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de te fabula narratur

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Come racconterebbe la propria discesa agli inferi una ragazzina di 12 anni? Così, come Lola in Atti casuali di violenza insensata la (de)scrive a Anne, il suo diario. Una crisi economica in forte espansione impedisce al padre e alla madre, intellettuali di Manhattan, di trovare lavoro. Lola e la sorellina si trovano così sballottate tra uno stile di vita dignitoso e le nuove regole della crisi. Distopico e cyberpunk come solo un atore apprezzato da William Gibson può essere.

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de te fabula narratur

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Jack Womack

Atti casuali di violenza insensata

Traduzione dall’inglesedi Grazia Gatti

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Titolo originaleRandom Acts of Senseless Violence

Copyright © Jack Womack 1993

Prima edizione italiana:

Copyright © 2012 Meridiano Zero di Odoya srlTutti i diritti riservati

isbn 978-88-8237-264-4

Progetto grafico di copertina: Meat collettivo grafico

Realizzazione grafica: Nicolas CampagnariCoordinamento editoriale: Caterina Ciccotti

Meridiano Zerovia Benedetto Marcello 7

40141 – Bolognawww.meridianozero.it

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Ai miei genitoriAnn Truitt Karrenbrock e

Jack Womack, Sr

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15 FEBBRAIO

La mamma dice che la mia è una mente notturna. La prima volta che me l’ha detto le ho chiesto cosa intendeva e lei mi ha risposto: – Tesoro, tu pensi meglio al buio, come me. – Credo che abbia ragione. Eccomi qui alzata fino a tardi per scrivere il mio nuovo diario. La mamma me l’ha regalato proprio oggi, per il mio compleanno. Io adoro scrivere. Anche mamma e papà scrivono, ma secondo me non gli piace più, scrivono solo perché devono.

Per il mio compleanno ho avuto anche una camera nuova, però non è stata una sorpresa come il diario. Non è che sia proprio una camera nuova, è quella dove prima stava la cameriera. Abbiamo dovuto lasciarla andare ma dov’è andata non lo so. Si chiamava Inez ed era simpatica anche se con me e mia sorella Boob non parlava tanto perché il suo inglese non era granché. Boob è la mia sorellina e adesso anche lei ha la sua camera. In verità si chiama Cheryl ma tra noi usiamo sempre dei soprannomi: lei è Boob e io Booz.

Il mio vero nome è Lola Hart. I nostri genitori sono Faye e Michael Hart. Abitiamo sull’Ottantaseiesima Strada vicino a Park Avenue, New York City.

Questa mattina, quando sono arrivati i mobili nuovi, mamma e papà mi hanno aiutato a portare tutte le mie cose nella camera nuova. Ho un letto nuovo, una lampada nuova, una scrivania nuova e una sedia nuova. Ho anche dei maglioni e delle scarpe nuove, e un dizionario per la scuola.

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Il mio nuovo diario però è il regalo che mi piace di più. Ades-so devo andare a dormire, ma ci rivediamo domani. Papà dice che ci saranno altre sorprese per il mio compleanno. So che dice la verità perché quando dice le bugie glielo si legge in faccia. Buonanotte.

16 FEBBRAIO

Oggi è domenica e domani è la Giornata del Presidente e io ho davanti uno splendido, lungo weekend di dolce far niente. Oggi, per l’extra sorpresa di compleanno che mi aveva promesso, papà ci ha portato a pranzo da Rumpelmayer. Rumpelmayer dentro è tutto rosa come me e Boob. Prima mi piaceva di più, non è più divertente come una volta. A Boob piace, ma lei è ancora piccola. Abbiamo preso il gelato e naturalmente Boob ci si è fatta mettere anche il caramello caldo. Papà voleva comprarmi un peluche ma ormai sono troppo grande per i peluche, mi sa: ho compiuto dodi-ci anni. La mamma dice: – Non sono tanti, amore, assolutamente. – Ma invece sì. E comunque con tutti i peluche che ho già non c’è più spazio sul letto. Boob ha cominciato a piangere che voleva un peluche ma papà ha detto che non era il suo compleanno, quindi perché doveva comprarglielo? Poi però le ha preso un coniglietto marrone e allora la mamma gli ha detto che abbocca sempre.

Boob ha nove anni ed è viziata da far schifo, ma io le voglio bene lo stesso. – Dagli un bacio Booz – mi ha detto e poi siccome io non volevo si è tenuta il suo coniglio in braccio finché siamo rimasti lì. Adesso ha le orecchie tutte caramellate. Stamattina per uscire voleva mettersi il marsupio con il Piccolo Feto ma la mamma non l’ha lasciata. Gliel’ha mandato per Hanukkah la zia Chrissie, che abita in California. Il Piccolo Feto è una bambola che si infila in un marsupio da legare sulla pancia. Quando si schiaccia un bottone tira calci come un bambino vero. A mamma

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e papà non piace, ma Boob ci va pazza. Se lo metterebbe anche per andare a scuola se la lasciassero, solo che non la lasciano.

Io odio i bambini. Si sporcano sempre, non stanno mai fermi e puzzano. Non ne voglio e non ne avrò mai. Più scrivo e più mi vengono in mente cose da scrivere. Adesso però sono stanca. Do-mani avrò un sacco di tempo e scriverò ancora un sacco di cose.

19 FEBBRAIO

Lunedì poi non ho più scritto perché ho sprecato troppo tempo a pensare cosa scrivere. Secondo me ad anni di distanza un diario sarà interessante da leggere per vedere tutte le cose che facevo e che col tempo mi sono dimenticata. Se avessi tenuto un diario quando avevo cinque o sei anni adesso sarebbe il momento di leggerlo. Credo che mi sentirei imbarazzata ma vorrei leggerlo lo stesso. Ho chiesto alla mamma se ha mai tenuto un diario e lei mi ha risposto: – Sì, tesoro, ma ho smesso e mi dispiace.

– Perché hai smesso? – le ho domandato.E lei: – Ero una ragazzina sciocca.– Chi l’ha detto?– Mia madre, tesoro, mia madre mi diceva sempre che ero una

ragazzina sciocca. Tutte le madri lo dicono alle figlie.– Tu non me l’hai mai detto – ho risposto io.– È perché tu non sei una ragazzina sciocca, amore.– Lo so, – le ho detto – se non smetto mai di scrivere il diario,

saprò sempre cosa ho fatto.– Sì, tesoro, è per questo che te l’abbiamo regalato. Così potrai

ricordati di come è bella la vita anche quando non ti sembrerà più che lo sia. – Volevo restare ancora a parlare, ma stava scrivendo il suo curriculum e doveva rimettersi a lavorare così l’ho lasciata in pace. Papà era in centro a parlare con un regista. Siccome mi annoiavo, sono andata a tener compagnia a Boob che stava facendo

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il bagno. Era seduta nella vasca e cercava di spremere l’acqua fuori dal suo bambino. – Lo stai affogando – le ho detto.

– Non è vero – mi ha risposto e mi ha schizzato. – Non bagnarti Booz – mi fa. Mi sono lavata i denti. Boob voleva lavarsi i capelli e si è messa con il sedere per aria per bagnarsi la testa; allora, quando l’ho vista così, le ho dato uno spintone. Lei ha fatto un salto, ha battuto la testa contro la vasca e ha cominciato a piangere.

– Non fare la neonata Boob – le ho detto. Lei gridava e chia-mava la mamma, ma quando ha visto che la mamma non arrivava l’ha piantata. Quando la cosa è davvero seria Boob non piange, la maggior parte delle volte fa le cascate del Niagara ma questo non vuol dir niente e noi lo sappiamo. Funziona solo con chi non la conosce. Quando è uscita dalla vasca mi ha frustato con l’asciu-gamano, ma io l’ho ignorata e allora lei se n’è andata.

Una giornata tipica. In questo momento sono sdraiata sul letto a chiedermi se davvero voglio ricordarmi tutto quello che faccio. Non vedo perché no.

20 FEBBRAIO

Sono molto migliorata nel tener fede al mio appuntamento ed eccomi qui a scrivere di nuovo per due giorni di fila. Ho deciso di darti un nome così non mi sembrerà di parlare col muro, come dice papà ogni tanto quando parla con noi. Ti chiamerai Anne, è un nome giusto per un diario e non ti farò mai leggere a nessuno. Quello che ti racconto resterà tra noi due.

Voglio dirti qualcosa di più su di me, Anne. Come sai, io ho dodici anni e Boob nove. Siamo nate tutte e due a New York, all’ospedale di Lenox Hill, ma i nostri genitori non sono di qui: la mamma viene da Los Angeles e papà da Chicago. Ci siamo stati in vacanza ma non mi piacciono, né Los Angeles né Chicago. Sono posti orribili e sono contenta che li stiano bruciando.

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La mamma era docente di inglese alla New York University prima di perdere il posto, lo scorso semestre. Quando insegna, insegna letteratura del xx secolo. Al momento sta cercando di trovare un posto in un’altra scuola ma senza molta fortuna. Scrive anche libri e saggi sulle cose che facevano veramente certi scrittori mentre tentavano di farne altre, almeno è così che lo spiega. Dice che gli studenti non sono più molto bravi. –Tesoro, sono così imbambolati che ti viene voglia di andare a dargli un pizzicotto per vedere se stanno dormendo. Ma, amore, sono anche così cari e si sforzano davvero, solo che hanno così tanti problemi che a volte bisogna lasciargli passare di tutto.

La mamma dice che persino quando leggono non gli rimane in testa niente. Dice che è perché la tv gli cancella tutto quello che hanno nel cervello. Eppure lei e papà guardano sempre la tv. Papà scrive per la tv. Quando la mamma insegnava ancora, le ho chiesto se papà distraeva i suoi studenti. – Oh, tesoro, lui scrive delle belle cose, gli studenti non guarderebbero mai roba del ge-nere, non la guarda nessuno – mi ha risposto. Andare a lavorare le manca e spero che troverà presto un altro posto. Solo che al momento non promette bene, così dice la mamma.

Papà fa parte dell’Associazione sceneggiatori. Voleva fare il ro-manziere ma la mamma dice che non è un Dickens. Scrive copioni per i film e anche se non gliene hanno ancora prodotto uno, lo pagano lo stesso. Ha già avuto dei programmi alla tv.

L’anno scorso ha guadagnato un sacco di soldi, ma quest’anno meno. Va sempre così. La mamma e papà non se la cavano bene con i soldi secondo me. A volte ce ne sono tanti che non sanno cosa farsene e poi il mese dopo siamo senza un quattrino. Non importa. C’è sempre qualcuno che deve dei soldi a papà, solo mai tanti quanti lui ne deve a qualcun altro. Ogni volta che mamma e papà parlano finiscono sempre per discutere di soldi se parlano abbastanza a lungo, e ultimamente parlano tantissimo.

Stasera Boob ha cercato di mettermi il suo stupido Piccolo Feto

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per vedere come starei incinta. Io l’ho buttato per terra e allora lei ha detto che mi denunciava per maltrattamenti all’infanzia. Boob sa essere così immatura. Quando ero più piccola, mi diver-tivo a giocare con lei, ma adesso non voglio più giocare con le bambole. Lei va su tutte le furie ma io non posso farci niente. Le voglio bene, però è matta. Quando stavamo nella stessa stanza, a volte si infilava nel mio letto prima che mi addormentassi per raccontarmi tutte le belle cose che papà le aveva detto.

– Papà ha detto che ero la sua ragazza preferita. Così mi ha detto, Booz. La sua ragazza preferita. – Vattene Boob – faccio io. – Quando il circo viene in città mi porterà a vederlo. – Fantastico. Adesso vattene Boob. – Tu vuoi andarci al circo Booz? – Io voglio dormire. – In genere devo buttarla giù dal letto se no non se ne va. Una volta è caduta su un braccio e credevamo che si fosse rotta il polso. Ho capito che non era vero perché piangeva troppo forte e avevo ragione.

Anche adesso che non c’è Boob a tormentarmi, mi capita lo stesso di non riuscire a dormire, Anne. Però mi sembra che se scrivo prima di andare a letto poi mi addormento. Non sarà la migliore delle ragioni per scrivere ma è pur sempre un vantag-gio. Adesso voglio andare a dormire, credo. A volte non so cosa voglio.

21 FEBBRAIO

Oggi a scuola la prof di ginnastica, Miss Norris, ci ha fatto ve-dere un video sulle malattie veneree. Quello che ti può succedere se lo fai. Era da vomitare tanto che Lori, la mia migliore amica, e delle altre ragazze si sono sentite male, ma mi sa che facevano solo finta per poter andare in bagno a fumare. La scuola oggi è stata proprio una noia. Se fosse primavera potremmo salire sul tetto a giocare. Il mese scorso per una settimana ci sono stati ventotto

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gradi e Miss Norris ha montato la rete per la pallavolo e ci siamo divertite un sacco, poi però è tornato il freddo.

A me e Boob piace andare a scuola. La nostra scuola, Brearley, è tutta femminile. Certe mie compagne dicono che sentono la man-canza dei maschi, ma io non so perché. I maschi sono proprio stu-pidi e non capisco per che motivo una dovrebbe volerli tra i piedi, sono dei neonati. L’anno scorso la mamma mi ha chiesto se mi dispiaceva andare in una scuola femminile e io le ho risposto che assolutamente no, perché i ragazzi non mi interessavano. Allora lei mi ha detto: – I ragazzi sono dei terribili mascalzoni e anche peggio, cara, ma vedrai che tra un po’ comincerai a pensarci.

– E perché dovrei? – le ho chiesto. Lei mi ha stretto forte e mi ha dato un bacio.

– Succede, angelo mio, e quando ti rendi conto dell’errore è troppo tardi perché ormai ti hanno preso all’amo, tesoro, in que-sto sono furbissimi.

– Anche papà era così? – ho domandato. Lei ha annuito. – Per-ché non te ne sei accorta, allora?

– Più invecchiano più diventano furbi, tesoro – mi ha rispo-sto.

Sono sicura che è vero, ma io sarò sempre più furba di loro. Preferisco scrivere a te, Anne, piuttosto che preoccuparmi di cosa starà mai facendo uno stupido ragazzo. Secondo me non ha senso e lo so che tu mi capisci.

Stasera a tavola mamma e papà parlavano. Lei gli ha chiesto quando arriveranno i soldi dai produttori. Papà ha detto che pensa di tornare da Los Angeles con un assegno. Parte domani in ae-reo per andare a incontrarli. La mamma ha detto: – Oh, tesoro, a Yeshiva non assumono, stanno tagliando come in città, li ho sentiti oggi.

Hanno parlato del ruolo e di come mai a lei non l’hanno dato. Io non capivo bene e Boob era come sempre totalmente persa, così ha chiesto: – Cos’è il ruolo?

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– Se hai il ruolo, amore, nessuno ti toglie la cattedra anche se come insegnante fai pietà.

– Perché a te non l’hanno dato? – le ho domandato. – Non facevo abbastanza pietà – ha risposto lei e ha riso, ma più tardi ha preso uno Xanax e mi sa che non sta bene.

Da quando ho la mia nuova camera, papà non viene più a darmi la buonanotte e io sono contenta. Non voglio più farmi rimboccare le coperte. Stasera ho potuto scrivere quanto ho voluto. Lui è rima-sto a parlare con Boob per parecchio tempo ma non ho sentito cosa dicevano. Una volta ho chiesto alla mamma se papà vorrebbe che Boob fosse la loro unica figlia e lei ha detto: – Non essere sciocca, tesoro, papà vuole bene a tutte noi. – Boob parla nel sonno, bla-tera tutto il tempo. La sento attraverso la porta chiusa ma almeno adesso riesco a dormire lo stesso. Abbiamo stanze separate e io sono CONTENTA, CONTENTA, CONTENTA. Mi piace avere la mia camera. La settimana è quasi finita! Notte, Anne.

23 FEBBRAIO

Oggi sono venute a trovarmi le mie amiche Katherine e Lori. Passiamo insieme quasi tutti i sabati. Hanno la mia età e vengono anche loro a Brearley. Le conosco da quando eravamo in prima, sono le mie migliori amiche.

Ieri papà è partito per Los Angeles e così stamattina la mam-ma è rimasta a letto fino a tardi perché sa che posso pensarci io a preparare la colazione per me e quell’oca di Boob. Qualche volta Boob ci viene dietro quando usciamo di sabato, ma oggi no: ah! ah! doveva fare i compiti. Faceva così caldo che abbiamo pensato di andare al parco. La mamma ci ha detto: – State attente paperette e non arrivate oltre il museo. Ci sono maniaci dietro ogni cespuglio. – La mamma ci chiama paperette, papà invece ci chiama le vipere perché dice che ne combiniamo sempre una.

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Siamo andate al parco e non volevamo spingerci lontano; però, Anne, lo sai com’è quando cominci a camminare e a chiacchierare. C’era un sacco di gente in giro e senza accorgercene siamo arrivate sulla passeggiata fino al lago. C’erano degli uomini che prendeva-no il sole in costume da bagno e uno di loro che era peloso come un gorilla ha dato un bacio a un altro. – Guarda, due dell’altra sponda – ha detto Katherine e Lori ha cominciato a ridacchiare. – Cosa c’è di tanto divertente? – ho chiesto io. E Lori: – Come faranno a camminare? – Voleva dire con quei cosi fra le gambe. – Tu dovresti saperlo – ha risposto Katherine. A Halloween Lori si è messa con uno di quattordici anni, un certo Simon Norris, fratello di un amico di suo fratello. Però mi ha detto che non ci ha fatto niente. Mi ha detto che si sono baciati per un po’ e poi lui ha cercato di toglierle il reggiseno ma siccome lei non l’ha lasciato, l’ha smessa. – Tu dovresti saperlo, Lori – continuava a ripetere Katherine finché Lori le ha detto: – Sta zitta Kat sei una scema. – Litigano sempre.

Ho preso la lattina di coca che avevo finito, me la sono infilata tra le cosce e mi sono messa a camminare a gambe divaricate. – Fanno così – ho detto. Lori era piegata in due dal ridere invece Katherine faceva finta di non conoscerci. – Che schifo – ha detto. È una vera schizzinosa.

Siamo tornate indietro sul lato est del parco perché la mamma dice che di lì è più sicuro. Quando siamo arrivate ad attraversare la strada, abbiamo sentito odore di bruciato. C’era un’ambulanza e fermi vicino a un albero della gente e un poliziotto, così siamo corse a vedere cos’era successo: qualcuno aveva dato fuoco a un senzatetto, ci ha spiegato una ragazza coi pattini. Katherine si è sentita male e ha detto che le veniva da vomitare. Io e Lori abbiamo cercato di vedere se era carbonizzato ma l’avevano già caricato sull’ambulanza. – Non sono spettacoli adatti a voi – mi ha detto un vecchio e io volevo rispondergli: – E chi l’ha deciso? – ma ho lasciato perdere. Katherine era verde e tremava, però non

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è esplosa. Lori l’ha chiamata budino ma anche lei non aveva l’aria di quella che sta tanto bene.

Mentre tornavamo a casa abbiamo visto delle ragazze nere e ispaniche che tiravano bottiglie contro il muro del parco. Dal modo in cui ridevano ho capito che erano state loro a dar fuoco all’uomo. – Sei una razzista – ha sparato Lori quando le ho detto quello che pensavo. – Non è vero – ho risposto ma lei ha detto di sì. Secondo me Katherine pensava che avevo ragione io, però è stata zitta. Non sono razzista ma sono sicura che sono state quelle ragazze, non so come ho fatto a capirlo ma lo so. Mentre passavamo di fianco ai senzatetto sulla Ottantaseiesima, Anne, mi sono chiesta quante volte avranno cercato di picchiarli o di bruciarli vivi. Mamma e papà danno sempre soldi alle associazioni di beneficenza per i senzatetto, eppure per strada se ne vedono sempre di più.

Siamo tornate a casa di Lori e ci siamo messe in camera sua. Lori abita con i suoi sulla Ottantatreesima tra Park e Lexington Ave-nue. Katherine ha detto che era preoccupata perché sua mamma dice che presto le verranno le mestruazioni ma non le sono ancora venute. Lori le ha detto che è meglio non aver fretta. Io non sto poi così male quando mi vengono. Mi sa che mi è andata bene, ho i dolori solo il primo giorno e poi basta. Katherine dice che non vuole usare i tamponi, ci ha provato ma si è fatta male. – Allora dovrai usare i tappetini – ha detto Lori. – Niente tamponi per i budini. – Katherine si è arrabbiata di nuovo ma non è durata. Abbiamo ascoltato un po’ di musica e poi sono venuta a casa.

Stasera al telegiornale non hanno parlato dell’uomo bruciato vivo. Mi ricordo che prima lo dicevano quando davano fuoco a un senzatetto. Alla mamma e a Boob non l’ho raccontato quello che abbiamo visto nel parco, perché la mamma ci sta male quan-do sente certe cose. Boob invece si arrabbia così tanto quando si perde qualcosa che non glielo direi mai e poi mai. Così impari, Boob.

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24 FEBBRAIO

Papà è a Los Angeles. Torna domani. La mamma ha detto che le ha telefonato ieri sera tardi, dopo che siamo andate a letto. Le ho chiesto cosa ha detto e lei mi ha risposto che le è sembrato contento. Non mi ha detto se aveva l’assegno o no, scommetto di no.

Oggi pioveva e così ho fatto i compiti questa mattina invece che stasera. Ho da leggere Silas Marner ma è uno schifo. Papà lo chiama Silas Mariner perché dice che George Eliot deve averlo scritto sott’acqua. Se Miss Dudley lo usa per farci una verifica a sorpresa credo che me la caverò, però mi piacerebbe avere an-che altri libri da leggere per scuola. Stasera ho ricominciato Life Among the Savages di Shirley Jackson. L’ho già letto una decina di volte, mi piace moltissimo. Parla di una famiglia di matti. Mi piacciono le storie che parlano di famiglie matte. Come se non ne conoscessi! Papà dice che lui conosce della gente che conosceva i personaggi del libro e che erano anche più matti di quello che sembra leggendo. Sarebbe bello incontrarli, ci divertiremmo un sacco.

Boob ha trovato da qualche parte una di quelle stupide riviste e mi ha chiesto se secondo me il ragazzo della copertina era carino. – E secondo te? – le ho domandato io.

– Carino carinissimo – ha detto. – Guarda, c’è una fotografia dove va a cavallo. Magari potrebbe portarmi a fare una galoppata.

– Cadresti di sella – le ho risposto. – Piantala Boob.Abbiamo cenato guardando la tv. La mamma ha telefonato al

cinese, io ho preso i noodles. Al telegiornale parlavano degli scontri a Miami. Hanno detto che a New York non succederà niente. Ma cosa ne sanno, si sbagliano sempre e fanno finta di sapere tutto. Speriamo che non ci siano scontri qui da noi.

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25 FEBBRAIO

Papà è tornato oggi pomeriggio prima che noi uscissimo da scuola e quando siamo arrivate a casa era nel suo studio a fare delle telefonate. La mamma ha detto: – Gli hanno dato il pollice verso, bambine mie. – Voleva dire che non gli hanno comprato l’idea, quindi le cose si mettono peggio perché mi sa che su quel con-tratto ci contava proprio. Mi sono accorta che negli ultimi tempi sono arrivati un sacco di conti in più da pagare e la settimana scorsa il commercialista di papà è venuto qui per parlare delle tasse. Questa volta lui e la mamma sono molto più preoccupati. Dopo aver finito di parlare al telefono, papà è uscito a fare due passi sulla Ottantaseiesima Strada e mentre non c’era io e Boob abbiamo chiesto alla mamma se eravamo messi male.

– No no no, bambine mie – ha detto lei, ma io lo so che ci intortava. Glielo leggo sempre in faccia. – Michael è un tesoro ma è un tale spendaccione… Forse lo siamo tutti e due, ma cosa ci si può fare? Deve inventarsi qualcosa di nuovo, però non sa ancora cosa e intanto abbiamo i lupi alla porta.

Boob è andata a guardare. – Io non li vedo – ha detto e la mamma si è messa a ridere.

– Perché papà non cerca di risparmiare un po’ di più? – le ho chiesto.

– Angelo mio, noi cerchiamo ma è molto difficile con i prezzi che continuano a salire. Di questo passo chissà dove finiremo. Già in circostanze normali non è facile vivere in una città come New York.

– Io non voglio vivere da nessun’altra parte – ho detto.– No amore e neanche noi, ma abitare a New York vuol dire

spendere un sacco di soldi che altrimenti non si spenderebbero.– A meno di essere papà – ho detto.– Bisognerà pensare a cosa si può fare – ha detto la mamma. –

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Preparare un piano d’azione. Forse per un po’ sarà dura ma non per molto, bambine mie.

– Per quanto? – ha chiesto Boob.– Non per molto – ha ripetuto la mamma. Poi è tornato papà

e ha telefonato al ristorante cinese perché la mamma aveva per-so tempo a parlare con noi e si era dimenticata di preparare la cena. Mi sa che ha preso troppo Prozac, la fa diventare smemo-rata. È arrivato da mangiare e ci siamo messi a tavola. Io avevo preso gamberetti con anacardi e Boob manzo con salsa all’aglio. Mamma e papà hanno ordinato i noodles col sesamo perché non avevano tanta fame. Mentre mangiavamo abbiamo guardato il telegiornale. Il presidente ha detto che le cose non vanno così male come sembra, quindi non c’è da preoccuparsi. Che idiota, ha commentato papà.

– Un buffone – ha detto la mamma. – Se persino io ne avevo uno in classe, vuol dire che in giro ce ne sono a centinaia. E adesso sono loro a decidere su tutto.

Tutto, ha ripetuto papà.– Però anche voi dite che le cose non vanno così male come

sembra quindi non c’è da preoccuparsi, – ho detto io – proprio come lui.

– Lui non sa di cosa parla, tesoro – mi ha risposto la mamma. – Si è dato quella mazza da golf in testa una volta di troppo.

Il presidente strizza gli occhi come fanno mamma e papà quan-do dicono che va tutto bene, quindi scommetto che intorta anche lui. Qualcuno gli ha domandato cosa intendeva fare e il presidente ha risposto che la gente si mette nei guai perché si crea da sola la realtà in cui vive e quindi non ci si può fare niente. Poi è salito sull’elicottero ed è decollato. Ci sono stati disordini a Detroit, a Seattle e a Miami. Per non parlare di Chicago e Los Angeles. C’è in giro troppa realtà di questi tempi, ha detto papà.

