azione e giurisprudenza comunitaria in … · universita’ degli studi di torino facolta’ di...
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINOFACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE INTERNAZIONALI EDIPLOMATICHE
TESI DI LAUREA
AZIONE E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA INMATERIA DI TUTELA
DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
RELATORE: PROF. GIUSEPPE PORRO
CANDIDATA: GIULIA MANASSERO
ANNO ACCADEMICO 2002/2003
INDICE
INTRODUZIONE 6
CAPITOLO PRIMO
LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE
DELE MERCI IN EUROPA
1.1 LE COMPETENZE COMUNITARIE
1.1.1 Il principio di sussidiarietà
1.2 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
1.2.1 Natura ed applicazioni della proprietà intellettuale
1.2.2 Ruolo ed obiettivi della proprietà intellettuale
1.2.3 L’origine della proprietà intellettuale in Europa
1.2.4 La Corte di Giustizia ed il ruolo della giurisprudenza in Europa
1.3 IL DIRITTO COMUNITARIO E LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
1.3.1 Il diritto derivato e la proprietà intellettuale
1.3.2 La partecipazione comunitaria alle iniziative internazionali in materia
di proprietà intellettuale
1.4 LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E LA PROPRIETÀ
INTELLETTUALE
1.4.1 La libera circolazione delle merci negli articoli del Trattato
1.4.2 La natura territoriale dei diritti di proprietà intellettuale
1.4.3 Un modus vivendi tra libertà di circolazione delle merci e proprietà
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intellettuale
1.4.4 L’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale
1.4.5 La distinzione tra esistenza ed esercizio del diritto
1.4.6 Il principio dell’esaurimento comunitario
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CAPITOLO SECONDO
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA
GIURISPRUDENZA
2.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GIURISPRUDENZA
2.1.1 Rinvii pregiudiziali e tutela della proprietà intellettuale
2.1.2 Vari percorsi per un’analisi giurisprudenziale
2.1.3 L’evoluzione della giurisprudenza in tre fasi
2.1.4 La giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di tutela della
proprietà intellettuale
2.2 LA PRIMA FASE GIURISPRUDENZIALE
2.2.1 Diritto dei marchi e riconfezionamento dei prodotti
2.2.2 Marchi identici con origine comune
2.2.3 Il caso Hag I
2.2.4 Le critiche alla sentenza Hag I
2.3 LA SECONDA FASE GIURISPRUDENZIALE
2.3.1 Le conclusioni dell’Avvocato Generale nel caso Hag II
2.3.2 Il tentativo di giustificare la dottrina dell’origine comune nella causa
Terrapin/Terranova
2.3.3 Il caso Hag II
2.4 LA TERZA FASE GIURISPRUDENZIALE
2.5 L’EVOLVERSI DELLA GIURISPRUDENZA IN MATERIA BREVETTUALE
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2.5.1 Il caso Centrafarm c. Sterling Drug
2.5.2 Il caso Pharmon c. Hoechst
2.5.3 Il caso Merck c.Stephar
2.6 L’EVOLVERSI DEL DIRITTO D’AUTORE
2.6.1 La sentenza Membran c.GEMA
2.6.2 Il caso Ciné Vog c. Coditel
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CAPITOLO TERZO
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
3.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI MARCHI
3.1.1 Il marchio: la sua natura ed il suo valore
3.1.2 La funzione distintiva del marchio
3.1.3 Requisiti di validità del marchio
3.1.4 Evoluzione storica del marchio
3.2 LA PROTEZIONE DEL MARCHIO A LIVELLO INTERNAZIONALE
3.2.1 La Convenzione di Unione di Parigi
3.2.2 L’Arrangement di Madrid
3.2.3 Il Protocollo di Madrid
3.2.4 La scelta tra Accordo e Protocollo
3.2.5 La Convenzione di Nizza
3.2.6 L’accordo TRIPs
3.3 LA DISCIPLINA DEI MARCHI A LIVELLO COMUNITARIO
3.3.1 Un percorso lungo trent’anni
3.3.2 L’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno
3.4 IL MARCHIO COMUNITARIO
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3.4.1 I caratteri del marchio comunitario
3.4.2 Contenuto del marchio comunitario
3.5 MARCHIO COMUNITARIO E MARCHI NAZIONALI
ED INTERNAZIONALI
3.5.1 Marchio comunitario e marchi nazionali
3.5.2 Marchio comunitario e marchi internazionali
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CAPITOLO QUARTO
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
4.1 INTRODUZIONE ALLA MATERIA
4.1.1 La natura del diritto di brevetto
4.1.2 I requisiti dell’invenzione
4.1.3 Tipologie di invenzioni brevettabili
4.1.4 La funzione di un brevetto
4.1.5 L’excursus storico dell’istituto
4.2 LA TUTELA DEL BREVETTO A LIVELLO INTERNAZIONALE
4.2.1 L’applicazione della C.U.P. alla disciplina brevettuale
4.2.2 La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale
4.2.3 Il Patent Cooperation Treaty
4.2.4 Una scelta tra diverse procedure
4.3 IL BREVETTO EUROPEO
4.3.1 La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo
4.3.2 L’Organizzazione Europea dei Brevetti
4.3.3 La procedura per il rilascio di un Brevetto Europeo
4.3.4 Brevetto Europeo e brevetti nazionali
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4.4 IL BREVETTO COMUNITARIO
4.4.1 La Convenzione di Lussemburgo del 1975
4.4.2 Il brevetto comunitario sulla strada della realizzazione
4.4.3 La proposta di Regolamento della Commissione del 2000
4.4.4 Via libera al brevetto comunitario: le ultime novità
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CONCLUSIONI 207
BIBLIOGRAFIA ccxix
INDICE DEI CASI .ccxlii
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
La scelta di studiare una materia tanto specifica e tecnica come la proprietà
intellettuale è stata, paradossalmente, casuale e mirata allo stesso tempo. La
ricerca era infatti indirizzata ad una disciplina che potesse esemplarmente
rappresentare il percorso compiuto dal processo di integrazione comunitaria,
senza essere uno di quei settori classici, utilizzati in ogni corso di diritto
comunitario o in ogni manuale, per individuare l’evoluzione delle competenze
comunitarie. Se di solito si scelgono le materie dell’ambiente e della ricerca e
sviluppo per illustrare come le competenze comunitarie si sono allargate,
erodendo in un certo senso quelle degli Stati membri, nel presente studio si è
scelta una materia senz’altro meno nota ma altrettanto duttile ed adatta ad
mostrare tale percorso evolutivo. Come nel caso della materia ambientale infatti,
la proprietà intellettuale è passata ad essere, da totalmente estranea al diritto
comunitario a protagonista ed oggetto di attenzione da parte delle istituzioni
comunitarie.
Negli anni ’50 probabilmente non si considerava necessaria una
regolamentazione ad hoc, a livello comunitario, per i marchi, i brevetti, il diritto
d’autore o gli altri diritti connessi: solo con il passare degli anni ci si è resi conto
dell’importanza di una normativa per questo settore, indispensabile per
proteggere le imprese operanti a livello comunitario e per aumentarne la
competitività rispetto ai grandi colossi, soprattutto statunitensi e giapponesi.
La proprietà intellettuale è quindi stata scelta per illustrare, da un punto di vista
meno noto, quella che è stata l’evoluzione delle competenze comunitarie e del
diritto comunitario nel suo insieme.
Come in altri campi, l’intervento è stato graduale e tutt’altro che facile. Gli Stati,
un tempo unici ed inequivocabili titolari della facoltà di concedere tali diritti di
privativa, si sono dovuti arrendere di fronte alla necessità di una
INTRODUZIONE
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regolamentazione comune, a livello comunitario. In taluni casi la cessione di
competenze è stata meno faticosa che in altri, come con riferimento ai marchi di
impresa, per i quali la creazione di un marchio comunitario, fortemente voluta
dalle istituzioni comunitarie, non è stata sostanzialmente ostacolata dalle pretese
statalistiche dei quindici. In altri il percorso è stato pieno di insidie, dovute
principalmente alla difficoltà degli Stati di trovare un punto di incontro su alcune
questioni spinose. E’ senz’altro il caso della materia brevettuale, a tutt’oggi
soggetta ad una notevole incertezza, causata dalla ritrosia degli Stati a trovare un
accordo che permetta l’entrata in vigore della Convenzione di Lussemburgo, con
la quale verrebbe rilasciato alle imprese il tanto auspicato brevetto comunitario.
Il presente lavoro ripercorre le tappe principali di questa evoluzione,
partendo dall’analisi degli articoli del Trattato CE che, seppur in via marginale, si
occupano della proprietà intellettuale. Salta subito agli occhi infatti, accostandosi
alla disciplina e tenendo presenti gli scopi dell’intero progetto comunitario, che
esiste un contrasto di fondo tra questi ultimi e la natura stessa dei diritti di
privativa. Mentre questi ultimi sono improntati ad una logica prettamente
territorialistica, per cui la protezione che un’autorità conferisce ad un soggetto
non si estende al di là delle frontiere del Paese che tale autorità rappresenta, tra gli
scopi principali inseguiti a livello comunitario vi è quello della libera circolazione
delle merci e dei servizi e della formazione di un unico grande mercato unico
comunitario. Come conciliare queste due opposte e contrastanti prerogative? E a
chi affidare il compito di risolvere il problema? Il lavoro ripercorre, prima a
livello teorico e poi attraverso l’analisi delle più note sentenze, il cammino
intrapreso e seguito per più di quaranta anni dalle istituzioni comunitarie, con a
capo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Esse hanno infatti sviluppato
una serie di principi, nel tentativo di conciliare le esigenze e di appianare il
contrasto tra l’obiettivo di libera circolazione delle merci e quello teso alla tutela
della proprietà intellettuale.
Così ci si sofferma sulla differenza tra esistenza del diritto di privativa ed esercizio
dello stesso, sull’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale, con
INTRODUZIONE
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riferimento specifico alle materie dei marchi, dei brevetti e del copyright, ed
infine si analizza dettagliatamente il principio dell’esaurimento comunitario del
diritto: esso, di matrice originariamente comunitaria, fu in principio messo a
punto dai giudici comunitari con riferimento alla materia brevettuale e
successivamente traslato ed adattato alle discipline dei marchi e del diritto
d’autore.
Attraverso questi tre principi, la Commissione con i suoi pareri e la Corte di
Giustizia con le sue sentenze hanno ridisegnato la normativa dei diritti di
proprietà intellettuale, preparando il terreno ad una regolamentazione puramente
comunitaria. Per questo motivo, l’intero secondo capitolo è dedicato all’analisi
delle sentenze più significative, nelle quali la Corte ha enunciato ed approfondito i
principi sopra citati, portando la materia all’attenzione delle altre istituzioni
comunitarie e muovendo essa stessa, autonomamente, verso una
regolamentazione ex novo del settore, a livello comunitario. La giurisprudenza
della Corte, sebbene non perfetta, ha saputo essere flessibile e duratura nel
tempo, permettendo una soluzione realistica e sensibile di molti problemi che
sorgevano, man mano che le imprese si espandevano ed i loro interessi per le
privative aumentavano. Accettata la non totale indipendenza dei giudici
comunitari nel procedere all’elaborazione di politiche comunitarie del tutto
nuove, si deve comunque ammettere che l’impatto delle loro sentenze è stato
almeno un forte stimolo per ulteriori, successivi ed approfonditi interventi
legislativi.
Le sentenze più significative sono raggruppate in base al diritto di
privativa che ne costituisce l’oggetto: così la materia dei marchi è stata oggetto di
ampia attenzione e trattazione poiché in essa si concentrano la maggior parte
delle novità, che poi con il tempo sono state riproposte anche negli altri settori
della proprietà intellettuale.
In materia di marchi, la presente tesi individua un iter giurisprudenziale composto
da tre fasi, ognuna caratterizzata da poche sentenze cardine, nelle quali la Corte
ha dettato le regole sulla materia, che le imprese ed i soggetti interessati erano
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tenuti a seguire. La prima fase è caratterizzata dalla sentenza Hag I, improntata
alla massima liberalizzazione e concretizzata nel divieto di impedire il passaggio di
merci protette da un Paese all’altro, ogni qual volta il proprietario sia lo stesso o
almeno sia consenziente: essa segna l’orientamento seguito a livello comunitario
per circa una quindicina d’anni, fino al cambiamento di rotta della Corte,
enunciato nella successiva sentenza Hag II: essa è caratterizzata da una minore
liberalizzazione del mercato e dalla facoltà, data ad un titolare di marchio, di
opporsi all’importazione di prodotti recanti lo stesso segno e provenienti da un
Paese terzo, dove siano stati commercializzati senza il suo consenso. L’erroneità
di tale posizione e la necessità di far prevalere il principio della libera circolazione
sulla territorialità dei diritti di privativa vennero di lì a poco riaffermati, nella
sentenza Ideal Standard, che segna l’orientamento seguito ancora oggi ed indicato
come veritiero e affidabile dalla stessa Corte: tutto si può fare al fine di tutelare i
produttori e i consumatori, i quali devono essere in grado di distinguere un
prodotto dall’altro, sulla base del segno che esso reca, ma tutto ciò deve avvenire
nel rispetto dello scopo principale del Trattato, che è quello di creare un unico e
grande mercato comunitario: l’alienazione dei marchi nazionali non deve
assolutamente avere lo scopo di determinare una separazione fra i mercati dei due
Paesi comunitari interessati, in relazione al prodotto recante il marchio oggetto di
contesa.
Anche le materie del brevetto e del copyright sono state al centro di
un’evoluzione giurisprudenziale, che viene studiata in questa sede ma che
presenta meno particolarità in quanto segue di pari passo l’iter percorso dalla
materia dei marchi.
Una volta affermata la necessità di una regolamentazione, accettata da
parte degli Stati e concepita nel giusto modo dalle istituzioni comunitarie, le
stesse hanno dato vita ad una vera e propria regolamentazione legislativa: anche
lo studio in questione percorre questo cammino e, dopo aver visto come si è
potuti giungere all’intervento legislativo, lo analizza nel dettaglio con riferimento
ai settori dei marchi e dei brevetti.
INTRODUZIONE
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Così il terzo capitolo è interamente dedicato al sistema comunitario dei marchi:
allargandosi ad analizzare le iniziative internazionali per la tutela dei marchi a cui i
Paesi, ora membri della UE, avevano preso parte ben prima di partecipare
all’integrazione comunitaria, restringe l’attenzione al diritto comunitario e agli
interventi legislativi delle istituzioni dell’Unione. E’ questa, tra tutte quelle
appartenenti alla proprietà intellettuale, l’area che detiene il primato di traguardi
raggiunti, grazie soprattutto alla creazione dell’Ufficio preposto alla concessione
dei marchi comunitari: di essi viene brevemente ricostruita la natura, ne vengono
analizzati il funzionamento e la valenza, al fine di sottolineare l’enorme successo
dell’iniziativa e di commentare la sempre più diffusa richiesta di registrazione a
livello comunitario.
Lo stesso tipo di analisi viene infine compiuto con riferimento alla materia dei
brevetti, partendo anche in questo caso da uno studio delle iniziative intraprese, a
livello internazionale, prima e dopo l’inizio del processo di integrazione
comunitaria, a tutela delle invenzioni e dei loro artefici. In questo caso, lo studio
del percorso europeo deve obbligatoriamente soffermarsi sul binomio brevetto
europeo/brevetto comunitario e soprattutto sull’annosa questione della mancata
entrata in vigore della Convenzione di Lussemburgo del 1975, istituente il tanto
auspicato brevetto comunitario. Si tratta di questioni a tutt’oggi aperte, soggette ai
ripensamenti e alle iniziative delle istituzioni, nonché alle volontà e alla litigiosità
degli Stati membri. Al momento della stesura del lavoro una soluzione non è stata
ancora trovata, cosicché ci si deve accontentare di testimoniare i più recenti passi
in avanti, in attesa di una vera e definitiva risposta al problema, da parte delle
autorità sia comunitarie che nazionali.
Per questo studio sono stati utilizzati vari testi, di diverso genere e
destinati ad un pubblico variopinto. Se da una parte sono risultati indispensabili
manuali di diritto industriale e diritto comunitario per l’inquadramento del tema,
dall’altro sono stati utilizzati testi ed articoli destinati ad un pubblico
imprenditoriale, lontano dall’ambito universitario. Con questi testi si sono potuti
INTRODUZIONE
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cogliere aspetti pragmatici delle problematiche, difficilmente reperibili altrove, si
sono individuati i vantaggi partici che una regolamentazione sicura ed efficace a
livello comunitario potrebbe garantire alle imprese europee e si sono ravvisati i
problemi a cui queste stesse vanno incontro ogni giorno, rincorrendo una
adeguata tutela per le loro opere o per i loro segni distintivi.
Ovviamente non sono mancati studi più teorici, dibattiti su questioni ancore
aperte, articoli di commento alle iniziative comunitarie e alle pronunce della
Corte, reperibili soprattutto su riviste specializzate, edite in Italia ma soprattutto
nel mondo editoriale anglosassone. Infine non si dimentichi l’imprescindibile
apporto dato dai testi completi delle pronunce della Corte di Giustizia,
consultabili, nella versione ufficiale, in lingua francese o inglese se precedenti la
fine degli anni ’60, in lingua italiana se più recenti.
Per tutto questo materiale è stato fondamentale l’aiuto e la disponibilità di
materiale delle varie biblioteche universitarie e non, in particolare della Biblioteca
di Scienze Giuridiche “Francesco Ruffini”, della Biblioteca “S.Cognetti de
Martiis” del Dipartimento di Economia, della Biblioteca Nazionale Universitaria
e della Biblioteca Civica Centrale di Torino, nonché dei centri di documentazione
della Camera di Commercio e dell’Istituto Universitario di Studi Europei,
entrambi di Torino.
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
1. LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE E LA LIBERA
CIRCOLAZIONE DELLE MERCI IN EUROPA
1.1 LE COMPETENZE COMUNITARIE
I Trattati istitutivi delle Comunità Europee non prevedevano in modo
espresso quale fosse la ripartizione di competenze tra la Comunità e gli Stati
membri; tuttavia, guardando al Trattato nel suo insieme, si evince con chiarezza
che la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono espressamente
conferite dallo stesso, in base al cosiddetto “principio delle competenze di attribuzione”.
Com’è tipico delle organizzazioni internazionali1, infatti, gli Stati hanno conferito
alle Comunità tutti i poteri e le competenze funzionali necessari al
raggiungimento dei suoi obiettivi. Il principio delle competenze d’attribuzione è
codificato nel Trattato CE dall’articolo 5.12, il quale disegna una Comunità non
dotata di poteri o funzioni generali, ma precisi ed esplicitati nelle norme del
Trattato. Sono dunque le stesse norme ad indicare se, in un determinato settore,
la Comunità gode di una competenza esclusiva, tale da precludere qualsiasi
intervento degli Stati membri, o di una concorrenza concorrente con quella degli
stessi Stati. A titolo esemplificativo si ricordi che tra le competenze
originariamente previste, le istituzioni comunitarie agivano in via esclusiva nei
campi dell’agricoltura, dei trasporti e dei rapporti commerciali con i Paesi terzi.
Per le competenze concorrenti si pensi invece alla politica economica e
1 C. Zanghì, Istituzioni di diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino 2000, p. 2702 Il nuovo testo ha chiarito il precedente articolo 3 del Trattato CE, nel quale ci si limitava adaffermare che “ l’azione della Comunità deve svolgersi alle condizioni […] del presente trattato”.Il presente articolo recita infatti: “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sonoconferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato”. Per la consultazione deitrattati comunitari cfr. C.Nescimbene, Comunità e Unione Europea: codice delle istituzioni,Giappichelli, Torino 1999
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
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monetaria3, alla politica sociale o alla previsione generale dell’articolo 94 sul
ravvicinamento delle legislazioni che abbiano incidenza diretta sul funzionamento
del mercato interno.
Nella consapevolezza che una ripartizione di competenze nei vari settori
avrebbe potuto determinare una serie di lacune che avrebbero rischiato di
paralizzare l’attività comunitaria, i redattori del Trattato inserirono nello stesso
l’articolo 308 in base al quale: “quando un’azione della Comunità risulti necessaria
per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della
Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal
uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della
Commissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo, prende le
disposizioni del caso”4. Tale articolo fu utilizzato in modo non occasionale fin dal
Vertice di Parigi del 1972 sia per estendere e sviluppare competenze comunitarie
già esistenti5, sia per crearne di nuove in settori precedentemente riservate alla
sovranità degli Stati6. Poiché l’articolo 308 richiede una deliberazione
all’unanimità del Consiglio su proposta della Commissione e previa consultazione
del Parlamento Europeo, il ricorso ad esso è stato spesso sconsigliato dalla Corte
di Giustizia: essa ha suggerito di limitarne l’uso ai soli casi in cui nessun altra
disposizione fosse invocabile per legittimare l’intervento degli organi comunitari.
La stessa Corte, in coerenza con tale atteggiamento, ha elaborato una versione
comunitaria della cosiddetta “teoria dei poteri impliciti”7, dandovi particolare rilievo.
Essa comporta il riconoscimento – senza la necessità di ricorrere alla regola
dell’unanimità per soddisfare l’articolo 308 – di poteri non espressamente
conferiti alle istituzioni comunitarie ma indispensabili per un esercizio efficace ed
3 Si continua a far riferimento alle competenze previste dai trattati istitutivi.4 Si tratta del vecchio articolo 2355 Ad esempio, l’articolo 308 venne utilizzato nelle discipline della politica regionale, della politicasociale e delle relazioni esterne6 Ad esempio nei campi della politica energetica, della protezione ambientale,della protezione deiconsumatori, della politica di ricerca e sviluppo7 La teoria dei poteri impliciti fu elaborata per la prima volta dalla Corte Suprema degli StatiUniti d’America per permettere alle autorità federali l’adozione di atti sulla base degli Enumerated
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
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appropriato delle competenze attribuite e strumentali per l’espletamento dei
compiti affidati alla Comunità8.
1.1.1 Il principio di sussidiarietà
Si affiancano ai principi sopra elencati il principio di sussidiarietà, definito
dall’articolo 5.2 del Trattato CE ed il principio contenuto nell’articolo 1.2 CE,
secondo cui l’UE deve prendere le sue decisioni il più vicino possibile ai cittadini.
L’articolo 5.29 dispone che “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza
la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella
misura in cui gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere
sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle
dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello
comunitario”. Secondo tale principio, che ha avuto riconoscimento formale con il
Trattato di Maastricht, nella conduzione della propria azione le istituzioni
comunitarie sono tenute ad agire solo quando il loro intervento si riveli
indispensabile, lasciando viceversa alle istanze nazionali o locali l’adozione di
discipline che meglio rispondono alle attese dei cittadini: la realtà è però molto
diversa perché spesso la normativa comunitaria è molto dettagliata al fine di
imporre agli Stati, solitamente recalcitranti, un’effettiva armonizzazione
legislativa. Non c’è ancora in Europa una chiara visione della sussidiarietà, come
invece esiste nei più avanzati sistemi federali del mondo. Inoltre, rispetto alla
funzione propria di questo principio, il dibattito rimane a tutt’oggi aperto:
secondo Strozzi10 il principio ha assunto un chiaro significato restrittivo o
negativo, presentandosi come un limite all’ampliamento delle competenze
powers, ovvero dei poteri loro concessi in maniera tassativa e quindi non suscettibili diun’interpretazione estensiva, di cui all’articolo X del Bill of Rights8 G.Strozzi, Diritto istituzionale dell’Unione Europea. Parte istituzionale, Giappichelli, Torino 1998, p.369 Già articolo 3B, aggiunto dal Trattato sull’Unione Europea
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
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comunitarie e non come un incentivo alla loro espansione; infatti occorre
dimostrare che l’azione comunitaria risponde meglio alle esigenze ma anche che
gli Stati non sono in grado di espletarle, in modo adeguato, al loro livello. Se non
ricorrono entrambe queste condizioni, la regola generale è che le competenze
primarie restano agli Stati e quelle comunitarie costituiscono l’eccezione.
Secondo Draetta11 invece, se negli Stati federali il principio risponde all’esigenza
di preservare il decentramento dei poteri da un’eccessiva invadenza delle autorità
centrali, nella CE il problema è opposto perché l’esigenza prevalente è quella di
assicurare alla Comunità quel minimo di poteri necessari perché l’interesse
unitario possa prevalere su quelli particolari dei singoli membri. Al massimo la
sussidiarietà può servire per ridurre le competenze statali a favore delle istanze
locali o regionali, soddisfacendo così anche l’altro principio sopra citato, per il
quale l’Unione decide in modo che i suoi atti siano “il più possibile vicino ai
cittadini”12.
Infine si ricordi il cosiddetto principio di proporzionalità, riguardante la scelta
dello strumento legislativo più idoneo in ogni situazione: esso stabilisce che gli
organi comunitari dovranno utilizzare gli atti che comportano il minor sacrificio
per la sovranità degli Stati e che siano i più convenienti ed efficaci per il sistema
comunitario. Tale principio è formulato dall’articolo 5.3 Trattato CE nel seguente
modo: “l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il
raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato”13.
10 G.Strozzi, Diritto dell’Unione Europea – Parte Istituzionale: dal trattato di Roma al trattato di Nizza,Giappichelli, Torino 2001, p. 3911 U.Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte istituzionale, Giuffrè, Milano 1999, p. 6112 Si tratta del già ricordato articolo 1.2 trattato UE, come sostituito dal Trattato di Amsterdam,che recita: “il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unionesempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo piùtrasparente possibile e il più possibile vicino ai cittadini”.13 Il principio della proporzionalità, formulato dall’articolo 5 comma terzo del Trattato,richiamato nel testo, ha la finalità di regolare il modo in cui devono essere esercitate lecompetenze comunitarie, assicurando che vi sia corrispondenza tra i mezzi adoperati ed i fini daraggiungere. Perciò le istituzioni comunitarie, potendo scegliere, dovranno utilizzare gli atti checomportano minori sacrifici per la sovranità degli Stati
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
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All’interno di questo quadro introduttivo e generale, ci si interroga sul
livello a cui si inserisce la nascita e l’evoluzione della tutela della proprietà
intellettuale in Europa. Poiché le differenze tra le legislazioni in materia di marchi
di impresa, brevetti per invenzione e diritti d’autore si configuravano come
situazioni di disturbo all’interno di una collettività che si stata evolvendo in
direzione di uno spazio economico unico, si cercò un ravvicinamento delle
legislazioni, quale disciplinato dagli articoli 94 e 95 del trattato CE14 e a monte
dall’articolo 3.1 lettera h Trattato CE. Quest’ultimo infatti dispone: “ai fini
enunciati all’articolo 2, l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e
secondo il ritmo previsti dal presente trattato: … h) il ravvicinamento delle
legislazioni nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune; …”: il
ravvicinamento non è concepito come un obiettivo di semplificazione e
razionalizzazione delle relazioni giuridiche infrastatali fine a se stesso, ma serve ad
eliminare situazioni che turbano il funzionamento della Comunità, e nello
specifico deve contribuire al raggiungimento degli obiettivi comuni di cui
all’articolo 2 Trattato CE.
Esso rientra tra le competenze delle istituzioni comunitarie e viene attuato tramite
i provvedimenti previsti dall’articolo 249 Trattato CE, cosicché gli strumenti
legislativi utilizzati sono sostanzialmente direttive e regolamenti, oltre che
raccomandazioni e pareri che la Commissione può formulare per indurre gli Stati
ad armonizzare le loro legislazioni in materia.
Tra le istituzioni maggiormente impegnate nella promozione del
ravvicinamento figurano la Commissione, che partecipa soprattutto con pareri e
raccomandazioni, e la Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Essa, ai sensi
dell’articolo 220 Trattato CE, “assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e
nell’applicazione del presente trattato”15; nel corso degli anni essa però ha volto
un ruolo che è andato molto al di là del significato letterale di tale norma ed ha
contribuito in maniera determinante, con le sue pronunce e sentenze, al processo
14 Tutto il capo III del Titolo VI è dedicato a questa materia e intitolato al “ravvicinamento dellelegislazioni”
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
17
di integrazione comunitaria e, nello specifico, al ravvicinamento delle legislazioni
in materia di tutela della proprietà intellettuale.
1.2 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PROPRIETA’
INTELLETTUALE
1.2.1 Natura ed applicazioni della proprietà intellettuale
La “proprietà intellettuale” è un’espressione utilizzata in modo generico
per indicare un fascio od una serie di diritti che proteggono e tutelano attività di
tipo immateriale, la cui importanza economica è fondamentale e non va
sottovalutata. Essa designa infatti l’insieme dei diritti riconosciuti da un dato
ordinamento per la tutela del brevetto per invenzione, del marchio d’impresa, del
diritto d’autore, dei modelli e disegni ornamentali, del diritto di costituzione di
specie vegetali e dei diritti connessi. Utilizziamo l’espressione “proprietà
intellettuale” nella sua accezione più vasta, comprensiva di tutti i diritti che
abbiamo appena elencato, in luogo dell’espressione “proprietà industriale e
commerciale”, contemplata dall’articolo 30 del Trattato CE. Quest’ultima
formula, utilizzata dai redattori del Trattato, ha fatto sorgere nel corso degli anni
non pochi dubbi di interpretazione, in particolare con riferimento ai diritti di
proprietà letterale ed artistica che, secondo alcuni autori, non dovrebbero essere
compresi nella dicitura dell’articolo 30 e quindi non dovrebbero interessare
l’attività comunitaria. Questi dubbi sorsero perché negli ordinamenti di alcuni
Stati membri il copyright non è considerato nell’insieme dei diritti di “proprietà
industriale o commerciale”, ma viene incluso nella “proprietà intellettuale od
artistica”16. Tali incertezze furono però chiarite da una sentenza della Corte di
Giustizia, Membran c. GEMA del 1981: in tale occasione la Corte infatti dichiarò
15 Già articolo 16416 P.Oliver, Free movement of goods in the European Community: under articles 30 to 36 of the treaty ofRome, Sweet & Maxwell, Londra 1996, p. 242
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
18
che l’espressione “proprietà industriale e commerciale” di cui all’articolo 3617
comprende la tutela conferita dal copyright, soprattutto quando essa sia sfruttata
sotto forma di licenze, le quali possono colpire il commercio di opere letterarie ed
artistiche”18.
I diritti creati e rientranti sotto questa definizione sono diritti di proprietà,
perché si concretizzano nei confronti di chiunque agisca contro di essi, anche se
lo fa perché ne ignora l’esistenza. Si tratta però sempre di creazioni della mente,
come un’idea per un’invenzione, una melodia ed un’armonia composte in un
brano musicale o una data raffigurazione con la funzione di marchio: essi non
possono, come invece sarebbe possibile nel caso di oggetti fisici, essere protetti
contro l’utilizzo da parte di altri soggetti, solo attraverso il mero possesso
dell’oggetto. Una volta che la creazione intellettuale sia resa disponibile al
pubblico, il suo creatore di fatto non può esercitare a lungo un controllo su di
essa ed sul suo utilizzo. Questa incapacità o impossibilità di fatto a proteggere la
creazione attraverso il possesso sottende l’intero concetto di proprietà
intellettuale19.
La gamma delle attività tutelate da questi diritti è differenziata ed estesa; ne da
un’ottima definizione uno degli autori più celebri e stimati tra gli studiosi della
materia, W. R. Cornish. Nelle prime pagine del suo libro20 Cornish spiega che:
“Patents give temporary protection to technological inventions and design
rights to the appearance of mass produced goods, copyright gives longer
lasting rights in, for instance, literary, artistic and musical creations; trade
17 La Corte utilizzava all’epoca la vecchia numerazione. L’articolo in questione corrispondeall’articolo 30 dell’attuale numerazione18 Caso Musik Vertrieb Membran c. GEMA, cause 55 e 57/80, sentenza del 198119 WIPO, Introduction to Intellectual Property Theory and Practice, Kluwer Law International, Londra1997, p. 1120 W.R.Cornish, Intellectual Property, Sweet & Maxwell, Londra 1996, p. 3
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
19
marks are protected against imitation so long at least as they continue to
be employed in trade”21
L’eterogeneità si può cogliere molto bene da queste parole: una forma di
proprietà intellettuale, quella dei marchi d’impresa, può avere una durata
indefinita, condizionata al loro semplice utilizzo, mentre altri diritti, come quelli
che tutelano autori di opere letterarie ed artistiche, esistono solo per un periodo
limitato; ad esempio le norme a protezione del copyright di solito prevedono un
periodo di tutela pari alla durata della vita dell’autore più settant’anni successivi
alla morte di quest’ultimo. Alcune forme di protezione nascono
automaticamente, come nel caso del copyright o del diritto di design non
registrato; per altre invece è richiesta una registrazione la cui domanda deve
essere presentata presso un apposito ufficio, nazionale o non22, perché la
protezione possa essere invocata. Questo è il caso dei brevetti, dei marchi, dei
diritti di design registrati. Nel caso in cui sia richiesta la registrazione, la
protezione consiste nel diritto esclusivo del titolare di utilizzare il materiale
registrato; al contrario, se la registrazione non è necessaria, la tutela si esplica nella
non concessione della copia senza l’autorizzazione dell’avente diritto23.
1.2.2 Ruolo ed obiettivi della proprietà intellettuale
La proprietà intellettuale si distingue dagli altri ambiti di legge perché il suo
scopo non è semplicemente quello di regolare alcuni tipi di rapporti tra i cittadini
di uno Stato, come fanno ad esempio il diritto commerciale o quello penale:
21 “I brevetti conferiscono una protezione temporanea alle invenzioni tecnologiche estabiliscono i diritti per la messa in commercio di beni di largo consumo; il copyright prevede undiritto permanente per le creazioni letterarie, artistiche o musicali; i marchi sono protetti controle imitazioni fintanto che continuano ad essere utilizzati in commercio”22 Come si vedrà in seguito, ad esempio, con il Regolamento del Consiglio 40/94 del 1994 èstato istituito il cosiddetto Marchio Comunitario, valido sull’intero territorio CE e per il cuiottenimento è necessario presentare un’apposita domanda presso l’Ufficio per l’armonizzazionedel mercato interno ( marchi e design), che ha sede ad Alicante, in Spagna23 Cfr. T.Prime, European Intellectual Property Law, Ashgate, Aldershot 2000, p. 10
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
20
secondo G.Tritton24 il suo fine è più nobile, in quanto consiste nel dare
riconoscimento al creatore o all’inventore e attraverso ciò nel promuovere il
progresso economico e tecnologico. Anche S.Singleton25 sostiene la medesima
tesi, affermando senza timore che la proprietà intellettuale incoraggia
l’innovazione poiché, rassicurati dalla consapevolezza che le loro opere e
creazioni saranno tutelate e i loro investimenti protetti dai diritti di proprietà
intellettuale, i creatori e soprattutto le imprese dirigono i loro sforzi e le loro
risorse verso le politiche di innovazione, ricerca e sviluppo.
Queste tesi trovano riscontro in quello che, per decenni, è stato il
comportamento degli Stati: essi hanno sempre tentato di tutelare le creazioni per
due fondamentali ragioni26. La prima consiste nel dare riconoscimento legale alle
pretese morali ed economiche dei creatori e degli inventori; la seconda è legata
alla promozione, attraverso una riconosciuta politica governativa, della creatività
e della diffusione dei suoi risultati, nonché all’incoraggiamento della ricerca e della
sperimentazione che possono contribuire ad un armonioso sviluppo sociale ed
economico. Le stesse motivazioni si possono ritrovare nei testi di G.Tritton27, il
quale ne parla, chiamandole rispettivamente “giustificazione privata” e
“giustificazione pubblica”28: secondo la prima dottrina l’esistenza della proprietà
intellettuale si giustifica come ricompensa all’autore, creatore, designer per lo
sforzo creativo compiuto. Alla luce della seconda tesi invece, la tutela della
proprietà intellettuale è necessaria per incentivare le compagnie ad investire
capitali umani e finanziari nella ricerca e nello sviluppo. Tra il resto si ricordi che
questa giustificazione è stata spesso invocata dalle multinazionali per difendersi
dalle accuse di comportamenti anticoncorrenziali.
Tra le due dottrine o cause di giustificazione, a seconda dei casi , una può essere
prevalente o addirittura la unica calzante; spesso però sono presenti entrambe.
24 G.Tritton, Intellectual Property in Europe, Sweet & Maxwell, Londra 199625 S.Singleton, European Intellectual Property Law, Financial Times – Financial publishing, 1996,p.1426 WIPO, op.cit., p. 15427 G. Tritton, op.cit., p. 31728 Tritton si riferisce rispettivamente a “private justification” e “public justification”
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
21
Le legislazioni sulla proprietà intellettuale furono in origine sviluppate
dagli Stati per avere effetto esclusivamente all’interno dei loro territori. Ci si rese
però presto conto, nel corso del XIX secolo, che una cooperazione a livello
internazionale era necessaria per assicurare ai creatori una protezione dei loro
lavori anche al di là dei confini nazionali oltre che per garantire una reciprocità di
protezione tra i vari Stati. Fin dalla prima convenzione internazionale in materia,
la Convenzione di Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale
del 1883, pochi altri ambiti di diritto sono stati oggetto di altrettanta
cooperazione tra gli Stati come la proprietà industriale.
Questo potrebbe apparire paradossale, qualora si considerasse attentamente
quanto alto sia il grado di territorialità e nazionalità di tali diritti; il risultato di
questo approccio “sovrastatale” è stato quindi quello di favorire un considerevole
grado di armonizzazione tra le legislazioni dei vari Paesi in questa disciplina.
1.2.3 L’origine della proprietà intellettuale in Europa
A livello europeo, guardando al Trattato di Roma del 195729, istitutivo
delle Comunità Europee, si nota che i redattori di quest’ultimo non fecero alcun
riferimento esplicito alla proprietà intellettuale, non menzionandola mai. Il
riferimento più vicino è contenuto nell’articolo 30 del Trattato CE30, che
annovera tra le possibili ragioni di deroga all’articolo 28, la “proprietà industriale
29 I trattati di Roma, a cui si fa comunemente riferimento singolare, vennero firmati a Roma, informa solenne, il 25 marzo 1957 tra i rappresentanti dei governi di Belgio, Francia, Germania,Italia, Lussemburgo e Olanda; essi istituirono rispettivamente la Comunità Economica Europea(CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica ( CEEA o EURATOM) ed entrarono invigore, dopo le opportune ratifiche, il 1° gennaio 1958. Sul tema cfr. S.Pistone, L’integrazioneEuropea. Uno schizzo storico, UTET, Torino 1999; N.Nugent, Governo e Politiche dell’Unione Europea,Il Mulino, Bologna 2001; M T.Bitsch, Histoire de la construction européenne, Editions compléte,Bruxelles 2000; U.Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea, parte istituzionale, Giuffrè, Milano1999, terza edizione; L.Daniele, Il diritto materiale della Comunità Europea: introduzione allo studio delMercato interno e delle politiche comunitarie, Giuffrè, Milano 200030 Già articolo 36
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
22
e commerciale”. Fin da subito venne evidenziato il contrasto tra uno dei
principali obiettivi della Comunità, qual è quello della libera circolazione delle
merci e del mercato unico, e le legislazioni nazionali in materia di proprietà
intellettuale. Inizialmente ci si convinse che i redattori del Trattato avessero
appositamente evitato l’argomento per lasciare che fossero gli Stati a regolarne il
funzionamento; si argomentò che i contrasti di cui si diceva poco sopra
dovessero essere appianati se non addirittura eliminati semplicemente attraverso
una progressiva armonizzazione delle legislazioni statali. E questo si sarebbe
potuto raggiungere - si disse - attraverso il ricorso a quelle disposizioni del
trattato che regolano appunto il ravvicinamento delle legislazioni, contenute nel
capo III del titolo IV31.
Ma i rapporti tra la proprietà intellettuale e concorrenza, settore oggetto di
enorme attenzione da parte delle istituzioni comunitarie, stravolsero questo
approccio e fin dagli anni ’60 ci si orientò verso un’integrazione tra la disciplina in
esame e il diritto comunitario, che andasse oltre la semplice armonizzazione.
1.2.4 La Corte di Giustizia ed il ruolo della giurisprudenza in Europa
Il ruolo giocato dalla Corte di Giustizia è stato nel corso degli anni e
continua ad essere fondamentale: sebbene la giurisprudenza non abbia svolto
tradizionalmente un ruolo di rilievo quale fonte di diritto nella maggior parte degli
Stati membri, soprattutto nei Paesi di Civil Law32, le sentenze della Corte di
Giustizia si sono rivelate determinanti nella creazione e nella definizione
dell’ordinamento giuridico comunitario33. Poiché il diritto comunitario si è
mostrato spesso poco chiaro e preciso, la Corte si è trovata in molti settori a
deliberare su una base giuridica molto imprecisa. Essa è andata pertanto ben oltre
31 Ci si riferisce, in termini di articoli, ai numeri 94 e 95 del Trattato CE32 Tra i Paesi dell’UE costituiscono un’eccezione il Regno Unito e l’Irlanda le cui Corti,appartenenti ad una tradizione di Common Law, sono sempre riuscite a ritagliarsi un ruoloimportante nel panorama legislativo. Si veda a tal proposito A.Gambaro e R.Sacco, SistemiGiuridici Comparati, in Trattato di Diritto Comparato, UTET, Torino 200233 N.Nugent, op.cit., p. 232
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
23
una semplice interpretazione tecnica e grammaticale delle norme scritte ed ha
colmato, con la sua opera, le lacune del diritto comunitario; così facendo essa non
solo ne ha definito il contenuto ma lo ha esteso.
Nel campo della proprietà intellettuale è stata soprattutto la Corte
appunto, a disegnare i rapporti tra questa e l’ordinamento comunitario: ciò
significa che oggi, grazie agli innumerevoli interventi dell’istituzione giudiziaria
europea, il titolare di un diritto di privativa può ottenerne la tutela a livello
comunitario allorquando riesca a dimostrare la valenza comunitaria dello stesso
diritto.
Come verrà dimostrato nei capitoli successivi di questo lavoro, l’opera della Corte
si è inoltre rivolta verso un altro obiettivo: evitare che la tutela di questi diritti
fosse invocata in modo abusivo e finalizzata ad ostacolare gli scambi commerciali
tra gli Stati membri. In questo caso l’auspicato intervento di armonizzazione e
legislativo avrebbe potuto essere usato come un’arma a doppio taglio, minacciosa
nei confronti degli obiettivi dell’intero sistema comunitario. Era quindi sentito
come necessario un intervento puntuale di regolamentazione anche con
riferimento alle eventuali violazioni del diritto in materia di proprietà intellettuale.
Su queste basi si diede inizio ad un processo di armonizzazione e
creazione legislativa insieme: essi hanno portato ad un considerevole
avvicinamento delle legislazioni e ad un sostanziale coordinamento delle politiche
statali in materia di tutela dei marchi, dei brevetti, del diritto d’autore, del design e
dei diritti collegati.
A titolo esemplificativo si ricordino brevemente34 le azioni della Comunità in
materia di brevetti e marchi d’impresa.
Nel diritto dei marchi la Comunità ha agito essenzialmente su due livelli paralleli:
sono state armonizzate le legislazioni degli Stati membri, soprattutto con direttive
del Consiglio dell’UE35 ed è stato creato un Marchio Comunitario, valevole per
l’intero territorio comunitario. Esso è stato istituito con il Regolamento del
34 Entrambi gli argomenti saranno ripresi più avanti, nelle trattazioni dedicate rispettivamente aimarchi e ai brevetti, nei capitoli terzo e quarto
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
24
Consiglio 40/94 del 1994, è entrato in vigore nel 1996 ed ha avuto molto più
successo di quanto non ci si aspettasse; l’Ufficio per il Marchio Comunitario,
ufficialmente denominato “Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno
(marchi e design)” ha sede ad Alicante, in Spagna; si tratta di un sistema molto
più avanzato del primo, di armonizzazione, in quanto crea lo stesso diritto per
tutti i cittadini dell’Unione.
In materia di brevetti per invenzione invece, l’azione comunitaria si è esplicata
inizialmente attraverso l’attuazione della Convenzione sul Brevetto Europeo
(C.B.E.), firmata a Monaco di Baviera (Germania) nel 197336: con essa si è creato
un sistema attraverso cui il richiedente ottiene, con un’unica domanda depositata
presso l’Ufficio per il Brevetto Europeo, con sede a Monaco, un brevetto
“unico”: si tratta però, in realtà, di un fascio di brevetti, corrispondenti ognuno al
brevetto ottenibile dall’ufficio a ciò preposto in ogni Stato aderente, ma
attraverso un’unica domanda.
Si ricordi inoltre che la CBE non è un’iniziativa nata e cresciuta all’interno del
solo ambito comunitario; altri Stati europei, come la Svizzera ed il Liechtenstein,
vi aderiscono; la si cita però parlando di proprietà intellettuale in sede UE perché
tutti gli Stati membri della Comunità vi hanno preso parte.
Aveva invece un’aspirazione più elevata la Convenzione sul Brevetto
Comunitario (C.B.C.), firmata a Lussemburgo nel 197537: essa voleva istituire un
brevetto unico, questa volta nel senso letterale del termine, valido e con le stesse
prerogative su tutto il territorio comunitario. Si capì infatti presto che solo il varo
di un sistema brevettale unitario per l’intero territorio della Comunità avrebbe
potuto eliminare l’attrito esistente tra sistemi brevettali statali e Mercato
Comune38. Essa purtroppo ha conosciuto un lungo periodo di stallo dovuto
soprattutto alla ritrosia degli Stati a trovare un punto d’incontro su alcune
35 In questo campo la prima direttiva del Consiglio è la numero 89/104 del 198936 La C.B.E. fu sottoscritta a Monaco il 5 ottobre 1973 ed è entrata in vigore il 7 ottobre 1977;l’Italia vi ha dato attuazione con il d.p.r. n° 32 dell’8 gennaio 1979, poi modificato dal d.p.r. n°338 del 22 giugno 197937 La C.B.C. venne firmata a Lussemburgo il 15 dicembre 197538 A.Vanzetti e V.Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano 1996, p. 276
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
25
questioni particolarmente spinose. Il punto che è stato oggetto delle maggiori
riserve riguarda l’attribuzione esclusiva al giudice comunitario della competenza a
decidere della nullità del brevetto39. Perciò iniziarono alla metà degli anni ’90 i
lavori per la sua revisione, che si concentrarono soprattutto sulle questioni più
spinose e si conclusero con la sottoscrizione di un nuovo testo, sempre a
Lussemburgo, il 15 dicembre 198940. Oggi l’iniziativa sembra aver ritrovato
vigore e sussistono tutte le condizioni perché si possa effettivamente arrivare alla
creazione di un brevetto comunitario.
Non bisogna infine dimenticare l’impegno delle istituzioni a conciliare le esigenze
dei titolari di diritti di privativa e la necessità di garantire la libera concorrenza,
attraverso l’applicazione e il rispetto delle norme del Trattato e del diritto
secondario.
1.3 IL DIRITTO COMUNITARIO E LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE
Nelle pagine precedenti si è già avuto modo di accennare al conflitto alla
base del rapporto tra i diritti di proprietà intellettuale e la libera circolazione delle
merci, quale prevista dagli articoli del Trattato. Già l’articolo 3 del Trattato CE
enumera, tra le politiche della Comunità, alla lettera c, “un mercato interno
caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”. I diritti sulla
proprietà intellettuale possono invece essere esercitati, in modo volontario o
casuale, in modo da costituire un ostacolo alla libertà di circolazione.
Non è pertanto imprevisto e inspiegabile il comportamento della Corte che,
come visto, ha sviluppato nel corso degli anni una copiosa e mirata
giurisprudenza, nel tentativo di risanare questo conflitto.
39 Tra i Paesi che sollevarono più resistenze dopo la sottoscrizione, spiccano Irlanda eDanimarca
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
26
Gli articoli che maggiormente configurano tale contrasto e sono quindi
più frequentemente citati parlando di proprietà intellettuale sono quelli
riguardanti il divieto di restrizioni al commercio di beni, cioè gli articoli 28 e
successivi.
Non bisogna però dimenticare, parlando di questa disciplina, che in altri ambiti la
Comunità si è trovata ad avere a che fare con la proprietà intellettuale.
Sicuramente degni di nota sono il diritto secondario dedicato alla materia, gli
accordi internazionali sull’argomento a cui la CE ha preso parte ed infine, la
disciplina comunitaria della concorrenza, contenuta negli articoli 81 e seguenti del
Trattato41, a cui sarà dedicata una breve trattazione individuale. Agli altri due
ambiti si intende lasciare breve spazio, prima di procedere all’analisi del rapporto
tra proprietà intellettuale e libera circolazione.
1.3.1 Il diritto derivato e la proprietà intellettuale
Per diritto derivato o secondario si intende l’insieme degli atti normativi
derivanti dalle norme del Trattato e dalla giurisprudenza della Corte. Esso è
regolato dall’articolo 249 del Trattato che indica, tra gli atti tipici, i regolamenti, le
direttive e le decisioni, e tra quelli atipici, le raccomandazioni e i pareri; si sono
inoltre affermati nella prassi altri tipi di atti, non previsti espressamente dal
Trattato, tra cui le conclusioni, le dichiarazioni, le proposte, gli inviti e la
posizione comune. In materia di proprietà intellettuale, sono state utilizzate
soprattutto le direttive per l’armonizzazione delle legislazioni tre gli Stati, mentre
il ricorso ai regolamenti è stato più frequente laddove fosse necessario un
intervento più forte della Comunità, finalizzato alla creazione di un regime di
proprietà intellettuale proprio del sistema comunitario. Si ricordino ad esempio il
regolamento 40/89 che ha istituito il marchio comunitario o la prima direttiva di
armonizzazione delle legislazioni nazionali sui marchi d’impresa, la direttiva
40 L’Italia ha ratificato la CBC con la legge n° 302 del 26 luglio 199341 P.Oliver, op.cit., p. 8.119 – 8.128
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
27
89/104. Secondo Oliver42 rientrano in questa categoria anche le Convenzioni di
Monaco e di Lussemburgo, firmate rispettivamente nel 1973 e nel 1975, di cui
solo la prima entrata in vigore.
Si tratta di un settore che, in generale, ha avuto un grande ed inaspettato successo
e continua tuttora a produrre proposte e spunti interessanti.
1.3.2 La partecipazione comunitaria alle iniziative internazionali in materia di proprietàintellettuale
Per ciò che riguarda invece la partecipazione della Comunità ad iniziative
di carattere internazionale in questa disciplina, non si possono non menzionare i
TRIPs o Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights43, frutto dei
negoziati dell’Uruguay Round44 e concepiti per creare uno spazio ad hoc ai diritti
di proprietà intellettuale in ambito WTO45, vista la dimostrata incidenza
economica degli stessi46. Molti autori47 ritengono che l’accordo rappresenti lo
sviluppo più significativo dell’ultimo secolo in materia di proprietà intellettuale48.
I TRIPs si inseriscono nell’amplissimo complesso normativo che dovrà essere
42 Ibid.43 Alla denominazione in lingua inglese si affianca quella in francese: gli accordi prendono iltitolo di “Accords sur les aspects des droits de la proprieté intellectuelle qui touchent lecommerce” o A.D.P.I.C.44 I negoziati dell’Uruguay Round iniziarono nel settembre 1986 a Punta de l’Este e siconclusero con l’accordo sottoscritto a Marrakesh il 15 aprile 1994: con essi è stato creato ilnuovo sistema internazionale per la disciplina degli scambi improntato al neoliberismo ecostituita l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I Paesi membri dell’Organizzazione sonoattualmente 146.45 L’Accordo TRIPs si presenta come un accordo appendice ( in lingua inglese “Annexe” )all’Accordo WTO, insieme ad altri tredici accordi multilaterali riguardanti il commercio dei beni,il commercio dei servizi, la risoluzione delle controversie oppure aventi ad oggetto accordicommerciali plurilaterali. Sulla materia cfr. M Blakeney, Trade Related Aspects of Intellectual PropertyRights: a concise guide to the TRIPs Agreement, Sweet and Maxwell, Londra 1996, p. 846 Per dati più precisi cfr. Accords ADPIC, Accord sur les aspects des droits de la proprietà intellectuelle quitouchent le commerce. Le droit d’auteur et les droits voisins, a cura della Commissione Europea, edizioneEur-op, 200047 Tra gli autorevoli sostenitori di questa tesi si ricordi Michael Blakeney. Sulla materia cfr.M.Blakeney, op.cit.48 Nel terzo e nel quarto capitolo del presente lavoro si analizzerà più nel dettaglio l’interventodei Trips sulla materia dei marchi e sulla disciplina brevettuale
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
28
amministrato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio49, formato dagli
accordi e dagli strumenti giuridici contenuti negli allegati I, II e III. Essi
costituiscono parte integrante dell’accordo istitutivo e di essi l’allegato I contiene
appunto l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale che riguardano
il commercio50. La necessità di un accordo di questo genere appariva infatti
sempre più chiara a chi tentasse di analizzare la situazione della proprietà
intellettuale nei diversi Stati del mondo: le disparità tra i diritti nazionali, riflesso
di approcci e filosofie differenti, sembravano un ostacolo difficile da superare;
tuttavia i negoziati dell’Uruguay Round hanno offerto l’occasione giusta per la
creazione di questo accordo attraverso il quale paesi sviluppati e paesi in via di
sviluppo hanno accettato un sistema comune di regolamentazione della materia, il
quale costituirà senza dubbio un pilastro fondamentale del sistema internazionale
negli anni a venire51.
49 OMC o WTO (World Trade Organization). Sull’argomento cfr. A.Comba, Il neoliberismointernazionale. Strutture Giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi di Bretton Woods all’OrganizzazioneMondiale del Commercio, Giuffrè, Milano 199550 Tra gli altri accordi contenuti negli allegati, controllati dall’OMC, si ricordino l’Accordogenerale sulle tariffe doganali ed il commercio comprensivo di tutte le modificazioniintervenute,il TRIM, ossia il meccanismo di esame delle politiche commerciali, l’Accordogenerale sul commercio dei servizi o GATS e tutti gli accordi commerciali multilaterali 51 Uno dei settori più delicati in ambito WTO e nello specifico in ambito TRIPs riguarda ifarmaci “salvavita”, ovvero medicinali generici per la lotta a malattie come AIDS, malaria etubercolosi che continuano ad affliggere e decimare le popolazioni di molti Paesi in via disviluppo. Il dibattito è strettamente legato alla disciplina brevettale in quanto la fornitura di talifarmaci nei Paesi privi di industrie farmaceutiche può passare solamente attraverso deroghe aldiritto dei brevetti. Un risultato importante fu raggiunto nel novembre 2001 al Vertice di Doha,nel Qatar, dove i Paesi membri sottoscrissero la “Dichiarazione di Doha”: in essa venne stabilitoil principio della priorità della salute pubblica rispetto ai diritti di proprietà intellettuale. Per unasua piena e completa realizzazione era però necessario risolvere il problema dei paesi che nonhanno la possibilità di produrre gli equivalenti dei farmaci brevettati. Alcuni Paesi, tra cuisoprattutto gli USA rimanevano scettici per la paura di eventuali triangolazioni che facesserotornare e rivendessero nei Paesi ricchi i farmaci a basso prezzo destinati ai Paesi in via disviluppo. Il 30 agosto 2003 è stato però approvato un Protocollo che esplicita queste garanzienei sui articoli, precisando che si dovrà far ricorso al sistema previsto “in piena buona fede perproteggere la salute pubblica e non per fini commerciali o industriali.” Sull’argomento e sulcontenuto del protocollo cfr. V.Cornero, Farmaci, una cura per il terzo mondo, in La Stampa, 31agosto 2003, p. 11
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
29
Questo accordo affonda le proprie radici nella Convezione di Parigi del 188352 e
quella di Berna del 1886, nell’ultima versione del 197153; adotta infatti
regolamentazioni direttamente riprese dalle sopraccitate convenzione e a queste
aggiunge norme per il rafforzamento amministrativo e giuridico dei diritti di
proprietà intellettuale nonché severe previsioni per il controllo delle frontiere
contro le eventuali infrazioni commerciali54.
L’Accordo ribadisce innanzitutto gli obblighi dell’Accordo generale
sull’Organizzazione Mondiale del Commercio con riferimento alla clausola della
nazione più favorita55 e del trattamento nazionale56; inoltre crea una normativa
che garantisca uno standard minimo di protezione dei brevetti, diritti d’autore,
marchi; infine impone agli Stati di introdurre nelle loro legislazioni interne dei
procedimenti e dei ricorsi per la salvaguardia di questi diritti, nonché sanzioni per
le violazioni più gravi, in particolare pirateria e contraffazione.
Proprio in questa maggiore severità sta, secondo Hans-Friedrich Beseler57, la
ricchezza dell’accordo: il più intransigente meccanismo di sorveglianza reciproca
dei partners obbligherà tutti gli Stati firmatari a sottostare alle medesime regole
sulle misure di apertura dei rispettivi mercati.
L’UE ha dato la sua adesione58 al WTO tramite un accordo misto: una
parte dei negoziati, riguardanti la politica commerciale, è stata gestita dai
rappresentanti della Comunità, in quanto la materia è di esclusiva competenza
comunitaria; per il resto i singoli Stati membri hanno partecipato ai negoziati e
ratificato l’accordo a titolo individuale59. Il ruolo della CE è però divenuto
52 La Convenzione ha ad oggetto la materia della proprietà intellettuale in generale e riserva unatrattazione specifica alla disciplina brevettuale53 Riguardante la disciplina della proprietà letteraria, artistica e musicale, l’ultima versione dellaConvenzione di Berna fu siglata a Parigi nel 197154 M. Blakeney, op.cit., p.555 Il rispetto della clausola della nazione più favorita è assicurato dall’articolo 4 dell’Accordo56 Il rispetto della clausola per il trattamento nazionale è assicurato dall’articolo 3 dell’Accoro57 Direttore generale della Direzione Generale del Commercio dell’OMC. Per un commento piùesteso cfr. Accords ADPIC, op.cit., introduzione58 Insieme alla Comunità Europea, centoquattordici Stati furono firmatari dell’atto finaledell’Accordo59 L’Italia ha ratificato la sua adesione all’Accordo di Marrakesh con la legge n°747 del 1994,diventando uno dei Paesi fondatori
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
30
preponderante rispetto a quello degli Stati membri, soprattutto dai negoziati del
Tokio Round del 197960. Così si ritiene da più parti61 che gli accordi dell’Uruguay
Round, che hanno visto la partecipazione della Commissione nel ruolo di
negoziatore unico, siano da considerarsi accordi “puramente comunitari”.
Meno conosciuto ma sicuramente altrettanto importante è il Protocollo 28
dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo. Lo Spazio Economico Europeo
o Economic Free Trade Area (EFTA) è stato costituito nel 1994 per creare una
zona di libero commercio tra l’UE e i Paesi europei non aderenti all’Unione,
Islanda, Norvegia e Liechtenstein62. L’Accordo in questione contiene un notevole
numero di provvedimenti in materia di proprietà intellettuale: tra essi si citino a
titolo esemplificativo l’articolo 5 che richiede come requisito agli Stati la
sottoscrizione delle più importanti convenzioni internazionali sulla disciplina63;
l’articolo 2 invece estende a questo accordo il “principio dell’esaurimento” quale
elaborato in sede comunitaria64.
1.3 LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E LA PROPRIETA’
INTELLETTUALE
Data la enorme importanza dei diritti di proprietà intellettuale nelle
economie dei Paesi membri della Comunità, il mercato comune si è dimostrato
60 Il maggior peso assunto dalla Comunità è dovuto al parere n° 1/78 del 4 ottobre 197961 U.Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, Giuffrè, Milano 1999, p. 2662 Sulla materia cfr. Tritton, op.cit., p. 23-3363 Le sette più importanti convenzioni internazionali , che l’articolo 5 richiede siano sottoscritte,sono: la Convenzione di Parigi, la Convenzione di Berna, la Convenzione di Roma,il protocollodi Madrid riguardante i marchi d’impresa, l’Accordo di Nizza concernente la classificazioneinternazionale dei prodotti o servizi ai fini della registrazione dei marchi, il Trattato di Budapestper il riconoscimento internazionale dei depositi di microrganismi e il Trattato di cooperazionein materia di brevetti (Patent Cooparation Treaty o P.C.T.)64 Per una dissertazione più approfondita del principio dell’esaurimento elaborata in sedecomunitaria si veda il paragrafo 1.4.6 intitolato “il principio dell’esaurimento comunitario”, apagina 44 del presente lavoro
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
31
poco pronto a gestire le conseguenze di tali tutele all’interno della Comunità.
