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ORIENTAMENTI L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE IN UNA INTERPRETAZIONE DELLA SUPREMA CORTE (considerazioni sul « precedente giudiziario ») SOMMARIO: 1. Il « modello» di processo che la Corte di legittimità ha allo stato disegnato per i giudizi di primo grado. - 2. Considerazioni critiche sull'in- terpretazione delle disposizioni in esame resa dalla Corte di Cassazione. - 3. Segue. L'utilizzo « infelice» delle tesi della dottrina e le evidenti con- traddizioni della motivazione della sentenza della Corte di Legittimità. - 4. Segue. Ratio legis, analisi funzionale delle disposizioni, e contumacia del convenuto. - 5. I rapporti tra udienza di prima comparizione e prima u- dienza di trattazione. Individuazione di una differente proposta ricostrutti- va. - 6. Dei differenti utilizzi della sentenza della Corte di Cassazione qua- le precedente giudiziale e dell'estrazione del precedente giudiziale allo sco- po di individuare le fattispecie in cui si ravvisi l'obbligo di motivare il di- stacco dalla precedente decisione. - 7. Estrazione e valore del precedente giudiziale utilizzato come coazione a non discostarsi dal precedente orien- tamento per i giudizi che dovessero occuparsi di questioni similari. - 8. Se- gue. Aspetti peculiari della dimensione {( persuasivo-autoritativa» per i precedenti giudiziali in materia processuale. - 9. Il valore della sentenza in commento quale precedente giudiziale. 1. - La Corte di Cassazione ha statuito di recente (I) in ordine alle corret- (1) Corte Cass., Sez. II, 24 maggio 2000 n. 6808, est. Del Core, in Giust. civ. 2000. I, p. 2229 SS., con nota contraria di Sassani, La prima udienza di comparizione e il « diritto al termine» del convitato di pietra; in Foro it. 2000, I, c. 3163, con nota contra- ria di Civinini; in Corro giuro 2000, p. 1317 ss., con nota moderatamente favorevole di Consolo, La suprema corte interpreta l'ambiguo art. 180 C.p.c. e (non senza coerenza) le- ga le mani al giudice anche nel caso di contumacia del convenuto. La Suprema Corte (Cass. 1 febbraio 1999 n. 835) aveva già avuto occasione di pro- nunciare sulla prima fase della trattazione nel giudizio avanti al giudice di pace. ricono-

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558 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE

dinanza ed al carattere non definitivo del provvedimento giudiziale, anche la di­sciplina del procedimento non preclude la riproposizione dell'istanza o la ri­chiesta di modificazione dell'ordinanza già concessa: mancando particolari li­mitazioni di tempo o situazioni (quali i fatti sopravvenuti che condizionano il riesame delle misure cautelari), in qualunque stato e grado del giudizio può es­sere richiesto un nuovo esame, o dedotta l'insussistenza dei presupposti legitti­manti la condanna anticipata, ai fini della sua revoca o modifica.

ENNIO ANTONIO APICELLA

Avvocato dello Stato

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ORIENTAMENTI

L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE IN UNA INTERPRETAZIONE

DELLA SUPREMA CORTE (considerazioni sul « precedente giudiziario »)

SOMMARIO: 1. Il « modello» di processo che la Corte di legittimità ha allo stato disegnato per i giudizi di primo grado. - 2. Considerazioni critiche sull'in­terpretazione delle disposizioni in esame resa dalla Corte di Cassazione. ­3. Segue. L'utilizzo « infelice» delle tesi della dottrina e le evidenti con­traddizioni della motivazione della sentenza della Corte di Legittimità. - 4. Segue. Ratio legis, analisi funzionale delle disposizioni, e contumacia del convenuto. - 5. I rapporti tra udienza di prima comparizione e prima u­dienza di trattazione. Individuazione di una differente proposta ricostrutti­va. - 6. Dei differenti utilizzi della sentenza della Corte di Cassazione qua­le precedente giudiziale e dell'estrazione del precedente giudiziale allo sco­po di individuare le fattispecie in cui si ravvisi l'obbligo di motivare il di­stacco dalla precedente decisione. - 7. Estrazione e valore del precedente giudiziale utilizzato come coazione a non discostarsi dal precedente orien­tamento per i giudizi che dovessero occuparsi di questioni similari. - 8. Se­gue. Aspetti peculiari della dimensione {( persuasivo-autoritativa» per i precedenti giudiziali in materia processuale. - 9. Il valore della sentenza in commento quale precedente giudiziale.

1. - La Corte di Cassazione ha statuito di recente (I) in ordine alle corret­

(1) Corte Cass., Sez. II, 24 maggio 2000 n. 6808, est. Del Core, in Giust. civ. 2000. I, p. 2229 SS., con nota contraria di Sassani, La prima udienza di comparizione e il « diritto al termine» del convitato di pietra; in Foro it. 2000, I, c. 3163, con nota contra­ria di Civinini; in Corro giuro 2000, p. 1317 ss., con nota moderatamente favorevole di Consolo, La suprema corte interpreta l'ambiguo art. 180 C.p.c. e (non senza coerenza) le­ga le mani al giudice anche nel caso di contumacia del convenuto.

La Suprema Corte (Cass. 1 febbraio 1999 n. 835) aveva già avuto occasione di pro­nunciare sulla prima fase della trattazione nel giudizio avanti al giudice di pace. ricono­

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te modalità di trattazione del processo di cognizione di primo grado quando il convenuto sia contumace (2), estendendo il proprio orizzonte anche all'ipo­

scendo in tali ipotesi l'assoluta normalità di una rimessione in decisione della controver­sia già nella prima udienza del processo avanti al giudice di pace, motivando nel senso che tale facoltà sarebbe concessa ai sensi dell'art. 320 c.p.c., che, in quanto legge specia­le, prevarrebbe sull'art. 180 C.p.c.

(2) La possibilità o meno di operare un accorpamento tra l'udienza di prima com­parizione e l'udienza di prima trattazione è già stata più volte oggetto di decisione da par­te della giurisprudenza di merito. Ritengono sempre doveroso, anche quando il convenu­to sia contumace, il rinvio alla prima udienza di trattazione con contestuale assegnazione del termine per la proposizione delle eccezioni. Pret. Monza ord. 25 settembre 1995, in Giur. ii. 1995, I, 2, c. 873 ed in Riv. dir. proc. 1996 ss. (che paventa l'incostituzionalità della disciplina per contrasto con gli artt. 24 e 97 Cost., ed espressamente si augura che il decreto legge recante la riforma non venga convertito); Pret. Bari, ord. 26 settembre 1995, in Corro giuro 1996, p. 700 (con nota di Poli seno ); Pre!. Torino ord. 11 luglio 1997 e Trib. Modena 6 marzo 1996, entrambe in Giur. it. 1998, l, p. 691; Pre!. Lecce ord, 9 aprile 1996, in Giur. it. 1997, I, 2, c. 110.

A favore dell'accorpamento del giudice nell'ipotesi di contumacia del convenuto si dimostra Pret. Reggio Emilia ord. 21 dicembre 1995, in Giur. it. 1996, I, 2, C. 404 ss. (che peraltro ritiene anche ammissibile che le parti costituite con il consenso del giudice possano modificare l'ordine delle udienze rigidamente fissato dalla legge). Pret. Bari, 25 ottobre 1995, in Corro giuro 1996, p. 700; Trib. Brescia, 2 maggio 1996, in Giur. merito 1996, p. 858, ed anche Pre!. Torino 3 giugno 1996, in Giur. it. 1998, I, p. 691; Trib. Bari ord. 28 luglio 1996, in Giur. it. 1997, I, 2, C. 111 ss., reputa ammissibile che in causa contumaciale il giudice rinvii direttamente dall'udienza di prima comparizione ad un'u­dienza per la precisazione delle conclusioni.

In dottrina, contrario all'accorpamento quando il giudizio sia contumaciale, Dal­motto, Rapide critiche al recentissimo divieto di procedere all'ammissione delle prove in sede di prima comparizione anche quando il convenuto sia contumace, in Giur. it. 1995, l, 2, C. 869 ss .., che si spinge però fino a ritenere l'incostituzionalità della disciplina per lesione dell'art. 24 Cost.; Lamorgese, È ammissibile la rimessione in decisione della cau­sa contumaciale nella prima udienza di trattazione?, in Giur. merito 1996, p. 858 ss.; Volpe, Udienza di prima comparizione e poteri del giudice, in Giur. il. 1997, I, 2, C. 104; Capponi, L'udienza di comparizione e il suo doppio (Note sugli arti. 180 e 183 c.p.c. nel testo introdotto dal d.l. 23811995), in Doc. giusto 1995, 12, C. 1955 sS. che ritiene ammis­sibile che le parti concordemente determinino l'andamento processuale, accorpando l'u­dienza di prima comparizione con l'udienza di prima trattazione; così anche Trisorio Liuzzi, La difesa del convenuto e dei terzi nella nuova fase introduttiva del processo ordi­nario di cognizione, in Giur. it. 1996, IV, C. 87; Tommaseo, Gli arti. 180 e 183 eia novis­sima disciplina della fase preparatoria del processo di cognizione, in Studim iuris 1996, p. 100 l; Balena, Ancora « interventi urgenti » sulla riforma del processo civile, in Giur. il. 1995, IV, C. 321, C. 322; Id., Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur. it. 1996, IV, C. 267 ss" laddove afferma che il differimento della prima udienza di trattazio­ne è necessario, e prescinde dalla richiesta del convenuto, nonché dalla sua costituzione e/o comparizione; Montesano-Arieta, Diritto processuale civile, Il, Torino 1999, p. 98

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tesi in cui il convenuto pur costituito non compaia all'udienza di prima tratta­zione, ed ancora al caso in cui l'anticipazione delle attività di cui all'art. 183

8S., assumono che l'udienza di cui all'art. 183 dovrebbe essere sempre fissata, anche se il convenuto costituito non la richieda, o le parti espressamente concordino nel chiederne invece l'accorpamento con l'udienza di prima comparizione; similmente M. Veli ani in Re­denti, Diritto processuale civile, a cura di Mario Vellani, Il, Milano 1997, p. 210; anche Costantino, La lunga agonia del processo civile (Note sul d.l. 21 giugno 1995 n. 238), in Foro it. 1995, V, c. 325 ss. ritiene automatico e obbligatorio il rinvio dall'udienza di pri­

ma comparizione alla prima udienza di trattazione. Va però notato come nella più parte dei casi (v. ad es., Dalmotto, Capponi, Trisorio

Liuzzi, Balena, Costantino) proprio coloro che ritengono impossibile a livello interpreta­tivo procedere all'accorpamento delle prime due udienze sono poi critici severissimi del risultato della riforma legislativa del 1995, tanto anzi da dare la sensazione che la lettura delle norme sia volutamente animata da intenti distruttivi (si contestano le modifiche fa­vorendo una lettura delle disposizioni che ne esalta errori e contraddizioni, piuttosto che cercare di arrivare ad esegesi più ragionevoli), e forse tesa a sollecitare il legislatore ad in­tervenire con un'ulteriore riforma legislativa, stante l'inaccettabilità della situazione che

deriva dall'interpretazione proposta. Didone, La terza via nell'applicazione dell'art. 180 c.p.c., in Giust. civ. 1997, Il, p.

375 ss., assume come obbligatorio il rinvio all'udienza di prima trattazione anche quando il convenuto sia contumace, ma ritiene però che in questo caso quella parte non avrà di­ritto alla fissazione del termine di cui all'art. 180,2° comma, c.p.c. per la proposizione delle eccezioni. Per Chiarloni, Riflessioni minime sulla nuova disciplina della fase intro" duttiva del processo civile di cognizione, in Giur. it. 1997, IV, cc. 203-204 le parti insie­me possono decidere l'accorpamento delle udienze. Nell'ipotesi di contumacia (c. 208 ss.) del convenuto non sarebbe necessaria l'assegnazione del termine per il deposito delle eccezioni pur mantenendosi l'obbligo della fissazione di un'ulteriore udienza, foss'anche semplicemente di precisazione delle conclusioni; la parte contumace potrebbe comunque costituirsi pronunciando le eccezioni rilevabili d'ufficio fino a 20 prima dell'udien­za successiva (che il giudice deve comunque fissare anche se l'attore non lo chiede), ma in quest'ipotesi il giudice istruttore dovrebbe tramutare l'udienza prevista nella prima u­

dienza di trattazione. Favorevole all'accorpamento delle udienze nell'ipotesi di contumacia del convenuto

invece Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale, Napoli 1999, p. 99; Tarzia, in Le nuo­ve leggi civili commentate 1996, p. 605 ss., per il quale ancora se le parti sono costituite e concordi (nonché, aggiunge, presenti personalmente o tramite procuratori generali o spe­ciali abilitati all'interrogatorio libero ed al tentativo di conciliazione), ed il convenuto e­spressamente rinuncia al termine per proporre eccezioni, è possibile anticipare le attività previste dall'art. 183 c.p.c. all'udienza di prima comparizione. Mandrioli, Sul nuovo ter­mine per la proposizione delle eccezioni del convenuto, in Riv. dir. proc. 1996, p. 316 58.;

Id., Ancora sul nuovo art. 1802° comma c.p.c., in Riv. dir. proc. 1996 p. 389 S8.; Id., Di­ritto processuale civile, Il, Torino 2000, p. 78; Taruffo, in Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezio­ni sul processo civile, Bologna 1998, p. 580 S5.; Id., in Le riforme della giustizia civile a cura di Michele Taruffo, Torino 2000, p. 292, sia quando il convenuto sia contumace, sia quando pur costituito non richieda espressamente la fissazione della prima udienza di

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C.p.C. all'udienza di prima comparizione sia richiesta invece insieme da attore e convenuto (3); la decisione, tuttavia, si fonda su una ricostruzione che a mio avviso non è in linea né con il dato letterale né con un' analisi funzionale delle disposizioni, e contrasta inoltre con la stessa ratio che traspare dall'analisi della disciplina legislativa.

Iniziamo con l'esaminare il caso processuale che ha fornito alla Corte di Legittimità il « pretesto» per ricostruire i rapporti tra udienza di prima compa­rizione e prima udienza di trattazione.

