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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE INTERNAZIONALI E DIPLOMATICHE TESI DI LAUREA AZIONE E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA IN MATERIA DI TUTELA DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE RELATORE: PROF. GIUSEPPE PORRO CANDIDATA: GIULIA MANASSERO ANNO ACCADEMICO 2002/2003

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINOFACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE INTERNAZIONALI EDIPLOMATICHE

TESI DI LAUREA

AZIONE E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA INMATERIA DI TUTELA

DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

RELATORE: PROF. GIUSEPPE PORRO

CANDIDATA: GIULIA MANASSERO

ANNO ACCADEMICO 2002/2003

A mamma, papà e Francesca

INDICE

INTRODUZIONE 6

CAPITOLO PRIMO

LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE

DELE MERCI IN EUROPA

1.1 LE COMPETENZE COMUNITARIE

1.1.1 Il principio di sussidiarietà

1.2 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

1.2.1 Natura ed applicazioni della proprietà intellettuale

1.2.2 Ruolo ed obiettivi della proprietà intellettuale

1.2.3 L’origine della proprietà intellettuale in Europa

1.2.4 La Corte di Giustizia ed il ruolo della giurisprudenza in Europa

1.3 IL DIRITTO COMUNITARIO E LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

1.3.1 Il diritto derivato e la proprietà intellettuale

1.3.2 La partecipazione comunitaria alle iniziative internazionali in materia

di proprietà intellettuale

1.4 LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E LA PROPRIETÀ

INTELLETTUALE

1.4.1 La libera circolazione delle merci negli articoli del Trattato

1.4.2 La natura territoriale dei diritti di proprietà intellettuale

1.4.3 Un modus vivendi tra libertà di circolazione delle merci e proprietà

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intellettuale

1.4.4 L’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale

1.4.5 La distinzione tra esistenza ed esercizio del diritto

1.4.6 Il principio dell’esaurimento comunitario

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CAPITOLO SECONDO

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA

GIURISPRUDENZA

2.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GIURISPRUDENZA

2.1.1 Rinvii pregiudiziali e tutela della proprietà intellettuale

2.1.2 Vari percorsi per un’analisi giurisprudenziale

2.1.3 L’evoluzione della giurisprudenza in tre fasi

2.1.4 La giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di tutela della

proprietà intellettuale

2.2 LA PRIMA FASE GIURISPRUDENZIALE

2.2.1 Diritto dei marchi e riconfezionamento dei prodotti

2.2.2 Marchi identici con origine comune

2.2.3 Il caso Hag I

2.2.4 Le critiche alla sentenza Hag I

2.3 LA SECONDA FASE GIURISPRUDENZIALE

2.3.1 Le conclusioni dell’Avvocato Generale nel caso Hag II

2.3.2 Il tentativo di giustificare la dottrina dell’origine comune nella causa

Terrapin/Terranova

2.3.3 Il caso Hag II

2.4 LA TERZA FASE GIURISPRUDENZIALE

2.5 L’EVOLVERSI DELLA GIURISPRUDENZA IN MATERIA BREVETTUALE

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2.5.1 Il caso Centrafarm c. Sterling Drug

2.5.2 Il caso Pharmon c. Hoechst

2.5.3 Il caso Merck c.Stephar

2.6 L’EVOLVERSI DEL DIRITTO D’AUTORE

2.6.1 La sentenza Membran c.GEMA

2.6.2 Il caso Ciné Vog c. Coditel

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CAPITOLO TERZO

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

3.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI MARCHI

3.1.1 Il marchio: la sua natura ed il suo valore

3.1.2 La funzione distintiva del marchio

3.1.3 Requisiti di validità del marchio

3.1.4 Evoluzione storica del marchio

3.2 LA PROTEZIONE DEL MARCHIO A LIVELLO INTERNAZIONALE

3.2.1 La Convenzione di Unione di Parigi

3.2.2 L’Arrangement di Madrid

3.2.3 Il Protocollo di Madrid

3.2.4 La scelta tra Accordo e Protocollo

3.2.5 La Convenzione di Nizza

3.2.6 L’accordo TRIPs

3.3 LA DISCIPLINA DEI MARCHI A LIVELLO COMUNITARIO

3.3.1 Un percorso lungo trent’anni

3.3.2 L’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno

3.4 IL MARCHIO COMUNITARIO

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3.4.1 I caratteri del marchio comunitario

3.4.2 Contenuto del marchio comunitario

3.5 MARCHIO COMUNITARIO E MARCHI NAZIONALI

ED INTERNAZIONALI

3.5.1 Marchio comunitario e marchi nazionali

3.5.2 Marchio comunitario e marchi internazionali

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CAPITOLO QUARTO

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

4.1 INTRODUZIONE ALLA MATERIA

4.1.1 La natura del diritto di brevetto

4.1.2 I requisiti dell’invenzione

4.1.3 Tipologie di invenzioni brevettabili

4.1.4 La funzione di un brevetto

4.1.5 L’excursus storico dell’istituto

4.2 LA TUTELA DEL BREVETTO A LIVELLO INTERNAZIONALE

4.2.1 L’applicazione della C.U.P. alla disciplina brevettuale

4.2.2 La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale

4.2.3 Il Patent Cooperation Treaty

4.2.4 Una scelta tra diverse procedure

4.3 IL BREVETTO EUROPEO

4.3.1 La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo

4.3.2 L’Organizzazione Europea dei Brevetti

4.3.3 La procedura per il rilascio di un Brevetto Europeo

4.3.4 Brevetto Europeo e brevetti nazionali

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4.4 IL BREVETTO COMUNITARIO

4.4.1 La Convenzione di Lussemburgo del 1975

4.4.2 Il brevetto comunitario sulla strada della realizzazione

4.4.3 La proposta di Regolamento della Commissione del 2000

4.4.4 Via libera al brevetto comunitario: le ultime novità

195

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204

CONCLUSIONI 207

BIBLIOGRAFIA ccxix

INDICE DEI CASI .ccxlii

INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

La scelta di studiare una materia tanto specifica e tecnica come la proprietà

intellettuale è stata, paradossalmente, casuale e mirata allo stesso tempo. La

ricerca era infatti indirizzata ad una disciplina che potesse esemplarmente

rappresentare il percorso compiuto dal processo di integrazione comunitaria,

senza essere uno di quei settori classici, utilizzati in ogni corso di diritto

comunitario o in ogni manuale, per individuare l’evoluzione delle competenze

comunitarie. Se di solito si scelgono le materie dell’ambiente e della ricerca e

sviluppo per illustrare come le competenze comunitarie si sono allargate,

erodendo in un certo senso quelle degli Stati membri, nel presente studio si è

scelta una materia senz’altro meno nota ma altrettanto duttile ed adatta ad

mostrare tale percorso evolutivo. Come nel caso della materia ambientale infatti,

la proprietà intellettuale è passata ad essere, da totalmente estranea al diritto

comunitario a protagonista ed oggetto di attenzione da parte delle istituzioni

comunitarie.

Negli anni ’50 probabilmente non si considerava necessaria una

regolamentazione ad hoc, a livello comunitario, per i marchi, i brevetti, il diritto

d’autore o gli altri diritti connessi: solo con il passare degli anni ci si è resi conto

dell’importanza di una normativa per questo settore, indispensabile per

proteggere le imprese operanti a livello comunitario e per aumentarne la

competitività rispetto ai grandi colossi, soprattutto statunitensi e giapponesi.

La proprietà intellettuale è quindi stata scelta per illustrare, da un punto di vista

meno noto, quella che è stata l’evoluzione delle competenze comunitarie e del

diritto comunitario nel suo insieme.

Come in altri campi, l’intervento è stato graduale e tutt’altro che facile. Gli Stati,

un tempo unici ed inequivocabili titolari della facoltà di concedere tali diritti di

privativa, si sono dovuti arrendere di fronte alla necessità di una

INTRODUZIONE

7

regolamentazione comune, a livello comunitario. In taluni casi la cessione di

competenze è stata meno faticosa che in altri, come con riferimento ai marchi di

impresa, per i quali la creazione di un marchio comunitario, fortemente voluta

dalle istituzioni comunitarie, non è stata sostanzialmente ostacolata dalle pretese

statalistiche dei quindici. In altri il percorso è stato pieno di insidie, dovute

principalmente alla difficoltà degli Stati di trovare un punto di incontro su alcune

questioni spinose. E’ senz’altro il caso della materia brevettuale, a tutt’oggi

soggetta ad una notevole incertezza, causata dalla ritrosia degli Stati a trovare un

accordo che permetta l’entrata in vigore della Convenzione di Lussemburgo, con

la quale verrebbe rilasciato alle imprese il tanto auspicato brevetto comunitario.

Il presente lavoro ripercorre le tappe principali di questa evoluzione,

partendo dall’analisi degli articoli del Trattato CE che, seppur in via marginale, si

occupano della proprietà intellettuale. Salta subito agli occhi infatti, accostandosi

alla disciplina e tenendo presenti gli scopi dell’intero progetto comunitario, che

esiste un contrasto di fondo tra questi ultimi e la natura stessa dei diritti di

privativa. Mentre questi ultimi sono improntati ad una logica prettamente

territorialistica, per cui la protezione che un’autorità conferisce ad un soggetto

non si estende al di là delle frontiere del Paese che tale autorità rappresenta, tra gli

scopi principali inseguiti a livello comunitario vi è quello della libera circolazione

delle merci e dei servizi e della formazione di un unico grande mercato unico

comunitario. Come conciliare queste due opposte e contrastanti prerogative? E a

chi affidare il compito di risolvere il problema? Il lavoro ripercorre, prima a

livello teorico e poi attraverso l’analisi delle più note sentenze, il cammino

intrapreso e seguito per più di quaranta anni dalle istituzioni comunitarie, con a

capo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Esse hanno infatti sviluppato

una serie di principi, nel tentativo di conciliare le esigenze e di appianare il

contrasto tra l’obiettivo di libera circolazione delle merci e quello teso alla tutela

della proprietà intellettuale.

Così ci si sofferma sulla differenza tra esistenza del diritto di privativa ed esercizio

dello stesso, sull’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale, con

INTRODUZIONE

8

riferimento specifico alle materie dei marchi, dei brevetti e del copyright, ed

infine si analizza dettagliatamente il principio dell’esaurimento comunitario del

diritto: esso, di matrice originariamente comunitaria, fu in principio messo a

punto dai giudici comunitari con riferimento alla materia brevettuale e

successivamente traslato ed adattato alle discipline dei marchi e del diritto

d’autore.

Attraverso questi tre principi, la Commissione con i suoi pareri e la Corte di

Giustizia con le sue sentenze hanno ridisegnato la normativa dei diritti di

proprietà intellettuale, preparando il terreno ad una regolamentazione puramente

comunitaria. Per questo motivo, l’intero secondo capitolo è dedicato all’analisi

delle sentenze più significative, nelle quali la Corte ha enunciato ed approfondito i

principi sopra citati, portando la materia all’attenzione delle altre istituzioni

comunitarie e muovendo essa stessa, autonomamente, verso una

regolamentazione ex novo del settore, a livello comunitario. La giurisprudenza

della Corte, sebbene non perfetta, ha saputo essere flessibile e duratura nel

tempo, permettendo una soluzione realistica e sensibile di molti problemi che

sorgevano, man mano che le imprese si espandevano ed i loro interessi per le

privative aumentavano. Accettata la non totale indipendenza dei giudici

comunitari nel procedere all’elaborazione di politiche comunitarie del tutto

nuove, si deve comunque ammettere che l’impatto delle loro sentenze è stato

almeno un forte stimolo per ulteriori, successivi ed approfonditi interventi

legislativi.

Le sentenze più significative sono raggruppate in base al diritto di

privativa che ne costituisce l’oggetto: così la materia dei marchi è stata oggetto di

ampia attenzione e trattazione poiché in essa si concentrano la maggior parte

delle novità, che poi con il tempo sono state riproposte anche negli altri settori

della proprietà intellettuale.

In materia di marchi, la presente tesi individua un iter giurisprudenziale composto

da tre fasi, ognuna caratterizzata da poche sentenze cardine, nelle quali la Corte

ha dettato le regole sulla materia, che le imprese ed i soggetti interessati erano

INTRODUZIONE

9

tenuti a seguire. La prima fase è caratterizzata dalla sentenza Hag I, improntata

alla massima liberalizzazione e concretizzata nel divieto di impedire il passaggio di

merci protette da un Paese all’altro, ogni qual volta il proprietario sia lo stesso o

almeno sia consenziente: essa segna l’orientamento seguito a livello comunitario

per circa una quindicina d’anni, fino al cambiamento di rotta della Corte,

enunciato nella successiva sentenza Hag II: essa è caratterizzata da una minore

liberalizzazione del mercato e dalla facoltà, data ad un titolare di marchio, di

opporsi all’importazione di prodotti recanti lo stesso segno e provenienti da un

Paese terzo, dove siano stati commercializzati senza il suo consenso. L’erroneità

di tale posizione e la necessità di far prevalere il principio della libera circolazione

sulla territorialità dei diritti di privativa vennero di lì a poco riaffermati, nella

sentenza Ideal Standard, che segna l’orientamento seguito ancora oggi ed indicato

come veritiero e affidabile dalla stessa Corte: tutto si può fare al fine di tutelare i

produttori e i consumatori, i quali devono essere in grado di distinguere un

prodotto dall’altro, sulla base del segno che esso reca, ma tutto ciò deve avvenire

nel rispetto dello scopo principale del Trattato, che è quello di creare un unico e

grande mercato comunitario: l’alienazione dei marchi nazionali non deve

assolutamente avere lo scopo di determinare una separazione fra i mercati dei due

Paesi comunitari interessati, in relazione al prodotto recante il marchio oggetto di

contesa.

Anche le materie del brevetto e del copyright sono state al centro di

un’evoluzione giurisprudenziale, che viene studiata in questa sede ma che

presenta meno particolarità in quanto segue di pari passo l’iter percorso dalla

materia dei marchi.

Una volta affermata la necessità di una regolamentazione, accettata da

parte degli Stati e concepita nel giusto modo dalle istituzioni comunitarie, le

stesse hanno dato vita ad una vera e propria regolamentazione legislativa: anche

lo studio in questione percorre questo cammino e, dopo aver visto come si è

potuti giungere all’intervento legislativo, lo analizza nel dettaglio con riferimento

ai settori dei marchi e dei brevetti.

INTRODUZIONE

10

Così il terzo capitolo è interamente dedicato al sistema comunitario dei marchi:

allargandosi ad analizzare le iniziative internazionali per la tutela dei marchi a cui i

Paesi, ora membri della UE, avevano preso parte ben prima di partecipare

all’integrazione comunitaria, restringe l’attenzione al diritto comunitario e agli

interventi legislativi delle istituzioni dell’Unione. E’ questa, tra tutte quelle

appartenenti alla proprietà intellettuale, l’area che detiene il primato di traguardi

raggiunti, grazie soprattutto alla creazione dell’Ufficio preposto alla concessione

dei marchi comunitari: di essi viene brevemente ricostruita la natura, ne vengono

analizzati il funzionamento e la valenza, al fine di sottolineare l’enorme successo

dell’iniziativa e di commentare la sempre più diffusa richiesta di registrazione a

livello comunitario.

Lo stesso tipo di analisi viene infine compiuto con riferimento alla materia dei

brevetti, partendo anche in questo caso da uno studio delle iniziative intraprese, a

livello internazionale, prima e dopo l’inizio del processo di integrazione

comunitaria, a tutela delle invenzioni e dei loro artefici. In questo caso, lo studio

del percorso europeo deve obbligatoriamente soffermarsi sul binomio brevetto

europeo/brevetto comunitario e soprattutto sull’annosa questione della mancata

entrata in vigore della Convenzione di Lussemburgo del 1975, istituente il tanto

auspicato brevetto comunitario. Si tratta di questioni a tutt’oggi aperte, soggette ai

ripensamenti e alle iniziative delle istituzioni, nonché alle volontà e alla litigiosità

degli Stati membri. Al momento della stesura del lavoro una soluzione non è stata

ancora trovata, cosicché ci si deve accontentare di testimoniare i più recenti passi

in avanti, in attesa di una vera e definitiva risposta al problema, da parte delle

autorità sia comunitarie che nazionali.

Per questo studio sono stati utilizzati vari testi, di diverso genere e

destinati ad un pubblico variopinto. Se da una parte sono risultati indispensabili

manuali di diritto industriale e diritto comunitario per l’inquadramento del tema,

dall’altro sono stati utilizzati testi ed articoli destinati ad un pubblico

imprenditoriale, lontano dall’ambito universitario. Con questi testi si sono potuti

INTRODUZIONE

11

cogliere aspetti pragmatici delle problematiche, difficilmente reperibili altrove, si

sono individuati i vantaggi partici che una regolamentazione sicura ed efficace a

livello comunitario potrebbe garantire alle imprese europee e si sono ravvisati i

problemi a cui queste stesse vanno incontro ogni giorno, rincorrendo una

adeguata tutela per le loro opere o per i loro segni distintivi.

Ovviamente non sono mancati studi più teorici, dibattiti su questioni ancore

aperte, articoli di commento alle iniziative comunitarie e alle pronunce della

Corte, reperibili soprattutto su riviste specializzate, edite in Italia ma soprattutto

nel mondo editoriale anglosassone. Infine non si dimentichi l’imprescindibile

apporto dato dai testi completi delle pronunce della Corte di Giustizia,

consultabili, nella versione ufficiale, in lingua francese o inglese se precedenti la

fine degli anni ’60, in lingua italiana se più recenti.

Per tutto questo materiale è stato fondamentale l’aiuto e la disponibilità di

materiale delle varie biblioteche universitarie e non, in particolare della Biblioteca

di Scienze Giuridiche “Francesco Ruffini”, della Biblioteca “S.Cognetti de

Martiis” del Dipartimento di Economia, della Biblioteca Nazionale Universitaria

e della Biblioteca Civica Centrale di Torino, nonché dei centri di documentazione

della Camera di Commercio e dell’Istituto Universitario di Studi Europei,

entrambi di Torino.

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

1. LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE E LA LIBERA

CIRCOLAZIONE DELLE MERCI IN EUROPA

1.1 LE COMPETENZE COMUNITARIE

I Trattati istitutivi delle Comunità Europee non prevedevano in modo

espresso quale fosse la ripartizione di competenze tra la Comunità e gli Stati

membri; tuttavia, guardando al Trattato nel suo insieme, si evince con chiarezza

che la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono espressamente

conferite dallo stesso, in base al cosiddetto “principio delle competenze di attribuzione”.

Com’è tipico delle organizzazioni internazionali1, infatti, gli Stati hanno conferito

alle Comunità tutti i poteri e le competenze funzionali necessari al

raggiungimento dei suoi obiettivi. Il principio delle competenze d’attribuzione è

codificato nel Trattato CE dall’articolo 5.12, il quale disegna una Comunità non

dotata di poteri o funzioni generali, ma precisi ed esplicitati nelle norme del

Trattato. Sono dunque le stesse norme ad indicare se, in un determinato settore,

la Comunità gode di una competenza esclusiva, tale da precludere qualsiasi

intervento degli Stati membri, o di una concorrenza concorrente con quella degli

stessi Stati. A titolo esemplificativo si ricordi che tra le competenze

originariamente previste, le istituzioni comunitarie agivano in via esclusiva nei

campi dell’agricoltura, dei trasporti e dei rapporti commerciali con i Paesi terzi.

Per le competenze concorrenti si pensi invece alla politica economica e

1 C. Zanghì, Istituzioni di diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino 2000, p. 2702 Il nuovo testo ha chiarito il precedente articolo 3 del Trattato CE, nel quale ci si limitava adaffermare che “ l’azione della Comunità deve svolgersi alle condizioni […] del presente trattato”.Il presente articolo recita infatti: “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sonoconferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato”. Per la consultazione deitrattati comunitari cfr. C.Nescimbene, Comunità e Unione Europea: codice delle istituzioni,Giappichelli, Torino 1999

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

13

monetaria3, alla politica sociale o alla previsione generale dell’articolo 94 sul

ravvicinamento delle legislazioni che abbiano incidenza diretta sul funzionamento

del mercato interno.

Nella consapevolezza che una ripartizione di competenze nei vari settori

avrebbe potuto determinare una serie di lacune che avrebbero rischiato di

paralizzare l’attività comunitaria, i redattori del Trattato inserirono nello stesso

l’articolo 308 in base al quale: “quando un’azione della Comunità risulti necessaria

per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della

Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal

uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della

Commissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo, prende le

disposizioni del caso”4. Tale articolo fu utilizzato in modo non occasionale fin dal

Vertice di Parigi del 1972 sia per estendere e sviluppare competenze comunitarie

già esistenti5, sia per crearne di nuove in settori precedentemente riservate alla

sovranità degli Stati6. Poiché l’articolo 308 richiede una deliberazione

all’unanimità del Consiglio su proposta della Commissione e previa consultazione

del Parlamento Europeo, il ricorso ad esso è stato spesso sconsigliato dalla Corte

di Giustizia: essa ha suggerito di limitarne l’uso ai soli casi in cui nessun altra

disposizione fosse invocabile per legittimare l’intervento degli organi comunitari.

La stessa Corte, in coerenza con tale atteggiamento, ha elaborato una versione

comunitaria della cosiddetta “teoria dei poteri impliciti”7, dandovi particolare rilievo.

Essa comporta il riconoscimento – senza la necessità di ricorrere alla regola

dell’unanimità per soddisfare l’articolo 308 – di poteri non espressamente

conferiti alle istituzioni comunitarie ma indispensabili per un esercizio efficace ed

3 Si continua a far riferimento alle competenze previste dai trattati istitutivi.4 Si tratta del vecchio articolo 2355 Ad esempio, l’articolo 308 venne utilizzato nelle discipline della politica regionale, della politicasociale e delle relazioni esterne6 Ad esempio nei campi della politica energetica, della protezione ambientale,della protezione deiconsumatori, della politica di ricerca e sviluppo7 La teoria dei poteri impliciti fu elaborata per la prima volta dalla Corte Suprema degli StatiUniti d’America per permettere alle autorità federali l’adozione di atti sulla base degli Enumerated

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

14

appropriato delle competenze attribuite e strumentali per l’espletamento dei

compiti affidati alla Comunità8.

1.1.1 Il principio di sussidiarietà

Si affiancano ai principi sopra elencati il principio di sussidiarietà, definito

dall’articolo 5.2 del Trattato CE ed il principio contenuto nell’articolo 1.2 CE,

secondo cui l’UE deve prendere le sue decisioni il più vicino possibile ai cittadini.

L’articolo 5.29 dispone che “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza

la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella

misura in cui gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere

sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle

dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello

comunitario”. Secondo tale principio, che ha avuto riconoscimento formale con il

Trattato di Maastricht, nella conduzione della propria azione le istituzioni

comunitarie sono tenute ad agire solo quando il loro intervento si riveli

indispensabile, lasciando viceversa alle istanze nazionali o locali l’adozione di

discipline che meglio rispondono alle attese dei cittadini: la realtà è però molto

diversa perché spesso la normativa comunitaria è molto dettagliata al fine di

imporre agli Stati, solitamente recalcitranti, un’effettiva armonizzazione

legislativa. Non c’è ancora in Europa una chiara visione della sussidiarietà, come

invece esiste nei più avanzati sistemi federali del mondo. Inoltre, rispetto alla

funzione propria di questo principio, il dibattito rimane a tutt’oggi aperto:

secondo Strozzi10 il principio ha assunto un chiaro significato restrittivo o

negativo, presentandosi come un limite all’ampliamento delle competenze

powers, ovvero dei poteri loro concessi in maniera tassativa e quindi non suscettibili diun’interpretazione estensiva, di cui all’articolo X del Bill of Rights8 G.Strozzi, Diritto istituzionale dell’Unione Europea. Parte istituzionale, Giappichelli, Torino 1998, p.369 Già articolo 3B, aggiunto dal Trattato sull’Unione Europea

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

15

comunitarie e non come un incentivo alla loro espansione; infatti occorre

dimostrare che l’azione comunitaria risponde meglio alle esigenze ma anche che

gli Stati non sono in grado di espletarle, in modo adeguato, al loro livello. Se non

ricorrono entrambe queste condizioni, la regola generale è che le competenze

primarie restano agli Stati e quelle comunitarie costituiscono l’eccezione.

Secondo Draetta11 invece, se negli Stati federali il principio risponde all’esigenza

di preservare il decentramento dei poteri da un’eccessiva invadenza delle autorità

centrali, nella CE il problema è opposto perché l’esigenza prevalente è quella di

assicurare alla Comunità quel minimo di poteri necessari perché l’interesse

unitario possa prevalere su quelli particolari dei singoli membri. Al massimo la

sussidiarietà può servire per ridurre le competenze statali a favore delle istanze

locali o regionali, soddisfacendo così anche l’altro principio sopra citato, per il

quale l’Unione decide in modo che i suoi atti siano “il più possibile vicino ai

cittadini”12.

Infine si ricordi il cosiddetto principio di proporzionalità, riguardante la scelta

dello strumento legislativo più idoneo in ogni situazione: esso stabilisce che gli

organi comunitari dovranno utilizzare gli atti che comportano il minor sacrificio

per la sovranità degli Stati e che siano i più convenienti ed efficaci per il sistema

comunitario. Tale principio è formulato dall’articolo 5.3 Trattato CE nel seguente

modo: “l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il

raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato”13.

10 G.Strozzi, Diritto dell’Unione Europea – Parte Istituzionale: dal trattato di Roma al trattato di Nizza,Giappichelli, Torino 2001, p. 3911 U.Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte istituzionale, Giuffrè, Milano 1999, p. 6112 Si tratta del già ricordato articolo 1.2 trattato UE, come sostituito dal Trattato di Amsterdam,che recita: “il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unionesempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo piùtrasparente possibile e il più possibile vicino ai cittadini”.13 Il principio della proporzionalità, formulato dall’articolo 5 comma terzo del Trattato,richiamato nel testo, ha la finalità di regolare il modo in cui devono essere esercitate lecompetenze comunitarie, assicurando che vi sia corrispondenza tra i mezzi adoperati ed i fini daraggiungere. Perciò le istituzioni comunitarie, potendo scegliere, dovranno utilizzare gli atti checomportano minori sacrifici per la sovranità degli Stati

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

16

All’interno di questo quadro introduttivo e generale, ci si interroga sul

livello a cui si inserisce la nascita e l’evoluzione della tutela della proprietà

intellettuale in Europa. Poiché le differenze tra le legislazioni in materia di marchi

di impresa, brevetti per invenzione e diritti d’autore si configuravano come

situazioni di disturbo all’interno di una collettività che si stata evolvendo in

direzione di uno spazio economico unico, si cercò un ravvicinamento delle

legislazioni, quale disciplinato dagli articoli 94 e 95 del trattato CE14 e a monte

dall’articolo 3.1 lettera h Trattato CE. Quest’ultimo infatti dispone: “ai fini

enunciati all’articolo 2, l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e

secondo il ritmo previsti dal presente trattato: … h) il ravvicinamento delle

legislazioni nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune; …”: il

ravvicinamento non è concepito come un obiettivo di semplificazione e

razionalizzazione delle relazioni giuridiche infrastatali fine a se stesso, ma serve ad

eliminare situazioni che turbano il funzionamento della Comunità, e nello

specifico deve contribuire al raggiungimento degli obiettivi comuni di cui

all’articolo 2 Trattato CE.

Esso rientra tra le competenze delle istituzioni comunitarie e viene attuato tramite

i provvedimenti previsti dall’articolo 249 Trattato CE, cosicché gli strumenti

legislativi utilizzati sono sostanzialmente direttive e regolamenti, oltre che

raccomandazioni e pareri che la Commissione può formulare per indurre gli Stati

ad armonizzare le loro legislazioni in materia.

Tra le istituzioni maggiormente impegnate nella promozione del

ravvicinamento figurano la Commissione, che partecipa soprattutto con pareri e

raccomandazioni, e la Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Essa, ai sensi

dell’articolo 220 Trattato CE, “assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e

nell’applicazione del presente trattato”15; nel corso degli anni essa però ha volto

un ruolo che è andato molto al di là del significato letterale di tale norma ed ha

contribuito in maniera determinante, con le sue pronunce e sentenze, al processo

14 Tutto il capo III del Titolo VI è dedicato a questa materia e intitolato al “ravvicinamento dellelegislazioni”

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

17

di integrazione comunitaria e, nello specifico, al ravvicinamento delle legislazioni

in materia di tutela della proprietà intellettuale.

1.2 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PROPRIETA’

INTELLETTUALE

1.2.1 Natura ed applicazioni della proprietà intellettuale

La “proprietà intellettuale” è un’espressione utilizzata in modo generico

per indicare un fascio od una serie di diritti che proteggono e tutelano attività di

tipo immateriale, la cui importanza economica è fondamentale e non va

sottovalutata. Essa designa infatti l’insieme dei diritti riconosciuti da un dato

ordinamento per la tutela del brevetto per invenzione, del marchio d’impresa, del

diritto d’autore, dei modelli e disegni ornamentali, del diritto di costituzione di

specie vegetali e dei diritti connessi. Utilizziamo l’espressione “proprietà

intellettuale” nella sua accezione più vasta, comprensiva di tutti i diritti che

abbiamo appena elencato, in luogo dell’espressione “proprietà industriale e

commerciale”, contemplata dall’articolo 30 del Trattato CE. Quest’ultima

formula, utilizzata dai redattori del Trattato, ha fatto sorgere nel corso degli anni

non pochi dubbi di interpretazione, in particolare con riferimento ai diritti di

proprietà letterale ed artistica che, secondo alcuni autori, non dovrebbero essere

compresi nella dicitura dell’articolo 30 e quindi non dovrebbero interessare

l’attività comunitaria. Questi dubbi sorsero perché negli ordinamenti di alcuni

Stati membri il copyright non è considerato nell’insieme dei diritti di “proprietà

industriale o commerciale”, ma viene incluso nella “proprietà intellettuale od

artistica”16. Tali incertezze furono però chiarite da una sentenza della Corte di

Giustizia, Membran c. GEMA del 1981: in tale occasione la Corte infatti dichiarò

15 Già articolo 16416 P.Oliver, Free movement of goods in the European Community: under articles 30 to 36 of the treaty ofRome, Sweet & Maxwell, Londra 1996, p. 242

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

18

che l’espressione “proprietà industriale e commerciale” di cui all’articolo 3617

comprende la tutela conferita dal copyright, soprattutto quando essa sia sfruttata

sotto forma di licenze, le quali possono colpire il commercio di opere letterarie ed

artistiche”18.

I diritti creati e rientranti sotto questa definizione sono diritti di proprietà,

perché si concretizzano nei confronti di chiunque agisca contro di essi, anche se

lo fa perché ne ignora l’esistenza. Si tratta però sempre di creazioni della mente,

come un’idea per un’invenzione, una melodia ed un’armonia composte in un

brano musicale o una data raffigurazione con la funzione di marchio: essi non

possono, come invece sarebbe possibile nel caso di oggetti fisici, essere protetti

contro l’utilizzo da parte di altri soggetti, solo attraverso il mero possesso

dell’oggetto. Una volta che la creazione intellettuale sia resa disponibile al

pubblico, il suo creatore di fatto non può esercitare a lungo un controllo su di

essa ed sul suo utilizzo. Questa incapacità o impossibilità di fatto a proteggere la

creazione attraverso il possesso sottende l’intero concetto di proprietà

intellettuale19.

La gamma delle attività tutelate da questi diritti è differenziata ed estesa; ne da

un’ottima definizione uno degli autori più celebri e stimati tra gli studiosi della

materia, W. R. Cornish. Nelle prime pagine del suo libro20 Cornish spiega che:

“Patents give temporary protection to technological inventions and design

rights to the appearance of mass produced goods, copyright gives longer

lasting rights in, for instance, literary, artistic and musical creations; trade

17 La Corte utilizzava all’epoca la vecchia numerazione. L’articolo in questione corrispondeall’articolo 30 dell’attuale numerazione18 Caso Musik Vertrieb Membran c. GEMA, cause 55 e 57/80, sentenza del 198119 WIPO, Introduction to Intellectual Property Theory and Practice, Kluwer Law International, Londra1997, p. 1120 W.R.Cornish, Intellectual Property, Sweet & Maxwell, Londra 1996, p. 3

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

19

marks are protected against imitation so long at least as they continue to

be employed in trade”21

L’eterogeneità si può cogliere molto bene da queste parole: una forma di

proprietà intellettuale, quella dei marchi d’impresa, può avere una durata

indefinita, condizionata al loro semplice utilizzo, mentre altri diritti, come quelli

che tutelano autori di opere letterarie ed artistiche, esistono solo per un periodo

limitato; ad esempio le norme a protezione del copyright di solito prevedono un

periodo di tutela pari alla durata della vita dell’autore più settant’anni successivi

alla morte di quest’ultimo. Alcune forme di protezione nascono

automaticamente, come nel caso del copyright o del diritto di design non

registrato; per altre invece è richiesta una registrazione la cui domanda deve

essere presentata presso un apposito ufficio, nazionale o non22, perché la

protezione possa essere invocata. Questo è il caso dei brevetti, dei marchi, dei

diritti di design registrati. Nel caso in cui sia richiesta la registrazione, la

protezione consiste nel diritto esclusivo del titolare di utilizzare il materiale

registrato; al contrario, se la registrazione non è necessaria, la tutela si esplica nella

non concessione della copia senza l’autorizzazione dell’avente diritto23.

1.2.2 Ruolo ed obiettivi della proprietà intellettuale

La proprietà intellettuale si distingue dagli altri ambiti di legge perché il suo

scopo non è semplicemente quello di regolare alcuni tipi di rapporti tra i cittadini

di uno Stato, come fanno ad esempio il diritto commerciale o quello penale:

21 “I brevetti conferiscono una protezione temporanea alle invenzioni tecnologiche estabiliscono i diritti per la messa in commercio di beni di largo consumo; il copyright prevede undiritto permanente per le creazioni letterarie, artistiche o musicali; i marchi sono protetti controle imitazioni fintanto che continuano ad essere utilizzati in commercio”22 Come si vedrà in seguito, ad esempio, con il Regolamento del Consiglio 40/94 del 1994 èstato istituito il cosiddetto Marchio Comunitario, valido sull’intero territorio CE e per il cuiottenimento è necessario presentare un’apposita domanda presso l’Ufficio per l’armonizzazionedel mercato interno ( marchi e design), che ha sede ad Alicante, in Spagna23 Cfr. T.Prime, European Intellectual Property Law, Ashgate, Aldershot 2000, p. 10

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

20

secondo G.Tritton24 il suo fine è più nobile, in quanto consiste nel dare

riconoscimento al creatore o all’inventore e attraverso ciò nel promuovere il

progresso economico e tecnologico. Anche S.Singleton25 sostiene la medesima

tesi, affermando senza timore che la proprietà intellettuale incoraggia

l’innovazione poiché, rassicurati dalla consapevolezza che le loro opere e

creazioni saranno tutelate e i loro investimenti protetti dai diritti di proprietà

intellettuale, i creatori e soprattutto le imprese dirigono i loro sforzi e le loro

risorse verso le politiche di innovazione, ricerca e sviluppo.

Queste tesi trovano riscontro in quello che, per decenni, è stato il

comportamento degli Stati: essi hanno sempre tentato di tutelare le creazioni per

due fondamentali ragioni26. La prima consiste nel dare riconoscimento legale alle

pretese morali ed economiche dei creatori e degli inventori; la seconda è legata

alla promozione, attraverso una riconosciuta politica governativa, della creatività

e della diffusione dei suoi risultati, nonché all’incoraggiamento della ricerca e della

sperimentazione che possono contribuire ad un armonioso sviluppo sociale ed

economico. Le stesse motivazioni si possono ritrovare nei testi di G.Tritton27, il

quale ne parla, chiamandole rispettivamente “giustificazione privata” e

“giustificazione pubblica”28: secondo la prima dottrina l’esistenza della proprietà

intellettuale si giustifica come ricompensa all’autore, creatore, designer per lo

sforzo creativo compiuto. Alla luce della seconda tesi invece, la tutela della

proprietà intellettuale è necessaria per incentivare le compagnie ad investire

capitali umani e finanziari nella ricerca e nello sviluppo. Tra il resto si ricordi che

questa giustificazione è stata spesso invocata dalle multinazionali per difendersi

dalle accuse di comportamenti anticoncorrenziali.

Tra le due dottrine o cause di giustificazione, a seconda dei casi , una può essere

prevalente o addirittura la unica calzante; spesso però sono presenti entrambe.

24 G.Tritton, Intellectual Property in Europe, Sweet & Maxwell, Londra 199625 S.Singleton, European Intellectual Property Law, Financial Times – Financial publishing, 1996,p.1426 WIPO, op.cit., p. 15427 G. Tritton, op.cit., p. 31728 Tritton si riferisce rispettivamente a “private justification” e “public justification”

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

21

Le legislazioni sulla proprietà intellettuale furono in origine sviluppate

dagli Stati per avere effetto esclusivamente all’interno dei loro territori. Ci si rese

però presto conto, nel corso del XIX secolo, che una cooperazione a livello

internazionale era necessaria per assicurare ai creatori una protezione dei loro

lavori anche al di là dei confini nazionali oltre che per garantire una reciprocità di

protezione tra i vari Stati. Fin dalla prima convenzione internazionale in materia,

la Convenzione di Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale

del 1883, pochi altri ambiti di diritto sono stati oggetto di altrettanta

cooperazione tra gli Stati come la proprietà industriale.

Questo potrebbe apparire paradossale, qualora si considerasse attentamente

quanto alto sia il grado di territorialità e nazionalità di tali diritti; il risultato di

questo approccio “sovrastatale” è stato quindi quello di favorire un considerevole

grado di armonizzazione tra le legislazioni dei vari Paesi in questa disciplina.

1.2.3 L’origine della proprietà intellettuale in Europa

A livello europeo, guardando al Trattato di Roma del 195729, istitutivo

delle Comunità Europee, si nota che i redattori di quest’ultimo non fecero alcun

riferimento esplicito alla proprietà intellettuale, non menzionandola mai. Il

riferimento più vicino è contenuto nell’articolo 30 del Trattato CE30, che

annovera tra le possibili ragioni di deroga all’articolo 28, la “proprietà industriale

29 I trattati di Roma, a cui si fa comunemente riferimento singolare, vennero firmati a Roma, informa solenne, il 25 marzo 1957 tra i rappresentanti dei governi di Belgio, Francia, Germania,Italia, Lussemburgo e Olanda; essi istituirono rispettivamente la Comunità Economica Europea(CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica ( CEEA o EURATOM) ed entrarono invigore, dopo le opportune ratifiche, il 1° gennaio 1958. Sul tema cfr. S.Pistone, L’integrazioneEuropea. Uno schizzo storico, UTET, Torino 1999; N.Nugent, Governo e Politiche dell’Unione Europea,Il Mulino, Bologna 2001; M T.Bitsch, Histoire de la construction européenne, Editions compléte,Bruxelles 2000; U.Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea, parte istituzionale, Giuffrè, Milano1999, terza edizione; L.Daniele, Il diritto materiale della Comunità Europea: introduzione allo studio delMercato interno e delle politiche comunitarie, Giuffrè, Milano 200030 Già articolo 36

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

22

e commerciale”. Fin da subito venne evidenziato il contrasto tra uno dei

principali obiettivi della Comunità, qual è quello della libera circolazione delle

merci e del mercato unico, e le legislazioni nazionali in materia di proprietà

intellettuale. Inizialmente ci si convinse che i redattori del Trattato avessero

appositamente evitato l’argomento per lasciare che fossero gli Stati a regolarne il

funzionamento; si argomentò che i contrasti di cui si diceva poco sopra

dovessero essere appianati se non addirittura eliminati semplicemente attraverso

una progressiva armonizzazione delle legislazioni statali. E questo si sarebbe

potuto raggiungere - si disse - attraverso il ricorso a quelle disposizioni del

trattato che regolano appunto il ravvicinamento delle legislazioni, contenute nel

capo III del titolo IV31.

Ma i rapporti tra la proprietà intellettuale e concorrenza, settore oggetto di

enorme attenzione da parte delle istituzioni comunitarie, stravolsero questo

approccio e fin dagli anni ’60 ci si orientò verso un’integrazione tra la disciplina in

esame e il diritto comunitario, che andasse oltre la semplice armonizzazione.

1.2.4 La Corte di Giustizia ed il ruolo della giurisprudenza in Europa

Il ruolo giocato dalla Corte di Giustizia è stato nel corso degli anni e

continua ad essere fondamentale: sebbene la giurisprudenza non abbia svolto

tradizionalmente un ruolo di rilievo quale fonte di diritto nella maggior parte degli

Stati membri, soprattutto nei Paesi di Civil Law32, le sentenze della Corte di

Giustizia si sono rivelate determinanti nella creazione e nella definizione

dell’ordinamento giuridico comunitario33. Poiché il diritto comunitario si è

mostrato spesso poco chiaro e preciso, la Corte si è trovata in molti settori a

deliberare su una base giuridica molto imprecisa. Essa è andata pertanto ben oltre

31 Ci si riferisce, in termini di articoli, ai numeri 94 e 95 del Trattato CE32 Tra i Paesi dell’UE costituiscono un’eccezione il Regno Unito e l’Irlanda le cui Corti,appartenenti ad una tradizione di Common Law, sono sempre riuscite a ritagliarsi un ruoloimportante nel panorama legislativo. Si veda a tal proposito A.Gambaro e R.Sacco, SistemiGiuridici Comparati, in Trattato di Diritto Comparato, UTET, Torino 200233 N.Nugent, op.cit., p. 232

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

23

una semplice interpretazione tecnica e grammaticale delle norme scritte ed ha

colmato, con la sua opera, le lacune del diritto comunitario; così facendo essa non

solo ne ha definito il contenuto ma lo ha esteso.

Nel campo della proprietà intellettuale è stata soprattutto la Corte

appunto, a disegnare i rapporti tra questa e l’ordinamento comunitario: ciò

significa che oggi, grazie agli innumerevoli interventi dell’istituzione giudiziaria

europea, il titolare di un diritto di privativa può ottenerne la tutela a livello

comunitario allorquando riesca a dimostrare la valenza comunitaria dello stesso

diritto.

Come verrà dimostrato nei capitoli successivi di questo lavoro, l’opera della Corte

si è inoltre rivolta verso un altro obiettivo: evitare che la tutela di questi diritti

fosse invocata in modo abusivo e finalizzata ad ostacolare gli scambi commerciali

tra gli Stati membri. In questo caso l’auspicato intervento di armonizzazione e

legislativo avrebbe potuto essere usato come un’arma a doppio taglio, minacciosa

nei confronti degli obiettivi dell’intero sistema comunitario. Era quindi sentito

come necessario un intervento puntuale di regolamentazione anche con

riferimento alle eventuali violazioni del diritto in materia di proprietà intellettuale.

Su queste basi si diede inizio ad un processo di armonizzazione e

creazione legislativa insieme: essi hanno portato ad un considerevole

avvicinamento delle legislazioni e ad un sostanziale coordinamento delle politiche

statali in materia di tutela dei marchi, dei brevetti, del diritto d’autore, del design e

dei diritti collegati.

A titolo esemplificativo si ricordino brevemente34 le azioni della Comunità in

materia di brevetti e marchi d’impresa.

Nel diritto dei marchi la Comunità ha agito essenzialmente su due livelli paralleli:

sono state armonizzate le legislazioni degli Stati membri, soprattutto con direttive

del Consiglio dell’UE35 ed è stato creato un Marchio Comunitario, valevole per

l’intero territorio comunitario. Esso è stato istituito con il Regolamento del

34 Entrambi gli argomenti saranno ripresi più avanti, nelle trattazioni dedicate rispettivamente aimarchi e ai brevetti, nei capitoli terzo e quarto

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

24

Consiglio 40/94 del 1994, è entrato in vigore nel 1996 ed ha avuto molto più

successo di quanto non ci si aspettasse; l’Ufficio per il Marchio Comunitario,

ufficialmente denominato “Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno

(marchi e design)” ha sede ad Alicante, in Spagna; si tratta di un sistema molto

più avanzato del primo, di armonizzazione, in quanto crea lo stesso diritto per

tutti i cittadini dell’Unione.

In materia di brevetti per invenzione invece, l’azione comunitaria si è esplicata

inizialmente attraverso l’attuazione della Convenzione sul Brevetto Europeo

(C.B.E.), firmata a Monaco di Baviera (Germania) nel 197336: con essa si è creato

un sistema attraverso cui il richiedente ottiene, con un’unica domanda depositata

presso l’Ufficio per il Brevetto Europeo, con sede a Monaco, un brevetto

“unico”: si tratta però, in realtà, di un fascio di brevetti, corrispondenti ognuno al

brevetto ottenibile dall’ufficio a ciò preposto in ogni Stato aderente, ma

attraverso un’unica domanda.

Si ricordi inoltre che la CBE non è un’iniziativa nata e cresciuta all’interno del

solo ambito comunitario; altri Stati europei, come la Svizzera ed il Liechtenstein,

vi aderiscono; la si cita però parlando di proprietà intellettuale in sede UE perché

tutti gli Stati membri della Comunità vi hanno preso parte.

Aveva invece un’aspirazione più elevata la Convenzione sul Brevetto

Comunitario (C.B.C.), firmata a Lussemburgo nel 197537: essa voleva istituire un

brevetto unico, questa volta nel senso letterale del termine, valido e con le stesse

prerogative su tutto il territorio comunitario. Si capì infatti presto che solo il varo

di un sistema brevettale unitario per l’intero territorio della Comunità avrebbe

potuto eliminare l’attrito esistente tra sistemi brevettali statali e Mercato

Comune38. Essa purtroppo ha conosciuto un lungo periodo di stallo dovuto

soprattutto alla ritrosia degli Stati a trovare un punto d’incontro su alcune

35 In questo campo la prima direttiva del Consiglio è la numero 89/104 del 198936 La C.B.E. fu sottoscritta a Monaco il 5 ottobre 1973 ed è entrata in vigore il 7 ottobre 1977;l’Italia vi ha dato attuazione con il d.p.r. n° 32 dell’8 gennaio 1979, poi modificato dal d.p.r. n°338 del 22 giugno 197937 La C.B.C. venne firmata a Lussemburgo il 15 dicembre 197538 A.Vanzetti e V.Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano 1996, p. 276

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

25

questioni particolarmente spinose. Il punto che è stato oggetto delle maggiori

riserve riguarda l’attribuzione esclusiva al giudice comunitario della competenza a

decidere della nullità del brevetto39. Perciò iniziarono alla metà degli anni ’90 i

lavori per la sua revisione, che si concentrarono soprattutto sulle questioni più

spinose e si conclusero con la sottoscrizione di un nuovo testo, sempre a

Lussemburgo, il 15 dicembre 198940. Oggi l’iniziativa sembra aver ritrovato

vigore e sussistono tutte le condizioni perché si possa effettivamente arrivare alla

creazione di un brevetto comunitario.

Non bisogna infine dimenticare l’impegno delle istituzioni a conciliare le esigenze

dei titolari di diritti di privativa e la necessità di garantire la libera concorrenza,

attraverso l’applicazione e il rispetto delle norme del Trattato e del diritto

secondario.