Infatti troppo tardi è stato compreso fino in fondo il ruolo che tali diritti
potevano giocare, visto che essi, creati dalle legislazioni nazionali, hanno una
tendenza naturale a frammentare e dividere il mercato comune, a danno degli
obiettivi e dei principi in base ai quali la Comunità è stata creata e vive ogni
giorno.
Fu così che i redattori del Trattato, non riuscendo ad apprezzare fino in fondo
l’importanza di questi diritti, omisero di inserirvi un esplicito riferimento ad essi,
nonché una disciplina ad hoc per la loro gestione; tale mancanza, con il passare
degli anni, si è dimostrata enorme ed è a tutt’oggi resa palese dalle difficoltà del
Trattato di gestire la situazione. Nel tentativo di porre le basi per la creazione di
un mercato in cui merci e servizi potessero muoversi in tutta libertà e in cui i
comportamenti anticoncorrenziali fossero regolati e controllati, i redattori si
trovarono in difficoltà in relazione ai diritti di proprietà intelelttuale: essi infatti
sarebbero rimasti dipendenti dalle legislazioni nazionali degli Stati membri.
L’unico intervento normativo si trova negli articoli 28 e soprattutto 30 del
Trattato, che tentarono di inquadrare la convivenza tra libertà di circolazione e
proprietà intellettuale, ma che non riuscirono fino in fondo in questo ambizioso
obiettivo: tali articoli sono stati molte volte oggetto di interpretazioni
contrastanti, per la cui risoluzione la Corte di Giustizia è stata chiamata a
pronunciarsi.
1.4.1 La libertà di circolazione delle merci negli articoli del Trattato
Il Trattato di Roma prevedeva tra i suoi obiettivi più ambiziosi la
realizzazione di un mercato interno alla Comunità in cui le merci di origine
comunitaria e quelle in “libera pratica”65 sul territorio potessero circolare senza
65 Si considerano “merci in libera pratica”, ai sensi dell’articolo 24, quei beni provenienti da statiterzi quando siano stati riscossi i dazi e le altre tasse esigibili, nonché espletate tutte le formalitàrelative all’importazione, all’interno di uno stato membro. Sulla materia cfr. U.Draetta, Elementidi diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, cit., p. 18-32
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
32
restrizioni. I redattori confermarono questa volontà fin dalla Parte I66 del
Trattato, che indica quali sono i principi ispiratori della Comunità. L’articolo 3
menziona infatti, tra le azioni della Comunità, “ai fini enunciati all’articolo 2, il
divieto tra gli Stati membri, dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative
all’entrata e all’uscita delle merci come pure di tutte le altre misure di effetto
equivalente”67. Tale principio è ripreso dal successivo Titolo I della Parte III,
intitolato alle politiche della Comunità e alla libera circolazione delle merci nello
specifico.
Il Trattato prevede l’obbligo di abolire tutti gli ostacoli, anche di natura non
fiscale, che siano finalizzati a proteggere la produzione nazionale; l’articolo 2868
stabilisce infatti il divieto “[…] tra gli Stati membri, delle restrizioni quantitative
all’importazione nonché di qualsiasi misura di effetto equivalente”. La stessa
regola riguarda le esportazioni ed è sancita dall’articolo 29. Attraverso il divieto di
restrizioni quantitative si intende impedire ad uno Stato di controllare gli scambi
attraverso la determinazione delle quantità massime da importare o esportare di
un determinato bene: in questo modo infatti ostacolerebbe la libera circolazione.
Per quanto riguarda invece le misure di effetto equivalente, una loro precisa
definizione è stata ottenuta dallo sforzo congiunto di Corte e Commissione:
attraverso sentenze divenute ormai celebri nel campo del diritto comunitario69, le
istituzioni hanno indicato come misure di effetto equivalente, e quindi vietate,
tutte le azioni e i provvedimenti degli Stati adottate nei confronti degli
importatori in ragione delle norme sulle modalità di produzione e di
commercializzazione dei loro paesi d’origine a cui essi si conformano70.
66 La parte I del Trattato è intitolata ai “Principi” e comprende gli articoli dall’1 al 1667 Articolo 3 lettera a68 Già articolo 3069 Si ricordino ad esempio il caso Dassonville, causa 8/74, sentenza dell’11 luglio 1974 e il casoCassis de Dijon, causa 120/78, sentenza del 20 febbraio 197970 In base a tale definizione, le misure possono essere raggruppate in tre categorie, a secondadell’effetto restrittivo che esse possono avere sugli scambi: le restrizioni formali, le restrizionimateriali e le misure non discriminatorie o applicabili indistintamente a tutti i prodotti
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
33
L’articolo 3071 prevede esplicite deroghe a queste regole; esso recita infatti:
“le disposizioni degli articoli 28 e 29 lasciano impregiudicati i divieti o le
restrizioni all’importazione, all’esportazione o al transito giustificati da motivi di
[…] tutela della proprietà industriale e commerciale”. Tutte le motivazioni
addotte da tale articolo72 riflettono la considerazione di interessi considerati
meritevoli di tutela.
Sono stati però sollevati molti dubbi interpretativi su questo articolo: il più
ricorrente si interrogava su quale fosse il confine tra tali deroghe e le misure
imperative contemplate dalla Corte sul principio del “mutuo riconoscimento”73; è
stato chiarito che mentre queste ultime possono essere invocate solo per misure
che colpiscono indistintamente prodotti nazionali ed importazioni, le deroghe
contemplate nell’articolo 30 sono invocabili anche solo nei confronti di beni
importati da altri Paesi membri. In tal senso si espresse infatti la Corte in un caso
dell’inizio degli ’90, Aragonesa74.
La Corte di Giustizia ha più volte sottolineato la necessità di
un’interpretazione restrittiva dell’articolo 30. Possono infatti essere ammesse solo
le deroghe di cui alla dizione letterale dell’articolo; l’elencazione prevista deve
essere considerata tassativa e non si possono quindi ammettere motivazioni che
non siano incluse in essa. Sempre la Corte ha stabilito un altro importante
principio normativo nei casi Sandoz e Harpegnies75: l’articolo 30 non può essere
invocato qualora sulla stessa materia si sia già avuto un intervento comunitario di
armonizzazione, tendente a proteggere, per l’intero territorio comunitario,
l’interesse che si suppone meritevole di tutela. Infatti nel sentenza Campus Oil del
71 Già articolo 3672 Tra i motivi per i quali la deroga può essere applicata figurano: la moralità pubblica, l’ordinepubblico, la pubblica sicurezza, la tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o lapreservazione dei vegetali, la protezione del patrimonio artistico, storico o archeologiconazionale, la tutela della proprietà industriale e commerciale.73 Su tale principio cfr. G.Strozzi, Diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, Giappichelli, Torino2000, p. 36-4174 Caso Aragonesa, cause C 1/90 e C 176/9075 Caso Sandoz, causa 174/82, sentenza del 14 luglio 1983 e caso Harpegnies, causa C 400/96,sentenza del 17 settembre 1998
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
34
10 luglio 198476 la Corte ha specificato che “il ricorso all’articolo 36 [ora articolo
30] non è più giustificato quando norme comunitarie contemplino provvedimenti
necessari a garantire la tutela degli interessi menzionati in detto articolo”.
Sull’interpretazione del secondo comma dello stesso articolo 30, si
consideri l’importanza del rispetto del principio di proporzionalità. Esso recita
infatti: “Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di
discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati
membri”. Gli Stati devono perciò utilizzare la deroga di cui al primo comma
dell’articolo 30 solo per ciò che sia strettamente necessario alla tutela
dell’interesse previsto77. Spetta infine allo Stato che intende invocare una delle
deroghe previste dall’articolo 30, dimostrare l’effettiva applicabilità della norma al
caso di specie, ossia l’esistenza di un effettivo motivo di ordine pubblico, salute
pubblica o altre condizioni previste.
A proposito di ciascuna delle ipotesi configurate dall’articolo 30 si sono poste
specifiche questioni interpretative e, in modo particolare, a proposito dell’ultima
ipotesi enunciata, oggetto di attenzione in questa sede. Questo è dovuto al fatto
che la disciplina della proprietà intellettuale è ispirata al principio di territorialità e
questo, per la sua stessa natura, è contrario all’idea di mercato comune.
1.4.2 La natura territoriale dei diritti di proprietà intellettuale
La disciplina dei diritti di proprietà intellettuale, sia essa di origine
nazionale, internazionale o comunitaria, è caratterizzata dal fatto di conferire agli
aventi diritto un diritto esclusivo relativamente al territorio di competenza
dell’autorità che lo assegna. Questo permette al titolare di un diritto nel territorio
di uno Stato, ad esempio al titolare di un diritto di marchio, di opporsi
all’importazione entro i confini di quel Paese, di beni provenienti da altri Stati
76 Caso Campus Oil, causa 72/83, sentenza del 10 luglio 1984
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
35
membri e recanti un segno identico o confondibile per i consumatori. Ciò rischia
di mettere nelle mani degli Stati un potere spropositato, con cui essi potrebbero,
nel tentativo di difendere i creatori, inventori o artisti nazionali, rischiare di
frammentare il mercato interno comunitario.
La teoria classica sulla proprietà intellettuale sostiene che uno Stato
conferisce una tutela che non si estende al di là dei confini nazionali. Questa
territorialità ha due facce: da una parte questa natura nazionalistica pone dei limiti
agli stessi titolari perché impedisce loro di proteggere le loro creazioni in quei
Paesi che non le riconoscono come degne di tutela. La possibilità che uno Stato
straniero accolga la tutela di una creazione o invenzione è soggetta a
innumerevoli variabili: ad esempio alcuni Stati non conferiscono protezione ai
marchi di servizio o ad altri specifici marchi. Inoltre spesso sarà necessario per il
titolare conformarsi alle prescrizioni dello Stato in cui si vuole ottenere la
protezione, in relazione all’ottenimento del diritto78.
L’altra faccia della territorialità riguarda la distinzione tra Paesi in via di sviluppo e
Paesi sviluppati: generalmente, a causa del tipo di protezione conferita, gli autori
o gli inventori preferiranno ottenere la protezione da e in quegli Stati che
prestano molta attenzione alla materia e la tutelano con apposite e sviluppate
legislazione e giurisprudenza. Per contro, i produttori e i distributori di tali beni
preferiranno operare in Paesi più permissivi nelle loro leggi e sentenze, perché i
costi per l’acquisizione e la registrazione saranno presumibilmente più bassi e i
loro profitti più corposi. Perciò il conflitto tra Paesi sviluppati e “ricchi” di tutela
e Paesi in via di sviluppo, nonché “poveri” di diritti di proprietà intellettuale, è
inevitabile e spesso questi ultimi vengono additati come paradisi per pirateria e
contraffazione79.
A livello comunitario, il conferimento di un’esclusiva territoriale si traduce
sostanzialmente in un potere di tipo monopolistico, che impone delle restrizioni
77 Sulla materia cfr. P.Oliver, op.cit., p. 182 e ss.78 Molto spesso tra le prescrizioni figureranno la registrazione e, per i marchi, l’utilizzo deglistessi sul territorio dello Stato a cui si chiede la protezione
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
36
all’attività economica e produttiva degli altri soggetti economici. Infatti una
normativa nazionale di uno Stato membro che permetta ai titolari di diritti di
proprietà intellettuale, suoi cittadini, di impedire l’entrata di merci provenienti da
altri Stati membri, ivi recanti lo stesso tipo di tutela, provoca senza dubbio
l’erezione di alte barriere tra gli Stati e quindi insormontabili ostacoli al
commercio intracomunitario.
Si ricordi inoltre che neanche l’articolo 295 del Trattato CE80 può agire contro il
principio della libera circolazione: con esso “il Trattato lascia del tutto
impregiudicato il regime di proprietà esistente nei vari Stati membri”, ma esso
non è comunque sufficiente a sottrarre il settore della proprietà su beni
intellettuali alle regole di libera circolazione e di concorrenza.
1.4.3 Un modus vivendi tra libertà di circolazione delle merci e proprietà intellettuale
Per cercare di conciliare la libertà di circolazione delle merci con il
principio di territorialità tipico dei diritti di privativa, la Corte di Giustizia ha
elaborato nel corso degli anni una serie di principi, il cui valore è diventato
fondamentale.
Secondo la Corte, perché l’articolo 30 possa essere adeguatamente invocato
devono sussistere due condizioni. Innanzitutto tale deroga deve essere invocata al
fine di proteggere l’oggetto specifico del diritto di proprietà considerato; inoltre
essa deve risultare indispensabile per l’esercizio dello stesso diritto. Tali principi
sono stati enunciati nella sentenza Van Zuylen Frères c. Hag (Hag I), del 3 luglio
197481, mentre pochi mesi dopo la Corte ha enunciato, nell’altrettanto
importante e celebre sentenza Terrapin c. Terranova82, il principio di distinzione tra
esistenza del diritto ed esercizio dello stesso.
79 Sull’argomento e su questo conflitto cfr. A.D’Amato e D.E.Long, International Intellectualproperty Law, Kluwer law international, Londra 1997, p. 373 e ss.80 Già articolo 22281 Caso Van Zuylen Frères c. Hag ( HAG I), Causa 192/73, sentenza del 3 luglio 197482 Caso Terrapin c. Terranova, causa 119/75, sentenza del 22 giugno 1976
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
37
La giurisprudenza della Corte ha inoltre disegnato l’altra fondamentale regola,
secondo cui il diritto esclusivo del titolare sul bene immateriale è soggetto al
principio dell’esaurimento in ambito comunitario.
1.4.4 L’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale
Le deroghe contemplate dall’articolo 30 del Trattato CE, rispetto alla
regola generale di cui all’articolo 28, ed in particolare quella avente ad oggetto la
proprietà industriale e commerciale, sono per loro stessa natura soggette ad
un’interpretazione forzatamente restrittiva. Ciò significa che, in linea di principio,
tale deroga può essere invocata solamente per giustificare norme nazionali che
siano indispensabili per tutelare l’oggetto specifico dei diritti di proprietà
intellettuale.
Spetta alla Corte di Giustizia definire, per ogni diritto compreso nella dizione
“proprietà intellettuale” valevole per il diritto comunitario, quale ne sia l’oggetto
specifico. Sempre ad essa è riservato il compito di indicare quali sono i criteri di
valutazione che devono essere utilizzati per distinguere le norme nazionali
realmente indispensabili per la tutela dell’oggetto specifico, da quelle superflue a
tal fine e capaci invece di ostacolare il commercio intracomunitario. La stessa
Corte, nel corso degli anni, non ha mai tentato di sviluppare una “teoria
dell’oggetto specifico”, in riferimento ai vari diritti, che non fosse in qualche
modo legata ad un caso specifico sul quale era stata chiamata a pronunciarsi; in
modo astratto e teorico è sempre mancata una formulazione su questo
argomento83.
Alle autorità giurisdizionali ed amministrative dei vari Stati membri
spettano le conseguenti valutazioni di fatto84. Mentre infatti la Corte ha stabilito i
criteri in base ai quali valutare se le norme nazionali siano o meno indispensabili
alla tutela dell’oggetto specifico dei diritto di privativa, agli Stati compete una
83 G.Tritton, op.cit, p. 293
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
38
valutazione delle singole fattispecie, per decidere se ad esse può essere
legittimerete applicata la normativa in questione. Quest’ultimo principio di
ripartizione delle competenze è stato ideato dalla Corte stessa ed affermato nel
caso Deutsche Renault c. Audi del 199385, a proposito del titolo “Quattro” utilizzato
dalla Renault e dalla Audi per proprie vetture. La Corte affermò infatti che, in
mancanza di un’effettiva armonizzazione a livello comunitario, dovesse spettare
alle normative nazionali la determinazione dei casi e delle modalità di tutela della
proprietà intellettuale. L’autonomia del legislatore nazionale ha poi, nel corso
degli anni, trovato riscontro in altre sentenze, tra cui si citano a titolo
esemplificativo Keurkoop c. Nancy Kean Gifts BV86, riguardante la disciplina del
Benelux sui disegni ed i modelli, Basset c. SACEM87, sulla disciplina francese che
riconosceva all’autore di un’opera musicale un diritto supplementare di
riproduzione, Thetford Corporation c. Fiamma Spa88, sulla legge britannica relativa
alla novità dei brevetti “antichi”.
Secondo lo studio giurisprudenziale di Celona89, la Corte ha chiarito,
attraverso il richiamo all’oggetto specifico di un diritto, che quest’ultimo,
garantito dalle norme sulla proprietà industriale e commerciale, ha esaurito i suoi
effetti quando un prodotto è stato legittimamente messo in commercio in un
altro Paese membro, dal suo stesso titolare o con il consenso di questi. Tale
opinione è stata espressa dalla Corte nella causa tra la Music Vertrieb e l’ente
tedesco per la tutela dei diritti d’autore (GEMA), la cui sentenza è stata emessa il
20 gennaio 198190. Il caso riguardava registrazioni sonore messe in commercio
nel Regno Unito ed importate in Germania: la GEMA, società tedesca per la
protezione del diritto d’autore, agiva a tutela dei titolari di un diritto d’autore in
Germania e lamentava la differenza tra la royalty del 6.25% pagata in Gran
84 G.Tesauro, Diritto comunitario, Cedam, Padova 2000, p. 388 e C.Zanghì, op.cit. p. 28985 Caso Deutsche Renault c. Audi, causa C-317/91, sentenza 30 novembre 199386 Caso Keurhoop c. Nancy Kean Gifts BV, causa 144/81, sentenza del 14 settembre 198287 Caso Basset c.SACEM, causa 402/85, sentenza del 9 aprile 198788 Caso Thetford Corporation c. Fiamma SpA, causa 35/87, sentenza del 30 giugno 198889 G.Celona, La libera circolazione delle merci e il mercato unico europeo nella giurisprudenza, Giuffrè,Milano 1991, p. 350
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
39
Bretagna quella dell’8% dovuta in Germania; poteva il principio dell’esaurimento
impedire alla GEMA di recuperare questa differenza? La Corte, rispondendo alla
questione pregiudiziale posta dal giudice a quo, chiarì che gli articoli 30 e 3691
andavano interpretati in questo senso: l’autorità giudiziaria di uno Stato membro
non può vietare, invocando un diritto di proprietà intellettuale, che venga
importato, nel territorio del suo Stato, un bene protetto da uno di questi diritti, se
questa commercializzazione è avvenuta in modo lecito, in un altro Stato, ad opera
del titolare del supposto diritto o semplicemente con il suo consenso. Il titolare
del diritto d’autore - disse la Corte – è libero di porre il suo bene in commercio
nello Stato che vuole e nel far ciò deve essere consapevole delle differenze
esistenti che possano eventualmente arrecargli danni, ma non è per questo
autorizzato ad invocare il principio dell’esaurimento per ritenere tali discrepanze
illegittime92.
Richiamandosi ad un’affermazione della Corte sul caso Centrafarm c.
Sterling93 del 1974, Tritton94 chiarisce che l’oggetto specifico di un diritto si
traduce essenzialmente nella sicurezza di essere ricompensati. Tale affermazione
deriva dalle parole stesse della Corte, la quale affermò nella sentenza appena
richiamata, che “l’oggetto specifico consiste nell’assicurare al titolare, come
ricompensa per lo sforzo creativo concretizzatosi nell’invenzione, il diritto
esclusivo di mettere per primo in circolazione il prodotto industriale, che è
oggetto di tutela”95.
Nello specifico la Corte ha individuato l’oggetto specifico di ogni diritto di
proprietà intellettuale. In effetti, nello svolgimento delle varie sentenze
90 Sentenza sopra citata91 La Corte faceva all’epoca riferimento alla vecchia numerazione; gli articoli corrispondonorispettivamente al 28 e al 30 dell’attuale numerazione92 Si ricordi tra l’altro che questa sentenza è la prima in cui la Corte considerò espressamente ildiritto d’autore ricadente nella materia della proprietà intellettuale93 Caso Centrafarm BV and Adriaan De Peijper c. Sterling Drug Inc., causa 15/74, sentenza del 31ottobre 197494 G.Tritton, op.cit., p. 29495 Si tratta di una libera traduzione delle parole della Corte: “[…] the specific object of theindustrial property is inter alia to ensure to the holder, so as to recompense the creative effort ofthe inventor, the exclusive right to […] first putting into circulation of industrial products […]”
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
40
interessate, essa ha costituito una copiosa giurisprudenza dalla quale si possono
dedurre i caratteri di ciascuno dei più importanti diritti di privativa.
Per quanto concerne i brevetti per invenzione, in più occasioni la Corte ha
avuto modo di definirne l’oggetto specifico: esso si concretizza nella garanzia data
al titolare del diritto esclusivo di potere, a guisa di ricompensa per lo sforzo
creativo compiuto, immettere per primo il prodotto sul mercato, sia in modo
diretto che attraverso la concessione di licenze a soggetti terzi; parallelamente
esso consiste nella possibilità di opporsi alle contraffazioni. Tali definizioni si
possono ricavare dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalle sentenze
Centrafarm c. Sterling Drug96, Merck c. Staphar97, Pharmon c. Hoechst98, Allen
&Hanburys c. Generics99.
L’oggetto specifico del diritto di marchio risulta invece di più difficile
definizione; un primo riconoscimento conferisce al titolare la garanzia di un
diritto esclusivo di servirsi del marchio per la prima immissione sul mercato del
prodotto oggetto di protezione: attraverso tale garanzia il proprietario risulta
tutelato dall’azione abusiva di eventuali concorrenti che cerchino di sfruttare a
proprio vantaggio la posizione dell’impresa e la reputazione del marchio stesso.
Tale garanzia è stata conferita dalla Corte in una prima sentenza, rilevante sulla
questione, Centrafarm c. Winthrop100; in un secondo momento la Corte ha centrato
l’attenzione sulla funzione che il marchio assume a tutela del consumatore e a
garanzia della qualità del prodotto: nella sentenza Hag II101 la Corte ha
sottolineato che la funzione essenziale del marchio è quella di proteggere il
consumatore o l’utilizzatore finale da eventuali rischi di confusioni con altri
prodotti; il marchio gli consente di distinguere il prodotto che intende acquistare
da altri, aventi origine diversa, poiché rende di facile individuazione l’identità del
bene in questione. Nella stessa sentenza la Corte ha infine sottolineato che,
96 Caso sopra citato97 Caso Merck and Co. c. Staphar BV, causa 187/80, sentenza del 14 luglio 198198 Caso Pharmon c. Hoechst,Causa 19/84, sentenza del 9 luglio 198599 Caso Allen & Hambury c. Generics, causa 434/85, sentenza del 3 marzo 1988100 Caso Centrafarm BV c. Winthrop BV, causa 16/74, sentenza del31 ottobre 1974101 Caso CNL-SUCAL c. Hag (Hag II), causa C-10/89, sentenza del 17 ottobre 1990
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
41
perché il marchio possa svolgere al meglio la sua funzione, è consigliabile che
tutti i prodotti con lo stesso marchio siano stati fabbricati da un’unica impresa o
almeno sotto il suo controllo, cosicché essa possa assumersi ogni tipo di
responsabilità per la qualità dei bene prodotti.102.
Per quanto riguarda il diritto d’autore, si è già ricordato il lungo dibattito
riguardante l’appartenenza di questo e dei diritti connessi alla dicitura di cui
all’articolo 30. Appurato che le opere letterarie ed artistiche rientrano
nell’espressione “proprietà industriale e commerciale”, la Corte ha affermato che
tali opere si possono sfruttare sia mediante pubbliche rappresentazioni, che
attraverso la riproduzione e la messa in circolazione dei supporti materiali
ottenuti. Nella sentenza Warner Bros c. Christiansen103 sono state ricordate le due
caratteristiche salienti del diritto d’autore, consistenti nel diritto esclusivo di
rappresentazione e nel diritto esclusivo di riproduzione: tali diritti, ha sottolineato
la Corte, non sono minimamente intaccati dal diritto comunitario.
Con riferimento infine alla tutela dei disegni e modelli ornamentali, la
Corte si è pronunciata nella sentenza CICRA c. Renault del 1988104, dichiarando
che “la facoltà del titolare di un brevetto per modello ornamentale di opporsi alla
fabbricazione da parte di terzi, a fini di vendita sul mercato interno o di
esportazione, di prodotti che incorporano il modello o di impedire l’importazione
di siffatti prodotti che siano fabbricati senza il suo consenso in altri Stati membri
costituisce il contenuto del suo diritto esclusivo. Impedire l’applicazione della
normativa nazionale in siffatte condizioni equivarrebbe quindi a rimettere in
causa l’esistenza stessa di tale diritto”105.
Sulla base dell’oggetto specifico così individuato per ogni tipo di diritto di
privativa, la Corte ha verificato la compatibilità comunitaria delle legislazioni degli
Stati membri; gli articoli 28 e 30, sulla base delle considerazioni svolte dalla Corte,
non possono essere utilizzati per opporsi all’applicazione delle regole nazionali
102 F.Toriello, Libera circolazione delle merci, marchi recettivi e tutela del consumatore, in La nuovagiurisprudenza civile commentata, 1997, p. 871; G.Tesauro, op.cit. ,2000, p. 388103 Caso Warner Bros c. Christiansen, causa 158/85, sentenza del 17 maggio 1987, E.C.R. p. 2605104 Caso CICR c. Renault, causa 53/87, sentenza del 5 ottobre 1988, E.C.R. p. 6067
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
42
che dettano le regole per la sussistenza di un diritto di marchio o di brevetto. La
costituzione di tali diritti è infatti una prerogativa delle legislazioni nazionali, con
la conseguenza che tali normative vanno considerate rientranti nell’ambito della
deroga di cui all’articolo 30. Gli unici casi in cui il diritto comunitario può
ragionevolmente essere invocato sono quelli in cui le norme degli Stati membri
provocano discriminazioni tra prodotti nazionali e prodotti importati106.
1.4.5 La distinzione tra esistenza ed esercizio del diritto
Il primo caso su cui la Corte fu chiamata a pronunciarsi, che avesse un
diretto riferimento agli articoli 28 e 30 fu il caso Deutsche Grammophon107 del 1970.
In tale occasione la Corte per la prima volta si soffermò sulla distinzione tra
esistenza del diritto ed esercizio dello stesso, dicendo che, sebbene il Trattato non
pregiudichi l’esistenza dei diritti di proprietà intellettuale conferiti dalle
legislazioni nazionali, l’esercizio di questi diritti può ricadere entro i divieti
previsti dal Trattato stesso. Questo deriva dalla considerazione già sviluppata in
precedenza secondo cui le deroghe al principio della libera circolazione sono
ammesse fino a che esse risultino necessarie ed indispensabili per la tutela
dell’oggetto specifico del diritto di proprietà in questione.
L’esistenza del diritto si configura quindi, secondo Holyoak e
Torremans108 come un elemento positivo, mentre l’uso che è fatto dello stesso,
ossia il modo in cui è utilizzato, può essere sia lecito che illecito e quindi
costituire un abuso. Per distinguere gli usi legittimi da quelli abusivi e quindi
vietati di un diritto, la Corte ha specificato che deve essere tenuto in
considerazione ciò che è necessario perché il diritto possa adempiere al suo
105 Punto 11 della sentenza sopra citata106 Sulla materia dell’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale, oltre alla bibliografiacitata in nota, cfr. G.Strozzi, Diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, op.cit., p. 41 e ss; T.Prime,op.cit., p. 6 e ss.; J.Holyoak e P. Torremans Intellectual property law, Butterworth, Londra 1998, p.105 e ss.107 Si tratta del caso Deutsche Grammophon GmbH c. Metro-SB-Grossmarkte &Co., Causa 78/70,sentenza dell’8 giugno 1971, E.C.R. p. 487
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
43
scopo, ossia l’oggetto specifico. Ogni uso del diritto che non sia ricompreso nella
definizione di “oggetto specifico” costituisce un abuso e non può essere
ricondotto alla deroga di cui all’articolo 30.
Tale dottrina, che è stata sviluppata in relazione a ciascun tipo di diritto di
privativa che si intendeva proteggere, è stata fortemente criticata da alcuni autori,
tra cui Tritton109 e Beier. Secondo costoro infatti, proibire determinati usi fatti di
un diritto si tradurrebbe in uno svilimento della parte essenziale del diritto e
costituisce quindi un attacco alla stessa esistenza del diritto. Perciò l’aver
introdotto tale distinzione da parte della Corte sarebbe stato sbagliato oltre che
inutile. L’esistenza di un diritto perderebbe totalmente la sua efficacia se il titolare
dello stesso è vincolato nel suo esercizio.
1.4.6 Il principio dell’esaurimento comunitario
Una terza regola disegnata dalla giurisprudenza della Corte, nel corso degli
anni, riguarda il principio di esaurimento a cui i diritti di privativa sono soggetti
in ambito comunitario110. Tale principio fu per la prima volta messo a punto dai
giudici della Corte con riferimento alla materia brevettuale, all’inizio degli anni
‘70, per trovare poi un ufficiale riconoscimento negli articoli 5 e 7 della direttiva
89/104111, riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in
materia di marchi di impresa. Lo stesso principio è stato traslato ed utilizzato
successivamente non solo in materia di marchi, ma anche di diritto d’autore; in
particolare l’applicabilità dell’esaurimento comunitario ai marchi d’impresa è stata
108 J.Holyoak e P.Torremans, op.cit., p. 107109 G.Tritton, op.cit.,p. 291 110 Cfr. P.Pettiti, Il principio di esaurimento del marchio, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generaledelle obbligazioni, 1999, volume I, p. 241111 La Direttiva 89/104, emanata dal Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 1988, intitolata al“Ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi di impresa”, èconsultabile sulla Gazzetta Ufficiale n° L040 del 11 febbraio 1989
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
44
sancita dal Regolamento 40/94112 sul marchio comunitario, all’articolo 3. In Italia
infine tale principio è stato recepito con il decreto legislativo n° 480 del 1992.
Già nelle sentenze Deutsche Grammophon113 e Centrafarm c. Sterling &
Winthrop114 la Corte sottolineò con enfasi un aspetto: una volta che un prodotto
protetto sia messo in circolazione sul territorio di un altro Stato membro dal
titolare del diritto o con il suo consenso, l’articolo 30 non può più essere
invocato, né il titolare può utilizzare il suo diritto per prevenire l’importazione di
quel bene dall’altro Paese. In particolare, chi ha acquistato il prodotto può
liberamente esportarlo e rivenderlo in un altro Stato membro, senza che occorra
nessuna specifica autorizzazione da parte del titolare, anche se quest’ultimo nel
Paese destinatario abbia affidato a terzi, che agiscono in qualità di esclusivisti, la
commercializzazione dello stesso bene.
L’importanza pratica del principio risulta evidente dalla schema esemplificativo
proposto da Ghidini e Hassan115. Un’impresa X vende un determinato prodotto
nello stato A al prezzo di 100 e nello stato B al prezzo 80. Entrambi i beni sono
contraddistinti dallo stesso marchio , il quale è stato registrato dall’impresa X sia
in uno che nell’altro Paese. Se un'altra impresa, chiamata Y, acquista il prodotto
nel Paese B al prezzo di 80 e lo rivende in A a 90, effettua ciò che viene
normalmente denominata “importazione parallela”, con un guadagno di 10.
Anche se l’impresa X non ha mai autorizzato tale vendita nel suo Paese da parte
di Y, essa non potrà invocare il suo diritto di marchio, impedendo così
l’importazione, perché il suo diritto si è esaurito con la vendita fatta a Y e agli altri
consumatori nel paese B.
Tritton116 definisce questa teoria “dottrina del consenso” e la affianca alla
più nota e diffusa “dottrina dell’esaurimento” secondo la quale il titolare esaurisce
112 Il Regolamento 40/94 del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, è consultabile sullaGazzetta Ufficiale n° L011 del 14 gennaio 1994113 Sentenza sopra citata114 Sentenza sopra citata115 G.Ghidini e S.Hassan, Diritto industriale e della Concorrenza nella CE, Ipsoa Scuola d’Impresa,Milano 1991, p. 230116 Ivi, p. 295
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
45
il suo diritto quando abbia piazzato il suo bene o abbia dato il suo consenso a che
il suo prodotto sia commercializzato in un altro Stato membro117.
Si tratta di una dottrina richiamata innumerevoli volte dalla Corte nelle sue
sentenze e perciò considerata a tutti gli effetti incontestabile. A titolo generico
con essa si evita che il titolare di un diritto possa trarre beneficio dalla protezione
di uno stesso bene più di una volta.
Le leggi nazionali in materia di proprietà intellettuale in genere non
dispongono di un principio dell’esaurimento e non prevedono quindi che il
diritto si esaurisca con la commercializzazione del bene in un altro Stato. Ciò
conferisce un enorme potere ai titolari di ostacolare la libera circolazione delle
merci, attraverso la costituzione di diritti paralleli nei diversi stati. Per evitare
quindi una compartimentazione dei mercati all’interno della Comunità interviene
questo principio118.
La Corte ha specificato la portata di tale dottrina in riferimento ai vari
diritti di privativa e in alcuni casi il principio ha conosciuto una notevole
evoluzione, specialmente con riferimento al ruolo del consenso dell’avente
diritto.
In materia di brevetti, se il prodotto è stato messo in commercio nel territorio di
un altro Stato senza il consenso del titolare, il principio dell’esaurimento non
risulta applicabile. Tale ipotesi si verificò ad esempio nel caso Pharmon119, risolto
dalla Corte nel 1985: nella sentenza la Corte affermò che gli articoli 28 e 30 non
vietano normative nazionali che permettano ai titolari di brevetti di opporsi alla
commercializzazione di un bene prodotto in virtù di una licenza obbligatoria.
Questo perché con l’attribuzione ad un terzo di una licenza obbligatoria, il
117 Si tratta sostanzialmente di due facce della stessa medaglia: nella prima dicitura si sottolinea lanecessaria condizione a che l’avente diritto abbia dato il suo consenso alla commercializzazionedel bene nel Paese straniero; con la seconda dicitura ci si sofferma invece sulla conseguenza delconsenso stesso, ovvero l’esaurimento. Si farà di seguito riferimento alla sola dicitura “dottrinadell’esaurimento”118 J.Holyoak e P.Torremans, op.cit., p. 109119 Sentenza sopra citata
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
46
titolare perde la facoltà di decidere sulle modalità di commercializzazione del suo
bene.
Nel caso Merck120 la problematica riguardava invece la non brevettabilità del bene
in uno Stato membro in cui il titolare aveva deciso di commercializzare il
prodotto: nella fattispecie si trattava di un prodotto farmaceutico, coperto da
brevetto in Olanda e commercializzato dal suo titolare in Italia, dove però nessun
tipo di protezione era accordata dalla normativa vigente; la Corte affermò che il
titolare olandese, avendo dato il suo consenso alla vendita in Italia, non avrebbe
potuto opporsi all’importazione dall’Italia in Olanda dello stesso prodotto121.
In tema di opere letterarie ed artistiche la situazione è diversa e il principio
dell’esaurimento non trova una piena e completa applicazione. Queste opere
infatti possono essere sfruttate non solo attraverso la vendita, ma anche con altri
sistemi, tra cui il noleggio. Poiché la riscossione dei diritti d’autore in base alle
vendite non remunera adeguatamente il creatore, è lecita ed auspicabile una
normativa che riservi all’autore una parte dei profitti realizzati con il noleggio.
Questo principio è stato formalizzato alla fine degli anni ’80 nel caso Warner
Brohers122.
In materia di marchi d’impresa la disciplina ha conosciuto una sensibile
evoluzione e la sua analisi risulta alquanto complessa.
Il primo orientamento della Corte, espresso nel caso Hag I123, vedeva il principio
dell’esaurimento collegato alla sola origine comune del prodotto, mentre non si
considerava il carattere volontario o meno della cessione. Sia nel caso il titolare
avesse acconsentito alla commercializzazione del bene in un altro Stato, sia nel
caso in cui questa fosse avvenuta in seguito ad un provvedimento di confisca o di
cessione autoritativa, il principio dell’esaurimento avrebbe trovato applicazione.
Nelle motivazioni la Corte disse: “è quindi inammissibile che il carattere esclusivo
del diritto di marchio […] sia fatto valere dal titolare di un marchio al fine
120 Sentenza sopra citata121 Sulla materia cfr. Tritton, op.cit., p. 298122 Sentenza sopra citata123 Sentenza sopra citata
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
47
d’impedire la distribuzione in uno Stato membro di merci legalmente prodotte
sotto un marchio identico, avente la stessa origine, in un altro Stato membro”124.
L’orientamento cambiò alcuni anni più tardi e la Corte, nella sentenza del caso
Hag II125 precisò che, se la partizione di più diritti di marchio aventi origine
comune era avvenuta senza il consenso dell’avente diritto, questi si poteva
opporre all’importazione di beni prodotti con marchio uguale e confondibile. Il
perché di questo mutamento di posizioni fu spiegato dalla Corte attraverso una
diversa valutazione della funzione del marchio: essa,si disse, consiste nel dare al
consumatore un’indicazione chiara e precisa sull’origine del prodotto e al
produttore un controllo ed una responsabilità univoca sulla qualità dello stesso.
Infine negli anni ’93 ci fu un’ulteriore inversione di tendenza, con le sentenze
Ideal Standard126 e Christian Dior127: poiché si è considerata fondamentale la perdita
del controllo sulla qualità del bene da parte del titolare, si è affermato che il
principio si applica in tutti i casi, indipendentemente dalla consensualità del
titolare originario alla commercializzazione del prodotto in un altro Stato
membro. Ne deriva che il principio si applica se il nuovo titolare appartiene allo
stesso gruppo dell’avente diritto originario; se invece quest’ultimo dimostra
l’avvenuta alterazione o modificazione del bene può legittimamente opporsi
all’importazione, applicando quindi il principio dell’esaurimento comunitario128.
Questa copiosa giurisprudenza ha trovato riscontro nell’articolo 7 della
Direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni in materia di marchi129: essa ha lo
stesso scopo dell’articolo 30 del Trattato e mira a coniugare la tutela del marchio
con la libera circolazione delle merci. Con la Direttiva si vuole evitare che gli Stati
riescano, con regole unilaterali sull’esaurimento del marchio, a frammentare il
124 Punto 12 della sentenza sopra citata125 Sentenza sopra citata126 Caso IHT Internazionale Heinztechnich GmbH c. Ideal Standard GmbH, causa C-9/93, sentenza del22 giugno 1994127 Caso Christian Dior, causa C-337/95, sentenza del 4 novembre 1997128 Sulla materia cfr.T.Prime, op.cit., p. 9 e ss.; G.Tesauro, op.cit., p. 394 e ss.; G.Strozzi, Dirittodell’Unione Europea. Parte Speciale, op.cit., p. 49 e ss.
LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
48
mercato dei beni e dei servizi. Pertanto l’interpretazione esatta della direttiva
porta a sostenere che un titolare di marchio può opporsi all’importazione di
prodotti commercializzati in Paesi terzi con denominazione identica o
confondibile, solo se attraverso questa azione non incide sull’unicità del
mercato130.
129 Direttiva 89/104 CEE del 21 dicembre 1988130 L’esatta interpretazione della direttiva è stata data dalla Corte nei casi Silhouette, causa C-355/96,sentenza del 16 luglio 1998 e Sebago e Dubois, causa C-173/98, sentenza del 1 luglio 1999
2. L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA
GIURISPRUDENZA
2.1 INTRODUZIONE ALLLO STUDIO DELLA GIURISPRUDENZA
Nei paragrafi precedenti la citazione di alcune delle più note sentenze sulla
materia della proprietà intellettuale ha preannunciato il tema che verrà trattato in
questo secondo capitolo. Appare in tutta la sua chiarezza, a chiunque si avvicini a
questa disciplina, che il ruolo giocato dalla giurisprudenza nel corso degli anni è
stato fondamentale e senza di esso l’Europa non avrebbe potuto raggiungere il
livello di integrazione tanto avanzato che oggi noi conosciamo, in materia di
marchi, brevetti o diritto d’autore.
Per questa semplice ragione non sarà fuori luogo dare uno sguardo alla
giurisprudenza della Corte di Giustizia che, a partire dagli anni ‘70, si è espressa
con alcune sentenze molti importanti relative ai diritti di esclusiva ed evidenziare
gli orientamenti seguiti dai giudici comunitari verso la lotta ad una protezione
territoriale assoluta e tendenti a vietare l’esercizio di diritti di proprietà industriale
riconosciuti dai legislatori nazionali.
In altri termini la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha contribuito in
maniera essenziale alla formazione di un vero e proprio sistema comunitario dei
diritti di proprietà intellettuale, attraverso il superamento del contrasto tra
l’esistenza del mercato comune ed i diritti di privativa nazionali: questo
superamento si concretizza sostanzialmente nello sgretolamento del contenuto
dei diritti nazionali e nella riaffermazione dei principi fondamentali del Trattato,
quali voluti ed espressi dai padri fondatori.
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
51
Senz’altro tale giurisprudenza non può considerarsi perfetta, ma fino ad ora ha
saputo dimostrarsi duratura e flessibile ed ha permesso una risoluzione sensibile e
realistica di molti problemi.
Il punto di partenza fu considerare l’esistenza del problema: la Corte lo ammise
francamente nel caso Parke, Davis c. Centrafarm del 1968131:
“The national rules relating to the protection of industrial property have not
yet been unified within the Community. In the absence of such unification,
the national character of the protection of industrial property and the
variations between the different legislative systems on this subject are capable
of crating obstacles both to the free movement of goods and to the competition
within the Common Market”132.
2.1.1 Rinvii pregiudiziali e tutela della proprietà intellettuale
Come si avrà modo di constatare nel corso della trattazione, nella maggior
parte dei casi le pronunce della Corte sono intervenute a seguito di ricorsi
pregiudiziali, previsti dal Trattato CE all’articolo 234133: alla Corte infatti la
Comunità affida il compito di dare un’interpretazione uniforme del diritto
comunitario, per evitare che lo stesso, adattandosi ad ordinamenti interni
differenti, venga interpretato in maniera difforme dai giudici nazionali134. Le
131 Parke, Davis c. Centrafarm, causa 24/67, sentenza del 1968. Sul tema vedi anche i casi SirenaSRL c. EDA SRL del 1971, Keurkoop c. Nancy Kean del 1982 e Thetford c. Fiamma del 1988 (tuttesentenze già citate)132 “Le regole nazionali riferite alla proprietà industriale non sono ancora state unificateall’interno della Comunità. In assenza di tale unificazione, il carattere nazionale della protezionedella proprietà industriale e le differenze tra i vari sistemi legislativi sulla materia sono capaci dicreare ostacoli sia alla libera circolazione dei beni, sia al regime di concorrenza all’interno delMercato Comune”133 Già articolo 177134 L’articolo 234 recita: “la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a)sull’interpretazione del presente trattato, b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiutidalle istituzioni della Comunità e dalla BCE, c) sull’interpretazione degli statuti degli organismicreati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi. Quando una questione del
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
52
funzioni assolte dai giudizi pregiudiziali sono quindi di fondamentale importanza:
contribuiscono alla “correttezza” delle sentenze dei giudici nazionali e
promuovono un’interpretazione ed un’applicazione uniforme della legge UE nei
quindici Stati membri135.
Tale controllo “indiretto” sulla corretta interpretazione del diritto comunitario
interviene attraverso un meccanismo di cooperazione giudiziaria tra il livello
giurisdizionale nazionale e quello comunitario: se, nel corso di un giudizio
pendente di fronte ad una giurisdizione nazionale136, il giudice ritiene necessario
l’intervento interpretativo della Corte su una norma comunitaria137, quest’ultima
sarà obbligata ad emettere una pronuncia secondo l’autentica interpretazione del
diritto, a cui il giudice a quo dovrà necessariamente conformarsi. Tra i giudizi
interpretativi che vengono richiesti con maggiore frequenza, figurano quelli
riguardanti la compatibilità di norme nazionali con il diritto comunitario. Tale
genere di giudizio può altresì essere richiesto dalla Commissione o da un altro
Stato membro138.
Grazie alle pronunce derivanti da questi ricorsi, la Corte è riuscita ad avere
un impatto molto significativo sui contenuti della legislazione UE, rafforzando ed
genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può,qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandarealla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere èsollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioninon possa proporsi un ricorso pregiudiziale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta arivolgersi alla Corte di Giustizia”135 Per un’analisi più approfondita dell’articolo 234 e del sistema dei ricorsi pregiudiziali cfr.M.Ardenas, Artiche 177, references to the European Court: policy and practice, Butterworths, Londra1994 e P.Pescatore, Il rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 177 del trattato Cee: la cooperazione tra la Cortee i giudici nazionali, a cura della Commissione Europea, 1986136 Se ci si interroga, chiedendosi chi abbia la facoltà di ricorrere alla Corte in via pregiudiziale, cisi ritrova di fronte ad un dualismo storico tra regola e prassi: in teoria solo il giudice nazionale diultima istanza sarebbe autorizzato a rivolgersi all’istituzione comunitaria; la prassi però ci mostracome spesso e volentieri siano i giudici di primo grado ad inoltrare la richiesta. Si ricordi chesono ammesse al ricorso anche le Associazioni Nazionali di Categoria137 L’oggetto del ricorso può essere indistintamente una questione relativa all’interpretazione deltrattato o di un qualsiasi atto comunitario, dove per atto comunitario si intende un qualsiasi attoemanato da una delle istituzioni della Comunità. I trattati conclusi in sede internazionale dallaCommissione, nel suo ruolo di rappresentante e negoziatore esterno della Comunità, possonoessere oggetto di ricorso in via pregiudiziale
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
53
ampliando le competenze politiche dell’Unione, soprattutto quelle riguardanti il
Mercato Unico. La proprietà intellettuale è un tipico esempio in questo senso e
testimonia la notevole influenza che la giurisprudenza ha saputo ottenere nella
storia dell’integrazione.
Alcuni autori139 però sottolineano la non totale indipendenza della Corte: essa
infatti non può da sola elaborare una politica nel pieno senso della parola perché
necessita di una base legislativa o di un trattato su cui agire; Wincott sostiene che
senz’altro le sentenze della Corte hanno avuto un peso da non sottovalutare su
molte delle politiche dell’UE; ma spesso l’impatto più importante non è stato
tanto diretto quanto piuttosto “uno stimolo a ulteriori interventi legislativi”.
Nel caso della proprietà intellettuale, la Corte ha valutato i casi che le
venivano sottoposti dai giudici nazionali sulla base degli articoli del Trattato
CE140: in particolare la maggior parte delle richieste hanno avuto ad oggetto gli
articoli 28 e 30 del Trattato, riguardanti le restrizioni quantitative alla libertà di
circolazione delle merci; molte altre hanno impegnato la Corte in complesse
pronunce attinenti la materia della concorrenza141, dettata dagli articoli 81 e
138 Cfr. G.Ghidini e S.Hassen, op.cit., p. 62139 D.Wincott, The Court of Justice and the Legal System, in L.Cram, D.Dinan, N.Nugent (a cura di),Developments in the European Union, Basingstoke, Londra 1999140 Si faccia riferimento al paragrafo 1.4.1 intitolato alla “Libertà di circolazione delle merci negliarticoli del trattato”141 La politica di concorrenza è il terzo pilastro del Mercato Unico. Le norme basilari sullaconcorrenza sono specificate negli articoli dall’81 all’89 del Trattato CE, già articoli 85-94 TCE,e presentano tre aspetti principali, riguardanti gli accordi tra imprese, gli abusi di posizionedominante e gli aiuti concessi dagli Stati. In base all’articolo 81 sono vietati , perchéincompatibili con il mercato comune, tutti gli accordi di imprese, tutte le decisioni diassociazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio traStati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il giocodella concorrenza all’interno del mercato comune. In base all’articolo 82 è vietato losfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercatocomune o su una parte sostanziale di questo. Ed infine l’articolo 87 proibisce gli aiuti concessidagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, che favoriscono talune impreseo produzioni che falsano la concorrenza. Tutti questi divieti stabiliti dal Trattato sono statiprecisati dalla successiva legislazione CE/UE, perlopiù in forma di provvedimenti legislativi delConsiglio e sentenze della Corte. Tutto ciò si è dimostrato ovviamente indispensabile per unbuon funzionamento di un mercato aperto ed integrato. La proprietà intellettuale è stata spesso
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
54
seguenti del Trattato CE; più spesso ancora le due materie si sono presentate
unite nelle questioni pregiudiziali poste dai giudici nazionali.
A testimonianza della probabile correttezza della tesi di Wincott, le
pronunce della Corte hanno spronato le altre istituzioni comunitarie ad un più
attivo e produttivo intervento legislativo sulla materia, che verrà analizzato nello
specifico nei capitoli seguenti. A titolo esemplificativo si ricordi che gli atti
istituenti l’ormai famoso marchio comunitario, tra cui l’importante Regolamento
40/94, sono intervenuti a seguito di molte pronunce dei giudici comunitari sulla
materia dei marchi, le quali hanno probabilmente avuto il merito di portare
all’attenzione di Consiglio, Commissione e Parlamento Europeo il problema,
nonché di spianare la strada ai successivi atti legislativi.
2.1.2 Vari percorsi per un’analisi giurisprudenziale
L’analisi giurisprudenziale che si intende fare in questo secondo capitolo
può seguire varie direttrici, a seconda di quali elementi si vogliono sottolineare.
Ovviamente sarà impossibile dar conto di tutte le sentenze che hanno contribuito
collegata al problema della concorrenza perché in più occasioni si è ritenuto che l’esercizio di undiritto di privativa potesse configurarsi come un accordo o più spesso, come un abuso diposizione dominante. La Corte si è dovuta spesso pronunciare sulle relazioni tra le due disciplinee ha ripetutamente stabilito che l’esercizio di un diritto di proprietà industriale può incorrere nelrigore dell’articolo 85 (ora articolo 81) quando costituisca l’oggetto, il mezzo o il risultato di unapratica restrittiva. Allo stesso modo l’esercizio di tale diritto non costituirà di per sé un abuso diposizione dominante: perché lo sia il titolare dovrà avere una posizione dominante sul mercato osu una parte considerevole di esso, dovrà fare un uso improprio del suo diritto e dovrà potersiconsiderare responsabile di danneggiare il commercio intracomunitario. Sulla materia cfr, P.Oliver, op.cit., p. 8.128. Sul rapporto tra concorrenza e proprietà intellettuale cfr. T.Prime,Intellectual property and the EC Treaty Licensing and the European Competition Rules, in op.cit., p. 29. Ingenerale sul regime comunitario di concorrenza cfr. G.Benacchio, Diritto Privato della ComunitàEuropea - Fonti, modelli, regole, CEDAM, Padova 1998, capitolo dodicesimo, p. 453; AA.VV.,Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario, Giuffrè, Milano 1996; G.Bernini, Un secolo di filosofiaantitrust, Il Mulino, Bologna 1991; Alessi e Olivieri, La disciplina della concorrenza e del mercato,Giappichelli, Torino 1991; Ritter, Braun, Rawlinson, EEC Competition Law. A Practitioner’s guide,Kluwer, Deventer, 1991
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
55
a tracciare l’evoluzione della materia, visto l’enorme numero di casi142 sui quali la
Corte è stata chiamata a pronunciarsi, che avessero attinenza con i diritti di
privativa.
Sarà necessario scegliere se adottare lo stile analitico di uno studioso piuttosto
che quello suggerito da altri cultori della materia.
Celona143, ad esempio, per ogni argomento relativo alla proprietà
intellettuale, sceglie un caso che gli pare particolarmente significativo e alla luce
delle conclusioni della Corte in tale sentenza illustra il tema. Perciò sceglie la
sentenza Centrafarm c. Sterling Drug144 per addentrarsi nella materia dell’identità del
prodotto importato e del prodotto nazionale che si vorrebbe tutelare145 oppure la
sentenza Van Zuylen c. HAG146 per affrontare il tema dell’esercizio del diritto di
marchio. Anche Cornish147 utilizza un metodo espositivo simile: affronta il
difficile contrasto tra libertà di circolazione delle merci e proprietà intellettuale
suddividendolo in più parti, ognuna corredata dalle conclusioni della Corte nelle
più celebri sentenze; le parti, dopo una prima sezione introduttiva e generale148,
si concentrano sulla validità di brevetti, copyright e altri diritti contro le
appropriazioni indebite149, sulla liceità del diritto di marchio150, sulla libera
142 Per avere un’idea sull’enorme mole di lavoro della Corte si consideri che nell’anno 1999 lastessa ha avuto un’attività generale comprendente ricorsi pregiudiziali, ricorsi diretti, appelli,pareri e delibere ed infine procedimenti speciali. Per quanto concerne i ricorsi pregiudiziali laCorte ha sentenziato in 192 casi, si è vista sottoporre 255 nuove azioni, cosicché i casi in corsoal 31 dicembre del 1999 risultavano essere 476. La fonte di tali dati è: Corte di Giustizia,Statistiche sull’attività svolta nel 1999.143 G.Celona, op.cit., p. 321144 Sentenza sopra citata145 Sull’argomento cfr. G.Celona, L’identità del prodotto e i suoi effetti sulla validità e la tutela del marchio,in Riv. Dir. Int. 1988, p. 345146 Sentenza sopra citata147 W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, Third edition, Sweet & Maxwell, Londra1999, p. 524 148 La prima parte, sotto il titolo “General”, annovera sentenza tra le quali Consten and Grundig c.E.C. Commission, cause C-56/64 e 58/64, sentenza del 13 luglio 1966, E.C.R. p. 429; DeutscheGrammophon c. Metro-SB-Grossmarkte del 1971; Centrafarm c. Sterling Drug e Centrafarm c. Winthropdel 1974149 La seconda parte, chiamata “Application to patents, design, copyright and other rights againstmisappropriation”, comprende tra le altre le sentenze Musik Vertrieb Membran c. GEMA del 1981 eThetford c. Fiamma del 1988
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
56
prestazione dei servizi correlata alla proprietà intellettuale151 ed infine
sull’applicazione delle regole di concorrenza ai diritti di privativa152. Per ognuna si
fa riferimento alle sentenze più note nonché più significative e alla modalità di
risoluzione proposta dai giudici comunitari.
Altri autori153 hanno scelto come oggetto del loro studio le sentenze della Corte
riguardanti la materia della proprietà intellettuale e strettamente legate alla tutela
della concorrenza da parte delle istituzioni comunitaria. Essi considerano i diritti
di proprietà intellettuali come semplici barriere al commercio ed in quanto tali li
definiscono anticompetitivi. Tutto il loro studio è basato sulla ricerca delle
sentenze nelle quali la Corte ha stabilito la superiorità delle norme a tutela della
concorrenza su quelle a difesa dei diritti di proprietà intellettuale.
Altri autori154 si concentrano sulle sentenze più significative in materia di marchi
piuttosto che di brevetti. All’interno della sfera giurisdizionale della proprietà
intellettuale il loro studio può essere considerato monotematico perché il loro
intento dichiarato è quello di scindere i vari aspetti o temi di un unico settore
giuridico.
In questa sede invece si tenterà di affrontare in modo organico il tema
della proprietà intellettuale, scegliendo tra le sentenze più importanti quelle utili
ad illustrare l’evoluzione della materia verso un puntuale intervento legislativo. Le
sentenze Centrafarm, Hag I e II, Ideal Standard sono infatti unanimemente
riconosciute come le più significative in questo settore, perché in esse la portata
delle pronunce è stata senza dubbio rivoluzionaria. Saranno utilizzate, senza
distinzione, sentenze vertenti su problematiche relative a marchi, piuttosto che a
150 La terza parte, intitolata a “ Application to trade mark and related cases”, cita le sentenze Sirena c.del 1971 e IHT c. Ideal Standard del 1994151 Questa sezione, dedicata a “Free provision of service and Intellectual Property”, utilizza il caso Coditelc. Ciné Vog, causa 62/79, sentenza del 1980 152 Quest’ultima parte, “Application of rules of competition to intellectual property”, comprende tra lesentenze RTE and ITP c. E.C. Commission, causa C 241/91, sentenza del 1995 e Nungesser andEisele c. E.C. Commission, causa 258/78, sentenza del 1982153 V. Korah, Cases and Materials on EC Competition Law, Hart Publishing, Oxford 1997
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
57
brevetti o diritti d’autore, ma anche sentenze ufficialmente rientranti nel tema
della concorrenza, laddove risulti necessario ad illustrare l’iter giurisprudenziale.
2.1.3 L’evoluzione della giurisprudenza in tre fasi
L’obiettivo è quello di illustrare le varie fasi che la giurisprudenza ha
attraversato, a partire dalle prime pronunce della fine degli anni ‘60. Sono infatti
individuabili tre differenti fasi, caratterizzate ognuna da un preciso orientamento
dei giudici comunitari. Si tratta ovviamente di cambiamenti lenti e progressivi, che
non è possibile far coincidere con una data precisa o con una determinata
pronuncia della Corte. Ma sono comunque mutamenti ravvisabili attraverso uno
sguardo d’insieme alle sentenze su questo tema. In ogni fase infatti, la Corte si è
espressa in più occasioni sull’argomento, ma è in una o due sentenze più
significative che l’orientamento ha trovato consistenza, per essere eventualmente
confermato e precisato in altre pronunce della stessa fase. Così la centralità della
sentenza Hag I nella prima fase non è messa in dubbio da alcuno studioso, poiché
in essa la Corte ha definito l’orientamento che ha mantenuto sostanzialmente
intatto per una quindicina d’anni, fino alla successiva pronuncia, denominata Hag
II. Saranno quindi queste le sentenza scelte a rappresentare ogni fase in questo
lavoro, cosicché da esse sia facilmente individuabile l’evoluzione
giurisprudenziale. Altre sentenze, appartenenti alla stessa fase, saranno
eventualmente utilizzate per confermare l’orientamento espresso nella sentenza
più celebre.
Simbolicamente si può far iniziare questa evoluzione giurisprudenziale con
la sentenza Grundig-Consten155 del 1966: in tema di contratto di licenza la Corte
affermò che l’ordinamento comunitario della concorrenza nega che possa essere
154 F.Benussi, Il Marchio Comunitario, Regolamento CE n° 40/94 del Consiglio del 20 dicembre 1993,Regolamento CE n° 2868/95 della Commissione del 13 dicembre 1995, Regolamento CE n° 2869/95 dellaCommissione del 13 dicembre 1995, Giuffrè, Milano 1996, p. 5 e ss.
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
58
sfruttato qualsiasi ordinamento nazionale relativo ai marchi di impresa al fine di
eludere le norme comunitarie in materia di intese156. Al termine di questa prima
fase157, di cui la sentenza citata segna l’inizio e a cui appartengono altri noti casi
come Sirena-Novimpex158, Hag159, Centrafarm-Winthrop160, Terrapin c. Terranova161, la
Commissione e la Corte giunsero a stabilire che il titolare di un diritto di privativa
in un Paese della Comunità non potesse in certi casi opporsi all’importazione, da
un altro Paese membro, di un altro bene legittimamente protetto dalla stessa
tutela. La prima fase era caratterizzata dal fatto che tale conclusione si estendeva
indistintamente a tutti i casi in cui il titolare del diritto era lo stesso, sia nel Paese
di esportazione che in quello di importazione, ovvero ai casi in cui il titolare del
Paese importatore avesse acconsentito a tale importazione. Anche ai casi
rientranti nella cosiddetta ipotesi dell’“origine comune”162 veniva estesa la
suddetta conclusione.
In questa prima fase figura tra le più significative sentenze quella riguardante la
società Hag, del 1974163, in cui la Corte ha riaffermato la inammissibilità che
l’esclusiva di un diritto di marchio, fondata sulla territorialità della legge
nazionale, possa essere utilizzata al fine di opporsi alla distribuzione in un Stato
membro di beni esportati da un altro Paese della Comunità con un marchio
identico avente origine comune.
155 Caso Consten & Grundig c. E.C. Commission, cause riunite C-56/64 e C-58/64, sentenza del 13luglio 1966156 Già da questa prima causa appare chiaro che spesso il legame tra proprietà intellettuale econcorrenza è tale da far sì che i casi non possano essere fatti rientrare univocamente in unosolo dei due ambiti157 Senza la pretesa di indicare con precisione una data di inizio ed una di fine per questa primafase, si possono assumere come limiti temporali della stessa gli anni ’70 e ’80, fino alcambiamento di rotta segnato dalla Hag II del 1989158 Caso Sirena S.R.L. c. Eda S.R.L., causa 49/70, sentenza del 18 febbraio 1971159 Sentenza sopra citata160 Sentenza sopra citata161 Sentenza sopra citata162 Tale ipotesi si verifica allorquando il diritto sia esercitatile nel Paese di esportazione da unterzo, ma sia originariamente appartenuto ad un unico titolare. Non importa che l’originariadivisione sia stata volontaria, attraverso un’alienazione da parte dell’originario avente diritto, oimposta da una pubblica autorità163 Sentenza sopra citata
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
59
All’inizio degli anni ‘90 un altro caso ebbe come protagonista la società
tedesca Hag: la sentenza che ne sortì, denominata Hag II164, segna l’inizio
simbolico della seconda fase dell’iter giurisprudenziale in esame165. In essa la
Corte sembrò cambiare il proprio orientamento, consentendo al titolare di un
diritto di privativa di opporsi all’importazione nel suo Paese di appartenenza e da
un altro Stato comunitario, di beni che, pur recando legittimamente il segno per
la loro commercializzazione, non fossero stati messi in commercio dal titolare del
Paese importatore o con il suo consenso. Ciò significava che se i beni erano stati
posti in commercio nel Paese d’esportazione da un soggetto terzo e senza il
consenso del titolare del Paese importatore, costui poteva legittimamente opporsi
all’importazione di tali prodotti; cessava di rilevare l’eventuale origine comune dei
due diritti.