La vicenda che la Corte di Cassazione è stata chiamata a giudicare attene­va alla seguente fattispecie; nel giudizio di primo grado, il giudice istruttore ­nella contumacia del convenuto aveva accorpato l'udienza di prima compari­zione e l'udienza di trattazione, e il convenuto aveva impugnato avanti all!l Cor­te d'Appello la sentenza assumendone la nullità per violazione del disposto di cui all'art. 180 C.p.C., che imporrebbe al giudice al termine dell'udienza di prima comparizione di fissare « in ogni caso ... a data successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore ... ».

trattazione; Verde, Profili del processo civile. Il, Napoli 2000, p. 22 ss., perché la conces­sione al convenuto di un ulteriore spatium deliberandi onde proporre eccezioni sarebbe comunque collegato alla costituzione in giudizio nella quale si sono già esposte le proprie difese, sicché le nuove eccezioni si qualificherebbero come integrazione di un'attività di­fensiva che dovrebbe ovviamente Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commen­tario alla riforma del processo civile, Milano 1996, p. 120 ss.; Id., Diritto processuale ci­vile, II, Milano 1999, pp. 28-29, ritiene che l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. dovrebbe essere disposta solo su istanza del convenuto costituito; Comoglio, L'udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c., in Riv. dir. proc. 1997, p. 366 ss., afferma che le parti possono concordemente modificare l'andamento processuale. e che altrimenti il giudice i­struttore è tenuto a predisporre una nuova udienza ed a concedere il termine per la pro­pOSizione delle eccezioni anche se non ne sia richiesto, ma solo se il convenuto si è costi­tuito; nella contumacia del convenuto su richiesta dell'attore, il giudice potrebbe già anti­cipare all'udienza di prima comparizione taluni degli atti di trattazione propri dell'udien­za di cui all'art. 183 c.p.c., nonché l'adozione di provvedimenti istruttori sulle istanze for­mulate dall'attore; Fornaciari, l:attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, in Giur. it. 1999, p. 439 ss. ritiene ammissibile accorpare l'u­dienza di prima comparizione e l'udienza di prima trattazione con il consenso delle costituite, mentre nel caso di contumacia del convenuto reputa addirittura doveroso tale accorpamento, che non potrebbe essere impedito neanche dall'espressa richiesta dell'atto­re di un rinvio all'udienza di cui all'art. 183 C.p.c.

(3) La decisione in commento si occupa anche di una fase ulteriore del processo, disponendo che l'istanza per il rinvio dell'udienza dedicata alle deduzioni istruttorie (v. art. 184, l° comma, c.p.c.) costituisce solo una facoltà per la parte, che pertanto può de­cidere di non avvalersene, producendo immediatamente documenti ed indicando i mezzi di prova da assumere. Nelle pagine che seguono. non mi occuperò però di questo princi­pio, limitandomi ad un'analisi dei principi dedicati al rapporto tra l'udienza di prima comparizione e la orima udienza di trattazione.

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La Corte d'Appello rigettava sul punto l'impugnazione assumendo che l'accor­pamento tra le due udienze non costituisce motivo di nullità del giudizio; ag­giungeva altresì che la commistione tra le due udienze sarebbe comunque irre­golare, e che dunque « avrebbe legittimato l'aspettativa della parte interessata a non incorrere nelle decadenze e nelle preclusioni previste in relazione alla pri­ma udienza di trattazione ». La Corte di Cassazione nella sentenza in oggetto ha riconosciuto le ragioni del ricorrente, ma ne ha rigettato il ricorso perché il giudice d'appello aveva in ogni caso di fatto già provveduto a rimettere in termini la parte ricorrente (4) (lo stesso risultato cioè che avrebbe conseguito la Suprema Corte cassando con rinvio ad altro giudice di merito); ai sensi del­l'art. 384 20 comma c.p.c., la Cassazione ha così operato una correzione della motivazione in diritto, salvando il dispositivo della decisione impugnata, ed ha statuito che « .. .il differimento dell'inizio della trattazione con contestuale af­fermazione del termine ex art. 180 1 o comma c.p.c. è ineludibile e prescinde dal­la richiesta del convenuto, cioè dalla sua comparizione o costituzione ». Questa lettura della disposizione è frutto di un percorso che si basa su più giustifica-

che spazi ano da argomenti fondati sulla lettera della disposizione di cui all'art.180 c.p.c., ad argomentazioni di più generale natura letterale-sistematica che fanno perno sugli artt. 1162° comma, 163 e 167 c.p.c. (5), a riflessioni che investono la supposta ratio legis della modifica legislativa intercorsa nel 1995, individuata nella necessità di meglio salvaguardare i diritti della parte

convenuta. Una lettura, peraltro, che iscrive la questione all'interno di un più generale

percorso interpretativo; ed infatti la Corte di legittimità, rilevato che« ...le nor­me con le quali la l. 20 dicembre 1995 n. 534 ha inteso regolare la sequenza

(4) Consolo, op. cit.• p. 1323, nota ancora come poi nel caSO in il convenuto

non intese poi svolgere alcuna eccezione. (5) In particolare, la Suprema Corte ritiene inammissibile l'accorpamento in assen­

za del convenuto perché altrimenti si verrebbe a creare una disparità di trattamento tra il convenuto costituito ed il contumace (che non godrebbe del termine per la proposizione delle eccezioni di cui all'art. 180 c.p.c.) così determinandosi una disparità di trattamento che la Corte assume come ingiustificata. La Cassazione aggiunge che l'art. 167 c.p.c. non menziona più la proposizione delle eccezioni (;Ome attività soggetta a decadenza, sicché negare al convenuto contumace il diritto di proporre eccezioni nel termine previsto dal­l'art. 180 c.p.c. significherebbe aggiungere una decadenza non prevista dal legislatore; an­cora, una decadenza che colpirebbe il convenuto senza che questi ne sia avvertito, poiché l'art. 163 n. 7 c.p.c. prescrive che il convenuto sia avvertito delle decadenze di cui all'art. 167 c.p.c., non anche di quest'ulteriore penalizzazione; in ultimo. la Suprema Corte ram­menta ancora che il convenuto, pur non intendendo costituirsi, potrebbe decidere di com· parire alla prima udienza di trattazione per rendere !'interrogatorio libero e così evitare di incorrere nelle deduzioni negative ai sensi dell'art. 116,2° comma, c.p.c.; non sarebbe ammissibile dunque anticipare l'interrogatorio all'udienza di ,...,.;""" (,l)mnarizione in as­

senza del convenuto (costituito e non) in tale udienza.

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delle udienze hanno natura tendenzialmente inderogabile ... », aggiunge però che è lecito modificare il rigido andamento processuale quando le parti espres­samente rinuncino a tale procedimento, decidendo insieme di accelerare il Corso del processo (6), precisando che alla libertà che le parti concordino lo svolgi_ mento dell'iter processuale superando le rigidità della disciplina positiva « .. .l'u­nica eccezione potrebbe essere costituita dal caso in cui il giudice ritenga oppor­tuno destinare apposita udienza per la trattazione delle questioni rileva bili d'uf­ficio profilatesi all'esito dello svolgimento dialettico della prima udienza. All'in­fuori di quest'ipotesi, con l'accordo delle parti è ammissibile saltare l'udienza ex art. 183 e antergare incombenti previsti per fasi successive del giudizio ».

In buona sostanza dunque la Cassazione ricostruisce espressamente così l'udienza di prima comparizione e la prima udienza di trattazione: l) nell'ipote­si di contumacia o di assenza del convenuto, la strutturazione processuale in più udienze distinte ai sensi degli artt. 180 e 183 è inderogabile; 2a) Se invece le parti sono costituite, è possibile accorpare le udienze e comunque derogare dalla disciplina legislativa, se le parti concordano di procedere diversamente, per accelerare i giudizi; 2b) Tuttavia, se il giudice istruttore dopo lo svolgimen_ to della prima udienza (riterremmo, in cui siano accorpate le udienze di cui al­l'art. 180 e 183 c.p.c.) di fatto ritenga opportuno procedere con un ulteriore u­dienza per meglio ponderare le questioni rilevabili d'ufficio (e dunque solo quelle, almeno sembrerebbe), egli ha comunque il potere di disporla, a prescin­dere dalle scelte delle parti private.

2. - Le conclusioni della Corte di Cassazione non devono essere condivise; gli argomenti su cui si fondano a mio avviso non reggono se sottoposti ad atten­to esame.

Inizierei con l'analizzare il dato letterale dell'art. 180 c.p.c., che la Corte di Cassazione ha erroneamente ritenuto dover incluttabilmente condurre a ritene­re l'impossibilità di accorpare l'udienza di prima comparizione e la prima u­dienza di trattazione quando il convenuto sia contumace (o assente).

In realtà, appare al contrario quasi necessitata un'opposta lettura dell'arti­colo, se solo si rispetta l'obbligo di leggere la disposizione « facendo sistema» con le altre nOrme di legge. Come si ricorderà più avanti, infatti, si è efficace­mente sostenuto che l'art. 1802° comma c.p.c. non si applichi ad un processo con un convenuto contumace (7); peraltro, l'analisi letterale dell'art. 180 c.p.c. conduce a ritenere già a livello puramente esegetico il rinvio all'udienza di cui

6 ( ) La Cassazione a tal fine puniualizza che lo sdoppiamento delle udienze destina­

te alla fase di preparazione e di trattazione non sarebbe « riconducibile a ragioni di ordine 1 lpubblico del procedimento, essendo volto piuttosto ad assicurare alle parti la parità delle larmi e il diritto di difesa ... ».

(7) È, questa, l'opinione di Tarzia, Mandrioli e Comoglio, che sul punto condivido, e di cui si darà dimostrazione al par. 4.

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L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC. 565

all'art. 183 c.p.c. come frutto di una scelta di parle, e non come una rigida im­posizione del codice, ed è da questa dimostrazione che mi sembra opportuno prendere le mosse. Nell'articolo 180 c.p.c.l'inciso « .. .in ogni caso ... fissa a da­ta successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un ter­mine perentorio non inferiore a venti giorni per proporre eccezioni... ", da cui scaturirebbe l'obbligo del rinvio anche nella contumacia del convenuto, va letto come parte dell'articolo, e non avulso dal contesto; l'espressione « in ogni ca­so ... », per quanto effettivamente intervenga dopo un punto, si pone all'inizio della frase conclusiva di un comma che nella proposizione precedente statuisce che « Se richiesto, il giudice istruttore può autorizzare comunicazioni di com­parse ... ». Ne deriva l'assoluta legittimità sotto il profilo letterale di un esegesi del comma per la quale le azioni del giudice siano regolate entrambe dall'inizia­le « se richiesto ... »; le parti dunque possono chiedere: 1) sia di essere autoriz­zate a scambiare le comparse, ed al giudice competerebbe il potere discreziona­le nella concessione o no di tale autorizzazione (<< se richiesto ... può autorizza­re »); 2) sia la fissazione della prima udienza di trattazione con concessione del termine per la proposizione delle eccezioni, ed il giudice in questo caso sarebbe invece obbligato a disporre il rinvio a quest'ulteriore udienza (<< se richiesto ... in ogni caso fissa »). Se si accetta l'esegesi della disposizione ora proposta, la fissazione dell'udienza di prima trattazione (e la fissazione di un termine per la proposizione di eccezioni) discende dunque da una necessaria richiesta della parte (che il contumace non ha il potere di proporre) (8). Come ben si nota,

(8) La Cassazione, nella sentenza in commento, si dedica ad una rapida analisi del­la lettura della disposizione che qui si propone, scartandola perché « del tutto pleonastica e priva di autonomo significato » (espres~ione peraltro testualmente desunta da Balena, op. ult. cit., c. 268); ma questa affermazione non sembra potersi condividere. Specificare l'obbligatorietà della fissazione con l'avverbio « in ogni caso» non è affatto superfluo, posto che altrimenti sarebbe stato ammissibile ritenere che la fissazione dell'udienza fosse comunque subordinata alla discrezionalità del giudice istruttore, come anzi espressamen­te previsto nella frase precedente a proposito del deposito di comparse ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 170 c.p.c., che avrebbe anzi ben potuto (o, forse, dovuto) leggersi, in as­senza di espresse disposizioni contrarie, come regola generale implicante una scelta del giudice legata a ragioni di economia processuale anche nel concedere o no il rinvio all'u­dienza di prima trattazione (nonostante l'espressa richiesta di rinvio formulata dall'attore o dal convenuto).

Se allora è certo possibile lamentare la tecnica di redazione della norma, non ci si può però spingere tino a sostenere che l'interpretazione da noi proposta renda l'espressio­ne « in ogni caso» pleonastica, perché così oggettivamente non è. Sempre su questo pro­filo, v. poi l'ulteriore considerazione di Sassani, op. cit., p. 2235, nota 5, « Ma se (per as­surdo) fosse vero quel che dice la sentenza, va considerato che l'interpretazione « corret­tiva » mira ad ottenere un risultato praticamente ragionevole (cioè tutto sommato miglio-­re del risultato opposto) senza rimaner vittima della cattiva fattura testuale c che, quindi, la pleonasticità se ci fosse - sarebbe male minore, che sarebbe irragionevole invocare » .

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allora, nulla si frappone ad un'interpretazione letterale che consenta l'accorpa_ mento delle udienze nell'ipotesi di contumacia del convenuto (9) (lO) (salvo,

(9) Una spiegazione parzialmente diversa nel ragionamento e negli esiti quanto al significato dell'espressione « in ogni caso» è offerta da Tarzia, op. cit., pp. 612-613, an. che alla luce della sua complessiva ricostruzione per la quale l'art. 180,2° comma, c.p.c. direttamente non si applicherebbe quando il convenuto sia contumace: « ... Pertanto le pa­role "se richiesto", con le quali inizia la prima delle due proposizioni, si contrappongono a quelle "in ogni caso", con le quali inizia la seconda proposizione, solo per precisare che l'assegnazione del termine di cui a quest'ultima proposizione, come la fissazione della pri­ma udienza di trattazione, deve avvenire anche senza specifica richiesta ». Similmente Comoglio. op. cit.• pp. 368-369, che dal richiamo già operato ab origine nell'art. 180 c.p.c. all'art. 170 c.p.c. (recante l'inequivoca rubrica: « Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento », che va coordinato con !'implicito richiamo dell'art. 83 bis disp. atto c.p.c., a sua volta contrassegnato da una rubrica non meno chiara: « Trattazione scrit­ta della causa »), desume che il 2° comma dell'art. 180 c.p.c. è riferito solo alle parti già costituite, e non anche al convenuto contumace; quanto poi all'espressione in ogni caso « ... nella logica globale della norma, condizionata (come si è visto) dal presupposto del­l'avvenuta costituzione delle parti principali, essa significa che il giudice è tenuto ad asse­gnare comunque quel termine anche se non ne sia richiesto (ecco dunque il senso specifi­co della dizione «in ogni caso"!) ».

