 1,44 PT3 Region Autonoma da Madeira (PT) 1,00Nota: il vantaggio comparato è calcolato su dati di occupazioneFonte: elaborazioni su dati Regio, Eurostat

Dalla tabella si può osservare come molte delle regioni nelle quali sono localizzate le città capitali risultano specializzate nei servizi alle imprese. Questo accade non solo nei paesi ad alto reddito, ma anche in Spagna, Portogallo, Grecia e in molti paesi dell’Euro-pa dell’Est (Kozép-Magyarorszàg: la regione di Budapest; Bucuresti; Bratislavsky kraj; Mazowieckie: la regione di Varsavia). Si può anche osservare come, una volta escluse le regioni in cui sono localizzate le città capitali, ci sono importanti “effetti paese” che influenzano la specializzazione regionale nei servizi alle imprese. Infatti tutte le regioni olandesi e la grande maggioranza delle regioni inglesi e tedesche appaiono specializza-

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te nei servizi alle imprese. Dall’altro lato nessuna regione dei paesi nuovi entranti, del Portogallo, della Grecia, della Norvegia e della Finlandia (sempre ad eccezione delle regioni con le città capitali) mostra un vantaggio comparato nei servizi alle imprese. Le regioni spagnole, francesi e italiane mostrano un comportamento più variegato, mentre tra le undici regioni del Belgio quattro sono specializzate nei servizi alle imprese.

Per l’analisi econometrica i dati sulla specializzazione sono stati integrati con dati sul livello tecnologico regionale, sul capitale umano e sulla densità della popolazione. Anche questi dati provengono dalla banca dati “Regio”. In particolare come variabili tecnologiche si è utilizzato il rapporto tra spese in Ricerca e Sviluppo e PIL e i brevetti nelle TIC sul totale della popolazione. Il capitale umano è misurato dalla quota della popolazione con istruzione superiore, mentre la densità della popolazione è misurata dal rapporto tra popolazione e superficie regionale. Infine, al fine di misurare la poten-ziale domanda intermedia proveniente dal settore manifatturiero, per ciascuna regione si è costruito un indicatore che misura la somma ponderata dell’occupazione nei set-tori del manifatturiero che sono alti utilizzatori di servizi alle imprese sul totale degli occupati regionali. I pesi sono dati dalla quota media (tra paesi) dei servizi alle imprese sulla produzione totale dei settori del manifatturiero calcolata sulla base delle tavole Input/output simmetriche dell’Eurostat (tabella 4). Considerando tutte queste variabili nell’analisi econometrica si ottiene un campione “sbilanciato” (a causa dei dati mancan-ti) di 259 regioni NUTS 2 per il periodo 1998-2005.

4.3 I risultati della verifica empirica

La tabella 7 riporta i risultati della verifica empirica. Le stime sono state fatte utiliz-zando il metodo dei minimi quadrati su dati panel.

Dalla tabella si può osservare come nella regressione tutti i coefficienti abbiano i segni attesi e siano significativi ad eccezione delle spese in Ricerca e Sviluppo. Il coef-ficiente non significativo per questa variabile può dipendere da un certo grado di colli-nearità con l’indicatore brevettuale (se questo è escluso dalla regressione l’indicatore di R&S diventa significativo).

Nell’insieme i risultati econometrici mostrano che la specializzazione nei servizi alle imprese dipende sia da fattori dal lato dell’offerta (disponibilità di tecnologia e capita-le umano) sia da fattori legati alla domanda intermedia (misurati dall’indicatore della domanda intermedia potenziale proveniente dalle industrie del settore manifatturiero alte utilizzatrici di servizi alle imprese). Inoltre il ruolo delle economie di agglomerazio-ne emerge con forza. è interessante osservare, infatti, che quando la densità della popo-lazione e le dummies per le regioni in cui sono ubicate le città capitali sono introdotte insieme nella regressione, entrambe hanno un’influenza positiva sulla specializzazione nei servizi alle imprese, evidenziando il ruolo specifico giocato dalle economie urbane per la crescita di questa tipologia di servizi.

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tabella 7Le determinanti della specializzazione nei servizi alle imprese

Metodo di stima: minimi quadrati generalizzatisu dati panel

Variabili Coefficiente z-ratioDomanda potenziale del manifatturiero 6,358*** 9,08Quota della popolazione con istruzione superiore 0,436*** 8,46Brevetti in TIC su popolazione 0,352*** 5,12R&S su PIL 0,172 0,27Densità della popolazione 0,023*** 5,77Regioni con città capitale 60,99*** 11,7

Wald X2=1804,34Nota: le stime sono corrette per l’eteroschedasticità; *,**,*** indicato rispettivamente significativo al 10, 5 e 1%. Dummies di paese e temporali sono incluse. I coefficienti non possono essere interpretati come elasticità.Fonte: elaborazioni su dati Regio, Eurostat

5. Specializzazione nei servizi alle imprese e internazionalizzazione delle regioni italiane

Una letteratura recente, ma già piuttosto estesa, ha mostrato come i servizi in gene-rale, e i servizi alle imprese in particolare, oltre ad essere oggetto di un crescente scam-bio internazionale, favoriscano il processo di internazionalizzazione della produzione anche in altri settori. In quel che segue mostreremo la relazione tra servizi alle imprese e grado di internazionalizzazione delle regioni italiane. Ci si chiede, dunque, se le regioni specializzate nei servizi alle imprese tendano ad essere più aperte al commercio internazionale rispetto alle regioni che mostrano bassi livelli di attività nei servizi alle imprese. A tal fine abbiamo ricalcolato il grado di specializzazione delle regioni italiane e lo abbiamo messo in relazione con il loro grado di apertura misurato dalla somma delle esportazioni e delle importazioni sul valore aggiunto. L’analisi è stata condotta per il periodo 1999-2003, per il quale tutti i dati sono disponibili. La tabella 8 riporta il grado di specializzazione e il grado di apertura al commercio internazionale delle regioni ita-liane all’inizio e alla fine del periodo.

Tra le regioni con i più alti valori di specializzazione nei servizi alle imprese (sem-pre calcolati in termini di numero di occupati) all’inizio del periodo (1999) troviamo la Lombardia e il Lazio (le due regioni in cui sono localizzate le maggiori città italiane: Milano e Roma); a queste regioni seguono il Piemonte, la Liguria, il Fiuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, la Valle d’Aosta, la Toscana e il Veneto (tutte regioni setten-trionali ad eccezione della Toscana). Tra le regioni centrali e meridionali, nel complesso non specializzate nei servizi alle imprese, i livelli più alti dell’indicatore di vantaggio comparato si riscontrano in Umbria, Marche, Basilicata, Campania e Puglia. Nel 2003 il Lazio supera la Lombardia nel grado di specializzazione nei servizi alle imprese, mentre tra le regioni centrali e meridionali la Campania e la Puglia vedono crescere più delle altre il loro grado di specializzazione.

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tabella 8 Specializzazione regionale nei servizi alle imprese e internazionalizzazione

Regione Vantaggio comparato Grado di apertura 1999 2003 1999 2003Abruzzo 0,78 0,79 385,59 402,33Basilicata 0,89 0,89 182,52 225,29Bolzano n.d. 0,79 374,18 372,24Calabria 0,67 0,69 27,48 32,33Campania 0,82 0,92 194,28 184,73Emilia Romagna 1,14 1,17 458,77 481,62Friuli Venezia Giulia 1,16 1,09 477,52 441,11Lazio 1,46 1,52 258,22 258,00Liguria 1,21 1,08 221,30 299,69Lombardia 1,47 1,45 673,98 698,82Marche 0,91 0,88 344,59 408,73Molise 0,71 0,68 178,35 156,45Piemonte 1,30 1,18 506,75 506,89Puglia 0,82 0,89 189,95 188,58Sardegna 0,80 0,85 190,12 246,95Sicilia 0,69 0,75 198,90 246,06Toscana 1,06 1,03 440,60 435,99Trento n.d. 1,04 307,83 321,63Umbria 0,98 0,96 226,91 255,16Valle D’Aosta 1,13 1,32 194,90 251,81Veneto 1,01 1,02 593,29 619,57Fonte: elaborazioni su dati ISTAT ed EURoSTAT

I dati sull’apertura al commercio internazionale (somma di esportazioni e importa-zioni sul valore aggiunto) mostrano ancora il divario territoriale Nord-Sud con le regioni settentrionali che, in media, presentano il maggior grado di apertura (eccezioni sono l’Abruzzo e la Toscana che appaiono aperte al commercio internazionale più di alcune regioni del Settentrione quali la Valle d’Aosta, la Liguria, Trento e Bolzano).

Andando a calcolare l’indice di correlazione tra specializzazione nei servizi alle imprese e grado di apertura su tutto il periodo (1999-2003) otteniamo il valore di 0.52 (significativo all’1%). Il valore del coefficiente di correlazione evidenzia una asso-ciazione positiva tra il grado di specializzazione nei servizi alle imprese e il grado di internazionalizzazione. Tuttavia la semplice correlazione non è sufficiente a trarre impli-cazioni sulla relazione causale tra le due variabili. A questo proposito, se si renderanno disponibili dati comparabili tra regioni di diversi paesi su esportazioni e importazioni, studi futuri potranno soffermarsi maggiormente su questo aspetto ampliando il campio-ne di paesi su cui focalizzare l’attenzione, controllando per le altre variabili che influen-zano il grado di apertura a livello regionale e utilizzando un’analisi dinamica.

6. Specializzazione nei servizi alle imprese, tecnologia e capitale umano in Campania

Sia la letteratura teorica che l’evidenza empirica hanno messo in luce l’esistenza di fattori che favoriscono lo sviluppo dei servizi alle imprese. Tra questi in particolare è emerso il ruolo della domanda intermedia proveniente dal settore manifatturiero, le

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capacità tecnologiche con particolare attenzione alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e il capitale umano. Infine dall’analisi relativa alle regioni italiane si è riscontrato come le regioni maggiormente internazionalizzate tendano ad avere elevati livelli di specializzazione nel settore dei servizi alle imprese. In questo quadro è utile mettere in luce la posizione della regione Campania relativamente ai fattori che sono stati identificati strategici per lo sviluppo del settore dei servizi alle imprese anche in un’ottica dinamica.

tabella 9 La posizione relativa della Campania

Regione Servizi Struttura R&S Brevetti TIC Capitale umano 1999 2003 1999 2003 1999 2003 1999 2003 1999 2003Campania 56,30 78,23 0,94 0,78 0,97 1,03 0,58 0,97 6,80 38,30Sud Italia 53,10 68,76 0,77 0,64 0,56 0,62 1,98 1,42 20,07 28,51Italia 69,05 84,98 1,54 1,28 0,83 0,88 7,35 4,96 27,70 30,21Europa 78,12 85,48 1,83 1,71 1,40 1,27 23,95 13,57 30,38 33,60Campania/Sud 1,06 1,14 1,22 1,22 1,74 1,67 0,29 0,69 0,34 1,34Campania/Italia 0,72 0,92 0,61 0,61 1,17 1,17 0,08 0,20 0,25 1,27Campania/Europa 0,72 0,92 0,51 0,46 0,69 0,81 0,02 0,07 0,22 1,14Legenda: Servizi=quota di occupati nel settore dei servizi alle imprese sul totale degli occupati

Struttura=quota ponderata dell’occupazione nei settori del manifatturiero che sono alti utilizza-tori dei servizi alle imprese sull’occupazione totaleR&S=rapporto tra Ricerca e Sviluppo e PilBrevetti TIC=brevetti nelle TIC sul totale della popolazioneCapitale umano=numero di studenti con istruzione superiore (Isced 5 e 6) sul totale della popolazione

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT ed EURoSTAT

La tabella 9 riporta la posizione relativa della Campania rispetto alla media delle regioni europee, rispetto alla media delle regioni italiane e rispetto alla media delle regioni dell’Italia meridionale nelle spese in ricerca e sviluppo, nei brevetti nel settore delle TIC, nella quota di popolazione con istruzione superiore, nella quota ponderata dell’occupazione nei settori del manifatturiero che sono alti utilizzatori dei servizi alle imprese e nella quota di occupati nel settore dei servizi alle imprese. I dati si riferiscono al 1999 e al 2003.

Dalla tabella si può osservare come la Campania risulti in una posizione di debolezza rispetto non solo alla media europea, ma anche alla media delle regioni italiane. Tale debolezza è più spiccata per l’indicatore brevettuale, per il capitale umano (all’inizio del periodo) e per la struttura del settore manifatturiero che non per lo sviluppo dei servizi alle imprese. La minore arretratezza nel settore dei servizi alle imprese, alla luce dei risultati dell’analisi econometrica che hanno evidenziato l’importanza delle economie di agglomerazione, è compatibile con la presenza di una grande città come Napoli. Infine, per le spese in ricerca e sviluppo la Campania occupa una posizione superiore alla media italiana sia nel 1999 che nel 2003.

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Facendo un raffronto tra i dati del 1999 e quelli del 2003 si riscontra un miglioramento della posizione della regione Campania soprattutto relativamente all’indicatore di capitale umano (con valori superiori alla media italiana ed europea)2. Infine raffrontando la posizione della Campania con quella delle altre regioni dell’Italia meridionale, la Campania ha valori superiori alla media in tutti gli indicatori ad esclusione dei brevetti nelle TIC e del capitale umano (per quest’ultimo indicatore i valori sono inferiori alla media nel 1999, ma superiori alla media nel 2003).

In conclusione la Campania presenta una posizione di debolezza rispetto alle altre regioni europee e alla media delle regioni italiane, ma non rispetto alle altre regioni dell’Italia meridionale. Inoltre, nel settore dei servizi alle imprese, la Campania presenta valori simili alla media italiana e in crescita sia rispetto alla media italiana che a quella europea. Si tratta dunque di una regione che appare ancora in grado di poter beneficiare dei vantaggi legati a un settore dei servizi in crescita. A tal fine sarà necessario non solo sfruttare i vantaggi legati alle economie di agglomerazione, ma anche potenziare l’interazione tra settore manifatturiero e servizi e la ricerca nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Si tratta infatti di due fattori determinanti nello sviluppo del settore dei servizi alle imprese e in cui la Campania si trova ancora in una posizione di forte arretratezza non solo rispetto alla media europea ma anche rispetto alla media italiana.

7. Conclusioni

In un quadro in cui i servizi in generale e i servizi alle imprese in particolare diven-gono sempre più internazionalizzati e contribuiscono anche all’internazionalizzazione dell’intera economia, questo lavoro si è proposto di individuare e stimare le determinanti della specializzazione nei servizi alle imprese a livello regionale. La domanda poten-ziale per servizi alle imprese come beni intermedi, il capitale umano, la tecnologia e le economie di agglomerazione sono state identificate come variabili strategiche nell’in-fluenzare la specializzazione in queste attività.

Il fatto che la struttura del settore manifatturiero (la sua composizione settoriale) influenzi la performance nei servizi alle imprese ha importanti implicazioni in quanto suggerisce che la capacità di una regione di sviluppare un’economia dei servizi dinamica è legata alla struttura del suo settore manifatturiero. In particolare, da questo lavoro è emerso come le industrie ad alta intensità di conoscenza siano le principali utilizzatrici dei servizi alle imprese e, di conseguenza, le regioni specializzate in queste industrie si trovano in una posizione favorevole per sviluppare un vantaggio comparato nei servizi alle imprese.

2 In Campania tra il 2002 e il 2003 c’è un balzo nel numero degli studenti con istruzione terziaria (ISCED 5 e 6) da circa 48000 a 219000 che solleva dei dubbi sull’attendibilità del dato, vedi Eurostat regio.

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Da questo lavoro è emerso, altresì, che la tecnologia (in particolare l’innovazione nelle TIC) ha un effetto positivo e significativo sulla specializzazione nei servizi alle imprese. Questo risultato dà supporto alle teorie che mettono in evidenza il ruolo della tecnologia per la specializzazione ed è coerente con la visione che le TIC giocano un ruolo speciale nel caso dei servizi alle imprese. Da questo risultato deriva, altresì, la con-clusione che le politiche focalizzate a favorire lo sviluppo e l’utilizzo delle nuove tec-nologie possono avere un effetto positivo sulla specializzazione nei servizi alle imprese, un’area che sta divenendo strategica per i suoi elevati tassi di crescita, i suoi legami con gli altri settori e il suo contributo all’internazionalizzazione.

Questo studio ha evidenziato anche il ruolo del capitale umano per lo sviluppo dei servizi alle imprese, risultato non sorprendente se si considera che i servizi alle imprese utilizzano personale altamente specializzato e, quindi, la disponibilità di manodopera con elevati gradi di istruzione a livello regionale è un prerequisito per le regioni per specializzarsi in questi servizi ad alta intensità di conoscenza.

Un altro risultato importante di questo studio è il ruolo giocato dalle economie di agglomerazione nel favorire lo sviluppo dei servizi alle imprese. Non solo la densità della popolazione è una variabile significativa nello spiegare la specializzazione in que-sto settore, ma queste attività tendono a localizzarsi nelle regioni in cui sono ubicate le città capitali.

Inoltre ci siamo chiesti se, in Italia, le regioni maggiormente specializzate nei servizi alle imprese sono anche le più internazionalizzate. Pur essendo l’indice di correlazione tra specializzazione nei servizi alle imprese e grado di apertura delle regioni italiane positivo e significativo, studi futuri potranno gettare maggiore luce sulla relazione tra internazionalizzazione e servizi alle imprese in un’ottica dinamica e estendendo l’analisi anche a regioni di altri paesi.

Infine abbiamo analizzato la posizione della regione Campania nel settore dei servizi alle imprese e nelle attività che facilitano lo sviluppo di questo settore. Dall’analisi è emerso come la Campania presenti una posizione di debolezza rispetto alle altre regioni europee e alla media delle regioni italiane, ma non rispetto alle altre regioni dell’Italia meridionale. Inoltre, abbiamo riscontrato che la Campania presenta valori simili alla media italiana e in crescita sia rispetto alla media italiana che a quella europea nel settore dei servizi alle imprese. Si tratta dunque di una regione che appare ancora in grado di poter beneficiare dei vantaggi legati a un settore dei servizi in crescita, ma per farlo dovrà essere in grado di potenziare l’interazione tra settore manifatturiero e servizi e la ricerca nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in cui si trova ancora in una posizione di forte arretratezza non solo rispetto alla media europea ma anche rispetto alla media italiana.

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CAPITOLO 3

I SERVIZI ALLA PRODUZIONE NEL SISTEMA PRODUTTIVO DELLA CAMPANIA

Renato Passaro, Antonio Thomas

1. Introduzione

La Campania è una regione che da molti versanti può definirsi rappresentativa delle caratteristiche socio-economiche di una più vasta area, quale il Mezzogiorno. oltre ad una elevata densità abitativa media, infatti, la Regione mostra una cristallizzata presenza delle attività economiche in settori cosiddetti tradizionali fortemente esposti alla pres-sione competitiva internazionale, specie da parte dei paesi che possono disporre di un basso costo del lavoro.

La ridotta dimensione media aziendale, la scarsa propensione all’associazionismo ed all’internazionalizzazione sono altri tratti comuni alla maggioranza delle imprese ivi localizzate. Ciò non esclude la presenza di realtà e comparti di eccellenza che possono avvalersi della disponibilità di qualificati bacini di manodopera ad alto livello di istru-zione e di qualificate competenze.

A fronte di un quadro così definito, più studiosi di materie economiche e manageriali ritengono che un viatico per lo sviluppo di questa come di altre aree in ritardo di svilup-po possa essere rappresentato dall’adozione di scelte che, puntando a “salti negli stadi di sviluppo” (Hirschman, 1958), si dirigano precipuamente verso attività posizionate alla frontiera della conoscenza che fanno del know-how il principale input della funzione di produzione. Si tratta di una scelta che asseconda il procedere e l’interagire dei molteplici fenomeni economici e sociali verificatisi negli ultimi decenni; tanto a livello macroeco-nomico quanto a livello aziendale: dalla globalizzazione dei mercati alla diffusione delle tecnologie infotelematiche, dalle diffuse strategie di corporate downsizing a quelle di costante orientamento verso l’innovazione.

Strategie che determinano un’accentuazione della complessità delle attività di gestio-ne e governo dell’impresa e che fanno sorgere l’esigenza di acquisire un articolato ed adeguato corpo di competenze e conoscenze in linea con i cambiamenti in atto e con il proprio orientamento strategico (Coda, 1982; Grant, 1984; Invernizzi, 1999). Tali risor-se cognitive, tuttavia, potrebbero anche non essere disponibili all’interno dell’azienda stessa; dunque necessitano di essere agevolmente reperibili nel sistema dei servizi a supporto dell’attività d’impresa (Quagli, 1995).

Un’eventualità, quest’ultima, più evidente allorché le imprese tendono a concentrare la propria attenzione sul core business delegando all’esterno lo svolgimento di funzioni non caratteristiche ‒ dalla selezione del personale alla progettazione ‒ o finanche di fasi

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produttive (Prahalad e Hamel, 1990; Airoldi et al, 1994). Una scelta dettata dal costante bisogno aziendale di rafforzare, difendere e diversificare il sistema delle competenze distintive possedute per fronteggiare gli andamenti di mercato incerti e fortemente dina-mici verificatesi negli ultimi decenni (Porter, 1985; 1990; Normann e Ramirez, 1995). Tema, quest’ultimo, che assume contorni specifici relativamente alle piccole e medie imprese (Marchini, 1995; Olivotto, 2004).

è anche alla luce di queste tendenze che la letteratura economica e manageriale evidenzia sempre più la rapida crescente importanza acquisita dai cosiddetti servizi di supporto alla produzione nelle ragioni di sviluppo delle imprese, come dei relativi siste-mi locali o di intere regioni fra le quali, appunto, la Campania. La possibilità di disporre di conoscenze e competenze in continuo miglioramento, infatti, si dimostra non meno rilevante della dotazione infrastrutturale di un’area, della disponibilità di un mercato di sbocco per l’output o delle spinte competitive imposte dai concorrenti (Compagno, Grandinetti, 2003).

I servizi di supporto alla produzione sono tradizionalmente definiti come un sotto-gruppo (NACE 70-74) dei servizi collegati alle aziende (cioè servizi alle imprese di tipo generale, di trasporto, di comunicazione, di distribuzione commerciale e finanziari). Il criterio su cui si basa la definizione fa leva sui potenziali clienti dei servizi i quali, infat-ti, non sono prevalentemente i consumatori finali, ma le unità economiche. Tali servizi sono, come sopra accennato, attività reali che influenzano in primo luogo la competiti-vità delle aziende grazie al loro impiego diretto quali fattori produttivi intermedi nella catena del valore o anche in virtù degli incrementi di qualità e/o all’introduzione di innovazioni risultanti dall’interazione tra fornitore, cliente e servizio (UE, 2006).

Tra le loro particolarità, i servizi alla produzione annoverano quella d’essere con-cepiti, nella maggior parte dei casi, a livello intra-aziendale o esternalizzati a ditte specializzate. In virtù di ciò essi costituiscono un elemento importante dell’economia europea di mercato. La loro caratteristica più rilevante, tuttavia, è che essi sono presenti e integrati in ciascuna fase della catena del valore (Cappellin, Boscacci, 1990).

Statisticamente, l’Unione Europea (2006) afferma che il settore dei servizi connessi alla produzione (esclusi quelli finanziari) rappresentava, nel 2001, il 53% dell’occu-pazione complessiva nell’economia di mercato dell’Unione, contro il 29% del settore manifatturiero (pari a circa 29 milioni di occupati). Il valore aggiunto complessivo generato dai servizi connessi alle imprese copriva, sempre nel 2001, il 54% del totale, rispetto al 34% del settore manifatturiero. Si tratta, come si avrà modo di specificare, di valori in costante rapido incremento.

Quantunque l’espansione della domanda di tale categoria di servizi sia spiegata, solitamente, con la migrazione di posti di lavoro dall’industria manifatturiera al settore terziario determinata dalle scelte di outsourcing o esternalizzazione delle funzioni azien-dali o di fasi del processo produttivo, le ragioni di tale estensione sono molteplici. Molte di esse si legano ai cambiamenti nei sistemi di produzione che richiedono una sempre maggiore flessibilità, alla più intensa concorrenza sui mercati internazionali, al ruolo crescente delle Information and Communication Technologies (ICT) e delle conoscenze,

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nonché all’emergere di inedite tipologie di servizi. L’aggregato che costituisce l’oggetto di analisi di questo contributo, peraltro, è

espressione di un concetto di per sé sfuggente, tale da rendere finora improbi gli sforzi di definizione e misurazione delle attività che si ritiene rientrino nel comparto dei servizi alla produzione. Sforzi resi più complessi dal profondo ed ampio impatto che il processo innovativo, indotto prevalentemente dalle ICT, ha avuto (e tuttora ha) sulla nascita di nuovi bisogni, professionalità e competenze.

A fronte di queste premesse, il lavoro mira a proporre una prima sommaria distin-zione dei servizi alla produzione estrapolando, nell’ambito dell’intero settore dei ser-vizi, quelle particolari attività finalizzate ad incrementare produttività e competitività aziendale supportando il management nelle decisioni inerenti la produzione, l’adozione delle innovazioni, le scelte di coordinamento e organizzazione, la raccolta, gestione ed elaborazione delle informazioni. Servizi che, frequentemente, non possono essere agevolmente replicati o riprodotti in tutti i contesti territoriali a causa del contenuto di know-how ed innovazione in essi inclusi e che sono caratterizzati da un elevato grado di efficienza ed efficacia.

Pertanto, lo studio si dirige a monitorare, seppure a livello esplorativo, la situazione esistente, cercando di arrivare ad una definizione di tale aggregato nonché delle singole branche ad esso appartenenti partendo da un’analisi interpretativa dei mutamenti econo-mici in essere. Si tratta di contribuire a far luce su un motore di cambiamento strutturale ed economico di grande portata e che l’indeterminatezza sulle attività costituenti tende ad ostacolare.

Allo stesso tempo si tenterà di chiarire, da un punto di vista concettuale, quali pos-sano ritenersi i fattori qualificanti di queste tipologie di servizi che, per la loro stessa formulazione, si dirigono precipuamente all’accrescimento delle performance azienda-li. Ciò, in chiave speculativa ed interpretativa, racchiude una successiva domanda di ricerca costituita dal perché alla crescita ed evoluzione del terziario non sempre ed in tutti i contesti ha corrisposto un miglioramento della qualità dei servizi pubblici offerti o l’incremento delle attività di ausilio alle imprese nella realizzazione d’innovazioni tecnologiche o nell’inserimento stabile nei mercati internazionali.

è, altresì, da precisare che:1. il lavoro tende ad analizzare il comparto dal lato dell’offerta privata, esterna alle

imprese, senza effettuare, pertanto, valutazioni sui soggetti della componente relativa all’offerta pubblica;

2. quantunque per motivi di omogeneità l’attenzione si dirige all’analisi della realtà della regione più rappresentativa del Mezzogiorno in termini socioeconomici – la Campa-nia –, si ritiene che l’analisi sia generalizzabile ad altri territori della Macroarea. A livello metodologico, partendo da una definizione di servizi alla produzione per

la competitività e lo sviluppo internazionale del sistema economico e da una delimita-zione di tale aggregato attraverso l’identificazione dei codici ATECo ed un’eventuale loro ponderazione tesa ad escludere i servizi alle famiglie, si tenta di contestualizzare l’indagine alle esigenze delle imprese e degli imprenditori della Campania. Al riguardo

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va specificato che le aziende regionali si caratterizzano per una varietà di specificazioni inerenti la competitività nazionale ed internazionale con conseguenti esigenze aziendali di servizi alla produzione alquanto differenziate; quantomeno in funzione della localiz-zazione intra-regionale del settore, dell’ampiezza dell’impresa, del livello tecnologico del settore. è propedeutica a tale attività una rassegna bibliografica sugli studi che si sono già interessati al tema.

In termini espositivi, dopo aver analizzato il legame tra l’offerta di servizi alla pro-duzione e la competitività aziendale (lato della domanda) ed i meccanismi di interazione tra i servizi alla produzione ed i processi di sviluppo dell’azienda e dell’imprendito-rialità (lato dell’offerta) ‒ paragrafo 2 -, il contributo evidenzia il collegamento tra gli stessi servizi alla produzione e lo sviluppo territoriale ‒ paragrafo 3. Nel paragrafo 4 sono definiti gli aggregati sottesi all’individuazione delle attività incluse nei servizi alla produzione e nel paragrafo 5 si individuano le relative consistenze quantitative per la Campania.

Nel paragrafo 6 si identifica la componente cosiddetta avanzata dei servizi alla pro-duzione rappresentandone alcune caratteristiche e tendenze. Seguono, nel paragrafo 7, le considerazioni conclusive.

2. Terziarizzazione dell’economia e competitività aziendale

Un numero rilevante di studiosi ritiene che il peso crescente dei servizi alla pro-duzione nell’ambito dei macrosettori economici non vada interpretato come un ovvio effetto della sostituzione delle attività del terziario a quelle dell’industria manifatturiera, conseguenza di quella che è definita, appunto, terziarizzazione o deindustrializzazione dell’economia quanto, piuttosto, come il risultato di una crescente integrazione e com-plementarietà tra le attività manifatturiere e talune branche dei servizi1. Al riguardo va rilevato che la transizione verso un’economia terziarizzata da parte di alcune nazioni avanzate (agevolata da fattori quali l’incremento della produttività nei settori primario e secondario che ha reso disponibili surplus produttivi ed un più elevato reddito personale, la riduzione dell’orario di lavoro che ha determinato un maggior tempo libero, la richie-sta di prodotti più sofisticati…) è stata letta ed interpretata da due angolazioni.

Una prima angolazione è quella che sottolinea principalmente gli aspetti della “dein-dustrializzazione” e della “terziarizzazione” dell’economia, intese in un senso di “quasi antagonismo” tra i comparti economici e con la preminenza dei servizi ai danni dell’in-dustria. Un controricorso storico che ricorda il sorpasso dell’industria sull’agricoltura verificatosi, in Europa, all’indomani del secondo conflitto bellico mondiale. Tale inter-

1 Con il termine ‘servizio’ si intende “il processo di interscambio finalizzato alla soluzione di pro-blemi, alla soddisfazione dei bisogni e desideri di persone singole o collettive e imprese che si attua mediante il trasferimento reciproco di informazioni, conoscenza, abilità, lavoro, appartenenza, sicurezza o la disponibilità ad usare individualmente e temporaneamente beni/strumenti o il trasferimento di risorse naturali” (Negro, 1992).

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pretazione è, inoltre, suffragata dalla crescente espansione del commercio internazionale di servizi che si è verificata sin dal termine degli anni ‘70.

La seconda angolazione è quella riscontrabile nei contributi di coloro che concorda-no nel ritenere che il mondo economico, dagli anni ‘80, sia ormai entrato in una dimen-sione neo-industriale (Vaccà, 1980; Rullani, 1988; Di Bernardo, 1991). Con questo termine non s’intende, come ritenevano i fautori del post-industrialismo, un’espansione delle attività di servizio a scapito del settore secondario ‒ la quale, peraltro, associava lo sviluppo di un paese al “predominio” del terziario ‒ bensì una dilatazione dell’industria in modo complementare e funzionale al settore terziario; con particolare riferimento a ciò che è definito il terziario per il sistema produttivo. Il manifatturiero, infatti, grazie alla maggiore duttilità della scienza e della tecnologia, si riappropria della varietà, della variabilità e dell’indeterminazione di campi in precedenza abbandonati al terziario dal sistema fordista, con la riconquista dei contesti dai quali esso era stato escluso e la con-temporanea creazione di nuove tipologie di servizi basati su tre componenti essenziali: tecnologia, apprendimento e cultura.

Nelle economie a maggior livello di sviluppo, il considerevole spostamento dei con-sumi a favore dei servizi non è il segnale di una tendenza alla deindustrializzazione, ma può essere letto come un riflesso statistico dell’intensificarsi della divisione del lavoro e di una disaggregazione delle catene verticali del valore precedentemente integrate. Vale a dire che servizi in precedenza “prodotti” all’interno delle imprese manifatturiere vengono ora offerti da fornitori di servizi specializzati.

Sono, così, sorte nuove società di servizi che sostengono gli sforzi dell’industria occidentale nel perseguimento di aumenti di efficienza e nell’assorbimento delle nuove tecnologie in grado di generare nuovi prodotti a più elevato valore aggiunto. Recenti studi mostrano che il tipo di economia che si sta prospettando corrisponde ad un modello nel quale i servizi e l’industria manifatturiera sono altamente integrati e con uno spic-cato carattere complementare. La domanda di servizi esiste ovunque vi sia una forte economia industriale e si sviluppa come una sua conseguenza; in altri termini, l’una non esclude l’altra (UE, 2006).

A ben vedere, pertanto, nonostante il significato globalmente negativo che si è spes-so associato al termine terziarizzazione come ideologia del declino (della produttività, della crescita aziendale...) nel quale le attività dei servizi soffocano la base industriale che le alimenta, la diversità di interpretazioni evidenziate è solo apparente e riflette in via quasi esclusiva un problema di ordine terminologico. In particolar modo si ritrova una comunione di vedute nella distinzione tra un concetto di terziario “buono” ‒ quello dei servizi “innovativi” ed “avanzati” ‒ ed uno di terziario “cattivo” ‒ quello cosiddetto tradizionale ‒ (Di Bernardo, 1992).

Il secondo menzionato filone interpretativo, difatti, suggerisce che quello che accade a livello di mutamenti strutturali non è da intendersi come la sostituzione del terziario verso l’industria in qualità di settore trainante ma, lo si ribadisce, come lo sviluppo dei servizi in un’ottica di reciproca integrazione e complementarità con i beni, al fine del soddisfacimento dei bisogni e della realizzazione dei prodotti. Viene ad attenuarsi, cioè,

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la tradizionale distinzione tra bene e servizio così come concepiti nell’ottica tradizionale della produzione di massa standardizzata. Ne consegue che un sistema neo-industriale si identifica con un’economia che lavora con principi industriali (perseguimento delle economie di scala, ricerca della scientificazione nelle decisioni produttive, uso intensivo delle macchine) per generare le prestazioni una volta tipiche dei servizi (personalizza-zione dell’offerta, flessibilità produttiva) ma che finora, data la rigidità della tecnologia disponibile, potevano essere ottenute solo rinunciando ai vantaggi del modo industriale di produrre (Rullani, 1997).

La stessa distinzione tra le due macrocategorie economiche, manifatturiera e dei servizi, è divenuta assai labile ed i comportamenti delle relative imprese si contraddi-stinguono in misura crescente da tendenze comuni. Le imprese manifatturiere, terminata l’agevole espansione dei consumi dei periodi di crescita accelerata, sono quasi costrette a proporre politiche service oriented (fino ad arrivare al market in, dove è il cliente a guidare lo svolgimento delle attività produttive aziendali) miranti a differenziare il pro-dotto in relazione al segmento di mercato nel quale intendono posizionarsi. Le aziende dei servizi, invece, acquisiscono costantemente competenze caratterizzandosi in modo sempre più marcato rispetto ad altre tipologie di impresa poiché, nelle strategie di make or buy, si specializzano nella fornitura di attività e nello svolgimento di compiti che richiedono una crescente quota di knowledge specifico o “dedicato” che per le aziende manifatturiere non risulterebbe conveniente sviluppare o detenere in proprio.

Lo sviluppo di nuove forme di organizzazione e integrazione economica ha poi accentuato il ruolo dei servizi alla produzione come indispensabile fattore sia di sup-porto all’inserimento di imprese e sistemi locali nelle reti internazionali produttive e commerciali, sia di attrazione territoriale di investimenti ed iniziative estere. Tanto più che mentre per il passato l’internazionalizzazione delle imprese di servizio seguiva principalmente il modello del follow the customer, cioè dell’accompagnamento nei mercati esteri dei clienti industriali (Mariotti e Mutinelli, 2004), oggi le logiche che conducono alla formazione delle grandi, medie e piccole imprese internazionalizzate vanno collocate all’interno dei fenomeni di diffusa urbanizzazione e della conseguente, graduale, affermazione di un vero e proprio “mosaico globale di poli terziari avanzati” che, soventemente, seguono lo sviluppo delle grandi aree metropolitane dove l’offerta di servizi è attratta da economie di concentrazione e dalla disponibilità di “ulteriori” servizi (servizi ad alta intensità di servizi).

Ne deriva che un numero crescente di sistemi locali e agglomerazioni territoriali hanno fatto della produzione, distribuzione e commercializzazione di servizi il proprio core business, la fonte di rilevanti vantaggi competitivi ed il principale elemento qua-lificante sul piano della loro attività estera. Parallelamente, sul piano internazionale la crescita del commercio dei servizi viene ad interpretarsi come un fenomeno funzionale all’aumento della produttività industriale e del livello di sviluppo economico comples-sivo (Bhagwati, 1987).

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3. Servizi alla produzione e sviluppo territoriale

Nell’ambito dei sistemi economici l’offerta di servizi alla produzione non si rivela sempre qualitativamente e quantitativamente adeguata alla domanda formulata dal sistema delle aziende. Quando ciò accade, si è notato che le imprese hanno difficoltà a raggiungere elevati livelli competitivi e/o a modificare la specializzazione produttiva verso attività a maggiore valore aggiunto e localizzate sulla frontiera della tecnologia; specialmente allorché sono di dimensioni ridotte e non riescono facilmente ad accedere all’offerta ubicata altrove.

Le suddette complicazioni, infatti, tendono ad aumentare al ridursi della dimen-sione aziendale, poiché saranno minori le capacità endogene di generare le necessarie competenze e conoscenze. A maggior ragione quando alla ridotta ampiezza si associa la localizzazione in determinati contesti territoriali genericamente definibili come less conducive environment.

Nello specifico, la disponibilità di servizi strumentali alle fasi strettamente produt-tive si palesa più carente nelle aree cosiddette in ritardo di sviluppo poiché, in genere, la loro insorgenza è consequenziale all’insediamento di preesistenti impianti industriali pur essendo, al contempo, anche una conditio sine qua non per il loro ulteriore svilup-po. Spesso, peraltro, è la presenza dell’offerta che stimola una corrispettiva domanda “latente” di tali servizi.

Al contrario, è dall’intrecciarsi regressivo di tali elementi, dal lato sia della domanda sia dell’offerta, che può originarsi un circolo vizioso che inibisce o limita la crescita di un equilibrato processo di sviluppo economico, industriale o territoriale. è per queste ragioni che l’insieme dei servizi alla produzione si rivela frequentemente l’elemento centrale per sviluppare capacità competitive basate sulla creazione ed il rafforzamento di competenze distintive; processo che solitamente si attiva mediante:a) il trasferimento di know-how tecnologico e scientifico al sistema delle imprese; b) il supporto alle imprese nella trasformazione delle conoscenze in know-how appli-

cativo;c) l’introduzione di innovazioni di processo e organizzative nonché best practice per il

miglioramento delle performance (di efficienza, efficacia e redditività) delle singole aziende, di reti di aziende e del sistema produttivo nel suo complesso.Una riprova di questi orientamenti si nota verificando come nella determinazione

del prezzo finale di quelli che solitamente sono definiti beni materiali, da un lato cresce progressivamente il valore aggiunto fornito dalla knowledge rispetto ai raw material, dall’altro emerge la volontà aziendale di non vendere un prodotto tout court ma la sod-disfazione associata al suo utilizzo (servizi strumentali all’uso dei beni). L’azienda rea-lizza non solo prodotti ma un’ampia gamma di servizi che di tali beni costituiscono parte integrante e che garantiscono al cliente un miglior utilizzo e soddisfazione nel consumo degli stessi2, avallando il concetto di service factory (Chase e Erikson, 1990).

2 Al riguardo basta pensare alle politiche dei produttori di computer che alla vendita dell’hardware associano anche vari programmi software, corsi di autoapprendimento, assistenza a domicilio, etc.

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La tendenza, tra l’altro, si rafforza per prodotti scarsamente differenziabili (ad es. i grocery goods) o nel momento in cui i produttori non reputano più conveniente perso-nalizzare ulteriormente un dato bene spostando, pertanto, il fulcro della competizione sui servizi di supporto allo stesso. Nella realtà economico-aziendale non sono pochi i casi in cui la concorrenza sui servizi accessori può essere un’alternativa anche alla price-competition.

In questo senso sono più che comprensibili le opinioni degli studiosi che definiscono il “prodotto” sempre più come “contenitore di beni” ed il produttore come “acquirente o coordinatore di servizi forniti da terzi” (Ferrara, 1997). Sembra chiaro, pertanto, che per le imprese diviene decisivo il possesso diretto o il contatto con fornitori esterni pro-prietari di know-how e conoscenze da incorporare nei beni (service-embodied good) per differenziarli od aumentarne il prestigio, nonché la possibilità di offrire attività acces-sorie o post-vendita che ne incrementino il citato valore d’uso (Cominotti e Mariotti, 1993) e garantiscano quella user friendliness che, attualmente, è divenuta un elemento di successo strategico verso i consumatori.

A questi sviluppi vanno, poi, sommate le inclinazioni correlate alla globalizzazione dell’economia mondiale, laddove la velocità di diffusione delle conoscenze e l’affranca-mento dai vincoli localizzativi delle risorse, tipiche del periodo pre-industriale, aprono la strada a nuove tipologie cooperative ‒ come quelle basate su relazioni di reciproca fiducia ‒ e competitive su scala mondiale. La combinazione degli elementi descritti rende palesi i mutamenti in atto, nonché l’avvio di un processo che, prevedibilmente, attraverso una riconsiderazione dei rapporti di forza ed influenza tra i sistemi paese, giungerà ad introdurre ulteriori e rilevanti elementi di cambiamento nella catena di creazione del valore legata da sempre, nella teoria economica dell’impresa, alla fisicità e tangibilità dei beni.

Ad essere sovvertita potrebbe essere anche la tradizionale distinzione tri-settoriale dell’economia in favore di un mono-settore produttivo fondato sulla conoscenza inte-rattiva, nel quale spicchi la capacità di polarizzazione delle varie aree territoriali verso i centri nodali della rete internazionale della knowledge in termini d’attrattive ambientali, funzionali ed infrastrutturali alla localizzazione (Normann, 1996). Appare indubitabile, di conseguenza, che le opportunità delle aziende dei servizi alla produzione appaiono destinate a dilatarsi, tanto quantitativamente che qualitativamente; ciò in conseguen-za dell’ampliarsi sia dell’ambito geografico della concorrenza internazionale verso il mondo orientale, sia dell’intensità stessa della competizione che coinvolge vecchi e nuovi attori.

A conferma di quanto sopra si sintetizzano alcuni elementi evolutivi e fatti stilizzati, imprescindibili per una corretta analisi del tema in oggetto.1. Esiste una palese intenzione dell’operatore pubblico di molte nazioni avanzate di

snellire il proprio apparato economico e burocratico, delegando funzioni e compiti di supporto al sistema economico ad imprese private.3 In questo caso è lecito supporre

3 In merito è significativo osservare quanto sta avvenendo sul piano internazionale nel settore dei servizi logistici, dove si verificano, in parallelo, processi di outsourcing da parte delle imprese mani-

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che, oltre all’ampliamento del mercato dei servizi alla produzione, la concorrenza rafforzerà il processo di trasformazione degli attuali utenti di servizi in clienti esi-genti che bisognerà saper soddisfare spostando definitivamente l’orientamento dal momento della produzione a quello del mercato (customer satisfaction).

2. Nella competizione globale, i processi di internazionalizzazione e di creazione di mercati più vasti inducono un ridimensionamento delle posizioni di inefficienza e/o di rendita monopolistica, che risulteranno sempre meno giustificabili da parte dei policy makers e sostenibili dalle aziende impegnate nella competizione mondiale. L’accresciuta concorrenza, infatti, aumenta il valore ed il rilievo strategico delle innovazioni nelle loro varie manifestazioni, costringendo l’intero sistema imprendi-toriale ad adeguarsi nelle strutture, nella produzione, nelle scelte gestionali e nelle modalità organizzative.

3. Le imprese, in particolare quelle di dimensioni minori e/o localizzate nei paesi in via di sviluppo, manifestano una crescente domanda di servizi di supporto ed ausilio, tanto nelle politiche gestionali quanto nelle strategie d’apertura internazionale.

4. Proprio le piccole imprese, grazie alla flessibilità e alla capacità d’adattamento alle esigenze del mercato, attraverso il modello di networking e di integrazione di filiera – fatto di un mix di consulenze e attività proprie – che permette un’elevata integrazio-ne dell’innovazione nella cultura aziendale, riescono a porsi come dei veri e propri “guardiani” della qualità e del made in Italy. Sono molteplici ed ampiamente noti i casi in cui esse sono riuscite ad indirizzare l’innovazione verso il miglioramento della qualità dei prodotti, la crescita della customer satisfaction e dell’immagine aziendale, senza con questo tralasciare la fidelizzazione dei clienti esistenti e l’incre-mento della produttività.

5. Nello specifico del punto precedente, l’adozione di nuove tecnologie analogamen-te alla capacità di disporre di competenze distintive e di servizi a elevato valore aggiunto si palesa, come comunemente ritenuto, un fattore chiave del livello di com-petitività internazionale e benessere futuro delle nazioni. Ne consegue che la forza concorrenziale di un paese dipenderà in modo crescente dalla quantità di know-how incorporata nei prodotti e servizi d’impresa e negli investimenti in beni immateriali capaci di incidere sulla qualità del fattore umano e sul livello di prestazione delle attività ausiliarie e di sostegno alle aziende. Non è un caso se alcuni studiosi attribu-iscono l’insorgenza di ostacoli all’internazionalizzazione delle aziende più a vincoli interni legati alla limitata disponibilità ed alla rigidità nell’uso delle risorse che a vincoli esterni di mercato (Vaccà, 1997).

6. Ciò che distinguerà, comunque in modo sempre più labile, un’attività industriale da un’attività terziaria non sarà più l’offerta di un prodotto anziché di un servizio, bensì il cosiddetto modo di produrre. Nel primo caso ci si baserà sull’uso delle macchine e tecnologie in un contesto di maggiore replicabilità delle attività offerte; nel secondo, invece, si avrà la prevalenza di produzioni tout court e la replicabilità sarà correlata

fatturiere e politiche di sostegno allo sviluppo degli operatori logistici da parte dei governi nazionali e dell’EU.

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alla sola capacità di standardizzare una domanda di servizi che, al contrario, tende a differenziarsi (Rullani, 1997).

7. Un numero crescente di imprese manifatturiere amplia le proprie attività nei servizi offrendo non solo servizi post-vendita ai clienti finali, ma anche erogando consulen-za ad altre imprese nel campo dell’ingegneria, della progettazione o dell’innovazione dei processi, come parte della propria attività. Sta, così, emergendo un nuovo model-lo ibrido d’impresa che abbina attività produttive e attività di servizio. Parimenti, i clienti sono sempre più alla ricerca di “soluzioni” anziché di semplici prodotti o servizi, ed è spesso la capacità di fornire servizi aggiuntivi ed a valore aggiunto che determina il vantaggio competitivo di un’impresa produttrice (Tunisini, 1995; ordanini, 1999).

8. L’arricchimento del tessuto produttivo con istituzioni, centri di servizi pubblici e aziende di servizi alla produzione di tipo innovativo incaricati, a loro volta, di age-volare il trasferimento della knowledge scientifica dagli ambiti accademici a quelli produttivi, può rivelarsi un fattore di spinta verso altre imprese interessate ad avvan-taggiarsi delle economie di agglomerazione ed urbanizzazione (Zanni e Savelli, 1993).

9. L’industria manifatturiera continua a essere considerata la principale Fonte di evo-luzione tecnologica e di innovazione nell’UE, ma nell’ultimo decennio essa non è riuscita ad aumentare in modo rilevante ed uniforme in tutti i paesi le sue attività nei settori a tecnologia avanzata e a più elevato valore aggiunto. Vi è, però, ampia consa-pevolezza che la crescita collegata ai servizi alle imprese, in particolare attraverso il ricorso a servizi ad alta intensità di conoscenze, costituisce un canale complementare per lo sviluppo delle tecnologie, per la creazione di nuove opportunità di lavoro e per l’acquisizione di vantaggi competitivi. I servizi alle imprese, specie se di tipo “avanzato” (v. infra), sono anche all’origine di processi di innovazione organizzativa e gestionale che migliorano il patrimonio immateriale delle imprese e le competenze dei lavoratori (UE, 2006).

10. è noto che lo sviluppo di attività di servizi knowledge-based costituisce più di altre un valido supporto ai processi di internazionalizzazione in cui sono impegnate le aziende, manifatturiere e non (Airoldi, 1993). Un ausilio in questa direzione è attribuibile alla creazione di network di imprese appartenenti alla componente più “avanzata” o “innovativa” dei servizi alla produzione, nei quali il capitale umano assume un rilievo primario allorché ne vengono esaltate le potenzialità creative e manageriali. Da quanto puntualizzato emerge, tra l’altro, che i processi di terziarizzazione dei

sistemi produttivi all’avanguardia rappresentano un’indubitabile conferma di come la crescente rapidità dell’innovazione tecnologica ed organizzativa riesce ad essere assi-milata e utilizzata all’interno dei sistemi produttivi locali, anzitutto attraverso la “media-zione” di un qualificato sistema di servizi di supporto alla produzione. Questi ultimi, infatti, si mostrano capaci di pilotare all’interno delle singole imprese i cambiamenti strategici ed organizzativi che i processi innovativi richiedono (Pennarola, 1993).

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Non è un caso se nel contesto europeo è possibile individuare, al contempo, sia aree più sviluppate caratterizzate da livelli di specializzazione crescenti incentrate su comparti industriali ad alta intensità di lavoro qualificato e con una consistente presenza di servizi avanzati alla produzione, sia aree meno avanzate ma che negli anni hanno evidenziato un certo dinamismo puntando sulla stretta interrelazione tra l’ambiente industriale e la specializzazione dei servizi ad esso correlato. Circostanza che attiva un’offerta in grado di servire ed attrarre attività e risorse su scala internazionale.4 Si tratta di una conferma di come le concentrazioni delle attività dei servizi reali attorno a forti nuclei di imprese devono essere interpretate tanto come fattore di competitività del sistema locale quanto quale elemento di attrazione per l’insediamento di altre imprese alla ricerca di supporti efficienti ed efficaci per i propri ambiti operativi.

Dal confronto con gli Stati Uniti, non a caso, emerge che nel settore dei servizi alle imprese esiste un potenziale non sfruttato pari a più di 3 milioni di posti di lavoro (UE, 1998). La presenza e le condizioni d’offerta dei servizi alla produzione, dunque, si confermano quali motivi di espansione economica; così come un obiettivo prioritario di politica economica gli interventi diretti al loro stesso rafforzamento e miglioramento.

Un aspetto peculiare dell’occupazione nei servizi alle imprese è l’alto livello dei tito-li di studio. Dalle indagini dell’Unione Europea (UE, 2003) emerge che la quota d’oc-cupazione per gli impieghi altamente specializzati è passata dal 38% del 1998 al 41%, mentre le persone con scarsa specializzazione sono scese dal 25% al 17%. Il fatto che la maggior parte dei posti di lavoro nei servizi alle imprese richieda competenze medio-alte rappresenta anche una sfida per i sistemi d’istruzione europei (e in particolare per le politiche di apprendimento lungo tutto l’arco della vita), dato che la trasformazione strutturale delle industrie europee indurrà più persone a lanciarsi nei servizi alle imprese abbandonando altri ambiti occupazionali. Il sistema italiano di education non appare, tuttavia, del tutto adeguato dato il basso livello di laureati (13%, specie in materie scien-tifiche, mentre nell’UE la percentuale è doppia e in USA e Giappone addirittura al 40%), la carenza di diplomati in materie scientifico-tecnologiche, la mancanza di una “cultura del merito” e di un sistema nazionale di valutazione degli insegnanti.5

Nello specifico della Campania e del Mezzogiorno, come si avrà modo di mostrare a breve, a fronte di una dimensione media delle imprese più contenuta che in altri con-testi territoriali avanzati e di un modello produttivo da tempo cristallizzato a favore di produzioni cosiddette tradizionali (e sempre più esposte alla concorrenza dei cosiddetti paesi new comer avvantaggiati da differenziali nei costi dei fattori produttivi), la dispo-nibilità di servizi strumentali alle fasi strettamente produttive delle imprese si palesa più carente che altrove. Si tratta di una tipica situazione da circolo vizioso nella quale,

4 Questa eterogeneità territoriale è, peraltro, visibile anche all’interno di contesti in ritardo di sviluppo quali, ad esempio, il Mezzogiorno.

5 Secondo stime riportate dalla FITA (2008), l’innalzamento del livello di istruzione nazionale di un anno entro il 2010 comporterebbe un incremento dello 0,4% annuo del tasso di crescita pro capite. Inol-tre, adeguando al termine del prossimo decennio il grado di education a quello dei Paesi best performer con le migliori risorse di capitale umano (come Danimarca, Germania e Irlanda), nel 2020 il PIL pro capite dell’Italia crescerebbe del 36% in termini reali rispetto al 2006.

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come accennato, la relativa arretratezza e debole competitività aziendale è legata anche alla ridotta presenza dei servizi alla produzione, in particolare quelli cosiddetti di tipo avanzato o innovativo, conditio sine qua non per lo sviluppo aziendale. L’insorgenza di questi ultimi, all’opposto, a sua volta è rallentata dalla debole presenza di preesistenti attività industriali che li domandano, scoraggiando la localizzazione ed insorgenza di offerenti.

4. L’aggregato dei servizi alla produzione

Una questione fondante sottesa ai discorsi finora esposti sull’inquadramento e sulle dinamiche evolutive dei servizi alla produzione, tradizionali e/o avanzati concerne, chiaramente, l’individuazione dell’aggregato o degli aggregati oggetto di indagine. Al riguardo emergono quantomeno quattro questioni principali che complicano eventuali confronti e paragoni spaziali e temporali.I) Seppure ci sia un consenso unanime sul ruolo e sulle potenzialità associate ai servizi

alla produzione, uno dei principali problemi nel riuscire a proporre e definire misure ed interventi atti a favorire l’insorgenza e diffusione di tali attività è, sia per i policy makers sia per gli studiosi, anzitutto la difficoltà di identificazione dei raggruppa-menti in oggetto. Finora, infatti, non è stata ancora proposta una definizione uni-vocamente accettata. In altri casi, peraltro, si tende ad enfatizzare la distinzione tra servizi alla produzione di tipo “tradizionale” e di tipo più “avanzato” o “innovativo”. I soggetti dell’offerta, in aggiunta, possono essere sia di natura pubblica che privata; come tali essi rispondono in modo diverso alle esigenze delle imprese e perseguono fini differenti. Nella realtà, tale ultima circostanza non sempre si realizza in modo netto; anzi, talvolta sussiste una certa commistione tra i servizi offerti ed un’indebita concorrenza tra comparto pubblico e privato.

II) Una seconda questione concerne l’identificazione statistica di tali categorie giacché mancano fonti statistiche sufficienti per la rappresentazione di un quadro unitario e coerente. Nei codici ATECo utilizzati dall’ISTAT e da altri enti che si occupano delle rilevazioni (come Unioncamere, uffici statistici regionali, centri di ricerca pub-blici od enti privati), infatti, si considerano macrocategorie all’interno delle quali è difficile discernere tra servizi alla produzione destinati alle aziende e servizi desti-nati alle famiglie o ai singoli. Ciò vale tanto per i servizi informatici (che di solito includono anche i semplici rivenditori di software e hardware) quanto per quelli logistici e di trasporto o di comunicazione (che contengono anche il servizio postale statale) e quelli professionali. In generale, si tende a considerare un aggregato più vasto dell’esistente, con conseguente sovrastima dei “veri” servizi alla produzione. Allo stesso tempo l’aggregato definito “servizi alla produzione” costituisce un rag-gruppamento indebitamente ristretto quando, come si chiarisce a breve, non include molteplici tipologie di attività che certamente garantiscono un rilevante supporto alla produzione. Peraltro, allorché le consistenze o stock di partenza sono ridotti,

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eventuali variazioni in aumento della disponibilità di servizi offerti tendono a dare risultati solo apparentemente lusinghieri. è anche a causa delle citate difficoltà se sono disponibili poche fonti informative ed indagini pregresse che mancano di omo-geneità nel tempo e nello spazio.

III) Nel complesso, le informazioni statistiche sulla domanda di servizi alle imprese si rivelano carenti e le interrelazioni tra i vari settori non sufficientemente documen-tate. Mancano, inoltre, dati che consentano di valutare in quale misura le imprese industriali forniscano (o autoproducano) servizi: il cosiddetto fenomeno del terziario implicito.6 La revisione del sistema di classificazione NACE prevista per il 2007 (paragrafo 4.1), aspirando a fornire un quadro più preciso della struttura e dello sviluppo del settore dei servizi, dovrebbe auspicabilmente migliorare la visibilità e le informazioni sul comparto in oggetto e sul contributo alle economie degli Stati dell’UE.

IV) Una quarta ovvia problematica concerne l’aspetto qualitativo. Non basta, infatti, limitarsi a considerare le variabili quantitative poiché, come accennato, nell’ambito dei servizi alla produzione possono coesistere, indipendentemente dalla definizio-ne dell’aggregato adottata, attività più statiche e tradizionali con altre ad elevata proiezione nel futuro posizionate sui confini della frontiera tecnologica. è pres-soché impossibile riuscire a discernere con certezza le due tipologie di servizi se non valutando specificamente le loro caratteristiche nonché la tipologia dei flussi di domanda che tendono a soddisfare. Può, altresì, accadere che la presenza di un serbatoio occupazionale di riserva associato alla spinta verso l’avvio di neo attività imprenditoriali conduca ad un sovradimensionamento dell’offerta di servizi alla produzione al quale non necessariamente corrisponde un maggiore contributo alla competitività aziendale. Alla luce di quanto sopra, la presente indagine è ristretta, per motivi di omogeneità,

alla mera raffigurazione della realtà della Campania, la più rappresentativa regione del Mezzogiorno; ciò nonostante le difficoltà rimangono consistenti. Sarebbe, dunque, velleitario ritenere di poter offrire un quadro esauriente dell’offerta di servizi alla produ-zione disponibili localmente; anche per via dell’offerta erogata dalle istituzioni di natura pubblica presenti nell’area che non sempre è rispondente o coincidente con le attese ed effettive esigenze degli interlocutori.

In linea teorica, in virtù dell’elevata disponibilità di manodopera ad alto tasso di scolarità, di un buon sistema universitario e di ricerca,7 di un tasso di terziarizzazione che, nonostante la discreta presenza di varie attività manifatturiere di tipo tradizionale, è circa del 70%, di punte di eccellenza che riescono a coesistere con altre attività “mature” e dell’elevata densità abitativa, il sistema economico produttivo campano esibisce ampie potenzialità prospettiche nello sviluppo ed offerta di servizi alla produzione. Esistono,

6 Circostanza che porta al sottodimensionamento dell’aggregato dei servizi alla produzione (Groon-ros, 1990).

7 In Campania, sono presenti 7 Università, di cui 4 a Napoli, con 49 Facoltà. Nell’Anno Accademico 2006-07 si sono avuti 8.000 immatricolati circa, 5.600 laureati nei corsi di Laurea Triennale, 2.400 nelle Lauree Specialistiche, 200 nelle Lauree a Ciclo Unico.

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non a caso, numerosi casi di imprese regionali che sono riuscite a raggiungere posizioni di avanguardia inaugurando percorsi inediti con i soggetti dell’offerta di servizi avanzati alla produzione (seppure non sempre in ambito locale).

Tali aziende potrebbero diffondere in positivo la loro esperienza, se non addirittura rivelarsi trainanti e costituire un volano per lo sviluppo dell’intero sistema socioecono-mico locale. Per questi motivi, si ritiene che la Campania sembrerebbe beneficiare di una discreta offerta potenziale di servizi avanzati alla produzione, sul cui livello quali-tativo, tuttavia, al di là della rispondenza alle reali attese, non si dispone al momento di consolidati riscontri oggettivi; anche perché le opinioni dei soggetti dell’offerta (para-grafo 6.3) differiscono marcatamente da quelle degli utilizzatori finali.

4.1 Un triplice inquadramento

Alla luce di quanto esposto nonché, sempre per motivi di coerenza, dopo aver verificato l’incompatibilità quantitativa e qualitativa di fonti alternative, si è ritenuto di affrontare il problema della misurazione dell’aggregato ricorrendo fondamentalmen-te alle elaborazioni statistiche ufficiali dell’Istat; le uniche che, di fatto, permettono eventuali confronti omogenei. Al riguardo della rappresentazione delle voci che com-pongono l’aggregato dei servizi alla produzione, invece, ci si è riferiti a tre differenti definizioni che si caratterizzano basilarmente per l’estensione dell’aggregato stesso dei servizi alla produzione.

La prima definizione, quella che presenta l’interpretazione in termini più ampi dell’aggregato, trae origine da un recentissimo contributo di Kox e Rubalcaba (2007). Quest’ultimo propone un’esegesi estensiva dei producer services dai quali, poi, deriva-no i business-related services8 e dunque i business services in senso stretto9, sia di tipo tradizionale che knowledge intensive (figura 1).

Con riferimento ai codici NACE o ATECo (base 2002)10 l’aggregato include, nell’ambito delle sezioni “I” (Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni), “J” (Inter-mediazione monetaria e finanziaria) e “K” (Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca altre attività professionali ed imprenditoriali), le classi da 60 a 65 e da 70 a 74 (v. appendice).

8 L’aggregato deriva dalla differenza tra i servizi alla produzione ed i servizi al consumo parzialmente utilizzati dalle imprese; come i servizi di viaggio, le compagnie assicurative per la salute o le assicura-zioni sociali.

9 A tale aggregato si perviene sottraendo i servizi di distribuzione e commerciali, trasporti e logistica, attività bancarie e finanziarie, telecomunicazioni e servizi energetici.

10 Tutti i richiami ai codici NACE/ATECo contenuti nel lavoro sono riferiti alla base 2002. Dal 1° Gennaio 2008, come accennato (paragrafo 4.1), è in vigore la nuova classificazione delle attività econo-miche ATECo 2007; per le Tabelle di raccordo sulle due classificazioni si veda www.Istat.it.

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FiGura 1Dai Producers Services ai Business Services secondo Kox e Rubalcaba (2007)

Fonte: Kox e Rubalcaba (2007)

Il secondo inquadramento, invece, si riferisce ad una classificazione proposta dalla Comunità Europea, definibile di tipo intermedio, conforme a quanto riportato nella pubblicazione Eurostat “Servizi alle imprese in Europa” (1995). In quest’ottica di tipo “funzionale” i servizi alle imprese comprendono un gruppo molto eterogeneo di attivi-tà che vanno dai servizi professionali (ad es. ingegneria, contabilità, servizi giuridici) ai servizi ad elevato valore aggiunto (ad es. ICT, consulenza gestionale) e dai servizi inerenti la gestione delle risorse umane (quali la selezione e ricollocazione esterna o i lavori interinali) ai servizi di sostegno alle imprese; tanto a basso (ad es. pulizia, sicu-rezza, ristorazione) quanto ad alto valore aggiunto (ad es. gestione energetica, fornitura e trattamento delle acque e di altri fluidi e trattamento dell’aria e dei rifiuti). In appen-dice si riporta il dettaglio dei servizi necessari per il funzionamento delle imprese come individuati dall’Eurostat con i relativi codici ATECo.

Secondo quest’interpretazione i servizi alla produzione comprendono numerose attività diverse tra loro ad alta intensità di lavoro intellettuale, tra le quali le consulenze aziendali e professionali (assistenza tecnica e giuridica, marketing, pubblicità, fiere e mostre), i servizi operativi, come quelli nel campo della pulizia e della sicurezza nonché i servizi in campo informatico. Questo panorama eterogeneo si spiega con la moltepli-cità delle peculiarità funzionali proprie delle imprese che acquistano tali servizi (per ogni aspetto aziendale rilevante esiste un servizio corrispondente), caratterizzati da un processo di co-produzione interattiva tra il lato dell’offerta e quello della domanda allo scopo di migliorare il livello di service customization, di customer satisfaction nonché, complessivamente, la competitività del cliente.

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Come si nota, rispetto alla:generica definizione fornita dell’Unione Europea sono esclusi i Servizi immobiliari a) (classe 70), la Ricerca e sviluppo (classe 73) e le Holding (sottoclasse 74.15);predetta definizione “estesa” sono escluse talune sottoclassi dei codici da 70 a 74 e b) mancano del tutto quelli da 60 a 65.

La terza definizione, invece, quella più restrittiva ed immediata, fa riferimento al mero aggregato Istat denominato “Attività di servizi alle imprese” e coincidente con il solo codice Ateco 74 della citata sezione K. In ragione di ciò, essa include le intere cate-gorie da 74.1 a 74.8 escludendo le attività informatiche e quelle di leasing e locazione (v. appendice).

Tutte e tre le classificazioni, ovviamente, rappresentano solo con una certa appros-simazione le aziende che “realmente” effettuano od erogano servizi alla produzione. Indipendentemente dalla difficoltà di avere dati omogenei e confrontabili a livelli di maggiore disaggregazione, infatti, sussiste il rischio di includere aziende che, in tutto o in parte, offrono servizi ai singoli privati o alle pubbliche amministrazioni. Quest’ulti-mo, peraltro, è un rischio sempre presente a meno di un puntuale censimento o di un’in-dagine campionaria rappresentativa dell’universo. Si tratta, ovviamente, di un rischio crescente con l’aumentare dell’estensione dell’aggregato considerato.

è proprio per questo motivo che si è scelto di ponderare in contemporanea le consi-stenze dei tre differenti raggruppamenti (figura 2); sì da poter operare dei confronti più estesi del loro relativo andamento. I risultati della rilevazione sono esposti di seguito.

FiGura 2Le attività dei servizi alla produzione nei diversi inquadramenti

Fonte: Ns elaborazioni sulla base di Kox-Rubalcaba, Eurostat, Istat

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4.2 Uno sguardo a livello europeo

Pur sottolineando la grave carenza di dati statistici di base e le problematiche con-nesse al ricorso a fonti eterogenee, onde effettuare stime ed estrapolazioni (comunque da prendere con una certa cautela alla luce del fatto che il confronto tra i dati relativi agli Stati membri è complicato dalla disomogenea distribuzione geografica dei dati e dal differente livello di aggregazione dei settori relativi ai servizi), la Comunità Euro-pea riporta alcune valutazioni e previsioni relative alla propria definizione (la seconda) dell’aggregato in oggetto.

Secondo le Sue proiezioni (UE, 2004), il settore dei servizi in generale, ed i servizi alle imprese11 in particolare, sono d’importanza fondamentale per creare nuova occupa-zione nel futuro e compensare il declino dell’occupazione nelle industrie manifatturiere. Attualmente in Europa il settore impiega più di 11,5 milioni di persone distribuite in 2.690.130 imprese (per di più piccole e medie) e produce un valore aggiunto superiore agli 850 miliardi di Euro, vale a dire l’8,5% dell’occupazione totale, il 15% delle impre-se ed il 15,3% del valore aggiunto.

Dagli scorsi decenni l’occupazione nei servizi alla produzione è cresciuta in modo impressionante; i tassi annui d’incremento tra il 1979 e il 2002 si sono collocati intorno al 4,4% (4,7% negli USA), ben sopra quelli registrati in tutti gli altri settori dell’econo-mia (0,6% rispetto allo 1,4% degli USA). I tassi maggiori si registrano, nell’UE, per i servizi ICT col 6,4% (8,8% negli USA) e per i servizi professionali col 3,9% (3,5% negli USA); in Italia, nel settore immobiliare (8%) e nei servizi ICT (6,5%).

La quota dell’occupazione nei servizi alla produzione sull’occupazione totale si situa, nel 2003, intorno al 9% nell’Unione Europea (UE) a 15 membri ed al 8,6% nell’UE a 25. La Germania, con oltre 3 milioni di addetti, seguita da Gran Bretagna e Francia con circa 2 milioni, sono le nazioni che apportano il maggiore contributo occupazionale in assoluto ed in termini relativi sul piano comunitario.

A livello della dinamica interna al settore terziario, l’occupazione complessiva nei servizi alle imprese è quasi equivalente a quella del settore bancario e assicurativo (3,1%), dei trasporti e delle comunicazioni (5,9%), presi nel loro insieme e tende verso quella del settore del commercio all’ingrosso e al minuto (18,7%). Diversamente da tali ultimi servizi, tuttavia, i servizi alle imprese presentano un elevato valore aggiunto e buoni livelli remunerativi per gli occupati grazie alla produttività relativamente alta rispetto a quella di altri servizi, nonché almeno analoga a quella del settore della pro-duzione industriale.

Per quanto attiene specificamente all’andamento del valore aggiunto, nello stesso arco temporale 1979-2002 il suo tasso annuo di crescita si è aggirato sulla rilevante cifra del 5,4%, rispetto al solo 1,5% per l’Industria ed il Terziario in generale. In termini assoluti, l’incidenza più elevata si registra in Gran Bretagna (19,5%), seguita da Francia (18,0%) e Svezia (17,5%). I maggiori tassi di crescita medi, sia per l’occupazione che

11 Come in questo caso, i concetti di servizi alla produzione e servizi alle imprese sono spesso utiliz-zati come sinonimi, ingenerando un ulteriore elemento di indeterminatezza.

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per il valore aggiunto, si segnalano in olanda, Germania ed Austria. Il settore dei servizi alle imprese, quindi, produce più valore aggiunto rispetto ai settori bancario ed assicu-rativo (5,7%), per i trasporti e le comunicazioni (6,4%) complessivamente considerati (12,1%), offrendo un contributo all’economia pari all’incirca al 72% di quello dell’in-dustria manifatturiera e sei volte superiore a quello dell’agricoltura.

Nello stesso periodo 1980-1994, l’aumento delle esportazioni e delle importazioni è stato del 8,7% e 10,2% (5,1% e 5,2% per l’Industria ed i Servizi in generale) rag-giungendo, rispettivamente, i 31.785 e 34.107 miliardi di euro (circa il 2% dell’import ed export complessivo dell’Europa). Questa rapida crescita si spiega, in parte, con il maggior ricorso al trasferimento all’esterno dei servizi alle imprese; ma la ragione prin-cipale risiede nella domanda da parte dell’industria di nuovi servizi ‒ di tipo avanzato e specialistico ‒ basati sulle conoscenze.

Non vi è ragione di credere che tale trend espansivo sia destinato a rallentare nel breve e medio termine. Al contrario, il procedere dello sviluppo tecnologico e dell’inter-nazionalizzazione potrebbero creare nuove attività nel campo dei servizi alla produzione con ulteriori prospettive di assorbimento occupazionale netto.

Quantunque i servizi alle imprese costituiscano uno dei pochi fattori dell’economia in cui alti livelli di produttività si accompagnano ad una forte crescita dell’occupazione,12 è da tempo che molti studiosi (Pontarollo, Crosti, 1991; Martinelli e Gadrey, 2000; Di Giacinto e Micucci, 2007; Genco, 2007) avvertono che il loro contributo potenziale alla competitività delle aziende italiane ed alla crescita dell’economia non appare ancora sfruttato appieno. Dal mero confronto con gli Stati Uniti, dove i servizi alla produzione fanno registrare un valore aggiunto pari al 106% di quello della produzione industriale ed un 19,2% in assoluto, contro il citato 15,3% medio dell’Europa, se ne deduce che esistono ancora ampi margini di crescita potenziale. Questi margini, tuttavia, precisa la Comunità Europea, possono essere sfruttati solo con una maggiore attenzione a livello politico in modo da fornire un quadro di condizioni più favorevoli all’erogazione e al funzionamento.

Non sorprende, pertanto, se secondo i dati forniti dall’Ufficio Italiano Cambi la Bilancia Tecnologica dei Pagamenti italiana (BTP)13 relativa ai servizi alla produzione si rivela strutturalmente deficitaria. Solo nel 2006 si è registrato un ritorno al saldo attivo, per circa 780 milioni di euro, dovuto essenzialmente ai servizi con elevato contenuto tecnologico erogati dagli studi tecnici e di engineering, che hanno registrato un avanzo di circa 1.300 milioni di euro ed ai servizi di ricerca e sviluppo (R&S), in positivo per 457 milioni di euro.

12 L’impatto di tali servizi (almeno quelli di tipo innovativo) sul prodotto degli altri settori (Indu-stria, Pubblica Amministrazione, Commercio, Altri servizi), presenta un effetto moltiplicatore pari a ben 2,38 punti (FITA, 208).

13 La BTP registra gli incassi e i pagamenti riguardanti le transazioni con l’estero di tecnologia non incorporata in beni fisici (disembodied technology), nella forma di diritti di proprietà industriale e intellettuale, come brevetti, licenze, marchi di fabbrica, know-how e assistenza tecnica.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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5. Le consistenze quantitative

Nel paragrafo si riporta la dinamica dei servizi alla produzione, come definiti in precedenza, con riferimento a macrovariabili di natura strutturale (numero di imprese, unità locali e addetti). Ciò, tanto in ambito nazionale quanto campano.

A livello italiano, secondo i dati del Censimento del 2001 (tabella 1), mostrati in dettaglio nell’appendice (tabella 1), a fronte di un totale complessivo di 4.083 mila imprese e 4.403 mila unità locali (+23,7% e +21,2% su base 1991)14, comprendenti complessivamente quasi 15.713.000 addetti (+7,8%), quelle rientranti nel macrosettore del terziario ammontano, rispettivamente, a 2.987.160 (+25,5%) e 3.242.700 (+24%). I relativi occupati sono pari a 9.153.900 (+41,8%) e 9.151.300 (+41,5%)15.

14 è opportuno ricordare che l’Istat definisce un’impresa come: “un’unità giuridico-economica che produce beni e servizi destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, ha facoltà di distribuire i profitti realizzati ai soggetti proprietari, siano essi privati o pubblici. Il responsa-bile è rappresentato da una o più persone fisiche, in forma individuale o associata, o da una o più persone giuridiche. La categoria comprende: le imprese individuali, le società di persone, le società di capitali, le società cooperative, le aziende speciali di comuni o province o regioni. Sono considerate imprese anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti”. Per unità locale, invece, s’intende: “il luogo fisico nel quale un’unità giuridico-economica (impresa, istituzione) esercita una o più attività economiche. L’unità locale corrisponde a un’unità giuridico-economica o a una sua parte, situata in una località topografica-mente identificata da un indirizzo e un numero civico. In tale località, o a partire da essa, si esercitano delle attività economiche per le quali una o più persone lavorano (eventualmente a tempo parziale) per conto della stessa unità giuridico-economica. Costituisce esempio d’unità locale un/una agenzia, albergo, ambulatorio, bar, cava, deposito, domicilio, garage, laboratorio, magazzino, miniera, negozio, officina, ospedale, ristorante, scuola, stabilimento, studio professionale, ufficio, etc.”.

15 Spesso utilizzato come sinonimo di addetto, il termine occupato indica “le persone di 15 anni e più che nella settimana indagata hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura o almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente; o sono assenti dal lavoro (ad es. per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera i tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo d’assen-za, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi”. Tale definizione è usata nelle rilevazioni sul tasso d’occupazione e sulla forza lavoro. Per addetto, invece s’intende “la persona occupata in un’unità giuridico-economica, come lavoratore indipendente o dipendente (a tempo pieno, a tempo parziale o con contratto di formazione e lavoro), anche se tempo-raneamente assente (per servizio, ferie, malattia, sospensione dal lavoro, cassa integrazione guadagni, etc.). Comprende il titolare/i dell’impresa partecipante/i direttamente alla gestione, i cooperatori (soci di cooperative come corrispettivo della loro prestazione percepiscono un compenso proporzionato all’opera resa e una quota degli utili dell’impresa), i coadiuvanti familiari (parenti o affini del titolare che prestano lavoro manuale senza una prefissata retribuzione contrattuale), i dirigenti, i quadri, gli impiegati, gli operai e gli apprendisti”.

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Il peso dei servizi in termini di imprese, unità locali ed addetti passa, rispettivamente, dal 72,1%, 72%, 53,7 e 54,1% del 1991 al 73,1%, 73,6%, 58,3% e 58,2% del 2001. Un trend che conferma la progressiva terziarizzazione dell’economia; in particolare per quanto concerne l’assorbimento occupazionale. Nell’ambito del terziario, l’espansione dei soli servizi alla produzione si è mostrata più rapida della media settoriale.

Con riferimento alla definizione più “estesa”, derivante da quella di Kox e Rubalca-a) ba, si censiscono 991.700 imprese (+98,9% su base 1991) alle quali corrispondono oltre 3.780.000 addetti (+41,8%). Le unità locali risultano 1.081.800 (+88,2%), con quasi 3.767.000 occupati (+41,5%). Secondo la determinazione “intermedia” dell’UE, le imprese sono 669.130 b) (+111,9% su base 1991) con 1.928.680 addetti (+90,6%). Le unità locali assomma-no a 696.400 (+107,4%), con quasi 1.927 mila occupati (+87,9%). Secondo la delimitazione “ridotta” adottata dell’Istat, invece, esistono 600.400 c) imprese (+105,1% su base 1991) che impiegano circa 1.603.600 addetti (+85%). Le unità locali risultano 622.250 (+100,9%), con oltre 1.603.150 occupati (+83,3%).

L’incremento delle imprese ed unità locali eroganti servizi alla produzione è, quindi, superiore a quello degli occupati; con ciò in controtendenza con il settore terziario nella sua interezza. La dimensione media delle aziende, conseguentemente, decresce. è da presumere o il perseguimento di una dimensione minima efficiente da parte di queste ultime su volumi più contenuti o, più realisticamente, un’elevata natalità degli start-up ai quali, solitamente, si associa una minore ampiezza iniziale.

Come schematizzato nella tabella 2, dal più piccolo al più grande i tre aggregati pesano rispettivamente sul totale del terziario: il 20,1% (12,3% nel 1991), 22,4% (13,3%) e 33,2% (20,9%) in termini di imprese; il 17,5% (11,1%), 21,1% (12,9%) e 41,3% (34%) come addetti16. Si tratta di valori in costante crescita sebbene, nell’arco 1991-2001, l’incidenza dell’aggregato più circoscritto è aumentata rispetto a quello esteso, riducendosi rispetto a quello intermedio. La velocità di diffusione delle imprese dei servizi alla produzione, vale a dire, è maggiore per quelle rientranti nel secondo aggregato rispetto agli altri due.

tabella 2Incidenza relativa degli aggregati dei servizi alla produzione sul Terziario

Aggregato CAMPANIA ITALIA1991 2001 1991 2001

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16 In termini di unità locali tali valori sono stati calcolati, rispettivamente, nel 19,2% (11,8%), 21,5% (12,8%) e 33,4% (22%), mentre in quanto ai relativi occupati essi rappresentano il 17,5% (11,1% nel 1991), 21,1% (13%) e 41,2% (33,8%).

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Come sinteticamente riportato anche nella tabella 3, nel 2001 l’aggregato “ridotto” corrispondeva al 60,5% e 42,4% dell’aggregato “esteso” in termini d’imprese e relativi addetti (57,5% e 42,6% come unità locali) ed all’89,7% e 83,1% rispetto all’“interme-dio” (89,4% e 83,2% come unità locali). Nel 1991, invece, l’aggregato “ridotto” copriva il 58,7% e 32,5% dell’aggregato “esteso” in termini d’imprese e addetti ed il 92,7% ed 83,1% di quello intermedio.

tabella 3 Incidenza relativa degli aggregati dei servizi alla produzione per imprese e addetti

AggregatoITALIA CAMPANIA

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RidottoImprese 292.757 58,7 600.410 60,5 19.949 72,6 43.483 71,7

Addetti 866.582 32,5 1.603.594 42,4 53.530 42,7 91.397 49,5

IntermedioImprese 315.834 63,4 669.128 67,5 21.488 78,1 47.933 79,1

Addetti 1.012.020 38,0 1.928.678 51,0 61.243 48,9 106.269 57,6

EstesoImprese 498.543 100,0 991.703 100,0 27.477 100,0 60.605 100,0

Addetti 2.666.182 100,0 3.780.330 100,0 125.365 100,0 184.470 100,0Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2001

Tali andamenti lasciano presumere un maggiore dinamismo dei servizi alla produ-zione con più valore aggiunto; essendo la presenza di questi ultimi più marcata nell’ag-gregato intermedio. Considerazione che lascia ben comprendere quanto sia sempre più opportuno, nelle indagini sui servizi alla produzione, tentare di separare quelli di tipo tradizionale da quelli avanzati.

A livello della sola Campania, i dati del Censimento del 2001 evidenziati nella tabella 4 (ed in dettaglio nella tabella 2 dell’appendice) indicano un totale complessivo di oltre 298.000 imprese (+25,9% rispetto al 1991) e 318.000 unità locali (+24,5%), per un totale di 836.760 (+12,8%) e 929.400 (+7,7%) occupati. Le sole imprese ed unità locali del macrosettore dei servizi sono, rispettivamente, 233.700 e 250.500 (+23,0% e +22,7% su base 1991), comprendenti complessivamente 544.500 e 600.800 addetti (+15,6% e +12,6%).