1.3 IL DIRITTO COMUNITARIO E LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE

Nelle pagine precedenti si è già avuto modo di accennare al conflitto alla

base del rapporto tra i diritti di proprietà intellettuale e la libera circolazione delle

merci, quale prevista dagli articoli del Trattato. Già l’articolo 3 del Trattato CE

enumera, tra le politiche della Comunità, alla lettera c, “un mercato interno

caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera

circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”. I diritti sulla

proprietà intellettuale possono invece essere esercitati, in modo volontario o

casuale, in modo da costituire un ostacolo alla libertà di circolazione.

Non è pertanto imprevisto e inspiegabile il comportamento della Corte che,

come visto, ha sviluppato nel corso degli anni una copiosa e mirata

giurisprudenza, nel tentativo di risanare questo conflitto.

39 Tra i Paesi che sollevarono più resistenze dopo la sottoscrizione, spiccano Irlanda eDanimarca

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

26

Gli articoli che maggiormente configurano tale contrasto e sono quindi

più frequentemente citati parlando di proprietà intellettuale sono quelli

riguardanti il divieto di restrizioni al commercio di beni, cioè gli articoli 28 e

successivi.

Non bisogna però dimenticare, parlando di questa disciplina, che in altri ambiti la

Comunità si è trovata ad avere a che fare con la proprietà intellettuale.

Sicuramente degni di nota sono il diritto secondario dedicato alla materia, gli

accordi internazionali sull’argomento a cui la CE ha preso parte ed infine, la

disciplina comunitaria della concorrenza, contenuta negli articoli 81 e seguenti del

Trattato41, a cui sarà dedicata una breve trattazione individuale. Agli altri due

ambiti si intende lasciare breve spazio, prima di procedere all’analisi del rapporto

tra proprietà intellettuale e libera circolazione.

1.3.1 Il diritto derivato e la proprietà intellettuale

Per diritto derivato o secondario si intende l’insieme degli atti normativi

derivanti dalle norme del Trattato e dalla giurisprudenza della Corte. Esso è

regolato dall’articolo 249 del Trattato che indica, tra gli atti tipici, i regolamenti, le

direttive e le decisioni, e tra quelli atipici, le raccomandazioni e i pareri; si sono

inoltre affermati nella prassi altri tipi di atti, non previsti espressamente dal

Trattato, tra cui le conclusioni, le dichiarazioni, le proposte, gli inviti e la

posizione comune. In materia di proprietà intellettuale, sono state utilizzate

soprattutto le direttive per l’armonizzazione delle legislazioni tre gli Stati, mentre

il ricorso ai regolamenti è stato più frequente laddove fosse necessario un

intervento più forte della Comunità, finalizzato alla creazione di un regime di

proprietà intellettuale proprio del sistema comunitario. Si ricordino ad esempio il

regolamento 40/89 che ha istituito il marchio comunitario o la prima direttiva di

armonizzazione delle legislazioni nazionali sui marchi d’impresa, la direttiva

40 L’Italia ha ratificato la CBC con la legge n° 302 del 26 luglio 199341 P.Oliver, op.cit., p. 8.119 – 8.128

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

27

89/104. Secondo Oliver42 rientrano in questa categoria anche le Convenzioni di

Monaco e di Lussemburgo, firmate rispettivamente nel 1973 e nel 1975, di cui

solo la prima entrata in vigore.

Si tratta di un settore che, in generale, ha avuto un grande ed inaspettato successo

e continua tuttora a produrre proposte e spunti interessanti.

1.3.2 La partecipazione comunitaria alle iniziative internazionali in materia di proprietàintellettuale

Per ciò che riguarda invece la partecipazione della Comunità ad iniziative

di carattere internazionale in questa disciplina, non si possono non menzionare i

TRIPs o Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights43, frutto dei

negoziati dell’Uruguay Round44 e concepiti per creare uno spazio ad hoc ai diritti

di proprietà intellettuale in ambito WTO45, vista la dimostrata incidenza

economica degli stessi46. Molti autori47 ritengono che l’accordo rappresenti lo

sviluppo più significativo dell’ultimo secolo in materia di proprietà intellettuale48.

I TRIPs si inseriscono nell’amplissimo complesso normativo che dovrà essere

42 Ibid.43 Alla denominazione in lingua inglese si affianca quella in francese: gli accordi prendono iltitolo di “Accords sur les aspects des droits de la proprieté intellectuelle qui touchent lecommerce” o A.D.P.I.C.44 I negoziati dell’Uruguay Round iniziarono nel settembre 1986 a Punta de l’Este e siconclusero con l’accordo sottoscritto a Marrakesh il 15 aprile 1994: con essi è stato creato ilnuovo sistema internazionale per la disciplina degli scambi improntato al neoliberismo ecostituita l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I Paesi membri dell’Organizzazione sonoattualmente 146.45 L’Accordo TRIPs si presenta come un accordo appendice ( in lingua inglese “Annexe” )all’Accordo WTO, insieme ad altri tredici accordi multilaterali riguardanti il commercio dei beni,il commercio dei servizi, la risoluzione delle controversie oppure aventi ad oggetto accordicommerciali plurilaterali. Sulla materia cfr. M Blakeney, Trade Related Aspects of Intellectual PropertyRights: a concise guide to the TRIPs Agreement, Sweet and Maxwell, Londra 1996, p. 846 Per dati più precisi cfr. Accords ADPIC, Accord sur les aspects des droits de la proprietà intellectuelle quitouchent le commerce. Le droit d’auteur et les droits voisins, a cura della Commissione Europea, edizioneEur-op, 200047 Tra gli autorevoli sostenitori di questa tesi si ricordi Michael Blakeney. Sulla materia cfr.M.Blakeney, op.cit.48 Nel terzo e nel quarto capitolo del presente lavoro si analizzerà più nel dettaglio l’interventodei Trips sulla materia dei marchi e sulla disciplina brevettuale

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

28

amministrato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio49, formato dagli

accordi e dagli strumenti giuridici contenuti negli allegati I, II e III. Essi

costituiscono parte integrante dell’accordo istitutivo e di essi l’allegato I contiene

appunto l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale che riguardano

il commercio50. La necessità di un accordo di questo genere appariva infatti

sempre più chiara a chi tentasse di analizzare la situazione della proprietà

intellettuale nei diversi Stati del mondo: le disparità tra i diritti nazionali, riflesso

di approcci e filosofie differenti, sembravano un ostacolo difficile da superare;

tuttavia i negoziati dell’Uruguay Round hanno offerto l’occasione giusta per la

creazione di questo accordo attraverso il quale paesi sviluppati e paesi in via di

sviluppo hanno accettato un sistema comune di regolamentazione della materia, il

quale costituirà senza dubbio un pilastro fondamentale del sistema internazionale

negli anni a venire51.

49 OMC o WTO (World Trade Organization). Sull’argomento cfr. A.Comba, Il neoliberismointernazionale. Strutture Giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi di Bretton Woods all’OrganizzazioneMondiale del Commercio, Giuffrè, Milano 199550 Tra gli altri accordi contenuti negli allegati, controllati dall’OMC, si ricordino l’Accordogenerale sulle tariffe doganali ed il commercio comprensivo di tutte le modificazioniintervenute,il TRIM, ossia il meccanismo di esame delle politiche commerciali, l’Accordogenerale sul commercio dei servizi o GATS e tutti gli accordi commerciali multilaterali 51 Uno dei settori più delicati in ambito WTO e nello specifico in ambito TRIPs riguarda ifarmaci “salvavita”, ovvero medicinali generici per la lotta a malattie come AIDS, malaria etubercolosi che continuano ad affliggere e decimare le popolazioni di molti Paesi in via disviluppo. Il dibattito è strettamente legato alla disciplina brevettale in quanto la fornitura di talifarmaci nei Paesi privi di industrie farmaceutiche può passare solamente attraverso deroghe aldiritto dei brevetti. Un risultato importante fu raggiunto nel novembre 2001 al Vertice di Doha,nel Qatar, dove i Paesi membri sottoscrissero la “Dichiarazione di Doha”: in essa venne stabilitoil principio della priorità della salute pubblica rispetto ai diritti di proprietà intellettuale. Per unasua piena e completa realizzazione era però necessario risolvere il problema dei paesi che nonhanno la possibilità di produrre gli equivalenti dei farmaci brevettati. Alcuni Paesi, tra cuisoprattutto gli USA rimanevano scettici per la paura di eventuali triangolazioni che facesserotornare e rivendessero nei Paesi ricchi i farmaci a basso prezzo destinati ai Paesi in via disviluppo. Il 30 agosto 2003 è stato però approvato un Protocollo che esplicita queste garanzienei sui articoli, precisando che si dovrà far ricorso al sistema previsto “in piena buona fede perproteggere la salute pubblica e non per fini commerciali o industriali.” Sull’argomento e sulcontenuto del protocollo cfr. V.Cornero, Farmaci, una cura per il terzo mondo, in La Stampa, 31agosto 2003, p. 11

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

29

Questo accordo affonda le proprie radici nella Convezione di Parigi del 188352 e

quella di Berna del 1886, nell’ultima versione del 197153; adotta infatti

regolamentazioni direttamente riprese dalle sopraccitate convenzione e a queste

aggiunge norme per il rafforzamento amministrativo e giuridico dei diritti di

proprietà intellettuale nonché severe previsioni per il controllo delle frontiere

contro le eventuali infrazioni commerciali54.

L’Accordo ribadisce innanzitutto gli obblighi dell’Accordo generale

sull’Organizzazione Mondiale del Commercio con riferimento alla clausola della

nazione più favorita55 e del trattamento nazionale56; inoltre crea una normativa

che garantisca uno standard minimo di protezione dei brevetti, diritti d’autore,

marchi; infine impone agli Stati di introdurre nelle loro legislazioni interne dei

procedimenti e dei ricorsi per la salvaguardia di questi diritti, nonché sanzioni per

le violazioni più gravi, in particolare pirateria e contraffazione.

Proprio in questa maggiore severità sta, secondo Hans-Friedrich Beseler57, la

ricchezza dell’accordo: il più intransigente meccanismo di sorveglianza reciproca

dei partners obbligherà tutti gli Stati firmatari a sottostare alle medesime regole

sulle misure di apertura dei rispettivi mercati.

L’UE ha dato la sua adesione58 al WTO tramite un accordo misto: una

parte dei negoziati, riguardanti la politica commerciale, è stata gestita dai

rappresentanti della Comunità, in quanto la materia è di esclusiva competenza

comunitaria; per il resto i singoli Stati membri hanno partecipato ai negoziati e

ratificato l’accordo a titolo individuale59. Il ruolo della CE è però divenuto

52 La Convenzione ha ad oggetto la materia della proprietà intellettuale in generale e riserva unatrattazione specifica alla disciplina brevettuale53 Riguardante la disciplina della proprietà letteraria, artistica e musicale, l’ultima versione dellaConvenzione di Berna fu siglata a Parigi nel 197154 M. Blakeney, op.cit., p.555 Il rispetto della clausola della nazione più favorita è assicurato dall’articolo 4 dell’Accordo56 Il rispetto della clausola per il trattamento nazionale è assicurato dall’articolo 3 dell’Accoro57 Direttore generale della Direzione Generale del Commercio dell’OMC. Per un commento piùesteso cfr. Accords ADPIC, op.cit., introduzione58 Insieme alla Comunità Europea, centoquattordici Stati furono firmatari dell’atto finaledell’Accordo59 L’Italia ha ratificato la sua adesione all’Accordo di Marrakesh con la legge n°747 del 1994,diventando uno dei Paesi fondatori

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

30

preponderante rispetto a quello degli Stati membri, soprattutto dai negoziati del

Tokio Round del 197960. Così si ritiene da più parti61 che gli accordi dell’Uruguay

Round, che hanno visto la partecipazione della Commissione nel ruolo di

negoziatore unico, siano da considerarsi accordi “puramente comunitari”.

Meno conosciuto ma sicuramente altrettanto importante è il Protocollo 28

dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo. Lo Spazio Economico Europeo

o Economic Free Trade Area (EFTA) è stato costituito nel 1994 per creare una

zona di libero commercio tra l’UE e i Paesi europei non aderenti all’Unione,

Islanda, Norvegia e Liechtenstein62. L’Accordo in questione contiene un notevole

numero di provvedimenti in materia di proprietà intellettuale: tra essi si citino a

titolo esemplificativo l’articolo 5 che richiede come requisito agli Stati la

sottoscrizione delle più importanti convenzioni internazionali sulla disciplina63;

l’articolo 2 invece estende a questo accordo il “principio dell’esaurimento” quale

elaborato in sede comunitaria64.

1.3 LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E LA PROPRIETA’

INTELLETTUALE

Data la enorme importanza dei diritti di proprietà intellettuale nelle

economie dei Paesi membri della Comunità, il mercato comune si è dimostrato

60 Il maggior peso assunto dalla Comunità è dovuto al parere n° 1/78 del 4 ottobre 197961 U.Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, Giuffrè, Milano 1999, p. 2662 Sulla materia cfr. Tritton, op.cit., p. 23-3363 Le sette più importanti convenzioni internazionali , che l’articolo 5 richiede siano sottoscritte,sono: la Convenzione di Parigi, la Convenzione di Berna, la Convenzione di Roma,il protocollodi Madrid riguardante i marchi d’impresa, l’Accordo di Nizza concernente la classificazioneinternazionale dei prodotti o servizi ai fini della registrazione dei marchi, il Trattato di Budapestper il riconoscimento internazionale dei depositi di microrganismi e il Trattato di cooperazionein materia di brevetti (Patent Cooparation Treaty o P.C.T.)64 Per una dissertazione più approfondita del principio dell’esaurimento elaborata in sedecomunitaria si veda il paragrafo 1.4.6 intitolato “il principio dell’esaurimento comunitario”, apagina 44 del presente lavoro

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

31

poco pronto a gestire le conseguenze di tali tutele all’interno della Comunità.

Infatti troppo tardi è stato compreso fino in fondo il ruolo che tali diritti

potevano giocare, visto che essi, creati dalle legislazioni nazionali, hanno una

tendenza naturale a frammentare e dividere il mercato comune, a danno degli

obiettivi e dei principi in base ai quali la Comunità è stata creata e vive ogni

giorno.

Fu così che i redattori del Trattato, non riuscendo ad apprezzare fino in fondo

l’importanza di questi diritti, omisero di inserirvi un esplicito riferimento ad essi,

nonché una disciplina ad hoc per la loro gestione; tale mancanza, con il passare

degli anni, si è dimostrata enorme ed è a tutt’oggi resa palese dalle difficoltà del

Trattato di gestire la situazione. Nel tentativo di porre le basi per la creazione di

un mercato in cui merci e servizi potessero muoversi in tutta libertà e in cui i

comportamenti anticoncorrenziali fossero regolati e controllati, i redattori si

trovarono in difficoltà in relazione ai diritti di proprietà intelelttuale: essi infatti

sarebbero rimasti dipendenti dalle legislazioni nazionali degli Stati membri.

L’unico intervento normativo si trova negli articoli 28 e soprattutto 30 del

Trattato, che tentarono di inquadrare la convivenza tra libertà di circolazione e

proprietà intellettuale, ma che non riuscirono fino in fondo in questo ambizioso

obiettivo: tali articoli sono stati molte volte oggetto di interpretazioni

contrastanti, per la cui risoluzione la Corte di Giustizia è stata chiamata a

pronunciarsi.

1.4.1 La libertà di circolazione delle merci negli articoli del Trattato

Il Trattato di Roma prevedeva tra i suoi obiettivi più ambiziosi la

realizzazione di un mercato interno alla Comunità in cui le merci di origine

comunitaria e quelle in “libera pratica”65 sul territorio potessero circolare senza

65 Si considerano “merci in libera pratica”, ai sensi dell’articolo 24, quei beni provenienti da statiterzi quando siano stati riscossi i dazi e le altre tasse esigibili, nonché espletate tutte le formalitàrelative all’importazione, all’interno di uno stato membro. Sulla materia cfr. U.Draetta, Elementidi diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, cit., p. 18-32

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

32

restrizioni. I redattori confermarono questa volontà fin dalla Parte I66 del

Trattato, che indica quali sono i principi ispiratori della Comunità. L’articolo 3

menziona infatti, tra le azioni della Comunità, “ai fini enunciati all’articolo 2, il

divieto tra gli Stati membri, dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative

all’entrata e all’uscita delle merci come pure di tutte le altre misure di effetto

equivalente”67. Tale principio è ripreso dal successivo Titolo I della Parte III,

intitolato alle politiche della Comunità e alla libera circolazione delle merci nello

specifico.

Il Trattato prevede l’obbligo di abolire tutti gli ostacoli, anche di natura non

fiscale, che siano finalizzati a proteggere la produzione nazionale; l’articolo 2868

stabilisce infatti il divieto “[…] tra gli Stati membri, delle restrizioni quantitative

all’importazione nonché di qualsiasi misura di effetto equivalente”. La stessa

regola riguarda le esportazioni ed è sancita dall’articolo 29. Attraverso il divieto di

restrizioni quantitative si intende impedire ad uno Stato di controllare gli scambi

attraverso la determinazione delle quantità massime da importare o esportare di

un determinato bene: in questo modo infatti ostacolerebbe la libera circolazione.

Per quanto riguarda invece le misure di effetto equivalente, una loro precisa

definizione è stata ottenuta dallo sforzo congiunto di Corte e Commissione:

attraverso sentenze divenute ormai celebri nel campo del diritto comunitario69, le

istituzioni hanno indicato come misure di effetto equivalente, e quindi vietate,

tutte le azioni e i provvedimenti degli Stati adottate nei confronti degli

importatori in ragione delle norme sulle modalità di produzione e di

commercializzazione dei loro paesi d’origine a cui essi si conformano70.

66 La parte I del Trattato è intitolata ai “Principi” e comprende gli articoli dall’1 al 1667 Articolo 3 lettera a68 Già articolo 3069 Si ricordino ad esempio il caso Dassonville, causa 8/74, sentenza dell’11 luglio 1974 e il casoCassis de Dijon, causa 120/78, sentenza del 20 febbraio 197970 In base a tale definizione, le misure possono essere raggruppate in tre categorie, a secondadell’effetto restrittivo che esse possono avere sugli scambi: le restrizioni formali, le restrizionimateriali e le misure non discriminatorie o applicabili indistintamente a tutti i prodotti

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

33

L’articolo 3071 prevede esplicite deroghe a queste regole; esso recita infatti:

“le disposizioni degli articoli 28 e 29 lasciano impregiudicati i divieti o le

restrizioni all’importazione, all’esportazione o al transito giustificati da motivi di

[…] tutela della proprietà industriale e commerciale”. Tutte le motivazioni

addotte da tale articolo72 riflettono la considerazione di interessi considerati

meritevoli di tutela.

Sono stati però sollevati molti dubbi interpretativi su questo articolo: il più

ricorrente si interrogava su quale fosse il confine tra tali deroghe e le misure

imperative contemplate dalla Corte sul principio del “mutuo riconoscimento”73; è

stato chiarito che mentre queste ultime possono essere invocate solo per misure

che colpiscono indistintamente prodotti nazionali ed importazioni, le deroghe

contemplate nell’articolo 30 sono invocabili anche solo nei confronti di beni

importati da altri Paesi membri. In tal senso si espresse infatti la Corte in un caso

dell’inizio degli ’90, Aragonesa74.

La Corte di Giustizia ha più volte sottolineato la necessità di

un’interpretazione restrittiva dell’articolo 30. Possono infatti essere ammesse solo

le deroghe di cui alla dizione letterale dell’articolo; l’elencazione prevista deve

essere considerata tassativa e non si possono quindi ammettere motivazioni che

non siano incluse in essa. Sempre la Corte ha stabilito un altro importante

principio normativo nei casi Sandoz e Harpegnies75: l’articolo 30 non può essere

invocato qualora sulla stessa materia si sia già avuto un intervento comunitario di

armonizzazione, tendente a proteggere, per l’intero territorio comunitario,

l’interesse che si suppone meritevole di tutela. Infatti nel sentenza Campus Oil del

71 Già articolo 3672 Tra i motivi per i quali la deroga può essere applicata figurano: la moralità pubblica, l’ordinepubblico, la pubblica sicurezza, la tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o lapreservazione dei vegetali, la protezione del patrimonio artistico, storico o archeologiconazionale, la tutela della proprietà industriale e commerciale.73 Su tale principio cfr. G.Strozzi, Diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, Giappichelli, Torino2000, p. 36-4174 Caso Aragonesa, cause C 1/90 e C 176/9075 Caso Sandoz, causa 174/82, sentenza del 14 luglio 1983 e caso Harpegnies, causa C 400/96,sentenza del 17 settembre 1998

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

34

10 luglio 198476 la Corte ha specificato che “il ricorso all’articolo 36 [ora articolo

30] non è più giustificato quando norme comunitarie contemplino provvedimenti

necessari a garantire la tutela degli interessi menzionati in detto articolo”.

Sull’interpretazione del secondo comma dello stesso articolo 30, si

consideri l’importanza del rispetto del principio di proporzionalità. Esso recita

infatti: “Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di

discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati

membri”. Gli Stati devono perciò utilizzare la deroga di cui al primo comma

dell’articolo 30 solo per ciò che sia strettamente necessario alla tutela

dell’interesse previsto77. Spetta infine allo Stato che intende invocare una delle

deroghe previste dall’articolo 30, dimostrare l’effettiva applicabilità della norma al

caso di specie, ossia l’esistenza di un effettivo motivo di ordine pubblico, salute

pubblica o altre condizioni previste.

A proposito di ciascuna delle ipotesi configurate dall’articolo 30 si sono poste

specifiche questioni interpretative e, in modo particolare, a proposito dell’ultima

ipotesi enunciata, oggetto di attenzione in questa sede. Questo è dovuto al fatto

che la disciplina della proprietà intellettuale è ispirata al principio di territorialità e

questo, per la sua stessa natura, è contrario all’idea di mercato comune.

1.4.2 La natura territoriale dei diritti di proprietà intellettuale

La disciplina dei diritti di proprietà intellettuale, sia essa di origine

nazionale, internazionale o comunitaria, è caratterizzata dal fatto di conferire agli

aventi diritto un diritto esclusivo relativamente al territorio di competenza

dell’autorità che lo assegna. Questo permette al titolare di un diritto nel territorio

di uno Stato, ad esempio al titolare di un diritto di marchio, di opporsi

all’importazione entro i confini di quel Paese, di beni provenienti da altri Stati

76 Caso Campus Oil, causa 72/83, sentenza del 10 luglio 1984

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

35

membri e recanti un segno identico o confondibile per i consumatori. Ciò rischia

di mettere nelle mani degli Stati un potere spropositato, con cui essi potrebbero,

nel tentativo di difendere i creatori, inventori o artisti nazionali, rischiare di

frammentare il mercato interno comunitario.

La teoria classica sulla proprietà intellettuale sostiene che uno Stato

conferisce una tutela che non si estende al di là dei confini nazionali. Questa

territorialità ha due facce: da una parte questa natura nazionalistica pone dei limiti

agli stessi titolari perché impedisce loro di proteggere le loro creazioni in quei

Paesi che non le riconoscono come degne di tutela. La possibilità che uno Stato

straniero accolga la tutela di una creazione o invenzione è soggetta a

innumerevoli variabili: ad esempio alcuni Stati non conferiscono protezione ai

marchi di servizio o ad altri specifici marchi. Inoltre spesso sarà necessario per il

titolare conformarsi alle prescrizioni dello Stato in cui si vuole ottenere la

protezione, in relazione all’ottenimento del diritto78.

L’altra faccia della territorialità riguarda la distinzione tra Paesi in via di sviluppo e

Paesi sviluppati: generalmente, a causa del tipo di protezione conferita, gli autori

o gli inventori preferiranno ottenere la protezione da e in quegli Stati che

prestano molta attenzione alla materia e la tutelano con apposite e sviluppate

legislazione e giurisprudenza. Per contro, i produttori e i distributori di tali beni

preferiranno operare in Paesi più permissivi nelle loro leggi e sentenze, perché i

costi per l’acquisizione e la registrazione saranno presumibilmente più bassi e i

loro profitti più corposi. Perciò il conflitto tra Paesi sviluppati e “ricchi” di tutela

e Paesi in via di sviluppo, nonché “poveri” di diritti di proprietà intellettuale, è

inevitabile e spesso questi ultimi vengono additati come paradisi per pirateria e

contraffazione79.

A livello comunitario, il conferimento di un’esclusiva territoriale si traduce

sostanzialmente in un potere di tipo monopolistico, che impone delle restrizioni

77 Sulla materia cfr. P.Oliver, op.cit., p. 182 e ss.78 Molto spesso tra le prescrizioni figureranno la registrazione e, per i marchi, l’utilizzo deglistessi sul territorio dello Stato a cui si chiede la protezione

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

36

all’attività economica e produttiva degli altri soggetti economici. Infatti una

normativa nazionale di uno Stato membro che permetta ai titolari di diritti di

proprietà intellettuale, suoi cittadini, di impedire l’entrata di merci provenienti da

altri Stati membri, ivi recanti lo stesso tipo di tutela, provoca senza dubbio

l’erezione di alte barriere tra gli Stati e quindi insormontabili ostacoli al

commercio intracomunitario.

Si ricordi inoltre che neanche l’articolo 295 del Trattato CE80 può agire contro il

principio della libera circolazione: con esso “il Trattato lascia del tutto

impregiudicato il regime di proprietà esistente nei vari Stati membri”, ma esso

non è comunque sufficiente a sottrarre il settore della proprietà su beni

intellettuali alle regole di libera circolazione e di concorrenza.

1.4.3 Un modus vivendi tra libertà di circolazione delle merci e proprietà intellettuale

Per cercare di conciliare la libertà di circolazione delle merci con il

principio di territorialità tipico dei diritti di privativa, la Corte di Giustizia ha

elaborato nel corso degli anni una serie di principi, il cui valore è diventato

fondamentale.

Secondo la Corte, perché l’articolo 30 possa essere adeguatamente invocato

devono sussistere due condizioni. Innanzitutto tale deroga deve essere invocata al

fine di proteggere l’oggetto specifico del diritto di proprietà considerato; inoltre

essa deve risultare indispensabile per l’esercizio dello stesso diritto. Tali principi

sono stati enunciati nella sentenza Van Zuylen Frères c. Hag (Hag I), del 3 luglio

197481, mentre pochi mesi dopo la Corte ha enunciato, nell’altrettanto

importante e celebre sentenza Terrapin c. Terranova82, il principio di distinzione tra

esistenza del diritto ed esercizio dello stesso.

79 Sull’argomento e su questo conflitto cfr. A.D’Amato e D.E.Long, International Intellectualproperty Law, Kluwer law international, Londra 1997, p. 373 e ss.80 Già articolo 22281 Caso Van Zuylen Frères c. Hag ( HAG I), Causa 192/73, sentenza del 3 luglio 197482 Caso Terrapin c. Terranova, causa 119/75, sentenza del 22 giugno 1976

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

37

La giurisprudenza della Corte ha inoltre disegnato l’altra fondamentale regola,

secondo cui il diritto esclusivo del titolare sul bene immateriale è soggetto al

principio dell’esaurimento in ambito comunitario.

1.4.4 L’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale

Le deroghe contemplate dall’articolo 30 del Trattato CE, rispetto alla

regola generale di cui all’articolo 28, ed in particolare quella avente ad oggetto la

proprietà industriale e commerciale, sono per loro stessa natura soggette ad

un’interpretazione forzatamente restrittiva. Ciò significa che, in linea di principio,

tale deroga può essere invocata solamente per giustificare norme nazionali che

siano indispensabili per tutelare l’oggetto specifico dei diritti di proprietà

intellettuale.

Spetta alla Corte di Giustizia definire, per ogni diritto compreso nella dizione

“proprietà intellettuale” valevole per il diritto comunitario, quale ne sia l’oggetto

specifico. Sempre ad essa è riservato il compito di indicare quali sono i criteri di

valutazione che devono essere utilizzati per distinguere le norme nazionali

realmente indispensabili per la tutela dell’oggetto specifico, da quelle superflue a

tal fine e capaci invece di ostacolare il commercio intracomunitario. La stessa

Corte, nel corso degli anni, non ha mai tentato di sviluppare una “teoria

dell’oggetto specifico”, in riferimento ai vari diritti, che non fosse in qualche

modo legata ad un caso specifico sul quale era stata chiamata a pronunciarsi; in

modo astratto e teorico è sempre mancata una formulazione su questo

argomento83.

Alle autorità giurisdizionali ed amministrative dei vari Stati membri

spettano le conseguenti valutazioni di fatto84. Mentre infatti la Corte ha stabilito i

criteri in base ai quali valutare se le norme nazionali siano o meno indispensabili

alla tutela dell’oggetto specifico dei diritto di privativa, agli Stati compete una

83 G.Tritton, op.cit, p. 293

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

38

valutazione delle singole fattispecie, per decidere se ad esse può essere

legittimerete applicata la normativa in questione. Quest’ultimo principio di

ripartizione delle competenze è stato ideato dalla Corte stessa ed affermato nel

caso Deutsche Renault c. Audi del 199385, a proposito del titolo “Quattro” utilizzato

dalla Renault e dalla Audi per proprie vetture. La Corte affermò infatti che, in

mancanza di un’effettiva armonizzazione a livello comunitario, dovesse spettare

alle normative nazionali la determinazione dei casi e delle modalità di tutela della

proprietà intellettuale. L’autonomia del legislatore nazionale ha poi, nel corso

degli anni, trovato riscontro in altre sentenze, tra cui si citano a titolo

esemplificativo Keurkoop c. Nancy Kean Gifts BV86, riguardante la disciplina del

Benelux sui disegni ed i modelli, Basset c. SACEM87, sulla disciplina francese che

riconosceva all’autore di un’opera musicale un diritto supplementare di

riproduzione, Thetford Corporation c. Fiamma Spa88, sulla legge britannica relativa

alla novità dei brevetti “antichi”.

Secondo lo studio giurisprudenziale di Celona89, la Corte ha chiarito,

attraverso il richiamo all’oggetto specifico di un diritto, che quest’ultimo,

garantito dalle norme sulla proprietà industriale e commerciale, ha esaurito i suoi

effetti quando un prodotto è stato legittimamente messo in commercio in un

altro Paese membro, dal suo stesso titolare o con il consenso di questi. Tale

opinione è stata espressa dalla Corte nella causa tra la Music Vertrieb e l’ente

tedesco per la tutela dei diritti d’autore (GEMA), la cui sentenza è stata emessa il

20 gennaio 198190. Il caso riguardava registrazioni sonore messe in commercio

nel Regno Unito ed importate in Germania: la GEMA, società tedesca per la

protezione del diritto d’autore, agiva a tutela dei titolari di un diritto d’autore in

Germania e lamentava la differenza tra la royalty del 6.25% pagata in Gran

84 G.Tesauro, Diritto comunitario, Cedam, Padova 2000, p. 388 e C.Zanghì, op.cit. p. 28985 Caso Deutsche Renault c. Audi, causa C-317/91, sentenza 30 novembre 199386 Caso Keurhoop c. Nancy Kean Gifts BV, causa 144/81, sentenza del 14 settembre 198287 Caso Basset c.SACEM, causa 402/85, sentenza del 9 aprile 198788 Caso Thetford Corporation c. Fiamma SpA, causa 35/87, sentenza del 30 giugno 198889 G.Celona, La libera circolazione delle merci e il mercato unico europeo nella giurisprudenza, Giuffrè,Milano 1991, p. 350

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

39

Bretagna quella dell’8% dovuta in Germania; poteva il principio dell’esaurimento

impedire alla GEMA di recuperare questa differenza? La Corte, rispondendo alla

questione pregiudiziale posta dal giudice a quo, chiarì che gli articoli 30 e 3691

andavano interpretati in questo senso: l’autorità giudiziaria di uno Stato membro

non può vietare, invocando un diritto di proprietà intellettuale, che venga

importato, nel territorio del suo Stato, un bene protetto da uno di questi diritti, se

questa commercializzazione è avvenuta in modo lecito, in un altro Stato, ad opera

del titolare del supposto diritto o semplicemente con il suo consenso. Il titolare

del diritto d’autore - disse la Corte – è libero di porre il suo bene in commercio

nello Stato che vuole e nel far ciò deve essere consapevole delle differenze

esistenti che possano eventualmente arrecargli danni, ma non è per questo

autorizzato ad invocare il principio dell’esaurimento per ritenere tali discrepanze

illegittime92.

Richiamandosi ad un’affermazione della Corte sul caso Centrafarm c.

Sterling93 del 1974, Tritton94 chiarisce che l’oggetto specifico di un diritto si

traduce essenzialmente nella sicurezza di essere ricompensati. Tale affermazione

deriva dalle parole stesse della Corte, la quale affermò nella sentenza appena

richiamata, che “l’oggetto specifico consiste nell’assicurare al titolare, come

ricompensa per lo sforzo creativo concretizzatosi nell’invenzione, il diritto

esclusivo di mettere per primo in circolazione il prodotto industriale, che è

oggetto di tutela”95.

Nello specifico la Corte ha individuato l’oggetto specifico di ogni diritto di

proprietà intellettuale. In effetti, nello svolgimento delle varie sentenze

90 Sentenza sopra citata91 La Corte faceva all’epoca riferimento alla vecchia numerazione; gli articoli corrispondonorispettivamente al 28 e al 30 dell’attuale numerazione92 Si ricordi tra l’altro che questa sentenza è la prima in cui la Corte considerò espressamente ildiritto d’autore ricadente nella materia della proprietà intellettuale93 Caso Centrafarm BV and Adriaan De Peijper c. Sterling Drug Inc., causa 15/74, sentenza del 31ottobre 197494 G.Tritton, op.cit., p. 29495 Si tratta di una libera traduzione delle parole della Corte: “[…] the specific object of theindustrial property is inter alia to ensure to the holder, so as to recompense the creative effort ofthe inventor, the exclusive right to […] first putting into circulation of industrial products […]”

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

40

interessate, essa ha costituito una copiosa giurisprudenza dalla quale si possono

dedurre i caratteri di ciascuno dei più importanti diritti di privativa.

Per quanto concerne i brevetti per invenzione, in più occasioni la Corte ha

avuto modo di definirne l’oggetto specifico: esso si concretizza nella garanzia data

al titolare del diritto esclusivo di potere, a guisa di ricompensa per lo sforzo

creativo compiuto, immettere per primo il prodotto sul mercato, sia in modo

diretto che attraverso la concessione di licenze a soggetti terzi; parallelamente

esso consiste nella possibilità di opporsi alle contraffazioni. Tali definizioni si

possono ricavare dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalle sentenze

Centrafarm c. Sterling Drug96, Merck c. Staphar97, Pharmon c. Hoechst98, Allen

&Hanburys c. Generics99.

L’oggetto specifico del diritto di marchio risulta invece di più difficile

definizione; un primo riconoscimento conferisce al titolare la garanzia di un

diritto esclusivo di servirsi del marchio per la prima immissione sul mercato del

prodotto oggetto di protezione: attraverso tale garanzia il proprietario risulta

tutelato dall’azione abusiva di eventuali concorrenti che cerchino di sfruttare a

proprio vantaggio la posizione dell’impresa e la reputazione del marchio stesso.

Tale garanzia è stata conferita dalla Corte in una prima sentenza, rilevante sulla

questione, Centrafarm c. Winthrop100; in un secondo momento la Corte ha centrato

l’attenzione sulla funzione che il marchio assume a tutela del consumatore e a

garanzia della qualità del prodotto: nella sentenza Hag II101 la Corte ha

sottolineato che la funzione essenziale del marchio è quella di proteggere il

consumatore o l’utilizzatore finale da eventuali rischi di confusioni con altri

prodotti; il marchio gli consente di distinguere il prodotto che intende acquistare

da altri, aventi origine diversa, poiché rende di facile individuazione l’identità del

bene in questione. Nella stessa sentenza la Corte ha infine sottolineato che,

96 Caso sopra citato97 Caso Merck and Co. c. Staphar BV, causa 187/80, sentenza del 14 luglio 198198 Caso Pharmon c. Hoechst,Causa 19/84, sentenza del 9 luglio 198599 Caso Allen & Hambury c. Generics, causa 434/85, sentenza del 3 marzo 1988100 Caso Centrafarm BV c. Winthrop BV, causa 16/74, sentenza del31 ottobre 1974101 Caso CNL-SUCAL c. Hag (Hag II), causa C-10/89, sentenza del 17 ottobre 1990

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

41

perché il marchio possa svolgere al meglio la sua funzione, è consigliabile che

tutti i prodotti con lo stesso marchio siano stati fabbricati da un’unica impresa o

almeno sotto il suo controllo, cosicché essa possa assumersi ogni tipo di

responsabilità per la qualità dei bene prodotti.102.

Per quanto riguarda il diritto d’autore, si è già ricordato il lungo dibattito

riguardante l’appartenenza di questo e dei diritti connessi alla dicitura di cui

all’articolo 30. Appurato che le opere letterarie ed artistiche rientrano

nell’espressione “proprietà industriale e commerciale”, la Corte ha affermato che

tali opere si possono sfruttare sia mediante pubbliche rappresentazioni, che

attraverso la riproduzione e la messa in circolazione dei supporti materiali

ottenuti. Nella sentenza Warner Bros c. Christiansen103 sono state ricordate le due

caratteristiche salienti del diritto d’autore, consistenti nel diritto esclusivo di

rappresentazione e nel diritto esclusivo di riproduzione: tali diritti, ha sottolineato

la Corte, non sono minimamente intaccati dal diritto comunitario.

Con riferimento infine alla tutela dei disegni e modelli ornamentali, la

Corte si è pronunciata nella sentenza CICRA c. Renault del 1988104, dichiarando

che “la facoltà del titolare di un brevetto per modello ornamentale di opporsi alla

fabbricazione da parte di terzi, a fini di vendita sul mercato interno o di

esportazione, di prodotti che incorporano il modello o di impedire l’importazione

di siffatti prodotti che siano fabbricati senza il suo consenso in altri Stati membri

costituisce il contenuto del suo diritto esclusivo. Impedire l’applicazione della

normativa nazionale in siffatte condizioni equivarrebbe quindi a rimettere in

causa l’esistenza stessa di tale diritto”105.

Sulla base dell’oggetto specifico così individuato per ogni tipo di diritto di

privativa, la Corte ha verificato la compatibilità comunitaria delle legislazioni degli

Stati membri; gli articoli 28 e 30, sulla base delle considerazioni svolte dalla Corte,

non possono essere utilizzati per opporsi all’applicazione delle regole nazionali

102 F.Toriello, Libera circolazione delle merci, marchi recettivi e tutela del consumatore, in La nuovagiurisprudenza civile commentata, 1997, p. 871; G.Tesauro, op.cit. ,2000, p. 388103 Caso Warner Bros c. Christiansen, causa 158/85, sentenza del 17 maggio 1987, E.C.R. p. 2605104 Caso CICR c. Renault, causa 53/87, sentenza del 5 ottobre 1988, E.C.R. p. 6067

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

42

che dettano le regole per la sussistenza di un diritto di marchio o di brevetto. La

costituzione di tali diritti è infatti una prerogativa delle legislazioni nazionali, con

la conseguenza che tali normative vanno considerate rientranti nell’ambito della

deroga di cui all’articolo 30. Gli unici casi in cui il diritto comunitario può

ragionevolmente essere invocato sono quelli in cui le norme degli Stati membri

provocano discriminazioni tra prodotti nazionali e prodotti importati106.

1.4.5 La distinzione tra esistenza ed esercizio del diritto

Il primo caso su cui la Corte fu chiamata a pronunciarsi, che avesse un

diretto riferimento agli articoli 28 e 30 fu il caso Deutsche Grammophon107 del 1970.

In tale occasione la Corte per la prima volta si soffermò sulla distinzione tra

esistenza del diritto ed esercizio dello stesso, dicendo che, sebbene il Trattato non

pregiudichi l’esistenza dei diritti di proprietà intellettuale conferiti dalle

legislazioni nazionali, l’esercizio di questi diritti può ricadere entro i divieti

previsti dal Trattato stesso. Questo deriva dalla considerazione già sviluppata in

precedenza secondo cui le deroghe al principio della libera circolazione sono

ammesse fino a che esse risultino necessarie ed indispensabili per la tutela

dell’oggetto specifico del diritto di proprietà in questione.

L’esistenza del diritto si configura quindi, secondo Holyoak e

Torremans108 come un elemento positivo, mentre l’uso che è fatto dello stesso,

ossia il modo in cui è utilizzato, può essere sia lecito che illecito e quindi

costituire un abuso. Per distinguere gli usi legittimi da quelli abusivi e quindi

vietati di un diritto, la Corte ha specificato che deve essere tenuto in

considerazione ciò che è necessario perché il diritto possa adempiere al suo

105 Punto 11 della sentenza sopra citata106 Sulla materia dell’oggetto specifico dei diritti di proprietà intellettuale, oltre alla bibliografiacitata in nota, cfr. G.Strozzi, Diritto dell’Unione Europea. Parte speciale, op.cit., p. 41 e ss; T.Prime,op.cit., p. 6 e ss.; J.Holyoak e P. Torremans Intellectual property law, Butterworth, Londra 1998, p.105 e ss.107 Si tratta del caso Deutsche Grammophon GmbH c. Metro-SB-Grossmarkte &Co., Causa 78/70,sentenza dell’8 giugno 1971, E.C.R. p. 487

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

43

scopo, ossia l’oggetto specifico. Ogni uso del diritto che non sia ricompreso nella

definizione di “oggetto specifico” costituisce un abuso e non può essere

ricondotto alla deroga di cui all’articolo 30.

Tale dottrina, che è stata sviluppata in relazione a ciascun tipo di diritto di

privativa che si intendeva proteggere, è stata fortemente criticata da alcuni autori,

tra cui Tritton109 e Beier. Secondo costoro infatti, proibire determinati usi fatti di

un diritto si tradurrebbe in uno svilimento della parte essenziale del diritto e

costituisce quindi un attacco alla stessa esistenza del diritto. Perciò l’aver

introdotto tale distinzione da parte della Corte sarebbe stato sbagliato oltre che

inutile. L’esistenza di un diritto perderebbe totalmente la sua efficacia se il titolare

dello stesso è vincolato nel suo esercizio.

1.4.6 Il principio dell’esaurimento comunitario

Una terza regola disegnata dalla giurisprudenza della Corte, nel corso degli

anni, riguarda il principio di esaurimento a cui i diritti di privativa sono soggetti

in ambito comunitario110. Tale principio fu per la prima volta messo a punto dai

giudici della Corte con riferimento alla materia brevettuale, all’inizio degli anni

‘70, per trovare poi un ufficiale riconoscimento negli articoli 5 e 7 della direttiva

89/104111, riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in

materia di marchi di impresa. Lo stesso principio è stato traslato ed utilizzato

successivamente non solo in materia di marchi, ma anche di diritto d’autore; in

particolare l’applicabilità dell’esaurimento comunitario ai marchi d’impresa è stata

108 J.Holyoak e P.Torremans, op.cit., p. 107109 G.Tritton, op.cit.,p. 291 110 Cfr. P.Pettiti, Il principio di esaurimento del marchio, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generaledelle obbligazioni, 1999, volume I, p. 241111 La Direttiva 89/104, emanata dal Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 1988, intitolata al“Ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi di impresa”, èconsultabile sulla Gazzetta Ufficiale n° L040 del 11 febbraio 1989

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

44

sancita dal Regolamento 40/94112 sul marchio comunitario, all’articolo 3. In Italia

infine tale principio è stato recepito con il decreto legislativo n° 480 del 1992.

Già nelle sentenze Deutsche Grammophon113 e Centrafarm c. Sterling &

Winthrop114 la Corte sottolineò con enfasi un aspetto: una volta che un prodotto

protetto sia messo in circolazione sul territorio di un altro Stato membro dal

titolare del diritto o con il suo consenso, l’articolo 30 non può più essere

invocato, né il titolare può utilizzare il suo diritto per prevenire l’importazione di

quel bene dall’altro Paese. In particolare, chi ha acquistato il prodotto può

liberamente esportarlo e rivenderlo in un altro Stato membro, senza che occorra

nessuna specifica autorizzazione da parte del titolare, anche se quest’ultimo nel

Paese destinatario abbia affidato a terzi, che agiscono in qualità di esclusivisti, la

commercializzazione dello stesso bene.

L’importanza pratica del principio risulta evidente dalla schema esemplificativo

proposto da Ghidini e Hassan115. Un’impresa X vende un determinato prodotto

nello stato A al prezzo di 100 e nello stato B al prezzo 80. Entrambi i beni sono

contraddistinti dallo stesso marchio , il quale è stato registrato dall’impresa X sia

in uno che nell’altro Paese. Se un'altra impresa, chiamata Y, acquista il prodotto

nel Paese B al prezzo di 80 e lo rivende in A a 90, effettua ciò che viene

normalmente denominata “importazione parallela”, con un guadagno di 10.

Anche se l’impresa X non ha mai autorizzato tale vendita nel suo Paese da parte

di Y, essa non potrà invocare il suo diritto di marchio, impedendo così

l’importazione, perché il suo diritto si è esaurito con la vendita fatta a Y e agli altri

consumatori nel paese B.

Tritton116 definisce questa teoria “dottrina del consenso” e la affianca alla

più nota e diffusa “dottrina dell’esaurimento” secondo la quale il titolare esaurisce

112 Il Regolamento 40/94 del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, è consultabile sullaGazzetta Ufficiale n° L011 del 14 gennaio 1994113 Sentenza sopra citata114 Sentenza sopra citata115 G.Ghidini e S.Hassan, Diritto industriale e della Concorrenza nella CE, Ipsoa Scuola d’Impresa,Milano 1991, p. 230116 Ivi, p. 295

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

45

il suo diritto quando abbia piazzato il suo bene o abbia dato il suo consenso a che

il suo prodotto sia commercializzato in un altro Stato membro117.

Si tratta di una dottrina richiamata innumerevoli volte dalla Corte nelle sue

sentenze e perciò considerata a tutti gli effetti incontestabile. A titolo generico

con essa si evita che il titolare di un diritto possa trarre beneficio dalla protezione

di uno stesso bene più di una volta.

Le leggi nazionali in materia di proprietà intellettuale in genere non

dispongono di un principio dell’esaurimento e non prevedono quindi che il

diritto si esaurisca con la commercializzazione del bene in un altro Stato. Ciò

conferisce un enorme potere ai titolari di ostacolare la libera circolazione delle

merci, attraverso la costituzione di diritti paralleli nei diversi stati. Per evitare

quindi una compartimentazione dei mercati all’interno della Comunità interviene

questo principio118.

La Corte ha specificato la portata di tale dottrina in riferimento ai vari

diritti di privativa e in alcuni casi il principio ha conosciuto una notevole

evoluzione, specialmente con riferimento al ruolo del consenso dell’avente

diritto.