(IO) Altrettanto è a dirsi per gli altri elementi di carattere letterale-sistematico uti­lizzati dalla Corte di Cassazione per dare forza alla propria interpretazione (vedili riporta­ti retro alla nota 5), che in tutta franchezza non appaiono certo insuperabili; si richiama­no le obiezioni di Sassani, op. cit., p. 2236 ss., che quanto alla decadenza che sarebbe im­posta al convenuto surrettiziamente nonostante il silenzio dell'art. 167 c.p.c., che non menziona la proposizione delle eccezioni a pena di decadenza, rileva che l'argomento non ha alcuna presa se naturalmente al contrario si ritiene che il convenuto abbia l'onere di costituirsi per godere di tutte le prerogative processuali che il sistema processuale ricono­sce proprio alla parte costituita (oltre al fatto che permane comunque ex art. 167 l'onere per il convenuto di costituirsi per proporre le proprie difese nella comparsa di risposta, e che all'interno delle difese vanno comunque ricomprese le eccezioni). Quanto poi al man­cato avviso al convenuto di questa ulteriore conseguenza della contumacia, dato che l'art. 163 n. 7 c.p.c. menziona soltanto le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c., Sassani osserva come questa lacuna non importi nulla in particolare, poiché in nessun luogo (grafico o lo­gico) è prescrìtto un obbligo di avviso del contumace delle conseguenze della sua assenza nel processo, limitandosi peraltro il n. 7 dell'art. 163 a dare conto degli effetti di una co­stituzione intempestiva. Infine, Sassani svaluta l'argomento che la Cassazione ricava dal rischio che l'anticipazione dell'udienza di prima trattazione comporti l'assenza del conve­nuto all'interrogatorio libero, con le conseguenze di cui all'art. 116 2° comma c.p.c.; « anche a voler aderire alla premessa (assai dubbia) della libera interrogabilità del conve­nuto contumace, è certo che l'assenza di questi all'interrogatorio, in ipotesi anticipato al­l'udienza di comparizione, non può essere valutata per lui ai sensi dell'art. 116 comma 20. A valutazione sfavorevole si presta esclusivamente l'assenza della parte già costituita: l'as­senza conseguente a contumacia è infatti assorbente e impediente di ogni altra possibile valutazione sfavorevole (arg. a tacer d'altro, ex art. 186 bis). » In argomento, v. però Ver­

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naturalmente, che sia l'attore a richiedere la fissazione della prima udienza di trattazione (lI».

Del resto, l'interpretazione dell'art. 180 C.p.c. proposta dalla Cassazione condurrebbe a soluzioni non in linea con altre disposizioni processuali tuttora presenti nel nostro ordinamento. Si pensi all'art. 80 bis disp. atto c.p.c., che con­sente al giudice istruttore l'immediata rimessione della causa in decisione; que­sta norma, che non è stata abrogata, va interpretata anch'essa insieme al nuovo art. 180 C.p.c. Orbene, se dall'art. 80 bis disp. atto C.p.c. si evince il potere del­l'immediata rimessione in decisione, sembrerebbe poco coerente ritenere che il giudice istruttore abbia il potere di rimettere subito in decisione la controversia, ma non semplicemente di accorpare invece le due prime udienze (12).

de, op. cit., Il, p. 175, ritenere invece la mancata risposta all'interrogatorio libero un comportamento valutabile ai sensi dell'art. 116, 2° comma, C.p.c. anche se il convenuto sia contumace (ma per Verde, il convenuto contumace non potrebbe comunque parteci­pare all'interrogatorìo libero se non costituito, perché gli art!. 115 e 116 si riferirebbero alla parte in senso formale).

A mio avviso, anche ritenere che la mancata risposta della parte contumace all'in­terrogatorio libero autorizzi il giudice a desumerne elementi ai sensi dell'art. 116,2° com­ma, c.p.c. (opinione che comunque non mi trova favorevole) non fornirebbe comunque argomenti di supporto all' opinione della Corte di Cassazione in merito al divieto di accor­pamento delle udienze; l'ammissibilità dell'accorpamento delle due udienze quando il convenuto sia contumace, comporta semmai un'ulteriore stimolo alla costituzione tempe­stiva del convenuto (che così potrebbe pretendere il rinvio all'udienza di cui all'arI. 183 c.p.c., in cui far presenziare anche la parte personalmente), ma in nessun modo si dimo­stra argomento contrarìo alla riunione delle due udienze. E voglio ancora far notare come la stessa Corte nella sentenza in commento a ben vedere di fatto svaluti da sé l'argomen­to: ed infatti, la Cassazione ha sanato la supposta nullità del giudizio nonostante che ii giudice d'appello abbia concesso alle parti di promuovere le eccezioni (nonostante la mancata concessione del termine), ma non abbia anche promosso l'interrogatorio libero.

( Il) Rimane, però, il potere del giudice istruttore di rimettere la causa in decisione nonostante la richiesta dell'attore, nei limiti di cui si darà conto già nella prossima nota.

(12) Invero, sulla persistenza e sull'ampiezza dell'ambito di applicazione dell'art. 80 disp. atto c.p.c. le opinioni divergono radicalmente.

V'è naturalmente chi ritiene, stante anche l'inequivoca espressione della rubrìca dell'art. 80 bis disp. atto C.p.c. « Rinvio al collegio nell'udienza di prima comparìzione »,

che già nell'udienza di cui all'art. 180 c.p.c. sia ammissibile rimettere la causa in decisio­ne; così, ad es. Califano, Prima lettura del d.l. 21 giugno 1995 n. 238; i nuovi arti. 180 e 183 c.p.c., in Giust. civ. 1995, Il, p. 364; Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, cit., p. 120 sS.; Id., Diritto processuale civile, Il, cit., pp. 28-29. Tarzia, op. cit., p. 612; Tommaseo, op. cit., p. 1001. AItrì autori ritengono invece che oggi l'art. 80 bis disp. att. C.p.c. sia applicabile solo quando le parti, entrambe costi­tuite, siano d'accordo a rìmettere immediatamente la causa in decisione; così, Capponi, op. cit., c. 1955 ss.; Trisorio Liuzzi, op. cit., c. 87 ss.; Balena, Ancora « interventi urgen­ti » sulla riforma del processo civile, cit., C. 322.

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3. L'interpretazione letterale offerta dalla Corte di Cassazione non è dun­que Corretta. Ma ciò che mi sorprende non è l'errore esegetico che la Corte

Sono state proposte però anche differenti soluzioni: per Chiarloni, op. cit., cc. 203­204, l'art. 80 bis disp. att. C.p.C. rimane vigente, e però dovrà comportare il rinvio ad un udienza di precisazione delle conclusioni, e non all'immediata rimessione in decisione. Montesano-Arieta, op. cit., p. 99, hanno sostenuto che la fissazione dell'udienza di prima trattazione debba ritenersi necessaria anche in presenza di questioni che a motivo del loro carattere assorbente potrebbero giustificare l'immediata rimessione all'organo decidente, poiché in ogni caso prima la rimessione presupporrebbe la maturazione delle preclusioni sul thema decidendum (domande, eccezioni, conclusioni), perché il trasferimento all'or­gano decidente di tutti i poteri decisori della controversia farebbe apparire indispensabile che le parti abbiano definitivamente fissato le proprie posizioni attorno al thema deciden­dum; si fa notare, ancora, che il nuovo 4° comma dell'art. 187 c.p.c. prevede, quando la causa sia rimessa in istruttoria (ad esempio, a seguito di sentenza non definitiva sulla giu­risdizione) la fissazione di un termine solo per la proposizione di mezzi istruttori, ciò che starebbe appunto li significare che, prima della rimessione in decisione, si devono sempre maturare le preclusioni sulle deduzioni sul merito (e non quelle sulle prove).

A mio avviso, è preferibile optare per una lettura dell'art. 80 bis disp. att. c.p.c. che, in conformità alla lettera della norma ed al rispetto delle esigenze di celerità ed economia dei giudizi, consenta l'immediata rimessione in decisione già all'udienza di prima compa­rizione quando il giudice ritenga di dover chiudere immediatamente la controversia, ma solo quando ciò sia possibile rispettando integralmente i diritti di difesa delle parti (e preoccupandosi di garantire che le stesse conservino il potere di proporre eccezioni e pro­ve, nei tempi e nelle forme previste dal codice, prima della decisione di merito). Ritengo pertanto inammissibile che il giudice istruttore rinvii la causa in decisione all'udienza di prima comparizione per i motivi di cui all'art. 187, l ° comma, c.p.c., perché l'attuale nor­mativa consente alle parti di esercitare anche dopo tale udienza il diritto di proporre ecce­zioni e prove. L'organo decidente potrà invece essere investito della causa direttamente dall'udienza di prima comparizione per i motivi di cui all'art. 187,2° e 3° comma c.p.c., ma potrà decidere in via conclusiva solo se pronunci in senso ostativo; se al contrario il giudice ritenesse di poter decidere nel merito la controversia, egH dovrebbe comunque ri­mettere la causa in istruttoria anche se ritenesse il giudizio meramente documentale (no­nostante che siano state precisate le conclusioni anche nel merito dalle parti), rimettendo all'udienza di prima trattazione ex art. 183 c.p,c., e contemporaneamente assegnando al convenuto costituito un termine non inferiore a 20 giorni per la proposizione delle ecce. zioni rilevabili d'ufficio (così che le parti possano godere dei termini che l'ordinamento concede per predisporre prove e eccezioni). L'obiezione avanzata da parte della dottrina in riferimento alla presenza dell'art. 187, 4° comma (v. supra), che prevederebbe la ri­messione in termini quanto alle prove ma non anche in riferimento alle deduzioni delle parti potrebbe a mio avviso essere superata alla luce del 5° comma dello stesso art. 187 c.p.c., che consente d'ufficio al giudice di dare « ogni altra disposizione relativa al proces­so ", e mi sembra che in queste attività ben possa ricomprendersi anche il rinvio all'u­dienza di cui all'art. 183 con la concessione del termine al convenuto per la pronuncia delle eccezioni. Solo quando il rinvio immediato in decisione ex art. 80 bis disp. att. C.p.c. segua ad un accordo delle parti (ma al giudice permarrà comunque il potere di consentire

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compie, quanto piuttosto che questa decisione che si trova per la prima volta a pronunciare su una questione di indubbia importanza non tenga nella debita considerazione le precedenti sentenze difformi delle corti di merito (che non so­no espressamente richiamate) (13), e soprattutto le opinioni della dottri­na (14). In pratica la Cassazione fa proprie, anzi nella fattispecie ricalca lette­ralmente (15), le dimostrazioni di una dottrina, ma si guarda bene dal fare pa­rola, e figuriamoci se perde tempo a controbattere, delle più numerose tesi con­trarie.

Ma v'è chi in dottrina dalla lettera dell'art. 180 C.p,c., che ritiene doversi leggere come elemento che necessita del rinvio sempre e comunque all'udienza di cui all'art. 183 c,p.c., ha addirittura desunto l'impossibilità di anticipare quelle attività già all'udienza di cui all'art. 180 c.p.c. anche quando le parti fossero d'accordo nel modificare il giudizio onde procedere con maggior cele­rità! Una simile lettura dell'articolo (certo coerente con le proprie premesse

o no alla richiesta di immediata rimessione in decisione), l'organo giudicante potrà deci­dere sempre anche nel merito la causa senza dover rimettere in istruttoria, alla luce del comportamento delle parli che hanno con la loro scelta accettato questo rischio (ed in questo caso si potrà rimettere in decisione anche ex art. 187, IO comma, c.p.c.). Nell'ipo­tesi di contumacia del convenuto, la soluzione della questione in senso non ostativo non dovrebbe comportare l'assegnazione del termine di cui all'arI. 180,2° comma, c.p.c. (che l'art. 1802° comma non si applichi al contumace sarà dimostrato al par. 4), pur implican­do lo stesso la rimessione in istruttoria (dovendosi riconoscere comunque il potere del­l'attore di proporre le prove), salvo che l'immediata rimessione in decisione segua ad una richiesta in tal senso dell'attore (ed analoghe soluzioni dovranno a mio avviso accogliersi quando contumace sia l'attore); la parte contumace, a mio giudizio, non matura non solo il diritto di proporre eccezioni, ma più in generale di godere del diritto di influenzare l'an­damento del giudizio, se si eccettuano gli obblighi previsti dall'art. 292 c.p,c.

(13) V. retro alla nota 2. La proposta lettura dell'inciso « in ogni caso" nei termini di cui al testo, insieme alla considerazione della presenza dell'art. 80 disp. att. c.p.c. sono, se pur parzialmente, già presenti ad es. in Pret. Reggio Emilia ord. 21 dicembre 1995. cit. , 405.

(14) V. retro alla nota 2. Ad esempio, la lettura dell'espressione « in ogni caso" nei termini di cui al testo è parzialmente già offerta da molti autori; con particolare efficacia, Mandrioli, Ancora sul nuovo art. 180, 2° comma c.p.c., cit., p. 389 ss.; Luiso, in Conso­lo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, cit., p. 120 S8.; Id" Dirit­to processuale civile, li, cit., pp. 28-29, Tarzia, op. loc. ult. cito

(I5) La supposta ineluttabilità della lettura dell'espressione « in ogni caso» come elemento che conduce a ritenere l'obbligatorietà del rinvio alla prima udienza di trattazio­ne è, con varie sfumature, presente in tutti gli assunti dottrinari e giurisprudenziali con­trari all'accorpamento delle due udienze.

Ma v. in particolare, ad esempio, l'argomento a carattere sistematico della Corte di Cassazione offerto dall'art. 163, n. 7, c.p.c., nonché l'uso dell'art. 116,2° comma, c.p.c .. che sono testualmente desunti da Balena, Le preclusioni nel processo di primo grado, cit., c. 269 (e, del resto, v. già alla nota 8).