Tali valori sottendono un rallentamento, se non un’inversione, del processo di terzia-rizzazione dell’economia locale; almeno in termini di aziende. Il peso dei servizi, infatti, in termini di imprese ed unità locali cala dal 80,2% e 79,8% del 1991 al 78,3% e 78,7% del 2001, mentre in quanto ai relativi addetti sale dal 63,5% del 1991 al 65,1% del 2001 e dal 61,8% al 64,6%. L’andamento delle imprese, dunque, è in controtendenza rispetto quello dei relativi occupati nonché con quanto accade a livello nazionale.

Una plausibile spiegazione potrebbe risiedere nelle circostanze congiunturali che hanno condotto al raggiungimento di un ipotetico limite superiore alla terziarizzazione dell’economia campana, ben più elevata della media nazionale17, o che inducono ad un

17 Tante attività dei servizi sono sorte non in conseguenza di una domanda reale o potenziale di mercato né di pianificate strategie, ma come frutto dell’effetto “spugna residuale”, dove coloro che non

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aumento nella dimensione media delle imprese locali; di per sé ridotta. In Campania, infatti, è localizzato circa il 7,3% delle imprese ed unità locali nazionali, ma solo il 5,3% e 6% della relativa occupazione. Per il mero comparto terziario l’incidenza è del 7,8% per imprese ed unità locali ma del 5,9% e 6,6% per i corrispondenti occupati.

Replicando il computo dei servizi alla produzione nei tre differenti aggregati anche a livello campano, si evince quanto segue (tabella 4).

Secondo la definizione più estesa, derivante da quella di Kox e Rubalcaba, il com-a) plesso dei servizi alla produzione consta di 60.600 imprese (+110,6% su base 1991) che assorbono quasi 184.500 addetti (+47,1%). Le unità locali ammontano ad oltre 65.700 unità (+107,6%) con 229.000 occupati (+36,1%).Seguendo la definizione “intermedia” dell’Eurostat, i servizi alla produzione b) comprendono 47.900 imprese (+123,5% su base 1991) ed oltre 106.000 addetti (+73,5%). Le unità locali assommano a quasi 49.500 unità (+119,7%), con più di 116.000 occupati (+87,2%).Secondo l’interpretazione “ridotta” dell’Istat, il totale è di oltre 43.000 imprese c) (+118% su base 1991) con 91.400 addetti (+70,7%). Le unità locali risultano 44.700 unità (+114,2%), con 99.000 occupati (+84,8%).

riescono a trovare occupazioni alle dipendenze o nel settore industriale spesso avviano attività terziarie in genere (con una forte preferenza verso gli esercizi commerciali).

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

89

Anche in questo caso l’aggregato intermedio è quello che, tanto per le imprese quan-to per gli occupati, mostra la più rapida dinamica; mentre quello ridotto tende a perdere posizioni. Al 2001 l’aggregato ridotto pesa rispetto a quello intermedio per ben il 90,7% e 86% in quanto ad imprese e relativi addetti (90,4% e 85,1% per le unità locali). Tali valori scendono al 71,7% e 49,5% sull’aggregato più esteso (68% e 43,2% per le unità locali). Come esemplifica la tabella 3, nel 1991 l’aggregato ridotto incideva per il 92,8% ed 87,4% su quello intermedio ed al 72,6% e 42,7% su quello esteso.

Il fatto che gli aggregati meno estesi dei servizi alla produzione abbiano, in Cam-pania, un peso più elevato rispetto al livello nazionale può probabilmente attribuirsi al relativo maggior numero di liberi professionisti presenti, laddove un’elevata percentuale della popolazione ha un livello d’istruzione universitario. In particolare va ricordato che la definizione “ridotta” dell’Istat include sostanzialmente attività professionali e consulenziali, quali commercialisti, avvocati, notai ed architetti; vale a dire esercitate solitamente da un singolo individuo coadiuvato da uno o pochi altri collaboratori. Un motivo in più per ritenere che l’insieme dei servizi alla produzione non possa esaurirsi solo nelle appena contemplate categorie ma debba includere anche altre figure profes-sionali e tipologie di aziende dove, grazie anche alla maggiore dimensione e volume di fatturato ed investimenti, nei fatti si realizzano gran parte delle attività innovative e ad alto contenuto di knowledge; quindi non solo brain intensive.

In generale, ad ogni modo, seppure in netto aumento l’incidenza dei servizi alla produzione in Campania rimane inferiore alla media nazionale. Dal più piccolo al più grande, i tre aggregati incidono rispettivamente sul totale del terziario (tabella 2): il 18,6% (10,5% nel 1991), 20,5% (11,3%) e 25,9% (14,5%) in termini di imprese; il 16,8% (11,4%), 19,5% (13%) e 33,9% (26,6%) come addetti. 18

Il divario è particolarmente ampio per i servizi alla produzione considerati in termini più “estesi”. Peculiarità che potrebbe essere interpretata quale effetto di una carenza di aziende regionali in taluni comparti produttivi; di conseguenza dei servizi che dovreb-bero supportarne la produzione.

Analizzando le forme giuridiche prevalenti (tabelle 5 e 6) emerge che, complessiva-mente per tutte le attività economiche, in Italia le imprese individuali sono il 65,3% del totale, contro il 69,8% della Campania; le società il 33,2% (28,2%), le cooperative e le altre forme il residuo 1,3% (1,2%). è anche per questa ragione che la dimensione media delle aziende regionali è inferiore alla media nazionale.

18 In termini di unità locali le incidenze sono il 17,9% (10,2% nel 1991), 19,8% (11%) e 26,2% (15,5%) ed il 16,5% (10,1%), 19,4% (11,7%) e 38,1% (31,6%) come occupati.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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tabella 5 Imprese dei servizi alla produzione secondo la forma giuridica (Italia, 2001)

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Le imprese dei servizi in generale, invece, si suddividono al 69,3% (74,4% in Cam-pania) in imprese individuali (quasi 1.900.000 unità di cui 208.000 campane), al 29,4% (24,4%) in società ed al residuo 1,2% (1,3%) in altre forme, tra le quali spiccano le società cooperative. Le imprese del terziario, come atteso, tendono ad essere più piccole e meno formalizzate.

tabella 6N. imprese dei servizi alla produzione secondo la forma giuridica

(Campania, 2001)Aggregati Imprese

individuali Società Soc. cooperative Altre forme Totale

A - Definizione Istat 37.049 5.755 487 192 43.483B - Definizione Eurostat 38.856 8.254 596 227 47.933 C - Definizione Estesa 45.231 13.788 1.235 356 60.610 D - Totale tutti i servizi 161.712 53.155 2.021 572 217.460E - Totale tutte attività economiche 208.298 84.929 4.261 867 298.355Incidenza relativa tra A e B 95,3 69,7 81,7 84,6 90,7Incidenza relativa tra B e C 85,9 59,9 48,3 63,8 79,1Incidenza relativa tra A e C 81,9 41,7 39,4 53,9 71,7Incidenza relativa tra C e D 28,0 25,9 61,1 62,2 27,9Incidenza relativa tra C e E 21,7 16,2 29,0 41,1 20,3Incidenza relativa tra D e E 77,6 62,6 47,4 66,0 72,9Ripartizione percentuale A 85,2 13,2 1,1 0,4 100,0Ripartizione percentuale B 81,1 17,2 1,2 0,5 100,0Ripartizione percentuale C 74,6 22,7 2,0 0,6 100,0Ripartizione percentuale D 74,4 24,4 0,9 0,3 100,0Ripartizione percentuale E 69,8 28,5 1,4 0,3 100,0Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2001

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Con riferimento ai tre aggregati dei soli servizi alla produzione precedentemente individuati, la ripartizione in forma giuridica delle imprese è, secondo l’interpretazio-ne:

più “estesa”, del 66,7% (74,6% in Campania) per le imprese individuali, del 31,2% a) (22,7%) per le società e del 2,1% (2,6%) per le altre forme;“intermedia” dell’Eurostat, rispettivamente, del 74,1% (81,1% in Campania), 24% b) (17,2%) e 1,8% (1,7%);più “ristretta” dell’Istat, rispettivamente del 79,1% (85,2% in Campania), 19,1% c) (13,2%) e 1,9% (1,5%).Come si evince da questa rappresentazione, al ridursi dell’ampiezza dell’aggregato

dei servizi alla produzione tende a crescere la quota di imprese individuali ed a con-trarsi il peso delle altre forme giuridiche; sia nell’intera Italia che nella mera Campania. Forme alle quali si associa una minore dimensione media pari, infatti, per il terziario nel suo complesso, a 1,4 addetti (1,3 in Campania) per le imprese individuali ed a 7,4 (4,7) addetti per le società in generale.19 Tale situazione è interpretabile come una conferma di quanto ipotizzato poco sopra circa la presenza dei singoli professionisti.

Per quanto concerne precipuamente la Campania, in coerenza con l’intero macro-settore dei servizi, per quelli alla produzione la componente di imprese individuali mostra un maggior peso rispetto alla media italiana. Per il resto i quozienti della tabella 6 sono grossomodo allineati a quelli nazionali; ad eccezione della più elevata incidenza nazionale che le società dei servizi alla produzione considerate nell’ottica più estesa detengono rispetto al totale di tutte le aziende dei servizi (e delle attività economiche in generale): il 36,4% rispetto al 25,9% della Campania (ed il 21,7% rispetto al 16,2%).

Nello specifico delle aziende con forma giuridica societaria, dalle tabelle 7 e 8 si evidenzia il minor contributo delle società per azioni regionali all’assorbimento occu-pazionale rispetto alla media italiana; il contrario avviene per le società in accomandita. A livello nazionale, infatti, le aziende si suddividono per il 35,3% (21,4% in Campania) in “società in nome collettivo” (Snc), per il 2,9% (1,8%) in “società per azioni” (SpA), per il 21,5% (38,1%) in “società in accomandita” (Sa), per il 36,2% (35,7%) in “società a responsabilità limitata” (Srl) e per il residuo 4% (2,9%) in altre forme.20

19 La dimensione media è di 21,4 unità (14,1 in Campania) per le cooperative e di 10,6 (16) per le forme giuridiche residue.

20 In termini di addetti, tuttavia, tali incidenze sono, rispettivamente, il 18,5% (14,1%), il 36,8% (20,8%), l’8,4% (19,4%), il 34,8% (44,3%) ed l’1,6% (1,5%).

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Per le sole aziende del terziario, tali percentuali relative a Snc, SpA, Sa, Srl ed altre forme sono, rispettivamente, il 29,2% (19,2% in Campania), 2,7% (1,6%), 25,5% (42,7%), 37% (32,1%) e 5,6% (4,4%). Non si ritrovano, quindi, grosse differenze tra il solo settore terziario e l’intero settore economico, mentre a livello regionale spicca una preferenza verso le società in accomandita, bilanciata dal minore interesse verso le società in nome collettivo. Interesse che con 22.692 aziende supera anche le 17.000 società a responsabilità limitata che, viceversa, a livello nazionale rappresentano di gran lunga la forma giuridica preferita delle imprese del terziario (quasi 300.000 unità).

Con precipuo riferimento ai tre noti aggregati dei servizi alla produzione, la ripartizione delle società lascia emergere che le “altre forme societarie” crescono sensibilmente al ridursi dell’estensione dell’aggregato considerato. è, altresì, da constatare che, in Italia, le SpA coprono oltre il 50% degli occupati contro appena il 10% regionale, mentre le Srl della Campania garantiscono circa il 65% dell’occupazione rispetto all’equivalente 6% nazionale. Nella Regione sono presenti, nel terziario, solo 826 SpA; valore che si riduce a 90 unità per quelle dei servizi alla produzione in senso stretto.

La suddetta articolazione può rappresentare un limite evidente allorché alle SpA si tende ad associare la presenza di imprese di maggiori dimensioni e capitalizzazione; dunque anche con maggiori chance di posizionarsi sulla frontiera tecnologica. Non è un caso se l’ampiezza media delle SpA è di 67,2 (90,5 in Italia) addetti per unità, rispetto ai 3,2 occupati (3,3) per le Snc, ai 2,5 per le Sa (2,5) ed ai 5,8 per le Srl (5,4). Proprio le SpA, dunque, sono l’unica tipologia di impresa societaria regionale con una dimensione media sensibilmente inferiore ai livelli nazionali. 21

Tra l’altro, nello specifico delle tipologie di servizi considerati, un’altra criticità spesso attribuita alla ridotta dimensione delle imprese è la modesta quota di spese in R&S ed il basso numero di brevetti. Non è un caso se, in Italia, la R&S finanziata dal comparto pubblico è pari al 50,8% del totale; ben oltre il 37,6% della Francia, il 35,0% dell’UE a 15, il 32,8% della Gran Bretagna ed il 30,5% della Germania. Nel Paese si registrano, altresì, appena 87 brevetti europei per milione di abitanti contro i 163 della media UE a 12, i 312 della Germania, i 149 della Francia ed i 121 del Regno Unito.22

La citata carenza di dati aggiornati su base omogenea non consente di proporre facil-mente altri confronti degli aggregati considerati che vadano oltre il censimento del 2001.

21 In particolare, la ripartizione in forma giuridica delle società è, secondo l’interpretazione:“estesa”, del 19,6% (15% in Campania) per le Snc, del 3,4% (2,7%) per le SpA, del 25% (30,5%) a) per le Sa, del 42,9% (38,9%) per le Srl e del 9,3% (12,9%) per le altre forme societarie. In quanto ad addetti, va osservato che le SpA italiane dei servizi alla produzione assicurano il 53,8% degli occupati contro il 37,1% regionale.“intermedia”, del 16% (10,8% in Campania) per le Snc, del 2,6% (1,7%) per le SpA, del 25,2% b) (30,2%) per le Sa, del 40,6% (36,5%) per le Srl e del 15,7% (20,8%) per le altre forme societarie;“ristretta”, del 16,1% (10,3% in Campania) per le Snc, del 1,9% (1,6%) per le SpA, del 23,3% c) (28,1%) per le Sa, del 36,4% (30,4%) per le Srl e del 22,3% (29,6%) per le altre forme societarie.22 La ridotta dimensione aziendale italiana non preclude, tuttavia, la capacità di proporre brevetti.

Considerando le domande depositate presso l’European Patent office nel periodo 1999-2004, i brevetti delle piccole imprese arrivano al 38,5% del totale, superiore al 32% delle grandi imprese ed al 29,5% delle medie.

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Nello specifico, l’Istat offre delle informazioni aggiornate al 2005 solo per le seguenti variabili: il valore aggiunto (VA), gli investimenti fissi lordi (IFL), i redditi da lavoro dipendente (RLD) e le unità di lavoro totali (ULT).

Il valore aggiunto, giova ricordarlo, riproduce un indicatore delle capacità d’espan-sione quantitativa delle aziende; invece gli investimenti fissi lordi (non ancora depurati degli ammortamenti), che sottendono una possibile proiezione nel futuro delle aziende, corrispondono alle spese sostenute dall’impresa per l’acquisto o la realizzazione in pro-prio di beni capitali, ossia di costruzioni, macchine, attrezzature e mezzi di trasporto da utilizzare nel processo produttivo per un periodo di almeno un anno. Ancora, i redditi da lavoro dipendente sono interpretabili come un segnale dello stato di salute di un comparto in quanto il loro incremento potrebbe sottendere una più intensa competi-zione aziendale nell’acquisizione di altro personale; tale eventualità, tuttavia, potrebbe anche riflettere una riduzione della spinta imprenditoriale o un aumento delle persone in qualche modo “assistite”.23 Le unità di lavoro totali, infine, riflettono in buona sostanza l’andamento occupazionale.

Nello specifico, peraltro, l’Istat presenta solo gli andamenti in termini di macroca-tegorie dei “Trasporti, comunicazioni e magazzinaggio”, della “Intermediazione mone-taria e finanziaria” e delle “Attività immobiliari, noleggio, informatica ed altre attività professionali ed imprenditoriali”. Si tratta di categorie che, sommate, possono offrire un’idea del panorama dei servizi alla produzione ma che, operativamente, non coinci-dono con nessuno dei tre aggregati dei servizi alla produzione in precedenza proposti e discussi alla luce delle correlate interpretazioni economiche (paragrafo 4).

Ciò premesso, onde recuperare ulteriori elementi per arricchire il quadro degli anda-menti del comparto in esame senza la pretesa di giungere a conclusioni incontrovertibili, di seguito ‒ tabelle 9, 10 e 11 ‒ si riportano brevemente i trend delle suddette quattro variabili con riferimento a tre diversi ambiti territoriali: regione Campania, Mezzogior-no ed Italia. Tali dati sono estrapolati dalle fonti ufficiali dell’Istat, proposte nelle tabelle 16, 17 e 18 in appendice.

Per quanto concerne la Campania (tabella 9), il VA dell’intero settore terziario si è incrementato da 52.200 milioni di € (da ora M€) del 2001 ai 61.400 M€ del 2005 (+17,6%), gli IFL da 11.400 a 13.450 M€ (+18,0%), i RLD dai quasi 25.000 a 31.200 M€ (+24,8%) e le ULT da 1.265 mila a 1.350 mila (+6,5%).

23 I redditi di lavoro dipendente sono quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la presta-zione lavorativa, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione altrui, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato tale secondo le norme vigenti. Parimenti, sono considerati redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati, nonché gli interessi e la rivalutazione sui crediti di lavoro.

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tabella 9 Alcuni indicatori dei servizi alla produzione in Campania (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE VA ai prezzi di base IFL RLD ULT (x 000)

Anno 2001 2005 2001 2005 2001 2005 2001 2005TUTTI I SERVIZI (S) 52.160 61.437 11.397 13.452 24.954 31.233 1.265 1.348Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni

17.226 20.077 3.487 4.622 6.389 8.414 429 444Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni

6.029 7.926 1.822 2.231 3.082 3.927 103 111Intermediazione monetaria e finanziaria; atti-vità immobiliari ed imprenditoriali

15.683 18.837 5.299 6.324 3.846 5.124 219 253Intermediazione monetaria e finan.ria

2.091 2.507 317 321 1.275 1.471 33 35Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed impren-ditoriali

13.592 16.330 4.982 5.666 2.572 3.653 186 218A (VA soli servizi alla produzione) 21.712 26.762 7.121 8.555 6.928 9.050 322 364B (VA tutte attività economiche) 68.231 78.541 15.709 17.651 32.918 39.910 1.759 1.821

A/B 31,8% 34,1% 45,3% 47,3% 21,0% 22,7% 18,3% 20,0%A/S 41,6% 43,6% 62,5% 62,6% 27,8% 29,0% 25,4% 27,0%S/B 76,4% 78,2% 72,6% 76,2% 75,8% 78,3% 71,9% 74,0%

Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006

Per la categoria Trasporti, comunicazioni e magazzinaggio, i valori per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT hanno presentato una dinamica lievemente superiore a quella del terziario in generale, mentre sono risultati di poco inferiori per la categoria Intermediazione monetaria e finanziaria.24 Incrementi molto più sostenuti hanno interessato la categoria Attività immobiliari, noleggio, informatica ed altre attività, con valori per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT aumentati, rispettivamente, da 13.600 a 16.330 M€ (+20,1%), da 4.980 a 5.670 M€ (+13,7%), da 2.570 a 3.650 M€ (+42%) e da oltre 186.000 a quasi 218.000 M€ (+17,2%).

Assodato il procedere della terziarizzazione dell’economia regionale giunta, nel periodo 2001-2005, al 78,4% come VA, 76,2% di IFL, 78,2% di RLD e 73,8% di ULT, come si evince dalla tabella 9, il peso dei soli servizi alla produzione considerati nella suddetta accezione sul totale delle attività economiche e sul complesso di tutti i servizi si è mostrato crescente per tutte le variabili osservate. 25

Un’ipotesi, tutta da approfondire e verificare, che si ricava è che sia stata l’espan-sione dei servizi alla produzione in senso lato a trainare la progressiva terziarizzazione dell’economia. Tra le quattro variabili considerate, ad ogni modo, gli IFL sono quelli

24 Per la precisione, le consistenze per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT si sono incrementate, per la prima categoria, da 6.030 a 7.930 M€ (+31,4%), da 1.820 a 2.230 M€ (+22,4%), da 3.080 a 3.930 M€ (+27,4%), da 103.000 a 111.000 unità (+7,6%); per la seconda categoria, invece, da 2.090 a 2.500 M€ (+19,9%), da 317 a 320 M€ (+12,9%), da 1.270 a 1.410 M€ (+15,7%) e da 33.000 a 35.000 (+4,8%).

25 Sempre dalla tabella 9 emerge che l’incidenza dei servizi alla produzione sul totale delle attività economiche e sul mero terziario è salita: dal 31,8% al 34,1% e dal 41,6% al 43,6% in termini di valore aggiunto; dal 45,3% al 47,3% e dal 62,5% al 62,6% come IFL; dal 21% al 22,7% e dal 27,8% al 29,0% in termini di RLD; dal 18,3% al 20% e dal 25,4% al 27% come ULT.

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che hanno mostrato la minore tendenza espansiva. Si conferma, dunque, la tendenza all’espansione dei servizi alla produzione con due trend contrapposti ma che operano nella stessa direzione. Uno positivo che vede una maggiore presenza di servizi alla produzione data la più intensa concentrazione di attività economiche. L’altro, di tipo negativo, sostenuto dagli elevati tassi di disoccupazione locale e dall’elevata densità abitativa, che porta alla ridondanza di alcune attività dei servizi alla produzione.

tabella 10 Alcuni indicatori dei servizi alla produzione nel Mezzogiorno (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE VA ai prezzi di base IFL RLD ULT (x000)

Anno 2001 2005 2001 2005 2001 2005 2001 2005TUTTI I SERVIZI (S) 193.075 222.385 44.034 51.119 91.559 111.325 4.488 4.643Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 62.593 67.524 13.335 15.746 23.007 28.430 1.549 1.562

Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 21.167 23.854 6.740 8.601 10.008 11.848 330 332

Intermediazione monetaria e finanziaria; atti-vità immobiliari ed imprenditoriali 57.388 68.921 19.396 23.921 13.339 16.617 747 828

Intermediazione monetaria e finan.ria 7.936 9.271 1.081 1.201 4.889 5.491 114 118

Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricer-ca, altre attività professionali ed imprenditoriali 49.452 59.650 18.315 20.725 8.450 11.126 633 710

A (VA soli servizi alla produzione) 78.555 92.775 26.136 32.522 23.347 28.465 1.076 1.161B (VA tutte attività economiche) 259.055 294.631 64.229 71.053 123.226 147.718 6.526 6.663

A/B 30,3% 31,5% 40,7% 45,8% 18,9% 19,3% 16,5% 17,4%A/S 40,7% 41,7% 59,4% 63,6% 25,5% 25,6% 24,0% 25,0%S/B 74,5% 75,5% 68,6% 71,9% 74,3% 75,4% 68,8% 69,7%

Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006

A livello di Mezzogiorno (tabella 10) gli incrementi sono inferiori a quelli della sola Campania. Il VA di tutto il settore terziario è aumentato dai 193.000 M€ del 2001 ai 222.400 del 2005 (+15,2%), gli IFL da 44.000 a 51.100 M€ (+16,1%), i RLD da 91.600 a 111.300 M€ (+21,5%) e le ULT da circa 4.490 mila a 4.650 (+3,3%).

Per la categoria Trasporti, comunicazioni e magazzinaggio i valori delle macrovaria-bili considerate sono aumentati più della media dell’intero terziario solo per VA ed IFL; meno per RLD e ULT.26 Per la Intermediazione monetaria e finanziaria le consistenze per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT appaiono più allineate alla media dell’intero settore. Anche in questo caso gli aumenti maggiori si registrano per le Attività immobiliari, noleggio, informatica ed altre attività, il cui ammontare è salito da 49.450 a 59.650 M€ (+20,6%) per il VA, da 18.310 a 20.730 M€ (+13,1%) per gli IFL, da 8.450 a 11.120 M€ (+31,5%) per i RLD e da 633 mila a 710 mila per le ULT (+12,2%).

26 Per la precisione, per la prima categoria, il VA, gli IFL, i RLD e le ULT sono cresciuti, rispet-tivamente, da 21.170 a 23.850 M€ (+24,2%), da 6.740 a 8.600 M€ (+27,5%), da 10.000 a 11.850 M€ (+18,5%), da quasi 330 mila a 332 mila unità (+0,6%). Nella seconda categoria, invece, le variabili sono passate, rispettivamente, da 7.940 a 9.270 M€ (+16,8%), da 1.081 a 1.190 M€ (+10,0%), da 5.080 a 5.490 M€ (+10,5%) e da 113.600 a 118.200 unità (+4,4%).

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Aggregando questi dati si evince che il peso dei servizi alla produzione sul tota-le delle attività economiche regionali è più basso che nella sola Campania per tutte le variabili considerate: il VA è il 31,5% rispetto il 34,1%, gli IFL sono al 45,8% su 47,3%, i RLD al 19,3% su 22,7% e le ULT al 17,4% rispetto al 20%. Anche la velocità d’espansione appare complessivamente più lenta; tranne per gli IFL.27 Una situazione compatibile sia con la maggiore terziarizzazione della Campania che con la sua più elevata concentrazione di impianti industriali.

Per quanto riguarda l’intera Italia (tabella 11), le variabili osservate evidenziano incrementi mediamente più sostenuti di quelli meridionali o meramente campani. Il VA dell’intero settore terziario è passato dai 750 M€ del 2001 ai 890 del 2005 (+18,6%), gli IFL da 160 a 193 M€ (+21,3%), i RLD da 330 a 397M€ (+20,3%) e le ULT da 15,4 a 16,4 milioni (+5,9%).28

Il peso dei servizi alla produzione sul totale delle attività economiche è ancora più basso che nel solo Mezzogiorno: 34,2% come VA, 44% di IFL, 21,9% di RLD e 19,4% di ULT. Valori a metà strada tra quelli della Campania e dell’intero Mezzogiorno che presentano un trend 2001-2005 in costante espansione; specialmente per gli IFL. Il peso dei soli servizi alla produzione, come sopra considerati, sul totale delle attività econo-miche e sul complesso di tutti i servizi, mostra una tendenza all’aumento delle variabili considerate29.

27 Il peso dei soli servizi alla produzione regionali come sopra considerati sul totale delle attività economiche e sul complesso di tutti i servizi è passato, rispettivamente, dal 30,3% al 31,5% e dal 40,7% al 41,7% come valore aggiunto, dal 40,7% al 45,8% e dal 59,4% al 63,6% come IFL, dal 18,9% al 19,3% e dal 25,5% al 25,6% come RLD, dal 16,5% al 17,4% e dal 24% al 25% come ULT.

28 Per la categoria Trasporti, comunicazioni e magazzinaggio, le consistenze per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT sono aumentate, rispettivamente, da 82.440 a 96.760 M€ (+17,3%), da 28.540 a 36.670 M€ (+28,5%), da 37.970 a 43.335 M€ (+14,1%) e da 1.217 a 1.213 mila addetti (probabile sintomo di una maggiore produttività raggiunta dalla categoria). Per la categoria Intermediazione monetaria e finanziaria, il corrispettivo ammontare per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT è salito, rispettivamente, da 50.690 a 59.300 M€ (+17,0%), da 5.060 a 5.365 M€ (+5,9%), da 28.590 a 31.840 M€ (+11,3%) e da 603 a 609 mila unità (+1,0%). Per la categoria Attività immobiliari, noleggio, informatica ed altre attività, i valori per il VA, gli IFL, i RLD e le ULT sono divenuti, rispettivamente, 273.000 M€ dai 218.820 nel 2001 (+24,7%), 75.840 M€ da 65.450 (+15,8%), 51.960 M€ dai 40.250 (+29,1%) e 2.890 mila unità dai 2.497 (+15,6%).

29 Esso, difatti, è passato rispettivamente dal 32,5% al 34,2% e dal 47% al 48,2% come VA, dal 39,9% al 44% e dal 62,1% al 64,6% come IFL, dal 21,7% al 21,9% e dal 32,2% al 32,0% come RLD, dal 18,5% al 19,4% e dal 27,9% al 28,8% come ULT.

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tabella 11Alcuni indicatori dei servizi alla produzione in Italia (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE VA ai prezzi di base IFL RLD ULT (x000)Anno 2001 2005 2001 2005 2001 2005 2001 2005TUTTI I SERVIZI (S) 749.618 889.943 159.425 193.383 330.374 397.213 15.453 16.371Commercio, riparazioni, alberghi e risto-ranti, trasporti e comunicazioni

262.067 297.408 54.896 67.709 100.411 119.996 5.767 5.915Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni

82.444 96.759 28.537 36.768 37.969 43.335 1.217 1.213Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali

269.506 332.297 70.503 88.102 68.847 83.802 3.100 3.498Intermediazione monetaria e finan.ria 50.687 59.305 5.057 5.365 28.590 31.842 603 609Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed impren-ditoriali

218.819 272.993 65.446 75.843 40.257 51.960 2.497 2.889A (VA soli servizi alla produzione) 351.950 429.056 99.040 124.870 106.816 127.137 4.317 4.711B (VA tutte attività economiche) 1.083.374 1.253.848 248.082 283.725 493.295 581.122 23.393 24.333

A/B 32,5% 34,2% 39,9% 44,0% 21,7% 21,9% 18,5% 19,4%A/S 47,0% 48,2% 62,1% 64,6% 32,3% 32,0% 27,9% 28,8%S/B 69,2% 71,0% 64,3% 68,2% 67,0% 68,4% 66,1% 67,3%

Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006

Ai fini di un confronto temporale e spaziale più immediato, nella tabella 12, si ripor-tano contemporaneamente le variazioni percentuali assolute sperimentate dalle quattro variabili considerate. Sempre con riferimento a Campania, Mezzogiorno ed Italia per il lustro 2001-2005.

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tabella 12 Variazioni % di alcuni indicatori (periodo 2001-2005)

Campania Mezzogiorno ItaliaIntera economiaValore aggiunto 15,1 13,7 15,7Investimenti fissi lordi 12,4 10,6 14,4Redditi da lavoro dipendente 21,2 19,9 17,8Unità di lavoro totali 3,5 2,1 4,0

Settore terziarioValore aggiunto 17,8 15,2 18,7Investimenti fissi lordi 18,0 16,1 21,3Redditi da lavoro dipendente 25,2 21,6 20,2Unità di lavoro totali 6,6 3,4 5,9

Trasporti, Comunicazioni, MagazzinaggioValore aggiunto 31,4 12,7 17,4Investimenti fissi lordi 22,4 27,6 28,8Redditi da lavoro dipendente 27,4 18,4 14,1Unità di lavoro totali 7,7 0,8 -0,3

Intermediazione monetaria e finanziariaValore aggiunto 19,9 16,8 17,0Investimenti fissi lordi 1,3 11,1 6,1Redditi da lavoro dipendente 15,4 12,3 11,4Unità di lavoro totali 4,8 3,6 1,1

Altri servizi alla produzioneValore aggiunto 20,1 20,6 24,8Investimenti fissi lordi 13,7 13,2 15,9Redditi da lavoro dipendente 42,0 31,7 29,1Unità di lavoro totali 17,3 12,3 15,7

Insieme servizi alla produzioneValore aggiunto 23,3 18,1 21,9Investimenti fissi lordi 20,1 24,4 26,1Redditi da lavoro dipendente 30,6 21,9 19,0Unità di lavoro totali 13,0 7,8 9,1 Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006

Per la Campania si nota una crescita economica maggiore rispetto al resto del Mez-zogiorno nonché una più rapida terziarizzazione dell’economia ed offerta dei servizi alla produzione (tranne che per gli investimenti fissi lordi); in quest’ultimo caso la dinamica è superiore anche a quella nazionale. Essa, tuttavia, sembrerebbe ascriversi soprattutto alle performance del comparto Trasporti, Comunicazioni e Magazzinaggio che, trainate dallo sviluppo delle attività logistiche legate alla rivalutazione dei porti di Napoli e Salerno nonché all’ampliamento degli interporti, comprende in buona parte attività di stampo tradizionali e poco innovative.

Nello specifico dell’aggregato “Altri servizi” emerge, a tutti e tre i livelli territo-riali, un forte sviluppo quantitativo; in particolare per quanto concerne l’occupazione. Sviluppo che sembrerebbe ascriversi principalmente all’ingresso di attività sempre più professionalizzate e specializzate che confermano l’idea di una contemporanea presenza di attività di eccellenza con altre ben più statiche e consolidate.

In sintesi, pur da questi dati sintetici è, dunque, possibile confermare la tendenza

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all’espansione dell’aggregato dei servizi alla produzione; quantomeno dal versante quantitativo. Per quello qualitativo, invece, sarebbe opportuno operare una distinzio-ne per riuscire a comprendere quanto tale dilatazione sia trainata dalla domanda e da maggiori opportunità che si aprono per i relativi soggetti dell’offerta in conseguenza di processi di esternalizzazione di funzioni dei clienti o del loro desiderio di perseguire posizioni di eccellenza e quanto, invece, dalla ridondanza dell’offerta in mancanza, ad esempio, di alternative professionali per coloro che avviano imprese individuali di consulenza “tradizionale”.

Un’ennesima ragione per cercare, nell’ambito del vasto panorama dei servizi alla produzione, di discernere quelli più innovativi ed avanzati e quelli di tipo più statico. è meno plausibile, infatti, che la ridondanza dell’offerta si manifesti nell’ambito della parte più avanzata ed innovativa presupponendosi competenze e specializzazioni che, solitamente, sono inestricabilmente interconnesse con la domanda stessa di tali servizi.

Per una più immediata comprensione degli andamenti delle quattro variabili sopra considerate per le tre macro Aree, nella tabella 13 si riportano le sole variazioni dell’in-cidenza dei servizi alla produzione, sempre intesi come sommatoria delle categorie Trasporti, Comunicazioni e Magazzinaggio, Intermediazione monetaria e finanziaria e Altri servizi, sul totale delle attività economiche; così come riportate nelle tabelle 9, 10 e 11. Pur nell’arco di un solo lustro, in Campania, tale incidenza è cresciuta, almeno quantitativamente, in modo più marcato rispetto al Mezzogiorno ed all’intero Paese; tranne che per gli investimenti fissi lordi.

tabella 13 Variazione dell’incidenza dei servizi alla produzione sul totale

delle attività economiche (2001-2005)Variabile Campania Mezzogiorno Italia

2001 2005 diff. 2001 2005 diff. 2001 2005 diff.

Valore aggiunto 31,8 34,1 2,3 30,3 31,5 1,2 32,5 34,2 1,7Investimenti fissi lordi 45,3 47,3 2,0 40,7 45,8 5,1 39,9 44,0 4,1Redditi da lavoro dipendente 21,0 22,7 1,7 18,9 19,3 0,4 21,7 21,9 0,2

Unità di lavoro totali 18,3 20,0 1,7 16,5 17,4 0,9 18,5 19,4 0,9Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006

Si conferma, quindi, una vivacità che potrebbe essere la conseguenza di varie ten-denze tra loro complementari; come la ripetutamente richiamata maggiore spinta dei professionisti ad avviare attività economiche autonome o di alcune società ad espandere le proprie attività in loco. Rimane che in assenza di una chiara identificazione della com-ponente avanzata ed innovativa dei servizi alla produzione i vari incrementi quantitativi potrebbero assumere tutt’altro significato. è per questa ragione che di seguito si tentano di specificare i criteri sui quali provare ad articolare una simile la distinzione.

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6. I servizi alla produzione di tipo avanzato

I ragionamenti sui servizi alla produzione fin qui esposti lasciano trasparire dei limiti interpretativi allorché il settore rimane inteso in senso usuale. Esiste, cioè, un loro inqua-dramento “tradizionale” o “statico” che inevitabilmente finisce per essere messo fuori gioco dalle tendenze evolutive verso le quali volgono i sistemi economici delle nazioni più avanzate. Queste ultime, infatti, presuppongono una domanda crescente di servizi alla produzione imperniata sulle risorse cognitive e tecnologiche (Raffaelli e Radaelli, 1994; Vaccà, 1997).

Il tentativo di individuare in modo stabile e chiaramente definito un confine tra i servizi alla produzione tradizionali e la loro parte più propulsiva e feconda di possibili sviluppi futuri non è per nulla agevole; tanto più che, già da tempo, si sono ridotti, come spiegato, persino le distanze tra il settore manifatturiero e quello dei servizi (Rullani, 1980; Vaccà, 1980). A maggior ragione, se si concede credito alle opinioni di coloro che, come Normann (1996), prevedono la scomparsa della tripartizione settoriale dell’eco-nomia.

In ragione dell’espansione quantitativa raggiunta dalle attività di supporto alle aziende ad alta intensità di conoscenza, nel 1995 la Comunità Europea introduce per la prima volta il termine KIBS o Knowledge Intensive Business Services nel Rapporto “Knowledge-Intensive Business Services: Users, Carriers and Sources of Innovation”; individuando con tale accezione le attività identificate, secondo la classificazione NACE, principalmente nei settori con i codici 72 (Informatica ed attività correlate), 73 (Ricerca e sviluppo) e 74 (Altre attività di supporto) (EMCC, 2004). Attività che, di per sé, sono uno strumento per agevolare la normale operatività delle aziende, ma anche una Fonte primaria d’informazione e conoscenza specialistica30.

Molti KIBS, vale a dire, sono diretti a svolgere un importante precipuo ruolo nella diffusione dell’innovazione o nell’aiutare i propri clienti ad avallare cambiamenti di sorta (Miles, 2005; Muller, Doloreux, 2007). In virtù di ciò, la loro struttura occupa-zionale è fortemente orientata verso l’impiego di scienziati, ingegneri ed altri esperti (Larsen, 2001).

Ciò non toglie che altre aziende possano essere erogatrici routinarie di KIBS conte-stualmente con i loro output principali, giacché quasi tutte le imprese hanno propri uffici dedicantesi ad attività ad elevata intensità di conoscenza (ad es. i sistemi informativi, R&S, marketing): il terziario implicito. Rispetto ad esse, le imprese KIBS sono “specia-liste” nell’erogazione di tali servizi che costituiscono, dunque, il loro principale output nonché la mission aziendale.

All’opposto, ci sono settori che, pur essendo finalizzati a supportare le aziende di

30 “A common characteristic of knowledge-intensive business service (KIBS) firms is that clients routinely play a critical role in co-producing the service solution along with the service provider. This can have a profound effect on both the quality of the service delivered as well as the client’s ultimate satisfaction with the knowledge-based service solution. By strategically managing client co-production, service providers can improve operational efficiency, develop more optimal solutions, and generate a sustainable competitive advantage” (Howells e Tether, 2004).

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produzione con l’offerta di servizi ad alta intensità di conoscenza (sanità, education, formazione aziendale…), non sono, in termini generali, definibili KIBS (esistono varie eccezioni per le ragioni sopra esposte). Tra questi ultimi si possono annoverare le aziende di pulizia, i servizi postali, trasporti e distribuzione (sebbene le aziende specializzate in logistica possono essere KIBS), finanza o servizi immobiliari, televisioni e mass-media (seppure con possibili eccezioni se tali servizi sono usati a supporto della competitività aziendale), Pubblica Amministrazione (anche qui con esclusioni riguardanti taluni ser-vizi di supporto alle aziende), riparazione e manutenzione (tranne le attività relative alle ICT), catering e alberghi, turismo, intrattenimento. Ugualmente dicasi per settori non finalizzati precipuamente a supportare le aziende di produzione, quali: il commercio al dettaglio ed ingrosso, i servizi del welfare sociale, i servizi per il consumo personale.

Comunemente, pertanto, si distinguono i KIBS in T-KIBS, quelli con alto uso di conoscenza scientifica e tecnologica – come la R&S, i servizi di ingegneria o informati-ci – ed in P-KIBS, quelli con un orientamento meno “prospettico”, quali i servizi legali, contabilità, consulenza manageriale e di marketing. Alcuni casi, ovviamente, possono essere classificati di confine; sia per l’appartenenza o meno ai KIBS, sia per il posizio-namento nel comparto “T” o “P” (Muller, Zenker, 2001; Freel, 2006).

In sintesi, mentre nel caso dei T-KIBS si fa riferimento ad un inquadramento più statico di stock che sottolinea il contenuto od intensità di knowledge incorporata in dati servizi, nel caso dei P-KIBS si intende rimarcare la dinamica di quelle attività che sostengono la transizione verso lo sviluppo di settori “di frontiera”. Questa ampiamente accettata suddivisione, pertanto, pur essendo, come visto, ulteriormente segmentabile al suo interno, non fa precipuo riferimento alle attività che possono essere specificamente inquadrate come “innovative” od “avanzate”.

Premesso che la definizione di “avanzato”, come di “innovativo”, ha un suo signi-ficato solo nel momento in cui esiste un corrispondente “arretrato” o “non avanzato” e che, in un’ottica evolutiva, quello che oggi è definito avanzato può divenire in breve tempo tradizionale, è logicamente possibile distinguere una serie d’attività dei servizi alla produzione tradizionali che, nonostante alcuni cambiamenti, anche marcati, dovuti prevalentemente alla pervasività ed alla diffusione delle tecnologie informatiche, man-tengono delle proprie caratteristiche in modo sostanzialmente immutato da lunga data. è il caso, come si chiarirà a breve, di tante attività professionali e consulenziali, come gli studi legali, notarili e commerciali. Fin dagli anni ‘70, d’altronde, si è affermata l’idea che l’intero settore del terziario sia un aggregato fin troppo eterogeneo, tanto a livello di domanda quanto di aspetti organizzativi, per poter essere considerato come un’unica categoria e che, pertanto, al suo interno possano discernersene tipologie caratterizzate da peculiarità ed orientamenti dissimili (Terracciano et al., 1993).

A livello concettuale, indipendentemente dalle opinioni di chi dubita della rilevanza teorica ed empirica del comparto, è possibile distinguere la parte avanzata dei servizi alla produzione con riferimento ad almeno tre comparti quali: le attività di consulenza organizzativa e direzionale, l’engineering e l’informatica. Seppure, come argomentato, i confini tra essi si rivelano estremamente labili ed allo stato attuale si rivela azzardata

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una rigida classificazione, a causa delle profonde trasformazioni strutturali e delle evo-luzioni tecnologiche alle quali si è precedentemente accennato.

Le difficoltà richiamate, lungi dall’impedire ricognizioni descrittive sul campo, devono indurre ad attente e propedeutiche riflessioni metodologiche per evitare di allargare o restringere indebitamente l’aggregato, classificando in modo erroneo delle categorie d’attività. Per far ciò, vanno richiamati alcuni rilievi concettuali sul significato di servizio alla produzione di tipo innovativo.

Secondo un’affermata interpretazione (Momigliano e Siniscalco, 1980; Tassinari, 1989; Pontarollo e Crosti, 1991), la migliore destinazione dei servizi di tipo avanzato in generale è rappresentata dal sistema produttivo; ambito per il quale sussiste una complessa delimitazione ed una problematica misurazione soprattutto per la carenza di rilevazioni statistiche specifiche. Se, dunque, si ritiene che i servizi di tipo avanzato siano composti da una complessa e variegata gamma, quali le consulenze aziendali, la progettazione, l’ingegneria gestionale e progettuale, così come la moda ed il design, la realizzazione di software, la R&S... ‒ settori nei quali le qualità ed abilità della componente umana acquistano una valenza superiore agli altri fattori produttivi ‒ , allora la distinzione tra attività del terziario in senso lato ed avanzati dovrebbe basarsi innanzitutto sul contenuto qualitativo dell’humanware. Si tratta, da un lato, di possedere capacità intellettuali idonee allo sviluppo di servizi con un livello di qualificazione e complessità crescente; dall’altro, di saper interfacciare i clienti/interlocutori in modo da allacciare delle relazioni, infondere fiducia al fine di sviluppare il mercato e fidelizzare i clienti31.

Da questo secondo versante, alcuni studi empirici (Heskett et al., 1995) hanno rivela-to come a seguito del turnover dei dipendenti il grado di soddisfazione dei clienti possa subire delle oscillazioni negative, almeno inizialmente. D’altra parte, in un certo numero di settori maturi o saturi la fedeltà del cliente (retention) è ritenuta una Fonte di profitto preminente rispetto alla possibilità ed allo sforzo supplementare dell’acquisizione di nuovi interlocutori; ciò al fine di fornire ad essi un servizio di elevata qualità (customer satisfaction).

Seppure in un’accezione limitata, dunque, si potrebbe convenire con quanti (Foglia, 1994) ritengono i servizi di tipo avanzato caratterizzati da innovazioni tecnologiche, organizzative e gestionali destinate ad essere trasferite nei settori industriali e che, per-tanto, qualificano le imprese appartenenti al settore in termini di preparazione profes-sionale elevata,32 alta flessibilità operativa e funzionale, presenza di fantasia e creatività,

31 In particolare, le aziende dei servizi avanzati, sembrano caratterizzarsi per la presenza di alcune “tendenze” (Regalia e Sartor, 1992):

alla • personalizzazione, data la natura normalmente diversificata e mutevole della gamma offerta;alla • specificazione, poiché nella maggioranza dei casi l’output deve essere definito di volta in volta; alla • flessibilità in quanto il processo trasformativo originato dall’acquisizione della commessa si mostra variabile ed assai poco standardizzabile;alla • mobilità, poiché l’offerta generalmente implica una missione al di fuori della propria sede aziendale;all’• efficienza, per l’elevato livello di dinamismo e concorrenzialità solitamente presente. 32 oltre il 20% dei dipendenti del settore sono laureati, contro una media nazionale di laureati sugli

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costante ricorso alle tecnologie innovative, impiego di know-how come principale mate-ria prima e piccola dimensione33. Ne consegue che quegli stessi elementi che in molte aziende del terziario si rivelano di importanza cruciale per operare efficacemente (un clima relazionale interno basato sull’armonia, l’autonomia operativa, una forte motiva-zione, un marcato sentimento d’appartenenza ad un gruppo aziendale nel rispetto della filosofia che guida l’azienda ‒ commitment ‒, una definita cultura di fondo), nelle azien-de di servizi alla produzione di stampo innovativo diventano un aspetto che le induce e sospinge a porsi come protagoniste dello sviluppo e del cambiamento, ad anticipare e non ad accettare passivamente l’evoluzione strutturale e socioeconomica.

Nello specifico della spinta innovativa, quest’atteggiamento proattivo comporta sempre più la sostituzione delle tecnologie di tipo semplice e rigido, normalmente incorporate nelle macchine per una loro immediata disponibilità verso l’utilizzatore, con tecnologie flessibili e polivalenti, dove la prestazione non è univoca ma necessita di essere modificata, reinventata ed adattata alle evoluzioni dei processi e dei prodotti. Ad ogni modo, sebbene la tecnologia nei suoi risvolti innovativi sia importante, è fuorviante pensare ai servizi avanzati come ad una mera evoluzione dei servizi tradizionali dettata dalla tecnologia (come mostrano molti servizi pubblici) oppure adattati a quest’ultima; esistono, non a caso, servizi innovativi che sono nati già tali, senza passare attraverso lo stadio del servizio tradizionale.

Pur ribadendo che, a tutt’oggi, non esiste una definizione univoca di servizio alla produzione di tipo avanzato, anche in considerazione del fatto che, come detto, i settori che attualmente andrebbero definiti come tali potrebbero nel futuro non esserlo più, alla luce di quanto finora esposto, è possibile ipotizzare alcune condizioni distintive così individuate:

alta intensità di 1. know-how delle risorse umane del tipo brain intensive;uso sistematico di tecnologie inedite o di recente ideazione ed introduzione; 2. un elevato grado di innovazione dei servizi offerti;3. prevedibile sviluppo futuro qualitativo e quantitativo della specifica attività;4. elevati livelli di personalizzazione orientata ad offrire “soluzioni”, più che servizi 5. tout court.I servizi avanzati, pertanto, soventemente di natura complessa, sono caratterizzati da

prevalente contenuto intellettuale, da alta specializzazione professionale nell’utilizza-zione delle nuove tecnologie e da densità informativa che, avallata dallo stesso processo di dematerializzazione dell’informazione, rende quest’ultima trasferibile a costi molto più bassi e per un bacino di utenza più ampio. Questa categoria, come argomentato, è volta al conseguimento di livelli superiori di qualità, produttività, efficienza ed efficacia nello svolgimento delle specifiche attività, al successo commerciale dei beni prodotti, alla valorizzazione e gestione del capitale umano ed alla funzionalità dei modelli ammi-nistrativi e organizzativi delle imprese; sì da favorirne altresì i processi di innovazione.

occupati pari al 15%.33 La complessità dei comparti definibili avanzati determina una bassa concentrazione delle imprese

che li compongono e comunque un loro permanere di dimensioni modeste; in particolare si osserva un sottodimensionamento del personale (Pennarola, 1993).

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Sulla base del possesso di tali capacità e competenze, le relative aziende erogatrici, in chiave evolutiva, tendono a passare da un’offerta di “servizi” alla proposizione di solu-zioni (spesso ignote od ignorate dai clienti stessi) ai problemi, reali o latenti, tramite un approccio sistemico e di problem solving.

Per fornire una più precisa chiave di lettura del variegato insieme di attività che, a livello di identificazione delle guidelines quantitative, si può ritenere costituiscano i servizi alla produzione di tipo avanzato, di là di alcune approssimate distinzioni set-toriali effettuate a scopo semplificativo e tenendo conto delle valutazioni compiute, si può dire che tali comparti dovrebbero presentare necessariamente almeno le seguenti tre peculiarità oggettive:

presenza di un rapporto strettissimo fra le funzioni di servizio ed il processo inno-I. vativo, inteso sia come generazione d’innovazioni originali sia come diffusione ed adozione di quelle prodotte in altre imprese o settori;non identificazione con la mera ricerca e lo sviluppo o con altri servizi esclusivamen-II. te attinenti alla tecnologia di produzione, ma estensione al complesso delle cosiddet-te funzioni di management ed ai servizi di consulenza che le riguardano;elevato contenuto di capitale umano che si associa alla creazione di nuove professio-III. ni di natura multidisciplinare e che richiedono lo sforzo sinergico ed integrato di più individui portatori di culture diverse.In conformità a quanto illustrato, in Appendice (punto 2) si riporta un elenco, sep-

pure non esaustivo o definitivo, di funzioni ed attività desumibile stricto sensu dalle considerazioni ed ipotesi di “qualificazione” riportate e che, pertanto, si ritiene siano potenzialmente includibili nel comparto dei servizi alla produzione di tipo avanzato.

ovviamente le categorie riportate nell’elenco non sono automaticamente ed integral-mente quantificabili come avanzate poiché è dubbio, da parte d’ogni impresa effettiva-mente inclusa in tale comparto, il soddisfacimento delle precondizioni citate. Tuttavia, essendo difficilmente proponibile una separazione infra-comparto delle aziende se non con verifica empirica, appare giustificato, ai fini statistici, considerare le categorie nella loro completa unitarietà basandosi su criteri molto meno rigorosi ed accettando even-tuali zone d’ombra. Ciò, anche in virtù del fatto che molte imprese offrono al contempo servizi avanzati e servizi tradizionali.

Un’ennesima difficoltà è rappresentata dalla scelta del criterio di classificazione dei suddetti comparti dal lato dell’utenza/clientela o della domanda, rispetto a quello dell’offerta qui adottato. è presumibile che il primo tipo di orientamento sia di maggior interesse pratico ma forse è più difficilmente realizzabile poiché andrebbe individuata una domanda che, attualmente, è solo stimabile.

6.1. L’interpretazione della FITA

Per valutare la coerenza delle suddette congetture si è ritenuto di far riferimento alle valutazioni e stime espresse dalla Federazione Italiana del Terziario Avanzato (Fita).34

34 In considerazione del fatto che esiste un vasto campo di servizi alle imprese che fanno del mix

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Con riferimento ai suoi associati reali o potenziali, la Fita (1996; 2008) indica quali avanzate un’insieme di attività che corrisponde alle 8 macro-aree di rappresentanza. Esse sono descritte in Appendice con i relativi codici ATECo.

onde pervenire ad una definizione più coerente con le considerazioni espresse nel corso del lavoro, sempre in Appendice si evidenzia per ciascuna associazione di cate-goria aderente alla Fita, pur sempre in generale, anche l’eventuale inclusione nei campi d’attività (indicati con le lettere a, b, c, d, e) nei quali è stato precedentemente scomposto l’aggregato definibile “avanzato” dei servizi alla produzione. Come si noterà, confer-mando le difficoltà di classificazione e definizione che caratterizzano le molteplici e variegate professionalità presenti in questo settore, non tutte le associazioni Fita sono classificabili nei cinque suddetti comparti “avanzati” in senso stretto.

In effetti, la Fita offre un’interpretazione alquanto estensiva del significato di avan-zato considerando quali appartenenti al settore anche attività che per il loro “contenuto” non sarebbero propriamente identificabili come tali. Ad es., a proposito dell’interme-diazione monetaria e finanziaria, vari analisti (e la stessa Fita) sono soliti ricondurre l’attività in toto nell’ambito del terziario avanzato, ma sulla base delle argomentazioni precedentemente esposte non si ritiene di dover includere tale comparto tra le attività del TA se non in modo marginale (comunque di difficile scorporazione dal totale com-plessivo).

Il suddetto inquadramento, peraltro, comprende anche servizi che, seppur avanzati, non sono propriamente di supporto all’attività di produzione, quali i servizi radiotelevi-sivi. In sostanza, secondo la classificazione FITA, i servizi avanzati finiscono per essere quantitativamente anche superiori agli stessi servizi alla produzione come considerati nelle interpretazioni “intermedie” e “ristrette” adottate e discusse in precedenza.

Con riferimento alla terminologia di classificazione ripresa nei codici ATECo uti-lizzati dall’Istat, in Appendice si sono, altresì, distinti alcuni settori o categorie che si ritiene includibili nei servizi avanzati o che, invece, solo in una visione in senso lato potrebbero rientrare in essi (con le eccezioni del caso).

6.2. Una stima del sub-comparto

Allo scopo di fornire un successivo contributo all’analisi dell’aggregato dei servizi alla produzione si ritiene indicativo riportare i risultati del censimento effettuato dalla stessa FITA, seppur con riferimento a quello che la Federazione ritiene essere il nucleo “avanzato” del terziario. Al 2007 le caratteristiche essenziali del suddetto aggregato sono così sintetizzabili:

1 milione di imprese, pari a circa il 20% del totale nazionale;• 2,5 milioni di addetti, pari a circa il 13% del totale nazionale;• 1,3 milioni di dipendenti (10%);•

di innovazione e nuove tecnologie il loro know-how e business, in seno a Confindustria è appena sorta una nuova Federazione di settore, nata dall’integrazione tra la FITA e quella dell’ICT (FEDERCoMIN), denominata Servizi Innovativi e Tecnologici.

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324 miliardi di fatturato annuo (12,2%);• 143 miliardi di valore aggiunto (13,1%);• 24 miliardi di investimenti annui (8,3%);• 48,5 miliardi di spese per il personale (10,9%).• In particolare, nel periodo 2002-2007, rispetto al generale “immobilismo” che ha

contraddistinto l’economia italiana, tutti gli indicatori del settore hanno registrato cre-scite a doppia cifra:

+22% di nuove imprese (4% complessivamente in Italia);• +24% di addetti (5%), con +44% delle spese per il personale (18%);• +27% di dipendenti (8%);• +46% di fatturato (15%);• +50% di valore aggiunto (12%);• +52% di investimenti fissi lordi (17%);• A fronte del divario di crescita illustrato, sempre nello stesso periodo l’incidenza dei

servizi innovativi sull’economia italiana è notevolmente aumentata passando:dal 17% al 20% per le imprese;• dal 11% al 13% per gli addetti;• dal 10% al 12% per il fatturato;• dal 10% al 13% per il valore aggiunto; • dal 6% al 8% per gli investimenti fissi lordi.•

A livello Italiano è il Nord-ovest a rappresentare l’area dove sono concentrati la maggior parte dei Servizi Innovativi e Tecnologici, con una quota pari al 39,8% di tutti gli addetti del settore. Segue il Centro col 22,8%, il Nord-Est con il 20,3% e chiude il Mezzogiorno, con una quota pari a circa il 17% (quasi 397.000 addetti con un’inciden-za del 8,5% sul totale degli occupati) ma in recupero. Quantunque i numeri assoluti rimangono ancora bassi, infatti, l’intensità della crescita del comparto è sopra la media nazionale in molte regioni meridionali (Abruzzo, Puglia, Calabria e Sardegna).

In Campania sono presenti 116.600 occupati con un’incidenza sul totale del 9,4%; il tasso di crescita del loro peso nell’ultimo triennio, tuttavia, è il peggiore a livello nazionale: -2,5%. La distribuzione degli addetti premia l’area della Consulenza ed altri servizi alle imprese con ben 62.900 occupati, seguita dalla Informatica con quasi 18.800 unità, quindi da Ingegneria e da Telecomunicazioni e radiotelevisioni; entrambe con oltre 10.000 addetti.

In termini di valore aggiunto, rispetto ad un peso di tali servizi sul totale nazionale pari al 11,2%, nel Mezzogiorno il valore scende al 9,3%, con un massimo del 10,9% in Basilicata e Sardegna ed un minimo di 7,9 in Calabria e Molise. In Campania, con 6.120 milioni di euro, l’incidenza è del 10,3% (+3,4% su base 2004) rispetto alla media del 4,2% del Mezzogiorno e del 5,5% a livello nazionale.

Come in generale per tutta l’economia italiana, il settore è contraddistinto dalla forte presenza di microimprese (20%); il numero di addetti medio è ben minore rispetto ai competitori europei nello stesso settore: il 52% in meno rispetto al Regno Unito, il 45% alla Germania, il 29% alla Francia ed il 7% alla Spagna. In particolare, si registra una

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prevalenza delle società unipersonali ed una maggiore incidenza del rapporto di lavoro “flessibile” rispetto a quello subordinato. Ciò è spiegabile in buona parte con la neces-sità delle imprese di avvalersi di risorse umane altamente qualificate le quali, proprio a causa della loro elevata professionalità e competenza, sono difficilmente reperibili sul mercato, hanno un costo unitario elevato ed una naturale propensione al lavoro su colla-borazione (spesso a partita Iva) piuttosto che all’assunzione a tempo indeterminato.

Nel periodo 2002-2005, la spesa del settore in attività interne di Ricerca e Svilup-po si è incrementata del 19%, passando da un’incidenza del 32,4% ad una quota del 34,6% dell’intera spesa nazionale svolta dalle imprese private al proprio interno (FITA, 2008).35 è circa del 30% anche la quota degli addetti alla R&S del settore (oltre 23.000 ricercatori); un valore aumentato del 10% nel 2002-2005 e che ha raggiunto un’inciden-za del 33% sul totale del personale impegnato in attività di R&S nelle imprese private italiane.

Nel prossimo triennio 2008–2011 l’incremento reale del valore aggiunto dovrebbe essere all’incirca pari al 18%. Tutti i comparti dovrebbero realizzare soddisfacenti incre-menti dell’occupazione; per tre di essi, in particolare, la variazione potrebbe risultare superiore alle due cifre: Prove, controlli, valutazione e certificazione (+19,1%), Servizi integrati agli immobili e alle infrastrutture (+17,1%) e Consulenza (+14,5%). Anche per la produttività il miglioramento previsto dovrebbe essere migliore che in passato; il guadagno calcolato per quest’ultima è stimato al 6,2%, contro il 2,7% del precedente triennio.

6.3. Le opinioni dei testimoni privilegiati

A completamento di quanto illustrato e dei dati quantitativi riportati, al fine di per-venire ad un più ampio giudizio qualitativo, si è ritenuto di intervistare una decina di testimoni privilegiati (accademici, operatori del settore, imprenditori…) con una griglia di otto domande a risposta aperta, chiedendo una loro opinione sulla situazione pregres-sa, attuale e prospettica dei servizi alla produzione in Campania. Di seguito si riporta una sintesi delle loro considerazioni.

Ad una prima questione inerente l’odierna incidenza di tali servizi sulla competitività aziendale, le opinioni degli intervistati appaiono alquanto discordanti tra chi sostiene che nell’offerta di servizi alla produzione ci sia l’unico valore aggiunto regionale e chi ritiene che essi si limitino ad erogare attività banali e standardizzate. Peraltro, si concor-da nel sostenere che sono poco utilizzati; sebbene non emerga chiaramente il motivo: se per carenze dell’offerta o in ragione di una debole domanda.

Si ritiene che negli ultimi 2-3 lustri la situazione sia lievemente migliorata, nel senso di una maggiore attenzione verso i servizi alla produzione ma anche di un crescente ricorso ad essi da parte del sistema produttivo; reso indispensabile dalle nuove ragioni

35 L’Eurostat ricorda che, nel 2005, gli investimenti delle imprese italiane in R&S ammontavano allo 0,55% del PIL, contro l’1,17% della media UE.

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della competitività internazionale. Di fatto, tuttavia, sussiste ancora una forte correla-zione (dipendenza) con l’andamento delle attività manifatturiere.

Per il prossimo decennio, il giudizio degli osservatori privilegiati è sostanzialmente negativo. Quantunque sia plausibile uno scenario “trainato dalla domanda” nel quale le aziende, in questo accompagnate da oculate decisioni di policy, incoraggino un’espan-sione quali e quantitativa dell’offerta, è più probabile che i servizi alla produzione scon-teranno la presenza del vigente “distacco” dal sistema della ricerca e che, comunque, a causa delle pastoie politico-amministrative, difficilmente riusciranno ad evolversi a sufficienza così da poter apportare un contributo positivo alla competitività delle azien-de locali nella generazione di ricchezza.

I suddetti limiti intrinseci all’Area sono anche quelli responsabili della mancata valorizzazione o “decollo” delle nicchie qualitative e delle punte di eccellenza presenti localmente; circostanza che rende la Campania marginale rispetto ad altre aree setten-trionali del Paese. Né, peraltro, in Provincia di Napoli si è verificato quanto accaduto in altre aree metropolitane, come Milano e Roma, divenute esportatrici di servizi ad alta specializzazione.

Per un’evoluzione quanti e qualitativa dei servizi alla produzione manca, dal lato dell’offerta, soprattutto un adeguato tessuto strutturale di aziende inquadrate in un’ot-tica sistemica nonché una chiara domanda di servizi innovativi causata dalla cultura aziendale dominante poco incline ad investire in tale direzione. Da non trascurare anche il ruolo della fiducia dei committenti verso i soggetti dell’offerta locale; aspetto che inaugura un circolo vizioso poiché non si stimolano in tal modo miglioramenti dell’of-ferta ma un suo impigrirsi e lo spostamento della domanda verso aree esterne. Sarebbe auspicabile la presenza di aziende leader che avviino dei processi di fertilizzazione in tale direzione.

Dal lato della domanda, invece, si tende a biasimare anzitutto la pubblica ammi-nistrazione che non garantisce servizi differenziati, ad alto contenuto di know-how e rispondenti alle reali esigenze aziendali. Sarebbe consigliabile, dunque, investire mag-giormente nella conoscenza delle evoluzioni tecniche e tecnologiche in corso, con un ruolo guida d’indirizzo e di coordinamento, ma non di condizionamento, svolto da parte degli enti pubblici.

Da questo versante è anche opportuno che gli Enti pubblici erogatori acquistino credibilità ed affidabilità che, a loro volta, si riverberano sulle aziende locali clienti. Le aziende, dal canto loro, dovrebbero abbandonare miopi gelosie per proporre azioni sinergiche da concordare con le associazioni di categoria; circostanza ancora più evi-dente per le unità di minore dimensione. Entrambe le direzioni, ad ogni modo, in questo periodo sono pressoché assenti a livello locale come nazionale.

Nello specifico, ogni interlocutore intervistato precisa che, per quanto di competen-za, l’organizzazione o azienda alla quale appartiene si sta adoperando per favorire la conoscenza, la diffusione (visibilità) e l’implementazione di servizi innovativi e ad alto contenuto di know-how. In particolare, oltre a dichiarare sostenuta l’attività di ricerca tout court, gli interlocutori sottolineano i loro sforzi finalizzati ad aderire in modo sem-

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pre più preciso alle effettive esigenze delle imprese locali clienti ed a favorire l’apprez-zamento dell’offerta sul mercato verso gli interlocutori ancora scettici od ignari delle potenzialità dei servizi alla produzione. Questi sforzi sono indirizzati principalmente verso le piccole e medie imprese giacché, oltre a costituire la stragrande maggioranza delle realtà produttive locali, esse sono quelle con maggiori difficoltà di conoscenza ed accesso ai servizi alla produzione.

Si tratta di un approccio proattivo e di sprone legato al fatto che per la Campania, almeno in questo periodo, si ritiene che sia la domanda che dovrebbe rivelarsi prope-deutica all’offerta di servizi alla produzione, stimolandola adeguatamente per farne crescere qualità e professionalità. Peraltro, anche nei settori dove, tradizionalmente, è principalmente l’offerta connessa alla ricerca scientifica e tecnologica a stimolare la domanda (aeronautica, biotecnologie…), si nota che le esigenze di adeguamento nor-mativo tendono a prevalere su quelle di reale “ascolto” delle necessità aziendali (vale per tutti il caso dell’offerta di natura “pubblica”). Né sono pochi i casi di un’offerta che cade nel vuoto perché non confacente alle necessità aziendali o slegata dalle esigenze (reali o potenziali) del sistema produttivo.

In sostanza, dunque, il quadro dei servizi alla produzione presenti in Campania è rappresentato, agli occhi di osservatori esperti ed utilizzatori o produttori abituali, come un sistema ancora alquanto statico ed ancorato, dal lato dell’offerta, a persistenti rigidi-tà strutturali nonché, dal lato della domanda, a limiti “interpretativi” e funzionali. Tali rigidità e limiti sono collegati, come accennato, anche alla diffusa presenza di imprese di piccola dimensione, spesso scarsamente orientate all’associazionismo ed alla “apertura” in generale verso l’esterno, mentre molte delle grandi aziende tendono a rivolgersi ad un’offerta non locale, quando non perseguono scelte di internalizzazione.

A meno di repentini mutamenti, pertanto, le previsioni per il futuro non appaiono sufficientemente rosee ed ottimistiche. Circostanza che, presumibilmente, scoraggerà tanto l’aumento quali e quantitativo della domanda quanto un probabile spostamento di quella esistente verso altre aree; data l’improrogabile esigenza delle aziende che inten-dono rimanere competitive a livello nazionale ed internazionale di approvvigionarsi, con frequenza sempre maggiore, di servizi alla produzione di base come avanzati.

7. Considerazioni conclusive

Il presente contributo ha mirato, da un lato, a sviluppare alcune riflessioni sullo stato dell’arte, sull’importanza e sulle dinamiche evolutive di quella porzione significativa del settore terziario che va sotto il nome di servizi alla produzione; dall’altro lato a sistema-tizzare le conoscenze sul tema, a partire da un tentativo di delimitazione dell’aggregato in oggetto. obiettivi che per motivi di omogeneità e coerenza sono stati contestualizzati alla realtà socioeconomica della Campania.

La rilevanza del tema affrontato è stata evidenziata da più parti; basta porre l’accento sul crescente risalto che le attività di servizio hanno assunto e continueranno ad assume-

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re nel futuro come elemento di supporto primario per le imprese manifatturiere miranti (ma anche “obbligate”) ad affrontare problematiche ambientali e competitive sempre più complesse. Non è casuale che ai servizi alla produzione sia pressoché unanimemen-te attribuito un ruolo competitivo strategico, poiché essi influenzano e determinano la capacità concorrenziale tanto delle singole imprese quanto di interi sistemi-paese.

Il processo di terziarizzazione in atto nelle nazioni sviluppate (e in quelli di nuova industrializzazione), la crescente diffusione delle tecnologie dell’informazione e il diffondersi di meccanismi competitivi basati sempre più sul possesso di competenze e conoscenze alimentano il compito che i servizi alla produzione giocano nella situazione economica attuale e nelle sue prospettive future. Vale a dire che essi, specialmente nella loro componente più tecnologica ed avanzata, svolgono un ruolo di rilievo nel sostenere i processi di innovazione ed espansione competitiva del settore produttivo; in particolare per le unità minori che hanno meno possibilità di generare al proprio interno un adegua-to corpo di risorse cognitive.

Quanto sopra, a maggior ragione in virtù dell’attuale tendenza aziendale ad esterna-lizzare attività e servizi per le funzioni cosiddette “no core” per concentrarsi su attività ritenute di peso strategico da sottoporre al proprio diretto controllo. Le pressioni deri-vanti dalla sempre più intensa internazionalizzazione dei mercati, peraltro, incoraggiano un maggiore ricorso ai servizi alle imprese da parte delle unità economiche, giacché lo “outside sourcing” dei servizi ai fornitori specializzati che possono sfruttare le economie di scala e la continua innovazione dei processi ha un impatto positivo sui costi e sulla produttività.36 In merito basta pensare alle dinamiche in atto nel settore Logistica e tra-sporto dei principali paesi europei.

In quest’ottica, il contributo che si è inteso fornire con il lavoro è rivolto anzitutto a una delimitazione delle molteplici attività che si intendono alla stregua di servizi di supporto alla produzione inquadrate in una prospettiva ampiamente mutevole e dinami-ca; quale si mostra il divenire dell’attuale contesto socioeconomico internazionale. Un intento che nasce dalla pressante esigenza di disporre di un quadro conoscitivo aderente alla realtà teso a favorire il rafforzamento ed il potenziamento di un settore cruciale che, al tempo stesso, esibisce contorni sfocati e variabili nel tempo.

La definizione di questo quadro è stata formulata tenendo conto dei contributi e delle perplessità logiche e sostanziali riportate nella letteratura. Pur nei limiti di ogni tentativo definitorio, infatti, si evidenzia l’esigenza di conoscere non solo l’ammontare e la carat-terizzazione dell’aggregato dei servizi alla produzione, ma anche di separarne la parte innovativa ed avanzata da quella più statica e tradizionale.

Con la diffusione su vasta scala di un nuovo paradigma dell’innovazione, si è avver-tita sempre più la necessità di definire e analizzare più chiaramente la componente dei servizi alla produzione che basa il proprio valore aggiunto sulla tecnologia e soprattutto sulle professionalità nonché sulla capacità di creare innovazione. Ciò perché, da sola,

36 Secondo l’Unione Europea (2006), andrebbe incrementata anche la capacità dei lavoratori di passare dal settore manifatturiero a quello dei servizi alle imprese attraverso appropriati programmi di riqualificazione.

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la tecnologia è raramente una chiave sufficiente per creare valore; le imprese generano maggiore ricchezza quando riescono a combinare efficacemente gli skills del fattore umano, le risorse tecnologiche ed il sistema organizzativo, creando nuovi modelli di business che rispondano alle esigenze e dinamiche dei mercati. Peraltro, i prodotti richiedono ed incorporano in maniera crescente servizi innovativi per rispondere alle esigenze dei clienti; servizi, vale a dire, che si fondano in buona parte su ICT, marketing e finanza.

In ulteriore sintesi si può affermare che, dal lato del processo, si rivelano elementi discriminanti l’utilizzazione di nuove tecnologie, il ricorso ad ingenti risorse informati-ve (di cui vanno osservate densità, frequenza, varietà e capacità di manipolazione) e di conoscenza nonché, last but not least, la qualificazione scientifica e tecnica del fattore umano.

Dal lato del prodotto vanno considerati discriminanti il contenuto d’informazione nonché, al contempo, di innovazione del servizio erogato. Quest’ultima componente, tuttavia, non coincide con quella normalmente denominata terziario avanzato. Tanto più che continuano a permanere molte zone d’ombra e d’incertezza che non consentono di definire in modo esaustivo già la stessa area dei servizi alla produzione.

Ad oggi, difatti, perdura sia un problema di tipo qualitativo – relativo alle modalità di rilevazione effettuate dagli organi ufficiali per cui i valori quantitativi espressi tendono ad una complessiva sottovalutazione statistica (a causa del richiamato fenomeno del terziario implicito) – sia un problema metodologico, inerente alla supposta omogeneità delle imprese presenti in ogni categoria o settore considerati. Problemi che non consen-tono, come detto, di identificare in modo univoco e universalmente accettato il concetto di servizio alla produzione; tantomeno di scomporlo nella componente tradizionale ed innovativa od avanzata.

Per superare questi gap conoscitivi occorrono approfondimenti specifici per le sin-gole attività da attuare tramite indagini empiriche ad hoc, sì da colmare le lacune qui evidenziate estendendo l’ambito d’analisi. Per ora non si può far a meno di evidenziare delle criticità di fondo che, in parte comuni al resto del Paese, tanto dal lato dell’offerta che da quello della domanda, ostacolano l’espansione quali e quantitativa del comparto dei servizi alla produzione, nonché l’impostazione di più efficaci linee di policy.

Una prima criticità, di carattere generale, riguarda il fatto che alla spinta derivante dai nuovi servizi e dalle nuove esigenze manifestate dal sistema economico, sociale e produttivo (conseguenti alla crescita culturale del Paese, dei contenuti digitali, della dematerializzazione dei documenti e dei supporti, dei nuovi servizi ai cittadini permessi dall’innovazione tecnologica) si oppongono labili ed inefficienti meccanismi concor-renziali che ostacolano il superamento di eventuali sacche protette di inefficienza e l’alimentazione dei processi innovativi.

Negli ultimi anni, non a caso, i Paesi e le imprese che hanno raggiunto la frontiera dell’innovazione sono quelli che operano in territori culturalmente stimolanti, aperti alla produzione, all’interscambio di conoscenze ed idee da cui far nascere i processi di cross fertilisation necessari per l’ampliamento della conoscenza. La concorrenza territoriale

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dei Paesi emergenti, ma anche di quelli europei, si batte solo se si riesce ad innovare ed a favorire tali processi, giacché l’innovazione è il frutto di una forma mentis degli individui e di una efficiente organizzazione del sistema che rimette tutto in discussione, conducendo a migliorare continuamente i prodotti, i processi produttivi, le tecniche di vendita, la ricerca delle opportunità di mercato.

I Paesi più esposti al declino economico, all’opposto, sono quelli che investono con minore continuità nella ricerca e sviluppo, dissipando così il loro patrimonio di cono-scenze. La quota percentuale della R&S italiana in rapporto al PIL è ferma da 15 anni all’1,1%; nel frattempo molti altri Paesi investono quote doppie e triple. Negli ultimi 10 anni il tasso di crescita medio annuo dei ricercatori in Italia è stato prossimo allo zero, mentre in Cina, ad es., è pari al 15%.

Non può, pertanto, sorprendere se, quale sintomo di un Paese arretrato che non riesce a recuperare il ritardo accumulato, secondo alcune stime (FITA, 2008) per ogni punto percentuale di PIL prodotto quello italiano contiene circa il 20% in meno di innova-zione, di istruzione, di ricerca e sviluppo, di servizio, etc. rispetto a quello degli altre nazioni europee “occidentali”.

Una seconda criticità da alleviare concerne la diffusione di relazioni inter-impresa di natura collaborativa che sono alla base della costituzione di reti e network. Le imprese, specialmente quelle di dimensioni ridotte, che vogliono restare competitive non possono rimanere isolate, devono integrarsi con altri interlocutori onde competere sui mercati internazionali investendo nell’introduzione di innovazioni mirate (Daveri, 2006). è per questo motivo che le reti, le filiere ed i distretti integrati manifatturiero-servizi sono importanti e possono dare un valido aiuto al superamento del fenomeno del nanismo imprenditoriale e all’innovazione. Nello specifico, i fornitori dei servizi alla produzione sono spesso piccole unità economiche con una dimensione inversamente proporzionale al grado di innovazione. Come tali richiedono un ambiente adatto per prosperare; un elemento di grande importanza di cui tener conto per qualsiasi iniziativa volta a favorire un successivo sviluppo del settore.

A fronte di un quadro così definito, nello specifico della realtà territoriale indagata, in Campania, emerge che l’aggregato dei servizi alla produzione in senso lato presenta, in termini quantitativi, un’estensione che, secondo il tipo d’interpretazione (paragrafo 4.1), varia dalle 43.000 alle 60.000 aziende, corrispondenti a circa 92.000 – 185.000 addetti. Si tratta di valori in forte espansione media che incidono dal 18% al 26% sul totale del terziario regionale e da quasi il 15% ad oltre il 20% sul complesso di tutte le attività economiche, ma ai quali, tuttavia, non corrisponde un analogo contributo alla creazione della ricchezza a livello locale.

Si tratta di un elemento contraddittorio; tanto rispetto alle dinamiche che in altre aree hanno favorito i processi di sviluppo socio-economico beneficiando dell’apporto propulsivo derivante dell’interazione tra aziende di servizi e manifatturiere, quanto rispetto al volume dei flussi di risorse che nel corso dei decenni sono stati investiti nella Regione. Su tale aspetto occorre interrogarsi giacché emerge l’agire di meccanismi che, paradossalmente, generano circoli viziosi che finiscono per ampliare il gap di sviluppo

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tra le diverse aree del Paese. Verosimilmente, tali meccanismi hanno una radice terri-toriale determinata dalle specificità delle varie componenti che costituiscono il sistema economico e sociale nella sua più larga accezione.

oltre alle citate problematiche a livello nazionale, infatti, la Regione sconta un insieme di contraddizioni tipiche della sua economia; stretta com’è da ambizioni ed ambiguità, speranze e vincoli consolidati. Pur essendo un’area con una discreta densità industriale e alcuni settori industriali di punta, un elevato tasso medio di istruzione e qualificazione professionale, una invidiabile posizione nel panorama universitario e scientifico ed alquanto proiettata a livello internazionale, il comparto dei servizi alla produzione regionale ancora non mostra la capacità, né la propensione, di assecondare le richieste ed esigenze attuali e prospettiche del tessuto produttivo locale.

Tale situazione, indipendente dal procedere della terziarizzazione dell’economia (giunta al 78% in Campania rispetto al 73% medio nazionale) e dall’aumento dell’in-cidenza dei servizi sull’insieme delle attività economiche, è aggravata dal fatto che, nonostante alcune punte d’eccellenza, il livello medio qualitativo dei servizi offerti è modesto e la maggioranza delle imprese e degli addetti opera nella parte cosiddetta stati-ca e tradizionale dell’ampio aggregato dei servizi alla produzione. Circostanza che rende tali imprese inidonee a supportare le residue attività manifatturiere regionali, da tempo cristallizzate su produzioni cosiddette mature di fascia medio-bassa che, scontando una chiara perdita di competitività a livello nazionale ed internazionale, necessiterebbero di un supporto di altra natura tale da proiettarle in nicchie di mercato scoperte o di fron-tiera.

Ulteriore conferma della necessità di distinguere i servizi alla produzione di tipo tradizionale da quelli di tipo avanzato, poiché non è la mera consistenza quantitativa in assoluto quella che assicura valide performance aziendali, processi innovativi, o garantisce elevati tassi di sviluppo regionali. Spesso, peraltro, in un’ottica di razionaliz-zazione e contenimento dei costi, la domanda dei servizi alla produzione avanzati tende a spostarsi verso altre aree nazionali, se non estere. All’aumentare della necessità del ricorso ai servizi alla produzione, vale a dire, in specie se di tipo avanzato, le aziende locali preferiscono abbandonare i fornitori locali per rivolgersi altrove dove riescono a trovare maggiore specializzazione e un’ottimizzazione delle spese37.

A ben vedere, in effetti, negli ultimi anni in Campania la parte dei servizi alla pro-duzione più innovativa ed avanzata ad alto contenuto di know-how e tecnologie mostra una dinamica insoddisfacente rispetto le esigenze attuali e prospettiche già delle aziende locali; risultando finanche in regressione a livello occupazionale. Il quadro descritto, peraltro, non appare destinato a mutare positivamente nel breve e medio periodo; anche per vincoli e rigidità ascrivibili all’operare del settore pubblico e all’assenza di un siste-

37 Può così accadere, ad esempio, che le aziende campane si rivolgano a società di consulenza orga-nizzativa e direzionale localizzate in Lazio e Lombardia che incaricano a loro volta i propri dipendenti di origine campana di soddisfare le esigenze dei committenti che, magari, a loro tempo non hanno voluto assumere giovani da formare per il futuro. Il tutto con minimi ritorni tangibili o intangibili per l’economia regionale e con un ulteriore impoverimento delle risorse cognitive locali.

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ma coeso tra i vari attori intorno ad un coerente corpo di linee guida d’indirizzo e scelte di policy.

Sulla base delle considerazioni esposte, ne consegue che data la crescente integra-zione dei servizi nella produzione (e viceversa) e la loro importanza per lo sviluppo economico complessivo, la politica in materia di competitività industriale andrebbe considerevolmente ampliata con una più intensa focalizzazione sui servizi alle imprese. Di là dei noti elementi di criticità che emergono sia dal lato dell’offerta (orientamento risk adverse dell’imprenditorialità locale maggiormente indirizzato verso attività tradi-zionali e più propensa a giocare un ruolo di follower, dimensione delle aziende di servizi minore rispetto ad altre aree del paese, scarsità di investimenti da parte di aziende ester-ne alla regione che non alimenta meccanismi e processi di apprendimento e diffusione delle conoscenze che risultano essere vitali per settori a più alta intensità di know-how e operanti sulla frontiera tecnologica…), sia dal lato della domanda (presenza di un diffuso tessuto di piccole imprese spesso operanti in settori maturi, cultura imprendito-riale conservativa debolmente rivolta alla esternalizzazione delle attività e allo sviluppo di relazioni collaborative, maggiore fiducia verso aziende di servizi avanzati esterni all’area, etc.), occorre evidenziare la presenza nel sistema regionale di forti criticità di tipo sistemico, vale a dire che si riferiscono all’insieme dei meccanismi di funziona-mento e di interrelazione tra i vari soggetti ed Istituzioni che, con differenti ruoli e peso decisionale, agiscono localmente.