La sentenza Hag II riguardava un caso in cui la separazione dei marchi, i quali
avevano quindi origine comune, era stata imposta da una pubblica autorità.
Rimanevano considerevoli dubbi però circa l’eventuale ipotesi in cui la
separazione fosse avvenuta volontariamente. La Corte fu quindi chiamata a
pronunciarsi su un caso del genere, nella causa IHT c. Ideal Standard166, che segna
nella nostra trattazione l’inizio della terza fase167, pur non essendoci un
cambiamento sostanziale nell’orientamento della Corte, quanto piuttosto una
specificazione. La Corte sostenne infatti che si possa applicare la soluzione della
sentenza Hag II anche ai casi in cui la separazione dei marchi sia stata volontaria:
l’unica condizione è che l’alienazione di uno dei marchi nazionali non abbia avuto
proprio lo scopo di determinare una separazione fra i mercati dei due Paesi
comunitari interessati, in relazione al prodotto recante il marchio oggetto di
164 Sentenza sopra citata165 La seconda fase giurisprudenziale inizia con la fine degli anni ‘80 e dura fino alla metà deglianni ‘90166 Sentenza sopra citata167 La terza fase giurisprudenziale inizia nella metà degli anni ’90 e l’impostazione della Corte èda considerarsi valevole a tutt’oggi
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
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contesa. Si ritorna quindi ad affermare la superiorità della libera circolazione dei
prodotti, quale sancita dagli articoli iniziali e fondamentali del Trattato.
Questi tre orientamenti, quali espressi sinteticamente a titolo introduttivo in
questo paragrafo, verranno di seguito ripresi ed approfonditi, con riferimenti
specifici e mirati ai singoli casi in cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi.
Allo stesso modo l’analisi giurisprudenziale sarà utilizzata per illustrare
meglio, con l’ausilio delle conclusioni dei giudici, quei principi dell’esaurimento
comunitario e della differenza tra esistenza ed esercizio del diritto di cui si diceva
nel capitolo precedente. Essi, disegnati dalla Corte per superare il difficile
contrasto tra libera circolazione delle merci all’interno del Mercato Comune e
natura prettamente territoriale dei diritti di proprietà industriale, rappresentano in
modo tangibile l’apporto dato dalla giurisprudenza alla materia, poiché sono stati
trasposti nella legislazione successiva. D’altronde il percorso che si intende
percorrere necessariamente va a coincidere con l’evoluzione conosciuta dal
principio dell’esaurimento in materia di marchi di impresa, in materia brevettale e
in materia di diritto d’autore.
2.1.4 La giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di tutela della proprietà intellettuale
La copiosa giurisprudenza prodotta dalla Commissione Europea e
soprattutto dalla Corte di Giustizia è stata in generale caratterizzata da una severa
ed intransigente interpretazione degli articoli 81 e 82, attinenti le regole di
concorrenza, e da una relativa visione alquanto restrittiva dell’ambito entro il
quale l’esercizio dei diritti di privativa può essere considerato lecito. Per questo
alcuni autori168 ritengono che nel corso degli anni si sia prodotta una continua ed
inesorabile erosione dei diritti di proprietà industriale conferiti e tutelati dalle
legislazioni nazionali. Ciò significa che comportamenti leciti in base al diritto di
168 G.Ghidini e S. Hassen, Diritto industriale. Commentario, II edizione interamente riveduta ed aggiornata,Ipsoa, Milano 1988, p. 674
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
61
uno Stato membro, possono venir sanzionati ed impediti perché contrari alla
normativa comunitaria, in base alla supremazia di quest’ultima sui diritti nazionali.
I principi generalmente seguiti dalla Corte e posti a base delle sue sentenze
riguardano sostanzialmente l’interpretazione dell’articolo 30 del Trattato CE e
sono il frutto di pronunce degli stessi giudici comunitari.
Benché la Corte riconosca che il Trattato non pregiudica l’esistenza di diritti
concessi dalle legislazioni nazionali in materia di proprietà industriale e
commerciale, i divieti del Trattato hanno ugualmente la facoltà di limitare tali
diritti, a seconda delle circostanza169. Lo stesso articolo 30 a cui si faceva poc’anzi
riferimento, è una norma eccezionale rispetto a uno dei principi fondamentali del
mercato comune. E pertanto le deroghe previste da tale articolo possono essere
legalmente invocate solo quando siano necessarie alla tutela dell’oggetto specifico
del diritto in questione170. La restrizione alla libera circolazione delle merci, celata
dietro il richiamo all’articolo 30, si deve invece considerare illegittima se non ne
discenda l’esistenza stessa del diritto in questione, soprattutto se lo stesso diritto è
utilizzato per scopi estranei alla sua intrinseca natura, in special modo per creare
discriminazioni o segmentare in mercato171.
Infine, poiché la difficoltà maggiore che Corte e Commissione hanno dovuto
affrontare ricevendo richieste riguardanti la proprietà industriale e commerciale,
consiste nel tentare di contemperare gli interessi dei titolari di utilizzare nel modo
economicamente più conveniente il loro diritto con la necessità di evitare che con
tali pratiche essi possano o tentino di compartimentare il mercato, le due
istituzioni hanno fatto talvolta ricorso a criteri basati sulla rule of reason, di matrice
statunitense172. Mancando infatti una linea di demarcazione certa, esse hanno
dovuto valutare i casi volta per volta, soppesando i costi ed i benefici delle
169 Si tratta dell’interpretazione data dell’art. 30 dalla Corte il 22 gennaio 1981 nella causa 58/80170 Sull’argomento si veda il paragrafo 1.4.4 intitolato: “l’oggetto specifico dei diritti di proprietàintellettuale”171 Questo principio è stato espresso sia dalla Commissione, nel 1975, nella causa 29/76, chedalla Corte nel 1976, nella causa 119/75172 G.Benacchio, op.cit. p. 493
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
62
possibili restrizioni imposte al titolare. Hanno perciò considerato ammissibili le
limitazioni alla libera circolazione che fossero proporzionali ai benefici attesi dal
titolare stesso, anche se spesso la posizione delle istituzioni comunitarie ha
portato ad una più rigida applicazione dei divieti di cui agli articoli 81 e 82 del
Trattato CE.
2.2 LA PRIMA FASE GIURISPRUDENZIALE
La sentenza che simbolicamente rappresenta l’avvio dell’interesse
comunitario e nello specifico giurisdizionale per la disciplina della proprietà
intellettuale è la Grundig and Consten c. E.C. Commission del 1966173. Si tratta in
realtà di una sentenza che molti autori o studiosi174 della materia classificano
come appartenente ai casi inerenti la concorrenza; si presta però senz’altro
altrettanto bene ad introdurre uno studio sui diritti di privativa perché in essa la
Corte si pronunciò per la prima volta sull’articolo 30175, di cui diede una prima
lettura interpretativa.
Consten e Grundig, rispettivamente distributore esclusivo in Francia e produttore
tedesco di beni elettrodomestici, agirono contro la Commissione Europea di
fronte alla Corte di Giustizia perché fosse dichiarata invalida e quindi
insussistente la dichiarazione della Commissione176 secondo cui l’intero accordo
di distribuzione esclusiva intercorrente tra i due operatori contrastava con
l’articolo 85 e quindi doveva essere soppresso. Dal 1957 infatti Grundig, impresa
tedesca leader nel settore dei beni elettronici, aveva affidato a Consten la
173 Sentenza sopra citata174 V. Korah ad esempio inserisce questa sentenza nel capitolo dedicato allo studio dell’artico 85(82 secondo l’attuale numerazione) piuttosto che in quello dedicato alla proprietà intellettuale ealla libera circolazione delle merci. V.Korah, op.cit.175 All’epoca articolo 36, secondo la vecchia numerazione176 La Commissione aveva infatti agito come garante del sistema di concorrenza, compitoaffidatole dal diritto comunitario
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
63
distribuzione in esclusiva177 dei suoi prodotti in Francia, così come aveva scelto
altri distributori per gli altri Stati del mercato europeo. In aggiunta aveva deciso di
marchiare tutti i beni destinati a tale mercato con il marchio Gint o Grundig
International. Senonché l’intromissione di due importatori paralleli178 dagli altri
mercati europei, suscitò l’azione di Consten per concorrenza sleale e infrazione di
marchio, e ciò a sua volta fece scattare il controllo della Commissione sull’intera
situazione. Essa dichiarò incompatibile con l’articolo 85 l’intero accordo di
distribuzione esclusiva ed intimò a Consten di interrompere l’uso del marchio per
ostacolare le importazioni parallele.
La Corte diede ragione ai commissari e a proposito dell’articolo 36, riguardante
più da vicino la disciplina dei marchio, specificò che esso non può e non deve in
nessun modo limitare il campo d’applicazione del regime di concorrenza. Fin da
subito venne dichiarata la invalidità di accordi che, tendenti ad isolare i mercati
nazionali all’interno della Comunità per una vasta gamma di prodotti, ledano il
sistema concorrenziale.
2.2.1 Diritto dei marchi e riconfezionamento dei prodotti
Il campo d’applicazione migliore per studiare l’evoluzione
giurisprudenziale è senz’altro quello dei marchi di impresa. I marchi sono stati fin
dall’inizio in prima linea nell’evoluzione della giurisprudenza, poiché i beni
protetti da un diritto brevettuale o da un copyright sono solitamente
commercializzati e fatti conoscere al pubblico attraverso uno specifico marchio,
cosicché gli eventuali problemi per contraffazione interessano la materia dei
177 La distribuzione in esclusiva è una particolare modalità di vendita di un prodotto, in cui ilproduttore affida ad un solo distributore per ogni Paese la commercializzazione dei suoiprodotti, essenzialmente per motivi tecnici: risulteranno più facili la gestione amministrativa, ilcontrollo sulle vendite, nonché meno costoso l’intero rapporto178 Con l’abrogazione delle quote francesi, tra il 1960 e il 1961, UNEF e Leissner iniziarono acomprare prodotti Grundig a bassi prezzi da grossisti tedeschi e a venderli in Francia, con fortimargini di guadagno
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
64
brevetti o del diritto d’autore e insieme quella dei marchi. Inoltre si verifica
spesso che un diritto di marchio tuteli un prodotto che non possiede alcuna tutela
brevettale o artistica.
Perciò la dottrina dell’esaurimento comunitario insieme a quella di distinzione tra
esercizio ed esistenza del diritto, ha trovato il più fertile terreno d’applicazione
nella disciplina dei marchi.
In particolare ciò che ha subito la maggiore evoluzione attraverso le
pronunce dei giudici comunitari è stato il concetto di “origine comune”,
strettamente legato al problema delle importazioni parallele.
La liceità delle importazioni parallele è stata più volte ribadita dalla Corte, in
particolare nella materia dei marchi. Per importazione parallela si intende l’azione
di un soggetto che, acquistato un prodotto in un determinato Paese, ad un certo
prezzo, lo porti in un altro Stato per rivenderlo, ad un prezzo più elevato, al fine
di ricavarne un profitto. Lo studioso Rothnie, parlando di importazione parallela,
dice:
“ Parallel imports have two vital, distinguishing features. They are lawfully
put on the market in the place of export, the foreign country. But, an owner
of the intellectual property rights in the place of importation, the domestic
country, opposes their importation (usually because the goods are sold in the
two different countries at quite disparate prices) and, taking advantage of
the lower price, some enterprising middleman buys stocks in the cheaper
foreign country and imports them into the dearer, domestic country. Hence,
the imports may be described as being imported in “parallel” to the
authorised distribution network” 179
179 C.Rothnie, A.Warwick, Parallel Imports, Sweet & Maxwell, Londra, 1993, p. 1
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
65
In uno dei primi casi affrontati dalla Corte, riguardanti il rapporto tra
proprietà intellettuale ed importazioni parallele180, un terzo vendeva in Olanda un
farmaco marchiato “Negram”, dopo averlo acquistato ad un prezzo
considerevolmente minore in Gran Bretagna dal titolare del marchio , traendo
profitto dalla notevole differenza di prezzo praticata nei due Paesi. Si tratta del
doppio caso Centrafarm c. Sterling Drug e Centrafarm c. Winthrop, entrambi del 1974.
In Gran Bretagna e in Olanda il marchio sotto cui il prodotto farmaceutico era
venduto apparteneva alle società Sterling Winthrop Group Ltd e Winthrop B.V.,
entrambe controllate dall’americana Sterling Drug181. Centrafarm, ottenuta una
fornitura dello stesso prodotto marchiato in Gran Bretagna, lo mise in vendita a
prezzo ribassato in Olanda, suscitando l’azione giudiziaria di Winthrop per
infrazione sia di marchio che di brevetto. La Corte di Giustizia fu interpellata in
via pregiudiziale dalla Hoge Raad per rispondere a questioni riguardanti la
compatibilità tra la proprietà intellettuale e la circolazione dei prodotti nel
mercato comune.
La Corte confermò la legittimità dell’operazione compiuta da Centrafarm,
partendo da considerazioni circa la differenza tra esistenza ed esercizio di un
diritto. Un ostacolo alla libera circolazione non è ammissibile “qualora il prodotto
sia stato regolarmente venduto, sul mercato dello Stato membro dal quale esso
viene importato, dallo stesso titolare del marchio o con il suo consenso, di guisa
che non si possa parlare di abuso o di contraffazione del marchio”182. Se infatti il
titolare del marchio potesse opporsi all’importazione dei prodotti contrassegnati
dal marchio, da lui stesso o con il suo consenso messi in commercio in uno Stato
straniero, egli avrebbe la possibilità di isolare i mercati nazionali e creare
180 Sul rapporto tra proprietà intellettuale e importazioni parallele si veda: J.M.Ammann,Intellectual Property Rights and Parallel Imports, in Legal Issues of European Integration, Law Review of theEuropean Instituut University of Amsterdam, Kluwer Law International, 1999, p. 91; C.Ohly, TradeMarks and Parallel Importation – Recent Developments in Europe, in International Review of IndustrialProperty and Copyright (IIC), volume 30, p. 515181 La società americana Sterling Drug era a capo del gruppo Sterling Winthrop Group, a cuiappartenevano la Sterling Winthrop Group Ltd e la Winthrop B.V.
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
66
restrizioni agli scambi che gli garantiscano il diritto esclusivo derivante dal suo
diritto di privativa. Pertanto la Corte giudicò l’opposizione da parte del titolare di
marchio allo sfruttamento commerciale del prodotto marchiato e
commercializzato con il suo consenso in un altro Stato, incompatibile con le
norme del Trattato sulla libera circolazione183.
In altri casi è accaduto che l’importatore parallelo non si limitasse ad
acquistare e rivendere in un altro Stato il prodotto, ma ne modificasse anche la
confezione. Il caso più celebre riguarda il noto marchio “Valium”, del gruppo
Hoffman-La Roche, la quale agì in giudizio contro un importatore parallelo che,
acquistato il prodotto in Gran Bretagna lo riconfezionava184 prima di rivenderlo
in Germania185. Da una parte Hoffman-La Roche riteneva il riconfezionamento
pari ad una vera e propria contraffazione mentre Centrafarm, l’importatore
parallelo, si difendeva adducendo la invariabilità del bene stesso. Ci si chiedeva: il
titolare del marchio ha il diritto di opporsi al riconfezionamento del bene,
indipendentemente dal rischio di alterazione dello stesso? La Corte ammise che il
riconfezionamento può danneggiare la funzione essenziale del diritto di marchio,
che è quella di far riconoscere al consumatore il prodotto per la sua provenienza
e per le sue caratteristiche qualitative; ciò nonostante, poiché l’opposizione può
essere utilizzata in concreto per dar luogo ad una restrizione dissimulata degli
scambi186, non la si può accettare in via generale. Anzi, la Corte, proprio per
tutelare gli interessi del titolare nella sua qualità di proprietario del marchio e
proteggerlo contro eventuali abusi, dichiarò che il riconfezionamento è da
182 La sentenza già citata, si trova nella Raccolta di Giurisprudenza Comunitaria (E.C.R.)dell’anno 1974, pagina 1183. Sul tema e sulla sentenza cfr. W.R. Cornish, op.cit., p. 536183 Tale decisione fu ribadita dalla Corte nel caso Dansk Supermarked del 1981, in cui il terzo incausa aveva acquistato il prodotto da un licenziatario del titolare del marchio184 Il prodotto veniva acquistato in Gran Bretagna in confezioni da 100 e 250 compresse eveniva riconfezionato in imballaggi, destinati a centri ospedalieri, contenenti ciascuno 1000compresse oppure in involucri più piccoli, destinati ai consumatori finali185 Caso Hoffman-La Roche c. Centrafarm, causa 102/77, sentenza del 1978. Il caso si trova inE.C.R. a pagina 1139186 Il titolare del marchio potrebbe appositamente porre in commercio in diversi Stati lo stessoidentico bene, in confezioni diverse e far valere i diritti di marchio per impedire ilriconfezionamento da parte di terzi
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
67
considerarsi legittimo solo qualora venga provato che “esso non altera lo stato
originario del prodotto”.
2.2.2 Marchi identici con origine comune
La problematica delle importazioni parallele si complica ulteriormente se
vi si aggiunge l’ipotesi dell’origine comune dei prodotti. Può infatti accadere - e
come si vedrà queste sono le situazioni che hanno creato alla Corte i problemi
interpretatiti maggiori - che la proprietà di un marchio sia in origine appartenuta
allo stesso proprietario e solo in seguito essa sia stata frazionata tra più soggetti
all’interno della Comunità. La divisone può essere stata volontaria, come nel caso
delle cessioni, ovvero può derivare da un atto impositivo di una pubblica autorità.
Il problema è lo stesso, indipendentemente dal carattere volontario o meno del
frazionamento: cosa accade quando il prodotto viene esportato dal titolare o con
il suo consenso in un altro Stato dove lo stesso diritto appartiene ad un altro
soggetto, e i due marchi abbiano la stessa origine?
Il caso Sirena c. Eda187 del 1971 impegnò a lungo la Corte sull’argomento e
formò l’oggetto di una lunghissima vicenda giudiziaria in Italia. L’attrice era una
società italiana, Sirena SRL, che nel 1937 aveva acquistato dalla società americana
Mark Allen il marchio “Prep” per una crema da barba e, all’inizio degli anni ’70,
agì in giudizio contro la Novimpex, società tedesca licenziataria dello stesso
marchio, poiché essa aveva iniziato ad esportare in Italia il prodotto in questione.
Sostanzialmente i due prodotti venduti in Italia da Sirena e Novimpex avevano
origine comune, poiché derivavano entrambi dalla titolare originaria del marchio.
Sirena accusò Novimpex di contraffazione, mentre la convenuta adduceva a sua
difesa l’origine comune del diritto di marchio.
La Corte europea si dimostrò poco precisa e la sua risposta mostrò un notevole
grado di astrazione dal caso di specie: questo portò a interpretazioni molto
187 Caso Sirena SRL c. Eda GmbH, causa 40/70, sentenza del 1971, E.C.R. p. 69; si veda ancheW.R.Cornish, op.cit., p. 558 e V.Korah, op.cit., p. 357
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
68
diverse di ciò che i giudici comunitari avevano detto nel loro giudizio in via
pregiudiziale, da parte dei giudici italiani, cosicché il tribunale, la Corte d’appello e
la Cassazione assunsero posizioni diametralmente opposte; l’ultima Corte
d’Appello dichiarò la totale indipendenza dell’attrice dalla cedente originaria, così
come dalla sua licenziataria tedesca. Visto anche il notevole lasso di tempo
trascorso dal momento della cessione, la Corte italiana legittimò l’opposizione di
Sirena all’importazione del prodotto “Prep” dalla Germania, non ravvisando
alcuna origine comune tra il prodotto della titolare italiana e quello
dell’esportatrice tedesca.
Rimasero però notevoli dubbi circa l’esatto recepimento da parte delle Corti
italiane del giudizio della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, soprattutto
visto l’opposto orientamento che la Corte di Lussemburgo assunse nel quasi
contemporaneo caso Hag.
2.2.3 Il caso Hag I
Vista l’irrimediabile incapacità dei giudici nazionali a recepire
correttamente le pronunce della Corte europea, probabilmente anche a causa
della poca chiarezza delle stesse, quest’ultima si trovò costretta, dopo la vicenda
del caso Sirena, a chiarire la sua posizione in termini molto più sfavorevoli
all’esercitabilità del diritto di marchio. Poiché fu questo, quale espresso nel caso
Hag I188, l’orientamento che sarà seguito per una quindicina d’anni in Europa,
fino alla svolta del caso Hag II, lo si considererà in questa sede come quello
predominante e caratterizzante la prima fase dell’iter giurisprudenziale in esame.
188 Il caso Van Zuylen Frères c. HAG AG del 1974 venne denominato caso Hag I per distinguerlodal successivo caso del 1990, tra C.N.L. Sucal e la stessa società Hag, quindi denominato casoHag II
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
69
In contrasto con quanto detto nel caso precedente189, la Corte affermò che
quando è comune l’origine dei marchi in questione, cioè quando la registrazione
degli stessi è avvenuta nei due Paesi ad opera dello stesso soggetto, colui che ne è
proprietario in uno Stato non può impedire che venga importato un prodotto
recante lo stesso marchio e che sia stato commercializzato in un altro Stato della
Comunità da un altro operatore, i cui diritti risalgono alla medesima origine190.
Tutto ciò fu per la prima volta ben espresso nel caso Hag I: la società tedesca
Hag Bremer, prima produttrice di caffè decaffeinato, nel 1907 aveva registrato il
suo marchio “Hag” in Germania e nel 1927 aveva costituito una società
controllata in Belgio, la filiale Cafè Hag S.A., la quale aveva parimenti registrato a
suo nome il marchio in Belgio. Nel periodo bellico, per effetto di una confisca, il
governo belga si impossessò della società belga per venderla prima alla famiglia
Van Oevelens, la quale cedette poi alla società in accomandita Van Zuylen Frères
il marchio del caffè decaffeinato191. In seguito a ciò, in Germania ed in Belgio, il
marchio Hag apparteneva a due società distinte, tra cui “non sussisteva alcun
rapporto giuridico, finanziario, tecnico od economico”192. Era quindi esclusa
l’eventuale applicazione dell’articolo 81 del Trattato CE, sull’esistenza di intese
lesive della concorrenza.
Il problema sorse allorché la società tedesca iniziò, nel 1972, ad esportare in
Belgio il suo caffè decaffeinato recante il marchio “Hag”, suscitando l’azione
legale della società belga che intendeva impedire tale commercializzazione nel suo
Paese. Il Tribunal d’Arrondissement di Lussemburgo sottopose alla Corte due
189 Molti autori sostengono che si tratti più di una cattiva interpretazione da parte dei giudiciitaliani che di una diversa pronuncia da parte della Corte di Giustizia190 Lo stesso principio fu ribadito dalla Corte nel caso del 1976 Terrapin Ltd c. Terranova IndustrieCA Kapferer and Co, sentenza sopra citata191 La società Van Oevelens cedette alla Van Zuylen Frères il marchio “Hag” nel 1971, mentre laHag Bremer iniziò ad esportare il suo prodotto in Belgio nel 1972192 Così si espresse il Tribunal d’Arrondissement di Lussemburgo, con sentenza 31 ottobre 1973,nel sottomettere alla Corte di Giustizia, in forza dell’articolo 234 del Trattato, due questionipregiudiziali sull’interpretazione di alcuni articoli del Trattato
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
70
questioni pregiudiziali193 sulla corretta interpretazione degli articoli 5, 30, 36 e 85
del Trattato194.
La Corte, considerata l’origine comune dei diritti di marchio, dichiarava che il
prodotto della società tedesca poteva liberamente essere venduto in Belgio. La
Corte si espresse in questo modo: “L’esercizio del diritto di marchio può
contribuire all’isolamento dei mercati e compromettere in tal modo la libera
circolazione delle merci tra gli Stati membri, tanto più che, a differenza di altri
diritti di proprietà industriale e commerciale, quello in esame non è oggetto a
limiti temporali.” “ E’ quindi inammissibile che il carattere esclusivo del diritto di
marchio, conseguenza della territorialità della legge interna, sia fatto valere dal
titolare di un marchio al fine di impedire la distribuzione, in uno Stato membro,
di merci legalmente prodotte sotto un marchio identico, avente la stessa origine,
in un altro Stato membro”. “Questo intento, che si risolverebbe nell’isolamento
dei mercati nazionali, è infatti in contrasto con uno degli scopi essenziali del
Trattato, qual è la fusione dei mercati nazionali in un mercato unico”. “Il fatto
che in uno Stato membro venga impedita la distribuzione di una merce
contrassegnata da un marchio depositato in un altro Stato membro, e ciò per
l’unica ragione che nel primo Stato esiste un marchio identico, avente la stessa
origine, è incompatibile con le norme relative alla libera circolazione delle merci
nell’ambito del mercato comune”195.
Tale ragionamento era inoltre portato alle sue estreme conseguenza visto che la
Corte sottolineava l’irrilevanza della volontarietà o meno del frazionamento: non
193 In base all’articolo 234 del Trattato CE. Sui rinvii pregiudiziali si veda il paragrafo 2.1.1 delpresente lavoro194 Si tratta degli articoli 10, 28, 30 e 81 dell’attuale numerazione195 Caso Van Zuylen Frères c. Hag, causa 192/73, sentenza del 3 luglio 1974, si trova in E.C.R., p.731. Sul caso cfr. T.Prime, op.cit., p. 14; P.Mengozzi (a cura di), Casi e materiali di diritto comunitario,CEDAM, Padova 1998, p. 423; G.Ghidini e S.Hassan, Diritto industriale e della Concorrenza nellaCE, cit., p. 238; V.Korah, op.cit., p. 362; G.Celona, op.cit., p. 341
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
71
importava – essa disse – se il frazionamento dei diritti originari era stato
volontario o derivato da un provvedimento della pubblica autorità196.
Il tribunale propose infine una seconda questione pregiudiziale alla Corte,
chiedendo se lo stesso ragionamento si applicasse ad un caso in cui a distribuire il
prodotto marchiato fosse, non già il titolare del marchio, ma un terzo che avesse
acquisito regolarmente il prodotto in questo Stato. La Corte rispose che lo stesso
diritto, di porre in vendita il prodotto di cui si è depositato il marchio, in un altro
Stato, deve essere riconosciuto al terzo che abbia regolarmente acquistato il
prodotto nel primo Stato.
2.2.4 Le critiche alla sentenza Hag I
La posizione assunta dalla Corte sul caso Hag suscitò numerosissime
critiche, sia per l’inadeguatezza della motivazione – la motivazione della
pronunzia era stata infatti alquanto stringata – sia per il suo stesso contenuto.
Tra gli autori più critici figurano Ghidini197 e Ladas198, i quali fecero un
commento dettagliato e pieno di obbiezioni a ciò che la Corte aveva detto.
Vista la sentenza della Corte nel caso Hag, che delegittimava l’opposizione da
parte di un titolare di marchio a che nel suo Stato fossero importati beni recanti
un marchio identico al suo, pur non esistendo alcun legame tra i due operatori,
essi sostennero che un eventuale adeguamento da parte dei giudici nazionali a
questa pronuncia della Corte, sarebbe equivalso ad abolire, puramente e
semplicemente, il principio “un marchio, un’impresa”. Esso significa che il
marchio impedisce la confusione del pubblico acquirente in ordine alla reale
identità e provenienza del bene comprato. Secondo i due autori infatti, non ha
196 Nel simile caso Rotaprint, si era parimenti ritenuto certo che nell’ambito del territoriocomunitario possono circolare con lo stesso marchio sia i prodotti della società tedesca, siaquelli della società inglese197 G.Ghidini, Sul caso “Hag”, in Rivista di Diritto Commerciale e del Diritto Generale delle Obbligazioni,1975, parte II, p. 1
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
72
alcuna importanza il fatto che i due marchi abbiano origine comune: anzi, questo
riferimento al limite può servire a riconoscere che la derivazione dei due diritti da
una comune origine è idonea ad attribuire sia al titolare originario, sia al
“successore” in un diverso Stato, titoli nazionali distinti, cosicché nessuno dei
due possa essere considerato “un terzo sprovvisto di qualsiasi titolo giuridico” sul
marchio, cioè un contraffattore.
Secondo Ghidini la tesi della Corte deriva da un’impostazione
metodologica completamente scorretta: essa avrebbe proposto un’impostazione
“universalistica”, partendo da premesse “territorialistiche”, derivanti dal
riconoscimento di diritti nazionali paralleli e coesistenti su un singolo marchio.
“Se si resta ancorati ad una visione territorialistica della legittimazione all’uso del
marchio, è metodologicamente scorretto innestarvi, attraverso il richiamo al
principio della libera circolazione delle merci, vicende ispirate alla opposta logica
universalista”199. Due soluzioni vengono quindi proposte: o abbandonare
definitivamente la logica “territorialistica” attraverso l’istituzione del cosiddetto
marchio europeo200, oppure, se la si conserva, accettare le compatibili
conseguenze. Altrimenti l’adeguamento dei giudici nazionali provocherà ciò che
solitamente le legislazioni statali scongiurano, la confusione del pubblico.
La Corte cercò di difendere la propria posizione da queste accuse,
sostenendo che la reale informazione sui prodotti avrebbe potuto essere garantita
con altri mezzi, ad esempio con l’indicazione della diversa provenienza
territoriale. Fu una difesa inconsistente, soprattutto perché contrastava
apertamente con la primaria efficacia distintiva dei marchi: Ghidini sostenne
infatti che tale indicazione avrebbe semplicemente dato un’informazione erronea
198 L.Ladas, The Court of Justice of the European Community and the Hag Case, in International Review ofIndustrial Property and Copyright Law (IIC), 1974, p. 302 199 G.Ghidini, Sul caso Hag, op.cit., p. 9200 All’epoca l’istituzione del marchio europeo, come lo denominavano allora, o comunitario,come esiste oggi, appariva rinviata sine die. Per un’informazione critica sulle vicende del marchioeuropeo cfr. Schema di Convenzione sul diritto europeo dei marchi, a cura della Commissione delleComunità Europee, 1973
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
73
al pubblico, portandolo a pensare che i prodotti in questione provenissero da
imprese dello stesso gruppo.
Fortunatamente alla Corte fu presto data l’occasione di rivedere il giudizio
dato in Hag I, in un caso coinvolgente nuovamente la società Hag. Il caso Hag II
diede alla Corte l’opportunità di constatare l’erroneità del suo precedente
giudizio.
2.3 LA SECONDA FASE GIURISPRUDENZIALE
La discussione riguardante il marchio “Hag” si riaprì all’inizio degli anni
‘90 e nuovamente interessò la Corte, su un caso sostanzialmente simile.
Innanzitutto le critiche di cui al paragrafo precedente furono riprese
dall’Avvocato Generale F.G.Jacobs201, il quale espressamente dichiarò di ritenere
errata la posizione precedente e ne propose l’abbandono.
2.3.1 Le conclusioni dell’Avvocato Generale nel caso Hag II
Riprendendo molti degli argomenti proposti all’indomani della pronuncia
della Corte sul caso Hag I, proposti dagli studiosi sopra richiamati, l’Avvocato
Generale F.G.Jacobs propose, nelle sue conclusioni202, presentate il 13 marzo
1990, puntuali critiche ed argomentazioni a quella sentenza che, a suo parere,
201 La figura dell’Avvocato Generale è mutuata dall’esperienza giuridica francese. Egli è uncollaboratore della Corte ed ha il compito di presentare pubblicamente alla stessa delleconclusioni motivate sulle cause sottoposte alla Corte, nell’interesse della corretta applicazionedel diritto comunitario. La Corte però non è tenuta ad accogliere tali sue conclusioni, benchéesse di fatto abbiano nel corso degli anni assunto un’importanza tale da essere pubblicateinsieme alla sentenza della Corte
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
74
appariva viziata in molti suoi punti, denotava un’origine alquanto dubbia e perciò
era auspicabile fosse definitivamente abbandonata.
La dissertazione dell’Avvocato Generale è organizzata in più parti, di cui la prima
dedicata all’analisi delle pertinenti disposizioni del Trattato sulla materia della
proprietà intellettuale203, e la seconda rivolta ad una revisione dei principi stabiliti,
nel corso degli anni, dalla giurisprudenza della Corte.
Poiché il Trattato CE, in coerenza con la sua natura di trattato quadro,
non contiene una serie tassativa di norme che disciplinino attentamente la materia
in esame, bensì fornisce una semplice ossatura204, che deve essere adeguatamente
ricoperta dal legislatore comunitario, nonché dalla Corte di Giustizia, negli
interventi di queste due istituzioni dovrà essere ritrovata la disciplina della
proprietà intellettuale a livello comunitario. Tenuto conto della modesta attività
legislativa in ordine ai marchi e alla proprietà intellettuale in genere205, l’Avvocato
si soffermò sui tre principi fondamentali elaborati dalla Corte, principalmente
nella causa Deutsche Grammophon c. Metro206. Si tratta dei principi della dicotomia
esistenza/esercizio del diritto, dell’esaurimento comunitario e della limitazione
della tutela dell’oggetto specifico del diritto in questione. Oltre a questi tre
principi si ricorda che la Corte aveva elaborato il principio secondo cui i diritti
attribuiti, ai sensi della normativa nazionale, da un marchio, non possono essere
utilizzati in modo tale da far venire meno le regole della concorrenza del Trattato.
Su questo sfondo, costituito dagli articoli del Trattato e dai principi elaborati dalla
Corte, viene analizzata la dottrina dell’origine comune, formulata nella causa Hag
202 Conclusioni dell’Avvocato Generale F.G.Jacobs, presentate il 13 marzo 1990, in causa C-10/89, SA CNL-SUCAL NV c. HAG GF AG, E.C.R. del 1990, p. 3711203 Vennero analizzati gli articoli 30, 36, 222 e 85, rispettivamente articoli 28, 30, 295 e 81secondo l’attuale numerazione204 Conclusioni dell’Avvocato Generale F.G.Jacobs, in E.C.R. del 1990, p. 3725205 In materia di diritto di marchio, all’epoca l’attività del legislatore non era stata particolarmenteattiva e produttiva: la proposta di regolamento del Consiglio sul marchio comunitario non eraancora stata portata a termine, cosicché l’unico provvedimento adottato era la direttiva delconsiglio del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri suimarchi d’imprese206 Caso Deutsche Grammophon Gesellscheft GmbH c. Metro SB Grossmarkt GmbH and Co Kg, causa78/70, sentenza del 1971
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
75
I e confermata nella causa Terrapin c. Terranova207. “Raffrontando i quattro principi
sopra enunciati e la dottrina dell’origine comune con le disposizioni degli articoli
30, 36, 85 e 222 del Trattato, non si può fare a meno di rimanere colpiti da una
certa discrepanza. Mentre i quattro principi si possono ragionevolmente dedurre
da tali norme del Trattato, è molto meno facile trovarvi un fondamento
accettabile per la dottrina dell’origine comune”. “ Che ne è allora della dottrina
dell’origine comune? E’ molto meno facile trovare un fondamento di questo
principio nel Trattato. Invano si cercherebbe nel Trattato un fondamento per
sostenere che il titolare di un marchio non può essere legittimato ad impedire
l’importazione di merci prodotte dal titolare di un marchio parallelo in un altro
Stato membro semplicemente per il fatto che i due marchi hanno la stessa
origine. […] Devo notare che un principio di diritto per il quale non vi è un
sicuro fondamento nel Trattato, denota un’origine alquanto dubbia”208.
A dimostrazione della sua tesi, l’Avvocato Generale procedette quindi ad
un’analisi dettagliata della natura e della funzione dei marchi, per osservare nella
precedente giurisprudenza un atteggiamento esageratamente negativo sul valore
dei marchi e per smentire categoricamente la concezione secondo cui i marchi
salvaguardano interessi economicamente ed umanamente meno importanti di
quanto non facciano gli altri diritti di privativa, cosicché siano da considerarsi
meno importanti. Mentre secondo la Corte “il diritto di marchio si distingue da
altri diritti di proprietà industriale e commerciale in quanto l’oggetto di questi è
spesso più importante e degno di maggior tutela dell’oggetto di quello”209,
secondo Jacobs “ … i marchi premiano il produttore che fornisce costantemente
prodotti di alta qualità ed incoraggiano pertanto il progresso economico. Senza la
tutela del marchio ci sarebbe ben poco incentivo per i produttori a sviluppare
nuovi prodotti o a conservare la qualità di quelli esistenti. I marchi sono in grado
di raggiungere questo effetto in quanto hanno la funzione di una garanzia, per il
207 Causa 119/75, E.C.R. del 1976, p. 1039208 Punti 14 e 15 del Paragrafo IV delle Conclusioni dell’avvocato Generale
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
76
consumatore, che tutte le merci contrassegnate da un marchio particolare sono
state prodotte direttamente, o sotto il suo controllo, dallo stesso produttore e
sono perciò probabilmente di qualità simile”210.
La scomoda ma inevitabile conclusione della lunga dissertazione
dell’Avvocato Generale fu che la dottrina dell’origine comune non è espressione
legittima del diritto comunitario. Essa non trova fondamento nel Trattato e anche
nella sentenza Hag I è mancata del tutto la dimostrazione di una sua eventuale
necessità. Egli osservò infine che la Direttiva del Consiglio per l’armonizzazione
delle leggi nazionali sui marchi, aveva deliberatamente omesso qualunque
previsione riconducibile alla “dottrina dell’origine comune” e ciò appariva come
un’ulteriore conferma che essa non trovi fondamento nel diritto comunitario.
Perciò egli consigliò alla Corte di dichiarare apertamente, nell’interesse della
certezza del diritto, di rinunciare alla dottrina dell’origine comune stabilita nella
sentenza Hag I.
209 Avvocato Generale Dutheillet de Lamothe, caso Sirena, E.C.R. del 1971, p. 69, punto 7 dellamotivazione210 Punto 18 del paragrafo V delle conclusioni dell’Avvocato Generale
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
77
2.3.2 Il tentativo di giustificare la dottrina dell’origine comune nella causa Terrapin/Terranova
Due anni dopo la contestata sentenza Hag I, nella causa Terrapin c. Terranova211, la
Corte, forse spinta dalle numerose critiche che le erano state volte, cercò di
chiarire a posteriori la ragione dell’importanza della stessa origine dei marchi.
Nella causa l’attrice principale, la Terranova, era la titolare, nella Repubblica
federale di Germania, dei marchi “Terra”, “Terra Fabrikate” e “Terranova”, registrati
presso l’Ufficio brevetti tedesco e usati per la commercializzazione di preparati
per l’intonacatura esterna di edifici e altri materiali per l’edilizia; l’impresa
britannica invece, commercializzava case prefabbricate ed elementi destinati alla
costruzione delle stesse, sotto la denominazione “Terrapin”. Quest’ultima chiese la
registrazione del suo marchio in Germania, ma la sua richiesta venne respinta per
opposizione della Terranova, a causa della confondibilità con i suoi marchi
“Terra” e “Terranova”. Secondo i giudici tedeschi tale somiglianza poteva creare
confusione e perciò essi chiesero alla Corte, in via pregiudiziale, se fosse
compatibile con le norme relative alla libera circolazione delle merci, il fatto che
un’impresa si opponga all’importazione di merci analoghe a quelle da lei
commercializzate, e prodotte da un’impresa straniera, nel caso in cui i prodotti
importati rechino legittimamente una denominazione che potrebbe dar luogo a
confusione con la ditta e il marchio dei beni dell’attrice, posto che tra le due
imprese non esistono rapporti di alcun genere e che i diritti spettanti ad entrambe
sono sorti in modo autonomo e reciprocamente indipendente.
La Corte rispose in questo modo: “… il titolare di diritti di proprietà industriale e
commerciale tutelati da norme di uno Stato membro non può richiamare tali
norme per opporsi all’importazione di un prodotto da lui stesso o col suo
consenso legittimamente posto in commercio in un altro Stato membro. Lo
stesso deve dirsi qualora il diritto che si fa valere sia derivato dal frazionamento,
volontario o imposto da provvedimenti delle pubbliche autorità, di un marchio
211 Caso Terrapin Overseas Ltd c. Terranova Industries CA Kapferer and Co., causa 199/75, sentenza del1976, E.C.R. del 1976, p. 1039
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
78
originariamente appartenente ad un unico titolare. In tal caso infatti, la funzione
essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore la provenienza
del prodotto, è già compromessa dal frazionamento del diritto originario”. “Allo
stato attuale del diritto comunitario, un diritto di proprietà industriale e
commerciale legittimamente acquisito in uno Stato può invece essere fatto valere
ai sensi dell’articolo 36, per opporsi all’importazione di prodotti posti in
commercio sotto una denominazione che possa dare adito a confusione, qualora i
diritti in questione, spettanti a titolari reciprocamente indipendenti, siano fondati
su norme di ordinamenti nazionali distinti”212.
Secondo molti autori, tra cui lo stesso avvocato Generale Jacobs, la
fattispecie di cui alla causa Hag I non avrebbe dovuto essere trattata in modo
diverso da quella appena descritta: i problemi causati dal frazionamento di marchi
identici o confondibili tra loro non dovevano e non potevano essere risolti in
base ad una distinzione a seconda che i marchi avessero origine comune o
diversa. Questa tesi è molto importante perché se una fattispecie come quella del
caso Hag I è poco usuale – non accade spesso che marchi identici siano di
proprietari diversi in vari Stati – è molto frequente che marchi tutelati in uno
Stato siano considerati confondibili con marchi di cui è proprietario un titolare di
un altro Stato213.
Considerate entrambe le pronunce della Corte sopra espresse, l’Avvocato
Generale Jacobs sottolineò la sostanziale esattezza214 dell’orientamento seguito
dalla Corte nel caso Terrapin c. Terranova e l’erroneità della decisione nel caso Hag
I.
212 Sentenza sopra citata. Sul caso cfr. P.Mengozzi, op.cit., p. 421; W.R.Cornish, Cases and Materialson Intellectual property, cit., p. 562 213 Fattispecie questa verificatasi nel caso Terrapin c. Terranova214 Jacobs era convinto dell’esattezza della sentenza nel suo insieme, anche se continuava adesprimere forti dubbi sul carattere effettivo del rischio di confusione e la possibilità di eliminarlocon informazioni supplementari, come aveva suggerito la Corte
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
79
Nelle sue conclusioni egli disse quindi che: “… il titolare di un marchio deve
essere autorizzato ad escludere dal suo territorio prodotti su cui un marchio
identico sia collocato da altra persona, non legata alla prima, titolare del marchio
in un altro Stato membro. Lo stesso vale per marchi confondibili tra loro, eccetto
forse in casi in cui sarebbe conveniente distinguere tra i marchi mediante
contrassegni distintivi supplementari”215. Questa soluzione porterebbe infatti
vantaggi sia al titolare del marchio che al consumatore: quest’ultimo non verrebbe
confuso o tratto in errore circa l’origine dei beni che acquista; il titolare potrebbe
proteggersi efficacemente da eventuali concorrenti sleali.
2.3.3 Il caso Hag II
Recependo le argomentazioni dell’Avvocato Generale, la Corte di Giustizia
superò nettamente le posizioni del caso Hag I e, dopo averne sostanzialmente
ammesso la erroneità, stabilì nel caso Hag II216 che gli articoli 30 e 36 del Trattato
non impediscono alla legislazione di uno Stato di vietare che, sul suo territorio
circolino e siano commercializzati prodotti recanti marchi simili e capaci di
confondere il consumatore.
L’occasione per ritornare sulla precedente opinione fu data alla Corte dalla stessa
società Hag Bremer e dalla SA CNL-SUCAL NV, società sorta nel 1979 dalla
modifica della forma giuridica e della ragione sociale della società in accomandita
Van Zuylen Frères. Tale società iniziò ad esportare caffè decaffeinato nella
Repubblica federale di Germania sotto la dicitura “HAG”, incontrando quindi le
resistenze della Hag Bremer, la quale sosteneva che oramai in Germania il
marchio “Kaffee HAG” aveva raggiunto la condizione di marchio celebre e che il
215 Punto 46 del paragrafo XIII delle Conclusioni dell’Avvocato Generale216 Caso SA CNL-SUCAL NV c. HAG GF AG, causa C-10/89, sentenza dl 1990, E.C.R. del1990, p. 3711; sul caso cfr. G.Celona, op.cit., p. 343; D.Campbell e S.Cotter, International IntellectualProperty Law. New Developments, John Wiles & Sons, Salisburgo 1995 – capitolo “ Hag II andTrademark Delimitation Agreement”, p. 223
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
80
prodotto da lei venduto sotto tale dicitura era di qualità superiore al caffè
esportato dalla CNL-SUCAL217.
La CNL-SUCAL, nelle sue osservazioni scritte dinanzi alla Corte, proponeva di
ricorrere alla medesima risoluzione utilizzata nel caso Hag I, per impedire quindi
alla società tedesca di opporsi all’importazione dei suoi prodotti in Germania.
Invocava inoltre il concetto di identità di origine stabilito dalla Corte nel caso
Terrapin/Terranova ed applicato ad ogni frazionamento di marchio originariamente
appartenuto ad un unico titolare218.
Ovviamente le argomentazioni della Hag Bremer erano di segno opposto219: essa
sostenne che il caso dovesse essere risolto consentendo l’opposizione
all’importazione in Germania del prodotto belga e richiamò a tal proposito la
sentenza Pharmon del 1985, concernente una licenza obbligatoria relativa ad un
brevetto. Posti sullo stesso piano la licenza obbligatoria e l’esproprio, da una lato,
e il diritto dei marchi e dei brevetti dall’altro, la Hag Bremer sottolineò che la
Corte in quel caso si era basata esplicitamente sulla mancanza di assenso da parte
del titolare del brevetto e così lo stesso ragionamento avrebbe dovuto essere
applicato al caso di specie.
La Commissione infine, ritenne che le sentenze più recenti della stessa Corte
lasciavano grandi dubbi circa la fondatezza dei ragionamenti basati sull’origine
comune e propose quindi di non porre ostacoli a che il titolare di un marchio
possa impedire l’importazioni di merci provenienti da un altro Stato qualora detti
prodotti siano contrassegnati con un marchio identico o confondibile con quello
tutelato e qualora l’autorizzazione ad apporlo sia stata ottenuta a seguito
217 La HAG AG sosteneva che il prodotto decaffeinato da lei venduto con questa dicitura erafabbricato servendosi di un nuovo processo produttivo che lo rendeva qualitativamente miglioredel caffè decaffeinato importato dalla CN-SUCAL218 La CNL-SUCAL ritenne invece che non si potesse applicare al caso di specie quanto dettodalla Corte nel caso Pharmon/Hoechst (causa 19/24, E.C.R. p. 2281) perché esso aveva ad oggettoun brevetto: poiché tra brevetti e marchi sussistono notevoli differenze e soprattutto ciò chedifferisce è l’oggetto specifico dei due diritti, la sentenza in questione non avrebbe potuto essereragionevolmente applicata ad una causa vertente su un marchio d’impresa
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
81
dell’esproprio dell’impresa titolare del marchio. Anche la Commissione ritenne
inoltre applicabile la fattispecie del caso Pharmon, ritenendo che il titolare
originario di un marchio espropriato non deve trovarsi in una situazione meno
favorevole del titolare del brevetto sottoposto a licenza obbligatoria.
La Corte, sentite le opinioni delle parti e della Commissione, le conclusioni
dell’Avvocato Generale, sentenziò : “gli articoli 30 e 36 del Trattato CEE non
ostano a che un’impresa si avvalga di un marchio di cui essa è titolare in uno
Stato membro per opporsi alle importazioni, da un altro Stato membro, di merci
analoghe contrassegnate da un marchio identico o confondibile con il proprio,
appartenente inizialmente alla stessa impresa ma in seguito acquistato da
un’impresa terza senza il consenso della prima impresa”220.
Ma ciò che merita soprattutto di essere sottolineato è il nuovo
orientamento della Corte riguardo la funzione essenziale del marchio: fu
sottolineato che essa consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale
l’identità d’origine del prodotto marcato, permettendogli di distinguere senza
possibilità di confusione tale prodotto da quelli aventi un’altra provenienza.
Qualora manchi, come nel caso di specie, ogni tipo di consenso da parte del
titolare del diritto di marchio alla messa in circolazione di un prodotto con lo
stesso marchio, da parte di un’impresa economicamente e giuridicamente
indipendente da quella del titolare, tale funzione essenziale potrebbe rischiare di
non essere garantita: i consumatori non sarebbero più in grado di identificare con
certezza l’origine del bene acquistato e potrebbero imputare l’eventuale cattiva
qualità del prodotto all’impresa non responsabile. Non rileva l’origine comune
per il fatto che dopo la separazione i due marchi hanno vissuto esperienze diverse
ed indipendenti, ciascuno nel proprio ambito territoriale. Il sostanziale
cambiamento nell’opinione della Corte deriva quindi più che mai dalla volontà di
219 Sostennero le stesse argomentazioni della Hag Bremer anche i governi della RepubblicaFederale di Germania, dei Paesi Bassi, del Regno Unito e della Spagna, oltre che la Commissione
220 Sentenza Hag II, E.C.R. p. 3711, punto XVIII
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
82
tutelare il consumatore attraverso il riconoscimento della vera funzione
essenziale del marchio.
2.4 LA TERZA FASE GIURISPRUDENZIALE
La terza fase dell’iter giurisprudenziale in esame è caratterizzata dalla
sentenza IHT c. Ideal Standard221, del 1994 e riguardante il frazionamento del
marchio dovuto ad una cessione volontaria.
Le parti in causa sono la IHT e la Ideal Standard GmbH. La Ideal Standard
GmbH è la controllata tedesca dell’americana American Standard, utilizza dal
1951 la ditta “Ideal Standard” ed è titolare del marchio tedesco “Ideal Standard”.
Essa dal 1976 si occupa esclusivamente della commercializzazione di articoli
sanitari.
La IHT, Internationale Heiztechnik GmbH, è la controllata tedesca della società
francese Compagnie Internazionale Du Chauffage (CICh), che produce in
Francia impianti di riscaldamento con il marchio “Ideal Standard” e li
commercializza in Germania tramite la IHT. Essa commercializza tali prodotti in
seguito ad una lunga e controversa vicenda che ha visto la Ideal Standard SA,
controllata francese della American Standard, titolare del marchio francese “Ideal
Standard” dal 1984 sia per gli impianti di riscaldamento che per gli articoli
sanitari, affittare prima e cedere poi lo stesso marchio a società del gruppo
francese Nord Est, per le difficili condizioni economiche in cui versava.
Il marchio fu ceduto alla CICh ed essa, a partire dal 1988 iniziò a
commercializzare gli impianti di riscaldamento con tale marchio, in Germania,
tramite la IHT. Perciò la Ideal Standard GmbH promosse un’azione giudiziaria
221 Caso IHT Internationale Heiztechnik GmbH GmbH c. Ideal Standard GmbH, causa C-9/93,sentenza del 22 giugno 1994, E.C.R. p. 2789. Sul caso vedere anche IHT Internationale HeiztechnikGmbH v. Ideal Standard, in Common Market Law Reports, a cura di J.MacDonald Hill, European LwCentre at Sweet & Maxwell, Vol 71, 1994:3; W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectualproperty, cit., p. 561; V.Korah, op.cit., p. 384; P.Mengozzi, op.cit., p. 426; M.Lamandini, DirittoComunitario: il caso Ideal Standard, in Diritto Industriale, 1995, p. 21
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
83
contro la IHT chiedendo che le venisse ingiunto il divieto di distribuire in
Germania impianti recanti il marchio “Ideal Standard” o di utilizzare quest’ultimo
nella pubblicità e nei listini prezzi222.
Le questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia furono sottoposte dall’organo
d’appello tedesco a cui si rivolse la IHT, dopo che il tribunale aveva in primo
grado dato ragione alla Ideal Standard GmbH223. Le questioni vertevano
sull’interpretazione degli articoli 30 e 36 del Trattato: si chiedeva di valutare la
compatibilità con il diritto comunitario delle restrizioni all’uso di una
denominazione, in una situazione in cui un gruppo di società deteneva, per il
tramite delle consociate, un marchio costituito da tale denominazione in diversi
Stati membri della Comunità, ed in cui tale marchio era stato ceduto, unicamente
per uno Stato membro e per alcun prodotti relativamente ai quali era stato
registrato, ad un’impresa estranea al gruppo224.
L’elemento che sostanzialmente segna la differenza rispetto al caso Hag II,
è che l’unicità di controllo del marchio è venuta meno per effetto di una cessione
effettuata unicamente per uno Stato membro. Gli stessi principi del caso Hag II
valgono ancora – ci si interrogava - qualora il marchio sia Stato trasferito ad
un’impresa economicamente indipendente dal cedente, il quale si oppone allo
smercio, nello Stato in cui ha conservato il marchio, di prodotti recanti lo stesso
marchio?
La Commissione sostenne che, cedendo il marchio in Francia per gli impianti di
riscaldamento ad una società terza, il gruppo americano aveva acconsentito
implicitamente alla distribuzione in Francia dei prodotti marchiati e, essendovi
consenso implicito, aveva perso il diritto di vietare tale distribuzione in un altro
222 La Ideal Standard SA promosse l’azione contro la IHT per contraffazione di marchio e perusurpazione di nome commerciale223 Il Landgerich rilevò anzitutto che vi era rischio di confusione. Il contrassegno utilizzato, cioèla denominazione Ideal Standard, era identico. D’altra parte i prodotti in questione presentavanopunti di contatto sufficientemente ravvicinati perché gli utenti interessati, vedendovi apposto lostesso contrassegno, fossero indotti a pensare che provenissero dalla stessa impresa
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
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Stato membro. La Corte contestò questa posizione, visto che, perché possa
essere fatto valere il principio dell’esaurimento, occorre che il proprietario nello
Stato di importazione possa controllare quali prodotti sono contrassegnati dal
marchio nonché la loro qualità. È evidente che la Ideal Standard aveva perso ogni
tipo di controllo sulla qualità dei prodotti, quando aveva alienato il diritto alla
Nord Est.
Parimenti fu sostenuto che la soluzione della settorializzazione dei mercati nel
caso di titolari di marchi distinti per due Stati membri che siano reciprocamente
indipendenti, ammessa nel caso Hag II225, andava disattesa nel caso di un
frazionamento volontario. Anche a questa opinione la Corte rispose
negativamente perché essa era in contraddizione con il ragionamento fatto dagli
stessi giudici comunitari nel 1990. In quel caso la Corte aveva avuto modo di
specificare la funzione essenziale del marchio, il quale costituisce – essa disse –
un elemento essenziale del sistema di libera concorrenza che si auspica: “affinché
il marchio possa svolgere la sua funzione essenziale esso deve garantire che tutti i
prodotti che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati sotto il controllo di
un’unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità”226.
Altrimenti i consumatori non sarebbero più in grado di riconoscere con certezza
l’origine del prodotto e il titolare potrebbe vedersi attribuita la cattiva qualità di
un prodotto di cui in realtà, non è responsabile.
La IHT infine sostenne a suo vantaggio due tesi: una, secondo cui il titolare di un
diritto che lo ceda in uno Stato membro e continui a conservarlo negli altri,
dovrebbe accettare le conseguenze del fatto che la cessione ha indebolito la
224 Ciò che la Corte avrebbe dovuto stabilire era se le restrizioni di cui sopra fossero compatibilicon l’articolo 36 del Trattato, visto che era già stato appurato che il divieto all’uso delladenominazione costituisse una restrizione quantitativa di cui all’articolo 30225 In quel caso l’unicità dei titolari era venuta meno per un provvedimento di sequestro226 Punto 13 della sentenza Hag II
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
85
funzione di identificazione del marchio; la Corte bocciò questo argomento perché
esso non avrebbe tenuto conto della natura territoriale del marchio227.
La seconda tesi della IHT diceva che, poiché la consociata francese aveva
accettato in Francia la distribuzione di prodotti con origine diversa ma con
identico marchio, la consociata tedesca, opponendosi, avrebbe assunto un
comportamento abusivo. Anche questa volta la Corte obiettò che la cessione era
stata effettuata unicamente per la Francia: per accogliere la tesi della IHT la
cessione in Francia avrebbe dovuto essere accompagnata dall’autorizzazione di
utilizzare il contrassegno in Germania228.
In seguito a tutte queste argomentazioni la Corte stabilì che “non si configura una
illecita restrizione del commercio intracomunitario ai sensi degli articoli 30 e 36
qualora ad una società, operante nello Stato membro A e controllata da un
fabbricante stabilito nello Stato membro B, debba essere vietato l’uso come
marchio della denominazione Ideal Standard, a causa del rischio di confusione
con un contrassegno della stessa origine, che il detto fabbricante utilizza
lecitamente nel proprio Paese d’origine in forza di un marchio ivi protetto, da
esso acquisito per vie negoziali e che originariamente apparteneva ad una
consociata dell’impresa che si oppone nello Stato membro A all’importazione di
merci recanti il marchio Ideal Standard.”229
Alla luce dell’iter giurisdizionale appena percorso, si tutelano oggi i titolari
di marchi che, a causa di frazionamenti volontari o imposti dalla pubblica
autorità, vedano i loro mercati invasi da merci, identiche o simili, recanti lo
stesso marchio, senza che essi possano minimamente controllare la qualità di tali
227 Punto 18 della sentenza Hag II: “la funzione del marchio va valutata rispetto ad un territorio”228 La Corte sottolineò che cessioni e licenze sono sempre concluse, tenuto conto dellaterritorialità dei titoli nazionali in materia di marchi, rispetto ad un determinato territorio. Venneinoltre specificata nella sentenza la differenza tra diritto francese e diritto tedesco: mentre ilprimo autorizza le cessioni di marchio limitate a taluni prodotti cosicché in Francia possonocircolare con identico marchio beni aventi origini diverse, il diritto tedesco vieta le cessioni dimarchio limitate a taluni prodotti, ed evita quindi questa situazione di convivenza229 Conclusione della sentenza sopra citata
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
86
prodotti. Parallelamente vengono protetti i consumatori, in modo tale che nei
loro acquisti non siano sviati da marchi identici contrassegnanti però beni
prodotti da imprese indipendenti tra loro.
2.5 L’EVOLVERSI DELLA GIURISPRUDENZA IN MATERIA
BREVETTUALE
Nell’analisi appena conclusa sono state analizzate essenzialmente
pronunce riguardanti marchi di impresa. Poco si è invece detto finora circa la
materia brevettuale.
Anche in questo campo uno dei più importanti principi ad essere sviluppato è
stato quello dell’esaurimento. Esso era stato creato, negli stessi termini, dalla
giurisprudenza di inizio ‘900 e le istituzioni comunitarie ne hanno confermato la
validità a livello dell’intero mercato comune.
2.5.1 Il caso Centrafarm c. Sterling Drug
La prima decisione della Corte messa a punto sull’argomento, con
riferimento specifico alla materia dei brevetti, riguarda la prima metà degli anni
settanta ed una società interessata, nel corso degli anni, da molte pronunce della
Corte. Nel caso Centrafarm c. Sterling Drug230, un terzo aveva acquistato un farmaco
brevettato da un licenziatario estero e lo aveva poi importato in Olanda,
rivendendolo in concorrenza col titolare del brevetto; in particolare l’importatore
parallelo Centrafarm aveva acquistato il bene in Gran Bretagna dalla Sterling
Winthrop Group Ltd, licenziataria inglese del gruppo americano Sterling
Winthrop Group, per rivenderlo in Olanda, in concorrenza con la Winthrop BV,
230 Caso Centrafarm BV and de Paijper c. Sterling Drug, causa 15/74, sentenza del 31 ottobre 1974,E.C.R. p. 1147; sul caso cfr. W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 534;V.Korah, op.cit., p. 351; P.Mengozzi, op.cit.,p. 507; G.Celona. op.cit., p. 321
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
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licenziataria olandese dello stesso gruppo. In Inghilterra il bene era venduto ad un
prezzo pari alla metà del prezzo di vendita olandese, e ciò era dovuto innanzitutto
al declino della sterlina inglese e al potere di contrattazione del governo inglese. A
seguito dell’importazione parallela da parte di Centafarm, il gruppo Sterling Drug
fece ricorso sia per la contraffazione del marchio “Negram” sotto cui i suoi
prodotti erano venduti, che per infrazione del brevetto.