20. Rivista di dirillo procéssuale N. 2 - 2001

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RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE

esegetiche) opera però una sorta di « ossificazione » del processo difficilmente giustificabile, perché la prima fase processuale dovrebbe allora sempre prevede­re la fissazione delle prime due udienze senza potersi in nessun modo adeguare alle esigenze del caso concreto (16).

La Corte di Cassazione nella sentenza che si commenta, per il vero, si di­mostra assolutamente consapevole del rischio di operare una ricostruzione « ossificata » della prima fase della procedura. In questa sentenza infatti si so­stiene l'inciso « In ogni caso, fissa a data successiva ... » elemento letterale che impone il rinvio ad una successiva udienza di cui all'art. 183 c.p.c.; ma, ed al­l'interno di un percorso unitario di ricostruzione della medesima disciplina, si assume anche l'ammissibilità di accorpare le udienze di cui all'art. 180 e 183 c.p.c. con il consenso delle parti. Così, però, nella stessa decisione si sostiene che in un caso l'inciso letterale è insuperabiIe, ed in un altro no! l medesimi ele­menti letterali che per la sentenza sembravano irriducibile ostacolo all'accorpa­mento delle udienze di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c., si « squagliano}) quando invece le parti siano costituite e concordi, e dunque in questi casi l'economia processuale si palesa elemento tale da permettere e consentire una diversa rico­struzione delle disposizioni legislative; nel tentativo di salvare la ragionevolez­za della norma, la Cassazione si obbliga dunque a contorsioni inaccettabili, calpestando, e a distanza di poche righe, la stessa interpretazione letterale che aveva proposto e applicato.

4. La Corte di Cassazione tenta tuttavia di salvare l'interpretazione che propone facendo leva sulla ratio legis, che la sentenza ricava dalla riforma del 1995, e che ricostruisce come esclusivamente incentrata sulla salvaguardia dei diritti del convenuto, costituito e non.

Ma anche l'individuazione della ratio legis operata dalla Cassazione non può condividersi in toto. In primo luogo, è probabilmente errata già la scelta della Cassazione che sembra limitare la ricerca esclusivamente alla ratio della riforma del 1995; se consideriamo che la normativa in vigore è formata dalle di­sposizioni originariamente modificate con la legge del 1990, che sono state solo parzialmente modificate dalla legge del 1995 la ratio desumibile dalle attuali di­sposizioni non può allora che ricercarsi avuto anche riguardo alle ragioni di fondo della novella del 1990, naturalmente verificate e rimodulate in base alle ulteriori riforme del 1995. E già un'attenta riflessione sul complesso della rifor­ma del processo di cognizione sembra dare luogo a considerazioni affatto di­verse da quelle che la Corte di legittimità ha desunto con la decisione in com­mento.

Le disposizioni della l. 353/90 disciplinavano un processo di lO grado scandito rigidamente da preclusioni fin dalla comparsa di risposta. Si era rite­

(16) Così Montesano-Arieta, Vellani, Costantino, citati retro alla nota 2.

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nuto così di rendere più agevole e veloce lo svolgimento del processo, senza possibilità di dilazioni o di continue rimessioni in discussione di aspetti già trat­tati; anche la nuova strutturazione del rinvio in decisione, saltando l'udienza di discussione orale, sembrava voler privilegiare le esigenze di una celere defini­zione dei giudizi anche rispetto al requisito dell'oralità (17). E, del resto, anche la previsione degli artt. 186 bis e ter c.p.c., e la quasi istituzionalizzazione del tentativo di conciliazione, rispondevano al desiderio di rendere più rapida la de­finizione del processo e, più in generale, di deflazionare la durata ed il numero dei giudizi. L'esigenza di celerità del giudizio non doveva però scontrarsi con le primarie necessità di tutela del diritto di difesa; da qui la previsione dell'istituto della rimessione in termini, che appunto consente di non penalizzare la parte che dimostri di essere incorsa in decadenza senza alcuna responsabilità.

Le considerazioni ora esposte sugli obiettivi del nuovO modello processua­le necessitano di una parziale rimeditazione dopo le nuove disposizioni recate dalla L 534/1995. L'ordinanza di cui all'art. 186 quater c.p.c., fortifica anzi la tensione ad una rapida definizione delle controversie ed alla deflazione dei pro­cessi, e si pone pertanto in linea con i criteri ispiratori della L 353/90; non al­trettanto è a dirsi però per le modificazioni apportate agli artt. 167, 180, 183 c.p.c., che attenuano la rigidezza delle preclusioni iniziali. Almeno per la fase i­niziale del processo, dunque, l'esigenza di privilegiare la rapidità della trattazio­ne è stata in parte sacrificata ad altre esigenze, che taluni identificano nella vo­lontà di imprimere maggiore ordine e razionalità al procedimento (18).

Alla luce di quanto ora esposto, resta dunque impregiudicata la necessità di privilegiare interpretazioni delle disposizioni tese a favorire il razionale svol­gimento dei giudizi, e che le riforme che rallentano il processo hanno una por­tata che non può essere intesa in via estensiva. Da ciò si evince quale sia il giu­sto spirito col quale disporsi nell'interpretazione dei vigenti artt. 180 e 183 c.p.c., che certo prevedono maggior tempo per la predisposizione delle difese del convenuto, ma pur sempre nell'ambito di un procedimento che ha come scopo una risoluzione sulla richiesta dell'attore tendenzialmente rapida; ne de­riva, pertanto, che la lettura della norma non può che legare dialetticamente le contrapposte esigenze, non attribuendo alla seconda una prevalenza sulla prima se non quando strettamente necessario per il diritto di difesa della parte.

È, riterrei, dato oggettivamente sicuro che lo svolgimento che il codice au­spica, prevede la costituzione tempestiva del convenuto con comparsa di risposta

(17) Quanto al testo è naturalmente vieppiù confel1llato dalla recente introduzione dell'istituto della pronuncia con motivazione immediata di cui all'art. 281 sexies c.p.c. con il quale si tenta di comporre insieme i principi di concentrazione, immediatezza e 0­

ralità, con la celerità dei giudizi nella fase di pronuncia delle sentenze. (18) V., ad es. le considerazioni di Luiso, 11 DL. N. 238/1995 sul processo civile, in

Giur. it. 1995, IV, c. 242 ss., che ritiene apprezzabili le novità previste perché pongono

ordine nello svolgimento del processo.

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esegetiche) opera però una sorta di « ossificazione » del processo difficilmente giustificabile, perché la prima fase processuale dovrebbe allora sempre prevede­re la fissazione delle prime due udienze senza potersi in nessun modo adeguare alle esigenze del caso concreto

La Corte di Cassazione nella sentenza che si commenta, per il vero, si di­mostra assolutamente consapevole del rischio di operare una ricostruzione « ossificata » della prima fase della procedura. In questa sentenza infatti si so­stiene \'inciso « In ogni caso, fissa a data successiva ... » elemento letterale che impone il rinvio ad una successiva udienza di cui all'art 183 c.p.c.; ma, ed al­l'interno di un percorso unitario di ricostruzione della medesima disciplina, si assume anche l'ammissibilità di accorpare le udienze di cui all'art. 180 e 183 C.p.c. con il consenso delle parti. Così, però, nella stessa decisione si sostiene che in un caso l'inciso letterale è insuperabile, ed in un altro no! I medesimi ele­menti letterali che per la sentenza sembravano irriducibile ostacolo all'accorpa­mento delle udienze di cui agIi artt. 180 e 183 c.p.c., si « squagliano» quando invece le parti siano costituite e concordi, e dunque in questi casi l'economia processuale si palesa elemento tale da permettere e consentire una diversa rico­struzione delle disposizioni legislative; nel tentativo di salvare la ragionevolez­za della norma, la Cassazione si obbliga dunque a contorsioni inaccettabili, calpestando, e a distanza di poche righe, la stessa interpretazione letterale che aveva proposto e applicato.

4. - La Corte di Cassazione tenta tuttavia di salvare l'interpretazione che propone facendoleva sulla ratio legis, che la sentenza ricava dalla riforma del 1995, e che ricostruisce come esclusivamente incentrata sulla salvaguardia dei diritti del convenuto, costituito e non.

Ma anche l'individuazione della ratio legis operata dalla Cassazione non può condividersi in toto. In primo luogo, è probabilmente errata già la scelta della Cassazione che sembra limitare la ricerca esclusivamente alla ratio della riforma del 1995; se consideriamo che la normativa in vigore è formata dalle di­sposizioni originariamente modificate con la legge del 1990, che sono state solo parzialmente modificate dalla legge del 1995 la ratio desumibile dalle attuali di­sposizioni non può allora che ricercarsi avuto anche riguardo alle ragioni di fondo della novella del 1990, naturalmente verificate e rimodulate in base alle ulteriori riforme del 1995. E già un'attenta riflessione sul complesso della rifor­ma del processo di cognizione sembra dare luogo a considerazioni affatto di­verse da quelle che la Corte di legittimità ha desunto con la decisione in com­mento.

Le disposizioni della I. 353/90 disciplinavano un processo di lO grado scandito rigidamente da preclusioni fin dalla comparsa di risposta. Si era rite­

(16) Così Montesano-Arieta, Vellani, Costantino, citati retro alla nota 2.

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nuto così di rendere più agevole e veloce lo svolgimento del processo, senza possibilità di dilazioni o di continue rimessioni in discussione di aspetti già trat­tati; anche la nuova strutturazione del rinvio in decisione, saltando l'udienza di discussione orale, sembrava voler privilegiare le esigenze di una celere defini­zione dei giudizi anche rispetto al requisito dell'oralità (17). E, del resto, anche la previsione degli artt. 186 bis e ter c.p.c., e la quasi istituzionalizzazione del tentativo di conciliazione, rispondevano al desiderio di rendere più rapida la de­finizione del processo e, più in generale, di deflazionare la durata ed il numero dei giudizi. L'esigenza di celerità del giudizio non doveva però scontrarsi con le primarie necessità di tutela del diritto di difesa; da qui la previsione dell'istituto della rimessione in termini, che appunto consente di non penalizzare la parte che dimostri di essere incorsa in decadenza senza alcuna responsabilità.

Le considerazioni ora esposte sugli obiettivi del nuovo modello processua­le necessitano di una parziale rimeditazione dopo le nuove disposizioni recate dalla l. 534/1995. L'ordinanza di cui all'art. 186 quater C.p.c., fortifica anzi la tensione ad una rapida definizione delle controversie ed alla deflazione dei pro­cessi, e si pone pertanto in linea con i criteri ispiratori della l. 353/90; non al­trettanto è a dirsi però per le modificazioni apportate agli artt. 167, 180, 183 C.p.c., che attenuano la rigidezza delle precJusioni iniziali. Almeno per la fase i­niziale del processo, dunque, l'esigenza di privilegiare la rapidità della trattazio­ne è stata in parte sacrificata ad altre esigenze, che taluni identificano nella vo­lontà di imprimere maggiore ordine e razionalità al procedimento

Alla luce di quanto ora esposto, resta dunque impregiudicata la necessità di privilegiare interpretazioni delle disposizioni tese a favorire il razionale svol­gimento dei giudizi, e che le riforme che rallentano il processo hanno una por­tata che non può essere intesa in via estensiva. Da ciò si evince quale sia il giu­sto spirito col quale disporsi nell'interpretazione dei vigenti artt. 180 e 183 c.p.c., che certo prevedono maggior tempo per la predisposizione delle difese del convenuto, ma pur sempre nell'ambito di un procedimento che ha come scopo una risoluzione sulla richiesta dell'attore tendenzialmente rapida; ne de­riva, pertanto, che la lettura della norma non può che legare dialetticamente le contrapposte esigenze, non attribuendo alla seconda una prevalenza sulla prima se non quando strettamente necessario per il diritto di difesa della parte.

È, riterrei, dato oggettivamente sicuro che lo svolgimento che il codice au­spica, prevede la costituzione tempestiva del convenuto con comparsa di risposta

(17) Quanto al testo è naturalmente vieppiù confennato dalla recente introduzione dell'istituto della pronuncia con motivazione immediata di cui all'art. 281 sexies c.p.c. con il quale si tenta di comporre insieme i principi di concentrazione, immediatezza e o­ralità, con la celerità dei giudizi nella fase di pronuncia delle sentenze.

(18) V., ad es. le considerazioni di Luiso, Il DL. N. 238/1995 sul processo civile, in Giur. it. 1995, IV, c. 242 58., che ritiene apprezzabili le novità previste perché pongono

ordine nello svolgimento dci processo.

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nella quale svolgere le proprie difese prendendo posizione sui fatti della causa (e, dunque, proporre eccezioni): ed il successivo rinvio per la proposizione delle eccezioni non rileva bili d'ufficio ai sensi dell'art. 180, 2° comma c.p.c. appare dunque come un'evidente concessione per l'integrazione delle difese delle parti, e non per una prima difesa (19).

Del resto, anche un'attenta analisi dell'istituto della contumacia nel nostro ordinamento non solo non conduce ad una lettura dell'art. 180 c.p.c, come e­spressione del divieto di accorpamento (come assume la Cassazione), ma al contrario può legittimamente indurre a concludere radicalmente per l'inapplica­bilità del comma in esame al convenuto contumace. Anche ad ammettere che nel nostro ordinamento la contumacia del convenuto non comporti in sé e per sé alcuna conseguenza negativa (20), ben altro e ben diverso sarebbe arrivare a sostenere che la appunto libera scelta del convenuto di non partecipare tempe­stivamente al giudizio debba addirittura « ingessare» tutta la fase iniziale del giudizio, impedendone una più coerente conduzione! Né v'è dubbio che il con­tumace che si costituisce nel corso del processo incappa legittimamente in tutte le decadenze che si sono già venute a porre in essere. In argomento, si è ben sottolineato che « .. ,L'assegnazione di un termine al contumace, è infatti un'e­ventualità assolutamente estranea al sistema che, come è noto, per il contumace prevede solo il diritto alla notifica degli atti di cui all'art. 292, ma mai l'attribu­zione di poteri previa valutazione giudiziaria. salva solo la rimessione in termi­ni. Che, d'altra parte, il convenuto che non si è costituito neppure alla prima u­dienza debba essere dichiarato contumace sembra fuori discussione: l'art. 171,

2° e 3° comma, non lascia dubbi al riguardo ... poiché per il combinato disposto degli artt. 293 e 294 c.p.c., la costituzione del convenuto contumace successiva alla prima udienza non gli consente attività che gli sarebbero precluse, se non previa rimessione in termini, ne consegue che il convenuto che non si costitui­sce neppure alla udienza di prima comparizione non può più proporre le ecce­zioni processuali (compresa quella di incompetenza) e di merito se non previa rimessione in termini. Per fruire del termine di cui all'art. 180 2Q comma, terza

(l9) L'art. 167 c.p.c. richiede al convenuto di prendere posizione sui fatti e di pro­porre tutte le difese utili, ed è evidente che in questo obbligo, pur se non sanzionato, c'è anche quello di proporre le eccezioni; dall'art. 183,4° comma si evince un ulteriore limite alla proposizione delle eccezioni (anche a prescindere da quello espresso dall'art. 180, 2° comma), perché nella prima udienza di trattazione le parti possono solo modificare le ec­cezioni già proposte, non farle ex novo (salvo che siano conseguenza dell'attività dell'al­tra parte). Se pertanto si anticipa l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. accorpandola all'u­dienza di prima comparizione (con l'accordo delle parti, o con la contumacia del conve­nuto), già in quell'udienza sarebbe preclusa la proposizione di nuove eccezioni non rileva­bili d'ufficio.