Nella fattispecie, come confermato anche dalle opinioni dei testimoni privilegiati intervistati, ciò provoca una discontinuità nella dinamica autopropulsiva tra domanda e offerta di servizi avanzati e di supporto alla produzione che, anziché rafforzarsi vicen-devolmente, tendono ad un progressivo allontanamento che alimenta, a sua volta, un pericoloso circolo inverso. Il superamento di ciò, ovverosia l’attivazione di un circuito virtuoso tra domanda ed offerta, chiama in gioco un insieme di fattori soft, con minore peso strutturale e di forte natura qualitativa (fiducia, cultura imprenditoriale, cultura organizzativa, coesione, progettualità...), in grado di determinare una crescita di collabo-razione tra attori del tessuto socio-economico, il superamento di barriere e vincoli legati ad interessi di sorta e la condivisione delle priorità e degli obiettivi.

In ragione di quanto sopra e degli stretti legami tra la capacità competitiva aziendale e territoriale con i servizi alla produzione di tipo avanzato, un vero e proprio freno inibi-tore all’espansione, a meno di immediati e rilevanti mutamenti di rotta che al momento non è agevole intravedere, è da presumere che il tessuto delle aziende locali sconti e si troverà a scontare ulteriori difficoltà nel raggiungere redditizi posizionamenti di mercato nazionali ed internazionali. Il riuscire ad affrancarsi da questo limite è, presumibilmente, collegato in modo sistemico anche alle abilità imprenditoriali ed alla capacità politico/istituzionale di arrivare ad avviare un processo di riorganizzazione funzionale delle attività di servizio imperniate sulle nuove tecnologie; compito che per la sua rilevanza strategica per l’intero sistema socio-economico e per il fabbisogno progettuale, orga-nizzativo e di risorse necessarie, non può e non deve essere delegato esclusivamente al sistema delle aziende e alla discrezionalità e volontà imprenditoriale.

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APPENDICE

L’AGGREGATO DEI SERVIZI ALLA PRODUZIONE1)

a) Secondo la definizione di Kox Rubalcaba (con riferimento ai codici ATECO):

60 (Trasporti terrestri e mediante condotte)• 61 (Trasporti marittimi e per vie d’acqua)• 62 (Trasporti aerei)• 63 (Attività di supporto ed ausiliarie dei trasporti tranne l’attività delle agenzie di • viaggio 63.3)64 (Poste e telecomunicazioni incluso la componente pubblica)• 65 (Intermediazione monetaria e finanziaria escluso le assicurazioni ed i fondi pen-• sione)70 (Attività immobiliari)• 71 (Noleggio di macchinari ed attrezzature senza operatore e di beni; escluso quelli • per uso personale e domestico 71.4)72 (Informatica ed attività connesse)• 73 (Ricerca e sviluppo)• 74 (Altre attività professionali ed imprenditoriali)•

b) Secondo l’inquadramento dell’Eurostat (con riferimento alle singole categorie ed ai codici ATECo):

Amministrazione • (Consulenza gestionale, Servizi giuridici, Auditing contabilità)Commercializzazione e vendite• (Pubblicità, Commercio e distribuzione, Relazioni pubbliche, Fiere ed esposizioni, Servizi post-vendita)Gestione dell’informazione • (Servizi informatici e di telecomunicazione)Gestione degli impianti • (Servizi di sicurezza, Servizi di pulizia, Ristorazione, Ser-vizi ambientali/smaltimento dei rifiuti, Servizi di distribuzione di energia e acqua, Immobili)Intermediazione finanziaria• (Attività bancarie, Assicurazioni, Locazione e leasing)Produzione e funzioni tecniche• (Ingegneria e servizi tecnici, Prove e controllo di qualità, Servizi di R&S, Design industriale, Manutenzione e riparazione di attrez-zature)Risorse umane• (Lavoro temporaneo, Assunzioni, Formazione professionale)

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Trasporti e logistica• (Logistica, Servizi di trasporto, Servizi di corriere espresso).

secondo l’inquadramento dell’Istat (con riferimento ai codici ATECo e le rela-d) tive denominazioni):71.1, 71.21–23, 71.31–33; • Leasing e locazione (di attrezzature di trasporto e costru-zione e materiale per ufficio compresi i computer)72.1-6; Informatica (Consulenza • hardware e software, trattamento dati)74.11, 74.12, 74.14; Professionali (Attività giuridiche, Consulenza contabile, gestio-• nale e fiscale)74.13, 74.4; • Marketing (Ricerche di mercato e pubblicità) 74.2, 74.3; Tecnici (Attività in campo edilizio, progettazione ingegneristica ed ana-• lisi e prove tecniche)74.5; Reclutamento personale (Ricerca, selezione e fornitura)• 74.6, 74.7; Operativi (Attività legate alla sicurezza e pulizia industriale)• 74.81–84; Altri (Attività di segreteria e traduzione, Imballaggio, Fiere e mostre).•

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

123

tabella 3 Alcuni indicatori dei servizi alla produzione in Campania (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE V.A. ai prezzi di base - Valori ai prezzi dell’anno prece-dente

I.F.L. per branca proprietaria - valori ai prezzi anno prec.te

Anno 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2001 2002 2003 2004 2005TUTTI I SERVIZI (S) 52.160 55.738 57.407 59.739 61.437 63.861 11.397 11.617 13.035 13.117 13.452Commercio, riparazioni, alber-ghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 17.226 18.662 18.683 19.423 20.077 20.622 3.487 3.855 4.310 4.421 4.622Trasporti, magazzinaggio e comu-nicazioni 6.029 7.142 6.928 7.310 7.926 .... 1.822 2.414 2.675 2.231 2.235Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali 15.683 16.825 17.878 18.564 18.837 19.755 5.299 5.286 5.816 5.987 6.324Intermediazione monetaria e finan.ria 2.091 2.189 2.274 2.450 2.507 .... 317 341 298 321 321Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali 13.592 14.637 15.604 16.114 16.330 .... 4.982 4.945 5.518 5.666 5.670A (VA soli servizi alla produ-zione) 21.712 23.967 24.805 25.873 26.762 19.755 7.121 7.699 8.491 8.218 8.559B (VA tutte attività economiche) 68.231 72.606 74.108 76.581 78.541 81.475 15.709 15.753 17.571 17.376 17.651Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006.

tabella 4Alcuni indicatori dei servizi alla produzione in Campania (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE Redditi interni da lavoro dipendente - Valori ai prezzi correnti Unità di lavoro totali (media annua in migliaia)

Anno 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006TUTTI I SERVIZI (S) 23.491 24.954 26.617 28.261 29.874 31.233 32.297 1.239 1.265 1.322 1.362 1.368 1.348 1.348Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comuni-cazioni 6.136 6.389 7.028 7.502 8.017 8.414 8.762 423 429 448 457 452 444 446Trasporti, magazzinaggio e comu-nicazioni 2.997 3.082 3.301 3.564 3.772 3.927 .... 102 103 107 111 113 111 ....Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali 3.625 3.846 4.272 4.606 4.925 5.124 5.338 210 219 237 248 254 253 256Intermediazione monetaria e finan.ria 1.312 1.275 1.307 1.332 1.418 1.471 .... 33 33 34 33 35 35 ....Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali 2.313 2.572 2.965 3.274 3.507 3.653 .... 177 186 203 215 219 218 ....A (VA soli servizi alla produzione) 6.622 6.928 7.573 8.170 8.697 9.050 5.338 312 322 344 359 367 364 256B (VA tutte attività economiche) 30.925 32.918 35.020 36.830 38.256 39.910 41.320 1.717 1.759 1.825 1.857 1.848 1.821 1.826Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006.

tabella 5Alcuni indicatori dei servizi alla produzione nel Mezzogiorno (mln €)ATTIVITA’ ECONOMICHE Valore aggiunto ai prezzi di base - Valori ai prezzi

dell’anno precedenteIFL per branca proprietaria - valori

ai prezzi anno preced.teAnno 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2001 2002 2003 2004 2005TUTTI I SERVIZI (S) 193.075 200.776 205.972 214.412 222.385 231.144 44.034 44.891 46.835 50.512 51.119Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 62.593 63.457 63.548 65.689 67.524 69.339 13.335 14.073 14.425 15.849 15.746Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 21.167 21.616 21.904 22.652 23.854 .... 6.740 7.319 7.453 8.594 8.601Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali 57.388 60.949 63.588 65.983 68.921 72.248 19.396 19.601 20.985 22.919 23.921Intermediazione monetaria e finanziaria 7.936 8.168 8.434 9.155 9.271 .... 1.081 1.165 1.057 1.190 .1201Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali 49.452 52.781 55.154 56.828 59.650 .... 18.315 18.435 19.928 21.730 20.725A (VA soli servizi alla produzione) 78.555 82.565 85.493 88.635 92.775 72.248 26.136 26.920 28.438 31.513 32.522B (VA tutte attività economiche) 259.055 269.939 275.931 285.772 294.631 304.958 64.229 64.510 67.899 70.723 71.053Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

124

tabella 6Alcuni indicatori dei servizi alla produzione nel Mezzogiorno (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE

Redditi interni da lavoro dipendente - Valori ai prezzi correnti Unità di lavoro totali (media annua in migliaia)

Anno 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006TUTTI I SERVIZI (S) 86.079 91.559 96.786 101.675 105.542 111.325 116.305 4.392 4.488 4.599 4.652 4.642 4.643 4.723Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, tra-sporti e comunicazioni 21.642 23.007 24.590 25.621 26.673 28.430 29.798 1.515 1.549 1.576 1.578 1.562 1.562 1.592Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 9.541 10.008 10.397 10.981 11.431 11.848 .... 328 330 329 334 333 332 ....Intermediazione moneta-ria e finanziaria; attività immobiliari ed impren-ditoriali 12.511 13.339 14.548 15.204 15.724 16.617 17.391 710 747 790 805 811 828 851Intermediazione monetaria e finanziaria 4.968 4.889 5.084 5.148 5.333 5.491 .... 114 114 118 116 119 118 ....Attività immobiliari, noleg-gio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali 7.544 8.450 9.464 10.056 10.391 11.126 .... 597 633 672 689 692 710 ....A (VA soli servizi alla produzione) 22.053 23.347 24.944 26.185 27.155 28.465 17.391 1.039 1.076 1.119 1.139 1.144 1.161 851B (VA tutte attività eco-nomiche) 115.850 123.226 129.886 135.821 140.351 147.718 153.719 6.377 6.526 6.661 6.699 6.663 6.663 6.757Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006.

tabella 7Alcuni indicatori dei servizi alla produzione in Italia (mln €)

ATTIVITA’ ECONOMICHE V.A. ai prezzi di base - Valori ai prezzi dell’anno precedente I.F.L. per branca proprietaria - valori ai prezzi anno prec.te

Anno 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2001 2002 2003 2004 2005

TUTTI I SERVIZI (S) 749.618 784.705 814.194 856.496 889.943 924.502 159.425 171.304 175.650 186.147 193.383

Commercio, riparazioni, alber-ghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 262.067 270.155 275.076 288.814 297.408 305.581 54.896 60.863 61.948 67.203 67.709

Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 82.444 88.079 92.499 94.249 96.759 .... 28.537 31.532 33.679 36.676 36.768

Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali 269.506 285.883 303.009 317.837 332.297 347.037 70.503 74.804 77.654 81.163 88.102

Intermediazione monetaria e fin.ria 50.687 51.606 53.250 58.771 59.305 .... 5.057 5.594 5.154 5.344 5.365

Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali 218.819 234.277 249.759 259.065 272.993 .... 65.446 69.210 72.499 75.820 75.843A (VA soli servizi alla produ-zione) 351.950 373.963 395.508 412.085 429.056 347.037 99.040 106.336 111.333 117.839 124.870B (VA tutte attività econo-miche) 1.083.374 1.128.818 1.162.233 1.215.427 1.253.848 1.299.582 248.082 263.897 266.369 276.256 283.725Fonte: elaborazioni su dati Istat, 2006.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

125

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2) SERVIZI ALLA PRODUZIONE DI TIPO AVANZATO

Servizi info-telematici per il trattamento di dati ed informazioni e la loro trasforma-a) zione in conoscenze:elaborazione di dati e creazione di • data baserealizzazione di• software

b) Servizi per l’amministrazione e la gestione delle imprese:consulenza e controllo gestionale (• auditing e assessment)consulenze amministrative (con tecniche nuove o sperimentali)• consulenze organizzative• consulenze fiscali e tributarie (con l’uso di strumenti innovativi)• consulenze finanziarie e contabili (con l’uso di strumenti innovativi)• servizi di documentazione e catalogazione (non pura raccolta informativa)•

c) Servizi per la commercializzazione del prodotto:certificazioni• logistica ed organizzazione distributiva (nazionale ed internazionale)• marketing (non semplice • sell promotion)pubblicità (intesa nel senso delle forme di comunicazione)• pubbliche relazioni • studi di mercato (non mere rilevazioni)•

d) Servizi di supporto tecnico:assistenza tecnica nell’uso, manutenzione e aggiornamento di strumenti innovativi• disegno industriale con l’uso di tecnologie CAM, CAD... (• design)engineering• qualità e certificazione• ricerca e sviluppo (di tipo applicata)• studi tecnici di rilevazione e valutazione •

e) Servizi per la gestione e formazione del capitale umano:formazione e aggiornamento dei lavoratori ai mutamenti tecnico-ambientali• formazione di livello universitario e specialistico• ricerca e selezione di personale specializzato•

2.1) I SERVIZI ALLA PRODUZIONE DI TIPO AVANZATO SECONDO LA CLASSI-FICAZIONE FITA CON I RELATIVI CODICI ATECO

Comunicazione e marketing 1. (studi di mercato, sondaggi di opinione, servizi di pro-mozione pubblicitaria, agenzie di informazioni commerciali, di relazioni esterne, etc.) - 74.13, 74.14.5, 74.40.1, 74.40.2 -;

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Consulenza 2. (studi legali, tecnici e notarili, consulenza finanziaria e commerciale, servizi di selezione e collocamento di personale) - 74.11.1, 74.11.2, 74.12.1, 74.12.2, 74.12.3, 74.14.1, 74.14.2, 74.14.3, 74.14.4, 74.50.1, 74.50.2 -;Ingegneria, territorio e ambiente 3. (studi di architettura e ingegneria, aereofotogram-metria, cartografia, etc.) - 74.20.1, 74.20.2, 74.20.3, 74.20.4, 74.20.5 -;Servizi integrati agli immobili e alle infrastrutture 4. (servizi di compravendita e loca-zione di beni immobili, comprese le attività di Facility Management) - 70.11, 70.12, 70.2, 70.31, 70.32, 40.3, 45.3 -;Informatica e attività connesse 5. (servizi informatici, elaborazione elettronica dei dati, etc.) - 72.1, 72.21, 72.22, 72.3, 72.4, 72.5, 72.6 -;Prove, controlli, valutazione e certificazione 6. (controlli di qualità, certificazioni, collaudi e analisi tecniche dei prodotti, Ricerca e Sviluppo) - 73.1, 73.2, 74.30.1, 74.30.2 -;Telecomunicazioni 7. (reti di telecomunicazioni fisse e mobili, servizi di accesso a Internet, etc.) e Radiotelevisioni (programmazione e trasmissione di programmi radiofonici e televisivi); - 64.20.1, 64.20.2, 64.20.3, 64.20.4, 64.20.5, 64.20.6 -;Altri servizi per l’economia e le persone 8. (servizi per traduzione e interpretariato, agenzie di recupero crediti, logistica aziendale, attività dei call center, etc.) - 74.85.2, 74.86, 74.87.1, 74.87.2, 74.87.6, 74.87.7, 74.87.8.

2.2) RAGGRUPPAMENTO DELLE ASSOCIAZIONI ADERENTI ALLA FITA NELLE CATEGORIE DEI SERVIZI ALLA PRODUZIONE DI TIPO AVANZATO

a) Associazione delle aziende informatiche Ass.ne imprese di servizi di informatica, telematica, robotica ed edomatica• Associazione broker assicurativi•

b) Ass.ne società e studi di consulenza di direzione e organizzazione aziendale organizzazione di ingegneria e di consulenza tecnico-economica• Agenzie pubblicitarie italiane a servizio completo•

c) Associazione tecnici degli scambi internazionali Associazione organismi indipendenti di certificazione ed ispezione • Associazione imprese di comunicazione • Agenzie di relazioni pubbliche a servizio completo • Agenzie di direct marketing • Associazione imprese di pubblicità e comunicazione • Associazione studi di marketing • Associazione società di outplacement• Associazione società e studi di comunicazione • Associazione laboratori di prova ed organismi di certificazione indipendenti•

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d) Associazioni imprese specializzate in indagini geognostiche • Club per la qualità totale • Associazione società di consulenza per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo • Associazione laboratori di ingegneria

e) Associazione fra società e studi per la ricerca e selezione del personale • Associazione per la qualità della formazione • Associazione di logistica • Ente di formazione per tecniche informatiche e loro applicazioni

n.i.) Associazione consulenti immobiliari Associazione professionisti della sicurezza • Associazione nazionale assistenza sanitaria privata • Agenzie di servizi promozionali e di rilevazioni di mercato • Agenzie di sales promotion• Associazione revisori contabili • Associazione imprese aerofotogrammetriche • Associazione imprese pubblicità audiovisiva • Associazione produttori dei servizi di calore• Associazione consulenti pubblicitari • Associazione agenti servizi finanziari • Associazione statistici • Associazione sponsorizzazioni • Associazione consulenti fiscali • Building service contractors • Federazione tra le associazioni dei periti assicurativi • Gruppo per la licensing executives society• Imprese di organizzazione congressuale • Quaternaria• Unione imprese a difesa ambiente •

2.3) I SERVIZI ALLA PRODUZIONE INCLUDIBILI E NON NEI SERVIZI AVANZATI

Servizi includibili:Agenzie di informazioni commerciali• Attività delle banche di dati• Attività connesse all’informatica (servizi di telematica, robotica, eidomatica, etc.)• Attività delle società di certificazione di bilanci• Attività degli amministratori di società ed enti, consulenze amministrative gestionale • e pianificazione aziendale

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Attività in materia di architettura, di ingegneria e di altre attività tecniche• Attività di gestione delle società di controllo finanziario (holding operative)• Consulenza per installazione di elaboratori elettronici• Consulenze finanziarie (non mera vendita di prodotti)• Controllo di qualità e certificazione dei prodotti• Design e • styling (anche se relativi a settori tradizionali)Elaborazione elettronica dei dati• Fornitura di software e consulenza in materia di informatica• Istruzione universitaria e specializzata• Pubbliche relazioni• Studi di promozione pubblicitaria• Servizi di ricerca, selezione e fornitura di personale• Studi di mercato e sondaggi di opinione• Telecomunicazioni•

Servizi non includibili:Agenzie di concessione degli spazi pubblicitari• Altre attività tecniche • Altre attività di tipo professionale ed imprenditoriale n.c.a• Altre intermediazioni finanziarie• Attività di servizi con l’eccezione delle attività di design e styling• Attività di aerofotogrammetria e cartografia• Attività delle banche centrali• Attività delle banche commerciali• Attività degli studi legali e notarili• Attività di ricerca mineraria • Collaudi ed analisi tecniche dei prodotti• Contabilità consulenza societaria, incarichi giudiziari, consulenza in materia fiscale • con l’eccezione dell’attività delle società di certificazione dei bilanciIntermediazione monetaria Intermediari dei trasporti• Istruzione, con l’eccezione del livello universitario o specialistico• Spedizionieri e agenzie di operazioni doganali•

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CAPITOLO 4

LE SCELTE DI INVESTIMENTO IN TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE:

UN’INDAGINE EMPIRICA SULLE IMPRESE CAMPANE

Luigi Cantone

Introduzione1.

Le dinamiche ipercompetitive nell’economia neo-industriale hanno determinato l’emergere, in tutta la propria intensità, di quattro fenomeni tra di loro interconnessi che hanno interessato in modo pervasivo il management delle imprese, e più in generale i sistemi economici nel loro insieme. Questi quattro fenomeni assumono una particolare rilevanza strategica se sono considerati alla luce dei processi di globalizzazione delle economie, sia dal lato della domanda che dell’offerta.

In primo luogo, l’innovazione costituisce sempre più una leva strategica dei processi di creazione di valore, dello sviluppo e mantenimento del vantaggio competitivo delle imprese. Nell’economia della conoscenza (Rullani, 2004a, 2004b) e dell’ipercompeti-zione su scala globale, infatti, un vantaggio competitivo può essere rapidamente eroso, così come mantenere tale vantaggio più a lungo possibile, potrebbe distogliere le impre-se dalla crescita o limitarne la tensione verso lo sviluppo di nuovi vantaggi o competen-ze. Pertanto, sempre più, la tendenza delle imprese è di prestare particolare attenzione ai processi di innovazione come fattore critico di successo nella ricerca e rigenerazione del vantaggio competitivo. Il focus strategico dinamico vede le imprese costantemente orientate a sviluppare innovazione del proprio sistema di offerta, a creare nuove basi del valore finalizzate a sconvolgere lo status quo della competizione, a cambiare le regole del gioco consolidate sui mercati in cui esse operano (Markides, 1998, 1999), a distrug-gere (Hamel, Prahalad, 1994, D’Aveni, 1994), attraverso processi di apprendimento incrementali o radicali, a superare i vantaggi competitivi già acquisiti.

Un secondo fenomeno è l’importanza crescente dei cosiddetti intangible assets nei processi di creazione di valore nell’economia della conoscenza: conoscenze, competenze, relazioni e fiducia sono le risorse che compongono il cosiddetto intangible equity dell’impresa e che costituisce, nei sistemi competitivi moderni, il patrimonio di risorse più profondo e radicato (embeddedness) da cui si generano le opzioni reali di sviluppo delle imprese. Nel patrimonio intangibile dell’impresa c’è il cosiddetto marketing equity (Cantone, Abbate, 2006) che si consolida intorno ad alcune risorse strategiche fondamentali: fiducia, fedeltà, relazioni con i clienti. Il marketing equity di un impresa può essere rappresentato anche attraverso la catena del valore del marketing, in cui si evidenziano le attività che consentono di creare valore per i clienti (principale

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risorsa dell’impresa) e, conseguentemente, per l’impresa.Un terzo fenomeno, strettamente connesso ai primi due, è l’affermarsi del modello

di impresa rete o estesa (tra gli altri: Lorenzoni, 1992; Lomi, 1997), con il conseguente emergere delle capacità relazionali – insieme a quelle di competenza e di fiducia ‒ come intangibile assets di fondamentale rilevanza strategica per la crescita e la competitività delle imprese. Nei contesti competitivi in cui è forte e costante la tensione verso l’in-novazione della value proposition su cui si basa il successo delle imprese, per i motivi spiegati innanzi, le relazioni di collaborazione tra gli attori delle costellazioni di valore sono risorse strategiche per accrescere il potenziale di sviluppo delle imprese, sia in ter-mini di potenziale di innovazione sia in termini di condivisione di risorse di competenza e di conoscenza necessarie per lo sviluppo di vantaggi competitivi innovation-driven.

Le relazioni di collaborazione, in termini più generali, possono aver luogo a due livelli: all’interno e all’esterno dell’impresa. All’esterno le relazioni possono essere, di tipo verticale – verso i fornitori (a monte), verso i clienti finali, intermedi o intermediari (a valle) – o orizzontale, quando coinvolgono imprese concorrenti con cui si istituiscono rapporti co-evolutivi. Quando si parla di relazioni collaborative interne si fa riferimento alle interrelazioni che si determinano tra più attività della stessa catena del valore o di catene del valore diverse di una stessa impresa. Si pensi ad imprese multinazionali o globali che presentano configurazioni estese della catena del valore con conseguenti necessità di coordinamento (Castellani, Zanfei, 2006). Tali interrelazioni sono di tipo tangibile quando si condividono attività o processi della catena del valore. Sono di tipo intangibile, invece, quando si condividono conoscenze, competenze, know how mana-geriale (Porter, 1985).

Le relazioni di collaborazione tra imprese – fornitori, distributori, imprese clienti, complementors ‒ sono ormai considerate sia nella dottrina che nella prassi manageriale tra le risorse di maggior rilevanza strategica (tra gli altri: Håkansson, 1987), in quanto in grado di contribuire in modo determinante alla (co)produzione del valore (Norman, Ramírez, 1994), alla formazione del valore del capitale economico (tra gli altri: Vicari, Bertoli, Busacca, 1999; Vicari, Bertoli, Busacca, 2000), alla creazione e alla sostenibilità del vantaggio competitivo (tra gli altri: Dyer, Singh, 1998; Nahapaiet, Goshal, 1998; Lanza, 1998 e 2000; Costabile, 2001), nonché alla definizione di percorsi innovativi di sviluppo delle imprese (tra gli altri: Badaracco, 1991; Lorenzoni, 1992; Sicca, 1996; Verona, Prandelli, 2001).

La diffusione di approcci collaborativi alla (co)produzione di valore è uno dei feno-meni che ha maggiormente caratterizzato in tempi recenti i rapporti inter-impresa (tra gli altri: Johnsen, Wynstra; Corbett, Blackburn, Van Wassenhove, 1999; Dwyer, Shurr, 1987; Prandelli, Verona, 2006). E ciò soprattutto in contesti ipercompetitivi, dove l’in-novazione, la creazione e diffusione di nuove conoscenze e competenze sono fattori critici per l’attivazione dei processi di creazione del valore e di sviluppo del vantaggio competitivo delle imprese.

Le relazioni di collaborazione inter-impresa possono essere o «diadiche» (Anderson, Håkansson, Johanson, 1994) o «multipolari» (tra gli altri: Håkansson, Snehota, 1995; Håkansson, 1982; Dyer, 1996; Ferrero, G., 1992; Marcati, 1992). In quest’ultimo tipo

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di relazioni il ruolo di «centro strategico» (Lorenzoni, Baden-Fuller, 1995; Lipparini, Lorenzoni, 1999; Capaldo, 1999, 2005) è assunto dall’impresa che ha le capacità neces-sarie per gestire le relazioni (relational capabilities), al fine di sviluppare, integrare e trasferire all’interno del network le conoscenze e competenze necessarie per acquisire e sostenere il vantaggio competitivo.

Il quarto e ultimo fenomeno su cui si vuol porre l’attenzione riguarda la diffusione di tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione (ICT) nei sistemi organizza-tivi e più in generale nei sistemi sociali. Nella prospettiva dell’impresa, la diffusione di strumenti di computer-mediated information and communication, ad alta intensità con-nettiva, sta diventando molto importante in quanto essi costituiscono una formidabile leva per condividere informazioni, conoscenze all’interno e tra organizzazioni, miglio-rare l’efficienza e l’efficacia dei processi operativi e decisionali (tra gli altri: Davenport, Prusak, 2000; Davenport, Jarvenpaa, 2002; Prandelli, Verona 2002a; Prandelli, Verona, 2002b).

La gestione dell’innovazione, delle informazioni e delle conoscenze, così come delle capacità relazionali può migliorare grazie al sostegno delle nuove tecnologie dell’in-formazione e della comunicazione, in particolare di quelle web-based, che si basano su standard aperti e universali, come il protocollo TCP/IP di Internet. La potenza intercon-nettiva delle ICT, infatti, consente di ridefinire la struttura della supply chain, i modelli consolidati di rapporti di fornitura, integrare con maggiore efficacia ed efficienza le attività svolte dai diversi attori coinvolti nei processi di (co)produzione del valore, con-dividere con maggiore ampiezza e profondità le risorse di conoscenza e di competenza dei singoli partner.

L’impatto che la pervasiva connettività delle ICT può avere sulle relazioni nei sistemi di business è oggetto di studi e ricerche empiriche. In particolare, per le piccole e medie imprese l’impiego di ICT ad alta intensità connettiva rimane ancora limitato ad alcune attività generatrici del valore consolidate come la contabilità, l’amministrazione delle risorse umane, gli approvvigionamenti online attraverso i cosiddetti business to busi-ness e-marketpalces (Cantone et alii, 2006), l’interscambio strutturato di informazioni attraverso tecnologie a «connettività aperta» (Internet, Extranet, sistemi EDI-Electronic Data Interchange) e/o «chiusa» (sistemi CADD, Computer–Assisted Design and Deve-lopment o altri sistemi di integrazione computer-based). Negli studi della dottrina, così come nella pratica manageriale, si analizzano e si esplorano, di recente, gli effetti che le tecnologie interconnettive, in particolare quelle web-based, potrebbero generare se utilizzate per lo sviluppo collaborativo di nuovi prodotti, per la gestione integrata della supply chain, per attivare processi di conversione della conoscenza esplicita e tacita, e per altre attività di maggiore rilevanza sotto il profilo strategico (tra gli altri: Vicari 2001; Davenport, Prusak, 2000; Davenport, Jarvenpaa, 2002; Evans, Wurstel, 2000; Hagel III, Armstrong, 1997; Sawnhey, Prandelli, Verona, 2005, 2003; Shapiro, Varian, 1999; Prandelli, Verona, 2002b).

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2. Obiettivi e approccio metodologico

Partendo da queste premesse, obiettivo generale del lavoro è analizzare le motiva-zioni strategiche delle scelte di investimento in ICT, e, quindi, il ruolo e l’impatto che tali tecnologie digitali ad alta intensità connettiva hanno, attualmente e in prospettiva, nei processi di creazione di valore delle imprese del sistema di produzione in Campa-nia. Pertanto, esso si propone di analizzare non solo se e come le imprese utilizzano tali tecnologie nei processi più consolidati e “interni” (contabilità, amministrazione del personale, produzione, etc.) ma anche di quelli più trasversali (internamente e ester-namente) e strategici della catena del valore dell’impresa (supply chain management, customer relationship management, knowledge management, innovazione di prodotto, lavoro remoto, coordinamento organizzativo, comunicazione interna, e così via). Questo lavoro ha una prospettiva sia teorica che empirica (con un approccio esplorativo). è stata condotta una review della letteratura sulle modalità in cui si forma il valore nei mercati ipercompetitivi e neoindustriali, così come sul ruolo che le nuove tecnologie digitali interconnettive svolgono nel determinare i processi di creazione di valore in tali contesti competitivi. Per l’indagine empirica, il lavoro si è focalizzato sul sistema di produzione della Campania. Attraverso una explorative field research sulle imprese campane, si è proceduto ad indagare i fattori, che in una prospettiva strategica, spiegano gli investi-menti in tecnologie interconnettive elettroniche e l’uso delle stesse ai fini dello sviluppo del vantaggio competitivo.

Il lavoro è partito, innanzitutto, da un inquadramento evolutivo delle tecnologie digi-tali ad alta intensità connettiva (ICT) che hanno assunto un ruolo primario nel miglio-ramento dei vantaggi competitivi delle imprese – di costo, di innovazione, di relazione – prima non realizzabili senza il contributo di queste. Si è cercato, dunque, di procedere ad una classificazione normativa delle tipologie tecnologiche rientranti nel più generale insieme delle ICT.

Nella seconda parte del lavoro, invece, si è focalizzata l’attenzione sul come le ICT incidono sulla catena del valore delle imprese e, in una prospettiva relazionale, sulla relativa value constellation. Sotto questo aspetto è presentato un modello concettuale di analisi dell’impatto delle tecnologie ICT sul vantaggio competitivo dell’impresa in termini di benefici e costi (intesi, questi ultimi, sia come costi monetari di investimento e di gestione di tali tecnologie interconnettive, sia come insieme di ostacoli o vincoli endogeni e/o esogeni all’adozione di dette tecnologie che, seppur indirettamente, posso-no generare oneri economici aggiuntivi o altre difficoltà organizzative di vario tipo).

La terza parte del lavoro si concentra sul sistema dell’offerta delle ICT con un’analisi da fonti derivate di alcune caratteristiche strutturali dei settori economici che si riferisco-no alle ICT in Campania, anche al fine di valutare i differenziali di penetrazione della regione rispetto al contesto nazionale.

Una quarta e ultima parte del lavoro analizza il sistema di produzione locale in Campania nei suoi settori di specializzazione con l’obiettivo di esplorare empirica-mente i fattori che spiegano l’adozione delle ICT e di profilare l’atteggiamento attuale

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e prospettico del management delle imprese campane verso tali tecnologie. La ricerca empirica è partita con l’obiettivo di coinvolgere 109 imprese selezionate secondo uno o più criteri di “ragionamento” (notorietà, dimensione operativa, apertura internazionale, sviluppo competitivo negli ultimi anni, capacità innovativa), al cui management è stato inviato un questionario via e-mail. Tale questionario si è ispirato a quello di The Econo-mist (2004), opportunamente adattato e integrato dati gli obiettivi specifici dello studio in oggetto. Esso è stato inoltrato ai Direttori Generali o agli Amministratori Delegati o a responsabili funzionali indicati dallo stesso top management (responsabili della funzione Sistemi Informativi; responsabili della funzione Marketing/Commerciale; responsabili della funzione Produzione e Qualità; responsabili della funzione Conta-bilità e Amministrazione) delle imprese selezionate ed è stato strutturato intorno alle seguenti aree tematiche: 1. benefici e costi percepiti delle ICT; 2. fattori inibitori interni e/o esterni all’investimento in ICT; 3. fattori determinanti la scelta degli investimenti in ICT; 4. piani di investimento in ICT; 5. attività o processi della catena del valore su cui si concentrano gli investimenti in ICT; 6. grado di raggiungimento degli obiettivi degli investimenti in ICT; 7. metriche utilizzate per il monitoraggio degli investimenti in ICT; 8. aspetti strutturali delle funzione organizzativa che all’interno dell’azienda governa le ICT. Le domande finalizzate a rilevare l’atteggiamento e la risposta cognitiva del management delle imprese campane hanno previsto risposte con scale di misurazione a là Likert su una base pentenaria. Al fine di far emergere i fattori che, nella prospettiva del management delle imprese, spiegano gli investimenti in ICT (punto sub-3) è stata applicata sulle risposte ai questionari l’Analisi delle Componenti Principali (ACP) che ha permesso di ridurre il numero delle variabili indagate nei questionari attraverso la costruzione di nuove variabili o fattori ‒ le componenti principali per l’appunto ‒ che risultano dalla sintesi dell’insieme delle variabili indipendenti originarie, di cui costi-tuiscono una combinazione lineare. Da un punto di vista strettamente metodologico, le componenti principali sono dotate di caratteristiche di indipendenza e spiegano, secondo una percentuale via via decrescente, le informazioni contenute nelle variabili indipen-denti di partenza. Individuati i fattori o i costrutti che con una percentuale significativa spiegano le motivazioni agli investimenti in ICT delle imprese campane, si è proceduto all’impiego di una Cluster Analysis (CA) che ha consentito di tracciare le aggregazioni significative di imprese rispetto alle componenti principali.

Le imprese campane a cui è stato inviato il questionario sono quelle appartenenti ai settori caratterizzanti l’economia regionale, alcuni dei quali rappresentano la specializ-zazione internazionale della stessa regione: ferroviario, aeronautica, nautica, automo-bilistico (comprensivo anche dei settori della componentistica), chimico, imballaggi, alimentare e bevande, tessile, abbigliamento e calzature, logistica, produzione orafa. Sono state inoltre selezionate imprese appartenenti a sistemi distrettuali campani: San Marco di Cavoti (tessile-abbigliamento); Sant’Agata dei Goti (tessile-abbigliamento, meccanica); Solofra (concia); Nocera inferiore (alimentare); San Giuseppe Vesuviano (tessile-abbigliamento); Calitri (tessile-abbigliamento); Grumo Nevano (tessile-abbi-gliamento). Il questionario è stato inviato anche ad alcune imprese della grande distribu-

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zione al dettaglio, food e non food, tenuto conto dell’incremento delle aperture che negli anni più recenti si sono avute in Campania da parte di imprese organizzate a catena ad insegna nazionale e internazionale, così come ad imprese caratterizzanti sistemi locali di produzione (il sistema della produzione e commercializzazione di prodotti in corallo dell’area “torrese”).

L’indagine di campo si è svolta tra aprile e giugno 2008. I questionari restituiti com-pilati sono stati 46 sui 109 inviati (redemption rate del 42%).

tabella 1 La ricerca empirica esplorativa: la distribuzione delle aziende che hanno

risposto al questionario per settore di appartenenzaSettore N° aziende rispondentiAerospazio/Aeronautica 8Automobilistico (anche componentistica) 2Abbigliamento e calzature 1Alimentari e bevande 5Ferroviario 2Accessori moda 1orafo 4Nautica 2Information Communication Technologies 8Crocieristico 1Meccanica 1Servizi di progettazione, ingegneria e di ricerca e sviluppo 5Logistica 2Grande distribuzione al dettaglio 2Altro (aziende di servizi) 2Totale aziende rispondenti 46Totale aziende contattate 109Fonte: Ns. elaborazioni

3. Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, creazione di valore e relazioni tra imprese

Per quanto non sia possibile dare una generale e condivisa definizione, per tecno-

logie dell’informazione e della comunicazione si intende un insieme molto ampio di sistemi elettronici ad alta intensità connettiva con ruoli diversi nei processi di creazione di valore delle imprese e che consentono l’elaborazione e lo scambio delle informazioni in formato digitale.

I diversi studi che hanno avuto ad oggetto l’analisi delle ICT come sistema industriale non ne danno una definizione univoca, non solo a causa dei diversi obiettivi delle stesse analisi, ma anche per la continua evoluzione dei domini tecnologici delle stesse ICT. Una definizione autorevole è stata fornita dalla oECD (2001) secondo cui “ICT goods are those that are either intended to fulfil the function of information processing and communication by electronic means, including transmission and physical phenomena, or to control a physical process”. Pertanto, l’oECD definisce settori ICT: - quelli manifatturieri, come la fabbricazione di macchine per ufficio o di elaboratori

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e sistemi informatici; oppure la fabbricazione di apparati riceventi radio TV, per registrazione e riproduzione di suoni o di immagini e prodotti connessi; oppure la fabbricazione di apparati di misurazione, di controllo e di navigazione e prodotti connessi; oppure la fabbricazione di sistemi di controllo di processi industriali; oppure, ancora, la fabbricazione di componenti elettronici isolati;

- quelli dei servizi della distribuzione, ovvero legati alla distribuzione e al commercio all’ingrosso di macchinari per telecomunicazioni, apparati elettrici, computer, software; oppure l’affitto di macchine per ufficio e attrezzature (compresi i computer);

- quelli dei servizi immateriali, ovvero attività di telecomunicazioni, realizzazione di software consulenza informatica, elaborazione elettronica dei dati, attività di banche, servizi manutenzione e riparazione di macchine per ufficio, apparecchiature e sistemi informatici, altre attività connesse ai servizi di informatica.In una prospettiva più allargata possono essere inseriti altri settori quando la produ-

zione di prodotti e servizi richiede rilevanti competenze e tecnologie ICT. In una prospettiva competence-based, dunque, l’ICT diventerebbe un sistema com-

petitivo dai confini intersettoriali molto ampi data la molteplicità degli ambiti appli-cativi. Si pensi, ad esempio, ai settori legati all’industria dei contenuti: libri, prodotti multimediali, cinema, finanza, intrattenimento, elettronica di consumo, e così via. La convergenza intersettoriale governata dalle tecnologie connettive web-based è rappre-sentata da diversi prodotti o servizi: l’i-POD o l’i-Phone della Apple, un telefonino di nuova generazione come quello che sarà prossimamente lanciato da Nokia con il brand oVI, oppure Wikipedia l’enciclopedia online open source (Tapscott, Williams, 2007), ne sono soltanto alcuni esempi.

In una prospettiva allargata, quindi si può dire, che l’industria delle ICT è definita sempre più dalla frontiera delle sue convergenze in quanto essa finisce con il legare sempre più la componente Information Technology (IT) con quella relativa alla Communication Technology (CT). In particolare, quando quest’ultima ha assunto vesti nuove, cioè con l’avvento delle tecnologie di rete, l’informazione ha finito con il perdere quella caratteristica rappresentata dall’elaborazione su sistemi stand alone per divenire una componente condivisa con sistemi di una rete convergente (sia locale che quella globale di Internet).

Il presente lavoro non si propone di pervenire a una definizione normativa del settore ICT e a un’analisi strutturale dello stesso, se non per una parte minimale. L’obiettivo, invece, è quello di analizzare le relazioni e l’impatto delle ICT sulla gestione dei proces-si di creazione del valore e sul vantaggio competitivo delle imprese. Pertanto, la defini-zione che in questo lavoro si dà di ICT è la seguente: insieme di tecnologie e soluzioni integrate in sistemi a rete, di tipo hardware e/o software, che sulla base di standard pro-prietari (chiusi) e/o universali (aperti), e in formato digitale, rendono possibile: a. nuovi modi di coordinare ed integrare risorse e/o attività e/o processi di impresa, sia interni che esterni, nella creazione, sviluppo, produzione, distribuzione e marketing dei prodotti e/o servizi; b. nuovi modi di creare, elaborare e trasferire dati, informazioni e conoscenze per lo svolgimento delle attività di impresa (di prodotto, di processo, amministrativo-

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contabili, decisionali, etc.). Su questa definizione si è basata la explorative survey con-dotta sulle imprese del sistema di produzione locale in Campania.

Una delle caratteristiche fondamentali delle ICT è l’elevata capacità connettiva, con crescenti livelli di efficienza e efficacia man mano che le potenzialità applicative delle tecnologie aumentano e i costi di impianto e di gestione delle stesse si riducono. In altri termini, tali tecnologie si configurano come interfacce, aperte e standardizzate, che permettono – nell’ambito di una stessa impresa o tra organizzazioni indipendenti ‒ di condividere in tempo reale, con elevati livelli di efficienza e di efficacia, informazioni, risorse, conoscenze e competenze complementari, necessarie per attivare processi di co-creazione di valore (Prahalad, Ramaswamy, 2004).

Anche se tale capacità connettiva trova la sua piena manifestazione con l’affermazio-ne e diffusione di Internet come protocollo standard, universale e aperto (Vicari, 2001; Valdani, 2000; Mandelli, 1998), tra le ICT si comprendono sistemi basati su piattaforme elettroniche o di tipo «aperto» (come i sistemi EDI-Electronic Data Interchange) o di tipo «chiuso» (uso di standard «proprietario»), come i sistemi di integrazione computer-based (ad esempio, i sistemi di progettazione congiunta CADD-CAM) che consentono un alto livello di connettività e integrazione intra-impresa e inter-impresa.

Le accresciute esigenze di connettività nei sistemi di produzione di valore si sono determinate sotto la spinta di alcuni fenomeni tra di loro collegati che caratterizzano i contesti ipercompetitivi nell’economia della conoscenza:

la drammatica accelerazione dei processi competitivi ‒ che richiede alle imprese agi-1. lità strategica (Doz, Kosonen, 2008), capacità di ridefinire continuamente le regole della competizione e le basi del vantaggio competitivo – la necessità di sfruttare le economie di velocità e di soddisfare sempre meglio le aspettative dei clienti e degli altri stakeholder; crescente importanza delle risorse intangibili (risorse di competenza, di conoscenza 2. e di fiducia) nella produzione del valore e nello sviluppo del vantaggio competitivo delle imprese;tendenza delle imprese a focalizzarsi sulle 3. core competencies con una conseguente de-costruzione delle catene del valore in costellazioni diffuse e preordinate (Lorenzo-ni, 1990). Outsourcing strategico e operativo, multi localizzazione delle attività della catena del valore, condivisione dei processi critici attraverso la creazione di relazioni di collaborazione interimpresa sono i principali effetti del business re-design. Ciò determina l’emergere di un’economia delle relazioni (network economy) in cui attori indipendenti di sistemi di business de-costruiti interconnettono le proprie catene del valore, condividono risorse, conoscenze, competenze ed attività complementari per co-creare valore e acquisire vantaggi competitivi sistemici;diffusione di tecnologie dell’informazione e comunicazione basate su protocolli 4. standard, universali e aperti (protocollo Internet) come reti connettive di catene estese del valore multi localizzate (integrazione e coordinamento di catene del valore di imprese distinte, localizzate in aree territoriali diverse). Grazie alle nuove tecno-logie digitali ad alta intensità connettiva si rendono possibili, inoltre, nuovi modelli di business che superano i vincoli spazio-temporali e di accesso dei contesti in cui

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le connessioni e le relazioni nel sistema del valore si dispiegano attraverso la co-localizzazione fisica (offline) degli attori coinvolti. Le reti ad alta intensità connettiva ‒ basate su protocolli standard, universali e aperti – generano due ulteriori fenomeni estremamente significativi negli attuali contesti ipercompetitivi e di produzione del valore (Cantone, 2003): a. l’adozione di nuove forme di «divisione del lavoro cogni-tivo» incentrate su «comunità cognitive» o di «creazione» o di «apprendimento»; b. la rimozione del tradizionale trade-off richness-reach nelle relazioni interimpresa. Il primo fenomeno evidenzia la possibilità di utilizzare le reti digitali ad alta intensità connettiva come spazi virtuali per la condivisione, il trasferimento e la creazione di conoscenze; il secondo, invece, sottende la possibilità che attraverso dette tecnolo-gie si possano sviluppare relazioni interimpresa con gradi più elevati di ampiezza (numero di attori coinvolti) e di profondità (qualità delle relazioni);«transnazionalizzazione» dei processi di produzione del valore. La creazione di reti 5. internazionali estese entro le quali si generano processi di trasferimento transnazio-nale delle conoscenze locali presuppone la diffusione di tecnologie dell’informazio-ne e della comunicazione che facilitano la creazione di relazioni multiconnettive;la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ad alta inten-6. sità connettiva ‒ facilitando i processi di codificazione e, quindi, il trasferimento di «conoscenza codificata» (Polany, 1967) lungo catene transnazionali del valore (Antonelli, 1999a, 1999b) ‒ rendono «ubiqua» la disponibilità di conoscenza codi-ficata (processo di «ubiquificazione» della conoscenza codificata (Maskell, Malm-berg, 1999a, 1999b). Il processo di ubiquification riducendo l’importanza strategica della disponibilità localizzata di risorse di conoscenza codificata nei processi di attrazione territoriale di nuove attività di impresa, costituisce una minaccia rilevante per imprese localizzate in aree ad elevato costo dei fattori di produzione (Calvosa, 2002). L’ubiquificazione della conoscenza esplicita, infatti, consente alle imprese di poter localizzare le attività o continuare ad operare in aree con condizioni dei fattori produttivi più vantaggiose in termini di costo (soprattutto per quanto riguarda il costo del lavoro), e quindi avere posizioni di vantaggio rispetto ad imprese localizzate in aree ad elevato costo dei fattori produttivi. In considerazione dei processi di ubiqui-ficazione delle risorse, e nella prospettiva delle teorie resorced based e knowledge based applicate ai territori, il vantaggio competitivo delle imprese operanti in aree ad alta industrializzazione manifatturiera e ad alto costo dei fattori produttivi, e quindi la capacità di tali territori di attrarre nuove risorse e attività produttive, dipende non tanto e soltanto dalle risorse di conoscenza codificata localizzata, quanto dal dispiegarsi in tali territori di meccanismi e routine di «socializzazione-esternaliz-zazione-ricombinazione-internalizzazione» della conoscenza (Nonaka, Takeuchi, 1995), ovvero della sua creazione, trasferimento e utilizzo nel sistema locale. Questi processi, a nostro parere, costituiscono la principale fonte di vantaggio competitivo delle imprese operanti in aree ad elevato costo dei fattori produttivi. Pertanto, ai fini delle scelte di localizzazione delle attività di impresa, la facilità di accesso alla cono-scenza esplicita e codificata costituisce un’importante opportunità per le aree a basso costo dei fattori produttivi a scapito di quelle ad alto costo. La strategia di sviluppo

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in queste aree, pertanto, deve focalizzarsi proprio su quei fattori distintivi di difficile trasferibilità e riproducibilità in altri contesti spaziali. Uno di questi fattori, come si è detto, è la presenza di meccanismi e di routine di «socializzazione-esterna-lizzazione-ricombinazione-internalizzazione» della conoscenza nel sistema locale e come essi si dispiegano per migliorare e rafforzare le potenzialità competitive delle imprese in esso localizzate o intendono localizzarsi.

Le ICT, come si è detto, sono una formidabile leva strategica per innovare il modello di business delle imprese, anche quelle di piccole e medie dimensione. La pervasività a più livelli di tali tecnologie si riscontra nelle attività e nei processi della catena del valore dell’impresa, così come nei prodotti e nei servizi offerti. Ma in cosa consiste questa capacità delle ICT di migliorare e innovare il modello di business dell’impre-sa? Le risposte sono molteplici, ma in estrema sintesi sono le seguenti.

Le ICT innovano il prodotto. è sotto gli occhi di tutti il crescente numero di prodotti governati da “microchip inside” che ne aumentano le prestazioni e la qualità percepita dai clienti. I sistemi tecnologici “intelligenti” interni al prodotto, inoltre, migliorano l’efficiente e l’efficace funzionamento degli stessi, nonché la relativa gestione nel corso dell’intero ciclo di vita in cui permangono nell’uso dei clienti. Macchine utensili a controllo numerico di generazione evoluta, elettrodomestici e automobili i cui dispo-sitivi di funzionamento sono controllati e monitorati da microchip, diversi dispositivi all’interno della casa (illuminazione, condizionamento, sistemi di allarme, infissi, etc.), che fino a pochi anni erano azionati e controllati da sistemi manuali o elettromeccanici, sempre più sono governati in modo integrato dall’invisibile leggerezza del microchip.

Le ICT innovano il servizio. Nell’economia neo-industriale la tangibilità dei prodotti si integra sempre più con l’intangibilità dei servizi a valore aggiunto. Si pensi ad esempio, ad una bottiglia di vino di alto pregio che ha su uno dei lati un’etichetta contenente un chip che rileva la temperatura consentendo al consumatore di apprez-zare nelle migliori condizioni possibili le caratteristiche qualitative del prodotto. oppure ai servizi prevendita di prodotti di arredamento sempre più supportati da sistemi di progettazione virtuale che ampliano le opzioni di soluzioni di arredamento per clienti. oppure, ancora, alle tecnologie RFID (Radio Frequency Identification, tecnologia per la identificazione automatica di oggetti, animali o persone attraverso la lettura a distanza di informazioni contenute in un tag RFID usando lettori RFID) che monitorano il flusso dei prodotti nei punti vendita e nei magazzini.

Le ICT innovano i processi aziendali della catena del valore, in altre parole i pro-cessi di creazione, di produzione e consegna di valore ai clienti. Le ICT diventano sempre più pervasive e strategiche nella gestione delle attività e dei processi della catena del valore delle imprese. Un esempio per tutti, le tecnologie digitali di virtual prototyping che creano in ambiente virtuale prototipi di prodotto testabili e valutabili dai potenziali consumatori in una dimensione virtuale anziché reale, con notevoli risparmi di costo e di tempo. Le ICT, inoltre, hanno un impatto positivo sulla pro-duttività e sull’efficienza. Uno dei casi di riferimento a tal proposito è quello di Wal Mart. In un articolo pubblicato nel 2004 in The McKinsey Quarterly si poteva leg-gere quanto segue: “Who would have aspected the retail sector to be a big part of the

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new-economy story in the United States? Retailers seemed to have been left out of the technology and operational improvements that transformed US manufacturing. Yet retail-labor productivity growth more than tripled after 1995, contributing roughly one-quarter of the national productivity acceleration of 1995-99. The reason can be explained in just two syllables: Wal-Mart, whose operational innovations – includ-ing the “big box” format, “every day low price”, electronic data interchange with suppliers, and economies of scale in warehouse – forced the competitors to adapt”. Tra le applicazioni ICT che innovano i processi aziendali sono annoverabili diverse tipologie: i cosiddetti sistemi gestionali integrati ERP (Enterprise Resource Plan-ning) che sono un prerequisito per la gestione integrata dei processi chiave aziendali; i sistemi di business intelligence, che sfruttano in modo approfondito la “miniera” di dati a disposizione dell’impresa da diverse fonti (transazioni commerciali, ricerche ad hoc, web) per supportare al meglio le decisioni dei manager e il monitoraggio di specifiche attività; gli applicativi a supporto dell’attività di progettazione (CAD) e di gestione dei dati di prodotto (PLM) che supportano in modo efficace l’innovazione di prodotto; le applicazioni Mobile & Wireless basate su rete cellulare, wireless o tecno-logia RFID che innovano e migliorano l’attività del “personale in movimento” (ven-ditori, agenti, personale addetto alle attività logistiche e di trasporto) e il controllo dei flussi di prodotto; le applicazioni di enterprise portal finalizzati al miglioramento delle comunicazioni con i dipendenti, all’ottimizzazione dei processi aziendali, alla riduzione dei tempi di gestione, alla gestione amministrativa delle risorse umane.

Le ICT innovano le relazioni all’interno della stessa catena del valore dell’impresa e/o tra catene del valore di imprese autonome e interrelate. Tali tecnologie favo-riscono relazioni collaborative con i molteplici attori dell’intera catena del valore (applicativi di supply chain management), con i clienti (applicativi di customer rela-tionship management), oppure la gestione delle interrelazioni tangibili e intangibili nell’ambito della catena del valore o di catene del valore diverse della stessa impresa. Si pensi, ad esempio, alle applicazioni ERP che sono fondamentali per la gestione integrata delle attività di impresa (contabilità, logistica, produzione, gestione risorse umane), alle applicazioni web-based aperte verso l’esterno (extranet) che rendono possibile il collaborative co-design tra imprese clienti e fornitori, alle applicazioni web-based interne alle imprese (intranet) per l’interazione in parallelo e in tempo reale dei diversi processi aziendali, oppure ad applicativi CRM (internet-based) che permettono più profonde e ampie interazioni con i clienti finali.

Le ICT innovano i canali di comunicazione con gli stakeholder chiave. Tali tecno-logie pongono le imprese nella condizione di poter utilizzare modalità di comuni-cazione più personalizzate e selettive (one to one), sia verso l’interno, il personale, sia verso l’esterno, gli altri stakeholder primari. Il web, le applicazioni intranet e extranet, gli strumenti di marketing online, le tecnologie Mobile & Wireless, le nuove piattaforme televisive (IP TV, Web TV), la tecnologia Web 2.0 offrono nuove opportunità per comunicare in modo diretto e personalizzato con i diversi interlocu-tori dell’impresa (personale, fornitori, clienti, partner, etc.) migliorando l’efficacia della comunicazione.

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Come si evince dalla figura 1, le tecnologie interconnettive della comunicazione e dell’informazione hanno seguito un ciclo evolutivo che in sintesi può essere così rap-presentato (Cantone et alii, 2006):

una prima fase (anni ‘50-‘70) durante la quale si è diffusa l’automazione finalizza-• ta ai miglioramenti di efficienza dei processi interni di creazione di valore. In un primo periodo (anni ’50-’60), l’automazione ha riguardato essenzialmente i processi amministrativo-contabili con l’adozione di sistemi informativi automatizzati, ad architettura centralizzata e procedure di elaborazione di tipo batch (mainframe e midrange computing). Negli anni ’60-’70, invece, le tecnologie dell’informazione si sono diffuse a tutti quei processi operativi della catena del valore per i quali l’accesso in tempo reale ad un’ampia quantità di dati e informazioni è fattore critico (si pensi, ad esempio, ai sistemi informativi automatizzati per la gestione delle attività di pro-duzione, delle scorte, delle vendite, del ciclo dell’ordine, e così via);una seconda fase (anni ’70-’80) in cui si diffondono le tecnologie dell’informazione • e della comunicazione che migliorano l’efficienza e l’efficacia dei processi decisio-nali sino a livello individuale. Tutto ciò è reso possibile dalla diffusione di tecnologie client/server computing e dalla conseguente semplificazione dei sistemi di elabora-zione (sia a livello hardware sia a livello software);una terza fase (a partire dagli anni ’90) in cui con la diffusione delle tecnologie • Inter-net/network computing si migliora l’efficacia e l’efficienza dei processi di produzio-ne nel sistema del valore nel suo complesso. Tali tecnologie, infatti, sono in grado di integrare e coordinare con più elevati gradi di performance non solo le attività della catena del valore di ogni singola impresa ma le catene del valore di tutti gli altri attori indipendenti del sistema di business coinvolti nei processi di (co)creazione di valore (fornitori, clienti, concorrenti, altri partner).Per quanto detto, l’evoluzione delle tecnologie ad alta intensità connettiva permette

di cogliere diverse opportunità di rilevanza strategica, soprattutto in contesti ipercom-petitivi: migliorare la «profondità» e l’«ampiezza» delle relazioni di collaborazione tra attori indipendenti del sistema di business. E questo, da un lato attraverso il superamen-to dei vincoli e dei i costi di spazio e di tempo imposti dai modelli di business in cui i legami, le interrelazioni e le interdipendenze nei processi di (co)produzione del valore si fondano prevalentemente sulla connessione fisica degli attori coinvolti; dall’altro, attraverso la possibilità di modificare le «regole di interazione competitiva» (D’Aveni, 1994) attraverso l’adozione di modelli di business che si basano su nuove architetture strategiche ed organizzative dei sistemi di creazione di valore e che rendono possibili nuovi approcci allo sviluppo del vantaggio competitivo (Vicari, 2001; De Frigueiredo, 2000; Amit, Zott, 2000; Achrol, Kotler, 1999; Hamel, Prahalad, 1994; Markides, 1998; Slywotzky, Morrison, Andelman, 1998; Doz, Kosonen, 2008; Hax, Wilde II, 1999).

Uno degli assunti della letteratura più consolidata (Evans, Wurster, 2000; Valdani, 2000; Shapiro, Varian, 1999; Hagel, Armstrong, 1997) è che le tecnologie della connet-tività basate sul protocollo Internet rimuovono il tradizionale trade-off richness-reach (Evans, Wurster, 2000). In altri termini, con riferimento specifico ai rapporti di fornitura,

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le tecnologie digitali ad alta intensità connettiva, basate sul protocollo Internet consen-tono di aumentare, a costi estremamente competitivi, sia la profondità (richness) sia l’ampiezza (reach) delle relazioni tra clienti e fornitori.

Coerentemente con le definizioni di Evans e Wurster (2000), la «profondità» è un costrutto che sintetizza la ricchezza e la qualità delle relazioni tra gli attori dei sistemi di business. Tale costrutto può essere definito da vari elementi, come, ad esempio, la qualità (in termini di affidabilità, personalizzazione e tempestività) delle informazioni e delle conoscenze condivise, il grado di integrazione dei processi di creazione del valore (processi logistici, di produzione, di progettazione, etc.), il grado di collaborazione, di fiducia e di mutualità dei vantaggi su cui si fonda la relazione. Per «ampiezza» della relazione, invece, si intende il numero degli attori del sistema di business coinvolti nei processi di (co)creazione del valore.

Pertanto, la diffusione di tecnologie digitali ad alta intensità connettiva, basate sullo standard di comunicazione universale e aperto di Internet, determina l’affermazione di modelli di e-business fondati su network di fornitura allo stesso tempo ampi e profondi. Si creerebbero, quindi, le condizioni tecnologiche ed economiche affinché nella sup-ply chain possano svilupparsi relazioni interimpresa con gradi molto più elevati sia di profondità che di ampiezza rispetto a contesti in cui le relazioni e le interconnessioni nel sistema del valore hanno luogo o attraverso la co-localizzazione fisica degli attori coinvolti o attraverso l’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione esclusive (proprietarie) oppure, ancora, attraverso l’uso di tecnologie di informazione e di comunicazione di massa. Infatti, le interconnessioni fisiche e quelle che si basano su tecnologie elettroniche dell’informazione e della comunicazione di tipo chiuso (reti proprietarie) sono limitate, rispettivamente, dai vincoli spazio-temporali e di accesso. Esse, pertanto, permettono di sviluppare relazioni estremamente profonde ma con un numero limitato di attori del sistema del valore. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione di massa, invece, attivando connessioni del tipo one-to-many favorisco-no lo sviluppo di relazioni poco profonde ma con un numero molto ampio di attori del sistema del valore.

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FiGura 1Evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Una rappresentazione di sintesi.

Fonte: Cantone et alii, 2006

Sotto la spinta delle reti connettive digitali, invece, si rendono possibili strutture di governo delle relazioni che sfruttano sia i vantaggi di «ampiezza» (ricorso al «mercato» nel significato di Williamson, 1975) sia quelli di «profondità» (ricorso alla «gerarchia») rendendo possibile la costruzione di estesi rapporti di collaborazione attraverso collegamenti computer-mediated o web-mediated (online partnership).

In definitiva, nell’era delle reti di comunicazione digitali, si creano i presupposti per il superamento del tradizionale «trade-off profondità-ampiezza» che caratterizza i sistemi di valore «fisici» in cui si riscontra una limitata connettività e una bassa varietà relazionale, mentre la produzione del valore si fonda su una indissolubile integrazione tra processi «fisici» (progettazione, produzione e distribuzione dei prodotti) e processi cognitivi (creazione di nuova conoscenza, processi di apprendimento, trasferimento e condivisione di conoscenza, trasferimento e condivisione di informazioni) (Valdani, 2000).

Le tecnologie digitali ad alta intensità connettiva, basate su standard universali e aperti, pur potendo, da un lato, favorire l’adozione di strutture di governo delle relazioni nei sistemi del valore, potenzialmente in grado di cogliere sia le economie di ampiezza sia quelle di interazione, dall’altro, possono determinare un incremento della rivalità tra gli attori della supply chain, e più in generale nel sistema della concorrenza allargata (Porter, 2001). E questo a causa di migrazioni di potere contrattuale da un attore all’altro del sistema competitivo o di un ulteriore rafforzamento di già consolidate posizioni di potere. Ad esempio, nei mercati in cui la base di fornitori è molto frammentata,

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le tecnologie Internet aumentano il potere contrattuale dei clienti i quali potrebbero essere indotti a perseguire comportamenti opportunistici e conflittuali nei confronti delle imprese fornitrici. L’aumento del potere contrattuale dei clienti deriva, inoltre, dai processi di disintermediazione nella supply chain e dalla perfetta accessibilità di tutti i clienti alle stesse fonti di fornitura (omogeneizzazione delle risorse). Queste condizioni si possono tramutare in una pressione sui fornitori per ottenere prezzi di vendita più bassi qualora le imprese clienti decidano di far leva sul maggior potere contrattuale acquisito. Allo stesso modo Internet aumenta il potere contrattuale dei fornitori in quanto essi possono accedere, a costi molto contenuti e senza l’intervento di intermediari, ad una più ampia base di clienti (perfetta sostituibilità clienti). Anche in questo caso l’effetto potrebbe essere una maggiore pressione dei fornitori sui clienti per ottenere prezzi più elevati e condizioni di vendita più favorevoli.

Grazie alle tecnologie connettive basate su Internet, dunque, si determinano quelle condizioni di information democracy (Sawhney, Kotler, 2001) che riducono, se non addirittura annullerebbero, le asimmetrie informative (Amit, Zott, 2000) e, pertanto, alimenterebbero comportamenti opportunistici e conflittuali nei rapporti clienti-fornitori. Una più intensa conflittualità tra gli attori del sistema di business, inoltre, può essere favorita anche dagli effetti della cosiddetta frictionless economy (Brynjolfsson, Smith, 2000) che le tecnologie Internet generano: la riduzione dei costi di transazione per le imprese che acquistano e vendono i propri beni e servizi in rete (e-procurement, e-sales), la possibilità delle imprese clienti di ricercare a costi molto bassi, e senza vincoli di spazio e di tempo, prodotti e servizi più coerenti con le proprie esigenze e più competitivi in termini di prezzo; l’accesso a costi molto bassi da parte delle imprese fornitrici ad una base di clienti molto ampia, più coerente con le proprie capacità, strategie e obiettivi di redditività.

Le tecnologie connettive, quindi, possono favorire lo sviluppo di rapporti conflittuali e opportunistici nei sistemi di valore, minando alle sue basi un modello di relazioni tra gli attori del business che in tempi recenti si è affermato e diffuso in diversi mercati, in particolare in quelli ipercompetitivi e ad alta intensità di innovazione: il modello delle relazioni di collaborazione, basato su rapporti di lungo termine, di fiducia e di mutualità dei vantaggi.

Nella figura 2, si evidenzia l’evoluzione delle tecnologie connettive dell’informa-zione e della comunicazione internet-based guardando all’oggetto dei flussi informativi scambiati, alle attività della catena del valore coinvolte, ai vantaggi generati, all’approc-cio relazionale tra gli attori coinvolti nei flussi di scambio (Cantone et alii, 2006).

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FiGura 2 Evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Una rappresentazione di sintesi

Fonte: Cantone et alii, 2006

4. Un modello di analisi per la valutazione dell’impatto delle ICT sui processi di creazione di valore delle imprese

Anche in considerazione di quanto si è in precedenza detto, qui di seguito si propone un modello concettuale per la valutazione dell’impatto degli investimenti in ICT sui processi di creazione di valore delle imprese. Tale modello è stato testato attraverso una explorative empirical survey sulle imprese operanti in Campania in diversi settori, così come si è descritto nella nota metodologica.

Il modello concettuale di analisi proposto è disegnato nella prospettiva degli end users, ovvero del management dell’impresa che adotta investimenti in ICT per la gestione dei processi aziendali. In genere, nelle organizzazioni, la decisone di acquisto di una tecnologia è affidata ad una unità organizzativa che prende il nome di “centro di acquisto” (tra gli altri: Webster Jr, 1991). Il modello concettuale di analisi è strutturato evidenziando l’insieme dei benefici (conseguenze positive) e dei costi (conseguenze negative) che nella prospettiva dell’impresa o dell’organizzazione – o più correttamente il “centro di acquisto” – si determinerebbero in relazione alla decisione di un investi-mento in ICT.

Una classificazione generale dei benefici e costi può la seguente (tra gli altri: Busac-ca, 1994):

conseguenze (benefici e costi) funzionali. Esse sono la rappresentazione funzionale 1.

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dell’impatto dell’investimento in ICT e sono la diretta espressione di diretti e con-creti fattori collegati a metriche di performance ICT;conseguenze psicosociali. Sono quelle di un più elevato livello di astrazione rispetto 2. alle prime. I fattori di impatto e generatori di valore nella prospettiva del mana-gement delle imprese sono rappresentati in termini di conseguenze psicosociali e cognitive che si possono produrre nell’organizzazione con l’adozione di tali tecno-logie (o della non adozione);conseguenze esplicite, collegate a generatori di valore razionali che i decisori della 3. scelta dell’investimento sono in grado di riconoscere e definire in quanto connessi direttamente ad attributi di performance della tecnologia;conseguenze implicite, quelle connesse a generatori di valore che il “centro di 4. acquisto” non è in grado di definire chiaramente in quanto i bisogni che la tec-nologia dovrebbe soddisfare non sono facilmente articolabili (il tipico caso di un investimento in tecnologie radicalmente nuove per l’organizzazione).

Generalmente il centro di acquisto delle organizzazioni ha un comportamento di acquisto prevalentemente razionale e consapevole; pertanto, le conseguenze che una determinata situazione di acquisto è in grado di determinare, in accordo con la classi-ficazione precedente proposta, sono, prevalentemente, funzionali e esplicite. Le conse-guenze implicite, sia funzionali che psicologiche, i membri del centro di acquisto non potrebbero essere in grado di articolarle precisamente. Pertanto, i benefici (conseguenze positive) e i costi (conseguenze negative) di un investimento in ICT non potrebbero avere un’obiettiva misura, ma solo una soggettiva valutazione, così come percepita dagli stessi membri del “centro di acquisto”.

Una classificazione dei benefici (conseguenze positive) e dei costi (conseguenze negative) di un investimento in ICT più funzionale e coerente con gli obiettivi di questo lavoro e l’indagine empirica effettuata è quella decritta qui di seguito.

Relativamente ai benefici, possono essere distinti: i benefici di innovazione di prodotto,• derivanti da soluzioni di ICT intelligenti all’interno dei prodotti (microchips inside);i benefici di innovazione del servizio, generati da applicazioni ICT che integrano • al prodotto servizi ad alto valore aggiunto e di valore per gli end user; i benefici di innovazione di processo, creati da soluzioni ICT che innovano e migliorano il modo in cui le attività sono svolte o il modo in cui alcune risorse sono combinate nei processi aziendali;i benefici di innovazione delle relazioni di business• , prodotti dalle ICT che supportano la gestione delle interrelazioni all’interno della catena del valore della stessa impresa o tra catene del valore di attori del sistema di business (fornitori, clienti, partner, etc.); i benefici di innovazione dei canali comunicazione• , connessi alle ICT che consentono diversi e più efficaci processi di comunicazione dell’impresa con i propri stakeholder primari (personale, fornitori, clienti, etc.).

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Una categorizzazione dei costi che le imprese sostengono per disporre e utilizzare soluzioni ICT è la seguente:

costo di acquisto (o prezzo di acquisto),• l’onere che l’impresa sostiene per acquistare e disporre di una applicazione ICT;costi di installazione• , sostenuti per installare e rendere pronta per l’uso una soluzio-ne ICT nelle routine operative e organizzative dell’impresa. Tale costo può essere articolato in diverse voci: costi di collegamento o di legacy che a loro volta possono essere di tipo interno (per assicurare la necessaria interoperabilità con le altre tecno-logie informative esistenti nell’organizzazione o con gli stessi processi organizzati-vi) e esterno (per assicurare l’interoperabilità funzionale con organizzazioni esterne: clienti, fornitori, e così via); costi architetturali o di layout o logistici, derivanti dalle eventuali modifiche alle strutture fisiche che l’inserimento di tali tecnologie richiede; costi tecnici e operativi; costi necessari per predisporre un ottimale ambiente interno per il funzionamento operativo delle tecnologie (climatizzazione, aerazione, insono-rizzazione, etc.);costi• di processo, che comprendono tutti gli oneri che l’impresa sostiene per gestire la soluzione ICT lungo il suo ciclo di vita, compreso i costi di manutenzione e di aggiornamento (software e hardware);costi• di apprendimento, derivanti dallo sviluppo e trasferimento all’interno dell’or-ganizzazione delle necessarie competenze e abilità per un efficace ed efficiente uso della soluzione tecnologica, come i costi di addestramento iniziale del personale e di addestramento nel ciclo di vita d’uso della tecnologia a seguito di iniziative di up grading;costi• di switching, che comprendono tutti gli oneri che l’impresa sostiene per dar seguito ai necessari cambiamenti organizzativi (process reengineering) derivanti dall’adozione della tecnologia. L’inserimento di nuove soluzioni ICT, ad esempio, potrebbe richiedere la necessità di creare nuovi ruoli, funzioni o attività organizzati-ve, o cambiamenti nei sistemi operativi (sistemi contabili, informativi, di controllo, di incentivazione, etc.);costi• di rischio percepito, derivante dall’incertezza e dalle asimmetrie informative rispetto alla soluzione tecnologica che il centro di acquisto ha. Il rischio di incertezza di performance, di incertezza del mercato di fornitura, di rischio finanziario e psico-logico sono esempi di tale categoria di costi;costi• per problemi procedurali e operativi, generati dall’insieme dei problemi e delle difficoltà organizzative che potrebbero sorgere con l’inserimento della soluzione ICT nell’organizzazione (difficoltà di addestrare il personale, difficoltà di cambiare rapi-damente i comportamenti organizzativi e culturali). Più alti sono questi costi percepiti più elevati sono i costi opportunità della solu-

zione ICT:costi per problemi “politici”,• derivanti dalle diverse opinioni nell’organizzazione, formale e informale, circa gli effetti sull’utilizzo di una soluzione ICT; costi opportunità• , ovvero la perdita di utilità derivanti dalla rinuncia a forme di inve-stimento alternative;

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costi• di obsolescenza, derivanti dalla volatilità percepita della tecnologia e quindi dalla velocità con cui la soluzione ICT è sottoposta a un processo di perdita del valore fisico, economico e tecnologico rispetto a soluzioni alternative di riferimento.Alcuni di tali costi ‒ si pensi ai costi di acquisto, di installazione, di switching, di ri-

schio percepito, “politici” ‒ possono aumentare a causa della localizzazione dell’imprese in contesti in cui manca un’offerta adeguata di ICT, o un mercato del lavoro qualificato e con un buon turnover, o dove mancano servizi di assistenza qualificata in loco. Per tale motivo l’indagine empirica si è focalizzata anche sulla percezione, da parte dei respon-sabili delle imprese intervistate, dei vincoli o ostacoli esogeni alle imprese, e quindi di contesto, che influenzano gli investimenti in ICT. Questi ostacoli possono innalzare la percezione di rischio, e, quindi, dei costi e delle difficoltà connessi all’adozione di tali investimenti.

Il valore assoluto di una determinata soluzione ICT, nella prospettiva dell’organiz-zazione potenziale adottante, è definito dallo spread (o dal rapporto) tra il valore dei benefici e l’ammontare dei costi totali che essa potrebbe produrre se inserita nei processi di creazione di valore aziendali. Quanto maggiore è la differenza (o il rapporto) tra i due termini tanto maggiore è l’incentivo dell’organizzazione ad acquistare la soluzione ICT (Cantone, Cantone, Donzelli, 2001; Cantone, Cantone, Donzelli, 2000(a); Cantone, Cantone, Donzelli(b); Anderson, Narus, 1998; Cantone, 1996; Costabile, 1996; Valdani, 1995; Gale, 1994; Busacca, 1994). L’analisi dei benefici e dei costi percepiti connessi alle soluzioni ICT consente di valutare e misurare, inoltre, l’atteggiamento dei potenziali clienti verso esse.

Il modello concettuale di valutazione qui proposto è la base della ricerca empirica condotta sulle imprese campane al fine di analizzare l’atteggiamento del management verso gli investimenti in ICT e il ruolo che essi affidano o intendono affidare a tali tecno-logie nei processi di creazione, produzione e distribuzione del valore.

5. Il sistema delle imprese ICT in Campania: una visione di sintesi

In questa parte del lavoro si intende rappresentare un quadro di sintesi della struttura del sistema delle imprese ICT in Campania così come emerge da fonti secondarie. A tal fine si fa riferimento al Rapporto RCost-Assinform 2005 (Bellini, 2005) nel quale sono contenuti i risultati della più recente ricerca sul settore nella regione. Per quanto questo studio rilevi i dati al 2004 essi possono essere un buon quadro di rappresentazione delle ICT nella regione. Naturalmente per un approfondimento maggiore delle caratteristiche strutturali del sistema ICT in Campania si rimanda a detto rapporto di ricerca.

Tale indagine condotta sull’universo delle imprese ICT in Campania analizza il sistema ad un triplice livello: un primo livello è quello delle imprese ICT cosiddette “potenziali” ovvero di tutte quelle iscritte al Registro delle Imprese al 31 ottobre 2004 nei diversi codici ATECo riconducibili all’ICT. In questo insieme di imprese è compre-so il sottoinsieme delle “imprese potenziali di telecomunicazioni (TLC)” e quello delle “imprese potenziali delle tecnologie dell’informazione (IT)”. Un secondo livello di ana-

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lisi è rappresentato dalle imprese ITC “operative”, distinte in imprese con “competenze ICT non specialistiche” e in imprese con “competenze ICT specialistiche”. Ciascuno di questi ultimi sottoinsiemi è stato scomposto, e questo è il terzo livello di analisi, in tre tipologie di imprese avuto riguarda del grado di complessità e di valore aggiunto delle attività svolte (di produzione e/o di servizi).

Come si evince dalla figura 3, nel 2004 le imprese IT operative in Campania sono poco più di 2.400 con una riduzione del 2,5% rispetto al 2003. Seguendo la classifica-zione ad albero di RCost-Assinform, la presenza maggiore è data dalle imprese IT con “competenze ICT non specialistiche” (1.698 unità, con una riduzione del 3,2% rispetto al 2003), mentre le imprese IT con “competenze specialistiche ICT” sono meno della metà di queste (720 imprese, con una riduzione dello 0,7% rispetto al 2003). Tra le imprese IT con competenze specialistiche ICT la presenza maggiore è data dalle imprese di “Software e Servizi IT” e di “Web e Servizi reali”. Le prime aumentano la loro pre-senza del 3% nel periodo 2003-04; le seconde, invece, si riducono nello stesso periodo del 3,8%. Nell’ambito del raggruppamento di imprese IT operative con competenze ICT specialistiche le variazioni maggiori sono delle imprese che producono applicativi software (+12,7%) e che sviluppano attività connesse al Web. Per quanto riguarda il raggruppamento delle imprese IT con competenze non specialistiche ICT il calo più significativo (-5%) si rileva per le imprese del “canale indiretto” ovvero dedite alla commercializzazione e distribuzione. Anche le imprese di elaborazione dati elementare subiscono una riduzione (-2,5%) seppure inferiore a quella verificatasi per tipologia di imprese precedente.

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FiGura 3 2004. Il sistema delle imprese ICT in Campania (2004)

N. di imprese ICT “potenziali”

N. imprese TLC “potenziali” N. imprese IT “potenziali”

N. imprese “non IT” N. imprese IT “non

raggiungibili”

N. imprese IT

“operative”

N. imprese “competenze ICT

non specialistiche”

N. imprese “competenze ICT

specialistiche”

N. Imprese

“Canale

Indiretto”

N. Imprese

“Riparazione e

Assemblaggio

Elementare”

N. Imprese

“Elaborazione

Dati Elementare”

N. Imprese

“Software e

Servizi IT”

N. imprese

“Produzione di

Hardware”

N. Imprese

“Web

e Servizi”

N. imprese

Preval.

Applicativi

N. Imprese Preval.

Integrazione&Custom

.

N. Imprese

Preval. Servizi IT

N. Imprese

Preval.

Consulenze

N. Imprese

Preval.

Formazione

N. Imprese

Preval. Web

6.992 (-2,6%)

6.992 (-2,6%)

2.418 (-2,5%)

720 (-0,7%)

600 (-3,8%)

275 (-2,8%) 3.699 (-2,4%)

1.628 (-3,2%)

746 (-5,0%) 8 (inv.) 374 (-3,8%) 205 (+0,5%) 747 (-2,5%) 338 (+3,0%)

124

(+12,7%) 68(-2,8%) 146 (-1,3%) 139 (-1,4%) 65 (+1,6%) 170 (-7,6%)

Fonte: RCost-Assinform (2005)

Nelle tabelle 2 e 3 si riportano invece i dati riguardanti la distribuzione degli addetti nei settori ICT nelle diverse regioni italiane e i valori degli indici di specializzazione regionale, calcolati in termini di addetti. I dati evidenziano che nel periodo 1991-1996-2001 la percentuale degli addetti nei settori ICT in Campania si è ridotta, passando dal 7,1% del 1991, al 6,7% del 1996 e al 6% del 2001. Anche nelle altre regioni del Mezzo-giorno si rileva una riduzione in percentuale degli addetti nei settori ICT, differentemen-te da quanto accade in alcune regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) e del centro (Lazio) che aumentano la quota percentuale degli addetti.