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27 FEBBRAIO

Ieri non è stata una bella giornata, Anne. Ogni volta che papà è in pensiero, Boob va in tilt e ieri appena l’ha visto ha capito che era molto in pensiero. Ho chiesto alla mamma cosa c’era ma lei ha detto: – Niente, amore. Non preoccuparti. – A cena papà e mamma hanno cominciato a parlare e naturalmente dopo un po’, Anne, parlavano come sempre di soldi. Papà diceva che lui non sa dove andarli a prendere.

– Fatteli dare dalla banca – è saltata su Boob. – Vai lì e digli di darteli subito.

Papà le ha risposto che in banca non lo lasciano più neanche entrare. La mamma ha detto: – Tesoro tu ti preoccupi troppo, non dovresti. – Papà delle idee le ha, ma in questo momento nessuno compra niente visto come vanno le cose. Ha guardato me e Boob e ha detto che non sa come ce la caveremo.

– E noi cosa possiamo fare per aiutare? – ho domandato. Lo sapevo che avrebbe risposto niente, perché dice sempre così e naturalmente è proprio quello che mi ha risposto. – Sei sicuro? – ho insistito e lui ha scosso la testa.

– Bambine mie, una cosa c’è di cui abbiamo parlato – ha det-to la mamma. – Probabilmente non ci arriveremo, ma abbiamo pensato che sarebbe stato meglio parlarne anche con voi.

– Parlare di cosa? – ha chiesto Boob.– Di traslocare per un po’. Non sarà per molto, bambine, solo

finché siamo così alle strette.Boob non ha fiatato, ma mentre la mamma parlava lei conti-

nuava a guardare papà. – Traslocare dove?– L’idea sarebbe di restare in città, bambine, ma per un po’ in

un appartamento più piccolo. Questo potremmo darlo in affitto. Solo per un paio di mesi durante l’estate o magari anche in au-tunno. Comunque non per molto, piccole mie, non per molto. Ed è solo una possibilità.

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– Per quanto? – ho chiesto.– Non per molto.– Quest’estate allora non andiamo a Long Island?– Oh amore, Long Island è fuori discussione e anche se avessi-

mo i soldi sai da quelle parti è un po’ pericoloso dopo l’incidente nucleare e con tutti quelli come Chrissie in subbuglio.

– Però non ce ne andremo da New York, vero?No, ha detto papà. Costerebbe troppo. Si tratterebbe solo di

trovare una casa più piccola a Manhattan per un po’, ha detto. Ha detto che voleva solo sapere cosa ne pensavamo nel caso fossero stati necessari dei cambiamenti.

– Quali altri cambiamenti? – ho chiesto. Lui ha scosso la testa e ha detto: probabilmente nessuno, ma se ce ne sarà bisogno sa-ranno cambiamenti grossi. – Grossi quanto? – gli ho domandato e lui ha risposto che non si poteva dire con sicurezza ma voleva sapere se ci saremmo state male. – Dipende da che cambiamenti sono – ho detto io. – Tu e la mamma volete divorziare? – Boob non parlava ma dalla faccia che aveva ho visto che era davvero in ansia. No no no, ha detto papà, niente del genere. – Mi pareva. Meno male – ho risposto. Lui ha detto che qualsiasi cosa succeda noi quattro resteremo insieme e su questo non si discute.

– Quando dobbiamo traslocare? – ho domandato. Forse non sarà necessario, ha risposto lui, quindi per il momento non vi preoccupate.

– Non c’è niente di cui preoccuparsi, paperette, assolutamente – ha ripetuto la mamma e poi abbiamo finito di mangiare. In-vece è chiaro che mi preoccupo. Non voglio andarmene neanche per un po’, Anne. Ho sempre abitato qui. Boob vuole andarsene ancor meno di me.

Ieri sera, mentre stavo per cominciare a scriverti per raccontarti tutto quello che era successo, Boob ha bussato alla porta della mia stanza e mi ha chiesto se poteva venire a dormire con me. Le ho detto di sì e così siamo andate a letto. – Va tutto bene, Boob? – le

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ho domandato. Lei ha fatto segno di sì e non ha detto più niente e allora ho capito che non era vero. Di solito mi tiene sveglia quasi tutta la notte a parlare se appena può, ma non l’altra sera. Era così bollente che mi sembrava di avere nel letto un cucciolo grasso. Di notte continuavo a spingerla via ma lei continuava a tornarmi vicino. Povera Boob.

Comunque, questo è quello che è successo ieri. Oggi tutti han-no fatto finta di niente, quindi per il momento non mi preoccupo di dover traslocare. Non voglio preoccuparmi. Forse domani non ti scriverò. È meglio aspettare e stare a vedere cosa succede.

1° MARZO

Non è ancora successo niente, Anne, quindi ho pensato di scri-verti prima che ti dimentichi che esisto. Mamma e papà non han-no più parlato di traslocare, forse c’era qualcosa che li preoccupava e si sono messi in agitazione. Fanno sempre così. Si preoccupano da morire e poi fanno finta che non sia successo niente, come se andasse tutto bene. Da piccola ci stavo male ma ormai ci ho fatto il callo. La povera Boob invece, che non c’è abituata, da quando ci hanno tenuto quel discorso non sta bene o almeno dice di non star bene anche se a me sembra stia benissimo. Mi sa che si è messa in agitazione da sola. Meno male che io resto calma. Qualcuno dovrà pur mantenere la calma in questa casa. Per stasera non c’è altro da dire, Anne, quindi ’notte.

2 MARZO

Ieri sera Katherine si è fermata a dormire e dopo mangiato abbiamo guardato una cassetta. Lei voleva vedere Fantasia e così abbiamo fatto. Le piace proprio anche se secondo me per

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la maggior parte è una gran stupidata. Il pezzo col diavolo alla fine è ottimo ma poi ridiventa una scemenza. Ci siamo divertite. Katherine è una forza quando non siamo a scuola e non c’è Lori di mezzo. Non so perché ma è come se fosse meno nervosa in un certo senso. Finito il film siamo andate nella mia stanza e ci siamo preparate per andare a letto. Mentre Katherine si infilava il pigiama ho visto che aveva un bel livido sul sedere. – Cosa ti sei fatta? – le ho chiesto. – Sono caduta – ha detto lei. – Non ti fa male? – Non tanto – mi ha risposto. Prima avevo notato che invece di mettersi comoda sul divano si teneva su appoggiandosi sulle gambe. Quando ho visto il livido ho capito perché. Dev’es-sere stata proprio una brutta botta.

Le ho chiesto se voleva che mi mettessi per terra ma lei ha risposto che voleva dormire insieme a me e mi ha fatto piacere, così le ho detto accomodati. Siamo state un bel po’ a chiacchie-rare. Prima ho parlato quasi sempre io, anche se quando siamo da sole Katherine non è così silenziosa come quando ci sono i suoi o Lori oppure siamo a scuola. Abbiamo parlato dei prof e di certe ragazze che conosciamo, per esempio Icky Betsy. Le ho rac-contato che mamma e papà dicono che forse traslochiamo anche se io non ci credo perché probabilmente è tutta una storia che si sono inventati. Quando ero in quarta la mia prof d’inglese, Miss Wisegarver, mi ha detto che avevo una gran fantasia e io le ho risposto che era inevitabile, è una dote di famiglia. Però almeno io lo so se una cosa è vera o no, e a volte penso di essere l’unica a capire la differenza in questa famiglia di matti.

Comunque dopo un po’ io e Katherine ci siamo messe a gio-care a far finta. Ci siamo abbracciate strette come in un sacco a pelo. – Facciamo finta che avevi una famiglia immaginaria – ha cominciato lei. – Com’era?

– Abitavamo nel Vermont – ho risposto. – Papà scrive in casa e la mamma è straordinaria, dolcissima, e si occupa tutto il tempo di noi. È come una di quelle signore gentili della Junior League.

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Ho tre o quattro fratellini con la zazzera. Stiamo in una grande casa con tanti camini e quattro colonne bianche all’entrata.

– Sarebbe bello – ha detto Katherine. Suo padre fa l’investitore, lavora per una banca del centro. Abitano su Park Avenue all’al-tezza della Settantottesima Strada. Non vado spesso a casa loro perché Katherine dice che i suoi non vogliono troppo rumore.

– Tocca a te – ho detto. – Facciamo finta che avevi una famiglia immaginaria. Com’era?

– Se ne stanno in camera loro e io nella mia – mi ha risposto. – Passo tutto il tempo a leggere e ogni tanto guardo la tv. Papà lavo-ra all’estero e la mamma gli telefona nel weekend. Lui torna a casa solo una volta all’anno. Ho tre sorelle più grandi, tutte bellissime, che mi adorano. Facciamo finta che avevi un ragazzo. Com’era?

– Non avrò mai un ragazzo – ho detto io.– Invece sì – fa lei. – Com’è?– Non troppo alto, con la barba e gli occhiali. Se gli chiedo di

portarmi una cosa me la porta sempre.– Ma è tuo padre – ha detto Katherine mettendosi a ridere.– Non è vero – ho risposto io. – Facciamo finta che tu avevi

un ragazzo. Com’era?– Ha i capelli biondi ed è carinissimo. Porta i calzoncini da

ciclista. Sa nuotare benissimo e mi invita fuori a cena tutte le sere. Si ricorda sempre il mio compleanno.

– E si chiama Corey – ho detto io. Ridevo.– Invece no – ha risposto Katherine. – Si chiama Paul.– Facciamo finta che potevi andare dove vuoi – ho detto. –

Dove andresti?– Non lo so – mi ha detto. Abbiamo intrecciato le gambe. Si

stava bene, al caldino. – Non lo so dove andrei. Via…– In Florida? – Mi ha fatto segno di no. Katherine e i suoi

vanno in Florida tutti gli anni. – Se io potessi andare dove voglio, andrei in Europa. Mi piacerebbe vedere da dove venivano i miei nonni – ho detto.

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– Da dove venivano? – mi ha chiesto Katherine.– Da Praga – ho risposto. – Mi piacerebbe andare a Praga. E

adesso?Katherine si è girata sulla schiena e ha piegato le ginocchia

come per fare gli addominali. – Lo, – mi ha detto – facciamo finta che eri un ragazzo e mi violentavi.

– Perché dovrei violentarti? Che cosa orribile da dire – faccio io. – Dai, facciamo finta – ha insistito lei. – Se fossi un ragazzo mica ti violenterei, – le ho risposto – perché dici queste cose? – E così che fanno – ha detto. – Non voglio giocarci, Kat. Adesso è meglio che dormiamo. – Mi è venuta vicina rimettendosi su un fianco. – Se russo picchiami – ha detto. – Ti prenderò a calci – ho risposto io. – Ok.

Ho fatto fatica a addormentarmi e sono rimasta per un bel po’ a pensare a quello che mi aveva detto perché non mi andava giù. Far finta di essere un maschio non mi dispiace, mi sa che sarei meglio di tanti, però violentare una ragazza è una cosa brutta e non capisco perché voleva fare quel gioco. Delle volte Katherine è proprio strana. Non ha russato per niente e non so chi le ha messo in testa quell’idea. Così sono rimasta per un bel po’ ad ascoltare Boob che parlava nel sonno nella camera vicina e mi sarebbe piaciuto essere da sola perché mi sarei alzata a scriverti, Anne. Comunque meglio tardi che mai.

3 MARZO

Mi sono venute le mie cose e insieme è arrivato anche il mal di pancia. Però il primo giorno è il peggiore ed è una consolazione perché almeno so che domani mattina quando mi sveglio starò già meglio. Hanno cominciato a venirmi solo l’anno scorso, ma io mi sono già stufata. La mamma dice: – Oh tesoro, è una bella piaga per noi povere donne, ma cosa vuoi farci? – Quando mi

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vengono mi sembra sempre di puzzare, mi spuntano i brufoli e lo so che ho una faccia strana. I documentari che ti fanno vedere ti spiegano tutto ma nessuno ti racconta quanto si sta male. Io però ho avvertito Boob perché dice che anche lei vuole avere le mestruazioni. È quello che pensi adesso, le ho detto io, ma lei mi ha risposto: – Tu le vuoi avere tutte per te. Invece le voglio anch’io. – Boob è completamente matta. Continua a mettersi il suo Piccolo Feto appena torna da scuola, mi sa che sarebbe ora di lavarlo.

Oggi a storia Katherine si è rimessa a comportarsi in un modo strano. Io e Lori l’abbiamo salutata e lei è diventata rossa ed è scappata via. Secondo me pensa che io sia arrabbiata perché l’altra sera mi ha chiesto di far finta di essere un ragazzo. È ridicolo, ma non si può mai dire cosa pensano le persone, Anne. Tanto prima o poi le passa.

A pranzo Lori deve aver fumato un’altra volta. Le ho sentito addosso l’odore di fumo quando l’ho vista, allora gliel’ho chiesto, ma lei ha detto di no. Non mi importa se fuma o no, solo che se la ribeccano finirà in un sacco di guai. Ho sentito che quando ti scoprono a fumare per la seconda volta ti sospendono: i suoi genitori la ucciderebbero. Lori dice che negli ultimi tempi le stanno addosso per un sacco di cose, quali cose però non lo dice. A sentire papà dovrebbero spedirla in collegio, ma non parla sul serio perché lo dice sempre anche di noi e noi non ci crediamo.

Nell’ora di musica abbiamo ascoltato Ralph Vaughan William, che si pronuncia Raaf e non Ralph. Ci hanno fatto sentire The Lark Ascending. È una musica così bella e così triste. Mi piace-rebbe che la suonassero al mio funerale mentre la gente piange: diventeranno tutti ancora più tristi e sentiranno ancora di più la mia mancanza.

Chiuso col Silas Marner finalmente. Schifo!Per ora è tutto, Anne.

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4 MARZO

Il tempo è stranissimo. Oggi siamo arrivati a più di trenta gradi. Nel pomeriggio faceva così caldo che uscite da scuola io e Lori sia-mo andate a prendere un frullato nel nostro locale preferito sull’an-golo tra Lexington e l’Ottantatreesima. E un caffè molto vecchio, esiste da un centinaio d’anni, mi pare, e noi ci divertiamo moltis-simo ad andarci. Be’, Anne, eravamo lì sedute quando indovina un po’ chi entra… Mimsy Porter. Prima veniva a Brearley ma adesso va a Chapin, l’hanno buttata fuori da Brearley perché aveva dei pessimi voti e suo padre non conosceva nessuno a cui attaccarsi.

Ti spiego come funziona con le scuole perché altrimenti rischi di non capirci niente. Le stupide vanno a Chapin. Non è che sono proprio stupide ma più stupide di quelle che vanno a Brearley. Le ragazze di buona famiglia vanno a Spence. Per andare a Dalton non è indispensabile essere intelligenti ma ci vogliono i soldi. Quelle che vanno a Marymount sono così stupide che non ce la fanno neanche coi corsi di recupero. Quelle delle altre scuole naturalmente dicono che Brearley è un posto di lesbiche ma è solo perché sono invidiose ed è normale visto che la nostra scuola è in assoluto la migliore.

Comunque Mimsy arriva tutta leccata con un vestito nuovo e le sue belle scarpe di vernice. Viene al nostro tavolo e comincia a comportarsi tipo ballo delle debuttanti. Si mette a dire: oh che piaceeere vedervi ma come state. Io la trovo irritante e vuota come una zucca ma riesco ancora a sopportarla, Lori invece non la regge. – Come ti va, Mim? – le fa. Da faaaavola, dice Mimsy. Era così gonfia e tronfia che non so come ha fatto a entrare dalla porta. Comunque Lori le chiede: – Che corsi fai? – e senza lasciarle il tempo di rispondere continua: – Aborto per principianti? Come diventare puttane? – Ma cosa diiici, fa Mimsy. – Vi danno tanti compiti? – Allora Mimsy ha capito che Lori la prendeva in giro e puoi immaginarti come le ha risposto. Lori si è messa a ridere e ha detto: – Sparisci, qualcuno potrebbe pensare che ti conosciamo.

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– Mimsy sembrava a un pelo dal mollarle una sberla, ma Lori è più grossa di lei così ha fatto dietrofront e si è fiondata fuori ed è finita lì. – Perché sei stata così cattiva Lori? – le ho chiesto. – È una sciocca ma non c’era bisogno di essere così cattivi.

– Invece sì. Se la dà tanto che mi fa impazzire – mi ha risposto Lori. – Neanche la pagassero per andare a Chapin.

– Non vale la pena di arrabbiarcisi, – le ho detto – io la penso così.

– Sai l’anno scorso, alla festa con i ragazzi di Walden, – mi fa lei – se l’è data per farsela con uno di loro. Me l’hanno raccontato dopo.

– Come hai fatto tu con Simon? – le ho chiesto. Lori si è arrab-biata ma non mi ha detto niente, perché lo sa che mi so difendere meglio di Mimsy e Katherine. Lori è un po’ prepotente ma è una delle mie due migliori amiche fin dalla prima. Eppure all’inizio ci odiavamo. Una volta stavamo lavorando con la creta e io avevo fatto una pentola con dentro la figurina di una persona. Lei mi ha chiesto chi era e io le ho risposto: – Sei tu. È un orco in pentola. Sto facendo lo stufato d’orco. – Lori mi ha dato una sberla e io gliel’ho restituita e così ci siamo trovate a picchiarci in mezzo alla classe. Ma quando siamo uscite dall’ufficio del preside abbiamo fatto la pace e da allora siamo ottime amiche. Io, Lori e Katheri-ne abbiamo fondato il Clan degli Orchi anche se non siamo più tremende come una volta, tranne Lori naturalmente.

Alla tv stasera hanno fatto vedere il presidente in riunione con i ministri. L’ho guardato bene e ha la stessa faccia della mamma. Mica perché si assomigliano, è che ogni tanto dietro la sua espres-sione c’è il vuoto: secondo me prende anche lui lo Xanax.

6 MARZO

Anne, mi dispiace di non essere diligente come dovrei nello scriverti tutti i giorni, ma lo sai com’è: con tutte le distrazioni

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che ci sono, tipo genitori, sorelle e scuola. A volte non mi resta proprio tempo per me! Cercherò di migliorare.

Però capita anche che non ci sia molto da raccontare. Papà ha annunciato che ha una nuova idea: ci lavora da due giorni ma non vuol dire ancora di cosa si tratta. Dice sempre che porta sfortuna parlare di quello che si sta scrivendo prima di aver finito, tranne che con le persone con cui si lavora e qualche volta neanche con loro. La mamma ha commentato: – Bambine mie, vostro padre sotto sotto è un essere così primitivo che ha una serie di scaraman-zie tutte sue. – Per me e Boob è divertente, ma spero che questa volta gli vada bene. Staremo a vedere. Una volta ha lavorato a una sceneggiatura per tre anni e poi gliel’hanno rifiutata, in genere però non ci mettono così tanto tempo.

7 MARZO

Non fai in tempo ad accorgertene che è di nuovo venerdì e arriva un altro weekend. Domani sera Lori fa una festa a casa sua. Non ho tanta voglia di andarci perché le feste non mi piacciono, ma siccome ho voglia di vedere Lori ci andrò. Ha invitato dei ragazzi di Walden che conosce e degli amici di suo fratello che vanno al Trinity e io non muoio dalla voglia di dovermeli sorbire. Saranno stupidi come al solito, ci scommetto, più stupidi sono più gli la-sciano fare tutto quello che vogliono. Non sono per niente furbi.

Stasera siamo andati al cinema a vedere un film che ha avuto delle buone recensioni, ma papà continuava a dire che la sceneggiatura era pessima finché quelli dietro di noi gli hanno chiesto di fare silenzio. Lui se ne è uscito con un commento sarcastico e per un attimo abbia-mo pensato che il tizio si sarebbe alzato e sarebbe scoppiata una rissa, ma invece no. Papà è rimasto zitto per un po’, poi ha ricominciato a mugugnare e non l’ha smessa fino alla fine del film. È sempre così quando andiamo al cinema, Anne. Anche se lui dice che non è vero,

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da piccolo papà doveva essere terribile. Io gli voglio bene ma penso che i ragazzi restano uguali anche quando crescono.

Dopo il cinema siamo andati a mangiare da Falafel and Stuff sulla First Avenue. Boob ha domandato a mamma e papà se le compravano un vestito nuovo. Io gliel’ho detto che non dobbia-mo chiedergli niente perché in questo momento non possono permettersi di spendere e invece poi finisce che ci accontentano lo stesso, ma lei non mi dà mai retta. – Oh tesoro, ne hai bisogno per un’occasione speciale? – le ha chiesto la mamma.

– Ce l’ho bisogno perché ce l’ho bisogno – ha risposto Boob. Non è la ragione più convincente del mondo, ha detto papà. – Ce l’ho bisogno – ha ripetuto Boob.

– Tesoro ne hai bisogno oppure lo vuoi, perché c’è una diffe-renza, lo sai – ha detto la mamma.

– Ce l’ho bisogno perché lo voglio – ha risposto Boob.– Ci sono sempre cose che vogliamo, amore, ma le cose di cui

abbiamo bisogno sono molte meno. Se davvero ne hai bisogno, vedremo, ma se è solo perché lo vuoi dovremo aspettare un po’.

– Ce l’ho bisogno – ripeteva Boob. Io lo so che glielo com-preranno domani. Lei se lo metterà per andare a scuola finché qualcuno le dirà qualcosa e allora Boob non ne vorrà più sapere. Tutto quello che vuole diventa un bisogno. Io non so cosa voglio e di cosa ho bisogno. Qualche volta lo so, ma di solito no. Mi sembra di essere capace di poter sopravvivere con molte meno cose di Boob, ma questo non vuol dire che una di noi due ha torto, è solo che siamo diverse, tutto qui.

Finito con le mie cose. Evviva!

8 MARZO

È tardi, Anne, ma ho bisogno di scriverti perché non so a chi altro raccontare quello che è successo. Stasera c’era la festa da

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Lori e già prima di andarci avevo la sensazione che non mi sarei divertita. Avevo assolutamente ragione. Stava facendo buio e io mi stavo preparando per uscire. Mamma e papà avevano deciso di lasciarmi andare da sola perché sono solo tre isolati da qui. Boob ha attaccato la sirena e ha aperto le cataratte quando le ho detto che non poteva venire perché non era una festa da piccoli.

– Io non vado mai a nessuna festa – diceva. – Ma se il mese scorso sei andata a casa di Sherrie per la sua festa di compleanno – le faccio io.

– Odio Sherrie – mi ha risposto Boob.– Sei una bambinetta Boob. – E intanto però aveva addosso il

suo vestito nuovo.– Oh, piccole mie, sarete sempre le nostre bambine – ha detto

la mamma e ci ha abbracciato. – Sta’ attenta per strada, amore, e resta su Park Avenue fino all’ultimo. Ci sono in giro un sacco di maniaci. – E dove vuoi che vada? – le ho chiesto. – In Cina – ha risposto Boob. – Voglio andare anch’io alla festa. – Papà le ha detto che se non la smetteva di far scene la vendeva a un culto sa-tanico. – Ti chiederebbero un rimborso – fa Boob e sono scoppiati a ridere tutti e due. – Però io voglio andarci. – Ma non è che ne hai bisogno, giusto? – le ho chiesto. – Invece sì. – Poi ha smesso di piangere e ha attaccato con: – Voglio andare in Cina.

Non vedevo l’ora di uscire di casa. Boob continuava a frignare. La mamma è depressissima perché nessuno la vuole prendere a insegnare e papà sta ancora lavorando su quel progetto di cui non vuole parlare. Dice che è quasi pronto, ma continua a rimetterci le mani. A volte la mia famiglia ce la mette tutta per tirarmi scema.

Comunque, nessuno se n’è accorto, ma secondo me mi ero messa proprio chic per andare alla festa. Mi ero tirata indietro i capelli con i fermagli e avevo il mio bel vestito blu con il colletto bianco inamidato. La mamma lo chiama il mio vestito da bam-bola anche se io non voglio che lo chiami così. Mi ero messa le

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calze blu fino al ginocchio e le scarpe di vernice nera che metto alle feste. Siccome fuori faceva freddo, avevo il cappotto verde. Sono rimasta su Park Avenue fino all’Ottantatreesima Strada, come avevo promesso. Gli unici pervertiti e maniaci che ho visto erano quelli che abitano nel nostro palazzo; però su Park Avenue c’era un uomo sdraiato per terra, sul bordo della strada vicino al marciapiede. I camion dei pompieri passavano a sirene spiegate diretti a nord ma in lontananza non si vedevano incendi, quindi non doveva essere niente di grave.

Lori e i suoi hanno un appartamento su due piani con giardino. La festa era al piano di sotto, in soggiorno e in cucina. Suo padre è rimasto tutto il tempo di sopra ma sua madre ogni tanto veniva giù a controllare. Oltre a me, Lori e Katherine, c’erano Susan, Icky Betsy, Tanya, Whitney, Edie e delle altre ragazze. C’era an-che Tom, il fratello di Lori, con una decina dei suoi stupidi amici. Hanno tutti quindici o sedici anni e ormai si credono adulti. Si comportavano da padroni e si davano un sacco di arie, ma con me non attacca. C’era Simon Norris, di cui ti ho già parlato. A Lori piace un sacco. Ha quindici anni ma una faccia cattiva da bambi-no, così i genitori di Lori pensano che sia più giovane anche se a loro comunque non va, dice lei. E siccome Lori dimostra più anni di quelli che ha, il risultato è che sembrano della stessa età.

Be’, Simon Norris ha un amico, un certo Clark, che ovviamente pensava che gli volessi stare attaccata tanto quanto Lori vuole stare attaccata a Simon. È un viscido rospo. Mi è venuto dietro per tutta la sera come un anatroccolo che mi aveva scambiato per sua madre. Continuava a dirmi che la sua famiglia è ricchissima come se fosse chissà cosa. Abbiamo un appartamento così grande che papà paga duecento dollari al mese solo di gas, diceva. – Farà meglio a trovarsi un altro dottore – gli ho risposto io. Natural-mente lui non ci è arrivato perché è un idiota. Ha persino cercato di brancicarmi con quelle sue zampe da rospo. Alla fine gli ho detto: – La smetti di rompermi? – e allora finalmente l’ha capita.