(20) Una notazione tradizionale, probabilmente patrimonio della nostra cultura giuridica, che però non deve condurre a scambiare la neutralità verso il contumace con un del tutto ingiustificato favor per quest'ultimo.

573L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC.

proposizione, il convenuto dovrà pertanto costituirsi quanto meno alla prima u­

dienza di comparizione .. , » (21).Ennesima conferma a quanto ora assunto è data dagli inaccettabili risultati

cui condurrebbe l'interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione, che di fatto costituirebbe quasi una spinta per i convenuti ad attendere per la costituzione neanche ormai l'udienza di prima comparizione, ma addirittura il termine ultimo per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d'ufficio di cui all'art. 180 c.p.c.: con quali conseguenze su una rapida ed ordinata gestione delle dinamiche proces­suali è facile immaginare (22)! Se esiste un criterio ermeneutico generale nell'in­terpretazione di qualunque disposizione legislativa, che indirizza verso la scelta delle soluzioni ermeneutiche più favorevoli all'armonica ricostruzione dell'intero sistema di riferimento, nel rispetto del canone che privilegia le ricostruzioni della normativa più rispondenti ai criteri di logicità e razionalità dell'ordinamento, questo criterio non è stato tenuto in conto dalla Corte di Cassazione, nel momen­to in cui si ostina ad una tutela del contumace con conseguenze così negative sullo stesso svolgimento fisiologico dei comuni processi di primo grado (23).

(21) Mandrioli, Sul nuovo termine per la proposizione delle eccezioni del convenu­

to, cit .. pp. 318-320. (22) Consapevoli dei deleteri risultati sulla prassi processuale dell'interpretazione

ora criticata sono già, ad es. Balena, Ancora « interventi urgenti" sulla riforma del pro­cesso dvile, cit., c. 325, Costantino, op. dt., c. 326, che mettono in luce come il convenu­to, che non abbia interesse alla chiamata di terzi o a proporre la riconvenzionale, si costi­

tuirà solo venti giorni prima dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. (23) L'interpretazione proposta dalla Cassazione onde garantire il convenuto, dà

luogo ad una normativa vagamente schizofrenica perché di fatto incentiva la contumacia nella prima fase processuale (mentre, del resto, sarebbe stato a\1ora semplicemente suffi­ciente allungare i tennini per comparire ex art. 163 bis per meglio garantire il convenu­to): appare dunque ancora più necessario al contrario favorire un'interpretazione della di­sposizione che la interpreti come il tentativo (probabilmente non perfettamente riuscito. ma questo attiene solo ad una pur lecita critica delle scelte del legislatore) di operare co­munque una contemperazione tra le esigenze dell'attore del processo e di economia dei giudizi, garantite anche dalla pronta costituzione del convenuto, e l'esigenza di disporre di un maggior tennine da parte del convenuto, ma un maggior tennine che sembra limita­

to alla proposizione di eccezioni processuali. Nel nostro ordinamento, una simile lettura è imposta alla Corte di Cassazione non

solo dalla logica, ma anche dall'evidente necessità di rispettare nell'interpretazione della legge il disposto costituzionale con letture delle disposizioni ordinarie siccome ad esso ri­spondenti' cioè ispirate al criterio di ragionevolezza. piuttosto che il contrario (v. già re­tro in corrispondenza ed alla nota 16). Olivieri, La « ragionevole durata» del processo di cognizione (qualche considerazione sull'art. 111. 2Q comma, Cast., in Foro it. 2000, V, c. 251 5S., puntualìzza ora !'importanza della espressa costituzionalìzzazione del principio della ragionevole durata dei processi per l'interpretazione delle nonne costituzionali ed ordinarie, laddove dovrà essere preferita un'interpretazione coerente all'esigenza dì assi­

curare la ragionevole durata dei processi.

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L'interpretazione della Cassazione sull'individuazione della ratia legis alla base della nonnatìva in oggetto va radicalmente corretta; essa non deve identifi­carsi allora nella tutela del convenuto, anche se contumace, ma ben più limita­tamente nella concessione di un tempo ulteriore esclusivamente al convenuto costituito (24), Se così intesa, l'individuazione della ratia legis non è natural­mente senza conseguenze sull'interpretazione della disposizione in esame; se il rinvio all'udienza di cui all'art. 183 effettivamente è uno strumento posto a tu­tela del convenuto costituito (e non dell'ordine pubblico processuale), è natura­le che questi possa disporne, così dunque da potere anche decidere di rinunziar­vi; sicché appare lecita e conseguente una lettura della disposizione che consen­te alle parti costituite (con l'accordo cioè del convenuto costituito) di disporre liberamente del tennine e del rinvio,

5. - Alla luce di quanto esposto, ecco come ritengo sia invece disciplinata questa fase della trattazione: 1) quando le parti siano costituite, esse potranno concordemente disporre del processo, anticipando le attività della prima udien­za di trattazione all'udienza di prima comparizione (25), fino a chiedere al giu­dice di agire ai sensi dell'art. 80 bis disp. att. C.p.c. (26), un potere, peraltro, di cui il giudice usufruisce comunque d'ufficio (27). L'art. 1802" comma C.p.c. pretende una richiesta di almeno una delle partì (indifferentemente, sia dell'at-

Civinini, op. loc. ult. cit., sottolinea che la modifica dell'art. 111 Cost. impone al­l'interprete di porsi il problema del rapporto tra efficienza (riduzione dei costi) e garanzie del processo preferendo l'interpretazione che più contribuisce alla conclusione rapida del giudizio, « valutazione che nella vicenda deI termine del contumace, è rimasta del tutto assente ».

(24) Si è poi ritenuto che « se la volontà fosse stata quella di dilazionare tout court il termine per la costituzione del convenuto, è infatti sull'art. 171 c.p.c. che avrebbe do­vuto intervenirsi, e non sull'art. 180 c.p.c. Il fatto che, al contrario, la modifica abbia in­teressato quest'ultimo è a mio parere indice abbastanza eloquente nel senso che i1legisla­tore aveva in mente un convenuto costituito »; cosi Fomaciari, op. cit., p. 440.

(25) La Cassazione nella sentenza in commento, precisa che il giudice istruttore, nonostante un contrario accordo delle parti, potrebbe comunque decidere di procedere con un ulteriore udienza per meglio ponderare le questioni rilevabiIi d'ufficio. Quest'opi­nione è a mio avviso condivisibile, dato che essa trae forza non dal generico potere diret­tivo delle udienze da parte del giudice ai sensi dell'art. 175 c.p. c, ma dalla necessità di pienamente assolvere ai compiti espressamente assegnati dal legislatore al giudice istrut­tore, che egli deve curare senza che le parti possano da questo esonerarlo.

(26) Rimane però, a mio avviso, intatto il potere del giudice di non accondiscende­re alle richieste delle parti laddove ritenga la causa non ancora matura per la decisione; così, ad esempio, quando ravvisi la necessità di disporre un mezzo di prova d'ufficio.

(27) V. retro alla nota 12, anche per un esame della disciplina che comunque l'or­gano decidente sarà però tenuto ad osservare laddove investito della causa ai sensi del­l'art. 80 bis disp. att. C.p.c. in questa fase iniziale del processo.

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tore come del convenuto) per procedere al rinvio all'udienza di cui all'art, 183 c,p.c. e non provvedere invece immediatamente alla trattazione della causa (28); e tuttavia, non sembra azzardato assumere comunque di fatto come fisiologico il rinvio alla prima udienza di trattazione, ed in concreto perciò ritenerne implicita la richiesta in difetto di espressa opinione contraria. Queste considerazioni devo­no applicarsi anche quando il convenuto non compaia all'udienza di prima com­parizione; in particolare, allora, l'attore che non desideri un rinvio all'udienza di cui all'art. 183 C.p,C. otterrà l'accorpamento immediato delle due udienze (ciò che farebbe perdere il diritto del convenuto a disporre dell'ulteriore tennine di cui all'art. 1802° comma per la proposizione delle eccezioni non rilevabìli d'uffi­cio). 2) laddove invece il convenuto sia contumace sarà possibile (29) accorpare l'udienza di prima comparizione con la prima udienza di trattazione, o anche che il giudice possa disporre l'immediata rimessione in decisione ai sensi dell'art. 80 bis disp. att. C.p.c. (30); poiché l'art. 1802° comma C.p.c. non si applica al con­venuto contumace, questi non potrebbe in ogni caso beneficiare del tennine per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d'ufficio, neanche quando la causa fosse rinviata lo stesso all'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. su richiesta dell'attore.

6. - Le sentenze non svolgono solo una funzione riservata alle parti in

(28) V. retro al par. 2, per una dimostrazione della corretta esegesi del comma in esame. In buona sostanza, ritengo preferibile aderire all'opinione del professor Luisa, lad­dove ritiene che l'art. 180, comma 20

, C.p.c. deve essere interpretato nel senso di intende­re l'iniziale espressione « Se richiesto il giudice istruttore ... » come reggente anche la suc­cessiva frase, « In ogni caso, fissa ... », cosicché sarà comunque necessario che una delle parti richieda il rinvio, perché non si inizi immediatamente la trattazione. Preferisco que­sta ricostruzione a quella proposta dal professor Tarzia (v. retro alla nota 9), che ritiene che l'espressione<< In ogni caso ... » conduca ad un rinvio automatico alla prima udienza di trattazione; ritengo invece che quest'autore abbia ragione laddove radicalmente esclu­de che l'art. 180,20 comma sia applicabile al convenuto contumace.

Quali le conseguenze di questa lettura « composita »7 Ad esempio. che se le parti sono entrambe costituite, ma se una parte sia assente nell'udienza di prima comparizione, ben si potrà procedere all'immediato accorpamento delle due udienze se l'altra parte così preferisca (mentre per la tesi di Tarzia riterrei che ne conseguirebbe comunque un neces­sario rinvio); oppure che, se il convenuto è contumace, il rinvio all'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. non comporterebbe la concessione del termine al convenuto per la proposizio· ne delle eccezioni non rilevabili d'ufficio (mentre per la tesi di Luiso riterrei in quest'ipo­tesi che il termine dovrebbe essere concesso anche al convenuto contumace).

(29) Diversamente Fomaciari, op. loc. ult. cit., che ritiene addirittura che nell'ipo­tesi di contumacia le due udienze dovranno necessariamente essere accorpate.

(0) Ed, in questo caso, il giudice decidente non sarà tenuto, quando decida in sen­so non ostativo, a rinviare necessariamente la causa all'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. dando termine al convenuto per la proposizione delle eccezioni ai sensi dell'art. 180, comma 20

, c.p.c. proprio perché nel caso in specie il convenuto non ha maturato questo diritto essendo contumace; in argo V. retro alla nota 12.

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causa, ma possono anche essere oggetto di molteplici utilizzi, giuridici e non (31), ad opera di altri soggetti, anche quando, ed è appunto il caso che ci occupa, la decisione appaia fondamentalmente errata. Ai fini di queste riflessio­ni, voglio restringere l'indagine all'utilizzo della sentenza della Corte di Cassa­zione in commento da parte di altri giudici, di merito o di legittimità, che si trovassero a giudicare della medesima o di similari fattispecie (32).

In altra sede, ho tentato di dimostrare come nel nostro ordinamento debba rinvenirsi un obbligo per il giudice, di merito e non, di citare il precedente della Corte di Cassazione su fattispecie similari oltreché di motivare il distacco se ri­tenga di non seguime l'orientamento (33); ammesso che ciò sia vero, non è pe­rò immediato determinare il quid che dovrà essere estratto dalla sentenza per l'utilizzo in questione (34). Dalla sentenza in commento, per esempio, possono

(31) L'interpretazione di una sentenza, può essere, ed è, oggetto di molteplici ed e­terogenee riflessioni; si pensi, ad esempio ad analisi per valutare le conseguenze macroe­conomiche quanto alla diretta o indiretta allocazione delle risorse che le decisioni deter­minano.

(32) Del resto, è possibile un'utilizzazione giuridica di precedenti sentenze anche quando la nuova fattispecie oggetto della decisione presenti una radicale diversità sotto il profilo dei fatti rilevanti; è possibile, in queste ipotesi, ipotizzare un utilizzo semplice­mente « argomentativo» del precedente. come spunto per libere riflessioni o rielabora­zioni, come ausilio per la decisione su fattispecie appunto differenti. Wroblewsky, Prece­dent in statutory (civil) law system, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, Milano 1990, p. 750, ritiene tra le definizioni e gli usi possibili del precedente, anche quelle del « precedent largissimo sensu », nel quale il precedente è appunto utìlizzato quale sempli­ce argomento.

Di grande interesse sono poi le considerazioni del Taruffo, Precedente ed esempio nella decisione giudiziaria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1995, spec. p. 27 ss. che rinviene un utilizzo della sentenza quale « esempio », e non propriamente quale precedente, cioè quando il riferimento non sia ad un precedente che è doveroso (per Taruffo, in questi casi sarebbe obbligatoria quantomeno la citazione e la motivazione dell'eventuale distacco) prendere in considerazione, ma « un esempio" che si utilizza per chiarire, spiegare, raf­forzare ... ". Si tratta di decisioni che per Taruffo non potrebbero essere usate propria­mente come precedenti, perché la decisione insiste su una materia simile, ma su una fatti­specie diversa da quella della nuova decisione.