La Corte, adita in via pregiudiziale, dopo aver specificato la differenza tra
esistenza ed esercizio del diritto ed aver indicato l’oggetto specifico della
proprietà industriale in materia di brevetti, ebbe a concludere che “l’esercizio da
parte del titolare del brevetto, della facoltà – attribuitagli dal diritto di uno Stato
membro – di opporsi allo sfruttamento commerciale, in questo Stato, del
prodotto brevettato e posto in commercio in un altro Stato membro dallo stesso
titolare del brevetto o con il suo consenso, è incompatibile con le norme del
Trattato CEE relative alla libera circolazione delle merci all’interno del mercato
comune”231.
Il caso risultò particolarmente degno di attenzione anche per un altro
aspetto, riguardante l’applicabilità delle norme per la tutela della concorrenza, in
particolare dell’articolo 85232, agli accordi e alle pratiche concordate tra il titolare
di brevetti analoghi in diversi Stati membri ed i suoi licenziatari. La Corte,
interpellata, concluse che “l’articolo 85 non colpisce accordi e pratiche
concordate fra imprese appartenenti allo stesso gruppo come società madre ed
affiliata, qualora esse costituiscano un’unità economica nell’ambito della quale
l’affiliata non dispone di effettiva autonomia nella determinazione del proprio
comportamento sul mercato, e gli accordi o pratiche di cui trattasi abbiano
semplicemente lo scopo di una ripartizione di compiti all’interno del gruppo”233.
231 Punto I delle conclusioni della Corte nella sentenza sopra citata232 Articolo 81 secondo l’attuale numerazione233 Punto V delle conclusioni della sentenza sopra citata
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
88
2.5.2 Il caso Pharmon c. Hoechst
Il principio dell’esaurimento ha trovato difficile applicazione nei casi di
importazioni da Paesi in cui al titolare, per ragioni da lui indipendenti, risultava
impossibile lo sfruttamento del brevetto parallelo o addirittura non poteva
ottenerlo. In particolare il caso in questione riguarda un brevetto oggetto di una
licenza obbligatoria.
Nel caso Pharmon BV c. Hoechst AG234 la società Hoechst era la titolare del
brevetto per la produzione di un medicinale, chiamato “Frusemide”, in vari Stati
tra cui Olanda e Regno Unito. In virtù del Patents Acts del 1949, in Gran
Bretagna la società DDSA aveva ottenuto una licenza obbligatoria, riguardante
beni alimentari, medicinali e strumenti chirurgici; la licenza era non esclusiva, non
trasferibile e valida per il solo Regno Unito, contenente l’espresso divieto di
esportazione. Alla fine del 1976, poco prima della scadenza della licenza
obbligatoria, la DDSA aveva venduto una grande partita di “frusemide” alla
Pharmon BV in modo che potesse commercializzare il prodotto in Olanda, in
concorrenza diretta con la originaria titolare del diritto, la Hoechst.
La Corte riconobbe alla Hoechst, titolare del brevetto, il diritto di bloccare tali
importazioni, osservando che, in una vendita effettuata in base ad una licenza
obbligatoria, non poteva essere riscontrato alcun tipo di consenso da parte della
licenziante. Nel caso di specie infatti, ciò che faceva la differenza era il carattere
obbligatorio della licenza, con cui la Hoechst aveva dovuto permettere alla
DDSA di produrre e commercializzare il medicinale in Gran Bretagna. Nessun
problema sarebbe insorto infatti se tale licenza avesse avuto carattere volontario:
234 Caso Pharmon BV c. Hoechst AG, causa 19/84, sentenza del 9 luglio 1985, E.C.R. p. 2281; sulcaso cfr. W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 547; E.White, Case Note onPharmon BV c. Horchst AG, in Common Market Law Review, anno 1986, n° 23, p. 719; G.Celona,op.cit., p. 324
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
89
in un’ipotesi simile senz’altro la Hoechst non avrebbe avuto diritto a nessun tipo
di opposizione235.
Le stesse regole non si potevano applicare nel caso di specie: una tale misura
avrebbe privato il titolare del brevetto del diritto di determinare liberamente le
condizioni in cui commercializzare il suo prodotto, e questo avrebbe violato la
sostanza del diritto di brevetto236.
Perciò la Corte concluse che “occorre permettere al titolare di impedire
l’importazione e la vendita di prodotti fabbricati in base a licenza obbligatoria,
allo scopo di proteggere la sostanza dei diritti esclusivi conferiti dal brevetto”.
2.5.3 Il caso Merck c. Stephar
Alcuni anni prima la Corte aveva risolto un altro caso, riguardante di nuovo un
diritto di brevetto su un farmaco, in senso opposto, basandosi allo stesso modo
sul principio del consenso.
Nel caso Merck c. Stephar237, il medicinale “Moduretic” era protetto da un diritto di
brevetto nella maggior parte degli Stati della Comunità, ad eccezione dell’Italia
dove, a causa del divieto di brevettazione dei farmaci vigente fino al 1978 e
imposto dalla legge, la titolare Merck non lo aveva potuto registrare. Nonostante
ciò, essa aveva deciso di vendere il medicinale in Italia, tramite una sua
consociata, ad un prezzo ovviamente molto più basso che negli altri Paesi, a causa
della mancanza di brevettazione. Stephar, Exler e altri importatori paralleli
iniziarono a sfruttare questo divario di prezzi, acquistando legalmente in Italia il
235 La Corte disse infatti: “Se il titolare di un brevetto potesse impedire l’importazione diprodotti protetti, commercializzati da lui o con il suo consenso nel territorio di un altro Statomembro, potrebbe isolare i mercati nazionali e quindi restringere il commercio tra gli Statimembri […]”236 La sostanza del diritto di brevetto sta essenzialmente nella possibilità, per l’inventore dicommercializzare per primo e a titolo esclusivo il suo prodotto, così da ottenere una adeguataretribuzione per il suo sforzo creativo237 Caso Merck & Co. Inc. C. Stephar BV, causa 187/80, sentenza del 14 luglio 1981, EC.R. p.2063. Sul caso cfr. V.Korah, op.cit., p.355; W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property,cit., p.537; G.Celona, op.cit., p. 310
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
90
farmaco per poi esportarlo e commercializzarlo a prezzi più elevati in Olanda,
ottenendo notevoli guadagni e facendo concorrenza alla titolare del brevetto, che
vendeva il medicinale a prezzi notevolmente più alti. Quest’ultima promosse
un’azione per contraffazione contro Stephar, sostenendo che le sue vendite in
Italia non potevano dar luogo ad esaurimento comunitario, poiché la
brevettazione le era stata vietata dal diritto italiano e di conseguenza mancava su
quel mercato ogni tipo di remunerazione dell’attività inventiva: secondo Merck
era quindi venuto meno in Italia un presupposto fondamentale ed indispensabile
del principio dell’esaurimento.
La Corte, sorprendentemente, non diede ragione alla titolare del diritto,
sostenendo la liceità dell’azione dell’importatore parallelo. Ammise che la
caratteristica essenziale e primaria di un diritto di brevetto è quella di attribuire al
titolare un diritto esclusivo sulla prima messa in commercio del bene; nonostante
ciò la retribuzione non è una garanzia in tutte le circostanza. Nel caso di specie la
Merck aveva accettato liberamente e consapevolmente di commercializzare il
bene in uno Stato che non assicurava la tutela: “sta al titolare del brevetto
decidere in quali condizioni porre in vendita il prodotto, compresa la possibilità
di commercializzarlo in uno Stato membro dove la legge non prevede protezione
brevettuale per il prodotto in questione. Se decide di farlo, deve accettare le
conseguenze della sua scelta sulla libera circolazione del prodotto all’interno del
mercato comune, la quale rappresenta uno dei principi fondamentali che
costituiscono il contesto legale ed economico che il titolare del brevetto deve
prendere in considerazione nel decidere il modo in cui esercitare il suo diritto
esclusivo”238.
Questa decisione della Corte fu duramente attaccata da molti studiosi, i
quali sostenevano non si potesse parlare di consenso rilevante, visto che la
238 Conclusioni della sentenza sopra citata
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
91
commercializzazione era avvenuta in un Paese dove non poteva esistere un diritto
parallelo.
Ghidini e Hassan239 proposero di non limitarsi a considerazioni circa il semplice
consenso: chiedevano alla Corte di valutare se il titolare avesse effettivamente
“avuto la possibilità, nel paese esportatore, di estrarne la sostanza economica che
normalmente deriva dal possesso di un brevetto. Perché questo potesse accadere
era necessario che esistesse un diritto parallelo nel Paese esportatore e che il
titolare fosse assolutamente libero stabilire delle royalties240.
In base a queste argomentazioni essi proponevano alla Corte due soluzioni simili
per casi riconducibili ai due studiati sopra. In un caso di licenza obbligatoria,
essendo mancato il consenso, sarebbe stata lecita l’opposizione da parte del
titolare del brevetto a importazioni parallele241; nel caso in cui in uno Stato
membro si fosse incontrato un divieto di brevettazione, si sarebbe accordata al
titolare la facoltà di opporsi all’importazione parallela, a causa della mancanza di
retribuzione242.
Questi furono gli orientamenti seguiti dalla Corte di lì in avanti.
2.6 L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO D’AUTORE
Come già si è avuto modo di sottolineare, la disciplina dal diritto d’autore
sembra esser stata dimenticata dai redattori del Trattato, i quali non la
menzionarono espressamente in nessuno degli articoli del Trattato,
probabilmente perché a metà degli anni ’50 non si pensava che il diritto d’autore
dovesse rientrare tra le materie di competenza del Trattato. L’articolo 30 infatti
239 G.Ghidini e S.Hassan, Diritto industriale e della concorrenza nella CE, cit., p. 169240 Su questa teoria cfr. F.Demaret, Free movement of Goods under Community Law, in InternationalReview of Industrial Property and Copyright (IIC), 1987, p. 161241 Proposero quindi una soluzione simile a quella data dalla Corte nel caso Pharmon c. Hoechst242 Proposero una soluzione antitetica rispetto a quella data dalla Corte nel caso Merck c. Stephar
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
92
parla semplicemente di “proprietà industriale e commerciale”. Tuttavia è quasi
unanimemente riconosciuto che tale materia faccia parte della proprietà
industriale di cui all’articolo 30 e per questo motivo tutti i principi sviluppati nel
corso degli anni, ad opera soprattutto della Corte di Giustizia e della
Commissione, vanno considerati validi ed applicabili in materia di copyright.
Pertanto, così come per i brevetti o per i marchi, si potrà parlare di esaurimento
del diritto o di differenza tra esistenza ed esercizio del diritto in riferimento al
diritto d’autore.
La stessa Corte ha infatti sottolineato come “lo sfruttamento commerciale del
diritto d’autore pone gli stessi problemi sollevati dallo sfruttamento di altri diritti
di proprietà industriale e commerciale”. Tale osservazione si ricava dalla
pronuncia della Corte probabilmente più celebre e nota in materia di copyright, la
sentenza Musik Vertrieb Membran c. GEMA, del 1980.
Anche la Commissione ha espresso lo stesso tipo di parere riguardante il
copyright, osservando che “in materia di diritto d’autore, essa applica in generale
gli stessi principi seguiti in materia di accordi di licenza di brevetto”243.
2. 6.1 La sentenza Membran c. GEMA
Questa sentenza è la più emblematica tra tutte quelle pronunciate dalla
Corte in materia di diritto d’autore: da un lato attraverso essa è stato
unanimemente riconosciuto al copyright lo status di diritto di proprietà
industriale e commerciale in sede comunitaria, cosicché esso da allora risulta
sottoposto all’articolo 30 e a tutti gli atti comunitari che ne sono derivati.
Dall’altra, in questa sentenza la Corte ha confermato per il diritto d’autore tutti i
principi esaminati per i brevetti e per i marchi, con un particolare riferimento alle
importazioni parallele. Per questo motivo la trattazione si concentrerà su questo
caso. Ciò significa che anche il diritto d’autore si esaurisce nel momento in cui i
243 Commissione Europea, 12a Relazione sulla politica di Concorrenza, 1983, p. 76
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
93
beni che ne formano l’oggetto vengono commercializzati nel territorio della
Comunità dal titolare stesso o con il suo consenso244.
Nel caso di specie245, gli attori erano la GEMA, l’ente tedesco per la tutela
dei diritti d’autore, e la Musik Vertrieb; si trattava della richiesta della società di
autori tedesca di un supplemento di compenso per dischi prodotti nel Regno
Unito e qui sottoposti ad un compenso di diritto d’autore inferiore rispetto a
quello praticato nel mercato tedesco246. Seguendo l’orientamento sviluppato in
altre sentenza, la Corte dichiarò che, a suo giudizio, nessuna disposizione di legge
nazionale sul diritto d’autore poteva permettere ad una società di autori di
operare un prelievo di compenso su prodotti importati da un altro Stato membro.
Questo perché tale pratica avrebbe comportato di imporre ad un’impresa privata
un compenso per l’importazione di prodotti, nel caso di specie supporti di suono,
che già si trovano a circolare liberamente all’interno del Mercato Comune. Si
tratta sostanzialmente dell’applicazione del principio dell’esaurimento ad un caso
coinvolgente il diritto d’autore.
2.6.2 Il caso Ciné Vog c. Coditel
Prime247 nota infine che, mentre la Corte si adoperava per trasferire il
principio dell’esaurimento alla materia dl diritto d’autore, quasi nessuno sforzo
veniva fatto per determinare quale fosse l’oggetto specifico del diritto d’autore.
La questione risultava senz’altro complessa a causa delle molteplici modalità
attraverso cui il diritto d’autore può essere manifestato. In un caso però si era
tentato di dare una definizione dell’oggetto specifico, con riferimento, per il tipo
244 L’applicabilità del principio dell’esaurimento comunitario alla materia del diritto d’autore eragià stata stabilita dalla Corte nel caso Deutsche Grammophon, sopra citato, ed è stata ribadita nelcaso in esame245 Caso Musik Vertrieb Membran c. GEMA, causa 57/80, sentenza del 20 gennaio 1981. Sul casocfr. G.Celona, op.cit., p. 350; W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 545 246 Mentre in Gran Bretagna la royalty era pari al 6,5% del prezzo di vendita, in Germaniaammontava all’8%
L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA
94
di causa, ai films. Nel caso SA Coditel c. Cinè Vog Films248 del 1980 la società
distributrice di films Ciné Vog Films aveva acquistato i diritti per la riproduzione
pubblica nelle sale del Belgio del film “Le Boucher”, nonché per la emissione
televisiva della pellicola, passati quaranta mesi dall’uscita nei cinema. Il caso sorse
allorché una società di tele-distribuzione belga, la Coditel, registrò il film, diffuso
in televisione in Germania, e lo inviò via cavo ai telespettatori belgi, senza il
consenso della Ciné Vog249. La Corte sostenne che nel caso di un film, il diritto
spettante al titolare di richiedere un compenso per ogni proiezione pubblica del
film, fa parte della funzione essenziale del copyright in questo tipo di opera
artistica o letteraria.
Diverso sarà ovviamente l’oggetto specifico quando il titolare si occupi non di
proiezioni cinematografiche, ma di vendita o noleggio di videocassette, di
commercializzazione di libri o dischi, ecc.
Parimenti, la Corte ha provveduto nel corso degli anni ad applicare gli altri
principi creati per marchi o brevetti, alla materia del copyright, cosicché non
risulta necessario, in questa sede, ripercorrere gli stessi principi in altre sentenze,
meno note di quelle citate, coinvolgenti il diritto d’autore.
Come preannunciato da alcuni studiosi, le sentenza della Corte, sia quelle
riportate nei paragrafi precedenti, sia quelle non studiate in questo lavoro, hanno
costituito uno stimolo importante ai successivi interventi legislativi che verranno
analizzati nel dettaglio, nei capitoli successivi.
247 T.Prime, op.cit., p. 11248 Caso SA Coditel c. Ciné Vog Films, causa 62/79, sentenza del 18 marzo 1980, E.C.R. p. 881; sulcaso cfr. M.Fabiani, Diritto d’autore e Trattato C.E.E., in Diritto d’Autore, 1981, p. 249;W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 581; V.Korah, op.cit., p. 419249 Ovviamente il film non poteva più essere proiettato nelle sale perché il pubblico, avendolovisto in Tv, non sarebbe andato al cinema
3. IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
3.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI MARCHI
Eric Gastinel, alto funzionario dell’Ufficio per l’Armonizzazione del
Mercato Interno ( UAMI ), illustra250, attraverso un racconto molto interessante,
il ruolo e l’importanza del marchio nell’attuale mercato mondiale e globale,
coinvolgente l’impresa il cui marchio senz’altro figura ai primi posti nella
classifica dei più conosciuti nel mondo, la Coca-Cola.
Nel corso di un’intervista, il giornalista Mark Pendergrast251 chiese al portavoce
della Coca Cola cosa sarebbe successo se, avendo scoperto la formula chimica
segreta della nota bevanda analcolica, la avesse fatta conoscere pubblicamente nel
suo testo, dando quindi la possibilità ad un eventuale concorrente di lanciare sul
mercato un prodotto identico. Il portavoce ribatté chiedendo come si sarebbe
chiamato questo nuovo prodotto. Ponendo il caso che lo avessero chiamato con
un nome di simile assonanza come Yum Yum252, il portavoce in tutta sicurezza si
chiese come lo avrebbero venduto, come lo avrebbero promosso, visto che la
Coca-Cola aveva passato più di cento anni e speso somme esorbitanti di dollari a
costruire la rinomanza di tale nome; senza l’incredibile sistema di marketing e le
economie di scala dell’impresa statunitense, nessun tentativo di duplicare la Coca-
250 E.Gastinel, La marque communautaire. Preface de Jean-Claude Combaldieu, Président de l’OHMI,L.G.D.J., Parigi 1998, p. 11251 Il giornalista stava preparando un’opera sulla storia della grande impresa statunitense. Dallaricerca e della interviste, tra cui quella sopra adattata e riproposta, è sortito il testo:M.Pendergrast, For God, Country and Coca-Cola. The unauthorised history of the great American soft drinkand the Company that makes it, Collier Books, New York, 1993 ( la versione italiana del testo è statapubblicata da PIEMME nel 1993, con il titolo “Per Dio, la Patria e la Coca-Cola: la vera storia nonautorizzata della bibita più famosa del mondo”). Del 1998 è la versione aggiornata e autorizzata:M.Pendergrast, La vera storia della Coca-Cola: il segreto della bibita che ha colonizzato il mondo,PIEMME, Milano 1998
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
97
Cola avrebbe successo: perché infatti il cliente dovrebbe abbandonare la bevanda
che conosce ed ama da anni per una identica, sicuramente più cara? La
conclusione sembra semplice:
Les autres droits de propriété intellectuelle passent, la marque reste. Bien
d’avantage, elle se valorise avec l’age e l’activité aidant253.
3.1.1 Il marchio: la sua natura e il suo valore
Un marchio è un diritto esclusivo di usare una determinata parola,
piuttosto che un disegno o qualsiasi altro segno, per identificare e
contraddistinguere prodotti o servizi254. Poiché uno dei bisogni basilari della
natura umana consiste nella necessità di identificare e di distinguere i vari
elementi della società, utilizziamo quotidianamente segni o nomi per le varie
realtà che conosciamo, creando un implicito ed ideale collegamento tra il segno
che impieghiamo e l’entità che vogliamo individuare: per queste ragioni, nei secoli
passati gli uomini iniziarono ad utilizzare segni per distinguere i prodotti
commercializzati. Così, nel mercato, cioè nell’istituzione organizzata all’interno
della quale siamo immersi ed in cui vengono prodotti e scambiati beni e servizi,
sentiamo la necessità di contraddistinguere i vari beni per poterli individuare,
appunto con i segni distintivi. Tra questi il più importante è sicuramente il
252 Il giornalista propose un nome che suggerisse e ricordasse fortemente il marchio Coca-Colasenza che poter essere accusato di contraffazione, accompagnato dall’informazione per cui laformula è quella della Cola-Cola253 “Gli altri diritti di proprietà intellettuale passano, il marchio resta. Anzi, esso si valorizza conil passare del tempo e il ruolo svolto”. Tratto da E.Gastinel, op.cit., p. 12254 Bibliografia di riferimento per lo studio delle disciplina: M.C:Baldini, Proprietà industriale;registrazione del marchio: come, dove e perché, in Commercio Internazionale, 1995, p. 170; S.Boutet, Brevettiindustriali, marchio, ditta, insegna, UTET, Torino 1978; G.Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale.Proprietà intellettuale e concorrenza. Prefazione di J.H.Reichman, Giuffrè, Milano, 2001; C.Costa,C.Baldini, R.Plebani, Guida Pratica. Marchi, Brevetti, Know how e Licensing. III edizione, Studio TortaSRL Marchi brevetti modelli licenze, Torino 2003; M.Ricolfi, I segni distintivi. Diritto interno e dirittocomunitario, Giappichelli Editore, Torino, 1999; A.Michaels, A practical guide to trade mark law. Third
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
98
marchio, che serve per proteggere il rapporto tra l’impresa e la rispettiva clientela,
dalle intrusioni della concorrenza.
I marchi, quindi, e gli altri segni distintivi tipici, hanno una funzione molto
importante nell’economia di mercato, perché permettono alle imprese di farsi
conoscere e riconoscere dalla clientela, la quale sarà guidata nelle sue scelte, senza
rischi di confusione. Tale funzione è divenuta via via più importante, man mano
che i mercati si espandevano aumentavano conseguentemente le distanze tra il
produttore e il consumatore del bene o del servizio, cosicché la scelta non poteva
più basarsi sul rapporto di fiducia e sul contatto, come invece accadeva
nell’economia di tipo artigianale255. Solo il segno, utilizzato in modo esclusivo e
continuato, può ridurre tale distanza, permettendo al pubblico di individuare la
provenienza di un determinato bene, nonché di ripetere la scelta su un bene
particolarmente soddifaciente, senza difficoltà.
I segni generalmente riconosciuti come tipici sono tre256: il marchio
appunto, la ditta e l’insegna. La ditta è il segno distintivo dell’imprenditore o
dell’impresa; l’insegna è il segno distintivo dell’esercizio commerciale, cioè del
locale aperto al pubblico; il marchio è il segno distintivo dei beni o dei servizi
prodotti e venduti dall’imprenditore257. Ma la differenza sostanziale sta
soprattutto nel fatto che, mentre le prime due indicano rispettivamente una certa
impresa ed un certo esercizio considerati ognuno nella loro individualità, il
marchio caratterizza un gruppo di beni o servizi, non un prodotto individuale.
Perciò per comprendere tutta la portata del marchio, bisogna confrontarlo con le
classificazioni che ogni giorno utilizziamo per distinguere classi di prodotti o di
servizi. All’interno della classe di prodotti, che noi chiamiamo in un determinato
edition, Sweet & Maxwell, Londra 2002; G.La Villa, Introduzione al diritto dei marchi d’impresa,Giappichelli, Torino 1994255 G.Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., p. 123256 Accanto a questi tre segni tipici, ne esistono altri che, poiché non sono oggetto di un’espressadisciplina, vengono considerati e detti “atipici”257 Alcuni autori, tra cui M.Ricolfi, ritengono questa classificazione piuttosto arretrata rispettoall’epoca globale presente, nella quale sono intervenute trasformazioni tali da renderlainadeguata. Sul tema vedi M.Ricolfi, op.cit., p. 2
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
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modo, il marchio identifica una sottoclasse, i cui prodotti sono contraddistinti
proprio dall’ulteriore presenza del marchio.
3.1.2 La funzione distintiva del marchio
Appena il marchio viene ideato, il suo valore commerciale è
sostanzialmente pari a zero, perché esso altro non è che una parola o un disegno,
praticamente privo di significato. Solo con la pubblicità, l’utilizzo e la strategia di
marketing del produttore o del commerciante, il marchio inizia ad assumere un
particolare significato e il suo valore commerciale inizia ad aumentare in modo
esponenziale. Solo con l’utilizzo e la pubblicità il marchio diviene un fattore di
produzione di reddito258 e arreca quindi vantaggi all’imprenditore che ha deciso di
idearlo e registrarlo.
Il marchio è essenzialmente e principalmente un segno distintivo e come tale
deve consentire al pubblico di riconoscere i beni o servizi e distinguerli dai
prodotti di un altro imprenditore (concorrente). Sono interessati alla funzione
distintiva del marchio sia l’impresa produttrice che il consumatore, entrambi in
rapporto al rischio di confusione. Senza il segno il consumatore potrebbe
acquistare erroneamente il prodotto A, credendo e volendo comperare il bene B.
L’imprenditore perderà, senza il marchio, una fetta di clientela a favore dei
concorrenti259.
In base a tale funzione distintiva, il marchio comunica a chi lo percepisce
una serie di informazioni, riguardanti le caratteristiche del bene, e consente al
pubblico di identificare quel determinato prodotto nella cerchia di beni dello
stesso genere. Ovviamente sarà necessario che la legge assicuri questa
258 Naturalmente non tutti i marchi riusciranno a raggiungere la stessa capacità di produrrereddito. Molti studiosi ritengono che il marchio Coca-Cola si trovi attualmente al primo postonell’ipotetica classifica dei marchi forieri di reddito e produca migliaia di milioni di euro direddito. Sul tema si veda C.Costa, C.Baldini, R.Plebani, op.cit., p. 31259 Si noti il carattere prettamente privatistico della disciplina, che accorda la tutela contro gli atticonfusori ai soli titolari o licenziatari di marchi e non anche ai consumatori
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corrispondenza, vietando l’uso di un marchio altrui; in tal modo si potrà dire che
la funzione distintiva è la funzione giuridicamente tutelata del marchio.
Guardando però alla realtà, si noterà che i marchi possono trasmettere messaggi
molto diversi e ciò dipende sicuramente dal tipo di marchio che si sta osservando.
Nelle automobili ad esempio troviamo più di un marchio: la “Ypsilon” LANCIA
reca i marchi LANCIA ed Ypsilon ed ognuno dei due comunica informazioni
diverse all’acquirente. Il marchio LANCIA dice che la vettura proviene dalla
catena produttiva del gruppo torinese, il marchio “Ypsilon” dà informazioni sulle
caratteristiche tecniche, funzionali ed estetiche dell’autoveicolo. Altri prodotti
recano addirittura tre o più marchi260 e ognuno di essi da informazioni specifiche
le quali, integrandosi insieme, contribuiscono a fornire al consumatore un
pacchetto completo di informazioni. I marchi del primo tipo, ad esempio
LANCIA, sono detti marchi generali, mentre i secondi, come “Ypsilon”, sono
marchi speciali. Questa è senz’altro la distinzione più importante in tema di marchi.
Non si dimentichino però le altre categorizzazioni dei marchi, che
distinguono, ad esempio, tra marchi semplici, complessi e d’insieme. I primi saranno
costituiti da uno solo dei segni previsti dall’articolo 4 del Regolamento sul
Marchio Comunitario, mentre i secondi sono composti da più elementi, ognuno
dotato di autonoma capacità distintiva; nei marchi d’insieme invece l’idoneità a
distinguere si ritrova non nei differenti elementi che li costituiscono, i quali
singolarmente sono privi di capacità distintiva, quanto nella loro combinazione.
Allo stesso modo come marchio si può scegliere una parola o un segno
che di per sé sono privi di valore semantico, come Rolex per contraddistinguere
orologi, oppure segni dotati di propri significati che però non hanno nulla a che
vedere con il prodotto che si vuole contraddistinguere: il nome “strega” ha un
proprio valore semantico ma non ha nessuna attinenza pratica con il liquore che è
contraddistinto da tale marchio. Più spesso e con maggiore convenienza per
l’impresa produttrice infine i marchi vengono adottati in quanto descrivono o
260 Si pensi ai biscotti del Mulino Bianco, marchiati con i marchi BARILLA, Mulino Bianco e, adesempio, Galletti
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almeno richiamano il prodotto, le sue caratteristiche o la sua destinazione: si
pensi al marchio Amplifon per gli apparecchi acustici o a Brillo per i lucidi per
calzature. A questa distinzione ne corrisponde un’altra, tra marchi deboli e marchi
forti: i primi, dotati di minore originalità, corrispondono essenzialmente a quelli
espressivi, descrittivi del bene e delle sue qualità261. La protezione di essi si limita
ad impedire l’imitazione da parte di terzi di quei suoi elementi che, operando sul
suo contenuto descrittivo, ne fanno un marchio valido ai sensi di legge. A questi
si contrappongono i marchi forti, costituiti da segni del tutto arbitrari o di
fantasia, privi di qualsiasi contenuto significativo o evocativo, tutelati nel loro
nucleo ideologico: tutte le variazioni e le modificazioni che non intaccano
l’identità concettuale del marchio sono da considerarsi non valide262.
Con riferimento ai marchi costituiti da espressioni geografiche invece, deve
escludersene la validità solo quando vi sia una possibilità di riferimento alla
“provenienza geografica”263 del prodotto o del servizio264, mentre il marchio sarà
valido se il nome del luogo non ha alcuna funzione descrittiva delle qualità del
prodotto, come nel caso delle penne Montblanc o delle carte Fabriano.
A monte di tutto ciò, i marchi sono atti a contraddistinguere sia prodotti
che servizi: per i marchi di prodotto l’utilizzo più ovvio consisterà nell’apposizione
del segno sul bene stesso o sulla sua confezione e nella successiva immissione sul
mercato del prodotto così contrassegnato. Per quanto riguarda invece i marchi di
servizio, poiché essi non hanno il supporto di un prodotto, il loro uso sarà
essenzialmente legato alla pubblicità, agli indumenti di coloro che svolgono il
servizio o agli strumenti che costituiscono l’oggetto del servizio, come nel caso
dei servizi di noleggio. Di solito inoltre un marchio di servizio è utilizzato anche
come insegna e come ditta.
261 Tra i marchi deboli si ricordano generalmente quelli apposti sui prodotti farmaceutici262 Sui marchi forti: A.Vanzetti e V.Di Catldo, op.cit., p. 194263 Articolo 7.1 lettera c del Regolamento 40/94264 Si deve considerare esclusa la brevettabilità dei marchi prosciutto di Parma, ceramiche di Sassuolo,arance di Sicilia
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Lo studioso Michaels265 dà un’ottima rappresentazione di quella che è la
funzione del marchio, rispetto ai consumatori: “the mark is seen as a badge of
origin and a guarantee of consistency, carrying an implied assurance of quality,
arising from personal experience of the product, word-of-mouth
recommendation or the image of the market product projecting by advertising.
The consumer will expect it to live up to the standard fond in the earlier product,
or implied by its presentation on the market”. “Consumers rely upon the
proprietor’s economic interest in maintaining the value of his mark, by
maintaining the utility of the goods sold under his mark. It is seen as being in the
public interest that the mark can fulfil that function, in encouraging traders to set
and maintain quality standards, and enable costumers to make an informed
choice”266.
Anche il Regolamento istituente il marchio comunitario ha confermato
l’importanza di questa funzione distintiva, riprendendola nel suo articolo 4: il
carattere distintivo del prodotto o del servizio è condizione necessaria e
sufficiente per la validità del marchio stesso. Esso deve quindi essere in grado di
identificare un certo prodotto per consentire al pubblico di distinguerlo; questa
condizione non deve confondersi con la novità, né con la originalità, né implica
questi caratteri. Infatti per il marchio non sono richieste le stesse prerogative che
deve avere un’invenzione267 o una creazione artistica268. Ciò che rileva infatti, per
265 A.Michaels, op.cit., p. 2266 “Il marchio è come un’etichetta che garantisce l’origine e la costanza del prodotto,apportando un’implicita assicurazione di qualità, generando dalla personale esperienza delprodotto: è una raccomandazione orale o un’immagine del bene commercializzato e proiettatodalla azione pubblicitaria. Il consumatore si aspetterà che il bene sia all’altezza degli standard delprimo articolo comprato o delle promesse derivanti dalla presentazione sul mercato”. “Iconsumatori fanno affidamento sull’interesse economico del proprietario di mantenere il valoredel suo marchio attraverso il mantenimento di un alto standard qualitativo dei beni venduti conil suo marchio. E’ quindi nell’interesse del pubblico che il marchio adempia a questa funzione,incoraggiando così i commercianti a usare e mantenere alti livelli qualitativi e consentendo aiconsumatori di fare scelte di acquisto consapevoli.” Tratto da: A.Michaels, op.cit., p. 2. 267 Un’invenzione deve avere un’attività inventiva268 Una creazione artistica deve avere originalità
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un marchio, è che la utilizzazione del segno per determinati prodotti o servizi sia
stata fatta prima degli altri e non che il segno sia nuovo o originale.
Ne consegue che il marchio appartiene a colui che per primo lo ha utilizzato e
non a chi lo ha creato.
3.1.3 Requisiti di validità del marchio
Ai sensi di legge269, qualsiasi segno può essere adottato come marchio,
purché possa essere rappresentato graficamente. Il marchio deve rispondere a
determinati requisiti per essere tale270, in particolare al principio dell’estraneità del
marchio dal prodotto271: esso deve essere un’entità percettibile, connessa al
prodotto ma in grado di distinguersi o separarsi da esso, senza che la natura di
quest’ultimo ne sia modificata.
Riprendendo l’articolo 16 della Legge Marchi Italiana272, si vede che possono
costituire un marchio “tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati
graficamente”: il legislatore ha dato un’interpretazione alquanto libera di tale
formula, accettando marchi costituiti da suoni o addirittura da combinazioni di
tonalità cromatiche.
A seguito di queste precisazioni si vede come possono costituire un segno parole
o figure273, cosicché si distingueranno marchi denominativi e marchi figurativi o
emblematici. Parimenti un marchio può essere misto, se formato da una
269 Si sta facendo riferimento, nello specifico, all’articolo 16 della legge marchi italiana, introdottain seguito alla direttiva europea di armonizzazione 89/104. Si ricordi però che non tutti i Paesiammettono la stessa libertà di scelta di segni registrabili come marchi. Ad esempio in Russia,non si possono registrare come marchi lettere dell’alfabeto o cifre, a meno che essi non sianocaratterizzati da una particolare e forma grafica270 Cfr. M.C.Baldini, I requisiti di validità del marchio, in Commercio Internazionale, 1995, p. 274271 Il principio della estraneità del marchio al prodotto viene di solito utilizzato dalla dottrina perrisolvere il problema della compatibilità tra la disciplina del marchio e quella delle innovazionitecniche ed estetiche. Sull’argomento si veda: A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 133272 Facendo riferimento alla legge italiana, non si utilizza un punto di vista univoco, bensì siriesce a cogliere un aspetto comune a quasi tutti gli ordinamenti europei, visto che la suddettalegge è stata modificata ed introdotta proprio a seguito di direttive comunitarie273 Nel testo legislativo si parla di “disegni”
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combinazione di parole e figure. La legge ammette anche le combinazioni di
tonalità cromatiche, così come i suoni274.
Un problema particolare e delicato emerge a riguardo dei cosiddetti
marchi di forma o tridimensionali, riproducenti la forma del prodotto o della sua
confezione275. In essi, la funzione distintiva è attribuita direttamente alla forma
del prodotto o alla sua confezione, consistendo in elementi connessi al bene
stesso o al suo contenitore, anche se in qualche modo estrinseci da esso. Non si
deve però incorrere nella facile ed errata conclusione secondo cui questa
categoria di marchi si identifica sempre con oggetti tridimensionali: possono
aversi marchi bidimensionali intrinsecamente connessi al prodotto, come nel caso
dei tessuti che le case di moda come Gucci, Vuitton o Burberrys utilizzano per le
loro creazioni, ovvero forme tridimensionali assolutamente indipendenti e
estrinseche dal bene stesso, come nel caso della cosiddetta flying lady, la scultura
posta sul cofano di tutte le Rolls Royce.
Come gestire il problema della compatibilità tra la protezione di questo tipo di
marchi e il suddetto principio dell’estraneità del marchio dal prodotto? Il dilemma
risiede nel fatto che le innovazioni tecniche ed estetiche, suscettibili di
brevettazione come invenzione o come modello industriale, hanno diritto ad una
tutela limitata nel tempo, mentre ai marchi si accorda una tutela di durata
illimitata. L’attenta analisi del problema ha portato a dire che possono costituire
un marchio solo quelle forme che non siano funzionali o ornamentali, e che siano
invece indifferenti sotto questo punto di vista. Nonostante questa conclusione, la
ricerca continua di uno spazio per questo tipo di forme, ha portato ad una
interpretazione alquanto “libera” dell’articolo 5 della Legge modelli, che parla di
uno “speciale ornamento” come condizione di brevettabilità della forma. Giudici
e studiosi ne hanno concluso che sono suscettibili di brevettazione quelle forme
che presentino un certo gradiente di ornamentalità e che superino una certa soglia
274 Ci si riferisce in questo caso a brevi temi musicali che ovviamente non possono essereapposti sul prodotto ma utilizzati nella pubblicità radiotelevisiva, a guisa di marchio275 P.Montuschi, Marchi. Marchio tridimensionale comunitario, in Il Diritto Industriale, 2000, p. 248
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estetica, in modo tale da escludere dalla brevettazione tutte le altre forme sì
gradevoli, ma sottostanti quel limite, alle quali saranno quindi assegnati i marchi,
di durata illimitata.
Perché siano validi e tutelabili ai sensi di legge, tutti i segni di cui si è
discusso devono rispondere a determinati requisiti di validità, senza i quali il
marchio risulta nullo. Innanzitutto il marchio deve identificare una species di
prodotto o servizio, all’interno della pluralità di prodotti o servizi dello stesso
genere presenti sul mercato276. Si individuano così la capacità distintiva del
marchio, e la novità, entrambe richieste perché il marchio risulti valido. La prima
significa che il marchio deve differenziarsi dalla denominazione generica del bene
contrassegnato277, mentre la novità implica una differenziazione rispetto ai marchi
altrui, già presenti sul mercato. Infine massima libertà di scelta è data al titolare,
che può decidere di utilizzare una parola o una figura che di per sé non
contengono alcun valore semantico, ovvero un segno dotato di un significato suo
proprio, ma non collegato con il bene che andrà a distinguere, ovvero un marchio
che descriva o richiami il prodotto o le sue caratteristiche278.
L’altro requisito, quello della novità, consiste nella diversità del marchio che si
vuole tutelare da altri, già usati da concorrenti; l’articolo 17 della Legge Marchi
chiarisce che manca tale requisito laddove nel linguaggio del mercato esistano
parole, figure o segni noti al consumatore, che siano identici al segno che si vuole
registrare279 oppure quando preesistano domande di marchio presentate da altri
276 Questa pluralità di prodotti dello stesso tipo viene denominata genus277 L’articolo 18 della Legge Marchi vieta che siano marchi i segni costituiti esclusivamente dalledenominazioni generiche di prodotti o servizi. Possono essere marchi i segni che, accanto alladenominazione generica del bene, presentano altri elementi costitutivi dotati di capacitàdistintiva278 Sulla materia e per una spiegazione esemplificativa se veda: A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit.,p. 139 279 Elemento questo sostanziale, che si riferisce alla preesistenza sul mercato di segni noti aiconsumatori
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per gli stessi prodotti cui abbia fatto seguito una formale registrazione280.
L’esistenza di questi requisiti va valutata al momento dell’acquisto del diritto, il
cui punto di riferimento è la preesistenza o meno di segni identici o confondibili
a quel momento.
3.1.4 Evoluzione storica del marchio
Già all’epoca dei Comuni esistevano i marchi281: le corporazioni li
imponevano ai loro appartenenti, cosicché i prodotti venivano segnati sia con il
marchio della corporazione ad opera dei funzionari, sia con il marchio del
bottegaio che praticamente produceva il bene. Essi avevano il duplice compito di
restringere la commercializzazione ai soli prodotti che si conformavano alle
regole stabilite dalla corporazione e di controllare da vicino il rispetto degli
standard della corporazione da parte degli artigiani appartenenti.
Solo con la fine del ‘700, con la Rivoluzione e l’abolizione delle congregazioni,
tutti i commercianti hanno potuto adottare segni liberamente ed individualmente
scelti. Dall’altra parte, nell’ ‘800 si è prodotta una seconda rivoluzione che ha
creato la distribuzione di massa e l’allontanamento tra produttore ed acquirente,
cosicché al marchio viene da allora affidato il compito di ristabilire un virtuale
collegamento tra i due soggetti.
Durante tutto il XIX secolo il marchio ha visto accrescere la sua
importanza, con l’espansione del moderno capitalismo industriale, affermandosi
come garanzia per un sistema di concorrenza. Secondo Ricolfi282 il diritto
moderno dei marchi “svolge la funzione di agevolare il funzionamento
allocativamente ottimale dei meccanismi di mercato: nella prospettiva micro
280 Elemento formale, che prescinde dalla conoscenza da parte dei consumatori, del segno o dalsuo uso nel linguaggio commerciale. 281 Per una utile e piacevole narrazione della storia del marchio dalle sue più remote origine, digran lunga più antiche di quelle citate nel testo, si veda: R.Monachesi, MARCHIO. Storia,Semiotica, Produzione, Lupetti & Co., Milano 1993; sull’epoca a cui ci si riferisce nel testo, si vedaR.Franceschelli, Sui marchi d’impresa, Giuffrè, Milano 1988, p. 13282 M.Ricolfi, op.cit., p. 5
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dell’acquirente, agevolandolo nel reperimento dei prodotti preferiti; in quella
macro del sistema economico premiando i produttori efficienti ed emarginando
quelli inefficienti.”
Tra la fine dell’XIX secolo e l’inizio del XX, i vari Stati adottano
singolarmente ed individualmente le regole sulla materia, con una certa difformità
tra gli uni e gli altri. Le prime iniziative sopranazionali risalgono alla seconda metà
del secolo: la Convenzione di Unione di Parigi è del 1883, l’Arrangement di
Madrid del 1891.
Il XX secolo segna la ribalta nazionale ed internazionale della disciplina
dei marchi d’impresa, soprattutto il suo ultimo quarto. Dopo la seconda guerra
mondiale ha infatti iniziato a crescere e ad espandersi la società della
comunicazione globale nella quale oggi noi siamo completamente immersi, nata
in Nord America ed estesasi progressivamente all’Europa e a buona parte
dell’Asia. Oggi siamo assolutamente bombardati da una serie infinita di messaggi
grafici, radiotelevisivi e non solo, che si sono imposti nell’accesissima corsa per
catturare l’attenzione dei consumatori e la loro voglia di comprare.
A livello comunitario il percorso verso un sistema unico e comunitario è stato
lungo e faticoso, e soprattutto nuovo, come si vedrà più avanti.
A livello internazionale, i recenti negoziati dell’Uruguay Round hanno portato alla
creazione di un sistema tutto nuovo ed esclusivo per la proprietà intellettuale, di
cui si è già parlato, il sistema dei TRIPs283.
Secondo molti autori284 nelle evoluzioni comunitarie e in quelle del WTO,
paiono convivere due spiriti opposti: da una parte si punta ad una sostanziale
“deregolamentazione” di settori prima riservati, come i servizi o le opere
pubbliche; dall’altra i diritti di esclusiva sono sottoposti ad un nuovo processo di
283 In generale sul sistema dei TRIPs si veda il paragrafo 1.3.2; sull’intervento dei Trips sullamateria dei marchi si veda il paragrafo 3.2.6 e sulla loro incidenza sulla disciplina brevettuale ilparagrafo 4.2.2284 M.Ricolfi, op.cit., p. 8
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
108
regolamentazione, a protezione dei soggetti già presenti sul mercato e a
detrimento di eventuali nuovi entranti.
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
109
3.2 LA PROTEZIONE DEL MARCHIO A LIVELLO INTERNAZIONALE
I marchi sono stati nel corso degli anni oggetto di atti e relative revisioni
legislative, e si potrebbe pensare che esse abbiano avuto soprattutto carattere
nazionale, vista la caratterizzazione territoriale del suddetto diritto di privativa.
Tale opinione deve essere prontamente respinta, laddove si pensi che a livello
internazionale, già nel corso dell’‘800 si ebbero notevoli sviluppi, valevoli, pur
con delle modifiche, ancora oggi. Lo studio di tali convenzioni risulta necessario
prima di intraprendere lo studio della materia all’interno dell’ambito comunitario,
poiché su queste stesse convenzioni si sono basati i legislatori comunitari quando
decisero di dar vita ad una struttura unitaria a livello comunitario nell’ambito della
proprietà intellettuale e dei marchi nello specifico. Il primo passo fu infatti
l’adozione a livello comunitario delle Convenzioni Internazionali che verranno di
seguito studiate.
L’istituto del marchio è l’oggetto principale della Convenzione di Unione di Parigi
per la protezione della proprietà industriale, stipulata il 20 marzo 1883 e
dell’Arrangement di Madrid concernente la registrazione internazionale dei
marchi di fabbrica e di commercio, sottoscritto in Spagna il 14 aprile 1891,
nell’ambito della ormai matura Unione di Parigi. Entrambe sono state oggetto di
numerose revisioni e modifiche, cosicché oggi vigono in Italia e negli altri Paesi
firmatari le versioni di Stoccolma del 14 luglio 1967285.
In campo internazionale non si dimentichino infine l’Arrangement di Nizza del
1957, concernente la classificazione internazionale dei prodotti o dei servizi ai fini
della registrazione del marchio e ovviamente l’accordo TRIPs.
285 Ogni Paese ha provveduto internamente all’adattamento del testo di Stoccolma: in Italia larevisione della Convenzione di Unione di Parigi è stata ratificata con la legge n° 424 del 28 aprile
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
110
3.2.1 La Convenzione di Unione di Parigi
La Convezione di Unione di Parigi (C.U.P.)286, risalente al 1883 e
modificata ripetutamente nel corso degli anni, è in ordine di tempo, la prima ad
esser stata elaborata in materia di proprietà intellettuale. Alla C.U.P. attualmente
appartengono centoquattordici Stati287 e ciò sottolinea l’estrema importanza che
essa ancora oggi ricopre nel campo e nella disciplina dei marchi in particolare.
I problemi associati con il carattere strettamente territoriale dei diritti di
privativa venne alla luce tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, quando
i commerci persero progressivamente il loro carattere chiuso e campanilistico a
favore di una maggiore apertura. La soluzione fu trovata in una iniziativa di
cooperazione internazionale, attraverso cui si sperava di lasciare alla spalle il
problema della territorialità. Perciò più di un centinaio di Stati sottoscrissero a
Parigi la famosa convenzione.
Essa non riguarda esclusivamente la disciplina dei marchi, ma abbraccia tutte le
forme di proprietà intellettuale, prevedendo in generale dei principi
universalmente applicabili.
Tre sono infatti i principi generali sui quali essa si basa e da cui generano le altre
disposizioni sulle singole materie. Si tratta dei principi di trattamento nazionale e
1976; la modifica dell’Accordo di Madrid è stata recepita con la legge n°424 dello stesso giorno.Entrambe sono vigenti dal 24 aprile 1977286 Sulla Convenzione si vedano: W.R.Cornish, Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marksand Al lied Rights, Fourth Edition, Sweet & Maxwell, Londra 1999, p. 604; Barzanò e Zanardo,BREVETTI E MARCHI: brevetti d’invenzione – modelli d’utilità – modelli ornamentali – certificaticomplementari .- novità vegetali – tutela del software e topografia – marchi d’impresa – marchi comunitari –internet domain name – denominazione d’origine – modulistica. Quarta edizione, Buffetti Editore, Roma2001, p. 136; M.Ricolfi, op.cit., p. 9; A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 245; T.Prime, op.cit., p.79; U.Draetta, Il regime internazionale della proprietà industriale, Giuffrè, Milano 1967; F.Benussi,voce “Marchio nelle Convenzioni Internazionali”, in Digesto IV edizione, volume IX, UTET, Torino1967287 Le adesioni continuano incessantemente: lo testimonia il fatto che nel 2002 hanno aderito ilGibuti, la Siria e le Seychelles, mentre nel 2001 hanno aderito il Nepal e Tonga. Per unaggiornamento sulle adesioni, al 28 luglio 2003, e per una traduzione italiana del testo dellaConvenzione, nella stesura di Stoccolma, si veda il sito www.admin.ch
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
111
di assimilazione, della cosiddetta priorità unionista, ed infine della protezione telle
quelle.
A) Trattamento nazionale e assimilazione288: tale principio riguarda i
cittadini289, le persone fisiche e gli enti, domiciliati o stabiliti in uno Stato
dell’Unione290. Essi saranno in ciascuno Stato dell’Unione assimilati ai cittadini291
di questo Paese e godranno , nella specifica materia dei marchi, degli stessi
vantaggi dei soggetti residenti nello Stato in questione. In particolare, avranno
diritto a tutte le agevolazioni, sia di diritto sostanziale che processuale.
B) Priorità unionista292: riguardo la specifica disciplina dei marchi,
tale principio assegna a chiunque abbia depositato un marchio in uno degli Stati
aderenti alla C.U.P., un periodo di “franchigia” di sei mesi, in cui egli avrà la
possibilità di depositare la stessa domanda presso gli uffici di altri Stati membri
della C.U.P., con diritto di priorità alla data del primo deposito nei confronti di
eventuali depositi intermedi. Infatti le domande effettuate in Paesi diversi da
quello di appartenenza, nei sei mesi successivi, retro-agiscono al momento del
primo deposito, cosicché il titolare del primo deposito sarà protetto contro
288 I principi del trattamento nazionale e dell’assimilazione sono stabiliti rispettivamente dagliarticoli 2 e 3 della C.U.P. L’articolo 2 recita: “1) I cittadini di ciascuno dei paesi dell’Unionegodranno in tutti gli altri, per quanto riguarda la protezione della proprietà industriale, deivantaggi che le leggi rispettive accordano presentemente o accorderanno in avvenire ai nazionali,restando però impregiudicati i diritti specialmente previsti dalla presente Convenzione. Essiavranno quindi la stessa protezione dei nazionali e gli stessi mezzi legali di ricorso contro ognilesione dei loro diritti, sempreché siano adempiute le condizioni e le formalità imposte agli stessinazionali. 2) Tuttavia, nessun obbligo di domicilio o di stabilimento nel paese dove è domandatala protezione potrà essere richiesto ai cittadini dei paesi dell’Unione per il godimento d’unoqualunque dei diritti di proprietà industriale.” L’articolo 3 recita invece: “Sono assimilati aicittadini dei paesi dell’Unione quelli dei paesi non partecipi dell’Unione che siano domiciliati oabbiano stabilimenti industriali o commerciali effettivi e seri sul territorio di uno dei paesidell’Unione.”289 La Convenzione si riferisce ai cittadini parlando di ressortissants290 Ci si sta ovviamente riferendo all’Unione di Parigi, a cui aderirono 114 Stati291 Saranno assimilati ai cittadini dello Stato in questione o agli altri soggetti ad essi equiparati. 292 Il principio della Priorità Unionista è stabilito dall’articolo 4 della C.U.P. L’articolo 4 recita:“Chiunque avrà regolarmente depositato in uno dei paesi dell’Unione una domanda di brevettod’invenzione, di modello d’utilità, di disegno o modello industriale, di marchio di fabbrica o dicommercio, o il suo avente causa, godrà, per eseguire il deposito negli altri paesi, d’un diritto dipriorità entro i termini sotto indicati”
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
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eventuali depositi di concorrenti effettuati tra la prima domanda e quelle
successive.
C) La protezione telle quelle (tale quale)293: nella Convenzione non
esiste alcun obbligo circa il primo deposito nel Paese d’origine: un soggetto può
effettuarlo nel Paese dell’Unione che desidera. Se però lo registra nel suo Paese
d’origine, l’articolo 6 quinquies prevede che il marchio regolarmente registrato nel
Paese d’origine “sarà ammesso al deposito e registrato tale e quale negli altri paesi
dell’Unione”. Il secondo comma dello stesso articolo però elenca una serie di
riserve, che restringono la portata, apparentemente piuttosto ampia, della lettera
A dell’articolo. La lista enumera tutti i casi di impedimenti alla registrazione e i
motivi di invalidità, che possono essere fatti valere contro le registrazioni in altri
Stati aderenti294.
Infine la C.U.P. impone ai suoi membri alcuni standard comuni,
riguardanti ad esempio la protezione estesa ai marchi di servizio e ai marchi
collettivi o la protezione dei marchi “notoriamente conosciuti”295, nonché alcune
regole generali sull’intera materia dei marchi.
Di tutte queste previsioni, quella della priorità unionista è senz’altro la più
innovativa; ciò nonostante da più parti si sostiene che il relativamente scarso
successo della C.U.P. sia dovuto alla possibilità, per gli Stati membri, di
impegnarsi su tutti i fronti o alternativamente, solo su una parte di essi, potendo
continuare così a perseguire i propri interessi nazionali296. Perciò molti studiosi297
293La protezione telle quelle è prevista dall’articolo 6 quinquies: la lettera A prevede la regolagenerale enunciata nel testo, mentre alla lettera B si trovano le riserve che restringononotevolmente il campo di applicazione del primo comma294 Potrebbe sembrare, a prima vista, che la Convenzione preveda un sistema di protezionesostanzialmente unitaria: in realtà la tutela del marchio resta affidata alle regole nazionali diciascun Stato membro295 L’articolo 6 sexies regola la disciplina dei marchi di servizio, il 7 bis quella dei marchi collettivi,il 6 bis quella dei marchi “notoriamente riconosciuti”296 Si vedano a proposito le innumerevoli riserve apposte da alcuni Stati all’atto dell’adesione297 T.Prime, op.cit., p. 79
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
113
sostengono che la Convenzione non sia riuscita ad imporre un sistema di
regolamentazione unificato ed uniforme tra gli Stati aderenti, come invece si
sperava alla vigilia dell’entrata in vigore. Secondo Prime ad esempio, il più grande
successo della Convenzione risiede nell’affermazione e nell’applicazione continua
della regola del trattamento nazionale. Ciò è anche testimoniato dalla ripresa, da
parte del sistema comunitario, di questo principio e di alcuni altri sopra citati.
3.2.2 L’Arrangement di Madrid
L’accordo di Parigi fu seguito, dopo pochi anni, da un altro accordo,
questa volta firmato a Madrid, riguardante nello specifico la materia dei marchi di
impresa. Esso fu stipulato sotto la “protezione” della C.U.P., con la conseguenza
che solo gli Stati firmatari della Convenzione poterono partecipare al successivo
accordo. Al pari del Protocollo di Madrid, che sarà firmato quasi un secolo dopo,
l’Arrangement si inserisce nel processo di cooperazione internazionale tra Stati,
riguardante la materia della proprietà intellettuale, sulla scia della precedente
Convenzione di Parigi. Con tali accordi gli Stati partecipavano ad iniziative
comuni a livello internazionale, senza che esse intaccassero gli ordinamenti
nazionali, a meno che a volerlo non fossero gli Stati stessi. Si tratta senz’altro di
una forma di collaborazione tra gli Stati importante, soprattutto quando si
consideri l’epoca in cui essa prese avvio, anche se essa non è nemmeno
lontanamente paragonabile alle forme di cooperazione più strette, come quella
comunitaria, imponenti direttamente diritti e doveri per i cittadini degli Stati
partecipanti.
L’intento dei redattori dell’Arrangement era quello di estendere al nuovo accordo
la struttura concettuale della Convenzione, agevolando in più la registrazione
internazionale dei marchi attraverso l’istituzione di un Ufficio a ciò preposto, con
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
114
sede in Ginevra298. Furono proprio i limiti della C.U.P. a spingere i suoi membri
verso un nuovo accordo: la Convenzione infatti agevolava sì le domande plurime
in vari Stati membri, ciò nonostante i titolari che avessero voluto ottenere queste
protezioni erano sottoposti all’onere di presentare tante domande quanti erano gli
Stati in cui volevano vedersi riconoscere la tutela, con conseguente
moltiplicazione dei costi, economici ed organizzativi. A Madrid si cercò di andare
oltre, costituendo un ufficio ad hoc che permettesse procedure di registrazione
unitaria.
L’Arrangement di Madrid299 fu firmato nel 1891, sulla base dell’articolo 19 della
Convenzione, che conferiva tale facoltà agli Stati membri; ad esso aderirono molti
Stati europei e non, soprattutto Stati dell’Europa non nordica e Stati nordafricani,
mentre ne restarono fuori Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America e
alcuni altri. Come la C.U.P., l’accordo fu sottoposto a molte modifiche nel corso
degli anni e attualmente vige il testo modificato a Stoccolma nel 1976300.
Visto che il maggior difetto della C.U.P. risiedeva nella necessità di tante
domande di marchio quanti erano gli Stati in cui si voleva la protezione,
l’Accordo di Madrid cercò di superare per primo questo inconveniente. Venne
infatti istituito un registro presso l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà
Intellettuale301, con sede a Ginevra, con il compito di ricevere dagli Uffici
nazionali le domande di marchi e inoltrarle agli uffici competenti di tutti i Paesi in
298 Per una panoramica sui sistemi internazionali di registrazioni dei marchi si vedano:www.ige.ch o www.marchi-brevetti.it 299 Sull’Arrangement di Madrid si vedano: Barzanò e Zanardo, op.cit., p. 136; M.Ricolfi, op.cit., p.11; C.Costa, C.Baldini, R.Plebani, op.cit.,p. 52; T.Prime, op.cit., p. 80; A.Vanzetti, V.Di Cataldo,op.cit., p. 246; W.R.Cornish, Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, cit.,p. 605; A.Casado Cervino, El sistema comunitario de marcas: normas, jurisprudencia y pratica, EditorialLex Nova, Valladolid 2000, p. 500; D.Campbell, S.Cotter, op.cit., p. 6; R:Annand & H.Norman,Blackstone’s Guide to Trade Marks Act 1994, Blackstone Press Limited, Londra 1998, p. 263. Per iltesto originale dell’accordo, in lingua francese, si veda www.wipo.org o, alternativamente,www.admin.ch 300 In Italia è attualmente vigente il testo modificato a Stoccolma, in forza dell’attuazioneavvenuta con la legge 424 del 28 aprile 1976, in vigore dal 24 aprile 1977
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
115
cui il titolare voleva ottenere la tutela. Avveniva quindi che il Signor X, titolare di
un determinato marchio, volendo registralo in Italia e in altri tre o quattro Stati in
cui intendeva commercializzare il prodotto con il suddetto marchio, presentava
l’apposita domanda di registrazione presso l’Ufficio italiano, il quale inoltrava
all’Ufficio OMPI di Ginevra la domanda per gli altri Paesi: quest’ultimo
automaticamente avrebbe registrato il marchio in questi Stati, fatta salva però la
possibilità per questi Paesi di opporsi alla registrazione per uno dei motivi elencati
dal richiamato articolo 6 quinquies della C.U.P. Da quel momento il marchio era
tutelato in tutti gli Stati che avevano accolto la richiesta allo stesso modo di un
marchio depositato originariamente presso le Amministrazioni di questi Stati.
Erroneamente si è parlato spesso di “marchio internazione”: quello istituito
dall’Arrangement non è un marchio unico302, sottoposto a medesime regole in
tutti i Paesi in cui è valido; si tratta in realtà di un fascio di marchi nazionali,
ognuno dei quali sottostà alle regole dello Stato in cui è fatto valere.
Che si tratti di un fascio di diritti piuttosto che di un marchio unico, lo si
vede bene analizzando il cosiddetto “attacco centrale” a cui il marchio
internazionale è soggetto. Posto che la registrazione dura dieci anni303, alla
scadenza dei quali è possibile rinnovarla ripetutamente, nei primi cinque anni di
“vita” il marchio è potenzialmente soggetto all’ “attacco centrale”: se il marchio
nazionale per primo registrato, nel Paese d’origine304, è attaccato e la sua validità
crolla, l’intero marchio internazionale viene a scadere, mentre laddove la validità
301 Il nome dell’organizzazione è abbreviato con gli acronimi OMPI e WIPO, rispettivamente infrancese ed in inglese302 Il pieno ed autentico valore del cosiddetto “marchio internazionale” si può cogliere bene dalconfronto tra questo e l’attuale marchio comunitario: quest’ultimo è un marchio unico,sottoposto ad un ordinamento identico in tutti gli Stati della Comunità, mentre quello è unfascio di marchi identici303 Il mancato uso del marchio per un periodo continuato di più di cinque anni, comporta ladecadenza del marchio con riferimento ai soli prodotti per i quali non è stato utilizzato304 Si considera Paese d’origine quello Stato in cui il titolare del marchio ha una attività reale edeffettiva. Ovviamente tale Stato dovrà aver sottoscritto l’Arrangement di Madrid perché laprocedura della registrazione a livello internazionale possa avere avvio. Se invece il titolarepossiede i suoi stabilimenti in Paesi non firmatari e vuole lo stesso usufruire della procedura, ilpaese d’origine sarà quello in cui egli è domiciliato o dove possiede il suo quartier generale
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
116
del marchio nel Paese d’origine non venga scalfita, il marchio internazionale
rimane valido. Passati cinque anni il marchio internazionale diviene indipendente
dal primo registrato e qualunque cosa accada a quest’ultimo, il marchio
internazionale non ne viene toccato.