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Era una festa stupida perché non era il compleanno di nessuno e non c’era niente da festeggiare. Stavano tutti lì ad ascoltare la musica e sembravano in coma. I ragazzi di Walden, che sono più giovani, ci guardavano come per mangiarci ma nessuno ha allun-gato le zampe, sono ancora girini. Gli amici di Tom che vanno al Trinity, tranne Simon e Clark, stavano lì come se fossero troppo fighi anche solo per respirare.

Mi sono mangiata mezza ciotola di patatine con la salsa mentre ascoltavo Whitney che mi parlava dei suoi mal di testa. Poi è arrivata Icky Betsy e si è messa a chiacchierare e allora ho proprio dovuto andarmene perché aveva mangiato. Appena mangia qual-cosa, va subito a vomitare e poi puzza anche se si lava la faccia. Volevo parlare con Lori ma lei sbrodolava con Simon. Mi sa che la festa era solo una scusa per poter stare con lui appena sua madre usciva dalla stanza. Sono andata da Katherine che era in un angolo da sola, tipo intellettuale in esilio.

– Cosa c’è? – le ho chiesto. – Niente – mi fa lei. – Secondo te è carino? – mi ha domandato poi indicando un ragazzo del Trinity, uno più grosso degli altri. Sembrava molto più grande dei suoi amici ed era quello con l’aria più scema di tutti. Sembrava che avesse la faccia sporca, ma era perché non sa ancora farsi la barba (non che sembrasse abbastanza intelligente da poter imparare). Aveva le braccia pelose come quelle di un dentista e portava una felpa tagliata in modo da scoprirgli la pancia pelosa. Era chiaro che si credeva supermegasexy.

– Sembra l’abominevole uomo delle nevi – le ho risposto. – Ma cosa dici? – mi fa Katherine. – Scommetto che quando si toglie la maglietta sembra che porti un maglione. – Vuoi dire che ha le spalle pelose? – mi ha chiesto. – Mica solo le spalle – ho rispo-sto io. Naturalmente dieci minuti dopo è andata ad attaccargli bottone. Era almeno trenta centimetri più alto di lei e Katherine faceva finta di essere più timida di quello che è in realtà. Le mie amiche diventano delle oche quando ci sono dei ragazzi nelle

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vicinanze, a volte sembrano senza cervello. Ho mangiato delle altre patatine, dei Triscuit e poi sono andata in cucina a prendere una Diet Coke.

Simon e Lori erano lì da soli in piedi tra il frigorifero e la porta del giardino. – Chiudi la porta, Lo – mi ha detto Lori e io l’ho chiusa. – Perché? – ho chiesto. – Tu voltati e non lasciare entra-re nessuno – ha risposto lei. Ho fatto come mi aveva detto, ma un attimo dopo mi sono girata e naturalmente, Anne, erano lì bocca a bocca come pesci slurp slurp slurp. Lui le aveva infilato una mano nei pantaloni. Quando me ne sono accorta sono subito uscita dalla cucina. Katherine era tornata nel suo angolo e aveva l’aria di quella che si sforza di non mettersi a piangere.

– Cos’è successo? – le ho chiesto, ma lei non ha voluto dirme-lo. L’abominevole rideva insieme ai suoi amici. – Ti ha trattato male? – le ho domandato, ma lei non mi ha risposto. – Vuoi an-dare a casa? – Katherine ha scosso la testa e io ho detto ok. Non lo sopporto quando sai che è successo qualcosa a una tua amica, ma lei non ti dice cosa. Quando c’è qualcosa che mi fa star male io di solito ne parlo con chiunque capita. Be’, però non proprio sempre. Anche se quello che avevo visto fare a Simon e Lori non mi andava, non l’ho raccontato a Katherine. Non avrei detto niente a nessuno. A un certo punto Lori è uscita dalla cucina e mi è venuta incontro come se volesse picchiarmi.

– A che gioco giochiamo? – mi ha detto invece. Parlava sot-tovoce per non farsi sentire, ma naturalmente Katherine l’ha sentita. – E chi gioca? – ho detto io. – Hai guardato? – mi ha chiesto. – Non volevo restare lì mentre lo facevate. L’avete quasi fatto. – Non sapevo cosa aveva in mente – mi ha detto e ho capito che diceva la verità. A Lori si legge in faccia quello che pensa più ancora che a mamma o a papà. Simon era tornato dai suoi amici e ridevano tutti e io ero furibonda perché lo sapevo che stavano ridendo di noi. I ragazzi ridono sempre delle ragazze, qualsiasi cosa facciamo.

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– Sì certo – ho detto. Le credevo però ero arrabbiatissima. – Mi ha fatto male e allora gli ho detto di smettere. Se tu fossi restata in cucina lui non ci avrebbe provato. – Invece sì. – Allora guar-davi – mi ha detto lei e io le ho risposto: – Ho visto tutto. Se rimanevo in cucina ci avrebbe provato anche con me. – A quel punto Lori ha dato fuori di posta. – Ma chi ti credi di essere, la più bella del reame? – mi fa. – Non mi andava di star lì mentre voi vi abboccavate come pesci, – ho detto – adesso vado a casa. – E vai. – Ho aperto l’armadio in anticamera e ho tirato fuori il mio cappotto. Mentre ero lì è arrivata Katherine e ha preso anche lei il cappotto. – Faccio la strada con te – ha detto, non era una domanda perché sapeva già che avrei detto va bene, come infatti è stato. – Ciao – ho gridato a tutti mentre uscivamo.

– Salutate le due lesbiche ragazzi – ha risposto Lori e mi ha fat-to ribollire tanto che quasi tornavo indietro di corsa a picchiarla. Poi ho pensato che avrebbe solo peggiorato le cose e ho lasciato perdere. Comunque gli altri non hanno detto niente. I ragazzi ridevano, ma me ne frego di quello che fanno i ragazzi. C’è chi ci sta male, io di certo no.

Siccome erano le nove e mezzo e io dovevo essere a casa per le dieci mi ha fatto piacere accompagnare Katherine. – Lori è proprio stupida – ho detto. – Sparla sempre di quello che fanno gli altri e poi lei si comporta nello stesso modo identico. La odio. – Katherine non diceva niente, si vedeva che stava ancora male. – Cosa c’è? – le ho chiesto. – Niente – ha risposto. – L’abominevole ti ha trattata male? – È che era stupido, avevi ragione. – Cosa ti ha detto? – Niente – ha ripetuto Katherine, ma io lo so che le ha detto qualcosa, anche se non scoprirò mai cosa a meno che non sia lei a raccontarmelo e vedrai che non me lo racconta.

Abbiamo fatto Park Avenue fino al suo palazzo. Guardando lungo la Settantottesima Strada, ho visto la luce dei riflettori a Long Island e ho pensato chissà cosa stava succedendo da quelle parti. Katherine mi ha chiesto qualcosa, ma io non ho capito

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per via delle sirene. – Verresti su con me? – ha ripetuto e io ho detto ok. Sembrava a un pelo dall’aprire le cataratte. – Se avessi qualcosa che ti rode me lo diresti? – Certo – ha risposto lei, ma intortava e non mi guardava in faccia. Siamo salite con l’ascensore che si apre davanti alla porta di casa sua. Non ha neanche fatto in tempo a tirar fuori le chiavi che suo padre ha spalancato la porta. È alto e magro con un sacco di capelli grigi, sembra un fungo. E rimasto lì fermo sulla porta sbarrando il passaggio con le braccia. Poi ha cominciato a gridare come se io non ci fossi. Bla bla bla bla. Non ti avevo detto che potevi star fuori solo un’ora, diceva. Lo sai che ora è? Cosa devo fare con te?

– Picchiarmi – ha risposto Katherine ed è corsa in casa passan-dogli sotto il braccio. Lui si è voltato e mi ha sbattuto la porta in faccia. Non sapevo cosa fare, Anne, così sono tornata giù. Dalla strada ho guardato su, ma le luci delle loro finestre non si ve-dono perché danno sul retro. Sono rimasta lì davanti per un bel po’ finché il portiere mi ha detto qualcosa e allora me ne sono andata. Ho risalito Park Avenue più veloce che potevo fino alla Settantanovesima e poi ho attraversato la strada. C’era in giro poca gente e nessuno mi badava. All’angolo con l’Ottantunesima quasi vado a sbattere contro un barbone. Parlava da solo e non so neanche se mi ha visto, ma io mi sono comunque messa a correre fino all’isolato dopo. Ho dovuto aspettare per attraversare l’Ot-tantaseiesima perché passavano un sacco di camion dei pompieri diretti a sud, ma appena ho potuto mi sono rimessa a correre e finalmente sono arrivata al nostro palazzo e sono entrata. L’uomo che avevo visto per terra era ancora lì.

La mamma era seduta in soggiorno con lo sguardo fisso sui conti da pagare. Papà non era nel suo studio e ho pensato che fosse già a letto. Ho capito che la mamma doveva aver preso un paio di pillole perché quasi non riusciva a tenere gli occhi aperti ed erano a malapena le dieci. – Tesoro sei tornata da sola, avresti dovuto telefonarmi, ti sarei venuta a prendere. – Non importa

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– ho detto. – Ti sei divertita con i tuoi amici, amore? – Abba-stanza. – Oh tesoro starai morendo di fame, vieni in cucina che vediamo di rimpolpare un po’ quelle ossicina. – Mi ha preparato un sandwich al formaggio e mi ha versato un bicchiere di succo di mela e poi si è seduta a tenermi compagnia mentre mangiavo, anche se io non avevo fame e preferivo starmene da sola. Ma non volevo metterla in pensiero e così ho aspettato finché non le è venuto sonno e non c’è voluto molto.

Comunque, Anne, è più di un’ora che scrivo. Adesso voglio andare a letto anch’io. Sono così stanca che mi addormento subi-to, ci scommetto. Notte.

9 MARZO

Quando mi sono svegliata questa mattina non sapevo dov’ero, anche se naturalmente ero nel mio letto in camera mia. Prima di alzarmi sono rimasta lì sdraiata per un bel pezzo a pensare che ero ancora furibonda con Lori e a chiedermi perché il padre di Kathe-rine sembrava così arrabbiato. Non capisco perché Katherine gli ha risposto quello che gli ha risposto se non per farlo arrabbiare. Sono contenta di non avere dei genitori come i suoi. Papà non mi picchierebbe mai, ma se ci provasse io gliele ridarei.

A un certo punto la mamma ha bussato alla porta ed è en-trata. – Tesoro devi essere proprio stanca se te ne stai nella tua tana come un leprotto per tutta la mattina. – No, sto bene – ho detto. – Boobster dice che non si sente bene e avevo paura che vi foste prese tutte e due lo stesso malanno. C’è qualcosa che non va, amore? – mi ha chiesto. – No – le ho risposto e mi sono alzata. Non le ho detto proprio una bugia, Anne, perché non c’è niente che non va di cui voglio parlare.

Alle undici ha telefonato Lori. – Cosa vuoi? – le ho doman-dato. Lei mi ha detto che le dispiaceva di avermi gridato dietro

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e di averci chiamato lesbiche davanti a tutti. – Prendersela con me è un conto ma non c’è motivo di troncare con Kat – le ho detto e poi le ho raccontato di come si era comportato il padre di Katherine. Non ho tirato in ballo il livido perché Lori avrebbe voluto sapere come ho fatto a vederlo e non sono affari suoi. – Secondo me dovremmo fare qualcosa – ho detto. – Non possiamo far niente Lo, se le cose stanno così e lei volesse vuotare il sacco lo farebbe – ha risposto Lori. – Kat non vuota mai il sacco – ho detto io. – È proprio quello il suo guaio – mi fa Lori.

Dopo averla tenuta ancora un po’ sulla corda ho accettato le sue scuse. Le ho detto che le conveniva stare attenta con Simon perché se i suoi genitori li beccano finirà nei guai. Lori delle volte è proprio terribile, si ficca sempre in qualche pasticcio e so che Miss Taylor ha già minacciato di sospenderla. Quella sì che è una vipera. – Insomma ce l’hai con questa storia che sembra un’ossessione – ha detto Lori e io non le ho risposto perché non volevo riattaccare a litigare.

Insomma, siamo andate avanti a parlare ancora per un po’. Abbiamo concordato che Betsy fa proprio schifo, che Susie si comporta da scema e che Whitney pensa di essere tanto matu-ra e invece non lo è. Divertentissimo, però poi Lori ha dovuto metter giù perché aveva un’altra telefonata da fare e doveva farla da fuori. Voleva dire che andava a telefonare a Simon, lo so. Se Lori continua a fare la furba così come sta facendo, finisce che la mettono alla griglia.

Dopo aver parlato con lei, ho provato a telefonare a Katherine, ma c’era la segreteria. Ho lasciato il solito messaggio, però non mi ha richiamato. Questo pomeriggio continuavo a pensare a quello che è successo, a suo padre che sembrava pazzo furioso, a come fa Lori quando c’è Simon e a quei ragazzi idioti, compreso Mister Rospo. Si sballa quando ci si trova immischiati nella vita degli altri. Mi sa che è per questo che poi si dà di posta. È pazzesco.

Papà ha finito il suo soggetto e domani va a Los Angeles per

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vedere se riesce a trovare qualcuno che abbocca. Non ci ha ancora detto di cosa parla. Se lo comprano, ora che lui glielo riscrive diventerà comunque un film tutto diverso. La zia Chrissie ha tele-fonato alla mamma dalla California e l’ha distrutta come sempre. Si odiano eppure si parlano una volta alla settimana. È sempre Chrissie a chiamare, ma la mamma non attacca mai, resta lì seduta ad ascoltarla blaterare. – Cosa aveva da dire Chrissie? – le ho chie-sto quando ha messo giù il telefono. – Oh, tesoro, cose grottesche come al solito. Dice che lei e l’imbecille (che sarebbe Alan, suo marito) si sono comprati delle semiautomatiche perché sono con-vinti che ci sarà una rivolta delle cameriere e dei giardinieri – mi ha risposto la mamma. Secondo papà hanno visto troppi film.

Boob non sta bene. Ha il raffreddore e naturalmente si com-porta come se fosse polmonite. Papà le ha portato pranzo e cena a letto e io ho dovuto aiutarlo a lavare i piatti della Principessina. Continua a dire che ha la tisi perché tossisce, ma a Brearley ci sono stati solo dieci casi, e tutte ragazze più grandi. Quando la mamma si è ripresa dopo la telefonata con Chrissie, è corsa nella stanza di Boob dicendo: – Tesoro non hai ancora la febbre ma forse ti verrà, amore mio.

Naturalmente Boob si è messa a tossire più forte. – Ce l’ho – ha detto. – È beri beri. – Ma per favore. Be’, per il momento è tutto Anne.

P.S. Mi rimetto a scriverti di sera tardi, Anne. Ho ancora per la testa quello che è successo ieri e non riesco a dormire. Prima di ricominciare a scrivere sono andata in cucina e ho acceso la tv con il volume tutto abbassato. Su Channel 9 c’era l’Ora dei Morticini. Io la chiamo così. È una pubblicità informativa in cui fanno vede-re secchi pieni di neonati morti mentre la voce fuori campo se la prende con quei permissivi omosessuali assassini di bambini. Fa assolutamente schifo però continui a guardare perché non riesci a crederci tanto è disgustoso. Ce n’è uno che sembra un matto con un’accetta piantata in testa. Continuano a passarlo finché non ti

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viene il vomito eppure non smetti di guardare. Mamma e papà l’hanno visto un mese fa e non potevano crederci. La sorella della mamma, Chrissie, finanzia la Fondazione Tombe Dei Bambini Mai Nati e non fa altro che andare a dimostrazioni di protesta. È uno dei motivi per cui lei e la mamma si odiano. Quando guarda Boob con il suo Piccolo Feto la mamma dice: – Oh Cheryl, tesoro, tu piccola Boob quando crescerai diventerai una di quelle orribili persone che spingono i figli sotto le ruote delle macchine davanti agli ambulatori, come fa Chrissie. – E Boob le risponde: – Ma non i miei figli, solo quelli degli altri – e ride. E il fatto è che ne sarebbe davvero capace.

10 MARZO

Un altro lunedì. Papà è andato a Los Angeles, è partito da Ne-wark stamattina mentre io ero a scuola. Boob è rimasta a casa con tisi e polmonite doppia. Pessima settimana, compiti in classe e tutto il resto. Per me non è un problema, ma che noia. Oggi in mensa ho visto Katherine. Era seduta per i fatti suoi e leggeva un libro. Ho pensato che voleva stare da sola. Mi ha salutato ma poi si è rimessa a leggere. Dopo un po’ Ms Cutler le ha detto di sedersi insieme alle altre perché non va bene stare da soli neanche quando si studia e si preferisce restare in pace. Allora Katherine è venuta a mettersi vicino a me, ma senza dire niente. – Come stai? – le ho chiesto e lei mi ha fatto solo un cenno. Era tutta spettinata. – Non vuoi par-lare? – ho detto. – Ci vediamo dopo – mi ha risposto, si è alzata e se n’è andata. Forse è preoccupata che quelli che hanno sentito Lori chiamarci lesbiche vadano in giro a raccontarlo a tutti. Forse è per questo che non voleva farsi vedere con me, ma spero di no.

Mentre uscivo è arrivata Lori. – Ci vediamo domani ad algebra – le ho detto. – Oh no – mi fa lei. – Perché? – Non ci vengo. È deciso, ho già avvisato Miss Taylor – mi ha risposto. – E perché

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non vieni? – Ho da fare – mi ha detto con un sorrisino, ma poi non ha voluto scucire altro. Sono sicura che c’entra quello scemo di Simon. Come niente bigiano tutti e due, così possono stare in-sieme. Non so perché non aspetta la fine del trimestre per vederlo, le vacanze sono la settimana prossima! A meno che non vada via con i suoi. Se bigia davvero finisce che la ribeccano, Anne, lo so. L’ultima volta ha provato a falsificare la scrittura di sua madre ma ha fatto così tanti errori di ortografia che Miss Taylor non c’è cascata. Non so cosa le ha raccontato stavolta.

Dopo le lezioni ci hanno fatto l’anticolerica perché il fiume porta un sacco di schifezze da Long Island. Brearley è proprio sull’East River, c’è di mezzo solo Roosevelt Drive. Guardando verso l’altra sponda si vedono il fumo e gli elicotteri. Il braccio mi fa ancora male come se bruciasse. Due delle ragazze del decimo anno si sono ammalate, una reazione allergica o roba del genere. Melissa Cassidy mi ha detto che una è morta, ma quella lì crede a qualsiasi cosa le raccontano. Mi sa che Boob ha fatto finta di essere più malata di quello che è per evitare la vaccinazione. Mica scema mia sorella.

Per oggi è tutto. Ora di studiare. Delle ragazze hanno deciso di rileggere Silas Marner! Ce n’è anche di più matte della mia famiglia.

11 MARZO

Oggi Lori non è venuta a scuola, quindi vuol dire che ieri di-ceva la verità. Spero che sappia quello che fa ma ho i miei dubbi. Boob sta meglio. Naturalmente continua a far finta di essere malata per cavarne tutto quello che può. Le ho chiesto se aveva bisogno di un polmone d’acciaio. – Che cos’è? – mi ha risposto lei. E poi subito: – Lo voglio, ce l’ho bisogno. – Papà è ancora a Los Angeles. Stamattina le ha telefonato per dire che sperava stesse meglio e che tornerà alla fine della settimana. Fosse per lui

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sarebbe tornato prima, ha detto, ma non è ancora riuscito a vedere i produttori. Non possono uscire dall’ufficio perché per strada sparano. Dice che parlano al telefono da sotto la scrivania.

– Papà non ha chiamato Booz – ha attaccato Boob. – Ha chia-mato me perché io sono il numero uno. Nessuno telefona a Booz. Booz l’hanno trovata nel bidone delle immondizie.

– Piantala Boob – le ho detto. – Ha telefonato a te perché eri a casa e sei rimasta a casa solo per non fare la vaccinazione.

– Fammi vedere dove ti hanno bucato – mi ha chiesto. Così mi sono tirata su la manica e le ho fatto vedere il livido. Ho il braccio tutto verdegiallastro, una roba disgustosa. E mi fa ancora male. – Booz può prendersi anche la mia puntura. Doppio buco per Booz.

– E una visita di leva per Boob – ho detto io saltando sul suo letto. Ho brancato la candela che tiene sul comodino e l’ho rivol-tata, montandole addosso a cavalcioni per immobilizzarla. – Ora di misurare la febbre – ho detto. – Datemi la vaselina.

– No – gridava Boob, ma io le ho affondato la faccia nel cusci-no e lei ha cominciato a scalciare come se stesse nuotando.

– Ha la febbre altissima – ho continuato e l’ho sculacciata con la candela. – È cancrena tropicale. Bisogna operare.

– Lasciami andare – gridava Boob continuando a scalciare. Aveva quasi smesso di piangere, quindi l’ho piantata.

– Chi è il numero uno? – ho detto. – Ce l’hai davanti – mi ha risposto Boob e si è messa a ridere.La mamma ha bussato alla porta, è entrata e ha detto: – Oh, tesoro,

vi ho sentite ridere. Allora stai aiutando la povera Boob a rimettersi? – Sta cercando di uccidermi – ha risposto Boob. – Bambine mie, siete due pagliacci, cosa volete per cena stasera? – Qualcosa da mangiare – ha detto Boob. – Tanto da mangiare – ho detto io. – Poi però devo studiare. – Ma certo, sei così brava, tutte e due siete brave.

Boob si è messa la vestaglia e si è seduta in cucina con me e la mamma. Ha divorato la cena neanche l’avessimo tenuta a digiuno

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per anni. Ho chiesto alla mamma che cosa aveva detto papà al telefono, se la sceneggiatura era piaciuta al regista, perché sapevo che il regista andava a prenderlo all’aeroporto. – Non ne ha par-lato, tesoro, è rimasto sospettosamente vago sull’argomento – mi ha risposto lei. – Non promette bene – ho detto. – No, amore, ma non si può mai sapere. Spero che torni a casa presto perché mi fa paura pensarlo in mezzo a tutti quei matti. – Come mai nessuno fa più film? – ha chiesto Boob. – I film piacciono a tutti. – Lo so, amore, ma è tutto così per aria. Fare film costa molti soldi e in questo momento nessuno ne ha, neanche a Hollywood. Han-no speso i soldi come acqua fresca e adesso hanno sete. – Tutti hanno sete – ha detto Boob. E la mamma ha risposto: – Lo so, lo so. Vostro padre dice che le cose non vanno poi così male, si ha quell’impressione perché è da così tanto tempo che niente va più bene che manca la misura per fare paragoni. – La situazione sta peggiorando? – ho chiesto e la mamma ha annuito.

Abbiamo acceso la tv e al telegiornale facevano vedere le im-magini degli incendi a Beverly Hills. Abbiamo guardato bene, ma papà non lo abbiamo visto. Hanno detto che oggi non è stato ucciso nessuno. – Oggi non hanno ucciso nessuno di importante – ha detto Boob con un sorriso.

11MARZO

Oggi papà ha telefonato alla mamma per dire che stava bene e che dalle parti del suo albergo non c’erano problemi. I produttori sono finalmente usciti dall’ufficio dopo che la milizia è arrivata nella zona. Ha una riunione con loro oggi pomeriggio. Ha detto che tornerà domani perché i disordini intorno all’aeroporto si sono calmati. – Dice che in tv sembra peggio ma, amore, è così per tutto – ha concluso la mamma.

Qui da noi ci sono notizie più importanti, Anne. Non riesco

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a crederci. A pranzo Whitney mi ha raccontato che questa mat-tina era in segreteria quando è arrivata Lori ed è andata dritta nell’ufficio di Miss Taylor. Whitney non è riuscita a sentire cosa dicevano. Dopo pochi minuti Lori è uscita di corsa e se ne è an-data da scuola.

Oggi pomeriggio quando sono arrivata a casa, prima di raccon-tarmi di papà, la mamma mi ha detto: – Oh, amore, dimmi che hai visto Lori o che hai sue notizie, ti prego. – No – ho risposto. – Miss Taylor ha telefonato alla madre di Lori stamattina per dirle che l’aveva sospesa e Lori non è ancora tornata a casa – ha detto la mamma. – Perché l’hanno sospesa? – ho chiesto. – Tesoro, ha cercato di fare la furba. Ieri non è venuta a scuola, vero? – No – ho detto. – Stamattina ha consegnato a Miss Taylor un biglietto, ma era una giustificazione falsificata e neanche tanto bene a quanto pare. Così l’hanno sospesa su due piedi e Lori non è tornata a casa e nessuno sa dov’è. – E nei guai? – ho domandato. – Guai serissi-mi – mi ha risposto la mamma e aveva gli occhi persi come me.

Be’, Anne, se si vuole bigiare bisogna anche organizzarsi per non farsi beccare. Sono sicura che Lori pensava di essere a posto, ma chiaramente si sbagliava. Ogni volta che la beccano cerca di cavarsela con le bugie ed è una pessima bugiarda. Io non ho mai bigiato e non vedo perché dovrei, però se bigiassi non mi farei beccare. A scuola mi credono sempre quando racconto storie, Lori invece non la credono mai neanche quando dice la verità.

Così adesso nessuno sa dov’è. Ho telefonato a Tanya e a Susie. Whitney le aveva già informate, ma Lori non si è fatta viva. Forse a quest’ora è tornata a casa. Spero che non le sia successo niente ma come si fa a saperlo. Come dice la mamma, è incredibile quan-ti maniaci ci sono in giro che aspettano solo di mettere le mani su delle tenere paperette come noi. Probabilmente sarà con Simon, se è riuscita a trovarlo e a mettergli le zampe addosso.

Oggi Boob è tornata a scuola e le hanno fatto la vaccinazione. Ha un livido che è due volte il mio e si è anche un po’ gonfiato.