« L'esempio» potrebbe essere utilizzato in modo assolutamente discrezionale. e la sua funzione sarebbe prevalentemente illustrativa, nonché« blandamente giustificativa ».

(33) Per una dimostrazione dell'assunto, e per più ampie considerazioni su questa forma di utilizzo della sentenza, si rimanda a Santangeli, La sentenza civile come prece­dente giudiziale, Catania 1996, p. 25 ss. Così già, ad esempio, Picardi, Appunti sul prece­dente giudiziale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1985, pp. 206-207; Taruffo, op. ult. cit., p. 27, iv; per la citazione dei molti autori che ritengono doveroso giustificare la decisione che si discosta dal precedente.

(34) Rimane ancora da stabilire quale debba essere il grado di « similarità »con le nuove fattispecie per far scattare l'obbligo (Santangeli, op. u[t. cit., p. 99 ss.).

L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC. 577

essere estratti più principi, di maggiore o minore ampiezza; restringiamo fin da subito l'analisi ai principi ragionevolmente desumibili (35), senza eccessive (e pur sempre possibili) ulteriori specificazioni. È assunto condivisibile l'opportu­nità di restringere l'ambito dell'obbligo di citazione (e di motivazione dell'even­tuale distacco) ai principi giurisprudenziali che si occupano direttamente pro­prio del caso che hanno nel concreto da decidere. Se rimaniamo ad una prima convenzionale distinzione tra ratio ed obiter, possiamo allora estrarre alcuni principi dalla decisione in commento che sono certamente da qualificarsi come obiler, perché non attengono alla fattispecie concreta oggetto della decisione, e che pertanto non saranno oggetto di alcun obbligo di citazione (né di motiva­zione per l'eventuale distacco). Tra essi: A) non è ammesso l'accorpamento del­le due udienze se il convenuto è costituito ma assente; B) le parti entrambe co­stituite possono concordemente decidere l'accorpamento delle due udienze; C) il giudice istruttore anche in quest'ultima ipotesi potrebbe comunque procedere rinviando ad un'ulteriore udienza per la trattazione di questioni d'ufficio.

L'obbligo di citazione e motivazione del distacco invece insiste certamente sull'ipotesi in concreto oggetto della decisione, che attiene D) alla validità di u­na sentenza della Corte d'Appello emessa a seguito di una sentenza di prime cu­re in cui nella contumacia del convenuto si fossero accorpate le udienze, quan­do in secondo grado si sia consentito all'appellante di proporre le proprie ecce­zioni.

Più complesso appare invece determinare se l'obbligo in questione scatti anche per il principio di diritto sub E), per il quale appare vietato nella contu­macia del convenuto procedere all'accorpamento delle due udienze, tanto da condurre all'invalidità della decisione. Esso rappresenta il principio di diritto su cui la Cassazione assume espressamente di fondare il proprio convincimento, cosÌ modificando la motivazione della Corte d'Appello, pur lasciandone intatto il dispositivo, per eome espressamente disposto dall'art. 384 c.p.c., e va comun­que distinto dall'ipotesi (il principio sub D) cui ha dato luogo la fattispecie con­creta; non è dunque scontato che anche per esso debba imporsi l'obbligo della citazione in discorso. E tuttavia, riterremmo opportuno estendere anche ad esso l'obbligo in questione, poiché effettivamente è attraverso l'uso di tali principi,

Con riguardo alla sentenza ora in commento, ci troviamo di fronte ad una fattispe­cie su una questione processuale e questo, a mio avviso, rende più semplice la rapporta­zione dei faui di causa del precedente con le nuove fattispecie. Voglio dire che le fattispe­cie processuali sono nella pratica più facilmente « tipizzabili » rispetto a molte fattispecie sostanziali che possono avere ad oggetto infinite sfumature, sulla cui maggiore o minore importanza ai fini della similarità oppure no del precedente è facile dissentire.

(35) Dalla sentenza in commento, lo si è già notato supra alla nota 3, avrebbero potuto ricavarsi anche altri principi di diritto, che non sono però stati oggetto delle rifles­sioni di questo scritto. L'analisi che segue continuerà pertanto ad essere condotta esclusi­vamente sui principi già oggetto della nostra attenzione.

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pur sempre indirettamente (ma funzionalmente) collegati con i fatti di causa, che la Cassazione svolge la sua funzione nomofilattica, come sembra peraltro potersi dedurre in parte proprio dalla stessa previsione dell'art. 384 c.p.c. e, nel caso in specie, dal fatto che la Cassazione nella sentenza in esame espressa­mente assume il divieto dell'accorpamento nella contumacia del convenuto co­me il principio correttivo da essa reso; mi sembra pertanto opportuno preten­dere che anche questo principio sia necessariamente (non seguito, ma quanto­meno utilizzato) come termine di riferimento e confronto per le successive de­cisioni.

7. Ancor più difficile invece è determinare il grado di spinta del prece­dente giudiziale ad essere seguito. V'è chi si spinge fino a prevedere la possibili­tà di discostarsi da un precedente giudiziale solo quando vi ostino gravi ragio­ni (36); in altro scritto, tuttavia, ho già cercato di dimostrare che questa coazio­ne « aggravata» non è allo stato prospettabile nel nostro ordinamento nei con­fronti di un solo precedente giudiziale della Corte di Cassazione. Ma dare que­sto per acquisito delimita solo i confini dell'indagine (37); nella pratica, si o­scilla tra l'esigenza di tutela della stabilità e la concreta perplessità di rispettare assunti giurisprudenziali non pienamente condivisi, e al momento non esistono formule matematiche o « magiche» che ci indichino quale sia il grado di per­suasività in concreto da attribuire al precedente. E tuttavia, pur fermo restando l'impossibilità di fornire indicazioni univoche, non appare inutile interrogarsi con analiticità sul fenomeno della persuasività del precedente, così da mettere consapevolmente in luce lc ragioni che spingono a seguire una decisione prece­dente. Non può essere compito di uno scritto così limitato desumere le ragioni filosofiche e di tcoria generale che sono alla base di questo fenomeno (38);

(36) Bonsignori, Il precedente giudiziario in materia processuale, in Contratto e impresa 1987, p. 411. Bin, Funzione informatrice della Cassazione e valore del preceden. te giudiziario, in Contratto e impresa 1988, p. 550. Gorla, voce Precedente giudiziale, in Enc. giuro Treccani 1990, p. 6.

(37) Rimane, cioè, che il precedente in commento non è né vincolante né modifica­bile solo per gravi ragioni (v. tuttavia Galgano, L'efficacia vincolante del precedente di Cassazione, in Contratto e impresa 1999, p. 889 58., individuare comunque una tendenza della Cassazione verso l'instaurazione di un sistema giudiziario basato sul precedente vin­colante analogo allo stare decisis di common law); resta del tutto impregiudicata la deter­minazione del valore da assegnare al precedente giudiziale.

(38) Si rimanda a Santangeli, op. ult. cit., p. 9 58., anche per un analisi delle diverse tesi in argomento. In questa sede, si darà per presupposto che esista di fatto questa spin­ta, che sia sorretta da ragioni di fondo e non esclusivamente da cattive abitudini, e che questa spinta non è in sé negativa, e che però dalle norme del nostro ordinamento giuridi­co sia dato evincere una spinta alla conoscenza del precedente, ma non fino a spingere vieppiù o men che meno pretendere il rispetto come obbligo giuridico, per ipotesi quali la sentenza della Cassazione ora in commento.

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quello che in questa sede si ritiene invece opportuno fare è fornire utili elementi sul grado di coazione della sentenza in commento ad essere seguita; per mag­giore chiarezza espositiva limiteremo il nostro raggio d'azione all'esame del grado di persuasivìtà da attribuire ai principi più importanti (i principi sub A, B, E, così richiamati nel paragrafo precedente) espressi dalla Cassazione nella sentenza in commento.

A questo proposito (ritenuta l'impossibilità di fornire una soluzione univo­ca e predeterminata anche alla luce del frammentario quadro normativo), avevo proposto (39) di distinguere, quanto all'efficacia persuasiva del precedente, u­n'efficacia persuasiva« pura »(data dalla condivisibilità delle argomentazioni. giuridiche e non, alla base del precedente) (40) da un'efficacia persuasiva per così dire« autoritativa» (che esiste cioè per il solo fatto che quell'organo ha e­messo una determinata decisione, a tutela dell'affidamento comunque creato dalla decisione), e che solo un'analisi che prendesse in considerazione entram­bi gli elementi ora enucleati avrebbe consentito la presenza di tutti i presuppo­sti necessari ad una efficace sintesi, o quantomeno ad una scelta maturata con piena consapevolezza (41).

Nel caso di specie l'indagine sull'elemento « persuasivo puro» è stata già condotta nei par. 2-4, ed è alle conclusioni esposte in quei paragrafi che possia­mo naturalmente fare riferimento; l'indagine, del resto, è stata condotta su tutti i 5 principi enucleati nel paragrafo precedente, e si è avuto modo di dimostrare l'erroneità dei principi A) ed E) rinvenuti dalla Corte di Cassazione: in partico­lare, per questi due principi, allora, l'elemento persuasivo « puro» è a mio av­viso sotto la soglia di guardia. Possiamo concludere, allora, che il valore da dare

(39) Si rimanda al par. 1 del cap. IV del mio libro sul precedente, citato nelle note precedenti.

(40) La condivisibilità riguarda allora le soluzioni espresse dalla sentenza e non so­lo le argomentazioni; è cioè possibile rinvenire autonomamente ulteriori giustificazioni, diverse da quelle usate nella sentenza per giustificare la soluzione prescelta. È evidente, comunque che se invece ritenessimo, ai fini della dimensione persuasivo-pura, di dover e· sclusivamente aver riferimento alle argomentazioni espresse in sentenza, ulteriori argo­mentazioni rinvenute al di fuori della decisione servirebbero comunque per rafforzare il convincimento a seguire il precedente, e le utilizzeremmo allora per accrescere la dimen­sione persuasivo-autoritativa del precedente.

(41) Il valore del precedente dovrebbe darsi dalla somma algebrica tra le due di­mensioni della persuasività enucleate; il valore autoritativo va da O a positivo, mentre il valore persuasivo puro potrebbe essere tanto positivo che addirittura negativo. così anzi da fornire una spinta a non seguire il precedente. Va sottolineato tuttavia, che la distin­zione in due differenti dimensioni della persuasività ha esclusivamente lo scopo di fornire un contributo ad un'analisi più attenta, ma che da queste mie riflessioni non si evince l'in­dividuazione di alcun algoritmo (e, se si rinvenisse, sarebbe proprio il caso di chiamarla « formula magica») capace di dare una volta per tutte indicazioni definitive per la risolu­zione del problema.

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a questa componente della persuasività (per i principi sub A e sub E) sarebbe addirittura negativo, cioè sotto un ipotetico zero, e dunque l'attenta analisi del­la portata persuasivo-pura del precedente rappresenterebbe semmai una spinta appunto a non seguire il precedente, piuttosto che a seguirlo (42)!

Non è così, però, per l'elemento persuasivo-autoritativo, che abbiamo defi­nito come la spinta a seguire il precedente che esiste a prescindere dalla sua giu­stezza, ma per il solo fatto di esistere; anch'esso però non può essere calcolato una volta per tutte, perché esistono più ragioni oggettive da valutare per stabili­re il grado di efficacia del valore persuasivo-autoritativo, o, se si preferisce, per valutare se questo valore sia o meno preponderante rispetto al valore persuasi­vo-puro. Ne daremo un saggio puramente indicativo, e pur sempre riferito spe­cificamente alla sentenza della Cassazione ora in commento:

l) In primo luogo, naturalmente, la decisione va valutata in riferimento al contesto sociale, giurisprudenziale, dottrinario esistente al momento della deci­sione, ed anche con quello esistente al momento di una nuova pronuncia, nonché in riferimento alle reazioni prodotte su quei « contesti» dal precedente giudiziale.

Deve in prima battuta sottolinearsi l'elemento temporale dato ['attualità della pronuncia, che esclude che la decisione sia già superata da mutamenti normativi, dottrinali e sociali tali da farne prevedere una modifica, e questo ele­mento certo qualifica la sentenza in questione sotto il profilo persuasivo- auto­ritativo in misura maggiore di quanto sarebbe un precedente remoto, la cui at­tualità dovrebbe invece essere oggetto di attenta indagine (43); e, tuttavia, la ri­flessione ora accennata va completata con l'osservazione che la forza persuasi­vo-autoritativa del precedente si accresce esponenzialmente alla luce dell'appro­vazione, o meglio ancora dell'accettazione (foss'anche critica) del precedente giudiziale da parte del contesto sociale, dottrinale e soprattutto giurispruden­ziale (44). La sentenza in commento è la prima pronuncia della Cassazione ad

(42) Viceversa, va apprezzata sotto il profilo persuasivo-puro la posizione del prin­cipio sub B da parte della Corte di Cassazione.

(43) Addirittura Gorla, Brevi temporis praescriptio neglectio della giurisprudenza in Italia. Comparazione con la Francia?, in Quaderni del Foro il., c. 277 85., nota come, salvo eccezioni, dopo il decorso di circa un trentennio la sentenza per la stra grande mag­gioranza degli operatori del diritto (autori di dottrina, avvocati, giudici) non rappresenta più un precedente; Taruffo, op. ult. cii., p. 26, ricorda invece come al giurista inglese ac­cada di dover citare precedenti molto" vecchi» (sul problema delI'obsolete precedent e della sua disapplicazione v. Cross and Harris, Precedent in English law, Oxford 1991, p. 12; MacCormick, LegaI Reasoning and Legal Theory, Oxford 1978, p. 137). Ritengo pe­rò che assai più importante del mero trascorrere del tempo sia l'analisi del contesto in cui quella particolare decisione viene resa (l'esempio più semplice è dato dal contesto norma­tivo), perché la modificazione di quei contesti potrebbe comportare una svalutazione del­l'importanza persuasiva del precedente. Si rimanda a Santangeli, op. ult. cit., p. 15455.