I vantaggi del sistema così disegnato sono quindi due: una notevole
semplificazione delle procedure per l’ottenimento di più marchi identici in vari
Stati e un connesso abbassamento dei costi da sostenere.
Nonostante ciò le critiche che vennero rivolte all’Arrangement furono
molte e ciò è testimoniato dal grande numero di Paesi, tra cui ad esempio gli Stati
Uniti305, che decisero di non sottoscriverlo. Senz’altro era giudicato
negativamente l’“attacco centrale” di cui sopra, ma soprattutto le critiche erano
rivolte al rinvio della procedura internazionale fino al momento dell’ottenimento
della registrazione nel Paese d’origine; non era infatti sufficiente aver depositato
la domanda perché la procedura potesse avviarsi; il titolare doveva attendere che
la sua domanda fosse stata accettata dall’Amministrazione nazionale preposta e la
registrazione nazionale avvenuta306.
Tutte queste critiche spinsero i Paesi a cercare una via d’uscita: essi la trovarono
molti anni più tardi, con la firma del Protocollo di Madrid. Nel 1986 infatti, gli
sforzi congiunti dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale e dei
Paesi non firmatari dell’Arrangement ma interessati alla risoluzione dei problemi
sopra riassunti, portarono alla convocazione di esperti per una revisione
dell’Accordo stesso. L’OMPI nel 1989 presentò quindi una proposta che, durante
la sorprendentemente rapida307 Conferenza Diplomatica di Madrid portò alla
realizzazione del protocollo stesso.
305 Molti Paesi non sottoscrissero l’Arrangement perché nei loro Paesi l’accettazione delladomanda di registrazione richiede solitamente un periodo molto lungo, cosicché, dovendosussistere la registrazione per il proseguo dell’iter internazionale, esso verrebbe di gran lungaritardato306 Costa e Baldini ricordano come, a causa della naturale lentezza del percorso, sia solitamenteriservata una corsia preferenziale alle domande finalizzate ad una registrazione internazionale delmarchio. Si veda C.Costa, C.Baldini, R.Plevani, op.cit., p. 55307 La Conferenza Diplomatica durò infatti solo tre settimane
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
117
3.2.3 Il Protocollo di Madrid
Il Protocollo di Madrid308 del 27 giugno 1989 è divenuto operativo il 1°
aprile 1996309, e dovrebbe superare buona parte delle difficoltà incontrate con
l’Arrangement di Madrid. Per questo motivo il Protocollo ha incontrato i favori
di molti Stati, buona parte dei quali non aveva invece sottoscritto il precedente
accordo. Così Stati di importanza commerciale indiscutibile nonché di enorme
rilevanza per l’espansione della protezione dei marchi, come Giappone o Gran
Bretagna, hanno preso parte all’iniziativa.
Quali i miglioramenti apportati al sistema dal Protocollo310?
Innanzitutto esso prevede che la registrazione internazionale possa aver luogo in
seguito al deposito della domanda di registrazione e non impone di attendere che
la domanda stessa sia stata accettata e il marchio registrato nel Paese d’origine. È
necessaria la registrazione o anche semplicemente la domanda presso l’Ufficio
nazionale competente.
L’articolo 9 quinquies inoltre regola il cosiddetto “attacco centrale”: il Protocollo
prevede infatti che, se la registrazione viene rifiutata o dichiarata invalida nei
cinque anni iniziali nel Paese d’origine, ciò non provoca il decadimento tout cour
del diritto, perché sussiste la possibilità di convertire la registrazione in una
domanda presso tutti gli Stati tranne appunto quello d’origine, per il quale il
marchio non è più valido. Ciò deve avvenire nei tre mesi successivi alla
dichiarazione di invalidità del marchio nel Paese di origine. Nel caso in cui tale
308 Sul Protocollo cfr.: A.Casado Cervino, op.cit., p. 501; M.Ricolfi, op.cit. ,p. 11; C.Costa,C.Baldini, R.Plebani, op.cit., p. 52; D.Campbell, S.Cotter, op.cit., p. 7; R.Annand & H.Norman,op.cit., p. 266309 L’Italia ha ratificato il Protocollo il 12 marzo 1996 con legge n°169, ha depositato glistrumenti di ratifica del Protocollo il 17 gennaio 2000, cosicché dal 17 aprile dello stesso annoesso è divenuto operativo nel nostro Paese310 Per uno schematico riassunto delle differenze tra Accordo e Protocollo si veda C.Costa,C.Baldini, R.Plebani, op.cit., p. 62
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
118
possibilità venga sfruttata, la data di riferimento resterà quella del deposito
internazionale precedentemente avvenuto311.
In terzo luogo il Protocollo modifica i criteri i base ai quali definire il cosiddetto
Paese d’origine, in cui effettuare la prima domanda di marchio. L’Arrangement
infatti stabiliva che è da considerarsi Paese d’origine quello in cui il titolare
possiede uno stabilimento industriale o commerciale effettivo o, in subordine,
quello in cui il titolare è domiciliato, oppure ancora, in terzo grado, quello di cui
egli possieda la nazionalità, a patto che si tratti di un Paese membro dell’Unione
di Parigi. Il Protocollo mantiene tali criteri ma ne distrugge la gerarchia, cosicché
essi risultano alternativi l’uno all’altro. Sarà quindi il titolare a poter scegliere quale
Stato considerare come Paese d’origine, per depositarvi la domanda di
registrazione.
Il quarto argomento che distingue il Protocollo dal precedente Accordo riguarda i
termini entro i quali gli Stati stranieri in cui si chiede la registrazione possono
rifiutarla. L’Arrangement dava agli Stati un periodo di dodici mesi, nei quali essi
avrebbero dovuto valutare ed esaminare il caso per decidere se accettare o meno
la domanda. Molti Paesi ritenevano tale periodo troppo breve per un’attenta
valutazione312. Perciò il Protocollo da agli Stati firmatari l’opportunità di scegliere,
in sede di ratifica, se allungare tale periodo a diciotto mesi o se mantenerlo di
dodici. Nel caso in cui uno Stato scelga di estendere il periodo a diciotto mesi,
esso potrà essere ulteriormente prorogato di altri sette mesi, in casi di
opposizioni.
Infine il Protocollo rivoluzione il sistema di tassazione e ammette l’inglese come
lingua ufficiale, accanto al francese313. Per quanto riguarda le tasse, mentre
l’Arrangement imponeva ai richiedenti il pagamento il una tassa fissa più una a
base variabile, a seconda del numero di Stati per i quali era richiesta la
registrazione e a seconda della classe di appartenenza del prodotto su cui il
311 Verrà quindi mantenuta la cosiddetta priorità unionista312 Tra i più strenui sostenitori di questa critica Giappone e Gran Bretagna313 L’Arrangement di Madrid aveva una sola lingua ufficiale, il francese
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
119
titolare voleva apporre il suo marchio314, il Protocollo lascia gli Stati liberi di
scegliere, al momento della ratifica, il sistema di tasse applicabili. Gli Stati
possono in tal modo applicare le tasse che desiderano, a condizione che il loro
ammontare non superi quanto il titolare dovrebbe pagare nel caso in cui
decidesse di registrare solo a livello nazionale il proprio marchio, presso l’Ufficio
marchi italiano.
3.2.4 La scelta tra Accordo e Protocollo
Essendo ancora validi ed in vigore entrambi gli accordi di cui si è parlato,
sembra ragionevole domandarsi quale dei due trovi applicazione e perché.
Ovviamente per i Paesi firmatari di uno solo dei due accordi, troverà applicazione
quel testo. Il problema diventa più spinoso laddove il Paese sia firmatario di
entrambi, come nel caso dell’Italia. In questo caso entra in gioco la “clausola di
salvaguardia”315, secondo la quale prevalgono le disposizioni del Arrangement.
Perché allora ratificare il Protocollo, se già si è membri dell’Arrangement? Un
esempio316 semplificherà la spiegazione: se un richiedente di un Paese X,
firmatario dell’Arrangement e del Protocollo, intende chiedere la registrazione
internazionale nei Paesi Y e Z, anch’essi firmatari dei due accordi, e nel Paese J,
aderente al solo Protocollo, egli potrà chiedere la registrazione in J non appena
abbia depositato la domanda nel suo Paese X, mentre dovrà attendere che
quest’ultimo abbia accolto la sua richiesta per depositare la domanda in Y e Z.
Gli uffici di questi due Paesi avranno un solo anno di tempo per notificare
eventuali rifiuti, mentre lo Stato J avrà limiti temporali più estesi. Infine se il
marchio in X venisse attaccato, il titolare potrebbe in J , entro tre mesi, chiedere
314 In molti casi i costi di una registrazione risultavano talmente elevati che sarebbero risultatieconomicamente più vantaggiosi più depositi nazionali effettuati presso tutti gli Stati in cui sivoleva ottenere la registrazione315 La “clausola di salvaguardia” è sancita dall’articolo 9 sexies del Protocollo316 Barzanò e Zanardo, op.cit., p. 140
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
120
la conversione della sua registrazione mantenendo la priorità, mentre in Y e Z
perderebbe validità, come in X.
A seconda delle esigenze e del tipo di commercializzazione messa in atto,
il titolare del marchio potrà decidere se avvalersi dello strumento della
registrazione internazionale o se preferire invece una serie di depositi nazionali
presso i vari Stati in cui intende utilizzare il marchio, oppure ancora, nel caso in
cui il suo Stato di appartenenza sia membro dell’Unione Europea, chiedere una
singola registrazione comunitaria.
3.2.5 La Convenzione di Nizza
La Convenzione di Nizza317 venne stipulata nel 1957, per offrire uno
strumento di classificazione dei prodotti e dei servizi, da utilizzare accanto ai
preesistenti accordi. Tale classificazione risulta senz’altro molto utile ai fini della
registrazione del marchio. L’Arrangement di Nizza infatti predispone un sistema
uniforme che assicura un’uguale applicazione a livello mondiale. Tale sistema si
mostra particolarmente utile quando impiegato in commerci internazionali, con
l’utilizzo di marchi internazionalmente registrati. Esso divide i beni in
quarantadue classi318, ad ognuna delle quali appartengono un gruppo di prodotti
affini. Ad esempio la classe numero 12 riunisce i veicoli, i mezzi di locomozione
di terra, di aria e di mare.
L’Arrangemnet di Nizza fu stipulato il 15 giugno 1957 e subì, come le altre
Convenzioni citate, numerose modifiche; oggi è vigente il testo revisionato a
317 Sull’accordo di Nizza si vedano: A.Vanzetti, V.Di Cataldo, op.cit., p. 247; D.Campbell,S.Cotter, op.cit., p. 8; M.Ricolfi, op.cit., p. 12. Per una visione completa dell’accordo si veda:Accordo di Nizza sulla Classificazione Internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione deimarchi del 15 giugno 1957, riveduto a Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Ginevra il 13 maggio 1977 e modificatoil 28 settembre 1979, a cura dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale ( OMPI ),1992318 Per una visione d’insieme delle classi in cui la Convenzione divide i beni e i servizi, si vedal’Appendice D di D.Campbell, S.Cotter, op.cit., p. 24
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
121
Stoccolma il 14 luglio 1967, recepito dall’Italia ad esempio con la legge n° 424 del
28 aprile 1976.
3.2.6 L’accordo TRIPs
Già si è detto dell’attenzione riservata agli aspetti di proprietà intellettuale
riguardanti il commercio in sede WTO, sfociata, durante i negoziati dell’Uruguay
Round, nell’accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property
Rights)319.
Si cita in questa sede l’accordo per sottolinearne la sostanziale differenza rispetto
alle iniziative di carattere internazionale affrontate in precedenza: mentre esse si
sono evolute nel corso degli anni, mano a mano che il numero di Paesi membri e
l’accordo sulle questioni più rilevanti crescevano, l’accordo TRIPs si è imposto in
tutta la sua integrità ai Paesi partecipanti ai negoziati, che si trovarono in un certo
senso costretti ad accettarlo visto che la partecipazione all’Organizzazione
Mondiale del Commercio era subordinata alla sottoscrizione dell’accordo sulla
proprietà intellettuale.
L’altro aspetto da sottolineare è la ripresa, da parte dei TRIPs, degli standards e
delle regole imposte dalla Convenzione di Unione di Parigi, a cui
obbligatoriamente i membri dell’OMC devono conformarsi320.
Guardando nello specifico alla disciplina dei marchi, gli articoli dal 15 al 20 sono
quelli interessanti: essi conferiscono una tutela particolarmente intensa ai titolari
dei marchi, anche a quelli che possiedono “marchi notoriamente conosciuti”321.
319 Sui TRIPs si veda il paragrafo 1.3.2 del presente lavoro, intitolato alla partecipazionecomunitaria alle iniziative a carattere internazionale sulla proprietà intellettuale320 L’obbligo contenuto nei TRIPs di conformarsi alle regole della C.U.P. ha notevolmenteesteso il raggio di applicazione delle stesse, soprattutto per il fatto che sono stati obbligati aseguire le disposizioni anche Paesi non aderenti alla C.U.P., come l’India, la Colombia, laNigeria, Singapore o il Venezuela321 Cfr. S.Sandri, Il marchio nei TRIPs (diritti di proprietà intellettuale, commercio di prodotti contraffatti,promozione tecnologica, confondibilità, descrittività), in Diritto Industriale, 1995, p. 249
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
122
3.3 LA DISCIPLINA DEI MARCHI A LIVELLO COMUNITARIO
Tutte le Convenzioni di cui si è parlato, pur importantissime e
fondamentali per l’evoluzione della materia, mantennero intatto il carattere
territoriale dei diritti di proprietà intellettuale e ciò che fecero fu sostanzialmente
facilitare la registrazione dei marchi a livello internazionale, agevolando in tal
modo coloro che intendevano proteggere i loro marchi in più Paesi. La
registrazione internazionale infatti si basava a tal punto sulla territorialità di questi
diritti da dar vita non ad uno marchio valevole sul territorio di più Stati, quanto
piuttosto ad un fascio di diritti, sottoposto ognuno alle regole del Paese in cui era
fatto valere.
A livello europeo gli obiettivi erano diversi: i sei membri originari e
successivamente gli altri Paesi che aderirono, non miravano ad un semplice
coordinamento nelle varie materie, ma puntavano ad una vera e propria
integrazione, con la conseguente creazione degli strumenti giuridici necessari. Se
infatti la creazione di un mercato unico richiedeva l’eliminazione di tutti gli
ostacoli alla libera circolazione di prodotti e servizi, si era ugualmente consapevoli
della necessità di creare e mantenere nel tempo le condizioni perché le imprese
dei Paesi membri potessero adattare le loro attività di produzione e
commercializzazione alla nuova dimensione comunitaria che andava
disegnandosi. Nel caso specifico dei marchi d’impresa, ci si rese conto che era
conveniente concedere un nuovo titolo di protezione agli imprenditori, in modo
che essi potessero identificare i loro prodotti nello stesso modo in tutta l’Europa
Comunitaria, senza più dover tenere conto delle frontiere.
Da queste considerazioni, attraverso un percorso lungo e faticoso, si giunse alla
creazione di un sistema nuovo ed originale, il cui scopo oggi è senz’altro quello di
fornire agli operatori economici, sia comunitari che no, un efficace strumento
unitario di pianificazione commerciale e tutela giuridica, da sfruttare in ogni parte
dell’ormai esteso territorio comunitario. La novità di sicuro più rilevante è il suo
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
123
carattere unitario, poiché il marchio comunitario può essere registrato, trasferito,
essere dichiarato nullo o decaduto solamente per la totalità dell’Unione Europea e
non solo per una frazione di essa322.
3.3.1. Un percorso lungo trent’anni
Per comprendere a pieno il ruolo e la portata del Regolamento del 1994
istituente il Marchio Comunitario, è necessario ripercorrere il faticoso cammino
trentennale323 che ha condotto alla sua emanazione e che è cresciuto grazie
all’opera continua ed efficace della Commissione delle Comunità Europee.
I lavori per l’elaborazione di un completo sistema di tutela dei marchi a livello
europeo ebbero inizio poco dopo l’avvio del processo di integrazione stesso. Già
nel 1961 infatti, la Commissione e, dietro invito di questa, i sei membri della
“piccola Europa”324 crearono un gruppo di lavoro, composto da esperti, con il
compito di analizzare le discipline dei brevetti di invenzione, dei marchi di
impresa e dei disegni e dei modelli, sotto un profilo strettamente europeistico; in
materia di marchi il gruppo era presieduto dall’allora presidente dell’Ufficio
brevetti olandese, De Haan: esso, nel giro di tre anni, diede vita ad un
Avanprogetto di Convenzione sul marchio europeo, che però, a causa delle
322 Bibliografia di riferimento sul marchio comunitario: N.Zorzi, Il Marchio Comunitario, inContratto e Impresa/Europa, 1996, p. 259; G.Toma, Via libera al marchio CE: le istruzioni per l’impresa,in Commercio Internazionale, 1996, p. 206; A.Vianello, M.Della Costa, Regolamento Ce n° 40/94: leregole del marchio europeo, in Commercio Internazionale, 1999, p. 369; F.De Benedetti, Adeguamento delmarchio comunitario ai TRIPs, in Diritto Industriale, 1996, p. 103; F.Benedetti, Il marchio comunitario, inDiritto Industriale, 1994, p. 362; G.Bonet, Propriétés intellectuelles. La marque communautaire. RèglementCEE n° 40/94 du Conseil du 20 dicembre 1993, in Revue trimestrale de droit europeen, 1995, p. 59;S.Sandri, Marchio comunitario e marchio di rinomanza, in Diritto Industriale, 1997, p. 120; P.Gelato,Marchio comunitario, in Contratto e impresa/Europa, 1997, p. 430323 Sull’evoluzione storica della normativa comunitaria in tema di marchi di impresa si vedano:F.Benussi, op.cit., p. 7 e ss.; M.Ricolfi, op.cit., p. 13 e ss; R.Annand, H.Norman, op.cit., p. 7 e ss.;A.Casado Cervino, op.cit., p. 34 e ss.; T.Prime, op.cit., p. 77 e ss; W.R.Cornish, Intellectual Property,Fourth Edition, cit., p. 607; C.Wadlow, Enforcement of Intellectual Property in European and InternationalLaw, Sweet & Maxwell, Londra 1998, p. 215324 Si parla abitualmente di “piccola Europa” per indicare il nucleo originario di sei Stati che,negli anni ’50 diedero inizio ai lavori di integrazione comunitaria. I sei erano Francia, Germania,Italia e i tre Paesi del Benelux, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
124
divergenze interne, non fu pubblicato fino agli anni settanta. Nel 1973 la
Commissione lo riprese in mano e lo pubblicò, annunciando l’intenzione di
portare a compimento la creazione di un sistema unitario di marchi a livello
comunitario. Le reazioni dei vari ambienti imprenditoriali, economici e giuridici,
le critiche rivolte al progetto e tutti i commenti furono sottoposti ad un attento
esame, da cui sortì, nel 1976, un “Memorandum sulla creazione di un marchio
comunitario”325, il quale già delineava con sufficiente precisione quale avrebbe
dovuto essere il percorso da intraprendere e seguire.
In esso la Commissione esponeva quale fosse l’importanza di un sistema
unificato di marchi: “ la creazione di un marchio CEE che goda di tutela giuridica
su tutto il territorio del Mercato Comune e che abbia effetti giuridici unitari,
rappresenta una tappa necessaria verso la realizzazione delle finalità contenute nel
Trattato istitutivo della CEE e corrisponde ad un preciso interesse dei produttori,
dei commercianti e dei consumatori del Mercato Comune.”326. Inoltre la
Commissione scriveva: “l’introduzione del marchio comunitario apre
all’economia nuove prospettive, in quanto schiude nuovi mercati europei a nuovi
prodotti e servizi e amplia gli attuali mercati nazionali, portandoli ad una
dimensione europea: il marchio comunitario è quindi un fattore d’integrazione di
primaria importanza: da ultimo esso risparmia alle imprese l’acquisto di un fascio
di marchi nazionali, con tutte le difficoltà dovute alla diversità dei procedimenti
nazionali di rilascio, i maggiori costi e le più alte spese gestionali. Ma il marchio
comunitario è economicamente importante anche per il consumatore perché
favorisce la trasparenza dei mercati europei, facilita e promuove le scelte e le
decisioni”327.
325 Il Memorandum fu pubblicato sul Supplemento al Bollettino CE, numero 8/76326 Memorandum sulla creazione di un marchio CE, Suppl. n° 8/76, p. 47-48327 Tali parole sono tratte dal Documento di lavoro della Commissione del 1979, dal titolo“Competenza e necessità di un’azione della Comunità per l’istituzione di una disciplina europeadei marchi”, Doc.III-D 1294/79-IT
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
125
Già si sottolineava la necessità di usufruire dello strumento legislativo più forte a
disposizione delle istituzioni comunitarie, il regolamento328, in forza dell’articolo
308329 del Trattato, nonché delle direttive, al fine di armonizzare le legislazioni
degli Stati membri, in forza dell’articolo 95 del Trattato330.
Dopo altre proposte, studi, riflessioni e indagini, si addivenne, alla fine degli anni
’80, al primo vero significativo passo in avanti sulla materia. È del 1988 la
Direttiva che aveva il compito di ravvicinare le legislazioni dei Paesi membri,
soprattutto in quegli aspetti in cui le disparità erano maggiori331. Essa venne
adottata dal Consiglio il 21 dicembre 1988332, dopo i pareri conformi del
Parlamento Europeo333 e del Comitato Economico e Sociale334.
Gli organi comunitari considerarono che non fosse necessaria una uniformazione
totale degli ordinamenti nazionali: era sufficiente – essi dissero – il
ravvicinamento di quelle disposizioni nazionali che risultavano più lontane tra
loro. Forse per questa ragione la portata della Direttiva è tutto sommato limitata,
al punto che molti autori335, fin da subito, la ritennero inadeguata336.
328 A difesa del Regolamento la Commissione nel 1979 pubblicò un intero documento cheelencava le motivazione per le quali esso avrebbe dovuto essere utilizzato329 L’articolo 308, già 235 del Trattato CEE, ammette la regola dei poteri impliciti: “quandoun’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercatocomune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poterid’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta dellaCommissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo, prende le disposizioni del caso”.Sui poteri impliciti si veda il paragrafo 1.1 intitolato alle Competenze Comunitarie330 L’articolo 95, già articolo 100 A, recita: “ […] Il Consiglio, deliberando in conformità dellaprocedura di cui all’articolo 251, previa consultazione del Comitato Economico e Sociale, adottale misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari edamministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento delmercato interno”331 Cfr. C.Galli, Commentario all’attuazione della Direttiva n° 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre1988, recante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, in materia di marchi d’impresa, in Lenuove leggi civili commentate, 1995, p. 1133332 La Direttiva fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (GUCE) n° 40/1dell’11 febbraio 1989333 Il parere conforme del Parlamento è riportato in G.U.C.E. n° 309 del 5 dicembre 1988334 Il Comitato Economico e Sociale diede il suo parere conforme il 5 ottobre 1988335 Cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 34336 Nonostante l’inadeguatezza accusata da molti, si noti come dalla Direttiva scaturirono in tuttii Paesi membri atti legislativi di adattamento alle prescrizioni della Direttiva stessa: così oggi in
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
126
Essa si concentra solo su alcuni aspetti della disciplina, tra cui il concetto di
marchio, la individuazione dei segni che possono legittimamente costituire un
marchio o l’enumerazione dei motivi di decadenza. Nulla si dice invece sui
procedimenti di registrazione, sui trasferimenti o sulle licenze di marchio, sui
motivi e sugli effetti della nullità del marchio.
Per una disciplina più completa e soprattutto per l’istituzione di un vero sistema
innovativo, si dovette attendere337 l’emanazione, da parte del Consiglio Affari
Generali, del Regolamento 40/94338, del 20 dicembre 1993. Esso entrò in vigore
il 15 marzo 1994, e fu completato con l’emanazione di altri tre Regolamenti,
nonché con un insieme di Comunicazioni, Decisioni e Direttive.
Il Regolamento istituisce un sistema regionale comprendente i territori dei
quindici Stati membri della Comunità: la particolarità del meccanismo è il suo
carattere unitario, cosicché i quindici Paesi devono essere considerati come
formanti un unico territorio.
Il Regolamento fu pienamente operativo a partire dal 1° aprile 1996: da allora
esiste un nuovo sistema regionale in cui le imprese di tutto il mondo hanno
l’opportunità di registrare in modo unitario i loro marchi nel territorio
comunitario. Qualunque persona fisica o giuridica, di qualunque nazionalità, può
richiedere ed ottenere un solo marchio valido uniformemente in tutti gli Stati
della CE, con una sola richiesta, presentata in una sola lingua e presso un unico
Ufficio, il quale si occuperà di assicurargli una protezione unitaria.
E’ infatti l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) il cuore
operativo del sistema: esso fu creato in conformità con le prescrizioni di cui
tutti i quindici sono atti a costituire un marchio gli stessi segni, i requisiti di validità sono imedesimi e sono espressi attraverso gli impedimenti, assoluti e relativi. Tutte queste prescrizionisono identiche, anche se derivano ciascuna dalla legge nazionale del Paese in questione337 Il Regolamento 40/94 seguì a vari progetti regolamentari, del 1984, del 1986, del 1988 e del1990338 Il Regolamento 40/94 venne pubblicato nella GUCE L11 del 14 gennaio 1994.Alternativamente è scaricabile, nella versione italiana, dal sito www.europa.eu.int
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
127
all’articolo 2 del Regolamento 40/94, si stabilì in Alicante (Spagna) ed iniziò ad
accogliere le richieste di registrazione a partire dal 1° aprile 1996339.
3.3.2. L’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno
Tra le disposizioni generali del Regolamento 40/94, si trova all’articolo 2
la norma che istituisce l’UAMI: “e’ istituito un Ufficio di armonizzazione a livello
di mercato interno (marchi, disegni, modelli), in appresso denominato Ufficio”340.
L’Ufficio è indipendente sul piano tecnico e gode di una totale indipendenza
sotto il profilo giuridico, amministrativo e finanziario. Per poter conseguire i suoi
fini infatti, l’UAMI si è visto attribuire la capacità giuridica più grande che gli Stati
possono concedere alle loro persone giuridiche. Può acquisire e mantenere beni
mobili come immobili. Poiché gode di assoluta indipendenza giuridica e
finanziaria, l’Ufficio ha piena responsabilità per gli atti che compie.
L’Ufficio è soggetto ai controlli degli Stati membri, nonché della Commissione341
e della Corte dei Conti342. In virtù del principio comunitario di trasparenza,
l’OAMI è tenuto ad informare periodicamente il Parlamento Europeo del suo
operato e collabora in modo continuativo con il Mediatore Europeo.
339 Fu la decisione del Consiglio di Amministrazione dell’UAMI dell’11 luglio 1995 a decretare laapertura alle attività dell’Ufficio340 Sulla creazione dell’UAMI e sulle sue organizzazione interna e funzioni si veda: R.Annand,H.Norman, op.cit., p. 237 e ss.; A.Casado Cervino, op.cit., p. 474 e ss.; E.Gastinel. op.cit., p. 67;T.Prime, op.cit., p. 111; R.Annand & H.Norman, Blackstone’s Guide to the Community Trade Mark,Blackstone’s Press Limited, Londra 1998, p. 13; C.Wadlow, op.cit., p.243341 Alla Commissione spetta il compito di controllare l’operato del Presidente dell’UAMI e lalegalità degli atti che compie, perché, in base al diritto comunitario, la legalità dei suddetti attinon è sottoposta al controllo dell’Ufficio. Allo stesso modo supervisionerà il lavoro svolto dalComitato Preventivi, interno all’UAMI, a cui spetta la nomina del revisore dei conti dell’Ufficio.Nel caso in cui la Commissione giudichi inadeguato l’operato di tale organo, ne solleciterà unaimmediata modifica o addirittura il ritiro. Il controllo della Commissione potrà realizzarsi suiniziativa della stessa o sarà sollecitato da uno Stato membro o da qualunque parte terza chemetta in dubbio la legalità di un atto dell’UAMI
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
128
L’UAMI dispone di un Consiglio di Amministrazione, di un Comitato
Preventivi, di un Presidente e di un Vicepresidente. E’ coadiuvata nella sua
attività da una serie di altri organi343, tra cui il Dipartimento Giuridico che
comprende i servizi di amministrazione e il registro344. Spettò al Consiglio di
Amministrazione, composto da un rappresentante di ogni Stato membro e da un
delegato della Commissione345, individuare la data di inizio dei lavori
dell’UAMI346, a partire dalla quale potevano essere presentate all’Ufficio le
domande di registrazione. Periodicamente il Consiglio redige la lista dei tre
candidati alla presidenza e alla vicepresidenza347, tra cui il Consiglio dell’Unione
Europea individuerà il Presidente e il Vicepresidente; essi rimangono in carica per
tre anni e il loro mandato può essere rinnovato.
L’Ufficio distingue tra lingue ufficiali della Comunità e lingue dell’UAMI.
Le lingue ufficiali della Comunità sono undici: danese, finlandese, francese, greco,
inglese, italiano, olandese, portoghese, spagnolo, svedese e tedesco. Queste lingue
sono utilizzate ad Alicante per la redazione e la presentazione di una richiesta di
marchio comunitario. Le cinque lingue utilizzate dall’UAMI sono invece il
francese, l’inglese, l’italiano, lo spagnolo ed il tedesco. Esse sono utilizzate in tutti
i procedimenti dell’Ufficio, salvo che le parti dispongano diversamente.
342 La Corte dei Conti è tenuta a controllare la gestione economica e finanziaria dell’UAMI invirtù dell’articolo 248 del Trattato CE e degli articoli 137 e 138 del Regolamento sul MarchioComunitario343 Oltre al Dipartimento Giuridico, altri organi “sussidiari” sono: la Divisione Esami, laDivisione Ricorsi e la Divisione Annullamenti. Inoltre l’UAMI dispone di un Dipartimento diServizi tecnici – amministrativi e di un Dipartimento di Cooperazione Tecnica344 Su un’attenta analisi delle composizioni, modalità di funzionamento e attività dei singoliorgani dell’UAMI, si veda: A.Casado Cervino, op.cit., p. 476345 La Composizione del Consiglio è dettata dall’articolo 122 del Regolamento sul MarchioComunitario346 In virtù di tale competenza, con la decisione numero CA-95-19 dell’11 luglio 1995, ilConsiglio decretò l’inizio dei lavori al 1° aprile 1996347 Il Consiglio individua i candidati in base alle prescrizioni dell’articolo 120 del Regolamento
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
129
Non si dimentichi infine il complesso sistema di tassazione imposto
dall’UAMI, sul quale esso si regge. L’ammontare delle tasse da versare all’Ufficio,
è stato determinato dal Regolamento CE n° 2865/95 della Commissione del 13
dicembre 1995, e dalle Decisioni del presidente dell’UAMI: essi stabilirono gli
importi delle tasse e i prezzi che l’Ufficio può percepire nello svolgimento delle
sue funzioni348. A partire dal 1° gennaio 1999, data di inizio della terza fase
dell’Unione Economica e Monetaria, tutto il sistema di tassazione dell’UAMI è
stato convertito in Euro.
3.4 IL MARCHIO COMUNITARIO
3.4.1 I caratteri del marchio comunitario
Il sistema comunitario dei marchi si basa su quattro principi fondamentali:
di unità, di autonomia, di accessibilità e di coesistenza. Essi sono indicati nei
primi articoli del Regolamento, laddove si descrivono i principi che lo hanno
ispirato.
Quello che colpisce di più chiunque si avvicini all’istituto del marchio
comunitario in generale e al Regolamento nello specifico, è l’unità del sistema:
uno stesso segno può essere infatti registrato per tutto il territorio comunitario,
attraverso una sola richiesta, effettuata presso un unico Ufficio. Il marchio così
ottenuto avrà le stesse caratteristiche in ogni parte dell’Unione, e sarà ovunque
sottoposto alle medesime regole. L’articolo 1 del Regolamento, recita al secondo
comma: “il marchio comunitario ha carattere unitario. Esso produce gli stessi
effetti in tutta la Comunità: esso può essere registrato, trasferito, formare oggetto
di una rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e il
suo uso può essere vietato soltanto per la totalità della Comunità. Tale principio
si applica salvo disposizione contraria del presente Regolamento”. Da questa
348 Per un’analisi dettagliata del sistema di tassazione si veda A.Casado Cervino, op.cit., p. 483
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
130
regola discende che l’efficacia dell’esclusiva, al contrario di quanto accadeva con
un insieme di registrazioni parallele effettuate presso gli uffici competenti in ogni
Stato membro, è unica per l’intero territorio della Comunità. Allo stesso modo, se
una domanda viene respinta in un Paese membro a causa, ad esempio, di motivi
di buon costume, ciò impedirà la registrazione anche negli altri Paesi della
Comunità.
Tutto ciò fa comunque salva la natura territoriale del diritto di marchio: l’unica
differenza rispetto al passato è che il territorio di riferimento è molto più esteso,
essendo formato dalla somma di tutti i territori degli Stati aderenti.
Il marchio comunitario è quindi un titolo unitario, a differenza del fascio di diritti
assicurati ad esempio con la registrazione internazionale di cui all’Arrangement di
Madrid.
Il principio dell’autonomia è stabilito dal primo comma dell’articolo 1 del
Regolamento: “sono denominati in appresso “marchi comunitari” i marchi di
prodotti o di servizi registrati alle condizioni e secondo le modalità previste dal
presente Regolamento”: ciò significa che non sarà più necessario ricorrere a
norme diverse dal Regolamento per regolare il funzionamento del sistema e
soprattutto che le legislazioni nazionali non saranno applicabili se non quando
esplicitamente richiesto dal Regolamento. Questo principio si inserisce
perfettamente in quello, di più ampio respiro e di origine giurisdizionale, del
mutuo riconoscimento o del paese d’origine349. La Corte di Giustizia, in una serie di
importanti e celebri sentenze, come la Cassis de Dijon del 1979350, stabilì il
principio secondo cui non è possibile, per lo Stato di destinazione, imporre
condizioni più onerose di quelle richieste dallo Stato d’origine. La nuova tecnica
così creata, di tipo orizzontale piuttosto che settoriale, è finalizzata ad una
349 Sul mutuo riconoscimento si veda: U.Draetta, Elementi di diritto comunitario. Parte istituzionale,Giuffrè, Milano 1995, p. 66350 Caso Cassis de Dijon, causa 128/78, sentenza del 20 febbraio 1979
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
131
armonizzazione sempre più completa delle disposizioni statali sulle varie
discipline.
Il principio dell’autonomia subisce due deroghe, espresse dagli articoli 106351 e
107352 del Regolamento e riguardanti rispettivamente la possibilità di ricorso, di
fronte ad una giurisdizione nazionale, per vietare l’uso di un marchio comunitario
quando il diritto statale vieti l’utilizzo di marchio identico con portata locale e la
facoltà, per un titolare di un marchio anteriore e nazionale, di opporsi all’uso del
marchio comunitario.
Il principio di accessibilità353 riguarda la possibilità di un soggetto di
diventare titolare di un diritto di marchio. L’articolo 5 indica quali soggetti
possono legalmente presentare richiesta all’UAMI di Alicante: “le persone fisiche
o giuridiche, compresi gli enti di diritto pubblico, che abbiano, rispettivamente, la
cittadinanza o la nazionalità: A) degli Stati membri, B) di altri Stati partecipanti
alla Convenzione di Unione di Parigi, C) di Stati che non partecipano alla
Convenzione di Unione o all’Accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale
del Commercio, e che sono domiciliate, hanno la loro sede o hanno uno
stabilimento industriale o commerciale effettivo e serio nel territorio della
Comunità o di uno Stato membro della C.U.P., D) di uno Stato terzo che accordi
ai cittadini di tutti gli Stati membri la stessa tutela accordata ai propri cittadini e
che riconosca la registrazione comunitaria come equipollente alla registrazione
nel proprio Paese di origine”. Tale scelta, a favore di una vasta gamma di possibili
utilizzatori, è in piena armonia con quanto affermato nel Memorandum del 1976
351 L’articolo 106, intitolato al Divieto di uso dei marchi comunitari, recita: “ Il Regolamento,salvo disposizioni contrarie, lascia impregiudicato il diritto di proporre, a norma del diritto civile,amministrativo o penale di uno Stato membro o in base a disposizioni del diritto comunitario,azioni dirette a vietare l’uso di un marchio comunitario qualora il diritto di tale Stato membro oil diritto comunitario possa essere invocato per vietare l’uso di un marchio nazionale”352 L’articolo 107, intitolato ai Diritti anteriori aventi portata locale, recita: “Il titolare di undiritto anteriore di portata locale può opporsi all’uso del marchio comunitario nel territorio incui tale diritto è tutelato nella misura in cui il diritto dello Stato membro in questione loconsente”
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
132
e soprattutto con i principi ispiratori dell’intero processo di integrazione
comunitaria: le norme del Trattato, pur inseguendo una comunità di mercato,
non hanno mai avuto l’obiettivo di innalzare barriere o creare fratture tra l’area
comunitaria e gli altri Paesi, operanti a livello commerciale internazionale.
Infine il principio di coesistenza riguarda i rapporti tra il marchio
comunitario e, da una parte, i diritti di privativa nazionale e, dall’altra, il sistema
istituito dall’Accordo di Madrid. Il marchio comunitario non sostituirà né gli uni
né gli altri, al contrario dovrà convivere e addirittura coordinarsi con essi. Per
questo, ad esempio, l’articolo 8 del Regolamento prevede che un marchio
nazionale anteriore possa impedire la registrazione di un marchio identico a
livello comunitario. D’altra parte, un marchio comunitario può impedire una
registrazione nazionale successiva354.
3.4.2 Contenuto del marchio comunitario
Il contenuto del diritto di marchio sarà analizzato scindendo gli elementi
fondamentali della sua esistenza: dalla nascita alla decadenza attraverso la sua
esistenza.
A) Requisiti di registrabilità del marchio comunitario355: come già si è
detto a suo tempo a proposito dei marchi in generale356, al marchio comunitario
non può mancare il carattere della capacità distintiva dei prodotti o servizi sui
353 Solo alcuni autori considerano l’accessibilità degna da essere inserita nel novero dei principiordinanti il sistema comunitario dei marchi: tra questi cfr. F.Benussi, op.cit., p. 22354 Sul rapporto tra marchio comunitario e marchi nazionali si tornerà più avanti, nel paragrafo3.5355 Cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 108; F.Benussi, op.cit., p. 25; E.Gastinel, op.cit., p. 79356 Nel presente lavoro si è compiuto un lavoro concettuale inverso rispetto alla natura eall’evoluzione reale della disciplina: è stato infatti il Regolamento comunitario 40/94 adeterminare l’adattamento delle discipline nazionali in materia di marchi e nello specifico adettare la normativa della Legge Marchi italiana, a cui si è fatto riferimento in precedenza
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
133
quali è apposto: l’articolo 4 del Regolamento357 stabilisce che tale caratteristica è
necessaria e sufficiente per la sua validità. Riprendendo nozioni già citate, il
carattere distintivo ha portata individuale, essendo da verificarsi esclusivamente
con riferimento al bene sul quale il marchio è apposto; allo stesso modo tale
requisito non va confuso né con la novità, né con la originalità, richieste invece
per la validità delle invenzioni o delle creazioni artistiche.
Il criterio generale per la registrabilità di un marchio è la sua riproducibilità
grafica: nella pratica sono insorti dubbi riguardanti i “marchi acustici” e i “marchi
olfattivi”, perché non espressamente previsti dal Regolamento, risolti però con la
generale accettazione di queste forme, purché siano suscettibili di essere
individuate in maniera sufficientemente precisa.
Oltre ai marchi individuali, il legislatore comunitario ha previsto la registrabilità di
marchi collettivi358, intendendosi con tale espressione i marchi idonei a
distinguere i prodotti o i servizi dei membri di un’associazione da quelli
appartenenti ad un gruppo di altre imprese, ai sensi dell’articolo 64 del
Regolamento. Nel caso di marchi collettivi, l’articolo 64.2 prevede che si possa
presentare domanda di registrazione di marchi comunitari collettivi per segni o
indicazioni che, in commercio, possano indicare l’origine, la natura o la qualità dei
prodotti o dei servizi contrassegnati da quei marchi.
L’articolo 4 si coniuga con gli articoli 7359 e 8360 del Regolamento, i quali
descrivono in quali casi la registrazione può e deve essere impedita, a causa
dell’esistenza di impedimenti assoluti o relativi alla stessa.
357 L’articolo 4 del Regolamento, intitolato ai Segni atti a costituire un marchio comunitario,recita: “Possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono essere riprodottigraficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, laforma dei prodotti o del loro confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti adistinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese”358 Ai marchi collettivi è dedicata una parte del Regolamento, dagli articoli 65-69, checonferiscono ad essi alcune caratteristiche di particolare interesse. Sui marchi collettivi si veda:R.Annand & H.Norman, Blackstone’s Guide toTrade Marks Act 1994, cit., p. 225; G.Sena, Il nuovodiritto dei marchio. Marchio nazionale e marchio comunitario, Giuffrè, Milano 1994, p. 191359 L’articolo 7 è intitolato agli Impedimenti assoluti alla registrazione360 L’articolo 8 è intitolato agli Impedimenti relativi alla registrazione
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
134
Ai sensi dell’articolo 6 l’acquisizione del marchio avviene a seguito della
registrazione: perché questa possa svolgersi senza problemi è necessario che
nessuna delle ipotesi previste dagli articoli 7 e 8 si verifichi: mentre l’eventuale
presenza degli impedimenti assoluti di cui all’articolo 7 è sottoposta ad esame
prima della concessione della registrazione, da parte dell’UAMI, la verifica dei
secondi è soggetta ad un’azione di opposizione da parte dei titolari di eventuali
marchi preesistenti da presentarsi in un momento successivo all’esame
dell’Ufficio. Agli impedimenti assoluti corrispondono sostanzialmente le cause di
nullità assoluta elencate dagli articoli 51 e 52 del Regolamento, mentre agli
impedimenti relativi di cui all’articolo 8 si ricollegano le cause di nullità relativa.
Tra gli impedimenti si trovano le motivazioni per le quali un segno risulta
inadeguato ad operare sul mercato come marchio, sia in modo assoluto che in
modo relativo rispetto ad altri prodotti o servizi già commercializzati sul mercato.
Le motivazioni addotte dai due articoli in questione ovviamente non devono
esistere insieme in un unico caso: sarà sufficiente che un’ipotesi di cui
all’elencazione dell’articolo si manifesti perché il segno non possa essere
registrato o sia invalidato.
Sono esclusi dalla registrazione, secondo l’articolo 7, i segni che non sono
rappresentabili graficamente, o non ottemperano alla funzione distintiva, o sono
composti esclusivamente da segni designanti la specie, la qualità, la quantità, la
destinazione e la provenienza geografica del prodotto o da segni divenuti di uso
comune nel linguaggio corrente. Parimenti non sono registrabili i segni contrari
all’ordine pubblico o al buon costume o quelli che, per loro natura, possono
ingannare il pubblico circa la qualità o la provenienza geografica del bene
contrassegnato. E’ interessante notare su questo punto che, in base al principio di
unità sopra richiamato, quand’anche una di queste ipotesi si verifichi solo in uno
degli Stati comunitari, essa sarà in grado di impedire la registrazione nell’intero
territorio comunitario. Si ricordino ancora, tra gli impedimenti assoluti, le ipotesi
di cui alle lettere h ed i dell’articolo 7.1: non sono registrabili i marchi che, in
mancanza di autorizzazione delle autorità competenti, devono essere esclusi dalla
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
135
registrazione ai sensi dell’articolo 6 ter della C.U.P., cioè gli stemmi, le bandiere e
i segni ufficiali in genere, nonché quelli che comprendono distintivi, emblemi o
stemmi diversi da quelli previsti dal suddetto articolo 6 ter e che presentano un
interesse pubblico particolare361.
Gli impedimenti relativi corrispondono invece alle cause di nullità relativa e
rilevano in un momento successivo all’esame dell’UAMI, poiché sarà il titolare di
un marchio anteriore a quello comunitario a poter presentare la sua opposizione
per escludere la registrazione. Così, se il titolare di un marchio preesistente si
oppone, il marchio comunitario richiesto è escluso dalla registrazione se esso
risulta effettivamente identico a quello anteriore, o se i prodotti che dovrà
contrassegnare sono identici a quelli sui quali è apposto il segno preesistente;
inoltre il marchio comunitario richiesto si vede negare la registrabilità se, per la
sua identità o la somiglianza con il marchio anteriore o per l’identità o la
somiglianza dei prodotti contrassegnati, sussiste un rischio di confusione per il
pubblico del territorio sul quale il marchio anteriore è tutelato. L’identità o la
somiglianza dei marchi o dei prodotti non deve ovviamente essere valutata in
astratto, ma con preciso riferimento ad un pubblico determinato.
Il secondo comma dell’articolo specifica che per marchi anteriori si devono
intendere i marchi comunitari, i marchi nazionali compresi quelli del Benelux362 e
i marchi registrati in base ad accordi internazionali aventi effetto in uno Stato
membro, purché depositati anteriormente alla presentazione della domanda di
marchio comunitario.
Infine il quarto comma dell’articolo 8 prevede l’opposizione alla registrazione
sulla base di un marchio non registrato o di un altro contrassegno utilizzato nella
prassi commerciale e di portata non puramente locale, ove secondo la legge dello
361 Per l’elencazione completa degli impedimenti, si veda l’articolo 7 del Regolamento, riportatoin questa sede solo nelle sue parti, ritenute più interessanti. Per un approfondimento sugliimpedimenti assoluti cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 122362 Il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi hanno unificato i loro sistemi di registrazione,formando un unico territorio su cui i marchi esercitano i loro effetti
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
136
Stato membro che disciplina tale segno, il titolare abbia acquisito il marchio prima
della data di presentazione della domanda di marchio comunitario.
B) Costituzione del diritto di marchio comunitario e procedure di
registrazione363: l’articolo 6 del Regolamento prevede che la acquisizione del
marchio comunitario avvenga a seguito della registrazione, da effettuarsi presso
l’UAMI di Alicante. E’ da sottolineare soprattutto un aspetto: il sistema è
fondato sulla certezza giuridica più che sull’uso del segno, benché l’intero
meccanismo comunitario ritagli un’importanza notevole all’utilizzo del marchio,
attribuendo rilevanza soprattutto al ruolo che un segno utilizzato ha assunto sul
mercato e nell’ideale del pubblico consumatore, con il passare degli anni. Infatti
per il legislatore comunitario, l’uso del segno non ha rilevanza giuridica: l’articolo
8.4 dispone che il titolare di un segno utilizzato ma non registrato si possa
opporre alla registrazione del marchio comunitario, solo ed esclusivamente nel
caso in cui, secondo la legislazione dello Stato membro in questione, siano stati
acquisiti diritti per questo segno in una data precedente al deposito della
domanda di marchio comunitario presso l’Ufficio comunitario.
La registrazione ha una validità decennale, secondo quanto stabilito dall’articolo
46 del Regolamento, decorrenti dalla data del deposito della domanda. Tale
periodo è ripetutamente rinnovabile per periodi di dieci anni364, a condizione che
il titolare del marchio effettui la richiesta di rinnovo presso l’UAMI nei sei mesi
antecedenti la scadenza del diritto, pagando le relative tasse365.
363 Sulle procedure di registrazione si veda. F.Benussi, op.cit., p. 67; A.Casado Cervino, op.cit., p.210; E.Gastinel, op.cit., p. 99 e 145; M.Ricolfi, op.cit., p. 33; G.Sena, op.cit., p. 98; R.Annand &H.Norman, Trade Marks Act 1994, cit., p. 33 364 A differenza di quanto stabilito dalla Legge Marchi italiana, all’atto del rinnovo non èammessa, dal Regolamento, nessuna modifica del segno, a meno che essa riguardi il nome ol’indirizzo del titolare365 Esiste un periodo supplementare di sei mesi, dopo la scadenza del marchio: se utilizzata,questa proroga comporterà necessariamente un sovrattassa. Si ricordi che, per agevolare ilcontrollo sulla vita dei marchi comunitari, il legislatore comunitario ha imposto all’Ufficio didare comunicazione al titolare dell’imminente scadenza, almeno sei mesi prima della data discadenza. Non si tratta però di un vero obbligo a carico dell’UAMI, quanto piuttosto di unservizio a favore degli utilizzatori
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
137
A proposito dell’utilizzo del segno, l’articolo 50 prevede che se il marchio non
viene utilizzato nel territorio della Comunità366, in relazione ai prodotti o ai servizi
per i quali era stato richiesto, esso decade, a meno che si dimostri l’esistenza di
legittime ragioni per la mancata utilizzazione367.
Per acquistare il diritto è necessario depositare relativa domanda: il titolare può
decidere di depositarla direttamente presso l’Ufficio di Alicante oppure presso
l’Ufficio centrale della proprietà industriale di uno Stato membro o presso
l’Ufficio Marchi del Benelux368, i quali saranno tenuti ad inoltrare tale domanda
all’UAMI, entro un termine di due settimane. La domanda dovrà contenere la
relativa richiesta, oltre ad indicazioni circa l’identificazione del titolare e l’elenco
dei prodotti o dei servizi per i quali si richiede la registrazione del marchio. Su
questo ultimo punto, l’elenco dovrà permettere un’individuazione univoca della
natura dei beni o dei servizi in modo tale da poterli inserire in una sola classe di
classificazione dell’Accordo di Nizza del 1957369. La domanda infine dovrà
contenere la rappresentazione del marchio.
L’Ufficio effettua quindi un esame circa la regolarità della domanda e, ai sensi
dell’articolo 36 del Regolamento, concede eventualmente una possibilità al
titolare di ovviare alle irregolarità o di colmare le mancanze della stessa370. Se
sussistono tutti elementi richiesti, la domanda sarà considerata valida e le sarà
attribuita le relativa data di deposito: si procederà alla ricerca di eventuali marchi
comunitari anteriori o di domande che possono ostacolare l’effettiva registrazione
del marchio in questione; anche gli Uffici nazionali che lo abbiano richiesto,
possono effettuare una ricerca sul registro nazionale di loro competenza, appena
366 Il non utilizzo del segno per un periodo consecutivo di cinque anni comporta il decadimentodel diritto367 Fino al progetto di Regolamento del 1984, la domanda doveva essere accompagnata da unadichiarazione circa l’effettivo utilizzo del marchio. Nei progetti successivi e nel Regolamentoadottato nel 1994, tale disposizione è scomparsa368 Articolo 25.1, lettere A e B del Regolamento369 L’inserimento dei prodotti in una determinata classe dell’Accordo di Nizza ha finalitàesclusivamente amministrative, visto che la somiglianza o la affinità dei beni verrà giudicataindipendentemente dalla classe di appartenenza
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
138
l’UAMI abbia loro trasmesso copia della domanda, in un tempo massimo di tre
mesi371.
Scaduto tale termine, la domanda sarà pubblicata. Da quel momento potranno
essere sollevati eventuali impedimenti assoluti o relativi, i primi ad opera di
qualsiasi persona fisica o giuridica, i secondi da parte dei soggetti ad hoc
legittimanti. Tali soggetti372 hanno tre mesi per presentare le proprie opposizioni,
secondo i dettami dell’articolo 42 del Regolamento373.
Finalmente, se la domanda rispetta tutti i parametri richiesti dal Regolamento e
nessuna opposizione è stata presentata nei termini stabiliti e quelle fatte presenti
siano state respinte, la domanda di registrazione può essere accolta e il marchio
registrato come marchio comunitario, a patto che il titolare abbia provveduto nei
limiti stabiliti al pagamento di tutte le tasse dovute. La registrazione viene
pubblicata nel Bollettino dei Marchi comunitari, ai sensi dell’articolo 23.5 del
Regolamento. Al titolare spetterà un certificato di iscrizione al registro: con la
registrazione viene ufficialmente attestata la nascita di un nuovo marchio
comunitario. Fino a quel momento comunque il titolare può ritirare, limitare o
modificare la propria domanda a patto che, così facendo, non venga alterata in
misura sostanziale la identità stessa del marchio e che non venga esteso l’elenco
dei beni o servizi per i quali si richiede la protezione.
Della durata decennale del marchio comunitario e della possibilità di rinnovo si è
già detto: si ricordi semplicemente che la domanda di rinnovo dovrà contenere gli
370 L’esame dell’UAMI circa la validità della domanda riguarda anche il titolare per verificare cheesso abbia i requisiti richiesti per chi presenti la domanda, ai sensi dell’articolo 36371 L’UAMI notificherà al titolare gli eventuali risultati delle ricerche ed esso avrà un mese ditempo per valutarne la bontà e decidere se ritirare la propria domanda, se limitare l’elenco deiprodotti per i quali il marchio è richiesto, se tentare di raggiungere un accordo con l’altro titolareoppure infine se mantenere immutata la propria richiesta372 La facoltà di opposizione spetta ai titolari di diritto di marchio anteriori che possanocostituire impedimenti alla registrazione della domanda. La procedura di opposizione si svolge difronte alle divisioni di opposizione dell’UAMI nella forma del contraddittorio373 Molte legislazioni nazionali, tra cui quella italiana, differiscono rispetto al diritto comunitario,secondo il quale il diritto dal marchio è opponibile ai terzi solo a decorrere dalla data dellapubblicazione della registrazione. Secondo il diritto italiano invece, gli effetti del marchiodecorrono dalla data del deposito della domanda
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
139
estremi del richiedente, il numero di registrazione, l’indicazione dei prodotti o dei
servizi per i quali il rinnovo è richiesto, secondo le classi di classificazione
dell’Accordo di Nizza.
L’articolo 49 prevede infine che il marchio comunitario possa essere oggetto di
rinuncia da parte del titolare per tutti o per una parte dei prodotti sui quali è
apposto.
C) Facoltà ed obblighi del titolare del diritto di marchio374: l’articolo
9 del Regolamento stabilisce che “il marchio comunitario conferisce al suo
titolare un diritto esclusivo”375. I commi successivi precisano il contenuto di
questo diritto, in termini negativi. Infatti precisano che il titolare ha il diritto di
vietare a terzi determinati comportamenti376: questo diritto di vietare viene però
meno quando sussista il consenso del titolare stesso.
Il titolare ha quindi il diritto di vietare a terzi di usare in commercio un segno
identico per prodotti identici; un segno identico o simile per beni o servizi
identici o simili, se sussista rischio di confusione per il pubblico. Si precisa che il
rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il
marchio: esso si verifica nell’ipotesi di marchi chiaramente differenziati tra loro,
ma tuttavia appartenenti, o che potrebbero apparire come appartenenti, ad un
unico genere o ad un’unica serie, determinando una sorte di collegamento e
quindi di confusione.
Allo stesso modo il titolare può vietare a terzi l’uso in commercio di un segno
identico o simile per prodotti o servizi diversi da quali per i quali è stato
374 Sul contenuto del diritto di marchio si vedano: G.Sena, op.cit., p. 107; E.Gastinel. op.cit., p.157; M.Ricolfi, op.cit., p. 121; A:Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 254; F.Benussi, op.cit., p. 57;R.Annand & H.Norman, Community Trade Mark, cit., p. 131375 Il diritto conferito è in sostanza equivalente a quello offerto da una qualsiasi registrazionenazionale, con la differenza che la tutela in questo caso è estesa a tutto il territorio comunitario376 Sulla base delle prescrizioni di cui all’articolo 9 comunitario si esprime la Legge Marchiitaliana, che enuncia gli stessi diritti per il titolare di cui all’articolo 1
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
140
registrato, qualora il marchio goda di notorietà nella Comunità377 e il suo utilizzo
da parte di terzi possa portare ad essi un vantaggio indebito o un pregiudizio a
causa del carattere distintivo del marchio. Inoltre può vietare a terzi alcune attività
tra cui l’apposizione del segno sui prodotti o sulla confezione, la
commercializzazione e lo stoccaggio dei prodotti, l’offerta o la fornitura dei
servizi sotto la copertura del segno, l’importazione /esportazione dei beni coperti
dal marchio o l’uso dello stesso a fini pubblicitari. Nonostante queste
disposizioni, l’articolo 107 del Regolamento lascia impregiudicato l’utilizzo di un
diritto anteriore di portata locale, perché si ritiene che esso non possa costituire
un fondamento per un’opposizione alla registrazione o per un’azione di nullità
del marchio comunitario378.
Trattando del contenuto del diritto, non possono non menzionarsi l’esaurimento
e il trasferimento dello stesso; la disciplina del primo è stata abbondantemente
analizzata, soprattutto attraverso lo studio dell’iter giurisprudenziale, i cui risultati
sono stati recepiti a livello legislativo, in particolare nell’articolo 13 del
Regolamento: “il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al
titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità
con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso”379.
In tema di trasferimento, il diritto comunitario ha dovuto scegliere tra
l’orientamento più severo di alcuni ordinamenti, tra cui quelli anglosassoni e
377 Cosa si intende specificamente per “marchio che gode di rinomanza” non è detto dalla legge:si potrebbe pensare che la notorietà debba essere accertata caso per caso, attraverso indaginivolete a stabilire quanti conoscono il segno. La formula legislativa sembra però fare riferimentonon tanto ai dati statistici, quanto ad una nozione più ampia, che comprende nel gruppo deimarchi notori, quelli noti ad una amplissima percentuale di pubblico ma anche quei segni menoconosciuti. Ciò che importa è che il segno sia tale che il suo uso non consenta di trarreindebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechipregiudizio ai terzi. Per un approfondimento si vedano: A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 201;G.Sena, op.cit., p. 63378 In un certo modo la deroga di cui all’articolo 107 contrasta con le previsioni dell’articolo 9,perché ai titolari di diritti anteriori di marchio aventi portata locale è riconosciuta la facoltà diopporsi all’uso del marchio comunitari nei limiti territoriali del preuso locale379 Il secondo comma dell’articolo 13 precisa che la regola dell’esaurimento di cui al primocomma non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare si opponga alla
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
141
quello italiano380, ed i sistemi più aperti, come quello francese: alla fine è prevalsa
la libera trasferibilità del marchio, visto che il marchio è considerato come un
bene giuridico che può costituire oggetto di proprietà, indipendentemente dal
trasferimento dell’impresa di cui identifica i prodotti. Ovviamente, in virtù del
principio di unitarietà, il trasferimento potrà avere luogo solo per il territorio
comunitario nel suo insieme. Pur scegliendo questo orientamento, il rispetto delle
ragioni dell’altro orientamento ha imposto la fissazione di una serie di norme che
salvaguardano l’affidamento che un consumatore può fare su un determinato
marchio e ribadiscono quindi l’esistenza di una stretta connessione tra marchio e
azienda. Per queste ragioni il Regolamento comunitario permette, all’articolo 17,
il trasferimento del marchio indipendentemente dal trasferimento dell’impresa,
ma impone una sorta di esame da parte dell’Ufficio prima del “via libera” al
trasferimento: l’UAMI lo rifiuterà in caso di manifesta ingannevolezza.
Altre ipotesi di trasferimento di un marchio comunitario si verificano con
riferimento alla costituzione di diritti reali o alla garanzia sul marchio, al
sequestro, all’esecuzione forzata o al fallimento: esse sono disciplinate
rispettivamente dagli articoli 19, 20 e 21 del Regolamento.
Infine in materia di licenze, il diritto comunitario assume un atteggiamento molto
liberale, permettendo ai titolari di scegliere tra licenze di marchio per la totalità
del territorio comunitario o solo per una sua parte, tra licenze valide su tutti i
prodotti o servizi sui quali il marchio è apposto o solo su una parte di essi e
ancora tra licenze esclusive o non esclusive. In questo modo le imprese possono
adottare il sistema di licenze che meglio si adatta alle loro esigenze produttive e di
commercializzazione; d’altra parte anche i consumatori sono tutelati dalle regole
che impongono che la licenza venga registrata presso l’UAMI, in modo tale da
successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti èmodificato o alterato dopo la loro immissione in commercio380 Secondo gli ordinamenti anglosassoni e quello italiano, la relazione indissolubile tra marchio eimpresa impedisce il trasferimento del solo marchio perché, con tale dissociazione verrebbemeno l’espletamento della funzione distintiva del segno
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
142
poter essere opponibile a terzi381: tali regole sono sorte contro l’eventualità che il
pubblico, a seguito di un uso scorretto della licenza di marchio, sia tratto in
inganno e subisca danni morali ed economici.