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È davvero una bambina. – Ti cadrà il braccio Boob – le ho detto. – Piantala, fa male – mi ha risposto lei. – Vedrai che quando sarà in cancrena non ti farà più male. Diventerà tutto nero e ti cadrà, se non muori prima. – Piantala – ha cominciato a gridare e poi ha smesso di piangere. Allora l’ho piantata. Meno male che il gon-fiore le è un po’ passato, perché se no non ci avrebbe più lasciato in pace. Magari avrebbe persino insistito per farselo amputare.

Stasera continuava a telefonare un’agenzia di recupero credi-ti. La mamma aveva un’aria tristissima quando ha messo giù l’ultima volta. – Ti hanno trattata male? – le ho chiesto. – Sì, tesoro, ma è quello per cui sono pagati e quindi non vale la pena di prenderla come un’offesa personale – mi ha risposto. – Perché no? – le ho chiesto. Se qualcuno mi tratta male non se la cava tanto facilmente, questo è poco ma sicuro. Lei ha semplicemente scosso la testa.

Dopo cena ho studiato educazione civica, come funziona il governo, anche se tutti dicono che non funziona più. Era da un pezzo che non pregavo, ma questa sera ho pregato per Lori. Notte, Anne.

12 MARZO

Ieri sera dopo averti scritto sono andata a dormire. Sarà pas-sata un’ora quando ho sentito dei rumori per strada e mi sono alzata a guardare fuori dalla finestra. C’era una banda di ragazzi che correva per l’Ottantaseiesima Strada inseguita dai poliziotti a piedi e in macchina. Erano una marea. Quando sono arrivati sulla Lexington hanno preso verso nord. Hanno rotto le vetrine di hmv e rovesciato l’edicola davanti al cinema. La polizia ha continuato a inseguirli e credo che ne abbiano presi un po’ anche se al telegiornale non l’hanno detto. Stamattina i negozi avevano le saracinesche abbassate ma per il resto sembrava tutto normale.

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Ieri notte però ho avuto paura. Ho ricominciato a pensare a Lori e c’è voluto un bel po’ prima di riaddormentarmi.

Per fortuna per domani ho dovuto preparare un solo compito in classe, così stasera posso andare a letto presto. Sono così stanca e non è stata una bella giornata, Anne.

Poi ho saputo che quando ho visto quella banda per strada Lori era già a casa. Una ragazza più grande che conosce Tom, il fratello di Lori, gli ha parlato ieri sera e l’ha raccontato alla sorella di Tanya che ce l’ha detto questa mattina. Quindi dopo tutto Lori non si è fatta ammazzare per strada. Però quello che le sta succedendo non è molto meglio, secondo noi. I suoi genitori hanno deciso di mandarla in un campo di recupero nel New Jer-sey. Erano secoli che minacciavano di spedircela, ma non credevo che parlassero sul serio.

– Che cosa ti fanno in quei posti? – ha chiesto Icky Betsy. Lei dovrebbero mandarla in un campo per bulimici.

– Ti radono a zero – ha detto Whitney. – Di notte ti legano al letto con delle grosse cinghie e affilano le fibbie.

– Come fai a saperlo? – le ho domandato. – Perché lo so – ha risposto Whitney. – Tu non ci sei mai stata – ha detto Icky Betsy. – No, ma ho letto di gente che c’è stata e ho sentito dei racconti. – Perché affilano le fibbie? – ho chiesto. – Perché così quando ti svegli di notte per andare in bagno ti tagli mentre cerchi di tirarti su dal letto e comunque non ci riesci – mi ha risposto lei. – E come fai se ti scappa? – ha chiesto Icky Betsy. – Te la tieni. Fanno passare la corrente sulle molle del letto e così se la fai a letto prendi la scossa. – Non ti credo – ho detto io. – E vero – ha insistito lei. – Ma così morirebbero tutti – ha detto Tanya. – Non è una scossa forte, quello che basta per far male. – Comunque secondo me non sa quello che dice.

Oggi pomeriggio papà è tornato da Los Angeles. Io, la mam-ma e Boob siamo state contentissime di vederlo. Ci ha portato delle collane, dei bei fili d’oro. Però mi sa che non è oro vero. Ce

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le siamo subito messe e naturalmente nel giro di cinque minu-ti Boob ha perso la sua. Ma non importa perché poi l’abbiamo ritrovata. A cena papà ha parlato del viaggio, ma soprattutto di come la gente reagisce ai disordini. Gli ho chiesto se i produttori alla fine erano usciti da sotto la scrivania e lui ha risposto di sì. Secondo loro l’aviazione dovrebbe bombardare la città, ma lui non pensa che sia una buona idea. Intanto però alla tv hanno detto che ci stanno pensando, quindi scommetto che alla fine lo fanno. Gli abbiamo domandato se hanno comprato il suo film e lui ha risposto che non hanno ancora deciso. Pare che ci stiano pensando, il che in genere vuol dire no. Non sembrava triste o giù, ma intortava. Siccome era completamente scombussolato per la differenza d’orario, stasera è andato a letto presto.

Poi è successa una cosa orribile, Anne. Ho cercato di chiamare a casa di Lori. Ha risposto sua madre e quando le ho detto chi ero mi ha risposto che non potevo più parlare con Lori. – Perché no? – ho chiesto, ma lei mi ha attaccato il telefono. – È una cosa da terribili villani, tesoro mio, lascia fare a me – mi ha detto la mamma quando gliel’ho raccontato. Così un’ora dopo ha telefo-nato lei. Quando ha messo giù mi ha raccontato com’è andata.

– Ha detto che le dispiaceva di averti attaccato il telefono in faccia, amore, ma è quello che le hanno ordinato di fare – mi ha spiegato. – Chi gliel’ha ordinato? – ho chiesto. – Quei terroristi del campo di recupero, angelo mio. Dicono che quando un ra-gazzo entra nel loro programma non può più parlare con nessuno dei suoi amici perché è impossibile distinguere tra le buone e le cattive compagnie – mi ha risposto. – Ma io non sono una cattiva compagnia – ho protestato. – Oh, amore, lo so però è quello che ti ordinano di fare. – Non può parlare neanche con Katherine? – No, angelo, no. Ai loro occhi siete tutti miscredenti. – Ma non è giusto. – No, angelo mio – ha detto la mamma. – E quando uscirà di lì potrà di nuovo parlare con noi? – Non lo so, amore. Da quel che ho sentito in quei posti ti fanno un tale lavaggio del cervello

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che alla fine non sai più neanche chi sei. – Lori potrebbe non par-lare mai più con me perché si è comportata in un modo che ai suoi non va? – ho chiesto. La mamma ha annuito. – Non è giusto – ho detto e lei mi ha risposto: – No, amore, non è giusto.

Ho cercato di chiamare Katherine, ma naturalmente non ha risposto nessuno. Questa volta non ho neanche lasciato un mes-saggio sulla segreteria. Dopo che Boob ci ha dato la buonanotte la mamma mi ha detto che secondo papà non c’è speranza di vendere un bel niente in un futuro prossimo. Dovremo inventarci qual-cos’altro per tirare avanti. – E cosa? – ho chiesto, ma la mamma non mi ha risposto.

13 MARZO

Venerdì 13 mi ha sempre portato fortuna, Anne, e oggi non ha fatto eccezione. Questa mattina avevamo il compito di musi-ca e per me è stata una passeggiata. Adesso finalmente siamo in vacanza! Evviva!

Poi ero a casa da cinque minuti e mi ha telefonato Lori! Suo padre era al lavoro e sua madre era andata in banca. Suo fratello Tom l’ha lasciata telefonare perché secondo lui non esiste che non la lasciano parlare con nessuno. – Stai bene? – le ho chiesto. – No. – Quando parti? – Domani mattina e ho paura. – Quanto tempo ci resti? – Sei settimane. – Potrai parlarmi quando torni? – Voglio sperare – ha detto. Poi è tornata sua madre e Lori ha riattaccato per non farsi trovare al telefono. Volevo salutarla, ma non c’è stato tempo.

La mamma mi ha detto che il posto in cui la mandano si chia-ma Komunità-Kura Centro di Recupero Programma a 12 Fasi, a Upper Montclair, nel New Jersey. – La raseranno a zero? – ho chiesto. – Probabile. È terribile, amore, stando a quello che ho letto non sono altro che campi di concentramento corredati di

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video game. – Tu e papà non mi mandereste mai in un posto così, vero? – Oh tesoro, mai mai e poi mai in nessunissimo caso – mi ha detto. In un certo senso sarei curiosa di vedere com’è uno di questi campi, ma non vorrei doverci andare.

Boob era lì seduta che armeggiava con il suo Piccolo Feto perché, chissà come, ha perso un braccio. Continuava ad alzarsi per andare a guardare nel frigorifero. – Cosa fai Boob? – le ho chiesto. – Guardo se hanno messo Lori sul cartone del latte – mi ha risposto. – È già tornata a casa non la mettono sul cartone del latte – le ho detto. – Forse quella che è tornata fa finta di essere lei – mi fa. – Tu sei matta Boob. – Cosa vuol dire che le fanno il lavaggio del cervel-lo? – ha domandato poi. – La cambiano, amore – ha spiegato la mamma. – Come? – Non lo so – ha detto la mamma. – Le lavano il cervello col sapone o col detersivo? – Sta zitta Boob – ho detto io. – Le mettono la testa in lavatrice – ha continuato lei ed è scop-piata a ridere. – Lori fa la centrifuga. – Non c’è niente da ridere Boob. – Bambine mie siete così buffe – ha detto la mamma. Poi ci ha fatto andare in soggiorno per finire di preparare la cena.

Appena papà è uscito dal suo studio, Boob gli è saltata in brac-cio e si sono seduti. È sempre stato un gioco divertente, ma ormai sono diventata troppo grande, sono quasi alta come lui. Papà ci ha abbracciato. Le cose potrebbero andare meglio, ha detto, ma almeno arriva il weekend e dovremmo pensare a divertirci. Boob squittiva come un maialino e anch’io ero contenta, invece papà sembrava tristissimo. Non ci dice come stanno davvero le cose e non so se voglio saperlo. Però ha ragione: è arrivato il weekend. E sono arrivate anche le vacanze!

14 MARZO

Oggi doveva essere una bella giornata invece non è andata così, Anne. Stamattina come al solito sono stata la prima ad alzarmi.

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È suonato il telefono e io ho risposto al primo squillo. Pensavo che magari Lori era riuscita a restare sola abbastanza tempo da chiamarmi di nuovo, ma non era lei.

Era un tizio di un’agenzia di recupero crediti. Parlava con una voce che sembrava avesse la bocca piena di sassi. La prima cosa che mi ha detto è stata: quando pagate? – Vuole parlare con i miei genitori – ho risposto. No, voglio parlare con te, mi fa lui. Perché non sei al tempio? – Non siamo praticanti – ho detto. – Le chiamo mio padre. – Ti piace la tua casa? mi ha chiesto. – Certo che mi piace – ho detto io. Se i tuoi genitori non pagano i debiti, noi possiamo metterti in affido. – Non è vero – gli ho risposto. Invece sì, fa lui, ti metteremo in affido, così non vedrai più i tuoi genitori e neanche le tue sorelle e i tuoi fratelli. – Non ho fratelli – ho detto. E sai cosa succede alle ragazzine nelle famiglie d’affi-do? ha continuato lui. Allora ho attaccato. Il telefono si è rimesso a suonare e sapevo che era ancora lui, ma ho risposto perché non volevo che svegliasse la mamma e papà. Le violentano, mi ha detto, nelle famiglie d’affido violentano le ragazzine; sarà meglio che i tuoi genitori paghino i debiti. A quel punto papà ha tirato su la cornetta in camera e l’ho sentito dire: Chi parla? e allora ho riattaccato. L’ho sentito urlare e poi sbattere giù il telefono così forte che credevo l’avesse rotto. Subito dopo la mamma è uscita dalla loro camera e io ero seduta sul divano.

– Oh amore, che cosa ti ha detto? – mi ha domandato. – Nien-te – ho risposto io, ma avrei dovuto raccontarle cosa mi aveva detto. – Guardami in faccia, tesoro, cosa ti ha detto quell’uomo orribile? – Pagate i debiti. – Non ti ha minacciata? – Io ho fat-to di no con la testa. Non so perché non le ho raccontato delle ragazzine violentate nelle famiglie d’affido. Il modo in cui me l’ha detto mi ha fatto stare malissimo e scommetto che è pro-prio quello che faceva lui alle ragazzine nelle famiglie d’affido dove è stato. La mamma mi ha abbracciato e mi ha detto che le dispiaceva tanto tanto. – Perché non dichiarate fallimento? – ho

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chiesto. – Oh tesoro mio, se lo rifacciamo questa volta perdiamo tutto, non è possibile – mi ha risposto. – Quindi continueranno a chiamare – ho detto io. – Michael ha staccato il telefono, amo-re, questa mattina non chiameranno più, ma d’ora in poi lascia rispondere a noi. – Ok – ho detto.

È tornata in camera e ha chiuso la porta. Li ho sentiti urlare ma non volevo ascoltare, così ho acceso la radio e per un po’ sono stata a sentire la musica. Boob si è svegliata, è uscita dalla sua stanza e si è messa a ballare facendo la stupida. Continuava a dire: – Ballo l’hip-hop. – Peccato che questo non è rap, è musica classica – le ho risposto. – Giù in ginocchio! Sono la regina del rap Cheryl Cherifah – ha detto Boob e ha continuato a ballare finché non è crollata per terra. È guarita del tutto.

Poi la mamma è riapparsa e ci ha preparato la colazione. Ab-biamo mangiato panini tostati con la marmellata di fragole e un bicchiere di latte. Dopo colazione ci siamo preparate. – Oggi sarà una bellissima giornata, paperette, ignoreremo le preoccupazioni di questo mondo crudele. – Dopo un po’ è arrivato papà e lui e la mamma dovevano aver fatto la pace perché si tenevano abbrac-ciati come al solito. Papà mi ha messo una mano sulla spalla e ha detto che gli dispiaceva. – Non importa – gli ho detto io. Invece non è vero. Quello che mi ha detto il tizio del recupero crediti mi importa eccome, ma papà non può farci niente. Nessuno ci metterà in una famiglia d’affido. Non ci andrei neanche se mi ci obbligassero.

Prima di uscire la mamma ha riagganciato il telefono e mentre eravamo sulla porta si è rimesso a suonare. Papà ha risposto caso mai fosse una telefonata che aspettava, ma naturalmente era di nuovo quello del recupero crediti e allora ha attaccato.

Siamo andati a fare una passeggiata nel parco. Era davvero una bellissima giornata. Poi siamo andati al Metropolitan a vedere la mostra d’arte moresca. Boob si è comportata bene, ma si compor-ta sempre bene nei musei. Io guardavo tutti quelli che avevamo

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intorno alla mostra pensando chissà se se la passano male come noi. La maggior parte sembrava proprio di sì, a giudicare dalle facce, ma non si può mai sapere.

Siamo saliti sulla terrazza ed erano tutti dalla parte che dà sulla Quinta Avenue. Nelle strade laterali e oltre gli edifici si vedevano dei nuvoloni di fumo nero che venivano da Brooklyn e da Queens. Il cielo era scuro come prima di un brutto temporale. Non si riusciva a distinguere niente eppure stavano tutti a guar-dare. Le fiamme sembravano lucciole tanto erano lontane. – Che cos’è? – ha chiesto Boob. Disordini civili, ha risposto un signore. Quelli sono bestie, ha detto un altro, vanno fatti saltare in aria. – Sono tuoni? – ha domandato Boob. Spari, ha risposto papà. Cannoni e mortai, ha detto qualcuno. E un altro tizio: dovranno usare l’esercito se la milizia non riesce a contenerli. Non possono farlo, ha detto una signora. – Disordini civili vuol dire scontri, vero? – ho domandato. Dipende, ha risposto papà. Lo sapevo che non avevano idea di quello che dicevano quando hanno assicurato che non ci sarebbero stati scontri. – E su cosa si scontrano? – ha chiesto Boob. Su tutto, ha risposto papà. Poi siamo tornati dentro perché ci bruciavano gli occhi.

Abbiamo pranzato in un posto all’angolo tra la Madison Avenue e l’Ottantaduesima Strada. Non ci avevo mai sentiti stare tanto in silenzio. È stato davvero stranissimo, Anne, eravamo zitti come fossimo ancora al museo. Io non avevo voglia di parlare, mi sa che non andava a nessuno, neanche a Boob. Poi siamo scesi per la Ma-dison Avenue fino alla Cinquantanovesima Strada guardando tutti i negozi che sono falliti. Almeno della metà non mi ricordo che negozi erano e mi è venuta paura di avere il morbo di Alzheimer per perdere così la memoria. La mamma dice che le piacerebbe poter andare ancora da Bloomingdale. Per strada non si sentivano gli spari e i cannoni per via del traffico, ma il fumo copriva tutto il cielo sopra Manhattan. Era diventato buio come se stesse per piovere grandi gocce nere, così abbiamo deciso di tornare a casa.

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Abbiamo preso l’autobus, che era pieno, e siamo rimasti in piedi vicino alla porta posteriore per poter scendere in fretta. E MENO-MALE MENOMALE MENOMALE perché all’altezza della Set-tantaduesima è salito un pazzo. Ci sono pazzi ovunque, ma questo faceva proprio paura, Anne. All’inizio, quando è salito, sembrava uno normale anche se aveva l’orlo dei pantaloni strappato e sporco di fango e sulla guancia un grosso foruncolo che spurgava, una roba schifosa. Sarà stato a un metro e mezzo da noi.

Boob canticchiava le sue canzoncine stupide e papà le ha detto di non attirare l’attenzione. Tutto a un tratto il pazzo ha comin-ciato a picchiare una vecchietta seduta in uno dei posti singoli. Le ha fatto volar via gli occhiali e lei gridava e aveva la bocca che le sanguinava. Non gli aveva neanche rivolto la parola, l’ha scelta a caso. Mamma e papà ci hanno abbracciato e si sono tirati indietro spingendo la gente che gli stava alle spalle. Gli altri viaggiatori sull’autobus hanno brancato il pazzo e lui si è messo a picchiare anche loro. L’autista allora ha accostato e si è fermato e noi siamo scesi di corsa. Una volta al sicuro siamo rimasti a guardare cosa succedeva. C’era già lì una macchina della polizia. I poliziotti sono saliti sull’autobus e pochi minuti dopo hanno trascinato giù il pazzo e si sono messi a picchiarlo con i manganelli. Poi, Anne, un tizio per strada, uno in giacca e cravatta, ha visto la scena, è arrivato di corsa e si è messo a prenderlo a calci sulla testa più forte che poteva. Boob ha cominciato a piangere. La gente per strada applaudiva come al cinema. I poliziotti hanno spintonato via l’uomo in giacca e cravatta, hanno tirato su il pazzo e l’hanno sbattuto in macchina. Era tutto finito, così ce ne siamo andati. Siamo tornati a casa a piedi ed è stata una giornata così strana che arrivati di sopra ci siamo chiusi ognuno in camera sua, come se ci avessero messo in castigo. Mi sono sdraiata e volevo solo dormire, quindi ho fatto un sonnellino. Il telefono è suonato un paio di volte e ha risposto sempre papà, ma non so se era ancora quello del recupero crediti.

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Più tardi abbiamo guardato il telegiornale e naturalmente non hanno detto niente del pazzo sull’autobus che quasi ci ammaz-zava tutti. Gli elicotteri della televisione non possono sorvolare Brooklyn e Queens, così i giornalisti non sanno niente di quello che succede lì. Il sindaco ha dichiarato che è tutto sotto controllo. Il telegiornale della abc ha fatto vedere il presidente nella sua casa di campagna. Qualcuno ha commentato che non è in carica da abbastanza tempo per sapere quello che fa, ma secondo me è imbottito di Xanax.

Se non avessero mandato Lori alla Komunità-Kura, scommetto che avremmo passato la giornata insieme e ci saremmo divertite un sacco. Adesso mi dispiace che abbiamo litigato e vorrei aver parlato più spesso con lei. Magari non potrò parlarle mai più o magari in-vece sì. Come si fa a dire, si sentono così tante storie su quello che ti fanno e cosa succede quando non sei più la stessa persona.

Grazie a quel sonnellino, stasera non riuscivo a addormentarmi, così ho pensato di scriverti per filo e per segno quello che è suc-cesso. Ti chiederai se sto mai zitta, Anne, ma è così facile parlare con te e una volta incominciato non riesco più a smettere. Mentre guardavo la tv stasera tardi, prima di mettermi a scrivere, ho visto una pubblicità della Komunità-Kura. C’è un ragazzo che strippa in solitaria. Porta il chiodo con disegnato sopra un teschio, ha la faccia che è un delirio di brufoli e sta fumando una canna. Comincia a ridere come se fosse fuori e poi si butta a correre in mezzo alla strada davanti a un mare di macchine. La maggior parte lo manca ma poi arriva un camion che lo tira sotto. L’attore che fa la parte del ragazzo dev’essere uno stuntman, perché poi fanno vedere tutte le ruote del camion che gli passano sopra e lo maciullano e il san-gue schizza a fiotti come se colpisse lo schermo della tv. Quando lo schermo è tutto rosso compare una scritta che dice: Mettici un freno prima che sia troppo tardi. Triploschifo da far vomitare, ma l’altra sera hanno mandato una pubblicità dell’associazione Drug Free America così disgustosa che pensavo che papà svenisse.

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Ormai sono quasi esausta, Anne, quindi mi sa che per adesso basta così. Se tu avessi le orecchie ti avrei già fatto diventare sorda. Tra sei settimane è il 25 aprile. Notte.

15 MARZO

Oggi non mi sento di scrivere, Anne. Scusa ma a volte è così. Ti scrivo domani, promesso.

16 MARZO

E terribile, Anne. Questa mattina quelli della società immobi-liare sono passati ad attaccarci un biglietto sulla porta. L’ho trovato quando sono scesa a prendere la posta. L’ho dato a papà e lui se l’è portato nello studio ed rimasto chiuso lì per un pezzo. Quan-do finalmente è uscito, non ha detto niente. – Cosa c’è? – gli ho chiesto. Niente, ha risposto. Più tardi, quando ho visto che Boob era presa a guardare uno stupido film alla tv, sono andata dalla mamma e le ho chiesto cos’era successo. Aveva l’aria molto stanca e mi sa che oggi ha preso più pillole del solito, più Xanax o forse si è rimessa a prendere il Prozac. Il dottore gliene dà di cinque o sei tipi diversi ma tra tutte non fanno altro che intontirla.

– Abbiamo il padrone di casa alle costole, tesoro, fa minacce a destra e a manca – mi ha detto.

– Che genere di minacce? – le ho domandato. – Minacce da padrone di casa, angelo mio – ha detto la mamma. – Ma tu e Boobie non vi preoccupate perché papà sta facendo delle telefo-nate per parlare con della gente che conosce. – Per farsi dare del lavoro? – ho chiesto. – Sì, amore. Purtroppo bisognerà prendere provvedimenti seri. – Il padrone di casa è arrabbiato? – Vuole l’affitto – ha detto lei. – Pensavo che papà l’avesse appena pagato

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– ho risposto. La mamma ha annuito e ha detto: – Era l’affitto di novembre, tesoro, siamo un po’ in arretrato. – Novembre è lon-tano anni luce, non riuscivo a crederci. – E adesso cosa succederà? – Oh oh tesoro, non ti preoccupare ci prenderemo sempre cura di voi sempre sempre sempre – ha detto la mamma. – È un bel pasticcio ma credimi tuo padre dispone di risorse infinite.

Le credo. Subito dopo aver parlato con la mamma, mi ha tele-fonato Katherine per chiedermi se domani volevo fare qualcosa con lei dato che siamo in vacanza. Mi ha fatto così piacere sen-tirla. Le ho detto ok ma che non avevo i soldi per il cinema o per andare a mangiare fuori, quindi le ho chiesto se voleva venire a trovarmi domani e lei ha detto se poteva stare a dormire. Ho do-mandato il permesso alla mamma e lei ha risposto: – Oh tesoro, quando volete, sarà anche lei sconsolata per Lori; falla venire così ne potete parlare. – Allora le ho detto che andava bene e viene domani per cena.

Stasera mamma e papà sono rimasti chiusi nello studio per un sacco di tempo. Boob non so perché ma oggi era stanchissima, così l’ho messa a letto presto e ho aspettato che loro uscissero da lì dentro. Alle undici erano ancora chiusi nello studio e allora ho bussato alla porta. – Oh amore, è tardissimo vieni qui con noi – mi ha detto la mamma. Quando sono entrata li ho visti al computer che facevano somme e risolvevano problemi matema-tici. – State preparando un budget? – ho chiesto. Non li avevo mai visti fare una cosa del genere e mi è sembrato interessante. – Oh sì, tesoro, e sarà dura ma possiamo farcela – ha risposto la mamma. Papà ha detto che andrà tutto bene. Dobbiamo solo adattarci un po’.

– Adattarci a cosa? – ho domandato. – A qualche cambia-mento, cara – ha risposto la mamma. – Se ci danno lo sfratto metteranno me e Boob in affido? – Papà si è alzato da davanti al computer, si è venuto a sedere vicino a me sulla poltrona e mi ha preso la mano. Una cosa simile non succederà mai, mi ha detto,

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e comunque non ci daranno lo sfratto. – Sei sicuro? – ho chiesto e lui ha annuito. – Ma allora come cambieranno le cose? – ho domandato. – Non lo sappiamo ancora esattamente, amore, ma non sarà una situazione definitiva – ha detto la mamma. – Asso-lutamente. Assolutamente. Adesso vai a dormire, piccola mia, è tardissimo. Altrimenti domani sarai un anatroccolo stanco stanco e non potrai andare in giro a starnazzare. – Ma non ho sonno – ho detto; però come al solito non è servito a niente.

Adesso che ci penso, Anne, scommetto che hanno speso i soldi dell’affitto per i regali di Hanukkah e di Natale. Chissà quanto sono costati tutti i miei mobili nuovi e le cose per Boob. Vorrei che non l’avessero fatto, Anne, ma se non l’avessero fatto non sa-rebbero più mamma e papà. Sono tali e quali a Boob, se vogliono una cosa non sono soddisfatti finché non la ottengono. Ti scrivo seduta alla mia scrivania e mi viene da pensare che forse se non me l’avessero comprata, adesso avremmo i soldi che ci servono. Invece sono qui nella mia camera a scriverti su quello che potrebbe essere l’affitto. Notte. Non vedo l’ora che venga Katherine domani. Ti scrivo dopodomani, di sicuro.