(44) L'attenzione alle reazioni al comune agire in ambito giuridico, non è, come talvolta sembra, opera della ermeneutica giuridica, ma è patrimonio comune ad una pre­

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L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC. 581

occuparsi ex professo dei rapporti tra l'udienza di prima comparizione e la pri­ma udienza di trattazione nel processo ordinario (45); ci troviamo dunque in presenza di un precedente ancora isolato., che non può naturalmente vantare la stessa forza persuasivo-autoritativa che deve invece ascriversi ad un precedente giurisprudenziale della Corte di Cassazione che sia stato già confermato da suc­cessive pronunce (46). Nel caso in specie, vi è però ancora da sottolineare che la decisione resa si pone in consapevole contrasto con gli assunti (non certo pa­cifici ma effettivamente) maggioritari della dottrina, e pertanto non sembra in­verosimile già prospettare vivaci e non positive reazioni alla pronuncia in com­mento, ed anche questo non rafforza l'efficacia persuasiva del precedente nella sua dimensione persuasivo-autoritativa.

Manca, poi, nella decisione indicata la confutazione delle tesi contrarie che si sono avute dalla dottrina maggioritaria, né si riportano le tesi e le opinioni espresse nella giurisprudenza di merito, mancanza non di poco conto se si con­sidera che il caso in specie attiene ad un profilo processuale che si sviluppa da­vanti ai giudizi di merito, che ne hanno più diretta cognizione e che devono mariamente pensare a risolverlo. Ora, anche se naturalmente la cassazione non è tenuta a motivare il dissenso dall'opinione della dottrina e della giurispruden­za di merito (47), mi sembra che la mancanza di un'analisi delle argomentazio­ni contrarie rappresenti un grave limite in una sentenza che ambisce a ricostrui­re addirittura una fase del processo di merito. È, questa sentenza, una pronun­cia che ad un profano della materia sembrerebbe scritta su una fattispecie in cui siano quasi del tutto assenti anteriori contributi in senso contrario di dot­trina e giurisprudenza; la sentenza della Cassazione, cioè, svolge i suoi distinti argomenti come se fosse la prima volta in cui il problema si pone, ma se ciò è vero davanti alla Cassazione, così non è certo per dottrina e giurisprudenza; ed allora, piuttosto che procedere con una iterazione di diverse giustificazioni che sembrano quasi voler prendere per « stanchezza» chi volesse successiva­mente discostarsi, ben più opportuno sarebbe stato svolgere le proprie tesi te­nendo conto e replicando agli argomenti contrari a queste argomentazioni già

cedente vasta messe di contributi. Per un'ampia analisi in argomento, si rimanda a San­tangeli. L'interpretazione della sentenza civile, Milano 1996, p, 74ss.

(45) Quanto al giudizio avanti al giudice di pace, v. retro alla nota I. (46) Bin, op. cit., p. 552 ed in Delle fonti del diritto, Disposizioni sulla legge in ge­

nerale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca. Bologna-Roma 1977, p. 534 ss. Svaluta del tutto l'importanza di un precedente isolato nell'ordinamento continentale Taruffo, op. ult. cit., p. 20 S5. Gorla, Postille su« l'uniforme interpretazione della legge e i tribunali Supremi », in Foro it. 1976. V, par. 2.

(47) L'obbligo in questione, come si è ricordato al paragrafo precedente, è circo­scritto appunto ai precedenti giudiziali della Corte di Cassazione; tuttavia, se le tesi dot­trinarie sono state utilizzate dalla difesa della parte, anche in questo caso la Cassazione sarebbe a mio avviso tenuta a rispondeme analiticamente. nel rispondere ai motivi del ri­corso o del controricorso.

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582 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE

espresse, oltre naturalmente ad analizzare anche le differenti ricostruzioni già prospettate (48). Ai fini della forza persuasivo-autoritativa della decisione, è e­vidente allora come questo modo di procedere rappresenti un ulteriore handi­cap, perché la decisione lascia impregiudicate tutte le ragioni di dissenso e di diversa interpretazione, sicché può fondatamente vieppiù sostenersi che la sen­tenza in commento non modificherà le contrarie opinioni, e dovrà quindi inse­rirsi in un clima di ostilità della maggioritaria dottrina in materia.

2) Già nel paragrafo precedente si è avuto modo di indicare come dalla sentenza che ora si commenta siano desumibili quantomeno 5 differenti princi­pi, e si è anche dimostrato come solo per i principi sub D ed E dovesse scattare l'obbligo dell'obbligatoria citazione (e della motivazione dell'eventuale distac­co); ora può aggiungersi che anche per l'aspetto persuasivo autoritativo del precedente è essenziale distinguere i diversi principi anche a seconda della maggiore o minore vicinanza con la fattispecie concreta oggetto della decisione. Restringendo l'analisi ai principi sub A e B ed E, possiamo notare che i primi due sono da ascriversi alla categoria degli obiter, perché trattano di due ipotesi, il convenuto assente e parti entrambe costituite in giudizio, che non rispondono alla fattispecie oggetto della decisione, che ha ad oggetto un processo con la contumacia del convenuto in 10 grado; i principi in esame possiedono quindi un valore persuasivo-autoritativo assai basso (49), anche se nel caso in specie essi sono resi dalla Cassazione dopo attenta motivazione (50).

Il discorso invece è assai diverso e si fa più complesso se passiamo a tratta­re del principio sub E, la cui importanza sotto il profilo persuasivo-autoritativo va però a mio avviso ridimensionata.

Si è già avuto modo di osservare, infatti, come in realtà il principio in esa­me rappresenti l'espressione certo di una regola generale da parte della Corte di Cassazione, cui però non segue una pronuncia semplicemente applicativa della

(48) Anzi, l'esame della dottrina sembra essere ancor più opportuno proprio quan­do la Cassazione decide per la prima volta su una questione, e non ha precedenti decisioni (ed anche critiche su quelle decisioni della dottrina e dell'avvocatura) su cui riflettere.

(49) La determinazione della portata persuasiva dei cosidetti obiler è questione tra le più sviscerate, e con conclusioni non univoche; si va da chi tributa la stessa efficacia al­le categoria della ralio e degli obiler, a chi all'opposto ritiene privo di alcun valore ogni

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enunciazione diversa dalla ratio, a chi sostiene che nel nostro sistema fra ratio e obiler vi sarebbe comunque un diverso grado di persuasività, perché la ratio riprende il pensiero dell'intero collegio mentre l'obiter potrebbe anche non possedere tale requisito, e perché la ratio decidendi. proprio perché risolutiva della lite. deve presumersi presa con maggior ponderazione e responsabilità; per un quadro esaustivo delle diverse teorie, si rimanda a Santangeli, La sentenza civile come precedente giudiziale, cit., p. 110 ss.

(50) Non siamo, cioè in presenza di affermazioni non essenziali rese en passant nella sentenza; naturalmente, rimane controverso se questo serva a dotare di maggior for­za un obiler. o se questo sia comunque del tutto inutile; per un esame delle diverse tesi, si rimanda al richiamo già proposto nella nota precedente. \

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L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC. 583

stesso. ma anzi ed al contrario una decisione (il principio sub D) che in un certo senso fa eccezione, o comunque quantomeno delimita e circoscrive la portata del principio generale. e che soprattutto dà un esito esattamente opposto in con­creto al principio sub E. Di fatto. allora, la Cassazione in realtà ha in concreto salvato la pronuncia impugnata; nel caso di specie (si afferma soltanto ma) non si applica la sanzione della nullità ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., e non sembra dunque azzardato sottolineare come solo una sentenza che disponesse anche in concreto la nullità del processo avrebbe condotto il collegio a valutare piena­mente la portata potenzialmente dirompente del principio sub E, che in fin dei conti qui sembra più un monito reso nella sede motiva e privo di effettive conse­guenze pratiche nel caso effettivamente deciso, un principio che si staglia solo sullo sfondo del caso concreto, ragionevolmente deciso invece proprio in senso opposto. Certo, qui non si vuole assimilare tout court la pronuncia del principio sub D ad un obiter, ad un autonomo svolazzo dell'estensore, né ci si vuole spin­gere a mettere in dubbio che la motivazione, seppur sottoscritta dal solo presi­dente e dall'estensore sia riferibile a tutto il collegio (51); e tuttavia, se anche la motivazione è formalmente riferibile all'intero collegio (sicché, ad esempio. questa può contenere autonomi momenti precettivi), sarebbe di fatto ipocrita negare in essa il ruolo predominante svolto dal solo estensore.

In ogni caso, non si può non mettere in luce che in concreto il collegio ha salvato la sentenza viziata, e come la portata autoritativa del principio sub E non sia assimilabile al principio realmente aderente ai fatti della causa (il principio sub D), anche senza per questo dover giunger fino a ritenere il giudice estensore « col­pevole » di aver trasformato un semplice salvataggio della sentenza della Corte d'Appello (che avrebbe anche potuto essere realizzato condividendo la possibilità di accorpare, oppure che l'accorpamento è una irregolarità che però non da luogo a nullità) in una decisione con più ampie considerazioni di carattere generale.

8. - Sempre ai fini dell'analisi del profilo persuasivo-autoritativo della de­cisione della Cassazione in commento, ritengo utile esaminare alcuni aspetti ul­teriori che si qualificano particolarmente proprio alla luce della materia « pro­cessuale » delle questioni decise dalla sentenza in commento.

3) Si è già a grandi lince richiamata l'utilità del precedente giudiziale come strumento per eliminare o quantomeno minimizzare l'incertezza sulla retta in­terpretazione delle norme, e va riconosciuto allora illegittimo affidamento che le pronunce, in specie della Corte di Cassazione, creano nei consociati, che so­no portati a ritenere che le regole affermate saranno tenute ferme, e che sulle stesse regolano talora i propri comportamenti (52).

(51) Santangeli, L'interpretazione della sentenza civile, cit., p. 12888. Se ne desu­me, ad esempio. che anche nella motivazione possono essere rinvenuti autonomi momen­ti precettivi.

(52) Proprio per rispettare questo bisogno l'ordinamento nordamericano (ed anche

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584

l RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE

La prevedibilità, peraltro, non assume il medesimo valore per tutti i campi del diritto. In campo civile (53), particolare importanza a questo valore va data anche in materie lato sensu contrattuali o pattizie, perché anche gli accordi pre­si possono basarsi su un orientamento giudiziario, e pertanto un cambiamento giurisprudenziale potrebbe mettere in dubbio o rendere illecite soluzioni che e­rano state rese proprio affidandosi alle soluzioni precedentemente recepite dalla giurisprudenza. Quanto invece alle azioni per lesioni personali, o per alcune fa­si della responsabilità extracontrattuale, sembra meno preoccupante che l'op­portunità di eventuali mutamenti giurisprudenziali possa essere contestata sotto il profilo dell'affidamento di un soggetto su precedenti decisioni giudizia­rie (54). In altri campi del diritto, e penso ad esempio oggi ad alcuni settori particolarmente « nervosi» del diritto commerciale e del diritto di famiglia, ri­terrei comunque non doversi attribuire un grande valore all'affidamento creato­si su un precedente, non perché nel caso in specie tutelare l'affidamento non si rivelerebbe particolarmente utile per un corretto svolgimento delle relazioni dei consociati, quanto piuttosto alla luce della necessità di privilegiare il pronto ade­guamento delle pronunce giudiziali alle mutevoli esigenze, allo stato in costante evoluzione, del tessuto economico e sociale, così da concorrere a garantire il ra­pido sviluppo del diritto. La distinzione della tutela dell'affidamento nelle diver­se branche del diritto, peraltro, è fenomeno riconosciuto nei paesi di cd. com­mon law; ad esempio, proprio la fondamentale pronuncia che ha ammesso il di­ritto della House oJ Lords a non essere vincolata in modo assoluto ai propri pre­

il tribunale della Comunità Europea sembra volersi dotare di un simile potere) ha costrui­to l'istituto del c.d. prospective overruling, nel quale il giudice asserisce la necessità di modificare l'orientamento espresso in precedenti decisioni, e pertanto detta le per le decisioni successive, ma decide secondo la precedente giurisprudenza nel caso che ha in esame, allo scopo di non deludere l'affidamento che le parti avessero fatto sulla prece­dente giurisprudenza. In riferimento al diritto Americano, v. la sintesi di Mattei, Common lali', Torino 1992, p. 230. Gorla, I Tribunali Supremi negli Stati Italiani tra i secoli XVI e XIX quali fattori dell'unificazione del diritto nello Stato e della sua uniformazione tra Stati, in Relazione al III Congresso Internazionale di Storia del Diritto. I, Firenze 1977, al par. 6 sottolinea che il prospective overruling, naturalmente sotto altro nome, già esi­steva presso le Rote del XVI-XVIII secolo. •

(53) Quanto al diritto penale, anche alla luce della sentenza della Corte Cost. 364/88 interpretativa dell'art. 5 c.p. che ha delimitato l'ambito della non colpevolezza per ignoranza della legge penale, potrebbe prospettarsi addirittura !'impossibilità di con­dannare nell'ipotesi in cui l'incertezza giurisprudenziale incida realmente tanto da far ap­parire incerta la caratterizzazione penale di un certo comportamento; la questione, natu­ralmente, merita tali approfondimenti da non poter essere affrontata in questa sede.

(54) V. Bin, in Prefazione ad appunti sul diritto giudiziario di Walter Bigiavi, Pa­dova 1989, p. 18 inserire anche la responsabilità civile e la relativa assicurazione nelle materie per le quali tutelare particolanncnte l'affidamento sulla soluzione accreditata dal diritto « applicato ». J.

,.. 585L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC.

cedenti, espressamente affermava che la Corte avrebbe tuttavia tenuto nondime­no ben a mente il pericolo di turbare retroattivamente le basi su cui sono stati intrapresi « contracts, settlements oJ property and fiscal arrangements » (55).