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tabella 21991-2001. La distribuzione degli addetti nei settori dell’ICT nelle regioni d’Italia

Regione 1991 1996 2001Lombardia 25,5% 25,9% 27,2%Lazio 15,9% 16,0% 17,2%Piemonte 10,7% 10,4% 9,7%Veneto 7,0% 7,7% 7,6%Emilia-Romagna 6,4% 6,8% 7,1%Campania 7,1% 6,7% 6,0%Toscana 5,4% 5,5% 5,6%Sicilia 4,0% 3,7% 3,3%Puglia 3,1% 3,0% 2,7%Liguria 2,8% 2,6% 2,5%Marche 2,0% 2,1% 1,9%Friuli Venezia Giulia 2,0% 2,0% 1,8%Abbruzzo 2,2% 1,7% 1,7%Sardegna 1,6% 1,5% 1,5%Trentino Alto Adige 1,4% 1,4% 1,4%Calabria 1,2% 1,2% 1,1%Umbria 1,0% 0,9% 0,9%Basilicata 0,4% 0,4% 0,4%Valle d’Aosta 0,2% 0,2% 0,3%Molise 0,2% 0,2% 0,2% 100,0% 100,0% 100,0%Fonte: elaborazione KLEOS-RCOST su dati ISTAT Censimento, 2001

Nello stesso periodo 1991-1996-2001 anche l’indice di specializzazione della regione Campania, conseguentemente, evidenzia una tendenza alla riduzione, passando dal 1,45 del 1991, a 1,36 del 1996 a 1,15 del 2001. Nonostante tale andamento, detto indice evidenzia una performance inferiore soltanto alla regione Lazio che mostra un valore al 2001 pari a 1,67 con una tendenza alla crescita sia rispetto al 1991 (1,37) sia rispetto al 1996 (1,39).

tabella 3Indici di specializzazione ICT nelle regioni d’Italia

Regione 1991 1996 2001Lazio 1,37% 1,39% 1,67%Campania 1,43% 1,36% 1,12%Lombardia 1,11% 1,13% 1,13%Valle d’Aosta 0,94% 0,94% 1,07%Piemonte 1,07% 1,12% 1,07%Liguria 0,97% 0,97% 1,01%Abbruzzo 1,18% 0,92% 0,92%Sicilia 0,98% 0,95% 0,88%Sardegna 0,92% 0,88% 0,84%Toscana 0,78% 0,78% 0,81%Friuli Venezia Giulia 0,82% 0,83% 0,80%Calabria 0,82% 0,87% 0,78%Emilia-Romagna 0,72% 0,74% 0,76%Veneto 0,74% 0,77% 0,76%Trentino Alto Adige 0,74% 0,73% 0,72%Puglia 0,82% 0,80% 0,68%Marche 0,72% 0,72% 0,64%Molise 0,52% 0,66% 0,63%Umbria 0,76% 0,67% 0,60%Basilicata 0,68% 0,67% 0,59%Fonte: elaborazione KLEOS-RCOST su dati ISTAT Censimento, 2001

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Nel complesso emerge una significativa specializzazione della regione Campania nei settori dell’ICT nel contesto italiano. Questa posizione relativa della Campania si rileva anche dai valori esposti nella tabella 4 in cui si riporta anche la dinamica rispetto al 1996 di alcuni indicatori che misurano il grado di radicamento dei settori ICT nella regione.

tabella 41996-2001. Evoluzione della posizione della Campania rispetto alle regioni italiane

Indicatore

Evoluzione della Posizione della Campanianella graduatoria delle 20 Regioni italiane

(anno di riferimento)

Posizione Posizioneprecedente Andamento

Specializzazione ICT 2ª (2001) 2ª (1996) ↔Imprese ICT/kmq 3ª (2004) 6ª (2001) ↑Quota regionale del saldo di occupati nel settore ICT 4ª (2004) 6ª (2002) ↑Quota del numero di imprese ICT italiane della Regione 6ª (2004) 7ª (2003) ↑Numero di imprese ICT 6ª (2004) 7ª (2001) ↑Concentrazione degli addetti ICT nelle regioni d’Italia 6ª (2001) 6ª (1996) ↔Quota del mercato nazionale IT della Regione 7ª (2004) 7ª (2003) ↔Spesa IT di aziende e consumer 7ª (2004) 7ª (2003) ↑Quota di mercato IT italiano 7ª (2004) 7ª (2003) ↔Grado di infrastrutturazione digitale 8ª (2004) 10ª (2002) ↑Imprese ICT/1000 abitanti 15ª (2004) 16ª (2001) ↑Fonte: RCost-Assinform (2005)

Se si guarda alla distribuzione delle imprese dell’IT operative in Campania distribui-te per provincia emerge il maggiore addensamento nella provincia di Napoli (55%) e di Salerno (21%). Seguono in ordine, e molto distaccate, la provincia di Caserta (10,7%), di Avellino (7,6%) e di Benevento (5,7%). Se si osserva soltanto la distribuzione delle imprese IT con competenze ICT specialistiche per provincia si rileva che il 60,3% delle imprese è localizzato nella provincia di Napoli, il 19,2% nella provincia di Salerno, l’8,6% nella provincia di Caserta, il 7,1% e il 4,9%, rispettivamente, nella provincia di Avellino e Benevento.

L’indagine condotta da RCost-Assinform (2005) su un panel di imprese operative in Campania dell’IT (il panel si è composto di 27 grandi imprese e 80 PMI) ha posto in evidenza una diversa struttura del portafoglio clienti. Infatti le grandi imprese hanno un portafoglio clienti che si compone prevalentemente di medie e grandi imprese (38,8%), di Università, Centri di Ricerca e Enti Pubblici (24%), e di clienti interni (11,4%). Per le PMI, invece, la base di clienti è composta prevalentemente da PMI e Liberi Profes-sionisti (42,3%); le Università, Centri di Ricerca e Enti Pubblici costituiscono il 23,9% della base clienti delle PMI, mentre le medie e grandi imprese il 20,5%. Per entrambe le tipologie di imprese il mercato consumer ha una scarsa rilevanza.

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6. I risultati dell’indagine empirica sul sistema di produzione locale in Campania1

Come si è detto nelle note introduttive, quest’ultima parte del lavoro si concen-tra sul sistema di produzione locale in Campania nei suoi settori di specializzazione, con l’obiettivo di esplorare i fattori che spiegano l’adozione delle ICT e di profilare l’atteggiamento attuale e prospettico del management delle imprese campane verso tali tecnologie. La ricerca empirica ha coinvolto 109 imprese al cui top management (responsabili della funzione Sistemi Informativi; responsabili della funzione Marketing/Commerciale; responsabili della funzione Produzione e Qualità; responsabili della fun-zione Contabilità e Amministrazione) è stato somministrato via e-mail un questionario che si è ispirato a quello di The Economist (2004), opportunamente adattato e integrato dati gli obiettivi specifici dello studio in oggetto. Tale questionario di ricerca è stato strutturato nelle seguenti aree tematiche: 1. benefici e costi percepiti delle ICT; 2. fattori inibitori endogeni ed esogeni degli investimenti in ICT; 3. fattori determinanti la scelta degli investimenti in ICT; 4. piani di investimento in ICT dell’impresa; 5. attività o processi della catena del valore su cui si concentrano gli investimenti in ICT; 6. grado di raggiungimento degli obiettivi degli investimenti in ICT; 7. metriche utilizzate per il monitoraggio degli investimenti in ICT; 8. aspetti strutturali della funzione organiz-zativa che all’interno dell’azienda governa le ICT. Le domande finalizzate a rilevare l’atteggiamento e la risposta cognitiva del management delle imprese campane hanno previsto risposte con una scala di misurazione a là Likert su base pentenaria.

Al fine di far emergere i fattori che, nella prospettiva del management delle imprese intervistate, spiegano gli investimenti in ICT (punti sub-1,2,3) è stata applicata sulle risposte ai questionari l’Analisi delle Componenti Principali (ACP) che ha permesso di ridurre il numero delle variabili indagate nei questionari attraverso la costruzione di nuove variabili o fattori ‒ le componenti principali per l’appunto ‒ che risultano dalla sintesi delle variabili indipendenti originarie, di cui costituiscono una combinazione lineare. Da un punto di vista strettamente metodologico, le componenti principali sono dotate di caratteristiche di indipendenza e spiegano, secondo una percentuale via via decrescente, le informazioni contenute nelle variabili indipendenti di partenza. Indivi-duati i fattori o i costrutti che con una percentuale significativa spiegano le motivazioni agli investimenti in ICT delle imprese campane, si è proceduto all’impiego di una Clu-ster Analysis gerarchica (CA) che ha permesso di tracciare le aggregazioni di imprese rispetto alle componenti principali.

I dati relativi agli altri aspetti indagati attraverso il questionario (punti sub-4,5,6,7,8) sono stati elaborati attraverso modelli di analisi descrittiva.

Le imprese campane a cui è stato inviato il questionario sono quelle appartenenti ai settori caratterizzanti l’economia regionale, alcuni dei quali rappresentano la specializ-zazione internazionale della stessa regione: ferroviario, aeronautica/aerospazio, nautica, automobilistico (comprensivo anche dei settori della componentistica), chimico, imbal-

1 I dati contenuti nel questionario di ricerca sono stati elaborati con modelli di analisi multivariata (ACP e AC) dal dott. Pierpaolo Testa e con modelli di analisi descrittiva dal dott. Nicola Cirillo.

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laggi, alimentare e bevande, tessile, abbigliamento e calzature, logistica, produzione orafa. Sono state inoltre selezionate imprese appartenenti ai sistemi distrettuali campani: San Marco di Cavoti (tessile-abbigliamento); Sant’Agata dei Goti (tessile-abbigliamen-to, meccanica); Solofra (concia); Nocera inferiore (alimentare); San Giuseppe Vesuvia-no (tessile-abbigliamento); Calitri (tessile-abbigliamento). Inoltre, il questionario è stato inviato ad alcune imprese della grande distribuzione, food e non food, per tener conto dell’incremento delle aperture che negli anni più recenti si sono avute in Campania da parte di imprese organizzate a catena ad insegna nazionale e internazionale, così come ad imprese caratterizzanti sistemi locali di produzione (il sistema della produzione e commercializzazione di prodotti in corallo dell’area “torrese”). Il gruppo di imprese a cui è stato inviato il questionario è stato selezionato secondo criteri di “convenienza”, sulla base descrittori informativi di facile impiego (notorietà, apertura internazionale, dimensione operativa, tasso di crescita negli ultimi anni, orientamento all’innovazione di prodotto e/o di processo e/o organizzativo-manageriale); pertanto esso risponde sol-tanto a obiettivi di ricerca esplorativa, e quindi non ha una rappresentatività statistica.

I questionari restituiti compilati sono stati 46 sui 109 inviati (redemption rate del 42%).

6.1. L’analisi delle motivazioni alla base delle scelte di investimento in ICT delle imprese campane attraverso modelli di analisi multivariata

I dati contenuti nei questionari sugli aspetti di cui ai punti sub-1,2,3, come si è detto poc’anzi, sono stati inseriti in un dataset e sono stati elaborati in base a tecniche di analisi multivariata: l’Analisi delle Componenti Principali (ACP) e la Cluster Analysis (CA).

Le analisi multivariate hanno riguardato le 104 variabili considerate nel questionario, di cui 103 continue e una nominale illustrativa. 24 variabili hanno evidenziato eigenvalue superiori all’unità e pertanto in grado di spiegare più del 90% dell’informazione contenuta nel set complessivo delle 104 variabili oggetto di indagine (tabella 1, appendice).

Primo obiettivo dell’analisi empirica è stato quello di misurare l’atteggiamento dei manager delle imprese intervistate (responsabili della funzione Sistemi Informativi; responsabili della funzione Marketing/Commerciale; responsabili della funzione Pro-duzione e Qualità; responsabili della funzione Contabilità e Amministrazione; Ammi-nistratore Delegato, Direttore Generale) verso gli investimenti in ICT. In altri termini si sono volute indagare le tipologie di fattori che spiegano e motivano l’investimento in tecnologie digitali ad alta intensità connettiva o ICT: i fattori percettori di benefici, ovvero correlati ai vantaggi organizzativo-manageriali che spiegano o dovrebbero spie-gare gli investimenti in ICT; i fattori di costo (di investimento); i fattori inibitori esogeni e/o endogeni, che innalzano la percezione del rischio degli investimenti in ICT, l’onero-sità e la difficoltà dell’impresa di realizzare e gestire detti investimenti. Le tipologie di fattori percettori di benefici sono stati aggregati in sei macro-variabili di indagine:

impatto sullo sviluppo dell’impresa sul mercato;1. impatto sulle relazioni inter-impresa;2.

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impatto sull’efficienza;3. impatto sull’efficacia;4. impatto sul 5. knowledge management; impatto sulla fiducia/reputazione/potere contrattuale.6. Ciascuna di tali macrovariabili è stata ulteriormente segmentata in una serie di varia-

bili elementari (o microvariabli) di indagine.Le tipologie di fattori di costo hanno riguardato, invece, una sola macrovariabile:

impatto sui costi fissi, che a sua volta è stata scomposta in una serie di microvariabili o variabili elementari.

Le tipologie di fattori di percezione delle cause inibitorie e/o ostacolanti gli investi-menti in ICT, infine, hanno riguardato sia macrovariabili organizzative (endogene) sia macrovariabili esogene o di contesto, articolate, secondo il modello di analisi, in una serie di variabili elementari.

L’ACP applicata alle 103 microvariabili continue ha evidenziato la validità dei fat-tori che nelle ipotesi di ricerca avrebbero dovuto spiegare l’atteggiamento dei manager intervistati verso gli investimenti in ICT, ovvero motivare le scelte di tali investimenti. Questi fattori, nel modello di analisi, sono stati individuati in tre: i fattori che espri-mono la percezione dei benefici organizzativo-manageriali; i fattori che esprimono la percezione dell’incremento dei costi fissi; i fattori che esprimono la percezione di cause endogene e/o esogene che inibiscono o rendono più complessi e difficili gli investimenti in ICT. Come si evince dalla figura 4 una quota consistente di variabili elementari si aggrega intorno a due sole componenti principali: la prima (facteur 1) a cui si attribuisce il significato di percezione dei benefici o vantaggi organizzativo-manageriali che gli investimenti in ICT sono in grado di produrre per la gestione dell’impresa; la seconda (facteur 2), a cui si attribuisce il significato di percezione degli ostacoli endogeni e/o esogeni all’adozione nell’organizzazione di tecnologie ICT. Ma del significato delle componenti si dirà più approfonditamente nel seguito.

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FiGura 4Le componenti principali: una rappresentazione di sintesi

Percezione dei benefici organizzativo-manageriali

Per

cezi

on

e d

egli

ost

aco

li e

nd

og

eni

e/o

eso

gen

i

Bassa Alta

Bassa

Alta

Figura 6

Fonte: Ns. elaborazioni

Come si può evidenziare dalla matrice della correlazione dei fattori (componenti principali) con le variabili elementari indipendenti di analisi (tabella 2, appendice) – in considerazione del valore dei loading factor (superiore a 0,6) – queste ultime si aggrega-no intorno a tre componenti principali: la componente (1) che possiamo definire perce-zione dei benefici o vantaggi che gli investimenti in ICT consentono di raggiungere sul piano organizzativo e manageriale; la componente (2) che possiamo definire percezione degli ostacoli endogeni e/o esogeni che rendono più difficile effettuare investimenti in ICT; la componente (3) che possiamo definire percezione della rilevanza dell’incremen-to costi fissi necessari per gli investimenti in ICT.

Un chiarimento interpretativo dei fattori o delle componenti (1) e (2). Più alta è la percezione dei benefici più alta è la consapevolezza dell’impatto positivo sul manage-ment e sull’organizzazione dei processi dell’impresa che può derivare dall’adozione di tali tecnologie digitali ad alta intensità connettiva. Se tale percezione è bassa, natural-mente, vale il contrario. Riguardo alla componente (2), invece, se è alta la percezione degli ostacoli endogeni e/o esogeni all’investimento in ICT significa che il manage-ment considera l’adozione di tali tecnologie difficile per rigidità o di tipo endogeno (mancanza di risorse e competenze interne adeguate, ad esempio) e/o di tipo esogeno (mancanza di un’offerta di sistemi tecnologici adeguati per le caratteristiche strutturali e i bisogni dell’impresa, ad esempio). La presenza di questi ostacoli aumenta la per-cezione di rischio percepito degli investimenti in ICT e, quindi, la loro percezione di onerosità in senso ampio (per motivi economici, organizzativi, procedurali e operativi, “politici”, psicologici e così via). Il significato della componente (3) – percezione della

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rilevanza dell’incremento dei costi fissi – è proxy del cambiamento della struttura dei costi dell’impresa (aumento dei costi fissi rispetto ai variabili) e, quindi, dell’eventuale aumento del break even point, delle relazioni volumi-prezzi-costi-margini e del grado di leva operativa dell’impresa.

Per quanto riguarda il primo fattore – percezione dei benefici – l’ACP evidenzia che le variabili elementari che meglio esprimono questa componente principale (i factor loading mostrano valori non inferiori a 0,65) sono le seguenti: penetrazione di nuovi segmenti di mercato (nel senso che gli investimenti in ICT permettono di ottenere tale obiettivo strategico); aumento della capacità di produzione; miglioramento della qualità dei prodotti; aumento della varietà di prodotti; aumento dell’innovazione di processo; riduzione dei tempi di risposta ai clienti (flessibilità alle esigenze di mercato); aumen-to della soddisfazione dei clienti finali; aumento della soddisfazione dei dipendenti; miglioramento della conoscenza dei partner nel business; aumento della produttività delle risorse umane. Quest’ultima variabile ha la correlazione più elevata con la com-ponente principale (0,79).

La seconda componente principale – percezione degli ostacoli endogeni e/o esogeni agli investimenti in ICT (elementi che inibiscono o rendono difficili tali investimenti) ‒ è spiegata maggiormente da variabili che identificano ostacoli endogeni e/o esogeni all’adozione delle ICT (i loading factor sono tutti non inferiori a ‒ 0,69). Tra le variabili che identificano gli ostacoli di natura endogena all’investimento in ICT si evidenziano le seguenti: scarse conoscenze e competenze del management; difficoltà di integrare o rendere compatibili le diverse tecnologie dell’IT presenti nell’azienda (legacy costs); scarsa integrazione tra il management e l’IT management; inutilità degli investimenti in ICT; bassa redditività degli investimenti in ICT; incapacità di sfruttare le potenzia-lità informative dei dati; personale poco formato o con scarse competenze nell’uso dei sistemi di ICT; resistenze organizzative e culturali al cambiamento diffuse nell’organiz-zazione; investimenti elevati e non compatibili con il budget disponibile nell’impresa. Tra le variabili che esprimo ostacoli di natura esogena all’investimento in ICT, con factor loading più elevati rispetto alla componente principale, sono le seguenti: carenza di competenze di ICT sul mercato del lavoro; limitata offerta di servizi post-vendita da parte dei fornitori di ICT; carenza di servizi all’innovazione e all’adozione di tecnologie ICT.

La terza componente principale – percezione della rilevanza dell’aumento dei costi fissi necessari per gli investimenti in ICT – è espressa da un’unica variabile elemen-tare: aumento dei costi di software (loading factor pari a – 0,59). In altri termini, c’è una diretta correlazione tra gli investimenti in ICT e aumento dei costi fissi in software (in termini di costi di acquisto, licenze, installazione, personalizzazione). Dunque tale tipologia di investimenti tende ad aumentare il rapporto dei costi fissi rispetto ai costi variabili e quindi la rigidità della struttura dei costi dell’impresa (aumento del rischio industriale).

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FiGura 5 Distribuzione dei ruoli manageriali intervistati rispetto alle componenti principali

Percezione dei benefici organizzativo-manageriali

Per

cezi

on

e d

egli

ost

aco

li e

nd

og

eni

e/o

eso

gen

i

Bassa Alta

Bassa

Alta

Figura 7

Fonte: Ns. elaborazioni

Nella figura 5 si evidenzia il posizionamento percettivo delle diverse posizioni aziendali dei manager intervistati rispetto alle prime due componenti principali (per-cezione dei benefici; percezione delle condizioni di ostacolo, endogene e/o esogene). Come si rileva, il top management (Direttore Generale, Amministratore Delegato) ha una piena consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali degli investimenti in ICT, da un lato, e dall’altro un’alta percezione delle condizioni esterne ostacolanti o inibenti l’adozione di tali tecnologie ad alta intensità connettiva nell’impresa. Per il top management, dunque, la scelta di adottare le ICT nell’organizzazione è decisione strategica e complessa. I rispondenti al questionario che occupano nelle imprese ruoli funzionali si posizionano in modo diverso rispetto ai due assi delle componenti princi-pali. I responsabili della funzione Produzione e del Controllo Qualità evidenziano una discreta consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali degli investimenti in ICT e una bassa percezione degli ostacoli endogeni e/o esogeni per una piena adozione di tali tecnologie. Probabilmente, essendo la Produzione e il Controllo Qualità funzioni prevalentemente “interne”, focalizzate prevalentemente su obiettivi di volumi-costo-qualità, i manager non hanno una significativa percezione di condizioni esterne e/o interne che inficiano o potrebbero inficiare l’adozione di ICT da parte dell’impresa. I responsabili della funzione Sistemi Informativi, invece, evidenziano una scarsa consa-pevolezza sia dei benefici sia degli ostacoli interni e/o esterni connessi agli investimenti in ICT. In altri termini la cultura e la formazione strettamente tecnologica, insieme al

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ruolo di gestori dei sistemi informatici, rende questi soggetti non in grado di esprimere specifici atteggiamenti rispetto ai benefici e/o agli ostacoli endogeni e esogeni connessi agli investimenti in ICT. I responsabili della funzione Marketing o Commerciale, infine, evidenziano un’alta percezione degli ostacoli e una bassa consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali connessi agli investimenti in ICT. Che i responsabili di una funzione aziendale che gestisce le relazioni con il mercato (clienti finali, clienti inter-medi, clienti intermediari) abbiano una scarsa consapevolezza dei vantaggi che le ICT potrebbero produrre proprio per la gestione delle relazioni di mercato è aspetto critico. Evidentemente tale funzione aziendale, nelle imprese analizzate, ha obiettivi esclusiva-mente di natura commerciale o di vendita e, pertanto, non ha una consapevolezza delle potenzialità delle ICT.

FiGura 6 La distribuzione delle imprese rispetto alle componenti principali

(i nomi delle imprese sono stati identificati con dei punti per motivi di privacy)Figura 8

Bassa Alta

Bassa

Alta

Percezione dei benefici organizzativo-manageriali

Per

cezi

one

deg

li o

stac

oli

endogen

i e/

o e

sogen

i

Fonte: Ns. elaborazioni

La cluster analysis gerarchica (CA), invece, ha consentito di evidenziare come le 46 imprese che hanno risposto al questionario si aggregano rispetto alle due compo-nenti principali estratte attraverso l’ACP. Nella figura 6 si rileva una distribuzione delle imprese in modo abbastanza uniforme nei quattro quadranti identificati dalla interse-

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zione delle due componenti principali. Per motivi di privacy la ragione sociale delle imprese non è stata inserita.

Come si rileva dal grafico, il primo quadrante in alto sulla destra, presenta un buon numero di imprese il cui management evidenzia una piena consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali delle ICT, da un lato, e dall’altro non percepiscono eventuali cause endogene e/o esogene che ostacolerebbero l’adozione delle ICT nelle attività di impresa. Quest’ultimo aspetto, evidentemente, potrebbe sottendere una capacità e una cultura organizzativa in grado di sostenere e gestire investimenti in ICT nell’impresa e superare eventuali ostacoli endogeni e/o di contesto. Pertanto, il rischio percepito con-nesso agli investimenti in tali tecnologie è basso mentre è alta la percezione dell’impatto per quanto riguarda i benefici organizzativo-manageriali. Questo quadrante in cui si posiziona tale gruppo di imprese può essere definito “bassi ostacoli-alto impatto”. In esso si collocano: a. aziende industriali di media dimensione, operanti in settori a bassa e medio-bassa tecnologia, secondo la classificazione oECD-EURoSTAT in base all’in-tensità tecnologica dei settori, o supplier dominated, in base alla classificazione di Pavitt (1984); b. aziende di media e grande dimensione operanti in settori a alta e medio-alta tecnologia o, per usare la classificazione a là Pavitt, scale intesive, specialized supplier e science based. Queste ultime, in particolare, appartengono a gruppi nazionali e inter-nazionali; c. grandi aziende di servizi (alle imprese e alle persone), una delle quali con un’offerta di servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenza (Knowledge Intensive Business Services). Una caratteristica di tale raggruppamento è una buona apertura sui mercati internazionali (in termini di clientela, quota di fatturato realizzato sui mercati esteri).

Il secondo quadrante in alto a sinistra, invece, è composto da un cluster di imprese che evidenzia da un lato una non sufficiente percezione dei benefici organizzativo-ma-nageriali delle ICT, da un lato, e, dall’altro, una bassa percezione di ostacoli all’adozione delle ICT nell’impresa, di natura interna e/o esterna. Per quanto il rischio percepito con-nesso all’investimento in tali tecnologie sia modesto, il management di tali imprese non ritiene rilevanti i vantaggi che derivano o potrebbero derivare dall’impiego di siffatte tecnologie. Questo gruppo di imprese può essere definito “bassi ostacoli-basso impat-to”. Naturalmente, la percezione di scarso impatto è riferibile in particolare ai benefici che riguarda l’impiego delle tecnologie ICT per attività più evolute come, ad esempio, la gestione integrata della supply chain, delle relazioni con i clienti (finali, intermedi e intermediari), dell’innovazione di prodotto-servizio, dei processi di comunicazione interna ed esterna, e così via. In questo quadrante, si posizionano: a. piccole imprese industriali operanti in settori a bassa tecnologia, o, nella classificazione di Pavitt, sup-plier dominated; b. medie e grandi imprese industriali operanti in settori a medio-alta e alta tecnologia, o nella classificazione di Pavit, specialised suppliers e science based; c. grandi imprese produttrici di servizi ad alta intensità di conoscenza e di servizi tradizio-nali. Generalmente, le grandi imprese sono unità operative di gruppi nazionali o interna-zionali. Che il management di tali imprese non percepisca come significativi i vantaggi organizzativo-manageriali degli investimenti in ICT può derivare proprio dal ruolo

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che tali imprese svolgono nel sistema del valore del gruppo aziendale di appartenenza. Tali imprese, prevalentemente, sono fornitori di componenti, prodotti o di servizi per il mercato captive o sono strutture di vendita per il mercato locale (nel caso di imprese della distribuzione al dettaglio). In tali aziende non si svolgono processi decisionali di rilevanza strategica (che sono assunti altrove). Pertanto, non c’è una piena visibilità del ruolo delle ICT se non in quei processi interni tipici in cui esse sono tradizionalmente applicate (contabilità-amministrazione, logistica, controllo produzione, etc.). I vantaggi connessi all’impiego delle ICT in attività di gestione dell’innovazione, di supply chain management, di business linking con gli attori del sistema del valore (clienti, concor-renti, intermediari commerciali, fornitori) e di business sensing (o business intelligence) non sono nella consapevolezza dei manager intervistati. Le piccole imprese o le altre grandi imprese del raggruppamento, invece, possono non aver ancora maturato la piena consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali delle ICT per ragioni connesse alla tipologia di attività, alla dimensione operativa, al profilo competitivo e allo stadio di sviluppo manageriale dell’impresa. La componente internazionale del mercato nelle imprese del raggruppamento è tendenzialmente simile al precedente cluster.

Il terzo quadrante in basso a sinistra raggruppa un insieme di imprese che ha una scarsa percezione dei benefici organizzativo-manageriali delle ICT e un’alta percezione di ostacoli interni e/o esterni all’adozione di tali tecnologie digitali interconnettive. Si tratta di imprese che ritengono, per la loro situazione, l’investimento in ICT poco rile-vante in termini di effetti organizzativo-manageriali e che, allo stesso tempo, hanno una spiccata percezione di ostacoli endogeni e/o esogeni all’adozione di dette tecnologie (rischio percepito di tali tecnologie). Tale raggruppamento di imprese può essere defini-to “alti ostacoli-basso impatto”. Le imprese che vi fanno parte sono prevalentemente di piccolo e media dimensione, operanti in settori industriali a bassa tecnologia (o supplier dominated) e a medio-alta tecnologia (specialised suppliers). Si ritrovano nel raggrup-pamento anche aziende produttrici di servizi alla persona tradizionali. La componente internazionalizzazione del mercato di tali aziende è aspetto meno caratterizzante rispetto ai due cluster precedenti.

Il quarto quadrante, in basso a destra, infine, raggruppa imprese che hanno un’alta consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali derivanti dagli investimenti in ICT, da un lato, e, dall’altro, un’alta percezione di ostacoli interni e/o esterni all’ado-zione di tali tecnologie. Questo quadrante in cui si posiziona tale gruppo di imprese può essere definito “alti ostacoli-alto impatto”. Questo raggruppamento è composto da: a. aziende industriali di media dimensione operanti in settori a medio-alta e alta tecnologia (specialised suppliers e science based); b. grandi imprese industriali operanti in settori a medio-alta tecnologia (specialised suppliers); c. medie imprese a bassa tecnologia (supplier dominated). Il grado di internazionalizzazione del mercato di tali imprese è più basso rispetto al primo e secondo raggruppamento, simile al terzo.

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FiGura 7 I cluster di aziende identificati in base alle due componenti principali

(facteur 1 e 2) identificati attraverso l’ACP

Percezione dei benefici organizzativo-manageriali

Bassa Alta

Per

cezi

one

deg

li o

stac

oli

endogen

i e/

o e

sogen

i

Bassa

Alta

Figura 9

Fonte: Ns. elaborazioni

L’applicazione della CA consente di individuare tre cluster di imprese tenuto conto delle due componenti o fattori già innanzi descritti (figura 7). Questi tre cluster sono composti rispettivamente da 16, 24 e 6 imprese (nella tabella 3 dell’appendice sono evidenziati i tre cluster per settore di appartenenza, omettendo per motivi di privacy le ragioni sociali delle imprese). Se si analizzano le caratteristiche che assumono le variabili elementari indipendenti per ogni cluster (media del cluster, media generale, test-value e probability) si possono meglio rappresentare i tre gruppi di imprese (tabella 4, appendice). Il primo cluster è composto da 16 imprese i cui manager manifestano una piena consapevolezza dei vantaggi organizzativo-manageriali che le ICT sono in grado di produrre per l’azienda, per quanto sia alta la percezione degli ostacoli interni e/o esterni all’adozione di tali tecnologie. I risultati della CA evidenziano che per tale cluster i benefici più significativi (la media del cluster assume valori significativamente maggiori della media generale di tutte le imprese analizzate, e quindi positivi) sono diversi, che interessano la dimensione strategica e operativa dell’azienda, così come l’efficienza e l’efficacia della stessa. Tra questi, solo per citarne alcuni: il miglioramen-to della profondità e ampiezza delle relazioni di mercato e con i partner del business; il miglioramento della soddisfazione dei dipendenti e dei clienti (finali e intermedi); il miglioramento del clima aziendale; l’aumento della varietà dei prodotti; il miglioramen-to della copertura distributiva; la riduzione dei costi di distribuzione; la velocizzazione

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del time to market; l’aumento della potenzialità di innovazione di prodotto. Si tratta di un gruppo di imprese che possiamo definire “le sistemiche”, in quanto in grado di considerare le potenzialità delle ICT ad ampio spettro sul management dell’impresa. Il secondo cluster (24 imprese), invece, valuta l’investimento in ICT non in grado di generare sufficienti benefici organizzativo-manageriali e che considera bassi gli osta-coli esogeni e/o endogeni all’adozione delle ICT nell’organizzazione. Questo cluster di imprese, pertanto, può essere definito “le inconsapevoli aperte” proprio in ragione della bassa percezione dei vincoli ambientali esterni e aziendali, da un lato, e una percezione dei benefici organizzativo-manageriali per quanto bassa non del tutto assente, dall’altro. In una condizione di non sufficiente percezione di benefici connessi agli investimenti in ICT, i risultati della CA evidenziano che per tale cluster il beneficio meno rilevante (la media del cluster assume valori significativamente inferiori alla media generale, e pertanto negativi) è il miglioramento della ampiezza e profondità delle relazioni con gli altri attori del sistema di business (in particolare con i concorrenti con cui si istituiscono relazioni di collaborazione). Il management delle imprese di questo cluster, inoltre, evi-denzia, rispetto alla media generale di tutti i manager intervistati, una più scarsa sensibi-lità a dotarsi di metriche per misurare l’impatto delle ICT sullo sviluppo delle relazioni nel business, a conferma del dato precedente. Il terzo cluster, infine, in misura ancora maggiore rispetto al secondo, vede le ICT non assolutamente in grado di generare bene-fici organizzativo-manageriali, in particolare per quanto riguarda (la media del cluster è negativamente molto più bassa della media generale delle risposte di tutti manager delle imprese intervistate): l’innovazione di processo, la riduzione dei costi di controllo qua-lità dei prodotti-servizi, la riduzione dei costi logistici, il miglioramento delle relazioni con i clienti finali, l’aumento della capacità di apprendimento organizzativo, il migliora-mento della capacità di conoscenze sui clienti, l’aumento della soddisfazione dei clienti finali, il miglioramento dei tempi delle decisioni e di risposta alle esigenze dei clienti. Questo cluster, inoltre, manifesta un elevato rischio percepito dell’investimento in ICT connesso ad ostacoli esogeni e/o endogeni. Questo cluster di imprese può essere definito “le inconsapevoli chiuse” proprio perché i manager esprimono atteggiamenti del tutto negativi in termini di impatto sui benefici organizzativo-manageriali e un alta percezio-ne di vincoli interni e/o esterni all’azienda ai fini dell’adozione di dette tecnologie.

A conclusione dell’analisi statistica è stata applicata l’ACP su ciascun gruppo di macrovariabili presenti nel questionario. Ciò al fine di identificare le componenti principali per ciascuno di essi. In effetti quest’ultima analisi ha confermato i risultati dell’ACP svolta su tutte le variabili elementari continue indipendenti (micro variabili) assunte nel modello proposto. Come si evince dalla tabella 5 (appendice), relativamente alle 11 macrovariabili componenti il modello di analisi, l’ACP identifica tre componenti principali. La prima componente (componente 1), evidenzia una forte correlazione con macrovariabili quali: impatto sullo sviluppo dell’impresa sul mercato, impatto sulle relazioni inter-impresa, impatto sull’efficienza e sull’efficacia dei processi aziendali, impatto sulla conoscenza, impatto sulla fiducia/reputazione/potere contrattuale. A questa componente si può attribuire il nome “impatto sulla gestione”, dato che le variabili mag-

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giormente correlate sono “impatto sull’efficienza” e “impatto sull’efficacia” dell’im-presa. La seconda componente (componente 2), evidenzia un alto factor loading per i fattori organizzativi inibitori interni e/o esterni (gli investimenti in ICT sono ostacolati da vincoli organizzativi e/o di contesto esterno). A tale componente si può dare il nome “condizioni ostacolanti” l’adozione delle ICT. La terza componente (componente 3), infine, è correlata all’impatto sui costi fissi (gli investimenti in ICT aumentano i costi fissi dell’impresa, e quindi la rigidità della struttura dei costi). Ad essa si può dare il nome dell’unica macrovariabile che la spiega, “incremento costi fissi”.

FiGura 8 Rappresentazione grafica dell’ACP applicata all’insieme

di macrovariabili del modello di analisi

Bassa

osta

cola

nti

elle

con

dizi

oni o

Perc

ezio

ne d

e

Alta

Bassa Alta

Percezione dell’impatto sulla gestione

Bassa Alta

Fonte: Ns. elaborazioni

Nella figura 8 le undici macrovariabili del modello sono rappresentate nella struttura fattoriale relativamente a due delle componenti principali (componenti 1 e 2). Nelle figure 9, 10 e 11, e nella tabella 15, sono, invece, illustrati i risultati dell’applicazione della cluster analysis gerarchica rispetto alle due componenti principali estratte dalle undici macrovariabili. Tale analisi, per quanto condotta sulle macrovariabili (le 11 macrovariabili sono sintesi delle microvariabili, pertanto alcune informazioni sono perse), conferma, in linea generale, i risultati dell’applicazione delle metodologie di indagine applicate sulle singole 103 microvariabili.

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FiGura 9 Rappresentazione grafica della CA applicata all’insieme di macrovariabili del model-

lo di analisi e alle tipologie di manager intervistati

Bassa

nti

izio

ni o

stac

olan

ione

del

le c

ondi

Alta

Perc

ezi

BAlta

Percezione dell’impatto sulla gestione

Bassa

Fonte: Ns. elaborazioniFiGura 10

Rappresentazione grafica della CA applicata all’insieme di macrovariabili del model-lo di analisi e alle 46 imprese2 rispondenti al questionario

nti

Bassa

dizi

oni o

stac

olan

zion

e de

lle c

ond

Alta

Perc

ez

Percezione dell’impatto sulla gestione

Bassa Alta

Fonte: Ns. elaborazioni

2 Per motivi di privacy le imprese sono state indicate con punti.

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FiGura 11Rappresentazione grafica della CA applicata all’insieme di macrovariabili del modello

di analisi, alle singole 46 imprese rispondenti al questionario (per motivi di privacy indicate con punti) e ai cluster delle stesse imprese

(già evidenziati in figura 9)

Percezione dell’impatto sulla gestione

Bassa Alta

Per

cezi

on

e d

elle

co

nd

izio

ni

ost

aco

lan

ti

Bassa

Alta

Cluster 2 Cluster 1 Cluster 3

Figura 13

Fonte: Ns. elaborazioni

6.2 L’analisi dell’atteggiamento delle imprese campane verso le ICT in base ai piani di investimento e altri aspetti di natura strutturale

La seconda parte del lavoro analizza l’atteggiamento delle imprese campane verso le ICT attraverso la valutazione dei piani di investimento, passati e futuri, in tali tecnologie connettive e di altri aspetti di natura strutturale. In effetti sono analizzate le risposte che i manager delle aziende intervistati hanno dato alle parti di questionario che riguardano gli aspetti di cui ai punti sub-4,5,6,7,8 e di cui si è detto nella parte iniziale di questo capitolo. In seguito sono analizzati in sintesi i risultati dell’indagine empirica.

I piani di investimento in ICT Come si evince dalle tabelle 6,7,8 (appendice) di questo lavoro, le imprese campane

evidenziano un impegno differenziato per gli investimenti in ICT.Rispetto alle 45 imprese che hanno fornito risposta alla specifica domanda del que-

stionario sui piani di investimento in ICT per il triennio 2008-2010 (tabella 6, appen-dice), 38 imprese hanno affermato che tale investimento aumenterà, mentre solo per 7

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rimarrà sullo stesso livello del triennio precedente (2005-2007). Per nessuna impresa l’investimento si ridurrà. Delle aziende che hanno dichiarato di aumentare l’investimen-to in ICT (38), 5 hanno affermato che esso aumenterà del 100%, 4 tra il 50 e il 100%, 10 tra il 25 e il 50%, 12 tra il 10 e il 25%, 7 fino al 7%.

Se si analizzano, invece, gli investimenti effettuati in ICT nel triennio passato, 2005-2007 (tabella 7, appendice), si rileva che le imprese rispondenti al questionario hanno destinato tali investimenti, anche se con intensità diverse, a tutte le attività della catena del valore. Se si analizza la proporzione in cui i processi di business delle imprese sono stati interessati nel triennio 2005-2007 dagli investimenti in ICT emerge che quelli più coinvolti (il grado di coinvolgimento è stato maggiore o uguale al 25%) sono quelli a rilevanza interna e per i quali gli obiettivi di efficienza sono quelli prioritari: Elabora-zione dati e informazioni, Amministrazione, Produzione. è interessante notare che in 22 imprese su 42 il grado di coinvolgimento delle attività di gestione dell’innovazione di prodotto/servizio è stato maggiore o uguale al 25%. Per troppe imprese l’investimento in ICT è ancora basso o medio-basso (grado di coinvolgimento delle attività aziendali negli investimenti in ICT è inferiore al 10% o pari al 10-25%) in processi di business centrali per lo sviluppo futuro delle imprese: marketing, vendite e gestione della forza di vendita; gestione delle relazioni con gli attori del business system (fornitori, clienti); servizi post vendita (customer care); gestione risorse umane; knowledge management; gestione integrata della supply chain. Emerge, dall’analisi passata dei piani di investi-mento ICT un orientamento ancora centrato sui processi aziendali “interni” e con limi-tate relazioni con gli attori esterni del sistema di business. La componente relazionale degli investimenti in ICT aumenta la complessità, la difficoltà di gestione e il grado di rischio percepito degli stessi; elementi, come si è detto in precedenza, presenti in una parte consistente dei manager intervistati, e che evidentemente spiegano il differenziato grado di coinvolgimento dei processi aziendali negli investimenti in ICT. Seppur con qualche cambiamento, tale tipo di orientamento è previsto, secondo le dichiarazioni dei manager intervistati, anche per il triennio 2008-2010 (tabella 8, appendice).

La tabella 11 dell’appendice sintetizza le risposte dei manager circa le attività e/o i processi aziendali in cui, a loro giudizio, esistono le maggiori opportunità di miglio-ramento delle performance dell’impresa nel triennio 2008-2010. Si può riscontrare una certa contraddizione a riguardo: fatta eccezione per l’attività di Elaborazione Dati e Informazioni (Sistemi Informativi), nella destinazione degli investimenti in ICT i manager delle imprese intervistate non prevedono un significativo coinvolgimento nel prossimo futuro (2008-2010) proprio di quei processi di business in cui essi stessi riscontrano le maggiori opportunità di miglioramento della performance aziendale. Questo dato farebbe emergere una scarsa rilevanza nella percezione del management del ruolo delle ICT nello sviluppo del vantaggio competitivo dell’impresa nel futuro. Naturalmente, per capire meglio questo aspetto sarebbero necessarie ulteriori interviste di approfondimento.

Se si analizza l’incidenza della quota degli investimenti in ICT sul budget generale degli investimenti effettuati dalle imprese campane nel triennio 2005-2007 (tabella 14,

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appendice), si riscontra che 14 imprese, delle 41 rispondenti alla domanda specifica del questionario, hanno affermato di aver investito meno del 10% in progetti ICT; 22, inve-ce, hanno dichiarato di aver investito tra il 10 e il 25%. Solo 5 imprese hanno conferma-to di aver investito una quota maggiore o uguale al 26%. L’analisi della composizione della spesa in ICT per tipologia di prodotto-servizio nel triennio 2005-2007, evidenzia (tabella 13, appendice) che software e hardware assorbono una quota percentuale simile (rispettivamente 37% e 36%), mentre i servizi il 26% circa.

Investimenti in ICT e obiettivi aziendaliL’indagine empirica sulle imprese campane ha voluto anche analizzare in che misura

gli investimenti in ICT hanno raggiunto gli obiettivi programmati, economici e non. Come si evince dalla tabella 9 in appendice, 45 imprese su 45 che hanno risposto alla domanda specifica del questionario, hanno dichiarato che gli obiettivi organizzativo-manageriali, sebbene in misura diversa, sono stati raggiunti: 5 imprese hanno dichiarato di aver raggiunto gli obiettivi in una misura inferiore al 25%; per 18 imprese gli obiettivi sono stati raggiunti tra il 25 e il 50%; per 13 imprese sono stati raggiunti tra il 51 e il 75%; per 7 tra il 76 e il 99%; soltanto per 2 imprese gli obiettivi sono stati raggiunti al 100%. Nel complesso, dunque, 40 imprese su 45 hanno dichiarato di aver conseguito gli obiettivi in misura maggiore o uguale al 25%; per 22 imprese su 45, invece, gli obiettivi sono stati raggiunti in misura maggiore o uguale al 50%. Naturalmente, per esprimere un giudizio di merito su tali performance esse dovrebbero essere comparate o con casi benchmark o di riferimento; tuttavia, ci sembra che il grado di performance sul grado di raggiungimento degli obiettivi non sia soddisfacente, nella convinzione che tali investimenti sono complessi e che modificano radicalmente il modo di gestire i processi aziendali.

Se si guarda, invece, al tempo entro cui le imprese campane hanno raggiunto o hanno previsto di raggiungere il ritorno sugli investimenti (tabella 10, appendice), il dato si presta a considerazioni positive: 30 imprese su 45, infatti, hanno dichiarato di aver rag-giunto o di voler raggiungere l’obiettivo di ritorno sugli investimenti in ICT entro un periodo di 24 mesi (31 entro 36 mesi); per altre 11 imprese, invece, il ritorno sugli inve-stimenti è stato o sarà raggiunto in 36-48 mesi; solo per 3 imprese l’intervallo temporale è stato o sarà superiore ai 48 mesi. Il risultato potrebbe sembrare poco coerente rispetto a quanto dichiarato dai manager circa il raggiungimento degli obiettivi organizzativo-manageriali precedentemente descritti ed esposti in tabella 9 (appendice). E anche questi dati richiederebbero un approfondimento di indagine.

Gli addetti impegnati in attività di ICTPer quanto l’indagine non sia stata condotta su un campione statisticamente rappre-

sentativo delle imprese campane, è utile evidenziare la configurazione delle attività di ICT in termini di addetti. Come si evince dalla tabella 12 in appendice, le (46) aziende che hanno risposto al questionario hanno dichiarato, alla data di compilazione del que-stionario (Maggio 2008), 6.134 addetti, di cui 157 a tempo determinato e 5.977 a tempo

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indeterminato. Il numero medio degli addetti è pari a 219 unità (213 unità se si escludo-no gli addetti a tempo definito). Per quanto riguarda gli addetti impegnati nelle attività di ICT, essi sono complessivamente 465, di cui 210 a tempo determinato e 255 a tempo indeterminato. La media degli addetti per azienda alle attività di ICT, dunque, è pari a 17 unità nel complesso, 9 se si considerano soltanto gli addetti a tempo indeterminato.

7. Considerazioni conclusive e limiti della ricerca

obiettivo generale di questo lavoro è stato quello di analizzare le motivazioni delle imprese campane all’adozione delle ICT nei processi di creazione di valore. Esso si è proposto di analizzare non solo se e come le imprese utilizzano tali tecnologie nei pro-cessi a rilevanza “interna” e più facilmente codificabili (contabilità, amministrazione del personale, ordini online, etc.), ma anche di quelli più trasversali della catena del valore dell’impresa (supply chain management, customer relationship management, knowled-ge management, innovazione di prodotto, e così via), a più elevato valore strategico e con un decision making più complesso da gestire e da codificare. Questo lavoro ha avuto un approccio sia teorico che esplorativo. Infatti, attraverso il supporto di una explora-tive field research sulle imprese campane si è proceduto ad indagare i fattori, che nella prospettiva del management, spiegano gli investimenti in tecnologie interconnettive elettroniche e l’uso delle stesse ai fini dello sviluppo del vantaggio competitivo. L’inda-gine, come si è detto in precedenza, ha coinvolto 109 imprese del sistema di produzione campano, appartenenti ai settori di specializzazione della regione e ad alcuni altri in sviluppo negli ultimi anni (grande distribuzione), a cui è stato inviato un questionario. Delle 109 imprese coinvolte, 46 hanno restituito il questionario compilato.

Le principali conclusioni che si possono trarre dall’analisi empirica sono le seguenti:le imprese campane mostrano un discreto1. interesse verso le ICT in quanto hanno investito nel recente passato, e intendono investire nel prossimo futuro, quote signi-ficative del proprio budget totale degli investimenti aziendali in tali tecnologie;le 2. ICT sono utilizzate prevalentemente nelle attività “interne” della catena del valore come produzione, amministrazione, gestione dei dati e delle informazioni; le attività o processi di business trasversali, ad alta intensità relazionale ‒ come ad esempio la gestione delle relazioni con gli attori del business system (clienti, fornitori, concor-renti, intermediari commerciali) ‒ alta intensità di conoscenza (knowledge manage-ment) e di innovazione (innovazione di prodotto-servizio) non sono ancora coinvolti in misura rilevante dagli investimenti in ICT. Tuttavia, i manager ritengono che nel prossimo futuro (triennio 2008-2010) le opportunità di miglioramento della perfor-mance dell’impresa deriveranno proprio da una più efficace ed efficiente gestione di queste ultime attività. Tale dato evidenzierebbe una scarsa considerazione, da parte dei manager, del ruolo delle ICT nello sviluppo del vantaggio competitivo delle imprese.se si analizza la percezione dei 3. manager circa l’impatto sull’organizzazione e il

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management delle ICT e gli ostacoli endogeni e/o esogeni all’adozione nell’impresa di siffatte tecnologie si rilevano quattro cluster di aziende. Un primo gruppo ha, da un lato, una piena consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali che deriva-no o potrebbero derivare dall’adozione delle ICT nei processi aziendali, e, dall’altro, una bassa percezione (basso rischio percepito) degli ostacoli endogeni e/o esogeni all’adozione delle ICT. I benefici percepiti sono diversi e complementari in quanto consentono di migliorare: l’efficienza e l’efficacia dei processi tradizionali, primari e di supporto, della catena del valore (produzione, amministrazione e contabilità, ela-borazione dati, logistica); la capacità di gestire le relazioni interne ed esterne all’im-presa, i processi cognitivi e di apprendimento organizzativo, nonché l’innovazione di prodotto-servizio e di processo. In tale cluster si ritrovano: a. aziende industriali di media dimensione, operanti in settori a bassa e medio-bassa tecnologia, secondo la classificazione oECD-EURoSTAT in base all’intensità tecnologica dei settori, o supplier dominated, in base alla classificazione di Pavitt (1984); b. aziende di media e grande dimensione operanti in settori a alta e medio-alta tecnologia o, per usare la classificazione a là Pavitt, scale intesive, specialized supplier e science based. Queste ultime appartengono a gruppi nazionali e internazionali; c. grandi aziende di servizi (alle imprese e alle persone), una delle quali con un offerta di servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenza (Knowledge Intensive Business Services). Una caratteristica di tale raggruppamento di imprese è la sua buona apertura sui mercati internazionali (in termini di clientela, quota di fatturato realizzato sui mercati esteri). Per un secondo cluster di aziende, invece, i manager intervistati non perce-piscono significativi benefici organizzativo-manageriali degli investimenti in ICT, da un lato, e dall’altro ritengono scarsamente rilevanti ostacoli endogeni e/o esogeni all’adozione di dette tecnologie elettroniche interconnettive. Ad esse assegnano un ruolo strettamente operativo e di impiego nelle attività consolidate della catena del valore i cui processi sono più semplici da codificare (contabilità-amministrazione, produzione, gestione dei dati e delle informazioni). In questo quadrante, si posizio-nano: a. piccole imprese industriali operanti in settori a bassa tecnologia, o, nella classificazione di Pavitt, supplier dominated; b. medie e grandi imprese industriali operanti in settori a medio-alta e alta tecnologia, o nella classificazione di Pavit, specialised suppliers e science based; c. grandi imprese produttrici di servizi ad alta intensità di conoscenza e di servizi tradizionali. Generalmente, le grandi imprese sono unità operative di gruppi nazionali e internazionali. Se il management di tali imprese non percepisce come significativi i vantaggi degli investimenti in ICT potrebbe derivare proprio dalla considerazione del ruolo che tali imprese svolgono nel sistema del valore del gruppo aziendale di appartenenza. Esse sono fornitori di componenti, prodotti o di servizi per il mercato captive o sono strutture di vendita per il mercato locale (nel caso di imprese della distribuzione al dettaglio). In tali aziende non si svolgono processi decisionali di particolare rilevanza (che sono assunti altro-ve). Pertanto, non c’è una piena visibilità del ruolo delle ICT se non in quei processi in cui esse sono tradizionalmente applicate (contabilità-amministrazione, logistica,

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controllo produzione, elaborazione dati). La componente internazionale del mercato nelle imprese del raggruppamento è tendenzialmente simile al precedente cluster. Nel terzo cluster di aziende, invece, il management ha una scarsa percezione dei benefici organizzativo-manageriali delle ICT e un’alta percezione di ostacoli interni e/o esterni all’adozione di tali tecnologie digitali interconnettive. Per tali manager, dunque, l’investimento in ICT non solo è poco rilevante in termini di effetti organiz-zativo-manageriali ma, allo stesso tempo, è anche complesso e oneroso da gestire per rigidità endogene e/o esogene all’impresa. Le imprese del raggruppamento sono prevalentemente di piccola e media dimensione, operanti in settori industriali a bassa tecnologia (o supplier dominated) e a medio-alta tecnologia (specialised suppliers). Si ritrovano nel raggruppamento anche aziende produttrici di servizi alla persona. La componente internazionalizzazione del mercato di tali aziende è aspetto meno caratterizzante rispetto ai due cluster precedenti.

Il management del quarto gruppo di aziende, infine, ha un’alta consapevolezza dei benefici organizzativo-manageriali derivanti dagli investimenti in ICT, da un lato, e, dall’altro, un’alta percezione di ostacoli interni e/o esterni all’adozione di tali tecno-logie. Questo raggruppamento è composto da: a. aziende industriali di media dimen-sione operanti in settori a medio-alta e alta tecnologia (specialised suppliers e scien-ce based); b. grandi imprese industriali operanti in settori a medio-alta tecnologia (specialised suppliers); c. medie imprese a bassa tecnologia (supplier dominated). Il grado di internazionalizzazione del mercato di tali imprese è più basso rispetto al primo e secondo raggruppamento, ma simile al terzo;un altro aspetto, degno di nota, è la consapevolezza che gli obiettivi organizzativo-4. manageriali connessi agli investimenti in ICT compiuti nel corso degli anni non sono stati raggiunti nella loro misura massima. La complessità delle tecnologie in analisi, e delle competenze necessarie per gestirle, rende più articolato e lungo il processo di raggiungimento degli obiettivi organizzativo-manageriali alla base delle scelte origi-narie di investimento. E ciò, evidentemente, evidenzia la necessità delle imprese del sistema di produzione campano di meglio interiorizzare e integrare gli investimenti, le risorse e le competenze connessi alle ICT nel più ampio management strategico dell’impresa. A conferma di ciò, l’analisi degli investimenti in ICT effettuati dalle imprese campane nel triennio 2005-2007 e previsti nel triennio 2008-2010 privile-giano le attività della catena del valore più consolidate e “interne” (Contabilità e Amministrazione, Produzione, Elaborazione dati). Un numero consistente di imprese destina alle ICT una quota ancora bassa dell’investimento complessivo aziendale.

Per quanto esistano situazioni differenziate, si può dire che nel complesso l’atteggiamento prevalente delle imprese campane verso gli investimenti in ICT assume un profilo manageriale orientato ad integrare tali tecnologie in attività della catena del valore in cui più immediati e percepibili sono i vantaggi per l’organizzazione (Contabilità e Amministrazione, Produzione, Elaborazione dati). L’adozione di tali tecnologie per gestire relazioni verticali e/o orizzontali nel sistema di business, piuttosto

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per l’innovazione di prodotto-servizio oppure per coordinare i processi decisionali e le routine organizzative dell’organizzazione è ancora in una fase emergente. Il processo di adozione di tali tecnologie interconnettive va ancora meglio interiorizzato e organizzato nella più ampia struttura aziendale, soprattutto in quelle imprese in cui i benefici organizzativo-manageriali raggiungibili con le ICT non sono ancora emersi ad un livello di piena consapevolezza. La percezione di vincoli endogeni da parte del management di alcune imprese analizzate evidenzia la necessità di un miglioramento delle competenze e delle risorse utili a sostenere l’inserimento nell’organizzazione di tecnologie complesse e che modificano in modo pervasivo i processi decisionali e operativi aziendali. La percezione dei vincoli esogeni, invece, evidenzia la necessità di un miglioramento delle condizioni del contesto, come ad esempio, la quantità e la qualità di risorse umane qualificate e dotate di esperienza e di formazione adeguate per la gestione delle ICT, la disponibilità di infrastrutture territoriali, la presenza di una rete di servizi specifici alle imprese, la disponibilità di un’offerta adeguata ai bisogni e alle caratteristiche delle imprese (prevalentemente di piccole e media dimensione). Naturalmente questi ultimi aspetti rientrano in un più ampio discorso di strategia di sviluppo e di politica industriale regionale e/o nazionale per la quale un ruolo centrale è svolto dai policy maker.

Le considerazioni espresse in questo lavoro devono essere considerate alla luce di alcuni limiti della ricerca. Questi riguardano: a. la ricerca empirica non è stata condotta su un campione rappresentativo di imprese campane bensì utilizzando un campione di “convenienza”. Inoltre, non tutti i settori dell’economia campana sono rappresentati in modo sufficientemente ampio, tenuto conto anche della redemption dei questionari restituiti compilati (46 su 109 inviati). Dunque i risultati della ricerca hanno una finalità esplorativa e possono essere la base per ulteriori approfondimenti in futuro; b. il questionario di ricerca è stato somministrato via e-mail, pertanto le risposte potrebbero essere non corrette a causa di un’interpretazione sbagliata della domanda. Questa procedura di intervista potrebbe aver condotto ad altri errori sistematici (“di risposta” e di “non risposta”).

Nel complesso, soprattutto per alcune aree del questionario, sarebbe utile un approfondimento di ricerca con interviste personali al management delle imprese campane. E ciò potrebbe essere uno degli obiettivi futuri. Comunque, i risultati della ricerca forniscono utili indicazioni circa le motivazioni agli investimenti in ICT delle imprese campane e permettono di identificare la varianza delle motivazioni agli investimenti in ICT che sono presenti nel sistema di produzione locale.

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APPENDICE

tabella 1 La matrice degli eigenvalues delle variabili continue (n° 103) considerate nel modello

di analisi derivante dall’applicazione dell’Analisi delle Componenti Principali (ACP)

Variable Eigenvalue Percentuale Percentuale cumulata1 25,2142 24,48 24,482 10,1078 9,81 34,293 6,2209 6,04 40,334 4,9631 4,82 45,155 4,7914 4,65 49,86 4,0825 3,96 53,777 4,0084 3,89 57,668 3,2835 3,19 60,859 3,2615 3,17 64,01

10 2,9638 2,88 66,8911 2,7368 2,66 69,5512 2,4008 2,33 71,8813 2,0769 2,02 73,8914 2,0391 1,98 75,8715 1,9708 1,91 77,7916 1,8427 1,79 79,5817 1,696 1,65 81,2218 1,5842 1,54 82,7619 1,4792 1,44 84,220 1,3764 1,34 85,5321 1,2752 1,24 86,7722 1,2391 1,2 87,9823 1,1072 1,07 89,0524 1,0614 1,03 90,0825 0,9391 0,91 90,9926 0,9044 0,88 91,8727 0,7557 0,73 92,628 0,7509 0,73 93,3329 0,733 0,71 94,0430 0,6695 0,65 94,6931 0,6274 0,61 95,332 0,5844 0,57 95,8733 0,5618 0,55 96,4234 0,5108 0,5 96,9135 0,4365 0,42 97,3436 0,4189 0,41 97,7437 0,3887 0,38 98,1238 0,3475 0,34 98,4639 0,3129 0,3 98,7640 0,2888 0,28 99,0441 0,2553 0,25 99,2942 0,2379 0,23 99,5243 0,2122 0,21 99,7344 0,1563 0,15 99,8845 0,1253 0,12 10046 0 0 10047 0 0 10048 0 0 10049 0 0 10050 0 0 100

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51 0 0 10052 0 0 10053 0 0 10054 0 0 10055 0 0 10056 0 0 10057 0 0 10058 0 0 10059 0 0 10060 0 0 10061 0 0 10062 0 0 10063 0 0 10064 0 0 10065 0 0 10066 0 0 10067 0 0 10068 0 0 10069 0 0 10070 0 0 10071 0 0 10072 0 0 10073 0 0 10074 0 0 10075 0 0 10076 0 0 10077 0 0 10078 0 0 10079 0 0 10080 0 0 10081 0 0 10082 0 0 10083 0 0 10084 0 0 10085 0 0 10086 0 0 10087 0 0 10088 0 0 10089 0 0 10090 0 0 10091 0 0 10092 0 0 10093 0 0 10094 0 0 10095 0 0 10096 0 0 10097 0 0 10098 0 0 10099 0 0 100

100 0 0 100101 0 0 100102 0 0 100103 0 0 100

Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 2 Matrice delle correlazioni (loading factor analysis) tra le variabili elementari indipendenti del modello di analisi e fattori (componenti principali) risultante

dall’applicazione dell’ACPTipologia di variabile Fattore 1 Fattore 2 Fattore 3 Fattore 4 Fattore 5

0 – Grado di adozione tecnologie ICT 0,55 0,28 -0,17 -0,13 0,15Maggiore copertura clienti finali 0,51 0,14 0,16 -0,27 -0,37opportunità di penetrazione di nuovi segmenti di mercato 0,65 0,08 0,04 -0,32 -0,43Maggiore copertura distributiva 0,63 0,02 0,46 0,14 0,04Implementazione strategie di diversificazione prodotto-mercato 0,63 0,17 0,32 -0,13 -0,26Miglioramento/approfondimento relazioni con clienti finali 0,56 0,15 -0,07 -0,44 -0,38Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con concorrenti 0,62 0,09 0,31 0,11 -0,14Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con fornitori 0,55 0 -0,44 0,1 0,04Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con distributori e/o clienti intermedi 0,59 0,15 0,3 -0,22 -0,18Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo nella supply chain 0,58 0,37 -0,35 -0,11 -0,09Migliorare Partnership di R&S finalizzate all’innovazione di prodotto e/o processo 0,6 0,18 -0,08 -0,18 -0,36Riduzione costi generali 0,46 0,1 -0,07 -0,24 0,05Riduzione costi produzione 0,57 0,13 -0,11 -0,27 -0,21Riduzione costi acquisizione e gestione clienti 0,41 0,15 -0,05 -0,1 -0,36Riduzione costi distribuzione prodotti-servizi (disintermediazione) 0,54 0,06 0,46 0,2 -0,07Riduzione costi fornitura 0,46 -0,14 0,06 0 -0,59Riduzione costi controllo e miglioramento qualità prodotti-servizi 0,55 0,16 -0,14 -0,33 -0,15Riduzione costi analisi mercato 0,56 0 0,07 -0,11 -0,03Riduzione costi personalizzazione prodotti-servizi 0,6 0,03 0,16 0,3 -0,03Riduzione costi di logistica e trasporto 0,63 0,18 -0,17 0,19 -0,05Riduzione tempi assunzione decisioni 0,61 -0,14 -0,5 -0,17 0,15Riduzione tempi comunicazioni interne e gestione flussi informativi 0,64 -0,05 -0,36 -0,18 0,11Riduzione tempi accoppiamento flussi informativi con flussi di vendita-movimentazione prodotti 0,53 -0,1 -0,32 0,16 0,24Aumento produttività risorse umane 0,67 0,12 -0,15 -0,1 0,1Efficiente utilizzo risorse umane in attività a maggior valore aggiunto 0,6 -0,09 -0,29 -0,23 -0,4Maggiore ricorso outsourcing per ridurre costi attività di impresa 0,52 -0,03 0,14 0,29 -0,24Maggiore flessibilità nella produzione e/o fornitura prodotti-servizi 0,61 -0,1 0 0,24 -0,2Maggiore capacità produzione e/o fornitura prodotti-servizi 0,66 -0,07 0,07 -0,34 -0,33Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con clienti finali 0,53 -0,12 0,31 -0,28 -0,04Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con clienti intermedi e/o intermediari commerciali 0,62 -0,13 0,46 -0,01 0,03Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con fornitori 0,56 0,14 -0,14 0,18 -0,09Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con concorrenti 0,65 0,01 0,22 0,38 0,08Miglioramento qualità prodotti-servizi 0,67 -0,09 0,11 0,03 -0,1Miglioramento monitoraggio qualità prodotti-servizi 0,59 0,04 -0,19 -0,14 0,22Aumento varietà e personalizzazione prodotti-servizi 0,66 0,08 0,32 0,23 -0,24Aumento capacità di innovazione di prodotti-servizi 0,61 0,24 0,24 0,22 0,04Aumento opportunità di innovazione di processo 0,66 0,4 -0,17 -0,02 0,18Miglioramento delle capacità organizzative 0,55 0,08 -0,3 -0,03 0,31Impatto positivo sull’innovazione e cambiamento organizzativo 0,58 0,37 -0,27 -0,13 0,33Focalizzazione sulle attività strategiche e a maggior valore dell’impresa 0,49 0,07 -0,2 -0,05 -0,18Miglioramento comunicazione interna e condivisione obiettivi aziendali 0,59 0,18 -0,25 -0,13 0,19Miglioramento risoluzione conflitti interni e del clima aziendale 0,61 -0,04 -0,03 0,22 0,19Minori tempi risposta alle esigenze dei clienti 0,69 0,03 -0,1 -0,1 0,11Minori tempi risposta alle esigenze dei fornitori 0,58 -0,03 -0,11 0,28 0,14Minori tempi risposta alle esigenze dei clienti intermediari commerciali 0,52 0,01 0,47 0,16 -0,08Minori tempi risposta alle esigenze degli altri attori del business 0,59 0,18 0,01 0,06 -0,24Miglioramento soddisfazione clienti finali 0,67 0,11 -0,08 -0,2 0,15Miglioramento soddisfazione clienti intermediari commerciali 0,58 0,03 0,4 0,02 0,02Miglioramento soddisfazione altri attori del business 0,58 0,1 0,11 0,32 -0,02

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Miglioramento soddisfazione dipendenti 0,79 0 -0,03 0,17 0,22Miglior controllo e coordinamento organizzativo 0,44 -0,04 -0,3 -0,31 0,22Aumento delle capacità di conoscenza sui clienti e di gestione delle rela-zioni con gli stessi 0,57 -0,28 0 -0,29 -0,15Aumento delle capacità di conoscenza sui fornitori e di gestione delle relazioni con gli stessi 0,5 -0,35 -0,16 0,31 -0,07Aumento delle capacità di conoscenza sui clienti intermediari commercia-li e/o intermedi e di gestione delle relazioni con gli stessi 0,53 -0,3 0,37 0,2 -0,13Aumento delle capacità di conoscenza sui concorrenti partner nel busi-ness e di gestione delle relazioni con gli stessi 0,67 0,01 0,47 0,29 0,04Aumento capacità apprendimento organizzativo 0,57 0,14 0,08 -0,15 0,38Miglioramento reputazione 0,6 0,2 -0,05 -0,36 0,11Miglioramento potere contrattuale 0,59 -0,12 -0,05 -0,04 0,15Aumento della percezione affinità verso attori del business 0,62 0,06 -0,23 -0,1 0,14Aumento costi software 0,15 -0,06 -0,59 0,11 -0,16Aumento costi hardware 0,34 -0,1 -0,21 0,38 -0,06Aumento costi connettività 0,17 -0,03 -0,33 0,5 0,01Aumento costi cambiamento organizzativo 0,49 -0,14 -0,14 0,3 0,24Aumento costi training personale 0,38 -0,02 -0,17 0,08 0,26Scarse conoscenze/competenze delle tecnologie ICT da parte del manage-ment dell’impresa -0,01 -0,79 0,23 -0,21 -0,13Difficoltà di integrazione o di rendere compatibili diverse tecnologie dell’IT presenti in azienda 0,05 -0,77 -0,07 -0,06 -0,05Scarsa integrazione tra il management e gli IT manager 0,02 -0,82 0,08 -0,11 0,03Percezione di inutilità -0,01 -0,69 0,17 -0,25 -0,02Percezione di bassa redditività degli investimenti in ICT -0,07 -0,69 0,21 -0,14 0,01Incapacità di sfruttare le potenzialità informative dei dati -0,12 -0,72 0,2 0,09 0,21Personale poco formato o con scarse competenze nell’uso di sistemi ICT 0,02 -0,78 0,04 -0,02 -0,05Resistenze organizzative e culturali diffuse nell’organizzazione -0,11 -0,73 -0,1 0 0,07Investimenti elevati e non compatibili con il budget disponibile dell’im-presa -0,02 -0,75 -0,04 0,14 0,03Tecnologie presenti sul mercato poco coerenti con i bisogni e le caratteri-stiche dell’impresa 0,03 -0,58 -0,13 -0,42 -0,05Carenza di standard tecnologici universali 0,08 -0,56 -0,1 0 0,38Carenza infostrutture 0,15 -0,49 -0,18 -0,19 0,17Carenza di competenze ICT sul mercato del lavoro 0,18 -0,73 -0,02 -0,09 -0,16Volatilità/rapidità obsolescenza delle tecnologie 0,21 -0,59 -0,08 0,1 0,23Limitata offerta di servizi post-vendita da parte di fornitori ICT 0,12 -0,67 -0,19 -0,11 -0,04Carenza di servizi all’innovazione e all’adozione di tecnologie ICT 0,24 -0,69 -0,21 -0,22 -0,06Mancanza di incentivi per sostenere l’innovazione e gli investimenti in ICT 0,22 -0,43 -0,36 -0,35 -0,21Prestazioni e qualità delle soluzioni 0,47 -0,05 -0,22 0,11 -0,04Affidabilità delle soluzioni 0,53 -0,08 -0,26 0,23 0,13Affidabilità dei fornitori-marche 0,26 -0,07 -0,06 0,12 -0,31Tecnologie basate su standard universali 0,1 -0,02 -0,05 0,31 -0,34Costo iniziale investimento 0,2 -0,19 -0,03 0,11 -0,43Costo di gestione 0,29 -0,14 -0,13 0,25 -0,2Compatibilità/interconnettività con tecnologie preesistenti 0,32 -0,22 -0,12 0,38 -0,13Flessibilità di adattamento ai cambiamenti delle esigenze dell’impresa 0,35 -0,15 -0,37 0,07 -0,13Possibilità di up-grading successivi 0,44 -0,18 -0,19 0,14 -0,05Notorietà/reputazione dei fornitori 0,29 -0,1 -0,34 0,32 -0,45Vicinanza fornitori 0,35 -0,35 0,15 0,41 0,09Fornitori globali 0,42 -0,32 -0,17 0,38 0,01Relazioni di lungo termine con fornitori 0,46 -0,38 -0,19 0,27 0,03Metriche ‒ Produttività attività/risorse impiegate 0,51 -0,02 -0,04 -0,16 0,27Metriche ‒ ROI 0,38 0,05 -0,21 0,07 0,3Metriche ‒ Customer satisfaction 0,52 -0,04 0,38 -0,33 0,17Metriche ‒ Customer retention 0,52 -0,06 0,42 -0,19 0,23Metriche – Ampiezza/Profondità relazioni con i clienti 0,51 -0,11 0,49 -0,23 0,18Metriche – Ampiezza/Profondità relazioni con i fornitori 0,55 -0,09 0,33 -0,06 0,21Metriche – Ampiezza/Profondità relazioni con i intermediari commerciali 0,48 -0,19 0,48 0,02 0,24Metriche ‒ Time to market 0,51 -0,17 0,21 -0,05 0,48Metriche ‒ Tempo realizzazione attività in cui le tecnologie ICT sono impiegate 0,5 0,2 0,12 -0,2 0,49Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 3 I raggruppamenti di aziende risultanti dall’applicazione della cluster analysis (CA). I nomi

delle imprese sono stati sostituiti per motivi di privacy con le appartenenze settoriali.Cluster 1/3: 16 aziende

Graduatoria Distanza dal centro del cluster Identificatore (settore di appartenenza dell’azienda)1 10,1646 Aeronautico 2 11,0512 orafo 3 14,4852 Componentistica Auto 4 17,9675 ICT 5 19,1361 Alimentare 6 21,8108 Bevande 7 22,136 orafo 8 22,537 ICT 9 29,601 ICT 10 34,4442 Servizi ingegneria, progettazione, ricerca e sviluppo11 40,858 Componentistica Auto12 42,2069 Aeronautico13 42,3507 Abbigliamento 14 46,6634 Nautica 15 50,8224 Servizi ingegneria, progettazione, ricerca e sviluppo 16 157,624 orafo

Cluster 2/3: 24 aziendeGraduatoria Distanza dal centro del cluster Identificatore (settore di appartenenza dell’azienda)

1 14,4683 ICT2 17,1084 ICT 3 18,3038 Aeronautico4 22,0611 Aeronautico5 23,9038 ICT 6 30,7886 Logistica 7 31,0956 Aerospazio8 31,8345 Meccanica9 34,8826 Nautica10 47,0047 Alimentare11 50,7458 Servizi ingegneria, progettazione, ricerca e sviluppo12 53,7262 Aeronautico13 58,9916 Bevande 14 59,6675 Servizi ingegneria, progettazione, ricerca e sviluppo15 60,0316 Logistica 16 61,0729 Accessori Moda 17 62,3472 Crocieristico 18 64,4964 ICT19 67,8953 Bevande 20 68,8099 Altri servizi 21 80,8645 Ferroviario 22 94,2625 Grande distribuzione al dettaglio 23 105,51 Grande distribuzione al dettaglio 24 144,225 Aeronautico

Cluster 3/3: 6 aziendeGraduatoria Distanza dal centro del cluster Identificatore (settore di appartenenza dell’azienda)

1 18,0262 Servizi ingegneria, progettazione, ricerca e sviluppo 2 25,7791 Altri servizi 3 28,0235 ICT 4 38,6926 Aeronautico5 39,1586 Ferroviario 6 51,1611 orafo

Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 4 I raggruppamenti di aziende risultanti dall’applicazione della cluster analysis (CA) in

base alle caratteristiche delle variabili indipendenti continueCLUSTER 1/3 (Peso = 16.00; n° Aziende = 16 )

Caratteristiche delle variabili Media cluster

Media generale

Deviazione standard

Deviazione standard Test-value Probability

cluster generaleMiglioramento profondità-ampiezza relazioni clienti interme-di o intermediari commerciali 0,924 0 0,589 0,988 4,43 0

Aumento delle capacità di conoscenza sui concorrenti part-ner nel business e di gestione delle relazioni con gli stessi 0,84 0 0,52 0,989 4,16 0

Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con concorren-ti con cui si hanno relazioni collaborative 0,831 0 0,49 0,989 4,14 0

Miglioramento soddisfazione dipendenti 0,802 0 0,773 0,989 4 0Metriche – Ampiezza/Profondità relazioni con i intermediari commerciali 0,831 0 0,773 0,987 3,91 0

Miglioramento risoluzione conflitti interni e del clima azien-dale 0,783 0 0,635 0,989 3,88 0

Miglioramento potere contrattuale 0,776 0 0,764 0,989 3,87 0Aumento varietà e personalizzazione prodotti-servizi 0,776 0 0,531 0,989 3,86 0Maggiore copertura distributiva 0,8 0 0,851 0,989 3,81 0Metriche ‒ Time to market 0,858 0 0,681 0,987 3,79 0Maggiore flessibilità nella produzione e/o fornitura prodotti-servizi 0,748 0 0,675 0,989 3,75 0

Aumento capacità di innovazione di prodotti-servizi 0,75 0 0,604 0,989 3,74 0Metriche – Ampiezza/Profondità relazioni con i fornitori 0,799 0 0,799 0,987 3,74 0Riduzione costi personalizzazione prodotti-servizi 0,734 0 0,735 0,989 3,66 0Riduzione tempi accoppiamento flussi informativi con flussi di vendita-movimentazione prodotti 0,766 0 0,481 0,989 3,66 0

Aumento percezione affinità verso attori del business in ter-mini culturali e organizzativi 0,698 0 0,712 0,989 3,48 0

Vicinanza fornitori 0,685 0 0,765 0,989 3,41 0Miglioramento soddisfazione clienti intermediari commer-ciali 0,702 0 0,573 0,988 3,41 0

Metriche – Customer Retention 0,7 0 0,564 0,988 3,4 0Riduzione costi distribuzione 0,713 0 0,583 0,989 3,4 0Metriche – Ampiezza/Profondità relazioni con i clienti 0,694 0 0,608 0,987 3,4 0Aumento delle capacità di conoscenza sui clienti interme-diari commerciali e/o intermedi e di gestione delle relazioni con gli stessi

0,705 0 0,679 0,988 3,38 0

Affidabilità soluzioni 0,664 0 0,623 0,989 3,31 0Maggiore ricorso outsourcing per ridurre i costi dell’impresa 0,691 0 0,517 0,989 3,28 0,001Miglioramento della soddisfazione degli altri attori del business 0,667 0 0,568 0,987 3,27 0,001

Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con i fornitori 0,682 0 0,647 0,989 3,24 0,001Aumento produttività risorse umane 0,652 0 0,606 0,989 3,23 0,001Miglioramento qualità prodotti-servizi 0,65 0 0,456 0,989 3,22 0,001Miglioramento capacità organizzative 0,648 0 0,481 0,989 3,21 0,001Fornitori globali 0,636 0 0,999 0,989 3,19 0,001Metriche ‒ ROI 0,639 0 0,654 0,988 3,06 0,001Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con concorrenti 0,614 0 0,609 0,989 3,04 0,001

Aumento capacità apprendimento organizzativo 0,601 0 0,631 0,989 2,98 0,001Focalizzazione sulle attività strategiche e a maggior valore dell’impresa 0,645 0 0,699 0,988 2,94 0,002

Metriche ‒ Customer satisfaction 0,608 0 0,759 0,988 2,94 0,002Riduzione costi logistici 0,592 0 0,617 0,989 2,93 0,002Aumento costi cambiamento organizzativo 0,592 0 0,926 0,989 2,93 0,002Compatibilità/interconnettività con tecnologie preesistenti 0,581 0 0,69 0,989 2,89 0,002Metriche ‒ Produttività attività e risorse impiegate 0,592 0 0,733 0,988 2,84 0,002Miglioramento reputazione 0,57 0 0,771 0,989 2,84 0,002Minori tempi di risposta alle esigenze dei clienti 0,569 0 0,73 0,989 2,84 0,002

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Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con i clienti finali 0,572 0 0,745 0,989 2,83 0,002

Implementazione strategie di diversificazione prodotto-mercato 0,592 0 0,785 0,989 2,82 0,002

Miglioramento della comunicazione tra il personale e mag-giore condivisione degli obiettivi aziendali 0,568 0 0,733 0,989 2,81 0,002

Minori tempi di risposta alle esigenze dei clienti intermedi e intermediari commerciali 0,581 0 0,557 0,988 2,8 0,003

Possibilità di up-grading successivi 0,551 0 0,568 0,989 2,75 0,003Minori tempi risposta alle esigenze dei fornitori 0,575 0 0,605 0,989 2,74 0,003Costo di gestione 0,549 0 0,596 0,989 2,74 0,003Relazioni di lungo termine con fornitori 0,544 0 0,876 0,989 2,71 0,003Aumento opportunità di innovazione di processo 0,547 0 0,793 0,989 2,71 0,0030 – Grado di adozione 0,539 0 0,797 0,989 2,7 0,003Riduzione costi analisi di mercato 0,542 0 0,733 0,989 2,68 0,004Maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse umane 0,536 0 0,84 0,989 2,65 0,004Aumento delle capacità di conoscenza sui fornitori e di gestione delle relazioni con gli stessi 0,556 0 0,887 0,989 2,64 0,004

Maggiore capacità produzione e/o di fornitura di prodotti-servizi 0,524 0 0,88 0,989 2,63 0,004

Integrazione dei processi con i fornitori 0,541 0 0,708 0,989 2,56 0,005Riduzione costi generali 0,515 0 0,679 0,989 2,55 0,005Miglioramento della soddisfazione dei clienti finali 0,509 0 0,71 0,989 2,54 0,006Riduzione tempi di assunzione delle decisioni 0,512 0 0,479 0,989 2,54 0,006Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con distributori e/o clienti intermedi 0,509 0 0,814 0,989 2,54 0,006

Metriche – Tempo di realizzazione delle attività in cui sono impegnate le ICT 0,508 0 0,563 0,988 2,47 0,007

Miglioramento monitoraggio della qualità prodotti-servizi 0,496 0 0,665 0,989 2,46 0,007Aumento costi di cambiamento organizzativo 0,493 0 0,629 0,989 2,46 0,007Aumento costi hardware 0,493 0 0,841 0,989 2,44 0,007Volatilità/rapidità obsolescenza delle tecnologie 0,473 0 1,005 0,989 2,34 0,01Costo iniziale di investimento 0,47 0 0,869 0,989 2,34 0,01

CLUSTER 2/ 3 (Peso = 24.00 N° Aziende = 24 )

Caratteristiche delle variabili Media cluster

Media generale

Deviazione standard

Deviazione standard Test-value Probability

cluster generaleAumento varietà e personalizzazione prodotti-servizi -0,347 0 0,969 0,989 -2,38 0,009Metriche – Profondità-ampiezza relazioni con i clienti -0,402 0 0,955 0,987 -2,54 0,006Aumento delle capacità di conoscenza sui concorrenti con cui si instaurano relazioni collaborative e di gestione delle relazioni con gli stessi

-0,363 0 0,89 0,989 -2,57 0,005

Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con clienti intermedi e intermediari commerciali -0,414 0 0,716 0,988 -2,91 0,002

Metriche – Profondità-ampiezza relazioni con i fornitori -0,457 0 0,772 0,987 -2,93 0,002Metriche – Profondità-ampiezza relazioni con i clienti inter-medi e intermediari commerciali -0,497 0 0,763 0,987 -3,06 0,001

Miglioramento profondità-ampiezza relazioni con i concor-renti con cui si instaurano relazioni collaborative -0,431 0 0,915 0,989 -3,09 0,001

Vicinanza fornitori -0,469 0 0,832 0,989 -3,22 0,001CLUSTER 3/3 (Peso = 6.00 N° Aziende = 6 )

Caratteristiche delle variabili Media cluster

Media generale

Deviazione standard

Deviazione standard Test-value Probability

cluster generaleAffidabilità soluzioni -0,895 0 1,073 0,989 -2,36 0,009Minori tempi risposta alle esigenze degli altri attori del business -1,028 0 0,765 0,987 -2,46 0,007

Implementazione strategie di diversificazione prodotto-mercato -0,935 0 0,696 0,989 -2,46 0,007

Metriche – Tempi di realizzazione delle attività in cui sono impiegate le ICT -1,035 0 0,69 0,988 -2,47 0,007

Riduzione costi analisi di mercato -0,942 0 0,55 0,989 -2,48 0,007Miglioramento soddisfazione dei clienti intermedi e interme-diari commerciali -1,052 0 0,351 0,988 -2,51 0,006

Possibilità di up-grading successivi -0,965 0 0,554 0,989 -2,54 0,006

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Miglioramento qualità prodotti-servizi -0,97 0 0,928 0,989 -2,55 0,005Maggiore capacità produzione e/o fornitura di prodotti-servizi -0,991 0 0,796 0,989 -2,61 0,005

Flessibilità di adattamento ai cambiamenti delle esigenze dell’impresa -1,013 0 0,894 0,989 -2,67 0,004

Aumento percezione affinità verso attori del business in ter-mini di culturali e organizzativi -1,022 0 0,493 0,989 -2,69 0,004

Riduzione costi di gestione della produzione -1,031 0 0,918 0,989 -2,71 0,003Focalizzazione sulle attività strategiche e a maggior valore dell’impresa -1,051 0 0,636 0,988 -2,77 0,003

Miglioramento risoluzione conflitti interni e del clima azien-dale -1,058 0 0,66 0,989 -2,78 0,003

Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con fornitori -1,081 0 0,946 0,989 -2,84 0,002

Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo con intermediari commerciali e clienti intermedi -1,102 0 0,626 0,989 -2,9 0,002

Maggiore copertura della clientela finale -1,108 0 0,784 0,989 -2,91 0,002Riduzione costi generali -1,113 0 0,505 0,989 -2,92 0,002Miglioramento capacità organizzative -1,116 0 0,454 0,989 -2,93 0,002Miglioramento delle partnership di ricerca e sviluppo fina-lizzate all’innovazione di prodotto e/o processo -1,176 0 0,519 0,989 -3,09 0,001

Miglioramento della comunicazione tra il personale e mag-giore condivisione degli obiettivi aziendali -1,188 0 0,861 0,989 -3,12 0,001

Integrazione processi/ miglioramento relazioni/scambio informativo nella supply chain -1,2 0 0,744 0,989 -3,15 0,001

Miglioramento soddisfazione dei dipendenti -1,203 0 0,751 0,989 -3,16 0,001Aumento produttività risorse umane. -1,231 0 0,52 0,989 -3,23 0,001Efficiente utilizzo delle risorse umane in attività a maggior valore aggiunto -1,238 0 0,835 0,989 -3,25 0,001

Miglioramento della reputazione verso gli attori del business -1,248 0 0,407 0,989 -3,28 0,001Aumento capacità di innovazione di processo -1,273 0 0,732 0,989 -3,34 0Riduzione costi di controllo e miglioramento della qualità dei prodotti-servizi -1,294 0 0,923 0,989 -3,41 0

0 – Grado di Adozione delle ICT -1,438 0 0,99 0,989 -3,42 0Prestazioni e qualità delle soluzioni -1,311 0 0,725 0,989 -3,45 0Miglioramento della profondità-ampiezza delle relazioni con i clienti finali -1,362 0 0,704 0,989 -3,58 0

Riduzione costi logistici -1,365 0 0,418 0,989 -3,58 0Aumento capacità apprendimento organizzativo -1,374 0 0,862 0,989 -3,61 0Aumento delle capacità di conoscenza sui clienti e di gestio-ne delle relazioni con gli stessi -1,391 0 0,786 0,989 -3,65 0

Miglioramento del controllo e coordinamento organizzativo -1,417 0 0,783 0,989 -3,73 0Miglioramento del monitoraggio della qualità dei prodotti-servizi -1,436 0 1,079 0,989 -3,77 0

opportunità di penetrazione di nuovi segmenti di mercato -1,58 0 0,366 0,989 -4,15 0Riduzione tempi per la comunicazione interna e la gestione dei flussi informativi interni -1,633 0 0,436 0,989 -4,29 0

Aumento costi di cambiamento organizzativo -1,639 0 0,532 0,989 -4,31 0Riduzione tempi assunzione decisioni -1,642 0 0,455 0,989 -4,31 0Miglioramento della soddisfazione dei clienti finali -1,793 0 0,364 0,989 -4,72 0Minori tempi di risposta alle esigenze dei clienti -1,814 0 0,596 0,989 -4,77 0Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 5 I risultati dell’applicazione dell’ACP al set delle macrovariabili considerate

nel modello di analisiTipologia di macrovariabile Componente 1 Componente 2 Componente 3 Componente 4 Componente 5Impatto Mercato 0,78 -0,23 -0,31 0,05 0,36Relazioni interimpresa 0,81 -0,3 -0,1 -0,3 0,09Impatto sull’efficienza 0,92 -0,06 0 -0,2 0,05Impatto sull’efficacia dell’impresa 0,9 -0,13 -0,01 -0,04 -0,04Impatto sulla conoscenza 0,81 0,19 -0,03 0,27 0,23Impatto sulla fiducia/reputazione/potere contrattuale 0,72 -0,07 -0,1 -0,17 -0,54Impatto sui costi fissi 0,42 0,15 0,82 0,09 -0,09Fattori organizzativi inibitori interni 0,01 0,89 -0,19 0,06 0,15Fattori inibitori esterni 0,21 0,81 -0,22 -0,3 -0,17Fattori determinanti la scelta degli investi-menti in tecnologia 0,62 0,32 0,42 -0,05 0,17Metriche di valutazione della performance 0,64 0,05 -0,2 0,61 -0,3Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 6I piani di investimento in ICT nel triennio 2008-2010 delle imprese intervistate

Quali sono per l’immediato futuro (prossimi 3 anni: 2008-2010) i piani di investimento in ICT dell’impresa?

oltre 100% di aumento degli investimenti 5

3850-100% di aumento di investimento 425-50% di aumento di investimento 1010-25% di aumento di investimento 12Fino al 10% di aumento di investimento 7

= Stesso livello di investimento 7 7

¯

Fino al 10% di diminuzione degli investimenti 0

010-25% di diminuzione degli investimenti 025-50% di diminuzione degli investimenti 050-100% di diminuzione degli investimenti 0

Rispondenti (N) 45 Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 7 I piani di investimento in ICT nel triennio 2005-2007 delle imprese intervistate

In che proporzione nella Sua impresa i seguenti processi di business sono stati interessati negli ultimi 3 anni (2005-2007) dagli investimenti ICT?