18 MARZO

Ieri e oggi papà è stato fuori tutto il giorno per fare delle cose ma non ci ha detto cosa. Credo che stia cercando di procurarsi del lavoro. Non so con quanta fortuna. Il telefono suona in con-tinuazione ma lasciamo rispondere la segreteria e la mamma ha abbassato il volume così non ci tocca sentire il tizio del recupero crediti, il padrone di casa e tutti quelli che ci stanno alle costole.

Questo pomeriggio la mamma è uscita e quando è tornata a casa sembrava un po’ più contenta. All’inizio pensavo che si fosse fatta fare un’altra ricetta. Siccome aveva in mano una grossa sca-tola le ho chiesto cosa c’era dentro. – Delle persone che conosco

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in una casa editrice mi hanno dato delle bozze da correggere, angelo mio, e mi pagano – mi ha risposto. – Tanti soldi? – le ho domandato. – Oh no, ma è pur sempre qualcosa – ha detto lei.

Come previsto, ieri non ti ho scritto Anne perché come dicevo è venuta a dormire qui Katherine. Portava un cappellino verde e una spilletta sul cappotto con su scritto BACIAMI SONO IR-LANDESE perché ieri era la festa di san Patrizio. Nel pomeriggio era andata alla parata, per questo non è venuta prima. La mamma di Katherine è irlandese e siccome funziona come nelle famiglie ebree è automaticamente irlandese anche lei. Sua madre ha dei bellissimi capelli color rame e gli occhi verdi. Invece Katherine purtroppo ha preso dal padre e ha i capelli castano spento, solo che i suoi non sono ancora diventati grigi. Scommetto che prima di arrivare all’università le succede, è sempre in ansia.

Mentre la mamma lavorava sulle bozze e papà era in soggiorno a guardare un film insieme a Boob, io e Katherine siamo andate nella mia stanza per i fatti nostri ad ascoltare la radio. Abbiamo parlato di Lori e di quello che è successo. Katherine ha saputo da fonti sicure che Lori era con Simon il giorno che hanno bigiato e sono andati a Central Park. A quanto pare sono soltanto andati a farsi un giro insieme fino a metà pomeriggio, come se fossero stati a scuola tutto il giorno. Katherine non sa dove si è nascosta Lori il giorno dopo quando l’hanno sospesa, ma dice che secondo lei deve essere andata al cinema o roba del genere, niente di tre-mendo. In compenso siamo tutte e due pronte a scommetterci che Simon non è finito nei guai.

– Hai sentito parlare della Komunità-Kura? – le ho chiesto.– Di quella no, ma ho sentito delle storie su un altro posto del

genere a nord – mi ha risposto Katherine. – La sorella maggiore di una ragazza che conosco aveva un’amica che c’è stata.

– E com’era? – ho domandato.– Terribile. – Quello che mi ha detto Katherine è così assoluta-

mente incredibile ma vero che devo proprio raccontartelo, Anne.

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– Per tutto il tempo che è stata lì l’hanno tenuta chiusa in una cella senza neanche una finestra. Le hanno portato via i vestiti e poi mandavano i ragazzi a guardarla. Ogni volta che le davano da mangiare le dicevano potrebbe essere il tuo ultimo pasto, quindi vedi di godertelo. Era sempre roba andata a male, piena di vermi e altre schifezze.

– Che storia. E cosa le è successo?– Il capo delle guardie è entrato nella cella con una corda e le

ha fatto vedere come doveva fare a impiccarsi. Le hanno insegnato a fare il cappio e a legare la corda a un tubo sul soffitto. Le hanno detto che se non migliorava dovevano ridare i soldi ai suoi geni-tori, ma se invece moriva potevano tenersi tutto. Le hanno detto che se non si impiccava da sola, tornavano a impiccarla loro e poi dicevano ai suoi che si era suicidata. Quella notte sono tornati quattro volte ma lei si è rifiutata di impiccarsi. Si sono arrabbiati tanto che la mattina l’hanno spedita a casa. E hanno dovuto ridare i soldi ai suoi.

– E poi cosa le è successo? – ho chiesto.– Ha aspettato di tornare a casa e si è impiccata nella sua

stanza, così è toccato ai suoi trovarla e quando l’hanno trovata hanno pianto e le hanno fatto un megafunerale. – È terribile – ho detto. – È una storia vera, è andata proprio così – mi ha risposto Katherine. Tutte e due speriamo che a Lori non succeda niente del genere. Forse la Komunità-Kura non è terribile come quel posto ma non ci scommetterei. – Se tu morissi chi vorresti al tuo funerale? – mi ha chiesto Katherine. – I miei genitori, Boob, tutti i prof, le mie amiche, te e Lori – ho risposto. – E anche tutte le altre ragazze di Brearley e il sindaco. E tu invece se morissi chi vorresti al tuo funerale? – le ho domandato. – Mi basterebbe vederlo – ha detto lei.

Poi ci siamo preparate per andare a letto perché stava diven-tando tardi. Mentre mi facevo la doccia, Katherine è entrata in bagno e mi ha chiesto se poteva dormire ancora nel mio letto e

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io le ho detto sì, certo. Si è seduta sul water a lavarsi i denti e intanto io finivo di sciacquarmi. Ho pensato: chissà se ha ancora quel brutto livido, ma si era già messa il pigiama e quindi non ho potuto vedere. Siamo uscite dal bagno, abbiamo dato la buo-nanotte a mamma, papà e Boob e siamo tornate in camera mia. Come al solito prima di dormire abbiamo parlato parlato parlato. Ero così contenta di averla un’altra volta lì con me.

– Adesso puoi dirmelo cosa è successo, – faccio io a un certo punto – non lo racconto a nessuno. – Lei si è tirata su le coperte fino al mento così era quasi completamente nascosta lì sotto e mi fa: – Cosa è successo quando? – Con tuo padre, dopo la festa di Lori, – le ho detto – com’è che non ti si è più vista? – Per un po’ non mi hanno lasciata uscire perché quella sera sono tornata tardi – mi ha risposto. – Tuo papà era proprio arrabbiato? – Sì – ha detto. Avevamo già spento la luce quindi non potevo vederla in faccia. – Cosa ti ha fatto? – le ho chiesto. Lei si è girata su un fianco, voltandomi le spalle. L’ho rigirata verso di me, ma non riuscivo comunque a vederla in faccia. – Non fare il riccio. Ti ha picchiato? – Perché pensi che mi abbia picchiato? – mi ha do-mandato e allora io le ho detto: – Perché quando lui ti ha chiesto cosa doveva fare con te, tu hai risposto che doveva picchiarti. Come ti è saltato in testa? – Ero incavolata – mi fa lei. Poi mi ha girato di nuovo le spalle ma è rimasta con la testa sul mio cuscino. Si è rannicchiata come un gattino e mi ha appoggiato il sedere contro il fianco. Era molto più calda di Boob e ho pensato che forse aveva la febbre.

– Eri incavolata perché dovevi tornare a casa se no ti facevano un’urlata? – le ho chiesto. – Precisamente. Buonanotte – mi fa lei. – Non ti seccare – le ho detto e lei mi ha risposto: – Non sono seccata sono solo stanca. – Ma non volevi star sveglia fino a tardi? – Sono proprio stanca Lo, buonanotte.

Come ti scrivevo l’altro giorno, Anne, è una menata quando sai che una tua amica ha qualcosa che la rode ma non ti dice cosa.

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Prima di addormentarmi ho pensato a come mi sentirei se non potessi raccontare a nessuno una cosa che mi è successa, ma non tipo quello che mi ha detto il tizio del recupero crediti, qualcosa di davvero importante. Mi ha fatto venire la pelle d’oca e mi è venuta paura, poi senza neanche accorgermene mi sono addor-mentata. Nel cuore della notte mi sono svegliata con Katherine che mi stava stretta stretta con la faccia vicino alla mia. Senza disturbarla, ho sfilato il braccio che avevo sotto di lei perché mi si era addormentato. Era bello avere la sua faccia così vicina e l’ho baciata sulla guancia. Il bacio deve averla svegliata un po’ perché ha detto no no e si è allontanata più che poteva. Allora io mi sono girata su un fianco e mi è dispiaciuto di averla baciata.

19 MARZO

Oggi sono successe così tante cose, Anne. Ti voglio raccontare tutto perché solo dopo che lo vedo scritto riuscirò a crederci. La situazione è questa. Papà è stato fuori tutto il giorno ed è tornato nel pomeriggio con una faccia seria come se fosse morto qualcuno, anche se non proprio così triste. La mamma ci ha preparato la cena: broccoli, pollo e patate novelle. Abbiamo chiesto se pote-vamo guardare il telegiornale come al solito, ma mamma e papà ci hanno risposto che sapere cos’altro sta succedendo serve solo a far sembrare tutto ancor peggio. Be’, Boob non ci ha fatto caso ma io ho capito che c’era davvero qualcosa che non andava perché a casa nostra si guarda sempre il telegiornale. Non riuscivo più a mangiare tanto ero preoccupata, però poi ce l’ho fatta a finire.

Dopo cena papà ha detto andiamo in soggiorno, dobbiamo parla-re. – Di cosa? – ha chiesto Boob. Lui ha detto che finalmente aveva sistemato la situazione e che sarebbe stata dura ma meglio di come si aspettava. – Ti hanno fatto un contratto? – ha domandato Boob. Papà ha risposto che no, non ci sarebbe stato nessun contratto per

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un bel pezzo, anche se naturalmente con Hollywood non si può mai dire. – Per un po’ le cose saranno molto diverse, tesori miei, – ha detto la mamma – ma non per sempre no, non per sempre.

– Come sarebbe diverse? – ha chiesto Boob. Allora hanno co-minciato a spiegarci. Prima di tutto non abbiamo più tanti soldi da spendere e questa volta sul serio, non sono solo storie come quelle che ci intortano ogni tanto. Dovremo tutti stringere un po’ la cinghia dove è possibile. Domani mi metterò con Boob per vedere di cosa possiamo fare a meno. Naturalmente lei non lo sa ancora. Non sarà facile perché c’è sempre qualcosa di cui Boob ha bisogno ma se la situazione è grave come penso peggio per lei, le toccherà soffrire.

Poi papà ci ha detto una cosa così incredibile che ancora non ci credo eppure è vero. Si è trovato un lavoro lavoro! L’hanno assunto alla libreria Excelsior sulla Cinquantasettesima Strada come uno dei responsabili del negozio. Comincia lunedì. Papà una volta lavorava in libreria, mentre cercava di vendere i suoi primi sog-getti quando io e Boob non eravamo ancora nate e lui e la mamma non erano ancora sposati. – Ma non avevi detto che odi lavorare in libreria? – gli ho domandato. Papà ha risposto che è vero, ma è passato così tanto tempo che forse tornarci per un po’ non sarà terribile. Comunque smetterà appena gli studios ricominciano a comprare. – E il boss com’è? – gli ha chiesto Boob. Parrebbe gentile, ha detto papà, ma sembra il risultato di un’esplosione in una fabbrica di peli pubici. La mamma ha riso un sacco. Io ancora non riesco a immaginarmelo papà che lavora in un negozio.

– E io, bambine mie, continuerò a rivedere questi terribili manoscritti – ha detto la mamma. – L’ignoranza degli scrittori contemporanei mi lascia senza parole. – Piano con le generaliz-zazioni, ha commentato papà e si sono rimessi a ridere tutti e due. – Cos’è una fabbrica di peli pubici? – continuava a ripete-re Boob ridendo anche lei. Io ho cominciato a stare malissimo, Anne, perché è chiaro che le cose vanno per il peggio eppure tutti

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nella mia famiglia si comportano come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi. Fosse che cercano di prenderla bene, ok. Il fatto è che poi gli viene la depressione acuta, fino a un certo punto è tutto super e poi diventa tutto uno schifo. Sono completamente pazzi. Non posso far altro che prepararmi al peggio così non mi sentirò troppo giù quando crolleranno e forse potrò consolarli.

Poi papà ha detto: vi ricordate che vi ho parlato della possibi-lità di traslocare per qualche mese? Boob ha smesso di ridere e si è messa zittissima. Vedrai che non serve, ho pensato io perché nessuno ne aveva più parlato. Invece la mamma ha detto: – Oh tesori miei, vi prometto che sarà solo per un po’. – Secondo me non sa quello che dice. Funzionerà così: papà dice che subaffit-teremo il nostro appartamento finché non firmerà il prossimo contratto. È riuscito a farsi dare un altro prestito da uno che conosce per pagare gli arretrati dell’affitto. Verrà a vivere qui un altro scrittore dell’Associazione e ci pagherà l’affitto più qualcosa extra per il disturbo. Da quell’extra più lo stipendio di papà alla libreria uscirà l’affitto del nostro nuovo appartamento. E già tutto stabilito. Papà è andato alla Columbia e si è messo d’accordo per andare a stare in una delle loro case. Non un dormitorio, un pa-lazzo di appartamenti normali. Dice che è un quartiere tranquillo e che costerà meno caro. Io e Boob dovremo di nuovo dividere la stessa stanza, naturalmente. – Io e Booz torniamo insieme – ha esultato lei. A me la cosa non va, ma diciamo che sarà uno dei miei sacrifici. – Dovremo cambiare scuola? – ho chiesto.

– Oh amore, assolutamente no, non vi toglieremo da lì finché non vi butteranno fuori – ha detto la mamma. Papà ci ha spiegato che per quest’anno la nostra retta è pagata ed è sicuro che tro-veremo i soldi per pagarla anche in autunno. Ha già parlato con Miss Taylor e gli sembra che sia tutto a posto. – Che cosa le hai detto? – gli ho domandato. Mi ha risposto di non preoccuparmi. – Continuerò a guardarmi in giro per vedere se mi prendono da qualche parte a insegnare – ha detto la mamma.

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A quanto pare dobbiamo cominciare a impacchettare. Si traslo-ca alla fine della settimana prossima! Parecchi mobili li lasceremo qui ma ci porteremo via i letti, il divano, delle sedie e anche le cassettiere e degli armadietti. Papà dice che posso portare anche la mia scrivania nuova. Un po’ di roba la metteremo in magazzino ma quello che ci serve ce lo porteremo via col trasloco. – Non siamo nomadi, tesori miei, carichiamo le nostre deboli spalle dei nostri beni terreni perché non staremo via per molto, ne sono sicura – ha detto la mamma. – Ti credo – le ho risposto io. – Ne sono certa tesoro, oh non ti preoccupare – ha ripetuto lei. Allora ho capito che stava cercando di convincere se stessa e non me e quindi non ho detto più niente. – Voglio vedere l’appartamento nuovo – è saltata su Boob. Ci andremo in questo weekend, quan-do i vecchi inquilini se ne saranno andati. Il weekend comincia dopodomani.

Mamma e papà ci hanno abbracciato e baciato. Papà ha detto che sarà dura ma è una buona cosa non diventare troppo viziati. – Tu sei mai stato viziato? – gli ho chiesto e lui ha risposto di no. – Tesoro, stando ai racconti di sua madre era viziato marcio, praticamente insopportabile – ha detto la mamma. – Neanche noi siamo viziate, è solo che siamo delle gemme preziose – ha detto e tutti un’altra volta ah ah ah. Quando abbiamo finito di parlare, Boob si è chiusa in camera sua e non si è fatta più sentire per il resto della serata neanche quando ho bussato alla sua porta. Volevo parlarle di quello che era successo per vedere come l’aveva presa. Quando ho aperto la porta ho visto che era a letto e dormiva già. Si era messa il suo Piccolo Feto che ormai ha perso tutte e due le braccia. Non sa che fine hanno fatto, ma secondo me se le è mangiate nel sonno.

L’unica cosa che posso dire di come mi sento io è che non ci sto bene. Ho sempre avuto paura che non avremmo vissuto così per sempre, Anne, e mi sa che avevo ragione. Una volta fatto il trasloco probabilmente avrò più idea di cosa vuol dire vivere in

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un altro modo. Sono sdraiata sul pavimento a scrivere. Odio il mio stupido letto e la mia stupida scrivania e non voglio portar-meli dietro. Lo so che è un atteggiamento infantile ma in questo momento è così che la penso e non mi sento in colpa. Non voglio traslocare, Anne, non voglio. Notte.

20 MARZO

Oggi era venerdì: fine dell’ultima settimana di vacanza. Mi sono svegliata presto e sono andata nella stanza di Boob. Lei se la ronfava ancora allora mi sono seduta sul letto e le ho dato una scrollata. – Dileguati – mi ha detto quando ha visto che ero io. – Tutto ok? – le ho chiesto. – Voglio dormire – mi ha risposto. – Dobbiamo alzarci e cominciare a far pacchi Boob quindi datti una mossa. – Non voglio alzarmi. – Ma devi. – Non voglio.

Come ti immaginerai, Anne, è andata avanti così per un pezzo prima di riuscire finalmente a farla sedere sul letto con gli occhi aperti. – Cosa ne pensi Boob? – le ho chiesto. – Di cosa? – Di questa storia che dobbiamo traslocare – ho detto e lei si è rimessa sotto le coperte. – Ho troppo sonno per traslocare – mi ha ri-sposto. – Cosa ne pensi del fatto che dobbiamo andare a stare da un’altra parte – ho insistito io. – Non è mica per sempre, – mi ha risposto – è come quando siamo andati a Londra. Anche quella volta siamo andati a stare da un’altra parte. – Ma era solo per l’estate Boob, chiaro che poi siamo tornati a casa. Adesso invece è diverso. – No che non è diverso – ha detto lei.

Mentre parlavamo non mi guardava neanche e alla fine mi sono arresa. Se per il momento la cosa non la preoccupa è inutile insistere, tanto non ci vorrà molto perché cominci a starci male. Comunque, quando si sono alzati tutti abbiamo fatto colazione e poi abbiamo passato la giornata a fare pacchi e a buttare via roba. Abbiamo ripulito il ripostiglio nell’ingresso e gli armadi

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in corridoio e abbiamo svuotato completamente il bagno di ser-vizio. Per tenerla occupata, la mamma ha messo Boob a smistare una pila di cose in pile più piccole. Poi, finito con gli armadi, si è rimessa a lavorare ai manoscritti. Lo so che è preoccupata, ma si comporta come se fosse tutto a posto.

Stasera al telegiornale hanno detto che a Brooklyn la situazio-ne si è calmata ma sono scoppiati nuovi disordini in altre zone a Long Island. Il sindaco diceva che ha intenzione di chiedere al presidente di rinforzare la presenza dell’esercito. Pare che il presidente però sia occupato e non ha ancora dichiarato se lo farà o no.

Stasera non posso scrivere tanto come al solito. È molto tardi e sto per crollare. Ho i muscoli stracciati e sono così stanca che non riesco neanche a camminare. Domani altri pacchi da preparare. Ti scriverò domani sera se non mi prende un crollo psicofisico.

21 MARZO

Questa mattina mi sono svegliata per prima. Ero tutta rotta e ho pensato che era meglio muovermi un po’ per sciogliere i muscoli. Così sono andata in soggiorno a fare ginnastica. Siccome era sabato mattina, ha ritelefonato il tizio del recupero crediti. Ho riconosciuto immediatamente la sua voce e ho cercato di at-taccare prima che potesse dire una delle sue cattiverie ma non ha funzionato perché mi ha riconosciuto anche lui e mi fa ooh vedrai dove finisci. – La pianti – ho detto io, gli ho messo giù e ho subito staccato il telefono. Prima ho pensato che papà non doveva ancora aver pagato tutti i debiti, ma poi mi è venuto in mente che forse quel tizio telefonava proprio cercando di beccare me, tipo telefonata oscena. Non mi sorprenderebbe.

Dopo venti minuti di esercizi mi sentivo molto meglio. La prof di ginnastica, Miss Norris, dice che ho un fisico molto robusto

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per la mia età e che dovrei giocare a tennis o magari fare scherma. Sono alta quasi quanto papà e tra un po’ mi sa che diventerò anche più forte di lui. Dopo tutto papà non è esattamente un macho. Io preferisco così, altrimenti non lo sopporterei. Sarebbe come uno di quei ragazzi stupidi che erano alla festa di Lori e che bisogna di continuo tenere alla larga. Papà andava in una scuola mista, non in una maschile, e secondo me gli ha fatto bene. Quelli che vanno alla maschile sono peggio, secondo me.

Dopo essermi vestita sono tornata in soggiorno e mi sono sedu-ta sul divano a guardare la luce che entrava dalla finestra mentre si alzava il sole. Il caminetto è diventato tutto dorato e poi è tornato bianco. Nei punti dove papà ha staccato i quadri, il muro è molto più chiaro ed è incredibile com’è sporco tutto il resto. Questo è il nostro soggiorno, Anne, nostro e di nessun altro. Mi mancherà tantissimo, anche se quelli che vengono a starci sono simpatici e noi davvero torneremo presto. Non mi era mai venuto in mente che potessimo andarcene di qui per sempre. Anche l’estate che siamo stati a Londra sapevo che non era per molto e l’ultima settimana non vedevo l’ora di venire a casa.

Siccome nessuno si alzava, sono tornata nella mia stanza e ho cominciato a svuotare la cassettiera. Per fortuna avevo buttato via un sacco di cianfrusaglie il mese scorso, quando sono arrivati i mobili nuovi che adesso odio così tanto, quindi non è stato diffici-le fare pulizia tra quello che era rimasto. Mi sono messa a riempire come una pazza frenetica gli scatoloni che papà ha portato a casa ieri dalla rivendita di liquori sull’Ottantaseiesima. Appena alzati, anche gli altri si sono messi al lavoro. È incredibile quanta roba stiamo buttando, roba che non ho neanche mai visto. Mi sa che mamma e papà non hanno mai fatto repulisti tra le loro cose.

Oggi pomeriggio papà ha preparato sei scatoloni di libri e li ha portati giù allo Strand. Sei scatoloni non sembrano tanti in confronto alle migliaia di libri che ha, Anne, ma non l’avevo mai visto sbarazzarsi di un libro in vita sua, ci tiene così tanto. – Oh

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tesoro, non ha importanza, sono solo vecchi libri di testo pieni zeppi di stupidaggini ed è passato così tanto tempo da quando eravamo studenti – ha detto la mamma. Ma altre volte quando siamo andati allo Strand mi è capitato di cercare libri di testo e non ne vendono. Quindi quelli dovevano essere libri veri.

Io non ho tanti libri come papà e mamma, però ci tengo anch’io moltissimo e non ne darei mai via neanche uno a meno di non esserci costretta come mi sa che è capitato a papà. I miei adesso sono tutti impacchettati e pronti per il trasloco insieme ai vestiti estivi, ai vecchi peluche e quasi tutto il resto della mia roba. Oggi la mamma si è messa con Boob a passare in rassegna tutto quello che c’è in quel casino della sua stanza per cercare di organizzare un po’ la situazione. Siccome Boob non faceva la stupida come al solito le ho chiesto se si sentiva bene. – Problemi di stomaco – mi ha risposto e ha mollato una sberla al suo Piccolo Feto come se volesse davvero fargli male. – Ho l’ulcera.

Vorrei andare avanti a scrivere, Anne, ma sono troppo troppo stanca. Forse dovrei fare più spesso ginnastica come stamattina. Domani andiamo a vedere la casa nuova. Ti saprò dire com’è.

22 MARZO

Oggi, domenica, abbiamo visto per la prima volta l’apparta-mento nuovo in cui andremo a stare. Non me la sento di chiamar-lo il nostro nuovo appartamento perché non sarà mai nostro com’è questo. Non è neanche nuovo, è molto più vecchio di questo. È in un vecchio palazzo di mattoni rossi all’angolo fra Tiemann Place e Broadway, appena prima della Centoventicinquesima Strada, nella parte più a nord di Morningside Heights che Boob ha bat-tezzato Alaska. Oltre la Centoventicinquesima comincia Harlem. La metropolitana esce all’aperto a Tiemann e taglia Broadway su un gigantesco ponte di ferro tutto sporco e arrugginito con

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parcheggiate sotto vecchie macchine scassate. La mamma e papà dicono che prendere il metrò lì non va bene. Possiamo prendere l’autobus per la East Side all’incrocio di Broadway con la Cento-ventitreesima e arrivare fino sulla Quinta Avenue, poi prendere un altro autobus dalla Ottantaseiesima Strada all’East End e fare l’ultimo pezzo a piedi fino a Brearley. Ci toccherà partire un’ora prima per arrivare a scuola in orario. Non riuscirò mai più a dormire abbastanza!

Papà dice che il quartiere sembra peggio di quello che è in realtà. Ci abita un sacco di gente della Columbia e tra i palazzi sul lato nord di Tiemann ci sono persino delle cooperative, anche se non riesco a crederci. Le persone che si vedono per strada sem-brano tutte povere e tristi. Tiemann Place prende solo due isolati e finisce sul Riverside Park. Papà dice che è meglio non andarci perché è molto più pericoloso di Central Park, che comunque è molto più bello.

L’appartamento in sé è orribile, Anne, e non lo dico solo perché non è il nostro. I pavimenti sono tutti consumati e i muri pieni di crepe. Non è piccolo ma non è neanche grande né bello come casa nostra. C’è un soggiorno e poi una stanza più piccola che è una specie di sala da pranzo, due camere da letto, cucina e bagno. Papà userà la stanza piccola per scrivere. Il tutto è collegato da un lungo corridoio buio. Ha l’aria di essere un forno d’estate, ma porteremo i condizionatori da montare alle finestre delle camere da letto. In tutto l’appartamento ci sono solo due armadi e dentro il muro si sgretola.

– È una topaia – ha detto Boob e papà ha risposto che non era vero, è edilizia studentesca. Ha detto che era un affare perché di solito gli studenti pagano un affitto più alto. La mamma non mi sembrava molto contenta ma non ha fiatato. Mi sa che aveva preso più pillole del solito perché era molto silenziosa e ogni volta che si sedeva quasi si addormentava. Dopo aver visto l’appartamento siamo scesi a piedi lungo Broadway. Di studenti non ne ho visti

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finché non siamo arrivati più vicino alla Columbia. Dalle parti del campus gli edifici su Broadway sono tutti circondati di filo spinato perché c’è così tanta criminalità e le guardie al cancello sembrano veri e propri poliziotti con i fucili mitragliatori come all’aeroporto. Non so come spiegarlo, ma in un certo senso nean-che gli studenti sembravano studenti.