D) Decadenza ed estinzione del diritto di marchio382: il legislatore ha
dedicato l’intero l’articolo 50 alle cause di decadenza del diritto di marchio: tra
esse figurano il mancato utilizzo dello stesso per un periodo di almeno cinque
anni, la sua volgarizzazione, l’uso recettivo e il mutamento delle condizioni del
titolare.
Innanzi tutto se del segno non viene fatto un uso effettivo nel territorio della
Comunità, relativamente ai prodotti o ai servizi per i quali esso è registrato, il
diritto decade; non comporta decadenza l’uso del marchio in forma diversa da
quella registrata, a patto però che il carattere distintivo non ne venga alterato.
L’articolo 9.2 precisa che l’uso consiste nell’apposizione del segno su prodotti o
relative confezioni, nella commercializzazione o nello stoccaggio di beni così
contrassegnati o nell’utilizzo del segno a fini pubblicitari. Infine il Regolamento
non richiede che il marchio sia utilizzato nel commercio tra gli Stati membri: ciò
che rileva è che l’utilizzazione in questione non possa ritenersi trascurabile
all’interno della Comunità.
Comporta decadenza, in secondo luogo, la volgarizzazione del segno, allorché a
seguito dell’utilizzo, il marchio non serva più ad indicare il bene derivante da una
certa impresa, ma l’oggetto stesso nella sua entità, cosicché caratterizzerà tutti gli
oggetti della stessa categoria. Perché ne discenda la decadenza, è però necessaria
una duplice condizione: il marchio deve aver perduto il suo significato presso il
pubblico in genere e ciò deve essere stato provocato in misura volontaria dal
comportamento del titolare sul mercato.
381 Rimane immutata la possibilità di esperire l’azione di decadenza del marchio per uso recettivodello stesso382 Sulla perdita del diritto si veda: F.Benussi, op.cit., p. 49; G.Sena, op.cit., p. 144; A.CasadoCervino, op.cit., p. 354; E.Gastinel. op.cit., p. 169. Sull’estinzione cfr. F.Benussi, op.cit., p. 91
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
143
Se viene fatto un uso decettivo del marchio, cioè esso è tale da indurre in errore il
pubblico, circa la sua natura, la qualità o la provenienza geografica dei prodotti,
cosicché si produce un vero cambiamento del significato del segno, interviene la
decadenza. Allo stesso modo, è causa di decadenza, il mutamento delle
condizioni del titolare, cosicché esso cessa di rispettare i parametri richiesti
dall’articolo 5 del Regolamento.
Se, per uno di questi motivi, il titolare è dichiarato decaduto in tutto o in parte dai
suoi diritti, il marchio, da quel momento, è considerato privo di effetti383. Se
un’eventuale accusa, di quelle riportate sopra, o un’azione di nullità, presentate
all’UAMI, vengono da quest’ultimo accolte e dichiarate fondate, il diritto di
marchio subisce a tutti gli effetti una estinzione.
E) Difesa del diritto di marchio comunitario384: in seguito al
procedimento amministrativo per la registrazione si forma un diritto che è
necessario proteggere contro eventuali abusi da parte dei concorrenti del titolare.
Tra le varie alternative utili a tal fine, il legislatore comunitario optò per la
costituzione di Tribunali ad hoc, detti “Tribunali dei marchi comunitari”, facenti
parte, nonostante il nome, dei sistemi giurisdizionali nazionali. Presso essi il
titolare può esperire le azioni necessarie alla difesa del segno, contro atti di
usurpazione o violazione in generale. I vantaggi per i titolari sono notevoli, visto
che, con un’unica azione giudiziaria, presentata ad un unico tribunale, essi
otterranno una decisione la cui validità ed applicabilità si estenderanno all’intero
territorio comunitario.
La creazione dei suddetti tribunali è sancita dall’articolo 91 del Regolamento, il
quale delega gli Stati membri per l’istituzione, nei loro territori, di un numero per
383 Può accadere che, se la causa di decadenza si era verificata in un momento precedente aquello in cui è stata rilevata, si stabilisca una data di decadenza anteriore384 Cfr. G.Sena, op.cit., p. 151; F.Benussi, op.cit., p. 147; E.Gastinel, op.cit., p. 187; M.Ricolfi, op.cit.,p. 154; R.Annand & H.Norman, Community Trade Mark, cit., p. 181; A.Casado Cervino, op.cit., p.462; G.Würtenberger, Enforcement of Community Trade Mark Rights, in Intellectual Property Quarterly(IPQ), anno 2002, p. 402; C.Wadlow, op.cit., p. 246; A.Huet, La marque communautaire: la compétencedes jurisdictionsdes Etats membres pour connaître de sa validité et de sa contrefaçon, in Journal de droitinternational, 1994, p. 623
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
144
quanto possibile ridotto di tribunali di prima e seconda istanza, incaricati di
espletare le funzioni ad essi assegnate dal Regolamento stesso385. Il secondo
comma concesse ai Paesi un tempo di tre anni, entro i quali portare a termine la
costituzione di tali tribunali386: nonostante ciò pochi Stati riuscirono a rispettare
tale scadenza, rendendo quindi operativo il regime transitorio di cui all’articolo
91.5: “fintantoché uno Stato membro non abbia proceduto alla comunicazione di
cui al paragrafo 2, qualsiasi procedura risultante da un’azione o domanda di cui
all’articolo 92, per la quale le autorità giudiziarie di questo Stato sono competenti
in applicazione dell’articolo 93, viene proposta dinanzi all’autorità giudiziaria di
questo Stato che sarebbe competente “ratione loci” e “ratione materiae” se si trattasse
di una procedura relativa ad un marchio nazionale registrato nello Stato
interessato”.
Una volta divenuto operativo in tutti gli Stati il sistema, per quanto concerne la
loro competenza territoriale, si applica il criterio stabilito dall’articolo 93387: le
azioni devono in linea di principio essere proposte davanti ai Tribunali dei marchi
comunitari dello Stato membro in cui il convenuto ha il domicilio o, in mancanza,
una stabile organizzazione o ancora, in mancanza di queste condizioni, ai
Tribunali dello Stato membro in cui l’attore ha il domicilio o una stabile
organizzazione, o infine, quando neppure questo secondo criterio sia applicabile,
davanti ai Tribunali dei marchi comunitari spagnoli, in quanto la Spagna ospita
nel suo territorio l’UAMI. Le azioni di contraffazione inoltre possono essere
promosse davanti ai Tribunali dello Stato membro in cui la contraffazione è
avvenuta: la differenza è però sostanziale, visto che i Tribunali aditi secondo le
385 Non si dimentichi, con riferimento alla fase della creazione dei Tribunali, il ruolo attivoassegnato alla Commissione, a cui gli Stati dovevano comunicare le informazioni relative ad ognifase della creazione: entro tre anni dall’entrata in vigore del regolamento, ogni Stato era tenuto acomunicare alla Commissione un elenco dei Tribunali con l’indicazione della lorodenominazione e della loro competenza territoriale. Allo stesso modo tutte le modificheavvenute successivamente devono essere comunicate alla Commissione, che le pubblicherà sullaGazzetta Ufficiale delle Comunità Europee386 In linea di principio, ogni Stato membro avrebbe dovuto provvedere all’istituzione deiTribunali dei marchi comunitari entro il 20 marzo 1997387 L’articolo 93 è intitolato “Competenza internazionale”
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
145
regole sopra enunciate emettono sanzioni, compresa l’inibitoria, riguardanti
l’intero territorio della Comunità, mentre i Tribunali individuati con il criterio del
luogo della contraffazione, possono solo conoscere e decidere in ordine agli atti
commessi nello Stato membro in cui essi sono situati.
Argomento centrale riguarda i tipi di ricorsi che possono essere esperiti di fronte
ai Tribunali dei marchi comunitari: essi hanno competenza esclusiva sulle azioni
di contraffazione, sugli accertamenti negativi di contraffazione388, nonché sulle
azioni di equo indennizzo intentate per fatti successivi alla pubblicazione di una
domanda di marchio comunitario che, dopo la pubblicazione della registrazione,
sarebbero vietati in base a detto diritto e sulle domande riconvenzionali di
decadenza o di annullamento del marchio comunitario di cui è lamentata la
contraffazione. I Tribunali hanno la facoltà di concedere le misure provvisorie
cautelari389, nei casi di violazione del diritto o di una domanda di marchio
comunitario.
Le sanzioni che i Tribunali possono imporre, a seguito dell’accertamento di una
contraffazione del marchio comunitario, consistono essenzialmente nelle
inibitorie, unite a misure finalizzate a far osservare il divieto in conformità alle
regole stabilite dalla legislazione dello Stato su cui il Tribunale ha sede. Le altre
sanzioni comminabili dai Tribunali sono il risarcimento del danno e la
pubblicazione della sentenza, e vanno deliberate sulla base del diritto nazionale.
Se invece il Tribunale è chiamato a pronunciarsi su atti intervenuti dopo la
domanda e prima della registrazione, non si potrà comminare un vero
risarcimento ma semplicemente un equo indennizzo.
388 La contraffazione di un marchio comunitario consiste in un atto o in un insieme di atti chepregiudicano gli interessi privati del titolare del diritto389 L’articolo 99 del Regolamento riconosce ai tribunali dei marchi comunitari la facoltà diadottare le misure provvisorie e cautelari a protezione di un marchio comunitario registrato o diuna domanda di marchio ancora pendente previste dai singoli ordinamenti nazionali; lacompetenza a conoscere nel merito spetta però ad un Tribunale dei marchi di un altro Statomembro. Esse diventano efficaci nel territorio di qualsiasi Stato membro
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
146
Colui che è convenuto davanti al Tribunale può difendersi invocando la
decadenza del marchio o la nullità solo in via riconvenzionale, poiché tali azioni,
in via principale, sono promuovibili solo di fronte all’Ufficio di Alicante.
Si ricordi infine che l’articolo 90 del Regolamento390, prevede, salvo disposizioni
contrarie, l’applicazione della Convenzione relativa alla competenza
giurisdizionale e all’esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale,
firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, con gli emendamenti apportati dalle
convenzioni relative all’adesione a tale convenzione degli Stati aderenti alle
Comunità Europee.
Non ci sono dubbi sull’enorme valenza dell’intero sistema comunitario dei
marchi e della bontà di tutta la costruzione messa in piedi dal Regolamento
comunitario 40/94: un problema di fondo però persiste e riguarda l’assoluta
impronta teorica dell’intero meccanismo. Quando si parla di marchio comunitario
infatti ci si riferisce ad un istituto giuridico, ad una tutela assicurata da un Ufficio
a ciò preposto e dalle competenti autorità giurisdizionali; alle spalle di tutto ciò
rimane però una sorta di vuoto, perché il marchio non riesce ancora ad
identificare , soprattutto nelle menti dei consumatori, un certo tipo di prodotti o
servizi, con certe caratteristiche, garanzie e qualità, come invece riescono a fare ad
esempio il Made in USA o il Made in Japan. L’allargamento dei mercati a
dimensione globale pone il problema del marchio Made in Europe all’ordine del
giorno391. Con esso i consumatori giapponesi o statunitensi, nonché quelli di
qualsiasi altra parte del mondo, potranno scegliere i prodotti da acquistare
leggendo sull’etichetta la loro provenienza: un’informazione in più, che spesso ne
sottintende altre, riguardanti la qualità e la cura nella fabbricazione del prodotto.
390 L’articolo 90 è intitolato all’Applicazione della Convenzione di esecuzione391 Bibliografia di riferimento sulla problematica ed evoluzione del progetto “marchio made inEurope”: P.Mennitti, Un marchio Made in Europe, 13 giugno 2003, in www.ideazione.com ;EuroEuro European Business Intelligence, 30 maggio 2003, in www.euroeuro.net/company ;F.Ronchin, Gli impostori del Made in Italy, 20 luglio 2003, in www.oggi7.info ; Marchio d’origine vicinoper prodotti del mercato Ue, Italiaoggi, 10 luglio 2003, in www.paginetessili.it ; G.Orso, Obiettivotracciabilità al primo posto, 17 luglio 2003, in www.paginetessili.it
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
147
Con il marchio Made in Europe, specifico per i beni prodotti all’interno dell’UE, si
vogliono tutelare le produzioni comunitarie dalle contraffazioni dei concorrenti.
Tutto ciò per ora non esiste, se non sulla carta, nel progetto congiunto del vice-
ministro italiano alle attività produttive Alfonso Urso e del commissario Pascal
Lamy, da discutersi in sede WTO e aperto, oggi come oggi, ad ogni tipo di
soluzione392.
3.5 MARCHIO COMUNIATRIO E MARCHI NAZIONALI ED
INTERNAZIONALI
Il sistema comunitario dei marchi, pur essendo completo, unitario ed
autosufficiente non si è sostituito ai preesistenti sistemi legislativi nazionali ed
internazionali, ma li ha affiancati393. Tra tutti questi sistemi infatti esiste, da un
lato, un grado di indipendenza tale da far sì che essi possano convivere senza
problemi sullo stesso mercato globale e, dall’altro, un insieme di vincoli reciproci
che li relazionano e permettono loro di potenziarsi a vicenda. Un chiaro esempio
di questa continua relazione è data dal meccanismo di trasformazione dei marchi,
che permette ad un titolare di un segno protetto a livello comunitario di mutare la
sua registrazione in una serie di registrazioni nazionali, conservando così i diritti
originariamente assegnatigli.
3.5.1 Marchio comunitario e marchi nazionali
392 Si ricordi che la proposta del vice-ministro italiano prevede la possibilità di accompagnare ilmarchio generale made in Europe, almeno per determinati settori merceologici, con ladenominazione nazionale: ad esempio una targhetta potrebbe contenere l’indicazione completamade in Europe-Italy, fornendo al consumatore un’informazione esaustiva393 Cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 491; F.Benussi, op.cit., p. 15
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
148
Il marchio comunitario non sostituisce i marchi nazionali né la sua
creazione suppone la soppressione di tutti i sistemi nazionali di registrazione e
tutela del segno. Non sarebbe infatti logico imporre alle imprese operanti nella
Comunità o in una porzione di essa, un determinato comportamento in relazione
ai loro marchi; in Europa operano pur sempre imprese le cui dimensioni e i cui
interessi non sono tali da giustificare una tutela estesa all’intero territorio
comunitario.
D’altronde il principio di coesistenza di cui si diceva sopra, è alla base del
ragionamento che ha condotto il legislatore comunitario alla emanazione del
Regolamento 40/94: la coesistenza di marchi comunitari e nazionali trova piena
giustificazione e fondamento nella realtà economica odierna, in cui accanto ad
imprese impegnate sull’intero mercato comunitario e al di fuori di esso, operano
un enorme numero di piccole imprese che concentrano le loro attività e la loro
commercializzazione in un solo Stato comunitario o addirittura in una parte di
esso.
Durante i lavori per la creazione del sistema comunitario dei marchi, ci si rese
presto conto che si sarebbero incontrate meno difficoltà in un sistema che
tollerasse i sistemi nazionali ed anzi operasse in parallelo con essi, piuttosto che in
una soppressione tout cour degli stessi, per lasciare spazio ad un unico sistema
sovrastatale. Da un punto di vista pratico inoltre, se i sistemi nazionali fossero
stati aboliti, le domande rivolte all’Ufficio di Alicante avrebbero creato un
intasamento ed avrebbero paralizzato l’intera macchina organizzativa. Da un
punto di vista giuridico invece, in presenza di un solo sistema comunitario, se una
domanda fosse stata respinta in base a diritti di marchio nazionali preesistenti, il
titolare si sarebbe visto negare la possibilità di una tutela territorialmente più
ridotta ma pur sempre fondata su una registrazione.
Si sarebbe potuto optare per una semplice armonizzazione delle legislazioni
nazionali, per conciliare i due tipi di sistemi. Tale ravvicinamento avrebbe
sicuramente avuto effetti positivi, ma non avrebbe saputo eliminare le restrizioni
al commercio intrastatale dovute al carattere autonomo dei diritti nazionali e al
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
149
principio di territorialità. Non c’era altra soluzione che quella del Regolamento
per addivenire ad una pacifica e produttiva convivenza: anche il Consiglio lo
affermò, nel 1980, nella sua Relazione alla Proposta di Regolamento: “non resta
che far coincidere la sfera di validità del marchio con l’ambito territoriale del
Mercato Comune: occorre istituire un marchio indipendente dalle normative
nazionali che abbia validità per l’intero territorio della Comunità, e quindi, senza
sopprimere la tutela nazionale dei marchi d’impresa, procedere alla creazione,
accanto ai marchi nazionali, di un marchio comunitario”.
Accogliendo ed applicando il principio della coesistenza, occorre ovviamente
delimitare i rispettivi ambiti di applicazione e risolvere gli eventuali problemi circa
la certezza giuridica dei due istituti, per non rischiare, attraverso la concessione
parallela di segni distintivi con efficacia diversa ma operanti su parti sovrapposte
dello stesso territorio, di confondere i consumatori.
Bisognerà quindi azionare un coordinamento tra i due tipi di marchi, a seconda
dell’ambito operativo dell’impresa a cui appartengono i segni: l’impresa che
commercializza i suoi beni o servizi sull’intero territorio comunitario, provvederà
a richiedere una registrazione sul registro comunitario, mentre quella che intenda
operare esclusivamente all’interno di un unico territorio nazionale, potrà limitare
la tutela del proprio marchio richiedendo la registrazione su un piano solo
nazionale, contenendo di conseguenza le relative spesa gestionali394.
Procedendo ad un analisi dettagliata del Regolamento, infine, si può
constatare l’applicazione pratica dei principi sopra enunciati ed in particolare della
coesistenza: la dualità tra marchio comunitario e marchi nazionali portò
all’inserimento nel Regolamento di numerose interconnessioni tra i due modelli
di protezione. Così, il legislatore comunitario permette all’impresa che desideri
registrare il proprio marchio a livello comunitario di presentare la propria
394 Se la convivenza dovesse risultare difficile e dovessero sorgere contrasti tra i due marchi, siapplicherà le regola della precedenza o dell’anteriorità, riconoscendo valore esclusivo al marchioregistrato per primo
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
150
domanda indifferentemente all’UAMI di Alicante oppure all’Ufficio nazionale
competente, il quale trasmetterà la richiesta all’Ufficio comunitario. Una
registrazione di marchio comunitario può avvalersi della priorità, originata da una
precedente registrazione a livello statale. Ancora, un marchio nazionale può
essere impugnato per impedire la registrazione di un marchio comunitario
successivo, a meno che il primo non abbia una portata puramente locale. Non si
dimentichi infine, il meccanismo di trasformazione di un marchio comunitario in
uno o più marchi nazionali395, conservando la data di priorità del primo,
allorquando la domanda di registrazione presso l’Ufficio per l’Armonizzazione
del Mercato Interno sia stata respinta o ritirata oppure quando il marchio
comunitario, già ottenuto e sfruttato, abbia cessato di produrre i suoi effetti396.
Le conseguenze di queste e delle molte altre previsioni del Regolamento
coinvolgenti i due sistemi di protezioni sono molte: in primo luogo una domanda
di marchio comunitario ed il diritto così ottenuto hanno, nei vari Stati membri, lo
stesso valore dei marchi registrati in quel Paese, in base alla legislazione nazionale.
In secondo luogo gli uffici nazionali per la gestione della proprietà industriale
sono i normali interlocutori dell’UAMI e, quasi sempre, i servizi offerti da
quest’ultimo non potrebbero realizzarsi ed andare a buon fine senza l’intervento e
l’azione dei suddetti centri nazionali. Allo stato attuale delle cose, il sistema
comunitario dei marchi non potrebbe sopravvivere senza la collaborazione dei
sistemi nazionali, poiché essi si connettono e completano vicendevolmente.
3.5.2 Marchio comunitario e marchi internazionali
Il marchio comunitario si è inserito in un contesto internazionale in cui la
protezione dei marchi era regolata ed assicurata dalle convenzioni studiate in
precedenza, prima fra tutte l’Arrangement di Madrid del 1891. Fin da subito è
395 Sul meccanismo di trasformazione del marchio comunitario in una domanda di marchionazionale, si veda: A.Casado Cervino, op.cit., p. 493396 Si veda l’articolo 108 del Regolamento 40/94
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
151
stata palese la necessità di creare un vincolo o un collegamento tra il sistema
comunitario e le tutele internazionali397. L’Accordo di Madrid presentava però
due problemi fondamentali: da una parte una porzione importante di Paesi,
soprattutto appartenenti alla tradizione di Common Law, non partecipavano a tale
meccanismo; dall’altra la creazione stessa del sistema comunitario in materia di
marchi, rendeva urgente una revisione che permettesse una collaborazione tra i
due sistemi.
Fu con la conclusione del Protocollo di Madrid398 che buona parte di questi
ostacoli furono superati: il suo articolo 1 apre infatti la partecipazione a
determinate organizzazioni, tra cui ovviamente la Comunità Europea. È quindi
imminente una stretta collaborazione tra il sistema comunitario e quello
internazionale creato dal Protocollo399.
Le norme del Protocollo che preparano il terreno per la collaborazione sono le
seguenti: a differenza di quanto stabilito dall’intesa di Madrid, il Protocollo
prevede la possibilità non solo per gli Stati, ma anche per le organizzazioni
intergovernative di diventare parti del sistema di registrazione internazionale400.
Questa eventualità è stata appositamente prevista in seguito alla nascita del
sistema del marchio comunitario, perché si è ritenuto opportuno collegarlo al
sistema di registrazione internazionale dei marchi. Secondo quanto disposto dagli
397 Cfr. A.Ferrari, Marchio Comunitarioe e Registrazione Internazionale, in Diritto Industriale, 1995, p.831398 Per la lettura completa del protocollo si veda: www.admin.ch ; per l’elencazione completa deiPaesi membri dell’Accordo e/o del protocollo di Madrid, si veda: www.exensis.ch o,alternativamente, www.wipo.org 399 Sul tema della cooperazione tra sistema comunitario e Protocollo di Madrid si veda:www.oami.eu.int/IT/mark/aspects/madrid 400 L’articolo 1 del Protocollo, intitolato all’Appartenenza all’Unione di Madrid, recita: “gli Statipartecipi di questo Protocollo, anche se non sono partecipi dell’Accordo di Madrid per laregistrazione internazionale dei marchi, e le organizzazioni indicate nell’articolo 14.1 lettera b,che sono partecipi di questo Protocollo (denominate più avanti “organizzazioni contraenti”)sono membri della stessa Unione di cui sono membri i Paesi che sono membri dell’accordo diMadrid. In questo protocollo, l’espressione “parti contraenti”, designerà sia gli Stati contraentiche le organizzazioni contraenti”
IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI
152
articolo 14 e 2 del Protocollo401, le organizzazioni devono rispettare determinati
requisiti per poter far parte del sistema: almeno uno dei loro membri deve essere
parte della C.U.P., ed esse devono avere un ufficio regionale per la registrazione
dei marchi con effetto nel territorio su cui dispiegano la loro efficacia i trattati
istitutivi delle organizzazioni stesse. L’Unione Europea rispetta in pieno i requisiti
richiesti402, cosicché il suo territorio sarà considerato a tutti gli effetti parte
contraente del Protocollo.
Una domanda di marchio comunitario potrà essere considerata valevole per
l’inserimento nel registro internazionale e, al contrario, una registrazione
internazionale potrà trasformarsi in una registrazione comunitaria. Per evitare
che, in presenza di un marchio identico, due registri, internazionale e
comunitario, si sovrappongano provocando l’eventuale confusione del pubblico,
il registro internazionale sostituirà o meglio, prevarrà su quello di Alicante.
Anche in questo caso quindi, il sistema comunitario si è dimostrato capace non
solo di tollerare sistemi preesistenti in materia di tutela dei marchi, ma di
coordinarsi con essi al fine di offrire una scelta sempre più ampia ai soggetti
operanti a livello comunitario ed internazionale.
401 L’articolo 14, intitolato alle Modalità per diventare partecipe del protocollo, nel suo primocomma lettera B, prevede il requisito dell’appartenenza di almeno uno Stato dell’organizzazionealla C.U.P.; l’articolo 2, è intitolato all’Ottenimento della protezione attraverso la registrazioneinternazionale402 L’UE rispetta senza dubbio il primo requisito perché tutti i suoi quindici membri sonofirmatari della Convenzione di Unione di Parigi. Anche il secondo requisito è soddisfatto perchél’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno è divenuto pienamente operativo a partiredal 1° aprile 1996
4. IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
4.1 INTRODUZIONE ALLA MATERIA
Uno dei fattori più significativi dell’evoluzione dell’umanità è stata la
straordinaria capacità di partecipare collettivamente alle conoscenze dei singoli.
Per progredire era necessario mettere a disposizione di tutti le conoscenze a cui i
singoli pervenivano, in modo spontaneo piuttosto che attraverso uno studio
applicato. La condivisione delle conoscenze è stata fino ad un certo momento
spontanea, fino a che essa ha rischiato di rallentare lo sviluppo di nuove nozioni,
cosicché sono intervenute regole che l’umanità si è man mano data.
Si narra403 che un ingegnoso contadino di nome Leonardo, essendo
riuscito a congegnare una macchina che permetteva ad un solo asino di estrarre
da un pozzo quaranta secchi di acqua nello stesso tempo in cui due uomini ne
estraevano appena la metà, chiese di poter sfruttare solo per sé questa scoperta ed
ottenne dal principe l’applicazione di un divieto di imitazione e fabbricazione per
quaranta anni, nei confronti di chiunque altro.
I ragionamenti di Leonardo, che pretese di sfruttare a titolo esclusivo la sua
scoperta, e quelli del principe, che assecondando il contadino sperò in altre
successive scoperte da parte sua o di altri, sono alla base di tutto il sistema
brevettuale moderno404: l’inventore inventa e pretende di sfruttare per sé e
403 Su questo episodio, di origini tutt’altro che sicure, si veda Barzanò e Zanardo, op.cit., p. 5404 Sulla materia dei brevetti cfr. G.W.Rhodes, Patent Law Handbook: 2000-2001 edition, WestGroup, St.Paul Minnesota, 2000; E.W.Kitsch, The nature and Function of the Patent System, inJ.L.&E., volume 20, anno 1977, p. 265; T.Terrell, On the law of Patents, Sweet & Maxwell, Londra1994; G.Sena, P.Frassi, S.Giudici, Codice di diritto industriale, marchi, invenzioni, disegni e modelli, novitàvegetali, diritto d’autore e topografie dei prodotti a semiconduttori, Kluwer IPSOA, Milano 2001; G.Sena, Idiritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, Giuffrè, 1990; G.Floridia, I Brevetti per invenzione e permodello, Giuffrè, Milano 1980; D.Sarti, Diritti esclusivi e circolazione dei beni, Giuffrè, Milano 1996;F.Massa Felsani, Contributo all’analisi del know-how, Giuffrè, Milano 1997; D.Burnier, La notion del’invention ed droit européen des brevets, Droz, Ginevra, 1981; G.Guglielmetti, La brevettazione delle
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
154
indefinitamente la sua scoperta, la collettività con le sue regole pretende la
diffusione delle conoscenze ed in cambio riconosce all’ingegnoso cittadino un
periodo limitato di tempo in cui beneficiare, a titolo esclusivo, della sua
invenzione.
L’istituto delle privative brevettuali è quindi tutt’altro che un ostacolo allo
sviluppo tecnico – scientifico. Al contrario, esso è orientato a favorire ed
incentivare lo sviluppo come risultato ed in funzione della diffusione delle
conoscenze.
Con l’avvento della civiltà industriale, si è concretizzata l’esigenza di
regolamentare l’attività inventiva prima di pochi ed isolati ingegni e poi sempre
più diffusa ed organizzata. Perciò gli Stati hanno via via creato regole per
accogliere, proteggere ed incentivare le nuove scoperte e le invenzioni.
4.1.1 La natura del diritto di brevetto
La nozione di brevetto è relativamente semplice: esso è l’istituto giuridico
attraverso il quale l’ordinamento presso cui è depositata la domanda assicura
all’inventore il diritto di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un determinato
lasso di tempo. In questo modo l’inventore è tutelato contro ogni rischio di
distruzione o diffusione del segreto, perché il suo diritto di esclusiva avrà validità
per tutto il tempo, stabilito dalla legge, indipendentemente dal fatto che altri siano
in grado o meno di realizzare la stessa invenzione. La determinazione a priori di
un periodo di tutela dell’inventore, a seguito del quale chiunque potrà utilizzare le
nozioni apportate alla collettività dal titolare del brevetto, evitano il rischio che il
monopolio sull’invenzione si protragga troppo a lungo, a danno della società.
scoperte – invenzioni, in Rivista di Diritto Industriale, 1999, volume I, p. 97; P.Spada, Eticadell’innovazione tecnologica ed etica del brevetto, in Rivista di Diritto Privato, 1996, p. 217; E.Vasco,Proprietà industriale. Quanto vale un brevetto?, in Commercio Internazionale, 1999, p. 909; V.Di Cataldo,Il Codice Civile Commentario. I brevetti per invenzione e per modello, artt. 2584 – 2594 seconda edizione,Giuffrè, Milano 2000
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
155
Fin dal momento della scoperta o dell’invenzione, l’inventore dovrà
decidere se brevettare o meno ciò che ha ideato: è conveniente mantenere il
segreto e rischiare eventualmente che altri giungano alle medesime conclusioni o
è preferibile depositare domanda di brevetto, con il conseguente obbligo di
rendere pubblico ed accessibile ciò che si è inventato?405 Sarà ovviamente
necessaria un’attenta valutazione del caso: se all’invenzione possono facilmente
addivenire soggetti che si occupano della materia, è senza dubbio preferibile
optare per la brevettazione, assicurandosi così almeno un periodo di assoluto
monopolio406. Al contrario in molti altri casi la brevettazione equivarrebbe ad una
semplice e diretta divulgazione di un’invenzione che verosimilmente non
potrebbe essere decifrata e quindi essere oggetto di contraffazione da parte di
eventuali concorrenti. Spesso si tratta di invenzioni concernenti il procedimento
di fabbricazione che, neanche attraverso un’attenta analisi, potrebbe essere
svelato e quindi riproposto. Si pensi al caso della bevanda analcolica
probabilmente più famosa del mondo, la Coca Cola: essa rappresenta l’esempio
più significativo di un prodotto non coperto da brevetto, ma tutelato dalla
segretezza ormai da oltre cento anni. La formula alla base della bevanda, risultato
dell’invenzione geniale di tale Mr. Pemberton, reduce della Guerra Civile
americana407, è tutelata non da un istituto giuridico, ma appunto dal segreto
aziendale: le possibilità che un terzo addivenga casualmente o volontariamente
405 Sul dualismo “brevettazione o segreto” si veda Accord ADPIC, Accord sur les aspects des droits dela proprieté intellectuelle qui touchent le commerce. Protection conférée par les brevets, a cura dellaCommissione Europea, edizioni Eur – op, 2000406 Ad esempio appartengono a questo primo gruppo di invenzioni i composti chimici utilizzatiin medicina oppure macchinari domestici come le macchine da cucire. Sul tema si veda AccordADPIC. Protection conférée par les brevets, nel capitolo dedicato a “Recours au brevet – Situationvariable selon le secteur industriel”(p. 16): in esso si afferma che i settori maggiormenteinteressati alla materia brevettuale, che da essa hanno tratto i maggiori benefici, sono l’industriafarmaceutica, l’agro-chimica, l’industria degli strumenti elettronici, le telecomunicazioni,l’ingegneria e la costruzione aerospaziale 407 Per una sintetica informazione sulla storia della Coca Cola si veda: La storia della Coca Cola, 19marzo 1998, in www.provincia.torino.it/Scuole , nonché il sito ufficiale della compagniaamericana, www.coca-cola.com
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
156
alla formula sono talmente esigue, che si decise alla fine dell’ ottocento,
perpetuando la scelta fino ai giorni nostri, di non richiedere la protezione
brevettuale, per la cui concessione sarebbe stata necessaria la divulgazione di tutta
la formula408.
Alla base della concessione di un diritto di brevetto esiste una logica di
trasparenza sulla struttura dell’invenzione. Il rilascio di un brevetto è una sorta di
contratto tra il soggetto che intende brevettare e la collettività: il primo mette a
disposizione le sue invenzioni, offrendo di esse una adeguata e puntuale
descrizione, perché il pubblico possa con il tempo godere dei suoi benefici; la
società remunera l’inventore per il suo apporto al patrimonio collettivo attraverso
l’attribuzione di un diritto esclusivo, limitato nel tempo. Ovviamente tale tipo di
tutela non sarà concessa a tutti coloro che affermino di aver inventato
“qualcosa”, ma esclusivamente a chi riesca a dimostrare che la sua innovazione
possiede determinati requisiti richiesti dalla legislazione che concede il diritto
stesso.
4.1.2 I requisiti dell’invenzione
Chiunque pensi di aver dato vita ad un’invenzione tutelabile con un
brevetto deve innanzitutto chiedersi, prima che lo faccia l’apposita commissione
deputata all’analisi prima della concessione, se il suo lavoro soddisfa tutti i
requisiti richiesti ai fini della brevettazione. I legislatori di tutti i Paesi che
possiedono regole sulla disciplina infatti, nel tentativo di dar vita a brevetti il più
possibile sicuri ed inattaccabili, hanno fissato condizioni rigide per la concessione
408 Lo stesso ragionamento fu seguito più recentemente e sempre con successo dalla societàFerrero di Alba, con riferimento alla Nutella. Si ricordi infine che tale ragionamento, che ha datovita all’immenso colosso economico e commerciale americano, è da molte parti criticato e lasocietà oggetto di pesanti attacchi: tra essi quelli dell’ultimo movimento degli anti-brevetti, natoin America e chiamato “copyleft”. L’Open Cola, bevanda dalla formula pubblica e riproducibile,
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
157
dei diritti; nella stessa direzione si è mosso il legislatore comunitario impegnato a
disegnare le regole per la gestione a livello europeo della materia, attraverso la
determinazione del diritto sostanziale contenuto nella Convenzione sulla
Concessione di Brevetti Europei, conclusa a Monaco di Baviera il 5 ottobre
1973409.
In generale, a livello comunitario e nazionale, perché un’invenzione sia
brevettabile sono richiesti tre requisiti410: l’industrialità, la novità e l’originalità. In
passato a questi requisiti veniva collegato l’elemento dell’utilità, ma esso non va
fatto rientrare tra i presupposti per una valida brevettazione. Dall’altra parte oggi
si ritiene unanimemente che la brevettabilità richieda un’indicazione chiara e
precisa dell’uso a cui è destinata, pur non costituendo questo un autonomo
requisito di brevettabilità per un’invenzione411. Quando anche uno solo dei
suddetti requisiti non sia soddisfatto, l’invenzione non è suscettibile di essere
tutelata tramite brevetto.
Richiamando la Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) a titolo
esemplificativo, si nota che l’articolo 52 della stessa dichiara che “i brevetti
europei sono concessi per le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva
e sono atte ad avere un’applicazione industriale”412.
prova a demolire il dominio della Coca Cola. Si veda: Copyleft: open cola contro la coca cola, 18 marzo2002, in www.inventati.org 409 Su un’analisi dettagliata dei contenuti e del processo evolutivo che ha portato alla conclusionedella Convenzione sui Brevetti Europei, si tornerà più avanti nel corso del capitolo, trattando davicino la materia dei brevetti in ambito comunitario. 410 Sui requisiti di brevettabilità, anche in ambito comunitario, si vedano: Barzanò & Zanardo,op.cit., p. 9; G.Rocco, Come depositare brevetti e marchi. Procedure, modelli, registrazioni, convenzioniinternazionali, posizione dell’OMC, Giuffrè, Milano 2001, p. 9; T.Prime, op.cit., p. 183; R.Singer &M.Singer, Il Brevetto Europeo. Traduzione e riferimenti alla legislazione italiana di F.Benussi. Prefazione diG.Sena, UTET, 1993, p. 91, G.Cottino, Diritto Commerciale, Volume Primo Tomo Primo, Terzaedizione. Imprenditore, impresa ed azienda. Segni distintivi, brevetti e concorrenza, CEDAM, Padova 1993,p. 336411 Cfr. A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 319412 Sulla versione ufficiale della Convenzione si veda www.europa.eu.int; per un’analisi articoloper articolo della stessa cfr. R.Singer & M.Singer, op.cit.
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
158
Perché sia soddisfatto il primo requisito, l’invenzione in esame deve essere nuova
rispetto allo stato della tecnica; lo “stato della tecnica”413 è tutto ciò che è reso
accessibile al pubblico sul territorio dello Stato in cui è richiesta la brevettazione o
all’estero, prima della domanda di brevetto, attraverso un’utilizzazione pratica,
una descrizione orale o scritta o un qualsiasi altro mezzo. La novità risiede quindi
in tutti gli elementi dell’invenzione, che non devono essere stati divulgati al
pubblico ad opera dell’inventore o di qualsiasi altra persona, in nessuna parte del
mondo414. Le uniche deroghe a questa regola, previste dalla Convenzione di
Parigi del 1928, riguardano i casi in cui la divulgazione è avvenuta a seguito di
abuso evidente perpetrato ai danni dell’inventore.
Lo stato della tecnica è coinvolto anche nella valutazione del secondo requisito,
riguardante l’attività inventiva415. Infatti, perché l’invenzione sia brevettabile non
è sufficiente che essa non sia stata divulgata in nessuna parte del mondo prima
della presentazione della domanda: è altresì indispensabile che essa fornisca un
apporto, anche minimo, allo stato della tecnica e che essa non sia una semplice
deduzione rispetto alle conoscenze già acquisite, facilmente percepibile da una
qualunque persona esperta del ramo416.
Il terzo requisito risulta di più immediata comprensione: l’invenzione può avere
applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in
qualunque impresa, comprese quelle di tipo agricolo. In linea con tale definizione,
si ritengono non brevettabili i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico
del corpo umano o animale, oltre ai metodi di diagnosi applicati alla salute umana
413 Lo stato della tecnica è detto anche “tecnica anteriore” o “tecnica precedente”414 Se, ad esempio, un inventore prima commercializza l’oggetto della sua invenzione e poideposita domanda di brevettazione con riferimento alla stessa invenzione, la sua richiesta verràsicuramente bocciata per l’insussistenza del requisito della novità. Si tratta di ipotesi non moltorare nella realtà, poiché molti inventori verificano prima il successo ottenibile presso il pubblicodall’invenzione e poi, in caso di risposta positiva, decidono di presentare richiesta dibrevettazione415 Spesso, in dottrina e in giurisprudenza, ci si riferisce alla novità intrinseca per parlare dellanovità e alla novità estrinseca o originalità per parlare di attività inventiva416 Il concetto di persona esperta del ramo o tecnico medio, accompagnata dalla dizione “nellosvolgimento delle sue normali funzioni”, non è di facile ed univoca interpretazione ed ha spessocreato non pochi problemi
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
159
ed animale417. Quando un brevetto non è attuato o lo è in maniera non adeguata
e sufficiente, si può chiedere al titolare la concessione di una licenza e laddove
egli rifiuti, rivolgersi all’autorità competente, l’Ufficio brevetti e marchi nel caso
italiano, che potrà imporre al titolare di concedere una licenza, denominata
“obbligatoria”, dato l’intervento amministrativo.
Quando l’autorità competente accerti l’esistenza di questi tre requisiti e l’assenza
di eventuali impedimenti, si procederà alla concessione del diritto di brevetto, il
quale avrà una durata determinata dalla legislazione dello Stato concedente,
solitamente venti anni, non rinnovabili418.
A livello industriale invece, perché un brevetto sia dotato del valore
necessario a remunerare l’impresa che ha investito e sviluppato nuovi prodotti o
procedimenti, sono richieste all’ordinamento che concede la tutela alcune
caratteristiche419: innanzitutto la durata della protezione offerta dal brevetto deve
essere sufficientemente lunga da far sì che il brevetto stesso possa valorizzare
l’investimento a monte420; in secondo luogo il brevetto deve coprire l’invenzione
stessa, soprattutto quando si tratti di un prodotto, nel qual caso il brevetto dovrà
tutelare il bene e non il modo di fabbricarlo. Infine la tutela deve essere
consacrata dalla legislazione del Paese e soprattutto riconosciuta e difesa dagli
organi giurisdizionali nazionali421. Questi sono i requisiti richiesti allo Stato,
perché assicuri un’adeguata protezione agli inventori e ai loro lavori: quando
417 Cfr. G.F.Casucci, Invenzioni non brevettabili. Metodi chirurgici, terapeutici o di diagnosi, in DirittoIndustriale, 1996, p. 658418 Come si vedrà nello specifico nei paragrafi successivi, anche a livello europeo viene concessoun brevetto con durata ventennale419 Sulle condizioni essenziali di un sistema brevettuale, richieste non al titolare maall’ordinamento che concede la tutela si veda: Accords ADPIC, Protection Conférée par les brevets, cit.,p. 16420 L’Organizzazione Mondiale del Commercio precisa che il periodo di tutela deve essereabbastanza lungo perché il titolare del brevetto possa ottenere una adeguata ricompensa per ilsuo sforzo, per l’investimento e per il rischio a cui è andato incontro421 L’Organizzazione Mondiale del Commercio precisa che, perché il sistema brevettuale siaefficace, deve sussistere la possibilità per il titolare, di far valere azioni giudiziarie contro ognitipo di contraffazione di fronte ai tribunali nazionali
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
160
queste tre condizioni non sussistono una accanto all’altra, il sistema brevettuale
non è affatto utile ed efficace.
4.1.3 Tipologie di invenzioni brevettabili
La prima grande suddivisione da operare all’interno dell’enorme campo
delle invenzioni è quella tra invenzioni di prodotto ed invenzioni di procedimento. Le
prime fanno riferimento alla realizzazione di un nuovo prodotto da immettere sul
mercato a disposizione dei consumatori finali; le seconde riguardano i
procedimenti, i metodi di lavorazione attraverso cui un certo bene è realizzato.
Tra le prime ritroviamo ad esempio un nuovo dispositivo, un oggetto di uso
comune, nonché un prodotto chimico o una composizione.
Sulle invenzioni di procedimento invece abbiamo assistito ad una rivoluzione
negli ultimi trent’anni, dovuta al necessario adeguamento delle discipline nazionali
a quella comunitaria422, basata sulla Convenzione sul Brevetto Europeo.
Quest’ultima non definisce infatti cosa si intenda per procedimento ma si limita423
ad indicare alcune categorie che non sono da considerarsi invenzioni: si tratta dei
summenzionati metodi per il trattamento chirurgico, terapeutico o diagnostico.
In secondo luogo le invenzioni possono essere principali o derivate. Le
prime sono quelle a cui l’inventore perviene senza alcun collegamento o nesso
con altre precedenti invenzioni; le altre invece hanno la loro origine in altre
invenzioni. Queste ultime sono a loro volta suddivise in invenzioni da
perfezionamento, se apportano un miglioramento o un’aggiunta all’invenzione da cui
422 La giurisprudenza italiana definiva infatti in modo univoco quali procedimenti non fosserobrevettabili: la Commissione Ricorsi, nel 1970, sottolineò che “non sono brevettabili quei trovatiche non attengano al modo di agire delle attività umane sulle forze della natura e nondeterminino il raggiungimento dei risultati materiali”. Tale precisione dovette essereabbandonata con l’adeguamento alla disciplina comunitaria423 L’articolo 52 della C.B.E., ripreso dall’articolo 12 della Legge Brevetti italiana, indica qualiprocedimenti non costituiscono invenzione
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
161
originano424, da traslazione, se applicano la precedente concezione inventiva ad un
nuovo settore della tecnica industriale, di combinazione, se combinano precedenti
invenzioni o parti di esse. In tutti i casi rimane fermo ovviamente il requisito
dell’attività inventiva ed originale.
Ancora, da un punto di vista prettamente giuridico, le invenzioni possono
essere indipendenti o dipendenti: queste ultime potranno essere brevettate solo con il
consenso del titolare dell’invenzione da cui esse derivano, a meno che non si
tratti dello stesso soggetto che ha proseguito la sua attività di ricerca. L’articolo 5
della Legge Brevetti italiana richiama tale distinzione, specificando che un
brevetto la cui attuazione implica quella di invenzioni protette da precedenti
brevetti ancora in vigore non può essere attuato, né utilizzato, senza il consenso
dei titolari dei brevetti preesistenti.
Ovviamente tali classificazioni teoriche si intrecceranno in innumerevoli
combinazioni nella realtà: solitamente le invenzioni di perfezionamento o, in una
certa misura, quelle di combinazione, saranno da considerarsi invenzioni
dipendenti, la cui brevettabilità è soggetta al consenso di altri titolari.
Per evitare che i titolari di invenzioni coperte da brevetto possano ostacolare
l’attuazione di eventuali invenzioni dipendenti, frenando quindi notevolmente
l’avanzamento della tecnica, le legislazioni prevedono solitamente modi,
circostanze e condizioni per la concessione di licenze obbligatorie, anche
incrociate, tra titolari di invenzioni indipendenti e dipendenti.
Infine non si dimentichi che, sebbene sia normalmente sancito che il
titolare del brevetto è l’inventore, spesso vanno considerati, in modo
indipendente e separato, due soggetti: non è detto che l’inventore sia allo stesso
424 Sulle invenzioni di perfezionamento è stata formulata la cosiddetta teoria degli equivalentitecnici, meccanici ed elettronici: in base ad essa non si considera sussistente il requisito dellaattività inventiva se l’invenzione si basa esclusivamente su una semplice differenza costruttivache non produce alcuna specificità. Su tale teoria nello specifico e sulle differenze tra le varietipologie di invenzioni cfr. Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 13
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
162
tempo titolare del brevetto425. La legge sancisce che sono inalienabili i diritti
morali spettanti all’inventore di essere riconosciuto come padre dell’invenzione,
mentre possono legittimamente essere trasferiti i diritti generici di brevetto, che
sono diritti reali e sono costituiti dalla facoltà di attuare l’invenzione e trarre
profitto da essa, nel territorio dello Stato che concede la privativa. Le regole
appena enunciate si complicano notevolmente nel caso in cui l’invenzione sia il
frutto dell’ingegno di un soggetto operante nell’ambito di un contratto o di un
rapporto di lavoro o di impiego. Le soluzioni variano a seconda che l’attività
inventiva sia prevista espressamente nel contratto di lavoro, sia per lo meno non
esclusa o sia assolutamente occasionale e il dipendente vi pervenga in modo
assolutamente casuale, nel campo di attività dell’azienda a cui egli appartiene. In
tutti i casi il diritto di essere riconosciuto come inventore spetterà al
dipendente426, mentre i diritti generici spetteranno al datore di lavoro, il quale non
sarà tenuto a corrispondere alcuna remunerazione aggiuntiva nel primo caso, e
sempre al datore di lavoro nel secondo caso, con la differenza che al dipendente
spetterà un equo premio427, per la sua attività inventiva; sulla terza ipotesi gli
studiosi si dividono perché, secondo alcuni, al datore di lavoro spetterebbe
esclusivamente il diritto di prelazione, mentre secondo altri egli dovrebbe poter
ottenere un diritto d’opzione sull’uso esclusivo o non esclusivo dell’invenzione e
sull’acquisto del brevetto con relative estensioni estere. Le legislazioni, ad
esempio quella italiana, prevedono esplicitamente tempi e modi per la
realizzazione pratica di queste ipotesi, in particolar modo per l’esercizio dei diritti
di cui al terzo caso428.
425 Cfr. Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 15426 La legge stabilisce infatti che i diritti morali sono inalienabili427 L’equo premio verrà ovviamente calcolato sulla base della portanza economicadell’invenzione428 Cfr. C.Galli, Problemi in tema di invenzioni dei dipendenti, in Rivista di Diritto Industriale, 1996, Itomo, p. 19; E.M.Terenzio, Le invenzioni del prestatore di lavoro subordinato, in Rivista giuridica dellavoro e della previdenza sociale, 1999, p. 633
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
163
4.1.4 La funzione di un brevetto
Poiché i brevetti per invenzioni appartengono alla vasta famiglia della
proprietà intellettuale, essi senza dubbio condividono con gli altri diritti di
privativa, lo stesso ruolo nello scenario commerciale nazionale ed internazionale.
In generale infatti la proprietà industriale contribuisce alla crescita e allo sviluppo
economici e, tramite questi, migliora il benessere della popolazione. I diritti di
privativa incoraggiano infatti le attività di ricerca perché incentivano le imprese e
gli inventori ad investire il loro tempo ed il loro denaro in cambio della possibilità
di ottenere adeguate ricompense per gli sforzi compiuti.
Molti Paesi tuttavia ritengono che l’esistenza dei diritti di privativa sia un ostacolo
insormontabile per l’industria locale e benefici solo i grandi Paesi industrializzati,
ma molti studiosi e l’Organizzazione Mondiale del Commercio sostengono
esattamente il contrario: in Italia ed in Giappone ad esempio, l’industria
farmaceutica ha iniziato a prosperare in seguito all’instaurazione di una
protezione efficace per i brevetti sui farmaci; così in India l’industria locale dei
software si è sviluppate in maniera esponenziale grazie all’applicazione delle
normative a tutela del diritto d’autore. Ovviamente l’innovazione non deve essere
limitata a pochi Stati: tutti possono e devono parteciparvi, al fine di trarre
vantaggio e profitto dall’aumento degli scambi commerciali, ma ciò è subordinato
all’esistenza e all’applicazione di adeguate tutele per i diritti di proprietà
intellettuale429.
Nello specifico, l’imprenditore che investe ed innova e la collettività che fruisce
delle invenzioni dell’impresa, hanno un interesse in comune430: evitare che la
429 Sul dibattito a tutt’oggi in corso, in particolar modo in seno al WTO, si veda: Accords ADPIC,Protection conférée par les Brevets, cit., p. 19430 Il brevetto risulta infatti molto utile alla collettività in quanto assicura alla stessa l’acquisizionestabile dell’invenzione al patrimonio collettivo. Poiché infatti il rilascio del brevetto èsubordinato alla completa e puntuale descrizione dell’invenzione ad opera del suo inventore,qualunque cosa accada a quest’ultimo, la collettività sarà tutelata e l’invenzione non potrà andarpersa. Ovviamente se non esistesse l’istituto brevettuale, l’impresa sarebbe incentivata a
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
164
protezione dell’innovazione sia affidata al segreto aziendale; questa duplice
preoccupazione costituisce la base dell’istituto brevettuale.
L’idea secondo cui il brevetto favorisce il progresso tecnico si regge su tre
ragionamenti: il sistema brevettuale costituisce un incentivo ed uno stimolo
all’attività inventiva, perché promette al titolare un diritto di esclusiva per un
periodo abbastanza lungo; tale promessa spinge l’inventore a scegliere la
divulgazione protetta piuttosto che il segreto aziendale, a vantaggio della
collettività; il sistema consente una circolazione dietro compenso del diritto sulle
invenzioni, la quale permette il loro sfruttamento in termini quantitativamente
ottimali. A queste argomentazioni sono state mosse nel tempo moltissime
critiche, prima fra tutte quella secondo cui il carattere anticoncorrenziale del
sistema brevettuale lo renda ostacolo piuttosto che incentivo all’intero sistema
economico.
È in generale prevalsa però la prima tesi qui esposta, che ravvisa nel brevetto una
valenza positiva, a vantaggio sia dell’inventore che della collettività.
Di fatto, nel corso dei decenni, il brevetto ha visto la sua posizione
rafforzarsi: esso ha trovato giustificazione all’interno dell’analisi economica del
diritto, in particolare nella teoria dei property rights, secondo cui esso sarebbe “la
tecnica più efficiente di allocazione dei diritti di utilizzazione dell’innovazione
tecnologica”431.
Negli ultimi anni ha infine assunto rilievo una nuova teoria, che giustifica il
brevetto come strumento di stimolo delle spese di ricerca e che sposta
l’attenzione sulle spese utilizzate nella ricerca che conduce alla sperimentazione
successiva all’innovazione, necessaria prima della commercializzazione del bene o
del servizio432. Le spese che si devono affrontare dopo l’invenzione, per saggiarne
l’effettiva efficacia e l’applicabilità pratica, sono elevatissime: chi le sosterrebbe se
mantenere il segreto aziendale, nella speranza che nessun altro scopra la sua formula, a dannodella collettività, che sarebbe privata di nuove nozioni della tecnica e della scienza431 A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 297432 Di questa nuova idea, che vede nell’istituto brevettuale nuove potenzialità e finalità, dannoconto Vanzetti e Di Cataldo, ibidem
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
165
non fosse sicuro di poter in seguito contare su un monopolio legale che gli
consenta di recuperarle?
Sulla base di queste nuove visioni, la bontà dei sistemi brevettali nel loro insieme
è stata parzialmente accettata, mentre le critiche si sono rivolte verso singoli
aspetti dell’istituto, alla ricerca di singole revisioni delle normative vigenti.
4.1.5 L’excursus storico dell’istituto
Il primo brevetto riconosciuto fu concesso in Inghilterra nel 1449 a John
Von Utlynahm per l’invenzione di un nuovo metodo di fabbricazione del vetro
colorato433. Pochi anni dopo, nel 1476, a Venezia, venne emanata la prima legge
sui brevetti, che stabiliva il diritto ad ottenere una garanzia per la protezione
dell’inventore. Uno tra i primi a beneficiarne fu Galileo Galilei, il quale progettò
un innovativo sistema di pompaggio delle acque per l’irrigazione dei campi ed
ottenne una adeguata garanzia a tutela della sua invenzione434.
I primi brevetti attribuiscono un’esclusiva non ad un’invenzione nella sua
individualità, ma ad un tipo di attività o di industria, considerato nel sua interezza.
Il diritto concesso riguarda l’applicazione industriale dell’invenzione, cosicché il
carattere che ancora oggi è riconosciuto al brevetto dei giorni nostri, affonda le
sue radici nei secoli passati. La differenza sostanziale tra il brevetto di allora e
quello attuale è il carattere discrezionale di quello, visto che la concessione era
delegata al Sovrano che, in virtù del potere detenuto, poteva decidere se
accordare o meno la “lettera patente” a chi ne aveva fatto richiesta
Nel XVII secolo ha inizio l’era moderna del diritto dei brevetti, con il
venir meno del carattere discrezionale della concessine e con la creazione di
433 Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 1434 Sulla materia brevettuale nel quattrocento e nel cinquecento si veda: G.Mandich, Primiriconoscimenti veneziani di un diritto di privativa agli inventori, in Rivista di Diritto Industriale, anno 1958,volume I, p. 101 e ss.; G.Mandich, Privilegi minerali e agricoli a Venezia nel secolo XV, in Rivista diDiritto Industriale, anno 1958, volume I, p. 327 e ss.
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
166
regole e requisiti richiesti all’invenzione e fissati dalla legge435. Con l’avvento della
rivoluzione industriale, l’epoca delle conquiste coloniali, del nuovo regime di
proprietà agricola, l’attività inventiva conosce un’impennata e si inserisce a pieno
titolo nel clima di fervida iniziativa individuale che getta le basi del nuovo
capitalismo industriale436. La tutela, abolita insieme ai privilegi dalla Rivoluzione
Francese, rinasce subito dopo, all’inizio dell’ottocento, con tutta la forza e nella
veste che la caratterizzerà fino ai giorni nostri:
Toute découverte ou nouvelle invention dans tous les genres d’industrie est
la propriété de son auteur, en consequence la loi en garantit la pleine et
entière jouissance suivant le mode et pour le temps qui seront ci-après
determinés437
Tra l’ottocento e il novecento si moltiplicano le regolamentazioni statali e non
sulla materia: la prima legge italiana risale al 1859438, affonda le sue radici nella
normativa piemontese del 1855, a sua volta ispirata al modello francese. Fino alla
metà del XX secolo questa legge regolamenterà la materia fino a quando, alle
soglie della seconda guerra mondiale, i brevetti, i marchi e i disegni furono oggetto
di due regi decreti439 e dei rispettivi regolamenti.
435 Lo Statuto che segna simbolicamente l’inizio della fase moderna del diritto dei brevetti è loStatute of Monopolies inglese del 1623436 Sul tema cfr. G.Cottino, op.cit. ,p. 326 e ss.; V.Di Cataldo, Le Invenzioni I modelli, in Corso diDiritto Industriale Diretto da Mario Libertini, Giuffrè, Milano 1990, p. 6437 “Ogni scoperta o nuova invenzione, in qualunque tipo di industria, appartiene al suoinventore, di conseguenza la legge ne garantisce il pieno godimento secondo i modi ed i tempistabiliti qui di seguito”; tratto dall’articolo 1 della legge francese sui brevetti del 1° gennaio 1791438 Studio Torta, Brevetto e Competizione Internazionale, Studio Torta Società Semplice, Torino, 1983,p. 3439 Ci si riferisce al Regio Decreto del 29 giugno 1939, n° 1127, relativo ai brevetti per invenzioniindustriali e al Regio Decreto del 25 agosto 1940, n° 1411, sulla materia dei modelli e dei disegni
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
167
Non si dimentichi ovviamente che all’epoca già risultava da tempo applicativa la
Convenzione di Unione di Parigi del 1883, ritenuta da molti la “bibbia” della
materia della proprietà intellettuale a livello mondiale440.
Infine il secolo XX è caratterizzato dalla presenza dell’ideologia socialista,
con i suoi rilievi anche nel campo della proprietà intellettuale441: la prospettiva fin
qui disegnata muta infatti allorché si passi ad analizzare un ordinamento
collettivistico dell’economia, tipico dei regimi dell’est europeo del secondo
dopoguerra. In essi il profilo morale assume un enorme rilievo, vista l’abolizione
parziale o totale della proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche l’aspetto
patrimonialistico sembra permanere: ciò che viene tassativamente abolito è la
possibilità di utilizzazione individuale, in esclusiva, dell’invenzione. Così fino a
poco più di dieci anni fa, l’inventore in Unione Sovietica aveva diritto ad un
semplice certificato d’autore per la sua invenzione, mentre i diritti di utilizzazione
economica della stessa passavano in capo allo Stato. La regola era che lo
sfruttamento dell’invenzione non appartiene all’inventore ma alla collettività.
Infine l’intera seconda metà del novecento è stata caratterizzata dal
processo di integrazione europea e, nello specifico, dagli interventi comunitari
sulla materia dei brevetti e dei modelli per invenzioni, di cui si dirà ampiamente in
seguito.
4.2 LA TUTELA DEL BREVETTO A LIVELLO INTERNAZIONALE
La necessità di disporre di criteri uniformi di tutela dei brevetti, che
assicurassero agli inventori di qualunque Paese un uguale trattamento e che
440 Sulla Convenzione di Unione di Parigi si veda il paragrafo 3.2.1 del presente lavoro.Sull’applicazione della stessa alla materia brevettuale e sulle regolamentazioni internazionali sitornerà più avanti nel corso del capitolo441 Si veda: G.Cottino, op.cit., p. 330; V.Di Cataldo, op.cit., p. 15 e p. 21
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
168
dessero loro la possibilità di registrare le loro invenzioni nei Paesi che
desideravano, senza ingenti spese organizzative, che già aveva ispirato la famosa
Convenzione di Unione di Parigi del XIX secolo, ha condotto gli Stati, nel corso
del XX secolo, a concludere una serie di accordi multilaterali che facilitassero la
gestione della materia. Se infatti mancasse una procedura centralizzata a livello
internazionale per gli inventori, la richiesta di brevettazione risulterebbe alquanto
complicata nonché costosa, perché essi dovrebbero depositare, in ogni Stato in
cui vogliono ottenere la tutela, la apposita domanda ed attendere per ognuno
l’esame per l’accertamento dei requisiti richiesti ai fini della concessione della
tutela442.
Così sono state concluse la Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) nel
1973443 e il Trattato di Cooperazione Internazionale in Materia di Brevetti, noto
come Patent Cooperation Treaty (P.C.T.) nel 1970444. Nessuna delle due
convenzioni ha istituito però un vero e completo mezzo di unificazione dei diritti,
perché i diritti ottenuti sia attraverso l’una che attraverso l’altra sono inquadrati in
ciascuno degli ordinamenti per i quali è stata effettuata la domanda: esse danno in
sostanza vita ad un fascio di brevetti, più o meno come accadeva attraverso
l’Arrangement di Madrid per la materia dei marchi.