In materia di brevetti, se il prodotto è stato messo in commercio nel territorio di

un altro Stato senza il consenso del titolare, il principio dell’esaurimento non

risulta applicabile. Tale ipotesi si verificò ad esempio nel caso Pharmon119, risolto

dalla Corte nel 1985: nella sentenza la Corte affermò che gli articoli 28 e 30 non

vietano normative nazionali che permettano ai titolari di brevetti di opporsi alla

commercializzazione di un bene prodotto in virtù di una licenza obbligatoria.

Questo perché con l’attribuzione ad un terzo di una licenza obbligatoria, il

117 Si tratta sostanzialmente di due facce della stessa medaglia: nella prima dicitura si sottolinea lanecessaria condizione a che l’avente diritto abbia dato il suo consenso alla commercializzazionedel bene nel Paese straniero; con la seconda dicitura ci si sofferma invece sulla conseguenza delconsenso stesso, ovvero l’esaurimento. Si farà di seguito riferimento alla sola dicitura “dottrinadell’esaurimento”118 J.Holyoak e P.Torremans, op.cit., p. 109119 Sentenza sopra citata

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

46

titolare perde la facoltà di decidere sulle modalità di commercializzazione del suo

bene.

Nel caso Merck120 la problematica riguardava invece la non brevettabilità del bene

in uno Stato membro in cui il titolare aveva deciso di commercializzare il

prodotto: nella fattispecie si trattava di un prodotto farmaceutico, coperto da

brevetto in Olanda e commercializzato dal suo titolare in Italia, dove però nessun

tipo di protezione era accordata dalla normativa vigente; la Corte affermò che il

titolare olandese, avendo dato il suo consenso alla vendita in Italia, non avrebbe

potuto opporsi all’importazione dall’Italia in Olanda dello stesso prodotto121.

In tema di opere letterarie ed artistiche la situazione è diversa e il principio

dell’esaurimento non trova una piena e completa applicazione. Queste opere

infatti possono essere sfruttate non solo attraverso la vendita, ma anche con altri

sistemi, tra cui il noleggio. Poiché la riscossione dei diritti d’autore in base alle

vendite non remunera adeguatamente il creatore, è lecita ed auspicabile una

normativa che riservi all’autore una parte dei profitti realizzati con il noleggio.

Questo principio è stato formalizzato alla fine degli anni ’80 nel caso Warner

Brohers122.

In materia di marchi d’impresa la disciplina ha conosciuto una sensibile

evoluzione e la sua analisi risulta alquanto complessa.

Il primo orientamento della Corte, espresso nel caso Hag I123, vedeva il principio

dell’esaurimento collegato alla sola origine comune del prodotto, mentre non si

considerava il carattere volontario o meno della cessione. Sia nel caso il titolare

avesse acconsentito alla commercializzazione del bene in un altro Stato, sia nel

caso in cui questa fosse avvenuta in seguito ad un provvedimento di confisca o di

cessione autoritativa, il principio dell’esaurimento avrebbe trovato applicazione.

Nelle motivazioni la Corte disse: “è quindi inammissibile che il carattere esclusivo

del diritto di marchio […] sia fatto valere dal titolare di un marchio al fine

120 Sentenza sopra citata121 Sulla materia cfr. Tritton, op.cit., p. 298122 Sentenza sopra citata123 Sentenza sopra citata

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

47

d’impedire la distribuzione in uno Stato membro di merci legalmente prodotte

sotto un marchio identico, avente la stessa origine, in un altro Stato membro”124.

L’orientamento cambiò alcuni anni più tardi e la Corte, nella sentenza del caso

Hag II125 precisò che, se la partizione di più diritti di marchio aventi origine

comune era avvenuta senza il consenso dell’avente diritto, questi si poteva

opporre all’importazione di beni prodotti con marchio uguale e confondibile. Il

perché di questo mutamento di posizioni fu spiegato dalla Corte attraverso una

diversa valutazione della funzione del marchio: essa,si disse, consiste nel dare al

consumatore un’indicazione chiara e precisa sull’origine del prodotto e al

produttore un controllo ed una responsabilità univoca sulla qualità dello stesso.

Infine negli anni ’93 ci fu un’ulteriore inversione di tendenza, con le sentenze

Ideal Standard126 e Christian Dior127: poiché si è considerata fondamentale la perdita

del controllo sulla qualità del bene da parte del titolare, si è affermato che il

principio si applica in tutti i casi, indipendentemente dalla consensualità del

titolare originario alla commercializzazione del prodotto in un altro Stato

membro. Ne deriva che il principio si applica se il nuovo titolare appartiene allo

stesso gruppo dell’avente diritto originario; se invece quest’ultimo dimostra

l’avvenuta alterazione o modificazione del bene può legittimamente opporsi

all’importazione, applicando quindi il principio dell’esaurimento comunitario128.

Questa copiosa giurisprudenza ha trovato riscontro nell’articolo 7 della

Direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni in materia di marchi129: essa ha lo

stesso scopo dell’articolo 30 del Trattato e mira a coniugare la tutela del marchio

con la libera circolazione delle merci. Con la Direttiva si vuole evitare che gli Stati

riescano, con regole unilaterali sull’esaurimento del marchio, a frammentare il

124 Punto 12 della sentenza sopra citata125 Sentenza sopra citata126 Caso IHT Internazionale Heinztechnich GmbH c. Ideal Standard GmbH, causa C-9/93, sentenza del22 giugno 1994127 Caso Christian Dior, causa C-337/95, sentenza del 4 novembre 1997128 Sulla materia cfr.T.Prime, op.cit., p. 9 e ss.; G.Tesauro, op.cit., p. 394 e ss.; G.Strozzi, Dirittodell’Unione Europea. Parte Speciale, op.cit., p. 49 e ss.

LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

48

mercato dei beni e dei servizi. Pertanto l’interpretazione esatta della direttiva

porta a sostenere che un titolare di marchio può opporsi all’importazione di

prodotti commercializzati in Paesi terzi con denominazione identica o

confondibile, solo se attraverso questa azione non incide sull’unicità del

mercato130.

129 Direttiva 89/104 CEE del 21 dicembre 1988130 L’esatta interpretazione della direttiva è stata data dalla Corte nei casi Silhouette, causa C-355/96,sentenza del 16 luglio 1998 e Sebago e Dubois, causa C-173/98, sentenza del 1 luglio 1999

2. L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA

GIURISPRUDENZA

2.1 INTRODUZIONE ALLLO STUDIO DELLA GIURISPRUDENZA

Nei paragrafi precedenti la citazione di alcune delle più note sentenze sulla

materia della proprietà intellettuale ha preannunciato il tema che verrà trattato in

questo secondo capitolo. Appare in tutta la sua chiarezza, a chiunque si avvicini a

questa disciplina, che il ruolo giocato dalla giurisprudenza nel corso degli anni è

stato fondamentale e senza di esso l’Europa non avrebbe potuto raggiungere il

livello di integrazione tanto avanzato che oggi noi conosciamo, in materia di

marchi, brevetti o diritto d’autore.

Per questa semplice ragione non sarà fuori luogo dare uno sguardo alla

giurisprudenza della Corte di Giustizia che, a partire dagli anni ‘70, si è espressa

con alcune sentenze molti importanti relative ai diritti di esclusiva ed evidenziare

gli orientamenti seguiti dai giudici comunitari verso la lotta ad una protezione

territoriale assoluta e tendenti a vietare l’esercizio di diritti di proprietà industriale

riconosciuti dai legislatori nazionali.

In altri termini la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha contribuito in

maniera essenziale alla formazione di un vero e proprio sistema comunitario dei

diritti di proprietà intellettuale, attraverso il superamento del contrasto tra

l’esistenza del mercato comune ed i diritti di privativa nazionali: questo

superamento si concretizza sostanzialmente nello sgretolamento del contenuto

dei diritti nazionali e nella riaffermazione dei principi fondamentali del Trattato,

quali voluti ed espressi dai padri fondatori.

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

51

Senz’altro tale giurisprudenza non può considerarsi perfetta, ma fino ad ora ha

saputo dimostrarsi duratura e flessibile ed ha permesso una risoluzione sensibile e

realistica di molti problemi.

Il punto di partenza fu considerare l’esistenza del problema: la Corte lo ammise

francamente nel caso Parke, Davis c. Centrafarm del 1968131:

“The national rules relating to the protection of industrial property have not

yet been unified within the Community. In the absence of such unification,

the national character of the protection of industrial property and the

variations between the different legislative systems on this subject are capable

of crating obstacles both to the free movement of goods and to the competition

within the Common Market”132.

2.1.1 Rinvii pregiudiziali e tutela della proprietà intellettuale

Come si avrà modo di constatare nel corso della trattazione, nella maggior

parte dei casi le pronunce della Corte sono intervenute a seguito di ricorsi

pregiudiziali, previsti dal Trattato CE all’articolo 234133: alla Corte infatti la

Comunità affida il compito di dare un’interpretazione uniforme del diritto

comunitario, per evitare che lo stesso, adattandosi ad ordinamenti interni

differenti, venga interpretato in maniera difforme dai giudici nazionali134. Le

131 Parke, Davis c. Centrafarm, causa 24/67, sentenza del 1968. Sul tema vedi anche i casi SirenaSRL c. EDA SRL del 1971, Keurkoop c. Nancy Kean del 1982 e Thetford c. Fiamma del 1988 (tuttesentenze già citate)132 “Le regole nazionali riferite alla proprietà industriale non sono ancora state unificateall’interno della Comunità. In assenza di tale unificazione, il carattere nazionale della protezionedella proprietà industriale e le differenze tra i vari sistemi legislativi sulla materia sono capaci dicreare ostacoli sia alla libera circolazione dei beni, sia al regime di concorrenza all’interno delMercato Comune”133 Già articolo 177134 L’articolo 234 recita: “la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a)sull’interpretazione del presente trattato, b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiutidalle istituzioni della Comunità e dalla BCE, c) sull’interpretazione degli statuti degli organismicreati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi. Quando una questione del

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

52

funzioni assolte dai giudizi pregiudiziali sono quindi di fondamentale importanza:

contribuiscono alla “correttezza” delle sentenze dei giudici nazionali e

promuovono un’interpretazione ed un’applicazione uniforme della legge UE nei

quindici Stati membri135.

Tale controllo “indiretto” sulla corretta interpretazione del diritto comunitario

interviene attraverso un meccanismo di cooperazione giudiziaria tra il livello

giurisdizionale nazionale e quello comunitario: se, nel corso di un giudizio

pendente di fronte ad una giurisdizione nazionale136, il giudice ritiene necessario

l’intervento interpretativo della Corte su una norma comunitaria137, quest’ultima

sarà obbligata ad emettere una pronuncia secondo l’autentica interpretazione del

diritto, a cui il giudice a quo dovrà necessariamente conformarsi. Tra i giudizi

interpretativi che vengono richiesti con maggiore frequenza, figurano quelli

riguardanti la compatibilità di norme nazionali con il diritto comunitario. Tale

genere di giudizio può altresì essere richiesto dalla Commissione o da un altro

Stato membro138.

Grazie alle pronunce derivanti da questi ricorsi, la Corte è riuscita ad avere

un impatto molto significativo sui contenuti della legislazione UE, rafforzando ed

genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può,qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandarealla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere èsollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioninon possa proporsi un ricorso pregiudiziale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta arivolgersi alla Corte di Giustizia”135 Per un’analisi più approfondita dell’articolo 234 e del sistema dei ricorsi pregiudiziali cfr.M.Ardenas, Artiche 177, references to the European Court: policy and practice, Butterworths, Londra1994 e P.Pescatore, Il rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 177 del trattato Cee: la cooperazione tra la Cortee i giudici nazionali, a cura della Commissione Europea, 1986136 Se ci si interroga, chiedendosi chi abbia la facoltà di ricorrere alla Corte in via pregiudiziale, cisi ritrova di fronte ad un dualismo storico tra regola e prassi: in teoria solo il giudice nazionale diultima istanza sarebbe autorizzato a rivolgersi all’istituzione comunitaria; la prassi però ci mostracome spesso e volentieri siano i giudici di primo grado ad inoltrare la richiesta. Si ricordi chesono ammesse al ricorso anche le Associazioni Nazionali di Categoria137 L’oggetto del ricorso può essere indistintamente una questione relativa all’interpretazione deltrattato o di un qualsiasi atto comunitario, dove per atto comunitario si intende un qualsiasi attoemanato da una delle istituzioni della Comunità. I trattati conclusi in sede internazionale dallaCommissione, nel suo ruolo di rappresentante e negoziatore esterno della Comunità, possonoessere oggetto di ricorso in via pregiudiziale

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

53

ampliando le competenze politiche dell’Unione, soprattutto quelle riguardanti il

Mercato Unico. La proprietà intellettuale è un tipico esempio in questo senso e

testimonia la notevole influenza che la giurisprudenza ha saputo ottenere nella

storia dell’integrazione.

Alcuni autori139 però sottolineano la non totale indipendenza della Corte: essa

infatti non può da sola elaborare una politica nel pieno senso della parola perché

necessita di una base legislativa o di un trattato su cui agire; Wincott sostiene che

senz’altro le sentenze della Corte hanno avuto un peso da non sottovalutare su

molte delle politiche dell’UE; ma spesso l’impatto più importante non è stato

tanto diretto quanto piuttosto “uno stimolo a ulteriori interventi legislativi”.

Nel caso della proprietà intellettuale, la Corte ha valutato i casi che le

venivano sottoposti dai giudici nazionali sulla base degli articoli del Trattato

CE140: in particolare la maggior parte delle richieste hanno avuto ad oggetto gli

articoli 28 e 30 del Trattato, riguardanti le restrizioni quantitative alla libertà di

circolazione delle merci; molte altre hanno impegnato la Corte in complesse

pronunce attinenti la materia della concorrenza141, dettata dagli articoli 81 e

138 Cfr. G.Ghidini e S.Hassen, op.cit., p. 62139 D.Wincott, The Court of Justice and the Legal System, in L.Cram, D.Dinan, N.Nugent (a cura di),Developments in the European Union, Basingstoke, Londra 1999140 Si faccia riferimento al paragrafo 1.4.1 intitolato alla “Libertà di circolazione delle merci negliarticoli del trattato”141 La politica di concorrenza è il terzo pilastro del Mercato Unico. Le norme basilari sullaconcorrenza sono specificate negli articoli dall’81 all’89 del Trattato CE, già articoli 85-94 TCE,e presentano tre aspetti principali, riguardanti gli accordi tra imprese, gli abusi di posizionedominante e gli aiuti concessi dagli Stati. In base all’articolo 81 sono vietati , perchéincompatibili con il mercato comune, tutti gli accordi di imprese, tutte le decisioni diassociazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio traStati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il giocodella concorrenza all’interno del mercato comune. In base all’articolo 82 è vietato losfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercatocomune o su una parte sostanziale di questo. Ed infine l’articolo 87 proibisce gli aiuti concessidagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, che favoriscono talune impreseo produzioni che falsano la concorrenza. Tutti questi divieti stabiliti dal Trattato sono statiprecisati dalla successiva legislazione CE/UE, perlopiù in forma di provvedimenti legislativi delConsiglio e sentenze della Corte. Tutto ciò si è dimostrato ovviamente indispensabile per unbuon funzionamento di un mercato aperto ed integrato. La proprietà intellettuale è stata spesso

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

54

seguenti del Trattato CE; più spesso ancora le due materie si sono presentate

unite nelle questioni pregiudiziali poste dai giudici nazionali.

A testimonianza della probabile correttezza della tesi di Wincott, le

pronunce della Corte hanno spronato le altre istituzioni comunitarie ad un più

attivo e produttivo intervento legislativo sulla materia, che verrà analizzato nello

specifico nei capitoli seguenti. A titolo esemplificativo si ricordi che gli atti

istituenti l’ormai famoso marchio comunitario, tra cui l’importante Regolamento

40/94, sono intervenuti a seguito di molte pronunce dei giudici comunitari sulla

materia dei marchi, le quali hanno probabilmente avuto il merito di portare

all’attenzione di Consiglio, Commissione e Parlamento Europeo il problema,

nonché di spianare la strada ai successivi atti legislativi.

2.1.2 Vari percorsi per un’analisi giurisprudenziale

L’analisi giurisprudenziale che si intende fare in questo secondo capitolo

può seguire varie direttrici, a seconda di quali elementi si vogliono sottolineare.

Ovviamente sarà impossibile dar conto di tutte le sentenze che hanno contribuito

collegata al problema della concorrenza perché in più occasioni si è ritenuto che l’esercizio di undiritto di privativa potesse configurarsi come un accordo o più spesso, come un abuso diposizione dominante. La Corte si è dovuta spesso pronunciare sulle relazioni tra le due disciplinee ha ripetutamente stabilito che l’esercizio di un diritto di proprietà industriale può incorrere nelrigore dell’articolo 85 (ora articolo 81) quando costituisca l’oggetto, il mezzo o il risultato di unapratica restrittiva. Allo stesso modo l’esercizio di tale diritto non costituirà di per sé un abuso diposizione dominante: perché lo sia il titolare dovrà avere una posizione dominante sul mercato osu una parte considerevole di esso, dovrà fare un uso improprio del suo diritto e dovrà potersiconsiderare responsabile di danneggiare il commercio intracomunitario. Sulla materia cfr, P.Oliver, op.cit., p. 8.128. Sul rapporto tra concorrenza e proprietà intellettuale cfr. T.Prime,Intellectual property and the EC Treaty Licensing and the European Competition Rules, in op.cit., p. 29. Ingenerale sul regime comunitario di concorrenza cfr. G.Benacchio, Diritto Privato della ComunitàEuropea - Fonti, modelli, regole, CEDAM, Padova 1998, capitolo dodicesimo, p. 453; AA.VV.,Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario, Giuffrè, Milano 1996; G.Bernini, Un secolo di filosofiaantitrust, Il Mulino, Bologna 1991; Alessi e Olivieri, La disciplina della concorrenza e del mercato,Giappichelli, Torino 1991; Ritter, Braun, Rawlinson, EEC Competition Law. A Practitioner’s guide,Kluwer, Deventer, 1991

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

55

a tracciare l’evoluzione della materia, visto l’enorme numero di casi142 sui quali la

Corte è stata chiamata a pronunciarsi, che avessero attinenza con i diritti di

privativa.

Sarà necessario scegliere se adottare lo stile analitico di uno studioso piuttosto

che quello suggerito da altri cultori della materia.

Celona143, ad esempio, per ogni argomento relativo alla proprietà

intellettuale, sceglie un caso che gli pare particolarmente significativo e alla luce

delle conclusioni della Corte in tale sentenza illustra il tema. Perciò sceglie la

sentenza Centrafarm c. Sterling Drug144 per addentrarsi nella materia dell’identità del

prodotto importato e del prodotto nazionale che si vorrebbe tutelare145 oppure la

sentenza Van Zuylen c. HAG146 per affrontare il tema dell’esercizio del diritto di

marchio. Anche Cornish147 utilizza un metodo espositivo simile: affronta il

difficile contrasto tra libertà di circolazione delle merci e proprietà intellettuale

suddividendolo in più parti, ognuna corredata dalle conclusioni della Corte nelle

più celebri sentenze; le parti, dopo una prima sezione introduttiva e generale148,

si concentrano sulla validità di brevetti, copyright e altri diritti contro le

appropriazioni indebite149, sulla liceità del diritto di marchio150, sulla libera

142 Per avere un’idea sull’enorme mole di lavoro della Corte si consideri che nell’anno 1999 lastessa ha avuto un’attività generale comprendente ricorsi pregiudiziali, ricorsi diretti, appelli,pareri e delibere ed infine procedimenti speciali. Per quanto concerne i ricorsi pregiudiziali laCorte ha sentenziato in 192 casi, si è vista sottoporre 255 nuove azioni, cosicché i casi in corsoal 31 dicembre del 1999 risultavano essere 476. La fonte di tali dati è: Corte di Giustizia,Statistiche sull’attività svolta nel 1999.143 G.Celona, op.cit., p. 321144 Sentenza sopra citata145 Sull’argomento cfr. G.Celona, L’identità del prodotto e i suoi effetti sulla validità e la tutela del marchio,in Riv. Dir. Int. 1988, p. 345146 Sentenza sopra citata147 W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, Third edition, Sweet & Maxwell, Londra1999, p. 524 148 La prima parte, sotto il titolo “General”, annovera sentenza tra le quali Consten and Grundig c.E.C. Commission, cause C-56/64 e 58/64, sentenza del 13 luglio 1966, E.C.R. p. 429; DeutscheGrammophon c. Metro-SB-Grossmarkte del 1971; Centrafarm c. Sterling Drug e Centrafarm c. Winthropdel 1974149 La seconda parte, chiamata “Application to patents, design, copyright and other rights againstmisappropriation”, comprende tra le altre le sentenze Musik Vertrieb Membran c. GEMA del 1981 eThetford c. Fiamma del 1988

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

56

prestazione dei servizi correlata alla proprietà intellettuale151 ed infine

sull’applicazione delle regole di concorrenza ai diritti di privativa152. Per ognuna si

fa riferimento alle sentenze più note nonché più significative e alla modalità di

risoluzione proposta dai giudici comunitari.

Altri autori153 hanno scelto come oggetto del loro studio le sentenze della Corte

riguardanti la materia della proprietà intellettuale e strettamente legate alla tutela

della concorrenza da parte delle istituzioni comunitaria. Essi considerano i diritti

di proprietà intellettuali come semplici barriere al commercio ed in quanto tali li

definiscono anticompetitivi. Tutto il loro studio è basato sulla ricerca delle

sentenze nelle quali la Corte ha stabilito la superiorità delle norme a tutela della

concorrenza su quelle a difesa dei diritti di proprietà intellettuale.

Altri autori154 si concentrano sulle sentenze più significative in materia di marchi

piuttosto che di brevetti. All’interno della sfera giurisdizionale della proprietà

intellettuale il loro studio può essere considerato monotematico perché il loro

intento dichiarato è quello di scindere i vari aspetti o temi di un unico settore

giuridico.

In questa sede invece si tenterà di affrontare in modo organico il tema

della proprietà intellettuale, scegliendo tra le sentenze più importanti quelle utili

ad illustrare l’evoluzione della materia verso un puntuale intervento legislativo. Le

sentenze Centrafarm, Hag I e II, Ideal Standard sono infatti unanimemente

riconosciute come le più significative in questo settore, perché in esse la portata

delle pronunce è stata senza dubbio rivoluzionaria. Saranno utilizzate, senza

distinzione, sentenze vertenti su problematiche relative a marchi, piuttosto che a

150 La terza parte, intitolata a “ Application to trade mark and related cases”, cita le sentenze Sirena c.del 1971 e IHT c. Ideal Standard del 1994151 Questa sezione, dedicata a “Free provision of service and Intellectual Property”, utilizza il caso Coditelc. Ciné Vog, causa 62/79, sentenza del 1980 152 Quest’ultima parte, “Application of rules of competition to intellectual property”, comprende tra lesentenze RTE and ITP c. E.C. Commission, causa C 241/91, sentenza del 1995 e Nungesser andEisele c. E.C. Commission, causa 258/78, sentenza del 1982153 V. Korah, Cases and Materials on EC Competition Law, Hart Publishing, Oxford 1997

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

57

brevetti o diritti d’autore, ma anche sentenze ufficialmente rientranti nel tema

della concorrenza, laddove risulti necessario ad illustrare l’iter giurisprudenziale.

2.1.3 L’evoluzione della giurisprudenza in tre fasi

L’obiettivo è quello di illustrare le varie fasi che la giurisprudenza ha

attraversato, a partire dalle prime pronunce della fine degli anni ‘60. Sono infatti

individuabili tre differenti fasi, caratterizzate ognuna da un preciso orientamento

dei giudici comunitari. Si tratta ovviamente di cambiamenti lenti e progressivi, che

non è possibile far coincidere con una data precisa o con una determinata

pronuncia della Corte. Ma sono comunque mutamenti ravvisabili attraverso uno

sguardo d’insieme alle sentenze su questo tema. In ogni fase infatti, la Corte si è

espressa in più occasioni sull’argomento, ma è in una o due sentenze più

significative che l’orientamento ha trovato consistenza, per essere eventualmente

confermato e precisato in altre pronunce della stessa fase. Così la centralità della

sentenza Hag I nella prima fase non è messa in dubbio da alcuno studioso, poiché

in essa la Corte ha definito l’orientamento che ha mantenuto sostanzialmente

intatto per una quindicina d’anni, fino alla successiva pronuncia, denominata Hag

II. Saranno quindi queste le sentenza scelte a rappresentare ogni fase in questo

lavoro, cosicché da esse sia facilmente individuabile l’evoluzione

giurisprudenziale. Altre sentenze, appartenenti alla stessa fase, saranno

eventualmente utilizzate per confermare l’orientamento espresso nella sentenza

più celebre.

Simbolicamente si può far iniziare questa evoluzione giurisprudenziale con

la sentenza Grundig-Consten155 del 1966: in tema di contratto di licenza la Corte

affermò che l’ordinamento comunitario della concorrenza nega che possa essere

154 F.Benussi, Il Marchio Comunitario, Regolamento CE n° 40/94 del Consiglio del 20 dicembre 1993,Regolamento CE n° 2868/95 della Commissione del 13 dicembre 1995, Regolamento CE n° 2869/95 dellaCommissione del 13 dicembre 1995, Giuffrè, Milano 1996, p. 5 e ss.

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

58

sfruttato qualsiasi ordinamento nazionale relativo ai marchi di impresa al fine di

eludere le norme comunitarie in materia di intese156. Al termine di questa prima

fase157, di cui la sentenza citata segna l’inizio e a cui appartengono altri noti casi

come Sirena-Novimpex158, Hag159, Centrafarm-Winthrop160, Terrapin c. Terranova161, la

Commissione e la Corte giunsero a stabilire che il titolare di un diritto di privativa

in un Paese della Comunità non potesse in certi casi opporsi all’importazione, da

un altro Paese membro, di un altro bene legittimamente protetto dalla stessa

tutela. La prima fase era caratterizzata dal fatto che tale conclusione si estendeva

indistintamente a tutti i casi in cui il titolare del diritto era lo stesso, sia nel Paese

di esportazione che in quello di importazione, ovvero ai casi in cui il titolare del

Paese importatore avesse acconsentito a tale importazione. Anche ai casi

rientranti nella cosiddetta ipotesi dell’“origine comune”162 veniva estesa la

suddetta conclusione.

In questa prima fase figura tra le più significative sentenze quella riguardante la

società Hag, del 1974163, in cui la Corte ha riaffermato la inammissibilità che

l’esclusiva di un diritto di marchio, fondata sulla territorialità della legge

nazionale, possa essere utilizzata al fine di opporsi alla distribuzione in un Stato

membro di beni esportati da un altro Paese della Comunità con un marchio

identico avente origine comune.

155 Caso Consten & Grundig c. E.C. Commission, cause riunite C-56/64 e C-58/64, sentenza del 13luglio 1966156 Già da questa prima causa appare chiaro che spesso il legame tra proprietà intellettuale econcorrenza è tale da far sì che i casi non possano essere fatti rientrare univocamente in unosolo dei due ambiti157 Senza la pretesa di indicare con precisione una data di inizio ed una di fine per questa primafase, si possono assumere come limiti temporali della stessa gli anni ’70 e ’80, fino alcambiamento di rotta segnato dalla Hag II del 1989158 Caso Sirena S.R.L. c. Eda S.R.L., causa 49/70, sentenza del 18 febbraio 1971159 Sentenza sopra citata160 Sentenza sopra citata161 Sentenza sopra citata162 Tale ipotesi si verifica allorquando il diritto sia esercitatile nel Paese di esportazione da unterzo, ma sia originariamente appartenuto ad un unico titolare. Non importa che l’originariadivisione sia stata volontaria, attraverso un’alienazione da parte dell’originario avente diritto, oimposta da una pubblica autorità163 Sentenza sopra citata

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

59

All’inizio degli anni ‘90 un altro caso ebbe come protagonista la società

tedesca Hag: la sentenza che ne sortì, denominata Hag II164, segna l’inizio

simbolico della seconda fase dell’iter giurisprudenziale in esame165. In essa la

Corte sembrò cambiare il proprio orientamento, consentendo al titolare di un

diritto di privativa di opporsi all’importazione nel suo Paese di appartenenza e da

un altro Stato comunitario, di beni che, pur recando legittimamente il segno per

la loro commercializzazione, non fossero stati messi in commercio dal titolare del

Paese importatore o con il suo consenso. Ciò significava che se i beni erano stati

posti in commercio nel Paese d’esportazione da un soggetto terzo e senza il

consenso del titolare del Paese importatore, costui poteva legittimamente opporsi

all’importazione di tali prodotti; cessava di rilevare l’eventuale origine comune dei

due diritti.

La sentenza Hag II riguardava un caso in cui la separazione dei marchi, i quali

avevano quindi origine comune, era stata imposta da una pubblica autorità.

Rimanevano considerevoli dubbi però circa l’eventuale ipotesi in cui la

separazione fosse avvenuta volontariamente. La Corte fu quindi chiamata a

pronunciarsi su un caso del genere, nella causa IHT c. Ideal Standard166, che segna

nella nostra trattazione l’inizio della terza fase167, pur non essendoci un

cambiamento sostanziale nell’orientamento della Corte, quanto piuttosto una

specificazione. La Corte sostenne infatti che si possa applicare la soluzione della

sentenza Hag II anche ai casi in cui la separazione dei marchi sia stata volontaria:

l’unica condizione è che l’alienazione di uno dei marchi nazionali non abbia avuto

proprio lo scopo di determinare una separazione fra i mercati dei due Paesi

comunitari interessati, in relazione al prodotto recante il marchio oggetto di

164 Sentenza sopra citata165 La seconda fase giurisprudenziale inizia con la fine degli anni ‘80 e dura fino alla metà deglianni ‘90166 Sentenza sopra citata167 La terza fase giurisprudenziale inizia nella metà degli anni ’90 e l’impostazione della Corte èda considerarsi valevole a tutt’oggi

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

60

contesa. Si ritorna quindi ad affermare la superiorità della libera circolazione dei

prodotti, quale sancita dagli articoli iniziali e fondamentali del Trattato.

Questi tre orientamenti, quali espressi sinteticamente a titolo introduttivo in

questo paragrafo, verranno di seguito ripresi ed approfonditi, con riferimenti

specifici e mirati ai singoli casi in cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi.

Allo stesso modo l’analisi giurisprudenziale sarà utilizzata per illustrare

meglio, con l’ausilio delle conclusioni dei giudici, quei principi dell’esaurimento

comunitario e della differenza tra esistenza ed esercizio del diritto di cui si diceva

nel capitolo precedente. Essi, disegnati dalla Corte per superare il difficile

contrasto tra libera circolazione delle merci all’interno del Mercato Comune e

natura prettamente territoriale dei diritti di proprietà industriale, rappresentano in

modo tangibile l’apporto dato dalla giurisprudenza alla materia, poiché sono stati

trasposti nella legislazione successiva. D’altronde il percorso che si intende

percorrere necessariamente va a coincidere con l’evoluzione conosciuta dal

principio dell’esaurimento in materia di marchi di impresa, in materia brevettale e

in materia di diritto d’autore.

2.1.4 La giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di tutela della proprietà intellettuale

La copiosa giurisprudenza prodotta dalla Commissione Europea e

soprattutto dalla Corte di Giustizia è stata in generale caratterizzata da una severa

ed intransigente interpretazione degli articoli 81 e 82, attinenti le regole di

concorrenza, e da una relativa visione alquanto restrittiva dell’ambito entro il

quale l’esercizio dei diritti di privativa può essere considerato lecito. Per questo

alcuni autori168 ritengono che nel corso degli anni si sia prodotta una continua ed

inesorabile erosione dei diritti di proprietà industriale conferiti e tutelati dalle

legislazioni nazionali. Ciò significa che comportamenti leciti in base al diritto di

168 G.Ghidini e S. Hassen, Diritto industriale. Commentario, II edizione interamente riveduta ed aggiornata,Ipsoa, Milano 1988, p. 674

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

61

uno Stato membro, possono venir sanzionati ed impediti perché contrari alla

normativa comunitaria, in base alla supremazia di quest’ultima sui diritti nazionali.

I principi generalmente seguiti dalla Corte e posti a base delle sue sentenze

riguardano sostanzialmente l’interpretazione dell’articolo 30 del Trattato CE e

sono il frutto di pronunce degli stessi giudici comunitari.

Benché la Corte riconosca che il Trattato non pregiudica l’esistenza di diritti

concessi dalle legislazioni nazionali in materia di proprietà industriale e

commerciale, i divieti del Trattato hanno ugualmente la facoltà di limitare tali

diritti, a seconda delle circostanza169. Lo stesso articolo 30 a cui si faceva poc’anzi

riferimento, è una norma eccezionale rispetto a uno dei principi fondamentali del

mercato comune. E pertanto le deroghe previste da tale articolo possono essere

legalmente invocate solo quando siano necessarie alla tutela dell’oggetto specifico

del diritto in questione170. La restrizione alla libera circolazione delle merci, celata

dietro il richiamo all’articolo 30, si deve invece considerare illegittima se non ne

discenda l’esistenza stessa del diritto in questione, soprattutto se lo stesso diritto è

utilizzato per scopi estranei alla sua intrinseca natura, in special modo per creare

discriminazioni o segmentare in mercato171.

Infine, poiché la difficoltà maggiore che Corte e Commissione hanno dovuto

affrontare ricevendo richieste riguardanti la proprietà industriale e commerciale,

consiste nel tentare di contemperare gli interessi dei titolari di utilizzare nel modo

economicamente più conveniente il loro diritto con la necessità di evitare che con

tali pratiche essi possano o tentino di compartimentare il mercato, le due

istituzioni hanno fatto talvolta ricorso a criteri basati sulla rule of reason, di matrice

statunitense172. Mancando infatti una linea di demarcazione certa, esse hanno

dovuto valutare i casi volta per volta, soppesando i costi ed i benefici delle

169 Si tratta dell’interpretazione data dell’art. 30 dalla Corte il 22 gennaio 1981 nella causa 58/80170 Sull’argomento si veda il paragrafo 1.4.4 intitolato: “l’oggetto specifico dei diritti di proprietàintellettuale”171 Questo principio è stato espresso sia dalla Commissione, nel 1975, nella causa 29/76, chedalla Corte nel 1976, nella causa 119/75172 G.Benacchio, op.cit. p. 493

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

62

possibili restrizioni imposte al titolare. Hanno perciò considerato ammissibili le

limitazioni alla libera circolazione che fossero proporzionali ai benefici attesi dal

titolare stesso, anche se spesso la posizione delle istituzioni comunitarie ha

portato ad una più rigida applicazione dei divieti di cui agli articoli 81 e 82 del

Trattato CE.

2.2 LA PRIMA FASE GIURISPRUDENZIALE

La sentenza che simbolicamente rappresenta l’avvio dell’interesse

comunitario e nello specifico giurisdizionale per la disciplina della proprietà

intellettuale è la Grundig and Consten c. E.C. Commission del 1966173. Si tratta in

realtà di una sentenza che molti autori o studiosi174 della materia classificano

come appartenente ai casi inerenti la concorrenza; si presta però senz’altro

altrettanto bene ad introdurre uno studio sui diritti di privativa perché in essa la

Corte si pronunciò per la prima volta sull’articolo 30175, di cui diede una prima

lettura interpretativa.

Consten e Grundig, rispettivamente distributore esclusivo in Francia e produttore

tedesco di beni elettrodomestici, agirono contro la Commissione Europea di

fronte alla Corte di Giustizia perché fosse dichiarata invalida e quindi

insussistente la dichiarazione della Commissione176 secondo cui l’intero accordo

di distribuzione esclusiva intercorrente tra i due operatori contrastava con

l’articolo 85 e quindi doveva essere soppresso. Dal 1957 infatti Grundig, impresa

tedesca leader nel settore dei beni elettronici, aveva affidato a Consten la

173 Sentenza sopra citata174 V. Korah ad esempio inserisce questa sentenza nel capitolo dedicato allo studio dell’artico 85(82 secondo l’attuale numerazione) piuttosto che in quello dedicato alla proprietà intellettuale ealla libera circolazione delle merci. V.Korah, op.cit.175 All’epoca articolo 36, secondo la vecchia numerazione176 La Commissione aveva infatti agito come garante del sistema di concorrenza, compitoaffidatole dal diritto comunitario

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

63

distribuzione in esclusiva177 dei suoi prodotti in Francia, così come aveva scelto

altri distributori per gli altri Stati del mercato europeo. In aggiunta aveva deciso di

marchiare tutti i beni destinati a tale mercato con il marchio Gint o Grundig

International. Senonché l’intromissione di due importatori paralleli178 dagli altri

mercati europei, suscitò l’azione di Consten per concorrenza sleale e infrazione di

marchio, e ciò a sua volta fece scattare il controllo della Commissione sull’intera

situazione. Essa dichiarò incompatibile con l’articolo 85 l’intero accordo di

distribuzione esclusiva ed intimò a Consten di interrompere l’uso del marchio per

ostacolare le importazioni parallele.

La Corte diede ragione ai commissari e a proposito dell’articolo 36, riguardante

più da vicino la disciplina dei marchio, specificò che esso non può e non deve in

nessun modo limitare il campo d’applicazione del regime di concorrenza. Fin da

subito venne dichiarata la invalidità di accordi che, tendenti ad isolare i mercati

nazionali all’interno della Comunità per una vasta gamma di prodotti, ledano il

sistema concorrenziale.

2.2.1 Diritto dei marchi e riconfezionamento dei prodotti

Il campo d’applicazione migliore per studiare l’evoluzione

giurisprudenziale è senz’altro quello dei marchi di impresa. I marchi sono stati fin

dall’inizio in prima linea nell’evoluzione della giurisprudenza, poiché i beni

protetti da un diritto brevettuale o da un copyright sono solitamente

commercializzati e fatti conoscere al pubblico attraverso uno specifico marchio,

cosicché gli eventuali problemi per contraffazione interessano la materia dei

177 La distribuzione in esclusiva è una particolare modalità di vendita di un prodotto, in cui ilproduttore affida ad un solo distributore per ogni Paese la commercializzazione dei suoiprodotti, essenzialmente per motivi tecnici: risulteranno più facili la gestione amministrativa, ilcontrollo sulle vendite, nonché meno costoso l’intero rapporto178 Con l’abrogazione delle quote francesi, tra il 1960 e il 1961, UNEF e Leissner iniziarono acomprare prodotti Grundig a bassi prezzi da grossisti tedeschi e a venderli in Francia, con fortimargini di guadagno

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

64

brevetti o del diritto d’autore e insieme quella dei marchi. Inoltre si verifica

spesso che un diritto di marchio tuteli un prodotto che non possiede alcuna tutela

brevettale o artistica.

Perciò la dottrina dell’esaurimento comunitario insieme a quella di distinzione tra

esercizio ed esistenza del diritto, ha trovato il più fertile terreno d’applicazione

nella disciplina dei marchi.

In particolare ciò che ha subito la maggiore evoluzione attraverso le

pronunce dei giudici comunitari è stato il concetto di “origine comune”,

strettamente legato al problema delle importazioni parallele.

La liceità delle importazioni parallele è stata più volte ribadita dalla Corte, in

particolare nella materia dei marchi. Per importazione parallela si intende l’azione

di un soggetto che, acquistato un prodotto in un determinato Paese, ad un certo

prezzo, lo porti in un altro Stato per rivenderlo, ad un prezzo più elevato, al fine

di ricavarne un profitto. Lo studioso Rothnie, parlando di importazione parallela,

dice:

“ Parallel imports have two vital, distinguishing features. They are lawfully

put on the market in the place of export, the foreign country. But, an owner

of the intellectual property rights in the place of importation, the domestic

country, opposes their importation (usually because the goods are sold in the

two different countries at quite disparate prices) and, taking advantage of

the lower price, some enterprising middleman buys stocks in the cheaper

foreign country and imports them into the dearer, domestic country. Hence,

the imports may be described as being imported in “parallel” to the

authorised distribution network” 179

179 C.Rothnie, A.Warwick, Parallel Imports, Sweet & Maxwell, Londra, 1993, p. 1

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

65

In uno dei primi casi affrontati dalla Corte, riguardanti il rapporto tra

proprietà intellettuale ed importazioni parallele180, un terzo vendeva in Olanda un

farmaco marchiato “Negram”, dopo averlo acquistato ad un prezzo

considerevolmente minore in Gran Bretagna dal titolare del marchio , traendo

profitto dalla notevole differenza di prezzo praticata nei due Paesi. Si tratta del

doppio caso Centrafarm c. Sterling Drug e Centrafarm c. Winthrop, entrambi del 1974.

In Gran Bretagna e in Olanda il marchio sotto cui il prodotto farmaceutico era

venduto apparteneva alle società Sterling Winthrop Group Ltd e Winthrop B.V.,

entrambe controllate dall’americana Sterling Drug181. Centrafarm, ottenuta una

fornitura dello stesso prodotto marchiato in Gran Bretagna, lo mise in vendita a

prezzo ribassato in Olanda, suscitando l’azione giudiziaria di Winthrop per

infrazione sia di marchio che di brevetto. La Corte di Giustizia fu interpellata in

via pregiudiziale dalla Hoge Raad per rispondere a questioni riguardanti la

compatibilità tra la proprietà intellettuale e la circolazione dei prodotti nel

mercato comune.

La Corte confermò la legittimità dell’operazione compiuta da Centrafarm,

partendo da considerazioni circa la differenza tra esistenza ed esercizio di un

diritto. Un ostacolo alla libera circolazione non è ammissibile “qualora il prodotto

sia stato regolarmente venduto, sul mercato dello Stato membro dal quale esso

viene importato, dallo stesso titolare del marchio o con il suo consenso, di guisa

che non si possa parlare di abuso o di contraffazione del marchio”182. Se infatti il

titolare del marchio potesse opporsi all’importazione dei prodotti contrassegnati

dal marchio, da lui stesso o con il suo consenso messi in commercio in uno Stato

straniero, egli avrebbe la possibilità di isolare i mercati nazionali e creare

180 Sul rapporto tra proprietà intellettuale e importazioni parallele si veda: J.M.Ammann,Intellectual Property Rights and Parallel Imports, in Legal Issues of European Integration, Law Review of theEuropean Instituut University of Amsterdam, Kluwer Law International, 1999, p. 91; C.Ohly, TradeMarks and Parallel Importation – Recent Developments in Europe, in International Review of IndustrialProperty and Copyright (IIC), volume 30, p. 515181 La società americana Sterling Drug era a capo del gruppo Sterling Winthrop Group, a cuiappartenevano la Sterling Winthrop Group Ltd e la Winthrop B.V.

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

66

restrizioni agli scambi che gli garantiscano il diritto esclusivo derivante dal suo

diritto di privativa. Pertanto la Corte giudicò l’opposizione da parte del titolare di

marchio allo sfruttamento commerciale del prodotto marchiato e

commercializzato con il suo consenso in un altro Stato, incompatibile con le

norme del Trattato sulla libera circolazione183.

In altri casi è accaduto che l’importatore parallelo non si limitasse ad

acquistare e rivendere in un altro Stato il prodotto, ma ne modificasse anche la

confezione. Il caso più celebre riguarda il noto marchio “Valium”, del gruppo

Hoffman-La Roche, la quale agì in giudizio contro un importatore parallelo che,

acquistato il prodotto in Gran Bretagna lo riconfezionava184 prima di rivenderlo

in Germania185. Da una parte Hoffman-La Roche riteneva il riconfezionamento

pari ad una vera e propria contraffazione mentre Centrafarm, l’importatore

parallelo, si difendeva adducendo la invariabilità del bene stesso. Ci si chiedeva: il

titolare del marchio ha il diritto di opporsi al riconfezionamento del bene,

indipendentemente dal rischio di alterazione dello stesso? La Corte ammise che il

riconfezionamento può danneggiare la funzione essenziale del diritto di marchio,

che è quella di far riconoscere al consumatore il prodotto per la sua provenienza

e per le sue caratteristiche qualitative; ciò nonostante, poiché l’opposizione può

essere utilizzata in concreto per dar luogo ad una restrizione dissimulata degli

scambi186, non la si può accettare in via generale. Anzi, la Corte, proprio per

tutelare gli interessi del titolare nella sua qualità di proprietario del marchio e

proteggerlo contro eventuali abusi, dichiarò che il riconfezionamento è da

182 La sentenza già citata, si trova nella Raccolta di Giurisprudenza Comunitaria (E.C.R.)dell’anno 1974, pagina 1183. Sul tema e sulla sentenza cfr. W.R. Cornish, op.cit., p. 536183 Tale decisione fu ribadita dalla Corte nel caso Dansk Supermarked del 1981, in cui il terzo incausa aveva acquistato il prodotto da un licenziatario del titolare del marchio184 Il prodotto veniva acquistato in Gran Bretagna in confezioni da 100 e 250 compresse eveniva riconfezionato in imballaggi, destinati a centri ospedalieri, contenenti ciascuno 1000compresse oppure in involucri più piccoli, destinati ai consumatori finali185 Caso Hoffman-La Roche c. Centrafarm, causa 102/77, sentenza del 1978. Il caso si trova inE.C.R. a pagina 1139186 Il titolare del marchio potrebbe appositamente porre in commercio in diversi Stati lo stessoidentico bene, in confezioni diverse e far valere i diritti di marchio per impedire ilriconfezionamento da parte di terzi

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

67

considerarsi legittimo solo qualora venga provato che “esso non altera lo stato

originario del prodotto”.

2.2.2 Marchi identici con origine comune

La problematica delle importazioni parallele si complica ulteriormente se

vi si aggiunge l’ipotesi dell’origine comune dei prodotti. Può infatti accadere - e

come si vedrà queste sono le situazioni che hanno creato alla Corte i problemi

interpretatiti maggiori - che la proprietà di un marchio sia in origine appartenuta

allo stesso proprietario e solo in seguito essa sia stata frazionata tra più soggetti

all’interno della Comunità. La divisone può essere stata volontaria, come nel caso

delle cessioni, ovvero può derivare da un atto impositivo di una pubblica autorità.

Il problema è lo stesso, indipendentemente dal carattere volontario o meno del

frazionamento: cosa accade quando il prodotto viene esportato dal titolare o con

il suo consenso in un altro Stato dove lo stesso diritto appartiene ad un altro

soggetto, e i due marchi abbiano la stessa origine?

Il caso Sirena c. Eda187 del 1971 impegnò a lungo la Corte sull’argomento e

formò l’oggetto di una lunghissima vicenda giudiziaria in Italia. L’attrice era una

società italiana, Sirena SRL, che nel 1937 aveva acquistato dalla società americana

Mark Allen il marchio “Prep” per una crema da barba e, all’inizio degli anni ’70,

agì in giudizio contro la Novimpex, società tedesca licenziataria dello stesso

marchio, poiché essa aveva iniziato ad esportare in Italia il prodotto in questione.

Sostanzialmente i due prodotti venduti in Italia da Sirena e Novimpex avevano

origine comune, poiché derivavano entrambi dalla titolare originaria del marchio.

Sirena accusò Novimpex di contraffazione, mentre la convenuta adduceva a sua

difesa l’origine comune del diritto di marchio.