Siamo tornati indietro in autobus dalla Centodecima Strada attraverso la città e giù per la Quinta Avenue. Quando siamo en-trati in casa i rumori facevano l’eco perché abbiamo già arrotolato i tappeti e tirato giù le tende nello studio di papà. Lui dice che è roba costosa e non vuole incidenti con i nuovi inquilini. Adesso i muri sono coperti di chiazze più chiare, sembra che abbiano la scarlattina. Abbiamo messo tutti gli scatoloni in anticamera così sarà più facile portarli giù quando sarà il momento di traslocare.

Papà è andato a letto presto perché domani mattina deve andare a lavorare. La mamma dice che è la prima volta da quando aveva trentacinque anni che deve rispettare gli orari. Adesso papà ha cin-quant’anni e la mamma quarantasette. Mi sembra che siano un po’ vecchi per tutti questi cambiamenti ed è strano perché non mi era mai capitato di pensare che sono vecchi. Stasera ero seduta in sog-giorno con la mamma mentre lei svuotava una cassettiera. È stato tristissimo. – Oh amore, guarda questa sciocca fotografia di Michael e me – mi ha detto e mi ha teso una vecchia foto. Sono davanti al Rockfeller Center, è Natale e alle loro spalle si vede l’albero. – Se tuo padre fosse un po’ più alto, la stella sembrerebbe spuntargli dalla testa – ha detto la mamma. – Eravate già sposati? – ho chiesto. – Chissà… – fa lei guardando la foto. – Credo di sì, tesoro, ma queste vecchie istantanee è difficile dire quando sono state scattate. – Ha buttato la fotografia tra la roba da eliminare. – No, la voglio io – ho detto. – Oh angelo mio, l’ho messa lì per sbaglio, prendila assoluta-mente e se la vuoi, amore, tienila pure sempre vicina al cuore. – La metterò nel mio diario – ho detto io e adesso eccola qui, infilata in questa pagina. Poi, Anne, abbiamo parlato di te.

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– Scrivi tutti i giorni? – mi ha chiesto la mamma. – Più o meno sì – ho risposto. – Oh amore, ultimamente abbiamo avuto cosi tante brutte notizie che dev’essere un racconto strappalacri-me. – No, – le ho detto – è solo quello che succede, cose brutte e belle, nient’altro. – Poi ha tirato fuori un vecchio portacenere rosso a forma di piede e mi fa: – Guarda questa stupidaggine teso-ro. Michael lo usava quando non aveva ancora smesso di fumare e guarda cosa c’è scritto sopra. – La scritta diceva: Rhode Island mi ha lasciato la sua impronta. – Non mi ricordo più cosa ci faceva-mo lì ma dev’essere stato bello – ha detto. Si è alzata per andare a mettere il portacenere in cucina tra il vetro da riciclare e io le sono andata dietro. Le pentole erano tutte fuori degli armadietti, ma non le aveva ancora messe negli scatoloni.

– Davvero torneremo qui? – le ho domandato. – Vuoi dire in questo appartamento amore? – Sì – ho risposto. – Ma certo tesoro mio, non ti preoccupare, solo che è difficile prevedere quando – ha detto la mamma.

Non so, Anne. Io non credo che ci torneremo. Non ho motivi per dirlo se non che me lo sento. Ancora dieci giorni e poi sarà finita. Traslochiamo nella casa nuova che non sarà mai casa nostra giusto per il pesce d’aprile. Per essere precisi il weekend prima, ma è abbastanza vicino per considerarlo proprio un bello scherzo.

23 MARZO

È ricominciata la scuola. Stamattina prima di uscire Boob ha fatto un piagnisteo, ma appena arrivata si è messa a correre avan-ti e indietro come se fosse tornata nel suo regno. Tutte le mie amiche sono state contente di vedermi. Ho chiesto a Katherine, Whitney, Susie e a tutte le altre ma nessuna ha notizie di Lori. I suoi genitori dovranno pur sapere come sta anche se la Komunità-Kura deve tenerla ben sotto chiave. Whitney ha detto che ha

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cercato di cavare qualcosa a Tom ma inutile. I genitori di Lori adesso hanno un servizio di segreteria e telefonare direttamen-te a casa loro è diventato impossibile. Whitney ha lasciato due messaggi ma devono averli bruciati. Nessuno dei professori ha fatto commenti sul fatto che Lori non è più a scuola. Ho chiesto a Miss Wisegraver se aveva notizie, Lori è sempre stata tra le sue preferite. – Va’ al tuo posto Lola – è stato tutto quello che mi ha risposto come se non avessi parlato e Lori non fosse mai esistita. Strano da brividi. Non so perché si comportano così, non è mica che Lori ha fatto chissà cosa di tanto tremendo. Forse c’entra la Komunità-Kura: chi finisce lì dentro non esiste più.

Ma non è questa la cosa più strana che è successa oggi, Anne. Ancora più incredibile è che io e Boob siamo arrivate a casa ore prima di papà. Stamattina cominciava a lavorare alle nove perché il boss, Mister Mossbacher, lo voleva lì presto per il primo giorno. Papà ha detto che la sua presenza è stata così utile che adesso il capo lo vuole lì presto tutti i giorni anche se poi deve comunque lavorare fino alle sei, dal lunedì al venerdì. Per la pausa di pranzo gli danno mezz’ora. Persino io e Boob abbiamo un’ora! Papà dice che secondo lui è un lavoro decente, ma non sembra entusiasta. Gli abbiamo chiesto cos’ha fatto e ci ha spiegato che è stato tutto il pomeriggio a controllare le borse all’uscita perché tre commessi di turno non si sono fatti vedere e Mister Mossbacher non voleva che maneggiasse soldi al piano inferiore se di sopra non c’era ab-bastanza personale a tenere d’occhio che i clienti non rubassero.

Papà deve aver cercato in lungo e in largo prima di accettare questo lavoro. Oggi pomeriggio quando sono tornata a casa ho portato fuori uno scatolone di carta da buttare che la mamma aveva preso dalla loro camera e in cima c’erano le copie di centi-naia di richieste di lavoro che papà ha mandato a vari uffici. Ho chiesto alla mamma se quelli erano uffici che non gli avevano risposto. – Sono tempi duri amore, – ha detto lei – e di sicuro diventerà ancora peggio.

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Boob era tutta bacini quando papà è arrivato a casa e anch’io sono stata affettuosa ma a modo mio. Apparentemente è servito molto a risollevargli il morale. Non ho niente in contrario a di-mostrargli la mia comprensione, però secondo me a fare sempre e solo così si finisce per viziare le persone che ci stanno intorno. La mamma e Boob dicono che sono un mostro di crudeltà, invece papà è d’accordo con me o almeno lo era in passato. Forse oggi la pensa diversamente. Intorta quando dice che il nuovo lavoro gli piace, lo vedo benissimo.

24 MARZO

Oggi hanno ucciso il presidente, quindi siamo tornate a casa prima da scuola. Gli hanno sparato mentre usciva da un palazzo e stava per salire in macchina. A me non piaceva ma a scuola ci hanno detto che bisogna essere tristi perché era il nostro presidente, io però non sono triste davvero. Al suo posto hanno messo il tizio che tutti prendono sempre in giro. – Oh angelo mio, l’unica cosa che quelli sanno fare è giocare a golf, è terribile – ha detto la mam-ma. Ha detto anche che quando hanno assassinato il presidente Kennedy erano tutti disperati, invece oggi nessuno mi è sembrato particolarmente giù, quindi mi sa che io non sono un’eccezione.

È dura continuare a preparare gli scatoloni adesso che papà lavora e io e Boob siamo tornate a scuola. Riusciamo a combinare qualcosa solo di sera, quindi ti avviso Anne: probabilmente que-sta settimana ne risentirai perché mi sa che sarò troppo stanca per scrivere un granché, soprattutto se le prossime sere saranno come questa. Non ci siamo messe a spostare niente di pesante e non è successo niente di terribile, ma c’è così tanta roba!

A pranzo, prima di sentire che avevano sparato al presidente, ho visto Katherine. Piangeva. Pensavo che qualcuno l’avesse di nuovo trattata male, ma invece no era solo perché io trasloco. –

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Ma ci vedremo tutti i giorni a scuola, – le ho detto – e poi puoi venire a trovarmi quando vuoi. – Ma vai ad abitare così lontano – mi fa lei. – Non essere sciocca, basta attraversare la città. – È pericoloso da quelle parti – mi ha risposto Katherine. – Chi l’ha detto? – Mamma e papà. Quando traslochi non mi lasceranno più venire da te a dormire. – Perché è troppo pericoloso? Ma non è vero – ho detto; anche se, come ti ho raccontato, Anne, il nuovo quartiere non è bello come il nostro. – Loro la pensano così. Tu sei la mia unica amica adesso che hanno messo in gabbia Lori, come farò? – Qualche volta potrei venire io da te… – Forse – ha risposto Katherine. – Mi sembra solo giusto – ho detto io. Mi ha promesso che lo chiederà ai suoi genitori. Suo padre non mi piace per niente e preferirei che potesse venire lei nel nuovo appartamento ma, se è l’unico modo di vederla, non c’è altra scelta. Dopo pranzo Kathe-rine stava meglio e sono contenta di averla consolata.

Io e Boob abbiamo chiesto a papà com’è andata al lavoro oggi e lui ha detto: tutto abbastanza tranquillo. Mister Mossbacher gli ha insegnato tutto quello che c’è da sapere su come depositare i contanti e compilare i moduli e su come far quadrare i turni quando manca metà del personale, il che a quanto pare succede spesso. Per metà della serata papà è stato sdraiato sul divano in-vece di fare pacchi perché oggi ha dovuto aiutare a scaricare un ordine di duecento scatole di sacchetti di plastica.

Al telegiornale il nuovo presidente ha detto che non c’è mo-tivo di preoccuparsi per la situazione. Non ha spiegato quale situazione.

25 MARZO

Oggi la scuola è rimasta chiusa in memoria del presidente e re-sterà chiusa anche domani per il funerale. Papà invece deve andare a lavorare. L’Excelsior non chiude mai, tranne che per il giorno

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del Ringraziamento e per Natale, grazie a Mister Mossbacher. Non mi dispiace di non dover andare a scuola.

Scusami Anne se mi fermo qui, ma stasera sono proprio troppo stanca. Domani sera scriverò un po’ di più, te lo prometto.

26 MARZO

Hanno fatto il funerale al presidente un giorno prima del pre-visto perché non potevano garantire la sicurezza del palazzo del parlamento durante le solenni esequie alla salma, cioè quando la cassa resta esposta nella sala circolare e la gente va a renderle omaggio. Mentre guardavamo il funerale alla tv la mamma mi ha raccontato che per Kennedy c’era una lunga fila di limousine e un cavallo senza cavaliere e i tamburi avevano suonato tutto il giorno. Questa volta sono andati dritti al cimitero e l’hanno sepolto senza scene per motivi di sicurezza. Il nuovo presidente ha tenuto un discorso e ha detto che non ha intenzione di fare niente di diverso da prima perché non c’è assolutamente nessun problema. – Tempo una settimana spareranno anche a lui e non sarà mai troppo presto se è così che la pensa – ha commentato la mamma.

27 MARZO

Adesso che hanno fatto il funerale al presidente è come se non fosse successo niente. Nessuno ne parla più e alla tv non fanno più vedere niente su questa storia, sono tornati a occuparsi solo delle emergenze. Oggi pomeriggio la scuola ha dovuto chiudere presto anche se era il primo giorno che riapriva e ancora una volta, Anne, non posso proprio dire che mi è dispiaciuto. È perché il fumo da Long Island ha risalito il fiume ed entrava dalle prese

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di aerazione, così fitto che sembrava di avere la nebbia in classe e in più c’era una puzza… Sembrava un temporale da quelle parti tanto le nuvole erano scure e alte nel cielo. Questa matti-na comunque non stavamo facendo niente di speciale in classe, cercavamo di recuperare quello che avevamo lasciato indietro nei giorni scorsi.

Ho sonno ma voglio farti un riassunto della situazione. Prima di tutto in un certo senso buone notizie. Katherine mi ha detto che ha chiesto ai suoi se una volta posso fermarmi a dormire da loro. Le hanno risposto che ci penseranno e le faranno sapere cosa decidono. Perché avranno bisogno di pensarci come se fosse la fine del mondo se mi fermo a dormire non lo so, ma sono fatti così. Secondo Katherine però è un buon segno perché almeno non hanno detto subito di no. Di solito è così che reagiscono quando chiede il permesso di fare qualcosa.

Sembra che la mamma si diverta a controllare quei manoscritti anche se ha quasi finito con la prima infornata. Dice che spera di averne degli altri all’inizio della settimana prossima, però i tizi che conosce alla casa editrice non sapevano per certo quanti ne avranno da darle in mano subito. – Tesoro, sono disposta a lavorare come una schiava purché mi diano qualcosa da fare – ha detto. Io preferisco quando ha da lavorare perché almeno non prende tante pillole, anche se ci sono in ballo mille altre cose, per esempio il trasloco.

Anche il nuovo lavoro di papà va bene. Lui dice che adesso però si ricorda perché era stato così contento quando aveva smesso con le librerie. La frase mi puzzava, così gli ho chiesto: – Come hai fatto a dimenticartelo se era un lavoro che odiavi tanto? – , e allora ha ammesso che esagerava. Dice che ai cassieri bisogna insegnare a fare le addizioni prima di metterli dietro il banco. Non è neanche sicuro che tutti i commessi sappiano leggere. – Ma allora come hanno fatto a farsi assumere? – gli ho chiesto e papà mi ha risposto soltanto che a Mister Mossbacher piace dare

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una chance alle persone. Poi ha aggiunto che secondo lui metà di quelli che lavorano lì non sa neanche firmare, sa scrivere il proprio nome solo in stampatello. Dice che ormai è una situazione tipica. Incredibile, eh Anne?

Siccome Boob ha detto che aveva mal di testa, la mamma l’ha rimpinzata di aspirina per bambini e l’ha mandata a letto subito dopo cena. – Amore, va a rimboccare le coperte a tua sorella e vedi se ha bisogno di niente – mi ha detto dopo un po’. – Hai bisogno di niente? – ho chiesto a Boob entrando nella sua stanza. Era sotto le coperte incollata al suo Piccolo Feto. – Toglimi solo questa morsa dalla testa – mi ha risposto. – Che morsa? – Quella in cui mi hai stretto la testa mentre non guardavo – mi ha detto. – Piantala Boob e mettiti a dormire. Volevo solo vedere come stavi. – Sto bene. Buonanotte – ha chiuso lei. Nel modo in cui l’ha detto somigliava un sacco a me, ho pensato. Comunque dopo aver fatto una doccia e aver dato la buonanotte a mamma e papà sono venuta qui a scriverti. Sono sdraiata sul letto e non sto molto comoda, ma sulla scrivania ci sono impilati gli scatoloni e sembra una barricata. Se dall’altra parte ci fosse Boob potrei rovesciarle addosso l’olio bollente.

Questa è l’ultima sera nella nostra casa e almeno a te posso dire come mi sento veramente. Non ne ho parlato con Boob, né con mamma o papà perché lo so che hanno tutti i loro problemi con questa storia. Stasera a cena la mamma mi fa: – Oh angelo mio, ti prego dimmi se va tutto bene. – Nessun problema. E tanto cosa ci si può fare? – ho risposto. – Amore ci sono un sacco di cose che possiamo fare e le faremo – ha detto lei. – Per adesso possiamo solo traslocare poi vedremo cosa succede – ho chiuso io. A sentire la mamma sono una pessimista ma io non sono d’accordo, è solo che non vedo perché dovrei intortarmi su come stanno le cose.

Sono così triste, Anne, perché non credo che torneremo mai più qui. Secondo loro naturalmente non c’è motivo di pensarla così. Ma io me lo sento e in genere quando mi sento una cosa di

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solito ci azzecco. Questa volta spero di sbagliarmi e chissà forse mi sbaglio, ma come ho detto alla mamma cosa ci si può fare?

Pare che domani ci sarà bel tempo, così almeno non ci bagnere-mo. Questo weekend papà è in vacanza anche se non sa per quanto durerà. Mister Mossbacher gli ha detto che avrà i weekend liberi, ma papà pensa che cambierà idea e se succede lui dovrà fare come gli ordinano. Papà odia dover obbedire ancor più di me.

Notte Anne. Domani ti scriverò nella casa nuova.

29 MARZO

Io cerco di fare la brava e scriverti tutti i giorni e guarda cosa succede. Ieri non ti ho scritto, Anne, perché ora che abbiamo fi-nito il trasloco era già tardi. È stato tutto molto più complicato e spaventoso di come pensavamo. Spero che le cose andranno avanti meglio di come sono cominciate.

Per risparmiare papà ha preso un tizio che aveva messo un annuncio sul Voice, uno che si fa chiamare VanMan perché viene a farti il trasloco lui con il suo furgone. Così ieri mattina alle nove noi eravamo pronti, ma VanMan non si vedeva. Papà l’ha chiamato due volte dall’atrio ma tutte e due le volte ha trovato la segreteria. Avevamo fatto staccare il telefono di sopra per poter trasferire il numero e anche per lasciare una nuova linea al tizio che viene a stare lì. Comunque, finalmente alle undici e mezzo compare VanMan. Quando l’ho visto facevo fatica a star seria e Boob rideva tanto che non riusciva più a smetterla. VanMan era un vecchio hippie cisposo, Anne, con una maglietta dei Grateful Dead. Il portiere non lo avrebbe neanche lasciato dormire sul marciapiede davanti al nostro palazzo tanto era un randa. Papà gli ha fatto notare che era in ritardo e VanMan gli ha risposto che aveva beccato delle brutte vibrazioni.

Ci ha aiutato a portare gli scatoloni e le sedie fuori dell’ingresso

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e poi ha caricato tutto sul suo furgone scassato. Non avrei mai detto che ci potesse stare tanta roba, anche se verso la fine Van-Man ha cominciato a spingere scatoloni anche dove non c’era più posto, tanto che si sentivano dei rumori sospetti. Papà gli ha det-to di stare attento, ma VanMan ha risposto: ehi tipo è la roba che si assesta. A quel punto abbiamo deciso che era meglio andare, tanto avrebbe comunque dovuto fare due viaggi perché c’erano ancora il divano e i nostri letti. La mamma e Boob hanno preso un taxi ma io ho voluto andare con papà e VanMan. Errore.

Mi sono rannicchiata sul pavimento sotto il cruscotto perché tra papà e VanMan non c’era abbastanza posto. All’iniziò non mi andava di sedermi lì ma non c’è voluto molto per farmi cambiare idea. Papà continuava a darmi ginocchiate contro la testa ogni volta che prendevamo una cunetta, cioè ogni cinque secondi. Il furgone non era verniciato e non aveva maniglie all’interno ma in compenso era dotato di cd. VanMan ascoltava i canti gregoriani come quelli che ci fanno sentire a scuola nell’ora di musica. Papà gli ha chiesto di rallentare e VanMan ha detto che poteva provarci ma era in estasi mistica. Ogni volta che arrivavamo a un semaforo accelerava e ogni volta che prendevamo una curva sentivamo la roba dietro che andava in pezzi.

VanMan era da coma, Anne, e adesso mi viene in mente che si era fatto. Non c’è altra spiegazione. Poi le cose si sono messe davvero male. Abbiamo attraversato il parco e abbiamo svoltato a nord su Broadway, poi a un certo punto ci siamo fermati e Van-Man è saltato giù dal furgone. Sapevo che non potevamo essere ancora arrivati, così ho guardato fuori per vedere che posto era: eravamo ancora all’altezza della Novantaduesima Strada. VanMan stava rovistando in una pigna di immondizie sul marciapiede cer-cando di tirar fuori una poltrona. Papà gli ha urlato dal finestrino cosa fai? E VanMan gli ha risposto: oh ehi me la rivendo è una strapoltrona vale soldi. Allora papà gli fa: ti pago all’ora torna qui e vienitela a prendere a tue spese. – Papà lasciagli prendere

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quella schifida poltrona, è pazzo – ho detto io, ma lui non mi ha ascoltato. Lo sapevo che avrebbe dovuto darmi retta.

La gente per strada ci guardava e rideva, poi finalmente Van-Man è rimontato sul furgone. Anne, quando uno è pazzo furioso noi diciamo che è fuso al sangue e lui era così. È ripartito con il volume del cd che più alto non si può e ha cominciato a pestare sull’acceleratore. Passava col rosso a tutti i semafori. Papà gli ha detto rallenta qui dentro c’è anche mia figlia, ma a VanMan non importava. Sembrava che andasse sempre più forte. A un certo punto mi sono tirata su per guardare fuori e ho visto che stavamo andando a sbattere dritti contro un autobus. Papà mi ha spinto giù e l’autobus non l’abbiamo preso. Continuavo a pensare che la polizia ci avrebbe arrestati e invece no.

Non ci siamo fermati mai finché non siamo arrivati alla casa nuova. La mamma e Boob erano già lì e ci aspettavano davanti al portone. VanMan è saltato giù prima di papà ed è corso sul retro del furgone e allora sono scesa anch’io per correre dietro a papà. Il pazzo aveva una grossa sbarra di ferro e continuava a picchiarla sul fianco del furgone dicendo a papà che se non gli dava il resto dei soldi lui non ci lasciava prendere la roba. Quando la mamma e Boob si sono avvicinate, VanMan si è messo a menare la sbarra di ferro come per colpirle ma non le ha prese. Intanto lì intorno si era radunata un bel po’ di gente però nessuno diceva né faceva niente. Papà gli ha dato dei soldi e allora VanMan ha aperto le porte del furgone e ha cominciato a buttare tutto per strada come una furia senza neanche guardare dove finiva la roba. Un paio di scatoloni sono atterrati su delle macchine parcheggiate e i padroni hanno fatto per avvicinarsi, ma VanMan si è voltato e ha rico-minciato a menare la sbarra di ferro così loro sono indietreggiati. Uno però era così arrabbiato che ha spinto papà contro la parete del furgone e l’ha chiamato stronzo fottuto.

Ho pensato: adesso lo picchia invece è salito in macchina ed è partito. Andandosene è passato sopra a una delle nostre lampade

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e l’ha rotta. Noi intanto cercavamo di accatastare tutta insieme la roba che VanMan lanciava dal furgone, ma gli scatoloni si rompe-vano e si rovesciavano per strada. Finito di buttare fuori le nostre cose, VanMan è risalito sul furgone e se n’è andato. A prendersi la poltrona sulla Novantaduesima, scommetto: mi sa che la voleva proprio. Della gente che si era fermata a guardare si è messa ad aiutarci quando ha visto che non c’era più pericolo di prenderle. Delle signore ispaniche e due neri più anziani ci hanno aiutato a raccogliere gli scatoloni da dove li aveva buttati VanMan. Delle ragazze che avranno avuto circa la mia età guardavano me e Boob come per soppesarci, ma non hanno detto né fatto niente. Alla fine siamo riusciti a rimettere più o meno tutto insieme. La mam-ma e Boob sono rimaste fuori con la nostra roba mentre io e papà la portavamo un po’ per volta nell’atrio. Poi abbiamo caricato l’ascensore e siamo saliti all’appartamento nuovo.

Papà ha chiamato un altro tizio, Man With Van, per noleggiare un altro furgone ma lui poteva soltanto oggi. Ha telefonato an-che al portiere del nostro vecchio palazzo per raccontargli cos’era successo e dirgli quando andavamo a prendere il resto delle nostre cose. Papà era pallido e ansimava come dopo una corsa. Ho avuto paura che gli venisse un infarto, ma poi si è seduto ed è stato subito molto meglio.

Una volta portato tutto in casa, abbiamo controllato i danni. A parte la lampada finita sotto la macchina, abbiamo trovato piatti e bicchieri rotti e si è rotto anche il piatto di portata per il tacchino. I vasi preferiti della mamma erano in mille pezzi e una scatola che papà teneva sulla scrivania si è tutta scheggiata. Le cose più costose sono ancora intere, il che è un miracolo. Papà ha subito afferrato il computer per non farlo buttare per terra e io ho preso la tv prima che VanMan potesse metterci sopra le zampe. Ho chiesto a papà se lo denunciava e lui mi ha risposto che tanto non serviva a niente.

Stamattina, dopo aver sistemato le cose, ci siamo accorti che non tutti i nostri vicini volevano aiutarci. Certi devono averci

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rubato le nostre cose mentre litigavamo con VanMan. Nel fur-gone non c’era più niente quando lui se l’è filata e la roba che manca non può essere finita in nessun altro posto. La mamma non riesce più a trovare i coltelli da cucina e neanche la caffettiera. Papà dice che gli sono sparite delle camicie e una scatola di libri anche se non sa ancora quali. A Boob non sembra di aver perso niente. A me manca uno scatolone di libri. C’erano dentro Pooh, Oz e Life among the Savages, che era della mamma. Dice che è fuori commercio da anni e non sa se riusciremo a trovarne facilmente un’altra copia, ammesso che ce ne siano ancora in giro. È terribile, Anne, era uno dei miei libri preferiti e adesso non ce l’ho più. Mi fa arrabbiare così tanto pensare che un stupido qualsiasi se lo sia preso. Scommetto che butteranno tutto nelle immondizie appena vedono che non sono soldi. Grazie al cielo nessuno ha rubato la mia borsa dove ti avevo messo per sicurezza e almeno VanMan non ci ha ammazzati come pensavo che sarebbe successo da come ha dato di posta per niente.

Oggi, quando papà ha provato ad accendere il computer e la stampante, è saltata la luce. Sono passate un paio d’ore prima che arrivasse il portinaio con un fusibile nuovo. Papà è rimasto a guardarlo mentre lo cambiava e dice che la prossima volta ci penserà lui. Ma quando si tratta di lavori manuali è totalmente imbranato, quindi mi sa che il portinaio farà meglio ad abituar-cisi. Papà dice che dovremo spegnere qualcosa mentre lui usa il computer però non abbiamo ancora capito cosa.