Grado di coinvolgimento dei processi di business in investimenti ICT

Meno del 10% 10-25% 25-50% 51-75% 75-100% Rispondenti (N)

1. Marketing, vendite e gestione della forza di vendita 20 8 4 7 3 422. Amministrazione 10 13 11 9 3 463. Gestione fornitori (approvvigionamenti) 15 11 11 6 2 454. Gestione clienti intermediari o intermedi (clienti industriali) 17 8 7 7 0 395. Gestione clienti finali 14 11 9 5 4 436. Gestione dei dati e delle informazioni 6 9 11 11 6 437. Servizi post vendita (customer care) 15 5 11 6 2 398. Produzione 9 8 15 9 1 429. Logistica 12 12 11 4 3 4210. Gestione Risorse Umane 15 14 12 4 0 4511. Gestione dell’innovazione del prodotto/servizio 7 13 10 8 4 4212. Lavoro remoto/mobile working 22 8 5 4 1 4013. Knowledge Management 13 17 5 6 1 4214. Gestione integrata della supply chain 17 11 7 4 0 4015. Altro 0 0 1 0 2 3Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 8 I processi di business interessati dai piani di investimento in ICT nel triennio

2005-2007 delle imprese intervistateIn che proporzione nella Sua impresa i seguenti processi di business saranno interessati nei prossimii 3 anni (2008-2010)

dagli investimenti ICT?Grado di coinvolgimento dei processi di business

in investimenti ICTMeno del

10% 10-25% 25-50% 51-75% 75-100% Rispondenti (N)

1. Marketing, vendite e gestione della forza di vendita 8 14 8 6 3 392. Amministrazione 9 13 11 8 2 433. Gestione fornitori (approvvigionamenti) 11 12 12 6 1 424. Gestione clienti intermediari o intermedi (clienti industriali) 13 11 5 8 1 385. Gestione clienti finali 9 13 11 8 2 436. Gestione dei dati e delle informazioni 3 12 12 13 4 447. Servizi post vendita (customer care) 5 15 10 7 3 408. Produzione 9 8 11 6 7 419. Logistica 10 9 9 8 5 4110. Gestione Risorse Umane 13 12 13 3 1 4211. Gestione dell’innovazione del prodotto/servizio 11 10 6 11 5 4312. Lavoro remoto/mobile working 19 7 8 5 2 4113. Knowledge Management 14 14 10 3 3 4414. Gestione integrata della supply chain 15 8 11 5 4 4315. Altro 0 1 1 0 2 4Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 9Grado di raggiungimento degli obiettivi degli investimenti in ICT

delle imprese intervistateIn che misura gli obiettivi prefissati con gli investimenti in ICT sono stati raggiunti nella Sua impresa?

Grado di raggiungimento degli obiettivi degli investimenti in ICT

Meno del 25% 525-50% 1851-75% 1376-99% 7

100% 2Rispondenti (N) 45Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 10Tempo di ritorno degli investimenti in ICT delle imprese intervistate

In media entro quanto tempo l’impresa ha raggiunto, o si è prefissa di raggiungere, l’obiettivo di ritorno degli investimenti dei progetti ICT?

Tempo di ritorno degli investimenti in ICT

Meno di 12 mesi 312-24 mesi 2724-36 mesi 136-48 mesi 11

Maggiore di 48 mesi 3Rispondenti (N) 45Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 11 Le attività e/o i processi di business in cui per le imprese intervistate esistono le maggiori opportunità di miglioramento della performance aziendale nel triennio

2008-2010In quali delle seguenti attività e/o processi aziendali sono, a Suo giudizio, le maggiori

opportunità di miglioramento delle performance dell’impresa nei prossimi 3 anni (2008-2010)?Attività o processi aziendali Meno del

10% 10-25% 25-50% 51-75% 75-100% Rispondenti (N)1. Marketing, vendite e gestione della forza di vendita 8 5 14 6 5 382. Amministrazione 7 14 6 10 4 413. Gestione fornitori (approvvigionamenti) 8 9 14 5 5 414. Gestione clienti intermediari o intermedi (clienti indu-striali) 11 7 10 5 3 365. Gestione clienti finali 4 9 15 9 5 426. Gestione dei dati e delle informazioni 3 6 10 12 9 417. Servizi post vendita (customer care) 4 5 11 9 8 388. Produzione 6 8 8 8 9 399. Logistica 5 8 10 9 8 4010. Gestione Risorse Umane 6 18 11 5 1 4111. Gestione dell’innovazione del prodotto/servizio 7 6 13 6 5 3812. Lavoro remoto/mobile working 14 8 8 6 2 3813. Knowledge Management 9 10 10 6 4 3914. Gestione integrata della supply chain 9 8 12 6 4 4015. Altro 0 1 0 0 1 2Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 12 Gli addetti totali e nelle attività di ICT delle imprese intervistate

Addetti na tempo determinato 157a tempo indeterminato 5.977Totale 6.134Media (N=28) 219Addetti in attività ICT na tempo determinato 210a tempo indeterminato 255Totale 465Media (N=27) 17

Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 13 Composizione percentuale della spesa in ICT delle imprese intervistate

nel triennio 2005-2007Composizione % della spesa ICT per tipologia di prodotto/servizio acquistato nell’intero triennio (media 2005-2007)

Hardware 37,56Software 36,33Servizi 26,26Rispondenti (N) 39Fonte: Ns. elaborazioni

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tabella 14 Quota del budget complessivo investita in ICT nel triennio 2005-2007

Qual è la quota del budget generale che la sua impresa ha investito in media negli ultimi tre anni (2005-07) in progetti in ICT?

Quota di budget destinata ad investimenti ICT

Minore del 10% 1410-25% 2226-50% 351-75% 1Maggiore del 75% 1

Rispondenti (N) 41Fonte: Ns. elaborazioni

tabella 15 Il profiling dei cluster relativamente alle macrovariabili del modello di analisi

CLUSTER 1 / 3 (Peso = 27.00; N° = 27 )

Caratteristiche delle variabiliMedia cluster

Media gene-rale

Deviazione standard clu-

ster

Deviazione generale clu-

ster Test-value ProbabilityMetriche di valutazione della per-formance -0,727 0 1,956 2,312 -2,52 0,006Fattori determinanti la scelta degli investimenti in tecnologie ICT -0,701 0 1,662 2,111 -2,65 0,004

CLUSTER 2 / 3 (Peso = 5.00; N° = 5 )

Caratteristiche delle variabiliMedia cluster

Media gene-rale

Deviazione standard clu-

ster

Deviazione generale clu-

ster Test-value ProbabilityImpatto sulla fiducia/reputazione/potere contrattuale -1,923 0 0,632 1,499 -3 0,001Impatto sulla conoscenza -2,172 0 1,4 1,594 -3,19 0,001Impatto Mercato -2,706 0 0,73 1,604 -3,95 0Relazioni interimpresa -3,043 0 0,896 1,761 -4,05 0Impatto sull’efficacia dell’impresa -5,579 0 1,592 3,076 -4,25 0Impatto sull’efficienza -4,678 0 1,293 2,532 -4,33 0

CLUSTER 3 / 3 (Peso = 14.00; N° = 14 )

Caratteristiche delle variabiliMedia cluster

Media gene-rale

Deviazione standard clu-

ster

Deviazione generale clu-

ster Test-value ProbabilityImpatto sulla conoscenza 1,624 0 0,782 1,594 4,52 0Impatto sull’efficienza 2,554 0 1,47 2,532 4,48 0Impatto sull’efficacia dell’impresa 2,937 0 1,573 3,076 4,24 0Metriche di valutazione della per-formance 2,165 0 1,222 2,312 4,16 0Impatto sulla fiducia/reputazione/potere contrattuale 1,394 0 0,971 1,499 4,13 0Fattori determinanti la scelta degli investimenti in tecnologia 1,939 0 1,416 2,111 4,08 0Impatto Mercato 1,298 0 1,032 1,604 3,59 0Relazioni interimpresa 1,42 0 1,126 1,761 3,58 0Fonte: Ns. elaborazioni

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CAPITOLO 5

IL SETTORE AERONAUTICO IN CAMPANIA E IL RUOLO DEI SERVIZI ALLA PRODUZIONE

Salvio Capasso, Renato Aurigemma, Olimpia Ferrara, Dario Ruggiero

1. Introduzione

Tra i settori più dinamici e globali dell’industria campana, occupa un ruolo di rilievo quello aeronautico e, più in generale, l’aerospaziale. Si tratta di un settore che sta registrando ampi e variegati processi di sviluppo a livello mondiale generati dalla crescente necessità di mobilità e comunicazioni internazionali.1

Il livello di strutturazione locale del settore in Campania è indubbiamente evidenziato dal cospicuo numero di imprese aeronautiche, alcune di grande e media dimensione, altre caratterizzate da una dimensione ridotta anche se comunque attive e dinamiche. Queste caratteristiche strutturali del settore, di natura fortemente orientata alla manifattura e quindi alla produzione di parti di veicoli aeronautici ed aerospaziali, ha, tra l’altro, alimentato, sebbene in misura non massiva ed ancora molto potenziale, una domanda di servizi connessi direttamente o indirettamente alla produzione aerospaziale.

FiGura 1Principali ambiti di analisi

DOMANDA

-Aziende aeronautiche di media e grande dimensione

- Agenzie ed aziende spaziali- Consorzi

OFFERTA

-Imprese che offrono servizi tecnici-Altre imprese di servizi

APERTURA INTERNAZIONALEATTUALE E POTENZIALE

Fonte: SRM

1 Per approfondimenti si veda SRM (2007), L’Industria Aeronautica: Struttura e prospettive di cre-scita, collana “Distretti Industriali e poli produttivi della Campania”.

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In questa prospettiva, considerando le ricadute (di crescita economica ed interna-zionale) che un moderno e competitivo sviluppo del settore potrebbe avere sul mondo dei servizi ad esso collegato ‒ favorendone in particolare la sua effettiva strutturazione e potenzialmente una sua crescita anche in termini competitivi e di ampliamento del mercato di riferimento ‒, il presente capitolo si propone di evidenziare le caratteristiche attuali e le potenzialità future della domanda e dell’offerta dei servizi che ruotano attor-no al sistema aeronautico ed aerospaziale in Campania, esaminandone la componente locale, nazionale ed internazionale.

Il capitolo prevede pertanto, dapprima (paragrafo 2) una descrizione della supply chain che caratterizza sia il settore aeronautico che quello spaziale evidenziandone le principali caratteristiche che li differenziano. Segue poi una descrizione del settore in Italia ed in Campania (paragrafo 3). A seguire si entrerà più specificamente nei processi produttivi del settore aeronautico e spaziale con l’obiettivo di evidenziare le tipologie di servizi prevalentemente tecnici che supportano il processo produttivo, e la generale strategia di gestione (interna o outsourcing) (paragrafo 4). Nel quinto paragrafo si darà una visione prevalentemente qualitativa dei principali attori che sono fonte di domanda (in campo aeronautico e spaziale) di servizi. Nel sesto paragrafo infine si cercherà di dare una visione completa dell’offerta di servizi esaminando le aziende particolarmente sviluppate e focalizzandosi sulle caratteristiche attuali e potenziali di internazionalizzazione. Si dedicherà infine un paragrafo alle conclusioni dello studio effettuato.

Lo studio, oltre ad avvalersi delle principali fonti nazionali ed internazionali (ASD, ISTAT, AIDA BVDEP, Campania aerospace) per l’analisi dei dati e la descrizione del settore, si è avvalsa di un’analisi sul campo ricorrendo sia all’utilizzo di un questionario che ad interviste mirate ad operatori privilegiati. In particolare per quanto concerne la mappatura dei servizi sono stati somministrati appositi questionari ad un panel di 129 imprese campane (comprensivo di quasi la totalità dell’universo delle imprese aerospaziali e connesse presenti in Campania) utilizzando principalmente i riferimenti presenti nel portale “campaniaerospace.it”, integrati con i riferimenti di altri soggetti, indicati dalle stesse aziende, dall’ordine degli Ingegneri di Napoli, dal “Polo Hitech di Napoli Est, e dai principali esperti del settore. oltre il 70% hanno dato risposta al questionario, contribuendo così a fornire una mappatura abbastanza rappresentativa sui servizi nel comparto aerospaziale campano.

Inoltre per quanto concerne lo studio della domanda di servizi ci si è avvalsi anche dell’ausilio di interviste fatte ad alcune tra le principali imprese campane di medie dimensioni operanti in campo aerospaziale.

Dato il fatto che la domanda di servizi è influenzato dal settore principale in cui l’azienda opera (Aeronautico o spaziale) e dal posizionamento dell’azienda all’interno della supply chain (system integrator o fornitore), si è deciso di effettuare interviste che coprano diversi aspetti della domanda. In particolare sono state effettuate tre interviste:1) Ing. Paolo Bellomia, Vice Presidente della Dema S.p.A., come rappresentante di

un’impresa di media dimensione che opera come fornitore all’interno della supply chain internazionale e non ha un proprio mercato di sbocco;

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2) Ing. Massimiliano Marotta e Massimiliano Pastena, rispettivamente responsabile tecnico e relazionale della sede di Benevento della Gavazzi space S.p.A., come rappresentanti di un’impresa di media dimensione, system integrator (di media- piccola dimensione) nel settore spaziale;

3) Ing. Placido De Alcubierre, direttore tecnico della Vulcanair S.p.A. come rappresentante di un’impresa di media dimensione, system integrator (di media-piccola dimensione) nel campo dell’aviazione leggera.A queste, è stata aggiunta poi l’intervista fatta all’Ing. Luigi Vinci, Presidente

dell’ordine degli ingegneri di Napoli, che ci ha fornito alcune osservazioni sulle caratteristiche e sulle prospettive del settore aerospaziale campano.

Di tali interviste è possibile visionarne alcuni spunti rispettivamente nel paragrafo 5 (Le principali fonti di domanda dei servizi) per quanto riguarda le interviste ai tre rappresentanti delle medie imprese (Paolo Bellomia, Massimiliano Marotta – Massimiliano Pastena, Placido De Alcubierre) e nel paragrafo 6 (offerta ed apertura internazionale dei servizi aerospaziali) per quanto riguarda invece il presidente dell’ordine degli ingegneri – Luigi Vinci.

FiGura 2 Metodologia dell’analisi

Analisi DESK

Analisi FIELD

ASD, ISTAT,

AIDA BVDEP,

Campania aerospace…

Questionari ad un

campione di 129 imprese,

comprensivo di quasi la totalità

dell’universo delle

imprese aerospaziali campane

Interviste ad attori privilegiati:

P. Bellomia – Dema spa

M. Marotta e M. Pastena – Gavazzi space spa,

P. De Alcubierre – Vulcanair spa,

L. Vinci – Presidente Ordine degli Ingegneri

Napoli

Principali dati economici

internazionali, nazionali e

regionali

Individuazione delle

principali tipologie di

servizi offerte e domandate

Principali caratteristiche

e prospettive

dell’offerta e della

domanda di servizi

in Campania

Fonte: SRM

2. La “supply chain” internazionale del settore aerospaziale

L’Aerospazio è un settore particolarmente complesso sia per la numerosità di compe-tenze diversificate che lo caratterizzano (e quindi dei soggetti potenzialmente interessati

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nei progetti) sia per la differenti localizzazioni geografica degli attori coinvolti nelle catena di fornitura. Date le sue caratteristiche, specie per quanto concerne la componen-te manifatturiera meno pregiata (molto meno per quella di servizio), risente, pertanto, molto del processo di global sourcing che vede l’emergere consistente di imprese loca-lizzate in paesi caratterizzati da costi della manodopera più bassi. In realtà è possibile distinguere due grandi componenti: l’Aeronautico (legato alla costruzione di aerei la cui domanda origina dai due grandi system integrator mondiali – Boeing, Airbus – per poi prosegue seguendo una supply chain dalle caratteristiche piramidali); lo Spaziale (carat-terizzato da una maggior componente di servizio e la cui principale fonte di domanda è rappresentata dalle agenzie spaziali nazionali ed internazionali per poi interessare i grossi player locali ed infine riflettersi sui subfornitori con una supply chain anche in questo caso piramidale ma tendenzialmente più piatta). Nonostante la distinzione, essi sono comunque settori molto vicini e caratterizzati da tecnologie comuni e spesso l’evoluzione e lo svilupparsi dell’uno porta conseguenze benefiche all’altro. Non a caso spesso nelle statistiche economiche nazionali e internazionali si parla in generale in termini di aerospazio comprendendo i due grandi rami sopra citati.

Per quanto concerne il settore aeronautico in particolare, la complessità del prodotto che in tutte le sue fasi richiede il sapere e le competenze di attori diversificati determina una struttura nella catena di fornitura particolare e molto complessa. Essa assume una struttura piuttosto piramidale, molto concentrata a monte e molto concorrenziale a valle con potere contrattuale che decresce scendendo lungo di essa. Tale struttura vede l’esi-stenza di almeno tre principali tipologie di imprese: System Integrator al vertice, i Prime Contractor ed infine i fornitori di secondo livello alla base.

è un settore sostanzialmente dominato da un duopolio. Da una parte l’americana Boeing e, dall’altra, il consorzio franco-tedesco Airbus, che vantano entrambi il ruolo di System Integrator. Altri paesi importanti in questo settore, oltre a quelli citati, sono il Canada, il Brasile, l’Italia, la Spagna ed il Giappone. Emergono Cina e Polonia. Il motivo della concentrazione del business nelle mani di pochi operatori è strettamente legato alle caratteristiche tecnologiche del prodotto aeromobile; infatti lo sviluppo di un nuovo prodotto richiede una base di conoscenze scientifiche e tecnologiche ampie e diversificata che solo pochi sistemi paese possono vantare; inoltre lo sviluppo di un nuovo vettore richiede investimenti di grandi dimensioni che solo poche grandi imprese possono intraprendere.

Alle imprese al vertice della filiera è delegato il compito di concepire e coordinare lo sviluppo di nuovi prodotti e l’assemblaggio finale del velivolo; loro compito è anche la complessa gestione della rete di fornitori che consentono di realizzare il prodotto finito. Questi ultimi possono classificarsi in prime contractors: ovvero i principali interlocutori dei system integrators, aziende di medio-grandi dimensioni che si assumono parte del rischio del progetto condividendo predeterminate quote dei costi non ricorrenti (come ad esempio la ricerca e sviluppo). Seguono poi i fornitori di secondo livello, ovvero imprese sviluppatesi al fianco dei prime contractors caratterizzate in generale da un buon livello di specializzazione, che si sono specializzate nella produzione di parti,

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componenti o interi gruppi funzionali per il settore aeronautico e spaziale. Infine ci sono i subfornitori, si tratta di un insieme cospicuo di aziende di piccola dimensione che dispongono di tecnologie e processi produttivi compatibili con gli standard tecnici richiesti dal settore (qualità, precisione, capacità nel trattare materiali speciali, etc.).

Una menzione a parte va fatta per la categoria dei produttori di motori. Anche questo è un settore che presenta la caratteristica di un oligopolio controllata da tre operatori, la canadese Praat Whitney, la britannica Rolls Royce e la statunitense General Electric. Queste aziende sono dotate di una competenza esclusiva che garantisce loro un potere contrattuale notevole nei confronti dei system integrator. Anche il settore dei motori si caratterizza per l’esistenza di una piramide di imprese altamente specializzate che, a vario livello di complessità di lavorazione, interagiscono con i principali operatori del settore.

FiGura 3Supply chain del settore aeronautico

System integratorsBoeing, Airbus

ATR,Bombardier,Embraer….

Prime contractorEs: AleniaRolls-Royce, Pratt & Whitney, General Electric, Dasa, Alenia,

Fornitori di secondo livello:PMI

Subcontractors:piccole imprese

Minaccia dei paesi emergenti

Alto contenuto di progettazione

Alto contenuto produttivo

Fonte: SRM su AECMA

Va precisato che gli attuali modelli di produzione che si inseriscono in strategie volte ad abbassare il time to market dei velivoli stanno modificando la struttura della supply chain attraverso una delega sempre più insistente di componenti più complesse dei velivoli da parte dei system integrator ai prime contractor e da questi ai fornitori di secondo livello. In questa prospettiva si da sempre più importanza alla parte progettuale della componente oggetto di fornitura con un aumento del fattore servizio. Innalzare la componente progettuale e quindi la qualità della propria fornitura è, tra l’altro, ad oggi la strategia migliore di cui si possono servire i fornitori affinchè possano diventare meno vulnerabili alla concorrenza a basso costo. In questa prospettiva i servizi assumono un ruolo sempre più importante per il settore sia se sviluppati internamente dalle aziende

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sia che vengano richieste da queste ai fornitori di servizi locali. FiGura 4

Evoluzione della supply chain nel settore aeronautico

SystemIntegrator (Prime)

SystemIntegrator (Prime)

Primo fornitore

Primo fornitore

Primo fornitore

Smallprime

Solo componente produttivaAnche componente progettuale

50

1000

5-8

50

1000

Smallprime

Primo fornitore

Fonte: SRM su G.Baratto – Alenia 2007

Se questa è la struttura che caratterizza il settore aeronautico, nel settore spaziale è ravvisabile una struttura simile anche se caratterizzata da una linearità inferiori nelle relazioni che si instaurano tra agenzie spaziali internazionali (fonte principale di doman-da), prime contractors e fornitori di secondo livello nel senso che spesso (a differenza del settore aeronautico) si assiste ad un rapporto diretto tra chi c’è alla base della pirami-de (fornitori di secondo livello per l’appunto) e chi sta invece ai vertici (agenzie spaziali internazionali e nazionali). Anche per il settore spaziale, tenendo conto delle peculiarità appena dette, si delinea tutto sommato una struttura piramidale ai cui vertici ci sono le agenzie spaziali internazionali e nazionali, al centro ci sono i prime contractors che in genere si accollano le principali commesse internazionali e nazionali ed, alla base, i fornitori di secondo livello (imprese, università e centri di ricerca) che, pur avendo i contatti principali coi prime internazionali e locali, spesso, con progetti di collaborazio-ne, soddisfano direttamente la domanda delle agenzie spaziali. Si ravvisa in conclusione una struttura più piatta ed in cui i fornitori di secondo livello presentano una capacità di resistenza maggiore nei confronti della pressione concorrenziale dei paesi emergenti sia per le elevate competenze di cui sono dotati, sia per i rapporti talvolta diretti con gli enti committenti.

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FiGura 5 Supply chain del settore spaziale

AGENZIE SPAZIALIINTERNAZIONALI

E NAZIONALI

ESA, NASA, Roscosmos, JaxaASI, Cnes, Dlr…..

System Integrators

BoEING, EADS Aststrium, Kaiser-Threde GMBH,Thales Alenia space spa,

FORNITORIPMI locali

Università e centri di

ricerca

System Integrators/ prime contractors

oHB Systems Carlo Gavazzi Space, Toulouse, Selex Galileo,…..

Fonte: SRM su ASD e intervista Gavazzi

3. Il settore aerospaziale in Italia ed in Campania

L’Industria aeronautica e, più in generale quella aerospaziale, italiana si concentra principalmente in cinque regioni (Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia)2.

Nel Lazio ha sede legale la Piaggio Aero Industries anche se le principali unità locali sono sparse in Campania ed in Liguria. La Piaggio Aero Industries produce un velivo-lo proprio. Essa si presenta, pertanto, come un piccolo system integrator per quanto riguarda l’aviazione generale, mentre riveste una posizione subalterna nell’ambito dell’aviazione commerciale. Buona è la presenza di imprese più orientate allo spazio ed alla difesa3.

2 Queste sono le regioni che presentano la più consistente presenza di siti industriali aeronautici. Tuttavia non tutte le regioni vantano la presenza legale di importanti aziende del settore.

3 A riguardo si citano le presenze di Telespazio, Elsag Datamat, Elsacom, Selex Sistemi Integrati, Selex Galileo, Selex Communication, Selex Service Management, ELV, MBDA, Thales Alenia Space, oCI, oltre che di numerose medie e piccole imprese (Next, ACS, Vitrociset, Space Engineering, Galile-

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Nella Lombardia ha sede legale Agusta Westland, produttore di elicotteri e conver-tiplani. Agusta, pertanto, assurge alla posizione di system integrator nel suo ambito di mercato. Ciò rende l’industria aeronautica Lombarda meno vulnerabile ai cambiamenti nella supply chain. Numerose PMI (tra cui Carlo Gavazzi Space) e centri di ricerca operano nel settore spazio, che vede inoltre la presenza di sedi di importanti aziende Finmeccanica4.

In Piemonte infine, oltre ad Alenia Aeronautica, ha sede legale Avio che vanta un’eccellenza nella produzione dei motori. Quindi anche essa è in posizione subalterna rispetto ai system integrators. Per quanto riguarda il settore spazio, anche in Piemonte si segnala la presenza di sedi di importanti aziende Finmeccanica5.

La Campania con Alenia si posiziona principalmente nella fase intermedia della supply chain, rappresentando essa un prime Contractor. Tuttavia Alenia produce anche prodotti finiti anche se non radicati completamente in Campania. Le altre imprese cam-pane si posizionano o alla base della supply chain o in alcuni casi sono diventati esse stesse system integrator (anche se di piccole dimensioni) in alcuni mercati di nicchia (ultraleggeri ed aviazione generale). Sempre nel settore aeronautico si segnala la pre-senza di Avio, e di sedi secondarie di Piaggio (centro di ricerca a Pozzuoli) ed Agusta Westland (a Benevento: produzione di fusioni in leghe leggere di alluminio e magnesio). Buona è la presenza di aziende più orientate allo spazio, con le sedi di Carlo Gavazzi Space, Technosystem, e di alcuni consorzi.6

In termini quantitativi è evidente come le quattro regioni citate rappresentino grossa parte del fatturato dell’intero settore (93,8%) e, tra queste regioni, le principali sono Lombardia e Campania. Si tratta di un settore molto aperto al commercio internazionale e che in generale presenta saldi commerciali positivi con inevitabili benefici per l’econo-mia del paese7. è evidente come anche rispetto ad import ed export, le suddette regioni abbiano un ruolo rilevante per il settore in Italia.

ian, ESRI Italia, Kell, Interconsulting, etc.).4 Selex Galileo, Elsag, Telespazio, Thales Alenia Space.5 Selex Galileo, Thales Alenia Space.6 Risulta invece assente la grande azienda, se si eccettuano la sede del MARS-Telespazio nonché

quelle di Elsag Datamat, MBDA, e Selex Sistemi Integrati, che non appartengono esclusivamente al comparto “spaziale”.

7 Va evidenziato che non è opportuno fare confronti tra le percentuali calcolate prendendo come variabile di riferimento il fatturato e quelle calcolate prendendo come variabile di riferimento l’import e l’export. In effetti nel primo caso il fatturato fa riferimento alle imprese che hanno la propria sede locale nella regione. Ciò non toglie che abbiano la propria sede operativa in altre regioni (ad esempio Puglia). Riflettendosi nei dati di import ed export che invece fanno riferimento alle sede operativa per l’appunto. Ne deriva che in generale si assiste a quote percentuali inferiori per le regioni esaminate rispetto all’im-port ed all’export ed emergono altre regioni come la Puglia.

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tabella 1Dinamica del fatturato ed apertura commerciale

delle regioni italiane nel settore AeronauticoRegione Fatturato

2006 Peso su Italia Export 2007 Peso su Italia Import

2007 Peso su Italia

Lombardia 1818505710 31,7% 1.165.618.806 33% 419.248.543 20%Campania 1507084000 26,3% 584.676.245 16% 321.567.329 15%Piemonte* 1078616172 18,8% 560.140.023 16% 210.453.864 10%Lazio 972459738 17,0% 460.395.429 13% 431.181.213 20%Totale 4336665620 93,8% 2.770.830.503 78% 1.382.450.949 65%Altre 353217887 6,2% 801.002.849 22% 730.524.452 35%di cui:

Veneto 171048844 3,0% 429193127 12% 424123495 20%Friuli Venezia Giulia 16167255 0,3% 40177882 1% 15789398 1%

Puglia 9256335 0,2% 140669093 4% 84172155 4%Italia 5729883507 100,0% 3571833352 100% 2112975401 100%*Fatturato stimato da confermareFonte: SRM su fonti varie (ISTAT, AIDA BVDEP)

oltre all’elevato fatturato ed all’elevato livello di internazionalizzazione commercia-le le suddette regioni sono ovviamente sede di importanti stabilimenti locali che offrono occupazione a molti lavoratori (sia in termini di manodopera qualificata che in termini di manodopera semplice). In questo caso emerge anche la Puglia sede di importanti stabilimenti locali.

tabella 2Unità locali ed addetti delle regioni italiane nel settore aeronautico

Regione Unità locali 2004 Peso su Italia Addetti 2004 Peso su ItaliaLombardia 19 15,83% 7.039 27%Campania 19 15,83% 8.128 31%Piemonte 20 16,67% 4.842 18%Lazio 15 12,50% 3.246 12%Totale 73 60,83% 23.255 89%Altre 47 39,17% 2.972 11%di cui:

Veneto 9 7,50% 1521 6%Friuli Venezia Giulia 10 8,33% 651 2%

Puglia 10 8,33% 61 0%Italia 120 100% 26226 100,00%Fonte: SRM su fonti ISTAT

La situazione industriale del settore aeronautico in Campania presenta un quadro caratterizzato da una grande impresa, fornitore diretto dei due leader mondiali, da alcune imprese sia di medie che di piccole dimensioni che fanno da fornitori ad Alenia, alcune imprese che operano principalmente nel campo dell’Aviazione generale, ed un insieme di piccole imprese che fanno da subfornitura alle suddette aziende. L’emergere della concorrenza low-cost dei paesi emergenti, unita al modificarsi del modello della sup-ply chain (che vede sempre più la delega di progetti più complessi a partire dai system integrator verso il basso) genera la necessità per le imprese fornitrici e subfornitrici di innalzare il livello di qualità-progettualità dei propri prodotti.

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In estrema sintesi è possibile ricondurre le imprese aeronautiche campane a due categorie principali (o ambiti operativi), quelle operanti nell’ambito della supply chain internazionale come fornitore diretto o indiretto di Alenia e quelle operanti nel campo dell’aviazione generale che operano come piccoli system integrator e hanno una propria nicchia di mercato.

Questi due aspetti sono da prendere assolutamente in considerazione per qualsiasi intento volto a rafforzare e sviluppare il settore. In base agli attuali scenari di riferimen-to, alle risorse presenti in Campania ed all’evolversi delle regole competitive interna-zionali, sono stati individuati tre percorsi di sviluppo che saranno meglio delineati alla fine del capitolo e che possono essere approfonditi in una recente ricerca di SRM.8 Tali percorsi, perseguibili anche contemporaneamente, sono così, sintetizzabili:

leadership territoriale;1) nicchia di mercato;2) riqualificazione produttiva.3)

FiGura 6Ambito operativo e linee di sviluppo delle imprese aeronautiche campane

Imprese inserite all’internodella supply chain internazionale

System integratornel campo dell’aviazione generale

1) LEADERSHIP TERRIToRIALE

3) RIQUALIFICAZIONE PRODUTTIVA

2) NICCHIA DI MERCATo

AMBITO OPERATIVO PERCORSI DI SVILUPPO

Fonte: SRM

Il percorso definito “Leadership territoriale” delinea la possibilità che il leader locale possa guidare e favorire lo sviluppo dell’indotto locale portando in loco la produ-zione di parti sempre più complesse e a maggior valore aggiunto del velivolo.

Il percorso “Nicchia di mercato”, rappresenta invece la possibilità che i produttori che operano nell’aviazione generale rafforzino la propria posizione a livello internazio-nale attraverso anche un’innovazione continua di prodotto e di mercato. Tali aziende

8 Si veda SRM , (2007), L’Industria Aeronautica: Struttura e prospettive di crescita, collana “Distretti Industriali e poli produttivi della Campania”.

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potrebbero in tal modo generare e diffondere un processo di sviluppo coordinato con gli altri attori locali.

Infine, per “Riqualificazione produttiva” si intende descrivere quel processo evoluti-vo che spinge i fornitori, che operano all’interno della filiera internazionale, ad innalzare il livello qualitativo e la componente progettuale delle proprie forniture, adattandosi meglio in questo modo alle nuove regole produttive che prevedono ampia delega e velocità di produzione.

In ogni caso qualsiasi ipotesi di sviluppo del settore non può prescindere dall’esa-me di tutti i principali attori coinvolti sul sistema di cui è opportuno portare un breve accenno. Si fa in particolare riferimento alle aggregazioni di PMI (consorzi) e ai centri di ricerca ed al sistema universitario.

Sulla base delle attuali tendenze evolutive, guidate dalla necessità di innalzare la qualità dei loro prodotti ed il loro potere in un contesto internazionale, spesso le piccole imprese aerospaziali formano dei consorzi di imprese. Al momento, a parte il consorzio SAM (Società Aerospaziale Mediterranea) ed ANTARES, non ci sono stati ancora casi di successo in questa prospettiva. Tuttavia, questa dei consorzi, unita ad altre misure di intervento pubbliche e private, può essere un utile strumento per la competitività delle piccole imprese campane.

Il sistema aeronautico internazionale e, di conseguenza, anche quello campano coin-volge, oltre agli attori prettamente industriali, anche una serie di attori che per diversi motivi sono interessati al settore. Vista la sua valenza tecnologica, il settore è conside-rato nell’ambito della politica europea tra i principali per lo sviluppo della conoscenza. Nel contesto di ricerca e sviluppo legato al settore è possibile individuare quattro pila-stri: (mondo universitario, centri di ricerca, industria, PMI).

Mentre per le Grandi imprese e le Piccole e Medie Imprese (PMI) già si è discusso in precedenza vale la pena soffermarsi sugli altri due pilastri del sistema che, tra l’altro, vantano delle vere e proprie eccellenze in Campania.

Per quanto concerne il sistema universitario occorre dire che svolge principalmente il ruolo di formazione di capitale umano specializzato per l’industria aeronautica. A questo si affiancano poi progetti di consulenza e di ricerca. Su questi aspetti la Campania vanta un buon sistema universitario che, tuttavia, necessita ancora di un ulteriore integrazione col sistema industriale e della ricerca applicata.

La Campania vanta, inoltre, la presenza del Centro Italiano per la Ricerca Aerospa-ziale (CIRA) che è il più importante centro di ricerca nazionale specializzato in campo aerospaziale. Esso è certamente un centro di eccellenza che effettua progetti di ricerca unici al mondo, ma che, tuttavia, è ancora poco integrato col tessuto imprenditoriale locale. Ci sono infine centri di ricerca di valenza più generale (Centro di competenza Trasporti, CNR, IMAST).

Come si è potuto constatare il settore Aeronautico e quello spaziale coinvolgono un insieme complesso di attori che supportano il Manifatturiero ma che, in alcuni casi hanno anche vita indipendente.

Volendo sintetizzare quanto detto fino adesso, il sistema aeronautico in Campania può essere rappresentato essenzialmente dagli attori presenti nella seguente figura.

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FiGura 7I principali attori del sistema aeronautico in Campania

SYSTEM INTEGRATORSBoeing, Airbus, ATR

ALENIA

Dema – Foxbit – AtitechOma Sud - Aerosoft

Tecnam – CMD – MagnaghiGeven – Officine Aeronavali

Vulcanair - Avio

ALTRI MERCATI (Aviazione generale, nicchie di mercato)

CIRASistema

universitarioe della ricerca

Fonte: SRM 2006

Per quanto concerne il fattore imprenditoriale, ci si è in precedenza soffermati princi-palmente sulla parte manifatturiera del settore aeronautico (che come si vedrà più avanti rappresenta una delle fonti di domanda per le imprese che offrono servizi specializzati al settore). A queste si affiancano poi aziende che operano più propriamente nel settore spaziale (Es. Carlo Gavazzi Space). Ciò non toglie che queste imprese, prevalentemente (ma non esclusivamente) orientate alla produzione, siano affiancate da altre maggior-mente specializzate nella fornitura di servizi tecnici, in parte, direttamente collegate al core business delle aziende manifatturiere aeronautiche (per soddisfare la domanda da esse generate), ed in parte, volte a soddisfare la domanda generata da agenzie ed imprese spaziali. Ne da conferma un recente articolo pubblicato dall’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Campania9, il quale evidenzia che i tre ambiti di ope-ratività delle aziende aerospaziali (aeronautico + spaziale) campane, Costruzione delle componenti complesse del velivolo, Manutenzione e Subfornitura specializzata di parti, lavorazioni e attrezzature, sono caratterizzati da una spiccata vocazione manifatturiera (65%,) ma anche da una presenza nel comparto dei servizi tecnici (22,6%) minoritaria, ma significativa. A riguardo, non mancano in particolare attività di supporto nel campo dei controlli, delle manutenzioni e delle riparazioni ed in campo ingegneristico, una forte capacità di progettazione, alte competenze nel calcolo strutturale, nella prototi-pazione, nella consulenza logistica e nello sviluppo di tecnologie applicabili in ambito aeronautico e spaziale.

9 “The aerospace sector in Campania”, Assessorato Attività produttive della Regione Campania, 2007.

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FiGura 8Domanda ed offerta di servizi nel settore Aerospaziale

SETToRE AERoNAUTICo SETTORE AEROSPAZIALE

Alenia

-Dema

-Magnaghi

-Technam

-Vulcanair

PROGETTAZIONEMECCANICA-Aerosoft-Carcerano-Dema-Foxbit--Srs

QUALIFICAE TESTING-Its-Mars-Technosystem-PMI

BoDY RENTAL-Gruppo Altran-Interconsulting-Intex

ASI; ASE

-Alenia Space

-Avio

-Galileo avionica

-Gavazzi

- Telezpazio

DOMANDA

OFFERTA

Fonte: SRM

In questa prospettiva si delinea un settore caratterizzato da entrambi gli aspetti: manifatturiero (caratterizzato da grandi medie e piccole imprese) e servizi (prevalen-temente fatto da medie e piccole imprese) che rivolgono la propria offerta al settore aeronautico ed a quello spaziale.

Ne consegue che il resto del capitolo sarà strutturato seguendo gli aspetti evidenziati nella figura in cui si offre una prima non esaustiva visione dei principali attori interessati nell’analisi.

4. I principali servizi e loro gestione nei processi produttivi in Campania

Come si è detto, il settore aerospaziale in Campania è composto sia da aziende che operano principalmente nel Manifatturiero (prevalentemente produzione di parte dei velivoli e satelliti) che, in misura minore, da imprese che operano nel campo dei servizi. Un’analisi, pertanto, dei principali servizi connessi al settore aerospaziale sembra essere il punto di partenza per il prosieguo del capitolo.

è stata, pertanto, effettuata una ricerca ad hoc, presso aziende, centri di ricerca e consorzi aerospaziali localizzati in Campania. Sulla base di interviste effettuate ad

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esperti del settore, docenti universitari ed operatori aziendali si è evidenziato quali sono i principali servizi richiesti ed offerti in ambito regionale.

Successivamente, con l’ausilio della Commissione Aerospazio dell’ordine degli Ingegneri di Napoli, è stata stilata una lista di servizi “semplificata”10, raggruppando gli stessi per similitudine e distinguendo un sottoinsieme di servizi realmente rappresenta-tivo delle tipicità del settore aerospaziale.

è stata quindi compilata una lista di aziende, centri di ricerca e consorzi, che com-prende 129 soggetti in totale. Tale lista, comprendente i nomi presenti nel portale “cam-paniaerospace.it”, è stata integrata con i riferimenti di altri soggetti, indicati dalle stesse aziende, dall’ordine degli Ingegneri di Napoli, dal “Polo Hitech di Napoli Est” e dai suddetti esperti.

A tutti è stata sottoposta una tabella riportante i servizi offerti e richiesti, precom-pilata in base alle informazioni ricavate da brochures e siti web aziendali o dal portale “campaniaerospace.it”. oltre il 70% dei soggetti hanno confermato e/o corretto le informazioni riportate in tabella, contribuendo così a fornire una mappatura abbastanza rappresentativa sui servizi nel comparto aerospaziale campano.

L’elenco riporta sia i principali servizi di supporto alla produzione, sia i servizi di tipo “generale” (items 14-25) richiesti dalle aziende di settore.

10 Lista completa dei servizi: servizi di gestione logistica/magazzini1. addestramento (teorico e pratico) e qualificazione del personale2. formazione non specifica (es. lingua inglese, sicurezza sul lavoro, etc.)3. gestione e produzione della documentazione4. servizi di progettazione5. servizi di supporto al CAD-CAM (calcoli e disegni)6. consulenza per qualifiche e certificazioni aziendali e di prodotto7. consulenza tecnica e gestionale (off-site & body rental)8. servizi ed apparati per la qualifica ed il testing (incluso controlli non distruttivi)9. servizi di manutenzione e riconversione (sul prodotto10. ‒ velivolo)servizi di manutenzione e controllo (su attrezzature ed infrastrutture)11. servizi ICT su sistemi informativi e SW gestionali e di supporto12. servizi di traduzioni13. servizi di telecomunicazioni14. servizi di trasporto e trasporto speciale15. consulenze amministrative e finanziarie16. consulenze legali17. servizi ecologici18. assistenza su marketing e fiere (allestimenti, hostess, grafica pubblicitaria, etc.)19. servizi di mensa20. servizi di pulizie21. promozione e valorizzazione della tutela della proprietà intellettuale22. ‒ Marchi e Brevettiredazione e gestione di progetti di ricerca, innovazione, formazione e trasferimento tecnologico, 23.

nonché di piani di sviluppo industrialepromozione dell’aggregazione di imprese che operano nello stesso settore industriale e/o in settori 24.

complementariservizi di internazionalizzazione.25.

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La figura seguente riassume la classificazione effettuata, evidenziando il gruppo dei servizi più strettamente legati alla produzione aerospaziale, che sono stati oggetto dell’analisi.

FiGura 9Classificazione dei principali servizi nel settore Aerospaziale

SERVIZI DI TIPO GENERALE 14 servizi di telecomunicazioni

15 servizi di trasporto e trasporto speciale16 consulenze amministrative e finanziarie

17 consulenze legali 18 servizi ecologici 20 servizi di mensa 21 pulizie

19 assistenza su marketing e fiere (allestimenti, hostess, grafica pubblicitaria, ecc.)22 promozione e valorizzazione della tutela della proprietà intellettuale - Marchi e Brevetti;

23 gestione di progetti di ricerca, innovazione, formazione e trasferimento tecnologico, nonché di piani di sviluppo industriale;24 promozione dell'aggregazione di imprese che operano nello stesso settore industriale e/o in settori complementari;

25 servizi di internazionalizzazione.

servizi ingegneristici4 gestione e produzione della documentazione5 servizi di progettazione6 servizi di supporto al CAD-CAM (calcoli e disegni)8 consulenza tecnica e gestionale (off-site & body rental)12 servizi ICT su sistemi informativi e SW gestionali e di

supporto

servizi ed apparati per la qualifica ed il testing7 qualifica e certificazione del prodotto; 7 certificazioni aziendali;9 controlli non distruttivi sui materiali;9 prove meccaniche e di stress su parti aeronautiche;9 test ambientali su apparati spaziali ed avionici

(termovuoto, vibrazioni, EMI/EMC..);9 sviluppo di sistemi di supporto ai test (MGSE/EGSE);9 testing funzionale e re-working di apparati elettronici;9 testing del software spaziale.

servizi di manutenzione e riconversione 10 manutenzione (sul prodotto - velivolo)10 riconversione11 manutenzione e controllo (su attrezzature ed

infrastrutture)

altri servizi1 Servizi di gestione logistica/magazzini2 addestramento e qualificazione del personale3 formazione non specifica (inglese, sicurezza...)13 Traduzioni tecniche

SERVIZI FUNZIONALI ALLA PRODUZIONE AEROSPAZIALE

Fonte: SRM su dati dell’ordine degli Ingegneri di Napoli

Per quanto concerne i servizi più strettamente legati o che hanno effetti sulla produzio-ne aerospaziale11, questi sono stati raggruppati in 13 tipologie principali, che rispecchiano le indicazioni date dalle aziende campane e dai prime-contractors. Tutte le tipologie su elencate risultano coperte dalle PMI presenti sul territorio campano, almeno a livello di offerta potenziale. Per alcuni di questi servizi, quali ad esempio quelli legati alla progetta-zione aeronautica di tipo meccanico, alla manutenzione ed alla riconversione, le capacità e le risorse delle aziende campane sono tali da costituire, nel complesso, un’offerta di livello elevato alle aziende committenti, mentre per altri, quali ad esempio quelli relativi all’offer-ta formativa e ad alcune competenze tecniche e gestionali di tipo specifico (sull’avionica, sulla sistemistica, sull’elettronica spaziale), tale offerta andrebbe probabilmente potenzia-ta/migliorata, in particolare per quanto riguarda la valorizzazione delle eccellenze che pur si riscontrano sul territorio, ma risiedono soprattutto in piccole e micro imprese.

11 Servizi dal n.1 al n.13.

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Relativamente all’erogazione di servizi ingegneristici (items 4-6, 8, 12) si osserva che l’impatto delle tecnologie informatiche ha cambiato notevolmente i rapporti tra fornitore e cliente. Lo sviluppo ha riguardato principalmente software per il CNC, CAD tridimensio-nale, collegamento CAD\CAM ed ha consentito l’integrazione dei sistemi di produzione e di progettazione.

Ciò ha causato un cambiamento del rapporto fra cliente e fornitore, con la tendenza ad instaurare rapporti di lungo periodo in cui entrambi i soggetti interagiscono nella defini-zione del progetto12.

Questo tipo di rapporto richiede nuove specificità per i subfornitori: eccellenza tecni-ca, risposta ai bisogni del cliente (tempi, tecnologie, capacità), capacità di fornire risorse tecniche ed “expertise”, capacità di impegnare risorse per un lungo periodo di tempo, capacità di gestire tutti i diversi tipi di relazioni contrattuali.

Tali considerazioni valgono in generale per la subfornitura aeronautica, ma a maggior ragione si ripercuotono sull’erogazione di servizi funzionali alla produzione.

Si osserva che, accanto ai tradizionali servizi di ausilio alla progettazione (docu-mentazione, supporto CAD-CAM, calcoli e disegni, servizi ICT su sistemi informativi), emerge sempre di più il ricorso a collaborazioni con PMI per attività di progettazione vera e propria e per servizi di consulenza tecnica e gestionale (items 5, 8, 12). Si riscontra in particolare il ricorso a risorse qualificate anche per commesse ad elevato indice di ricerca e sviluppo, soprattutto nel settore spaziale ed in quello aeronautico/missilistico militare. Va inoltre menzionata la consulenza sui software gestionali di supporto ai programmi aeronautici (PLM, Product lifecycle Management).

In tutti questi casi le grandi aziende aerospaziali (Alenia Aeronautica, Agusta Westland, Thales Alenia Space, MBDA, Selex, Telespazio, etc.) si rivolgono spesso a PMI specializzate, con rapporti contrattuali che variano sostanzialmente tra:

contratti di consulenza ad ore sulla singola commessa del tipo “body rental”;1. contratti quadro;2. collaborazioni nell’ambito di progetti finanziati di ricerca e sviluppo;3. contratti “a task” di fornitura servizi.4. Le prime due tipologie contrattuali, tipiche del mondo ICT, vengono applicate da

PMI di consulenza nei confronti di alcune aziende Finmeccanica. Le ultime due tipolo-gie sono invece estese ad aziende specializzate nei vari settori applicativi ed ai centri di ricerca pubblici o privati.

Va ricordato che la R&S è il motore delle innovazioni tecnologiche nel settore aerospaziale. Si possono individuare tre livelli di R&S: quello endogeno (R&S svolta all’interno dell’azienda), quello esogeno (R&S svolta all’esterno dell’azienda) e quello parzialmente svolto all’interno e parzialmente all’esterno. La situazione è diversa a seconda di alcune variabili che diversificano le aziende. La dimensione e la diversifica-zione chiaramente sono le due principali variabili13.

12 Fonte: La subfornitura nel settore aeronautico ‒ Bianca Massimiliano ‒ Esposito Emilio. Editore: McGraw-Hill Companies

13 Fonte: La subfornitura nel settore aeronautico ‒ Bianca Massimiliano ‒ Esposito Emilio Editore: McGraw-Hill Companies

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La possibilità di avere una notevole copertura finanziaria e di dividere il rischio contando su altre attività sono elementi che favoriscono la R&S interna. D’altro canto i picchi di lavorazione tipici del mercato aerospaziale inducono talvolta ad esternalizzare anche le attività legate alla ricerca e sviluppo ed alla progettazione di parti o sottoinsiemi ad elevato contenuto tecnologico.

Va inoltre osservato che, in particolare nel settore Spazio, molti progetti di ricerca e sviluppo vengono finanziati da agenzie ed enti nazionali o internazionali (MIUR, MAP, ESA, ASI, UE, etc.) e tali progetti devono solitamente prevedere la partecipazione di PMI e Centri di Ricerca accanto alle aziende prime contractors (spesso questa è una condizione imposta dai bandi). Ciò spinge alla collaborazione tra i vari soggetti che talvolta può creare rapporti di fiducia e collaborazioni di tipo continuativo.

Analoghe considerazioni, relativamente al ruolo delle PMI e, soprattutto, dei centri di ricerca nel ciclo produttivo del comparto aerospaziale, possono essere fatte in rela-zione ai “servizi ed apparati per la qualifica ed il testing (items 7 e 9)”. Sotto questo gruppo di servizi possono rientrare una larga gamma di attività tecniche di alta specia-lizzazione che interessano sia il comparto aeronautico che quello spaziale. Un elenco, non esaustivo, che rispecchia quanto riscontrato dall’analisi della domanda e dell’offerta in Campania è presentato di seguito:

consulenza per qualifiche e certificazioni aziendali e di prodotto1. servizi di consulenza relativi alla qualifica e certificazione del prodotto aeronau-• tico e spaziale;consulenza per certificazioni aziendali.•

servizi ed apparati per la qualifica ed il testing (incluso controlli non distruttivi):2. controlli non distruttivi sui materiali;• prove meccaniche e di stress su parti aeronautiche (pannelli, fusoliere, …);• effettuazione di test ambientali su apparati elettronici spaziali ed avionici (termo-• vuoto, vibrazioni, EMI/EMC..);sviluppo di sistemi di supporto ai test (MGSE/EGSE, Mechanical/Electronical • Ground Support Equipments);attività di testing funzionale e• re-working di apparati elettronici;attività di • testing del software.

Il settore aerospaziale campano vede storicamente la presenza di aziende dedite alla manutenzione e riconversione (items 10-11) di velivoli14 nonché di aziende (solitamente PMI) specializzate nei servizi di manutenzione e controllo su attrezzature ed infrastrut-ture funzionali alla produzione.

Le attività sono molto varie e vanno dalla manutenzione o riconversione di interi velivoli, alla revisione di singole parti di velivoli, alla carpenteria legata all’attrezzaggio

14 Esempi di aziende in questo campo sono rappresentati da oAN, Atitech, SAM, Magnaghi, oMA Sud, PMI

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funzionale alla produzione di parti meccaniche, alla manutenzione di sistemi di supporto e macchine utensili.

In tutti questi casi il committente è solitamente la grande e media azienda localizzata principalmente sul territorio regionale, mentre le PMI operano come subfornitori, con le stesse logiche della fornitura di componenti e parti meccaniche.

Nell’analisi della domanda non vanno dimenticate le compagnie aeree, che, seppur non considerate “parte” del settore aerospaziale, costituiscono il principale mercato di sbocco di tali servizi. A tal proposito va tenuto conto delle ripercussioni legate alla crisi Alitalia/Atitech.

Altro gruppo di servizi abbastanza richiesti dalle aziende aerospaziali è quello riguardante la formazione e l’addestramento (teorico e pratico) (items 2-3) e la quali-ficazione del personale. Questo riguarda sia gli aspetti propriamente tecnici legati alla produzione, test, controllo e manutenzione del prodotto aerospaziale, sia gli aspetti di tipo gestionale o generale (lingua inglese, sicurezza sul lavoro, project management, etc.). In questi ultimi casi si tende ad affidare in outsourcing le attività di formazione, mentre gli aspetti più tecnici vengono spesso affrontati all’interno delle aziende stesse o di aziende collegate (come nel caso di Finmeccanica), anche a causa della carenza di un’offerta formativa esterna che sia rispondente alle reali e specifiche esigenze.

I servizi formativi vengono richiesti non soltanto dalla grande azienda, ma spesso anche dalle PMI, specialmente nel caso in cui la formazione sia propedeutica all’otteni-mento di certificazioni o qualifiche richieste dal cliente finale.

C’è da dire che molto raramente i finanziamenti pubblici (in particolare regionali) sulla formazione intercettano le reali esigenze delle aziende, che manifestano scet-ticismo e disinteresse per le numerose iniziative presenti sul territorio. Le principali motivazioni sono legate all’assenza di flessibilità delle attività corsuali, alle tempistiche inadeguate, alla carenza di professionalità specifiche da parte degli enti preposti alle attività formative, alla troppa burocrazia.

Infine emerge la domanda e l’offerta di altri servizi, ritenuti significativi dalle azien-de campane, quali quelli relativi alla gestione logistica e di magazzini, ai trasporti (nor-mali e speciali) ed alla grafica, stampa, e traduzione di documenti tecnici e pubblicitari (items 1 e 13). In tutti questi casi l’offerta è prevalentemente proveniente da aziende specializzate nei rispettivi settori e non appartenenti quindi al “comparto aerospaziale”. Qualche eccezione si riscontra soltanto nella traduzione di documenti tecnici ed in alcu-ni servizi logistici specializzati, che vengono offerti da piccole aziende o professionisti che operano soltanto nel comparto aerospaziale.

Infine ci sono servizi di tipo generale che sono solitamente offerti da aziende spe-cializzate non collegate strettamente al settore in esame. Ad esempio le consulenze legali ed amministrative sono oggetto di collaborazioni con studi professionali o singoli professionisti, così come i servizi legati al funzionamento stesso delle strutture aziendali (mensa, pulizie, telecomunicazioni, servizi ecologici, etc.). Anche i servizi legati all’in-ternazionalizzazione ed al marketing, nonché quelli di promozione delle aggregazioni industriali sono spesso erogati da studi professionali o società rivolte a mercati diversi.

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Fa eccezione, in tal caso, il Consorzio Technapoli, che offre tali servizi prevalentemente alle PMI del settore aerospaziale. Praticamente tutti questi servizi vengono acquisiti in outsourcing dalle aziende medie e piccole, mentre soltanto alcuni di questi sono mante-nuti ancora all’interno dalla grande azienda.

In conclusione si può affermare che le medie e grandi aziende aerospaziali tendono ad affidare in outsourcing le consulenze ed i servizi accessori, che non riguardano diret-tamente la qualità del prodotto, nonché quelli tecnici a medio-basso valore aggiunto. Gli aspetti tecnici più strategici vengono spesso affrontati all’interno delle aziende stesse o di aziende collegate, a meno di picchi di attività. In tali casi, infatti, vengono coinvolte le PMI anche nelle attività ad elevato valore aggiunto, quali quelle di progettazione e testing. Alcune grandi aziende ricorrono invece sistematicamente al reperimento di risorse umane qualificate, da inserire in team di progettazione risiedenti in-house (body rental) per periodi determinati.

5. Le principali fonti di domanda di servizi

Nel settore aeronautico le principali fonti di domanda di servizi sono costituite dalle grandi imprese produttrici di velivoli e, per i servizi di manutenzione, dalle compagnie aeree. A questa si affianca la domanda espressa da aziende di media dimensione. Pro-prio per dare evidenza a questa componente di domanda si è deciso di corroborarla con un’analisi sul campo volta ad intervistare alcuni tra i principali players del settore aero-spaziale in Campania: La Dema S.p.A., la Gavazzi space S.p.A. e la Tecnam s.r.l. Queste tre realtà, dati i loro attuali ritmi di sviluppo, le dimensioni ed il ruolo che svolgono all’interno del settore, possono essere considerate come una componente estremamente rappresentativa della domanda di servizi proveniente da imprese di media dimensione. Per quanto concerne la Dema S.p.A., essa rappresenta uno dei principali fornitori di Alenia, oltre ad avere anche degli sbocchi diretti coi principali system integrator inter-nazionali, e sta registrando enormi margini di sviluppo per cui risulta molto interessante verificare la sua attuale domanda di servizi e le ricadute di una sua ulteriore crescita. Essa può essere indubbiamente considerata come azienda rappresentativa dei principali fornitori di Alenia, essendo questi legati da similitudini strategiche nella gestione del processo produttivo e quindi dei servizi ad esso connessi. Inoltre, considerando che la Campania risulta ben affermata nel settore dell’aviazione leggera, si è deciso di inter-vistare la Vulcanair S.p.A. in quanto rappresenta una delle due principali aziende del settore in Campania (l’altra realtà è la Tecnam S.p.A.), e, avendo un proprio mercato di sbocco, vanta un’ottima presenza commerciale a livello internazionale. è, pertanto, rappresentativa di un settore, che sotto specifici impulsi, può avere ricadute positive sull’indotto sia per quanto concerne la componente manifatturiera che quella dei servizi. Infine, considerando l’importanza della componente spaziale, settore che sta vivendo insieme all’aeronautico notevoli tassi di sviluppo a livello internazionale, si è intervista-to la Gavazzi space S.p.A. che, con la sede di Benevento, è il principale player spaziale

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campano. Tale categoria imprenditoriale, appare particolarmente interessante per le con-seguenze che un’ulteriore sviluppo del settore spaziale può avere sulla costruzione di un indotto qualificato di servizi. Tali interviste verranno trattate nel paragrafo 5.1.

In linea generale si può affermare che determinanti per l’andamento della domanda di servizi nel settore aeronautico, così come per le subforniture, sono la domanda e la politica governativa. Ciò incide sia sui volumi che sulla tipologia di servizi richiesti. Ad esempio, per quanto concerne le attività di R&S e l’erogazione di servizi ad elevato contenuto tecnologico si può affermare che da una parte, in maniera più evidente sul mercato militare, la domanda esplicita le caratteristiche tecniche che le aziende ed i centri di R&S dovranno sviluppare, dall’altra le innovazioni di prodotto creano dei veri e propri nuovi mercati, come nel caso della nascita dei jet.

L’influenza che hanno le politiche governative può essere indiretta o diretta. Nel primo caso ci si riferisce al fatto che il principale acquirente militare è lo Stato, ed è quindi quest’ultimo che stabilisce le caratteristiche tecniche. Nel secondo caso lo Stato pone in essere direttamente la R&S, sia attraverso eventuali imprese possedute sia sov-venzionando imprese private.

Come detto, la domanda di alcuni servizi tende spesso a privilegiare la vicinanza geo-grafica delle aziende subfornitrici, per cui risulta chiaro come in Campania la maggior fonte potenziale sia ancora una volta Alenia Aeronautica. Ad essa vanno aggiunte altre aziende generalmente di media o grande dimensione che possono attivare una domanda di servizi, benché attualmente più bassa, quali Dema, Magnaghi, Tecnam, Vulcanair, oma Sud, MBDA, Selex Galileo, Atitech, Avio, Piaggio Aero ed Agusta Westland.

opportune differenziazioni vanno fatte tra le diverse tipologie di servizi, secondo lo schema semplificativo presentato. In particolare va osservato che alcuni servizi possono essere considerati come “collaterali” (consulenze fiscali, servizi di mensa, telecomu-nicazioni, trasporti, etc.) o comunque non significativi per il ciclo produttivo. Per tali servizi le grandi e medie aziende optano spesso per l’outsourcing, trattandosi spesso di attività a basso valore aggiunto.

Discorso diverso va invece fatto per i servizi di tipo “specialistico” che sostanzial-mente possono essere scomposti in servizi ingegneristici, servizi tecnici e consulenze tecnico-gestionali.

Fatta eccezione per interventi consulenziali di tipo spot, la domanda di servizi di que-sto tipo risulta fortemente correlata all’andamento delle commesse della grande azienda (Finmeccanica), la quale ricorre a collaborazioni esterne in funzione dei propri carichi di lavoro. Spesso le commesse di servizi legati alla progettazione sono connessi ad ordini relativi anche alla fornitura di parti o sub-assiemi.

In altri casi le attività ingegneristiche vengono acquistate nella forma “ad ore” o del body rental, per cui risorse esterne alla grande azienda entrano a far parte di un team interno alla stessa per periodi legati alla durata delle singole commesse. Alcune PMI campane risultano specializzate nell’offerta di questo tipo di servizi, che richiede un’or-ganizzazione molto diversa da quella tipica delle società aeronautiche.

La domanda da parte delle PMI di settore è invece focalizzata su servizi relativi alla

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crescita gestionale, tecnica e commerciale delle stesse aziende, spesso dettata dalle richieste dei clienti o da necessità normative.

Le principali esigenze riguardano:qualifiche e certificazioni del prodotto aeronautico • certificazioni aziendali • qualificazione/preparazione del personale • assistenza all’internazionalizzazione, marketing e fiere• assistenza per l’aggregazione di imprese • test e prove• servizi • ICT su sistemi informativi e SW gestionali e di supportoservizi di traduzioni•

Per quanto concerne i servizi relativi al comparto spaziale la domanda è storica-mente attivata dal sistema pubblico (Agenzia Spaziale Italiana – ASI; Agenzia Spaziale Europea – ESA).

Il settore spaziale mantiene infatti un significato politico: ne è prova il mantenimento di alcuni progetti, come quello della stazione spaziale internazionale, divenuto oggi il simbolo della collaborazione internazionale in campo tecnologico e scientifico.

Contemporaneamente, però, il panorama spaziale a livello mondiale si è andato caratterizzando sia con lo sviluppo del mercato delle applicazioni civili, comprendente prodotti spaziali, servizi di lancio, sistemi di terra e servizi ad essi collegati, sia con la moltiplicazione degli attori che vi partecipano, legata essenzialmente allo sviluppo dei servizi e alla visione dello spazio come ausilio per applicazioni commerciali rivolte ad utenti sempre più numerosi.

Il ruolo di fornitore di servizi spaziali, per lungo tempo appannaggio delle agenzie governative, si sposta quindi nella direzione di imprese private in grado di controllare una larga parte della catena del valore che va dal satellite al prodotto finale ed alla sua utilizzazione.

Un forte impulso allo sviluppo delle infrastrutture spaziali proviene e continuerà a provenire nel prossimo futuro dal grande mercato dei servizi di telecomunicazione, che ha contribuito all’affermarsi del concetto di costellazione satellitare basato su piattaforme a basso costo, coorbitanti e cooperanti nell’ambito della stessa missione. Tale concezione da un lato permette la realizzazione di nuovi servizi satellitari a copertura globale destinati all’utenza diffusa (comunicazioni mobili, servizi multimediali, navigazione aerea, marittima e terrestre), dall’altro costituisce la soluzione più efficace per le osservazioni della terra e la sorveglianza ambientale. Pertanto, accanto alla tradizionale presenza commerciale dei grandi satelliti per telecomunicazione geostazionari destinati al traffico internazionale tra punti fissi, si va sempre più evidenziando un cospicuo mercato di satelliti in orbita bassa, con pesi variabili da 300 a 100 chili, progettati e realizzati in serie, con metodologie innovative in grado di assicurare un abbattimento dei costi e, al tempo stesso, elevate prestazioni. Ciò è stato reso possibile grazie alla forte spinta tecnologica verso la miniaturizzazione elettronica, l’impiego di avanzate tecniche di controllo in orbita, lo sviluppo di nuove generazioni di sensori e componenti.

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Piattaforme satellitari, piccole dimensioni e multiuso rendono più economico l’accesso allo spazio di esperimenti scientifici e tecnologici.

I nuovi satelliti sono pensati per essere adattati a diverse missioni: navigazione, multimedialità e comunicazioni mobili rappresentano il vero mercato commerciale, dove il satellite non è più l’elemento fondamentale ma un componente di un sistema complesso ed integrato, parte nello spazio e parte a terra.

Nel campo dei lanciatori è presente una carenza di offerta dovuta proprio allo sviluppo delle varie costellazioni e dei piccoli satelliti. A medio lungo termine va inoltre sottolineata l’importanza dello sviluppo delle tecnologie tipiche di sistemi di lancio parzialmente e/o totalmente riutilizzabili che consentiranno l’accesso frequente allo spazio con costi ridotti di circa un ordine di grandezza e il servizio di trasporto alle installazioni permanenti (ad esempio la Stazione Spaziale).

Il mercato mondiale spaziale sarà uno dei mercati a maggiori tassi di crescita del prossimo futuro.

All’interno dei segmenti che lo compongono (Infrastrutture, Applicazioni, Servizi di Supporto, Ricerca e Scienza), le “Applicazioni” dell’area telecomunicazioni costitu-iscono il segmento di maggiore dimensione (29% del totale nel 1998, 35% previsto nel 2001), con crescita superiore alla media.

In Italia il mercato commerciale è costituito in linea di massima da aziende di media dimensione (come Thales Alenia Space, Gavazzi Space, Telespazio, Selex Galileo, Avio, Rheinmetall) le quali poi possono chiedere servizi in subfornitura da parte delle PMI.

Per quanto concerne il territorio della Campania, esso è caratterizzato dalla presenza di alcune PMI orientate in particolare al mercato spaziale (Technosystem, Euro.Soft, Merlino Technology, ITS, Marotta AT, Geosystem), ma anche dall’assenza della grande e media azienda, se si eccettua la sede locale della Carlo Gavazzi Space a Benevento, ed il MARS Center a Napoli che appartiene a Telespazio.

La domanda è quindi, in questo caso, attivata da realtà prevalentemente esterne alla regione e talvolta estere. Le PMI spaziali campane lavorano quindi sostanzialmente fuori regione, spesso in cordate con aziende e centri di ricerca extraregionali e su pro-grammi ASI ed ESA.

Negli ultimi due anni un ruolo potenziale di catalizzatore per le PMI è stato assunto dal CIRA (Centro Italiano Ricerche Aerospaziali) di Capua, che, a sua volta, ha portato avanti alcuni programmi (USV) che hanno attivato anche una domanda “locale” di tec-nologie e servizi nel settore spazio.

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FiGura 10 Aziende Spaziali in Campania

MARSITS

Euro.SoftTechnosystem

Marotta ATCoRISTA

E-voluzioneFoxBitARTS

Carlo Gavazzi SpaceSAB

MARSecMerlino Technology

GeosystemCIRAA-Technology

Fonte: SRM su dati dell’ordine degli Ingegneri di Napoli

Potenzialmente il polo beneventano (CGS, SAB, ANTARES, MARSec) offre buone potenzialità di sviluppo per il settore spazio, in particolar modo per quanto concerne tutta la parte di servizi connessi alla progettazione ed integrazione di mini/micro satel-liti.

La figura riassume la collocazione geografica delle aziende “spaziali”, evidenziando come queste siano concentrate in sostanza nelle province di Napoli e Benevento.

5.1 Il ruolo della media e grande impresa (interviste ad alcuni protagonisti)

Come si è detto, la fonte principale della richiesta di servizi nel settore Aeronautico è costituita dalla grande azienda che in Campania è rappresentata prevalentemente da Alenia Aeronautica. La media impresa, che si identifica nelle aziende subfornitrici di primo livello della stessa Alenia, Avio, Agusta ed in alcuni produttori di velivoli di aviazione generale, costituisce un ulteriore “piccolo” mercato di sbocco per le PMI erogatrici di servizi.

La presenza in regione delle sedi dei centri di ricerca di aziende quali Piaggio Aero, e, più recentemente, di Boeing potrebbe aprire ad un mercato di servizi che non dipenda esclusivamente dalla domanda di Alenia Aeronautica.

Solo poche aziende campane riescono infatti a raggiungere oggi un mercato che non sia rappresentato da Alenia Aeronautica o, in minor misura, da Avio ed Agusta. Si tratta

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prevalentemente di fornitura di parti e talvolta di erogazione di servizi ad alto valore aggiunto (progettazione). Tale esigenza è sentita particolarmente dalle PMI campane, che, a tale scopo, hanno creato diverse aggregazioni consortili tese a raggiungere una massa critica in grado di rendere accessibili anche i mercati dei grandi players internazionali.15

Come detto, nel comparto aeronautico in Campania esistono alcune medie imprese che, nate come sub-contractor delle aziende Finmeccanica, stanno ritagliandosi ruoli diversi, rivolgendosi direttamente ai mercati internazionali ed aumentando il numero dei propri clienti. Tale circostanza incontra oggi, a differenza di qualche anno fa, il consenso e l’interesse del primo cliente, spesso Alenia Aeronautica, nell‘ottica di “deresponsabi-lizzare” i rapporti di collaborazione (e di dipendenza) con i propri partners.

Tra le medie aziende si segnalano in particolare Dema, Magnaghi, Tecnam, Vulca-nair ed oMA Sud. Tutte svolgono attività di progettazione e produzione di parti o di interi velivoli, nonché attività di riconversione/manutenzione.

Una parte delle attività relative ai servizi viene affidata all’esterno a fornitori di secon-do livello, spesso selezionati sul territorio regionale. In particolare numerose aziende piccole e piccolissime collaborano con queste “medie” per attività di tipo ingegneristico (progettazione, CAD/CAM, manualistica), e per servizi legati alla manutenzione e ricon-versione, oltre, ovviamente che collaborare in riferimento a forniture e lavorazioni.

Diversa è la situazione nel comparto spazio, dove, come si è detto, il mercato è costi-tuito dai programmi nazionali ed internazionali delle agenzie spaziali e dove, in Cam-pania, non esiste ancora un mercato locale, a meno di quello relativo alle “applicazioni” per la Pubblica Amministrazione. Si tratta di un mercato “di nicchia”, che però offre alle PMI erogatrici di servizi (in particolare ICT) una buona possibilità di sbocco.

La grande impresa nazionale è rappresentata da Thales Alenia Space e dalle altre aziende Finmeccanica (Telespazio, Selex Galileo, Elsag Datamat) oltre che da numerose medie aziende localizzate prevalentemente nel Lazio.

Il ruolo della grande e media impresa nel settore spazio è spesso quello di “partner tecnologico” per alcune piccole e piccolissime imprese campane, che riescono pertanto a partecipare attivamente ai programmi spaziali, offrendo servizi altamente specializzati ed apportando un reale contributo innovativo.

In altri casi la grande e media azienda “spaziale” richiede servizi di consulenza del tipo body rental, offerto anche da alcune aziende con sede in Campania (ITS, INTECS, ISL, etc.).

Infine non va dimenticato il ruolo del CIRA e degli altri centri di ricerca presenti in Regione Campania, che, come si è detto, costituisce un’ulteriore potenzialità per le PMI campane.

Nel comparto spazio si evidenzia la carenza di medie imprese, se si escludono azien-de di altri settori che operano solo marginalmente nel settore spazio (ITS, Intecs). L’uni-co system integrator presente sul territorio è la Carlo Gavazzi Space, azienda milanese che ha una sede secondaria a Benevento.

Carlo Gavazzi Space realizza piccoli satelliti e partecipa a numerosi programmi delle

15 Per approfondimento si veda apposito paragrafo.

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agenzie spaziali. Per quanto concerne i servizi, una piccola parte di attività viene affidata a fornitori sul territorio regionale. Alcune piccole aziende, in particolare quelle legate da rapporti consortili a CGS (SAB, Merlino, Technosystem) collaborano soprattutto su attività di tipo ingegneristico (progettazione di apparati elettronici e SW), e per servizi legati al testing.

L’analisi della domanda da parte delle aziende di media dimensione, come si è detto, è stata integrata con un’indagine sul campo volta ad intervistare alcune tra le principali imprese operanti nel settore aerospaziale. In particolare sono state intervistate tre impre-se scelte in base alla peculiarità della categoria di appartenenza: la Dema S.p.A., quale azienda di medie dimensioni operante come primario fornitore all’interno della supply chain internazionale e caratterizzata da forti tassi di sviluppo; la Gavazzi space come rappresentante di una media azienda, system integrator, operante in campo spaziale; la Vulcanair come rappresentante di una media azienda anch’essa system integrator operante nel campo dell’aviazione leggera. In conclusione, in base a quanto emerso dalle interviste effettuate si evidenzia come, l’esistenza di un system integrator (anche di piccole dimensioni) che abbia un proprio mercato di nicchia sia in grado di attivare un indotto di servizi di buone dimensioni in quanto maggiore risulta la necessità di esternalizzare sul territorio servizi anche di tipo ingegneristico che non possono essere svolti completamente all’interno. Un discorso simile vale per le aziende spaziali, dove, pur essendo più limitata la componente di servizi esternalizzata, è comunque diretta a fornitori ben selezionati e finalizzata alla creazione di rapporti collaborativi di lungo periodo per cui un ulteriore sviluppo del settore spaziale sicuramente genererebbe effetti non trascurabili sulla creazione di un indotto di servizi qualificati e competitivo anche a livello internazionale. Diverso è invece il caso di aziende operanti come fornitori (anche primari) all’interno della supply chain internazionale. Esse non hanno un proprio ampio mercato di sbocco. In questo caso le necessità strategiche portano ad internalizzare la gestione dei servizi di progettazione e dei servizi ingegneristici ad essi collegati. La parte esternalizzata è quella dei servizi non core (Finanza, legali, etc.) dove le aziende si avvalgono di consulenti di elevato standing.

Come detto la tendenza ad esternalizzare servizi da parte delle imprese di media dimensione appare particolarmente marcata per quanto riguarda aziende che operano come system integrator in campo aeronautico. In tal caso l’eccessiva onerosità che comporterebbe la gestione interna di tutti i servizi ed il fatto che spesso la maggior parte di questi richiedono competenze specialistiche spesso non presenti in azienda (eccezion fatta per quelle estremamente legate alle fasi strategiche della progettazione), portano l’azienda a cedere in outsourcing una parte considerevole di servizi. è questo il caso di aziende che operano nell’aviazione leggera come appunto la Tecnam e la Vulcanair.

La componente di servizi rappresenta un elemento sicuramente importante per un’azienda, system integrator di piccoli velivoli quale è la Vulcanair. Oltre ad avere delle proprie strutture finalizzate alla realizzazione di servizi di formazione e di manutenzione interni ed esterni, la Vulcanair svolge al proprio interno tutta

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quella che è la fase di progettazione dei velivoli. In questo caso, pur svolgendo internamente la componente più strategica della progettazione, vengono concessi ampiamente all’esterno servizi meno strategici quali ad esempio CAD/CAM. An-che per le altre categorie di servizio meno legate alla fase produttiva, cerchiamo di mantenere comunque una struttura snella delegando quanto più è possibile a soggetti esterni referenziati e ben selezionati. Un discorso a parte va fatto per la manutenzione e la formazione le cui rispettive strutture, come già detto, servono sia a supporto del nostro core business, sia come servizi offerti all’esterno anche, se pur limitatamente, in un’ottica internazionale. (Placido De Alcubierre – Vul-canair S.p.A.)

Leggermente più limitato è il ricorso all’esternalizzazione da parte di un system integrator spaziale (come la Carlo Gavazzi space S.p.A.), tuttavia, il ricorso a fornitori qualificati e con i quali si instaurano rapporti di lungo periodo sono una necessità del settore che richiede standard qualitativi estremamente elevati e competenze molto spe-cifiche. Questo è il risultato di un prodotto (il satellite) che, a parte delle componenti standard strutturali si deve adattare continuamente alle specifiche dei clienti istituzionali e commerciali che li richiedono.

La caratteristica “piatta” e “corta” della supply chain spaziale è essenzialmente legata alle specifiche settoriali. Come già anticipato, diversamente ad altri setto-ri, (quale ad esempio il settore automobilistico dove esiste la catena di montaggio o anche nel settore aeronautico dove “la fusoliera” ‒ pur avendo un suo peso in termini di innovazione tecnologica ‒ può essere scomposta in parti replicabili) nel settore spaziale la componente replicabile della produzione è assente quasi del tutto è grossa parte dell’attività lavorativa si concentra nella fase della pro-gettazione (che impegna circa il 95% del lavoro) lasciando al manifacturing un ruolo più marginale. Per questi motivi generalmente il prodotto viene concepito è prodotto internamente e solo alcune fasi vengono esternalizzati ad operatori che possano offrire un servizio di elevata qualità. Nel nostro caso specifico, con riferimento al consorzio ANTARES di cui facciamo parte, “In termini operativi la filiera produttiva funziona perché la progettazione viene spezzettata da Gavazzi Space, che ha sempre il ruolo di integratore di si-stema. Un progetto viene dunque suddiviso e dato in carico alle singole unità per le specifiche tecniche. Non si tratta di una filiera ampia ma di una molto stretta basata sulla stretta relazione di fiducia tra le aziende”. (Massimiliano Marotta e Massimiliano Pastena – Gavazzi space S.p.A.).