La Corte europea si dimostrò poco precisa e la sua risposta mostrò un notevole

grado di astrazione dal caso di specie: questo portò a interpretazioni molto

187 Caso Sirena SRL c. Eda GmbH, causa 40/70, sentenza del 1971, E.C.R. p. 69; si veda ancheW.R.Cornish, op.cit., p. 558 e V.Korah, op.cit., p. 357

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

68

diverse di ciò che i giudici comunitari avevano detto nel loro giudizio in via

pregiudiziale, da parte dei giudici italiani, cosicché il tribunale, la Corte d’appello e

la Cassazione assunsero posizioni diametralmente opposte; l’ultima Corte

d’Appello dichiarò la totale indipendenza dell’attrice dalla cedente originaria, così

come dalla sua licenziataria tedesca. Visto anche il notevole lasso di tempo

trascorso dal momento della cessione, la Corte italiana legittimò l’opposizione di

Sirena all’importazione del prodotto “Prep” dalla Germania, non ravvisando

alcuna origine comune tra il prodotto della titolare italiana e quello

dell’esportatrice tedesca.

Rimasero però notevoli dubbi circa l’esatto recepimento da parte delle Corti

italiane del giudizio della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, soprattutto

visto l’opposto orientamento che la Corte di Lussemburgo assunse nel quasi

contemporaneo caso Hag.

2.2.3 Il caso Hag I

Vista l’irrimediabile incapacità dei giudici nazionali a recepire

correttamente le pronunce della Corte europea, probabilmente anche a causa

della poca chiarezza delle stesse, quest’ultima si trovò costretta, dopo la vicenda

del caso Sirena, a chiarire la sua posizione in termini molto più sfavorevoli

all’esercitabilità del diritto di marchio. Poiché fu questo, quale espresso nel caso

Hag I188, l’orientamento che sarà seguito per una quindicina d’anni in Europa,

fino alla svolta del caso Hag II, lo si considererà in questa sede come quello

predominante e caratterizzante la prima fase dell’iter giurisprudenziale in esame.

188 Il caso Van Zuylen Frères c. HAG AG del 1974 venne denominato caso Hag I per distinguerlodal successivo caso del 1990, tra C.N.L. Sucal e la stessa società Hag, quindi denominato casoHag II

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

69

In contrasto con quanto detto nel caso precedente189, la Corte affermò che

quando è comune l’origine dei marchi in questione, cioè quando la registrazione

degli stessi è avvenuta nei due Paesi ad opera dello stesso soggetto, colui che ne è

proprietario in uno Stato non può impedire che venga importato un prodotto

recante lo stesso marchio e che sia stato commercializzato in un altro Stato della

Comunità da un altro operatore, i cui diritti risalgono alla medesima origine190.

Tutto ciò fu per la prima volta ben espresso nel caso Hag I: la società tedesca

Hag Bremer, prima produttrice di caffè decaffeinato, nel 1907 aveva registrato il

suo marchio “Hag” in Germania e nel 1927 aveva costituito una società

controllata in Belgio, la filiale Cafè Hag S.A., la quale aveva parimenti registrato a

suo nome il marchio in Belgio. Nel periodo bellico, per effetto di una confisca, il

governo belga si impossessò della società belga per venderla prima alla famiglia

Van Oevelens, la quale cedette poi alla società in accomandita Van Zuylen Frères

il marchio del caffè decaffeinato191. In seguito a ciò, in Germania ed in Belgio, il

marchio Hag apparteneva a due società distinte, tra cui “non sussisteva alcun

rapporto giuridico, finanziario, tecnico od economico”192. Era quindi esclusa

l’eventuale applicazione dell’articolo 81 del Trattato CE, sull’esistenza di intese

lesive della concorrenza.

Il problema sorse allorché la società tedesca iniziò, nel 1972, ad esportare in

Belgio il suo caffè decaffeinato recante il marchio “Hag”, suscitando l’azione

legale della società belga che intendeva impedire tale commercializzazione nel suo

Paese. Il Tribunal d’Arrondissement di Lussemburgo sottopose alla Corte due

189 Molti autori sostengono che si tratti più di una cattiva interpretazione da parte dei giudiciitaliani che di una diversa pronuncia da parte della Corte di Giustizia190 Lo stesso principio fu ribadito dalla Corte nel caso del 1976 Terrapin Ltd c. Terranova IndustrieCA Kapferer and Co, sentenza sopra citata191 La società Van Oevelens cedette alla Van Zuylen Frères il marchio “Hag” nel 1971, mentre laHag Bremer iniziò ad esportare il suo prodotto in Belgio nel 1972192 Così si espresse il Tribunal d’Arrondissement di Lussemburgo, con sentenza 31 ottobre 1973,nel sottomettere alla Corte di Giustizia, in forza dell’articolo 234 del Trattato, due questionipregiudiziali sull’interpretazione di alcuni articoli del Trattato

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

70

questioni pregiudiziali193 sulla corretta interpretazione degli articoli 5, 30, 36 e 85

del Trattato194.

La Corte, considerata l’origine comune dei diritti di marchio, dichiarava che il

prodotto della società tedesca poteva liberamente essere venduto in Belgio. La

Corte si espresse in questo modo: “L’esercizio del diritto di marchio può

contribuire all’isolamento dei mercati e compromettere in tal modo la libera

circolazione delle merci tra gli Stati membri, tanto più che, a differenza di altri

diritti di proprietà industriale e commerciale, quello in esame non è oggetto a

limiti temporali.” “ E’ quindi inammissibile che il carattere esclusivo del diritto di

marchio, conseguenza della territorialità della legge interna, sia fatto valere dal

titolare di un marchio al fine di impedire la distribuzione, in uno Stato membro,

di merci legalmente prodotte sotto un marchio identico, avente la stessa origine,

in un altro Stato membro”. “Questo intento, che si risolverebbe nell’isolamento

dei mercati nazionali, è infatti in contrasto con uno degli scopi essenziali del

Trattato, qual è la fusione dei mercati nazionali in un mercato unico”. “Il fatto

che in uno Stato membro venga impedita la distribuzione di una merce

contrassegnata da un marchio depositato in un altro Stato membro, e ciò per

l’unica ragione che nel primo Stato esiste un marchio identico, avente la stessa

origine, è incompatibile con le norme relative alla libera circolazione delle merci

nell’ambito del mercato comune”195.

Tale ragionamento era inoltre portato alle sue estreme conseguenza visto che la

Corte sottolineava l’irrilevanza della volontarietà o meno del frazionamento: non

193 In base all’articolo 234 del Trattato CE. Sui rinvii pregiudiziali si veda il paragrafo 2.1.1 delpresente lavoro194 Si tratta degli articoli 10, 28, 30 e 81 dell’attuale numerazione195 Caso Van Zuylen Frères c. Hag, causa 192/73, sentenza del 3 luglio 1974, si trova in E.C.R., p.731. Sul caso cfr. T.Prime, op.cit., p. 14; P.Mengozzi (a cura di), Casi e materiali di diritto comunitario,CEDAM, Padova 1998, p. 423; G.Ghidini e S.Hassan, Diritto industriale e della Concorrenza nellaCE, cit., p. 238; V.Korah, op.cit., p. 362; G.Celona, op.cit., p. 341

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

71

importava – essa disse – se il frazionamento dei diritti originari era stato

volontario o derivato da un provvedimento della pubblica autorità196.

Il tribunale propose infine una seconda questione pregiudiziale alla Corte,

chiedendo se lo stesso ragionamento si applicasse ad un caso in cui a distribuire il

prodotto marchiato fosse, non già il titolare del marchio, ma un terzo che avesse

acquisito regolarmente il prodotto in questo Stato. La Corte rispose che lo stesso

diritto, di porre in vendita il prodotto di cui si è depositato il marchio, in un altro

Stato, deve essere riconosciuto al terzo che abbia regolarmente acquistato il

prodotto nel primo Stato.

2.2.4 Le critiche alla sentenza Hag I

La posizione assunta dalla Corte sul caso Hag suscitò numerosissime

critiche, sia per l’inadeguatezza della motivazione – la motivazione della

pronunzia era stata infatti alquanto stringata – sia per il suo stesso contenuto.

Tra gli autori più critici figurano Ghidini197 e Ladas198, i quali fecero un

commento dettagliato e pieno di obbiezioni a ciò che la Corte aveva detto.

Vista la sentenza della Corte nel caso Hag, che delegittimava l’opposizione da

parte di un titolare di marchio a che nel suo Stato fossero importati beni recanti

un marchio identico al suo, pur non esistendo alcun legame tra i due operatori,

essi sostennero che un eventuale adeguamento da parte dei giudici nazionali a

questa pronuncia della Corte, sarebbe equivalso ad abolire, puramente e

semplicemente, il principio “un marchio, un’impresa”. Esso significa che il

marchio impedisce la confusione del pubblico acquirente in ordine alla reale

identità e provenienza del bene comprato. Secondo i due autori infatti, non ha

196 Nel simile caso Rotaprint, si era parimenti ritenuto certo che nell’ambito del territoriocomunitario possono circolare con lo stesso marchio sia i prodotti della società tedesca, siaquelli della società inglese197 G.Ghidini, Sul caso “Hag”, in Rivista di Diritto Commerciale e del Diritto Generale delle Obbligazioni,1975, parte II, p. 1

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

72

alcuna importanza il fatto che i due marchi abbiano origine comune: anzi, questo

riferimento al limite può servire a riconoscere che la derivazione dei due diritti da

una comune origine è idonea ad attribuire sia al titolare originario, sia al

“successore” in un diverso Stato, titoli nazionali distinti, cosicché nessuno dei

due possa essere considerato “un terzo sprovvisto di qualsiasi titolo giuridico” sul

marchio, cioè un contraffattore.

Secondo Ghidini la tesi della Corte deriva da un’impostazione

metodologica completamente scorretta: essa avrebbe proposto un’impostazione

“universalistica”, partendo da premesse “territorialistiche”, derivanti dal

riconoscimento di diritti nazionali paralleli e coesistenti su un singolo marchio.

“Se si resta ancorati ad una visione territorialistica della legittimazione all’uso del

marchio, è metodologicamente scorretto innestarvi, attraverso il richiamo al

principio della libera circolazione delle merci, vicende ispirate alla opposta logica

universalista”199. Due soluzioni vengono quindi proposte: o abbandonare

definitivamente la logica “territorialistica” attraverso l’istituzione del cosiddetto

marchio europeo200, oppure, se la si conserva, accettare le compatibili

conseguenze. Altrimenti l’adeguamento dei giudici nazionali provocherà ciò che

solitamente le legislazioni statali scongiurano, la confusione del pubblico.

La Corte cercò di difendere la propria posizione da queste accuse,

sostenendo che la reale informazione sui prodotti avrebbe potuto essere garantita

con altri mezzi, ad esempio con l’indicazione della diversa provenienza

territoriale. Fu una difesa inconsistente, soprattutto perché contrastava

apertamente con la primaria efficacia distintiva dei marchi: Ghidini sostenne

infatti che tale indicazione avrebbe semplicemente dato un’informazione erronea

198 L.Ladas, The Court of Justice of the European Community and the Hag Case, in International Review ofIndustrial Property and Copyright Law (IIC), 1974, p. 302 199 G.Ghidini, Sul caso Hag, op.cit., p. 9200 All’epoca l’istituzione del marchio europeo, come lo denominavano allora, o comunitario,come esiste oggi, appariva rinviata sine die. Per un’informazione critica sulle vicende del marchioeuropeo cfr. Schema di Convenzione sul diritto europeo dei marchi, a cura della Commissione delleComunità Europee, 1973

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

73

al pubblico, portandolo a pensare che i prodotti in questione provenissero da

imprese dello stesso gruppo.

Fortunatamente alla Corte fu presto data l’occasione di rivedere il giudizio

dato in Hag I, in un caso coinvolgente nuovamente la società Hag. Il caso Hag II

diede alla Corte l’opportunità di constatare l’erroneità del suo precedente

giudizio.

2.3 LA SECONDA FASE GIURISPRUDENZIALE

La discussione riguardante il marchio “Hag” si riaprì all’inizio degli anni

‘90 e nuovamente interessò la Corte, su un caso sostanzialmente simile.

Innanzitutto le critiche di cui al paragrafo precedente furono riprese

dall’Avvocato Generale F.G.Jacobs201, il quale espressamente dichiarò di ritenere

errata la posizione precedente e ne propose l’abbandono.

2.3.1 Le conclusioni dell’Avvocato Generale nel caso Hag II

Riprendendo molti degli argomenti proposti all’indomani della pronuncia

della Corte sul caso Hag I, proposti dagli studiosi sopra richiamati, l’Avvocato

Generale F.G.Jacobs propose, nelle sue conclusioni202, presentate il 13 marzo

1990, puntuali critiche ed argomentazioni a quella sentenza che, a suo parere,

201 La figura dell’Avvocato Generale è mutuata dall’esperienza giuridica francese. Egli è uncollaboratore della Corte ed ha il compito di presentare pubblicamente alla stessa delleconclusioni motivate sulle cause sottoposte alla Corte, nell’interesse della corretta applicazionedel diritto comunitario. La Corte però non è tenuta ad accogliere tali sue conclusioni, benchéesse di fatto abbiano nel corso degli anni assunto un’importanza tale da essere pubblicateinsieme alla sentenza della Corte

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

74

appariva viziata in molti suoi punti, denotava un’origine alquanto dubbia e perciò

era auspicabile fosse definitivamente abbandonata.

La dissertazione dell’Avvocato Generale è organizzata in più parti, di cui la prima

dedicata all’analisi delle pertinenti disposizioni del Trattato sulla materia della

proprietà intellettuale203, e la seconda rivolta ad una revisione dei principi stabiliti,

nel corso degli anni, dalla giurisprudenza della Corte.

Poiché il Trattato CE, in coerenza con la sua natura di trattato quadro,

non contiene una serie tassativa di norme che disciplinino attentamente la materia

in esame, bensì fornisce una semplice ossatura204, che deve essere adeguatamente

ricoperta dal legislatore comunitario, nonché dalla Corte di Giustizia, negli

interventi di queste due istituzioni dovrà essere ritrovata la disciplina della

proprietà intellettuale a livello comunitario. Tenuto conto della modesta attività

legislativa in ordine ai marchi e alla proprietà intellettuale in genere205, l’Avvocato

si soffermò sui tre principi fondamentali elaborati dalla Corte, principalmente

nella causa Deutsche Grammophon c. Metro206. Si tratta dei principi della dicotomia

esistenza/esercizio del diritto, dell’esaurimento comunitario e della limitazione

della tutela dell’oggetto specifico del diritto in questione. Oltre a questi tre

principi si ricorda che la Corte aveva elaborato il principio secondo cui i diritti

attribuiti, ai sensi della normativa nazionale, da un marchio, non possono essere

utilizzati in modo tale da far venire meno le regole della concorrenza del Trattato.

Su questo sfondo, costituito dagli articoli del Trattato e dai principi elaborati dalla

Corte, viene analizzata la dottrina dell’origine comune, formulata nella causa Hag

202 Conclusioni dell’Avvocato Generale F.G.Jacobs, presentate il 13 marzo 1990, in causa C-10/89, SA CNL-SUCAL NV c. HAG GF AG, E.C.R. del 1990, p. 3711203 Vennero analizzati gli articoli 30, 36, 222 e 85, rispettivamente articoli 28, 30, 295 e 81secondo l’attuale numerazione204 Conclusioni dell’Avvocato Generale F.G.Jacobs, in E.C.R. del 1990, p. 3725205 In materia di diritto di marchio, all’epoca l’attività del legislatore non era stata particolarmenteattiva e produttiva: la proposta di regolamento del Consiglio sul marchio comunitario non eraancora stata portata a termine, cosicché l’unico provvedimento adottato era la direttiva delconsiglio del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri suimarchi d’imprese206 Caso Deutsche Grammophon Gesellscheft GmbH c. Metro SB Grossmarkt GmbH and Co Kg, causa78/70, sentenza del 1971

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

75

I e confermata nella causa Terrapin c. Terranova207. “Raffrontando i quattro principi

sopra enunciati e la dottrina dell’origine comune con le disposizioni degli articoli

30, 36, 85 e 222 del Trattato, non si può fare a meno di rimanere colpiti da una

certa discrepanza. Mentre i quattro principi si possono ragionevolmente dedurre

da tali norme del Trattato, è molto meno facile trovarvi un fondamento

accettabile per la dottrina dell’origine comune”. “ Che ne è allora della dottrina

dell’origine comune? E’ molto meno facile trovare un fondamento di questo

principio nel Trattato. Invano si cercherebbe nel Trattato un fondamento per

sostenere che il titolare di un marchio non può essere legittimato ad impedire

l’importazione di merci prodotte dal titolare di un marchio parallelo in un altro

Stato membro semplicemente per il fatto che i due marchi hanno la stessa

origine. […] Devo notare che un principio di diritto per il quale non vi è un

sicuro fondamento nel Trattato, denota un’origine alquanto dubbia”208.

A dimostrazione della sua tesi, l’Avvocato Generale procedette quindi ad

un’analisi dettagliata della natura e della funzione dei marchi, per osservare nella

precedente giurisprudenza un atteggiamento esageratamente negativo sul valore

dei marchi e per smentire categoricamente la concezione secondo cui i marchi

salvaguardano interessi economicamente ed umanamente meno importanti di

quanto non facciano gli altri diritti di privativa, cosicché siano da considerarsi

meno importanti. Mentre secondo la Corte “il diritto di marchio si distingue da

altri diritti di proprietà industriale e commerciale in quanto l’oggetto di questi è

spesso più importante e degno di maggior tutela dell’oggetto di quello”209,

secondo Jacobs “ … i marchi premiano il produttore che fornisce costantemente

prodotti di alta qualità ed incoraggiano pertanto il progresso economico. Senza la

tutela del marchio ci sarebbe ben poco incentivo per i produttori a sviluppare

nuovi prodotti o a conservare la qualità di quelli esistenti. I marchi sono in grado

di raggiungere questo effetto in quanto hanno la funzione di una garanzia, per il

207 Causa 119/75, E.C.R. del 1976, p. 1039208 Punti 14 e 15 del Paragrafo IV delle Conclusioni dell’avvocato Generale

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

76

consumatore, che tutte le merci contrassegnate da un marchio particolare sono

state prodotte direttamente, o sotto il suo controllo, dallo stesso produttore e

sono perciò probabilmente di qualità simile”210.

La scomoda ma inevitabile conclusione della lunga dissertazione

dell’Avvocato Generale fu che la dottrina dell’origine comune non è espressione

legittima del diritto comunitario. Essa non trova fondamento nel Trattato e anche

nella sentenza Hag I è mancata del tutto la dimostrazione di una sua eventuale

necessità. Egli osservò infine che la Direttiva del Consiglio per l’armonizzazione

delle leggi nazionali sui marchi, aveva deliberatamente omesso qualunque

previsione riconducibile alla “dottrina dell’origine comune” e ciò appariva come

un’ulteriore conferma che essa non trovi fondamento nel diritto comunitario.

Perciò egli consigliò alla Corte di dichiarare apertamente, nell’interesse della

certezza del diritto, di rinunciare alla dottrina dell’origine comune stabilita nella

sentenza Hag I.

209 Avvocato Generale Dutheillet de Lamothe, caso Sirena, E.C.R. del 1971, p. 69, punto 7 dellamotivazione210 Punto 18 del paragrafo V delle conclusioni dell’Avvocato Generale

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

77

2.3.2 Il tentativo di giustificare la dottrina dell’origine comune nella causa Terrapin/Terranova

Due anni dopo la contestata sentenza Hag I, nella causa Terrapin c. Terranova211, la

Corte, forse spinta dalle numerose critiche che le erano state volte, cercò di

chiarire a posteriori la ragione dell’importanza della stessa origine dei marchi.

Nella causa l’attrice principale, la Terranova, era la titolare, nella Repubblica

federale di Germania, dei marchi “Terra”, “Terra Fabrikate” e “Terranova”, registrati

presso l’Ufficio brevetti tedesco e usati per la commercializzazione di preparati

per l’intonacatura esterna di edifici e altri materiali per l’edilizia; l’impresa

britannica invece, commercializzava case prefabbricate ed elementi destinati alla

costruzione delle stesse, sotto la denominazione “Terrapin”. Quest’ultima chiese la

registrazione del suo marchio in Germania, ma la sua richiesta venne respinta per

opposizione della Terranova, a causa della confondibilità con i suoi marchi

“Terra” e “Terranova”. Secondo i giudici tedeschi tale somiglianza poteva creare

confusione e perciò essi chiesero alla Corte, in via pregiudiziale, se fosse

compatibile con le norme relative alla libera circolazione delle merci, il fatto che

un’impresa si opponga all’importazione di merci analoghe a quelle da lei

commercializzate, e prodotte da un’impresa straniera, nel caso in cui i prodotti

importati rechino legittimamente una denominazione che potrebbe dar luogo a

confusione con la ditta e il marchio dei beni dell’attrice, posto che tra le due

imprese non esistono rapporti di alcun genere e che i diritti spettanti ad entrambe

sono sorti in modo autonomo e reciprocamente indipendente.

La Corte rispose in questo modo: “… il titolare di diritti di proprietà industriale e

commerciale tutelati da norme di uno Stato membro non può richiamare tali

norme per opporsi all’importazione di un prodotto da lui stesso o col suo

consenso legittimamente posto in commercio in un altro Stato membro. Lo

stesso deve dirsi qualora il diritto che si fa valere sia derivato dal frazionamento,

volontario o imposto da provvedimenti delle pubbliche autorità, di un marchio

211 Caso Terrapin Overseas Ltd c. Terranova Industries CA Kapferer and Co., causa 199/75, sentenza del1976, E.C.R. del 1976, p. 1039

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

78

originariamente appartenente ad un unico titolare. In tal caso infatti, la funzione

essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore la provenienza

del prodotto, è già compromessa dal frazionamento del diritto originario”. “Allo

stato attuale del diritto comunitario, un diritto di proprietà industriale e

commerciale legittimamente acquisito in uno Stato può invece essere fatto valere

ai sensi dell’articolo 36, per opporsi all’importazione di prodotti posti in

commercio sotto una denominazione che possa dare adito a confusione, qualora i

diritti in questione, spettanti a titolari reciprocamente indipendenti, siano fondati

su norme di ordinamenti nazionali distinti”212.

Secondo molti autori, tra cui lo stesso avvocato Generale Jacobs, la

fattispecie di cui alla causa Hag I non avrebbe dovuto essere trattata in modo

diverso da quella appena descritta: i problemi causati dal frazionamento di marchi

identici o confondibili tra loro non dovevano e non potevano essere risolti in

base ad una distinzione a seconda che i marchi avessero origine comune o

diversa. Questa tesi è molto importante perché se una fattispecie come quella del

caso Hag I è poco usuale – non accade spesso che marchi identici siano di

proprietari diversi in vari Stati – è molto frequente che marchi tutelati in uno

Stato siano considerati confondibili con marchi di cui è proprietario un titolare di

un altro Stato213.

Considerate entrambe le pronunce della Corte sopra espresse, l’Avvocato

Generale Jacobs sottolineò la sostanziale esattezza214 dell’orientamento seguito

dalla Corte nel caso Terrapin c. Terranova e l’erroneità della decisione nel caso Hag

I.

212 Sentenza sopra citata. Sul caso cfr. P.Mengozzi, op.cit., p. 421; W.R.Cornish, Cases and Materialson Intellectual property, cit., p. 562 213 Fattispecie questa verificatasi nel caso Terrapin c. Terranova214 Jacobs era convinto dell’esattezza della sentenza nel suo insieme, anche se continuava adesprimere forti dubbi sul carattere effettivo del rischio di confusione e la possibilità di eliminarlocon informazioni supplementari, come aveva suggerito la Corte

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

79

Nelle sue conclusioni egli disse quindi che: “… il titolare di un marchio deve

essere autorizzato ad escludere dal suo territorio prodotti su cui un marchio

identico sia collocato da altra persona, non legata alla prima, titolare del marchio

in un altro Stato membro. Lo stesso vale per marchi confondibili tra loro, eccetto

forse in casi in cui sarebbe conveniente distinguere tra i marchi mediante

contrassegni distintivi supplementari”215. Questa soluzione porterebbe infatti

vantaggi sia al titolare del marchio che al consumatore: quest’ultimo non verrebbe

confuso o tratto in errore circa l’origine dei beni che acquista; il titolare potrebbe

proteggersi efficacemente da eventuali concorrenti sleali.

2.3.3 Il caso Hag II

Recependo le argomentazioni dell’Avvocato Generale, la Corte di Giustizia

superò nettamente le posizioni del caso Hag I e, dopo averne sostanzialmente

ammesso la erroneità, stabilì nel caso Hag II216 che gli articoli 30 e 36 del Trattato

non impediscono alla legislazione di uno Stato di vietare che, sul suo territorio

circolino e siano commercializzati prodotti recanti marchi simili e capaci di

confondere il consumatore.

L’occasione per ritornare sulla precedente opinione fu data alla Corte dalla stessa

società Hag Bremer e dalla SA CNL-SUCAL NV, società sorta nel 1979 dalla

modifica della forma giuridica e della ragione sociale della società in accomandita

Van Zuylen Frères. Tale società iniziò ad esportare caffè decaffeinato nella

Repubblica federale di Germania sotto la dicitura “HAG”, incontrando quindi le

resistenze della Hag Bremer, la quale sosteneva che oramai in Germania il

marchio “Kaffee HAG” aveva raggiunto la condizione di marchio celebre e che il

215 Punto 46 del paragrafo XIII delle Conclusioni dell’Avvocato Generale216 Caso SA CNL-SUCAL NV c. HAG GF AG, causa C-10/89, sentenza dl 1990, E.C.R. del1990, p. 3711; sul caso cfr. G.Celona, op.cit., p. 343; D.Campbell e S.Cotter, International IntellectualProperty Law. New Developments, John Wiles & Sons, Salisburgo 1995 – capitolo “ Hag II andTrademark Delimitation Agreement”, p. 223

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

80

prodotto da lei venduto sotto tale dicitura era di qualità superiore al caffè

esportato dalla CNL-SUCAL217.

La CNL-SUCAL, nelle sue osservazioni scritte dinanzi alla Corte, proponeva di

ricorrere alla medesima risoluzione utilizzata nel caso Hag I, per impedire quindi

alla società tedesca di opporsi all’importazione dei suoi prodotti in Germania.

Invocava inoltre il concetto di identità di origine stabilito dalla Corte nel caso

Terrapin/Terranova ed applicato ad ogni frazionamento di marchio originariamente

appartenuto ad un unico titolare218.

Ovviamente le argomentazioni della Hag Bremer erano di segno opposto219: essa

sostenne che il caso dovesse essere risolto consentendo l’opposizione

all’importazione in Germania del prodotto belga e richiamò a tal proposito la

sentenza Pharmon del 1985, concernente una licenza obbligatoria relativa ad un

brevetto. Posti sullo stesso piano la licenza obbligatoria e l’esproprio, da una lato,

e il diritto dei marchi e dei brevetti dall’altro, la Hag Bremer sottolineò che la

Corte in quel caso si era basata esplicitamente sulla mancanza di assenso da parte

del titolare del brevetto e così lo stesso ragionamento avrebbe dovuto essere

applicato al caso di specie.

La Commissione infine, ritenne che le sentenze più recenti della stessa Corte

lasciavano grandi dubbi circa la fondatezza dei ragionamenti basati sull’origine

comune e propose quindi di non porre ostacoli a che il titolare di un marchio

possa impedire l’importazioni di merci provenienti da un altro Stato qualora detti

prodotti siano contrassegnati con un marchio identico o confondibile con quello

tutelato e qualora l’autorizzazione ad apporlo sia stata ottenuta a seguito

217 La HAG AG sosteneva che il prodotto decaffeinato da lei venduto con questa dicitura erafabbricato servendosi di un nuovo processo produttivo che lo rendeva qualitativamente miglioredel caffè decaffeinato importato dalla CN-SUCAL218 La CNL-SUCAL ritenne invece che non si potesse applicare al caso di specie quanto dettodalla Corte nel caso Pharmon/Hoechst (causa 19/24, E.C.R. p. 2281) perché esso aveva ad oggettoun brevetto: poiché tra brevetti e marchi sussistono notevoli differenze e soprattutto ciò chedifferisce è l’oggetto specifico dei due diritti, la sentenza in questione non avrebbe potuto essereragionevolmente applicata ad una causa vertente su un marchio d’impresa

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

81

dell’esproprio dell’impresa titolare del marchio. Anche la Commissione ritenne

inoltre applicabile la fattispecie del caso Pharmon, ritenendo che il titolare

originario di un marchio espropriato non deve trovarsi in una situazione meno

favorevole del titolare del brevetto sottoposto a licenza obbligatoria.

La Corte, sentite le opinioni delle parti e della Commissione, le conclusioni

dell’Avvocato Generale, sentenziò : “gli articoli 30 e 36 del Trattato CEE non

ostano a che un’impresa si avvalga di un marchio di cui essa è titolare in uno

Stato membro per opporsi alle importazioni, da un altro Stato membro, di merci

analoghe contrassegnate da un marchio identico o confondibile con il proprio,

appartenente inizialmente alla stessa impresa ma in seguito acquistato da

un’impresa terza senza il consenso della prima impresa”220.

Ma ciò che merita soprattutto di essere sottolineato è il nuovo

orientamento della Corte riguardo la funzione essenziale del marchio: fu

sottolineato che essa consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale

l’identità d’origine del prodotto marcato, permettendogli di distinguere senza

possibilità di confusione tale prodotto da quelli aventi un’altra provenienza.

Qualora manchi, come nel caso di specie, ogni tipo di consenso da parte del

titolare del diritto di marchio alla messa in circolazione di un prodotto con lo

stesso marchio, da parte di un’impresa economicamente e giuridicamente

indipendente da quella del titolare, tale funzione essenziale potrebbe rischiare di

non essere garantita: i consumatori non sarebbero più in grado di identificare con

certezza l’origine del bene acquistato e potrebbero imputare l’eventuale cattiva

qualità del prodotto all’impresa non responsabile. Non rileva l’origine comune

per il fatto che dopo la separazione i due marchi hanno vissuto esperienze diverse

ed indipendenti, ciascuno nel proprio ambito territoriale. Il sostanziale

cambiamento nell’opinione della Corte deriva quindi più che mai dalla volontà di

219 Sostennero le stesse argomentazioni della Hag Bremer anche i governi della RepubblicaFederale di Germania, dei Paesi Bassi, del Regno Unito e della Spagna, oltre che la Commissione

220 Sentenza Hag II, E.C.R. p. 3711, punto XVIII

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

82

tutelare il consumatore attraverso il riconoscimento della vera funzione

essenziale del marchio.

2.4 LA TERZA FASE GIURISPRUDENZIALE

La terza fase dell’iter giurisprudenziale in esame è caratterizzata dalla

sentenza IHT c. Ideal Standard221, del 1994 e riguardante il frazionamento del

marchio dovuto ad una cessione volontaria.

Le parti in causa sono la IHT e la Ideal Standard GmbH. La Ideal Standard

GmbH è la controllata tedesca dell’americana American Standard, utilizza dal

1951 la ditta “Ideal Standard” ed è titolare del marchio tedesco “Ideal Standard”.

Essa dal 1976 si occupa esclusivamente della commercializzazione di articoli

sanitari.

La IHT, Internationale Heiztechnik GmbH, è la controllata tedesca della società

francese Compagnie Internazionale Du Chauffage (CICh), che produce in

Francia impianti di riscaldamento con il marchio “Ideal Standard” e li

commercializza in Germania tramite la IHT. Essa commercializza tali prodotti in

seguito ad una lunga e controversa vicenda che ha visto la Ideal Standard SA,

controllata francese della American Standard, titolare del marchio francese “Ideal

Standard” dal 1984 sia per gli impianti di riscaldamento che per gli articoli

sanitari, affittare prima e cedere poi lo stesso marchio a società del gruppo

francese Nord Est, per le difficili condizioni economiche in cui versava.

Il marchio fu ceduto alla CICh ed essa, a partire dal 1988 iniziò a

commercializzare gli impianti di riscaldamento con tale marchio, in Germania,

tramite la IHT. Perciò la Ideal Standard GmbH promosse un’azione giudiziaria

221 Caso IHT Internationale Heiztechnik GmbH GmbH c. Ideal Standard GmbH, causa C-9/93,sentenza del 22 giugno 1994, E.C.R. p. 2789. Sul caso vedere anche IHT Internationale HeiztechnikGmbH v. Ideal Standard, in Common Market Law Reports, a cura di J.MacDonald Hill, European LwCentre at Sweet & Maxwell, Vol 71, 1994:3; W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectualproperty, cit., p. 561; V.Korah, op.cit., p. 384; P.Mengozzi, op.cit., p. 426; M.Lamandini, DirittoComunitario: il caso Ideal Standard, in Diritto Industriale, 1995, p. 21

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

83

contro la IHT chiedendo che le venisse ingiunto il divieto di distribuire in

Germania impianti recanti il marchio “Ideal Standard” o di utilizzare quest’ultimo

nella pubblicità e nei listini prezzi222.

Le questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia furono sottoposte dall’organo

d’appello tedesco a cui si rivolse la IHT, dopo che il tribunale aveva in primo

grado dato ragione alla Ideal Standard GmbH223. Le questioni vertevano

sull’interpretazione degli articoli 30 e 36 del Trattato: si chiedeva di valutare la

compatibilità con il diritto comunitario delle restrizioni all’uso di una

denominazione, in una situazione in cui un gruppo di società deteneva, per il

tramite delle consociate, un marchio costituito da tale denominazione in diversi

Stati membri della Comunità, ed in cui tale marchio era stato ceduto, unicamente

per uno Stato membro e per alcun prodotti relativamente ai quali era stato

registrato, ad un’impresa estranea al gruppo224.

L’elemento che sostanzialmente segna la differenza rispetto al caso Hag II,

è che l’unicità di controllo del marchio è venuta meno per effetto di una cessione

effettuata unicamente per uno Stato membro. Gli stessi principi del caso Hag II

valgono ancora – ci si interrogava - qualora il marchio sia Stato trasferito ad

un’impresa economicamente indipendente dal cedente, il quale si oppone allo

smercio, nello Stato in cui ha conservato il marchio, di prodotti recanti lo stesso

marchio?

La Commissione sostenne che, cedendo il marchio in Francia per gli impianti di

riscaldamento ad una società terza, il gruppo americano aveva acconsentito

implicitamente alla distribuzione in Francia dei prodotti marchiati e, essendovi

consenso implicito, aveva perso il diritto di vietare tale distribuzione in un altro

222 La Ideal Standard SA promosse l’azione contro la IHT per contraffazione di marchio e perusurpazione di nome commerciale223 Il Landgerich rilevò anzitutto che vi era rischio di confusione. Il contrassegno utilizzato, cioèla denominazione Ideal Standard, era identico. D’altra parte i prodotti in questione presentavanopunti di contatto sufficientemente ravvicinati perché gli utenti interessati, vedendovi apposto lostesso contrassegno, fossero indotti a pensare che provenissero dalla stessa impresa

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

84

Stato membro. La Corte contestò questa posizione, visto che, perché possa

essere fatto valere il principio dell’esaurimento, occorre che il proprietario nello

Stato di importazione possa controllare quali prodotti sono contrassegnati dal

marchio nonché la loro qualità. È evidente che la Ideal Standard aveva perso ogni

tipo di controllo sulla qualità dei prodotti, quando aveva alienato il diritto alla

Nord Est.

Parimenti fu sostenuto che la soluzione della settorializzazione dei mercati nel

caso di titolari di marchi distinti per due Stati membri che siano reciprocamente

indipendenti, ammessa nel caso Hag II225, andava disattesa nel caso di un

frazionamento volontario. Anche a questa opinione la Corte rispose

negativamente perché essa era in contraddizione con il ragionamento fatto dagli

stessi giudici comunitari nel 1990. In quel caso la Corte aveva avuto modo di

specificare la funzione essenziale del marchio, il quale costituisce – essa disse –

un elemento essenziale del sistema di libera concorrenza che si auspica: “affinché

il marchio possa svolgere la sua funzione essenziale esso deve garantire che tutti i

prodotti che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati sotto il controllo di

un’unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità”226.

Altrimenti i consumatori non sarebbero più in grado di riconoscere con certezza

l’origine del prodotto e il titolare potrebbe vedersi attribuita la cattiva qualità di

un prodotto di cui in realtà, non è responsabile.

La IHT infine sostenne a suo vantaggio due tesi: una, secondo cui il titolare di un

diritto che lo ceda in uno Stato membro e continui a conservarlo negli altri,

dovrebbe accettare le conseguenze del fatto che la cessione ha indebolito la

224 Ciò che la Corte avrebbe dovuto stabilire era se le restrizioni di cui sopra fossero compatibilicon l’articolo 36 del Trattato, visto che era già stato appurato che il divieto all’uso delladenominazione costituisse una restrizione quantitativa di cui all’articolo 30225 In quel caso l’unicità dei titolari era venuta meno per un provvedimento di sequestro226 Punto 13 della sentenza Hag II

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

85

funzione di identificazione del marchio; la Corte bocciò questo argomento perché

esso non avrebbe tenuto conto della natura territoriale del marchio227.

La seconda tesi della IHT diceva che, poiché la consociata francese aveva

accettato in Francia la distribuzione di prodotti con origine diversa ma con

identico marchio, la consociata tedesca, opponendosi, avrebbe assunto un

comportamento abusivo. Anche questa volta la Corte obiettò che la cessione era

stata effettuata unicamente per la Francia: per accogliere la tesi della IHT la

cessione in Francia avrebbe dovuto essere accompagnata dall’autorizzazione di

utilizzare il contrassegno in Germania228.

In seguito a tutte queste argomentazioni la Corte stabilì che “non si configura una

illecita restrizione del commercio intracomunitario ai sensi degli articoli 30 e 36

qualora ad una società, operante nello Stato membro A e controllata da un

fabbricante stabilito nello Stato membro B, debba essere vietato l’uso come

marchio della denominazione Ideal Standard, a causa del rischio di confusione

con un contrassegno della stessa origine, che il detto fabbricante utilizza

lecitamente nel proprio Paese d’origine in forza di un marchio ivi protetto, da

esso acquisito per vie negoziali e che originariamente apparteneva ad una

consociata dell’impresa che si oppone nello Stato membro A all’importazione di

merci recanti il marchio Ideal Standard.”229

Alla luce dell’iter giurisdizionale appena percorso, si tutelano oggi i titolari

di marchi che, a causa di frazionamenti volontari o imposti dalla pubblica

autorità, vedano i loro mercati invasi da merci, identiche o simili, recanti lo

stesso marchio, senza che essi possano minimamente controllare la qualità di tali

227 Punto 18 della sentenza Hag II: “la funzione del marchio va valutata rispetto ad un territorio”228 La Corte sottolineò che cessioni e licenze sono sempre concluse, tenuto conto dellaterritorialità dei titoli nazionali in materia di marchi, rispetto ad un determinato territorio. Venneinoltre specificata nella sentenza la differenza tra diritto francese e diritto tedesco: mentre ilprimo autorizza le cessioni di marchio limitate a taluni prodotti cosicché in Francia possonocircolare con identico marchio beni aventi origini diverse, il diritto tedesco vieta le cessioni dimarchio limitate a taluni prodotti, ed evita quindi questa situazione di convivenza229 Conclusione della sentenza sopra citata

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

86

prodotti. Parallelamente vengono protetti i consumatori, in modo tale che nei

loro acquisti non siano sviati da marchi identici contrassegnanti però beni

prodotti da imprese indipendenti tra loro.

2.5 L’EVOLVERSI DELLA GIURISPRUDENZA IN MATERIA

BREVETTUALE

Nell’analisi appena conclusa sono state analizzate essenzialmente

pronunce riguardanti marchi di impresa. Poco si è invece detto finora circa la

materia brevettuale.

Anche in questo campo uno dei più importanti principi ad essere sviluppato è

stato quello dell’esaurimento. Esso era stato creato, negli stessi termini, dalla

giurisprudenza di inizio ‘900 e le istituzioni comunitarie ne hanno confermato la

validità a livello dell’intero mercato comune.

2.5.1 Il caso Centrafarm c. Sterling Drug

La prima decisione della Corte messa a punto sull’argomento, con

riferimento specifico alla materia dei brevetti, riguarda la prima metà degli anni

settanta ed una società interessata, nel corso degli anni, da molte pronunce della

Corte. Nel caso Centrafarm c. Sterling Drug230, un terzo aveva acquistato un farmaco

brevettato da un licenziatario estero e lo aveva poi importato in Olanda,

rivendendolo in concorrenza col titolare del brevetto; in particolare l’importatore

parallelo Centrafarm aveva acquistato il bene in Gran Bretagna dalla Sterling

Winthrop Group Ltd, licenziataria inglese del gruppo americano Sterling

Winthrop Group, per rivenderlo in Olanda, in concorrenza con la Winthrop BV,

230 Caso Centrafarm BV and de Paijper c. Sterling Drug, causa 15/74, sentenza del 31 ottobre 1974,E.C.R. p. 1147; sul caso cfr. W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 534;V.Korah, op.cit., p. 351; P.Mengozzi, op.cit.,p. 507; G.Celona. op.cit., p. 321

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

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licenziataria olandese dello stesso gruppo. In Inghilterra il bene era venduto ad un

prezzo pari alla metà del prezzo di vendita olandese, e ciò era dovuto innanzitutto

al declino della sterlina inglese e al potere di contrattazione del governo inglese. A

seguito dell’importazione parallela da parte di Centafarm, il gruppo Sterling Drug

fece ricorso sia per la contraffazione del marchio “Negram” sotto cui i suoi

prodotti erano venduti, che per infrazione del brevetto.

La Corte, adita in via pregiudiziale, dopo aver specificato la differenza tra

esistenza ed esercizio del diritto ed aver indicato l’oggetto specifico della

proprietà industriale in materia di brevetti, ebbe a concludere che “l’esercizio da

parte del titolare del brevetto, della facoltà – attribuitagli dal diritto di uno Stato

membro – di opporsi allo sfruttamento commerciale, in questo Stato, del

prodotto brevettato e posto in commercio in un altro Stato membro dallo stesso

titolare del brevetto o con il suo consenso, è incompatibile con le norme del

Trattato CEE relative alla libera circolazione delle merci all’interno del mercato

comune”231.

Il caso risultò particolarmente degno di attenzione anche per un altro

aspetto, riguardante l’applicabilità delle norme per la tutela della concorrenza, in

particolare dell’articolo 85232, agli accordi e alle pratiche concordate tra il titolare

di brevetti analoghi in diversi Stati membri ed i suoi licenziatari. La Corte,

interpellata, concluse che “l’articolo 85 non colpisce accordi e pratiche

concordate fra imprese appartenenti allo stesso gruppo come società madre ed

affiliata, qualora esse costituiscano un’unità economica nell’ambito della quale

l’affiliata non dispone di effettiva autonomia nella determinazione del proprio

comportamento sul mercato, e gli accordi o pratiche di cui trattasi abbiano

semplicemente lo scopo di una ripartizione di compiti all’interno del gruppo”233.

231 Punto I delle conclusioni della Corte nella sentenza sopra citata232 Articolo 81 secondo l’attuale numerazione233 Punto V delle conclusioni della sentenza sopra citata

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

88

2.5.2 Il caso Pharmon c. Hoechst

Il principio dell’esaurimento ha trovato difficile applicazione nei casi di

importazioni da Paesi in cui al titolare, per ragioni da lui indipendenti, risultava

impossibile lo sfruttamento del brevetto parallelo o addirittura non poteva

ottenerlo. In particolare il caso in questione riguarda un brevetto oggetto di una

licenza obbligatoria.

Nel caso Pharmon BV c. Hoechst AG234 la società Hoechst era la titolare del

brevetto per la produzione di un medicinale, chiamato “Frusemide”, in vari Stati

tra cui Olanda e Regno Unito. In virtù del Patents Acts del 1949, in Gran

Bretagna la società DDSA aveva ottenuto una licenza obbligatoria, riguardante

beni alimentari, medicinali e strumenti chirurgici; la licenza era non esclusiva, non

trasferibile e valida per il solo Regno Unito, contenente l’espresso divieto di

esportazione. Alla fine del 1976, poco prima della scadenza della licenza

obbligatoria, la DDSA aveva venduto una grande partita di “frusemide” alla

Pharmon BV in modo che potesse commercializzare il prodotto in Olanda, in

concorrenza diretta con la originaria titolare del diritto, la Hoechst.

La Corte riconobbe alla Hoechst, titolare del brevetto, il diritto di bloccare tali

importazioni, osservando che, in una vendita effettuata in base ad una licenza

obbligatoria, non poteva essere riscontrato alcun tipo di consenso da parte della

licenziante. Nel caso di specie infatti, ciò che faceva la differenza era il carattere

obbligatorio della licenza, con cui la Hoechst aveva dovuto permettere alla

DDSA di produrre e commercializzare il medicinale in Gran Bretagna. Nessun

problema sarebbe insorto infatti se tale licenza avesse avuto carattere volontario:

234 Caso Pharmon BV c. Hoechst AG, causa 19/84, sentenza del 9 luglio 1985, E.C.R. p. 2281; sulcaso cfr. W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 547; E.White, Case Note onPharmon BV c. Horchst AG, in Common Market Law Review, anno 1986, n° 23, p. 719; G.Celona,op.cit., p. 324

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

89

in un’ipotesi simile senz’altro la Hoechst non avrebbe avuto diritto a nessun tipo

di opposizione235.

Le stesse regole non si potevano applicare nel caso di specie: una tale misura

avrebbe privato il titolare del brevetto del diritto di determinare liberamente le

condizioni in cui commercializzare il suo prodotto, e questo avrebbe violato la

sostanza del diritto di brevetto236.

Perciò la Corte concluse che “occorre permettere al titolare di impedire

l’importazione e la vendita di prodotti fabbricati in base a licenza obbligatoria,

allo scopo di proteggere la sostanza dei diritti esclusivi conferiti dal brevetto”.

2.5.3 Il caso Merck c. Stephar

Alcuni anni prima la Corte aveva risolto un altro caso, riguardante di nuovo un

diritto di brevetto su un farmaco, in senso opposto, basandosi allo stesso modo

sul principio del consenso.