Oggi io e Boob abbiamo aiutato la mamma ad attaccare le tende e poi abbiamo pulito la cucina. Siccome negli armadietti abbiamo trovato degli schifosi scarafaggi, abbiamo messo delle trappole e l’acido borico. Insetti e scarafaggi sono la cosa che odio di più al mondo. Naturalmente Boob li adora, o almeno così dice, ma io non me la vedo che li prende in mano e ci gioca. Una cosa è certa: i topi non le piacciono perché pensa che siano piccoli ratti che cercano di passare inosservati. Ieri sera le sembrava di sentire

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dei rumori oltre la parete, come delle zampe che raschiavano. Dato che non avevamo i letti abbiamo dormito con delle coperte sul pavimento. Boob continuava a darmi i calci e a dire: – Sono ratti Booz, fa’ qualcosa. – Ma no Boob, dormi – dicevo io. Però anche a me è sembrato di sentire dei rumori. Forse sono solo gli scricchiolii dei palazzi vecchi. Di topi per il momento non ne abbiamo visti.

Oggi papà aveva appuntamento a casa nostra con Man With Van e questo pomeriggio hanno portato qui i mobili che manca-vano. Man With Van era più giovane di VanMan e meno losco. Non è successo niente di straordinario, tranne che papà ha dovuto pagare il doppio di quello che pensava, però Man With Van non ha dato fuori o roba del genere. Io questa volta non ci sono andata perché di furgoni ne avevo avuto abbastanza. In compenso, men-tre loro due portavano su la roba, mi sono seduta fuori a tenere d’occhio i ladri. Guardavo tutti quelli che passavano o erano fermi lì intorno e ho riconosciuto gente che c’era anche ieri. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se qualcuno di loro aveva rubato le nostre cose. Per lo più avevano l’aria di essere innocenti ma non mi fregano. Ho cercato di capire se qualcuno sembrava più colpevole degli altri e alla fine ho deciso che sembravano tutti colpevoli ma anche innocenti.

Mentre pensavo chi sembrava più colpevole, mi si è avvicinata una ragazza nera. Avrà avuto la mia età ed era molto scura. Por-tava un paio di calzoncini da ciclista aderenti e una maglietta sporca con un cucciolo stampato sul davanti. Quando ha aperto bocca però non parlava come una nera. – Appena arrivati? – mi ha chiesto. – Sì – ho risposto. – Siete Columbia? – No – ho detto io. – Il palazzo sì – mi fa lei. – Come fai a saperlo? – le ho do-mandato. – Ci mettono i tendoni sopra le finestre – ha risposto. Il droghiere al pian terreno ha un tendone fuori del negozio e credo che si riferisse a quello. – Vai a scuola qui? – mi ha chiesto. – Scuola pubblica? – ho chiesto io e lei ha annuito. – No, vado a

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Brearley – ho risposto. – Privata? – Sì. – Com’è che ti chiami? – Lola e tu? – Is. – Come sarebbe Is? – Is. Isabel. Chiamami Iz – mi ha detto. – Ok. – In quel momento papà è tornato giù con Man With Van. Iz si è girata a guardarli e le ho visto un livido bello grosso sul collo, come se qualcuno l’avesse succhiata. Portava quattro paia di orecchini e uno anche al naso. Ha la bocca così grande che potrebbe farci sparire un pomodoro intero tutto in una volta. – Anche lui schizzato? – mi ha chiesto. – Quello del furgone? – Mi ha fatto cenno di sì. – No, questo no. Ci hai visti ieri? – Mmhmm – ha risposto lei. – Roba da aprirgli il culo col cannone il momento che telava – ha detto. – Cosa? – ho chiesto io. Iz ha sorriso e ha sollevato una mano con il pollice e l’indice tesi a forma di pistola. Poi mi ha appoggiato l’indice sulla fronte e ha fatto ballare il pollice. – Aprirglielo così – ha detto. – Ba-bum. Ci si vede – ha detto, si è girata e se n’è andata su Broadway. Ti stava dando fastidio? mi ha chiesto papà e io gli ho detto no, per niente. Così questa è stata la mia prima conversazione con qualcuno del quartiere, Anne.

Oggi finalmente la casa sembra quasi abitata. Questo appar-tamento è così vuoto a paragone di quello di prima, anche se è più piccolo. Qui non ci sono tappeti perché i nostri li abbiamo messi in deposito, insieme a una parte dei mobili, per esempio il tavolo della sala da pranzo e gli armadietti. Anche tutti i nostri quadri sono andati in deposito quindi dovremo cercare dei poster da attaccare ai muri. Per cominciare, stasera, prima di cena, Boob ha fatto un disegno con le matite colorate: ci siamo noi quattro seduti in un grande quadrato giallo. Sorridiamo e siamo tutti felici. Fuori del quadrato ci sono delle spesse spirali nere come in una bufera o in un incendio. Ce l’ha fatto vedere e la mamma l’ha attaccato sul muro in camera nostra.

Questa sera sono andati tutti a letto presto tranne me. Sono rimasta alzata non perché sono meno stanca di loro, ma perché sentivo la mancanza del nostro appuntamento e avevo voglia di

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raccontarti quello che è successo. Negli ultimi tempi con Boob sempre tra i piedi è difficile essere sicura che posso scriverti quan-do mi va, quindi devo approfittare di ogni occasione. Adesso in un certo senso sarà più difficile. Ti scrivo seduta al tavolo della cucina perché non voglio svegliare Boob tenendo la luce accesa in camera nostra e non posso accendere la tv come distrazione, per-ché le pareti sono così sottili che sveglierei tutti. Fuori si sentono le sirene, una dopo l’altra, e qualcuno tiene la musica altissima. Il metrò passa sulla soprelevata ogni dieci minuti e fa un rumore terribile. Non mi ero mai resa conto di quanto era silenzioso il nostro quartiere. Sono contenta di andare a scuola domani, Anne, e scappare via da qui.

Be’ adesso ci siamo trasferiti e vedremo cosa succede. Notte.

30 MARZO

La settimana è iniziata alla grande. BUGIA. Stamattina io e Boob siamo uscite alle otto, subito dopo papà. Volevamo cercare di arrivare a scuola prima delle nove. Secondo te a che ora siamo arrivate? Nove e mezzo. Naturalmente è andato tutto storto.

L’autobus ci ha messo dieci minuti ad arrivare e poi, quando finalmente è comparso, ce n’erano tre uno in fila all’altro. Due hanno tirato dritto e quello che si è fermato era il più pieno. Come logico, dato che era il più pieno era anche il più lento. Avanzava a passo di formica ma noi a forza di spingere siamo arrivate in fondo e siamo riuscite a sederci per un po’. Non per molto perché arrivati alla Centottava è salito un signore su una sedia a rotelle. L’autista ci ha fatto alzare per tirar su i nostri sedili perché era lo spazio per i disabili. Poi ha abbassato l’autobus e l’ha aiutato a salire. Immedia-tamente il tizio ha cominciato a gridare con l’autista perché due o tre autobus erano passati senza tirarlo su con la scusa che non c’era posto. Non lo lasciava più tornare alla guida e si era messo a chie-

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dergli nome e numero di matricola per fargli rapporto. Non capisco perché voleva fare rapporto all’unico autista che si era fermato, ma mi sa che oltre a essere in sedia a rotelle era anche matto. Ha continuato a dire parolacce per tutto tempo. Mentre scendevamo, Boob ha per sbaglio preso dentro la sedia a rotelle e lui ha pestato la mano sul bracciolo come se volesse picchiare lei. Siamo state ben contente di scendere. Poi siamo andate a prendere la linea che taglia la città e naturalmente abbiamo dovuto aspettare altri dieci minuti prima che arrivasse l’autobus e anche quello avanzava come una lumaca e ci ha messo una vita per attraversare il parco e fare l’Ottantaseiesima fino alla nostra fermata. Abbiamo corso fino a Brearley ma inutile, eravamo già in ritardo di mezz’ora.

Abbiamo dovuto presentarci in presidenza per farci autorizzare da Ms Cutler. Niente conseguenze gravi ma ci ha detto che se ades-so abbiamo più strada da fare vuol dire che dobbiamo cominciare a uscire mezz’ora prima. I minibus della scuola non arrivano più così lontano, altrimenti sarebbero passati a prendere Boob, ci ha detto. Io invece avrei dovuto in ogni caso arrangiarmi, quindi non avrei potuto comunque restare a letto di più. Grande! Se gli autobus continuano ad arrivare in orario come oggi, tra un po’ dovrò co-minciare a svegliarmi prima di andare a dormire. Ms Cutler era in paranoia stamattina mentre ci parlava, ci guardava come se da un momento all’altro potessimo saltarle addosso e morderla. – Qualco-sa non va? – le ho chiesto prima di uscire dalla presidenza. – Cosa vorresti dire? – mi fa lei. – Niente – ho risposto io. Era il modo in cui ci guardava, come se fossimo uno schifo. Ma siccome non sapevo come dirglielo senza farla esplodere, ho lasciato stare. Forse pensa che tutto a un tratto sto diventando troppo loreggiante.

Speriamo che Lori stia bene. Mi manca tanto. Nessuno ha più avuto notizie, quindi dev’essere ancora in cura.

Stasera ho chiesto a papà perché esce così presto la mattina, visto che prende il metrò, che sarà anche orribile ma è molto più veloce. Ha detto che Mister Mossbacher è molto severo in fatto

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di puntualità. Peggio di Ms Cutler, ha detto. Se arrivi cinque minuti in ritardo ti taglia un’ora di paga, non importa anche se sei uno dei responsabili. Mister Mossbacher dice che se sai a che ora devi essere in negozio non ci sono scuse, qualsiasi cosa succeda non bisogna arrivare in ritardo. – Ma così non arrivi strapresto? – ho domandato a papà. Lui mi ha risposto di sì, ma vuol dire che riesce a portarsi avanti col lavoro prima di aprire il negozio. Quando papà parla di Mister Mossbacher ha il tono di uno che vorrebbe picchiarlo. Oggi a pranzo ho visto Katherine e ho avuto splendide notizie. Dice che i suoi genitori le hanno dato il permesso ed è ok se mi fermo a dormire. Abbiamo deciso che venerdì potrebbe essere una buona sera per provare. Katherine deve solo controllare con i suoi e poi è definitivo. Se mi fermo da loro per quella sera non potrò scriverti, Anne, te lo dico subito. Ho chiesto a mamma e papà se potevo e loro hanno detto che non c’è problema.

Ooggi alla mamma sono arrivati degli altri manoscritti, ma solo un paio. Dice che sono corti e le prenderanno poco tempo e dato che la pagano all’ora non è un vantaggio. – Io però leggerò il più lentamente possibile, amore, per cercare di tirarla in lungo – mi ha detto. Ma questa sera ha già finito il primo e non credo che riuscirà a tirarla in lungo ancora per molto.

Giusto nel caso fossi curiosa di saperlo, Anne, per tornare a casa il pomeriggio ci metto lo stesso tempo. Domani vedo se a Boob va di fare un pezzo a piedi dopo la scuola e fin dove arriviamo. Forse potremmo prendere l’autobus dall’altro lato del parco. Ma scommetto che la sorellina farà la pappamolle oppure vedrai che piove. Comunque succederà qualcosa, ne sono sicura.

Per il momento non c’è altro, Anne. Sono stanchissima e mi fa male dappertutto, ma non riesco a addormentarmi. C’è un sacco di rumore qui e non credo che riuscirò ad abituarmici. La notte scorsa qualcuno per strada è andato avanti a gridare per dieci mi-nuti, poi c’è stato un fracasso di vetri e allora l’hanno piantata.

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31 MARZO

Mi sono già tornate le mie cose! Ieri avevo mal di pancia ma mi sono convinta che non poteva già essere quello. Invece mi sbagliavo. La mamma mi aveva chiesto come mai ero così musona ieri e adesso è tutto chiaro. – Oh amore, dev’essere lo stress – mi ha detto. – Non so cos’è – ho risposto io. – Se avessi ancora questo problema sono sicura che mi sarebbe successo lo stesso, ma ormai sono soltanto la buccia rinsecchita di quella che ero una volta – ha detto la mamma. – Non è vero – ho protestato. – Angelo mio, a te non sembra ma è la verità.

Risultato: questo pomeriggio non abbiamo attraversato il parco a piedi, non me la sentivo. Lo sapevo che sarebbe successo qualcosa e avevo ragione. Stamattina siamo arrivate alla fermata presto e (ti pareva?) non ci sono stati problemi. Tutti gli autobus sono passati in orario e noi siamo arrivate a scuola con mezz’ora d’anticipo. Ma non è stato un male perché prima di entrare in classe ho visto Katherine. Mi ha detto che suo padre le ha dato il permesso per venerdì sera ed è tutto ok. Non vediamo l’ora. La grande notizia che circolava a scuola oggi è che Icky Betsy ha dovuto andare all’ospe-dale. A quanto pare durante le vacanze ha vomitato così tanto che ha tirato su anche qualcosa di importanza vitale. È ricoverata a Le-nox Hill e le abbiamo mandato un biglietto d’auguri con le firme di tutte. Chissà forse adesso la cureranno, ma vedrai che invece no.

Oggi a papà deve essere successo qualcosa sul lavoro che l’ha fatto arrabbiare, ma non ha voluto dirci cosa. È rimasto in silenzio per tut-ta la cena ed è stato stranissimo perché non è da lui. Boob si è messa a fare la stupida con il mangiare e a cantare canzoncine sciocche e lui ha sorriso, ma niente di più. Gli abbiamo chiesto cosa c’era che non andava, ma lui ha risposto niente. Non è che intorta, queste sono bugie belle e buone. – Non so cos’è successo, amore, ma ho idea che qualcuno l’ha trattato male anche se non so chi – ha detto la mamma quando le ho chiesto se a lei aveva raccontato qualcosa.

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Mentre eravamo a tavola abbiamo guardato la tv. Qui non ab-biamo il cavo e la ricezione è un disastro ma riusciamo a prendere i canali 4, 7 e 13 senza troppe ombre. Ieri notte a Brooklyn ci sono stati altri scontri e lo stesso stamattina. La cosa ancora peggiore però, perché è più vicino, è che prevedono disordini anche a Harlem e Washington Heights, ed è vicinissimo a qui. Il sindaco dice che se succede dovrà intervenire l’esercito perché la milizia è già troppo occupata a Queens e a Long Island, senza contare il resto dello stato. Il presidente ha dichiarato che non può richiamare in America altri soldati per badare a problemi che polizia locale e milizia dovreb-bero essere in grado di risolvere. A quanto pare la settimana scorsa a Los Angeles ci sono stati duemila morti. Papà ha detto che spera che tra quei duemila ci siano anche quelli che conosce lui.

Come se non ci fosse già abbastanza rumore da queste parti, stasera abbiamo fatto una scoperta nuova, Anne. Circa un’ora fa, mentre stavo per mettermi a scrivere, tutto a un tratto parte a pieno volume un messaggio registrato. All’inizio non capivamo cosa diceva perché era prima in spagnolo e poi in creolo. Poi la voce si è messa a parlare inglese e diceva: – Attenzione. Atten-zione. Attenzione. Avete violato il perimetro di questo edificio. Allontanatevi immediatamente o saremo costretti a intervenire. – Poi ha ricominciato in spagnolo. Sembrava un jet all’aeroporto ed è andato avanti per un quarto d’ora prima di piantarla. Se-condo papà è l’allarme della cooperativa qui di fronte, il palazzo che ha fuori i guardiani per tutta la notte. A cosa cavolo gli serve quell’allarme se non per tenere sveglie le guardie proprio non lo so. Comunque, uno schifido rumore in più per tirarci scemi.

1° APRILE

Oggi siamo tornati a casa nostra e io ho passato tutti i compiti in classe con ottimo. Pesce d’aprile, Anne! Però è vero che ho pre-

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so ottimo in tutto tranne che in algebra, e anche quello comunque era un discreto. Odio l’algebra e la matematica in blocco.

Stamattina mentre uscivamo io e Boob abbiamo visto uno che scriveva sul muro in grandi lettere bianche QUESTA TERRA È UN INFERNO. Quello stupido allarme ieri notte deve aver te-nuto sveglio anche lui. È ripartito tre volte con il suo Attenzione. Attenzione. Attenzione e mi ha svegliato tutte e tre le volte. Men-tre ti scrivo quasi non riesco neanche a tenere gli occhi aperti.

Oggi pomeriggio quando siamo tornate da scuola abbiamo visto un cartello nuovo sul filo spinato intorno alla cooperativa. C’è scritto ALLARME AUTOMATICO quindi papà aveva in-dovinato chi sono i colpevoli. Il loro palazzo non è diverso dal nostro tranne che è tenuto meglio e non sembra River House, il Dakota o roba del genere. Davanti alla porta c’era il guardiano di turno, un indiano magro magro. Gli ho chiesto: – Il vostro allarme deve proprio fare così tanto rumore? – Lui ci ha detto di andarcene immediatamente altrimenti sarebbe stato costretto a intervenire. – Ma che costretto a intervenire, le ho solo fatto una domanda – ho detto io. Ma lui aveva una pistola e ha cominciato ad accarezzarla come se fosse un’amica. Sarà anche che sono alta quasi come lui ma si vede che non sono un’assassina o una de-linquente. Comunque ho capito che Boob aveva paura, così ho cominciato ad allontanarmi spingendola avanti. Dopo un po’ mi sono girata a guardare e lui aveva davvero l’aria di quello pronto a sparare! Cosa dobbiamo fare, Anne: prenderlo in giro fino a farlo schiattare? Attraversata la strada, dei ragazzi ispanici fermi davanti alla drogheria hanno cominciato a fischiare e a dire ehi culo culo, che credo si riferisse a me. Mi hanno davvero fatto incavolare ma non ho risposto. Non serve a niente, tanto i rospi non la smettono di gracidare.

Sui pianerottoli di questo palazzo c’è sempre odore di lentic-chie e io odio le lenticchie. C’è anche chi fa la pipì nell’atrio, così dalla puzza sembra di essere in metropolitana. Stamattina il tanfo

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era così forte che mi bruciavano gli occhi e quasi vomitavo. – È come passare per Saks quando ti spruzzano tutti quei profumi – ha detto Boob, ma è molto molto peggio.

Papà era di umore migliore oggi, quindi mi sa che ieri non deve essere successo niente di troppo grave. La mamma in com-penso ha finito con i suoi manoscritti e ne sta aspettando degli altri, ma nel frattempo è tornata al Prozac. Questa mattina si è dimenticata la boccetta in bagno. Qui abbiamo un bagno solo: risultato c’è sempre qualcuno che aspetta che tu abbia finito. Stasera papà è rimasto chiuso lì dentro per così tanto tempo che per fare la pipì sono dovuta andare giù nell’atrio.

Pesce d’aprile! Non mi sognerei mai.

2 APRILE

Fare avanti e indietro da scuola mi uccide, Anne. Non riuscirò mai a recuperare il sonno che perdo. Oggi gli autobus erano in ritardo, così abbiamo dovuto farci di corsa dall’Ottantaseiesima fino a Brearley e siamo arrivate al pelo prima della campana.

Stasera la mamma era impasticcata di Prozac, quindi è toccato a papà scongelare la cena. Mentre lo aiutavo a mettere a posto, ho visto che aveva un buco bruciacchiato sulla camicia e gli ho chie-sto cosa era successo. Mi ha raccontato che stamattina in libreria è entrato un cliente con una sigaretta accesa, anche se per legge è vietato. Papà dice che quando Mister Mossbacher vede qualcuno che fuma per strada o in negozio comincia a gridare finché non sono tutti morti di paura. E siccome Mister Mossbacher in quel momento era vicino all’entrata a pulire sotto il banco della cassa, papà ha chiesto al tizio di spegnere la sigaretta. Quello gliel’ha tirata addosso e se n’è andato incavolatissimo, per fortuna papà ha fatto in tempo a spegnerla prima che Mister Mossabacher se ne accorgesse perché se no mi sa che se la prendeva con lui. Papà

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ha detto che il tizio portava un vestito elegante e aveva un’aria perfettamente normale, ma non si può mai dire chi è fuori.

Ieri notte la folla ha attaccato e occupato un deposito di armi a Brooklyn. Il sindaco è apparso in tv per dire a chi abita da quelle parti cosa fare per difendere la propria casa durante i disordini. Ha messo la polizia a guardia dei ponti e delle stazioni del metrò per essere sicuro che gli agitatori non escano dalla zona. Questo quartiere non mi piace ma preferisco abitare qui che a Brooklyn. Il presidente ha detto al sindaco che non può mandare l’esercito a Brooklyn per via della situazione a Washington, per non parlare del resto del paese.

Ecco cheriattacca. Attenzione. Attenzione. Attenzione. È l’ottava volta da quando sono tornata a casa oggi pomeriggio. Secondo me sono i guardiani che lo fanno scattare apposta per sembrare occupati.

4 APRILE

Adesso che sono tornata, Anne, devo assolutamente raccontarti cosa è successo ieri a casa di Katherine.

All’inizio sembrava che ci saremmo divertite un sacco. Dopo la scuola io e Katherine ci siamo incamminate sull’Ottantaseiesima e per prima cosa ci siamo fermate a mangiare una fetta di pizza. Le mie cose sono quasi finite ma ho ancora una fame perenne e dovevo proprio mettere qualcosa sotto i denti. Poi siamo andate da Elk Candy e ci siamo comprate un pesciolino di marzapane a testa, da mangiare più tardi. Tiravamo a guardarci in giro, ma c’erano sguinzagliate nei dintorni bande di ragazzi più grandi che avevano l’aria allupata e a noi non andava di trovarci circondate, così ce la siamo data a gambe.

Siamo arrivate a casa di Katherine e siccome i suoi non c’era-no ancora ci siamo sedute in soggiorno ad ascoltare la musica

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sull’impianto buono. Verso le cinque Katherine ha cominciato a flippare e a dire che era meglio smettere perché i suoi potevano tornare da un momento all’altro e non voleva che ci beccassero. – A fare cosa? – le ho chiesto. – A stare in questa stanza – ha detto lei. Be’, alla fine erano almeno le sei quando sua madre è arrivata e ci ha riscaldato al microonde dei surgelati. Noi non ci eravamo preparate niente perché eravamo ancora piene di pizza. Io ho mangiato pollo alla cacciatora e Katherine pollo alle mandorle. Faceva tutto schifo ma ho assaggiato di peggio.

– Come va la scuola Lola? – mi ha chiesto sua madre. – Bene – ho risposto io. – Ti piacciono i tuoi professori? – Molto – ho detto, che non è proprio vero vero ma quasi. – Non vedrai l’ora che arrivi l’estate… – Certo. – Dove andate in vacanza? – mi ha chiesto poi, ma si è risposta da sola senza lasciarmi il tempo di aprir bocca. – Ah già, quest’anno niente vacanze, no? – fa. E per il resto della serata non mi ha più rivolto la parola, tipo che una volta fatto il suo dovere poteva tornare a occuparsi della realtà.

Il padre di Katherine è tornato alle otto. Lavora tutte le sere fino a tardi, mi ha detto Katherine e so che se tornasse anche più tardi lei sarebbe contenta. Entrando mi ha guardato ma non mi ha salutato ed è andato dritto in cucina. Appena è arrivato lui, Ka-therine e sua madre sono diventate ancora più tese. Dopo un po’ noi siamo andate in camera di Katherine e lei ha chiuso la porta. – La chiuderei a chiave ma non si può – ha detto. Si è sdraiata sul letto e ha sospirato come se stesse per mettersi a piangere. – Cosa c’è? – le ho chiesto. – Niente – ha risposto lei e allora ho lasciato perdere perché ho capito che tanto non mi avrebbe detto niente. Katherine ha acceso lo stereo ma col volume basso. Suo padre odia i rumori e lo stesso sua madre, e Katherine se ne sta così zitta che quando sono tutti nella stessa stanza si sentirebbe persino cadere uno spillo. Sono la famiglia più stressata che conosco.

Ci siamo sedute sul letto a sfogliare Seventeen. – Te lo mettere-sti? – mi chiedeva Katherine ogni due minuti e ogni volta che

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guardavo la rivista mi faceva vedere un’oca in topless o con un paio di calzoni di pelle o truccata con l’ombretto argento. – Ne-anche per tutto l’oro del mondo e tu? – Magari sì. – Accomodati pure. – Quando tornate a stare da queste parti? – Non lo so ma spero presto – ho detto io. – È davvero così da poveri dove state adesso? – Assolutamente no, dovresti venire a trovarmi. – Te l’ho già detto che non mi lasciano – mi ha risposto lei. – Perché non ci vieni di nascosto dopo la scuola? – Parli come Lori. – Non è vero. – Invece sì, solo che non vuoi ammetterlo. Hanno ragione sai, aveva proprio una cattiva influenza su di noi – ha detto. – Non mi sembra che ti abbia influenzato – ho risposto io. – Ci ha provato. – Come? – Cercava di farmi stare fuori fino a tardi. Di farmi rubare nei negozi. Se mi prendessero a fare qualcosa che non devo… – ha cominciato a dire ma poi non ha finito la frase. – Con me ci provava tutto il tempo, ma se io non volevo fare una cosa le dicevo niente da fare e lei lasciava perdere – ho risposto. – Tu sei più terribile di me – mi ha detto Katherine. – Lori è più terribile di noi due messe insieme – ho detto io. – Quando vuole sì, ma tu non sei da meno – ha risposto Katherine. – Non è vero – ho detto e le sono saltata addosso. Ero riuscita a metterla

ko ma tutto a un tratto lei ha cominciato ad andare in paranoia anche se non stavamo facendo rumore, comunque non abbastanza da farci sentire. – Smettila per favore smettila – mi ha detto e io l’ho smessa. Non avrebbe mai fatto così nella mia stanza.

– Cos’altro ha cercato di insegnarti? – le ho chiesto. – A bere la birra. Uno schifo – ha risposto Katherine. – A me ha insegnato a baciare anche se io ero già capace, ma lei voleva farmi vedere – ho detto. – Come ha fatto a farti vedere? – Mi ha dato un bacio. – Sulla bocca? – Sì e ha anche cercato di usare la lingua ma io non l’ho lasciata – ho detto. – Ha cercato di usare la lingua? – fa Katherine. – Be’, Lori ha la bocca così grande che la lingua dovrà pur metterla da qualche parte – ho risposto io.