Infine per quanto concerne il caso delle aziende di media dimensione operanti come fornitori all’interno della supply chain internazionale appare evidente che le sue attuali caratteristiche volte a chiedere ai primari fornitori la responsabilità di costruire com-ponenti sempre più complesse di produzione, comprensive della fase di progettazione,

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portano, tali categorie di impresa, per necessità strategiche, ad internalizzare completa-mente tale fase e ad esternalizzare una parte non significativa di servizi ingegneristici, mentre elevata appare la necessità di esternalizzare componenti non core di servizi (legali, finanziari) ad operatori che comunque vantano un’elevata professionalità e com-petenza. è auspicabile sul territorio quindi anche una crescita di operatori che offrano servizi di questo tipo.

Per quanto concerne la componente dei servizi all’interno dell’intero sistema azien-dale occorre distinguere tra i servizi “core” direttamente legati al processo produt-tivo e che incorporano il know how come ad esempio il servizio di progettazione ed i servizi invece più trasversali (quali quello informatico, quello logistico, quello finanziario, quello legale, etc.).Nel primo caso, per necessità strategiche, il servizio è completamente svolto all’in-terno dell’azienda mentre negli altri casi è in parte esternalizzato.Mancando attualmente strutture consulenziali che possano supportare le imprese nei loro processi di crescita si può pensare ad una gestione accentrata di alcune ca-tegorie di servizi. Per le aziende di piccole dimensione che non sono in grado singo-larmente di creare un proprio centro di progettazione, si potrebbe creare un servizio comune di progettazione. Lo stesso si potrebbe pensare per i servizi informatici. Le piccole imprese non possiedono ancora veri e propri sistemi informatici strutturati. Un discorso analogo va fatto per la logistica che, se gestita centralmente può rag-giungere elevati livelli di economia di scala e consentire una gestione più efficace delle componenti di fornitura. Altro servizio importante che potrebbe essere gestito secondo questa logica è quello finanziario. (Paolo Bellomia – Dema S.p.A.)

Vale la pena infine evidenziare come la qualità percepita di tali operatori rispetto ai fornitori di servizi ingegneristici locali sia piuttosto elevata, mentre appare meno rispon-dente alle effettive esigenze del territorio la presenza di consulenti qualificati che possa-no supportare la crescita delle PMI locali attraverso appropriati servizi, legali, finanziari e commerciali. Una politica industriale strutturata volta all’accrescimento dei servizi sia per quanto concerne quelli propriamente ingegneristici che finanziari, legali, logistici, commerciali, etc. favorirebbe sicuramente il potenziamento del comparto aeronautico che specularmente, aumenterebbe una domanda crescente di servizi.

...Sicuramente ci sono delle buone società di consulenza in ambito ingegneristi-co/progettuale di cui come detto in parte la Vulcanair si serve. Se poi il concetto di servizio lo estendiamo ai servizi formativi delle università, l’offerta in questo campo appare abbastanza qualificata, anche se prevalentemente orientata alla struttura ed all’aerodinamica e poco alla motoristica. Un elemento che mi preme evidenziare è che, tuttavia, in Campania mancano delle strutture consulenziali volte alla ricerca di personale qualificato in ambito aeronautico. (Placido De Alcubierre – Vulcanair S.p.A.)

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A mio avviso, come già accennato, sicuramente c’è un gran numero di piccole imprese (non operanti solo nel settore aeronautico) che hanno bisogno di servizi di elevata qualità, in particolar modo per quanto concerne i servizi di progetta-zione, quelli informatici, la Ricerca e Sviluppo, il body rental, ma anche servizi più propriamente della finanza, della logistica e legali. Il problema è che manca un offerta strutturata di tali servizi ed, allo stresso tempo, le piccole imprese non fanno molto per cercare di procurarseli. In questo contesto solo una politica indu-striale strutturata, l’agire sistemico dei vari attori, il cambiamento culturale delle imprese maggiormente rivolto all’aggregazione ed allo spirito di collaborazione, può generare quell’offerta di servizi di cui necessita un sistema industriale rivolto allo sviluppo. (Paolo Bellomia – Dema S.p.A.)

5.2. Alcuni progetti di collaborazione interregionale per il miglioramento dei processi di internazionalizzazione

In questi ultimi anni sul territorio sono state avviate diverse iniziative rivolte all’in-dustrializzazione delle PMI del settore aerospaziale attraverso programmi specifici di finanziamento ed offerta di servizi.

Realtà come gli osservatori di settore oDISSEo-oSA (osservatororio Settore Aerospaziale), la Commissione Aerospaziale dell’Unione Industriali di Napoli e quella dell’ordine degli Ingegneri, il Consorzio Technapoli, il CESVITEC e l’AIAD, monitora-no costantemente l’andamento di settore e promuovono iniziative atte al suo sviluppo ed al miglioramento dei processi di internazionalizzazione, che costituiscono oggi un punto debole delle PMI Campane.

Tra le iniziative si può menzionare l’attività del CIRA, che dal 2007 sta promuovendo la partecipazione delle PMI a bandi di gara internazionali di ricerca e sviluppo, favorendo l’aggregazione tra PMI e centri di ricerca e la razionalizzazione dell’offerta. Sono in corso anche ulteriori progetti tesi a migliorare le possibilità di competizione internazionale delle imprese aerospaziali.

Anche il CARN (Campania Aerospace Research Network) ha lo scopo di incrementare le potenzialità dell’industria aerospaziale campana promuovendo le grandi capacità del sistema ricerca e del sistema produttivo presenti in questo settore.

Dal punto di vista operativo sono state realizzate numerose iniziative di “internaziona-lizzazione”, spesso cofinanziate da enti pubblici ed associazioni di categoria. In appendice riportiamo le principali.

Tutte queste iniziative costituiscono senz’altro un mezzo per aumentare la visibilità internazionale del comparto campano nel suo complesso, ma spesso non si traducono in un reale incremento delle quote di mercato estere da parte delle aziende campane. Si tratta, infatti, più di iniziative “istituzionali” che di attività commerciali delle singole imprese, che, come detto, non sono spesso in grado, da sole, di proseguire tali contatti e concretiz-zare l’acquisizione di commesse.

Accanto alla partecipazione a fiere ed eventi, occorrerebbe quindi individuare, da parte

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delle istituzioni, ulteriori azioni specifiche destinate alle medie aziende e ai consorzi di PMI campani, per consentire il follow-up dei contatti stabiliti durante tali eventi. Tra que-ste non sono da escludere iniziative di tipo formativo, supporto alla partecipazione a gare internazionali, finanziamenti relativi all’apertura di sedi commerciali all’estero.

6. Offerta e apertura internazionale dei servizi aerospaziali

Come già accennato il comparto aerospaziale campano raggruppa circa 150 realtà tra aziende specializzate e centri di ricerca con più di 20.000 16 occupati. Il settore aeronau-tico ha la sua prevalenza con la presenza di rilevanti imprese costruttrici, di ingegneria e di manutenzione/trasformazione. Nel triennio 2005-2007 si è assistito ad un trend di crescita e consolidamento di aziende nel settore della logistica, prototipizzazione, com-ponentistica di precisione e servizi di consulenza e formazione.

Il settore spazio è rappresentato dalla presenza di PMI e centri i ricerca che operano principalmente nell’area dello sviluppo di tecnologie e prodotti, del telerilevamento applicato e dei servizi avanzati di telecomunicazione satellitari.

GraFiCo 1Offerta e domanda di servizi da parte delle aziende aerospaziali campane

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Fonte: SRM su dati dell’ordine degli Ingegneri di Napoli

16 Fonte: Studio del settore Aerospaziale Campano – Polo High Tech di Napoli Est / DIEG Università Federico II.

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Il grafico 1 riporta la struttura dell’offerta di servizi da parte delle aziende campane, risultante dall’indagine realizzata dalla Commissione Aerospaziale dell’ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli. I servizi sono stati raggruppati in 13 categorie principali17, mentre sulle ordinate è rappresentato il numero di aziende che dichiarano di offrire o richiedere tali servizi.18 Da esso emerge come i servizi che interessano un maggior numero di aziende sia per quanto concerne la domanda che per quanto concerne l’offerta sono i servizi di progettazione, quelli di supporto al CAD-CAM, ed i servizi legati a prove e test.

Come anticipato, nel settore dei servizi di ingegneria e progettazione aeronautica, tra le PMI, vanno menzionate per dimensione, qualità dell’offerta e potenzialità di sviluppo, oltre alla DEMA (la quale opera anche e principalmente nel Manifatturiero) altre realtà quali Aerosoft, Foxbit, A-technology, oltre ad alcune aziende provenienti dal mondo automotive.

Bisogna osservare che molte delle aziende indicate operano principalmente sul ter-ritorio locale, con qualche eccezione quali DEMA ed Aerosoft che riescono ad avere commesse all’estero.

Esse offrono principalmente servizi di progettazione meccanica, così come SRS e Carcerano che hanno sedi principali fuori regione (Roma e Torino) e sedi locali a Napo-li. Entrambe le società, nate come fornitori di servizi di progettazione meccanica per l’automotive (Fiat, BMW, etc.) sono entrate di recente nel settore aeronautico, in modo particolare su attività per Avio ed Alenia.

oltre a queste aziende c’è poi una miriade di PMI e di microimprese che operano soprattutto sul CAD-CAM. Alcune di queste sono anche specializzate nella produzione meccanica di precisione o nella prototipizzazione meccanica.

Altro settore rilevante è quello del Body rental relativo alla consulenza tecnica e gestionale (anche sul project management). In questo caso la domanda principale viene dalle aziende impegnate in campo spaziale e militare (MBDA, Selex Galileo, Thales Alenia Space, Telespazio).

offrono servizi del genere le seguenti società: Intecs, ITS, il consorzio Technapoli e le società del gruppo Altran (ISL).

Molto importante è l’offerta di servizi legati alla manutenzione, alle revisioni ed alle riconversioni di velivoli, che vede in prima linea aziende quali Magnaghi, Atitech ed Avio, oltre ad un grande numero di fornitori di secondo livello.

C’è poi il settore per la fornitura di servizi ed apparati per la qualifica ed il testing soprattutto in campo spaziale (EGSE). In questo caso alcune aziende da menzionare sono MARS, Technosystem, ITS, Euro.Soft, Foxbit.

In molti casi l’apertura internazionale è spesso relativa ad attività commissionate in Italia da parte dei prime contractors nazionali su commesse internazionali.

17 Elenco riportato al paragrafo 4.18 Va osservato che la gran parte delle aziende intervistate, la cui lista completa è riportata in appen-

dice, sono piccole e piccolissime. In particolare il gran numero di “aziende di progettazione” comprende diverse realtà simili a studi professionali di 4-5 componenti.

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Fanno eccezione, nel settore spazio, le attività svolte da Carlo Gavazzi Space dal consorzio Antares, dalla Technosystem e dal MARS che operano direttamente sui mer-cati internazionali costituiti dalle agenzie spaziali Europee, da quella Russa, dalla NASA e dai paesi orientali e mediorientali.

Si può quindi affermare che l’offerta di servizi è qualitativamente competitiva in tutti i campi, mentre, se si eccettua l’offerta di servizi legati alla progettazione aeronautica di tipo “meccanico”, poche aziende soddisfano o possono soddisfare una domanda inter-nazionale, soprattutto a causa delle piccole dimensioni.

A questo si perviene anche nell’intervista di Luigi Vinci, presidente degli ordini degli ingegneri di Napoli, il quale evidenzia come le piccole dimensioni delle imprese aggra-vano l’onerosità delle iniziative di internazionalizzazione per cui risulta estremamente importante supportarle tramite interventi esterni che consentano in modo particolare alle PMI di partecipare più agevolmente e con costi ridotti ai bandi di natura internazionale.

Purtroppo molte aziende sono piccole e microimprese, quindi l’internazionalizza-zione risulta onerosa e difficilmente raggiungibile senza interventi esterni. Oltre alle iniziative di sensibilizzazione delle istituzioni, la Commissione Aerospaziale, attraverso il Comitato Promotore del Progetto Galileo, ha stimolato la partecipa-zione delle aziende italiane, in particolare delle PMI Campane, ad alcuni bandi internazionali e sta contribuendo, con iniziative formative, quale quella sulla cer-tificazione aeronautica, ad aumentare la competitività degli ingegneri campani.(Luigi Vinci – Presidente Ordine degli Ingegneri di Napoli).

In ogni caso sarebbe auspicabile un supporto ad un ulteriore sviluppo del settore aeronautico e ad un’offerta strutturata dei servizi in modo da aumentarne la competiti-vità anche a livello internazionale.

Mancando un’offerta strutturata di servizi, attualmente poco si può parlare di internazionalizzazione in questo campo. Sicuramente, tuttavia, un ulteriore svi-luppo del settore aeronautico e di quelli attigui, unito alla creazione di un sistema strutturato nell’offerta di servizi, può generare il nascere di realtà specializzati nella fornitura di alcune tipologie di servizi specifiche (e non) per il settore in grado eventualmente di portare all’estero la propria esperienza. (Paolo Bellomia – Dema S.p.A.).

Infine, appare doveroso evidenziare che un vincolo fondamentale allo sviluppo locale ed internazionale è dato dalla scarsa propensione commerciale delle PMI storicamente legate alla grande impresa nazionale, mentre per quanto concerne i new players e le aggregazioni di imprese, si evidenzia spesso il basso livello di investimenti in marketing ed attività commerciale per l’internazionalizzazione, che si limita praticamente alla parte-cipazione a fiere e ad incontri occasionali con aziende estere.

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Le ultime tendenze politiche sembrano comunque orientare i finanziamenti pubblici alle PMI aerospaziali verso azioni tese al superamento di questi limiti.

6.1. Il ruolo dei consorzi di imprese

Come già detto, la consapevolezza delle numerose piccole e microaziende campane di non poter sostenere le sfide internazionali e, soprattutto, di non poter limitarsi al solo mercato locale, hanno spinto le stesse alla creazione di diverse aggregazioni (appendice).

Tali aggregazioni, solitamente consorzi o società consortili, non hanno ancora avuto un’effettiva ricaduta in termini di quote di mercato e nuovi clienti acquisiti dalle aziende partecipanti. In alcuni casi hanno consentito la partecipazione a progetti di ricerca con-giunti o a programmi nel settore spazio (IDEA, ANTARES, SAM).

I mercati di sbocco delle aggregazioni presenti in Campania sono solitamente più ampi del solo comparto aerospaziale, ed abbracciano campi che vanno dal ferroviario al navale all’automobilistico, ai servizi ICT e di controllo e monitoraggio ambientale. La figura 11 riassume i principali mercati di interesse di tali aggregazioni.

Alcuni consorzi si sono posti come interlocutori della Pubblica Amministrazione al fine di accedere a finanziamenti per la ricerca e per l’industrializzazione (SAM, ALI, ANTARES, CHAIN), altri ancora sono stati costituiti molto recentemente, mentre alcune iniziative consortili sono terminate dopo pochi anni di attività, a testimonianza delle dif-ficoltà nel mettere a sistema le potenzialità delle aziende componenti e creare delle reali sinergie. Le difficoltà di start-up operativo si accentuano per quei cluster, che nascono senza finanziamenti governativi o regionali (accordi/contratti di programma) e per quelli che sono composti da un numero troppo elevato di aziende, spesso concorrenti tra loro.

L’esperienza consortile viene comunque valutata in modo positivo da molte aziende, soprattutto in funzione delle maggiori possibilità di contatto diretto con interlocutori dello stesso settore e delle opportunità di partecipazione ad eventi e fiere internazionali.

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FiGura 11I mercati di sbocco delle principali aggregazioni campane

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Fonte: SRM su dati dell’ordine degli Ingegneri di Napoli

Va infine menzionata la tendenza all’aggregazione anche tra i centri di ricerca ed in forma mista aziende/centri di ricerca. Ne è testimonianza la presenza di diversi consorzi pubblico/privati che offrono prevalentemente servizi di R&D.L’offerta dei consorzi è riassunta nella tabella seguente, dove sono evidenziati in parti-colare i servizi relativi al mercato aerospaziale.

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tabella 3Offerta di servizi delle principali aggregazioni campane

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7. Conclusioni

Il tessuto industriale campano nel comparto aerospaziale è caratterizzato soprattutto dalla presenza di PMI tradizionalmente subfornitori di Alenia Aeronautica. Bisogna tener conto che in caso di flessione di mercato i fornitori sono i primi a subirne le con-seguenze.

Le capacità di un’azienda subfornitrice devono essere tali da metterla in condizione di affrontare i periodi di crisi (ciclici). Per questo motivo queste imprese seguono diver-se strategie: 1) diversificazione in altri settori, così da ridurre il rischio; 2) accordi tra imprese, per ridurre la concorrenza; 3) evoluzione del rapporto impresa-fornitore verso una partnership tecnico commerciale sempre più stretta, a cui può accedere, però, solo un limitato numero di fornitori che hanno le caratteristiche adeguate. 19

Queste caratteristiche sono capacità di progettazione di parti e processo, di attrezza-ture e sottosistemi, ma anche capacità commerciali, gestionali e di marketing. Chi pos-siede queste caratteristiche instaura di solito relazioni di lungo periodo con il cliente, che ormai tende ad avere un unico fornitore per ogni sottosistema. I rimanenti o escono dal mercato o diventano subfornitori. La relazione tra prime contractor e fornitore compor-ta necessariamente una nuova organizzazione del lavoro che garantisce una flessibilità molto maggiore, visto che un rapporto di quel genere ha bisogno contemporaneamente dello sviluppo del prodotto e della sua industrializzazione.

19 Fonte: La subfornitura nel settore aeronautico ‒ Bianca Massimiliano ‒ Esposito Emilio Editore: McGraw-Hill Companies.

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Le aziende di servizi del settore aerospaziale hanno buone potenzialità di interna-zionalizzazione. Tuttavia l’ostacolo principale è rappresentato dalla piccola dimensione che non offre sicuramente la base economica necessaria per affrontare le spese che il processo di internazionalizzazione comporta. A questo si aggiunge un supporto pubbli-co che non è in grado ancora di incentivare in maniera decisa e concreta tali processi. Qualcosa in più si potrebbe fare soprattutto in termini finanziari in modo particolare per la partecipazione ai bandi emessi dalle grandi aziende estere e, per il comparto spazio, dalle Agenzie Spaziali. La partecipazione a questi bandi comporta dei costi elevati per la piccola impresa. In tal senso il finanziamento delle aziende più meritevoli sarebbe un utile supporto per una partecipazione maggiore a queste gare internazionali. In questo contesto le PMI aerospaziali sono costrette ad appoggiarsi alle poche aziende di media dimensione in un ottica di fornitura o subfornitura. Un ruolo significativo in tal senso lo potrebbe svolgere il CIRA, che da qualche tempo sta moltiplicando gli sforzi per diven-tare il principale catalizzatore delle proposte innovative nel settore.

Un limite notevole delle piccole aziende campane è rappresentato da un capitale umano non adeguatamente qualificato per affrontare le sfide globali. Pertanto, soprattut-to la qualificazione del personale necessita probabilmente di una proiezione internazio-nale finalizzata ad accrescere la professionalità e la competenza del personale.

In questi ultimi anni sul territorio sono state avviate diverse iniziative rivolte alla qualificazione delle PMI del settore aerospaziale attraverso programmi specifici di ricer-ca e sperimentazione, progettazione, manutenzione ed offerta di servizi. Con una com-ponente industriale fortemente supportata da quella universitaria e, quindi, dal mondo della ricerca qualificata e della formazione specializzata.

Realtà come gli osservatori di settore oDISSEo-oSA (Osservatorio Settore Aerospa-ziale), la Commissione Aerospaziale dell’Unione Industriali di Napoli e quella dell’ordine degli Ingegneri, il Consorzio Technapoli, il CESVITEC e l’AIAD, monitorano costante-mente l’andamento di settore e promuovono iniziative atte al suo sviluppo.

La Regione Campania spende in ricerca circa il 2,5% del proprio PIL di cui un quinto di queste risorse è investito in ricerche in ambito aerospaziale e, a dimostrazione dell’importanza del comparto, ha favorito la nascita del CARN (Campania Aerospace Research Network) al quale partecipa con CIRA, Alenia, Avio, CNR e le due Università di Napoli. L’iniziativa del CARN nasce da un accordo tra l’Assessorato all’Agricoltura e alle Attività Produttive, l’Assessorato Università e Ricerca Scientifica ed il CIRA (Cen-tro Italiano Ricerche Aerospaziali) quale partner specialistico. Il suo scopo è quello di incrementare le potenzialità dell’industria aerospaziale campana promuovendo le grandi capacità del sistema ricerca e del sistema produttivo presenti in questo settore.

A questo network si aggiunge anche l’IMAST, distretto di ricerca specializzato sui nuovi materiali, il centro dedicato ai materiali innovativi della Piaggio AVIo a Pozzuoli e i laboratori unici al mondo presenti al CIRA: l’ICT (Icing Wind Tunnel) per esperimen-ti in condizioni di ghiaccio, il PWT (Plasma Wind Tunnel) per la simulazione delle alte temperature generate dal rientro in atmosfera di veicoli spaziali e LISA, (Laboratorio d’Impatto Strutture Aerospaziali).

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La Regione Campania per il 2008/2013 avrà a disposizione 15 miliardi di euro: i fondi per la competitività del sistema produttivo regionale ammontano a 2,2 miliardi, a cui vanno aggiunti fondi su ricerca e innovazione, internazionalizzazione, logistica industriale e formazione. Sull’asse competitività è convogliata una cifra pari al 40% delle risorse. La politica industriale regionale dei prossimi anni, quindi, potrebbe punta-re fortemente sulle eccellenze che il settore aerospaziale esprime.

In un’ottica generale, la presente indagine ha confermato che l’offerta di servizi in Campania è qualitativamente competitiva in quasi tutti i campi, ma, se si eccettuano alcune eccellenze, poche aziende possono soddisfare una domanda internazionale, soprattutto a causa delle piccole dimensioni.

I vincoli allo sviluppo locale ed internazionale vanno ricercati soprattutto nella scarsa propensione commerciale delle PMI storicamente legate alla grande impresa nazionale, mentre per quanto concerne i new players e le aggregazioni di imprese, si evidenzia spesso il basso livello di investimenti in marketing ed attività commerciale per l’internazionalizzazione, che si limita praticamente alla partecipazione a fiere e ad incontri occasionali con aziende estere.

Questa appare pertanto l’area in cui dovrebbero orientarsi alcune delle policy istitu-zionali in un’ottica di sviluppo del comparto e di creazione ad un vero e proprio polo aerospaziale campano.

Importante inoltre è quanto emerso dal lato della domanda di servizi sia da parte delle imprese appartenenti al settore aeronautico che da parte di quelle appartenen-ti allo spaziale. Infatti, anche dalle interviste, appare evidente come nel caso in cui un’impresa abbia una propria nicchia di mercato e svolga essa stessa un ruolo di system integrator (anche se piccolo), sia in grado di attivare un indotto di servizi superiore in quanto maggiore è la necessità di esternalizzare alcune attività che non possono essere gestite completamente all’interno (si veda a riguardo i risultati delle interviste fatta alla Vulcanair nel quinto paragrafo). In particolare per quanto riguarda le imprese operanti in campo spaziale, trattando prodotti “semiartigianali” (i satelliti), necessitano spesso del ricorso a fornitori fortemente qualificati, instaurando rapporti di collaborazione di lungo periodo, per cui lo sviluppo del settore spaziale si potrebbe sicuramente tradurre in uno sviluppo di un indotto qualificato di servizi (si veda l’intervista fatta alla Gavazzi space nel quinto paragrafo). Minore, invece, è la quantità di servizi (specie per quanto concerne quelli di tipo ingegneristico) che viene attivata da un’azienda che opera come fornitore all’interno della supply chain internazionale in quanto, per motivi strategici, grossa parte dei servizi core è gestita internamente (si veda l’intervista fatta alla Dema nel quinto paragrafo).

Consideriamo infine le quattro variabili discriminanti per la specializzazione nel settore dei servizi evidenziate nell’analisi effettuata nel primo capitolo ossia 1) la pre-senza del Manifatturiero (e quindi della domanda di servizi); 2) la presenza di capitale umano qualificato; 3) l’intensità tecnologica; 4) l’economia di agglomerazione (ossia la presenza di un agglomerato di imprese concentrate in una zona ristretta).

Da un’analisi generale del comparto aeronautico e dei servizi ad esso collegati,

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appare evidente la presenza quantitativa di questi quattro fattori che tuttavia non sono attualmente gestiti in modo tale da innescare una spirale positiva che possa alimentare uno sviluppo notevole e qualitativamente elevato dei servizi.

La crescita di tali fattori non è tanto minacciata dalla scarsa quantità degli input di risorse bensì dalla scarsa qualità che spesso ne caratterizza il settore ed in modo parti-colare:

da un posizionamento di un gran numero di aziende all’interno delle fasi meno pre-• giate della filiera produttiva internazionale;da un utilizzo non ottimale delle risorse umane in relazione alla qualità media della • loro preparazione e che spesso sono spinte ad emigrare trovando all’estero un’offerta professionale più adeguata alle loro aspettative;da un livello tecnologico che, se pur adeguato all’attuale configurazione produttiva, • non è adatto a supportare attualmente standard qualitativi di livello superiore;da un distretto che è ancora troppo frammentato e, pertanto. non capace di creare • quelle sinergie di cui il settore necessiterebbe per migliorare lo sfruttamento delle risorse locali e consentirne uno sviluppo integrato ed armonizzato.

FiGura 12Esame dei quattro fattori per lo sviluppo dei servizi alla produzione nel settore aeronautico

MANIFATTURIERO

Il settore aeronautico campano presenta imprese manifatturiere di grandemedia e piccola dimensione

occorre innalzare il livello di qualitàal fine di alimentare la crescita degli altri fattori

CAPITALE UMANO

Buon sistema universitario con facoltàspecializzate

Spesso la domanda del Manifatturiero e la mancanza di un’azione sistemica non favoriscono lo svilupparsi di tale fattore

TECNOLOGIA

La Campania presenta numerose imprese operanti nel campo dell’ICT e come società di ingegneria

Sono tuttavia imprese piccole ed il settore aeronautico non occupa una parte della filieratale da favorirne lo sviluppo

ECONOMIA DI AGGLOMERAZIONE

Il distretto aerospaziale campano è fatto prevalentemente di piccole realtà, è frammentato e non presenta grossi livelli di cooperazione.

Un’azione sistemica per il suo sviluppo potrebbe portare benefici sia al mondo manifatturiero che a quello dei servizi collegato

Fonte: SRM

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è ovvio che se non si riesce ad intervenire “attraverso un’azione sistemica” che consenta di valorizzare al meglio i quattro fattori sopra citati, si potrebbe innescare una spirale negativa in grado di danneggiare non solo il mondo di servizi connessi al settore ma anche la stessa manifattura. Di conseguenza appaiono necessari indirizzi politici che, supportando l’aspetto manifatturiero, possano portare una crescita dell’intero business ad esso connesso. Ed è su questa base che si è cercato di intravedere alcune linee di indirizzo per il settore.

In questa prospettiva, considerando il fatto che senza un’ulteriore sviluppo della domanda, difficilmente si può pensare ad un ulteriore sviluppo dei servizi specie in otti-ca internazionale, appare d’obbligo evidenziare che le politiche di supporto non devono limitarsi allo sviluppo del settore aeronautico campano all’interno della supply chain internazionale (aspetto comunque fondamentale affinché le imprese campane restino inserite nelle tendenze globali del mercato), ma devono anche supportare lo sviluppo di quelle aziende in grado di avere un proprio mercato e svolgere esse stesse un ruolo da system integrator. In tal caso un valido esempio di come il supporto istituzionale possa favorire lo sviluppo del settore anche a livello internazionale sono state le azioni svolte dal governo americano per favorire lo sviluppo dell’aviazione generale che ha impresso un forte impulso al mercato dell’aviazione generale attraverso due programmi AGATE e SACS. Una formidabile iniezione di sovvenzioni, tecnologia e ricerca ha permesso, infatti al settore di riprendersi in tutto il mondo partendo dagli Stati Uniti.

Più precisamente, se da un lato le politiche istituzionali devono supportare il prime contractor a portare parti sempre più complesse del velivolo in Campania ed a giocare un ruolo di leader territoriale, favorendo al contempo una decisa e continua riqualifica-zione produttiva dei fornitori, dall’altro, non devono trascurare le imprese che operano nel campo dell’aviazione generale con delle proprie nicchie di mercato. L’analisi degli attuali scenari, delle attuali regole competitive e delle risorse presenti in Campania ci ha spinto, pertanto, ad elaborare tre possibili percorsi di sviluppo per il settore, in grado anche di alimentare una domanda crescente di servizi e favorirne uno sviluppo a livello internazionale. Sono percorsi caratterizzati da diversità quantitative e qualitative dello sviluppo e da non considerare mutuamente esclusivi20:

leadership territoriale;4) nicchia di mercato;5) riqualificazione produttiva.6)

Un primo percorso che è stato definito di leadership territoriale consiste nel fatto che tutti gli attori ed in particolar modo quelli istituzionali supportino il prime con-tractor nel favorire e sviluppare in Campania la produzione e la ricerca di parti sempre più diversificati dei velivoli (sino a poter giungere in qualche caso anche al prodotto completo). Notevoli sarebbero in questo caso gli effetti economici per il territorio. Tutto

20 Si veda SRM (2007), L’Industria Aeronautica: Struttura e prospettive di crescita, collana “Distretti Industriali e poli produttivi della Campania”.

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questo richiede però la necessità di individuare forme di incentivazione adatte agli attori principali in gioco garantendone livelli di convenienza economica e qualitativa della fornitura in linea con quelli forniti dai concorrenti stranieri.

Un altro percorso che definiamo di nicchia di mercato consiste nel rafforzamento di altre realtà che, pur essendo collegate al prime contractor, sono riuscite a conquistarsi un proprio mercato di nicchia nel campo ad esempio dell’aviazione generale. Si tratta di mercati in sviluppo soprattutto in quei paesi, dove la mancanza di idonee infrastrutture conferiscono ad un aeromobile leggero la stessa utilità di quella che può avere un treno o un automobile in paesi caratterizzati da un infrastruttura migliore. Il ricorso a sovven-zioni volte a favorire lo sviluppo tecnologico e commerciale del settore vanno, pertanto, prese in considerazione affinché esse possano avere anche un notevole impatto sia sull’indotto manifatturiero che di quello dei servizi. Il loro sviluppo significa anche una crescita dei servizi ad essi collegati e delle competenze di cui essi necessitano affinché possano competere a livello internazionale. Un valido esempio di supporto al settore, come già anticipato, è rappresentato dall’esperienza americana consistente in una serie di sovvenzioni specifiche e dirette in particolare alla fase commerciale che hanno dato un forte impulso al settore.

Un altro percorso infine che definiamo di riqualificazione produttiva è quello che più si adatta alle attuali e future regole del gioco. Esso consiste in una riqualificazione della fornitura di Alenia e del suo indotto con l’obiettivo di innalzare i livelli di responsabilità e complessità dei progetti affidati dai system integrator. Tale percorso richiede a mag-gior ragione uno sforzo complessivo del sistema, da parte degli attori produttivi e non produttivi, al fine di raggiungere un eccellenza nel sistema della fornitura caratterizzato da un network ben funzionante.

Va infine precisato che nessuno dei suddetti percorsi potrà essere attuato senza la solida presenza di un sistema locale che veda l’interagire di tutti gli attori del settore. occorre, pertanto, l’intervento di organi istituzionali, migliori relazioni tra mondo indu-striale e mondo della ricerca, ed un miglior rapporto col sistema finanziario.

Solo l’agire e l’interagire dei diversi attori può determinare una seria competizione del sistema aeronautico locale campano nei confronti dei paesi esteri, una competizio-ne basata sull’ innovazione e sulla collaborazione, andando a posizionarsi sul mercato proprio là dove attualmente i paesi a basso costo della manodopera non sono in grado ancora di competere. In conclusione, l’agire sistemico, il vagliare tutte le opportunità del settore (dall’aviazione civile a quella generale), il salto qualitativo della manifattu-ra, la crescita del capitale umano e del knowledge settoriale sono le strade giuste e che vanno cercate contemporaneamente al fine di supportare un ulteriore sviluppo anche a livello internazionale della Manifattura aeronautica e dei servizi (interni ed esterni) ad essa connessa.

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APPENDICE

Principali iniziative di internazionalizzazione nel settore aerospaziale

Partecipazione a fiere internazionali (Airtec di Francoforte, Aeroforum Caserta, • Aeromart Tolosa, AA Asian aerospace, Le Bourget, Fiera Quebec, etc.);missioni imprenditoriali all’estero (Libano, Finlandia, Russia, India, Cina, Canada, • Marocco, Algeria);incontri B2B con aziende aerospaziali (Baden Wurttenberg, Russia, Canada, Stati • Uniti, Polonia, Messico, etc.).

Tra le iniziative attive in Campania a supporto del settore aerospaziale, va menzio-nato il progetto “Campaniaerospace” dell’Assessorato all’Agricoltura ed alle attività produttive della Regione.

Campaniaerospace, a sostegno delle attività di sviluppo delle PMI e per incoraggiare lo scambio tecnologico e lo sviluppo di progetti di ricerca, ha realizzato alcune iniziative tra le quali la prima edizione di “Aerospace & Defense Meetings” di Torino, organizzata nel marzo 2008 con la Camera di commercio di Torino ed il Centro Estero per l’Inter-nazionalizzazione in collaborazione con BCI Business Conventions International. A tale evento hanno partecipato 300 aziende provenienti da 18 paesi e 4 continenti che hanno promosso oltre 6.000 appuntamenti e incontri “business to business”, tra protagonisti industriali ed istituzionali. Hanno partecipato alle Conferenze, ai seminari tecnici ed alle sessioni Business, il CIRA il DIAS ed oltre quaranta imprese campane, che hanno avviato contatti con potenziali committenti provenienti da Europa, Canada, Russia, Stati Uniti, Estremo oriente e India.

In particolare DEMA, Mecfond, Vulcanair, C.M.D (con i nuovi motori avio diesel) ed oMA SUD (con il suo Skycar) hanno conquistato l’attenzione di molti operatori e rappresentanti delle istituzioni presenti alla manifestazione.

Tra le altre iniziative promosse da “Campaniaerospace” si può menzionare la visita a Napoli di imprese ed università USA presso le aziende del comparto Campano (maggio 2008) e la consistente presenza delle aziende regionali al salone dell’aeronautica di Far-nborough 2008 ed il progetto PLAIT della Provincia di Napoli. Quest’ultimo si propone di proiettare le Piccole e Medie Imprese campane del settore nel mercato russo, anche mediante la sottoscrizione di accordi istituzionali, rapporti di collaborazione tra l’Am-ministrazione Provinciale di Napoli e la Federazione Russa ed accordi e/o protocolli d’intesa tra imprese napoletane e russe. Tale progetto, avviato nel maggio 2007 ha visto l’organizzazione, col supporto del Consorzio Technapoli, delle seguenti attività:

Partecipazione all’ottava edizione della fiera MAKS, organizzata dall’AVIASALON • JSC ufficialmente sostenuta dal Governo Russo.Missione di una delegazione della Provincia di Napoli e di aziende del settore aero-•

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spaziale campano a San Pietroburgo a dicembre 2007, con incontri con istituzioni, aziende e università della città di San Pietroburgo: definizione e firma di un proto-collo tra la Provincia di Napoli e il Governo di San Pietroburgo.Missione di incoming di un gruppo di rappresentanti istituzionali e delle imprese • della città di San Pietroburgo: incontri con istituzioni, aziende e università dell’area campana.Partecipazione istituzionale e di esperti d’impresa alla Conferenza Internazionale • “Sinergy: Industry, Education and Research” (San Pietroburgo 16-20 giugno 2008) e definizione di accordi di collaborazione con imprese russe.Partecipazione ad una ulteriore fiera del settore aerospaziale a Mosca (settembre • 2008).

Principali consorzi di imprese nel settore aeronauticoANTARES1. SAM (Società Aerospaziale Mediterranea) S.c.r.l. 2. CONSORZIO IDEA (Innovation and Development Enterprises Association)3. CONSORZIO ALI (Aerospace Laboratory for Innovative components)4. AT CoRoGLIo (Area Tech)5. CHAIN (Campania Helicopter and Airplane Industry Network)6. CONSORZIO SEI (Sistemi e Servizi Elettronici Integrati)7. CONSORZIO SESM (Soluzioni Evolute per la Sistemistica e i Modelli)8. CONSORZIO TECNOCASERTA9. PoLo HIGH TECH DI NAPoLI EST10. TEKNOSUD Scarl11.

Cenni sui principali dati economici del settore aerospaziale in Europa

Prima di iniziare a descrivere la struttura del settore aerospaziale in Italia ed in Cam-pania, è opportuno delineare le principali caratteristiche economiche di questo settore in Europa facendo riferimento in particolare ai dati messi a disposizione dall’AeroSpace and Defence (ASD) in Europa.

L’industria aerospaziale in Europa ha generato al 2006 circa 121 miliardi di euro di ricavi con un trend in crescita. A contribuire maggiormente a tale valore è sicuramente quella aeronautica con 88,2 miliardi ed una quota del 73%; seguono il settore della difesa (27,8 miliardi per una quota del 23%) ed infine quello spaziale (5 miliardi di fatturato ed una quota del 4%). Va precisato che tali settori presentano una tendenza generale verso la crescita.

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GraFiCo 2Ricavi dell’industria Aerospaziale e della difesa in Europa (Miliardi di euro)

112,9

81,6

4,4

26,5

121

88,2

5

27,8

0

20

40

60

80

100

120

140

Aerospazio e Difesa Aeronautico Spazio Difesa

2005

2006

8,1%

7,2%

4,9%

13,6%

Fonte: SRM su ASD

GraFiCo 3Percentuale dei ricavi dell’Aerospazio e della Difesa in Europa (2006)

Aeronautico; 0,72892562

Spazio; 0,041322314

Difesa; 0,229752066

Fonte: SRM su ASD

è un settore che genera sia un’occupazione specializzata e caratterizzata da elevati livelli di istruzione (spesso impiegati anche nei laboratori di Ricerca & Sviluppo) sia una manodopera meno qualificata. Dai dati forniti dall’ASD è possibile vedere come grossa parte del settore aerospaziale è concentrato in cinque paesi (Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Spagna).

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GraFiCo 4I principali paesi europei nell’industria dell’Aerospazio e della difesa

(Impiegati al 2006 )

170200 164500

84100

51500

32000

21900 20300 15000 13400 11300 9100 8200 6600 6400 6400 5900 5700 5500

2300 800

0

40000

80000

120000

160000

200000

Fra

nci

a

Reg

no

Un

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Ital

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gal

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D

anim

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Lu

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bu

rgo

Fonte: SRM su ASD

Dalla seguente figura emerge come la maggior parte dei ricavi (50,7%) deriva dalla costruzione di velivoli. Un importante quota è detenuta anche dal settore della Manuten-zione (19,6%); segue quello dei motori (9%); Equipment (7,5%), Aerostruttura (5,2%), Spazio (5,4%) e Missilistica (2,9%).

GraFiCo 5Ricavi dell’Industria aerospaziale per segmento di prodotto (%)

Spazio; 0,054

Missilistica; 0,029

Manutenzione ; 0,196

Equipment; 0,072

Motori; 0,09

Aerostruttura; 0,052

Velivolo; 0,507

Fonte: SRM su ASD

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Per quanto concerne infine più in dettaglio il settore Spazio, esso produce 5,3 miliardi di euro a livello europeo con una netta prevalenza delle applicazioni satellitari (61,4%); segue i Sistemi di lancio (22,1%), le Attività scientifiche (12,9%) e le attività di supporto e di testing (2,0%).

GraFiCo 6Ricavi dell’Industria spaziale per segmento di prodotto (%)

Applicazioni Satellitari; 61%

Sistemi di lancio; 22%

Attività scientifiche; 13%

Attuività di supporto e di test;

02% Altre attività; 02%

Fonte: SRM su ASD

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CAPITOLO 6

LO SVILUPPO DEI SERVIZI NEL COMPARTO DELLA LOGISTICA IN CAMPANIA

Alessandro Panaro, Anna Arienna Buonfanti, Lucio Siviero

1. Introduzione

Il trasporto merci e la logistica rivestono un ruolo determinante per lo sviluppo economico delle regioni, dei paesi e delle aree geografiche vaste in funzione della gran-de espansione del commercio internazionale ed in rapporto all’avvento di importanti innovazioni tecnologiche affermatesi nel settore dei trasporti, divenuti sempre più inter-modali ed integrati con altri servizi logistici (magazzinaggio, smistamento, intermedia-zione, movimentazione, manipolazione, etc.). Il dato tecnologico del trasporto non può più disgiungersi dal dato logistico, sia nel momento infrastrutturale (porti, interporti, terminal, etc.), sia nel momento funzionale più strettamente legato ai sistemi produt-tivi/distributivi (reti di servizi, servizi innovativi di supporto, infotelematica, etc.). In questo senso il quadro logistico-trasportistico altamente innovativo fa da indispensabile supporto allo sviluppo economico regionale, nazionale ed europeo, in particolare per i settori e le filiere produttive fortemente orientati all’export.

Il capitolo si propone di approfondire alcuni specifici aspetti economici interni ed esterni al sistema dei trasporti regionale marittimo e terrestre, ad esclusione quindi del comparto aereo, nel quadro della generale espansione che il settore della logistica in generale sta vivendo negli ultimi anni. Il campo di indagine relativo alla internaziona-lizzazione del settore dei trasporti e della logistica appare di grande interesse scientifico ed applicativo, infatti, lo scenario futuro del sistema dei trasporti merci campano ed ita-liano finalmente assume toni e prospettive favorevoli dopo decenni di scarsa evoluzione tecnologica, di politica dei trasporti nazionale incentrata prevalentemente sulla “mono-modalità” stradale, ormai ai limiti di saturazione, di sviluppo non equilibrato dal lato dell’offerta sotto il profilo della efficienza degli operatori, della tutela ambientale, della congestione delle infrastrutture, della sicurezza e delle esternalità negative prodotte.

Sotto la spinta della Politica Comune dei Trasporti Europea e l’apertura internaziona-le delle economie degli “storici” blocchi geo-politici est-europei ed asiatici, i progressi sono stati significativi, costanti ed incoraggianti sotto molti aspetti, tra i principali: la più compiuta realizzazione del mercato interno dei servizi di trasporto, lo sviluppo di sistemi di trasporto più integrati, la promozione e la partecipazione finanziaria alla realizzazione della rete transeuropea dei trasporti TEN e dei “corridoi plurimodali” dell’Europa allargata, la promozione dell’intermodalità e la spinta a migliori pratiche di trasporto merci a livello locale e regionale, il potenziamento della sicurezza in tutti i

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modi di trasporto, l’ideazione e lo sfruttamento di attività di ricerca e sviluppo relative ai trasporti a livello comunitario, l’integrazione della protezione dell’ambiente nella politica dei trasporti, l’approfondimento delle relazioni commerciali e di trasporto tra l’UE e i paesi terzi, soprattutto quelli dell’Europa centrale, orientale, del bacino del Mediterraneo ed asiatici.

Sono stati analizzati i principali punti di forza e debolezza del sistema logistico campano e sono stati approfonditi in particolare gli interporti della regione, strutture in grado di fornire soluzioni logistiche innovative all’interno delle quali è possibile realizzare i processi di integrazione tra i modi di trasporto ed organizzare una offerta di servizi a valore aggiunto. I due principali interporti campani, ciascuno con la propria specializzazione, rappresentano un fattore discriminante nelle scelte localizzative delle aziende nazionali ed estere in quanto offrono servizi logistici avanzati e perché movimentano flussi di merci a diverse scale di distanza e sono connessi a reti modali diverse. Essi sono quindi diventati fulcro delle attività delle imprese campane che intendono impostare processi di internazionalizzazione e delle grandi multinazionali estere che trovano nell’interporto strutture, servizi e connessioni tali da poter impostare la loro supply chain nel nostro Paese.

Si è passati quindi ad una analisi dei fattori economici che maggiormente possono dare il segno della capacità espressa ed inespressa della regione ad aprirsi maggiormente ai processi di internazionalizzazione attiva e passiva. In particolare sono esposti i principali dati regionali disponibili relativi agli investimenti diretti esteri attivi e passivi, e sono state tracciate alcune delle principali linee strategiche per l’attuazione di una maggiore internazionalizzazione dell’economia regionale con particolare attenzione al settore dei servizi di trasporto e di altre attività logistiche.

Per consolidare l’analisi dell’internazionalizzazione dei servizi logistici in Campa-nia è stata realizzata anche una valutazione della domanda di tali servizi, ovvero delle imprese che operano nel territorio, allo scopo di individuarne le esigenze e le criticità rilevate. A tal scopo, sono state riportate le risultanze di interviste realizzate con tre realtà aziendali1 che rappresentano casi d’eccellenza della realtà campana: Logica, unica agenzia in Italia di sviluppo della logistica per conoscere le strategie di sviluppo del settore nella regione; MSC, il secondo operatore al mondo di trasporto marittimo con-tainerizzato, per comprendere le motivazioni e le modalità di investimento di un gruppo estero in Campania; e Tavassi Group allo scopo di analizzare le strategie che l’azienda, campana e collegata a holding internazionali, ha posto in essere per internazionalizzare i propri servizi.

La regione Campania presenta buone prospettive di apertura internazionale della sua economia in generale ma ancor di più nei settori del commercio e della logistica, grazie al rinnovato ruolo di tali attività nel quadro della competizione internazionale, nel quale detiene tradizionalmente una significativa presenza sia in termini di competenze

1 Le interviste svolte da SRM sono state rivolte a operatori del settore sia nazionali che esteri. Per esigenze di sintesi il capitolo riporta solo tre dei casi esaminati per l’indagine sull’internazionalizzazione dei servizi logistici.

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imprenditoriali e gestionali, sia di infrastrutture e di risorse territoriali ed umane ad esso orientate. Tali buone prospettive sono ancora, però, alquanto inespresse come il resto del Mezzogiorno, considerazioni di sintesi in tal senso concludono il capitolo.

2. Traffico merci internazionale nei principali nodi logistici della Campania

Il sistema logistico “integrato” campano per il traffico internazionale comprende in primo luogo i nodi logistici principali e cioè i porti di Napoli e Salerno e gli interporti di Nola e Maddaloni/Marcianise, il realizzando interporto di Salerno/Battipaglia e l’ae-roporto di Capodichino (figura 1).

FiGura 1 Principali nodi logistici della regione Campania

Fonte: LoGICA, 2004

I suddetti nodi logistici principali sono situati tutti lungo la direttrice principale Nord-Sud costituita dall’A1 Roma-Napoli, dalla A30 Caserta-Salerno e dalla A3 Saler-no-Reggio Calabria che rappresenta l’unica via di collegamento rapido con le regioni meridionali della penisola. Per quanto riguarda i collegamenti ferroviari l’interporto di Nola ha una stazione ferroviaria interna che è collegata direttamente con la rete nazio-nale; l’interporto di Battipaglia alla stazione ferroviaria di Battipaglia; l’interporto Sud Europa è collegato con il grande centro di smistamento RFI di Maddaloni/Marcianise e dunque con le linee ferroviarie regionali e nazionali ed attraverso il collegamento con

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Capua è connesso anche con la nuova linea Alta Velocità/Capacità Roma-Napoli. Inol-tre, di recente sono stati potenziati i collegamenti ferroviari tra i poli logistici campani, in particolare l’interporto di Nola con i porti di Napoli, Salerno, Gioia Tauro, Taranto e Bari, l’interporto di Maddaloni/Marcianise con i porti di Napoli, Salerno e Gioia Tauro, inoltre, l’interporto di Battipaglia sarà collegato con il porto di Salerno ed il porto di Gioia Tauro. Tali collegamenti favoriscono lo sviluppo del trasporto intermodale e di conseguenza del trasporto merci unitizzato internazionale. La Campania dal punto di vista delle reti infrastrutturali integrate, può essere considerata come la principale macro-piattaforma del Sud Italia, dotata di una condizione sicuramente migliore rispetto a tutte le altre regioni del Mezzogiorno e che le consente di offrire servizi anche a buona parte del Lazio, della Puglia dell’Abruzzo e del Molise e della Calabria. Questo per due motivazioni: una da ascriversi alla privilegiata posizione geografica; la seconda è legata invece ad una elevata dotazione di infrastrutture di trasporto in rapporto alla superficie territoriale. Alcune scelte operate dalla programmazione infrastrutturale nazionale ed europea in questi ultimi anni (Legge 443/01-Obiettivo e Piano europeo Van Miert) appaiono coerenti con le esigenze di accessibilità territoriale della Campania rispetto alle principali polarità economiche del continente europeo, creando le premesse per la crescita e/o il decollo di infrastrutture e servizi di tipo logistico. è importante sottoli-neare che, nell’ottobre 2003, la Commissione Europea ha selezionato i nuovi progetti prioritari per la rete transeuropea di trasporto (TEN-T): fra di essi, quelli che interessano la Campania sono il completamento dell’asse ferroviario Berlino – Verona/Milano – Bologna – Napoli – Messina ed il sostegno alle Autostrade del Mare.

Sarà dunque possibile raggiungere più rapidamente i maggiori nodi logistici italiani ed europei, consentendo altresì una maggiore efficienza ed efficacia delle infrastruttu-re regionali già esistenti o in via di completamento e degli operatori in esse insediati. D’altra parte, la rinnovata centralità del Mediterraneo, l’aumento dei flussi di prodotti tra l’Asia e l’Europa, e la nascita di una Zona di Libero Scambio Euro-Mediterranea, prevista entro il 2010, pongono la Campania ed il suo sistema logistico in una posizione strategicamente baricentrica per quanto riguarda i flussi del commercio internaziona-le, tanto da attribuirle il ruolo di “ponte mediterraneo” tra l’Asia, l’Africa e l’Europa centro-settentrionale.

Negli ultimi anni il traffico di tutti i nodi logistici regionali è cresciuto a tassi rile-vanti, a ciò va aggiunta l’“esplosione” delle Autostrade del Mare che vedono nella Campania la regione italiana a maggior dinamismo imprenditoriale e crescita dei flussi. In particolare, secondo i dati di Confitarma e dell’Ufficio Nazionale di Promozione del Trasporto Marittimo a Corto Raggio, il numero di collegamenti Ro-Ro nazionali (A/R) che toccano la Campania è pari al 54,4% dell’offerta complessiva sul territorio italiano e pari a circa il 60% dell’offerta complessiva sul versante tirrenico; a livello internazio-nale, invece, il numero di linee Ro-Ro inframediterranee che originano dalla Campania è pari a circa il 20% dell’offerta complessiva della portualità italiana.

Le principali statistiche riferite ai porti di Napoli e Salerno ed in particolar modo quelle dei container movimentati sono riportate nelle seguenti tabelle 1 e 2.

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tabella 1 Movimento contenitori e totale merci varie del porto di Napoli

AnnoTEUS Tonnellate di merci varie**

sbarchi imbarchi totale var.% sbarchi imbarchi totale var %1998 320.000 1999 334˙000 4,38% 2.523.981 2.851.203 5.375.184 2000 396˙562 18,73% 2.381.283 3.011.108 5.392.391 0,32%2001 220˙759 209˙338 430˙097 8,46% 2.782.753 3.622.377 6.405.130 18,78%2002 229˙524 216˙639 446˙163 3,74% 3.714.460 4.154.952 7.869.412 22,86%2003 222˙133 211˙170 433˙303 -2,88% 4.557.285 4.633.204 9.190.489 16,79%2004 169˙767 177˙770 347˙537 -19,79% 4.803.989 5.348.251 10.152.240 10,46%2005 189˙719 183˙987 373˙706 7,53% 5.299.490 5.914.921 11.214.411 10,46%2006 224˙627 220˙355 444˙982 19,07% 5.168.151 5.772.409 10.940.560 -2,44%2007 231˙184 229˙628 460˙812 3,56% 2.439.602* 2.576.037* 5.015.639*

Fonte: Autorità Portuale di Napoli* primi 6 mesi** container, ro-ro e altro (general cargo)

tabella 2 Movimento contenitori e totale merci varie del porto di Salerno

Anno

TEUS Tonnellate di merci varie **

sbarchi imbarchi Totale var % sbarchi imbarchi totale var %

2001 165˙948 155˙356 321˙304 1.995.474 2.327.552 4.323.026

2002 187˙477 187˙391 374˙868 16,67% 2.175.727 2.667.652 4.843.379 12,04%

2003 208˙524 208˙953 417˙477 11,37% 3.715.708 4.017.187 7.732.895 59,66%

2004 207˙035 204˙580 411˙615 -1,40% 4.337.826 4.539.238 8.877.064 14,80%

2005 214˙459 203˙746 418˙205 1,60% 4.032.996 4.028.588 8.061.584 -9,19%

2006 175˙533 184˙174 359˙707 -13,69% 4.222.747 4.261.753 8.484.500 5,25%Fonte: Autorità Portuale di Salerno** container, ro-ro e altro (general cargo)

Il porto di Salerno, nel 2004, ha effettuato il sorpasso di quello di Napoli rispetto alla movimentazione di container, ma nel 2006 il primato è tornato al porto napoletano che è riuscito a recuperare il gap creatosi in precedenza. Lo scalo partenopeo negli ultimi anni ha recuperato traffici general cargo con soddisfacenti tassi di crescita del comparto unitizzato.

Nel Mediterraneo sono stati previsti nel periodo 2005/2015 incrementi di traffico molto significativi per le tre aree di ripartizione geografica: occidentale, Centrale ed orientale/Mar Nero (tabella 3). Il sistema portuale campano si trova al centro dell’area centrale di maggiori rilievo sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta trovandosi, per le regioni italiane meridionali, all’incrocio strategico con il corridoio transeuropeo I Berlino-Palermo nord-sud, con l’Autostrada del Mar Mediterraneo occidentale, che col-lega Spagna, Francia, Italia e Malta e con l’Autostrada del Mar Mediterraneo orientale, che copre l’area adriatica e ionica, quindi, con alterative multimodali ed intermodali di collegamento con il cuore dell’Europa.

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tabella 3 Previsioni traffico merci containerizzato nel Mediterraneo

Mln/TEU 2005 2010 2015Mediterraneo Occidentale Capacità 12,67 23,74 30,78 Domanda 10,51 16,81 24,03 Utilizzazione 83,0% 70,8% 78,1%Mediterraneo Centrale Capacità 15,53 24,42 29,37 Domanda 12,06 18,18 26,32 Utilizzazione 77,7% 74,4% 89,6%Mediaterraneo Orietale e Mar Nero Capacità 13,37 25,5 29,21 Domanda 12,3 21,22 32,83 Utilizzazione 92,0% 83,2% 112,4%Fonte: Espo, 2006 su dati ocean Shipping Consultant

Al 2015 nel Mediterraneo centrale è previsto un traffico di oltre il doppio di quello al 2005; i poli logistici campani hanno dunque notevoli possibilità di potenziare i sistemi di intermodalità ed ampliare le aree destinate alla logistica per “catturare” quote crescenti di tale traffico in espansione.

Gli interporti campani costituiscono nodi logistici strategici dei flussi di merci tra l’Italia del sud e l’Italia del nord e tra il Mediterraneo e l’Europa centro-settentrionale, grazie alla loro collocazione geografica ed alla loro funzione nell’ambito dei trasporti nazionali ed internazionali.

Se gli interporti campani, in sinergia con i porti, saranno in grado di organizzarsi in modo da intercettare i flussi di merci provenienti dall’Estremo-Medio oriente e che si stanno orientando nel bacino del Mediterraneo in buona parte nei porti di Gioia Tauro, Taranto, Salerno e Napoli, potranno costituire un efficiente sistema retroportuale “di lancio” e di smistamento di buona parte del traffico internazionale destinato all’Italia centro-settentrionale ed all’Europa centro-meridionale. Il dato particolarmente basso del traffico internazionale in UTI (unità di trasporto intermodale) è da ascriversi al fatto che le relazioni dirette tra la Campania e località estere sono quasi del tutto assenti mentre si effettuano relazioni ferroviarie che prevedono il successivo “rilancio” tra terminali del nord (Segrate, Melzo, Verona, etc.) e destinazioni estere, principalmente del centro e nord Europa. La tabella 4 riporta il totale traffico ferroviario della Campania, nazionale ed internazionale al 2006.

tabella 4 Traffici ferroviari merci totali della regione Campania al 2006

Traffici ferroviari totali * Numero di carri Tonnellate Tonnellate-Km Numero di UTISpedizioni su ferro nazionali 34.006,0 850.333,0 465.353.226,6 34.182,0

Spedizioni su ferro internazionali 3.425,0 63.728,0 60.744.939,1 0,0

Arrivi su ferro nazionali 48.062,0 1.324.585,6 751.383.670,2 34.146,0

Arrivi su ferro internazionali 7.215,0 297.828,8 282.947.610,1 46,0

TOTALE 92.708,0 2.536.475,4 1.560.429.446,1 68.374,0* (traffico tradizionale, casse mobili e container) Fonte: Trenitalia

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Nel 2007, per quel che riguarda il traffico su gomma, l’Interporto di Nola ha registra-to il transito di oltre 400 mila veicoli commerciali con una movimentazione di quasi 5 milioni di tonnellate pari ad un incremento del 16,7 per cento rispetto al 2006. Sempre nell’anno scorso è salito a 1.239 il numero di treni movimentati dal terminal intermodale di Nola (media di oltre 100 treni/mese), con un incremento del 60 % rispetto all’anno precedente. L’Interporto di Nola grazie alla presenza della stazione Rfi-Nola-Interporto, è collegato tramite ferrovia con i principali porti del Centro Sud Italia, quali Taranto, Napoli, Salerno e Gioia Tauro, con il Nord Italia (Milano Segrate) e con le principali destinazioni del Nord Europa (Monaco, Amburgo, oslo). La crescita dei traffici marit-timi ha fatto emergere fenomeni significativi di congestione nei porti campani e quindi difficoltà di gestire la movimentazione rapida di ingenti volumi di flussi di container. La crescita di Nola è pertanto da imputare principalmente in funzione di retroporto del terminal container di Salerno (gestito dal Gallozzi Group) con il quale è stata costituita una joint venture per la gestione del terminal intermodale, accrescendo le potenzialità di sviluppo in chiave sinergica di logistica del trasporto intermodale mare-ferro-gomma, a vantaggio dell’intero sistema economico regionale.

Di interesse specifico per la logistica in Campania è stato anche l’accordo per gestio-ne del “polo del freddo” dell’interporto di Nola. L’accordo di collaborazione prevede che al Clerici Logistics Group, a cui fanno capo i terminal frutta di Genova e Salerno, vada la gestione del “polo del freddo” dell’interporto di Nola che per le dimensioni e per le potenzialità di stoccaggio di merce refrigerata e surgelata si configura come il più importante centro specializzato in Italia ed uno dei più rilevanti a livello europeo.

Nel complesso il traffico merci multimodale con origine/destinazione della regione Campania nel periodo 1995-2005, considerando per il traffico marittimo la sola navi-gazione di cabotaggio ad esclusione quindi della navigazione internazionale, ha visto però sostanzialmente non cambiare di molto la ripartizione modale tra le varie modalità di trasporto, come risulta dal grafico 1 nella quale sono riportate le quote percentuali di ripartizione modale.

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GraFiCo 1 Ripartizione modale % traffico merci regione Campania 1995-2005

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Strada

Ferro

Cabotaggio

Fonte: ISTAT

Le imprese di T&L (merci) in Campania al 2001 (ultimo dato disponibile censuario Istat), risultano essere pari a 6.947, mentre il totale degli addetti del settore è pari 38.313. Si evince una chiara prevalenza delle imprese di autotrasporto (86,56%) ed in forma più contenuta di imprese di spedizionieri, corrieri e società di intermediazione (7,69%), mentre le imprese di magazzinaggio e movimentazione merci rappresentano il 4,58% (tabella 5). La distribuzione percentuale delle imprese campane rispecchia fedelmente la ripartizione nazionale, con punte (+ 2%) nel ramo delle spedizioni e delle società di intermediazione.

tabella 5 Imprese e addetti settore T&L per Codice ATECO – Campania – 2001

Codice Divisione economica Imprese Addetti60-25 Trasporto merci su strada 6.013 21.42963-11 Movimentazione merci 188 3.76463-12 Magazzinaggio 130 1.04163-40-1 Spedizioni 382 1.38664-12 Corrieri 152 55160-10 Trasporto ferroviario 7 4.50761-10 Trasporto marittimo 69 4.68662 Trasporto aereo 6 949Totale 6.947 38.313Fonte : Istat

I dati al 2005 elaborati da Infocamere riguardanti le imprese attive per macrocatego-

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ria Ateco di attività della divisione economica Logistica e Trasporti (tabella 6) eviden-ziano che nel complesso il settore di interesse comprende 16.167 operanti in Campania, con netta prevalenza di imprese localizzate nella provincia di Napoli, seguita da Salerno e Caserta. è opportuno però sottolineare che i dati elaborati da Infocamere riguardano l’intera divisione economica, comprendendo anche le imprese dedite al trasporto pas-seggeri ed alle telecomunicazioni e che quindi non si occupano di logistica merci. In termini strettamente numerici il settore dell’autotrasporto è nettamente prevalente, come ben noto visto la ridotta dimensione media delle imprese del settore, mentre è molto significativa la presenza di imprese operanti nel campo dei trasporti marittimi ed ausi-liari ad essi (agenzie marittime, broker, spedizionieri, etc.).

tabella 6 Imprese attive nelle Province per Codice Ateco Logistica e Trasporti – Campania – 2005

Divisione economica ProvinciaAvellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale

60 − Trasporti terrestri; trasporti mediante condotte 741 564 1˙409 6˙274 2˙825 11˙81361 − Trasporti marittimi e per vie d’acqua 1 0 5 224 20 25062 − Trasporti aerei 0 0 1 13 0 1463 − Attività di supporto ed ausiliarie dei trasporti; attiv.

agenzie di viaggio 110 71 231 2˙365 615 3˙392

64 − Poste e telecomunicazioni 21 10 107 454 106 698Totale 873 645 1˙753 9˙330 3˙566 16˙167Fonte: Infocamere

3. Reti infrastrutturali regionali e innovazione logistica La regione Campania presenta una dotazione infrastrutturale per il trasporto merci

alquanto significativa in termini quantitativi ma molto meno in termini qualitativi, specie sotto l’aspetto della integrazione e della interconnessione economico-gestionale delle reti plurimodali.

Il sistema produttivo regionale pertanto, negli anni, ha dovuto fronteggiare le esi-genze di trasporto adattando la propria organizzazione logistica alle possibilità offerte dal sistema infrastrutturale. Il risultato è stato, come in realtà per l’intero Mezzogiorno e per il resto d’Italia, l’uso pressoché totale della modalità stradale per i traffici interni, salvo poche eccezioni rappresentate principalmente dai traffici di materie prime e semi-lavorati grezzi delle poche grandi imprese presenti, che utilizzano la modalità marittima e (sempre meno) la modalità ferroviaria.

Lo sviluppo dei traffici general cargo a livello internazionale, costituiti da semila-vorati, beni intermedi e prodotti finiti, principalmente in ingresso nella regione, a dimo-strazione dell’incremento di import regionale di tali beni, ha comunque innescato un processo di rivitalizzazione delle opportunità di trasporto e di logistica improntate alla integrazione organizzativa delle reti fisiche e di quelle “immateriali” tra operatori con possibile maggior ricorso alla intermodalità ed al trasporto combinato.

Le innovazioni introdotte dalla moderna distribuzione, inoltre, hanno evidenziato come la dotazione di infrastrutture di trasporto va necessariamente accompagnata da

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adeguate ed efficienti strutture per la logistica non solo tradizionalmente intesa come magazzinaggio e centri di smistamento, ma sempre più con riferimento a servizi ausilia-ri, connessi e accessori alle produzioni nonché servizi avanzati ad alto contenuto tecno-logico principalmente utilizzando strumenti hardware e software dell’ ICT (Infomation and Communication Technology).

In tal senso va osservato che i distretti produttivi della Campania sono quasi del tutto privi di strutture di supporto alla produzione ed alla distribuzione sotto l’aspetto logistico anche per la ridotta dimensione media delle imprese e della minore complessità organizzativa delle stesse che non consentono, unitamente agli aspetti legati alla pro-pensione ed alla capacità di investimento, di disporre ed utilizzare strutture con funzioni logistiche avanzate di supporto al trasporto ed alla movimentazione in approvvigiona-mento ed in distribuzione delle merci. Anche dal punto di vista della terziarizzazione di tali funzioni la situazione appare ancora ad un stadio di sostanziale arretratezza rispetto alle più moderne organizzazioni strategiche della supply-chain. Infatti, pochissime sono le strutture di una certa rilevanza e quelle esistenti sono private ad uso esclusivo prin-cipalmente di grandi imprese, le restanti strutture non sono organizzate su modelli del tipo di “piattaforma multiservizi e multiclienti” ma piuttosto in realtà particolarmente frammentate dal lato della produzione in piccole unità disperse sul territorio, in alcuni casi con notevoli limitazioni all’accessibilità multimodale non adeguate per supportare le produzioni locali ed il loro rapido ed efficiente deflusso verso le destinazioni nazio-nali ed internazionali.

La Campania presenta una buona dotazione infrastrutturale con riferimento alle reti terrestri stradale e ferroviaria ed alla portualità commerciale, ma può dirsi sicuramente quasi del tutto assente un sistema logistico integrato per le piccole e medie imprese se non quello fondato sui rapporti con la Grande Distribuzione organizzata, in particolare per le filiere dell’agroalimentare.

A tal proposito è eloquente il dato rilevato dalla Svimez nel rapporto 2007 con riferimento al confronto regionale italiano dell’offerta di strutture per l’intermodalità strada-ferro riportato in tabella 7.

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tabella 7Dotazione di infrastrutture intermodali rispetto alla popolazione

(numeri indici: Italia = 100,0)Regioni Centri intermodali Capacità di movimentazione Disponibilità di

N. Superficie binariAbruzzo 47,5 3,1 1,2 11,6Molise 0,0 0,0 0,0 0,0Campania 21,0 3,5 0,4 18,0Puglia 29,7 15,2 1,2 21,8Basilicata 0,0 0,0 0,0 0,0Calabria 29,5 7,5 0,6 7,2Sicilia 60,0 17,0 0,6 50,0Sardegna 73,1 8,4 0,9 89,5Mezzogiorno 37,8 9,7 1,0 29,9- Sud 25,7 7,2 1,1 15,8- Isole 63,2 14,9 0,7 59,7Centro-Nord 135,3 151,2 156,1 139,7- Nord-ovest 156,8 193,0 359,2 173,3- Nord-Est 125,1 187,1 19,3 146,2- Centro 115,6 59,3 10,5 87,6Italia 100,0 100,0 100,0 100,0(a) Calcolato sulle superfici, capacità di movimentazione e disponibilità di binari.Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati Istat

Quest’ultima categoria infrastrutturale è maggiormente carente nel Sud in comples-

so ed in Campania in particolare. Nel complesso la presenza di infrastrutture intermo-dali nelle regioni meridionali non supera il 40% del valore medio nazionale. I centri intermodali del Mezzogiorno sono poco diffusi e di ridotte dimensioni; infatti, l’indice complessivo dell’area si riduce drasticamente ad un 9,7 (meno di un decimo della media nazionale). La “capacità di movimentazione” dei mezzi utilizzati nel trasporto di merci (container, semirimorchi e casse mobili) nel Mezzogiorno è quasi assente con un indice pari a 1 (un centesimo della media nazionale). La disponibilità di binari è comunque molto bassa (29,9%). Anche la Campania presenta indici molto inferiori alle medie nazionali e già il divario è molto netto con le regioni del centro, a conferma che l’accessibilità ai sistemi di trasporto intermodali strada-ferro e mare-ferro è molto limitata e non presenta capacità di movimentazione e trasporto adeguate al ruolo che la regione potrebbe svolgere sfruttando al meglio i terminali delle reti marittime inter-continentali. Infatti, l’area di influenza dei terminali marittimi è anche funzione delle opportunità e della capacità di accesso alle reti terrestri per l’inoltro verso aree geogra-fiche anche situate a medio-lunga distanza (livello di copertura geografica).

Un ruolo importante in tal senso potrà essere svolto dal sistema degli interporti regionali in fase di completamento; il solo pienamente operativo allo stato attuale è quello di Nola (Interporto Campano) mentre quello di Marcianise-Maddaloni (Inter-porto Sud-Europa) è in fase di completamento mentre il terzo interporto regionale previsto a Battipaglia è in fase iniziale dei lavori di costruzione. Allo stato attuale, per vari motivi tra cui la specializzazione più trasportistica interna al territorio regionale e meno logistica in connessione con le grandi direttrici di traffico internazionale, pre-valentemente marittimo unitizzato, a favore dell’inserimento dei sistemi produttivi e distributivi locali nel network mondiale di interscambio commerciale, le suddette infra-strutture interportuali non sembrano ancora far intravedere nel breve periodo, anche

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per la loro parziale realizzazione, il loro definitivo decollo a beneficio del sistema produttivo regionale.

Il vero punto di forza del Mezzogiorno dal punto di vista infrastrutturale è costituito dal sistema portuale che presenta indici di dotazione, rispetto alla popolazione, in alcuni casi superiori alla media nazionale. La Campania presenta però strutture di supporto (piazzali e magazzini) largamente sottodimensionate (tabella 8).

tabella 8 Dotazione di infrastrutture portuali rispetto alla popolazione

(numeri indici: Italia = 100,0)Regioni Porti Accosti Piazzali MagazziniN. Superficie

Abruzzo 95,8 94,3 98,1 23,1 15,0Molise 95,7 58,0 90,8 42,1 0,0Campania 106,9 70,5 72,9 38,2 38,5Puglia 175,3 146,6 164,8 250,9 25,7Basilicata 51,6 7,8 2,9 0,0 0,0Calabria 199,0 153,1 159,8 220,4 5,0Sicilia 283,1 247,1 179,2 105,3 22,1Sardegna 374,8 354,9 179,2 205,3 62,7Mezzogiorno 190,7 158,2 15, 0 125,1 27,5- Sud 136,2 103,5 111,6 122,7 25,3- Isole 305,8 273,7 234,1 130,0 32,1Centro-Nord 49,6 67,7 71,7 86,1 140,2- Nord-ovest 16,2 41,1 38,6 57,5 54,4- Nord-Est 42,4 86,6 105,8 179,6 344,6- Centro 102,4 85,5 83,6 33,6 57,7Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0(a) Basato sulle superfici di accosti, piazzali e magazziniFonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati Istat

La portualità campana si basa in larga misura su di un’infrastrutturazione di antico impianto multifunzionale, fortemente orientata al traffico passeggeri, che non è ancora in grado di sfruttare pienamente le potenzialità del traffico merci della nuova economia globalizzata. Le infrastrutture portuali di maggiori dimensioni (Napoli e Salerno) sono orientate prevalentemente al transhipment, in connessione feeder con il porto di Gioia Tauro, cioè alla movimentazione di merci e container provenienti da grandi porti inter-nazionali e trasbordati su navi per il cabotaggio sia interno che Mediterraneo. In sostan-za, è una dotazione infrastrutturale prevalentemente dedicata alla distribuzione locale, meno alla movimentazione e ancor meno alla “manipolazione a valore” delle merci.

Inoltre, la Campania si caratterizza per un sistema dei trasporti che presenta ulteriori elementi di vera e propria inefficienza rappresentati da:

mancanza di collegamento all’interno delle singole reti e basso grado di integrazione - tra le diverse modalità, anche per la carenza di strutture logistiche;inefficienze nell’uso della offerta di trasporto, che vede la prevalenza del trasporto - stradale anche su relazioni per le quali sussistono le condizioni per la competitività di altre modalità di trasporto (ferro, mare) ed una sottoutilizzazione della capacità di offerta del trasporto stradale stesso (alte quote di viaggi a vuoto);bassi livelli di affidabilità del sistema, riconducibili sia a cause strutturali (mancanza -

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di “ridondanza” nei sistemi, cioè mancanza di alternative modali o di percorso), sia a problemi di conflittualità nelle relazioni industriali.Il sistema infrastrutturale esistente in Campania, con particolare riferimento al tra-

sporto merci, non presenta una connotazione equilibrata: né per quanto concerne la sua estensione a rete - o di dislocazioni puntuali sul territorio in rapporto alle esigenze di accessibilità - né per quanto riguarda la possibilità di utilizzazione delle diverse modalità di trasporto in rapporto alle loro caratteristiche.

Tuttavia, la Campania - con l’Emilia Romagna, il Nord-ovest d’Italia e la Lombardia - risulta tra le regioni meglio dotate in riferimento alla superficie, anche se “penalizzata” dalla alta densità di popolazione (419,6 ab per Km2).

Il resto del Mezzogiorno dispone invece di una rete stradale piuttosto “debole”. Sia le infrastrutture a lineari che quelle puntuali si presentano con una maggiore concentra-zione nella parte centrosettentrionale e costiera della Campania, dove sono localizzati i capoluoghi di provincia, in particolare nella zona costiera.

4. Le opportunità derivanti dallo sviluppo di “piattaforme multiservizi e multiclienti”

Un moderno sistema dei trasporti dovrebbe puntare non solo al potenziamento della propria dotazione di porti, strade, ferrovie, etc. ma anche al rafforzamento del legame tra quest’ultimi ed attività di servizio in particolare per i siti logistici a servizio del trasporto merci che, in presenza di bacini di produzione e di domanda sufficientemente consisten-ti, dovrebbero evolvere da centri di transito e di interscambio a vere e proprie piattafor-me logistiche con vocazione internazionale. In tal senso diventa sempre più un fattore di competitività le piattaforme multiservizi e multiclienti, che a seconda delle rispettive localizzazioni, delle attrezzature e dei servizi che offrono, assumono nomi diversi.

Tra le infrastrutture esistenti si è deciso di focalizzare l’attenzione su quella che può essere definita la struttura logistica intermodale e integrata per eccellenza: l’interporto, il centro nodale più complesso e più articolato che, allo stato attuale delle tecnologie e delle risorse disponibili, possa essere concepito per la gestione delle attività di movi-mentazione, transito e stoccaggio delle merci lungo un percorso terrestre di medio-lunga distanza.

obiettivo di questo paragrafo è proprio quello di valutare il ruolo delle piattaforme logistiche interportuali nel contesto economico nazionale ed analizzare le opportunità derivanti dallo sviluppo di tali strutture per lo sviluppo dell’economia e della competiti-vità del territorio meridionale, con particolare riferimento a quello campano.

Nel vasto sistema dei trasporti e dei servizi logistici gli interporti hanno un notevole impatto economico ed occupazionale. Si stima che il valore aggiunto generato dalla rete interportuale oggi operante sul territorio ammonti a 1,6 miliardi di euro, pari all’11% di quello afferente al complesso delle attività ausiliarie ai trasporti ed al 2,3% del totale generato in Italia dal comparto dei trasporti e delle attività di logistica. Dal punto di vista

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della struttura occupazionale sono 48.295 le unità di lavoro occupate in modo diretto e indiretto nelle attività di logistica interportuale. L’occupazione diretta ammonta a ben 27.000, di cui 510 impiegati nelle società di gestione degli interporti. La produttività degli addetti nella logistica interportuale raggiunge un valore medio di circa 170.000 euro di produzione per addetto e circa 60.000 euro di valore aggiunto per addetto.

L’importanza degli interporti è confermata anche dalla rilevanza, nell’ambito della politica dei trasporti, nazionale ed europea, attribuita alle azioni di modernizzazione dell’offerta di infrastrutture e servizi di trasporto con specifica attenzione all’intermodalità.

Il Mezzogiorno, in particolare, può trarre enormi vantaggi dalla presenza di una o più strutture intermodali che consentano di sfruttare la localizzazione strategica di alcu-ni terminali marittimi, in primo luogo Napoli e Gioia Tauro, per intercettare parte dei flussi di merci in transito nel bacino del Mediterraneo e convogliarli verso Nord. I limiti relativi alla possibilità di istradare i container via terra, su ferrovia o strada, o ancor di più di lavorare la merce prima del suo trasferimento verso i mercati finali di consumo rischiano di escludere i porti del Mezzogiorno dalle opportunità di sviluppo derivanti dalla crescita dei traffici marittimi.

L’incremento dei traffici e degli scambi su scala mondiale, il ruolo assunto dalla logistica e dalla distribuzione nella competizione tra sistemi produttivi territoriali stanno determinando sempre più una profonda riconfigurazione degli assetti organizzativi dei porti che, da semplici nodi di trasporto tendono a trasformarsi in luogo di creazione di valore all’interno di un assetto logistico più vasto dal punto di vista spaziale, sempre più dipendente dai servizi resi dai terminali interni per conservare alti livelli di attrattività di traffici marittimi. Si avverte sempre più la necessità di dotare i porti di aree polmone, collegate razionalmente e preferibilmente da servizi ferroviari shuttle a basso costo e alta produttività, in grado di svolgere funzioni di stoccaggio lontane dal bordo banchina, dai centri urbani e in luoghi a minor costo e impatto ambientale.

Molti porti hanno risposto a tali esigenze con la realizzazione di logistics park o distripark all’interno o prossimità dell’area portuale, spesso associati allo stato giuridi-co di zona franca (free trade zone). Esperienze compiute in tema di distripark possono ravvisarsi in città portuali mediterranee come Barcellona, Marsiglia-Fos e Trieste, men-tre in altre esperienze italiane (Genova, Taranto, Gioia Tauro) non appare evidente il legame tra distripark e Zona Franca. Anche localizzazioni più interne rispetto alla cinta portuale, ma con chiaro orientamento alle attività port-releted, possono rappresentare un valido sistema a rete per il trattamento e la lavorazione a valore di merci unitizzate.

Nonostante tale sviluppo però, dei 2350 miliardi di euro destinati destinati alle infrastrutture intermodali negli ultimi 20 anni soltanto il 6% è stato speso per attrezzare i porti con piastre intermodali2.

Porti, infrastrutture ed interland servito costituiscono un chiaro esempio di sistema logistico, tanto più vasto quanto più ampio sarà l’interland territoriale preso a riferimen-to e tanto più complesso quanti più elementi si inseriscano in esso (es. piattaforme inter-

2 Il restante 94% è stato destinato alla realizzazione della componente idraulica del porto.

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modali e distributive, distripark, etc.). In un’ottica di sistema logistico nazionale esiste una relazione di complementarietà fra le strutture interportuali e i terminali marittimi per cui gli interporti, non sottraggono quote di mercato ai porti poiché compiono modalità di trasbordo che riguardano unicamente i vettori terrestri, mentre i secondi coinvolgono, necessariamente, mezzi di navigazione.

In sostanza è possibile affermare che lo sviluppo degli interporti nell’ambito di una rete logistica omogenea ed intrinsecamente interconnessa rappresenta un elemento decisivo per il futuro del sistema trasportistico del nostro Paese che, pur costituendo un grande mercato di riferimento e trovandosi al centro di un’area caratterizzata da rilevanti flussi di merce non ha finora sviluppato appieno le proprie potenzialità naturali.

Più specificatamente l’interporto è definito testualmente dalla legge 240/90 - “Inter-vento dello Stato per la realizzazione di interporti finalizzati al trasporto merci e in favore dell’intermodalità” - come “un complesso organico di strutture e servizi integrati finalizzati allo scambio di merci tra diverse modalità di trasporto, comunque compren-dente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi ed in collegamen-to con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione”.

Si può pertanto affermare che gli interporti consentono di soddisfare contemporane-amente due esigenze divenute prioritarie nel trasporto merci:

sviluppo dell’intermodalità come risposta alle esigenze di efficienza, sicurezza ed • ecocompatibilità ambientale;assicurare servizi primari e di supporto organizzativo ai vari operatori del settore.• L’interporto per sua definizione si inserisce, pertanto, in un contesto più ampio di

intermodalità fornendo un apporto fondamentale al trasferimento del traffico merci di lunga percorrenza dalla strada alla ferrovia, secondo gli obiettivi dell’Unione Europea in tema di contenimento del trasporto stradale mediante lo sviluppo di quello intermodale. Il suo ruolo di terminale, ossia di centro di cambio di modalità di trasporto, consente, infatti, di concentrare i flussi di merci per poi ottimizzare i percorsi e le consegne mediante l’uso specializzato di differenti mezzi, in modo da migliorarne le rispettive prestazioni, ridurne l’incidenza economica complessiva, i tempi di carico/scarico e i rischi connessi al passaggio da una modalità all’altra, ottenendo la più efficace prestazione complessiva dal punto di origine della merce alla sua destinazione finale.

All’interno delle infrastrutture interportuali la merce non viene, però, solo movimen-tata: le attività logistiche si integrano con quelle di produzione e commercializzazione mediante un’offerta di servizi ampia ed articolata, suddivisibili, come riportato dal gra-fico sottostante in servizi di distribuzione e logistica, di supporto e di Total Logistics, che trasformano gli interporti da semplici oggetti immobiliari per lo stoccaggio delle merci a delle vere e proprie piastre logistiche, in grado di conferire ai prodotti nuovo valore aggiunto.