Nel caso Merck c. Stephar237, il medicinale “Moduretic” era protetto da un diritto di

brevetto nella maggior parte degli Stati della Comunità, ad eccezione dell’Italia

dove, a causa del divieto di brevettazione dei farmaci vigente fino al 1978 e

imposto dalla legge, la titolare Merck non lo aveva potuto registrare. Nonostante

ciò, essa aveva deciso di vendere il medicinale in Italia, tramite una sua

consociata, ad un prezzo ovviamente molto più basso che negli altri Paesi, a causa

della mancanza di brevettazione. Stephar, Exler e altri importatori paralleli

iniziarono a sfruttare questo divario di prezzi, acquistando legalmente in Italia il

235 La Corte disse infatti: “Se il titolare di un brevetto potesse impedire l’importazione diprodotti protetti, commercializzati da lui o con il suo consenso nel territorio di un altro Statomembro, potrebbe isolare i mercati nazionali e quindi restringere il commercio tra gli Statimembri […]”236 La sostanza del diritto di brevetto sta essenzialmente nella possibilità, per l’inventore dicommercializzare per primo e a titolo esclusivo il suo prodotto, così da ottenere una adeguataretribuzione per il suo sforzo creativo237 Caso Merck & Co. Inc. C. Stephar BV, causa 187/80, sentenza del 14 luglio 1981, EC.R. p.2063. Sul caso cfr. V.Korah, op.cit., p.355; W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property,cit., p.537; G.Celona, op.cit., p. 310

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

90

farmaco per poi esportarlo e commercializzarlo a prezzi più elevati in Olanda,

ottenendo notevoli guadagni e facendo concorrenza alla titolare del brevetto, che

vendeva il medicinale a prezzi notevolmente più alti. Quest’ultima promosse

un’azione per contraffazione contro Stephar, sostenendo che le sue vendite in

Italia non potevano dar luogo ad esaurimento comunitario, poiché la

brevettazione le era stata vietata dal diritto italiano e di conseguenza mancava su

quel mercato ogni tipo di remunerazione dell’attività inventiva: secondo Merck

era quindi venuto meno in Italia un presupposto fondamentale ed indispensabile

del principio dell’esaurimento.

La Corte, sorprendentemente, non diede ragione alla titolare del diritto,

sostenendo la liceità dell’azione dell’importatore parallelo. Ammise che la

caratteristica essenziale e primaria di un diritto di brevetto è quella di attribuire al

titolare un diritto esclusivo sulla prima messa in commercio del bene; nonostante

ciò la retribuzione non è una garanzia in tutte le circostanza. Nel caso di specie la

Merck aveva accettato liberamente e consapevolmente di commercializzare il

bene in uno Stato che non assicurava la tutela: “sta al titolare del brevetto

decidere in quali condizioni porre in vendita il prodotto, compresa la possibilità

di commercializzarlo in uno Stato membro dove la legge non prevede protezione

brevettuale per il prodotto in questione. Se decide di farlo, deve accettare le

conseguenze della sua scelta sulla libera circolazione del prodotto all’interno del

mercato comune, la quale rappresenta uno dei principi fondamentali che

costituiscono il contesto legale ed economico che il titolare del brevetto deve

prendere in considerazione nel decidere il modo in cui esercitare il suo diritto

esclusivo”238.

Questa decisione della Corte fu duramente attaccata da molti studiosi, i

quali sostenevano non si potesse parlare di consenso rilevante, visto che la

238 Conclusioni della sentenza sopra citata

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

91

commercializzazione era avvenuta in un Paese dove non poteva esistere un diritto

parallelo.

Ghidini e Hassan239 proposero di non limitarsi a considerazioni circa il semplice

consenso: chiedevano alla Corte di valutare se il titolare avesse effettivamente

“avuto la possibilità, nel paese esportatore, di estrarne la sostanza economica che

normalmente deriva dal possesso di un brevetto. Perché questo potesse accadere

era necessario che esistesse un diritto parallelo nel Paese esportatore e che il

titolare fosse assolutamente libero stabilire delle royalties240.

In base a queste argomentazioni essi proponevano alla Corte due soluzioni simili

per casi riconducibili ai due studiati sopra. In un caso di licenza obbligatoria,

essendo mancato il consenso, sarebbe stata lecita l’opposizione da parte del

titolare del brevetto a importazioni parallele241; nel caso in cui in uno Stato

membro si fosse incontrato un divieto di brevettazione, si sarebbe accordata al

titolare la facoltà di opporsi all’importazione parallela, a causa della mancanza di

retribuzione242.

Questi furono gli orientamenti seguiti dalla Corte di lì in avanti.

2.6 L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO D’AUTORE

Come già si è avuto modo di sottolineare, la disciplina dal diritto d’autore

sembra esser stata dimenticata dai redattori del Trattato, i quali non la

menzionarono espressamente in nessuno degli articoli del Trattato,

probabilmente perché a metà degli anni ’50 non si pensava che il diritto d’autore

dovesse rientrare tra le materie di competenza del Trattato. L’articolo 30 infatti

239 G.Ghidini e S.Hassan, Diritto industriale e della concorrenza nella CE, cit., p. 169240 Su questa teoria cfr. F.Demaret, Free movement of Goods under Community Law, in InternationalReview of Industrial Property and Copyright (IIC), 1987, p. 161241 Proposero quindi una soluzione simile a quella data dalla Corte nel caso Pharmon c. Hoechst242 Proposero una soluzione antitetica rispetto a quella data dalla Corte nel caso Merck c. Stephar

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

92

parla semplicemente di “proprietà industriale e commerciale”. Tuttavia è quasi

unanimemente riconosciuto che tale materia faccia parte della proprietà

industriale di cui all’articolo 30 e per questo motivo tutti i principi sviluppati nel

corso degli anni, ad opera soprattutto della Corte di Giustizia e della

Commissione, vanno considerati validi ed applicabili in materia di copyright.

Pertanto, così come per i brevetti o per i marchi, si potrà parlare di esaurimento

del diritto o di differenza tra esistenza ed esercizio del diritto in riferimento al

diritto d’autore.

La stessa Corte ha infatti sottolineato come “lo sfruttamento commerciale del

diritto d’autore pone gli stessi problemi sollevati dallo sfruttamento di altri diritti

di proprietà industriale e commerciale”. Tale osservazione si ricava dalla

pronuncia della Corte probabilmente più celebre e nota in materia di copyright, la

sentenza Musik Vertrieb Membran c. GEMA, del 1980.

Anche la Commissione ha espresso lo stesso tipo di parere riguardante il

copyright, osservando che “in materia di diritto d’autore, essa applica in generale

gli stessi principi seguiti in materia di accordi di licenza di brevetto”243.

2. 6.1 La sentenza Membran c. GEMA

Questa sentenza è la più emblematica tra tutte quelle pronunciate dalla

Corte in materia di diritto d’autore: da un lato attraverso essa è stato

unanimemente riconosciuto al copyright lo status di diritto di proprietà

industriale e commerciale in sede comunitaria, cosicché esso da allora risulta

sottoposto all’articolo 30 e a tutti gli atti comunitari che ne sono derivati.

Dall’altra, in questa sentenza la Corte ha confermato per il diritto d’autore tutti i

principi esaminati per i brevetti e per i marchi, con un particolare riferimento alle

importazioni parallele. Per questo motivo la trattazione si concentrerà su questo

caso. Ciò significa che anche il diritto d’autore si esaurisce nel momento in cui i

243 Commissione Europea, 12a Relazione sulla politica di Concorrenza, 1983, p. 76

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

93

beni che ne formano l’oggetto vengono commercializzati nel territorio della

Comunità dal titolare stesso o con il suo consenso244.

Nel caso di specie245, gli attori erano la GEMA, l’ente tedesco per la tutela

dei diritti d’autore, e la Musik Vertrieb; si trattava della richiesta della società di

autori tedesca di un supplemento di compenso per dischi prodotti nel Regno

Unito e qui sottoposti ad un compenso di diritto d’autore inferiore rispetto a

quello praticato nel mercato tedesco246. Seguendo l’orientamento sviluppato in

altre sentenza, la Corte dichiarò che, a suo giudizio, nessuna disposizione di legge

nazionale sul diritto d’autore poteva permettere ad una società di autori di

operare un prelievo di compenso su prodotti importati da un altro Stato membro.

Questo perché tale pratica avrebbe comportato di imporre ad un’impresa privata

un compenso per l’importazione di prodotti, nel caso di specie supporti di suono,

che già si trovano a circolare liberamente all’interno del Mercato Comune. Si

tratta sostanzialmente dell’applicazione del principio dell’esaurimento ad un caso

coinvolgente il diritto d’autore.

2.6.2 Il caso Ciné Vog c. Coditel

Prime247 nota infine che, mentre la Corte si adoperava per trasferire il

principio dell’esaurimento alla materia dl diritto d’autore, quasi nessuno sforzo

veniva fatto per determinare quale fosse l’oggetto specifico del diritto d’autore.

La questione risultava senz’altro complessa a causa delle molteplici modalità

attraverso cui il diritto d’autore può essere manifestato. In un caso però si era

tentato di dare una definizione dell’oggetto specifico, con riferimento, per il tipo

244 L’applicabilità del principio dell’esaurimento comunitario alla materia del diritto d’autore eragià stata stabilita dalla Corte nel caso Deutsche Grammophon, sopra citato, ed è stata ribadita nelcaso in esame245 Caso Musik Vertrieb Membran c. GEMA, causa 57/80, sentenza del 20 gennaio 1981. Sul casocfr. G.Celona, op.cit., p. 350; W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 545 246 Mentre in Gran Bretagna la royalty era pari al 6,5% del prezzo di vendita, in Germaniaammontava all’8%

L’EVOLUZIONE DELLA MATERIA ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA

94

di causa, ai films. Nel caso SA Coditel c. Cinè Vog Films248 del 1980 la società

distributrice di films Ciné Vog Films aveva acquistato i diritti per la riproduzione

pubblica nelle sale del Belgio del film “Le Boucher”, nonché per la emissione

televisiva della pellicola, passati quaranta mesi dall’uscita nei cinema. Il caso sorse

allorché una società di tele-distribuzione belga, la Coditel, registrò il film, diffuso

in televisione in Germania, e lo inviò via cavo ai telespettatori belgi, senza il

consenso della Ciné Vog249. La Corte sostenne che nel caso di un film, il diritto

spettante al titolare di richiedere un compenso per ogni proiezione pubblica del

film, fa parte della funzione essenziale del copyright in questo tipo di opera

artistica o letteraria.

Diverso sarà ovviamente l’oggetto specifico quando il titolare si occupi non di

proiezioni cinematografiche, ma di vendita o noleggio di videocassette, di

commercializzazione di libri o dischi, ecc.

Parimenti, la Corte ha provveduto nel corso degli anni ad applicare gli altri

principi creati per marchi o brevetti, alla materia del copyright, cosicché non

risulta necessario, in questa sede, ripercorrere gli stessi principi in altre sentenze,

meno note di quelle citate, coinvolgenti il diritto d’autore.

Come preannunciato da alcuni studiosi, le sentenza della Corte, sia quelle

riportate nei paragrafi precedenti, sia quelle non studiate in questo lavoro, hanno

costituito uno stimolo importante ai successivi interventi legislativi che verranno

analizzati nel dettaglio, nei capitoli successivi.

247 T.Prime, op.cit., p. 11248 Caso SA Coditel c. Ciné Vog Films, causa 62/79, sentenza del 18 marzo 1980, E.C.R. p. 881; sulcaso cfr. M.Fabiani, Diritto d’autore e Trattato C.E.E., in Diritto d’Autore, 1981, p. 249;W.R.Cornish, Cases and Materials on Intellectual Property, cit., p. 581; V.Korah, op.cit., p. 419249 Ovviamente il film non poteva più essere proiettato nelle sale perché il pubblico, avendolovisto in Tv, non sarebbe andato al cinema

3. IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

3.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI MARCHI

Eric Gastinel, alto funzionario dell’Ufficio per l’Armonizzazione del

Mercato Interno ( UAMI ), illustra250, attraverso un racconto molto interessante,

il ruolo e l’importanza del marchio nell’attuale mercato mondiale e globale,

coinvolgente l’impresa il cui marchio senz’altro figura ai primi posti nella

classifica dei più conosciuti nel mondo, la Coca-Cola.

Nel corso di un’intervista, il giornalista Mark Pendergrast251 chiese al portavoce

della Coca Cola cosa sarebbe successo se, avendo scoperto la formula chimica

segreta della nota bevanda analcolica, la avesse fatta conoscere pubblicamente nel

suo testo, dando quindi la possibilità ad un eventuale concorrente di lanciare sul

mercato un prodotto identico. Il portavoce ribatté chiedendo come si sarebbe

chiamato questo nuovo prodotto. Ponendo il caso che lo avessero chiamato con

un nome di simile assonanza come Yum Yum252, il portavoce in tutta sicurezza si

chiese come lo avrebbero venduto, come lo avrebbero promosso, visto che la

Coca-Cola aveva passato più di cento anni e speso somme esorbitanti di dollari a

costruire la rinomanza di tale nome; senza l’incredibile sistema di marketing e le

economie di scala dell’impresa statunitense, nessun tentativo di duplicare la Coca-

250 E.Gastinel, La marque communautaire. Preface de Jean-Claude Combaldieu, Président de l’OHMI,L.G.D.J., Parigi 1998, p. 11251 Il giornalista stava preparando un’opera sulla storia della grande impresa statunitense. Dallaricerca e della interviste, tra cui quella sopra adattata e riproposta, è sortito il testo:M.Pendergrast, For God, Country and Coca-Cola. The unauthorised history of the great American soft drinkand the Company that makes it, Collier Books, New York, 1993 ( la versione italiana del testo è statapubblicata da PIEMME nel 1993, con il titolo “Per Dio, la Patria e la Coca-Cola: la vera storia nonautorizzata della bibita più famosa del mondo”). Del 1998 è la versione aggiornata e autorizzata:M.Pendergrast, La vera storia della Coca-Cola: il segreto della bibita che ha colonizzato il mondo,PIEMME, Milano 1998

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

97

Cola avrebbe successo: perché infatti il cliente dovrebbe abbandonare la bevanda

che conosce ed ama da anni per una identica, sicuramente più cara? La

conclusione sembra semplice:

Les autres droits de propriété intellectuelle passent, la marque reste. Bien

d’avantage, elle se valorise avec l’age e l’activité aidant253.

3.1.1 Il marchio: la sua natura e il suo valore

Un marchio è un diritto esclusivo di usare una determinata parola,

piuttosto che un disegno o qualsiasi altro segno, per identificare e

contraddistinguere prodotti o servizi254. Poiché uno dei bisogni basilari della

natura umana consiste nella necessità di identificare e di distinguere i vari

elementi della società, utilizziamo quotidianamente segni o nomi per le varie

realtà che conosciamo, creando un implicito ed ideale collegamento tra il segno

che impieghiamo e l’entità che vogliamo individuare: per queste ragioni, nei secoli

passati gli uomini iniziarono ad utilizzare segni per distinguere i prodotti

commercializzati. Così, nel mercato, cioè nell’istituzione organizzata all’interno

della quale siamo immersi ed in cui vengono prodotti e scambiati beni e servizi,

sentiamo la necessità di contraddistinguere i vari beni per poterli individuare,

appunto con i segni distintivi. Tra questi il più importante è sicuramente il

252 Il giornalista propose un nome che suggerisse e ricordasse fortemente il marchio Coca-Colasenza che poter essere accusato di contraffazione, accompagnato dall’informazione per cui laformula è quella della Cola-Cola253 “Gli altri diritti di proprietà intellettuale passano, il marchio resta. Anzi, esso si valorizza conil passare del tempo e il ruolo svolto”. Tratto da E.Gastinel, op.cit., p. 12254 Bibliografia di riferimento per lo studio delle disciplina: M.C:Baldini, Proprietà industriale;registrazione del marchio: come, dove e perché, in Commercio Internazionale, 1995, p. 170; S.Boutet, Brevettiindustriali, marchio, ditta, insegna, UTET, Torino 1978; G.Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale.Proprietà intellettuale e concorrenza. Prefazione di J.H.Reichman, Giuffrè, Milano, 2001; C.Costa,C.Baldini, R.Plebani, Guida Pratica. Marchi, Brevetti, Know how e Licensing. III edizione, Studio TortaSRL Marchi brevetti modelli licenze, Torino 2003; M.Ricolfi, I segni distintivi. Diritto interno e dirittocomunitario, Giappichelli Editore, Torino, 1999; A.Michaels, A practical guide to trade mark law. Third

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

98

marchio, che serve per proteggere il rapporto tra l’impresa e la rispettiva clientela,

dalle intrusioni della concorrenza.

I marchi, quindi, e gli altri segni distintivi tipici, hanno una funzione molto

importante nell’economia di mercato, perché permettono alle imprese di farsi

conoscere e riconoscere dalla clientela, la quale sarà guidata nelle sue scelte, senza

rischi di confusione. Tale funzione è divenuta via via più importante, man mano

che i mercati si espandevano aumentavano conseguentemente le distanze tra il

produttore e il consumatore del bene o del servizio, cosicché la scelta non poteva

più basarsi sul rapporto di fiducia e sul contatto, come invece accadeva

nell’economia di tipo artigianale255. Solo il segno, utilizzato in modo esclusivo e

continuato, può ridurre tale distanza, permettendo al pubblico di individuare la

provenienza di un determinato bene, nonché di ripetere la scelta su un bene

particolarmente soddifaciente, senza difficoltà.

I segni generalmente riconosciuti come tipici sono tre256: il marchio

appunto, la ditta e l’insegna. La ditta è il segno distintivo dell’imprenditore o

dell’impresa; l’insegna è il segno distintivo dell’esercizio commerciale, cioè del

locale aperto al pubblico; il marchio è il segno distintivo dei beni o dei servizi

prodotti e venduti dall’imprenditore257. Ma la differenza sostanziale sta

soprattutto nel fatto che, mentre le prime due indicano rispettivamente una certa

impresa ed un certo esercizio considerati ognuno nella loro individualità, il

marchio caratterizza un gruppo di beni o servizi, non un prodotto individuale.

Perciò per comprendere tutta la portata del marchio, bisogna confrontarlo con le

classificazioni che ogni giorno utilizziamo per distinguere classi di prodotti o di

servizi. All’interno della classe di prodotti, che noi chiamiamo in un determinato

edition, Sweet & Maxwell, Londra 2002; G.La Villa, Introduzione al diritto dei marchi d’impresa,Giappichelli, Torino 1994255 G.Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., p. 123256 Accanto a questi tre segni tipici, ne esistono altri che, poiché non sono oggetto di un’espressadisciplina, vengono considerati e detti “atipici”257 Alcuni autori, tra cui M.Ricolfi, ritengono questa classificazione piuttosto arretrata rispettoall’epoca globale presente, nella quale sono intervenute trasformazioni tali da renderlainadeguata. Sul tema vedi M.Ricolfi, op.cit., p. 2

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

99

modo, il marchio identifica una sottoclasse, i cui prodotti sono contraddistinti

proprio dall’ulteriore presenza del marchio.

3.1.2 La funzione distintiva del marchio

Appena il marchio viene ideato, il suo valore commerciale è

sostanzialmente pari a zero, perché esso altro non è che una parola o un disegno,

praticamente privo di significato. Solo con la pubblicità, l’utilizzo e la strategia di

marketing del produttore o del commerciante, il marchio inizia ad assumere un

particolare significato e il suo valore commerciale inizia ad aumentare in modo

esponenziale. Solo con l’utilizzo e la pubblicità il marchio diviene un fattore di

produzione di reddito258 e arreca quindi vantaggi all’imprenditore che ha deciso di

idearlo e registrarlo.

Il marchio è essenzialmente e principalmente un segno distintivo e come tale

deve consentire al pubblico di riconoscere i beni o servizi e distinguerli dai

prodotti di un altro imprenditore (concorrente). Sono interessati alla funzione

distintiva del marchio sia l’impresa produttrice che il consumatore, entrambi in

rapporto al rischio di confusione. Senza il segno il consumatore potrebbe

acquistare erroneamente il prodotto A, credendo e volendo comperare il bene B.

L’imprenditore perderà, senza il marchio, una fetta di clientela a favore dei

concorrenti259.

In base a tale funzione distintiva, il marchio comunica a chi lo percepisce

una serie di informazioni, riguardanti le caratteristiche del bene, e consente al

pubblico di identificare quel determinato prodotto nella cerchia di beni dello

stesso genere. Ovviamente sarà necessario che la legge assicuri questa

258 Naturalmente non tutti i marchi riusciranno a raggiungere la stessa capacità di produrrereddito. Molti studiosi ritengono che il marchio Coca-Cola si trovi attualmente al primo postonell’ipotetica classifica dei marchi forieri di reddito e produca migliaia di milioni di euro direddito. Sul tema si veda C.Costa, C.Baldini, R.Plebani, op.cit., p. 31259 Si noti il carattere prettamente privatistico della disciplina, che accorda la tutela contro gli atticonfusori ai soli titolari o licenziatari di marchi e non anche ai consumatori

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

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corrispondenza, vietando l’uso di un marchio altrui; in tal modo si potrà dire che

la funzione distintiva è la funzione giuridicamente tutelata del marchio.

Guardando però alla realtà, si noterà che i marchi possono trasmettere messaggi

molto diversi e ciò dipende sicuramente dal tipo di marchio che si sta osservando.

Nelle automobili ad esempio troviamo più di un marchio: la “Ypsilon” LANCIA

reca i marchi LANCIA ed Ypsilon ed ognuno dei due comunica informazioni

diverse all’acquirente. Il marchio LANCIA dice che la vettura proviene dalla

catena produttiva del gruppo torinese, il marchio “Ypsilon” dà informazioni sulle

caratteristiche tecniche, funzionali ed estetiche dell’autoveicolo. Altri prodotti

recano addirittura tre o più marchi260 e ognuno di essi da informazioni specifiche

le quali, integrandosi insieme, contribuiscono a fornire al consumatore un

pacchetto completo di informazioni. I marchi del primo tipo, ad esempio

LANCIA, sono detti marchi generali, mentre i secondi, come “Ypsilon”, sono

marchi speciali. Questa è senz’altro la distinzione più importante in tema di marchi.

Non si dimentichino però le altre categorizzazioni dei marchi, che

distinguono, ad esempio, tra marchi semplici, complessi e d’insieme. I primi saranno

costituiti da uno solo dei segni previsti dall’articolo 4 del Regolamento sul

Marchio Comunitario, mentre i secondi sono composti da più elementi, ognuno

dotato di autonoma capacità distintiva; nei marchi d’insieme invece l’idoneità a

distinguere si ritrova non nei differenti elementi che li costituiscono, i quali

singolarmente sono privi di capacità distintiva, quanto nella loro combinazione.

Allo stesso modo come marchio si può scegliere una parola o un segno

che di per sé sono privi di valore semantico, come Rolex per contraddistinguere

orologi, oppure segni dotati di propri significati che però non hanno nulla a che

vedere con il prodotto che si vuole contraddistinguere: il nome “strega” ha un

proprio valore semantico ma non ha nessuna attinenza pratica con il liquore che è

contraddistinto da tale marchio. Più spesso e con maggiore convenienza per

l’impresa produttrice infine i marchi vengono adottati in quanto descrivono o

260 Si pensi ai biscotti del Mulino Bianco, marchiati con i marchi BARILLA, Mulino Bianco e, adesempio, Galletti

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

101

almeno richiamano il prodotto, le sue caratteristiche o la sua destinazione: si

pensi al marchio Amplifon per gli apparecchi acustici o a Brillo per i lucidi per

calzature. A questa distinzione ne corrisponde un’altra, tra marchi deboli e marchi

forti: i primi, dotati di minore originalità, corrispondono essenzialmente a quelli

espressivi, descrittivi del bene e delle sue qualità261. La protezione di essi si limita

ad impedire l’imitazione da parte di terzi di quei suoi elementi che, operando sul

suo contenuto descrittivo, ne fanno un marchio valido ai sensi di legge. A questi

si contrappongono i marchi forti, costituiti da segni del tutto arbitrari o di

fantasia, privi di qualsiasi contenuto significativo o evocativo, tutelati nel loro

nucleo ideologico: tutte le variazioni e le modificazioni che non intaccano

l’identità concettuale del marchio sono da considerarsi non valide262.

Con riferimento ai marchi costituiti da espressioni geografiche invece, deve

escludersene la validità solo quando vi sia una possibilità di riferimento alla

“provenienza geografica”263 del prodotto o del servizio264, mentre il marchio sarà

valido se il nome del luogo non ha alcuna funzione descrittiva delle qualità del

prodotto, come nel caso delle penne Montblanc o delle carte Fabriano.

A monte di tutto ciò, i marchi sono atti a contraddistinguere sia prodotti

che servizi: per i marchi di prodotto l’utilizzo più ovvio consisterà nell’apposizione

del segno sul bene stesso o sulla sua confezione e nella successiva immissione sul

mercato del prodotto così contrassegnato. Per quanto riguarda invece i marchi di

servizio, poiché essi non hanno il supporto di un prodotto, il loro uso sarà

essenzialmente legato alla pubblicità, agli indumenti di coloro che svolgono il

servizio o agli strumenti che costituiscono l’oggetto del servizio, come nel caso

dei servizi di noleggio. Di solito inoltre un marchio di servizio è utilizzato anche

come insegna e come ditta.

261 Tra i marchi deboli si ricordano generalmente quelli apposti sui prodotti farmaceutici262 Sui marchi forti: A.Vanzetti e V.Di Catldo, op.cit., p. 194263 Articolo 7.1 lettera c del Regolamento 40/94264 Si deve considerare esclusa la brevettabilità dei marchi prosciutto di Parma, ceramiche di Sassuolo,arance di Sicilia

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

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Lo studioso Michaels265 dà un’ottima rappresentazione di quella che è la

funzione del marchio, rispetto ai consumatori: “the mark is seen as a badge of

origin and a guarantee of consistency, carrying an implied assurance of quality,

arising from personal experience of the product, word-of-mouth

recommendation or the image of the market product projecting by advertising.

The consumer will expect it to live up to the standard fond in the earlier product,

or implied by its presentation on the market”. “Consumers rely upon the

proprietor’s economic interest in maintaining the value of his mark, by

maintaining the utility of the goods sold under his mark. It is seen as being in the

public interest that the mark can fulfil that function, in encouraging traders to set

and maintain quality standards, and enable costumers to make an informed

choice”266.

Anche il Regolamento istituente il marchio comunitario ha confermato

l’importanza di questa funzione distintiva, riprendendola nel suo articolo 4: il

carattere distintivo del prodotto o del servizio è condizione necessaria e

sufficiente per la validità del marchio stesso. Esso deve quindi essere in grado di

identificare un certo prodotto per consentire al pubblico di distinguerlo; questa

condizione non deve confondersi con la novità, né con la originalità, né implica

questi caratteri. Infatti per il marchio non sono richieste le stesse prerogative che

deve avere un’invenzione267 o una creazione artistica268. Ciò che rileva infatti, per

265 A.Michaels, op.cit., p. 2266 “Il marchio è come un’etichetta che garantisce l’origine e la costanza del prodotto,apportando un’implicita assicurazione di qualità, generando dalla personale esperienza delprodotto: è una raccomandazione orale o un’immagine del bene commercializzato e proiettatodalla azione pubblicitaria. Il consumatore si aspetterà che il bene sia all’altezza degli standard delprimo articolo comprato o delle promesse derivanti dalla presentazione sul mercato”. “Iconsumatori fanno affidamento sull’interesse economico del proprietario di mantenere il valoredel suo marchio attraverso il mantenimento di un alto standard qualitativo dei beni venduti conil suo marchio. E’ quindi nell’interesse del pubblico che il marchio adempia a questa funzione,incoraggiando così i commercianti a usare e mantenere alti livelli qualitativi e consentendo aiconsumatori di fare scelte di acquisto consapevoli.” Tratto da: A.Michaels, op.cit., p. 2. 267 Un’invenzione deve avere un’attività inventiva268 Una creazione artistica deve avere originalità

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

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un marchio, è che la utilizzazione del segno per determinati prodotti o servizi sia

stata fatta prima degli altri e non che il segno sia nuovo o originale.

Ne consegue che il marchio appartiene a colui che per primo lo ha utilizzato e

non a chi lo ha creato.

3.1.3 Requisiti di validità del marchio

Ai sensi di legge269, qualsiasi segno può essere adottato come marchio,

purché possa essere rappresentato graficamente. Il marchio deve rispondere a

determinati requisiti per essere tale270, in particolare al principio dell’estraneità del

marchio dal prodotto271: esso deve essere un’entità percettibile, connessa al

prodotto ma in grado di distinguersi o separarsi da esso, senza che la natura di

quest’ultimo ne sia modificata.

Riprendendo l’articolo 16 della Legge Marchi Italiana272, si vede che possono

costituire un marchio “tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati

graficamente”: il legislatore ha dato un’interpretazione alquanto libera di tale

formula, accettando marchi costituiti da suoni o addirittura da combinazioni di

tonalità cromatiche.

A seguito di queste precisazioni si vede come possono costituire un segno parole

o figure273, cosicché si distingueranno marchi denominativi e marchi figurativi o

emblematici. Parimenti un marchio può essere misto, se formato da una

269 Si sta facendo riferimento, nello specifico, all’articolo 16 della legge marchi italiana, introdottain seguito alla direttiva europea di armonizzazione 89/104. Si ricordi però che non tutti i Paesiammettono la stessa libertà di scelta di segni registrabili come marchi. Ad esempio in Russia,non si possono registrare come marchi lettere dell’alfabeto o cifre, a meno che essi non sianocaratterizzati da una particolare e forma grafica270 Cfr. M.C.Baldini, I requisiti di validità del marchio, in Commercio Internazionale, 1995, p. 274271 Il principio della estraneità del marchio al prodotto viene di solito utilizzato dalla dottrina perrisolvere il problema della compatibilità tra la disciplina del marchio e quella delle innovazionitecniche ed estetiche. Sull’argomento si veda: A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 133272 Facendo riferimento alla legge italiana, non si utilizza un punto di vista univoco, bensì siriesce a cogliere un aspetto comune a quasi tutti gli ordinamenti europei, visto che la suddettalegge è stata modificata ed introdotta proprio a seguito di direttive comunitarie273 Nel testo legislativo si parla di “disegni”

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

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combinazione di parole e figure. La legge ammette anche le combinazioni di

tonalità cromatiche, così come i suoni274.

Un problema particolare e delicato emerge a riguardo dei cosiddetti

marchi di forma o tridimensionali, riproducenti la forma del prodotto o della sua

confezione275. In essi, la funzione distintiva è attribuita direttamente alla forma

del prodotto o alla sua confezione, consistendo in elementi connessi al bene

stesso o al suo contenitore, anche se in qualche modo estrinseci da esso. Non si

deve però incorrere nella facile ed errata conclusione secondo cui questa

categoria di marchi si identifica sempre con oggetti tridimensionali: possono

aversi marchi bidimensionali intrinsecamente connessi al prodotto, come nel caso

dei tessuti che le case di moda come Gucci, Vuitton o Burberrys utilizzano per le

loro creazioni, ovvero forme tridimensionali assolutamente indipendenti e

estrinseche dal bene stesso, come nel caso della cosiddetta flying lady, la scultura

posta sul cofano di tutte le Rolls Royce.

Come gestire il problema della compatibilità tra la protezione di questo tipo di

marchi e il suddetto principio dell’estraneità del marchio dal prodotto? Il dilemma

risiede nel fatto che le innovazioni tecniche ed estetiche, suscettibili di

brevettazione come invenzione o come modello industriale, hanno diritto ad una

tutela limitata nel tempo, mentre ai marchi si accorda una tutela di durata

illimitata. L’attenta analisi del problema ha portato a dire che possono costituire

un marchio solo quelle forme che non siano funzionali o ornamentali, e che siano

invece indifferenti sotto questo punto di vista. Nonostante questa conclusione, la

ricerca continua di uno spazio per questo tipo di forme, ha portato ad una

interpretazione alquanto “libera” dell’articolo 5 della Legge modelli, che parla di

uno “speciale ornamento” come condizione di brevettabilità della forma. Giudici

e studiosi ne hanno concluso che sono suscettibili di brevettazione quelle forme

che presentino un certo gradiente di ornamentalità e che superino una certa soglia

274 Ci si riferisce in questo caso a brevi temi musicali che ovviamente non possono essereapposti sul prodotto ma utilizzati nella pubblicità radiotelevisiva, a guisa di marchio275 P.Montuschi, Marchi. Marchio tridimensionale comunitario, in Il Diritto Industriale, 2000, p. 248

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

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estetica, in modo tale da escludere dalla brevettazione tutte le altre forme sì

gradevoli, ma sottostanti quel limite, alle quali saranno quindi assegnati i marchi,

di durata illimitata.

Perché siano validi e tutelabili ai sensi di legge, tutti i segni di cui si è

discusso devono rispondere a determinati requisiti di validità, senza i quali il

marchio risulta nullo. Innanzitutto il marchio deve identificare una species di

prodotto o servizio, all’interno della pluralità di prodotti o servizi dello stesso

genere presenti sul mercato276. Si individuano così la capacità distintiva del

marchio, e la novità, entrambe richieste perché il marchio risulti valido. La prima

significa che il marchio deve differenziarsi dalla denominazione generica del bene

contrassegnato277, mentre la novità implica una differenziazione rispetto ai marchi

altrui, già presenti sul mercato. Infine massima libertà di scelta è data al titolare,

che può decidere di utilizzare una parola o una figura che di per sé non

contengono alcun valore semantico, ovvero un segno dotato di un significato suo

proprio, ma non collegato con il bene che andrà a distinguere, ovvero un marchio

che descriva o richiami il prodotto o le sue caratteristiche278.

L’altro requisito, quello della novità, consiste nella diversità del marchio che si

vuole tutelare da altri, già usati da concorrenti; l’articolo 17 della Legge Marchi

chiarisce che manca tale requisito laddove nel linguaggio del mercato esistano

parole, figure o segni noti al consumatore, che siano identici al segno che si vuole

registrare279 oppure quando preesistano domande di marchio presentate da altri

276 Questa pluralità di prodotti dello stesso tipo viene denominata genus277 L’articolo 18 della Legge Marchi vieta che siano marchi i segni costituiti esclusivamente dalledenominazioni generiche di prodotti o servizi. Possono essere marchi i segni che, accanto alladenominazione generica del bene, presentano altri elementi costitutivi dotati di capacitàdistintiva278 Sulla materia e per una spiegazione esemplificativa se veda: A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit.,p. 139 279 Elemento questo sostanziale, che si riferisce alla preesistenza sul mercato di segni noti aiconsumatori

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

106

per gli stessi prodotti cui abbia fatto seguito una formale registrazione280.

L’esistenza di questi requisiti va valutata al momento dell’acquisto del diritto, il

cui punto di riferimento è la preesistenza o meno di segni identici o confondibili

a quel momento.

3.1.4 Evoluzione storica del marchio

Già all’epoca dei Comuni esistevano i marchi281: le corporazioni li

imponevano ai loro appartenenti, cosicché i prodotti venivano segnati sia con il

marchio della corporazione ad opera dei funzionari, sia con il marchio del

bottegaio che praticamente produceva il bene. Essi avevano il duplice compito di

restringere la commercializzazione ai soli prodotti che si conformavano alle

regole stabilite dalla corporazione e di controllare da vicino il rispetto degli

standard della corporazione da parte degli artigiani appartenenti.

Solo con la fine del ‘700, con la Rivoluzione e l’abolizione delle congregazioni,

tutti i commercianti hanno potuto adottare segni liberamente ed individualmente

scelti. Dall’altra parte, nell’ ‘800 si è prodotta una seconda rivoluzione che ha

creato la distribuzione di massa e l’allontanamento tra produttore ed acquirente,

cosicché al marchio viene da allora affidato il compito di ristabilire un virtuale

collegamento tra i due soggetti.

Durante tutto il XIX secolo il marchio ha visto accrescere la sua

importanza, con l’espansione del moderno capitalismo industriale, affermandosi

come garanzia per un sistema di concorrenza. Secondo Ricolfi282 il diritto

moderno dei marchi “svolge la funzione di agevolare il funzionamento

allocativamente ottimale dei meccanismi di mercato: nella prospettiva micro

280 Elemento formale, che prescinde dalla conoscenza da parte dei consumatori, del segno o dalsuo uso nel linguaggio commerciale. 281 Per una utile e piacevole narrazione della storia del marchio dalle sue più remote origine, digran lunga più antiche di quelle citate nel testo, si veda: R.Monachesi, MARCHIO. Storia,Semiotica, Produzione, Lupetti & Co., Milano 1993; sull’epoca a cui ci si riferisce nel testo, si vedaR.Franceschelli, Sui marchi d’impresa, Giuffrè, Milano 1988, p. 13282 M.Ricolfi, op.cit., p. 5

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

107

dell’acquirente, agevolandolo nel reperimento dei prodotti preferiti; in quella

macro del sistema economico premiando i produttori efficienti ed emarginando

quelli inefficienti.”

Tra la fine dell’XIX secolo e l’inizio del XX, i vari Stati adottano

singolarmente ed individualmente le regole sulla materia, con una certa difformità

tra gli uni e gli altri. Le prime iniziative sopranazionali risalgono alla seconda metà

del secolo: la Convenzione di Unione di Parigi è del 1883, l’Arrangement di

Madrid del 1891.

Il XX secolo segna la ribalta nazionale ed internazionale della disciplina

dei marchi d’impresa, soprattutto il suo ultimo quarto. Dopo la seconda guerra

mondiale ha infatti iniziato a crescere e ad espandersi la società della

comunicazione globale nella quale oggi noi siamo completamente immersi, nata

in Nord America ed estesasi progressivamente all’Europa e a buona parte

dell’Asia. Oggi siamo assolutamente bombardati da una serie infinita di messaggi

grafici, radiotelevisivi e non solo, che si sono imposti nell’accesissima corsa per

catturare l’attenzione dei consumatori e la loro voglia di comprare.

A livello comunitario il percorso verso un sistema unico e comunitario è stato

lungo e faticoso, e soprattutto nuovo, come si vedrà più avanti.

A livello internazionale, i recenti negoziati dell’Uruguay Round hanno portato alla

creazione di un sistema tutto nuovo ed esclusivo per la proprietà intellettuale, di

cui si è già parlato, il sistema dei TRIPs283.

Secondo molti autori284 nelle evoluzioni comunitarie e in quelle del WTO,

paiono convivere due spiriti opposti: da una parte si punta ad una sostanziale

“deregolamentazione” di settori prima riservati, come i servizi o le opere

pubbliche; dall’altra i diritti di esclusiva sono sottoposti ad un nuovo processo di

283 In generale sul sistema dei TRIPs si veda il paragrafo 1.3.2; sull’intervento dei Trips sullamateria dei marchi si veda il paragrafo 3.2.6 e sulla loro incidenza sulla disciplina brevettuale ilparagrafo 4.2.2284 M.Ricolfi, op.cit., p. 8

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

108

regolamentazione, a protezione dei soggetti già presenti sul mercato e a

detrimento di eventuali nuovi entranti.

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

109

3.2 LA PROTEZIONE DEL MARCHIO A LIVELLO INTERNAZIONALE

I marchi sono stati nel corso degli anni oggetto di atti e relative revisioni

legislative, e si potrebbe pensare che esse abbiano avuto soprattutto carattere

nazionale, vista la caratterizzazione territoriale del suddetto diritto di privativa.

Tale opinione deve essere prontamente respinta, laddove si pensi che a livello

internazionale, già nel corso dell’‘800 si ebbero notevoli sviluppi, valevoli, pur

con delle modifiche, ancora oggi. Lo studio di tali convenzioni risulta necessario

prima di intraprendere lo studio della materia all’interno dell’ambito comunitario,

poiché su queste stesse convenzioni si sono basati i legislatori comunitari quando

decisero di dar vita ad una struttura unitaria a livello comunitario nell’ambito della

proprietà intellettuale e dei marchi nello specifico. Il primo passo fu infatti

l’adozione a livello comunitario delle Convenzioni Internazionali che verranno di

seguito studiate.

L’istituto del marchio è l’oggetto principale della Convenzione di Unione di Parigi

per la protezione della proprietà industriale, stipulata il 20 marzo 1883 e

dell’Arrangement di Madrid concernente la registrazione internazionale dei

marchi di fabbrica e di commercio, sottoscritto in Spagna il 14 aprile 1891,

nell’ambito della ormai matura Unione di Parigi. Entrambe sono state oggetto di

numerose revisioni e modifiche, cosicché oggi vigono in Italia e negli altri Paesi

firmatari le versioni di Stoccolma del 14 luglio 1967285.

In campo internazionale non si dimentichino infine l’Arrangement di Nizza del

1957, concernente la classificazione internazionale dei prodotti o dei servizi ai fini

della registrazione del marchio e ovviamente l’accordo TRIPs.

285 Ogni Paese ha provveduto internamente all’adattamento del testo di Stoccolma: in Italia larevisione della Convenzione di Unione di Parigi è stata ratificata con la legge n° 424 del 28 aprile

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

110

3.2.1 La Convenzione di Unione di Parigi

La Convezione di Unione di Parigi (C.U.P.)286, risalente al 1883 e

modificata ripetutamente nel corso degli anni, è in ordine di tempo, la prima ad

esser stata elaborata in materia di proprietà intellettuale. Alla C.U.P. attualmente

appartengono centoquattordici Stati287 e ciò sottolinea l’estrema importanza che

essa ancora oggi ricopre nel campo e nella disciplina dei marchi in particolare.

I problemi associati con il carattere strettamente territoriale dei diritti di

privativa venne alla luce tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, quando

i commerci persero progressivamente il loro carattere chiuso e campanilistico a

favore di una maggiore apertura. La soluzione fu trovata in una iniziativa di

cooperazione internazionale, attraverso cui si sperava di lasciare alla spalle il

problema della territorialità. Perciò più di un centinaio di Stati sottoscrissero a

Parigi la famosa convenzione.

Essa non riguarda esclusivamente la disciplina dei marchi, ma abbraccia tutte le

forme di proprietà intellettuale, prevedendo in generale dei principi

universalmente applicabili.

Tre sono infatti i principi generali sui quali essa si basa e da cui generano le altre

disposizioni sulle singole materie. Si tratta dei principi di trattamento nazionale e

1976; la modifica dell’Accordo di Madrid è stata recepita con la legge n°424 dello stesso giorno.Entrambe sono vigenti dal 24 aprile 1977286 Sulla Convenzione si vedano: W.R.Cornish, Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marksand Al lied Rights, Fourth Edition, Sweet & Maxwell, Londra 1999, p. 604; Barzanò e Zanardo,BREVETTI E MARCHI: brevetti d’invenzione – modelli d’utilità – modelli ornamentali – certificaticomplementari .- novità vegetali – tutela del software e topografia – marchi d’impresa – marchi comunitari –internet domain name – denominazione d’origine – modulistica. Quarta edizione, Buffetti Editore, Roma2001, p. 136; M.Ricolfi, op.cit., p. 9; A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 245; T.Prime, op.cit., p.79; U.Draetta, Il regime internazionale della proprietà industriale, Giuffrè, Milano 1967; F.Benussi,voce “Marchio nelle Convenzioni Internazionali”, in Digesto IV edizione, volume IX, UTET, Torino1967287 Le adesioni continuano incessantemente: lo testimonia il fatto che nel 2002 hanno aderito ilGibuti, la Siria e le Seychelles, mentre nel 2001 hanno aderito il Nepal e Tonga. Per unaggiornamento sulle adesioni, al 28 luglio 2003, e per una traduzione italiana del testo dellaConvenzione, nella stesura di Stoccolma, si veda il sito www.admin.ch

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

111

di assimilazione, della cosiddetta priorità unionista, ed infine della protezione telle

quelle.

A) Trattamento nazionale e assimilazione288: tale principio riguarda i

cittadini289, le persone fisiche e gli enti, domiciliati o stabiliti in uno Stato

dell’Unione290. Essi saranno in ciascuno Stato dell’Unione assimilati ai cittadini291

di questo Paese e godranno , nella specifica materia dei marchi, degli stessi

vantaggi dei soggetti residenti nello Stato in questione. In particolare, avranno

diritto a tutte le agevolazioni, sia di diritto sostanziale che processuale.

B) Priorità unionista292: riguardo la specifica disciplina dei marchi,

tale principio assegna a chiunque abbia depositato un marchio in uno degli Stati

aderenti alla C.U.P., un periodo di “franchigia” di sei mesi, in cui egli avrà la

possibilità di depositare la stessa domanda presso gli uffici di altri Stati membri

della C.U.P., con diritto di priorità alla data del primo deposito nei confronti di

eventuali depositi intermedi. Infatti le domande effettuate in Paesi diversi da

quello di appartenenza, nei sei mesi successivi, retro-agiscono al momento del

primo deposito, cosicché il titolare del primo deposito sarà protetto contro

288 I principi del trattamento nazionale e dell’assimilazione sono stabiliti rispettivamente dagliarticoli 2 e 3 della C.U.P. L’articolo 2 recita: “1) I cittadini di ciascuno dei paesi dell’Unionegodranno in tutti gli altri, per quanto riguarda la protezione della proprietà industriale, deivantaggi che le leggi rispettive accordano presentemente o accorderanno in avvenire ai nazionali,restando però impregiudicati i diritti specialmente previsti dalla presente Convenzione. Essiavranno quindi la stessa protezione dei nazionali e gli stessi mezzi legali di ricorso contro ognilesione dei loro diritti, sempreché siano adempiute le condizioni e le formalità imposte agli stessinazionali. 2) Tuttavia, nessun obbligo di domicilio o di stabilimento nel paese dove è domandatala protezione potrà essere richiesto ai cittadini dei paesi dell’Unione per il godimento d’unoqualunque dei diritti di proprietà industriale.” L’articolo 3 recita invece: “Sono assimilati aicittadini dei paesi dell’Unione quelli dei paesi non partecipi dell’Unione che siano domiciliati oabbiano stabilimenti industriali o commerciali effettivi e seri sul territorio di uno dei paesidell’Unione.”289 La Convenzione si riferisce ai cittadini parlando di ressortissants290 Ci si sta ovviamente riferendo all’Unione di Parigi, a cui aderirono 114 Stati291 Saranno assimilati ai cittadini dello Stato in questione o agli altri soggetti ad essi equiparati. 292 Il principio della Priorità Unionista è stabilito dall’articolo 4 della C.U.P. L’articolo 4 recita:“Chiunque avrà regolarmente depositato in uno dei paesi dell’Unione una domanda di brevettod’invenzione, di modello d’utilità, di disegno o modello industriale, di marchio di fabbrica o dicommercio, o il suo avente causa, godrà, per eseguire il deposito negli altri paesi, d’un diritto dipriorità entro i termini sotto indicati”

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

112

eventuali depositi di concorrenti effettuati tra la prima domanda e quelle

successive.

C) La protezione telle quelle (tale quale)293: nella Convenzione non

esiste alcun obbligo circa il primo deposito nel Paese d’origine: un soggetto può

effettuarlo nel Paese dell’Unione che desidera. Se però lo registra nel suo Paese

d’origine, l’articolo 6 quinquies prevede che il marchio regolarmente registrato nel

Paese d’origine “sarà ammesso al deposito e registrato tale e quale negli altri paesi

dell’Unione”. Il secondo comma dello stesso articolo però elenca una serie di

riserve, che restringono la portata, apparentemente piuttosto ampia, della lettera

A dell’articolo. La lista enumera tutti i casi di impedimenti alla registrazione e i

motivi di invalidità, che possono essere fatti valere contro le registrazioni in altri

Stati aderenti294.

Infine la C.U.P. impone ai suoi membri alcuni standard comuni,

riguardanti ad esempio la protezione estesa ai marchi di servizio e ai marchi

collettivi o la protezione dei marchi “notoriamente conosciuti”295, nonché alcune

regole generali sull’intera materia dei marchi.