– E com’è stato, ok? – mi ha chiesto e io: – Non male dato che

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non c’è stata lingua. – Fammi vedere – ha detto lei e si è seduta con la faccia vicina alla mia. – Fai la bocca – ho detto e l’ho ba-ciata. È rimasta lì ferma come se stesse gustando una cosa che non aveva mai assaggiato. – Con un ragazzo dura di più vero? – mi fa. – Ore e ore. Non finisce più perché ci si lava i denti a vicenda con la lingua – ho risposto. – Lo! – ha fatto Katherine con una faccia disgustata. E poi mi ha detto: – Dammi un bacio più lungo per vedere com’è. – Ma niente lingua – ho detto io. – Ok. – Ci siamo baciate per un po’ ed è stato bello ma tutto qui. Katherine mi ha sorriso. – Com’era? – le ho chiesto. – Ancora una volta solo una – ha detto lei. – Kat sei terribile. – No. È solo che voglio capire com’è – mi ha risposto. – Non l’hai ancora capito? – le ho chiesto. – Ti prego… – E va bene.

Be’, è lì che avrei dovuto impuntarmi, Anne. Per farla star zitta le ho dato un bacio con tanto di risucchio e proprio in quel momento sua madre ha aperto la porta. Non ha detto assoluta-mente niente. Ha richiuso la porta e se n’è andata. – Oddio oddio – faceva Katherine. – Sei stata tu che non volevi più smetterla di baciarci – ho detto, ma lei non mi ascoltava. Continuava a ripetere oddio. – Cosa succederà? – le ho chiesto perché era così terrorizzata che cominciava a mettere paura anche a me. – Non lo so – ha risposto lei. Siamo rimaste lì per una mezz’ora e non si sentiva neanche un rumore. Katherine era stesa sul letto come paralizzata, allora io mi sono alzata, sono andata a sedermi da-vanti al computer e mi sono messa a sfogliare un’altra rivista facendo finta di non essere preoccupata. Ma non è servito a farla star meglio.

Poi abbiamo sentito bussare alla porta e prima di aprire sua madre ha chiamato – Katherine? – Poi è entrata e ha detto: – Tuo padre è andato a dormire e io ho già preparato il letto per Loia sul divano. Datevi la buonanotte. – Perché Lo non può dormire con me? – ha chiesto Katherine. – Ti ricordi cosa abbiamo detto l’altro giorno? – le ha risposto sua madre. Io ho guardato Kathe-

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rine e ho capito che non sapeva di cosa stava parlando. Ha detto. – Ok – ma sembrava così triste, triste da morire. – Lola sa dov’è il bagno e ha tutto quello che le serve? – ha chiesto sua madre e Katherine ha fatto segno di sì. – Bene, allora datevi la buona-notte – ha detto. – Buonanotte – abbiamo detto io e Katherine. Ho preso il mio zainetto e sono andata dietro a sua madre che mi ha portato in soggiorno dove aveva steso lenzuola e coperte sul divano. – Grazie – ho detto. Sua madre mi ha fatto un cenno e se n’è andata.

Sono rimasta lì seduta per un po’ e poi mi sono alzata per an-dare in bagno. Quando ho cercato di chiudere a chiave la porta ho visto che mancava la serratura e al suo posto c’era soltanto un buco. L’ho riempito di carta igienica e ho chiuso la porta. Mentre mi lavavo i denti tenevo la porta con il piede in modo che nessuno potesse spalancarla all’improvviso. Non so perché pensavo che po-tesse entrare qualcuno ma ero preoccupata. Cinque ore in quella casa e stavo già diventando seriamente paranoica come loro.

Mi sono distratta per cinque minuti davanti allo specchio a schiacciarmi un brufolo sul mento e a guardarmi per bene, poi mi sono lavata la faccia e mi sono seduta a fare la pipì. Mi stavo cam-biando il tampone tanto per non correre rischi quando mi sono accorta che la carta igienica era scomparsa dal buco! Oh Anne, non era neanche per terra. Mi sono alzata, sono andata alla porta e l’ho aperta ma in corridoio non c’era nessuno. Era tutto buio, le uniche luci accese erano quella del bagno e quella del soggior-no in fondo al corridoio. Ho sentito Katherine che si lamentava come se stesse facendo un brutto sogno. Stavo per entrare nella sua camera a controllare che andasse tutto bene, visto che la porta non si poteva chiudere a chiave, ma poi mi è venuta paura e non ci sono andata. Sono tornata di corsa in soggiorno e mi sono tirata le coperte fin sopra la testa. Ero troppo in paranoia ma erano le dieci passate, troppo tardi per tornare a casa a meno di prendere un taxi e non avevo i soldi per la corsa. Per tutto il resto della

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notte c’è stato silenzio ma non è servito a farmi addormentare. A un certo punto finalmente sono crollata, non so che ora era, ma doveva essere tardi.

Stamattina mi sono svegliata presto e mi sono vestita. Mi scap-pava così tanto la pipì che stavo per scoppiare quindi ho deciso di rischiare e usare un’altra volta il loro bagno. Ho riempito il buco zeppo di carta e l’ho tenuto d’occhio tutto il tempo ma non è successo niente. Katherine deve avermi sentito ed è venuta in soggiorno mentre io preparavo lo zainetto. Aveva la faccia triste e sonnolenta da piccola fiammiferaia.

– Mi dispiace – mi ha detto sottovoce. – Non preoccuparti non a colpa tua – ho risposto. – Te ne vai? – mi ha chiesto. – È meglio. – Volevo disperatamente tornare a casa. – Non sei obbli-gata ad andartene. – Hai fatto un brutto sogno stanotte? – Non mi guardava in faccia. – Succede tutte le notti – mi ha detto. Poi mi ha accompagnato alla porta e ha aperto piano per non fare ru-more. – Come vai a casa? – Con l’autobus per la West Side – ho risposto. – Ci vediamo lunedì a scuola – ha detto lei. Poi mi ha preso per il braccio e mi ha baciato. Anch’io l’ho baciata e i sono rimasta di stucco, Anne. Senza neanche pensarci mi sono trovata ad aprire la bocca e usare la lingua. Eravamo tutte e due shockate, credo, e Katherine era pallidissima quando è uscita con me sul pianerottolo. – Non è che siamo gay perché ci siamo baciate ? – mi ha chiesto. – No. Ci siamo baciate perché ci andava – le detto io, ma forse almeno in quel momento sì che eravamo gay. Non so cosa penserebbero gli altri, io la penso così. Ci siamo dette ciao sottovoce e poi ho preso l’ascensore.

Così adesso non ci capisco più niente, Anne. Aver baciato Ka-therine mi preoccupa meno di tutto il resto. Sarà sbagliato ma così. Lo so che ieri sera mentre ero in bagno c’era qualcuno che mi guardava e non era Katherine e di sicuro neanche sua madre. Secondo me Katherine non stava sognando quando l’ho sentita lamentarsi perché non sembrava la voce di una persona addor-

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mentata. Una volta fuori di lì ho fatto a piedi dall’Ottantaseiesi-ma fino a Broadway, era così bello essere all’aperto. Continuavo a pensare a ieri sera. E adesso che ho passato tutto il pomeriggio a scriverti, Anne, non so ancora se ho tirato fuori le cose che volevo dirti. Però sono contenta di essere a casa, nonostante tutti gli Attenzione. Attenzione. Attenzione.

Quando sono tornata ho scoperto che papà ha dovuto andare a lavorare perché uno degli altri responsabili è stato licenziato. Deve andare a lavorare anche domani a mezzogiorno. Mister Mossbacher gli sta preparando un nuovo orario ha detto la mamma. Non mi sembrava molto contenta, però poi non ne ha parlato più.

5 APRILE

Oggi volevo chiamare Katherine però poi non l’ho fatto. Sono arrivata a prendere in mano il telefono, ma prima di riuscire a fare il numero ho riagganciato e me ne sono tornata in camera mia. Boob era seduta sul letto e si dondolava avanti e indietro guardando fuori della finestra i treni del metrò che passavano. – Cos’hai? – mi ha chiesto. – Ho dei pensieri – le ho risposto. – E a cosa pensi? – A un sacco di cose – le ho detto io. – Quali cose? – Non ne voglio parlare. – Parlare di cosa? – Chiudi il becco Boob – sono sbottata e allora lei è scoppiata a ridere. Ho deciso di uscire da sola per fare una lunga passeggiata. Venerdì pomeriggio alla mamma è arrivato un altro manoscritto che oggi l’ha tenuta occupata per tutto il giorno per fortuna. – Posso venire anch’io? – mi ha domandato Boob, ma io le ho risposto: – Guarda la tv Boob che ti fa bene. – Chiede così tanto e dà così poco – ha detto lei. È una frase che ha preso da papà, lui lo dice di continuo.

Sono arrivata fino a St John the Divine che diventerà la cat-tedrale più grande del mondo se mai riusciranno a finirla, e le previsioni dicono che non sarà prima del xxii secolo. Nessuno

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di quelli che vivono adesso la vedrà mai finita, neanch’io. Poi ho passeggiato per un po’ sulla Riverside Drive, ma non sono entrata nel parco che è oltre la collina verso il fiume e fa molta più paura di Central Park, anche se probabilmente non è più pericoloso. Dopo ho fatto su e giù per le vie laterali per guardarmi un po’ in giro. In fondo alla Centoundicesima Strada c’è una fontana, vicino a St John the Divine. È una fontana di bronzo con una grande luna che ti sorride fissata sopra un granchio e in piedi sulla luna ci sono anche un angelo e delle giraffe. Da una delle chele del granchio penzola la testa di un diavolo. È la cosa più stupida che ho mai visto, ma deve avere un significato religioso o roba del genere. Sulla Centoquattordicesima Strada dietro una recinzione al posto di un palazzo c’è un masso enorme. Dietro l’angolo, su Broadway, c’è un negozio di dolci che si chiama Mondel e la mamma mi ha detto che fanno degli ottimi toffee, ma anche se fosse stato aperto non avrei potuto comprarmeli. Stamattina ho trovato il pesciolino di marzapane che avevo comprato l’altro giorno insieme a Katherine. Al primo momento ho pensato di conservarlo come ricordo, poi mi sono chiesta se davvero volevo ricordarmi quella serata e quindi me lo sono mangiato. Ogni vol-ta che mi tornano in mente tutte le cose strane che sono successe mi viene da pensare che mi sono comportata male anche se lo so che non è vero, almeno non credo.

Poi ho risalito Broadway fino alla Centoventicinquesima, giu-sto per poter dire che sono arrivata ai margini di Harlem. Non ho voluto andare oltre perché al telegiornale hanno detto che ci sono disordini da quelle parti ma non hanno specificato dove. Una cosa che ho notato del nostro nuovo quartiere, Anne, è il numero di persone che vivono per strada. Di mattina, quando io e Boob andiamo a scuola, ne vediamo sempre un sacco che dormono nei portoni con una coperta addosso perché non ci sono guardiani che li cacciano. Qualcuno ha persino una tenda. E di pomeriggio sono ancora tutti lì, anche se sono svegli. Sulla Centoventicinquesima

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c’era una donna sdraiata sul marciapiede ma non mi sembrava una senzatetto, però non si può mai dire. Aveva la camicia sbottonata e le si vedevano le tette enormi, ce le aveva grandi come meloni. Era ubriaca, credo. Continuava a urlare e poi si metteva a bronto-lare da sola come se non ci fosse di testa. Una signora anziana le si è fermata vicino a dirle che doveva andare in chiesa e l’ubriaca continuava a ripetere Fanculo il Gesù bianco.

Poi indovina un po’ chi ho visto a un angolo? Iz, quella ra-gazza di cui ti ho parlato la settimana scorsa quando abbiamo traslocato. Era con un’altra. Le ho salutate ma nessuna delle due mi ha risposto e allora ho fatto per attraversare e tornare verso casa. Ero sul lato di Harlem, vicino alle General Grant Houses, un palazzone orribile anche se è meglio di un altro che c’è un po’ più in su. Mentre stavo per attraversare però Iz mi fa: – Parli con noi?. – Sì – ho detto io. – Traslocati? – mi ha chiesto. Allora mi sono avvicinata. Se la tiravano così tanto che neanche respira-vano, ma da come se la dava ho capito subito che Iz voleva solo far colpo sull’altra. – Questa è la mia amica, Jude – ha detto Iz e Jude mi ha fatto un cenno. – Cosa fate? – ho chiesto. – Ci si perde – ha risposto Iz. E poi ha aggiunto: – Niente di speciale. – Sapete cosa le è successo? – ho domandato indicando la donna sul marciapiede. – È strippata alla grande – fa Iz. – Viaggia sul cavallo alato – ha detto Jude che con il suo accento caraibico quando parla sembra che canti. – Come ti fai chiamare? – mi ha domandato poi. – Lola – ho risposto.

Jude è addirittura più alta di me, sarà uno e settanta, ma deve avere più o meno la mia età, non credo sia molto più grande. Portava un paio di pantaloni della tuta con le scarpe da ginna-stica alte e una maglietta con un teschio che stringe tra i denti un coltello. È magra ma non scheletrica. Cioè, ha dei muscoli da atleta. Porta i capelli corti come un ragazzo e ha le tette piccole ma il sedere bello tondo che spunta in fuori come la maggior parte delle ragazze nere. Insomma è una di quelle persone di co-

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lore che potrebbero essere femmine o maschi e comunque diresti che sono venute bene. Iz è più scura e più grassa di Jude e ha i dread-lock alla Whoopi Goldberg quindi si capisce subito cos’è. Le nere secondo me sono più carine delle bianche.

– Habla Espan? – mi ha chiesto Jude. – No – ho detto. – Sem-bravi portoricana. Sbagliato? – Sbagliato. – Allora cosa ci fai ad abitare qui? – mi ha chiesto. – Per risparmiare – ho risposto io. Jude si è messa a ridere. Ha i denti grandi e bianchissimi che sembrano affilati. – Quello che una mano risparmia l’altra lo spende. Qui si sta sempre a sborsare, altro che risparmiare – mi fa. – Claro – ha detto Iz e si sono messe a ridere tutt’e due. Ho pensato che mi prendevano in giro e mi ha fatto incavolare ma non ho detto niente. – A scuola sei con noi? – mi ha chiesto Jude. – Ma va Jude, a scuola con noi finisce sul muro – fa Iz. Non volevo dire che vado alla privata se proprio non dovevo e ce l’ho fatta. Quelli della pubblica in genere pensano che mi credo troppo intelligente per loro quando scoprono che vado in una scuola privata e finisce che mi odiano. Una volta in seconda delle bambine della pubblica mi sono corse dietro per picchiarmi quando gliel’ho detto e da allora cerco di tenermelo per me. – Stai anche tu a perderti? – mi ha chiesto Jude. – Ho fatto un giro. Però adesso è meglio che torni a casa – ho detto. – Fa’ così – mi ha risposto Jude. – Ciao – ho detto io. – Ci si vede – ha detto Iz. E poi sono tornata a casa.

Mister Mossbacher ha dato a papà il nuovo orario. D’ora in poi lavorerà durante il weekend da mezzogiorno alle otto e durante la settimana dalle quattro a mezzanotte. Avrà liberi il martedì e il venerdì. Papà dice che dovrebbe funzionare bene perché così avrà più tempo per scrivere, ma secondo me non ci crede davvero. Io non ci credo di certo. La mamma non mi è sembrata contenta ma non ha detto niente. Cosa poteva dire?

Credo di piacere a Iz e Jude, Anne, ma non ne sono sicurissima. Sono diverse dalle amiche che ho a Brearley, anche (anzi soprat-

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tutto) dalle ragazze nere che ci sono in classe con me. Certe snob che conosco le chiamerebbero ragazze di strada ma è solo perché vanno alla pubblica. Da come si comportano Iz e Jude sembrano molto più grandi di me, invece mi sa che devono avere più o meno la mia età. Eppure si vede dagli occhi, Anne, quando la guardi negli occhi Jude sembra così grande.

6 APRILE

Di solito durante la settimana taglio corto, Anne, ma non stasera. Devo raccontarti cosa è successo oggi perché sento che altrimenti esplodo. Spero che papà torni a casa presto, però sono solo le undici e con il nuovo orario vuol dire che ha ancora un’ora di lavoro.

Oggi a scuola Katherine mi ha visto in mensa, ma ha fatto finta di niente e così non ci siamo parlate. Io avrei voluto dirle qualcosa ma non mi è dispiaciuto che abbia fatto finta di non ve-dermi perché ho potuto ignorarla anch’io senza sentirmi in colpa. Comunque non è un comportamento strano, Katherine è fatta così. La cosa strana è che poi oggi pomeriggio nell’ora di storia ho visto Tanya e Susie e quando le ho salutate loro hanno fatto come se non ci fossi. Non c’è niente che mi fa diventare più furibonda: sei lì davanti, le conosci benissimo e loro non ti salutano. – Siete sorde? Ho detto ciao – gli faccio e allora loro si guardano in giro e fanno oh ciao ma tutte imbarazzate o come troppo annoiate per vedermi. – Perché siete così strane? – ho chiesto. Non mi hanno risposto e poi è cominciata la lezione quindi abbiamo dovuto andare a sederci. Non so cosa gli è preso ma ho già abbastanza problemi di mio senza dovermi preoccupare anche dei loro.

La mamma oggi sembrava di buonumore quando io e Boob siamo tornate a casa. – Oh tesori miei, c’è un libro di cui ho bi-sogno e all’Excelsior ce l’hanno. Avete voglia di venirci con me,

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così salutiamo anche quel povero angariato di vostro padre – ci ha detto. – Il libro ce lo danno gratis? – ha chiesto Boob. – No angelo mio, ma papà ci può fare uno sconto ed è meglio di niente – ha risposto la mamma.

Siamo andate a piedi fino alla Centosedicesima e poi abbia-mo preso il metrò. All’andata non è successo niente tranne due barboni che quasi si picchiavano. Uno con una gamba sola è salito saltellando sulla carrozza e ha cominciato a raccontare ad alta voce che l’avevano spinto sotto un treno e aveva perso una gamba e adesso era senza casa e aveva l’aids e non aveva i soldi per mangiare. Mentre parlava è salito un altro barbone che puz-zava ancora peggio di lui. Si è fermato dalla parte opposta della carrozza ad ascoltare e a un certo punto si è messo a dire: ma insomma piantala la vuoi smettere tanto nessuno ti dà niente. Il primo barbone è sceso e il secondo ha cominciato a raccontare che era stato in Vietnam e adesso aveva l’aids e aveva pur bisogno di trovare qualcosa da mangiare. Nessuno ha dato niente né al primo né al secondo.

Siamo arrivate all’Excelsior alle quattro e mezzo. È un negozio bello grande eppure era pieno come a Natale. Prima di poter en-trare abbiamo dovuto metterci in fila con tutti gli altri mentre le guardie controllavano borse e borsette. La gente brontolava e si lamentava. Un tizio si è messo a urlare contro le guardie ma loro l’hanno guardato come se fosse matto. Finalmente siamo entrate e abbiamo trovato papà al banco delle informazioni insieme a un suo collega, circondati da clienti che gridavano. Dopo un po’ è riuscito a farsi sostituire ed è arrivato con il libro per la mamma. – Oh Michael tesoro, grazie. Possiamo portarlo direttamente alla cassa? – ha chiesto la mamma, ma papà ha detto che no, doveva farsi firmare il modulo d’acquisto dipendenti da Mister Mos-sbacher altrimenti non poteva farci lo sconto. Così lo abbiamo seguito verso il retro del negozio.

– Bambine vostro padre mi ha raccontato delle storie che sono

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sicura erano un po’ esagerate, ma se succede qualcosa di strano non dite niente – ci fa la mamma. – Strano come? – ha chiesto Boob. – Be’ non so tesoro, qualsiasi cosa insolita – ha risposto la mamma. Ma non è stato solo strano o insolito, è stato orribile. Sul retro del negozio c’è una grande colonna di cemento con dentro il montacarichi per mandare su i libri dal sotterraneo. In piedi di fianco al montacarichi c’era un ometto magro con una barba che sembrava un ciuffo di peli pubici proprio come nella descrizione di papà. Sì, era Mister Mossbacher e sarebbe passato benissimo per un barbone con addosso una vecchia maglietta sporca e un paio di jeans frusti, quel tipo di barbone che quando lo vedi salire sulla tua carrozza del metrò ti viene da scendere alla prima fermata anche se non sei ancora arrivata. Avevo una paura, Anne: era lì in piedi e continuava a sbattere la testa contro la colonna del montacarichi e a ripetere fottuto fottuto fottuto. Quando papà si è avvicinato e gli ha detto qualcosa però l’ha smessa. Si è girato e gli ha gridato: e adesso che cazzo c’è? La mamma ha steso il braccio come per proteggerci ma Boob si era già nascosta dietro di lei.

Papà ha dato i fogli a Mister Mossbacher e lui ci ha scarabboc-chiato una firma e poi ha detto passami quei libri. Eravamo in mezzo a migliaia e migliaia di libri: come si faceva a sapere di che libri stava parlando? Ho capito che papà non aveva idea per-ché è diventato nervosissimo. Allora Mister Mossbacher ha dato completamente fuori di posta. Avesse avuto una pistola saremmo tutti morti. Con un calcio ha buttato per terra una pila di libri e ha tirato quello che aveva in mano che quasi finiva addosso a un cliente. Ma non sai combinare un cazzo, non c’è un cazzo di nessuno qui che sa combinare un cazzo di qualcosa, urlava con tutto il fiato che aveva e poi di colpo si è zittito come se non fosse successo niente e non capisse perché la gente lo guardava. Ha preso un’altra pila di libri dall’altro lato del montacarichi e ha co-minciato a dividerli per titolo come se papà neanche ci fosse. Un altro cliente ha fatto per chiedergli qualcosa e Mister Mossbacher

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gli ha risposto: non lo vede il cartello con scritto Informazioni non sa leggere e se non sa leggere cosa cazzo ci fa in una libreria? Il cliente era terrorizzato e se ne è andato senza dir niente.

– È in cura? – ha chiesto la mamma quando papà ci è venuto vicino ma lui le ha fatto no con la testa. Mentre ce ne andavamo lungo il corridoio, io e Boob continuavamo a girarci per vedere se Mister Mossbacher schizzava un’altra volta ma è rimasto tran-quillo a controllare i libri. Alla cassa c’era una cliente che diceva a un commesso di aver visto un pazzo sul retro che lanciava libri e gridava. – E il proprietario signora – ha risposto il commesso. Lei allora ha detto: andate a cagare e se ne è andata, ma si è mossa troppo in fretta e le guardie devono aver pensato che stesse ru-bando qualcosa così l’hanno buttata a terra.

II viaggio di ritorno non è stato meglio, anzi ancora più pa-ranoico. Abbiamo beccato in pieno l’ora di punta e il metrò era così zeppo che quasi non si respirava. Io sono riuscita a sedermi e ho preso in braccio Boob, mentre la mamma è rimasta in pie-di davanti a noi appesa alla sbarra. Tra la Sessantaseiesima e la Settantaduesima Strada il treno si è fermato in galleria, le luci si sono abbassate e si è spenta l’aria condizionata. Il conducente ha fatto un annuncio ma gli altoparlanti erano rotti e la sua voce sembrava uscire da un tamburo. Poi la carrozza è sprofondata nel silenzio come succede sempre quando il treno si ferma. A un tratto una donna ha detto: – Attento con quei piedi – e un uomo le ha risposto: stia attenta lei. – Ho detto stia attento – ha insistito la donna e l’uomo ha risposto che non era lui con i piedi era il passeggino del bambino. – Il mio bambino non dà fastidio a nessuno – ha detto lei e lui: – Col cazzo. – Hanno cominciato a insultarsi a voce sempre più alta. – Calmatevi per favore – è intervenuta un’altra signora e l’uomo le ha detto fanculo pure tu. – Non permetterti di parlarmi così figlio di puttana – ha detto la signora e poi un sacco di gente si è messa a gridare no no e quelli che erano dalla nostra parte hanno cominciato a premere

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indietro come se qualcuno li spingesse e io ho pensato che la mamma ci sarebbe caduta addosso. Il metrò era così pieno che io e Boob non riuscivamo a vedere cosa stava succedendo. – È stato lui a cominciare – ha detto una delle due donne e tutti ripetevano calma calma. Finalmente la gente ha smesso di spingere, c’è stato ancora qualche borbottio e poi è tornato il silenzio. Ma dopo un po’ la seconda donna ha detto: – Fottuto figlio di puttana – e la gente ha ricominciato a gridare fortissimo e tutti si sono messi a spingere verso la parte della carrozza dove eravamo noi che sem-brava quasi volessero uscire dai finestrini. Gridavano no no no smettetela smettetela e deve essere servito perché l’hanno smessa. Poi si sono riaccese le luci e l’aria condizionata ha ricominciato a funzionare e dopo un po’ il treno è ripartito. Quando siamo ar-rivati alla Settantaduesima metà della gente è scesa e la carrozza è tornata tranquilla quindi mi sa che sono scesi anche quelli che litigavano. La mamma era pallidissima e stravolta e Boob non fiatava, quindi doveva aver paura.

È stata proprio una giornata orribile, Anne. Adesso sono stanca di scrivere ma dovevo raccontarti quello che è successo perché è stato terribile. Boob mi tira tutto quello che ha sotto mano e dice: – Spegni la luce Booz – quindi chiudo. La mamma ha preso un paio di Xanax e dal mondo dei sogni non potrebbe mai sentirla, ma abbiamo tutti bisogno di dormire. – Perché papà si lascia trattare così da Mister Mossbacher? – mi ha chiesto Boob quando siamo arrivate a casa. – Perché deve tenersi caro il posto – le ho detto. – Io non mi lascerei mai trattare così da nessuno – ha insistito lei. – Invece sì se ti capitasse di doverti tenere caro il posto. – Io non avrò mai bisogno di lavorare – ha detto Boob e poi: – Papà dovrebbe dargli una badilata in testa e spappolargli il cervello. – Non è un cartone animato Boob – le ho risposto. – Lo so – ha detto lei.

Papà sarà a casa più o meno tra un’ora. Notte, Anne.