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FiGura 2Servizi aggiuntivi forniti dall’area interportuale

INTERPORTO

Servizi di Total

Logistics

(controllo scorte,

imballaggio,

confezionamento,

etichettatura, servizi

doganali, custodia

temporanea e porto

franco)

Servizi di supporto

(ai mezzi, alle

persone, alle

imprese)

Servizi di distribuzione e

logistica (formazione e

ricezione treni completi,

pallet aerei e container via

gomma)

Fonte: SRM

La gestione strutturata di un sistema integrato di servizi aggiuntivi, rivolti sia alle merci, che alle imprese e alle persone, costituisce il reale plus valore che spinge gli ope-ratori logistici a installarsi all’interno di un’area interportuale, trovando in essa i servizi necessari per gestire in un’ottica di supply chain le relazioni logistiche.

Le strutture logistiche messe a disposizione dall’interporto favoriscono così l’insediarsi di diverse attività produttive e/o imprenditoriali con la costituzione di vere e proprie forme distrettuali, ossia di poli integrati per attività terziarie specialistiche, in cui grazie alla condivisione di servizi e strutture si creano le condizioni necessarie per il raggiungimento di economie di scala e di scopo, oltre che di riduzione dei rischi legati agli investimenti.

Più specificatamente un distretto logistico rappresenta una concentrazione di imprese ed infrastrutture per la fornitura di servizi logistici integrati e multimodali orientati a diverse filiere e/o settori. La presenza di elevate economie di scala e di scopo richiede che nel distretto si concentrino flussi di diversa origine, in modo da organizzare attività ed itinerari con elevata frequenza e a basso costo. Proprio per questo un distretto logi-stico non potrà che essere realizzato in stretto collegamento con efficienti ed accessibili infrastrutture primarie e maggiori con cui condividere attività sistemiche di gestione dell’intermodalità e della logistica integrata.

La rilocalizzazione all’interno dell’area interportuale dei soggetti logistici, normal-mente dispersi sul territorio genera inoltre effetti positivi sui costi sociali, grazie alla decongestione della circolazione urbana e alla riduzione dell’inquinamento (atmosferico ed acustico).

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Gli hub interportuali si configurano, quindi, come una struttura logistica che consen-te economie di scala nella realizzazione ed utilizzo degli impianti, magazzini e servizi comuni, la concentrazione dei diversi modi di trasporto ma anche l’aggregazione in aree territorialmente ottimali e strategiche di imprese logistiche.

A livello più generale, le strutture interportuali hanno un ruolo primario nell’accre-scere l’efficienza e l’efficacia della rete logistica nazionale.

Esiste, infatti, una forte correlazione tra efficienza logistica del sistema-Paese e grado di competitività espressa: una società in avanzato sviluppo per incentivare le proprie attività economiche e produttive, deve poter garantire una logistica delle merci che sia sempre più economica, veloce ed affidabile. Tali obiettivi possono essere rag-giunti solo intervenendo sulle strutture specializzate per le merci e sulle infrastrutture di trasporto.

La possibilità di creare un sistema di incentivi mirati e finalizzati alla nuova loca-lizzazione delle attività logistiche è riscontrabile in diversi strumenti legislativi e di programmazione di fonte sia regionale che nazionale e comunitaria. Indipendentemente dalla fonte da cui provengono, gli strumenti di pianificazione economica del territorio dovrebbero basarsi su presupposti aventi come obiettivo la possibilità di interazione in rete tra le diverse strutture plurilocalizzate nella stessa area per sfruttare al meglio le risorse di ciascuna e facilitarne lo sviluppo secondo le particolari vocazioni e/o specia-lizzazioni economiche e territoriali, anche attraverso la costituzione di forme associative e cooperative (porti, interporti, aeroporti, distripark, etc.).

I numerosi progetti realizzati e gli interporti in via di allestimento dimostrano questa tendenza della logistica italiana verso la concentrazione delle strutture che consente di soddisfare meglio una domanda di servizi logistici frammentata ed esigente come quella delle piccole e medie imprese italiane. Molte aziende hanno affidato, mediante un pro-cesso di outsourcing, a terzi la gestione integrata delle attività di magazzinaggio e tra-sporto (che incidono dal 9 al 13% sul costo finale dei prodotti delle aziende industriali),3 sia con contratti di servizio che con veri e propri spin off di segmenti di attività azienda-le. Benché, l’Italia sia oggi il quarto più grande mercato logistico europeo, il ricorso alla terziarizzazione è relativamente poco diffuso rispetto al resto d’Europa.

Ciò comporta la mancata concentrazione della logistica a discapito del territorio e delle infrastrutture come gli interporti, che non riescono a concentrare i flussi su pochi nodi senza considerare inoltre che l’aumento dell’outsourcing logistico consente di otti-mizzare le performance e i costi aziendali.

Affinché l’interporto non si trasformi in una mera iniziativa di tipo puramente immo-biliare, le decisioni relative sia alla tipologia dei traffici da favorire che alla scelta dei servizi di stoccaggio più idonei alle merceologie da gestire, e al grado di integrazione e di completezza dei servizi da rendere disponibili alle merci, alle imprese e alle persone dovrebbero essere il più possibile il risultato di scelte calibrate in funzione dei fabbiso-gni delle imprese a cui rispondere e delle finalità specifiche da soddisfare.

La figura che segue evidenzia i principali fattori di successo di questi importanti nodi

3 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Piano per la logistica, 2006.

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di trasporto, il cui ruolo all’interno del sistema trasportistico nazionale ed internazio-nale, oltre ad essere correlato ad un’offerta di servizi intermodali e logistici avanzati, è fortemente influenzato dalle scelte di localizzazione, che devono ricadere su aree che rappresentino un forte bacino di origine e di destinazione di traffico intermodale e tali da garantire il collegamento sistematico con altre piattaforme logistiche presenti sul territorio al fine di promuovere i rapporti di interscambio ed ottimizzare le prestazioni di servizio.

FiGura 3I fattori di successo delle strutture interportuali

Collegamento con le altre piattaforme logistiche

Interporto offerta integrata di servizi l i ti i

Ricorso a diverse modalità di t t

plogistici

Adi di d

di trasporto

Adiacenza di un grandebacino di utenza

Fonte: SRM

Gli interporti sono in genere realizzati su un’area di almeno 200.000 mq (una dimensione inferiore renderebbe non giustificabile l’incidenza di costi come illuminazione, manutenzione, vigilanza, etc.), al cui interno si possono distinguere tre aree principali:→ l’area destinata allo scalo ferroviario e, eventualmente, al terminale intermodale;→ l’area destinata ai magazzini;→ l’area per i servizi alle imprese, alle persone e alle merci.

In alcuni casi può essere presente anche un’area per la dogana.L’offerta di servizi è strettamente correlata alle strategie che i soggetti decisionali

intendono perseguire nell’ambito di una matrice di competitività che si muove lungo due direttrici rilevanti. La prima di carattere geografico definisce l’ampiezza del bacino geografico di riferimento entro cui la seconda compete, mentre la seconda riguarda le tipologie di traffico e merceologiche che sono oggetto dell’attività della struttura inter-portuale.

L’ampiezza dei servizi resi alle merci e alle imprese è, infatti, direttamente propor-zionale al:→ numero di tipologie di unità di carico (container, semirimorchi, casse, mobili, auto-

treni) che le infrastrutture sono in grado di movimentare;→ numero di tipologie di traffico (stradale, ferroviaria, fluviale, marittima, aerea) e

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al numero di modalità di trasporto e di interscambio che la struttura logistica può trattare;

→ numero di tipologie merceologiche (rinfuse secche, rinfuse liquide, merci pericolose, frutta-congelati, forestali, autoveicoli, general cargo) transitabili presso la piattafor-ma.

L’offerta dei servizi sarà, quindi, tanto più ampia ed articolata quanto minore è la focalizzazione su un numero limitato di tipologie di traffico servite o su determinate merceologie.

Nell’ambito dell’interporto è possibile distinguere due principali categorie di servizi:servizi di competenza della società di gestione•

erogati direttamente;- terziarizzati.-

servizi di competenza degli operatori insediati• - erogati direttamente;- terziarizzati.In genere, i servizi amministrativi sono svolti direttamente dalla società di gestione

mentre i servizi di gestione e manutenzione degli impianti comuni, pur rientrando tra i compiti della stessa, vengono delegati a terzi in virtù della molteplicità e specificità delle competenze richieste.

Servizi alle persone, alle merci e ai veicoli sono, invece, forniti dagli operatori inse-diati, utilizzando strutture sia di proprietà che locate o date in concessione.

Per quanto riguarda il profilo societario, la composizione azionaria riscontrata più frequentemente nelle società di gestione degli interporti è di tipo misto pubblico-privato con maggioranza pubblica, seppur non mancano eccezioni dove il capitale è completa-mente privato. Regioni, Province e Comuni rappresentano la componente pubblica più consistente; discreta anche la presenza del sistema camerale soprattutto nelle principali infrastrutture nodali.

Il crescente fabbisogno di infrastrutture nel nostro Paese non dovrebbe, però, essere soddisfatto soltanto mediante l’intervento del settore pubblico in quanto sia la carenza di risorse finanziarie che l’esigenza di innalzare il livello di efficienza anche dei servizi di pubblica utilità renderebbero necessario una maggiore compartecipazione finanzia-ria e gestionale del settore privato. In quest’ottica e coerentemente ad una adeguata programmazione territoriale pubblica, un approccio innovativo verso l’investimento di opere pubbliche, tra cui anche quelle di genere logistico o di trasporti, potrebbe essere rappresentato dal project financing. L’applicazione di tale metodo di finanziamento ad un’infrastruttura interportuale o, in alternativa ad una sua specifica area funzionale, come per esempio il terminal intermodale, comporta gli stessi rischi riscontrabili in altri settori infrastrutturali, sia in fase di avvio (rischi di ingegneria, ambientali e di ritardo) che di completamento (rischi di mercato, finanziari, operativi, legali, etc.).

L’interesse del privato nell’investimento in infrastrutture per la logistica integrata potrebbe essere maggiore proprio per il più alto il rapporto ritorno/rischio che tali opere possono garantire anche in periodi relativamente brevi.

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La diffusione di tale tecnica finanziaria nell’ambito dell’Amministrazione Pubblica è legata al superamento di ostacoli di carattere sia culturali che attitudinali e normativi, agendo contemporaneamente sul versante privato e pubblico.

Nonostante le strutture operative risultano già ben avviate e sostanzialmente solide da un punto di vista finanziario, gli interporti non costituiscono ancora una realtà con-solidata all’interno del panorama nazionale, movimentando un quantitativo di merci che è solo una minima percentuale del totale di tonnellate merci movimentate in Italia (a livello interprovinciale).

La prima criticità è il numero limitato di interporti in Italia (in particolare al centro sud, il che impedisce spedizioni intermodali tra il sud e il nord del Paese) e la loro non uniforme distribuzione.

In particolare il quadro degli impianti esistenti e/o in fase di realizzazione sul terri-torio italiano è costituito:

in parte da impianti localizzati in aree ad alta generazione di traffico, su cui si sono • attestate elevate quote del trasporto intermodale che ne hanno reso le capacità ina-deguate;in parte da impianti localizzati in aree più decentrate e la cui funzionalità e ruolo • sono molto spesso sovradimensionati rispetto alle reali necessità della domanda e scarsamente integrati per difficoltà di organizzare la catena degli operatori.

Per soddisfare le necessità dell’intero territorio nazionale, non è sufficiente, pertanto, aumentare semplicemente il numero degli interporti perché questi vanno approvati ed allocati solo là dove esistono le condizioni di mercato che giustificano un’offerta mas-siccia e variegata di servizi logistici concentrati in un medesimo luogo.

Al contrario la legge 240/90, finanziando esclusivamente infrastrutture interportuali, ha di fatto orientato la richiesta di contributi verso tali tipologie di interventi, determi-nando una proliferazione di iniziative in tal senso in esubero rispetto alle reali necessità di traffico intermodale.

occorrerebbe una strategia degli investimenti meglio programmata per ottimizzare la spesa pubblica. La costellazione di interporti rappresenta una perdita di efficienza, in quanto si tratta di infrastrutture economicamente sostenibili solo attraverso economie di scala e di rete, obiettivo questo raggiungibile soltanto concentrando i flussi su precisi e ben individuati nodi di traffico. L’efficienza generale della struttura non può, quindi, prescindere dalla localizzazione e dal numero di strutture analoghe presenti sul territorio in quanto essi richiedono un notevole investimento di risorse che può essere ammortiz-zato solo gestendo una cospicua fetta del mercato del trasporto merci.

Nell’ottica di una ormai prossima completa definizione del sistema interportuale nazionale, al fine di evitare la proliferazione di strutture esorbitanti, risulta opportuno prevedere la possibilità di individuare una rete di infrastrutture complementari e di sup-porto agli interporti che possa fornire un concreto contributo alla razionalizzazione del trasporto merci ed al riequilibrio modale.

Un secondo ostacolo al buon funzionamento della rete interportuale italiana è attri-buibile alla condizione delle ferrovie italiane.

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Diversi sono gli svantaggi del trasporto su rotaia che hanno determinato la posi-zione dominante del traffico merci su gomma: scarsa efficienza del mezzo ferroviario conveniente solo su distanze comprese tra i 150 e 500 Km; maggioranza delle tracce giornaliere occupate dal trasporto passeggeri, che consentono per le merci velocità com-merciali spesso inferiori ai 40 km/h; maggiore puntualità del trasporto su gomma che soddisfa la tecnica del just in time e dell’outsourcing: spesa media del treno merci di € 2,74 al Km, contro € 0,93 del TIR;4 maggiore sicurezza del trasporto stradale rispetto ai treni merci in depositi non controllati, contro i furti e le rapine. I vantaggi “di mercato” del trasporto su strada mettono in secondo piano i suoi maggiori costi sociali rispetto a quello intermodale su rotaia che, invece, sarebbe sempre più opportuno incentivare considerando la peculiare conformazione orografica del nostro Paese e l’opportunità di integrazione del trasporto mare-rotaia, dato il ruolo essenziale dei porti ubicati sulle coste tirreniche ed adriatiche.

Lo sviluppo dell’intermodalità è inoltre ostacolato dalla caratterizzazione del tessuto produttivo italiano, concentrato su produzioni ad alto valore aggiunto, con scarsa pro-pensione ferroviaria come il tessile-abbigliamento, il calzaturiero, l’agroalimentare, etc. Il nostro sistema economico è poi caratterizzato da imprese di piccola e media dimen-sione che generano solitamente flussi di merci di corto raggio, in cui l’unica modalità trasportistica utilizzabile è quella stradale.

A tali aspetti problematici si aggiungono le difficoltà e i costi delle operazioni di cari-co/scarico che rendono i treni merci competitivi, sia in termini di costi che di tempistica, solo sulle lunghe percorrenze.

Relativamente ai servizi offerti, inoltre, i distretti logistici basano spesso la propria attività sulla varietà del servizio piuttosto che sulla qualificazione dello stesso, che, invece, potrebbe essere innalzata attraverso un più stretto coordinamento delle attività dei diversi interporti nonché grazie ad un maggior ricorso alla telematica.

In conclusione lo sviluppo di queste importanti e necessarie strutture intermodali richiede una loro maggiore integrazione con la rete ferroviaria italiana, un migliora-mento delle procedure e dei servizi offerti ed un aumento più razionale del loro numero e delle relative relazioni per creare una matrice di offerta di trasporto intermodale che rispecchi meglio la complessità del territorio nazionale.

I potenziali utenti trovano, infatti, convenienza ad insediarsi all’interno di un’area interportuale non soltanto per i vantaggi ottenibili in termini di costo e di servizio, ma anche per la possibilità di usufruire di un moderno ed efficiente sistema di collegamenti con il mercato e con le altre strutture logistiche, tali da consentire quella necessaria con-tinuità dei flussi delle merci e delle informazioni che rappresenta la definizione stessa della logistica.

Alla luce delle criticità analizzate, affinché le infrastrutture analizzate possano offri-re un concreto contributo alla razionalizzazione del trasporto merci ed al riequilibrio modale, risulta opportuno completare il disegno di sviluppo dell’interportualità italiana,

4 Corte dei Conti, Interventi per il Trasporto Intermodale, 2003

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con particolare riferimento a quella campana, con alcuni interventi di carattere sia più propriamente strutturali che strategici e programmatici.

I primi sono volti al5: potenziamento degli impianti ferroviari;• potenziamento della capacità dei terminal ferroviari intermodali;• rafforzamento delle attrezzature e dei macchinari per la movimentazione delle • merci;sviluppo dell’offerta di servizi logistici di standard sempre più elevati;• diffusione delle tecnologie informatiche e telematiche.•

Tali interventi, dovrebbero, tuttavia, pena la loro efficacia utilizzazione essere inse-riti nell’ambito di un contesto più ampio, dove possano essere attuati processi organici di trasformazione finalizzati a: → la messa in rete dei nodi attraverso il potenziamento delle infrastrutture di connes-

sione porti, interporti ed aeroporti;→ riprogrammare gli interventi pubblici a sostegno del settore, ridisegnando d’intesa

con le regioni la rete complessiva degli interporti italiani evitando inutili duplica-zioni e sovrapposizione di strutture;

→ riprogrammare il sistema dei finanziamenti pubblici in un’ottica di incentivazione e sviluppo non di un singolo nodo della rete ma secondo una visione di sistema integrato e multimodale al fine di evitare soprattutto il pericolo della parcellizzazione degli incentivi pubblici a sostegno delle strutture intermodali;

→ l’attuazione, nell’ambito della politica di sviluppo del Mezzogiorno, della messa in rete delle infrastrutture interportuali anche in previsione della prossima istituzione della Zona di Libero Scambio Euromediterraneo;

→ incentivare un più stretto dialogo tra tutti i gestori delle reti e dei nodi della logistica in Italia per creare un sistema di complementarietà e di collaborazione nel quale insieme agli interporti figurino sullo stesso le ferrovie, i gestori delle reti autostrada-li, i gestori dei grandi porti commerciali, gli operatori dell’autotrasporto e quelli del trasporto marittimo, gli operatori privati della logistica di terra e di quella ausiliaria ai trasporti marittimi.

Interventi di questo tipo permetterebbero di migliorare la funzionalità e l’efficienza dei servizi anche in alcune aree retroportuali, spesso prossime a livelli di saturazione, oltre che aumentare le possibilità di intercettare i nuovi flussi di merci che si stima graviteranno nell’area mediterranea. L’integrazione e la complementarietà di funzioni tra porti ed interporti, risulta essere una delle poche vie percorribili per garantire nello stesso tempo un percorso di crescita e miglioramento della rete logistica nazionale.

La centralità del ruolo svolto dalle piattaforme logistiche per il futuro del nostro sistema trasportistico richiede che tali criticità siano superate in tempi brevi consentendo all’interportualità italiana, che già ora presenta caratteristiche economiche significative, di intraprendere processi di crescita ulteriore.

5 Fonte: CENSIS-UIR, Presentazione della ricerca “Il sistema degli interporti per una logistica ad alto valore aggiunto”, 16 novembre 2006.

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Una maggiore qualità dei servizi di trasporto ed il recupero del divario infrastrut-turale del Mezzogiorno rappresentano una pre-condizione essenziale non solo per lo sviluppo economico dell’area ma dell’intero Paese, soprattutto nel mutato scenario internazionale, che vedrà il Mezzogiorno stesso svolgere un ruolo guida nel processo di attrattività della logistica e delle merci in campo globale, grazie alla sua localizzazione e all’occasione offerta dall’abbassamento del baricentro del traffico merci internazionale e dall’avvento delle produzioni asiatiche.

Il Mezzogiorno d’Italia, geograficamente posto al centro del Mediterraneo rappre-senta sia un valore “interno”, cioè un insieme di risorse localizzate sul territorio sia un valore “esterno”, cioè un’area di transito e di riferimento per l’intero bacino del Medi-terraneo e ampliamento dell’Unione Europea nelle relazioni con il continente africano e con i paesi dell’Europa sud-orientale e del Medio oriente.

Al fine di costruire un nuovo sistema della mobilità e della logistica nel Sud Italia, appare sempre più indispensabile una pianificazione e programmazione unitaria e con-divisa dalle forze politiche, imprenditoriali, economiche e sociali, che copra un arco temporale di medio-lungo periodo (10-20 anni).6

All’interno del Mezzogiorno si distingue la Regione Campania, che grazie alla sua posizione geografica centrale e alle infrastrutture esistenti in corso di potenziamento, costituisce sempre più un territorio di primo piano sul fronte della logistica e del tra-sporto marittimo, candidandosi a diventare la principale piattaforma del Mediterraneo, in vista della zona di libero scambio del 2010.

Il sistema logistico campano può già oggi contare su due interporti in fase di espansione (Marcianise-Maddaloni e Nola) e su uno in costruzione (Salerno-Battipaglia), sui due porti di Napoli e Salerno per le autostrade del mare, e su una rete di strade e ferrovie in corso di adeguamento; queste a loro volta sono collegate all’Alta velocità-capacità (gia realizzata sulla Napoli-Roma e in corso fino a Salerno e in futuro a Battipaglia) e ai corridoi europei (in particolare il n. 1 Berlino-Palermo e il n. 8 Bari-Varna). Una descrizione più dettagliata dei singoli interporti è riportata in appendice.

5. Internazionalizzazione e servizi: i risultati di un’indagine territoriale

L’analisi delle linee strategiche di internazionalizzazione del settore dei trasporti e della logistica campana è stata effettuata mediante una duplice valutazione. Da un lato, si considera la capacità della regione in termini di investimenti diretti esteri (IDE) in entrata ed in uscita nel settore Logistica e Trasporti; questa parte viene riportata nell’ap-pendice al capitolo, data la ricchezza di statistiche espresse in grafici e tabelle in essa contenute.

6 Importanti in tal senso sono i documenti sottoscritti il 2 novembre 2004 tra le organizzazioni sin-dacali e 14 organizzazioni imprenditoriali (Progetto Mezzogiorno) e il 2 febbraio 2006 dai Presidenti delle otto Regioni del Mezzogiorno (Proposte per un nuovo sistema dei trasporti e delle infrastrutture del Mezzogiorno), in cui si propongono una serie di strategie integrate e multimodali sulle infrastrutture e sui servizi.

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D’altro lato si analizzano le strategie che le imprese campane hanno posto in essere (o che si ripropongono di attuare) per internazionalizzare i propri servizi e quelle delle aziende estere che hanno impostato il proprio sviluppo attuando o prevedendo investi-menti in Campania. Ciò perché l’analisi dell’internazionalizzazione della logistica e dei trasporti della regione che ha preso avvio da una disamina dell’offerta, ovvero le reti infrastrutturali e il traffico che esse movimentano, va naturalmente completata anche con una valutazione della domanda, ovvero delle imprese che operano nel territorio, allo scopo di individuarne le esigenze e le criticità rilevate.

Per ottenere informazioni particolarmente significative in relazione all’obiettivo prefissato sono stati realizzati alcuni incontri con aziende che rappresentano casi d’eccellenza della realtà campana; Logica, Tavassi Group e Mediterranean Shipping Company. In appendice riportiamo una descrizione più dettagliata delle tre aziende.

Gli incontri sono stati strutturati in base alle principali tematiche inerenti l’interna-zionalizzazione nell’ambito del sistema logistico campano ovviamente tenendo conto delle specificità di ciascuna azienda contattata. Sono state affrontate problematiche di carattere strutturale con la finalità di comprendere quali sono i punti di forza ma anche le criticità, i nodi e le strozzature del sistema regionale e individuare quali siano per ciascun interlocutore le priorità di intervento.

Gli argomenti sono stati suddivisi in macroaree:descrizione delle attività della società;• strategie di crescita/internazionalizzazione della società. Eventualità di• investimenti diretti all’estero o in Campania;• criticità e vincoli riscontrati nel sistema logistico campano;• il futuro della logistica nel territorio dal punto di vista dell’imprenditore.•

Naturalmente i diversi interlocutori hanno affrontato le tematiche trattate con riferi-mento alla propria esperienza e campo di azione, per cui a seconda dei casi hanno dato particolare rilievo ad alcuni argomenti mentre per altri non viene trovata una risposta specifica.

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tabella 9Principali caratteristiche delle aziende intervistate

MEDITERRANEAN SHIPPING COMPANY TAVASSI GROUP LOGICA

Azienda privata fondata e controllata al 100% dall’armatore campano Aponte.

Azienda campana, storicamente radicata nel territorio

Campana, unico caso in Italia di Agenzia per la Promozione della logistica e del trasporto merci

Secondo operatore al mondo di navi porta-contenitori in termini di flotta, capacità di stiva e di traffico container

Specializzata nella distribuzione last mile Principali attività: - Promozione della Campania quale terri-torio d’eccellenza; - Ricerca delle principali opportunità offerte dal panorama nazionale ed inter-nazionale per promuovere il sistema logi-stico e trasportistico campano - Condivisione delle informazioni tra i soci

La strategia della Compagnia è di perse-guire economie di rete attraverso il sistema delle crossing lines.

Controlla 3 società: - Alisped specializzata in import-export air-sea; - Logistica Campaniaoperatore logistico; - Temi specializzata nella distribuzione capillare collegata a GLS, holding inter-nazionale.

Azienda molto flessibile ha consolidato e costantemente migliorato la gestione del traffico container in molti porti italiani per consolidare l’attività nel continente europeo. L’obiettivo è garantire al cliente la certez-za dei tempi di consegna.

offre servizio door to door: prelevamento della merce dal Far East e distribuzione capillare sul mercato europeo

Scelta del porto di Napoli come riferimen-to per il Centro-Sud Italia. Comprioprieta-ria del terminal Conateco

Clienti: Imprese campane del settore manufatturiero (prevalentemente tessile-abbigliamento-calzature)

opera con entrambi gli interporti campani. opera con entrambi gli interporti campani perché soddisfano diverse esigenze

Fonte: SRM

Caratteristiche del sistema logistico campano

Un primo aspetto emerso nel corso degli incontri riguarda le ottime potenzialità del sistema logistico campano. La regione vanta infatti una dotazione infrastrutturale vasta e ben distribuita a livello territoriale che costituisce un fattore sia di supporto alle imprese campane sia di attrazione degli investimenti esteri. Questo elemento è stato evidenziato particolarmente nel corso dell’incontro con la Tavassi Group che riconosce il grosso impulso che sia Logica sia l’assessorato regionale ai Trasporti hanno dato alla logistica, intesa come sistema infrastrutturale completo che ha l’obiettivo di attirare traffico rispetto ad altre realtà. La Campania inoltre gode di una posizione geograficamente vantaggiosa nel bacino del Mediterraneo che rende l’offerta dei suoi sevizi portuali tra le più interessanti d’Europa. Questo è l’elemento su cui si è incentrato l’incontro con la MSC che ha impostato la strategia di espansione in Europa su porti come quello di Napoli perché oltre a garantire infrastrutture e servizi di ottimo livello, è inserito in un contesto produttivo e imprenditoriale molto vivace in grado di esprimere traffico commerciale che alimenta il porto e quindi l’attività degli operatori. In generale il più importante criterio di scelta di un porto da parte di un armatore si basa sulla possibilità di raccogliere in quel dato porto il maggior numero di contenitori o comunque di far convergere più merce possibile sullo scalo. In particolare il maggiore sviluppo dei porti del Sud Italia è legato al fatto che una delle merci di esportazione italiana maggiormente interessante per il mercato estero è il foodstaffer, ossia gli alimenti. La qualità degli

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alimenti italiani – provenienti principalmente dal Mezzogiorno – è particolarmente riconosciuta nel mondo.

Per far fronte a tali esigenze MSC ha confermato che si sta specializzando anche nell’offerta di un servizio di contenitori frigoriferi. Dall’inizio di quest’anno la Compagnia ha rafforzato il servizio per e da il Nord Europa (Gran Bretagna, Germania, Belgio, olanda), mercato a cui finora non era stata priorità. Il Nord Europa è comunque più che un mercato di provenienza, un mercato di destinazione servito particolarmente da carichi in partenza dagli scali del Sud Italia, Napoli soprattutto.

Anche il sistema interportuale campano, i cui servizi in realtà coprono tutto il Mez-zogiorno e molte aree del Centro Italia, costituisce un anello importante della logistica regionale. Anche la circostanza che siano diverse le infrastrutture interportuali che insi-stono sul territorio non deve essere considerato un aspetto negativo. Logica, nell’ambito della sua attività di ricerca ha evidenziato che gli interporti campani, se gestiti con criteri manageriali possono funzionare bene: sono i servizi ad essere in competizione, non le infrastrutture. Ciò perché un certo tipo di mercato va su Marcianise (quello che ruota intorno ai grandi global player, in particolare Trenitalia), un’altra su Nola (domanda di trasporto e logistica più legata al territorio). Entrambi possono trattare gli stessi prodotti ma gli operatori sono diversi. Questo duopolio può essere addirittura considerato un vantaggio per la regione. Battipaglia è una struttura piccola ma ha già una lista di ope-ratori che intendono avvalersene perché nella zona non vi sono altre aree che offrono questi servizi.

MSC ha riconosciuto che la presenza di realtà interportuali incide sulla scelta del porto da parte dell’armatore e, infatti, nel caso di Napoli la compagnia ha stipulato accordi con gli interporti locali per agevolare il movimento di merci, soprattutto per quanto riguarda i contenitori refrigerati.

Anche il gruppo Tavassi ha confermato di lavorare con entrambe le strutture perché presentano delle caratteristiche differenti: con Marcianise perché ci sono grandi aziende ed è meglio raccordato con le ferrovie; Nola invece ha altri vantaggi, come la vicinanza a Napoli e il rapporto con il CIS, e lavora soprattutto come transito.

Naturalmente nel corso degli incontri sono emerse anche le difficoltà di operare nel sistema logistico campano per la presenza di alcune criticità.

In primo luogo sono state citate difficoltà che sono comuni a tutto il Paese, in parti-colare la complessità di realizzare infrastrutture. Con riferimento ai porti, il problema è l’espansione degli spazi: Logica ha citato ad esempio il caso di Salerno che ha in proget-to per la risoluzione del problema, la creazione di un Porto-Isola ma i tempi previsti per la realizzazione sono molto lunghi. Riguardo ai costi, occorre tener conto anche della partecipazione delle risorse private per finanziare gli investimenti necessari; un incen-tivo alla loro partecipazione sarebbe sicuramente l’autonomia finanziaria delle Autorità Portuali che allo stato, esiste soltanto sulla carta. Un’ulteriore problematica citata dalle aziende è quella inerente le lungaggini per le verifiche doganali che rallentano molto la velocità di trasferimento della merce rivelandosi molto costose.

Con riferimento specifico alla situazione campana l’aspetto che è stato evidenziato

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nel corso di tutti gli incontri concerne l’integrazione tra nodi che non risulta ancora ade-guata. Al riguardo Logica ha realizzato uno studio che riguarda proprio i collegamenti ferroviari tra porti e interporti della regione, dal quale è emerso che per far arrivare i treni dal porto di Napoli a Marcianise occorrono 5 cambi di locomotori; Nola ha un vantaggio in questo senso, perché ha una ferrovia elettrificata al suo interno e comunque in condizioni ottimali occorrono 4h e 20m per far arrivare un treno dal porto. Quando si analizza un’infrastruttura occorre ragionare non soltanto in termini di costo della strut-tura ma anche della gestione del servizio; ciò anche al fine di finalizzare gli incentivi. Ad esempio, l’interporto di Nola ha chiesto alla regione incentivi per attrarre i treni dal porto di Napoli. Logica ha valutato quale sarebbe il costo del servizio senza inefficien-ze, lo ha comparato con quello dell’autotrasporto (che sulla distanza porto – interporto, ovvero 30 Km, è sicuramente più conveniente) e il gap che ne è risultato, corrisponde alla misura dell’incentivo concesso dalla regione.

Tavassi, per il migliore funzionamento dei due interporti suggerisce l’istituzione di una cabina di regia che faccia interagire al meglio le due strutture per farle integrare utilizzando sempre più le aeree interportuali come retroporti e fare in modo che le merci non giacciano nel porto e quindi non creino problemi di cogestione.

MSC si è focalizzata in particolare sulla necessità di rendere più efficiente il col-legamento ferroviario anche con la creazione di nuove linee, soprattutto nell’ottica di decongestionare le strade dal traffico. A questo riguardo ritiene che sia molto importante anche puntare allo sviluppo delle Autostrade del Mare, che proprio negli scali campani hanno l’area di maggiore attività: per sostenere tale modalità occorre però fare chiarezza su come si dovrà operare in un’ottica di gestione strategica dell’intero sistema attraverso una regolamentazione che individui i terminal, i principi di funzionamento, etc.

Le strategie di crescita della società

La mission di Logica è proprio promuovere la Campania come territorio di eccel-lenza nella logistica e nel trasporto merci a livello nazionale e internazionale. A monte dell’attività promozionale, l’agenzia effettua un’attività sistematica di ricerca delle principali opportunità offerte dal panorama nazionale ed internazionale per promuovere il sistema logistico e trasportistico campano. obiettivo delle attività dell’area ricerca è anche fare sistema nel senso che consente la condivisione delle informazioni: cioè ad esempio se l’interporto di Nola sa in tempo reale cosa passa per il porto di Napoli può organizzarsi e progettare di conseguenza. Logica concentrando su di sé l’attività di ricer-ca permette la condivisione di informazioni e quindi anche di strategie.

L’offerta di Logica è la fornitura di informazioni per il business logistico in Cam-pania, attività di marketing territoriale per l’insediamento di operatori logistici e di tra-sporto internazionale in Campania, creare relazioni e contatti nazionali e internazionali, la promozione internazionale del sistema delle merci campano, non dei singoli nodi infrastrutturali, ma del sistema complessivamente.

Tavassi group si propone di diventare per i suoi clienti l’unico interlocutore per il

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trasferimento della merce dal luogo di produzione fino al consumatore finale. A tal fine ha già realizzato investimenti ma si propone di attuarne altri per poter migliorare ed ampliare la gamma di servizi logistici da offrire ai propri clienti nell’ottica dell’in-ternazionalizzazione. offrire un servizio door to door vuol dire infatti avere strutture e personale a disposizione nei territori dove si realizza la produzione (in prevalenza Far East, India, Turchia), portarla a Napoli e occuparsi della distribuzione last mile tramite i corrieri fino al consumatore finale. Anche per questa fase l’azienda non si limita ad operare nel territorio nazionale ma è proiettata anche sull’Europa che è ormai da consi-derarsi un mercato unico (in particolare Germania, Francia e Belgio).

Le prospettive di crescita di MSC nel nostro Paese sono incentrate soprattutto nel Mezzogiorno. Il principio che la Compagnia segue è dare un servizio dove è necessario, è utile ed è redditizio per l’impresa: il Sud ha, in questo senso, maggiori possibilità rispetto al Nord Italia. In particolare MSC ha consolidato la sua posizione nel porto di Napoli, che ha finora già dimostrato di avere un grosso sviluppo, superiore alla media nazionale, divenendo comproprietaria insieme a Coscon della Conateco. Quella di co-gestire i terminal è una scelta strategica legata al fatto che il terminal deve essere a disposizione della nave, il ritardo anche di un giorno nell’attracco implica per l’azienda conseguenze negative. Il servizio della Compagnia non è tanto basato sui feeder quanto sulle linee di navigazione che si intersecano (crossing lines). Per fare un esempio, la linea che va dal Nord Europa all’Africa si interseca a Gioia Tauro con la linea che viene dall’Estremo oriente e dovrebbe andare in Nord Europa. In questo contesto la gestione efficiente del terminal è importantissima e costituisce un punto fondamentale nel servi-zio globale che offrono gli armatori.

Il mantenimento della posizione di leadership della MSC non potrà prescindere da ulteriori investimenti in terminals, in nuovi centri di snodo e nell’implementazione delle infrastrutture presso i maggiori porti di scalo del Gruppo. Ciò soprattutto alla luce dei rapidi e continui mutamenti in atto nel settore dei trasporti marittimi.

Il futuro della logistica nel territorio dal punto di vista dell’imprenditore

La logistica è considerato dagli imprenditori un settore trainante dell’economia campana con buone prospettive di crescita. La regione, oltre a ricoprire una posizione geografica estremamente vantaggiosa nel bacino del Mediterraneo, dispone di una dotazione infrastrutturale che le consente di essere collegata per via marittima a livel-lo globale e un sistema interportuale che funge sia da retroporto a supporto dei porti, che essendo inseriti in aree urbanizzate hanno carenze di spazi, sia d’ausilio al sistema imprenditoriale per i servizi a valore aggiunto che essi offrono. Anche l’aeroporto per il cargo è il riferimento nel Sud Italia continentale.

Si rendono necessari ulteriori interventi finalizzati a migliorate l’integrazione tra i nodi ma già oggi si registrano importanti iniziative: si pensi ad esempio al caso della Rail Traction Company (RTC), prima società ferroviaria privata per il trasporto merci in Italia che ha realizzato una partnerhip con Nola su cui ha attuato grossi investimenti

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prevedendo collegamenti quotidiani tra l’interporto con Segrate e con Gioia Tauro, ed è uno dei casi di operatori alternativi agli ex monopolisti che operano nello stesso seg-mento e fanno business.

6. Conclusioni

Gli approfondimenti realizzati sul tema dell’internazionalizzazione dei servizi logistici in Campania hanno consentito di evidenziare che in tale comparto la regione ricopre un ruolo di primo piano nel Mezzogiorno.

A livello infrastrutturale la regione riveste una ottima posizione nell’ambito nazionale: vi sono 2 porti storici, Napoli e Salerno, che sono tra i primi scali in Italia per traffico e negli anni stanno confermando questa posizione acquisendo maggiori quote di mercato. Ciò accade sia per il traffico container perché i porti campani hanno una posizione strategicamente baricentrica nel Mediterraneo, sia anche per il traffico Ro-Ro che vede nella Campania la regione italiana a maggior dinamismo imprenditoriale e crescita dei flussi. La crescita dei porti è anche collegata all’aumento del grado di produttività e internazionalizzazione dei sistemi locali in quanto essi rappresentano un elemento infrastrutturale determinante per ridurre i fattori di perifericità geografica ed economica dell’area. Con riferimento agli interporti esistenti, Nola e Marcianise, sono gli unici pienamente operativi nel Mezzogiorno e mantenendo diverse caratteristiche, garantiscono una piena compatibilità. Queste strutture stanno realizzando anche importanti investimenti che hanno contribuito a rafforzare la regione sotto il profilo dell’offerta della logistica integrata e ad accentuare il ruolo propulsore degli interporti per l’economia della Campania e di vaste aree del Mezzogiorno. La globalizzazione e la conseguente internazionalizzazione degli scambi commerciali infatti impone di consolidare piattaforme logistiche altamente competitive ed in grado di offrire servizi in tempo reale. Si pensi al riguardo alla joint venture tra il Gruppo Gallozzi e il Terminal Intermodale di Nola (T.I.N.) o all’accordo tra l’interporto e RTC, impresa ferroviaria privata che ha istituito collegamenti quotidiani tra la struttura e Milano Segrate e Gioia Tauro. L’interporto di Marcianise vantando un terminal intermodale adiacente alla più grande stazione ferroviaria merci d’Italia - lo scalo merci Marcianise-Maddaloni - costituisce un’infrastruttura integrata unica per dimensioni e capacità su tutto il territorio nazionale e si pone come uno dei principali poli del network degli hub europei e sede di riferimento delle principali multinazionali logistiche. La struttura ospita operatori prestigiosi tra i quali TNT Distribution, società di punta del Gruppo Poste olandesi, Schenker, Etinera S.p.A., i tedeschi Deutsche Post - DHL - omnia Logistica ed Artoni.

è poi da rilevare l’attenzione che la Regione ha mostrato verso il comparto, che si è concretizzato in particolare nella creazione di Logica, la prima e finora unica agenzia regionale la cui mission è proprio promuovere la regione quale territorio d’eccellenza per la logistica e il trasporto merci.

In questi termini, la Campania offre un quadro logistico-trasportistico innovativo

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che fa da supporto allo sviluppo economico regionale in particolare per i settori e le filiere produttive fortemente orientate all’export e per le imprese straniere interessate al mercato italiano o europeo.

Non è stato quindi un caso che il secondo operatore di trasporto marittimo a livello mondiale, MSC, abbia scelto il porto di Napoli, dove co-gestisce il terminal in sinergia con la Cosco, come una delle sedi dove impiantare la propria attività nel continente europeo in quanto vi ha trovato, oltre ad infrastrutture in grado di sostenere il traffico commerciale da questa movimentato, anche un tessuto produttivo in grado di alimentare tale traffico.

La regione vanta anche realtà aziendali come la Tavassi group che ha un know how radicato nel settore e che si è fortemente internazionalizzata. Sarebbero da citare anche altre importanti multinazionali logistiche che hanno sede nella regione (ad esempio, Saima Avandero, etc.).

Non mancano tuttavia delle criticità in quanto sono ancora da rilevare connessioni non efficaci tra i nodi infrastrutturali; gli interporti non costituiscono ancora insieme ai porti delle vere e proprie reti logistiche integrate in grado di assicurare l’efficienza del trasporto delle merci lungo la rete e ridurre i transit time. Il risultato è, come in realtà per l’intero Mezzogiorno e per il resto d’Italia, l’uso prevalente della modalità stradale per i traffici interni.

Ciò è da ricondurre ad una programmazione regionale che sembra dare maggiore attenzione ai singoli nodi più che al “sistema logistico” ma soprattutto ad uno modesto coordinamento tra programmazione nazionale e regionale. Si rende invece necessaria un’adeguata capacità di governo del sistema, cioè i diversi livelli di governo del territorio - centrale, regionale e locale - devono condividere senza riserve obiettivi ed opere per non creare criticità e ritardi. Ciò anche a causa della scarsità delle risorse finanziarie, comunitarie e nazionali, che ostacola un generalizzato potenziamento delle strutture e impone criteri selettivi nella scelta degli investimenti da effettuare. Diventa cioè rilevante definire una scala di priorità in base ad una logica di mercato e puntare alla realizzazione o al rafforzamento esclusivamente di quelle opere considerate strategiche per lo sviluppo dei servizi logistici.

Il mancato dialogo tra programmazione nazionale e regionale negli anni ha contribuito a rallentare la realizzazione delle infrastrutture, a non supportare l’attività delle imprese e, in sintesi, a non consentire la creazione di un’offerta logistica in grado di rispondere tempestivamente alle mutevoli esigenze di un mercato ormai globale. Assicurando invece una programmazione condivisa a tutti i livelli sarà possibile disegnare una strategia comune con la massima efficacia evitando la dispersione delle risorse.

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APPENDICE

Gli interporti del sistema logistico campano

L’ interporto Campano di Nola, già operativo dal 2000 ed in corso di completa-mento, è, in particolare, tra le principali piattaforme logistiche del Sud Italia. Si tratta di un hub che integra lo stoccaggio, la manipolazione e la movimentazione delle merci realizzando la completa interconnessione tra le quattro modalità di trasporto (aria, gomma, acqua, ferro). è stato, infatti, concepito come una struttura finalizzata a catalizzare lo sviluppo di un distretto logistico integrato, che mira ad abbracciare ed ottimizzare tutte le fasi del ciclo produttivo e distributivo. è situato a venti chilometri da Napoli, in posizione strategica nel Centro-Sud Italia, facil-mente raggiungibile via strada e ferrovia, ed è collegato alla rete nazionale con una stazione interna affidata a Rfi-Fs. Attraverso questa importante struttura, dotata di tredici binari lunghi 750 metri, è possibile costituire treni blocco direttamente dal terminal intermodale interno, che si estende su una superficie di 225.000 m², e collegarsi con i principali porti del Mezzogiorno. è pertanto collegato in modo ottimale con le reti stradali e ferroviarie e con i porti campani anche se con linee la cui potenzialità è condizionata da alcuni “colli a bottiglia”. In partnership con Rail Traction Company (Rtc)7, l’interporto ha, inoltre, inaugurato il primo servizio pri-vato di trasporto combinato in Italia che collega su rotaia il Sud Italia direttamente a Monaco via Milano Segrate e Verona e un collegamento con Gioia Tauro. L’intesa con il gruppo terminalistico Gallozzi ha invece come obiettivo quello di rilanciare il trasporto combinato dai porti di Napoli e Salerno verso Nola. L’accordo consente al gruppo Gallozzi, specializzato nel traffico container, di diventare azionista con una partecipazione intorno al 30% di Terminal Intermodale di Nola (TIN), socie-tà controllata da Interporto Campano S.p.A che gestisce il terminal ferroviario e intermodale dell’interporto di Nola e si occupa della movimentazione del traffico merci su ferro e gomma. Nel primo quadrimestre del 2004 il traffico ferroviario del terminal intermodale di Nola, con una potenzialità di 150.000 pezzi/anno, ha regi-strato un aumento del 24% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Dopo l’avvio della joint venture tra Tin e Gruppo Gallozzi, il piano strategico messo a punto dall’Interporto mira a raddoppiare nel triennio il volume dei traffici, che nel 2005 ha raggiunto 4 milioni di tonnellate, e lo sviluppo dei traffici su due direttrici: i contenitori da e verso i principali porti del Sud e del Centro-Sud; le casse mobili sulle rotte del Centro e del Nord Europa. All’interno dell’area interportuale sorge il cosiddetto “Polo del Freddo” che, con 100.000 mc di magazzini frigoriferi e celle

7 La Rail Traction Company è una società specializzata nella trazione di treni merci, nata il 2 feb-braio 2000 in seguito al processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario, previsto dal nuovo quadro normativo, europeo ed italiano.

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a diversa temperatura, rappresenta il più importante impianto del Centro-Sud e uno dei maggiori d’Europa.

La progettazione, la costruzione e la gestione dell’Interporto di Nola è affidata all’Interporto Campano S.p.A, costituita nel 1987. Attualmente sono tutti occupati i 188.600 m² di magazzini che compongono la struttura interportuale esistente, in futuro ulteriormente sviluppata con la realizzazione di nuovi magazzini ed aree destinate alla logistica ed alla manipolazione delle merci.

In particolare sono previste una fase di completamento ed una fase di ampliamento che porteranno a raddoppiare la superficie coperta. La prima, in fase di avanzata realizzazione, interessa una superficie totale di lotto di 210.000 m² di cui circa 78.000 m² coperti.

Il sistema interportuale di Nola è progettato per movimentare a regime fino a un potenziale di oltre 30 milioni di tonnellate di merci all’anno grazie anche agli oltre 300.000 di magazzini coperti destinati alla manipolazione e allo stoccaggio delle merci. Nell’ultimo anno l’interporto ha chiuso l’esercizio con un utile di 249.141 euro con un incremento superiore al 32% rispetto al dato del 20038.

L’ Interporto Sud Europa, nasce da un accordo di programma fatto dalla Regione Campania, la Provincia di Caserta, i comuni di Maddaloni e Marcianise e la proprie-tà in base alla legge 240 che ha codificato la struttura di interporto di primo livello individuando nell’area di Maddaloni-Marcianise l’unica infrastruttura interportuale di questo tipo in tutto il centro-sud Italia. Situato a 15 km a Nord da Napoli e a 4 a Sud Est da Caserta, l’interporto è posto lungo la Dorsale Ferroviaria Tirrenica in stretta adiacenza col più vasto scalo ferroviario di smistamento merci d’Europa. L’area su cui si estende il complesso logistico è, inoltre, direttamente collegata ad ovest con l’autostrada A1 Napoli-Milano e a Nord con la A30 Caserta-Salerno dira-mazione Bari-Reggio Calabria. L’insieme di tutte queste condizioni infrastrutturali e la vicinanza con la stazione “Porta Campana” della TAV, la nuova linea ferroviaria ad alta velocità/capacità, rendono l’interporto Sud Europa uno dei principali sbocchi commerciali verso il centro del Mediterraneo del “Corridoio Europeo 5”.

Uno degli obiettivi della società è quello di far assumere all’Interporto un ruolo decongestionante del traffico merci che attualmente grava sul porto di Napoli, diventando in pratica un prolungamento operativo delle banchine dello stesso, ed assumendo il ruolo di “retroporto” di Napoli.

L’interporto si estende su una superficie di ben 2.600.000 m² che nel suo complesso può essere suddivisa in Centro Intermodale e Polo Logistico. Il centro intermodale si sviluppa su un’area di 100 ettari e comprende un Terminal ferroviario (ad oggi completato) con 5 binari, mentre in futuro è prevista la costruzione di un nuovo terminal a 7 binari. Il Polo Logistico, che si svilupperà su di un’area di 190 ettari complessivi, comprenderà piazzali per il deposito di container, raccordi ferroviari interni, edifici alberghieri, parcheggi, etc.

8 Fonte: Bilancio di esercizio al 31.12.2005

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Gli impianti sono in grado, a pieno regime, di movimentare circa 150 treni al giorno per un ammontare complessivo che si aggira sui 3.500 carri navetta. Sono in corso i lavori relativi a diversi contenitori commerciali per circa 180.000 m² di superficie coperta, capannoni prefabbricati per 50.000 m² per la movimentazione e lo stoccag-gio delle merci, oltre a 50.000 m² di piazzali ed un centro servizi con circa 2.000 m² di Uffici Direzionali. Per gli spedizionieri, i corrieri e per tutti gli operatori dei diversi comparti del settore logistico, l’interporto sta predisponendo un’offerta che comprende una gamma completa di servizi. Saranno inoltre disponibili strutture di pronto soccorso, un parcheggio pubblico per 60.000 m², tre stazioni di servizio composte da un’area per il rifornimento carburante, un’officina meccanica, una stazione di lavaggio, una struttura adibita alla manutenzione gommato e ferrato. L’intera struttura sarà completata entro il 2007: una volta a regime assorbirà 10.000 lavoratori e sarà in grado di movimentare circa 4.000.000 di tonnellate di merce l’anno.

L’interporto si dimostra in rapida crescita con un incremento del 20% per quanto riguarda le merci in entrata, passate dalle 714.000 tonnellate del 2004 ad oltre 857.000 nel 2005, ed un aumento del 30% per le merci in uscita, salite da 450.000 a 684.534 tonnellate. La movimentazione di TEU ed U.t.i. è passata dalle 5.927 unità del 2004 a 8.444 (+30%) ma il vero sviluppo si è avuto nel comparto del trasporto su rotaia e dello scambio ferro-gomma: 578 i treni in arrivo nel terminal intermodale dell’interporto nel 2005 contro i 301 del 2004 mentre i treni in partenza sono passati da 26 a 578 nello stesso biennio. Sul fronte finanziario, dopo le perdite accumulate negli anni 2002 e 2003, il 2005 si è chiuso con un utile di esercizio superiore agli 11 milioni di euro9.

La struttura negli anni si è imposta come sede di importanti multinazionali logisti-che tra le quali omnialogistica, DHL, TNT, Artoni Trasporti, etc.

Agli interporti di Marcianise-Maddaloni e di Nola si dovrebbe affiancare nei pros-simi anni quello di Battipaglia, proposto già agli inizi degli anni ’90 come scalo intermodale complementare a quello di Nola-Marcianise. Per la realizzazione e la gestione dell’infrastruttura interportuale, nell’aprile del 1995 è stata costituita una società a partecipazione pubblica locale, la Salerno Interporto S.p.A, tra la provincia di Salerno, i Comuni di Salerno, Battipaglia e Pontecagnano Faiano, la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Salerno, il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Salerno ed imprenditori privati. La prima proposta pre-vedeva l’ubicazione nel territorio di Pontecagnano, a cui successivamente è stata preferita Battipaglia, per usufruire della possibilità di accesso alla rete ferroviaria per l’alta velocità, nel cui sviluppo la stazione di Battipaglia è destinata ad assumere un ruolo di particolare rilevanza. L’interporto disporrà di 7 magazzini raggruppati in tre macroblocchi: magazzini per stoccaggio e raccordati, magazzini per corrieri e magazzini per distributori. Il terminal intermodale dispone, inoltre, di 2 binari operativi, ciascuno di 530 m di lunghezza. Per lo svolgimento di altre funzioni

9 Fonte: Bilancio di esercizio al 31.12.2005

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nell’interporto sono previsti circa 17.000 m² di superficie coperta per lo stoccaggio di unità di carico e 99 stalli per la sosta temporanea degli autoarticolati.

La realizzazione dell’infrastruttura interportuale consentirà uno sviluppo mirato dell’economia del territorio attraverso un efficace e funzionale sistema di trasporti, con annessa una moderna rete di servizi telematici e strutturali, con sostanziali vantaggi per il mondo del lavoro. La realizzazione delle opere del primo stralcio avverrà entro dicembre 2007 e si prevede che l’attività della Salerno Interporto genererà un volume di fatturato a regime valutabile in 4,2 – 4,7 milioni di euro ogni anno. Il primo lotto prevede la realizzazione di una zona intermodale con un terminal idoneo a formare e ricevere treni, un magazzino corriere con uffici, un’area di stoccaggio con arteria di collegamento con la strada provinciale 195 e gli uffici di gestione.

In data 27 maggio 2005 il Cipe ha approvato (con prescrizioni e raccomandazioni) il primo lotto funzionale dell’interporto di Battipaglia, per un costo di 18,198 milioni di euro, di cui 7.746.854 provenienti da finanziamenti pubblici della legge 135/97, 8.002.781 euro dai finanziamenti por Campania 2000-2006 ed infine 2.448.295 da privati. Il costo totale del progetto sfiora, invece, i 90.419.000 euro. La Regio-ne Campania e la società Salerno Interporto hanno firmato una convenzione che stabilisce i tempi di realizzazione del collegamento ferroviario dell’infrastruttura salernitana e le modalità di erogazione del finanziamento regionale di 8 milioni di euro già assegnato. Passo importante per avviare l’iter delle altre opere previste è, inoltre, la delibera del 29 marzo 2006 con la quale il Cipe ha approvato in linea tecnica il progetto preliminare di realizzazione dell’intero interporto per cui la spesa complessiva è quantificata in quasi 75 milioni di euro.

Le aziende intervistate

Logica è l’unica Agenzia per la Promozione della Logistica e del Trasporto Merci che opera in Italia ed è campana; è nata nel 2004 su iniziativa dell’Assessorato ai Trasporti della regione con la mission di promuovere la Campania come territorio di eccellenza nella logistica e nel trasporto merci a livello nazionale e internazio-nale. Nello svolgimento di tali funzioni l’Agenzia si configura come strumento di raccordo tra i soggetti pubblici deputati alla programmazione di settore ed alla pianificazione territoriale e gli operatori privati, senza incidere sul libero dispiegarsi delle dinamiche della concorrenza e del mercato. I suoi soci sono l’Ente Autonomo Volturno (interamente partecipato dalla Regione Campania), le Autorità Portuali di Napoli e Salerno, gli enti gestori degli interporti di Nola, Marcianise, Battipaglia, la GESAC, l’Unione delle Camere di Commercio regionali, Confindustria Campania e Confapi Campania. A monte dell’attività promozionale, l’agenzia effettua un’at-tività sistematica di ricerca delle principali opportunità offerte dal panorama nazio-nale ed internazionale per promuovere il sistema logistico e trasportistico campano attraverso un continuo:

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monitoraggio degli eventi promozionali nazionali e internazionali in materia -di logistica e trasporto merci;analisi dei bisogni e delle problematiche di internazionalizzaizone delle -imprese regionali del settore;analisi dei mercati obiettivo; -sviluppo e progettazione delle strategie di promozione internazionale, -matchmaking - tra la domanda e l’offerta di servizi logistici.

Tavassi Group è un’azienda campana, storicamente radicata nel territorio, che opera nel settore della logistica proponendosi sul mercato quale unico interlocutore per la gestione della merce lungo tutto la supply chain e quindi dal luogo dove viene realizzato il prodotto fino alla sua capillare distribuzione. è dunque un’azienda fortemente orientata all’internazionalizzazione. I clienti della Tavassi sono imprese campane, del settore manifatturiero (in particolare tessile-abbigliamento-calzature) e per la maggior parte di media-piccola dimensione il cui fabbisogno logistico è molto variegato: in prevalenza si tratta di imprese che delocalizzano la produzione nel Far East e necessitano di una distribuzione capillare sul mercato nazionale ed europeo.Il gruppo controlla tre società: Alisped, una delle principali aziende in Italia specia-lizzata in spedizioni aeree e marittime sia in export sia in import, che dispone di una rete mondiale di corrispondenti in quanto è presente con uffici diretti negli USA, in Europa e in Estremo oriente e nelle altre aree collabora con agenti selezionati. Logistica Campania è un operatore logistico che segue lo scarico dei contenitori, l’allocazione della merce nei locali dell’azienda tramite la propria flotta di automez-zi e la preparazione degli ordini. Temi è licenziataria del marchio GLS a Napoli e provincia e segue la distribuzione capillare della merce.L’azienda dispone in Campania di una propria flotta di automezzi con i quali si occupa della distribuzione last mile; nelle altre regioni collabora con GLS (General Logistics System), una holding internazionale delle Poste Inglesi che fornisce servi-zi di corriere espresso in 36 Paesi Europei. L’organizzazione GLS è mista perché vi sono filiali dirette e società in franchising e la società franchesee in alcuni territori può anche essere un’azienda privata come la Temi per Napoli. Il gruppo GLS ha come mission l’ampliamento del business in Italia e in Europa per quel che concerne il servizio di last mile.

MSC è il secondo operatore al mondo di trasporto marittimo containerizzato con una flotta di 414 navi portacontainer che hanno una capacità di stiva di 1.387.000 teus. è una delle poche compagnie in grado di offrire una copertura mondiale: le sue rotte servono 270 porti in 6 continenti.L’Italia è considerata una nazione importante dalla Compagnia, mentre all’estero MSC punta su Stati Uniti, Cina, Germania e Spagna.Le esportazioni italiane crescono e a seguito di questo fenomeno MSC in Italia ha

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avuto un’espansione pari a circa + 10% nell’export ed a circa + 5% nell’import. La MSC ha in Napoli uno dei porti di riferimento del continente europeo. Lo scalo cam-pano infatti raccorda per l’imbarco tutta la merce proveniente dal Centro-Sud Italia e, in particolare, il foodstaffer destinato ai grandi mercati del Nord Europa. La Compa-gnia ritiene l’infrastrutturazione di base come pure un sistema di logistica terrestre di base della Campania adeguato anche per la presenza di importanti realtà interportuali con le quali sono stati stipulati snche accordi per agevolare il movimento di merci.

Investimenti diretti esteri (IDE) in entrata ed in uscita in Campania nel settore logistica e trasporti

Per la valutazione degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) sono stati osservati i princi-pali dati di fonte ICE della realtà campana ed italiana per il settore Logistica e Trasporti che in base alla metodologia ICE raggruppa i codici Ateco 2002 I 60-63 con l’esclusione del 63.310.

Gli Investimenti diretti esteri (IDE) in entrata nel settore Logistica e Trasporti

Gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) in entrata nella Regione Campania per il settore logistica e trasporti al 2006 sono rappresentati da 12 imprese (tabella 10) che corrispon-dono al 12% (grafico 2) delle 101 imprese campane a partecipazione estera. Le imprese campane del settore preso ad oggetto rappresentano il 3,3% delle 364 imprese italiane del settore L&T partecipate dall’estero (tabella 11).

Rispetto ai dati al 2001 per le imprese campane partecipate si è verificata una diffe-renza negativa riguardo il numero totale di imprese (-3) e una variazione del loro peso percentuale sul totale delle imprese campane a partecipazione estera passate da 108 nel 2001 a 101 nel 2006.

Dall’analisi dei dati si osserva che mentre a livello nazionale dal 2001 al 2006 si osserva un generale trend positivo settoriale di imprese partecipate, per la Campania tale trend è in generale negativo.

10 Al riguardo è utile evidenziare che a partire dal 2008 l’ISTAT ha adottato la nuova classificazione delle attività economiche Ateco 2007, che scaturisce da una revisione della precedente e dall’esigenza di avere un’unica classificazione di riferimento a livello mondiale definita in ambito oNU.

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tabella 10 Imprese Campane a Partecipazione Estera - Anno 2006

CampaniaUE

Europa centro-

orientale

Altri paesi

europei

Africa settentr.

Altri paesi

africani

America settentr.

America centrale e

merid.

Medio Oriente

Asia centrale

Asia orientale Oceania Tot.

Industria estrattiva 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0Industria manifat-turiera 18 0 1 0 0 18 0 1 1 2 0 41Energia, gas e acqua 3 0 0 0 0 6 0 0 0 0 0 9Costruzioni 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0Commercio all’in-grosso 14 0 0 0 1 3 0 1 0 0 1 20Logistica e trasporti 6 1 0 0 0 0 0 3 0 2 0 12Servizi di telecomu-nicazione e di informatica 5 0 0 0 0 2 0 0 0 0 0 7Altri servizi profes-sionali 12 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 12

Totale 58 1 1 0 1 29 0 5 1 4 1 101Fonte: Banca dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

GraFiCo 2Imprese Campane a partecipazione estera - Anno 2006

Industria estrattiva

0%

Industria manifatturiera

40%

Energia, gas e acqua

9%

Costruzioni

0%

Commercio all'ingrosso

20%

Logistica e trasporti

12%

Servizi di telecomunicazione e di

informatica

7%

Altri servizi professionali

12%

Fonte: Elaborazione su dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

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tabella 11Imprese Italiane a Partecipazione Estera – Anno 2006

Italia UEEuropa centro-

orientale

Altri paesi

europei

Africa settentr.

Altri paesi

africani

America settentr.

America centrale e merid.

Medio Oriente

Asia centrale

Asia orientale Oceania Tot.

Industria estrattiva 14 0 7 0 0 6 0 0 0

0 1 28

Industria manifatturiera 1.414 13 182 3 3 652 10 15 10 98 6 2.406Energia, gas e acqua 120 0 6 0 0 15 2 0 0 0 0 143Costruzioni 54 1 1 0 0 43 1 0 0 1 0 101Commercio all’ingrosso 1.607 34 173 17 25 619 6 21 4 237 7 2.750Logistica e trasporti 252 7 26 3 1 35 1 12 0 26 1 364Servizi di telecomunicazione e di informatica

264 0 12 3 1 209 0 2 1 5 2 499

Altri servizi professionali

478 4 41 3 1 244 1 1 2 23 5 803

Totale 4.203 59 448 29 31 1.823 21 51 17 390 22 7.094Fonte: Banca dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

La maggioranza delle imprese controllanti ha sede nell’Unione Europea (grafico 3). In particolare, in Campania il 50% delle imprese del settore sono partecipate da società con sede nell’Unione Europea.

GraFiCo 3Distribuzione regionale delle Imprese Italiane a partecipazione estera nell’Unione

Europea Settore Logistica e Trasporti - Anno 2006

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

Abruzzo

Basilicata

Calabria Campania Emilia - Romagna

Friuli Venezia Giulia Lazio

Liguria

Lombardia

Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino Alto Adige

Umbria

Valle d'Aosta

Veneto

Fonte: Elaborazione SRM su dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

Il fatturato delle Imprese Italiane partecipate da Imprese Estere per macroaree terri-toriali al 2006 mostra che il maggior contributo è fornito dall’Italia Nord-occidentale con il 72,2%, a cui seguono l’Italia Nord-orientale (15,2%), l’Italia Centrale (7,5%),

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l’Italia Insulare (3,3%) ed, in ultimo, l’Italia Meridionale (1,8%) (tabella 12). è oppor-tuno dire che il principale apporto al fatturato totale della macroarea è fornito proprio dalla Campania, nella quale hanno sede il maggior numero delle imprese partecipate del settore.

tabella 12 Fatturato delle Imprese Italiane Imprese Italiane a partecipazione estera

Macroaree Territoriali – Settore Logistica e Trasporti - 2006Settore Italia nord-

occidentaleItalia nord-

orientale Italia centrale Italia meridio-nale Italia insulare Totale

Logistica e trasporti 11.445 2.405 1.182 292 530 15.854

% - Logistica e trasporti 72,2% 15,2% 7,5% 1,8% 3,3% 100,0%

Fonte: dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

Gli Investimenti diretti esteri (IDE) in uscita nel settore Logistica e Trasporti

Gli Investimenti diretti esteri (IDE) in uscita della Regione Campania per il settore L&T al 01/01/2006 sono rappresentati da 72 imprese (tabella 13) che corrispondono al 33% (grafico 4) delle 222 imprese estere partecipate dalle campane. Le imprese estere a partecipazione campana facenti capo al settore preso come riferimento rappresentano il 6,8% delle 1.064 imprese estere partecipate dall’Italia (tabella 14).

tabella 13Imprese estere partecipate dalle Imprese Campane – Anno 2006

Campania UEEuropa centro-

orientale

Altri paesi

europei

Africa settentr.

Altri paesi

africani

America settentr.

America centrale e

merid.

Medio Oriente

Asia centrale

Asia orientale Oceania Tot.

Industria estrattiva 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0Industria manifatturiera 19 24 3 3 1 2 6 0 1 2 1 62Energia, gas e acqua 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0Costruzioni 4 2 1 3 1 1 1 2 0 1 0 16Commercio all’ingrosso 31 7 2 0 0 9 2 0 0 6 1 58Logistica e trasporti 44 5 2 2 3 3 11 0 0 1 1 72Servizi di telecomunica-zione e di informatica

2 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 3

Altri servizi professionali 4 0 3 1 0 0 0 0 0 3 0 11Totale 104 39 11 9 5 15 20 2 1 13 3 222

Fonte: Banca dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

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GraFiCo 4 Imprese estere partecipate dalle Imprese campane – Anno 2006

Industria estrattiva

0%

Industria manifatturiera

28%

Energia, gas e acqua

0%

Costruzioni

7%

Commercio all'ingrosso

26%

Logistica e trasporti

33%

telecomunicazione e di

informatica

1%

Altri servizi professionali

5%

Servizi di

Nostra elaborazione su dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

tabella 14 Imprese estere partecipate dalle imprese Italiane – Anno 2006

Italia UEEuropa centro-

orientale

Altri paesi

europei

Africa settentr.

Altri paesi

africani

America settentr.

America centrale e merid.

Medio oriente

Asia centrale

Asia orientale oceania Tot.

Industria estrattiva 67 12 2 34 12 20 18 4 6 5 4 184Industria manifatturiera 1.750 1.630 200 220 68 364 513 23 122 532 53 5.475Energia, gas e acqua 61 34 6 3 1 105 63 0 0 0 2 275Costruzioni 263 198 67 73 69 35 131 32 25 54 2 949Commercio all’ingrosso 3.924 826 307 98 55 1.177 529 65 64 803 132 7.980Logistica e trasporti 465 166 57 36 30 77 104 16 11 85 17 1.064Servizi di telecomunicazione e di informatica 251 57 21 2 1 34 39 10 3 11 1 430

Altri servizi professionali 352 129 47 22 10 66 78 30 25 77 7 843Totale 7.133 3.052 707 488 246 1.878 1.475 180 256 1.567 218 17.200Fonte: Banca dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

Rispetto ai dati al 01/01/2001 per le imprese partecipate da quelle con sede in Cam-pania si è avuto un significativo incremento del 35,8%, mentre la variazione registrata per tutti i settori tra i due anni di riferimento è stata del 44,2%. In Italia invece nello stesso periodo il numero di imprese del settore L&T è aumentato del 31,3% rispetto al 12,2% registrato da tutti i settori.

Si evidenzia dai confronti dei dati ai due periodi di riferimento (01/01/2001 – 01/01/2006) che il settore della Logistica ha registrato forti livelli di crescita a livello nazionale ed ancor di più a livello campano.

La maggioranza delle imprese detengono partecipazioni in imprese con sede

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nell’Unione Europea (grafico 5). In particolare, in Campania il 61,1% delle società detiene azioni in società dell’Unione Europea.

GraFiCo 5Distribuzione regionale delle imprese estere partecipate dalle Imprese Italiane

nell’Unione Europea – Settore Logistica e Trasporti - Anno 2006

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Ab

ruzz

o

Bas

ilic

ata

Cal

abri

a

Cam

pan

ia

Em

ilia

- R

om

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Fri

uli

Ven

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Tre

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Val

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sta

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eto

Fonte: Elaborazione SRM su dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

Il fatturato delle Imprese Italiane con partecipazioni in Imprese Estere in totale Italia per il settore L&T mostra un forte incremento dal 2005 al 2006 pari al 15,8%, la ripartizione per macroaree territoriali al 2006 mostra che il maggior contributo è forni-to dall’Italia Nord-occidentale con il 44,6%, a cui seguono l’Italia Centrale (27,7%), l’Italia Nord orientale (10,3%) l’Italia Meridionale (13,4%), ed in ultimo l’Italia Insu-lare (4,2%). è opportuno sottolineare che il principale apporto al fatturato totale della macroarea è fornito proprio dalla Campania, nella quale hanno sede il maggior numero delle imprese estere partecipate del settore (tabella 15).

tabella 15 Fatturato delle Imprese estere partecipate da imprese italiane Macroaree Territoriali – Settore Logistica e Trasporti - 2006

Settore Italia nord-occi-dentale

Italia nord-orientale

Italia cen-trale

Italia meridio-nale Italia insulare Totale

Logistica e trasporti 4.344 999 2.695 1.303 404 9.747

% - Logistica e trasporti 44,6% 10,3% 27,7% 13,4% 4,2% 100,0%Fonte: Elaborazione SRM

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CAPITOLO 7

IL SETTORE DELLA COMUNICAZIONE, LE IMPRESE E I SERVIZI

Francesco Saverio Coppola, Antonio Acampora

1. Introduzione

oggigiorno la comunicazione si presenta come lo strumento fondamentale del van-taggio competitivo. Dall’avvento della società dei consumi – fine del XIX secolo – le merci vengono classificate non più solo per il loro valore d’uso, ma per quello simbolico o di immagine. Il consumo, difatti, diviene sempre più comunicazione e meno funzione. Alla competizione sulle prestazioni base e sui benefici specifici, quindi, si aggiunge la competizione giocata sulle politiche di branding, ossia sulla capacità delle imprese di riuscire a costruirsi un marchio con un’immagine particolarmente forte, alla quale vengano associate, di volta in volta, percezioni di qualità, di valori, di emozioni, di status, etc. La comunicazione, attraverso le sue varie forme e i suoi diversi strumenti, diventa allora il mezzo ideale per riuscire in questa opera e costruire così una delle risorse intangibili più importanti e a più lungo ritorno per l’azienda. L’impresa è spinta, dunque, a ricercare valori da comunicare che si mantengano relativamente stabili nel tempo, valori che la connotino e che possano essere propri solo dell’identità dell’azien-da. In più l’apertura di mercati sempre più vasti – dapprima regionali, poi nazionali, in seguito internazionali – ha amplificato maggiormente la necessità da parte delle imprese di comunicare per distinguersi dalla concorrenza.

I servizi della comunicazione sono perciò importanti per la competitività e lo svi-luppo internazionale delle imprese, soprattutto per le tante piccole e medie imprese che continuano a tenere il passo nonostante la complessità e le difficoltà che la globalizza-zione dei mercati introduce, in misura crescente, nello scenario competitivo. La comu-nicazione ha un ruolo fondamentale per accendere i riflettori su queste realtà, sulle loro capacità e sui loro successi.

La prima parte della ricerca si propone di analizzare non solo l’importanza della comunicazione per le imprese, ma soprattutto la rilevanza dei servizi offerti dalle impre-se di comunicazione alle aziende. Non solo pubblicità, ma anche consulenza e below the line diventano sempre più fattori strategici per lo sviluppo delle aziende.

oggetto dell’indagine sono dunque le imprese di comunicazione e marketing ita-liane, e in particolar modo campane, che svolgono attività connesse alle erogazioni di consulenza e servizi per la comunicazione d’impresa. Nella seconda parte della ricerca, queste ultime saranno esaminate rispetto al mercato di riferimento e, nella terza parte, in termini di capacità di sviluppo internazionale.

Per ciò che concerne l’internazionalizzazione, nonostante gli annosi problemi che

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attanagliano il fragile sistema economico meridionale, con il suo carico di piaghe ambientali, arretratezza e debolezze strutturali, bisogna dire che la regione esprime real-tà positive, ovvero imprese di comunicazione campane che vantano capacità importanti ed esperienze di qualità. Sono le imprese al passo con i tempi, le aziende che hanno compreso la rilevanza di internet, delle forme di comunicazione innovative come il marketing on line, il dialogo multicanale con il cliente o il customer relationship mana-gement. Sono le imprese che continuano a puntare sulla creatività, ma che si innovano costantemente, che fanno formazione e che cavalcano l’onda anomala del cambiamento, probabilmente un vero tsunami se si considera lo scenario bloccato della Campania e la poca attitudine all’investimento in comunicazione delle PMI campane.

Alcune di queste imprese di comunicazione sono riuscite a superare i confini regio-nali e nazionali ottenendo risultati di indubbio valore.

Climax dell’ultima parte della ricerca sarà un focus su tre casi aziendali: tre imprese di marketing e comunicazione che hanno internazionalizzato i propri servizi, dimostran-do quanto competenze, skills, know how contino più di ostacoli o immeritati pregiudizi nei confronti delle aziende campane.

2. Impresa e comunicazione: la relazione azienda-consumatore

Il fenomeno della globalizzazione ha generato nuove realtà e ha dato vita a una nuova figura di consumatore: più evoluto, più informato e più attento.

Un consumatore che sfugge ai tradizionali tentativi di classificazione che hanno fino-ra guidato le scelte delle imprese, un consumatore che cerca forti contenuti emozionali, che dialoga e non è passivo. Un consumatore ‘esperto’ che con le sue richieste e con le sue scelte indirizza e accelera il cambiamento nei prodotti e nei servizi in sintonia con i propri valori e principi.

Le imprese, per poter emergere e soddisfare bisogni sempre più diversi e differen-ziati, devono essere presenti e vicine al cliente per capirlo e per ricercare soluzioni di prodotti e di servizi sempre più innovativi e personalizzabili.

La segmentazione e la centratura dei target diventano perciò la vera sfida di ottimiz-zazione dell’investimento. Il target, infatti, rappresenta la variabile indipendente, dai quali riassestamenti è dipesa la modernizzazione delle pratiche del marketing.

Neo, tribal, territoriale, guerrilla, viral, sono solo alcuni dei nuovi prefissi e dei nuovi termini che accompagnano il marketing.

I nuovi approcci ‒ estremamente innovativi e originali ‒ mirano a costruire con i target delle relazioni più autentiche ed intime, con la finalità di costruire un valore che giovi tanto all’impresa quanto ai target stessi.

Di conseguenza per le imprese diventa un momento importante e significativo comunicare con il consumatore. Comunicare significa instaurare un colloquio, entrare in contatto, e la comunicazione generata dalle imprese gioca un ruolo fondamentale: deve essere in grado di creare un ponte sul quale far scorrere la relazione bilaterale tra l’azienda ed il cliente.

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In particolare la pubblicità ‒ oltre ad essere un’importante leva strategica ‒ è il mezzo attraverso cui l’impresa crea le condizioni necessarie per generare tra azienda e acquirente una relazione profonda, duratura, ma soprattutto interattiva. La relazione interattiva è una relazione presente, proattiva tra azienda e cliente, in grado di creare un rapporto di scambio d’informazioni essenziali sia per l’impresa, che in questo modo può soddisfare le esigenze e i bisogni dei suoi clienti, sia per il consumatore, che così si sente ascoltato e può dar voce ai suoi desideri.

GraFiCo 1Rapporto sugli strumenti di comunicazione utilizzati dalle aziende italiane

(anno 2007)

85

48,8

90

51,3

27,5

16,3

73,8

72,6

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

TV

Radio

Stampa

Affissioni

Telepromozioni

Internet

B.S. Aziende

Magazine

Fonte: Istituto Criterion

Il Rapporto 2007 sugli strumenti di comunicazione1 più utilizzati dalle aziende italiane (grafico 1) dimostra che un’impresa si rivolge ai propri clienti, ma anche ai dipendenti, ai mercati finanziari, alle istituzioni (stakeholders) utilizzando media tradizionali e/o diretti.

La comunicazione, dunque, va molto al di là della pubblicità e/o delle relazioni pub-bliche. Un’impresa comunica attraverso il brand, il packaging, la forza vendita, l’house organ, il sito web; comunica con le proprie azioni, e persino con il proprio silenzio.Un’impresa, come un individuo, non può non comunicare2.

1 La società The Marketing House ha incaricato l’Istituto Criterion di eseguire uno studio sugli strumenti di comunicazione utilizzati dalle aziende. Le informazioni sono state ottenute dall’analisi di dati raccolti con un approccio quantitativo, mediante interviste telefoniche ai Responsabili Marketing di aziende appartenenti al settore del Largo Consumo.

2 Secondo Paul Watzlawick (1921-2007), psicologo austriaco e primo esponente della statunitense Scuola di Palo Alto, la comunicazione è caratterizzata da cinque assiomi. Il primo afferma che non si

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Sempre più aziende, infatti, hanno compreso che attraverso la comunicazione l’im-presa rafforza la propria immagine e afferma la propria identità.

La gestione dell’immagine si esprime attraverso la capacità dell’impresa di far per-cepire ai diversi pubblici le proprie competenze distintive e intangibili, così da ottenere credibilità e un elevato consenso nei confronti dell’impresa stessa.

Nel Mezzogiorno e in Campania le imprese ancora con difficoltà percepiscono l’im-portanza della comunicazione come fattore strategico, ma proprio per questo si tratta di un territorio che esprime enormi potenzialità sotto il profilo dello sviluppo, potenzialità che se opportunamente veicolate, possono creare un effetto moltiplicatore estremamente interessante.

Il Sud è ancora un terreno incolto, da dissodare e coltivare con i semi del cambia-mento culturale e tecnologico, a partire dalla specializzazione del capitale umano fino alla sensibilizzazione del tessuto imprenditoriale.

Una maggiore consapevolezza del ruolo fondamentale rivestito dalla comunicazione è alla base della relazione con i clienti target ed è quindi la chiave del successo compe-titivo. Ciò vale soprattutto nel Meridione, dove la comunicazione non è più un optional, ma una necessità.

3. Le imprese di comunicazione: la relazione cliente-agenzia

oggi l’impresa è impegnata in un ruolo di comunicazione le cui modalità non sono certo lasciate al caso o all’intuizione spicciola, ma che sono affidate invece ad esperti (agenzie di pubblicità, etc.) che curano i dettagli più minuti.

Sono le imprese di comunicazione che offrono competenze e soluzioni in risposta alle diverse esigenze di un’azienda, dal marketing alla pubblicità.

I servizi offerti dalle imprese di comunicazione

In genere le agenzie di comunicazione svolgono soprattutto prestazioni di carattere creativo, consistenti nello studio e nella ideazione delle campagne di comunicazione. Il risultato di tali prestazioni viene comunemente definito “creatività”: espressione con la quale si indica sia l’idea creativa che sta alla base della campagna, sia le sue estrinseca-zioni concrete e qualsiasi altro elemento che sia frutto dell’attività ideativa dell’agenzia. Le imprese di comunicazione, però, non apportano alle aziende solo un insostituibile contributo creativo, ma si propongono di assumere un ruolo consulenziale ed essere concrete per efficacia organizzativa. Così, oltre a coinvolgere e incuriosire, emozionare e intrattenere, è necessario produrre risultati concreti in termini di sell-out e quota di mercato, notorietà e immagine:

la copertura reale del target ricercato• la qualità del contatto (l’attenzione, la comprensione, la credibilità)•

può non comunicare.

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le soglie di accesso e di visibilità• la rispondenza alle politiche di marketing• la pressione ottenibile•

La gamma dei servizi offerti dalle imprese di comunicazione è in genere molto ampia e ciascuna offre un ventaglio di possibilità che copre aree numerose ed eterogenee quali direct marketing, promozioni, relazioni pubbliche, eventi, etc.

Le imprese che si sono sintonizzate con le nuove esigenze scaturite dalla globaliz-zazione ‒ e che quindi hanno fatto i conti con il web – hanno sviluppato approcci di comunicazione one to one e si sono aperte verso il servizio completo. Non solo pub-blicità sui media classici quindi, oggi l’advertising classico ha sempre più bisogno di essere integrato con PR, eventi, internet e altri strumenti che dialoghino costantemente. Tutte queste iniziative sono considerate nel loro complesso e costituiscono un sistema articolato di comunicazione in cui ciascun componente offre stimoli agli altri, aumen-tandone la forza.

Le agenzie di comunicazione devono essere in grado di offrire al cliente tutti i servizi di cui potrebbe avere potenzialmente bisogno per attuare un piano coerente di comunicazione integrata. Ciò è ancor più evidente nel peso, sempre maggiore, che viene dato alla voce “below the line” (direct marketing, incentivazioni, promozioni, eventi, sponsorizzazioni, P.R.).

In generale i servizi che sono assicurati dalle imprese di marketing e comunicazione sono:

Consulenza di marketing e comunicazione• Progettazione di strategie di comunicazione• Indagini di mercato• Pianificazione mezzi• Acquisto mezzi• Advertising• classicoComunicazione interattiva (Internet, CD, etc.)• Progettazione, realizzazione, gestione siti web• Below the line• (direct marketing, promozioni, etc.)Packaging• Sponsorizzazioni • Eventi• Pubblicazioni• Relazioni pubbliche• Ufficio stampa• Produzione e post-produzione filmati• Call center • per customer care.

Complessivamente si segnala una netta virata a favore della consulenza strategica ed un’estensione dei prodotti e servizi nell’area della comunicazione interattiva.

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Le aziende clienti e le agenzie di comunicazione

Il territorio italiano vanta numerose strutture che svolgono attività connesse all’ero-gazione di consulenze e servizi per la comunicazione d’impresa. In Italia, infatti, la vocazione ad intraprendere è molto forte, nonostante la consapevolezza di una condizio-ne generale del Paese non particolarmente favorevole sotto il profilo strutturale. E ciò vale in modo particolare per il settore della comunicazione.