Un passo avanti concreto sulla strada dell’unificazione potrebbe esser fatto con la
realizzazione della Convenzione sul Brevetto Comunitario (C.B.C.), sottoscritta a
Lussemburgo il 15 dicembre 1975, ripetutamente ripresa e rivista445, ma non
442 Per un quadro generale della normativa internazionale si veda: G.Rocco, op.cit., p. 2; Barzanò& Zanardo, op.cit., p. 63; C.Zizola, La disciplina del Brevetto Europeo. Procedura per la tuteladell’invenzione industriale. Legislazione e formulari, Pirola Editore, Milano 1983, p. 7; F.Benussi,Brevetto (Convenzioni Internazionali), in Digesto Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale II, 1987, p.316; G.Bonasi Beucci, Il Brevetto Internazionale, in Rivista di Diritto Civile, 1970, p. 10443 La Convenzione sul Brevetto Europeo, detta anche Convention sur la délivrance de brevetseuropéens, fu sottoscritta a Monaco di Baviera, in Germania, il 5 ottobre 1973. Su essa si torneràin seguito, nel corso del capitolo, con uno studio più approfondito444 Il Patent Cooperation Treaty fu stipulato a Washington, negli Stati Uniti, il 19 giugno 1970.Anche questo trattato sarà oggetto di un’analisi più approfondita nel corso del capitolo445 La Convenzione fu rivista e il nuovo testo venne nuovamente approvato a Lussemburgo il 15dicembre 1989
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
169
ancora entrata in vigore446. Con essa si avrebbe un brevetto con validità unica ed
uguale su tutto il territorio dell’Unione Europea, affidato ad autorità
giurisdizionali di prima e seconda istanza, dislocate presso le varie corti nazionali.
Tutte queste iniziative si sono sviluppate sulla base dei principi stabiliti
dalla Convenzione di Unione di Parigi, la cui validità non è mai stata messa in
discussione. Per tutte quindi sono da considerarsi validi i principi del trattamento
nazionale, della priorità unionista e della protezione telle quelle. Su ispirazione della
C.U.P., è stato inoltre firmato l’Accordo di Lisbona per la Protezione e la
Registrazione Internazionale della Denominazione d’Origine447, con cui si
consente la protezione dei prodotti tramite la registrazione internazionale presso
l’Ufficio Internazionale di Ginevra448.
Il settore è stato inoltre legittimato a livello mondiale nell’ambito WTO, con la
nascita dei TRIPs, i quali riconoscono i diritti di proprietà intellettuale come
elementi fondamentali di un sistema di innovazione, oggetto di vivo interesse da
parte dell’intera letteratura economica.
In altre aree del mondo infine, si sono sviluppati sistemi simili al C.B.E. o
addirittura con funzioni analoghe a quelle che svolgerebbe il C.B.C. La
Convenzione sul Brevetto Eurasiatico ad esempio, raggruppa i Paesi dell’ex
Unione Sovietica, mentre tra gli Stati africani sono stati conclusi due trattati
multilaterali, la Convenzione O.A.P.I. (Orgasnisation Africaine de la Propriété
Intellectuelle) e la Convenzione A.R.I.P.O. (African Regional Industrial Property
Organization)449. A tutte e tre le suddette Convenzioni possono presentare
446 La Convenzione non è ancora entrata in vigore, allo stato attuale, perché solo una parte degliStati dell’Unione Europea l’ha ratificata: l’Italia è uno degli Stati che lo ha fatto, con legge del 26luglio 1993447 L’Accordo è stato firmato a Lisbona il 31 ottobre 1958 e riveduto a Stoccolma il 14 luglio1967448 La denominazione d’origine è la denominazione geografica di una località, che serve adesignare un prodotto i cui caratteri siano dovuti esclusivamente all’ambiente geografico,compresi i fattori naturali ed umani449 Cfr. H.J.Knight Patent Strategy for Researchers and Research Managers, John Wiley & Sons,Chichester 1996, p. 25
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
170
domanda di brevettazione i cittadini di Paesi diversi da quelli contraenti, come
accade per la Convenzione sul Brevetto Europeo.
4.2.1 L’applicazione della C.U.P. alla disciplina brevettuale
Il diritto di priorità introdotto dalla Convenzione si applica ovviamente
alla materia brevettuale ed i termini sono di dodici mesi per i brevetti
d’invenzione e per i modelli di utilità e di sei mesi per i disegni e i modelli
ornamentali450.
In riferimento alla materia brevettuale, la Convenzione fissa alcuni principi
specifici ed essenziali quali la limitazione dei rifiuti delle domande a specifiche e
fondate motivazioni o l’introduzione della regola secondo cui i brevetti registrai
in assenza di buona fede possono essere annullati. Essa definisce i principi
generali nella lotta contro la concorrenza sleale ed impegna gli Stati ad assicurare
un minimo di protezione ai brevetti all’interno dei loro territori.
Tutte le altre convenzioni fino a questo momento menzionate, dalla C.B.E.
all’Arrangement di Lisbona, costituiscono dei corollari stipulati per alcuni
peculiari istituti, nell’ ambito e sotto i principi generali di cui alla C.U.P.; oltre a
quelle citate si devono almeno menzionare l’Arrangement di Strasburgo,
istituente una classificazione internazionale dei brevetti, stipulato nella cittadina
francese il 24 marzo 1971; la Convenzione di Parigi del 2 dicembre 1961 per la
protezione delle nuove varietà vegetali; l’Arrangement dell’Aja del 6 novembre
1925 in materia di deposito internazionale dei modelli e disegni industriali.
L’ultima fonte in ordine cronologico, la cui importanza è notevolissima, è
l’agreement noto come accordo TRIPs, stipulato in ambito GATT,
450 Sulla Convenzione di Unione di Parigi applicata alla disciplina dei brevetti si veda G.Rocco,op.cit., p. 87; Accord ADPIC, Protection conférée par les brevets, cit., p. 20; L.Ladas, Patents, trademarksand related rights. National and International Protection, volume I, Harvard University Press,Cambridge (Massachusetts), 1975; A.Rossi, La Convenzione di Unione di Parigi e il nuovo ordineeconomico internazionale, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1979, p. 1034
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
171
comprendente una serie di disposizioni ad hoc per la disciplina dei brevetti, tra cui
si tornerà tra breve.
Nel sottolineare la centralità della C.U.P. nel settore della proprietà
intellettuale, si deve altresì ammettere che il suo ruolo è stato notevolmente
ridimensionato dalla creazione dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà
Intellettuale (O.M.P.I. o W.I.P.O451), istituto specializzato delle Nazioni Unite,
con sede a Ginevra, dotato di personalità giuridica di diritto internazionale. Essa
ha il compito di garantire i servizi amministrativi e di promuovere il
miglioramento della tutela della proprietà intellettuale nel mondo.
4.2.2 La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale
Premesso che lo scopo principale dell’accordo riguardante la proprietà
intellettuale in sede OMC era quello di eliminare o quanto meno ridurre il più
possibile le differenze esistenti tra gli ordinamenti nazionali dei vari Stati
partecipanti, il corpo di regole formanti l’accordo TRIPs si presenta come un
codice di norme minime sui diritti di proprietà intellettuale, che i Paesi membri
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno dovuto sottoscrivere e
devono ora seguire. Infatti all’atto della pubblicazione, il comunicato
dell’Organizzazione commentava452:
L’accord reconnaît que la grande diversité des normes en matière de
protection et de respect des droits de propriété intellectuelle et que
l’absence d’un cadre multilatéral de principes, de règles et de disciplines
régissant le commerce international des marchandises de contrefaçon ont
451 L’acronimo W.I.P.O. sta per l’inglese World Intellectual Property Organization. Sulle sueorigini, le sue funzioni e le novità del settore si veda www.wipo.org 452 Accord ADPIC, Protection conférée par les brevets, cit., p. 28
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
172
été à l’origine de tensions de plus en plus fortes dans les relations
économiques internationales453
Ai diritti di proprietà industriale è dedicata l’intera seconda parte454, dopo che
nella prima, dedicata alle disposizioni generali, gli Stati si sono impegnati a
concedere a suddetti diritti una protezione almeno pari a quella conferita dai
TRIPs. In questa prima parte l’articolo 7 sottolinea l’obiettivo dell’accordo stesso
e perciò va considerato come il punto di riferimento per ogni tipo di
interpretazione per i successivi articoli; esso recita: “la protezione e il rispetto dei
diritti di proprietà intellettuale dovrebbe contribuire alla promozione
dell’innovazione tecnologica e al trasferimento e alla diffusione delle tecnologie, a
vantaggio reciproco di coloro che creano e coloro che sfruttano le conoscenze
tecniche e, di conseguenza, al benessere sociale ed economico e ad assicurare un
equilibrio dei diritti e degli obblighi”455.
La parte II dell’accordo è dedicata al diritto d’autore e ai diritti connessi, ai
marchi di fabbrica o di commercio, alle indicazioni geografiche, ai disegni e ai
modelli industriali, ai brevetti, alla topografia, al controllo delle pratiche
anticoncorrenziali e alle licenze contrattuali. Tra le diverse materie oggetto di
studio non vi è alcun tipo di interazione, essendo considerato ogni diritto distinto
ed autosufficiente.
453 “L’accordo riconosce che l’enorme differenza tra gli ordinamenti in materia di protezione erispetto dei diritti di proprietà intellettuale e che l’assenza d’un quadro multilaterale di principi,regole e discipline che reggano il commercio internazionale delle merci di contraffazione hannooriginato una serie di tensioni via via più forti nell’ambito delle relazioni economicheinternazionali” (Traduzione libera)454 L’Accordo TRIPs è strutturato nella maniera seguente: Parte I – disposizioni generali eprincipi fondamentali; parte II – diritti di proprietà intellettuale; parte III – metodi per farrispettare i diritti di proprietà intellettuale; parte IV – ottenimento e mantenimento del diritto;parte V – prevenzione e regolamentazione delle controversie; parte VI – disposizioni transitorie;parte VII – disposizioni istituzionali455 Articolo 7 dell’Accordo TRIPs: per il testo completo dell’accordo si vedano www.wipo.org ewww.wto.org
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
173
Ai brevetti sono dedicati gli articoli dal 27 al 34456. I requisiti necessari perché una
invenzioni possa essere considerata brevettabile sono gli stessi richiesti dalla
maggioranza delle legislazioni nazionali, a cui si sono ovviamente ispirati i
redattori dell’Accordo in sede WTO457. Quando sussistano la novità, l’attività
inventiva e l’applicabilità industriale, un’invenzione potrà essere coperta da
brevetto, anche se la brevettabilità è caratterizzata da alcune eccezioni458,
riguardanti i metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il trattamento di
persone ed animali ed i procedimenti per l’ottenimento di vegetali o di animali,
per i quali, come a livello nazionale, essa è esclusa. Infine, nel novero delle
invenzioni di cui è esclusa la brevettabilità, l’accordo indica quelle la cui
applicazione risulterebbe all’ordine pubblico o al buon costume459.
Una volta stabilito quali invenzioni sono tutelabili, l’articolo 28 indica quali diritti
sono conferiti da un brevetto: se il brevetto ha per oggetto un prodotto, il suo
titolare è legittimato ad impedire a terzi, operanti senza il suo consenso, di
fabbricare, utilizzare, commercializzare e di importare o esportare tale bene; allo
stesso modo se si tratta di un procedimento, il suo titolare può vietare a terzi la
commercializzazione sia del procedimento che del prodotto ottenuto con qual
metodo brevettato460. Ai sensi dello stesso articolo 28 il titolare ha la facoltà di
concedere o di concludere contratti di licenza.
Per ottenere la tutela, il titolare dell’invenzione dovrà depositare un fascicolo
contenente un’adeguata descrizione, esaustiva a tal punto che qualsiasi tecnico
possa, attraverso tali indicazioni, riprodurre fedelmente l’invenzione brevettata461.
456 Cfr. S.Sandris, GATT. I brevetti nei TRIPs (protezione brevetti, standard minimi di protezione, tutelagiurisdizionale, violazione dei diritti di proprietà intellettuale, contenuto dei diritti di brevetto), in DirittoIndustriale, 1995, p. 338457 L’articolo 27 definisce l’oggetto brevettabile e indica i tre requisiti richiesti perchéun’invenzione possa essere suscettibile di essere brevettata458 Articolo 27, terzo comma459 Articolo 27, secondo comma460 Ai sensi dell’articolo 30, devono essere considerate lecite e quindi non ostacolate ad opera deltitolare le utilizzazioni sperimentali o puramente accademiche del procedimento oggetto dibrevetto. Ovviamente quando si scopra che tale tipo di utilizzo è finalizzato ad un’illecitacommercializzazione, il titolare sarà autorizzato ad intervenire con un’azione di contraffazione461 Articolo 29
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
174
La durata della protezione non è dettata in modo univoco dall’Accordo, che si
limita ad imporre a quegli Stati che concedono tutele di durata inferiore ai venti
anni, di estendere il periodo, da calcolarsi a decorrere dalla data di deposito della
domanda. Si tratta di una disposizione molto importante soprattutto se si
considera la sua natura “aperta”, facilmente modificabile in un eventuale nuova
negoziazione, a favore di una tutela di durata superiore. Infine, mentre l’articolo
34 riguardante le azioni di contraffazione, affida il carico della prova al titolare del
brevetto, tutto l’articolo 39 è dedicato alle informazioni non divulgate, la cui tutela
è esclusivamente affidata al segreto aziendale462.
Tutte le disposizioni sui brevetti, così come quelle riguardanti i marchi d’impresa
piuttosto che il diritto d’autore, sono ulteriormente tutelate dalle disposizioni
contenute nella terza parte dell’accordo, riguardanti i metodi ed i modi per far
rispettare i diritti di proprietà intellettuale463 e costituente uno dei tre pilastri
essenziali di tutta la legislazione sulla proprietà intellettuale. Gli Stati si impegnano
così ad adottare procedure che permettano un’azione puntuale ed efficace contro
ogni tipo di attacco ai diritti di privativa; sono comprese le misure di correzione
rapida destinate a correggere eventuali squilibri o minacce ai suddetti diritti, senza
rischiare di scoraggiare il commercio internazionale. Tutte le procedure messe in
atto dagli Stati dovranno essere equilibrate e giustificate, non dovranno essere
particolarmente complesse e costose e non dovranno comportare ritardi
ingiustificati o rallentare inutilmente le procedure.
La speranza è che, con il tempo ed il progressivo adeguamento degli Stati
alle sue disposizioni, l’accordo TRIPs possa risultare un strumento efficace per
l’armonizzazione delle legislazioni di tutti i Paesi aderenti.
462 Sul know-how, si veda: Accord ADPIC, Protection Conférée par les brevets, cit., paragrafo 2 :Protection des renseignements non divulgués, p. 34463 Ivi, p. 35
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
175
4.2.3 Il Patent Cooperation Treaty
Il Trattato di cooperazione internazionale in materia di brevetti (Patent
Cooperation Treaty – P.C.T.) è stato sottoscritto a Washington il 19 giugno 1970
ed è entrato in vigore il 24 gennaio 1978464. Si tratta di un trattato multilaterale
gestito dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale465, con sede a
Ginevra, a cui partecipano circa un centinaio di Stati, basato essenzialmente su tre
punti o prerogative: presentazione di una domanda internazionale, effettuazione
di una ricerca internazionale ed effettuazione di un esame preliminare
internazionale.
Con esso non viene istituita un’autorità centrale centralizzata per il rilascio di
brevetti di portata internazionale, ma viene unificata la fase iniziale del deposito
della domanda: attraverso un unico deposito la domanda produce gli stessi effetti
in tutti gli Stati aderenti. Si deposita la domanda di brevetto in un determinato
464 Sul P.C.T. cfr. PCT Guide du Déposant, Volume 1/A, Phase International – Informations générales àl’intention des utilisateurs du Traité de Coopération en matière de brevets, a cura dell’OrganizzazioneMondiale per la Proprietà Intellettuale, 2003; Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 64; G.Rocco, op.cit.,p. 89; Studio Torta, op.cit., p. 68; Accord ADPIC, Protection Conférée par les brevets, cit., p. 20;A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 435; R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 661; B.C.Reid, A PracticalGuide To Patent Law, Third Edition, Sweet & Maxwell, Londra 1999, p. 180; V.Di Cataldo, op.cit.,p. 168; H.Jackson Knight, op.cit., p. 25; W.R.Cornish, Intellctual Property, Fourth Edition, cit., p. 109;F.Benussi, Il Patent Cooperation Treaty: la procedura avanti l’Ufficio europeo dei brevetti e i vantaggi della viaEuro-PCT, in Rivista di Diritto Industriale, 1985, p. 262465 L’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (O.M.P.I. in francese, W.I.P.O. ininglese) è un organismo internazionale collegato all’organizzazione delle Nazioni Unite, chesovraintende alle azioni di tutela dell’intelletto messe in opera da tutti i Paesi aderenti. Essa, diconcerto con gli Stati che ne fanno parte, sviluppa un’attività direttrice in appoggio a tutti glisforzi concreti nel mondo e finalizzato alla creazione di una congiuntura favorevole allosviluppo dell’attività creativa ed innovatrice. La maggioranza dei trattati riguardanti la proprietàintellettuale e firmati a livello mondiale, tra cui alcuni citati in questo studio, sono stati stipulatigrazie all’attività continua e pianificatrice dell’O.M.P.I: ad esempio i TRIPs, firmati in sedeWTO, sono stati conclusi sotto gli auspici dell’Organizzazione, senza il cui interventodifficilmente si sarebbe potuto raggiungere un livello tanto elevato di cooperazioneinternazionale. Sulle origini e l’evoluzione storica, sulle sue atività e sui trattati conclusi sotto lasua egida si veda www.wipo.org
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
176
Paese aderente al trattato ed è come se si fosse depositata la domanda in tanti
Stati quanti sono quelli in cui si vuole ottenere la protezione466.
L’Ufficio di Ginevra fornisce inoltre a chiunque voglia procedere al deposito per
l’ottenimento del brevetto una serie di importanti informazioni, frutto di una
ricerca effettuata a livello internazionale, riguardante la novità dell’invenzione,
nonché un parere non vincolante sulla brevettabilità della stessa: si tratta di un
validissimo aiuto, in quanto la valutazione viene effettuata a monte delle vere
procedure d’esame, che rimangono di competenza delle autorità nazionali o
regionali. La domanda viene presentata presso l’Ufficio nazionale del Paese di cui
il richiedente ha la residenza467 ed esso, dopo un primo esame formale, invia
copia della richiesta all’Ufficio Internazionale di Ginevra e all’Ufficio incaricato
della ricerca468. In base alle informazioni ottenute dalla ricerca ed inviate al
depositante, quest’ultimo avrà la possibilità di modificare le rivendicazioni in
funzione dei risultati della ricerca; una volta scaduto il termine di diciotto mesi dal
deposito della domanda, la stessa verrà pubblicata e il titolare dovrà decidere se
abbandonare la procedura P.C.T. per seguire la più tradizionale via dei depositi
multipli nazionali469, o se invece proseguire sulla stessa strada e richiedere l’esame
internazionale.
Qualora il titolare decida di non abbandonare la procedura internazionale, potrà
decidere di designare brevetti regionali, validi cioè per un gruppo di Stati
appartenenti ad un Organizzazione a carattere regionali, che si occupi di
registrazione e tutela brevettuale. Le organizzazioni regionali accreditate sono
l’Organizzazione Europea dei Brevetti (O.E.B.), l’African Regional Property
466 Il PCT Guide du Déposant, parla di “fase internazionale” e “fase nazionale”, le quali, pur nonfigurando nel trattato, risultano essere espressioni comode e succinte per fare riferimento all’unao all’altra fase467 Contestualmente al deposito della domanda presso l’Ufficio nazionale, si deve effettuare ilpagamento delle tasse iniziali, in euro, su un conto estero riconosciuto dall’Ufficio internazionale468 Per un cittadino dell’Unione Europea, l’Ufficio incaricato della ricerca è l’Ufficio Europeo deiBrevetti469 Se il titolare decide di abbandonare la procedura P.C.T. e seguire la via dell’esame separatoper i vari Paesi, avrà un tempo massimo di venti mesi dalla data di priorità per depositare irelativi depositi
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
177
Organization (A.R.P.O.), l’Organisation Africaine pour la Proprietà Intellectuelle
(O.A.P.I.) e l’Eurosian Patent Office (E.P.O.).
La seconda fase, consistente in un esame internazionale, preventivo al rilascio del
brevetto internazionale, ha inizio con la presentazione della richiesta di esame,
presentata al diciottesimo mese dal deposito della domanda. L’esame sui requisiti
di brevettabilità è basato sulla valutazione della novità, dell’originalità e
dell’industrialità dell’invenzione, senza che si entri nelle particolarità delle diverse
norme nazionali470. Il rapporto dell’Ufficio di Ginevra, trasmesso alle autorità
competenti nazionali, può essere accettato tout cour oppure essere oggetto di
ulteriori esami, preventivi al giudizio definitivo.
Da questa sintetica analisi procedurale, emerge con chiarezza la netta
differenza tra questo sistema e quello previsto dalla C.B.E.: mentre il brevetto
europeo è conferito da un’autorità centrale ed ha la stessa validità in ognuno degli
Stati aderenti alla Convenzione, il P.C.T. risolve esclusivamente il problema della
ricerca e raccoglie un’adeguata documentazione, la quale però sarà trasmessa alle
autorità centrali, perché ad esse compete la decisione finale sul rilascio o meno
del titolo brevettuale. Ciò che si ottiene seguendo la procedura P.C.T. è un fascio
di brevetti piuttosto che un titolo unitario, come accade, in materia di marchi, con
l’Arrangement di Madrid ed il relativo Protocollo.
Come si vedrà analizzando nello specifico anche la Convenzione sul Brevetto
europeo, le differenze tra le due si appiattiscono guardando al profilo territoriale
del brevetto concesso: nessuna delle due Convenzioni costituisce un mezzo di
unificazione completa dei diritti di brevetto, perché le esclusive che si ottengono
tramite queste due procedure rimangono inquadrate in ciascuno degli ambiti
territoriali per i quali sono state richieste. Così le tasse di mantenimento hanno
matrice nazionale, il brevetto conferisce diritti dettati dall’ordinamento dello Stato
in cui è fatto valere e sulla base di esso è soggetto a revoca su base nazionale.
470 La verifica internazionale di validità non sostituisce gli esami internazionali ma li integra
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
178
Un decisivo passo avanti sulla strada dell’unificazione potrebbe essere compiuto
con l’entrata in vigore della Convenzione sul Brevetto Comunitario, che
conferirebbe una vera privativa unitaria e sopranazionale, concessa con una
procedura unica e affidata ad un’autorità giurisdizionale unitaria, dislocata presso
le varie corti nazionali471.
4.2.4 Una scelta tra diverse procedure
Quando si dovrà scegliere la procedura P.C.T. e quando sarà meglio
optare per una serie di depositi nazionali o per un brevetto europeo? Il ventaglio
di possibilità per proteggere un’invenzione si allarga progressivamente e chi si
trovi di fronte a questo dilemma dovrà valutare attentamente costi e benefici
dell’una e dell’altra alternativa, per scegliere la procedura che meglio si adatta alle
sua necessità.
Innanzitutto rimane valida la più “antica” delle possibilità, consistente nel
depositare tante domande nazionali quanti sono i Paesi in cui si vuole ottenere la
tutela. Oppure si può richiedere un brevetto europeo e depositare domande
nazionali separate per i Paesi non europei; alternativamente si possono sfruttare
congiuntamente il sistema P.C.T. ed il brevetto europeo, richiedendo il brevetto
del piano P.C.T. ed includendovi il brevetto europeo, in modo da avere la stessa
domanda di protezione anche per Paesi come Stati Uniti, Giappone, Brasile,
Australia ed altri. Infine si può optare inizialmente per un primo deposito a livello
nazionale, contando poi sui dodici mesi concessi per depositare domanda di
brevetto europeo o sul piano P.C.T. Quest’ultima è di gran lunga la strada più
consigliata472.
Ogni procedura ha i suoi interlocutori principali ed ideali: spetterà ad ogni
richiedente individuare quale sistema si conformi meglio alle sue necessità: la
471 Sulla Convenzione sul Brevetto Comunitario, sottoscritta a Lussemburgo nel 1975 enuovamente approvata nel 1989, si tornerà nel paragrafo successivo472 Studio Torta, op.cit., p. 70; G.Rocco, op.cit., p. 92; Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 71
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
179
Convenzione P.C.T. risulta ad esempio vantaggiosa quando gli interessi del
titolare siano prettamente extra-europei ed il numero di Stati per i quali si voglia
fare richiesta risulti elevato, almeno superiore a dieci. Infatti il P.C.T. offre una
semplificazione ed un’accelerazione delle procedure, ma comporta un aumento
complessivo dei costi.
È preferibile una prima domanda di base nel Paese d’origine, piuttosto che
effettuare subito, come domanda di base, una domanda di brevetto europeo: il
costo in questo secondo caso risulterebbe maggiore e i brevetti stranieri
avrebbero una durata inferiore di un anno rispetto all’estensione del termine di
priorità.
Quand’anche si decida di seguire i consigli più diffusi ed effettuare il deposito di
base a livello nazionale per poi decidere, si è approssimativamente calcolato che
risulta conveniente scegliere il brevetto europeo piuttosto che una serie di
brevetti nazionali solo quando i Paesi designati sono almeno quattro.
A seconda del campo d’azione e delle disponibilità finanziarie a disposizione,
ogni impresa o soggetto che intenda richiedere una tutela brevettuale, dovrà
attentamente vagliare tutte le possibilità ed optare per quella che meglio risponde
alle sue necessità.
4.3 IL BREVETTO EUROPEO
Parlando di convenzioni internazionali, inerenti la materia brevettuale, si
sono appositamente tralasciati i due strumenti più significativi adottati già negli
anni ’70 e aventi una particolare valenza a livello europeo. Si tratta della
Convenzione sul Brevetto Europeo e della Convenzione sul Brevetto
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
180
Comunitario, di cui solo la prima entrata a tutti gli effetti in vigore e
funzionante473.
Attraverso la loro analisi, si ripercorrerà l’evoluzione dell’intervento comunitario
in materia e lo si confronterà con l’azione dell’Unione nel campo dei marchi, a
detta di molti più efficace e punto di riferimento per il sistema dei brevetti.
4.3.1 La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo
La Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) è stata sottoscritta a
Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973 ed è entrata in vigore il 7 ottobre 1977, con
un primo gruppo di sette Stati contraenti, a cui si sono progressivamente aggiunti
i nuovi aderenti alle Comunità, cosicché ad oggi sono diciannove gli Stati membri
della Convenzione474; con sei Paesi dell’area europea centro-orientale sono stati
stipulati speciali accordi per l’estensione territoriale della protezione conferita dal
brevetto europeo475. L’Italia ha aderito alla convenzione fin dall’origine,
ratificandola però solo nel ’78 con la legge n° 260 del 26 maggio ed emanando la
normativa di attuazione nazionale con il D.P.R. n° 32 dell’8 gennaio 1979476.
473 Bibliografia di riferimento: R.Malaman, Brevetto e politica dell’innovazione. Organizzazione e funzionidell’Ufficio Brevetti, Il Mulino, Bologna, 1991; G.Paterson, The European Patent System. The Law andPractice of the European Patent Convention, Sweet & Maxwell, Londra 1997; G.Paterson, A conciseGuide to European Patents: Law and Practice, Sweet & Maxwell, Londra 1995; R.Singer e M.Singer,op.cit.; B.C.Reid, op.cit.; A.Bianchi, Archimede in Europa. Guida al Brevetto Europeo. Presentazione diM.S.Cinquegrani, Elea Press, Milano 1997; Come ottenere un brevetto europeo. Guida per il richiedente, acura dell’Ufficio Europeo dei Brevetti, Terza edizione aggiornata al 1999; C.Zizola, op.cit.;M.Ammendola, La brevettabilità nella Convenzione di Monaco, Giuffrè, Milano 1981; F.Benussi,Brevetto Europeo, in Digesto Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale II, 1987, p. 323; L.Liuzzo,Cenni sul brevetto comunitario, in Rivista di Diritto Industriale, 1981, p. 334; M.Barbuto, Brevetto europeoe brevetto comunitario, in Consulente d’Impresa, 1998, p. 25; Muir, Brandi, D’Ohrn, Gruber, EuropeanPatent Law. Law and Procedure under the EPC and PCT, Oxford University Press, Oxford 1999;R.De Luca, Le piccole e medie imprese italiane al penultimo posto in Europa nella registrazione dei brevetti, inIl Diritto Industriale, n° 4/2000, p. 324474 Stati aderenti alla C.B.E.: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,Grecia, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco, Paesi Bassi, Portogallo, RegnoUnito, Spagna, Svezia, Svizzera475 Stati con cui è in vigore uno speciale accordo di estensione: Albania, Lettonia, Lituania,Macedonia, Romania, Slovenia
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
181
Lo scopo e le finalità perseguite dalla Convenzione sono di provvedere
alla protezione delle invenzioni negli Stati contraenti, nel modo più facile,
economico ed affidabile possibile, mediante la messa a punto di un’unica
procedura europea per il rilascio dei bevetti, sulla base di un corpo omogeneo di
leggi brevettuali fondamentali. In questo modo si sarebbe risolto il problema dei
depositi plurimi: a tal fine la Convenzione crea una procedura unificata di rilascio
del brevetto, conseguente ad un esame preventivo, da parte di un Ufficio
Europeo dei Brevetti, istituito dalla Convenzione stessa e stabilito a Monaco di
Baviera477, in Germania. In precedenza infatti, il richiedente che avesse voluto
ottenere la tutela per la sua invenzione in ognuno dei Paesi in cui intendeva
renderla pubblica, doveva affidarsi alle varie legislazioni nazionali, perdendo tra il
resto notevole tempo e sforzi , nel tentativo di comprenderne a pieno le varie
differenze e sfaccettature. Tra i vari Stati infatti le differenze a livello di tutela
brevettuale erano notevoli, sia con riferimento alla procedura da seguire per
ottenere il brevetto stesso, sia per quanto concerne i diritti di tutela così concessi:
tali differenze non sono state ovviamente intaccate né tanto meno abolite dalla
CBE, la quale iniziò a presentarsi con un’alternativa, facilitata, ai suddetti depositi
plurimi. Per un tentativo organico ed efficace di armonizzazione dei vari sistemi
nazionali appartenenti ai Paesi membri si dovrà attendere ancora qualche anno,
fino alle direttive di armonizzazione della fine degli anni ’80.
La procedura messa in piedi dalla Convenzione sul Brevetto Europeo
risulta piuttosto elaborata, soprattutto con riferimento all’esame della domanda e
all’eventuale opposizione al rilascio. Da un punto di vista prettamente giuridico,
la Convenzione si configura come un accordo internazionale, da interpretarsi
secondo i principi del diritto internazionale: benché essi si siano tradizionalmente
sviluppati nel diritto internazionale pubblico, sono considerati validi ed applicabili
non solo agli accordi che regolano i rapporti tra Stati, ma anche a quelli che
476 La normativa di attuazione è stata modificata con il D.P.R. n° 338 del 22 giugno 1979477 Benché si parli sempre dell’Ufficio di Monaco, le sedi dell’Ufficio Brevetti Europeo sono tre:Monaco appunto, L’Aja e Berlino
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
182
creano direttamente diritti ed obblighi per persone fisiche e giuridiche, come è il
caso della Convenzione in esame478.
Come previsto dall’articolo 64 della Convenzione, un brevetto europeo
conferisce al suo titolare, in ogni Paese contraente per il quale è rilasciato, un
insieme di diritti uguali a quelli che deriverebbero da una concessione di brevetto
nazionale. Il titolo concesso si configura più come un fascio di diritto che come
un unico ed unitario brevetto, efficace per l’intero territorio di tutti i Paesi
aderenti. Questo fascio di brevetti forma un tutt’uno fino a quando la procedura
di concessione non si sia conclusa e si scompone in una serie di brevetti nazionali
dopo che essa sia terminata. È infatti il giudice nazionale che valuta le eventuali
contraffazioni e nullità: nonostante ciò esso è vincolato alla normativa
convenzionale, riguardante la nozione di invenzione brevettabile, i requisiti per la
brevettabilità, i soggetti di diritto, le cause per la nullità e la procedura di
concessione del brevetto: su tali aspetti la Convenzione ha previsto norme di
omogenea applicazione negli Stati aderenti, a volte divergenti dalle normative
nazionali.
In riferimento ai rapporti con le altre convenzioni internazionali479, la
C.B.E. costituisce un particolare accordo nello spirito della Convenzione di
Unione di Parigi: le norme di quest’ultima sulla priorità unionista e sul principio
di trattamento nazionale troveranno in essa puntuale applicazione. Inoltre, poiché
essa si configura come un trattato di natura regionale, i brevetti europei possono
essere rilasciati in seguito ad una domanda internazionale, in conformità con le
norme del Patent Cooperation Treaty480. In particolare con la procedura Euro-
PTC è possibile ottenere un brevetto valido per tutti i Paesi aderenti alla C.B.E.,
con un solo deposito PTC481. Essa costituisce inoltre il fondamento della
478 La dottrina definisce tali accordi “law-making treaties” o “traités-lois”479 Cfr. Come ottenere un Brevetto europeo, cit., p. 4480 Il CBE si inserisce nell’ambito previsto dall’articolo 45 del Trattato di Cooperazione suiBrevetti (PCT)481 Si tratta della cosiddetta fase internazionale del sistema PTC: cfr. PTC Guide du dépostant, cit.;F.Benussi, Il Patent Cooperation Treaty, cit.
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
183
Convenzione sul Brevetto Comunitario, firmata con l’intento di superare i limiti
della Convenzione in esame, ma non ancora entrata in vigore a causa della ritrosia
degli Stati su alcuni aspetti procedurali482.
Infine non si dimentichi che, in piena conformità con la natura dei
rapporti tra diritto comunitario e legislazioni nazionali, la Convenzione non
pregiudica l’esistenza dei brevetti nazionali e dei relativi Uffici. L’articolo 2 della
Convenzione stabilisce infatti che “in ciascuno degli Stati contraenti per i quali
esso è concesso, il brevetto europeo ha gli stessi effetti ed è soggetto alle
medesime regole di un brevetto nazionale concesso in questo Stato, salvo che la
presente Convenzione non disponga altrimenti”483: si deve quindi ritenere che il
sistema giuridico europeo non si sostituisca ai diritti nazionali, ma costituisca un
nuovo sistema brevettuale con quelli coesistente. Così il titolare rimane libero di
scegliere tra una serie di depositi presso ognuno dei Paesi per i quali richiede la
tutela e l’iter europeo che, con un solo deposito presso un unico Ufficio,
conferisce la tutela in ognuno dei Paesi designati dal titolare stesso. Non si
dimentichi che tali strade si possono intrecciare con il sistema P.C.T., allorché i
Pesi individuati siano anche membri del Patent Cooperation Treaty: in tal caso la
scelta si allargherà e il titolare potrà optare per la via europea diretta o per il
sistema Euro-P.T.C..
Come si diceva poc’anzi, l’Organizzazione Europea dei Brevetti
(O.E.B.)484, istituita dalla omonima Convenzione, ha stretto accordi di
cooperazione con diversi Paesi non aderenti alla C.B.E.; si tratta di un sistema di
estensione che offre ai richiedenti dei brevetti europei una tutela anche in questi
Paesi, in modo semplice e redditizio. In essi i brevetti avranno gli stessi effetti
delle domande e dei brevetti nazionali e beneficeranno della stessa tutela conferita
dall’Ufficio Europeo dei Brevetti nei Paesi membri dell’U.E.B.. Si prevede che, in
482 Per un’analisi dettagliata della C.B.C. si rimanda ai paragrafi successivi, ad essa dedicati483 Articolo 2 comma 2 della Convenzione484 Sull’Organizzazione Europea dei brevetti si veda il paragrafo 4.3.2 del presente lavoro
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
184
un prossimo futuro, molti altri Paesi si affiancheranno agli attuali sei con cui tali
accordi sono attualmente in vigore.
4.3.2 L’Organizzazione Europea dei Brevetti
La Convenzione istituisce, all’articolo 4, l’Organizzazione Europea dei
Brevetti, centro operativo e cuore direzionale dell’intero sistema485. All’articolo 4
vengono enunciati i presupposti organizzativi per la realizzazione dell’intero
sistema europeo dei brevetti: l’istituzione di un’organizzazione nuova ed
autonoma risultava necessaria per l’attuazione degli scopi che gli Stati contraenti
si erano prefissati e, poiché l’ambito territoriale dei suoi Stati membri andava oltre
quello della Comunità Europea, tale organizzazione non poteva essere inserita in
quest’ultima. Parimenti l’O.M.P.I. non risultava adatta, avendo essa portata
mondiale e prescrivendo al contrario l’articolo 166 della Convenzione che ad essa
potessero aderire unicamente Stati del vecchio continente.
Così si optò per un’organizzazione nuova486, dotata di autonomia amministrativa
e finanziaria, composta da due organi, l’Ufficio Europeo dei Brevetti e il
Consiglio di Amministrazione, i cui compiti sono rispettivamente quello di
concedere i brevetti per invenzione e controllare l’attività dell’Ufficio stesso.
L’articolo 5 stabilisce che l’Organizzazione possiede personalità giuridica, vale a
dire che essa può operare giuridicamente e compiere attività economiche,
ponendosi, in linea di massima, sullo stesso piano della maggior parte delle
organizzazioni internazionali. Per quanto riguarda la sua rappresentanza, si è
prevista la persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione che opera
esclusivamente per gli scopi perseguiti dall’Organizzazione stessa.
La sede dell’Organizzazione è fissata, dall’articolo 6 intitolato alla sede, a Monaco
di Baviera, cosicché i due organi che la compongono si stabiliscono in
485 Si ricordi l’appellativo inglese dell’Organizzazione, più famoso e diffuso a livellointernazionale: European Patent Organization (E.P.O.) 486 Sull’O.E.B. cfr.: R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 17; F.Benussi, Brevetto Europeo, cit., p. 324
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
185
Germania487. Originariamente erano state proposte e discusse le candidature di
tre città: Monaco, l’Aja e Londra. Perciò si è stabilito di mantenere anche un’altra
sede dell’Organizzazione a l’Aja, in cui hanno sede la Sezione di deposito e le
Divisioni di Ricerca. Infine il Protocollo sulla centralizzazione488 istituisce una
agenzia distaccata dell’U.E.B. a Berlino, incaricata delle ricezione di tutti i
documenti indirizzati all’U.E.B. e della gestione dei pagamenti delle tasse489.
Infine a partire dal 1° gennaio 1991 è in funzione a Vienna un centro di
documentazione INPADOC, creato come centro di documentazione brevettuale
e assorbito dall’U.E.B. in seguito ad un accordo con l’Austria.
Per quanto concerne le lingue dell’Ufficio europeo dei brevetti, la
Convenzione distingue, in linea di principio, tra lingue ufficiali, lingua della
procedura e lingua ufficiale di uno Stato membro, diversa da inglese, francese e
tedesco. Le tre lingue ufficiali sono l’inglese, il francese e il tedesco e in una di
esse devono essere depositate le domande di brevetto europeo. Esistono
comunque varie eccezioni a questa regola generale, che permettono ad esempio
ad un soggetto domiciliato in uno Stato membro la cui lingua ufficiale sia diversa
da una delle tre sopra citate, di depositare la domanda nella propria lingua490.
Qualora una di queste ipotesi venga sfruttata e la domanda sia presentata in una
lingua diversa da inglese, francese o tedesco, il titolare avrà un margine di tre
mesi491, decorrenti dalla data di ricevimento della domanda e di pubblicazione nel
Bollettino Europeo dei brevetti, per presentare una traduzione, dichiarata
perfettamente conforme al testo originale, in una delle tre lingue ufficiali. La
487 La C.B.E è uno dei rari accordi internazionali nei quali la sede degli uffici amministrativi daessi creati era già stata fissata prima dell’entrata in vigore dell’accordo488 Il Protocollo sulla centralizzazione, redatto in virtù dell’articolo 164 della Convenzione, necostituisce parte integrante e le sue disposizioni hanno, a tutti gli effetti, la stessa importanzadelle disposizioni contenute nella C.B.E. 489 Inizialmente l’Agenzia di Berlino era unicamente competente per la esecuzione delle ricerche;con un decreto del 1989 il Presidente dell’U.E.B. ha esteso le competenze dell’agenzia490 Eccezione prevista dal secondo comma dell’articolo 14 della Convenzione. Per le altraeccezioni si dia uno sguardo d’insieme all’intero articolo491 Il limite temporale di tre mesi entro i quali il titolare deve depositare la traduzione non devecomunque superare i tredici mesi decorrenti dalla prima data di priorità. Se la traduzione non èpresentata in tempo utile, la domanda di brevetto europeo si considererà ritirata
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
186
lingua scelta fin dall’inizio per il deposito della domanda o in seguito, per la sua
traduzione, sarà considerata la lingua della procedura per l’intero procedimento
davanti all’U.E.B492.
Quello delle lingue, apparentemente semplice e degno di poca attenzione, è stato,
al contrario delle previsioni, uno dei problemi più spinosi e oggetto di discussione
tra gli Stati, nel corso degli anni. E’ infatti inimmaginabile l’impatto che il
problema delle lingue e delle relative traduzioni può avere sulla complessità dei
costi, che gli eventuali richiedenti devono sostenere: a difesa di questi ultimi gli
Stati si sono mossi, dando vita ad un acerrimo e continuo dibattito, che nel caso
della successiva Convenzione sul Brevetto Comunitario, ha paralizzato l’intero
procedimento per ben più tempo.
4.3.3 La procedura per il rilascio di un brevetto europeo
La Convenzione sul Brevetto Europeo ha dato vita ad un sistema
legislativo unitario che regola non solo gli aspetti formali e procedurali del
deposito delle domande, ma anche quelli di natura sostanziale, definendo le
invenzioni brevettabili ed individuando i principi di brevettabilità.
I brevetti europei sono concessi per qualsiasi invenzione che sia nuova,
suscettibile di applicazione industriale e che implichi un’attività inventiva. Poiché
le normative nazionali degli Stati dell’UE sono state rimodellate sulla base delle
indicazioni della presente Convenzione, l’analisi dei requisiti di brevettabilità fatta
in precedenza può essere considerata pienamente valida ed efficace a livello
convenzionale.
La domanda di brevetto europeo può essere depositata da qualunque persona
fisica o giuridica, indipendentemente dalla nazionalità o dal luogo di residenza.
Chiunque la effettui avrà il dovere di indicare con precisione i Paesi nei quali
desidera essere tutelato. In qualunque momento, fino al rilascio del brevetto, è
492 La possibilità di mutare la lingua in corso di procedura è stata soppressa a partire dal 1°giugno 1991, con lo scopo di semplificare e velocizzare la procedura
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
187
possibile ritirare la designazione di un Paese contraente, mentre non è possibile
aggiungere alla lista Paesi che non siano stati indicati nella prima richiesta di
concessione.
Tutto l’iter procedurale inizia quindi con il deposito della domanda da parte del
richiedente. La domanda deve contenere una richiesta di rilascio di brevetto
europeo, una descrizione dell’invenzione che inizi con un titolo e precisi il ramo
della tecnica cui si riferisce l’invenzione nonché lo stato della tecnica ad esso
anteriore, una o più rivendicazioni che definiscano l’oggetto della tutela, eventuali
disegni a corredo della descrizione e delle rivendicazioni ed un riassunto. La
domanda così redatta deve essere depositata direttamente o per posta all’Ufficio
Europeo di Monaco di Baviera o, alternativamente, presso la sede distaccata
dell’Aja nonché presso l’Ufficio Centrale Brevetti493. Il titolare potrà scegliere
anche di depositare la domanda con i relativi documenti presso
un’amministrazione nazionale, la quale provvederà a darne tempestiva notizia
all’Ufficio Europeo dei Brevetti, il quale comunicherà al titolare la data in cui la
domanda è pervenuta, da considerarsi data ufficiale di deposito.
Pervenuta la domanda di deposito, la sezione di deposito si occupa dell’esame
sulla regolarità formale della domanda, per attribuirle una data di deposito dalla
quale la domanda europea produce gli stessi effetti di una domanda di brevetto
nazionale494. Contemporaneamente all’esame formale, hanno luogo i lavori di
ricerca con i quali l’U.E.B. ricerca, tra brevetti e domande di brevetto pubblicate
in un gran numero di Paesi e tra pubblicazioni tecniche e scientifiche, quale sia la
tecnica anteriore più pertinente all’invenzione in esame. Entrambi i rapporti così
redatti sono inviati al richiedente, perché decida, in base a tali conclusioni, se
continuare o meno la procedura. Egli potrà abbandonare totalmente la procedura
in caso gli esiti della ricerca siano totalmente sfavorevoli, oppure limitare
493 Si ricordi che questo deposito internazionale può essere il primo; nel caso in cui esista inveceuna domanda nazionale presentata anteriormente, il deposito in questione deve avvenire entro iltermine di priorità riconosciuto, cioè entro dodici mesi494 Articolo 6 della C.B.E.
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
188
adeguatamente la portata della propria domanda495. Si ricordi che, trascorsi
diciotto mesi dalla data di deposito o, nel caso in cui sia rivendicata una priorità,
trascorsi diciotto mesi da questa, la domanda di brevetto viene pubblicata, nella
lingua ufficiale scelta all’atto del deposito. L’obiettivo è quello di informare
l’industria sullo stato della tecnica, secondo lo scopo dell’istituto brevettuale.
Esplicate queste fasi preparative, ha inizio la vera e propria fase dell’esame
dell’invenzione, che si apre quando il titolare faccia richiesta di esame con relativo
pagamento di tassa. La divisione di esame competente a questo punto analizza la
domanda e verifica la sussistenza dei requisiti di brevettabilità, quali richiesti
dall’articolo 94 della Convenzione e, se l’esame dà esito positivo, notifica al
richiedente il testo sul quale intende concedere il brevetto, invitando quest’ultimo
al pagamento delle tasse dovute. Entro tre mesi dovranno essere corrisposte le
tasse di concessione, di stampa del fascicolo di brevetto e dovranno essere fornite
le traduzioni delle rivendicazioni nelle due lingue ufficiali diverse da quella
utilizzata durante l’intero iter496. Espletati questi compiti, il brevetto verrà
concesso.
Si tratterà di un fascio di brevetti nazionali, simili a quelli che il titolare
potrebbe ottenere attraverso una serie di depositi plurimi presso ognuno degli
Stati per i quali ha effettuato la rivendicazione durante la procedura U.E.B. Il
brevetto europeo ha quindi gli stessi effetti, in ogni Paese, di un brevetto
nazionale rilasciato dall’Ufficio Nazionale Brevetti di quel Paese e ogni
interferenza sarà valutata sulla base della legislazione dello Stato in cui essa si
verifica. La durata del brevetto europeo, o meglio dei vari brevetti nazionali, è di
venti anni, decorrenti dalla data di deposito di domanda di brevetto europeo.
495 Poiché esiste per il titolare l’opportunità di continuare o meno sulla strada dellabrevettazione, il sistema prevede che la tassa di esame, che avvia la vera e propria procedura diesame di merito, possa essere versata dopo aver ricevuto l’esito della ricerca496 La maggior parte dei Paesi aderenti alla C.B.E. ha richiesto il deposito al relativo UfficioBrevetti Nazionale della traduzione del testo del brevetto nella sua lingua ufficiale, quandodiversa da una delle tre lingue ufficiali della Convenzione
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
189
Contro la concessione di un brevetto europeo, entro un termine massimo
di nove mesi dalla data di pubblicazione497, chiunque può presentare opposizione
scritta al rilascio, di fronte alle divisioni competenti, senza essere tenuto a
dimostrare che il brevetto in questione costituisca per lui un pregiudizio o che
egli abbia un interesse specifico sul caso498. Devono ovviamente sussistere valide
ragioni perché l’opposizione sia accolta ed analizzata: tra esse la mancanza di
brevettabilità per l’insussistenza di uno dei tre requisiti di cui all’articolo 94, la
non sufficiente chiarezza della descrizione, tanto da pregiudicare la realizzazione
pratica dell’invenzione da parte di una persona esperta del settore o l’estensione
dell’oggetto del brevetto oltre il contenuto della domanda così come è stata
depositata. L’esame dell’opposizione compete alla relativa Divisione di
Opposizione, la quale, informato il titolare e concessogli un periodo sufficiente
per apportare eventuali modifiche, esaminerà le motivazioni addotte e potrà dar
luogo alla revoca totale o parziale del brevetto oppure constatarne la validità,
respingendo l’opposizione per l’infondatezza delle motivazioni499.
Infine è necessario un cenno al complesso sistema dei ricorsi messo in
piedi dalla Convenzione500, ispirato al diritto tedesco e basato sulle Commissioni
d’Appello, create dalla C.B.E., ma indipendenti e separate dalla struttura
amministrativa dell’Ufficio Europeo dei Brevetti. Ogni decisione all’interno
dell’iter di concessione analizzato501, da quella che rigetti la domanda a quella
dell’eventuale commissione di opposizione interpellata, può essere appellata di
fronte alle suddette commissioni, entro un termine di due mesi dalla notifica della
497 Trascorsi nove mesi dalla data di pubblicazione, senza che siano state presentate opposizioni,il titolo potrà essere attaccato solo davanti alle singole autorità giudiziarie nazionali498 Sulla procedura di opposizione cfr. A.Bianchi, op.cit., p. 97; R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 355;C.Zizola, op.cit., p. 113; Come ottenere un brevetto europeo, cit., p. 29; Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 69;G.Paterson, The European Patent System, cit., p. 78499 Al pari della procedura di esame, quella di opposizione ha carattere inquisitorio: la divisionepotrà basare la sua decisione su motivi diversi da quelli addotti dalle parti ed eventualmenteincludere elementi nuovi nel corso dell’analisi500 Sulla procedura di ricorso cfr. R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 414; Come ottenere un brevettoeuropeo, cit., p. 31; C.Zizola, op.cit., p. 123; F.Benussi, Brevetto europeo, cit., p. 329501 La C.B.E. prevede, in linea di principio, la possibilità di proporre ricorso contro ognidecisione di un organo di prima istanza, nell’ambito dell’U.E.B.
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
190
decisione, con la clausola che entro altri quattro mesi vengano presentati i motivi
a sostegno di tale ricorso502. A fianco di tali commissioni la Convenzione ha
istituito una Commissione ampliata d’Appello503, che interviene quando il caso da
decidere sia di particolare importanza giuridica o quando sia il Presidente
dell’U.E.B. a richiederlo, a seguito di due pronunce contrastanti da parte di
altrettante Commissioni di appello.
Nel quadro dei ricorsi infine si deve menzionare l’importante istituto della
restitutio in integrum, previsto dall’articolo 122 della Convenzione e finalizzato a
consentire al titolare del brevetto di essere reintegrato nella perdita di diritti subita
a seguito dell’inosservanza dei termini, eliminando gli effetti giuridici negativi ad
essa conseguenti504. La reintegrazione dei diritti può essere richiesta tanto dal
richiedente quanto dal titolare di brevetto europeo, mentre è esclusa per
l’opponente e per coloro che intervengono in un procedimento di opposizione.
Perché la reintegrazione possa aver luogo, è necessario che l’impedimento che
non ha consentito l’osservanza dei termini abbia causato la perdita diretta della
domanda di brevetto o di un diritto particolare, quali ad esempio il diritto di
priorità o il diritto di designazione di un determinato Stato contraente.
4.3.4 Brevetto europeo e brevetti nazionali
Come già si accennava in precedenza, la Convenzione, lungi dal
sopprimere i brevetti nazionali o da sostituirsi ad essi, insegue l’obiettivo di
regolare la coesistenza tra il sistema europeo e quelli statali. Tant’è che è
502 L’articolo 106 della C.B.E. stabilisce il principio secondo cui tutte le decisioni di prima istanzapossono essere attaccate e prevede in quale misura e a quali condizioni il ricorso sia ammissibile503 La Commissione ampliata d’Appello è formata da cinque membri giuristi e da due membritecnici. La sostanziale uguaglianza tra essa e le altre Commissioni d’Appello è sottolineata dalfatto che i suoi membri possono far parte anche di queste ultime e dalla sostanza delle suedecisioni, le quali semplicemente si sostituiscono a quelle che sarebbero emesse dalleCommissioni d’Appello504 R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 536; A.Bianchi, op.cit., p. 100; F.Benussi, Brevetto Europeo, cit., p.330
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
191
espressamente prevista e regolata la fattispecie in cui un brevetto formi
contemporaneamente oggetto di una domanda di brevetto o di un brevetto
nazionale e di una domanda di brevetto o brevetto europeo, in cui i due titoli
abbiano la stessa data di deposito o beneficino della stessa data di priorità505.
La Convenzione non detta una disciplina unitaria ma affida ai vari legislatori
nazionali il compito di regolare la materia: così, in virtù di tale facoltà concessagli,
il legislatore italiano ha stabilito506 che, laddove un brevetto nazionale tuteli la
stessa invenzione coperta da brevetto europeo, il titolo italiano cessa di espletare
i suoi effetti dalla data in cui il termine per la presentazione di opposizioni al
brevetto europeo sia scaduto, oppure dalla data di conclusione di un’eventuale
procedura di opposizione intrapresa, senza che il titolo europeo ne risulti
modificato, oppure ancora dal giorno in cui il titolo italiano è stato concesso,
quando si tratti di una data posteriore a quella di cui alle due ipotesi precedenti.
Sempre a proposito dei rapporti tra i titoli nazionali e il titolo europeo,
merita un accenno la cosiddetta possibilità di conversione di una domanda
europea in una corrispondente richiesta nazionale. Si tratta di una possibilità
sommariamente poco sfruttata, consistente nella facoltà data ad un titolare di
convertire la sua domanda di brevetto europeo in una semplice richiesta di
brevetto nazionale quando l’iter per il brevetto europeo sia bloccato sul nascere
dalle autorità nazionali del suo Stato di residenza, per ragioni enumerate dalle
singole legislazioni nazionali. In Italia ad esempio tale possibilità è offerta nei casi
in cui la domanda, depositata originariamente in lingua italiana, non sia stata
tradotta in una delle lingue ufficiali entro i termini prescritti. La stessa
conversione è ammessa quando la domanda sia stata rifiutata, ritirata o
abbandonata nel corso della procedura di fronte all’Ufficio Europeo dei Brevetti,
ma risponda positivamente a tutti i requisiti richiesti dalla legislazione italiana507.
505 Articolo 139 della Convenzione506 Il legislatore italiano si è conformato alle disposizioni dell’articolo 139 della C.B.E. attraversol’emanazione del d.p.r. n° 2 dell’8 gennaio 1979507 Sulla trasformazione della domanda di brevetto europeo in domanda di brevetto nazionale,cfr. R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 633; C.Zizola, op.cit., p. 171
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
192
Questa rapida analisi della Convenzione e delle sue modalità di
funzionamento sottolinea i grandi vantaggi apportati alla disciplina brevettuale
dalla Convenzione di Monaco, soprattutto quando si tenga presente che essa
risale ormai a quasi trent’anni fa. Allo stesso tempo ne evidenzia i limiti,
improntati essenzialmente alla continua sottomissione del brevetto europeo alle
singole normative nazionali.
Tale difetto avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni dei redattori e degli aderenti,
essere superato attraverso l’entrata in vigore della Convenzione di Lussemburgo,
di poco successiva, istituente il marchio comunitario ma a tutt’oggi non ancora in
vigore.
Per una valutazione oggettiva della bontà e dei vantaggi apportati dal sistema
europeo piuttosto che da quelli nazionali, come già si è detto a proposito dei
marchi, sarà da analizzare attentamente la situazione aziendale, economica e
commerciale dell’impresa che debba decidere tra l’uno e l’atro sistema, avendo
entrambi grandi vantaggi: la scelta tra i due dipenderà non tanto dalla loro
efficacia, quanto dalle condizioni di chi vuole ottenere la tutela.
4.4 IL BREVETTO COMUNITARIO
Un passo avanti definitivo sulla strada dell’unificazione si avrebbe, tra i
Paesi dell’Unione Europea, con l’entrata in vigore della Convenzione di
Lussemburgo (C.B.C.) sottoscritta nel 1975. E’ d’uopo infatti utilizzare il
condizionale, visto che, dopo quasi trent’anni dalla sua firma, la Convenzione
non è ancora operativa, benché sia stata a più riprese rivista e rimaneggiata, con
l’intento di appianare le divergenze di opinione tra gli Stati su alcuni aspetti
procedurali508.
508 Bibliografia di riferimento: M.Bertuzzi, Il nuovo brevetto comunitario, in Europa e diritto privato,2001, p. 191; Studio Torta, op.cit., p. 67; P.Gori, Il diritto dei brevetti nella sua nuova disciplina europea e
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
193
Con l’entrata in vigore della C.B.C. si darebbe vita a brevetto comunitario che
sarebbe, a tutti gli effetti, un titolo unico, sopranazionale, valido in tutto il
territorio dell’Unione Europea e affidato ad autorità giurisdizionali di prima e
seconda istanza dislocate presso le varie Corti nazionali e ad un autorità di ultima
istanza unitaria, la Corte d’Appello Comune unica.
Numerosi sono stati gli interventi di revisione della C.B.C., ad iniziare dalle
conferenze tenute, sempre a Lussemburgo, nel 1985 e nel 1989, da cui è sortita
una nuova Convenzione, anch’essa non entrata in vigore perché solo alcuni Stati
hanno depositato i relativi atti di ratifica509. Il perché di questi ripetuti insuccessi è
stato oggetto di studio da parte delle istituzioni comunitarie, le quali hanno
identificato le sue cause nell’eccesso dei costi che l’inventore dovrebbe sostenere,
nonché nella macchinosità e nella complessità dell’intero sistema510.
I tentativi si sono comunque ripetuti e rincorsi nel tempo, a testimonianza di una
ferma convinzione delle istituzioni e degli Stati sulla bontà di un sistema
comunitaria, in Rivista di Diritto Civile, 1976, II tomo, p. 78; L.Liuzzo, Cenni sul brevetto comunitario, inRivista di Diritto Industriale, 1981, p. 334; V.Scordamaglia, Le conseguenze dell’istituzione del brevettocomunitario mediante regolamento del Consiglio dell’Unione Europea, in Rivista di Diritto Industriale, 1998,p. 277; V.Scordamaglia, L’accordo sul brevetto comunitario, in Il Foro Italiano, 1991, p. 256; E.Dezani,Brevetto del software più vicino. L’ufficio europeo sta per decidere, 07/11/2000, in www.mytech.it ; BrevettoComunitario, Accordo raggiunto sul brevetto comunitario, 10 /03/2003, in www.sib.it ; A.Stazi, Via liberaal “brevetto comunitario”, 10/04/2003, in www.jei.it/infogiuridica/notizia ; F.De Benedetti, Il nuovobrevetto comunitario si indirizza alle imprese con costi eccessivi, scarsa flessibilità e un approccio teorico, in Il Sole24 ore del 2 luglio 2003, Guida Normativa (anche su www.sib.it); Un passo deciso verso laconcretizzazione del brevetto comunitario, a cura dell’Organizzazione Europea dei Brevetti,14/03/2003, in www.ige.ch/I/jiurinfo.html ; Revisione della convenzione sul Brevetto Europeo sotto lapresidenza della Svizzera, in Archivio dei Comunicati stampa novembre 2000, www.admin.ch ; BrevettoComunitario, a cura della rappresentanza Italiana presso l’Unione Europea, 06/09/2003,www.italiaue.it/pagine/breveto_comunitario.asp ; O.Bossung, The return of the European Patent lawto the European Union, in International review of Industrial property and Copyright (IIC), vol. 27 n°3/1996, p. 287; R.Nack e B.Phélip, Diplomatic Conference for the revision of the European PatentConvention. Munich, 20-29 November 2000, in International Review of Industrial Property, 2001, p. 200;L’UE e la riforma del sistema brevettuale, 28 maggio 2002, in www.patnet.it ; Per un’Europa piùcompetitiva, 5 maggio 2000, in www.europa.eu.int/comm/publicationes 509 L’Italia, ad esempio, ha ratificato la Convenzione sortita dagli incontri di Lussemburgo del1989, con legge n° 302 del 26 luglio 1993, ma appartiene al folto gruppo di Stati che non hannodepositato l’atto di ratifica510 Tra i motivi alla base del successo della C.B.E. e dell’insuccesso della C.B.C., si ricordi chel’articolo 169 di quella prevede che la Convenzione entri in vigore con la ratifica di almeno sei
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
194
comunitario dei brevetti. Gli ultimi atti di questa evoluzione, della prima metà del
2003, sembrano aprire nuove strade e prospettare una soluzione positiva della
problematica.