Di tutte queste previsioni, quella della priorità unionista è senz’altro la più

innovativa; ciò nonostante da più parti si sostiene che il relativamente scarso

successo della C.U.P. sia dovuto alla possibilità, per gli Stati membri, di

impegnarsi su tutti i fronti o alternativamente, solo su una parte di essi, potendo

continuare così a perseguire i propri interessi nazionali296. Perciò molti studiosi297

293La protezione telle quelle è prevista dall’articolo 6 quinquies: la lettera A prevede la regolagenerale enunciata nel testo, mentre alla lettera B si trovano le riserve che restringononotevolmente il campo di applicazione del primo comma294 Potrebbe sembrare, a prima vista, che la Convenzione preveda un sistema di protezionesostanzialmente unitaria: in realtà la tutela del marchio resta affidata alle regole nazionali diciascun Stato membro295 L’articolo 6 sexies regola la disciplina dei marchi di servizio, il 7 bis quella dei marchi collettivi,il 6 bis quella dei marchi “notoriamente riconosciuti”296 Si vedano a proposito le innumerevoli riserve apposte da alcuni Stati all’atto dell’adesione297 T.Prime, op.cit., p. 79

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

113

sostengono che la Convenzione non sia riuscita ad imporre un sistema di

regolamentazione unificato ed uniforme tra gli Stati aderenti, come invece si

sperava alla vigilia dell’entrata in vigore. Secondo Prime ad esempio, il più grande

successo della Convenzione risiede nell’affermazione e nell’applicazione continua

della regola del trattamento nazionale. Ciò è anche testimoniato dalla ripresa, da

parte del sistema comunitario, di questo principio e di alcuni altri sopra citati.

3.2.2 L’Arrangement di Madrid

L’accordo di Parigi fu seguito, dopo pochi anni, da un altro accordo,

questa volta firmato a Madrid, riguardante nello specifico la materia dei marchi di

impresa. Esso fu stipulato sotto la “protezione” della C.U.P., con la conseguenza

che solo gli Stati firmatari della Convenzione poterono partecipare al successivo

accordo. Al pari del Protocollo di Madrid, che sarà firmato quasi un secolo dopo,

l’Arrangement si inserisce nel processo di cooperazione internazionale tra Stati,

riguardante la materia della proprietà intellettuale, sulla scia della precedente

Convenzione di Parigi. Con tali accordi gli Stati partecipavano ad iniziative

comuni a livello internazionale, senza che esse intaccassero gli ordinamenti

nazionali, a meno che a volerlo non fossero gli Stati stessi. Si tratta senz’altro di

una forma di collaborazione tra gli Stati importante, soprattutto quando si

consideri l’epoca in cui essa prese avvio, anche se essa non è nemmeno

lontanamente paragonabile alle forme di cooperazione più strette, come quella

comunitaria, imponenti direttamente diritti e doveri per i cittadini degli Stati

partecipanti.

L’intento dei redattori dell’Arrangement era quello di estendere al nuovo accordo

la struttura concettuale della Convenzione, agevolando in più la registrazione

internazionale dei marchi attraverso l’istituzione di un Ufficio a ciò preposto, con

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

114

sede in Ginevra298. Furono proprio i limiti della C.U.P. a spingere i suoi membri

verso un nuovo accordo: la Convenzione infatti agevolava sì le domande plurime

in vari Stati membri, ciò nonostante i titolari che avessero voluto ottenere queste

protezioni erano sottoposti all’onere di presentare tante domande quanti erano gli

Stati in cui volevano vedersi riconoscere la tutela, con conseguente

moltiplicazione dei costi, economici ed organizzativi. A Madrid si cercò di andare

oltre, costituendo un ufficio ad hoc che permettesse procedure di registrazione

unitaria.

L’Arrangement di Madrid299 fu firmato nel 1891, sulla base dell’articolo 19 della

Convenzione, che conferiva tale facoltà agli Stati membri; ad esso aderirono molti

Stati europei e non, soprattutto Stati dell’Europa non nordica e Stati nordafricani,

mentre ne restarono fuori Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America e

alcuni altri. Come la C.U.P., l’accordo fu sottoposto a molte modifiche nel corso

degli anni e attualmente vige il testo modificato a Stoccolma nel 1976300.

Visto che il maggior difetto della C.U.P. risiedeva nella necessità di tante

domande di marchio quanti erano gli Stati in cui si voleva la protezione,

l’Accordo di Madrid cercò di superare per primo questo inconveniente. Venne

infatti istituito un registro presso l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà

Intellettuale301, con sede a Ginevra, con il compito di ricevere dagli Uffici

nazionali le domande di marchi e inoltrarle agli uffici competenti di tutti i Paesi in

298 Per una panoramica sui sistemi internazionali di registrazioni dei marchi si vedano:www.ige.ch o www.marchi-brevetti.it 299 Sull’Arrangement di Madrid si vedano: Barzanò e Zanardo, op.cit., p. 136; M.Ricolfi, op.cit., p.11; C.Costa, C.Baldini, R.Plebani, op.cit.,p. 52; T.Prime, op.cit., p. 80; A.Vanzetti, V.Di Cataldo,op.cit., p. 246; W.R.Cornish, Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, cit.,p. 605; A.Casado Cervino, El sistema comunitario de marcas: normas, jurisprudencia y pratica, EditorialLex Nova, Valladolid 2000, p. 500; D.Campbell, S.Cotter, op.cit., p. 6; R:Annand & H.Norman,Blackstone’s Guide to Trade Marks Act 1994, Blackstone Press Limited, Londra 1998, p. 263. Per iltesto originale dell’accordo, in lingua francese, si veda www.wipo.org o, alternativamente,www.admin.ch 300 In Italia è attualmente vigente il testo modificato a Stoccolma, in forza dell’attuazioneavvenuta con la legge 424 del 28 aprile 1976, in vigore dal 24 aprile 1977

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

115

cui il titolare voleva ottenere la tutela. Avveniva quindi che il Signor X, titolare di

un determinato marchio, volendo registralo in Italia e in altri tre o quattro Stati in

cui intendeva commercializzare il prodotto con il suddetto marchio, presentava

l’apposita domanda di registrazione presso l’Ufficio italiano, il quale inoltrava

all’Ufficio OMPI di Ginevra la domanda per gli altri Paesi: quest’ultimo

automaticamente avrebbe registrato il marchio in questi Stati, fatta salva però la

possibilità per questi Paesi di opporsi alla registrazione per uno dei motivi elencati

dal richiamato articolo 6 quinquies della C.U.P. Da quel momento il marchio era

tutelato in tutti gli Stati che avevano accolto la richiesta allo stesso modo di un

marchio depositato originariamente presso le Amministrazioni di questi Stati.

Erroneamente si è parlato spesso di “marchio internazione”: quello istituito

dall’Arrangement non è un marchio unico302, sottoposto a medesime regole in

tutti i Paesi in cui è valido; si tratta in realtà di un fascio di marchi nazionali,

ognuno dei quali sottostà alle regole dello Stato in cui è fatto valere.

Che si tratti di un fascio di diritti piuttosto che di un marchio unico, lo si

vede bene analizzando il cosiddetto “attacco centrale” a cui il marchio

internazionale è soggetto. Posto che la registrazione dura dieci anni303, alla

scadenza dei quali è possibile rinnovarla ripetutamente, nei primi cinque anni di

“vita” il marchio è potenzialmente soggetto all’ “attacco centrale”: se il marchio

nazionale per primo registrato, nel Paese d’origine304, è attaccato e la sua validità

crolla, l’intero marchio internazionale viene a scadere, mentre laddove la validità

301 Il nome dell’organizzazione è abbreviato con gli acronimi OMPI e WIPO, rispettivamente infrancese ed in inglese302 Il pieno ed autentico valore del cosiddetto “marchio internazionale” si può cogliere bene dalconfronto tra questo e l’attuale marchio comunitario: quest’ultimo è un marchio unico,sottoposto ad un ordinamento identico in tutti gli Stati della Comunità, mentre quello è unfascio di marchi identici303 Il mancato uso del marchio per un periodo continuato di più di cinque anni, comporta ladecadenza del marchio con riferimento ai soli prodotti per i quali non è stato utilizzato304 Si considera Paese d’origine quello Stato in cui il titolare del marchio ha una attività reale edeffettiva. Ovviamente tale Stato dovrà aver sottoscritto l’Arrangement di Madrid perché laprocedura della registrazione a livello internazionale possa avere avvio. Se invece il titolarepossiede i suoi stabilimenti in Paesi non firmatari e vuole lo stesso usufruire della procedura, ilpaese d’origine sarà quello in cui egli è domiciliato o dove possiede il suo quartier generale

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

116

del marchio nel Paese d’origine non venga scalfita, il marchio internazionale

rimane valido. Passati cinque anni il marchio internazionale diviene indipendente

dal primo registrato e qualunque cosa accada a quest’ultimo, il marchio

internazionale non ne viene toccato.

I vantaggi del sistema così disegnato sono quindi due: una notevole

semplificazione delle procedure per l’ottenimento di più marchi identici in vari

Stati e un connesso abbassamento dei costi da sostenere.

Nonostante ciò le critiche che vennero rivolte all’Arrangement furono

molte e ciò è testimoniato dal grande numero di Paesi, tra cui ad esempio gli Stati

Uniti305, che decisero di non sottoscriverlo. Senz’altro era giudicato

negativamente l’“attacco centrale” di cui sopra, ma soprattutto le critiche erano

rivolte al rinvio della procedura internazionale fino al momento dell’ottenimento

della registrazione nel Paese d’origine; non era infatti sufficiente aver depositato

la domanda perché la procedura potesse avviarsi; il titolare doveva attendere che

la sua domanda fosse stata accettata dall’Amministrazione nazionale preposta e la

registrazione nazionale avvenuta306.

Tutte queste critiche spinsero i Paesi a cercare una via d’uscita: essi la trovarono

molti anni più tardi, con la firma del Protocollo di Madrid. Nel 1986 infatti, gli

sforzi congiunti dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale e dei

Paesi non firmatari dell’Arrangement ma interessati alla risoluzione dei problemi

sopra riassunti, portarono alla convocazione di esperti per una revisione

dell’Accordo stesso. L’OMPI nel 1989 presentò quindi una proposta che, durante

la sorprendentemente rapida307 Conferenza Diplomatica di Madrid portò alla

realizzazione del protocollo stesso.

305 Molti Paesi non sottoscrissero l’Arrangement perché nei loro Paesi l’accettazione delladomanda di registrazione richiede solitamente un periodo molto lungo, cosicché, dovendosussistere la registrazione per il proseguo dell’iter internazionale, esso verrebbe di gran lungaritardato306 Costa e Baldini ricordano come, a causa della naturale lentezza del percorso, sia solitamenteriservata una corsia preferenziale alle domande finalizzate ad una registrazione internazionale delmarchio. Si veda C.Costa, C.Baldini, R.Plevani, op.cit., p. 55307 La Conferenza Diplomatica durò infatti solo tre settimane

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

117

3.2.3 Il Protocollo di Madrid

Il Protocollo di Madrid308 del 27 giugno 1989 è divenuto operativo il 1°

aprile 1996309, e dovrebbe superare buona parte delle difficoltà incontrate con

l’Arrangement di Madrid. Per questo motivo il Protocollo ha incontrato i favori

di molti Stati, buona parte dei quali non aveva invece sottoscritto il precedente

accordo. Così Stati di importanza commerciale indiscutibile nonché di enorme

rilevanza per l’espansione della protezione dei marchi, come Giappone o Gran

Bretagna, hanno preso parte all’iniziativa.

Quali i miglioramenti apportati al sistema dal Protocollo310?

Innanzitutto esso prevede che la registrazione internazionale possa aver luogo in

seguito al deposito della domanda di registrazione e non impone di attendere che

la domanda stessa sia stata accettata e il marchio registrato nel Paese d’origine. È

necessaria la registrazione o anche semplicemente la domanda presso l’Ufficio

nazionale competente.

L’articolo 9 quinquies inoltre regola il cosiddetto “attacco centrale”: il Protocollo

prevede infatti che, se la registrazione viene rifiutata o dichiarata invalida nei

cinque anni iniziali nel Paese d’origine, ciò non provoca il decadimento tout cour

del diritto, perché sussiste la possibilità di convertire la registrazione in una

domanda presso tutti gli Stati tranne appunto quello d’origine, per il quale il

marchio non è più valido. Ciò deve avvenire nei tre mesi successivi alla

dichiarazione di invalidità del marchio nel Paese di origine. Nel caso in cui tale

308 Sul Protocollo cfr.: A.Casado Cervino, op.cit., p. 501; M.Ricolfi, op.cit. ,p. 11; C.Costa,C.Baldini, R.Plebani, op.cit., p. 52; D.Campbell, S.Cotter, op.cit., p. 7; R.Annand & H.Norman,op.cit., p. 266309 L’Italia ha ratificato il Protocollo il 12 marzo 1996 con legge n°169, ha depositato glistrumenti di ratifica del Protocollo il 17 gennaio 2000, cosicché dal 17 aprile dello stesso annoesso è divenuto operativo nel nostro Paese310 Per uno schematico riassunto delle differenze tra Accordo e Protocollo si veda C.Costa,C.Baldini, R.Plebani, op.cit., p. 62

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

118

possibilità venga sfruttata, la data di riferimento resterà quella del deposito

internazionale precedentemente avvenuto311.

In terzo luogo il Protocollo modifica i criteri i base ai quali definire il cosiddetto

Paese d’origine, in cui effettuare la prima domanda di marchio. L’Arrangement

infatti stabiliva che è da considerarsi Paese d’origine quello in cui il titolare

possiede uno stabilimento industriale o commerciale effettivo o, in subordine,

quello in cui il titolare è domiciliato, oppure ancora, in terzo grado, quello di cui

egli possieda la nazionalità, a patto che si tratti di un Paese membro dell’Unione

di Parigi. Il Protocollo mantiene tali criteri ma ne distrugge la gerarchia, cosicché

essi risultano alternativi l’uno all’altro. Sarà quindi il titolare a poter scegliere quale

Stato considerare come Paese d’origine, per depositarvi la domanda di

registrazione.

Il quarto argomento che distingue il Protocollo dal precedente Accordo riguarda i

termini entro i quali gli Stati stranieri in cui si chiede la registrazione possono

rifiutarla. L’Arrangement dava agli Stati un periodo di dodici mesi, nei quali essi

avrebbero dovuto valutare ed esaminare il caso per decidere se accettare o meno

la domanda. Molti Paesi ritenevano tale periodo troppo breve per un’attenta

valutazione312. Perciò il Protocollo da agli Stati firmatari l’opportunità di scegliere,

in sede di ratifica, se allungare tale periodo a diciotto mesi o se mantenerlo di

dodici. Nel caso in cui uno Stato scelga di estendere il periodo a diciotto mesi,

esso potrà essere ulteriormente prorogato di altri sette mesi, in casi di

opposizioni.

Infine il Protocollo rivoluzione il sistema di tassazione e ammette l’inglese come

lingua ufficiale, accanto al francese313. Per quanto riguarda le tasse, mentre

l’Arrangement imponeva ai richiedenti il pagamento il una tassa fissa più una a

base variabile, a seconda del numero di Stati per i quali era richiesta la

registrazione e a seconda della classe di appartenenza del prodotto su cui il

311 Verrà quindi mantenuta la cosiddetta priorità unionista312 Tra i più strenui sostenitori di questa critica Giappone e Gran Bretagna313 L’Arrangement di Madrid aveva una sola lingua ufficiale, il francese

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

119

titolare voleva apporre il suo marchio314, il Protocollo lascia gli Stati liberi di

scegliere, al momento della ratifica, il sistema di tasse applicabili. Gli Stati

possono in tal modo applicare le tasse che desiderano, a condizione che il loro

ammontare non superi quanto il titolare dovrebbe pagare nel caso in cui

decidesse di registrare solo a livello nazionale il proprio marchio, presso l’Ufficio

marchi italiano.

3.2.4 La scelta tra Accordo e Protocollo

Essendo ancora validi ed in vigore entrambi gli accordi di cui si è parlato,

sembra ragionevole domandarsi quale dei due trovi applicazione e perché.

Ovviamente per i Paesi firmatari di uno solo dei due accordi, troverà applicazione

quel testo. Il problema diventa più spinoso laddove il Paese sia firmatario di

entrambi, come nel caso dell’Italia. In questo caso entra in gioco la “clausola di

salvaguardia”315, secondo la quale prevalgono le disposizioni del Arrangement.

Perché allora ratificare il Protocollo, se già si è membri dell’Arrangement? Un

esempio316 semplificherà la spiegazione: se un richiedente di un Paese X,

firmatario dell’Arrangement e del Protocollo, intende chiedere la registrazione

internazionale nei Paesi Y e Z, anch’essi firmatari dei due accordi, e nel Paese J,

aderente al solo Protocollo, egli potrà chiedere la registrazione in J non appena

abbia depositato la domanda nel suo Paese X, mentre dovrà attendere che

quest’ultimo abbia accolto la sua richiesta per depositare la domanda in Y e Z.

Gli uffici di questi due Paesi avranno un solo anno di tempo per notificare

eventuali rifiuti, mentre lo Stato J avrà limiti temporali più estesi. Infine se il

marchio in X venisse attaccato, il titolare potrebbe in J , entro tre mesi, chiedere

314 In molti casi i costi di una registrazione risultavano talmente elevati che sarebbero risultatieconomicamente più vantaggiosi più depositi nazionali effettuati presso tutti gli Stati in cui sivoleva ottenere la registrazione315 La “clausola di salvaguardia” è sancita dall’articolo 9 sexies del Protocollo316 Barzanò e Zanardo, op.cit., p. 140

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

120

la conversione della sua registrazione mantenendo la priorità, mentre in Y e Z

perderebbe validità, come in X.

A seconda delle esigenze e del tipo di commercializzazione messa in atto,

il titolare del marchio potrà decidere se avvalersi dello strumento della

registrazione internazionale o se preferire invece una serie di depositi nazionali

presso i vari Stati in cui intende utilizzare il marchio, oppure ancora, nel caso in

cui il suo Stato di appartenenza sia membro dell’Unione Europea, chiedere una

singola registrazione comunitaria.

3.2.5 La Convenzione di Nizza

La Convenzione di Nizza317 venne stipulata nel 1957, per offrire uno

strumento di classificazione dei prodotti e dei servizi, da utilizzare accanto ai

preesistenti accordi. Tale classificazione risulta senz’altro molto utile ai fini della

registrazione del marchio. L’Arrangement di Nizza infatti predispone un sistema

uniforme che assicura un’uguale applicazione a livello mondiale. Tale sistema si

mostra particolarmente utile quando impiegato in commerci internazionali, con

l’utilizzo di marchi internazionalmente registrati. Esso divide i beni in

quarantadue classi318, ad ognuna delle quali appartengono un gruppo di prodotti

affini. Ad esempio la classe numero 12 riunisce i veicoli, i mezzi di locomozione

di terra, di aria e di mare.

L’Arrangemnet di Nizza fu stipulato il 15 giugno 1957 e subì, come le altre

Convenzioni citate, numerose modifiche; oggi è vigente il testo revisionato a

317 Sull’accordo di Nizza si vedano: A.Vanzetti, V.Di Cataldo, op.cit., p. 247; D.Campbell,S.Cotter, op.cit., p. 8; M.Ricolfi, op.cit., p. 12. Per una visione completa dell’accordo si veda:Accordo di Nizza sulla Classificazione Internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione deimarchi del 15 giugno 1957, riveduto a Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Ginevra il 13 maggio 1977 e modificatoil 28 settembre 1979, a cura dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale ( OMPI ),1992318 Per una visione d’insieme delle classi in cui la Convenzione divide i beni e i servizi, si vedal’Appendice D di D.Campbell, S.Cotter, op.cit., p. 24

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

121

Stoccolma il 14 luglio 1967, recepito dall’Italia ad esempio con la legge n° 424 del

28 aprile 1976.

3.2.6 L’accordo TRIPs

Già si è detto dell’attenzione riservata agli aspetti di proprietà intellettuale

riguardanti il commercio in sede WTO, sfociata, durante i negoziati dell’Uruguay

Round, nell’accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property

Rights)319.

Si cita in questa sede l’accordo per sottolinearne la sostanziale differenza rispetto

alle iniziative di carattere internazionale affrontate in precedenza: mentre esse si

sono evolute nel corso degli anni, mano a mano che il numero di Paesi membri e

l’accordo sulle questioni più rilevanti crescevano, l’accordo TRIPs si è imposto in

tutta la sua integrità ai Paesi partecipanti ai negoziati, che si trovarono in un certo

senso costretti ad accettarlo visto che la partecipazione all’Organizzazione

Mondiale del Commercio era subordinata alla sottoscrizione dell’accordo sulla

proprietà intellettuale.

L’altro aspetto da sottolineare è la ripresa, da parte dei TRIPs, degli standards e

delle regole imposte dalla Convenzione di Unione di Parigi, a cui

obbligatoriamente i membri dell’OMC devono conformarsi320.

Guardando nello specifico alla disciplina dei marchi, gli articoli dal 15 al 20 sono

quelli interessanti: essi conferiscono una tutela particolarmente intensa ai titolari

dei marchi, anche a quelli che possiedono “marchi notoriamente conosciuti”321.

319 Sui TRIPs si veda il paragrafo 1.3.2 del presente lavoro, intitolato alla partecipazionecomunitaria alle iniziative a carattere internazionale sulla proprietà intellettuale320 L’obbligo contenuto nei TRIPs di conformarsi alle regole della C.U.P. ha notevolmenteesteso il raggio di applicazione delle stesse, soprattutto per il fatto che sono stati obbligati aseguire le disposizioni anche Paesi non aderenti alla C.U.P., come l’India, la Colombia, laNigeria, Singapore o il Venezuela321 Cfr. S.Sandri, Il marchio nei TRIPs (diritti di proprietà intellettuale, commercio di prodotti contraffatti,promozione tecnologica, confondibilità, descrittività), in Diritto Industriale, 1995, p. 249

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

122

3.3 LA DISCIPLINA DEI MARCHI A LIVELLO COMUNITARIO

Tutte le Convenzioni di cui si è parlato, pur importantissime e

fondamentali per l’evoluzione della materia, mantennero intatto il carattere

territoriale dei diritti di proprietà intellettuale e ciò che fecero fu sostanzialmente

facilitare la registrazione dei marchi a livello internazionale, agevolando in tal

modo coloro che intendevano proteggere i loro marchi in più Paesi. La

registrazione internazionale infatti si basava a tal punto sulla territorialità di questi

diritti da dar vita non ad uno marchio valevole sul territorio di più Stati, quanto

piuttosto ad un fascio di diritti, sottoposto ognuno alle regole del Paese in cui era

fatto valere.

A livello europeo gli obiettivi erano diversi: i sei membri originari e

successivamente gli altri Paesi che aderirono, non miravano ad un semplice

coordinamento nelle varie materie, ma puntavano ad una vera e propria

integrazione, con la conseguente creazione degli strumenti giuridici necessari. Se

infatti la creazione di un mercato unico richiedeva l’eliminazione di tutti gli

ostacoli alla libera circolazione di prodotti e servizi, si era ugualmente consapevoli

della necessità di creare e mantenere nel tempo le condizioni perché le imprese

dei Paesi membri potessero adattare le loro attività di produzione e

commercializzazione alla nuova dimensione comunitaria che andava

disegnandosi. Nel caso specifico dei marchi d’impresa, ci si rese conto che era

conveniente concedere un nuovo titolo di protezione agli imprenditori, in modo

che essi potessero identificare i loro prodotti nello stesso modo in tutta l’Europa

Comunitaria, senza più dover tenere conto delle frontiere.

Da queste considerazioni, attraverso un percorso lungo e faticoso, si giunse alla

creazione di un sistema nuovo ed originale, il cui scopo oggi è senz’altro quello di

fornire agli operatori economici, sia comunitari che no, un efficace strumento

unitario di pianificazione commerciale e tutela giuridica, da sfruttare in ogni parte

dell’ormai esteso territorio comunitario. La novità di sicuro più rilevante è il suo

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

123

carattere unitario, poiché il marchio comunitario può essere registrato, trasferito,

essere dichiarato nullo o decaduto solamente per la totalità dell’Unione Europea e

non solo per una frazione di essa322.

3.3.1. Un percorso lungo trent’anni

Per comprendere a pieno il ruolo e la portata del Regolamento del 1994

istituente il Marchio Comunitario, è necessario ripercorrere il faticoso cammino

trentennale323 che ha condotto alla sua emanazione e che è cresciuto grazie

all’opera continua ed efficace della Commissione delle Comunità Europee.

I lavori per l’elaborazione di un completo sistema di tutela dei marchi a livello

europeo ebbero inizio poco dopo l’avvio del processo di integrazione stesso. Già

nel 1961 infatti, la Commissione e, dietro invito di questa, i sei membri della

“piccola Europa”324 crearono un gruppo di lavoro, composto da esperti, con il

compito di analizzare le discipline dei brevetti di invenzione, dei marchi di

impresa e dei disegni e dei modelli, sotto un profilo strettamente europeistico; in

materia di marchi il gruppo era presieduto dall’allora presidente dell’Ufficio

brevetti olandese, De Haan: esso, nel giro di tre anni, diede vita ad un

Avanprogetto di Convenzione sul marchio europeo, che però, a causa delle

322 Bibliografia di riferimento sul marchio comunitario: N.Zorzi, Il Marchio Comunitario, inContratto e Impresa/Europa, 1996, p. 259; G.Toma, Via libera al marchio CE: le istruzioni per l’impresa,in Commercio Internazionale, 1996, p. 206; A.Vianello, M.Della Costa, Regolamento Ce n° 40/94: leregole del marchio europeo, in Commercio Internazionale, 1999, p. 369; F.De Benedetti, Adeguamento delmarchio comunitario ai TRIPs, in Diritto Industriale, 1996, p. 103; F.Benedetti, Il marchio comunitario, inDiritto Industriale, 1994, p. 362; G.Bonet, Propriétés intellectuelles. La marque communautaire. RèglementCEE n° 40/94 du Conseil du 20 dicembre 1993, in Revue trimestrale de droit europeen, 1995, p. 59;S.Sandri, Marchio comunitario e marchio di rinomanza, in Diritto Industriale, 1997, p. 120; P.Gelato,Marchio comunitario, in Contratto e impresa/Europa, 1997, p. 430323 Sull’evoluzione storica della normativa comunitaria in tema di marchi di impresa si vedano:F.Benussi, op.cit., p. 7 e ss.; M.Ricolfi, op.cit., p. 13 e ss; R.Annand, H.Norman, op.cit., p. 7 e ss.;A.Casado Cervino, op.cit., p. 34 e ss.; T.Prime, op.cit., p. 77 e ss; W.R.Cornish, Intellectual Property,Fourth Edition, cit., p. 607; C.Wadlow, Enforcement of Intellectual Property in European and InternationalLaw, Sweet & Maxwell, Londra 1998, p. 215324 Si parla abitualmente di “piccola Europa” per indicare il nucleo originario di sei Stati che,negli anni ’50 diedero inizio ai lavori di integrazione comunitaria. I sei erano Francia, Germania,Italia e i tre Paesi del Benelux, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

124

divergenze interne, non fu pubblicato fino agli anni settanta. Nel 1973 la

Commissione lo riprese in mano e lo pubblicò, annunciando l’intenzione di

portare a compimento la creazione di un sistema unitario di marchi a livello

comunitario. Le reazioni dei vari ambienti imprenditoriali, economici e giuridici,

le critiche rivolte al progetto e tutti i commenti furono sottoposti ad un attento

esame, da cui sortì, nel 1976, un “Memorandum sulla creazione di un marchio

comunitario”325, il quale già delineava con sufficiente precisione quale avrebbe

dovuto essere il percorso da intraprendere e seguire.

In esso la Commissione esponeva quale fosse l’importanza di un sistema

unificato di marchi: “ la creazione di un marchio CEE che goda di tutela giuridica

su tutto il territorio del Mercato Comune e che abbia effetti giuridici unitari,

rappresenta una tappa necessaria verso la realizzazione delle finalità contenute nel

Trattato istitutivo della CEE e corrisponde ad un preciso interesse dei produttori,

dei commercianti e dei consumatori del Mercato Comune.”326. Inoltre la

Commissione scriveva: “l’introduzione del marchio comunitario apre

all’economia nuove prospettive, in quanto schiude nuovi mercati europei a nuovi

prodotti e servizi e amplia gli attuali mercati nazionali, portandoli ad una

dimensione europea: il marchio comunitario è quindi un fattore d’integrazione di

primaria importanza: da ultimo esso risparmia alle imprese l’acquisto di un fascio

di marchi nazionali, con tutte le difficoltà dovute alla diversità dei procedimenti

nazionali di rilascio, i maggiori costi e le più alte spese gestionali. Ma il marchio

comunitario è economicamente importante anche per il consumatore perché

favorisce la trasparenza dei mercati europei, facilita e promuove le scelte e le

decisioni”327.

325 Il Memorandum fu pubblicato sul Supplemento al Bollettino CE, numero 8/76326 Memorandum sulla creazione di un marchio CE, Suppl. n° 8/76, p. 47-48327 Tali parole sono tratte dal Documento di lavoro della Commissione del 1979, dal titolo“Competenza e necessità di un’azione della Comunità per l’istituzione di una disciplina europeadei marchi”, Doc.III-D 1294/79-IT

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

125

Già si sottolineava la necessità di usufruire dello strumento legislativo più forte a

disposizione delle istituzioni comunitarie, il regolamento328, in forza dell’articolo

308329 del Trattato, nonché delle direttive, al fine di armonizzare le legislazioni

degli Stati membri, in forza dell’articolo 95 del Trattato330.

Dopo altre proposte, studi, riflessioni e indagini, si addivenne, alla fine degli anni

’80, al primo vero significativo passo in avanti sulla materia. È del 1988 la

Direttiva che aveva il compito di ravvicinare le legislazioni dei Paesi membri,

soprattutto in quegli aspetti in cui le disparità erano maggiori331. Essa venne

adottata dal Consiglio il 21 dicembre 1988332, dopo i pareri conformi del

Parlamento Europeo333 e del Comitato Economico e Sociale334.

Gli organi comunitari considerarono che non fosse necessaria una uniformazione

totale degli ordinamenti nazionali: era sufficiente – essi dissero – il

ravvicinamento di quelle disposizioni nazionali che risultavano più lontane tra

loro. Forse per questa ragione la portata della Direttiva è tutto sommato limitata,

al punto che molti autori335, fin da subito, la ritennero inadeguata336.

328 A difesa del Regolamento la Commissione nel 1979 pubblicò un intero documento cheelencava le motivazione per le quali esso avrebbe dovuto essere utilizzato329 L’articolo 308, già 235 del Trattato CEE, ammette la regola dei poteri impliciti: “quandoun’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercatocomune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poterid’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta dellaCommissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo, prende le disposizioni del caso”.Sui poteri impliciti si veda il paragrafo 1.1 intitolato alle Competenze Comunitarie330 L’articolo 95, già articolo 100 A, recita: “ […] Il Consiglio, deliberando in conformità dellaprocedura di cui all’articolo 251, previa consultazione del Comitato Economico e Sociale, adottale misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari edamministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento delmercato interno”331 Cfr. C.Galli, Commentario all’attuazione della Direttiva n° 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre1988, recante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, in materia di marchi d’impresa, in Lenuove leggi civili commentate, 1995, p. 1133332 La Direttiva fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (GUCE) n° 40/1dell’11 febbraio 1989333 Il parere conforme del Parlamento è riportato in G.U.C.E. n° 309 del 5 dicembre 1988334 Il Comitato Economico e Sociale diede il suo parere conforme il 5 ottobre 1988335 Cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 34336 Nonostante l’inadeguatezza accusata da molti, si noti come dalla Direttiva scaturirono in tuttii Paesi membri atti legislativi di adattamento alle prescrizioni della Direttiva stessa: così oggi in

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

126

Essa si concentra solo su alcuni aspetti della disciplina, tra cui il concetto di

marchio, la individuazione dei segni che possono legittimamente costituire un

marchio o l’enumerazione dei motivi di decadenza. Nulla si dice invece sui

procedimenti di registrazione, sui trasferimenti o sulle licenze di marchio, sui

motivi e sugli effetti della nullità del marchio.

Per una disciplina più completa e soprattutto per l’istituzione di un vero sistema

innovativo, si dovette attendere337 l’emanazione, da parte del Consiglio Affari

Generali, del Regolamento 40/94338, del 20 dicembre 1993. Esso entrò in vigore

il 15 marzo 1994, e fu completato con l’emanazione di altri tre Regolamenti,

nonché con un insieme di Comunicazioni, Decisioni e Direttive.

Il Regolamento istituisce un sistema regionale comprendente i territori dei

quindici Stati membri della Comunità: la particolarità del meccanismo è il suo

carattere unitario, cosicché i quindici Paesi devono essere considerati come

formanti un unico territorio.

Il Regolamento fu pienamente operativo a partire dal 1° aprile 1996: da allora

esiste un nuovo sistema regionale in cui le imprese di tutto il mondo hanno

l’opportunità di registrare in modo unitario i loro marchi nel territorio

comunitario. Qualunque persona fisica o giuridica, di qualunque nazionalità, può

richiedere ed ottenere un solo marchio valido uniformemente in tutti gli Stati

della CE, con una sola richiesta, presentata in una sola lingua e presso un unico

Ufficio, il quale si occuperà di assicurargli una protezione unitaria.

E’ infatti l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) il cuore

operativo del sistema: esso fu creato in conformità con le prescrizioni di cui

tutti i quindici sono atti a costituire un marchio gli stessi segni, i requisiti di validità sono imedesimi e sono espressi attraverso gli impedimenti, assoluti e relativi. Tutte queste prescrizionisono identiche, anche se derivano ciascuna dalla legge nazionale del Paese in questione337 Il Regolamento 40/94 seguì a vari progetti regolamentari, del 1984, del 1986, del 1988 e del1990338 Il Regolamento 40/94 venne pubblicato nella GUCE L11 del 14 gennaio 1994.Alternativamente è scaricabile, nella versione italiana, dal sito www.europa.eu.int

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

127

all’articolo 2 del Regolamento 40/94, si stabilì in Alicante (Spagna) ed iniziò ad

accogliere le richieste di registrazione a partire dal 1° aprile 1996339.

3.3.2. L’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno

Tra le disposizioni generali del Regolamento 40/94, si trova all’articolo 2

la norma che istituisce l’UAMI: “e’ istituito un Ufficio di armonizzazione a livello

di mercato interno (marchi, disegni, modelli), in appresso denominato Ufficio”340.

L’Ufficio è indipendente sul piano tecnico e gode di una totale indipendenza

sotto il profilo giuridico, amministrativo e finanziario. Per poter conseguire i suoi

fini infatti, l’UAMI si è visto attribuire la capacità giuridica più grande che gli Stati

possono concedere alle loro persone giuridiche. Può acquisire e mantenere beni

mobili come immobili. Poiché gode di assoluta indipendenza giuridica e

finanziaria, l’Ufficio ha piena responsabilità per gli atti che compie.

L’Ufficio è soggetto ai controlli degli Stati membri, nonché della Commissione341

e della Corte dei Conti342. In virtù del principio comunitario di trasparenza,

l’OAMI è tenuto ad informare periodicamente il Parlamento Europeo del suo

operato e collabora in modo continuativo con il Mediatore Europeo.

339 Fu la decisione del Consiglio di Amministrazione dell’UAMI dell’11 luglio 1995 a decretare laapertura alle attività dell’Ufficio340 Sulla creazione dell’UAMI e sulle sue organizzazione interna e funzioni si veda: R.Annand,H.Norman, op.cit., p. 237 e ss.; A.Casado Cervino, op.cit., p. 474 e ss.; E.Gastinel. op.cit., p. 67;T.Prime, op.cit., p. 111; R.Annand & H.Norman, Blackstone’s Guide to the Community Trade Mark,Blackstone’s Press Limited, Londra 1998, p. 13; C.Wadlow, op.cit., p.243341 Alla Commissione spetta il compito di controllare l’operato del Presidente dell’UAMI e lalegalità degli atti che compie, perché, in base al diritto comunitario, la legalità dei suddetti attinon è sottoposta al controllo dell’Ufficio. Allo stesso modo supervisionerà il lavoro svolto dalComitato Preventivi, interno all’UAMI, a cui spetta la nomina del revisore dei conti dell’Ufficio.Nel caso in cui la Commissione giudichi inadeguato l’operato di tale organo, ne solleciterà unaimmediata modifica o addirittura il ritiro. Il controllo della Commissione potrà realizzarsi suiniziativa della stessa o sarà sollecitato da uno Stato membro o da qualunque parte terza chemetta in dubbio la legalità di un atto dell’UAMI

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

128

L’UAMI dispone di un Consiglio di Amministrazione, di un Comitato

Preventivi, di un Presidente e di un Vicepresidente. E’ coadiuvata nella sua

attività da una serie di altri organi343, tra cui il Dipartimento Giuridico che

comprende i servizi di amministrazione e il registro344. Spettò al Consiglio di

Amministrazione, composto da un rappresentante di ogni Stato membro e da un

delegato della Commissione345, individuare la data di inizio dei lavori

dell’UAMI346, a partire dalla quale potevano essere presentate all’Ufficio le

domande di registrazione. Periodicamente il Consiglio redige la lista dei tre

candidati alla presidenza e alla vicepresidenza347, tra cui il Consiglio dell’Unione

Europea individuerà il Presidente e il Vicepresidente; essi rimangono in carica per

tre anni e il loro mandato può essere rinnovato.

L’Ufficio distingue tra lingue ufficiali della Comunità e lingue dell’UAMI.

Le lingue ufficiali della Comunità sono undici: danese, finlandese, francese, greco,

inglese, italiano, olandese, portoghese, spagnolo, svedese e tedesco. Queste lingue

sono utilizzate ad Alicante per la redazione e la presentazione di una richiesta di

marchio comunitario. Le cinque lingue utilizzate dall’UAMI sono invece il

francese, l’inglese, l’italiano, lo spagnolo ed il tedesco. Esse sono utilizzate in tutti

i procedimenti dell’Ufficio, salvo che le parti dispongano diversamente.

342 La Corte dei Conti è tenuta a controllare la gestione economica e finanziaria dell’UAMI invirtù dell’articolo 248 del Trattato CE e degli articoli 137 e 138 del Regolamento sul MarchioComunitario343 Oltre al Dipartimento Giuridico, altri organi “sussidiari” sono: la Divisione Esami, laDivisione Ricorsi e la Divisione Annullamenti. Inoltre l’UAMI dispone di un Dipartimento diServizi tecnici – amministrativi e di un Dipartimento di Cooperazione Tecnica344 Su un’attenta analisi delle composizioni, modalità di funzionamento e attività dei singoliorgani dell’UAMI, si veda: A.Casado Cervino, op.cit., p. 476345 La Composizione del Consiglio è dettata dall’articolo 122 del Regolamento sul MarchioComunitario346 In virtù di tale competenza, con la decisione numero CA-95-19 dell’11 luglio 1995, ilConsiglio decretò l’inizio dei lavori al 1° aprile 1996347 Il Consiglio individua i candidati in base alle prescrizioni dell’articolo 120 del Regolamento

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

129

Non si dimentichi infine il complesso sistema di tassazione imposto

dall’UAMI, sul quale esso si regge. L’ammontare delle tasse da versare all’Ufficio,

è stato determinato dal Regolamento CE n° 2865/95 della Commissione del 13

dicembre 1995, e dalle Decisioni del presidente dell’UAMI: essi stabilirono gli

importi delle tasse e i prezzi che l’Ufficio può percepire nello svolgimento delle

sue funzioni348. A partire dal 1° gennaio 1999, data di inizio della terza fase

dell’Unione Economica e Monetaria, tutto il sistema di tassazione dell’UAMI è

stato convertito in Euro.

3.4 IL MARCHIO COMUNITARIO

3.4.1 I caratteri del marchio comunitario

Il sistema comunitario dei marchi si basa su quattro principi fondamentali:

di unità, di autonomia, di accessibilità e di coesistenza. Essi sono indicati nei

primi articoli del Regolamento, laddove si descrivono i principi che lo hanno

ispirato.

Quello che colpisce di più chiunque si avvicini all’istituto del marchio

comunitario in generale e al Regolamento nello specifico, è l’unità del sistema:

uno stesso segno può essere infatti registrato per tutto il territorio comunitario,

attraverso una sola richiesta, effettuata presso un unico Ufficio. Il marchio così

ottenuto avrà le stesse caratteristiche in ogni parte dell’Unione, e sarà ovunque

sottoposto alle medesime regole. L’articolo 1 del Regolamento, recita al secondo

comma: “il marchio comunitario ha carattere unitario. Esso produce gli stessi

effetti in tutta la Comunità: esso può essere registrato, trasferito, formare oggetto

di una rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e il

suo uso può essere vietato soltanto per la totalità della Comunità. Tale principio

si applica salvo disposizione contraria del presente Regolamento”. Da questa

348 Per un’analisi dettagliata del sistema di tassazione si veda A.Casado Cervino, op.cit., p. 483

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

130

regola discende che l’efficacia dell’esclusiva, al contrario di quanto accadeva con

un insieme di registrazioni parallele effettuate presso gli uffici competenti in ogni

Stato membro, è unica per l’intero territorio della Comunità. Allo stesso modo, se

una domanda viene respinta in un Paese membro a causa, ad esempio, di motivi

di buon costume, ciò impedirà la registrazione anche negli altri Paesi della

Comunità.

Tutto ciò fa comunque salva la natura territoriale del diritto di marchio: l’unica

differenza rispetto al passato è che il territorio di riferimento è molto più esteso,

essendo formato dalla somma di tutti i territori degli Stati aderenti.

Il marchio comunitario è quindi un titolo unitario, a differenza del fascio di diritti

assicurati ad esempio con la registrazione internazionale di cui all’Arrangement di

Madrid.

Il principio dell’autonomia è stabilito dal primo comma dell’articolo 1 del

Regolamento: “sono denominati in appresso “marchi comunitari” i marchi di

prodotti o di servizi registrati alle condizioni e secondo le modalità previste dal

presente Regolamento”: ciò significa che non sarà più necessario ricorrere a

norme diverse dal Regolamento per regolare il funzionamento del sistema e

soprattutto che le legislazioni nazionali non saranno applicabili se non quando

esplicitamente richiesto dal Regolamento. Questo principio si inserisce

perfettamente in quello, di più ampio respiro e di origine giurisdizionale, del

mutuo riconoscimento o del paese d’origine349. La Corte di Giustizia, in una serie di

importanti e celebri sentenze, come la Cassis de Dijon del 1979350, stabilì il

principio secondo cui non è possibile, per lo Stato di destinazione, imporre

condizioni più onerose di quelle richieste dallo Stato d’origine. La nuova tecnica

così creata, di tipo orizzontale piuttosto che settoriale, è finalizzata ad una

349 Sul mutuo riconoscimento si veda: U.Draetta, Elementi di diritto comunitario. Parte istituzionale,Giuffrè, Milano 1995, p. 66350 Caso Cassis de Dijon, causa 128/78, sentenza del 20 febbraio 1979

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

131

armonizzazione sempre più completa delle disposizioni statali sulle varie

discipline.

Il principio dell’autonomia subisce due deroghe, espresse dagli articoli 106351 e

107352 del Regolamento e riguardanti rispettivamente la possibilità di ricorso, di

fronte ad una giurisdizione nazionale, per vietare l’uso di un marchio comunitario

quando il diritto statale vieti l’utilizzo di marchio identico con portata locale e la

facoltà, per un titolare di un marchio anteriore e nazionale, di opporsi all’uso del

marchio comunitario.

Il principio di accessibilità353 riguarda la possibilità di un soggetto di

diventare titolare di un diritto di marchio. L’articolo 5 indica quali soggetti

possono legalmente presentare richiesta all’UAMI di Alicante: “le persone fisiche

o giuridiche, compresi gli enti di diritto pubblico, che abbiano, rispettivamente, la

cittadinanza o la nazionalità: A) degli Stati membri, B) di altri Stati partecipanti

alla Convenzione di Unione di Parigi, C) di Stati che non partecipano alla

Convenzione di Unione o all’Accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale

del Commercio, e che sono domiciliate, hanno la loro sede o hanno uno

stabilimento industriale o commerciale effettivo e serio nel territorio della

Comunità o di uno Stato membro della C.U.P., D) di uno Stato terzo che accordi

ai cittadini di tutti gli Stati membri la stessa tutela accordata ai propri cittadini e

che riconosca la registrazione comunitaria come equipollente alla registrazione

nel proprio Paese di origine”. Tale scelta, a favore di una vasta gamma di possibili

utilizzatori, è in piena armonia con quanto affermato nel Memorandum del 1976

351 L’articolo 106, intitolato al Divieto di uso dei marchi comunitari, recita: “ Il Regolamento,salvo disposizioni contrarie, lascia impregiudicato il diritto di proporre, a norma del diritto civile,amministrativo o penale di uno Stato membro o in base a disposizioni del diritto comunitario,azioni dirette a vietare l’uso di un marchio comunitario qualora il diritto di tale Stato membro oil diritto comunitario possa essere invocato per vietare l’uso di un marchio nazionale”352 L’articolo 107, intitolato ai Diritti anteriori aventi portata locale, recita: “Il titolare di undiritto anteriore di portata locale può opporsi all’uso del marchio comunitario nel territorio incui tale diritto è tutelato nella misura in cui il diritto dello Stato membro in questione loconsente”

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

132

e soprattutto con i principi ispiratori dell’intero processo di integrazione

comunitaria: le norme del Trattato, pur inseguendo una comunità di mercato,

non hanno mai avuto l’obiettivo di innalzare barriere o creare fratture tra l’area

comunitaria e gli altri Paesi, operanti a livello commerciale internazionale.

Infine il principio di coesistenza riguarda i rapporti tra il marchio

comunitario e, da una parte, i diritti di privativa nazionale e, dall’altra, il sistema

istituito dall’Accordo di Madrid. Il marchio comunitario non sostituirà né gli uni

né gli altri, al contrario dovrà convivere e addirittura coordinarsi con essi. Per

questo, ad esempio, l’articolo 8 del Regolamento prevede che un marchio

nazionale anteriore possa impedire la registrazione di un marchio identico a

livello comunitario. D’altra parte, un marchio comunitario può impedire una

registrazione nazionale successiva354.

3.4.2 Contenuto del marchio comunitario

Il contenuto del diritto di marchio sarà analizzato scindendo gli elementi

fondamentali della sua esistenza: dalla nascita alla decadenza attraverso la sua

esistenza.