L'opportunità di una particolare attenzione all'affidamento sorto sulla ba­se di un precedente giudiziale è stata in quegli ordinamenti talora affermata an­che per le ru/es oJ procedure, perché « quando sono conosciute ed uniformi è facile conformarvisi, e difficilmente possono risultare produttive di danno per i diritti individuali anche se fondate su concetti giuridici sbagliati o su erronee interpretazioni di statutes » (56). Un'opinione autorevolmente condivisa anche nel nostro ordinamento, laddove espressamente si argomenta, quanto alle que­stioni processuali, la prevalenza dell'esigenza della stabilità sulla bontà della so­luzione (57); anche la Cassazione, del resto, ha fatto talora ricorso in materia processuale al criterio di unicità di indirizzo per escludere l'eventualità della re­visione di un precedente orientamento (58). Ma, tuttavia, la legittimità di una più forte tutela dell'affidamento allorché ci si trovi in presenza di una pronun­cia su questioni processuali è stata negata sia in civil che in common law; e, curiosamente, le ragioni di critica sono assai simili, pur nella assoluta distanza delle dinamiche evolutive dei differenti ordinamenti. Esse si fondano sul disve­lamento di quella che questi autori ritengono essere la ragione reale del più for­te rispetto del precedente giudiziale su questioni processuali, che si baserebbe esclusivamente su un pigro conformarsi ad un opinione tradizionale che oggi

(55) Praclice stalement (1966) l W.L.R, 1234: « ... Their Lordships nevertheless recognize lhat too rigid adherence lo precedent may lead lo injustice in a particular case and also unduly restrict the future development of the law. They propose therefore lo mo­dify the present practise and, while treating fonner decisions of this House as normaly, to depart from a previous decision when il appears right lo do so. In this connection they will bear in mind the danger of disturbing rctrospectively thc basis on which contracts, settlements of property and fiscal arrengements have been entercd into and also the espe­

cial need for certainty as to thr criminallaw ...... ". (56) Così H.C. Black, l.aw of fudicìal Precedent, 1912, p. 194. (57) Così ad es. Denti, A proposito di Corte di cassazione e di nomofilachia, in Fo­

ro it. 1986, V, c. 417 88.; Civinini, Dichiarazione giudiziale di genitura naturale e rito ap­innanzi al tribunale per i minorenni, in Foro il. 1996, I, c. 3077 .

(58) Così, ad es. Casso 4 luglio 1979 n. 3784, in Giust. civ. 1979, I, p. 208458.: « ... La constatazione che, nonostante la delicatezza della materia e la non assoluta limpi­dezza dei dati nonnativi, \'indirizzo di questa Corte regolatrice risulta univoco (sia pure ... attraverso una forzatura dell'elemento letterale delle disposizionì...) ... appare decisiva al Collegio per escludere che possa essere presa in esame l'eventualità della revisione di un indirizzo giurisprudenziale che può dirsi onnai consolidato, essendo l'interesse della cer· tezza giuridica, specialmente in materia processuale ed in tema di competenza in lare. così preminente e detenninante da potere essere saerificato solo ove si dimostri non già l'astratta possibilità di altra soluzione. ma la gravità delrlì effetti che la nerdurante a· desione al precedente orientamento comporterebbe ... ».

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586 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE

avrebbe però perso ogni giustificazione. Nel diritto di common law il rispetto « rafforzato» del precedente processuale riposerebbe infatti sul ruolo che i pre­cedents anticamente assumevano nelle questioni di procedura, « un modello di tipo quasi formulare, che veniva offerto come esempio di un modo corretto di adire la corte in determinati casi. Su questi contenuti dei Books of Precedents, un genere letterario tosto fiorito, la pratica forense basava la maggior parte del proprio lavoro quotidiano, e non poteva certo tollerare mutamenti formali» (59); nel diritto italiano, la tendenza a considerarsi maggiormente le­gati al proprio precedente in campo processuale è stata rinvenuta nella remini­scenza di un orientamento della dottrina dei secoli XVI e XVII, la cui esistenza è peraltro addirittura contestata anche per quegli stessi periodi storici (60).

Riterrei. tuttavia, esagerata l'assoluta equiparazione delle questioni proces­suali alle questioni sostanziali (61). In effetti, nel processo civile quel che più conta è giungere all'esame del merito senza aver pregiudicato i diritti di difesa delle parti: gli avvocati hanno in primo luogo bisogno di regole chiare, perché su questa base ben possono articolare comunque in modo efficace (se anche in ipo­tesi non nel modo migliore) le proprie difese, così come il giudice può articolare lo svolgimento processuale senza rischiare di incorrere in nullità che anch' esse in ultima istanza graverebbero sulle parti che hanno chiesto di essere tutelate dal­l'ordinamento processuale. E tuttavia, questa valorizzazione del ruolo della com­ponente persuasivo-autoritativa del precedente processuale ha valore solo par­ziale, almeno quando ad essa si contrappongono i diritti delle parti ad un pieno svolgimento delle proprie difese (se in ipotesi compresse dalle scelte operate nei precedenti giudiziali), nonché talora lo stesso interesse pubblico ad un più veloce ed efficace svolgimento del processo, che si palesano ragioni assai efficaci di spinta alla modifica di precedenti determinazioni in favore di più giuste e funzio­nali soluzioni. Rimane, in definitiva, un indubbio e particolare interesse alla tu­tela dell'affidamento proprio per le questioni processuali, il cui valore però non andrà vieppiù enfatizzato quando ad esso si contrapponga l'esigenza di ottenere nuove soluzioni più efficaci e rispettose dei diritti delle partì coinvolte e dello stesso interesse pubblico ad un più razionale svolgimento della procedura (ed è questo, incidentalmente, proprio il caso oggetto della sentenza commentata).

Esiste poi un'ulteriore ragione che contribuisce vieppiù a relativizzare la stessa possibilità di attribuire forte valore all'affidamento determinato su un precedente in materia processuale, che è dato dalla stessa struttura della Corte .. di Cassazione. Non si vuole in questa sede prendere in considerazione l'eccessi­vo numero di sentenze, la facilità dei contrasti di giurisprudenza ed altre genera­li manchevolezze della Suprema Corte che rendono difficile lo svolgimento della

(59) Mattei, op. cit., p. 234. (60) In argomento v. Bonsignori, op. cit., pp. 414-415, ed ivi anche ulteriori cita­

zioni. (61) Così invece Bonsignori, op. loc. ult. cito

, 587L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ECC.

funzione nomofilattica (62), ma limitarsi ad una notazione che attiene specifica­tamente alle decisioni in materia processuale, anzi nel caso in specie ad una que­stione processuale che attiene al processo ordinario di merito (63); le questioni processuali, infatti, a differenza di tutte le questioni sostanziali (questioni in ma­teria di successione, diritti reali, contatti e obbligazioni, lavoro, tributarie, com­merciali) non sono tendenzialmente proprie di una sezione soltanto della Supre­ma Corte (64), ma si appoggiano quasi indifferentemente alle varie sezioni, a se­conda dell'oggetto sostanziale della controversia. Ne deriva che non c'è una se­zione con competenza tendenzialmente esclusiva a « dare la rotta» dell'atteg­giamento giurisprudenziale sulla materia, e che pertanto è ben ipotizzabile che la decisione di una sezione, che solo per motivi di precedenza meramente tem­porale si sia trovata ad occuparsi di una vicenda processuale, potrebbe non fon­dare uno stimolo particolarmente elevato per le sezioni successive che dovessero trovarsi a giudicare successivamente di un'analoga fattispecie; ed è scontato, poi, che questa « potenziale fragilità}) del precedente giudiziale in materia pro­cessuale non potrà non ripercuotersi in incertezza applicativa (almeno) anche per i più avveduti difensori delle parti e già per le stesse Corti di Merito.

9. - Quali dunque le conclusioni sul grado di coazione per i giudici e più in generale per i consociati a conformarsi ai principi sub A, B, ed E della decisione

della Cassazione in commento? La soluzione va distinta a seconda dei principi; quanto ai principi sub A e

sub B ci troviamo in presenza di veri e propri obi/er di un precedente ancora i­solato, che in sé e per sé non possono rivestire un forte valore autoritativo (65) e la cui efficacia si fonderà pertanto quasi esclusivamente sul valore persuasivo « puro» degli stessi, inesistente quanto al principio sub A, a nostro avviso frutto di un'interpretazione errata della Corte di Cassazione, rilevante solo per il prin­cipio sub B, anche se gli argomenti alla base della decisione sul principio in que­

(62) Si rimanda a Santangeli, La sentenza civile come precedente giudiziale, cit., p.

49 ss. (63) Pizzorusso, Delle fonti del diritto, Comm. Scialoja-Branca, 1977, p. 537, av­

verte di come, a suo giudizio, « tra i precedenti provenienti da giudici operanti in ultima o unica istanza, l'intensità dell'efficacia di precedente è maggiore quando si tratta di inter­pretare norme che altri giudici non abbiano praticamente occasione di interpretare (come spesso è il caso delle norme processuali ... ) ». Considerazione, riterrei, che accrescerebbe semmai l'efficacia persuasiva della pronuncia della Corte di legittimità esclusivamente quando disponga del « propriO)} processo, non anche di quello avanti ai giudici di meri­to, come nel caso di specie, laddove anzi sono proprio questi giudici i diretti destinatari

delle norme ed i primi onerati ad interpretarle. (64) Nel settore civile, sembra anzi trovare spazio l'esigenza della specializzazione

delle sezioni della Corte di Cassazione, come dimostra la recente istituzione della sezione

tributaria. (65) Sulla portata persuasivo degli obiter, v. i richiami retro alla nota 49.

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588 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE

stione non sono del tutto corretti (66), e andranno sostituiti con argomentazio­ni di taglio differente che condurranno comunque al medesimo risultato (67).

L'individuazione della portata persuasiva del principio sub E necessita in­vece di una riflessione più ampia. In primo luogo va rammentata la portata della componente persuasivo-pura del principio in questione; nel caso in specie, allo­ra, il valore persuasivo puro è addirittura al di sotto di un ipotetico zero, e dun­que negativo, nel caso in specie. fortemente negativo (68), tanto da rappre­sentare semmai un deciso stimolo al cambiamento del principio espresso. Né, a mio avviso, la dimensione persuasivo-autoritativa consente di ribaltare queste conclusioni; in estrema sintesi, ci troviamo di fronte all'espressione di un princi­pio di diritto, pur se in materia processuale, emesso ai sensi dell'art. 384 c.p.c. come correzione della motivazione e non del dispositivo di una precedente sen­tenza e soprattutto che non si riferisce, se non mediatamente (ed ancora con conclusioni di fatto opposte a quelle assunte nella fattispecie in concreto decisa) ai fatti oggetto della causa; un principio, ancora, espresso esclusivamente da un solo precedente ed emesso da una sezione non « specializzata» alla risoluzione di quella controversia, che si pone per sovrammercato anche in contrasto con l'opinione maggioritaria della dottrina, senza contestarne gli assunti.

Allo stato dell'arte, allora, non sembra pertanto un esercizio velletario pro­porre e sperare in un immediato e rapido « mutamento di rotta» nella giuri­sprudenza della Suprema Corte, e che le prossime sentenze di merito o di legit­timità sul punto si discostino dal principio espresso motivando le ragioni della necessità del distacco (69); in altri termini, siamo ancora in tempo ad esercitare la nostra attività di critica e di proposta senza per questo avvertire la sensazione di fare della scienza a vuoto rifiutando di prendere atto di una situazione ormai consolidata (70).

FABIO SANTANGELI

Professore associato nell'Università di Catania

(66) Sulla legittima dell'uso di ulteriori ragioni, oltre a quelle espresse dalla senten­za, per supportate la validità della decisione. e di come anche queste influiscano sul di persuasività del precedente, v. retro alla nota 40.

(67) V. retro ai par. 4 e 5 di queste riflessioni. (68) Le critiche al principio sub E, ed alle argomentazioni poste a supporto dalla

giurisprudenza, sono state già rassegnate retro, ai par. 2-4. (69) Sull'obbligo di citare e motivare il distacco dal principio sub E, v. retro al par.

7. (70) Grasso. Intervento al convegno l poteri del giudice civile di fronte alla legge,

in Quaderni dell'associazione fra gli studiosi del processo civile, Rimini 1985, p. 190 mette in i proccssualisti dal rischio di dimenticare che il proeesso è quello che vi­ve nelle aule giudiziarie, e che non ci si può limitare a menzionarlo come se fosse una semplice disapplicazione della norma codificata.

~.

NOTIZIE E POSTILLE

Un Convegno a Kiel sul processo civile ed economico

nella Comunità degli Stati Indipendenti

Nelle giornate 15-20 ottobre 2000 si è svolto a Kiel un Convegno di studio intitolato « Reform des Zivil- und Wirtschaftsverfahrens in den Mitgliedstaaten der Gemeinschaft der Unabhiingigen Staaten » (in sigla GUS). 11 convegno è stato promosso dali' Institut fiir Osteuroparecht dell'Università Christian-AI­brecht, diretto dal prof. Alexander Trunk. All'organizzazione del convegno hanno partecipato: l'Interparlamentare Assemblea della Comunità degli Stati

a Sankt Petersburg, la Wissenschaftliche Vereinigungfiir In­ternationales Verfahrensrecht, la Landeszentrale fiir Politische Bildung Schle­swig-Holstein e la Hermann Ehlers Akademie a Kiel.

La situazione della procedura nelle cause civili ed economiche nella CSI non si presenta uniformemente. In alcuni stati membri (Armenia, Bielorussia, Georgia, Kazakhstan, Uzbekistan) vennero emanati negli anni 1997-1999 nuo­vi codici di procedura civile, negli altri invece restano in vigore i codici prove­nienti dall'epoca sovietica sebbene notevolmente modificati. In alcuni stati ven­nero inoltre approvati codici separati di procedura nelle cause economiche, co­sa che si alla competenza, per tali cause, di organi speciali, vale a dire di tribunali arbitrali. Tali tribunali costituiscono in un certo senso gli equivalenti dell'arbitrato di Stato esistente nell'epoca sovietica, che non può essere confuso con l'arbitrato quale giudizio privato. Allo scopo di effettuare una profonda ri­forma processualcivilistica in tutta la regione venne costituito nella CSI un ap­posito gruppo di lavoro, incaricato di preparare un progetto di codice modello

• di procedura civile ed economica. L'intento del Convegno, di cui si dà qui noti­zia, è stato quello di uno scambio delle reciproche esperienze legislative e di u­na meditazione sui principi generali del sopramenzionato progetto.

Dopo l'apertura del Convegno e l'introduzione al tema effettuata dal prof. A. Trunk ed i saluti della Justizministerin des Landes Schleswig-Holstein la si­gnora Anna Liitkes, del Prorettore dell'Università di Kiel Prof. Jiirgen Biihr e del preside della Facoltà di giurisprudenza di quella Università Prof. Jom Ec­kart, i lavori sono stati iniziati con tre relazioni generali: del prof. A.P. Verschi­nin (Università Statale di St. Petersburg) « La problematica e le tendenze della