4.4.1 La Convenzione di Lussemburgo del 1975
La Convenzione sul Brevetto Comunitario fu firmata a Lussemburgo il 15
dicembre 1975, e si innestò sulla preesistente Convenzione di Monaco,
prevedendo che il brevetto rilasciato ai sensi della C.B.E. costituisse un titolo
brevettuale unitario per l’intero territorio dell’Unione511. Lo spirito ispiratore della
Convenzione fu infatti quello di creare un sistema europeo di rilascio dei brevetti
per alleggerire le costose procedure da seguire innanzi agli uffici nazionali e per
ridurre il perdurare delle frontiere intracomunitarie date dalla molteplicità di titoli
nazionali.
Rispetto alla Convenzione sul Brevetto Europeo, si mirava ad un sistema che
producesse un diritto di privativa unitario per i Paesi aderenti al processo di
integrazione, sottoposto ad una normativa comune e non distinto in ogni Stato
dopo la fine della procedura di rilascio. Mentre infatti il regime brevettuale di
Monaco istituisce una disciplina unitaria solo per quanto riguarda certi aspetti di
forma e procedura concernenti il rilascio del brevetto, la Convenzione di
Lussemburgo vuole intervenire su aspetti di diritto sostanziale, emergenti durante
tutto il periodo della tutela, e non soltanto al momento del rilascio.
Per queste ragioni, molti autori512 inseriscono la Convenzione del 1973 nel
processo di cooperazione internazionale iniziatosi con la Convenzione di Unione
di Parigi, mentre individuano nella Convenzione sul Brevetto Comunitario lo
stesso spirito dell’intero processo di integrazione comunitaria: essa esce
Stati, mentre perché la Convenzione di Lussemburgo entri in vigore sono necessarie le ratifichedi tutti gli Stati membri della Comunità511 All’epoca della firma della Convenzione di Lussemburgo, non si parlava ovviamente diUnione, ma di Comunità Europee
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
195
dall’ambito della semplice cooperazione internazionale e costituisce una tappa
importante nel processo di integrazione giuridica ed economica tra i Paesi
membri della Comunità. Si consideri infatti che il preambolo della Convenzione
si riallaccia al Trattato CE e suggerisce l’idea che la conclusione dell’accordo
corrisponda ad un obbligo degli Stati membri, dato che essa è riconosciuta non
semplicemente come opportuna ma anzi come necessaria per facilitare la
realizzazione degli scopi della Comunità stessa.
Secondo quanto previsto dalla Convenzione, il brevetto comunitario
dovrebbe essere rilasciato, congiuntamente per tutti gli Stati membri della
Comunità, dall’Ufficio Europeo dei Brevetti, sulla base di una procedura unica,
istituita dalla Convenzione stessa: con una sola domanda, un inventore dovrebbe
poter ottenere una tutela valevole in tutti e quindici gli Stati membri513, con gli
stessi effetti giuridici in ognuno di essi. Anche gli effetti del brevetto dovrebbero
risultare unificati: il brevetto dovrebbe poter essere trasferito, annullato o estinto
solo per tutti i Paesi membri considerati insieme; solamente il regime delle licenze
si isolerebbe dalla regola generale, risultando lecita la concessione di licenze
obbligatorie e non, per uno o alcuni Stati membri.
L’aspetto più rilevante di tutta la disciplina prevista dalla Convenzione di
Lussemburgo, che segna la differenza rispetto al brevetto europeo, risiede non
tanto nella brevettabilità o nei contenuti del diritto, quanto nell’ambito geografico
della sua efficacia e protezione, nonché, di riflesso, nel procedimento
amministrativo per la sua concessione e registrazione514. Non si dimentichi
comunque che la Convenzione sul Brevetto Comunitario presuppone l’esistenza
e l’applicabilità della precedente Convenzione sul Brevetto Europeo, adeguandosi
ad essa per quanto riguarda i requisiti di brevettabilità e la procedura di
concessione, ma distanziandosi da essa nella misura in cui il titolo europeo
512 P.Gori, op.cit., p. 78513 All’epoca la Comunità aveva nove membri, ma l’intento era ovviamente quello di estendere laprocedura e la corrispondente tutela a qualunque membro avesse in futuro aderito al processo diintegrazione514 M.Bertuzzi, op.cit., p. 192
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
196
costituisce non un diritto unitario, ma un insieme distinto di singoli brevetti
nazionali. Inoltre la validità giuridica della C.B.C. è da ritrovarsi nell’articolo 142
della C.B.E., il quale prevede la possibilità che un gruppo di Stati contraenti
disponga che i brevetti europei possano essere concessi unitariamente e
congiuntamente per tutto il loro territorio. Ne discende che il brevetto
comunitario si configura come un titolo di proprietà unico ed autonomo, in
ragione dell’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea rispetto
sia agli ordinamenti nazionali, sia a quello internazionale.
Inoltre questo sistema comunitario risulta a tutti gli effetti capace di convivere sia
con le privative nazionali sia con il titolo europeo. Al titolare di un diritto non
verranno posti obblighi o restrizioni e la sua libertà di scelta tra uno o l’altro
sistema sarà massima. Anzi, la compatibilità è tale da poter considerare lo
strumento in esame come il sedicesimo strumento di tutela a copertura geografica
totale, rispetto ai quindici strumenti nazionali esistenti515.
Tornando allo spirito che ha animato la Convenzione del 1975, non si
deve dimenticare che, tra i suoi scopi, il Trattato CE mira ad “assicurare le
condizioni necessarie alla competitività dell’industria”, anche intraprendendo
azioni tese a “favorire un migliore sfruttamento del potenziale industriale delle
politiche di innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico” e a “favorire lo
sviluppo della sua competitività internazionale” 516. Questo obiettivo non poteva
essere adeguatamente raggiunto con il brevetto europeo, andando esso incontro
ad una situazione di frammentazione con riferimento alle vicende del diritto e alla
tutela in via giurisdizionale: questa situazione costituisce infatti un handicap per le
imprese che utilizzano il brevetto europeo, soprattutto se si considerano i sistemi
di cui beneficia la concorrenza nelle aree nordamericana ed asiatica, caratterizzati
da un’assoluta compattezza dei sistemi giuridici e da un ampio livello di
515 Ivi, p. 194516 Articolo 157 del Trattato CE, già articolo 130. A monte, la creazione di un sistemabrevettuale comunitario si ispira allo strumento regolamentare previsto dall’articolo 308 delTrattato e già utilizzato in materia di marchi di impresa
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
197
protezione517. Il brevetto comunitario, fornendo alle imprese operanti nella
Comunità uno strumento giuridico uniforme e riconosciuto ovunque,
permetterebbe loro di esercitare un’attività economica su tutto il territorio
comunitario senza rischiare di incontrare limitazioni ed ostacoli per via di diritti
concorrenti di proprietà industriale, utilizzati da terzi. Esso quindi risponderebbe
alle necessità della grande industria, ma anche e soprattutto alle esigenze delle
medie imprese, operanti in settori tecnologici avanzati, che sarebbero quindi in
grado, attraverso questo strumento di tutela, di avventurarsi e penetrare in un
mercato più vasto. Anche dal punto di vista del progresso tecnologico, i vantaggi
sarebbero evidenti, perché la tutela comunitaria spingerebbe le imprese verso la
ricerca e lo sviluppo scientifico, disincentivando le pratiche imitative, tutelate dai
singoli brevetti nazionali.
Fino a questo momento sono stati facilmente individuati i vantaggi
apportati dal sistema creato con la Convenzione di Lussemburgo, ma ad oggi
bisogna fare i conti con una realtà opposta: dopo quasi trent’anni la C.B.C. non è
ancora entrata in vigore e il brevetto comunitario rimane uno strumento
inutilizzato. Perché?
Le cause dell’insuccesso sono state oggetto di molti studi, da parte delle stesse
autorità comunitarie. La Commissione, nel suo Libro Verde del 1997518, ha
individuato le ragioni del fallimento nella complessità e nella macchinosità
dell’intero sistema e nella esagerazione dei costi a cui l’inventore sarebbe
sottoposto. Innanzitutto l’inventore dovrebbe farsi carico della traduzione del
fascicolo brevettuale in tutte e dieci le lingue ufficiali dell’UE diverse dalla sua519;
in secondo luogo il sistema di protezione giurisdizionale creato risulta
517 Tali vantaggi derivano dalla dominazione delle due aree da parte di USA e Giappone518 Promuovere l’innovazione tramite il brevetto - Libro verde sul Brevetto Comunitario e sul sistema dei brevettiin Europa, a cura della Commissione delle Comunità Europee, 24 giugno 1997, Doc. COM (97)314.def519 Ovviamente questo obbligo caricherebbe l’inventore di oneri economici ingenti, a cuisicuramente non sono sottoposti i suoi colleghi statunitensi o giapponesi
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
198
estremamente complesso, con l’aggravante che tale complessità non assicura la
certezza del diritto ed anzi alimenta continui contrasti interpretativi. Viene infatti
disposta l’istituzione di un numero limitato di tribunali nazionali, competenti a
decidere in primo e secondo grado sulle controversie in materia di contraffazione.
A fianco di questi, viene creata, a livello comunitario, una Corte di Appello
Comune (Community Patent Court – CO.PA.C.), competente a pronunciarsi sui
ricorsi contro l’U.E.B., sulle azioni di nullità del brevetto e, in secondo grado,
sulle decisioni dei Tribunali nazionali di prima istanza pronunziate sulle domande
proposte in via riconvenzionale520.
Per queste ragioni per una ventina d’anni circa la Convenzione di Lussembrurgo
non ha trovato applicazione pratica ed è anzi stata oggetto di strenue critiche da
parte di molti Stati membri, primi fra tutti Irlanda e Danimarca.
L’impulso determinante, che sembra aver dato nuovo vigore all’iniziativa, è
arrivato solo nella seconda metà degli anni ’90 e potrebbe oggi dar vita ad un
nuovo sistema, la cui realizzazione è apparsa per anni poco più che un’utopia.
4.4.2 Il brevetto comunitario sulla strada della realizzazione
A seguito delle palesi difficoltà incontrate dalla Convenzione ed a fronte
dell’impossibilità di un’imminente entrata in vigore della stessa, gli Stati si
incontrarono a più riprese per cercare una via d’uscita ed una soluzione a questa
situazione di stallo. Innanzitutto la versione del 1975 venne ripresa, rivista e
520 Contro le decisioni in secondo grado dei Tribunali nazionali, si può adire la cassazionesecondo la normativa nazionale, mentre le decisione della CO.PA.C. non sono impugnabili, ameno che uno Stato o la Commissione denuncino la loro difformità rispetto al dirittocomunitario. D’altra parte l’intero sistema così creato appare in aperto contrasto con laconfigurazione standard dei gradi di giudizio dei singoli ordinamenti: il fatto che una decisionenazionale possa essere impugnata in sede comunitaria appare ad esempio in Italia in apertocontrasto con la norma costituzionale che prevede il diritto di ricorrere in Cassazione, controtutte le sentenze
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
199
firmata, sempre a Lussemburgo, il 15 dicembre 1989521. Tuttavia anche questa
nuova versione aggiornata non trovò attuazione: a seguito di tale duplice
insuccesso intervenne la Commissione che, nel 1997, pubblicò un Libro Verde sul
Brevetto Comunitario e sul Sistema dei Brevetti522, annunziando iniziative legislative di
riforma. A detta della Commissione era infatti giunto il momento di fare il punto
sulla situazione in materia di brevetto comunitario e più in generale sulla
disciplina brevettuale in Europa, alla luce delle discussioni strategiche
sull’innovazione tecnologica e sulle politiche di ricerca e sviluppo. La
realizzazione del mercato interno all’inizio degli anni ‘90523, il progresso generale
del processo di integrazione e lo sviluppo di altri settori della proprietà
industriale524, rendevano assolutamente urgente una rivalutazione ed una
riorganizzazione dell’intero sistema brevettuale comunitario.
Secondo la Commissione, per gli operatori economici un brevetto
comunitario corrisponde ad una necessità di primaria importanza: esso
presenterebbe un triplice vantaggio rispetto ai tradizionali sistemi nazionali e a
quello europeo, istituito dalla Convenzione di Monaco del 1973. Esso
agevolerebbe il funzionamento del marcato interno, centralizzerebbe
l’amministrazione dei brevetti da parte dei titolari e renderebbe più efficaci le vie
legali per far valere i diritti conferiti dai brevetti.
Convinta della valenza di tale sistema e della necessità di realizzarlo, la
Commissione propose di farlo attraverso lo strumento legislativo più efficace a
livello comunitario, il regolamento525. Le motivazioni sono semplici e complesse
521 Già nel 1985 gli Stati si erano riuniti e avevano lavorato alla redazione di una nuovaConvenzione, più efficace e quindi più utilizzabile di quella del 1975. Nel 1989 venne redattauna nuova Convenzione, che ha ricevuto ratifica in Italia con legge n° 302 del 26 luglio 1993522 Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde sul Brevetto Comunitario, cit.523 Il mercato interno fu istituito nel 1992 con il Trattato di Maastricht 524 Si consideri ad esempio il grande successo raggiunto in materia di marchi con il Regolamento40/94, istituente il marchio comunitario525 Nel Libro Verde del 1997 la Commissione aveva preso in considerazione anche strumentidiversi dal regolamento, come la revisione dell’Accordo del 1989 o una nuova convenzione
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
200
allo stesso tempo: l’adozione e l’attuazione di un regolamento risultano più facili
e più veloci. E’ vero infatti che un regolamento che istituisca un brevetto
comunitario dovrebbe basarsi sull’articolo 308 del Trattato526 che esige, per
l’adozione, l’unanimità in seno al Consiglio dell’Unione Europea, ma è anche
vero che, uno Stato che, in sede di votazione, non sia pienamente convinto e
soddisfatto dei risultati raggiunti dalla negoziazione, potrà astenersi dal voto,
senza pregiudicare il raggiungimento dell’unanimità. La ratifica da parte di tutti gli
Stati membri è invece una formalità indispensabile ben più difficile da
raggiungere quando si tratti di una convenzione collegata al diritto comunitario
contenente nuove attribuzioni di competenze per le istituzioni527. Con
riferimento alla tempistica, è ovvio che l’entrata in vigore di un regolamento è
rapidissima528, soprattutto se confrontata con l’eventuale attuazione di una
convenzione tra gli Stati membri.
Alla fine degli anni ‘90 inoltre, la competenza a realizzare un brevetto
comunitario tramite un atto di diritto secondario, non può più essere seriamente
contestata529, poiché gli stessi strumenti sono stati utilizzati per i marchi e le
varietà vegetali530 e soprattutto perché la Corte di Giustizia, nel suo parere del
1994 sull’Accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio, si
pronunciò in questo modo: “sul piano legislativo interno la Comunità dispone, in
materia di proprietà intellettuale, di una competenza d’armonizzazione delle
intergovernativa. Valutando però gli insuccessi di queste due alternative, la Commissione siconvinse del fatto che il regolamento costituiva l’unica ed obbligata via da seguire526 Già articolo 235527 A differenza degli accordi multilaterali classici, dove l’entrata in vigore è subordinata allaratifica da parte di un numero di Stati solitamente inferiore a quello dei Paesi che hannopartecipato alle negoziazioni, perché potenzialmente interessati a partecipare all’accordo, quandosi tratti di una convenzione collegata al diritto comunitario che comporta attribuzioni di nuovecompetenze per le istituzioni comunitarie, è necessaria la ratifica da parte di tutti gli Stati perchésolo in questo modo si può ovviare in modo lecito al mancato ricorso al meccanismo direvisione dei Trattati per il conferimento di nuove competenze, previsto dall’articolo N delTrattato sull’Unione Europea528 Solitamente l’entrata in vigore di un regolamento comunitario richiede pochi giorni529 La competenza a realizzare il brevetto comunitario attraverso atti di diritto secondario eraduramente contestata nei primi venti anni di vita della Comunità
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
201
legislazioni nazionali in virtù degli articoli 100 e 100 A e può basarsi sull’articolo
235 per creare nuovi titoli che si sovrappongono ai titoli nazionali, come essa ha
fatto col regolamento sul marchio comunitario”531.
Infine le differenze di natura tra un brevetto comunitario creato da un Accordo
come quello del 1989 ed un altro istituito con un regolamento sono
notevolissime: il brevetto comunitario istituito con l’accordo del 1989 sarebbe il
frutto della volontà degli Stati di “conferire effetti unitari ed autonomi ai brevetti
europei, rilasciati per i loro territori ai sensi della convenzione di Monaco”532,
sarebbe concesso dall’Ufficio Europeo dei Brevetti e si configurerebbe come
un’integrazione od un’unificazione del fascio di brevetti concessi attraverso la
C.B.E. Un brevetto comunitario di questo tipo si presenterebbe come un
brevetto europeo di tipo speciale, voluto da un gruppo di Stati che delegano ad
un unico ufficio i poteri necessari per concederlo. Al contrario, un titolo
comunitario creato da un Regolamento si configurerebbe come un titolo istituito
in via originaria all’interno dell’ordinamento giuridico comunitario, autonomo
rispetto ai diritti nazionali ed internazionale. Sarebbe una manifestazione di
sovranità della Comunità, trasferitale dagli Stati membri con il fine di creare nuovi
titoli di proprietà intellettuale quando essi siano richiesti per un funzionamento
ottimale del mercato interno.
Sulla base di tutte queste argomentazioni proposte dalla Commissione, ci
si convinse della necessità di utilizzare il regolamento come strumento per la
creazione di un efficiente sistema brevettuale comunitario. Esso avrebbe dovuto
avere una struttura sommariamente simile a quella dei regolamenti sul marchio
comunitario o sui ritrovati vegetali; avrebbe dovuto contenere una normativa
530 In materia di marchi sono stati utilizzati sia la direttiva che il regolamento; in materia diritrovati vegetali si citi il Regolamento n° 2100/94 del 27 luglio 1994531 Punto 59 del parere 1/95 del 15 novembre 1994, emesso dalla Corte di Giustizia inriferimento all’Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Gli articoli acui si fa riferimento corrispondono, nella nuova numerazione, rispettivamente agli articoli 94, 95e 308532 Preambolo dell’Accordo di Lussemburgo del 1989
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
202
brevettuale completa relativa alle regole di fondo, ivi compresi i requisiti di
brevettabilità, l’indicazione dell’autorità amministrativa competente, le regole di
procedura e la regolamentazione delle garanzie giurisdizionali offerte ai titolari dei
brevetti. Il Regolamento avrebbe dovuto contenere una regolamentazione
completa del diritto sostanziale applicabile al brevetto comunitario, che avrebbe
potuto essere plasmata sulla base delle disposizioni dell’Accordo del 1989 che
non avevano sollevato problematiche rilevanti, cosicché la normativa comunitari
si sarebbe presentata come l’equivalente di una legge brevettuale nazionale533.
4.4.3 La proposta di Regolamento della Commissione del 2000
Nell’agosto del 2000 la Commissione delle Comunità europee ha
presentato una proposta di Regolamento del Consiglio per l’istituzione di un
brevetto comunitario, destinato ad offrire alle imprese dell’Unione una tutela
adeguata delle invenzioni attraverso un unico strumento giuridico che consenta
un più efficace sfruttamento delle nuove conoscenze e la conseguente
promozione degli investimenti privati nella ricerca e nello sviluppo. Secondo il
sistema previsto da tale atto, il brevetto dovrebbe essere, a differenza di quello
europeo, un titolo unitario ed autonomo, rilasciato, trasferito, dichiarato nullo ed
estinto soltanto per tutta l’Unione e secondo le modalità e le condizioni dettate
dallo stesso Regolamento. Per ragioni di certezza del diritto, la proposta della
Commissione mantiene immutata la regola secondo la quale il richiedente sarà
tenuto a presentare una traduzione delle rivendicazioni in tutte le lingue ufficiali
della Comunità.
Per quanto riguarda invece il sistema giurisdizionale, la proposta della
Commissione prevede che esso si regga su una Camera Giurisdizionale del
533 Per un’analisi dettagliata dei caratteri che avrebbe dovuto avere il Regolamento sul BrevettoComunitario, si veda V.Scordamaglia, Le conseguenze dell’istituzione del brevetto comunitario medianteRegolamento del Consiglio dell’Unione Europea, cit., p. 292
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
203
Brevetto (T.B.C.)534, competente in primo grado, le cui decisioni possano essere
appellate di fronte al Tribunale di Prima Istanza (T.P.I.), entrambi funzionanti,
secondo la proposta, a partire dal 2010. Nel frattempo spetterà agli Stati membri
designare un numero ristretto di tribunali, funzionanti ad interim, presso le proprie
giurisdizioni. I procedimenti si dovrebbero celebrare nella lingua ufficiale del
convenuto, a meno che, con il consenso delle parti e dello stesso tribunale, non si
decida diversamente.
Uno dei principali obiettivi che la Commissione si proponeva di raggiungere, con
l’emanazione di un Regolamento, era la diminuzione dei costi di brevettazione,
cosicché le imprese potessero realmente essere incentivate ad utilizzare tale
strumento per essere più competitive sul mercato, soprattutto a livello
internazionale. Solo così può infatti realizzarsi l’obiettivo del Trattato che vuole
l’Unione capace di competere con Stati Uniti e Giappone a livello commerciale
internazionale.
Il sistema proposto dalla Commissione ovviamente non dovrebbe sostituirsi a
quelli esistenti, ma dovrebbe affiancarli, così da lasciare che i titolari scelgano il
tipo di protezione più adatto alle esigenze commerciali e strategiche dell’impresa.
4.4.4 Via libera al brevetto comunitario: le ultime novità
Contrariamente alle previsioni, il 3 marzo 2003 gli Stati membri
dell’Unione Europea, rappresentati dai loro ministri dell’economia riuniti a
Bruxelles, sono riusciti a superare le divergenze sul brevetto comunitario ed
hanno finalmente raggiunto un accordo per dare concreta attuazione al progetto,
avviandosi quindi a grandi passi verso la conclusione del progetto vecchio ormai
di quasi trent’anni.
A seguito della proposta della Commissione del 2000 sopra analizzata infatti, il
Consiglio aveva provveduto a trasmettere al Parlamento Europeo e al Consiglio
Economico e Sociale la proposta stessa perché emanassero su di essa il loro
534 L’acronimo T.B.C. sta per tribunale del brevetto comunitario
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
204
parere. Si sottolinei che, benché il parere del C.E.S. non fosse affatto necessario
ai sensi della procedura, lo si è ritenuto utile ed appropriato, vista l’importanza di
una normativa di questo genere per il settore imprenditoriale dell’Unione.
I pareri sono stati positivi ed incoraggianti: quello del C.E.S., emesso nel maggio
del 2001, ha sostanzialmente appoggiato la proposta della Commissione, mentre
il rapporto finale del Parlamento, predisposto e discusso dalla Commissione
Affari Generali dello stesso, è stato approvato con alcuni emendamenti non
vincolanti il 26 febbraio 2002.
Quando ormai sembrava vicina una felice conclusione, il processo ha conosciuto
una nuova ma fortunatamente breve fase di stallo: nel novembre del 2002, a
fronte dell’ennesimo fallimento nel tentativo di mettere d’accordo i vari Stati
membri, il Commissario per il mercato interno Bolkestein aveva infatti
minacciato di ritirare del tutto la proposta.
Ma contro ogni previsione, il Consiglio dei Ministri di Bruxelles del 3 marzo 2003
sulla competitività ha raggiunto un accordo su un “approccio politico comune”
riguardante il brevetto comunitario. I punti fondamentali dell’intesa riguardano
principalmente il sistema giurisdizionale, il regime linguistico, il ruolo dell’Ufficio
Europeo dei Brevetti ed infine il sistema di tassazione e dei costi in generale.
Il sistema giurisdizionale sarà basato su un tribunale unitario, in funzione
dal 2010, affiancato dal Tribunale di primo Grado della Corte di Giustizia. Le
camere del tribunale saranno formate ognuna da tre membri, dotati di un elevato
livello di esperienza di legislazione brevettuale535, i quali potranno avvalersi
dell’assistenza di esperti tecnici. I procedimenti saranno celebrati nella lingua del
Paese in cui è domiciliato il convenuto, a meno che un accordo tra le parti non
disponga diversamente.
Sempre a proposito di lingue, viene adottato un regime linguistico basato su
quello in vigore per l’U.E.B., cosicché le lingue ufficiali saranno tre: l’inglese, il
francese e il tedesco. Il richiedente dovrà scegliere una di queste tre per
535 Risulta decaduto il requisito dell’esperienza tecnica per i membri delle camere del tribunale
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
205
presentare la documentazione completa ed allegare una traduzione delle
rivendicazioni in ognuna delle due restanti al momento del rilascio del brevetto.
Inoltre sembra che sarà tenuto a presentare una traduzione delle rivendicazioni
anche nelle altre lingue ufficiali dell’Unione, diverse da inglese, francese e tedesco;
su questo punto rimangono vari dubbi, poiché il Consiglio ha inserito una
dichiarazione secondo la quale le traduzioni in tutte le lingue dell’UE dovrebbero
essere presentate entro il termine di due anni dalla data di rilascio del titolo536,
periodo durante il quale il brevetto sarebbe valido a prescindere dalla disponibilità
o meno delle traduzioni. Non si dimentichi che proprio quello delle lingue è stato
uno dei problemi più spinosi, affrontati in sede di discussione: benché esso possa
apparire a prima vista un problema di secondaria importanza, gli Stati ed loro
negoziatori vi si sono dovuti soffermare a lungo, perché il regime linguistico può
avere un’influenza notevole sull’intero sforzo economico e finanziario che gli
eventuali richiedenti nazionali dovranno sostenere per ottenere la tutela conferita
da un brevetto comunitario. senz’altro quindi le istituzioni comunitarie dovranno
riservare all’argomento una particolare attenzione, se auspicano un’accettazione
decisa e senza riserve, da parte degli Stati, delle loro proposte definitive.
Secondo la Commissione, grazie all’unificazione delle procedure, i costi
che i richiedenti dovranno sostenere risulteranno nettamente diminuiti, secondo
alcune stime addirittura dimezzati537. Molti autori538 non sono però affatto
d’accordo con questa visione ottimistica delle istituzioni comunitarie ed anzi
ritengono che i costi non diminuiranno affatto e prevedono che l’intero sistema
favorirà esclusivamente le grandi imprese innovatrici, dimenticando invece le
medie e piccole imprese, numerosissime nel sistema imprenditoriale comunitario.
536 La dichiarazione del Consiglio si basa sulla proposta della delegazione tedesca 537 Secondo la Commissione la protezione brevettuale per circa 8 Paesi europei tramite BrevettoEuropeo costa attualmente cinquanta mila euro. Con il Brevetto Comunitario la spesascenderebbe a venticinque mila euro per venticinque Stati membri, situazione nettamentemigliore di quella attuale ma ancora lontana da quella tipica dei sistemi statunitense egiapponese. 538 F.DeBenedetti, Il nuovo brevetto comunitario si indirizza alle imprese con costi eccessivi, scarsa flessibilità eun approccio teorico, cit., p. 2
IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO
206
Infatti, coloro che sostengono che il nuovo sistema non giovi alle imprese
europee, lo fanno sulla base di indagini empiriche e statistiche brevettuali che
evidenziano che le imprese europee sono di gran lunga “staccate” da Stati Uniti e
Giappone in termini di depositi effettuati: in un’indagine con un campione
ristretto a settori a tecnologia avanzata, come quello delle biotecnologie, in cui
sono presenti strutture di ricerca più piccole e le università, a fronte di 2.643
domande di imprese statunitensi, le domande tedesche sono 772, quelle
britanniche 443, quelle italiane 60. Non si dimentichi però che, grazie al brevetto
comunitario, le imprese europee non dovranno più essere considerate nella loro
individualità di carattere nazionale, ma faranno tutte parti del grande gruppo delle
imprese comunitarie e presumibilmente riusciranno a competere con i giganti
statunitensi.
Infine l’intesa prevede che responsabile per l’esame e la concessione dei
brevetti comunitari sarà l’Ufficio dei Brevetti Europei di Monaco539, mentre le
domande potranno essere depositate anche presso le autorità nazionali
competenti.
Raggiunti questi importanti traguardi, il cammino da percorrere risulta
facilitato ma non terminato: il Consiglio dovrà, possibilmente in tempi brevi,
giungere all’adozione della proposta di Regolamento e, dall’altra parte, convocare
una conferenza diplomatica per la revisione della Convenzione di Monaco, così
da consentire all’Ufficio Europeo dei Brevetti di rilasciare brevetti comunitari. In
seguito si dovranno attendere solo le ratifiche dei quindici Stati membri, perché
finalmente il sistema di concessione del brevetto comunitario possa iniziare a
funzionare a tutti gli effetti.
539 Perché l’U.E.B. possa adeguatamente rispondere alle esigenze del nuovo sistema brevettualecomunitario, la Convenzione che lo ha istituito subirà una modifica ad hoc
CONCLUSIONI
Per completezza di trattazione è necessario, a conclusione del presente
lavoro, dare un breve e succinto sguardo a quelli che sono gli altri ambiti facenti
parte del “vasto” ed eterogeneo appellativo “proprietà intellettuale”. Se infatti è
fuor di dubbio che i brevetti ed i marchi sono le due categorie generalmente più
conosciute, il cui nome suscita un qualche concetto, più o meno preciso, nelle
menti della maggior parte delle persone, è altrettanto vero che altri settori
appartengono alla disciplina, a cominciare dal copyright o diritto d’autore. Non si
possono non menzionare i modelli ornamentali, le novità vegetali, il software o
l’internet domain name, senza ovviamente avere la pretesa di analizzare, nello
specifico, la natura di ognuno e l’intervento legislativo che, a livello nazionale
piuttosto che comunitario, è stato messo in atto a loro tutela. Da una parte infatti
uno studio dettagliato su ognuna di queste fattispecie richiederebbe un impegno
troppo gravoso, cosicché si rende necessaria una scelta a favore delle categorie
più “popolari”; dall’altra far finta che esse siano le uniche esistenti,
corrisponderebbe ad un errore di trattazione di notevole entità.
Ognuno di questi settori della proprietà intellettuale è stato oggetto di attenzione
e di intervento legislativo a livello comunitario, spesso con un successo
addirittura maggiore di quello raggiunto, ad esempio, con fatica, nel campo dei
brevetti per invenzione.
Volendo procedere ad una breve panoramica su questi settori, si dovrà
obbligatoriamente parlare del diritto d’autore, noto anche come copyright, il cui
oggetto sono le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla
letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla
cinematografia, indipendentemente dalla forma o dal modo di esprimere le stesse.
CONCLUSIONI
208
Il requisito essenziale perché un’opera dell’ingegno possa ritenersi tutelabile è che
essa possieda un indubbio carattere creativo: alla base dell’opera deve sussistere
un atto creativo, anche minimo, espresso in forma concreta e suscettibile di
estrinsecazione all’esterno. Non rilevano invece le modalità o le forme attraverso
cui l’opera viene espressa: è sufficiente che esse siano in grado di rappresentare,
attraverso parole, suoni, immagini o espressioni figurative diverse un contenuto
di idee e sentimenti.
Si premetta che l’intera legislazione inerente il diritto d’autore ha caratteristiche
proprie e distanti da quelle dei marchi o dei brevetti, visto il carattere “personale”
dello stesso, che si configura come un prodotto espresso dall’organo del pensiero,
trasfuso in una qualsiasi forma sensibile, ma comunque contenuto entro la sfera
della personalità. Esso è più che mai interessato agli aspetti morali del diritto,
riconosciuti all’autore sotto duplice forma, attraverso il diritto alla paternità
dell’opera e quello all’integrità della stessa.
Visto il carattere delle stesse opere dell’ingegno, esse sono, al giorno d’oggi,
pervase più di ogni altra, da elementi di internazionalità, visto che l’esistenza delle
frontiere tra gli Stati costituisce un fattore poco più che simbolico nella frequenza
degli scambi culturali e scientifici. A questa logica si ispirò la più antica delle
convenzioni internazionali sulla materia, firmata a Berna nel 1886 e seguita da
molte altre, concluse nella stessa ottica e sulla base degli stessi principi. Gli stessi
che, del resto, hanno promosso l’azione comunitaria in tema di copyright e che
hanno portato a notevoli passi in avanti a livello europeo. Essa si è sostanziata
dapprima in una accettazione incontestabile del copyright nel campo della
proprietà intellettuale, concretizzatasi nella nota sentenza Musik Vertrieb c.
GEMA, con conseguente applicazione dei ragionamenti fatti, per brevetti e
marchi in riferimento agli articoli del Trattato CE, alla materia del diritto d’autore.
In un secondo tempo, con la finalità di armonizzare le legislazioni degli Stati
membri in tema di diritto d’autore, sono stati approvati e pubblicati atti
comunitari a ciò finalizzati, prime tra tutte le direttive per la creazione di una
disciplina comune sulla materia. La prima direttiva che è stata adottata in materia
CONCLUSIONI
209
di diritto d’autore, nel dicembre del 1986, riguardava la tutela giuridica delle
topografie dei prodotti a semiconduttori, mentre nel Libro Verde del 1988 la
Commissione analizzò i problemi più urgenti, che richiedevano un’azione
immediata a livello comunitario, per affrontare la sfida delle nuove tecnologie. In
particolare gli sforzi si sono concentrati sui settori nei quali le disomogeneità
normative tra gli Stati o l’incertezza normativa potevano dissuadere gli operatori
economici comunitari dall’utilizzazione economica di tali diritti. Così le istituzioni
comunitarie si sono attivate per la tutela giuridica dei programmi per elaboratore
e delle banche dati, si sono concentrate sulla radiodiffusione per via satellite e la
ritrasmissione via cavo, sui diritti di noleggio e di prestito nonché sulla durata
della protezione del diritto d’autore.
Dal 1996 ci si è rivolti nello specifico alla problematica del diritto d’autore nel
quadro della società dell’informazione, con una serie di iniziative legislative volte
ad instaurare regole eque che disciplinino la protezione del diritto d’autore nel
mercato unico e ad adeguare la legislazione sulla materia all’evoluzione
tecnologica in corso. La direttiva 2001/29/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 22 maggio 2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto
d’autore e dei diritti connessi risponde alla necessità del mercato interno di
un’armonizzazione e dell’istituzione di un quadro giuridico generale e flessibile
per uno sviluppo armonioso della società dell’informazione; poiché a livello
comunitario è diffusa la convinzione che il diritto d’autore svolga un’importante
funzione di protezione e di stimolo allo sviluppo per la commercializzazione di
nuovi prodotti e servizi, la direttiva sopra citata dispone che artisti, autori,
produttori di fonogrammi o pellicole nonché gli organismi di diffusione televisiva
abbiano il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione delle loro
opere, delle prestazioni artistiche e delle trasmissioni, nonché di autorizzare o
meno qualsiasi comunicazione o messa a disposizione al pubblico delle opere
stesse. La stessa direttiva applica le medesime regole alla distribuzione.
Sia questo che gli altri e precedenti atti delle istituzioni comunitarie sono stati
finalizzati, oltre che ad un’armonizzazione a livello comunitario, ad un
CONCLUSIONI
210
adeguamento dell’ordinamento dell’Unione alle norme create dall’Organizzazione
Mondiale della Proprietà Intellettuale, in materia di diritto d’autore, di
interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi, riunite rispettivamente nei
Trattati W.T.C. e W.P.P.T., adottati a Ginevra il 20 dicembre 1996.
Non si dimentichi inoltre, collegandosi al tema del diritto d’autore,
l’inarrestabile avvento della tecnologia caratterizzante almeno la seconda metà del
XX secolo, che rende la nostra epoca un’era digitale e che attualizza al massimo
grado il problema della protezione del copyright, attraverso internet. Viviamo
nell’era dell’informazione, dove accanto all’interesse che l’autore ha nel
conseguire un beneficio economico dallo sfruttamento commerciale dell’opera,
convive un interesse dell’intera collettività, che vuole fruire dell’opera ed elevare il
proprio standard culturale. La normativa tradizione si dimostra assolutamente
incapace ed inadeguata di fronte ad opere rese pubbliche attraverso internet:
poiché però si tratta di problematiche che si estendono ben al di là dei confini
nazionali, si rende necessaria una universalizzazione ed omogeneizzazione della
tutela del copyright, a livello internazionale, come auspicato dagli Stati nella
Convenzione Universale del Copyright. Le opere digitali sono infatti, per loro
stessa natura, estremamente vulnerabili perché possono essere copiate,
manipolate ed in generale piratate con un’enorme facilità rispetto a quanto non
avvenga per i supporti tradizionali. Come già ricordato, l’Europa ha pubblicato,
nel 1996, un Libro Verde sul diritto d’autore e sui diritti connessi nella società
dell’informazione, ha cercato di analizzare l’impatto delle nuove tecnologie su
questi stessi diritti e ne ha concluso che è fortemente auspicabile ed urgente un
intervento mirato al controllo e alla lotta contro la pirateria, alla tutela dei diritti di
distribuzione e noleggio delle registrazioni sonore ed audiovisive e alla protezione
dei programmi per elaboratore.
Parlando di proprietà intellettuale è necessario almeno un accenno alla
relativamente nuova disciplina delle novità vegetali e del trattamento dei ritrovati.
CONCLUSIONI
211
La rivoluzione agricola ed alimentare infatti, ha posto al centro dell’attenzione il
problema dell’innovazione in campo vegetale. Nuove specie o tipi di piante con
particolari caratteristiche relative alla loro riproduzione, crescita, capacità di
resistenza, riproduttive od estetiche, sono oggi tutelabili grazie all’emissione di un
apposito certificato di novità vegetale. Esso valorizza la ricerca, ricompensa lo
sforzo economico dell’impresa e costituisce per essa uno strumento
indispensabile per un’adeguata affermazione rispetto alla concorrenza. Il
certificato può essere richiesto in ciascuno dei Paesi in cui si ritiene necessario
ottenere la tutela, perché si pensa di poterla sfruttare commercialmente attraverso
vendite dirette o indirette, ovvero si può depositare una domanda che, sulla base
di accordi internazionali, permette di ottenere la tutela complessivamente per un
certo numero di Stati.
A livello europeo è stato istituito un regime di privativa per i ritrovati vegetali,
valido su tutto il territorio della Comunità, che consente la concessione di diritti
di proprietà industriale per le varietà vegetali, ad opera dell’Ufficio Comunitario
delle Varietà Vegetali (U.C.V.V.), operativo dal 1995, con sede ad Angers, in
Francia. La privativa comunitaria per i ritrovati vegetali viene concessa
dall’Ufficio a seguito di un dettagliato esame, che valuta la sussistenza dei requisiti
di distinzione, omogeneità e stabilità, oltre che quello della novità: essa non può
però essere cumulata con una privativa nazionale o con un brevetto. Tale sistema
è stato creato, a partire dal 1994, con il Regolamento 2100/94, concernente la
privativa comunitaria per ritrovati vegetali, e con i successivi regolamenti di
attuazione dello stesso. L’obiettivo era e rimane non tanto quello di affiancare od
armonizzare i sistemi nazionali, quanto quello di sostituirsi ad essi: un costruttore
che chieda, in base alle regole dettate dai suddetti regolamenti, la concessione di
una privativa, otterrà un diritto di sfruttamento esclusivo per la sua varietà
vegetale su tutto il territorio dell’UE, attraverso un'unica domanda presso
l’U.C.V.V..
CONCLUSIONI
212
Per quanto concerne invece la disciplina del design, esso si configura come
il mezzo principale per conferire originalità ed individualità ad un prodotto, ma
serve altresì per dare al cliente una precisa indicazione circa la qualità e la
funzionalità del bene. A livello comunitario la disciplina ha conosciuto
un’evoluzione del tutto simile a quella della materia dei marchi: nel 1998 la
Comunità ha adottato una direttiva che ravvicina le legislazioni nazionali per
renderle compatibili con i modelli e i disegni comunitari, per garantire la libera
circolazione dei prodotti che incorporano dei disegni o dei modelli e per
salvaguardare il gioco della libera concorrenza all’interno della Comunità. Nel
2001, con il Regolamento 6/2002 del Consiglio, è stato creato un sistema
comunitario dei disegni e dei modelli per eliminare la necessità di effettuare
registrazioni nazionali, in base a normative statali diverse nell’ambito della CE.
Esso mira infatti a porre in essere un sistema unificato per ottenere un disegno o
modello comunitario che possa beneficiare di una protezione uniforme all’interno
del mercato comune, in modo da eliminare gli ostacoli e le distorsioni della
concorrenza e soprattutto da favorire la creatività e l’innovazione fornendo una
protezione sicura ed unificata. In questo caso, come in quello del marchio
comunitario, il sistema convive e si integra perfettamente con i sistemi dei
quindici, cosicché tutte le questioni che non rientrano nel campo di applicazione
del Regolamento rimangono disciplinate dai diritti nazionali degli Stati membri.
Non si può infine non menzionare l’enorme settore della contraffazione e
della pirateria, per la cui lotta le istituzioni comunitarie si sono attivate con
comunicazioni e proposte di direttive e che, a detta delle stesse, va
ragionevolmente inserito nell’ambito della proprietà intellettuale. Contraffazione
e pirateria sono divenute, nel corso degli anni, un fenomeno nazionale di immani
dimensioni, con notevoli ricadute sul piano economico e sociale. Le disparità dei
mezzi utilizzati nei quindici Stati membri per garantire il rispetto delle norme a
tutela della proprietà intellettuale però, hanno costituito un involontario ostacolo
ad una lotta efficace contro contraffazione e pirateria, cosicché si è reso
CONCLUSIONI
213
necessario un intervento mirato, a livello comunitario. Infatti, se da una parte
l’armonizzazione del diritto materiale della proprietà intellettuale ha consentito di
facilitare la libera circolazione delle merci e di rendere più trasparenti le norme
applicabili, dall’altra i mezzi per far rispettare tali diritti non avevano, fino alla fine
degli anni ’90, formato l’oggetto di una vera e propria armonizzazione. Nel 1998
la Commissione ha quindi presentato un Libro Verde per far conoscere il
problema e proporre una serie di iniziative per combatterlo; gli ambienti
interessati si sono dimostrati molto attenti alla problematica, hanno proposto
possibili iniziative da intraprendere, suscitando una forte attesa per una
risoluzione della problematica da parte delle istituzioni dell’Unione. Il piano
d’azione della Commissione, presentato sotto forma di Comunicazione nel
novembre del 2000, comprendeva azioni urgenti a breve e medio termine che
avrebbero coinvolto le autorità pubbliche e il settore privato e che avrebbero
dovuto integrarsi alle iniziative orizzontali nei settori della giustizia e degli affari
interni. Da tutto ciò è sortita recentemente, nel gennaio del 2003, la proposta di
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle misure e alle
procedure volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, i cui
obiettivi dovrebbero essere, oltre quello di armonizzare le disposizioni nazionali,
quelli di promuovere l’innovazione e la competitività delle imprese, tutelare
l’occupazione, evitare le perdite fiscali e la destabilizzazione dei mercati,
assicurare la protezione del consumatore e il mantenimento dell’ordine pubblico.
Con queste finalità gli Stati dovranno prevedere le misure e le procedure
necessarie per assicurare il rispetto dei diritti di privativa, privando i responsabili
del mancato rispetto di un diritto del profitto economico che ne deriva ed
applicando sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.
Con questa breve panoramica sugli altri settori della proprietà intellettuale,
forse meno noti all’opinione pubblica, ma senz’altro altrettanto importanti per le
strategie delle imprese comunitarie e per la loro competitività sul mercato globale,
sempre più al centro dell’attenzione per le istituzioni comunitarie, il quadro può
CONCLUSIONI
214
ritenersi completo ed esaustivo. Come si vede la materia della proprietà
intellettuale ha conosciuto e continua ad allargare la sua portata, in ambito
comunitario, con velocità diverse e modalità talvolta molto differenziate a
seconda dei singoli ambiti interessati.
A conclusione di tutto questo lavoro, che ha fotografato la situazione
normativa del settore nell’Unione Europea, si vuole, in un certo qual modo,
rimettere tutto in discussione. La cosa potrebbe apparire paradossale, ma la scelta
è semplicemente il frutto di un dubbio che sorge spontaneo a chi, dopo essersi
occupato a lungo della materia, ripetutamente legge su quotidiani e periodici del
continuo ed aspro dibattito circa la bontà o meno della protezione di questi diritti
di proprietà intellettuale.
Dopo aver, durante tutto il corso della trattazione, difeso il valore dei diritti di
privativa, interpretando quella che è la visione ufficiale dell’Unione Europea e
delle istituzioni, si intende, a questo punto della trattazione, lasciare brevemente
spazio alle opinioni dissenzienti, che sono senz’altro molte e si moltiplicano con il
passare del tempo e con l’aumento di importanza e di numero delle normative a
tutela di marchi e brevetti.
Ovviamente non si ha, in questa sede, la pretesa di dare ragione all’una piuttosto
che all’altra opinione: semplicemente, per completezza di trattazione, si vuole dar
conto delle critiche espresse quotidianamente alle posizioni fino a questo
momento assunte come veritiere e univoche, cosicché chiunque, da un quadro
completo della situazione, possa autonomamente trovare una risposta personale
alla diatriba.
Franco Carlini, su Il Manifesto del 5 ottobre 2003540, scrive: “la teoria
consolidata dei brevetti, con i quali un inventore ottiene dallo Stato un
monopolio limitato nel tempo (di solito 20 anni) per lo sfruttamento esclusivo
540 F.Carlini, Asimmetrie del diritto: il brevetto, in Il Manifesto, 5 ottobre 2003, p. 13
CONCLUSIONI
215
della sua invenzione, hanno una potente funzione di incentivo alla ricerca; se non
ci fosse quella protezione e se ognuno potesse liberamente copiare le invenzioni
altrui, allora agli inventori passerebbe la voglia di farlo. Fin qui la teoria, che però
non si appoggia sempre su adeguate basi teoriche o empiriche”. “L’analisi fatta da
Petra Moser, della Sloan School of Management del MIT, indica una situazione
molto più differenziata, per settori tecnologici e per Paesi. Per dirla con le parole
della stessa studiosa: «non ho trovato alcuna prova che le leggi sui brevetti
incrementino effettivamente il livello di attività innovativa, ma semmai la prova
che le leggi influenzano le distribuzione dell’innovazione tra le diverse
industrie.»” “Intanto c’è la conferma che molti Paesi, nella fase della loro prima
industrializzazione, traggono maggior beneficio dalla importazione (e eventuale
copiatura) delle invenzioni di altri Paesi: in qualche modo tutti i sistemi
economici (anche quello statunitense) sono stati dei pirati della proprietà
intellettuale altrui. Solo quando una certa industria locale si è sufficientemente
sviluppata, allora quel Paese sente i bisogno di tutelarsi dotandosi di leggi sui
brevetti. Così è andata la storia e così sta succedendo anche oggi, a conferma che
il diritto allo sfruttamento della proprietà intellettuale non può essere considerato
un diritto assoluto, ma che è storicamente situato, all’interno di un processo”.
Tutto il testo Il mondo sotto brevetto dell’economista indiana Vandana
Shiva541 è un attacco ai sistemi di proprietà intellettuale, primo tra tutti quello dei
TRIPs, istituito in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. La teoria
secondo cui i brevetti e gli altri diritti di proprietà intellettuale contribuirebbero a
stimolare la creatività e l’inventiva, mentre l’assenza di essi si accompagnerebbe
ad una carenza di creatività e di ingegno, sarebbe, secondo Shiva, una leggenda
fondata su un’artificiosa concezione del sapere e dell’innovazione, “secondo cui il
sapere è un che di isolato nel tempo e nello spazio, privo di legami con il tessuto
sociale e con le conoscenze precedentemente accumulate”542. “Questa idea della
creatività, che si dispiega solo quando sono formalmente in vigore norme a difesa
541 V.Shiva, Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2001542 Ivi, p. 23
CONCLUSIONI
216
del diritto di proprietà intellettuale, è la più assoluta negazione della creatività
osservabile in natura e di quella generata da moventi altri dal profitto, nelle
società industrializzate come in quelle non industrializzate. E’ una negazione del
ruolo dell’innovazione nelle culture tradizionali così come nella sfera pubblica.
Anzi, l’interpretazione prevalente in materia di diritti di proprietà intellettuale
conduce a una grave distorsione nella concezione della creatività e, quindi, nella
comprensione della storia della disuguaglianza e della povertà”543.
Il contrasto tra le due visioni della proprietà intellettuale si coglie molto bene
dalla critica che Shiva muove allo scrittore Robert Sherwood e alle idee esposte
nel testo Intellectual Property and Economic Development . Quest’ultimo, nel suo testo,
mette in evidenza il contrasto di mentalità tra chi vive in un Paese dove non vige
il diritto di proprietà intellettuale e chi, invece, vive dove tale diritto è
efficacemente riconosciuto. Così, il rappresentante di una ditta statunitense
produttrice di pompe, individuate le potenziali utilità di un certo tipo di valvola a
pressione, impiegò tutto il suo tempo libero per progettare la suddetta valvola,
ottenne dalle autorità competenti il relativo brevetto, la cui garanzia gli permise di
creare una piccola impresa produttrice di tale pompa e di produrre ricchezza per i
vent’anni di durata della tutela. Egli non si era mai fermato a riflettere sulla natura
ed il valore della proprietà intellettuale: semplicemente aveva dato per scontata la
possibilità di chiedere ed ottenere una tutela brevettuale. Sherwood paragona
l’inventore statunitense ad un giovane peruviano di Lima, saldatore di marmitte
su auto e camion di mestiere, il quale immagina di poter realizzare un morsetto
che possa semplificare l’istallazione delle marmitte stesse. “Gli converrà passare le
serate e i weekend a progettare e realizzare la sua idea? Gli converrà investire il
denaro risparmiato o chiedere un prestito al marito di sua sorella?” In realtà
nessuno dei suoi amici o parenti, pur senza aver mai riflettuto a lungo sulla
valenza della proprietà intellettuale, gli consiglierebbe di perder tempo in questo
progetto perché sanno che la sua idea rischia di esser rubata da altri: egli non può
543 Ivi, p. 26
CONCLUSIONI
217
dare per scontato che la sua idea troverà protezione. La mancanza di fiducia nella
protezione di un’idea innovativa indurrà il giovane a rinunciare all’impresa e
all’investimento. Sherwood ne conclude che “dove quest’esempio risulta
moltiplicato indefinitamente la perdita di opportunità che si registra è disastrosa.
Dove, invece, vige un efficace sistema di protezione, regna una maggiore fiducia
nel fatto che il patrimonio intellettuale possa divenire prezioso ed essere protetto,
e nella testa delle persone si farà strada una mentalità creativa ed incline
all’inventiva, che è il fondamento di qualsiasi sistema di protezione della proprietà
intellettuale”. Ribatte Shiva: “Al cuore dell’ideologia del diritto di proprietà
intellettuale vi è appunto l’errore secondo cui gli individui sarebbero creativi solo
se sono in grado di fare profitti, i quali – a loro volta – sarebbero garantiti
soltanto dalla difesa del diritto di proprietà intellettuale. Questa visione, però,
trascura di considerare la creatività scientifica di chi – come la maggior parte degli
scienziati attivi nelle università e nei circuiti di ricerca pubblica – non è affatto
spinto dalla ricerca del profitto. Trascura, inoltre, la creatività delle società
tradizionali e della moderna comunità scientifica in cui il libero scambio delle idee
è essenziale, e non antitetico, alla creatività. I sistemi globali dei brevetti, del resto,
risultano assai più correlati ai monopoli sulle importazioni che non al “compenso
per la creatività” cui si ricorre per giustificarli”544.
Joost Smiers nel suo articolo La proprietà intellettuale è un furto!545 ripropone
le stesse critiche, applicate al diritto d’autore, confutando la tesi secondo cui tali
diritti costituirebbe un terreno fertile per la proliferazione di nuove idee e
creatività. “Il concetto, un tempo utile, di diritto d’autore diventa uno strumento
di controllo del bene comune intellettuale e creativo, nelle mani di un ristretto
numero di imprese. L’antropologa canadese Roosemary Colombe, specialista in
diritti d’autore, osserva che «nella cultura consumistica, la maggior parte di
immagini, testi, etichette, marchi, logo, disegni, arie musicali e anche colori sono
544 Ivi, p. 27545 J.Smiers, La proprietà intellettuale è un furto!, in Le Monde Diplomatique, Settembre 2001 (anche inwww.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2001 )
CONCLUSIONI
218
governati, se non controllati, dal regime di proprietà intellettuale». Le
conseguenze di questo controllo monopolistico sono spaventose”. “Abbiamo
bisogno di un sistema di proprietà intellettuale per promuovere creatività?
Assolutamente no. Un numero sempre maggiore di economisti, dati alla mano,
dimostra che l’espandersi dei diritti d’autore favorisce più chi investe che chi crea
e interpreta. L’economista britannico Martin Kretschmers conclude che «la
retorica dei diritti d’autore è stata ingigantita essenzialmente da un terzo partner,
gli editori e le case discografiche, cioè da coloro che investono in creatività (più
che dagli artisti), diventati i primi beneficiari di questa protezione estesa»”.
Queste sono solo alcuni stralci di una corrente d’opinione oramai molto
diffusa e in alcuni casi divenuta preponderante. Non si ha la pretesa di dire chi
abbia ragione e se le protezioni conferite dalle autorità nazionali piuttosto che
comunitarie abbiano una valenza positiva o meno: forse il problema sta, come
spesso accade, nell’esagerazione. Forse il problema risiede nel fatto che la tutela,
in taluni casi, è stata portata alle estreme conseguenze, dilatata a dismisura, tanto
da diventare, da strumento efficace che era, un’arma potenzialmente pericolosa
nelle mani di pochi. Sarebbe utile che i governi ed i legislatori si confrontassero
con queste opinioni dissenzienti, bilanciassero gli interessi delle varie parti
interessate, tenessero in via considerazione le questioni etiche oltre che quelle
economiche e sociali
Ad ognuno di noi, in questa sede, non rimane che trarre le proprie personali
conclusioni, e valutare autonomamente la bontà o meno dei sistemi di tutela della
proprietà intellettuale.
BIBLIOGRAFIA
MONOGRAFIE
AA.VV., Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario, Giuffrè, Milano 1996
Accords ADPIC: Accord sur les aspects des droits de la proprieté intellectuelle qui touchent
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privativa comunitaria per i ritrovati vegetali
Regolamento CE n° 3288/94 del Consiglio del 22 dicembre 1994,che modifica il
precedente Regolamento 40/94 ai fini dell’attuazione degli accordi conclusi
nel quadro dell’Uruguay Round, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle
Comunità Europee L349 del 31 dicembre 1994
Regolamento CE n° 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante
le modalità di esecuzione del regolamento CE n° 40/94 del Consiglio, sul
marchio comunitario
BIBLIOGRAFIA
ccxl
Regolamento CE n° 6/2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001 su disegni e
modelli comunitari, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale L3 del 5 gennaio 2002
Revisione di Ginevra del 13 maggio 1977 dell’Arrangement di Nizza
Revisione di Ginevra del 28 settembre 1979 dell’Arrangement di Nizza
Revisione di Stoccolma del 14 luglio 1967 dell’Arrangement di Madrid
Revisione di Stoccolma del 14 luglio 1967 dell’Arrangement di Nizza
Revisione di Stoccolma del 14 luglio 1967 della Convenzione di Unione di Parigi
Schema di Convenzione sul diritto Europeo dei Marchi, a cura della Commissione
delle Comunità Europee, 1973
SITI CONSULTATI
Sito de Il Manifesto: www.ilmanifesto.it
Sito dell’Exensis: www.exensis.it
Sito dell’Ige: www.ige.it
Sito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: www.wto.org
BIBLIOGRAFIA
ccxli
Sito dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale: www.ompi.org
(francese) o www.wipo.org (inglese)
Sito dell’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno: www.oami.eu.int
Sito dell’Unione Europea: www.europa.eu.int
Sito della Jei: www.jei.it/infogiuridica
Sito della Rappresentanza Italiana presso l’Unione Europea: www.italiaue.it
Sito della società americana Coca Cola: www.coca-cola.com
Sito della Società Italiana Brevetti: www.sib.it
Sito della Mytech: www.mytech.it
INDICE DEI CASI
Allen & Hambury c. Generics, causa 434/85, sentenza del 3 marzo 1988, C.M.L.R.
p. 701
Aragonesa, cause C 1/90 e C 176/90
Basset c.SACEM, causa 402/85, sentenza del 9 aprile 1987, E.C.R. p. 2605
Cassis de Dijon, causa 120/78, sentenza del 20 febbraio 1979
Centrafarm BV c. Winthrop BV, causa 16/74, sentenza del 31 ottobre 1974, E.C.R.
p. 1183
Centrafarm BV and Adriaan De Peijper c. Sterling Drug Inc., causa 15/74, sentenza del
31 ottobre 1974, E.C.R. p. 1147
CICR c. Renault, causa 53/87, sentenza del 5 ottobre 1988, E.C.R. p. 6067
CNL-SUCAL c. Hag (Hag II), causa C-10/89, sentenza del 17 ottobre 1990,
E.C.R. p. 3711
INDICE DEI CASI
ccxliii
Coditel c. Ciné Vog, causa 62/79, sentenza del 18 marzo 1980, E.C.R. p. 881
Consten and Grundig c. E.C. Commission, cause C-56/64 e 58/64, sentenza del 13
luglio 1966, E.C.R. p. 429
Dansk Supermarket c. Imerco, sentenza del 1981, E.C.R. p. 181
Dassonville, causa 8/74, sentenza dell’11 luglio 1974
Deutsche Grammophon GmbH c. Metro-SB-Grossmarkte &Co., Causa 78/70, sentenza
dell’8 giugno 1971, E.C.R. p. 487
Deutsche Renault c. Audi, causa C-317/91, sentenza 30 novembre 1993, C.M.L.R. p.
461
Harpegnies, causa C 400/96, sentenza del 17 settembre 1998
Hoffman-La Roche c. Centrafarm, causa 102/77, sentenza del 1978, E.C.R. p. 1139
IHT Internazionale Heinztechnich GmbH c. Ideal Standard GmbH, causa C-9/93,
sentenza del 22 giugno 1994, E.C.R. p. 2789
INDICE DEI CASI
ccxliv
Keurhoop c. Nancy Kean Gifts BV, causa 144/81, sentenza del 14 settembre 1982,
E.C.R. p. 2853
Musik Vertrieb Membran c. GEMA, cause 55 e 57/80, sentenza del 1981, E.C.R. p.
147
Merck and Co. c. Staphar BV, causa 187/80, sentenza del 14 luglio 1981, E.C.R. p.
2963
Nungesser and Eisele c. E.C. Commission, causa 258/78, sentenza del 1982, E.C.R. p.
2015
Parfums Christian Dior SA c. Evora BV, causa C-337/95, sentenza del 4 novembre
1997, R.P.C. p. 166
Parke, Davis c. Centrafarm, causa 24/67, sentenza del 1968, E.C.R. p. 55
Pharmon c. Hoechst,Causa 19/84, sentenza del 9 luglio 1985, E.C.R. p. 2281
RTE and ITP c. E.C. Commission, causa C 241/91, sentenza del 1995, E.C.R. II p.
485
INDICE DEI CASI
ccxlv
Sebago e Dubois, causa C-173/98, sentenza del 1 luglio 1999
Silhouette, causa C-355/96, sentenza del 16 luglio 1998
Sirena S.R.L. c. Eda S.R.L., causa 49/70, sentenza del 18 febbraio 1971, E.C.R. p.
69
Terrapin Overseas Ltd c. Terranova Industries CA Kapferer and Co., causa 199/75,
sentenza del 1976, E.C.R. del 1976, p. 1039
Thetford Corporation c. Fiamma SpA, causa 35/87, sentenza del 30 giugno 1988,
C.M.L.R. p. 549
Van Zuylen Frères c. Hag ( HAG I), Causa 192/73, sentenza del 3 luglio 1974,
E.C.R. p. 713
Warner Bros c. Christiansen, causa 158/85, sentenza del 17 maggio 1987, E.C.R. p.
2605
Un caloroso ringraziamento al professor Giuseppe Porro, che mi ha seguito con
pazienza ed attenzione durante tutto il periodo della tesi, ed a tutti gli altri docenti
del Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, per i loro
contributi in questi quattro anni di studi universitari.
Grazie alla mia famiglia, che ha permesso la realizzazione di questo percorso,
incoraggiandomi e seguendomi costantemente e pazientemente.
Grazie ai tanti e preziosi amici di casa, dell’università e del Collegio “Renato
Einaudi” di Torino.