A) Requisiti di registrabilità del marchio comunitario355: come già si è

detto a suo tempo a proposito dei marchi in generale356, al marchio comunitario

non può mancare il carattere della capacità distintiva dei prodotti o servizi sui

353 Solo alcuni autori considerano l’accessibilità degna da essere inserita nel novero dei principiordinanti il sistema comunitario dei marchi: tra questi cfr. F.Benussi, op.cit., p. 22354 Sul rapporto tra marchio comunitario e marchi nazionali si tornerà più avanti, nel paragrafo3.5355 Cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 108; F.Benussi, op.cit., p. 25; E.Gastinel, op.cit., p. 79356 Nel presente lavoro si è compiuto un lavoro concettuale inverso rispetto alla natura eall’evoluzione reale della disciplina: è stato infatti il Regolamento comunitario 40/94 adeterminare l’adattamento delle discipline nazionali in materia di marchi e nello specifico adettare la normativa della Legge Marchi italiana, a cui si è fatto riferimento in precedenza

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

133

quali è apposto: l’articolo 4 del Regolamento357 stabilisce che tale caratteristica è

necessaria e sufficiente per la sua validità. Riprendendo nozioni già citate, il

carattere distintivo ha portata individuale, essendo da verificarsi esclusivamente

con riferimento al bene sul quale il marchio è apposto; allo stesso modo tale

requisito non va confuso né con la novità, né con la originalità, richieste invece

per la validità delle invenzioni o delle creazioni artistiche.

Il criterio generale per la registrabilità di un marchio è la sua riproducibilità

grafica: nella pratica sono insorti dubbi riguardanti i “marchi acustici” e i “marchi

olfattivi”, perché non espressamente previsti dal Regolamento, risolti però con la

generale accettazione di queste forme, purché siano suscettibili di essere

individuate in maniera sufficientemente precisa.

Oltre ai marchi individuali, il legislatore comunitario ha previsto la registrabilità di

marchi collettivi358, intendendosi con tale espressione i marchi idonei a

distinguere i prodotti o i servizi dei membri di un’associazione da quelli

appartenenti ad un gruppo di altre imprese, ai sensi dell’articolo 64 del

Regolamento. Nel caso di marchi collettivi, l’articolo 64.2 prevede che si possa

presentare domanda di registrazione di marchi comunitari collettivi per segni o

indicazioni che, in commercio, possano indicare l’origine, la natura o la qualità dei

prodotti o dei servizi contrassegnati da quei marchi.

L’articolo 4 si coniuga con gli articoli 7359 e 8360 del Regolamento, i quali

descrivono in quali casi la registrazione può e deve essere impedita, a causa

dell’esistenza di impedimenti assoluti o relativi alla stessa.

357 L’articolo 4 del Regolamento, intitolato ai Segni atti a costituire un marchio comunitario,recita: “Possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono essere riprodottigraficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, laforma dei prodotti o del loro confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti adistinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese”358 Ai marchi collettivi è dedicata una parte del Regolamento, dagli articoli 65-69, checonferiscono ad essi alcune caratteristiche di particolare interesse. Sui marchi collettivi si veda:R.Annand & H.Norman, Blackstone’s Guide toTrade Marks Act 1994, cit., p. 225; G.Sena, Il nuovodiritto dei marchio. Marchio nazionale e marchio comunitario, Giuffrè, Milano 1994, p. 191359 L’articolo 7 è intitolato agli Impedimenti assoluti alla registrazione360 L’articolo 8 è intitolato agli Impedimenti relativi alla registrazione

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

134

Ai sensi dell’articolo 6 l’acquisizione del marchio avviene a seguito della

registrazione: perché questa possa svolgersi senza problemi è necessario che

nessuna delle ipotesi previste dagli articoli 7 e 8 si verifichi: mentre l’eventuale

presenza degli impedimenti assoluti di cui all’articolo 7 è sottoposta ad esame

prima della concessione della registrazione, da parte dell’UAMI, la verifica dei

secondi è soggetta ad un’azione di opposizione da parte dei titolari di eventuali

marchi preesistenti da presentarsi in un momento successivo all’esame

dell’Ufficio. Agli impedimenti assoluti corrispondono sostanzialmente le cause di

nullità assoluta elencate dagli articoli 51 e 52 del Regolamento, mentre agli

impedimenti relativi di cui all’articolo 8 si ricollegano le cause di nullità relativa.

Tra gli impedimenti si trovano le motivazioni per le quali un segno risulta

inadeguato ad operare sul mercato come marchio, sia in modo assoluto che in

modo relativo rispetto ad altri prodotti o servizi già commercializzati sul mercato.

Le motivazioni addotte dai due articoli in questione ovviamente non devono

esistere insieme in un unico caso: sarà sufficiente che un’ipotesi di cui

all’elencazione dell’articolo si manifesti perché il segno non possa essere

registrato o sia invalidato.

Sono esclusi dalla registrazione, secondo l’articolo 7, i segni che non sono

rappresentabili graficamente, o non ottemperano alla funzione distintiva, o sono

composti esclusivamente da segni designanti la specie, la qualità, la quantità, la

destinazione e la provenienza geografica del prodotto o da segni divenuti di uso

comune nel linguaggio corrente. Parimenti non sono registrabili i segni contrari

all’ordine pubblico o al buon costume o quelli che, per loro natura, possono

ingannare il pubblico circa la qualità o la provenienza geografica del bene

contrassegnato. E’ interessante notare su questo punto che, in base al principio di

unità sopra richiamato, quand’anche una di queste ipotesi si verifichi solo in uno

degli Stati comunitari, essa sarà in grado di impedire la registrazione nell’intero

territorio comunitario. Si ricordino ancora, tra gli impedimenti assoluti, le ipotesi

di cui alle lettere h ed i dell’articolo 7.1: non sono registrabili i marchi che, in

mancanza di autorizzazione delle autorità competenti, devono essere esclusi dalla

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

135

registrazione ai sensi dell’articolo 6 ter della C.U.P., cioè gli stemmi, le bandiere e

i segni ufficiali in genere, nonché quelli che comprendono distintivi, emblemi o

stemmi diversi da quelli previsti dal suddetto articolo 6 ter e che presentano un

interesse pubblico particolare361.

Gli impedimenti relativi corrispondono invece alle cause di nullità relativa e

rilevano in un momento successivo all’esame dell’UAMI, poiché sarà il titolare di

un marchio anteriore a quello comunitario a poter presentare la sua opposizione

per escludere la registrazione. Così, se il titolare di un marchio preesistente si

oppone, il marchio comunitario richiesto è escluso dalla registrazione se esso

risulta effettivamente identico a quello anteriore, o se i prodotti che dovrà

contrassegnare sono identici a quelli sui quali è apposto il segno preesistente;

inoltre il marchio comunitario richiesto si vede negare la registrabilità se, per la

sua identità o la somiglianza con il marchio anteriore o per l’identità o la

somiglianza dei prodotti contrassegnati, sussiste un rischio di confusione per il

pubblico del territorio sul quale il marchio anteriore è tutelato. L’identità o la

somiglianza dei marchi o dei prodotti non deve ovviamente essere valutata in

astratto, ma con preciso riferimento ad un pubblico determinato.

Il secondo comma dell’articolo specifica che per marchi anteriori si devono

intendere i marchi comunitari, i marchi nazionali compresi quelli del Benelux362 e

i marchi registrati in base ad accordi internazionali aventi effetto in uno Stato

membro, purché depositati anteriormente alla presentazione della domanda di

marchio comunitario.

Infine il quarto comma dell’articolo 8 prevede l’opposizione alla registrazione

sulla base di un marchio non registrato o di un altro contrassegno utilizzato nella

prassi commerciale e di portata non puramente locale, ove secondo la legge dello

361 Per l’elencazione completa degli impedimenti, si veda l’articolo 7 del Regolamento, riportatoin questa sede solo nelle sue parti, ritenute più interessanti. Per un approfondimento sugliimpedimenti assoluti cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 122362 Il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi hanno unificato i loro sistemi di registrazione,formando un unico territorio su cui i marchi esercitano i loro effetti

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

136

Stato membro che disciplina tale segno, il titolare abbia acquisito il marchio prima

della data di presentazione della domanda di marchio comunitario.

B) Costituzione del diritto di marchio comunitario e procedure di

registrazione363: l’articolo 6 del Regolamento prevede che la acquisizione del

marchio comunitario avvenga a seguito della registrazione, da effettuarsi presso

l’UAMI di Alicante. E’ da sottolineare soprattutto un aspetto: il sistema è

fondato sulla certezza giuridica più che sull’uso del segno, benché l’intero

meccanismo comunitario ritagli un’importanza notevole all’utilizzo del marchio,

attribuendo rilevanza soprattutto al ruolo che un segno utilizzato ha assunto sul

mercato e nell’ideale del pubblico consumatore, con il passare degli anni. Infatti

per il legislatore comunitario, l’uso del segno non ha rilevanza giuridica: l’articolo

8.4 dispone che il titolare di un segno utilizzato ma non registrato si possa

opporre alla registrazione del marchio comunitario, solo ed esclusivamente nel

caso in cui, secondo la legislazione dello Stato membro in questione, siano stati

acquisiti diritti per questo segno in una data precedente al deposito della

domanda di marchio comunitario presso l’Ufficio comunitario.

La registrazione ha una validità decennale, secondo quanto stabilito dall’articolo

46 del Regolamento, decorrenti dalla data del deposito della domanda. Tale

periodo è ripetutamente rinnovabile per periodi di dieci anni364, a condizione che

il titolare del marchio effettui la richiesta di rinnovo presso l’UAMI nei sei mesi

antecedenti la scadenza del diritto, pagando le relative tasse365.

363 Sulle procedure di registrazione si veda. F.Benussi, op.cit., p. 67; A.Casado Cervino, op.cit., p.210; E.Gastinel, op.cit., p. 99 e 145; M.Ricolfi, op.cit., p. 33; G.Sena, op.cit., p. 98; R.Annand &H.Norman, Trade Marks Act 1994, cit., p. 33 364 A differenza di quanto stabilito dalla Legge Marchi italiana, all’atto del rinnovo non èammessa, dal Regolamento, nessuna modifica del segno, a meno che essa riguardi il nome ol’indirizzo del titolare365 Esiste un periodo supplementare di sei mesi, dopo la scadenza del marchio: se utilizzata,questa proroga comporterà necessariamente un sovrattassa. Si ricordi che, per agevolare ilcontrollo sulla vita dei marchi comunitari, il legislatore comunitario ha imposto all’Ufficio didare comunicazione al titolare dell’imminente scadenza, almeno sei mesi prima della data discadenza. Non si tratta però di un vero obbligo a carico dell’UAMI, quanto piuttosto di unservizio a favore degli utilizzatori

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

137

A proposito dell’utilizzo del segno, l’articolo 50 prevede che se il marchio non

viene utilizzato nel territorio della Comunità366, in relazione ai prodotti o ai servizi

per i quali era stato richiesto, esso decade, a meno che si dimostri l’esistenza di

legittime ragioni per la mancata utilizzazione367.

Per acquistare il diritto è necessario depositare relativa domanda: il titolare può

decidere di depositarla direttamente presso l’Ufficio di Alicante oppure presso

l’Ufficio centrale della proprietà industriale di uno Stato membro o presso

l’Ufficio Marchi del Benelux368, i quali saranno tenuti ad inoltrare tale domanda

all’UAMI, entro un termine di due settimane. La domanda dovrà contenere la

relativa richiesta, oltre ad indicazioni circa l’identificazione del titolare e l’elenco

dei prodotti o dei servizi per i quali si richiede la registrazione del marchio. Su

questo ultimo punto, l’elenco dovrà permettere un’individuazione univoca della

natura dei beni o dei servizi in modo tale da poterli inserire in una sola classe di

classificazione dell’Accordo di Nizza del 1957369. La domanda infine dovrà

contenere la rappresentazione del marchio.

L’Ufficio effettua quindi un esame circa la regolarità della domanda e, ai sensi

dell’articolo 36 del Regolamento, concede eventualmente una possibilità al

titolare di ovviare alle irregolarità o di colmare le mancanze della stessa370. Se

sussistono tutti elementi richiesti, la domanda sarà considerata valida e le sarà

attribuita le relativa data di deposito: si procederà alla ricerca di eventuali marchi

comunitari anteriori o di domande che possono ostacolare l’effettiva registrazione

del marchio in questione; anche gli Uffici nazionali che lo abbiano richiesto,

possono effettuare una ricerca sul registro nazionale di loro competenza, appena

366 Il non utilizzo del segno per un periodo consecutivo di cinque anni comporta il decadimentodel diritto367 Fino al progetto di Regolamento del 1984, la domanda doveva essere accompagnata da unadichiarazione circa l’effettivo utilizzo del marchio. Nei progetti successivi e nel Regolamentoadottato nel 1994, tale disposizione è scomparsa368 Articolo 25.1, lettere A e B del Regolamento369 L’inserimento dei prodotti in una determinata classe dell’Accordo di Nizza ha finalitàesclusivamente amministrative, visto che la somiglianza o la affinità dei beni verrà giudicataindipendentemente dalla classe di appartenenza

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

138

l’UAMI abbia loro trasmesso copia della domanda, in un tempo massimo di tre

mesi371.

Scaduto tale termine, la domanda sarà pubblicata. Da quel momento potranno

essere sollevati eventuali impedimenti assoluti o relativi, i primi ad opera di

qualsiasi persona fisica o giuridica, i secondi da parte dei soggetti ad hoc

legittimanti. Tali soggetti372 hanno tre mesi per presentare le proprie opposizioni,

secondo i dettami dell’articolo 42 del Regolamento373.

Finalmente, se la domanda rispetta tutti i parametri richiesti dal Regolamento e

nessuna opposizione è stata presentata nei termini stabiliti e quelle fatte presenti

siano state respinte, la domanda di registrazione può essere accolta e il marchio

registrato come marchio comunitario, a patto che il titolare abbia provveduto nei

limiti stabiliti al pagamento di tutte le tasse dovute. La registrazione viene

pubblicata nel Bollettino dei Marchi comunitari, ai sensi dell’articolo 23.5 del

Regolamento. Al titolare spetterà un certificato di iscrizione al registro: con la

registrazione viene ufficialmente attestata la nascita di un nuovo marchio

comunitario. Fino a quel momento comunque il titolare può ritirare, limitare o

modificare la propria domanda a patto che, così facendo, non venga alterata in

misura sostanziale la identità stessa del marchio e che non venga esteso l’elenco

dei beni o servizi per i quali si richiede la protezione.

Della durata decennale del marchio comunitario e della possibilità di rinnovo si è

già detto: si ricordi semplicemente che la domanda di rinnovo dovrà contenere gli

370 L’esame dell’UAMI circa la validità della domanda riguarda anche il titolare per verificare cheesso abbia i requisiti richiesti per chi presenti la domanda, ai sensi dell’articolo 36371 L’UAMI notificherà al titolare gli eventuali risultati delle ricerche ed esso avrà un mese ditempo per valutarne la bontà e decidere se ritirare la propria domanda, se limitare l’elenco deiprodotti per i quali il marchio è richiesto, se tentare di raggiungere un accordo con l’altro titolareoppure infine se mantenere immutata la propria richiesta372 La facoltà di opposizione spetta ai titolari di diritto di marchio anteriori che possanocostituire impedimenti alla registrazione della domanda. La procedura di opposizione si svolge difronte alle divisioni di opposizione dell’UAMI nella forma del contraddittorio373 Molte legislazioni nazionali, tra cui quella italiana, differiscono rispetto al diritto comunitario,secondo il quale il diritto dal marchio è opponibile ai terzi solo a decorrere dalla data dellapubblicazione della registrazione. Secondo il diritto italiano invece, gli effetti del marchiodecorrono dalla data del deposito della domanda

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

139

estremi del richiedente, il numero di registrazione, l’indicazione dei prodotti o dei

servizi per i quali il rinnovo è richiesto, secondo le classi di classificazione

dell’Accordo di Nizza.

L’articolo 49 prevede infine che il marchio comunitario possa essere oggetto di

rinuncia da parte del titolare per tutti o per una parte dei prodotti sui quali è

apposto.

C) Facoltà ed obblighi del titolare del diritto di marchio374: l’articolo

9 del Regolamento stabilisce che “il marchio comunitario conferisce al suo

titolare un diritto esclusivo”375. I commi successivi precisano il contenuto di

questo diritto, in termini negativi. Infatti precisano che il titolare ha il diritto di

vietare a terzi determinati comportamenti376: questo diritto di vietare viene però

meno quando sussista il consenso del titolare stesso.

Il titolare ha quindi il diritto di vietare a terzi di usare in commercio un segno

identico per prodotti identici; un segno identico o simile per beni o servizi

identici o simili, se sussista rischio di confusione per il pubblico. Si precisa che il

rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il

marchio: esso si verifica nell’ipotesi di marchi chiaramente differenziati tra loro,

ma tuttavia appartenenti, o che potrebbero apparire come appartenenti, ad un

unico genere o ad un’unica serie, determinando una sorte di collegamento e

quindi di confusione.

Allo stesso modo il titolare può vietare a terzi l’uso in commercio di un segno

identico o simile per prodotti o servizi diversi da quali per i quali è stato

374 Sul contenuto del diritto di marchio si vedano: G.Sena, op.cit., p. 107; E.Gastinel. op.cit., p.157; M.Ricolfi, op.cit., p. 121; A:Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 254; F.Benussi, op.cit., p. 57;R.Annand & H.Norman, Community Trade Mark, cit., p. 131375 Il diritto conferito è in sostanza equivalente a quello offerto da una qualsiasi registrazionenazionale, con la differenza che la tutela in questo caso è estesa a tutto il territorio comunitario376 Sulla base delle prescrizioni di cui all’articolo 9 comunitario si esprime la Legge Marchiitaliana, che enuncia gli stessi diritti per il titolare di cui all’articolo 1

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

140

registrato, qualora il marchio goda di notorietà nella Comunità377 e il suo utilizzo

da parte di terzi possa portare ad essi un vantaggio indebito o un pregiudizio a

causa del carattere distintivo del marchio. Inoltre può vietare a terzi alcune attività

tra cui l’apposizione del segno sui prodotti o sulla confezione, la

commercializzazione e lo stoccaggio dei prodotti, l’offerta o la fornitura dei

servizi sotto la copertura del segno, l’importazione /esportazione dei beni coperti

dal marchio o l’uso dello stesso a fini pubblicitari. Nonostante queste

disposizioni, l’articolo 107 del Regolamento lascia impregiudicato l’utilizzo di un

diritto anteriore di portata locale, perché si ritiene che esso non possa costituire

un fondamento per un’opposizione alla registrazione o per un’azione di nullità

del marchio comunitario378.

Trattando del contenuto del diritto, non possono non menzionarsi l’esaurimento

e il trasferimento dello stesso; la disciplina del primo è stata abbondantemente

analizzata, soprattutto attraverso lo studio dell’iter giurisprudenziale, i cui risultati

sono stati recepiti a livello legislativo, in particolare nell’articolo 13 del

Regolamento: “il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al

titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità

con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso”379.

In tema di trasferimento, il diritto comunitario ha dovuto scegliere tra

l’orientamento più severo di alcuni ordinamenti, tra cui quelli anglosassoni e

377 Cosa si intende specificamente per “marchio che gode di rinomanza” non è detto dalla legge:si potrebbe pensare che la notorietà debba essere accertata caso per caso, attraverso indaginivolete a stabilire quanti conoscono il segno. La formula legislativa sembra però fare riferimentonon tanto ai dati statistici, quanto ad una nozione più ampia, che comprende nel gruppo deimarchi notori, quelli noti ad una amplissima percentuale di pubblico ma anche quei segni menoconosciuti. Ciò che importa è che il segno sia tale che il suo uso non consenta di trarreindebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechipregiudizio ai terzi. Per un approfondimento si vedano: A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 201;G.Sena, op.cit., p. 63378 In un certo modo la deroga di cui all’articolo 107 contrasta con le previsioni dell’articolo 9,perché ai titolari di diritti anteriori di marchio aventi portata locale è riconosciuta la facoltà diopporsi all’uso del marchio comunitari nei limiti territoriali del preuso locale379 Il secondo comma dell’articolo 13 precisa che la regola dell’esaurimento di cui al primocomma non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare si opponga alla

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

141

quello italiano380, ed i sistemi più aperti, come quello francese: alla fine è prevalsa

la libera trasferibilità del marchio, visto che il marchio è considerato come un

bene giuridico che può costituire oggetto di proprietà, indipendentemente dal

trasferimento dell’impresa di cui identifica i prodotti. Ovviamente, in virtù del

principio di unitarietà, il trasferimento potrà avere luogo solo per il territorio

comunitario nel suo insieme. Pur scegliendo questo orientamento, il rispetto delle

ragioni dell’altro orientamento ha imposto la fissazione di una serie di norme che

salvaguardano l’affidamento che un consumatore può fare su un determinato

marchio e ribadiscono quindi l’esistenza di una stretta connessione tra marchio e

azienda. Per queste ragioni il Regolamento comunitario permette, all’articolo 17,

il trasferimento del marchio indipendentemente dal trasferimento dell’impresa,

ma impone una sorta di esame da parte dell’Ufficio prima del “via libera” al

trasferimento: l’UAMI lo rifiuterà in caso di manifesta ingannevolezza.

Altre ipotesi di trasferimento di un marchio comunitario si verificano con

riferimento alla costituzione di diritti reali o alla garanzia sul marchio, al

sequestro, all’esecuzione forzata o al fallimento: esse sono disciplinate

rispettivamente dagli articoli 19, 20 e 21 del Regolamento.

Infine in materia di licenze, il diritto comunitario assume un atteggiamento molto

liberale, permettendo ai titolari di scegliere tra licenze di marchio per la totalità

del territorio comunitario o solo per una sua parte, tra licenze valide su tutti i

prodotti o servizi sui quali il marchio è apposto o solo su una parte di essi e

ancora tra licenze esclusive o non esclusive. In questo modo le imprese possono

adottare il sistema di licenze che meglio si adatta alle loro esigenze produttive e di

commercializzazione; d’altra parte anche i consumatori sono tutelati dalle regole

che impongono che la licenza venga registrata presso l’UAMI, in modo tale da

successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti èmodificato o alterato dopo la loro immissione in commercio380 Secondo gli ordinamenti anglosassoni e quello italiano, la relazione indissolubile tra marchio eimpresa impedisce il trasferimento del solo marchio perché, con tale dissociazione verrebbemeno l’espletamento della funzione distintiva del segno

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

142

poter essere opponibile a terzi381: tali regole sono sorte contro l’eventualità che il

pubblico, a seguito di un uso scorretto della licenza di marchio, sia tratto in

inganno e subisca danni morali ed economici.

D) Decadenza ed estinzione del diritto di marchio382: il legislatore ha

dedicato l’intero l’articolo 50 alle cause di decadenza del diritto di marchio: tra

esse figurano il mancato utilizzo dello stesso per un periodo di almeno cinque

anni, la sua volgarizzazione, l’uso recettivo e il mutamento delle condizioni del

titolare.

Innanzi tutto se del segno non viene fatto un uso effettivo nel territorio della

Comunità, relativamente ai prodotti o ai servizi per i quali esso è registrato, il

diritto decade; non comporta decadenza l’uso del marchio in forma diversa da

quella registrata, a patto però che il carattere distintivo non ne venga alterato.

L’articolo 9.2 precisa che l’uso consiste nell’apposizione del segno su prodotti o

relative confezioni, nella commercializzazione o nello stoccaggio di beni così

contrassegnati o nell’utilizzo del segno a fini pubblicitari. Infine il Regolamento

non richiede che il marchio sia utilizzato nel commercio tra gli Stati membri: ciò

che rileva è che l’utilizzazione in questione non possa ritenersi trascurabile

all’interno della Comunità.

Comporta decadenza, in secondo luogo, la volgarizzazione del segno, allorché a

seguito dell’utilizzo, il marchio non serva più ad indicare il bene derivante da una

certa impresa, ma l’oggetto stesso nella sua entità, cosicché caratterizzerà tutti gli

oggetti della stessa categoria. Perché ne discenda la decadenza, è però necessaria

una duplice condizione: il marchio deve aver perduto il suo significato presso il

pubblico in genere e ciò deve essere stato provocato in misura volontaria dal

comportamento del titolare sul mercato.

381 Rimane immutata la possibilità di esperire l’azione di decadenza del marchio per uso recettivodello stesso382 Sulla perdita del diritto si veda: F.Benussi, op.cit., p. 49; G.Sena, op.cit., p. 144; A.CasadoCervino, op.cit., p. 354; E.Gastinel. op.cit., p. 169. Sull’estinzione cfr. F.Benussi, op.cit., p. 91

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

143

Se viene fatto un uso decettivo del marchio, cioè esso è tale da indurre in errore il

pubblico, circa la sua natura, la qualità o la provenienza geografica dei prodotti,

cosicché si produce un vero cambiamento del significato del segno, interviene la

decadenza. Allo stesso modo, è causa di decadenza, il mutamento delle

condizioni del titolare, cosicché esso cessa di rispettare i parametri richiesti

dall’articolo 5 del Regolamento.

Se, per uno di questi motivi, il titolare è dichiarato decaduto in tutto o in parte dai

suoi diritti, il marchio, da quel momento, è considerato privo di effetti383. Se

un’eventuale accusa, di quelle riportate sopra, o un’azione di nullità, presentate

all’UAMI, vengono da quest’ultimo accolte e dichiarate fondate, il diritto di

marchio subisce a tutti gli effetti una estinzione.

E) Difesa del diritto di marchio comunitario384: in seguito al

procedimento amministrativo per la registrazione si forma un diritto che è

necessario proteggere contro eventuali abusi da parte dei concorrenti del titolare.

Tra le varie alternative utili a tal fine, il legislatore comunitario optò per la

costituzione di Tribunali ad hoc, detti “Tribunali dei marchi comunitari”, facenti

parte, nonostante il nome, dei sistemi giurisdizionali nazionali. Presso essi il

titolare può esperire le azioni necessarie alla difesa del segno, contro atti di

usurpazione o violazione in generale. I vantaggi per i titolari sono notevoli, visto

che, con un’unica azione giudiziaria, presentata ad un unico tribunale, essi

otterranno una decisione la cui validità ed applicabilità si estenderanno all’intero

territorio comunitario.

La creazione dei suddetti tribunali è sancita dall’articolo 91 del Regolamento, il

quale delega gli Stati membri per l’istituzione, nei loro territori, di un numero per

383 Può accadere che, se la causa di decadenza si era verificata in un momento precedente aquello in cui è stata rilevata, si stabilisca una data di decadenza anteriore384 Cfr. G.Sena, op.cit., p. 151; F.Benussi, op.cit., p. 147; E.Gastinel, op.cit., p. 187; M.Ricolfi, op.cit.,p. 154; R.Annand & H.Norman, Community Trade Mark, cit., p. 181; A.Casado Cervino, op.cit., p.462; G.Würtenberger, Enforcement of Community Trade Mark Rights, in Intellectual Property Quarterly(IPQ), anno 2002, p. 402; C.Wadlow, op.cit., p. 246; A.Huet, La marque communautaire: la compétencedes jurisdictionsdes Etats membres pour connaître de sa validité et de sa contrefaçon, in Journal de droitinternational, 1994, p. 623

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

144

quanto possibile ridotto di tribunali di prima e seconda istanza, incaricati di

espletare le funzioni ad essi assegnate dal Regolamento stesso385. Il secondo

comma concesse ai Paesi un tempo di tre anni, entro i quali portare a termine la

costituzione di tali tribunali386: nonostante ciò pochi Stati riuscirono a rispettare

tale scadenza, rendendo quindi operativo il regime transitorio di cui all’articolo

91.5: “fintantoché uno Stato membro non abbia proceduto alla comunicazione di

cui al paragrafo 2, qualsiasi procedura risultante da un’azione o domanda di cui

all’articolo 92, per la quale le autorità giudiziarie di questo Stato sono competenti

in applicazione dell’articolo 93, viene proposta dinanzi all’autorità giudiziaria di

questo Stato che sarebbe competente “ratione loci” e “ratione materiae” se si trattasse

di una procedura relativa ad un marchio nazionale registrato nello Stato

interessato”.

Una volta divenuto operativo in tutti gli Stati il sistema, per quanto concerne la

loro competenza territoriale, si applica il criterio stabilito dall’articolo 93387: le

azioni devono in linea di principio essere proposte davanti ai Tribunali dei marchi

comunitari dello Stato membro in cui il convenuto ha il domicilio o, in mancanza,

una stabile organizzazione o ancora, in mancanza di queste condizioni, ai

Tribunali dello Stato membro in cui l’attore ha il domicilio o una stabile

organizzazione, o infine, quando neppure questo secondo criterio sia applicabile,

davanti ai Tribunali dei marchi comunitari spagnoli, in quanto la Spagna ospita

nel suo territorio l’UAMI. Le azioni di contraffazione inoltre possono essere

promosse davanti ai Tribunali dello Stato membro in cui la contraffazione è

avvenuta: la differenza è però sostanziale, visto che i Tribunali aditi secondo le

385 Non si dimentichi, con riferimento alla fase della creazione dei Tribunali, il ruolo attivoassegnato alla Commissione, a cui gli Stati dovevano comunicare le informazioni relative ad ognifase della creazione: entro tre anni dall’entrata in vigore del regolamento, ogni Stato era tenuto acomunicare alla Commissione un elenco dei Tribunali con l’indicazione della lorodenominazione e della loro competenza territoriale. Allo stesso modo tutte le modificheavvenute successivamente devono essere comunicate alla Commissione, che le pubblicherà sullaGazzetta Ufficiale delle Comunità Europee386 In linea di principio, ogni Stato membro avrebbe dovuto provvedere all’istituzione deiTribunali dei marchi comunitari entro il 20 marzo 1997387 L’articolo 93 è intitolato “Competenza internazionale”

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

145

regole sopra enunciate emettono sanzioni, compresa l’inibitoria, riguardanti

l’intero territorio della Comunità, mentre i Tribunali individuati con il criterio del

luogo della contraffazione, possono solo conoscere e decidere in ordine agli atti

commessi nello Stato membro in cui essi sono situati.

Argomento centrale riguarda i tipi di ricorsi che possono essere esperiti di fronte

ai Tribunali dei marchi comunitari: essi hanno competenza esclusiva sulle azioni

di contraffazione, sugli accertamenti negativi di contraffazione388, nonché sulle

azioni di equo indennizzo intentate per fatti successivi alla pubblicazione di una

domanda di marchio comunitario che, dopo la pubblicazione della registrazione,

sarebbero vietati in base a detto diritto e sulle domande riconvenzionali di

decadenza o di annullamento del marchio comunitario di cui è lamentata la

contraffazione. I Tribunali hanno la facoltà di concedere le misure provvisorie

cautelari389, nei casi di violazione del diritto o di una domanda di marchio

comunitario.

Le sanzioni che i Tribunali possono imporre, a seguito dell’accertamento di una

contraffazione del marchio comunitario, consistono essenzialmente nelle

inibitorie, unite a misure finalizzate a far osservare il divieto in conformità alle

regole stabilite dalla legislazione dello Stato su cui il Tribunale ha sede. Le altre

sanzioni comminabili dai Tribunali sono il risarcimento del danno e la

pubblicazione della sentenza, e vanno deliberate sulla base del diritto nazionale.

Se invece il Tribunale è chiamato a pronunciarsi su atti intervenuti dopo la

domanda e prima della registrazione, non si potrà comminare un vero

risarcimento ma semplicemente un equo indennizzo.

388 La contraffazione di un marchio comunitario consiste in un atto o in un insieme di atti chepregiudicano gli interessi privati del titolare del diritto389 L’articolo 99 del Regolamento riconosce ai tribunali dei marchi comunitari la facoltà diadottare le misure provvisorie e cautelari a protezione di un marchio comunitario registrato o diuna domanda di marchio ancora pendente previste dai singoli ordinamenti nazionali; lacompetenza a conoscere nel merito spetta però ad un Tribunale dei marchi di un altro Statomembro. Esse diventano efficaci nel territorio di qualsiasi Stato membro

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

146

Colui che è convenuto davanti al Tribunale può difendersi invocando la

decadenza del marchio o la nullità solo in via riconvenzionale, poiché tali azioni,

in via principale, sono promuovibili solo di fronte all’Ufficio di Alicante.

Si ricordi infine che l’articolo 90 del Regolamento390, prevede, salvo disposizioni

contrarie, l’applicazione della Convenzione relativa alla competenza

giurisdizionale e all’esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale,

firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, con gli emendamenti apportati dalle

convenzioni relative all’adesione a tale convenzione degli Stati aderenti alle

Comunità Europee.

Non ci sono dubbi sull’enorme valenza dell’intero sistema comunitario dei

marchi e della bontà di tutta la costruzione messa in piedi dal Regolamento

comunitario 40/94: un problema di fondo però persiste e riguarda l’assoluta

impronta teorica dell’intero meccanismo. Quando si parla di marchio comunitario

infatti ci si riferisce ad un istituto giuridico, ad una tutela assicurata da un Ufficio

a ciò preposto e dalle competenti autorità giurisdizionali; alle spalle di tutto ciò

rimane però una sorta di vuoto, perché il marchio non riesce ancora ad

identificare , soprattutto nelle menti dei consumatori, un certo tipo di prodotti o

servizi, con certe caratteristiche, garanzie e qualità, come invece riescono a fare ad

esempio il Made in USA o il Made in Japan. L’allargamento dei mercati a

dimensione globale pone il problema del marchio Made in Europe all’ordine del

giorno391. Con esso i consumatori giapponesi o statunitensi, nonché quelli di

qualsiasi altra parte del mondo, potranno scegliere i prodotti da acquistare

leggendo sull’etichetta la loro provenienza: un’informazione in più, che spesso ne

sottintende altre, riguardanti la qualità e la cura nella fabbricazione del prodotto.

390 L’articolo 90 è intitolato all’Applicazione della Convenzione di esecuzione391 Bibliografia di riferimento sulla problematica ed evoluzione del progetto “marchio made inEurope”: P.Mennitti, Un marchio Made in Europe, 13 giugno 2003, in www.ideazione.com ;EuroEuro European Business Intelligence, 30 maggio 2003, in www.euroeuro.net/company ;F.Ronchin, Gli impostori del Made in Italy, 20 luglio 2003, in www.oggi7.info ; Marchio d’origine vicinoper prodotti del mercato Ue, Italiaoggi, 10 luglio 2003, in www.paginetessili.it ; G.Orso, Obiettivotracciabilità al primo posto, 17 luglio 2003, in www.paginetessili.it

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

147

Con il marchio Made in Europe, specifico per i beni prodotti all’interno dell’UE, si

vogliono tutelare le produzioni comunitarie dalle contraffazioni dei concorrenti.

Tutto ciò per ora non esiste, se non sulla carta, nel progetto congiunto del vice-

ministro italiano alle attività produttive Alfonso Urso e del commissario Pascal

Lamy, da discutersi in sede WTO e aperto, oggi come oggi, ad ogni tipo di

soluzione392.

3.5 MARCHIO COMUNIATRIO E MARCHI NAZIONALI ED

INTERNAZIONALI

Il sistema comunitario dei marchi, pur essendo completo, unitario ed

autosufficiente non si è sostituito ai preesistenti sistemi legislativi nazionali ed

internazionali, ma li ha affiancati393. Tra tutti questi sistemi infatti esiste, da un

lato, un grado di indipendenza tale da far sì che essi possano convivere senza

problemi sullo stesso mercato globale e, dall’altro, un insieme di vincoli reciproci

che li relazionano e permettono loro di potenziarsi a vicenda. Un chiaro esempio

di questa continua relazione è data dal meccanismo di trasformazione dei marchi,

che permette ad un titolare di un segno protetto a livello comunitario di mutare la

sua registrazione in una serie di registrazioni nazionali, conservando così i diritti

originariamente assegnatigli.

3.5.1 Marchio comunitario e marchi nazionali

392 Si ricordi che la proposta del vice-ministro italiano prevede la possibilità di accompagnare ilmarchio generale made in Europe, almeno per determinati settori merceologici, con ladenominazione nazionale: ad esempio una targhetta potrebbe contenere l’indicazione completamade in Europe-Italy, fornendo al consumatore un’informazione esaustiva393 Cfr. A.Casado Cervino, op.cit., p. 491; F.Benussi, op.cit., p. 15

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

148

Il marchio comunitario non sostituisce i marchi nazionali né la sua

creazione suppone la soppressione di tutti i sistemi nazionali di registrazione e

tutela del segno. Non sarebbe infatti logico imporre alle imprese operanti nella

Comunità o in una porzione di essa, un determinato comportamento in relazione

ai loro marchi; in Europa operano pur sempre imprese le cui dimensioni e i cui

interessi non sono tali da giustificare una tutela estesa all’intero territorio

comunitario.

D’altronde il principio di coesistenza di cui si diceva sopra, è alla base del

ragionamento che ha condotto il legislatore comunitario alla emanazione del

Regolamento 40/94: la coesistenza di marchi comunitari e nazionali trova piena

giustificazione e fondamento nella realtà economica odierna, in cui accanto ad

imprese impegnate sull’intero mercato comunitario e al di fuori di esso, operano

un enorme numero di piccole imprese che concentrano le loro attività e la loro

commercializzazione in un solo Stato comunitario o addirittura in una parte di

esso.

Durante i lavori per la creazione del sistema comunitario dei marchi, ci si rese

presto conto che si sarebbero incontrate meno difficoltà in un sistema che

tollerasse i sistemi nazionali ed anzi operasse in parallelo con essi, piuttosto che in

una soppressione tout cour degli stessi, per lasciare spazio ad un unico sistema

sovrastatale. Da un punto di vista pratico inoltre, se i sistemi nazionali fossero

stati aboliti, le domande rivolte all’Ufficio di Alicante avrebbero creato un

intasamento ed avrebbero paralizzato l’intera macchina organizzativa. Da un

punto di vista giuridico invece, in presenza di un solo sistema comunitario, se una

domanda fosse stata respinta in base a diritti di marchio nazionali preesistenti, il

titolare si sarebbe visto negare la possibilità di una tutela territorialmente più

ridotta ma pur sempre fondata su una registrazione.

Si sarebbe potuto optare per una semplice armonizzazione delle legislazioni

nazionali, per conciliare i due tipi di sistemi. Tale ravvicinamento avrebbe

sicuramente avuto effetti positivi, ma non avrebbe saputo eliminare le restrizioni

al commercio intrastatale dovute al carattere autonomo dei diritti nazionali e al

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

149

principio di territorialità. Non c’era altra soluzione che quella del Regolamento

per addivenire ad una pacifica e produttiva convivenza: anche il Consiglio lo

affermò, nel 1980, nella sua Relazione alla Proposta di Regolamento: “non resta

che far coincidere la sfera di validità del marchio con l’ambito territoriale del

Mercato Comune: occorre istituire un marchio indipendente dalle normative

nazionali che abbia validità per l’intero territorio della Comunità, e quindi, senza

sopprimere la tutela nazionale dei marchi d’impresa, procedere alla creazione,

accanto ai marchi nazionali, di un marchio comunitario”.

Accogliendo ed applicando il principio della coesistenza, occorre ovviamente

delimitare i rispettivi ambiti di applicazione e risolvere gli eventuali problemi circa

la certezza giuridica dei due istituti, per non rischiare, attraverso la concessione

parallela di segni distintivi con efficacia diversa ma operanti su parti sovrapposte

dello stesso territorio, di confondere i consumatori.

Bisognerà quindi azionare un coordinamento tra i due tipi di marchi, a seconda

dell’ambito operativo dell’impresa a cui appartengono i segni: l’impresa che

commercializza i suoi beni o servizi sull’intero territorio comunitario, provvederà

a richiedere una registrazione sul registro comunitario, mentre quella che intenda

operare esclusivamente all’interno di un unico territorio nazionale, potrà limitare

la tutela del proprio marchio richiedendo la registrazione su un piano solo

nazionale, contenendo di conseguenza le relative spesa gestionali394.

Procedendo ad un analisi dettagliata del Regolamento, infine, si può

constatare l’applicazione pratica dei principi sopra enunciati ed in particolare della

coesistenza: la dualità tra marchio comunitario e marchi nazionali portò

all’inserimento nel Regolamento di numerose interconnessioni tra i due modelli

di protezione. Così, il legislatore comunitario permette all’impresa che desideri

registrare il proprio marchio a livello comunitario di presentare la propria

394 Se la convivenza dovesse risultare difficile e dovessero sorgere contrasti tra i due marchi, siapplicherà le regola della precedenza o dell’anteriorità, riconoscendo valore esclusivo al marchioregistrato per primo

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

150

domanda indifferentemente all’UAMI di Alicante oppure all’Ufficio nazionale

competente, il quale trasmetterà la richiesta all’Ufficio comunitario. Una

registrazione di marchio comunitario può avvalersi della priorità, originata da una

precedente registrazione a livello statale. Ancora, un marchio nazionale può

essere impugnato per impedire la registrazione di un marchio comunitario

successivo, a meno che il primo non abbia una portata puramente locale. Non si

dimentichi infine, il meccanismo di trasformazione di un marchio comunitario in

uno o più marchi nazionali395, conservando la data di priorità del primo,

allorquando la domanda di registrazione presso l’Ufficio per l’Armonizzazione

del Mercato Interno sia stata respinta o ritirata oppure quando il marchio

comunitario, già ottenuto e sfruttato, abbia cessato di produrre i suoi effetti396.

Le conseguenze di queste e delle molte altre previsioni del Regolamento

coinvolgenti i due sistemi di protezioni sono molte: in primo luogo una domanda

di marchio comunitario ed il diritto così ottenuto hanno, nei vari Stati membri, lo

stesso valore dei marchi registrati in quel Paese, in base alla legislazione nazionale.

In secondo luogo gli uffici nazionali per la gestione della proprietà industriale

sono i normali interlocutori dell’UAMI e, quasi sempre, i servizi offerti da

quest’ultimo non potrebbero realizzarsi ed andare a buon fine senza l’intervento e

l’azione dei suddetti centri nazionali. Allo stato attuale delle cose, il sistema

comunitario dei marchi non potrebbe sopravvivere senza la collaborazione dei

sistemi nazionali, poiché essi si connettono e completano vicendevolmente.

3.5.2 Marchio comunitario e marchi internazionali

Il marchio comunitario si è inserito in un contesto internazionale in cui la

protezione dei marchi era regolata ed assicurata dalle convenzioni studiate in

precedenza, prima fra tutte l’Arrangement di Madrid del 1891. Fin da subito è

395 Sul meccanismo di trasformazione del marchio comunitario in una domanda di marchionazionale, si veda: A.Casado Cervino, op.cit., p. 493396 Si veda l’articolo 108 del Regolamento 40/94

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

151

stata palese la necessità di creare un vincolo o un collegamento tra il sistema

comunitario e le tutele internazionali397. L’Accordo di Madrid presentava però

due problemi fondamentali: da una parte una porzione importante di Paesi,

soprattutto appartenenti alla tradizione di Common Law, non partecipavano a tale

meccanismo; dall’altra la creazione stessa del sistema comunitario in materia di

marchi, rendeva urgente una revisione che permettesse una collaborazione tra i

due sistemi.

Fu con la conclusione del Protocollo di Madrid398 che buona parte di questi

ostacoli furono superati: il suo articolo 1 apre infatti la partecipazione a

determinate organizzazioni, tra cui ovviamente la Comunità Europea. È quindi

imminente una stretta collaborazione tra il sistema comunitario e quello

internazionale creato dal Protocollo399.

Le norme del Protocollo che preparano il terreno per la collaborazione sono le

seguenti: a differenza di quanto stabilito dall’intesa di Madrid, il Protocollo

prevede la possibilità non solo per gli Stati, ma anche per le organizzazioni

intergovernative di diventare parti del sistema di registrazione internazionale400.

Questa eventualità è stata appositamente prevista in seguito alla nascita del

sistema del marchio comunitario, perché si è ritenuto opportuno collegarlo al

sistema di registrazione internazionale dei marchi. Secondo quanto disposto dagli

397 Cfr. A.Ferrari, Marchio Comunitarioe e Registrazione Internazionale, in Diritto Industriale, 1995, p.831398 Per la lettura completa del protocollo si veda: www.admin.ch ; per l’elencazione completa deiPaesi membri dell’Accordo e/o del protocollo di Madrid, si veda: www.exensis.ch o,alternativamente, www.wipo.org 399 Sul tema della cooperazione tra sistema comunitario e Protocollo di Madrid si veda:www.oami.eu.int/IT/mark/aspects/madrid 400 L’articolo 1 del Protocollo, intitolato all’Appartenenza all’Unione di Madrid, recita: “gli Statipartecipi di questo Protocollo, anche se non sono partecipi dell’Accordo di Madrid per laregistrazione internazionale dei marchi, e le organizzazioni indicate nell’articolo 14.1 lettera b,che sono partecipi di questo Protocollo (denominate più avanti “organizzazioni contraenti”)sono membri della stessa Unione di cui sono membri i Paesi che sono membri dell’accordo diMadrid. In questo protocollo, l’espressione “parti contraenti”, designerà sia gli Stati contraentiche le organizzazioni contraenti”

IL SISTEMA COMUNITARIO DEI MARCHI

152

articolo 14 e 2 del Protocollo401, le organizzazioni devono rispettare determinati

requisiti per poter far parte del sistema: almeno uno dei loro membri deve essere

parte della C.U.P., ed esse devono avere un ufficio regionale per la registrazione

dei marchi con effetto nel territorio su cui dispiegano la loro efficacia i trattati

istitutivi delle organizzazioni stesse. L’Unione Europea rispetta in pieno i requisiti

richiesti402, cosicché il suo territorio sarà considerato a tutti gli effetti parte

contraente del Protocollo.

Una domanda di marchio comunitario potrà essere considerata valevole per

l’inserimento nel registro internazionale e, al contrario, una registrazione

internazionale potrà trasformarsi in una registrazione comunitaria. Per evitare

che, in presenza di un marchio identico, due registri, internazionale e

comunitario, si sovrappongano provocando l’eventuale confusione del pubblico,

il registro internazionale sostituirà o meglio, prevarrà su quello di Alicante.

Anche in questo caso quindi, il sistema comunitario si è dimostrato capace non

solo di tollerare sistemi preesistenti in materia di tutela dei marchi, ma di

coordinarsi con essi al fine di offrire una scelta sempre più ampia ai soggetti

operanti a livello comunitario ed internazionale.

401 L’articolo 14, intitolato alle Modalità per diventare partecipe del protocollo, nel suo primocomma lettera B, prevede il requisito dell’appartenenza di almeno uno Stato dell’organizzazionealla C.U.P.; l’articolo 2, è intitolato all’Ottenimento della protezione attraverso la registrazioneinternazionale402 L’UE rispetta senza dubbio il primo requisito perché tutti i suoi quindici membri sonofirmatari della Convenzione di Unione di Parigi. Anche il secondo requisito è soddisfatto perchél’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno è divenuto pienamente operativo a partiredal 1° aprile 1996

4. IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

4.1 INTRODUZIONE ALLA MATERIA

Uno dei fattori più significativi dell’evoluzione dell’umanità è stata la

straordinaria capacità di partecipare collettivamente alle conoscenze dei singoli.

Per progredire era necessario mettere a disposizione di tutti le conoscenze a cui i

singoli pervenivano, in modo spontaneo piuttosto che attraverso uno studio

applicato. La condivisione delle conoscenze è stata fino ad un certo momento

spontanea, fino a che essa ha rischiato di rallentare lo sviluppo di nuove nozioni,

cosicché sono intervenute regole che l’umanità si è man mano data.