Se si raffrontano le medie di profitto lordo delle imprese di comunicazione straniere con quelle italiane si evidenzia un gap notevole. All’estero potremmo parlare di high budget perché le imprese investono molto in comunicazione. In Italia, al contrario, a causa della stagnazione della domanda interna, la spesa in comunicazione si contrae al punto che nel Nord Italia si parla di low budget e al Sud addirittura di no budget.

Nonostante i dati confortanti dei Rapporti AssoComunicazione3 di fine 2007 e del primo semestre del 2008, che segnalano un incremento rispettivamente del 4,1% e del 4,4% del mercato della comunicazione in Italia4, la situazione resta difficile e non cam-bia.

L’aumento degli investimenti pubblicitari oggi non ha più nessuna correlazione con la remunerazione delle imprese di comunicazione, che troppo spesso vengono consi-derate una commodity. Sebbene il tasso di crescita sia particolarmente significativo, il mercato della comunicazione sta subendo un’ondata di banalizzazione della creatività. è il prezzo ciò che conta, e la professionalità e la competenza degli esperti di comunica-zione sono sempre meno valorizzate dai clienti, i quali cercano solo fornitori economici, non consulenti.

Al bivio tra convenienza e qualità, le aziende utenti si dirigono verso le prime. La conseguenza è che oggi sono le agenzie che devono cercarsi i clienti di qualità su cui investire, e non viceversa.

Le società di marketing e comunicazione italiane, inoltre, si trovano immerse in un cambio di scenario epocale che ha implicato mutamenti importanti nel campo dell’inte-rattività e della multimedialità, della flessibilità e della personalizzazione.

Capovolgere strategie, riconvertire professionalità, adeguare tecnologie e aprirsi verso nuove aree business, sono state azioni necessarie al fine di consolidare la profes-sionalità delle imprese di comunicazione. Le rendite di posizione di queste ultime, infat-ti, non potevano più funzionare a fronte di un quadro mutevole, fortemente dinamico e sottoposto ad una continua accelerazione.

Il rapido adeguamento delle imprese di comunicazione alle opportunità offerte dall’innovazione tecnologica ha comportato perciò cambiamenti significativi nello sviluppo della consulenza strategica, nell’allargamento alla comunicazione interattiva e nell’ampliamento dell’offerta in una logica di comunicazione integrata. Quest’ultima, difatti, deve rendere coerente un insieme eterogeneo di elementi connessi a ciò che

3 I rapporti annuali Comunicare Domani sono formulati dal Centro Studi AssoComunicazione ‒ Associazione delle Imprese di Comunicazione ‒ rappresenta 182 tra le più importanti imprese di comu-nicazione, nazionali e multinazionali, operanti in Italia.

4 Above e below the line.

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l’impresa dice (pubblicità, comunicazione interpersonale), mostra (prodotti, logo, stabi-limento), e fa (comportamenti dei membri dell’organizzazione)5.

Una buona gestione di tali elementi può essere raggiunta solo con la collaborazione e il coordinamento dell’azienda committente e dell’impresa di comunicazione, al fine di rispettare un piano di comunicazione integrata che agisca da rinforzo sul destinatario, e mai come fonte di dissonanza.

Un vero e condiviso legame di partnership cliente-agenzia è infatti necessario al superamento di questo momento non facile di cambiamento profondo del mercato.

è dunque necessario recuperare in modo deciso il rapporto di consulenza che dovrebbe esistere tra aziende clienti e imprese di comunicazione (specialisti del settore, consulenti che costruiscono valore nel tempo). La consulenza è necessaria per oliare dall’interno meccanismi arrugginiti, per sostituire ‘pezzi’ ormai obsoleti e per innescare un’attitudine all’innovazione continua, e ‒ soprattutto nelle aziende del Sud – per edu-care alla cultura della comunicazione.

4. La domanda nel mercato della comunicazione

Gli investimenti in comunicazione in Italia

Nonostante il contesto macro-economico incerto, dove i timori di recessione sono sempre più preoccupanti, i dati AssoComunicazione provano che il mercato della comunicazione continua a crescere con un tasso del +4,4%. Nielsen Media Research6 specifica che gli investimenti pubblicitari nel primo semestre del 2008 hanno superato i 4.760 milioni con un incremento del +0,9% sul corrispondente periodo del 2007. La variazione mensile, giugno 2008 su giugno 2007, è del -0,9% (grafico 2) e si prevede per la fine di quest’anno una chiusura positiva del +2,6%.

5 Collesei U., Ravà V. (2004), La comunicazione d’azienda. Struttura e strumenti per la gestione, ISEDI, p. 47.

6 Nielsen Monthly Report (Agosto 2008). Panoramica mensile su indicatori macroeconomici e inve-stimenti pubblicitari.

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GraFiCo 2 Variazione percentuale mensile degli investimenti pubblicitari

5

6,1

-1,77

1,8

1,4

-0,9

-3

-2

-1

0

1

2

3

4

5

6

7

G F M A M G L A S O N D

Fonte: Nielsen Media Research

A fronte della crescita costante degli investimenti in comunicazione in Italia, secon-do le previsioni 2005/2008 condotte da Astra/Airesis per conto di UPA7, i settori più dinamici, destinati a sostenere la domanda di comunicazione sono:

ICT• e telefoniaDistribuzione• Banche, assicurazioni e servizi finanziari• Lusso e alto di gamma• Automotive• Fast moving goods• Elettronica di consumo•

Mentre per ciò che concerne il potenziale di domanda sin ora inespresso, ma che appare destinato a maturare, a livello nazionale e locale, UPA ha identificato tipologie di utenti rappresentati dalle marche locali e dalle imprese del Sud, dalla comunicazione pubblica e dai settori storicamente in ritardo.

Stabili o in modesta crescita, invece, gli investimenti dei singoli utenti. Questi rispondono a tre fenomeni chiave:

la riduzione dei margini, a causa della crescente competitività dei mercati e della • necessità di stimolare la domanda con proposte convenienti;le reti di vendita quale destinazione obbligata di risorse aggiuntive;• le conseguenze del ricorso a forme e mezzi ritenuti più impattanti e segmentanti, • rivelatisi meno costosi e con basse soglie di visibilità.

La ricerca segnala poi i settori in ripiegamento, ossia destinati a confermare o a ridurre l’entità degli investimenti in comunicazione:

Editoria e media• 7 Il futuro della pubblicità. Ricerca predittiva UPA ‒ Utenti Pubblicità Associati ‒ sugli investimenti

in comunicazione in Italia 2005/2008.

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Abbigliamento e tessile• Arredo-casa e complementi•

Viste le previsioni UPA, i dati Nielsen Media Research mostrano, nell’anno 2007, un trend positivo per Automobili (+1,7%), Telecomunicazioni (+7,4%), Abbigliamento (+19,9%) e Finanza/Assicurazioni (+11,3%), mentre per gli Alimentari, livelli di spesa leggermente inferiori al 2006 (-0,4%). Bevande/Alcoolici e Media/Editoria hanno mostrato poi un calo rispettivamente del -3,9% e del -3,3%. Nei primi sei mesi del 2008, Telecomunicazioni (+7,2%) e Abbigliamento (+10,2%) confermano il loro andamento positivo. In flessione invece Bevande/Alcoolici (-3,9%), Finanza/Assicurazioni (-7,9%) e Media/Editoria (-4,1%). Si registrano infine stabili sui valori del 2007 le Automobili (+0,1%) e gli Alimentari (-0,6%).

GraFiCo 3 Variazione percentuale degli investimenti pubblicitari (settori 2007-2008)

7,40%

19,90%

11,30%

-0,40%

-3,30% 1,70%

7,20%

10,20%

-3,90%

-7,90%

-0,60%

-4,40%

0,1%

-10%

-5%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

2007 2008

Fonte: Nielsen Media Research

Nielsen Media Research segnala inoltre i Top Spender del 2008: ai primi posti della classifica su 250 spender rilevati si confermano un’azienda del non food, Unilever, e due operatori di telefonia mobile (Wind e Vodafone), seguono in terza, e quarta posizione un’azienda del food, Ferrero, e Volkswagen.

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tabella 1 Aziende top spender in pubblicità gennaio/luglio 2008

Top Spender pubblicitari in Italia (anno 2008) 1° Unilever2° Wind3° Vodafone4° Ferrero5° Volkswagen6° P&G7° Regione Fiat Div.Fiat Auto8° Tim9° Barilla10° L’oreal Saipo

Fonte: Nielsen Media Research

La classifica conferma l’andamento dei settori più importanti, che distribuiscono gli investimenti in pubblicità sui media più disparati, ovvero da quelli classici ai new media. L’analisi Nielsen sui singoli mezzi evidenzia nel periodo gennaio/luglio 2008 una crescita della Televisione del +1,6% e un rallentamento della Stampa del -2,7%. In particolare, i Quotidiani a pagamento registrano il -2,9%, con la Commerciale Naziona-le a -6,9%, la Locale a +4,3% e la Rubricata/Di Servizio a -1,2%. Sui Quotidiani sono in forte calo gli investimenti delle Automobili (-19,5%) e della Finanza/Assicurazioni (-14,1%), mentre continua il trend positivo dell’Abbigliamento (+23,3%). I Periodici sono in flessione del -2,3%, con un deciso rallentamento a giugno 2008. Sui Periodici cresce l’Abbigliamento (+7,9%), ma diminuiscono Cura Persona (-11,1%), Abitazione (-2,3%) e Alimentari (-9,5%).

La Radio cresce all’inizio dell’anno del +6,0% e raggiunge i 269 milioni. L’outdoor si assesta sul +1,9%, mentre il Cinema scende a -14,7%. Internet ha un incremento del +22,7% grazie anche agli investimenti di Finanza/Assicurazioni (+52,3%), Telecomuni-cazioni (+30,3%) e Auto (+45%).

Fenomeno in grande ascesa è quello delle Cartoline pubblicitarie, la cui raccolta è di 3,7 milioni contro i 3,1 milioni del 2007.

Per ciò che concerne gli investimenti pubblicitari sui Quotidiani Free/Pay Press e sulle Tv satellitari, la raccolta complessiva di City, Leggo, Metro, 24 Minuti ed EPolis è di circa 74 milioni. Infine per i canali Sky Sport 1, Sky Cinema 1, Sky Cinema 3, Sky Tg 24, Fox, Fox Life, Fox Crime e National Geographic è di 50,2 milioni.

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tabella 2Ripartizione degli investimenti pubblicitari in Italia sui singoli mezzi (anno 2008)

Gen./Nov.2006 Gen./Nov.2007 Var.%TV 2.823.644 2.866.228 1,5Stampa 1.771.313 1.711.065 -3,4Quotidiani (Senza free/pay press) 1.039.769 1.002.781 -3,6Comm. Nazionale (*) 563.720 522.178 -7,4Comm. Locale (fonte Fcp) 267.576 276.942 3,5Rubricata + di servizio (fonte Fcp) 208.473 203.661 -2,3Periodici (*) 731.544 708.284 -3,2Radio 291.300 306.033 5,1Internet (Fonte: osservatorio IAB Italia/ FCP-AssoInternet) 154.203 186.191 20,7Affissioni (Fonte: Audiposter) 136.565 137.992 1,0Cinema 32.690 27.633 -15,5Cards (Fonte: Promocard) 4.077 4.299 5,4Totale Pubblicità 5.213.792 5.239.440 0,5Quotidiani e Periodici: Le elaborazioni sono effettuate con il contributo di FCP.Fonte: Nielsen Media Research

Più completi i dati AssoComunicazione, che oltre alla pubblicità prendono in con-siderazione anche gli altri mezzi di comunicazione8 e non solo quelli della pubblicità. Tale caratteristica risponde infatti al tentativo di adeguarsi ad un mercato sempre più complesso e difficile da tracciare. Ad ogni modo lo studio Comunicare domani 2008 conferma i grandi trend che emergono dai dati Nielsen e UPA, ossia il rallentamento “strutturale” della crescita della TV via etere (+48%) e, al contrario, il fiorente sviluppo del comparto digitale e di Internet (+ 33,5%), che da soli producono i due terzi della crescita complessiva del mercato nell’area classica. Interessanti i dati sull’incremento degli investimenti nel below the line: le attività di marketing e comunicazione di rela-zione continuano a crescere con tassi sorprendenti; si conferma, in particolare, dopo un positivo 2007, un grande fermento nel comparto degli eventi.

8 A conferma della crescente importanza rivestita dal below the line, recentemente l’assemblea di AssoComunicazione ha deciso di allargare la rappresentatività a due nuovi settori del mondo della comu-nicazione dando vita a due nuove consulte: Eventi e Sponsorizzazioni. I comparti di AssoComunicazio-ne diventano quindi otto: Pubblicità e Comunicazione Globale; Promozione, Incentivazione e Servizi di Marketing; Media (strategie planning e buying); Relazione Pubbliche; Direct Marketing; Digitale; Eventi; Sponsorizzazioni.

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tabella 3Il mercato della comunicazione in Italia:

Dati 2008 (mil. Euro) e variazione 2008 vs. 2007 (tassi nominali)

Media Investimenti 2008 ∆%

Stampa Quotidiana 1.810 0,5Stampa Periodica 1.492 0,8Totale Stampa 3.302 0,7Televisione 5.362 1,7Radio 695 4,5Cinema 61 -5Esterna 823 2,5Digitale 917 33,5Totale Mezzi “classici” 11.160 3,6Costi di produzione 830 1,2Totale Area “classica” 11.990 3,4Direct Marketing 5.062 3Promozioni 4.601 5Relazioni Pubbliche 2.122 4Sponsorizzazioni ed eventi 1.300 18,2Marketing e Comunicazione di Relazione 13.085 5,2Totale Generale 20.080 4,4Fonte: Elaborazione AssoComunicazione

La domanda complessiva del mercato della comunicazione in Italia mostra segnali positivi che vanno colti dalle imprese di comunicazione. La domanda si dirige soprat-tutto verso la strada della modernizzazione e ciò implica un’offerta che abbia accolto le novità strutturali del settore, ossia le nuove tecnologie e la nuova configurazione assunta dal consumatore.

Gli investimenti in comunicazione in Campania

Come si è detto, l’Italia meridionale non ha una forte attitudine agli investimenti in comunicazione, nel senso che sono poche le aziende che investono sul territorio. La spesa è concentrata nelle grandi imprese, ma le PMI campane, sono quasi estranee al mondo della comunicazione, soprattutto per ciò che concerne la pubblicità propriamente detta (solo le imprese del settore dell’abbigliamento sono quelle che investono in pubbli-cità, le imprese alimentari, invece, ricorrono per lo più a politiche di merchandising).

Nonostante tutto, per ciò che concerne la ripartizione degli investimenti pubblicitari per regione e area geografica, la Campania raggiunge la quota di 104.457 migliaia di euro: un buon risultato se si considera l’intera area del Mezzogiorno9 (247.746). Tale area geografica rappresenta, però, solo il 3% del totale sugli investimenti pubblicitari nel 2007. Difatti al Centro10 la spesa sale al 26% e al Nord11 al 71%.

9 L’area Nielsen 4 comprende: Campania, Puglia, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise.10 L’area Nielsen 3 comprende: Lazio, Toscana, Umbria, Marche, Sardegna.11 L’area geografica del Nord Italia è suddivisa a sua volta in due aree. L’area Nielsen 1 comprende:

Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta. L’area Nielsen 2 comprende: Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige.

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tabella 4 Ripartizione degli investimenti pubblicitari in Campania sui singoli mezzi

(anno 2007)Investimenti in migliaia di € Var.%

TV 41.622 39,8Radio 1.178 1,1Quotidiani 26.983 25,8Periodici 23.705 22,7Esterna 9.626 9,2Cinema 541 0,5Internet 802 0,8Totale investimenti 104.457Fonte: Elaborazione SRM su dati Nielsen e UPA

I dati AssoComunicazione12 più recenti sulla regione risalgono al 2006 e riconoscono la Campania come la prima regione nell’Italia meridionale per investimenti pubblicitari: leader nel Mezzogiorno e settima a livello nazionale.

Il trend delle somme impiegate dalle aziende campane in comunicazione è difatti aumentato costantemente segnalando +17% a fine 2005 e +18% a fine 2006.

Le aziende campane che hanno maggiormente investito in pubblicità nel 2006, sono la Società Generale Acque Minerali di Caserta (Acqua Lete). Secondo per consistenze è il gruppo alberghiero di Napoli, terza la Cafè Do Brasil (Kimbo e Kosè) di Melito (Na) e quarta la TLC spa orta (Eldo negozi elettrodomestici) di Atella (Ce). Alle spalle stanno, infine, Moby Lines, Imap Export Mugnano (original Marines abbigliamento), Regione Campania, Melluso calzature e fra questi un nuovo operatore di telefonia fissa Klik.

tabella 5Classifica delle aziende campane top spender

Top Spender pubblicitari in Campania (anno 2006)1° Acqua Lete2° Aurum Hotel3° Kimbo e Kosè4° Eldo negozi elettrodomestici5° Moby Lines6° original Marines abbigliamento7° Regione Campania8° Melluso calzatureFonte: Elaborazione SRM su dati AssoComunicazione

I dati forniti da AssoComunicazione, però, fanno riferimento solo alle grandi aziende campane, oramai marchi nazionali, di cui alcuni conosciuti anche all’estero, i quali inve-stono in comunicazione, ma non si servono delle imprese di marketing e comunicazione locali. Ciò rappresenta una minaccia per gli imprenditori campani che vogliono dare inizio ad un’attività del settore della comunicazione in Campania, ma rappresenta un ostacolo anche per la sopravvivenza delle piccole imprese già presenti sul territorio che

12 I dati sono stati illustrati durante la tappa napoletana delle “Giornate di AssoComunicazione” (28 settembre 2006).

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

288

spendono parte delle loro energie nel trainare la domanda. Quest’ultima, dai dati a nostra disposizione, risulta ancora poco sviluppata per ciò che concerne il comparto digitale.

Viste le medie nazionali di investimenti su internet (+30,2%) questa è un’opportu-nità che non va sottovalutata, ma vi sono già i segnali di un rapido allargamento della platea di operatori interessati a porre in rete i propri contenuti e servizi. L’effetto sarà un aumento esponenziale degli spazi e dei contenitori a disposizione della comunicazione commerciale e d’impresa.

5. L’offerta: il quadro delle imprese di comunicazione in Italia e in Campania

Caratteristiche strutturali del settore della comunicazione in Italia

Secondo il Primo Rapporto sugli Indicatori dei Servizi Innovativi e Tecnologici13 edito da Confindustria nel 2008, l’area dei servizi di comunicazione e marketing14 rap-presenta nel 2007:

il 3,4 % del settore dei Servizi Innovativi e Tecnologici per ciò che concerne il nume-• ro di addetti (grafico 4);il 6,1• % del settore rispetto al fatturato conseguito (grafico 5);il 2,6 %• del settore in termini di valore aggiunto (grafico 6).

GraFiCo 4 Composizione % dei Servizi Innovativi e Tecnologici per Area (addetti 2007)

4,8

16,5

1,2

14,5 14,6

3,4

31,7

2,29

11

0

5

10

15

20

25

30

35

Tel

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unic

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Info

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ia

Fonte: Elaborazione SRM su stime Confindustria Servizi Innovativi, dati ISTAT e bilanci aziendali (banca dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck15)

13 Servizi che basano il proprio valore aggiunto sulla tecnologia e soprattutto sulle professionalità e la capacità di creare innovazione: Comunicazione e Marketing, Consulenza e servizi professionali, Informatica e attività connesse, Ingegneria territorio ed ambiente, Servizi integrati agli immobili ed alle infrastrutture, Prove controlli e certificazioni, Radiotelevisione, Telecomunicazioni, Altri servizi per l’economia e le persone.

14 Comprende i comparti della pubblicità, ricerche di mercato e relazioni pubbliche.15 Il database che comprende i bilanci di tutte le società di capitali italiane che presentano un valore

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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GraFiCo 5 Composizione % dei Servizi Innovativi e Tecnologici per Area (fatturato 2007)

18,6

14

3

19,1

10,5

6,1

15,5

1,5

11,8

0

5

10

15

20

25

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Fonte: Elaborazione SRM su stime Confindustria Servizi Innovativi, dati ISTAT e bilanci aziendali (banca dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck)

GraFiCo 6 Composizione % dei Servizi Innovativi e Tecnologici per Area (valore aggiunto 2007)

19,2

15,5

2,3

16,8

12,9

2,6

23,7

2

5

0

5

10

15

20

25

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Info

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Fonte: Elaborazione SRM su stime Confindustria Servizi Innovativi, dati ISTAT e bilanci aziendali (banca dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck)

Nel quinquennio tra il 2003 e il 2007, a fronte di una crescita lenta dell’economia italiana, si è registrato un forte sviluppo del settore dei Servizi Innovativi e Tecnologici

della produzione superiore a 100.000 euro.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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e nello specifico del settore della comunicazione (tabella 6):

+16% in termini di numero di imprese costituitesi nel quinquennio (a fronte di una • crescita italiana pari al 4% nel quinquennio);+15,4% di addetti (a fronte di una crescita dell’occupazione italiana pari al 5%);• +27% di dipendenti (a fronte di una crescita italiana pari all’8%);• +30,7% in termini di fatturato (a fronte di una crescita italiana pari al 15%);• +68,5% di investimenti fissi lordi del settore (a fronte di una crescita italiana del • 17%).

tabella 6 Caratteristiche strutturali ed evoluzione del settore comunicazione e marketing

nel quinquennio 2003-2007Anni Imprese Crescita %

annua Addetti Crescita %annua Fatturato Crescita %

annuaInvest.

fissi lordi1Crescita %

annua2003 25.686 73.107 12.745 2982004 26.620 3,60% 74.925 2,50% 16.540 8,60% 337 13,10%2005 27.799 4,40% 77.733 3,70% 17.515 5,90% 370 9,80%2006 28.774 3,50% 81.018 4,20% 18.804 7,40% 443 19,70%2007 29.789 3,50% 84.358 4,10% 19.911 5,90% 502 13,30%

Fonte: Elaborazione SRM su stime Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, su dati ISTAT e bilanci aziendali (Banca dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck).

Il rapporto Confindustria fornisce dati dettagliati anche sulla composizione del setto-re per comparti (tabella 7). Anche tale analisi, che comprende il comparto della pubblici-tà, una stima (74.14.5), e delle relazioni pubbliche16, evidenzia una crescita costante.

tabella 7 Caratteristiche strutturali ed evoluzione dei comparti della pubblicità

e delle RP nel quinquennio 2003-2007Anni Imprese Crescita %

annua Addetti Crescita %annua Fatturato Crescita %

annuaInvest. fissi

lordiCrescita %

annua2003 18.940 3.555 13.019 2332004 19.671 3,90% 55.139 3,00% 14.089 8,20% 288 23,60%2005 20.874 6,10% 57.401 4,10% 14.742 4,60% 342 18,80%2006 21.811 4,50% 60.547 5,50% 15.693 6,50% 407 19,00%2007 22.773 4,40% 63.682 5,20% 16.470 5,00% 461 13,30%

Fonte: Elaborazione SRM su stime Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, su dati ISTAT e bilanci aziendali (Banca dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck).

I principali attori di questo settore, ossia le imprese di comunicazione, e in special modo le agenzie di pubblicità, sono realtà vitali con un altissimo indice di notorietà, protagoniste storiche del mondo della comunicazione in Italia e all’estero.

16 L’analisi è stata realizzata attraverso i dati di bilancio di un campione di oltre 600 imprese iscritte nel codice ATECo2002.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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GraFiCo 7 Indice di notorietà spontanea (in%)

0 10 20 30 40 50 60 70

Armando Testa

Young & Rubicam

Leo Burnett

Publicis

Ogilvy & Mather

Tbwa\Italia,

e Grey Worldwide

DDB / Verba

Saffirio Tortelli Vigoriti

Cayenne

In Adv

Arnold Worldwide (ex Ata De Martini & C.)

Colnaghi & Manciani/Spriger&Jacoby

B Communications

Max Information

Draft\fcb

The Beef

La scuola di Emanuele Pirella

Forchets

Le balene

Gottsche

Fonte: indagine C.R.A. ‒ Customized Research & Analysis

L’indagine C.R.A. ‒ Customized Research & Analysis ‒ svolta per Pubblicità Italia17, afferma che nell’anno 2007 il ranking delle agenzie più note ai responsabili marketing o comunicazione delle aziende italiane top spender in pubblicità (grafico 7) vede al primo posto Armando Testa, la nota agenzia creata dal noto disegnatore, cartoonist e autore grafico e di testi per il settore della pubblicità. Al secondo posto si posiziona Saatchi & Saatchi (41%), seguono, con risultati simili tra loro, Young & Rubicam (37%), McCann-Erickson (36%), Leo Burnett (35%) e JWT (34%). Troviamo poi Publicis (29%), Lowe Pirella Fronzoni (26%), ogilvy & Mather (25%) e D’Adda, Lorenzini, Vigorelli, Bbdo (24%). Considerando le agenzie che hanno ottenuto risultati superiori o uguali al valore medio di awareness spontanea (12%), la classifica vede infine Tbwa\Italia, Euro Rscg Milano e Grey Worldwide.

17 L’indagine C.R.A. ‒ Customized Research & Analysis ‒ svolta per Pubblicità Italia, analizza la percezione e il vissuto delle agenzie di pubblicità su un target particolare: le aziende che più spendono in pubblicità. Si tratta di 129 responsabili dei rapporti con le agenzie di 109 aziende facenti parte dei primi 360 top spender.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

292

GraFiCo 8 Agenzie utilizzate nel 2007

0 5 10 15 20 25 30 35

Altre agenzie minori

1861 United

Bcube

Draft\fcb

In Adv

The Beef

Leagas Delaney

Max Information

Red Cell

Arnold Worldwide (ex Ata De Martini & C.)

DDB / Verba

Lowe Pirella Fronzoni

Grey Worldwide

Saffirio Tortelli Vigoriti

Ogilvy & Mather

JWT J. Walter Thompson

Publicis

Armando Testa

Fonte: indagine C.R.A. ‒ Customized Research & Analysis

Per ciò che concerne l’effettiva utilizzazione delle imprese di comunicazione (grafico 8) da parte delle aziende, è rilevante la percentuale delle agenzie di dimensioni minori. Le imprese di comunicazione, difatti, vengono valutate e scelte dai clienti in forza del valore intrinseco, della competenza e della professionalità e non delle dimensioni. Come tutta l’economia italiana, il settore in generale è contraddistinto dalla forte presenza di microimprese e in particolare dalle società unipersonali.

Di piccole e medie dimensioni sono le agenzie di comunicazione del territorio campano. La regione Campania vede, infatti, la presenza di un tessuto estremamente frammentato di aziende di comunicazione che si destreggiano in un mercato ancora poco florido, dove l’attitudine alla comunicazione non è ancora interiorizzata dalla maggior parte delle PMI campane.

Tale scenario ‒ particolarmente polverizzato ‒ è caratterizzato da moltissime imprese che si definiscono agenzie di pubblicità. In realtà, sotto la suddetta voce, ricadono nume-rose aziende che si rivolgono solo marginalmente a questa attività e che si attribuiscono competenze nel settore per il solo fatto di dedicarsi a processi relativi alla stampa, alla produzione di gadget o al direct marketing. Sono note infatti le difficoltà che si incon-trano nell’accertamento delle attività di queste aziende, così come piuttosto frequenti appaiono le risposte errate fornite dalle imprese nella registrazione alle Camere di Com-mercio o nella risposta alle indagini Istat, come il censimento del 2001.

Secondo il Registro degli operatori della comunicazione (RoC) e l’elenco del Mini-stero delle Comunicazioni è stato possibile identificare in Campania ben 543 imprese di comunicazione; di queste solo 445 sono risultate reperibili ed effettivamente operanti

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nel settore delle comunicazioni. Risultano, però, di difficile quantificazione le imprese di comunicazione in senso stretto, che si occupano di above e below the line. Queste ultime sono circa 324.

FiGura 1Identificazione del numero di imprese di comunicazione in Campania.

324 imprese di comunicazionein senso stretto

445 sono reperibili ed effettivamente operanti

In Campania sono presenti 543 imprese di comunicazioneIn Campania sono presenti 543 imprese di comunicazione

Fonte: elaborazione SRM

Sul territorio campano, si attribuiscono il nome di agenzie di pubblicità molti studi grafici (grafica pubblicitaria, serigrafia), società che si occupano di acquisto e vendita di spazi pubblicitari o singoli professionisti che operano sul web. Sono poi la realtà più consistente del settore della comunicazione campano le agenzie che forniscono servizi di direct marketing, ma soprattutto di merchandising e promozione nella grande distri-buzione.

In termini di mercato le dinamiche di nascita e fallimento di queste imprese (microimprese o società unipersonali) sono continue e costanti. Nascono intorno ad una persona specializzata ad esempio nel settore grafico o da un contatto con un cliente, ma incontrano numerose difficoltà a crescere di dimensione.

Mentre il settore cresce per l’apporto generale di tutte le imprese, nuove e vecchie, a livello di singola attività imprenditoriale si rileva una sempre più diffusa difficoltà a sviluppare il business a causa degli alti costi amministrativi, di una ancora troppo bassa sensibilità delle banche ai finanziamenti innovativi e di un basso apporto del venture capitale a livello di sistema Paese.

Il problema riscontrato in molti casi, però, è di tipo gestionale: numerose imprese non sono capaci di allargare il proprio bacino d’utenza e così come nascono, muoiono.

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Analisi di bilancio campionaria sull’universo d’imprese del database AIDA

Il database AIDA (Analisi Informazioni delle Aziende), gestito da Bureau Van Dijck Electronic Publishing, comprende i bilanci di tutte le società di capitali italiane che presentano un valore della produzione superiore a 100.000 euro. La presente analisi è stata effettuata su un campione chiuso di imprese, costruito, attraverso l’eliminazione delle imprese che in uno o più anni non presentano (per inesistenza dell’impresa o per problemi di rilevazione) il valore del fatturato. L’analisi del campione chiuso è stata necessaria al fine di confrontare in modo dinamico e non solo statico le informazioni oggetto di analisi18.

L’indagine qui proposta ha la finalità di evidenziare lo stato della struttura finan-ziaria del settore della comunicazione in Campania. Lo studio si avvale dei principali indicatori finanziari relativi al periodo 2003-2006 delle imprese di comunicazione e marketing:

codice Ateco 74.14.5 (• Pubbliche relazioni) codice Ateco 74.4 (• Pubblicità). Dallo studio delle medie del fatturato nazionale è emerso un incremento dell’11,1%

dal 2003 al 2006 che registra un trend positivo rispetto al dato campano, altalenante, ma tendenzialmente decrescente (-7,9%). L’analisi del fatturato medio (tabella 8) evidenzia, inoltre, che le cifre del panorama campano sono nettamente inferiori alle medie italia-ne. Ciò comporta un giro d’affari più esiguo, e di conseguenza ‒ a conferma di quanto asserito finora ‒ dimensioni d’impresa mediamente più piccole rispetto alle imprese di comunicazione di tutta Italia.

tabella 8 Fatturato medio 2003-2006 delle imprese di comunicazione in Italia e in Campania

Anni Fatturato medio Italia Crescita % annua Fatturato medio Campania Crescita % annua2003 6.717 1831 2004 6.946 3,4% 1775 -3,0%2005 7.115 2,4% 1806 1,7%2006 7.460 4,8% 1686 -6,6%

Fonte: Elaborazione SRM su dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck

L’indice di redditività del patrimonio netto (return on equity -RoE) a livello campano è in linea con quello nazionale, anche se leggermente più basso. Il RoE delle imprese di comunicazione campane, infatti si attesta mediamente intorno all’11,5%, valore che esi-bisce una redditività modesta rispetto al 15,2%, dato italiano. I valori campani, oggetto dell’analisi, registrano perciò un moderato rendimento del capitale netto d’impresa. Non bisogna dimenticare, però, che la minor efficienza economica aziendale, espressa da

18 Il campione chiuso permette di esaminare un nucleo chiuso di società, attraverso indicatori più affidabili anche se fanno riferimento a un campione costruito in modo razionale e che, quindi, non è rappresentativo dell’intera popolazione. Va precisato, però, che dall’analisi svolta è emerso nella maggior parte dei casi che l’indagine a campioni chiusi e quella per campioni aperti evidenziano risultati simili, soprattutto se si ragiona in termini di confronti.

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questi dati, rispecchia un deficit strutturale del settore, tipico della realtà delle imprese di medie e piccole dimensioni.

tabella 9 ROE medio 2003-2006 delle imprese di comunicazione in Italia e in Campania

Anni ROE medio Italia Crescita % annua ROE medio Campania Crescita % annua2003 18,8% 11,0% 2004 9,6% -9,2% 11,5% 0,5%2005 17,4% 7,8% 14,2% 2,7%2006 15,2% -2,2% 11,1% -3,2%

Fonte: Elaborazione SRM su dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck

Un’analisi di bilancio più approfondita ha richiesto la scomposizione del RoE19 nei tre fattori che agiscono sulla performance economica (tabelle 10-12):

RoI, • Leverage• ,indice della gestione extracaratteristica.•

Tali indicatori economici sono stati analizzati sia sul versante italiano sia su quello campano, in modo da poter operare un confronto utile alla comprensione di una realtà così poco identificabile.

tabella 10ROI medio 2003-2006 delle imprese di comunicazione in Italia e in Campania20

Anni ROI medio Italia Crescita % annua ROI medio Campania Crescita % annua2003 6,9% 5,2% 2005 4,0% -2,9% 5,6% 0,4%2004 6,1% 2,1% 6,5% 0,9%2006 6,4% 0,3% 6,4% -0,2%

Fonte: Elaborazione SRM su dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck

I dati del rendimento della gestione corrente (return on investment ‒ RoI) italiano e campano non presentano rilevanti differenze; entrambe, infatti, si attestano intorno al 6% (valore medio). E, anche se la regione partenopea registra, negli anni tra il 2003 e il 2006, una crescita sostenuta dell’1,2%, a dispetto del trend italiano in ripiegamento dello 0,5%, i valori esaminati non evidenziano problematiche per ciò che concerne l’efficienza della gestione caratteristica, ossia del core business delle imprese campane. Dunque, dato che il RoI rappresenta la redditività del nucleo fondamentale della attività aziendale, a prescindere dalla natura delle fonti di capitale e da ogni altra operazione, i dati sopra riportati indicano che competenze e potenzialità non mancano alle imprese di marketing e comunicazione campane. Parte della redditività viene assorbita largamente

19 Secondo l’approccio moltiplicativo il RoE può essere scomposto così come di seguito:RoE = RoI * Leverage * Incidenza gestione extracaratteristica.

In formula: RN/CP = Ro/CI * CI/CP * RN/Ro. Tale formula consente di individuare le determinanti del RoE attraverso l’esame della gestione operativa (RoI), quella finanziaria (Leverage) e quella extraca-ratteristica. oltre a questo approccio esiste anche l’approccio additivo. Per ulteriori approfondimenti si consulti Pavarani E. (a cura di), (2006) L’equilibrio finanziario, McGraw-Hill.

20 Dati ottenuti dai valori medi del risultato operativo e del totale delle attività.

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dalle attività non core delle imprese italiane e campane, che presentano un indice di gestione extracaratteristica in media rispettivamente dello 0,5 e dello 0,4 (quindi il red-dito operativo è assorbito rispettivamente del 50% e del 60% dal risultato della gestione extracaratteristica).

tabella 11 Indice di gestione extracaratteristica 2003-2006 delle imprese di comunicazione in

Italia e in Campania21

Anni RN/RO Italia Crescita % annua RN/RO Campania Crescita % annua2003 0,5 0,4 2005 0,5 8,2% 0,4 1,3%2004 0,6 7,7% 0,5 15,3%2006 0,5 -13,1% 0,4 -21,6%

Fonte: Elaborazione SRM su dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck.

Inoltre, l’indice di indebitamento (tabella 12), sia a livello nazionale (4,8) sia a livel-lo campano (4,7), si presenta elevato, evidenziando livelli elevati di rischio economico-finanziario e di dipendenza da terzi finanziatori.

tabella 12 Leverage medio 2003-2006 delle imprese di comunicazione in Italia e in Campania22

Anni Leverage Italia Crescita % annua Leverage Campania Crescita % annua2003 5,4 5,0 2005 4,4 -18,9% 4,8 -4,3%2004 4,9 11,6% 4,4 -7,8%2006 4,6 -4,6% 4,5 1,7%

Fonte: Elaborazione SRM su dati AIDA ‒ Bureau Van Dijck

L’analisi proposta segnala dunque che un miglioramento della gestione extracaratteri-stica gioverebbe alle imprese di comunicazione campane, le quali non presentano deficit di efficienza operativa rispetto alle aziende italiane. La problematica fondamentale delle agenzie campane si annida infatti nell’esiguità del fatturato medio, che, come affermato, è la causa delle piccole dimensioni delle imprese vittime di un circolo vizioso dovuto anche alla miopia imprenditoriale tipica della classe manageriale campana ancora avulsa all’investimento in comunicazione come risorsa strategica dello sviluppo aziendale.

21 I dati del tasso d’incidenza della gestione extracaratteristica sono stati calcolati attraverso i valori medi del risultato netto e del risultato operativo.

22 I dati del quoziente di indebitamento (debt to equità ratio) sono stati calcolati attraverso i valori medi del totale delle attività e del patrimonio netto.

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6. I mercati e il livello di apertura internazionale delle imprese di comunicazione in Campania

I rapporti con le istituzioni, le grandi e medie imprese

Molti dei rapporti delle società di comunicazione con le grandi e medie imprese sono legate a un discorso di prezzo e di “conoscenze”. Negli ultimi 30 anni si è assistito ad un vero e proprio mutamento del concetto di comunicazione e questo cambiamento non è stato sempre in positivo. Le ragioni sono da addurre all’introduzione dei Personal Computer e alla possibilità fornita a tutti di creare prodotti/servizi accettabili se non addirittura buoni. Per ciò che concerne la Campania ‒ e in genere anche l’Italia ‒ spesso si fa confusione definendo comunicazione un prodotto di grafica! Gli stessi imprendi-tori danno poco peso alle strategie di comunicazione, scegliendo spesso strumenti poco indicati e non tenendo conto del target di riferimento.

Generalmente in Campania le agenzie di comunicazione – come è stato già afferma-to ‒ si sono sviluppate attorno a un cliente e la progressiva crescita di quel cliente ha significato la crescita dell’agenzia stessa. Ciò comporta che se il suddetto cliente sceglie di lasciare la vecchia agenzia e di affidarsi a una più grande e rinomata sul territorio, la piccola agenzia, che non sa attrarre nuovi clienti, non ha futuro.

Per quel che concerne il rapporto delle imprese di comunicazione con le istituzioni ‒ secondo un’analisi del RoC23 ‒ le prime denotano attualmente un notevole tasso di individualismo e di insofferenza ai rapporti istituzionali. In buona sostanza, la realtà delle imprese di comunicazione campane appare essere in larga misura sommersa e poco incline ad un rapporto con le istituzioni fondato sulla trasparenza e sulla collaborazione. Pur avvertendo la necessità di attivare e coltivare un dialogo tra imprese di comunica-zione campane e istituzioni, appare evidente che l’iniziativa non può che partire dalle istituzioni, chiamate proprio dal loro ruolo a costruire momento di stimolo al dialogo.

Va comunque sottolineato che le imprese di comunicazione in Campania rappresen-tano una realtà vitale, autentica espressione di un vivace pluralismo culturale e con una significativa rilevanza anche nella dimensione strettamente economica, sia pure in un qua-dro spesso di significativa anarchia. occorre rilevare l’esistenza di una molteplicità di ini-ziative dislocate praticamente in tutti i territori che costituiscono la Regione Campania.

Attraverso le imprese di comunicazione si esprime una collettività che ha, evidente-mente una profonda e sentita esigenza di democrazia e di partecipazione e che interpreta questa esigenza senza dimenticare la dimensione locale nella quale essa vive ed opera. In definitiva le imprese di comunicazione costituiscono una forza viva della Campania e per questo meritano l’attenzione delle istituzioni.

La scommessa da affrontare è quella di creare le condizioni affinché le imprese di comunicazione in Campania si rafforzino e trovino i mezzi più adeguati per una col-laborazione sia tra di loro sia con le istituzioni, senza tuttavia perdere quel carattere di articolato pluralismo e di aderenza alle realtà locali che le contraddistingue.

23 Registro degli operatori della comunicazione.

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L’internazionalizzazione dei servizi di comunicazione in Campania

I temi dell’internazionalizzazione rappresentano oggi elementi chiave dello sviluppo locale. A testimoniarlo non è soltanto il dibattito in corso ormai da anni su fenomeni complessi, articolati e, per molti aspetti, inarrestabili come quelli della globalizzazione dell’economia e dell’internazionalizzazione dei sistemi produttivi, ma anche lo spazio e la rilevanza che questi stessi temi hanno proprio nelle politiche individuate dalle pubbliche amministrazioni, non soltanto al Centro Nord ma anche, ormai, nel Sud del Paese. Non è certamente un caso, infatti, che nei Documenti Strategici delle Regioni del Mezzogiorno quello dell’internazionalizzazione (nelle sue molteplici sfaccettature: delocalizzazione, attrazione degli investimenti, marketing territoriale, promozione dei prodotti locali, creazione di marchi, etc.) sia considerato un “tema sensibile”.

Il settore dell’informazione e della comunicazione, rappresenta un sistema aperto, difficilmente contenibile entro confini precisi, che attraversa processi di trasformazione continui e spesso imprevedibili. Numerosi fattori – tecnologici, economici, imprendito-riali e normativi – hanno determinato condizioni favorevoli a cambiamenti significativi nel mercato della comunicazione, aprendo la strada ad una progressiva internazionaliz-zazione, che si manifesta con la ricerca di coalizioni – accordi, joint ventures, fusioni, etc. ‒ tra imprese di paesi diversi. I processi di internazionalizzazione per imprese di questo tipo sono, tuttavia, influenzati dalle peculiarità del settore, di cui occorre tener conto.

Rispetto ad altre aree del Paese, la Campania è ancora una regione relativamente poco integrata nei mercati internazionali, sia in termini di partecipazione agli scambi di beni e servizi, sia – ancor di più – in termini di coinvolgimento nelle reti produttive internazionali.

In Campania si individuano infatti pochissimi casi di internazionalizzazione delle imprese di comunicazione e lo dimostrano i dati statistici della bilancia dei pagamenti e della posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia forniti da Banca d’Italia (BI) e Ufficio italiano dei cambi (UIC).

Innanzitutto i servizi di comunicazione non ricoprono una voce apposita tra Assi-curazioni, Comunicazioni, Costruzioni, Royalties e licenze, Servizi Finanziari, Servizi informatici, Servizi per il Governo, Servizi Personali, Trasporti e Viaggi. Per ciò che concerne il Commercio Internazionale dei Servizi nella Regione Campania, i dati dei servizi di comunicazione sono inseriti all’interno della voce Altri servizi alle imprese24 come:

servizi pubblicitari e ricerche di mercato• servizi di consulenza manageriale e di pubbliche relazioni•

24 La voce dei sevizi vari alle imprese professionali e tecnici è conforme alla classificazione EBoPS (Extended Balance of Payments Services Classification), e si articola in sottovoci che identificano diverse tipologie di servizi: Servizi legali, servizi di consulenza, fiscali e contabili, servizi pubblicitari e ricerche di mercato, servizi di consulenza manageriale e di pubbliche relazioni, ricerca e sviluppo servizi architettonici, di ingegneria e altri servizi tecnici, trattamento rifiuti e disinquinamento, servizi agricoli, estrattivi e altri servizi di lavorazione in loco, altri servizi alle imprese e tra imprese collegate n.c.a.

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Questi ultimi includono, nella bilancia dei pagamenti italiana, il totale delle parcel-le professionali e non i soli servizi di consulenza e assistenza alle imprese finalizzate all’organizzazione e alla pianificazione strategica.

tabella 13 Commercio internazionale degli Altri servizi alle imprese25 ‒ Crediti e Debiti (anno

2006) ‒ Valori in migliaia di euro.Regioni e Province Crediti Debiti

CAMPANIA 179.558 116.821

Caserta 13.518 10.436Benevento 3.541 1.666Napoli 138.091 83.659Avellino 8.592 10.775Salerno 15.816 10.285

Nord ovest 13.980.258 14.268.924Nord est 2.823.938 4.630.958Centro 5.152.922 5.629.310Sud e isole 524.504 533.251Dati non ripartibili 2.042.747 3.508.046Totale 24.524.369 28.570.489Fonte: Elaborazione SRM su dati del Bollettino di statistica della Camera di Commercio di Napoli (rapporto 2008 sull’economia della provincia di Napoli)

La disposizione del settore comunicazione all’interno di un tale calderone, conferma la tesi sin qui esposta, ovvero la presenza di due pre-condizioni all’analisi oggetto di questo scritto:

la configurazione magmatica del settore, che non permette una puntuale definizione 1. dei confini della stessa, complicando classificazioni, calcoli economici e descrizioni rigorose sul fenomeno dell’internazionalizzazione in Campania.L’effettiva scarsità dei casi di internazionalizzazione e dunque il conseguente accor-2. pamento di questo settore ad altri minori, al fine di creare una categoria che faccia massa critica.

Se queste sono le premesse, non bisogna tuttavia scoraggiarsi, bensì pensare al territorio campano come ad un’area tutta da sviluppare, a partire dai punti di forza che ne connotano l’identità. Se la creatività è uno di questi, e se essa è la linfa dei servizi di comunicazione, ecco il motore del decollo oltre i confini del Mezzogiorno. I motori, però, ‒ come si è detto ‒ vanno oliati e le Istituzioni26 hanno un ruolo importante nel dare un’assistenza continua alle imprese nei loro percorsi e processi di internazionalizzazio-ne, nonché nello sviluppo degli scambi con l’estero attraverso l’informazione e la pro-mozione delle imprese all’estero e la valorizzazione del sistema economico territoriale.

25 Ibidem.26 è un esempio il Programma Regionale per l’Internazionalizzazione e la rete Sprint Campania.

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7. L’indagine territoriale

La presente ricerca è stata integrata con indagini dirette presso le imprese, volte a delineare un quadro più chiaro dell’internazionalizzazione in Campania, mostrando non solo le ombre, ma anche le luci caratteristiche di uno scenario socio-economico così complesso e articolato.

Le indagini empiriche che qui riportiamo sono il frutto di tre interviste in profondità agli amministratori unici di tre aziende campane, tre imprese di marketing e comuni-cazione che si sono distinte per l’esperienza internazionale. La prima ha svolto attività all’estero in passato, la seconda sta gettando le basi per un futuro nel territorio spagnolo, e la terza che vive un brillante presente, è l’emblema dell’importanza di non porsi dei confini.

L’indagine è stata svolta tra marzo e maggio 2008. I colloqui hanno permesso agli intervistati di “raccontare” la loro esperienza e le loro opinioni anche in merito a que-stioni più generali (internazionalizzazione, il contesto della regione Campania, etc.).

BI.VA. & Associati•

BI.VA. & Associati è un’impresa di comunicazione campana con sede a Castellam-mare di Stabia. Nell’universo della pubblicità e delle promozioni, l’azienda si pone come una struttura capace di elaborare e gestire progetti ed attività di marketing “su misura” per soddisfare le realtà più esigenti. L’attività dell’impresa, rivolta principal-mente a clienti market-oriented, ha una struttura snella e versatile, ma allo stesso tempo dotata di un patrimonio di risorse ed esperienze professionali di prestigio nazionali e internazionali, in grado di elaborare soluzioni dedicate, complete ed integrate. «Così, in questi anni, abbiamo avuto la possibilità di andare avanti in compagnia di uomini ed aziende che hanno creduto in noi, e che oggi possono testimoniare per la qualità dei servizi che offriamo e per il know-how che mettiamo a disposizione» afferma Biagio Vanacore, Amministratore Unico della società.

Nel portfolio dell’azienda, si possono annoverare numerosi clienti esteri.«Una delle esperienze più produttive ed entusiasmanti è stata la collaborazione con

Lillo, l’azienda brasiliana specializzata in prodotti per l’infanzia (l’equivalente di CHIC-Co in Italia) leader del mercato in America Latina» continua Biagio Vanacore.

Lillo è attualmente gestita da stranieri. In passato, invece, l’azienda aveva una mag-gioranza di azionisti italiani, e ciò comportò un vantaggio per BI.VA. & Associati, ossia una buona relazione agenzia-cliente e conseguentemente un buon clima di collaborazio-ne. Per Lillo l’impresa si è occupata della Mamadeira, ossia del prodotto biberon. «La caratteristica che distingue questo prodotto brasiliano dal classico biberon italiano è la maggior somiglianza del ciucciotto al seno materno – spiega Vanacore ‒ Una tenera famiglia di pinguini antropomorfizzati e il messaggio semplice, ma diretto “Lillo es un mundo d’amor” sono stati il centro della nostra campagna di comunicazione per la quale abbiamo anche ricevuto un premio internazionale».

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Un altro paese in cui BI.VA. & Associati ha operato è il Senegal, dove ha curato più clienti appartenenti a settori diversi. Per la Federazione di Pallacanestro del Senegal l’impresa si è occupata di reperire lo sponsor tecnico adeguato alla squadra in vista della partecipazione ai mondiali del 2007 in Giappone, prendendo contatti con Legea, azienda italiana di abbigliamento tecnico sportivo a livello mondiale.

Per il Ministero del Turismo Senegalese l’agenzia ha curato la promozione delle attività immobiliari di Saly, una località turistica a una settantina di chilometri a sud di Dakar, che sta vivendo un momento di particolare sviluppo.

Infine BI.VA. & Associati si è anche occupata di realizzare un progetto di ottimizza-zione e riorganizzazione per la Gendarmeria Senegalese.

Biagio Vanacore raccontandoci queste esperienze ha spiegato che l’apertura interna-zionale è stata una scelta, ma dettata principalmente dal caso, ossia nata per conoscenza diretta. In Brasile ad esempio l’impresa aveva già relazioni personali con i manager ita-liani della Lillo. è evidente, però, che la semplice conoscenza non basta, sono necessarie competenze, spirito d’iniziativa, capacità di adattamento. La conoscenza delle lingue, per esempio, è stata fondamentale per i professionisti di questa azienda. Il francese in Senegal e l’inglese in Brasile sono state le lingue di riferimento e naturalmente sono state necessarie al fine di stringere una corretta relazione lavorativa basata sulla comprensione reciproca, senza la quale sarebbe stato difficile valutare le esigenze dei clienti. Inoltre «essere italiani – afferma Biagio Vanacore – è un plus, soprattutto per la cultura africana e dell’America Latina. Un cliente estero in Italia compra know-how!». Infatti, proprio in qualità di azienda italiana, nonché campana, BI.VA. & Associati non ha incontrato alcun ostacolo o pregiudizio all’estero. «In America Latina e in Senegal avevano grande rispetto per le competenze italiane. L’azienda, infatti era presa come punto di riferimento».

Secondo Vanacore gli ostacoli, al contrario, si incontrano “in casa”. Dall’esperienza maturata, l’amministratore unico ha appreso che in Campania sia più difficile per un’im-presa superare i confini regionali e nazionali. La globalizzazione, la concorrenza sfrenata sono sì delle opportunità, ma anche delle barriere all’entrata per le imprese campane.

L’internazionalizzazione dell’impresa ha comportato comunque una crescita econo-mica dell’azienda, soprattutto in riferimento all’esperienza brasiliana, anche se lavorare in un paese estero comporta sempre l’adeguamento a strategie di marketing differenti. «Anche il piano mezzi brasiliano si configura diversamente da quello italiano. Ho dovu-to imparare sul campo le diverse modalità di gestione», sottolinea Vanacore.

Nel caso del Senegal, invece, BI.VA. & Associati non ha avuto una particolare crescita economica. «Il Senegal paga male e le condizioni lavorative erano difficili: dovevamo essere scortati in gip ‒ ricorda l’amministratore unico. Questa per noi equivale a una espe-rienza professionale, ma sicuramente non quella che ci ha dato più soddisfazione».

A causa del rilevante dispendio di energia e risorse che queste esperienze hanno implicato, probabilmente BI.VA.&Associati non proseguirà per la strada dell’internazio-nalizzazione. Attualmente l’impresa si sta dedicando al settore dei centri commerciali, settore particolarmente redditizio. «Resta comunque la grande opportunità che abbiamo avuto a livello di acquisizione di know how», conclude Biagio Vanacore.

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Medias •

Medias è un’agenzia di comunicazione nata nel 1996 grazie ad una buona idea imprenditoriale e ad un impulso economico da parte delle istituzioni: Marcello Tortora è il primo con una partita Iva a ricevere il prestito d’onore dallo Stato italiano.

Prima in un piccolo ufficio della periferia di Napoli e poi in un luminoso loft nel cen-tro storico della città, svolgono attivamente il loro lavoro i tre soci che hanno dato vita a Medias S.r.l.: Marcello Tortora, per anni responsabile dell’ufficio immagine e comuni-cazione di un ente della Conferenza Episcopale Italiana, Roberta Pagano, all’epoca già fotografa di moda a Milano, Luigi Criscuolo, direttore artistico di un’altra agenzia pubbli-citaria napoletana. Dall’unione di diverse professionalità del settore della comunicazione aziendale e delle arti visive applicate, nasce una struttura con le idee chiare e una buona organizzazione. Dopo pochi mesi dall’apertura, l’agenzia conquista subito i primi clienti, e dopo nemmeno un anno, è possibile l’assunzione di nuovi collaboratori. oggi Medias gestisce campagne da 5 milioni di euro e annovera dodici unità lavorative a Napoli e quat-tro persone a Barcellona tra spagnoli e italiani. «L’evoluzione è stata abbastanza rapida, sembra ieri che abbiamo iniziato eppure le cose che sono già state fatte sono tante e con esperienze anche di altissimo livello» racconta Tortora. ora l’ampio portfolio si divide tra clienti istituzionali e commerciali. Grazie infatti all’esperienza in ambito para istituzionale dell’intervistato, Medias ha curato campagne pubblicitarie per Sviluppo Italia sul Prestito d’onore, l’Università di Napoli, l’Università di Roma, l’Italia Lavoro, il Ministero del Tesoro. Avendo poi “a bordo” una fotografa professionista, Medias si è anche specializ-zata nel settore della moda, o meglio di quella moda dei distretti di Nola, San Giuseppe Vesuviano, ottaviano, Palma Campania, dove vi sono delle grandissime realtà tessili che hanno permesso con il tempo a questa agenzia di crescere. Ma Medias è soprattutto una struttura di consulenza, una struttura che già dopo i primi anni di attività aveva individuato tra i clienti di allora le aziende che avrebbero fatto «il salto di qualità» e che sono ancora loro clienti dopo dodici anni. Tra questi ricordiamo Kocca Jeans, ossia un marchio attual-mente tra i più famosi in Europa, Axa Shoes e Roberto Giannotti Gioielli. «Ci si accorge allora che il percorso di sviluppo di un’azienda passa anche attraverso la capacità di man-tenere fermi i rapporti di consulenza con determinate strutture. Siamo cresciuti grazie ai nostri clienti e con i nostri clienti», afferma Tortora. Da questa idea che si cresce insieme ai clienti e che a volte si fanno progetti insieme, un anno e mezzo fa Medias decide di aprirsi al mercato internazionale e di aprire una sede a Barcellona. Un’evoluzione naturale frutto della capacità di rischiare e investire dei tre soci napoletani: alla scelta di accettare l’acquisizione da parte di una grande agenzia internazionale, Medias ha preferito tentare «un tuffo nel buio assoluto».

«Ci siamo interrogati su quali potevano essere attualmente le capitali della creatività europee e ci siamo accorti che Barcellona è una di quelle città che può essere definita una Londra di venti anni fa. Una città intanto molto civile, dove la legalità è ancora ad un livello molto alto, c’è una grossa tendenza ad apprezzare il lavoro italiano e poi alcuni nostri grandi clienti stavano iniziando a subdorare l’idea di lavorare nei mercati

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spagnoli. Questo ci ha fatto accelerare il processo decisionale e ha fatto sì che immedia-tamente prendessimo la decisione di aprire a Barcellona», spiega Tortora.

Alti i costi (200.000 euro) per aprire un ufficio di 200 mq in Rambla de Catalunya, ossia una delle zone più chic di Barcellona, ma praticamente nessuna difficoltà. «Le dif-ficoltà incontrate all’estero paragonate alle difficoltà di apertura qui in Italia non ci sono state per niente!» afferma Marcello Tortora. Persino le procedure di apertura di un conto corrente estero, quando ancora non era stata creata la nuova società, non ha comportato alcun problema. Problematica invece oggi è l’immagine negativa della Campania nel mondo, che porta l’agenzia a “rinnegare” le proprie radici: «Noi non diciamo di essere napoletani, diciamo di essere Italiani. La pubblicità negativa che sta interessando la Campania può incidere sul nostro lavoro, nonostante la qualità delle competenze offerte. Purtroppo credo che il contenitore a volte sia più importante del contenuto e questo noi che facciamo comunicazione lo sappiamo bene» spiega amaramente l’intervistato, che però afferma «io devo a Napoli tutto quello che sono, il problema è che in questa città oggi le persone che potrebbero cambiarla hanno deciso di restare dietro le quinte, un po’ per paura, un po’ per disaffezione. Resta il fatto che i napoletani di successo quando vanno fuori sono veramente persone di successo. Abbiamo una marcia in più, ma è come se non riuscissimo a farla andare qui in città perché forse c’è troppo traffico!».

Un’altra questione emersa dall’intervista è rappresentata dagli ostacoli incontrati dall’agenzia nella nostra regione, le “vere” difficoltà che per Medias si incarnano in un serio problema culturale. è la cultura dei clienti nell’approccio lavorativo, è la cultura dei fornitori, dei collaboratori. Un sistema che si basa su una scarsa cultura o un’inca-pacità di comprensione del sistema mondo è un sistema che non può evolversi, e tale scenario è quello vissuto da Medias e dalle altre agenzie campane, sempre alle prese con clienti poco propensi a comprendere il vero valore della comunicazione e del marketing. Tortora spiega che «per il nostro lavoro è importante una grande dose di pazienza e di umiltà, oltre alla fondamentale capacità di portare nella strada quello che c’è scritto sui libri, facendo comprendere ai nostri clienti che sono uomini marketing, anche se non lo sanno». Cliente e consulente sono difatti due persone che hanno da imparare l’una dall’altra. Il primo per le capacità imprenditoriali innate di cui dispone, il secondo per il contributo strategico e creativo che può apportare alle aziende.

Medias si augura di poter svolgere attività consulenziale anche per i futuri clienti spagnoli. Al momento l’azienda sta vivendo una prima fase di assorbimento della men-talità e della realtà locale sperando di avere presto una conoscenza del mercato spagnolo tale da poter offrire questo servizio. Tortora dichiara però che «fare consulenza significa parlare anche solo con i nostri prodotti o servizi».

Per il momento Medias ha iniziato con qualche piccola collaborazione con il Comu-ne di Barcellona, ma come afferma l’intervistato «siamo ancora all’inizio per vedere come andrà a finire». L’attitudine all’investimento, sostenuta da buone competenze strategico-organizzative, ma soprattutto dal talento e dall’esperienza decennale, semi-nata nel terreno fertile, creativo e stimolante di una città come Barcellona, è un’ottima premessa per un futuro di successi.

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Nascar •

Nascar è una florida realtà del tessuto imprenditoriale campano, una web agency per la precisione, con elevate competenze ed esperienze nella progettazione dell’identità visiva, nella comunicazione on line e nel web marketing.

L’impresa è specializzata nell’offerta di prodotti e servizi avanzati di comunicazione integrata che partono dallo studio della brand identity, alla progettazione e realizzazione di piattaforme web, software web based, pianificazione marketing e pubblicità interat-tiva.

«Un’azienda nata un po’ per gioco!» come afferma il managing director Marco Realfonzo. La prima esperienza nel 2000-2001: un gruppo di amici si lancia in un settore completamente nuovo, quello della comunicazione on line e un primo progetto, consistente nella creazione di un social network, che però non decollò. «Non eravamo pronti noi e non era pronto neanche il mercato: non c’era ancora una vera diffusione di internet e della banda larga. Sostanzialmente si trattava di un’idea un po’ pionieristica in Italia!», spiega Realfonzo. Da questa idea e dalle competenze acquisite, nacque Nascar. Con due PC, uno studio di famiglia e qualche contatto iniziale, la web agency cominciò a lavorare molto rapidamente al principio con aziende che si occupano di meccaniche di precisione, poi per Calcio Napoli, Ferrarelle, Profumerie Duglas (gruppo tedesco) ed una serie di clienti abbastanza importanti. A quasi sei anni dall’apertura a Napoli, la web agency si è insediata nel 2008 anche a Milano: «è un momento molto importante per l’azienda», ha dichiarato il managing director di Nascar. «Abbiamo deciso di stabilire una sede anche a Milano perché i nostri clienti al Nord sono sempre più numerosi, e per-ché riteniamo ormai fondamentale presidiare in maniera strutturata il mercato milanese, sul quale siamo certi di poter individuare nuove ed interessanti prospettive di business». Realfonzo afferma che le difficoltà maggiori si incontrano proprio in Campania, al contrario il superamento dei confini regionali è stato abbastanza naturale per l’azienda. «Siamo operatori di Internet, quindi potremmo dire che sia nel nostro DNA superare i confini». Nascar infatti opera come partner di importanti aziende di respiro nazionale ed internazionale. Marco Realfonzo ne riporta solo alcune: «Ricordo Megaphone, impor-tante operatore di telefonia russa, per il quale sviluppammo il sito internet qualche anno fa; oppure per Renault sviluppammo un progetto che doveva arrivare al mercato france-se: un sito di prodotto della nuova Renault Mégane. Poi abbiamo moltissimi clienti che operano in Italia e anche all’estero: ad esempio abbiamo sviluppato insieme ad Endemol la loro community ilcandidato.tv, dedicata al casting che dà la possibilità a chi voglia partecipare ad un programma televisivo Endemol di caricare i propri UGC (user gene-rated content) sul sito ed avere sostanzialmente una finestra di visibilità».

Altri progetti in corso sono le campagne di comunicazione per Snav spa, compagnia di navigazione del gruppo MSC che opera su tratte di tutto il Sud Europa, e per Aprea-mare, che firma imbarcazioni di lusso rivolte anche ad un pubblico estero (mondo arabo, Paesi Iberici, Nord Europa).

Recentemente Nascar ha firmato la nuova piattaforma web della divisione moto di

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Bridgestone Italia, la multinazionale giapponese. Si tratta di un importante successo per la web agency che in pochi anni è riuscita ad imporsi nel panorama nazionale delle agen-zie di comunicazione e ad allargare le proprie competenze apprezzate anche all’estero. è in cantiere infatti un importante progetto di internazionalizzazione di un prodotto di un’azienda spin off di Nascar, il social network Ciaopeople, già detentore di una posizione di leadership in tutto il mercato centro-meridionale. Il social network verrà a breve lanciato sul world wide web in cinque lingue. Un progetto molto importante, ma soprattutto ambizioso, che vedrà la sua prima tappa in Brasile.

I veri e propri passi verso l’internazionalizzazione, però, saranno compiuti nei pros-simi mesi con la realizzazione del nuovo portale del CIS (centro ingrosso e sviluppo) di Nola, ovvero uno strumento di comunicazione pensato per dare visibilità e accessibilità internazionale alle aziende associate.

Realfonzo afferma che avere contatti, esperienze precedenti e quindi delle referenze importanti aiuta a superare gli ostacoli di un’impresa italiana all’estero. Nel caso delle web agency si guarda molto alle competenze, anche se sicuramente per l’Italia e in parti-colar modo per Napoli si fa una grande differenza. «Sicuramente il mercato italiano è un ostacolo in più da superare se sei a Napoli e vuoi lavorare con l’estero. Essere a Napoli ‒ soprattutto oggi ‒ è un ostacolo in più, ma avere una sede a Milano ci aiuta molto dal punto di vista commerciale. Anzi noi addirittura anteponiamo la nostra sede commercia-le di Milano rispetto a quella di Napoli proprio perché è un ostacolo da superare».

Secondo il managing director, in Campania è più difficile per le imprese superare i confini regionali e nazionali. Nel caso di Nascar le difficoltà più evidenti sono l’elevato costo del lavoro dal punto di vista fiscale e la formazione degli operatori. Realfonzo spiega che reperire le competenze di cui si servono non è semplice. oltre a numerose collaborazioni occasionali, Nascar infatti si fa carico dell’aspetto formativo dei suoi dipendenti: corsi di formazione a Milano e a Roma, corsi interni d’inglese o legati alle tematiche delle nuove tecnologie in continua evoluzione. In questo settore non è una frase fatta dire che bisogna sempre essere aggiornati! «Noi, in questo senso, investiamo tantissimo. Siamo costantemente al passo con i tempi, se non addirittura un passo avan-ti!» afferma il managing director. Nascar si propone quindi di essere sempre in linea con le ultime innovazioni, lo dimostrano i progetti di ricerca interni su nuove possibili tecnologie.

Un’azienda proattiva, dunque, in una fase di pieno investimento. Tutte le risorse ‒ anche la crescita economica conseguita alla internazionalizzazione ‒ sono reinvestite per acquisire un pacchetto clienti importante e sempre più referenti per consolidare il posizionamento della Nascar in una fascia elevata del mercato legato alle web agency e la leadership nel mercato campano.

Questo mercato si evolve rapidamente e l’acquisizione di un numero sempre maggiore di clienti esteri e multinazionali, lascia prevedere l’eventualità di una sede commerciale anche all’estero. «Per il nostro tipo di business il Regno Unito è la meta europea per eccellenza, per tanti motivi: tutti i principali operatori internet hanno la sede europea a Dublino, questo anche per convenienze di carattere fiscale».

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Molte imprese di comunicazione aderiscono a network internazionali per creare un tessuto di relazione e di interfaccia costante con il mercato estero, ma per Nascar è ogget-tivamente difficile, perchè trovare aziende che abbiano lo stesso know how tecnologico è molto complesso. L’azienda è comunque associata allo IAB27, ossia l’associazione per la pubblicità interattiva. IAB è un’associazione italiana, ma di carattere internazionale perché nasce negli USA, quindi Nascar collabora occasionalmente con consociati anche stranieri. «In questo senso c’è una consapevolezza di carattere distrettuale, anche se non c’è nulla di particolarmente consolidato, organico» conclude Realfonzo. «La partecipa-zione a questo tipo di associazioni, soprattutto per ciò che concerne la pubblicità interat-tiva e tutto il mondo internet è oggi il principale elemento di valutazione, è un simbolo di qualità perché un’azienda che è associata allo IAB ha una consolidata esperienza o ha contribuito allo sviluppo dell’internet italiana».

8. Considerazioni conclusive

Le interviste sopra riportate hanno segnalato la notevole facilità con la quale si può fare business all’estero. Gli intervistati, infatti, hanno sottolineato che le difficoltà non sono rintracciabili all’esterno, bensì all’interno del territorio campano. è ‘in casa’ che incontrano le maggiori difficoltà, è qui che si scontrano con un mercato da sviluppare e stimolare. L’altro dato emerso è che si punta all’internazionalizzazione se si dispone già di contatti ‒ in genere di natura personale ‒ con le aziende estere, oppure perché si seguono i propri clienti che si spingono oltre confine. Ma a volte questo è solo l’inizio, le imprese di comunicazione, che si distinguono per qualità ed efficienza, sono quelle che si affermano presso i mercati esteri. Sono le imprese di marketing e comunicazione basate su due driver fondamentali: 1. capitale innovativo e tecnologico;2. capitale umano.

Entrambi costituiscono gli asset intangibili alla base di tali aziende: la qualità e l’ef-ficienza di queste ultime è infatti determinata dalla capacità di innovazione, dall’utilizzo delle più moderne tecnologie e dalla specializzazione del fattore umano.

Il problema dell’efficienza è un presupposto forte per l’internazionalizzazione delle imprese di marketing e comunicazione, che devono apprendere a sfruttare la ricerca e l’innovazione prodotta all’interno, evitando di finire per trovare all’estero più che in Ita-lia, l’innovazione tecnologica di cui hanno bisogno. Anche le risorse umane altamente qualificate sono difficilmente reperibili sul mercato del lavoro, e proprio a causa della loro elevata professionalità e della elevata richiesta, hanno un costo superiore e una

27 Fondata nel giugno 1998, IAB Italia raggruppa i più importanti operatori della pubblicità online in Italia ed è il charter italiano dell’Interactive Advertising Bureau, la più importante associazione nel campo della pubblicità su Internet a livello mondiale. IAB è il punto di riferimento del settore per quanto riguarda la definizione e l’applicazione degli standard, lo sviluppo e la divulgazione di dati e informazio-ni sul settore, la misurazione e la metrica.

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naturale propensione alla collaborazione (spesso a partita Iva) piuttosto che alla assun-zione a tempo indeterminato.

Come mostrano le affermazioni degli intervistati la condizione del successo è investi-re in formazione e Risorse&Sviluppo. Disporre di un know how qualificato e distintivo è di vitale importanza per le imprese, soprattutto quelle campane, che vogliono affermarsi in Italia e all’estero. Se infatti il DNA di buona parte delle PMI meridionali non risponde alle nuove sfide del sitema economico, è necessario modificare tale patrimonio genetico. Bisogna ricorrere alle nuove tecnologie e alla specializzazione delle risorse umane come a veri strumenti di ingegneria genetica, chiavi di volta della mutazione e del migliora-mento dei fattori caratteristici di queste realtà. Imprese “transgeniche”, dunque, forse gli unici oGM che non implicherebbero dibattiti etici sui potenziali rischi per l’ambiente o per la salute umana. Al contrario l’impatto economico-sociale della loro introduzione in aree in via di sviluppo potenzierebbe il substrato di un territorio ricco di risorse che vanno sfruttate nel modo giusto.

La creatività e la potenzialità dei talenti campani combinati a una buona gestione imprenditoriale e all’attenzione all’innovazione, sono il percorso obbligato per l’evo-luzione delle imprese di marketing e comunicazione. Solo con la dotazione di un tale patchwork, infatti, è possibile superare i confini regionali e nazionali, le difficoltà buro-cratiche e la mentalità chiusa che incontrano le imprese oggi in Campania.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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NOTIZIE SUGLI AUTORI

Antonio Acampora, Presidente centro studi UNICoM.

Renato Aurigemma, Coordinatore Commissione Aerospazio, ordine degli Ingegneri di Napoli.

Anna Arianna Buonfanti, Ricercatrice, Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Luigi Cantone, Docente di Marketing e Strategie di Impresa, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Napoli Federico II

Salvio Capasso, Responsabile Ufficio Economia Imprese e Settore Non Profit, Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Francesco Saverio Coppola, Direttore Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Olimpia Ferrara, Ricercatrice Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Paolo Guerrieri, Docente di Economia Politica, Facoltà di Economia, Università di degli Studi di Roma “La Sapienza”; Vice Presidente Istituto Affari Internazionali.

Valentina Meliciani, Docente di Politica economica, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli studi di Teramo.

Giulia Nicchia, Ricercatrice, Istituto Affari Internazionali.

Alessandro Panaro, Responsabile Ufficio Infrastrutture e Finanza pubblica, Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Renato Passaro, Docente di Economia aziendale, Facoltà di Economia,Università degli studi di Napoli Parthenope.

Dario Ruggiero, apprendista Ricercatore, Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

Lucio Siviero, Docente di Economia applicata, Università degli Studi di Napoli Federico II.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

336

Antonio Thomas, Ricercatore di Economia aziendale, Facoltà di Economia, Università degli studi di Napoli Parthenope.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

337

ASSOCIAZIONE STUDI E RICERCHE PER IL MEZZOGIORNO

RICERCHE SRM(per anno di pubblicazione)

PUBBLICAZIONI PERIODICHE

Congiuntura Mezzogiorno ‒ rapporto trimestrale sull’andamento dell’economia del Mezzogiorno (con ISAE e oBI)

Dossier Unione Europea ‒ Studi e ricerche, trimestrale

Le regioni del Mezzogiorno – Focus sulle economie locali, semestrale

Rassegna Economica – Rivista internazionale di economia e territorio

RICERCHE (per anno di pubblicazione)

2004

Infrastrutture e Finanza locale in Puglia, marzo 2004

Il sistema idrico dell’Italia meridionale: regioni a confronto, Rassegna Economica n. 1, aprile 2004

I distretti industriali dell’Italia meridionale: il caso di Nocera Inferiore-Gragnano. Il territorio, le imprese, le politiche di sviluppo, Rassegna Economica Quaderni di Ricerca n. 13, maggio 2004

Infrastrutture e Finanza locale in Calabria, ottobre 2004

La finanza pubblica locale nel Mezzogiorno ed il ruolo del sistema bancario: province e comuni, novembre 2004

Il turismo nel Mezzogiorno: scenario e politiche di sviluppo, Rassegna Economica Qua-derni di Ricerca n. 14, novembre 2004

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

338

Nonprofit e Mezzogiorno: un’analisi regionale del primo censimento ISTAT delle istitu-zioni nonprofit in Italia, Rassegna Economica Quaderni di Ricerca n. 15, novembre 2004

Nonprofit e Mezzogiorno: un modello interpretativo, Rassegna Economica Supplemento al Quaderno di Ricerca n. 15, novembre 2004

2005

Le vie del mare: lo sviluppo del sistema portuale meridionale nel contesto internazio-nale, Guida editore

Il sistema agroalimentare nel Mezzogiorno: le sfide dell’industria agroalimentare nelle realtà territoriali, Guida editore

2006

L’internazionalizzazione delle imprese e dei distretti campani nel nuovo scenario di competizione globale tendenze e prospettive (in collaborazione con IAI-Istituto Affari Internazionali), Guida editore

L’industria idrica italiana: scenario economico-finanziario, struttura territoriale e modelli di gestione a confronto, Guida editore

Il sistema idrico dell’Italia meridionale: regioni a confronto, Seconda Edizione, Giannini Editore

Il mondo del volontariato. Dinamiche organizzative ed evolutive. Il ruolo dei CSV e delle Fondazioni di origine bancaria, Guida editore

Il sistema agroalimentare nel Mezzogiorno: analisi della crisi e idee per il rilancio, numero monografico Rassegna Economica 2/2005

Le filiere produttive meridionali: competitività, innovazione e sentieri di sviluppo, Giannini Editore

2007

L’industria aeronautica: struttura e prospettive di crescita in Campania (Volume n. 1 della Collana di ricerca “Distretti industriali e poli produttivi della Campania”), Giannini editore

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

339

Poli logistici, infrastrutture e sviluppo del territorio. il Mezzogiorno nel contesto nazionale, europeo e del mediterraneo, Giannini Editore

L’economia pugliese e le nuove sfide dell’internazionalizzazione produttiva (in collaborazione con IAI-Istituto Affari Internazionali), Giannini editore

La nuova distribuzione commerciale nel Mezzogiorno. Dinamiche economiche e riflessi su imprese e consumatori, Giannini Editore

Trasporti e logistica, numero monografico Rassegna Economica 2/2007

2008

Il Sud in competizione. L’innovazione nei settori produttivi e la crescita delle imprese emergenti. Giannini Editore

Aeroporti e Territorio. Scenari economici, analisi del traffico e competitività delle infrastrutture aeroportuali del Mezzogiorno. Giannini Editore

Il ruolo del non profit in sanità. Il caso della Campania. Giannini Editore

Capitale umano, capitale sociale e sviluppo economico nel Mezzogiorno. Modelli di valutazione e strategie territoriali per la crescita. Giannini Editore

RAPPORTI

Il finanziamento degli investimenti degli enti locali: gli strumenti ed il loro utilizzo. Un focus sul Mezzogiorno, in “La finanza locale in Italia ‒ Rapporto 2005” a cura di ISAE, IRES, IRPET in collaborazione con SRM, dicembre 2005, FrancoAngeli

La finanza idrica: analisi degli strumenti e degli investimenti, in “Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici ‒ Anno 2005” a cura dell’Autorità di Vigilanza sulle Risorse Idriche e sui Rifiuti, luglio 2006

Rapporto Industria 2007- Basilicata, Calabria, Campania, Puglia. A cura dell’osservatorio Regionale Banche-Imprese di Economia e Finanza e dell’Associazione SRM, Dicembre 2007

La finanza locale in Italia ‒ Rapporto 2006 a cura di ISAE, SRM, IRES, IRPET, Dicembre 2006, FrancoAngeli

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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La finanza locale in Italia ‒ Rapporto 2007 a cura di ISAE, SRM, IRES, IRPET, IRER, Dicembre 2007, FrancoAngeli

La finanza locale in Italia ‒ Rapporto 2008 a cura di ISAE, SRM, IRES, IRPET, IRER, Dicembre 2008, FrancoAngeli

ARTICOLI E WORKING PAPER PUBBLICATI28

Gli investimenti infrastrutturali nel Sud, Rassegna Economica n. 1, dicembre 2003

Le vie del mare: lo sviluppo del sistema portuale meridionale nel contesto internazionale, Il Porto di Taranto, Rivista Trimestrale di Trasporti n. 1, maggio 2005

Le vie del mare: lo sviluppo del sistema portuale meridionale nel contesto internazionale, Rassegna Economica n. 1, novembre 2005

La finanza pubblica locale nel Mezzogiorno ed il ruolo del sistema bancario: province e comuni, La finanza locale n. 11, novembre 2005, Maggioli Editore

Il sistema agroalimentare nel Mezzogiorno: le sfide dell’industria agroalimentare nelle realtà territoriali, Rassegna Economica n. 2, dicembre 2005

Le politiche regionali di sviluppo rurale nelle aree Obiettivo 1: risultati e prospettive, Rassegna Economica n. 2, dicembre 2005

L’industria idrica italiana: scenario economico-finanziario, struttura territoriale e modelli di gestione a confronto, Management delle Utilities n. 3 anno IV, luglio-settembre 2006

Lo sviluppo del sistema portuale meridionale: scenario di un fenomeno complesso, Rivista Economica del Mezzogiorno ‒ Svimez ‒ n. 1-2/2006

La dinamica e l’efficienza della spesa pubblica: risvolti economici ed evoluzione della finanza per lo sviluppo dell’industria idrica, Rassegna Economica n. 1/2006 (Paper presentato in occasione del SIEP, XVIII riunione scientifica “Servizi pubblici ‒ nuove tendenze nella regolamentazione, nella produzione e nel finanziamento” Pavia, Università 14-15 settembre 2006)

Filiere e poli produttivi della Campania, Rassegna Economica n. 1, 2007

28 Lavori pubblicati su riviste scientifiche e/o presentati a manifestazioni scientifiche.

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Competitività e sviluppo internazionale del sistema eConomiCo meridionale

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Risorse idriche e modelli di gestione: analisi dei “comportamenti” territoriali in un confronto Nord-Sud, Rassegna Economica n. 1, 2007

Economia, logistica e globalizzazione: i risultati di un indagine territoriale, Rassegna Economica n. 2/2007

Logistica e politiche di sviluppo pubbliche: analisi e riflessioni sugli strumenti e sui risultati, Rassegna Economica n. 2/2007 (Paper presentato in occasione del SIET, IX Riunione scientifica “Economia dei trasporti e logistica economica: ricerca per l’innovazione e politiche di governance” Napoli, 3-5 ottobre 2007)

Trasporti, logistica e sviluppo regionale: i risultati di un’indagine territoriale in un confronto nord-sud, Rivista Economica del Mezzogiorno ‒ Svimez ‒ n. 3-4/2007

Il ruolo della logistica per lo sviluppo del Mezzogiorno nell’area Med, in VII Rapporto sul Mediterraneo nella rivista Paesi e Popoli del Mediterraneo n. 0/2008

Le filiere produttive del Mezzogiorno d’Italia: competitività, innovazione e sentieri di sviluppo, in VII Rapporto sul Mediterraneo nella rivista Paesi e Popoli del Mediterraneo n. 0/2008

Trasporti, logistica e politiche di sviluppo pubbliche: i risultati di un osservatorio sul Mezzogiorno (Paper presentato in occasione del SIET, X Riunione scientifica “Trasporti, ambiente, territorio: la ricerca di un nuovo equilibrio” Sassari, 18-20 giugno 2008)

Il sistema aeroportuale del Mezzogiorno: aspetti organizzativi e concettuali (Paper presentato in occasione del SIET, X Riunione scientifica “Trasporti, ambiente, territorio: la ricerca di un nuovo equilibrio” Sassari, 18-20 giugno 2008)

Il federalismo in Sanità: risvolti finanziari del fenomeno (Paper presentato in occasione del SIEP, XX Riunione scientifica “Economia della tassazione. Sistemi tributari, pressione fiscale, crescita” Pavia, 25-26 settembre 2008)

Profili evolutivi del SSN italiano: analisi e sintesi della produzione normativa dal 1978 ad oggi (Paper presentato in occasione del SIEP, XX Riunione scientifica “Economia della tassazione. Sistemi tributari, pressione fiscale, crescita” Pavia, 25-26 settembre 2008)

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Finito di stampare a Napolinel mese di gennaio 2009

presso le officine Grafiche Francesco Giannini & Figli S.p.A.

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