Si narra403 che un ingegnoso contadino di nome Leonardo, essendo

riuscito a congegnare una macchina che permetteva ad un solo asino di estrarre

da un pozzo quaranta secchi di acqua nello stesso tempo in cui due uomini ne

estraevano appena la metà, chiese di poter sfruttare solo per sé questa scoperta ed

ottenne dal principe l’applicazione di un divieto di imitazione e fabbricazione per

quaranta anni, nei confronti di chiunque altro.

I ragionamenti di Leonardo, che pretese di sfruttare a titolo esclusivo la sua

scoperta, e quelli del principe, che assecondando il contadino sperò in altre

successive scoperte da parte sua o di altri, sono alla base di tutto il sistema

brevettuale moderno404: l’inventore inventa e pretende di sfruttare per sé e

403 Su questo episodio, di origini tutt’altro che sicure, si veda Barzanò e Zanardo, op.cit., p. 5404 Sulla materia dei brevetti cfr. G.W.Rhodes, Patent Law Handbook: 2000-2001 edition, WestGroup, St.Paul Minnesota, 2000; E.W.Kitsch, The nature and Function of the Patent System, inJ.L.&E., volume 20, anno 1977, p. 265; T.Terrell, On the law of Patents, Sweet & Maxwell, Londra1994; G.Sena, P.Frassi, S.Giudici, Codice di diritto industriale, marchi, invenzioni, disegni e modelli, novitàvegetali, diritto d’autore e topografie dei prodotti a semiconduttori, Kluwer IPSOA, Milano 2001; G.Sena, Idiritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, Giuffrè, 1990; G.Floridia, I Brevetti per invenzione e permodello, Giuffrè, Milano 1980; D.Sarti, Diritti esclusivi e circolazione dei beni, Giuffrè, Milano 1996;F.Massa Felsani, Contributo all’analisi del know-how, Giuffrè, Milano 1997; D.Burnier, La notion del’invention ed droit européen des brevets, Droz, Ginevra, 1981; G.Guglielmetti, La brevettazione delle

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

154

indefinitamente la sua scoperta, la collettività con le sue regole pretende la

diffusione delle conoscenze ed in cambio riconosce all’ingegnoso cittadino un

periodo limitato di tempo in cui beneficiare, a titolo esclusivo, della sua

invenzione.

L’istituto delle privative brevettuali è quindi tutt’altro che un ostacolo allo

sviluppo tecnico – scientifico. Al contrario, esso è orientato a favorire ed

incentivare lo sviluppo come risultato ed in funzione della diffusione delle

conoscenze.

Con l’avvento della civiltà industriale, si è concretizzata l’esigenza di

regolamentare l’attività inventiva prima di pochi ed isolati ingegni e poi sempre

più diffusa ed organizzata. Perciò gli Stati hanno via via creato regole per

accogliere, proteggere ed incentivare le nuove scoperte e le invenzioni.

4.1.1 La natura del diritto di brevetto

La nozione di brevetto è relativamente semplice: esso è l’istituto giuridico

attraverso il quale l’ordinamento presso cui è depositata la domanda assicura

all’inventore il diritto di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un determinato

lasso di tempo. In questo modo l’inventore è tutelato contro ogni rischio di

distruzione o diffusione del segreto, perché il suo diritto di esclusiva avrà validità

per tutto il tempo, stabilito dalla legge, indipendentemente dal fatto che altri siano

in grado o meno di realizzare la stessa invenzione. La determinazione a priori di

un periodo di tutela dell’inventore, a seguito del quale chiunque potrà utilizzare le

nozioni apportate alla collettività dal titolare del brevetto, evitano il rischio che il

monopolio sull’invenzione si protragga troppo a lungo, a danno della società.

scoperte – invenzioni, in Rivista di Diritto Industriale, 1999, volume I, p. 97; P.Spada, Eticadell’innovazione tecnologica ed etica del brevetto, in Rivista di Diritto Privato, 1996, p. 217; E.Vasco,Proprietà industriale. Quanto vale un brevetto?, in Commercio Internazionale, 1999, p. 909; V.Di Cataldo,Il Codice Civile Commentario. I brevetti per invenzione e per modello, artt. 2584 – 2594 seconda edizione,Giuffrè, Milano 2000

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

155

Fin dal momento della scoperta o dell’invenzione, l’inventore dovrà

decidere se brevettare o meno ciò che ha ideato: è conveniente mantenere il

segreto e rischiare eventualmente che altri giungano alle medesime conclusioni o

è preferibile depositare domanda di brevetto, con il conseguente obbligo di

rendere pubblico ed accessibile ciò che si è inventato?405 Sarà ovviamente

necessaria un’attenta valutazione del caso: se all’invenzione possono facilmente

addivenire soggetti che si occupano della materia, è senza dubbio preferibile

optare per la brevettazione, assicurandosi così almeno un periodo di assoluto

monopolio406. Al contrario in molti altri casi la brevettazione equivarrebbe ad una

semplice e diretta divulgazione di un’invenzione che verosimilmente non

potrebbe essere decifrata e quindi essere oggetto di contraffazione da parte di

eventuali concorrenti. Spesso si tratta di invenzioni concernenti il procedimento

di fabbricazione che, neanche attraverso un’attenta analisi, potrebbe essere

svelato e quindi riproposto. Si pensi al caso della bevanda analcolica

probabilmente più famosa del mondo, la Coca Cola: essa rappresenta l’esempio

più significativo di un prodotto non coperto da brevetto, ma tutelato dalla

segretezza ormai da oltre cento anni. La formula alla base della bevanda, risultato

dell’invenzione geniale di tale Mr. Pemberton, reduce della Guerra Civile

americana407, è tutelata non da un istituto giuridico, ma appunto dal segreto

aziendale: le possibilità che un terzo addivenga casualmente o volontariamente

405 Sul dualismo “brevettazione o segreto” si veda Accord ADPIC, Accord sur les aspects des droits dela proprieté intellectuelle qui touchent le commerce. Protection conférée par les brevets, a cura dellaCommissione Europea, edizioni Eur – op, 2000406 Ad esempio appartengono a questo primo gruppo di invenzioni i composti chimici utilizzatiin medicina oppure macchinari domestici come le macchine da cucire. Sul tema si veda AccordADPIC. Protection conférée par les brevets, nel capitolo dedicato a “Recours au brevet – Situationvariable selon le secteur industriel”(p. 16): in esso si afferma che i settori maggiormenteinteressati alla materia brevettuale, che da essa hanno tratto i maggiori benefici, sono l’industriafarmaceutica, l’agro-chimica, l’industria degli strumenti elettronici, le telecomunicazioni,l’ingegneria e la costruzione aerospaziale 407 Per una sintetica informazione sulla storia della Coca Cola si veda: La storia della Coca Cola, 19marzo 1998, in www.provincia.torino.it/Scuole , nonché il sito ufficiale della compagniaamericana, www.coca-cola.com

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

156

alla formula sono talmente esigue, che si decise alla fine dell’ ottocento,

perpetuando la scelta fino ai giorni nostri, di non richiedere la protezione

brevettuale, per la cui concessione sarebbe stata necessaria la divulgazione di tutta

la formula408.

Alla base della concessione di un diritto di brevetto esiste una logica di

trasparenza sulla struttura dell’invenzione. Il rilascio di un brevetto è una sorta di

contratto tra il soggetto che intende brevettare e la collettività: il primo mette a

disposizione le sue invenzioni, offrendo di esse una adeguata e puntuale

descrizione, perché il pubblico possa con il tempo godere dei suoi benefici; la

società remunera l’inventore per il suo apporto al patrimonio collettivo attraverso

l’attribuzione di un diritto esclusivo, limitato nel tempo. Ovviamente tale tipo di

tutela non sarà concessa a tutti coloro che affermino di aver inventato

“qualcosa”, ma esclusivamente a chi riesca a dimostrare che la sua innovazione

possiede determinati requisiti richiesti dalla legislazione che concede il diritto

stesso.

4.1.2 I requisiti dell’invenzione

Chiunque pensi di aver dato vita ad un’invenzione tutelabile con un

brevetto deve innanzitutto chiedersi, prima che lo faccia l’apposita commissione

deputata all’analisi prima della concessione, se il suo lavoro soddisfa tutti i

requisiti richiesti ai fini della brevettazione. I legislatori di tutti i Paesi che

possiedono regole sulla disciplina infatti, nel tentativo di dar vita a brevetti il più

possibile sicuri ed inattaccabili, hanno fissato condizioni rigide per la concessione

408 Lo stesso ragionamento fu seguito più recentemente e sempre con successo dalla societàFerrero di Alba, con riferimento alla Nutella. Si ricordi infine che tale ragionamento, che ha datovita all’immenso colosso economico e commerciale americano, è da molte parti criticato e lasocietà oggetto di pesanti attacchi: tra essi quelli dell’ultimo movimento degli anti-brevetti, natoin America e chiamato “copyleft”. L’Open Cola, bevanda dalla formula pubblica e riproducibile,

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

157

dei diritti; nella stessa direzione si è mosso il legislatore comunitario impegnato a

disegnare le regole per la gestione a livello europeo della materia, attraverso la

determinazione del diritto sostanziale contenuto nella Convenzione sulla

Concessione di Brevetti Europei, conclusa a Monaco di Baviera il 5 ottobre

1973409.

In generale, a livello comunitario e nazionale, perché un’invenzione sia

brevettabile sono richiesti tre requisiti410: l’industrialità, la novità e l’originalità. In

passato a questi requisiti veniva collegato l’elemento dell’utilità, ma esso non va

fatto rientrare tra i presupposti per una valida brevettazione. Dall’altra parte oggi

si ritiene unanimemente che la brevettabilità richieda un’indicazione chiara e

precisa dell’uso a cui è destinata, pur non costituendo questo un autonomo

requisito di brevettabilità per un’invenzione411. Quando anche uno solo dei

suddetti requisiti non sia soddisfatto, l’invenzione non è suscettibile di essere

tutelata tramite brevetto.

Richiamando la Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) a titolo

esemplificativo, si nota che l’articolo 52 della stessa dichiara che “i brevetti

europei sono concessi per le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva

e sono atte ad avere un’applicazione industriale”412.

prova a demolire il dominio della Coca Cola. Si veda: Copyleft: open cola contro la coca cola, 18 marzo2002, in www.inventati.org 409 Su un’analisi dettagliata dei contenuti e del processo evolutivo che ha portato alla conclusionedella Convenzione sui Brevetti Europei, si tornerà più avanti nel corso del capitolo, trattando davicino la materia dei brevetti in ambito comunitario. 410 Sui requisiti di brevettabilità, anche in ambito comunitario, si vedano: Barzanò & Zanardo,op.cit., p. 9; G.Rocco, Come depositare brevetti e marchi. Procedure, modelli, registrazioni, convenzioniinternazionali, posizione dell’OMC, Giuffrè, Milano 2001, p. 9; T.Prime, op.cit., p. 183; R.Singer &M.Singer, Il Brevetto Europeo. Traduzione e riferimenti alla legislazione italiana di F.Benussi. Prefazione diG.Sena, UTET, 1993, p. 91, G.Cottino, Diritto Commerciale, Volume Primo Tomo Primo, Terzaedizione. Imprenditore, impresa ed azienda. Segni distintivi, brevetti e concorrenza, CEDAM, Padova 1993,p. 336411 Cfr. A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 319412 Sulla versione ufficiale della Convenzione si veda www.europa.eu.int; per un’analisi articoloper articolo della stessa cfr. R.Singer & M.Singer, op.cit.

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

158

Perché sia soddisfatto il primo requisito, l’invenzione in esame deve essere nuova

rispetto allo stato della tecnica; lo “stato della tecnica”413 è tutto ciò che è reso

accessibile al pubblico sul territorio dello Stato in cui è richiesta la brevettazione o

all’estero, prima della domanda di brevetto, attraverso un’utilizzazione pratica,

una descrizione orale o scritta o un qualsiasi altro mezzo. La novità risiede quindi

in tutti gli elementi dell’invenzione, che non devono essere stati divulgati al

pubblico ad opera dell’inventore o di qualsiasi altra persona, in nessuna parte del

mondo414. Le uniche deroghe a questa regola, previste dalla Convenzione di

Parigi del 1928, riguardano i casi in cui la divulgazione è avvenuta a seguito di

abuso evidente perpetrato ai danni dell’inventore.

Lo stato della tecnica è coinvolto anche nella valutazione del secondo requisito,

riguardante l’attività inventiva415. Infatti, perché l’invenzione sia brevettabile non

è sufficiente che essa non sia stata divulgata in nessuna parte del mondo prima

della presentazione della domanda: è altresì indispensabile che essa fornisca un

apporto, anche minimo, allo stato della tecnica e che essa non sia una semplice

deduzione rispetto alle conoscenze già acquisite, facilmente percepibile da una

qualunque persona esperta del ramo416.

Il terzo requisito risulta di più immediata comprensione: l’invenzione può avere

applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in

qualunque impresa, comprese quelle di tipo agricolo. In linea con tale definizione,

si ritengono non brevettabili i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico

del corpo umano o animale, oltre ai metodi di diagnosi applicati alla salute umana

413 Lo stato della tecnica è detto anche “tecnica anteriore” o “tecnica precedente”414 Se, ad esempio, un inventore prima commercializza l’oggetto della sua invenzione e poideposita domanda di brevettazione con riferimento alla stessa invenzione, la sua richiesta verràsicuramente bocciata per l’insussistenza del requisito della novità. Si tratta di ipotesi non moltorare nella realtà, poiché molti inventori verificano prima il successo ottenibile presso il pubblicodall’invenzione e poi, in caso di risposta positiva, decidono di presentare richiesta dibrevettazione415 Spesso, in dottrina e in giurisprudenza, ci si riferisce alla novità intrinseca per parlare dellanovità e alla novità estrinseca o originalità per parlare di attività inventiva416 Il concetto di persona esperta del ramo o tecnico medio, accompagnata dalla dizione “nellosvolgimento delle sue normali funzioni”, non è di facile ed univoca interpretazione ed ha spessocreato non pochi problemi

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

159

ed animale417. Quando un brevetto non è attuato o lo è in maniera non adeguata

e sufficiente, si può chiedere al titolare la concessione di una licenza e laddove

egli rifiuti, rivolgersi all’autorità competente, l’Ufficio brevetti e marchi nel caso

italiano, che potrà imporre al titolare di concedere una licenza, denominata

“obbligatoria”, dato l’intervento amministrativo.

Quando l’autorità competente accerti l’esistenza di questi tre requisiti e l’assenza

di eventuali impedimenti, si procederà alla concessione del diritto di brevetto, il

quale avrà una durata determinata dalla legislazione dello Stato concedente,

solitamente venti anni, non rinnovabili418.

A livello industriale invece, perché un brevetto sia dotato del valore

necessario a remunerare l’impresa che ha investito e sviluppato nuovi prodotti o

procedimenti, sono richieste all’ordinamento che concede la tutela alcune

caratteristiche419: innanzitutto la durata della protezione offerta dal brevetto deve

essere sufficientemente lunga da far sì che il brevetto stesso possa valorizzare

l’investimento a monte420; in secondo luogo il brevetto deve coprire l’invenzione

stessa, soprattutto quando si tratti di un prodotto, nel qual caso il brevetto dovrà

tutelare il bene e non il modo di fabbricarlo. Infine la tutela deve essere

consacrata dalla legislazione del Paese e soprattutto riconosciuta e difesa dagli

organi giurisdizionali nazionali421. Questi sono i requisiti richiesti allo Stato,

perché assicuri un’adeguata protezione agli inventori e ai loro lavori: quando

417 Cfr. G.F.Casucci, Invenzioni non brevettabili. Metodi chirurgici, terapeutici o di diagnosi, in DirittoIndustriale, 1996, p. 658418 Come si vedrà nello specifico nei paragrafi successivi, anche a livello europeo viene concessoun brevetto con durata ventennale419 Sulle condizioni essenziali di un sistema brevettuale, richieste non al titolare maall’ordinamento che concede la tutela si veda: Accords ADPIC, Protection Conférée par les brevets, cit.,p. 16420 L’Organizzazione Mondiale del Commercio precisa che il periodo di tutela deve essereabbastanza lungo perché il titolare del brevetto possa ottenere una adeguata ricompensa per ilsuo sforzo, per l’investimento e per il rischio a cui è andato incontro421 L’Organizzazione Mondiale del Commercio precisa che, perché il sistema brevettuale siaefficace, deve sussistere la possibilità per il titolare, di far valere azioni giudiziarie contro ognitipo di contraffazione di fronte ai tribunali nazionali

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

160

queste tre condizioni non sussistono una accanto all’altra, il sistema brevettuale

non è affatto utile ed efficace.

4.1.3 Tipologie di invenzioni brevettabili

La prima grande suddivisione da operare all’interno dell’enorme campo

delle invenzioni è quella tra invenzioni di prodotto ed invenzioni di procedimento. Le

prime fanno riferimento alla realizzazione di un nuovo prodotto da immettere sul

mercato a disposizione dei consumatori finali; le seconde riguardano i

procedimenti, i metodi di lavorazione attraverso cui un certo bene è realizzato.

Tra le prime ritroviamo ad esempio un nuovo dispositivo, un oggetto di uso

comune, nonché un prodotto chimico o una composizione.

Sulle invenzioni di procedimento invece abbiamo assistito ad una rivoluzione

negli ultimi trent’anni, dovuta al necessario adeguamento delle discipline nazionali

a quella comunitaria422, basata sulla Convenzione sul Brevetto Europeo.

Quest’ultima non definisce infatti cosa si intenda per procedimento ma si limita423

ad indicare alcune categorie che non sono da considerarsi invenzioni: si tratta dei

summenzionati metodi per il trattamento chirurgico, terapeutico o diagnostico.

In secondo luogo le invenzioni possono essere principali o derivate. Le

prime sono quelle a cui l’inventore perviene senza alcun collegamento o nesso

con altre precedenti invenzioni; le altre invece hanno la loro origine in altre

invenzioni. Queste ultime sono a loro volta suddivise in invenzioni da

perfezionamento, se apportano un miglioramento o un’aggiunta all’invenzione da cui

422 La giurisprudenza italiana definiva infatti in modo univoco quali procedimenti non fosserobrevettabili: la Commissione Ricorsi, nel 1970, sottolineò che “non sono brevettabili quei trovatiche non attengano al modo di agire delle attività umane sulle forze della natura e nondeterminino il raggiungimento dei risultati materiali”. Tale precisione dovette essereabbandonata con l’adeguamento alla disciplina comunitaria423 L’articolo 52 della C.B.E., ripreso dall’articolo 12 della Legge Brevetti italiana, indica qualiprocedimenti non costituiscono invenzione

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

161

originano424, da traslazione, se applicano la precedente concezione inventiva ad un

nuovo settore della tecnica industriale, di combinazione, se combinano precedenti

invenzioni o parti di esse. In tutti i casi rimane fermo ovviamente il requisito

dell’attività inventiva ed originale.

Ancora, da un punto di vista prettamente giuridico, le invenzioni possono

essere indipendenti o dipendenti: queste ultime potranno essere brevettate solo con il

consenso del titolare dell’invenzione da cui esse derivano, a meno che non si

tratti dello stesso soggetto che ha proseguito la sua attività di ricerca. L’articolo 5

della Legge Brevetti italiana richiama tale distinzione, specificando che un

brevetto la cui attuazione implica quella di invenzioni protette da precedenti

brevetti ancora in vigore non può essere attuato, né utilizzato, senza il consenso

dei titolari dei brevetti preesistenti.

Ovviamente tali classificazioni teoriche si intrecceranno in innumerevoli

combinazioni nella realtà: solitamente le invenzioni di perfezionamento o, in una

certa misura, quelle di combinazione, saranno da considerarsi invenzioni

dipendenti, la cui brevettabilità è soggetta al consenso di altri titolari.

Per evitare che i titolari di invenzioni coperte da brevetto possano ostacolare

l’attuazione di eventuali invenzioni dipendenti, frenando quindi notevolmente

l’avanzamento della tecnica, le legislazioni prevedono solitamente modi,

circostanze e condizioni per la concessione di licenze obbligatorie, anche

incrociate, tra titolari di invenzioni indipendenti e dipendenti.

Infine non si dimentichi che, sebbene sia normalmente sancito che il

titolare del brevetto è l’inventore, spesso vanno considerati, in modo

indipendente e separato, due soggetti: non è detto che l’inventore sia allo stesso

424 Sulle invenzioni di perfezionamento è stata formulata la cosiddetta teoria degli equivalentitecnici, meccanici ed elettronici: in base ad essa non si considera sussistente il requisito dellaattività inventiva se l’invenzione si basa esclusivamente su una semplice differenza costruttivache non produce alcuna specificità. Su tale teoria nello specifico e sulle differenze tra le varietipologie di invenzioni cfr. Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 13

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

162

tempo titolare del brevetto425. La legge sancisce che sono inalienabili i diritti

morali spettanti all’inventore di essere riconosciuto come padre dell’invenzione,

mentre possono legittimamente essere trasferiti i diritti generici di brevetto, che

sono diritti reali e sono costituiti dalla facoltà di attuare l’invenzione e trarre

profitto da essa, nel territorio dello Stato che concede la privativa. Le regole

appena enunciate si complicano notevolmente nel caso in cui l’invenzione sia il

frutto dell’ingegno di un soggetto operante nell’ambito di un contratto o di un

rapporto di lavoro o di impiego. Le soluzioni variano a seconda che l’attività

inventiva sia prevista espressamente nel contratto di lavoro, sia per lo meno non

esclusa o sia assolutamente occasionale e il dipendente vi pervenga in modo

assolutamente casuale, nel campo di attività dell’azienda a cui egli appartiene. In

tutti i casi il diritto di essere riconosciuto come inventore spetterà al

dipendente426, mentre i diritti generici spetteranno al datore di lavoro, il quale non

sarà tenuto a corrispondere alcuna remunerazione aggiuntiva nel primo caso, e

sempre al datore di lavoro nel secondo caso, con la differenza che al dipendente

spetterà un equo premio427, per la sua attività inventiva; sulla terza ipotesi gli

studiosi si dividono perché, secondo alcuni, al datore di lavoro spetterebbe

esclusivamente il diritto di prelazione, mentre secondo altri egli dovrebbe poter

ottenere un diritto d’opzione sull’uso esclusivo o non esclusivo dell’invenzione e

sull’acquisto del brevetto con relative estensioni estere. Le legislazioni, ad

esempio quella italiana, prevedono esplicitamente tempi e modi per la

realizzazione pratica di queste ipotesi, in particolar modo per l’esercizio dei diritti

di cui al terzo caso428.

425 Cfr. Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 15426 La legge stabilisce infatti che i diritti morali sono inalienabili427 L’equo premio verrà ovviamente calcolato sulla base della portanza economicadell’invenzione428 Cfr. C.Galli, Problemi in tema di invenzioni dei dipendenti, in Rivista di Diritto Industriale, 1996, Itomo, p. 19; E.M.Terenzio, Le invenzioni del prestatore di lavoro subordinato, in Rivista giuridica dellavoro e della previdenza sociale, 1999, p. 633

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

163

4.1.4 La funzione di un brevetto

Poiché i brevetti per invenzioni appartengono alla vasta famiglia della

proprietà intellettuale, essi senza dubbio condividono con gli altri diritti di

privativa, lo stesso ruolo nello scenario commerciale nazionale ed internazionale.

In generale infatti la proprietà industriale contribuisce alla crescita e allo sviluppo

economici e, tramite questi, migliora il benessere della popolazione. I diritti di

privativa incoraggiano infatti le attività di ricerca perché incentivano le imprese e

gli inventori ad investire il loro tempo ed il loro denaro in cambio della possibilità

di ottenere adeguate ricompense per gli sforzi compiuti.

Molti Paesi tuttavia ritengono che l’esistenza dei diritti di privativa sia un ostacolo

insormontabile per l’industria locale e benefici solo i grandi Paesi industrializzati,

ma molti studiosi e l’Organizzazione Mondiale del Commercio sostengono

esattamente il contrario: in Italia ed in Giappone ad esempio, l’industria

farmaceutica ha iniziato a prosperare in seguito all’instaurazione di una

protezione efficace per i brevetti sui farmaci; così in India l’industria locale dei

software si è sviluppate in maniera esponenziale grazie all’applicazione delle

normative a tutela del diritto d’autore. Ovviamente l’innovazione non deve essere

limitata a pochi Stati: tutti possono e devono parteciparvi, al fine di trarre

vantaggio e profitto dall’aumento degli scambi commerciali, ma ciò è subordinato

all’esistenza e all’applicazione di adeguate tutele per i diritti di proprietà

intellettuale429.

Nello specifico, l’imprenditore che investe ed innova e la collettività che fruisce

delle invenzioni dell’impresa, hanno un interesse in comune430: evitare che la

429 Sul dibattito a tutt’oggi in corso, in particolar modo in seno al WTO, si veda: Accords ADPIC,Protection conférée par les Brevets, cit., p. 19430 Il brevetto risulta infatti molto utile alla collettività in quanto assicura alla stessa l’acquisizionestabile dell’invenzione al patrimonio collettivo. Poiché infatti il rilascio del brevetto èsubordinato alla completa e puntuale descrizione dell’invenzione ad opera del suo inventore,qualunque cosa accada a quest’ultimo, la collettività sarà tutelata e l’invenzione non potrà andarpersa. Ovviamente se non esistesse l’istituto brevettuale, l’impresa sarebbe incentivata a

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

164

protezione dell’innovazione sia affidata al segreto aziendale; questa duplice

preoccupazione costituisce la base dell’istituto brevettuale.

L’idea secondo cui il brevetto favorisce il progresso tecnico si regge su tre

ragionamenti: il sistema brevettuale costituisce un incentivo ed uno stimolo

all’attività inventiva, perché promette al titolare un diritto di esclusiva per un

periodo abbastanza lungo; tale promessa spinge l’inventore a scegliere la

divulgazione protetta piuttosto che il segreto aziendale, a vantaggio della

collettività; il sistema consente una circolazione dietro compenso del diritto sulle

invenzioni, la quale permette il loro sfruttamento in termini quantitativamente

ottimali. A queste argomentazioni sono state mosse nel tempo moltissime

critiche, prima fra tutte quella secondo cui il carattere anticoncorrenziale del

sistema brevettuale lo renda ostacolo piuttosto che incentivo all’intero sistema

economico.

È in generale prevalsa però la prima tesi qui esposta, che ravvisa nel brevetto una

valenza positiva, a vantaggio sia dell’inventore che della collettività.

Di fatto, nel corso dei decenni, il brevetto ha visto la sua posizione

rafforzarsi: esso ha trovato giustificazione all’interno dell’analisi economica del

diritto, in particolare nella teoria dei property rights, secondo cui esso sarebbe “la

tecnica più efficiente di allocazione dei diritti di utilizzazione dell’innovazione

tecnologica”431.

Negli ultimi anni ha infine assunto rilievo una nuova teoria, che giustifica il

brevetto come strumento di stimolo delle spese di ricerca e che sposta

l’attenzione sulle spese utilizzate nella ricerca che conduce alla sperimentazione

successiva all’innovazione, necessaria prima della commercializzazione del bene o

del servizio432. Le spese che si devono affrontare dopo l’invenzione, per saggiarne

l’effettiva efficacia e l’applicabilità pratica, sono elevatissime: chi le sosterrebbe se

mantenere il segreto aziendale, nella speranza che nessun altro scopra la sua formula, a dannodella collettività, che sarebbe privata di nuove nozioni della tecnica e della scienza431 A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 297432 Di questa nuova idea, che vede nell’istituto brevettuale nuove potenzialità e finalità, dannoconto Vanzetti e Di Cataldo, ibidem

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

165

non fosse sicuro di poter in seguito contare su un monopolio legale che gli

consenta di recuperarle?

Sulla base di queste nuove visioni, la bontà dei sistemi brevettali nel loro insieme

è stata parzialmente accettata, mentre le critiche si sono rivolte verso singoli

aspetti dell’istituto, alla ricerca di singole revisioni delle normative vigenti.

4.1.5 L’excursus storico dell’istituto

Il primo brevetto riconosciuto fu concesso in Inghilterra nel 1449 a John

Von Utlynahm per l’invenzione di un nuovo metodo di fabbricazione del vetro

colorato433. Pochi anni dopo, nel 1476, a Venezia, venne emanata la prima legge

sui brevetti, che stabiliva il diritto ad ottenere una garanzia per la protezione

dell’inventore. Uno tra i primi a beneficiarne fu Galileo Galilei, il quale progettò

un innovativo sistema di pompaggio delle acque per l’irrigazione dei campi ed

ottenne una adeguata garanzia a tutela della sua invenzione434.

I primi brevetti attribuiscono un’esclusiva non ad un’invenzione nella sua

individualità, ma ad un tipo di attività o di industria, considerato nel sua interezza.

Il diritto concesso riguarda l’applicazione industriale dell’invenzione, cosicché il

carattere che ancora oggi è riconosciuto al brevetto dei giorni nostri, affonda le

sue radici nei secoli passati. La differenza sostanziale tra il brevetto di allora e

quello attuale è il carattere discrezionale di quello, visto che la concessione era

delegata al Sovrano che, in virtù del potere detenuto, poteva decidere se

accordare o meno la “lettera patente” a chi ne aveva fatto richiesta

Nel XVII secolo ha inizio l’era moderna del diritto dei brevetti, con il

venir meno del carattere discrezionale della concessine e con la creazione di

433 Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 1434 Sulla materia brevettuale nel quattrocento e nel cinquecento si veda: G.Mandich, Primiriconoscimenti veneziani di un diritto di privativa agli inventori, in Rivista di Diritto Industriale, anno 1958,volume I, p. 101 e ss.; G.Mandich, Privilegi minerali e agricoli a Venezia nel secolo XV, in Rivista diDiritto Industriale, anno 1958, volume I, p. 327 e ss.

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

166

regole e requisiti richiesti all’invenzione e fissati dalla legge435. Con l’avvento della

rivoluzione industriale, l’epoca delle conquiste coloniali, del nuovo regime di

proprietà agricola, l’attività inventiva conosce un’impennata e si inserisce a pieno

titolo nel clima di fervida iniziativa individuale che getta le basi del nuovo

capitalismo industriale436. La tutela, abolita insieme ai privilegi dalla Rivoluzione

Francese, rinasce subito dopo, all’inizio dell’ottocento, con tutta la forza e nella

veste che la caratterizzerà fino ai giorni nostri:

Toute découverte ou nouvelle invention dans tous les genres d’industrie est

la propriété de son auteur, en consequence la loi en garantit la pleine et

entière jouissance suivant le mode et pour le temps qui seront ci-après

determinés437

Tra l’ottocento e il novecento si moltiplicano le regolamentazioni statali e non

sulla materia: la prima legge italiana risale al 1859438, affonda le sue radici nella

normativa piemontese del 1855, a sua volta ispirata al modello francese. Fino alla

metà del XX secolo questa legge regolamenterà la materia fino a quando, alle

soglie della seconda guerra mondiale, i brevetti, i marchi e i disegni furono oggetto

di due regi decreti439 e dei rispettivi regolamenti.

435 Lo Statuto che segna simbolicamente l’inizio della fase moderna del diritto dei brevetti è loStatute of Monopolies inglese del 1623436 Sul tema cfr. G.Cottino, op.cit. ,p. 326 e ss.; V.Di Cataldo, Le Invenzioni I modelli, in Corso diDiritto Industriale Diretto da Mario Libertini, Giuffrè, Milano 1990, p. 6437 “Ogni scoperta o nuova invenzione, in qualunque tipo di industria, appartiene al suoinventore, di conseguenza la legge ne garantisce il pieno godimento secondo i modi ed i tempistabiliti qui di seguito”; tratto dall’articolo 1 della legge francese sui brevetti del 1° gennaio 1791438 Studio Torta, Brevetto e Competizione Internazionale, Studio Torta Società Semplice, Torino, 1983,p. 3439 Ci si riferisce al Regio Decreto del 29 giugno 1939, n° 1127, relativo ai brevetti per invenzioniindustriali e al Regio Decreto del 25 agosto 1940, n° 1411, sulla materia dei modelli e dei disegni

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

167

Non si dimentichi ovviamente che all’epoca già risultava da tempo applicativa la

Convenzione di Unione di Parigi del 1883, ritenuta da molti la “bibbia” della

materia della proprietà intellettuale a livello mondiale440.

Infine il secolo XX è caratterizzato dalla presenza dell’ideologia socialista,

con i suoi rilievi anche nel campo della proprietà intellettuale441: la prospettiva fin

qui disegnata muta infatti allorché si passi ad analizzare un ordinamento

collettivistico dell’economia, tipico dei regimi dell’est europeo del secondo

dopoguerra. In essi il profilo morale assume un enorme rilievo, vista l’abolizione

parziale o totale della proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche l’aspetto

patrimonialistico sembra permanere: ciò che viene tassativamente abolito è la

possibilità di utilizzazione individuale, in esclusiva, dell’invenzione. Così fino a

poco più di dieci anni fa, l’inventore in Unione Sovietica aveva diritto ad un

semplice certificato d’autore per la sua invenzione, mentre i diritti di utilizzazione

economica della stessa passavano in capo allo Stato. La regola era che lo

sfruttamento dell’invenzione non appartiene all’inventore ma alla collettività.

Infine l’intera seconda metà del novecento è stata caratterizzata dal

processo di integrazione europea e, nello specifico, dagli interventi comunitari

sulla materia dei brevetti e dei modelli per invenzioni, di cui si dirà ampiamente in

seguito.

4.2 LA TUTELA DEL BREVETTO A LIVELLO INTERNAZIONALE

La necessità di disporre di criteri uniformi di tutela dei brevetti, che

assicurassero agli inventori di qualunque Paese un uguale trattamento e che

440 Sulla Convenzione di Unione di Parigi si veda il paragrafo 3.2.1 del presente lavoro.Sull’applicazione della stessa alla materia brevettuale e sulle regolamentazioni internazionali sitornerà più avanti nel corso del capitolo441 Si veda: G.Cottino, op.cit., p. 330; V.Di Cataldo, op.cit., p. 15 e p. 21

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

168

dessero loro la possibilità di registrare le loro invenzioni nei Paesi che

desideravano, senza ingenti spese organizzative, che già aveva ispirato la famosa

Convenzione di Unione di Parigi del XIX secolo, ha condotto gli Stati, nel corso

del XX secolo, a concludere una serie di accordi multilaterali che facilitassero la

gestione della materia. Se infatti mancasse una procedura centralizzata a livello

internazionale per gli inventori, la richiesta di brevettazione risulterebbe alquanto

complicata nonché costosa, perché essi dovrebbero depositare, in ogni Stato in

cui vogliono ottenere la tutela, la apposita domanda ed attendere per ognuno

l’esame per l’accertamento dei requisiti richiesti ai fini della concessione della

tutela442.

Così sono state concluse la Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) nel

1973443 e il Trattato di Cooperazione Internazionale in Materia di Brevetti, noto

come Patent Cooperation Treaty (P.C.T.) nel 1970444. Nessuna delle due

convenzioni ha istituito però un vero e completo mezzo di unificazione dei diritti,

perché i diritti ottenuti sia attraverso l’una che attraverso l’altra sono inquadrati in

ciascuno degli ordinamenti per i quali è stata effettuata la domanda: esse danno in

sostanza vita ad un fascio di brevetti, più o meno come accadeva attraverso

l’Arrangement di Madrid per la materia dei marchi.

Un passo avanti concreto sulla strada dell’unificazione potrebbe esser fatto con la

realizzazione della Convenzione sul Brevetto Comunitario (C.B.C.), sottoscritta a

Lussemburgo il 15 dicembre 1975, ripetutamente ripresa e rivista445, ma non

442 Per un quadro generale della normativa internazionale si veda: G.Rocco, op.cit., p. 2; Barzanò& Zanardo, op.cit., p. 63; C.Zizola, La disciplina del Brevetto Europeo. Procedura per la tuteladell’invenzione industriale. Legislazione e formulari, Pirola Editore, Milano 1983, p. 7; F.Benussi,Brevetto (Convenzioni Internazionali), in Digesto Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale II, 1987, p.316; G.Bonasi Beucci, Il Brevetto Internazionale, in Rivista di Diritto Civile, 1970, p. 10443 La Convenzione sul Brevetto Europeo, detta anche Convention sur la délivrance de brevetseuropéens, fu sottoscritta a Monaco di Baviera, in Germania, il 5 ottobre 1973. Su essa si torneràin seguito, nel corso del capitolo, con uno studio più approfondito444 Il Patent Cooperation Treaty fu stipulato a Washington, negli Stati Uniti, il 19 giugno 1970.Anche questo trattato sarà oggetto di un’analisi più approfondita nel corso del capitolo445 La Convenzione fu rivista e il nuovo testo venne nuovamente approvato a Lussemburgo il 15dicembre 1989

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

169

ancora entrata in vigore446. Con essa si avrebbe un brevetto con validità unica ed

uguale su tutto il territorio dell’Unione Europea, affidato ad autorità

giurisdizionali di prima e seconda istanza, dislocate presso le varie corti nazionali.

Tutte queste iniziative si sono sviluppate sulla base dei principi stabiliti

dalla Convenzione di Unione di Parigi, la cui validità non è mai stata messa in

discussione. Per tutte quindi sono da considerarsi validi i principi del trattamento

nazionale, della priorità unionista e della protezione telle quelle. Su ispirazione della

C.U.P., è stato inoltre firmato l’Accordo di Lisbona per la Protezione e la

Registrazione Internazionale della Denominazione d’Origine447, con cui si

consente la protezione dei prodotti tramite la registrazione internazionale presso

l’Ufficio Internazionale di Ginevra448.

Il settore è stato inoltre legittimato a livello mondiale nell’ambito WTO, con la

nascita dei TRIPs, i quali riconoscono i diritti di proprietà intellettuale come

elementi fondamentali di un sistema di innovazione, oggetto di vivo interesse da

parte dell’intera letteratura economica.

In altre aree del mondo infine, si sono sviluppati sistemi simili al C.B.E. o

addirittura con funzioni analoghe a quelle che svolgerebbe il C.B.C. La

Convenzione sul Brevetto Eurasiatico ad esempio, raggruppa i Paesi dell’ex

Unione Sovietica, mentre tra gli Stati africani sono stati conclusi due trattati

multilaterali, la Convenzione O.A.P.I. (Orgasnisation Africaine de la Propriété

Intellectuelle) e la Convenzione A.R.I.P.O. (African Regional Industrial Property

Organization)449. A tutte e tre le suddette Convenzioni possono presentare

446 La Convenzione non è ancora entrata in vigore, allo stato attuale, perché solo una parte degliStati dell’Unione Europea l’ha ratificata: l’Italia è uno degli Stati che lo ha fatto, con legge del 26luglio 1993447 L’Accordo è stato firmato a Lisbona il 31 ottobre 1958 e riveduto a Stoccolma il 14 luglio1967448 La denominazione d’origine è la denominazione geografica di una località, che serve adesignare un prodotto i cui caratteri siano dovuti esclusivamente all’ambiente geografico,compresi i fattori naturali ed umani449 Cfr. H.J.Knight Patent Strategy for Researchers and Research Managers, John Wiley & Sons,Chichester 1996, p. 25

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

170

domanda di brevettazione i cittadini di Paesi diversi da quelli contraenti, come

accade per la Convenzione sul Brevetto Europeo.

4.2.1 L’applicazione della C.U.P. alla disciplina brevettuale

Il diritto di priorità introdotto dalla Convenzione si applica ovviamente

alla materia brevettuale ed i termini sono di dodici mesi per i brevetti

d’invenzione e per i modelli di utilità e di sei mesi per i disegni e i modelli

ornamentali450.

In riferimento alla materia brevettuale, la Convenzione fissa alcuni principi

specifici ed essenziali quali la limitazione dei rifiuti delle domande a specifiche e

fondate motivazioni o l’introduzione della regola secondo cui i brevetti registrai

in assenza di buona fede possono essere annullati. Essa definisce i principi

generali nella lotta contro la concorrenza sleale ed impegna gli Stati ad assicurare

un minimo di protezione ai brevetti all’interno dei loro territori.

Tutte le altre convenzioni fino a questo momento menzionate, dalla C.B.E.

all’Arrangement di Lisbona, costituiscono dei corollari stipulati per alcuni

peculiari istituti, nell’ ambito e sotto i principi generali di cui alla C.U.P.; oltre a

quelle citate si devono almeno menzionare l’Arrangement di Strasburgo,

istituente una classificazione internazionale dei brevetti, stipulato nella cittadina

francese il 24 marzo 1971; la Convenzione di Parigi del 2 dicembre 1961 per la

protezione delle nuove varietà vegetali; l’Arrangement dell’Aja del 6 novembre

1925 in materia di deposito internazionale dei modelli e disegni industriali.

L’ultima fonte in ordine cronologico, la cui importanza è notevolissima, è

l’agreement noto come accordo TRIPs, stipulato in ambito GATT,

450 Sulla Convenzione di Unione di Parigi applicata alla disciplina dei brevetti si veda G.Rocco,op.cit., p. 87; Accord ADPIC, Protection conférée par les brevets, cit., p. 20; L.Ladas, Patents, trademarksand related rights. National and International Protection, volume I, Harvard University Press,Cambridge (Massachusetts), 1975; A.Rossi, La Convenzione di Unione di Parigi e il nuovo ordineeconomico internazionale, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1979, p. 1034

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

171

comprendente una serie di disposizioni ad hoc per la disciplina dei brevetti, tra cui

si tornerà tra breve.

Nel sottolineare la centralità della C.U.P. nel settore della proprietà

intellettuale, si deve altresì ammettere che il suo ruolo è stato notevolmente

ridimensionato dalla creazione dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà

Intellettuale (O.M.P.I. o W.I.P.O451), istituto specializzato delle Nazioni Unite,

con sede a Ginevra, dotato di personalità giuridica di diritto internazionale. Essa

ha il compito di garantire i servizi amministrativi e di promuovere il

miglioramento della tutela della proprietà intellettuale nel mondo.

4.2.2 La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale

Premesso che lo scopo principale dell’accordo riguardante la proprietà

intellettuale in sede OMC era quello di eliminare o quanto meno ridurre il più

possibile le differenze esistenti tra gli ordinamenti nazionali dei vari Stati

partecipanti, il corpo di regole formanti l’accordo TRIPs si presenta come un

codice di norme minime sui diritti di proprietà intellettuale, che i Paesi membri

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno dovuto sottoscrivere e

devono ora seguire. Infatti all’atto della pubblicazione, il comunicato

dell’Organizzazione commentava452:

L’accord reconnaît que la grande diversité des normes en matière de

protection et de respect des droits de propriété intellectuelle et que

l’absence d’un cadre multilatéral de principes, de règles et de disciplines

régissant le commerce international des marchandises de contrefaçon ont

451 L’acronimo W.I.P.O. sta per l’inglese World Intellectual Property Organization. Sulle sueorigini, le sue funzioni e le novità del settore si veda www.wipo.org 452 Accord ADPIC, Protection conférée par les brevets, cit., p. 28

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

172

été à l’origine de tensions de plus en plus fortes dans les relations

économiques internationales453

Ai diritti di proprietà industriale è dedicata l’intera seconda parte454, dopo che

nella prima, dedicata alle disposizioni generali, gli Stati si sono impegnati a

concedere a suddetti diritti una protezione almeno pari a quella conferita dai

TRIPs. In questa prima parte l’articolo 7 sottolinea l’obiettivo dell’accordo stesso

e perciò va considerato come il punto di riferimento per ogni tipo di

interpretazione per i successivi articoli; esso recita: “la protezione e il rispetto dei

diritti di proprietà intellettuale dovrebbe contribuire alla promozione

dell’innovazione tecnologica e al trasferimento e alla diffusione delle tecnologie, a

vantaggio reciproco di coloro che creano e coloro che sfruttano le conoscenze

tecniche e, di conseguenza, al benessere sociale ed economico e ad assicurare un

equilibrio dei diritti e degli obblighi”455.

La parte II dell’accordo è dedicata al diritto d’autore e ai diritti connessi, ai

marchi di fabbrica o di commercio, alle indicazioni geografiche, ai disegni e ai

modelli industriali, ai brevetti, alla topografia, al controllo delle pratiche

anticoncorrenziali e alle licenze contrattuali. Tra le diverse materie oggetto di

studio non vi è alcun tipo di interazione, essendo considerato ogni diritto distinto

ed autosufficiente.

453 “L’accordo riconosce che l’enorme differenza tra gli ordinamenti in materia di protezione erispetto dei diritti di proprietà intellettuale e che l’assenza d’un quadro multilaterale di principi,regole e discipline che reggano il commercio internazionale delle merci di contraffazione hannooriginato una serie di tensioni via via più forti nell’ambito delle relazioni economicheinternazionali” (Traduzione libera)454 L’Accordo TRIPs è strutturato nella maniera seguente: Parte I – disposizioni generali eprincipi fondamentali; parte II – diritti di proprietà intellettuale; parte III – metodi per farrispettare i diritti di proprietà intellettuale; parte IV – ottenimento e mantenimento del diritto;parte V – prevenzione e regolamentazione delle controversie; parte VI – disposizioni transitorie;parte VII – disposizioni istituzionali455 Articolo 7 dell’Accordo TRIPs: per il testo completo dell’accordo si vedano www.wipo.org ewww.wto.org

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

173

Ai brevetti sono dedicati gli articoli dal 27 al 34456. I requisiti necessari perché una

invenzioni possa essere considerata brevettabile sono gli stessi richiesti dalla

maggioranza delle legislazioni nazionali, a cui si sono ovviamente ispirati i

redattori dell’Accordo in sede WTO457. Quando sussistano la novità, l’attività

inventiva e l’applicabilità industriale, un’invenzione potrà essere coperta da

brevetto, anche se la brevettabilità è caratterizzata da alcune eccezioni458,

riguardanti i metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il trattamento di

persone ed animali ed i procedimenti per l’ottenimento di vegetali o di animali,

per i quali, come a livello nazionale, essa è esclusa. Infine, nel novero delle

invenzioni di cui è esclusa la brevettabilità, l’accordo indica quelle la cui

applicazione risulterebbe all’ordine pubblico o al buon costume459.

Una volta stabilito quali invenzioni sono tutelabili, l’articolo 28 indica quali diritti

sono conferiti da un brevetto: se il brevetto ha per oggetto un prodotto, il suo

titolare è legittimato ad impedire a terzi, operanti senza il suo consenso, di

fabbricare, utilizzare, commercializzare e di importare o esportare tale bene; allo

stesso modo se si tratta di un procedimento, il suo titolare può vietare a terzi la

commercializzazione sia del procedimento che del prodotto ottenuto con qual

metodo brevettato460. Ai sensi dello stesso articolo 28 il titolare ha la facoltà di

concedere o di concludere contratti di licenza.

Per ottenere la tutela, il titolare dell’invenzione dovrà depositare un fascicolo

contenente un’adeguata descrizione, esaustiva a tal punto che qualsiasi tecnico

possa, attraverso tali indicazioni, riprodurre fedelmente l’invenzione brevettata461.

456 Cfr. S.Sandris, GATT. I brevetti nei TRIPs (protezione brevetti, standard minimi di protezione, tutelagiurisdizionale, violazione dei diritti di proprietà intellettuale, contenuto dei diritti di brevetto), in DirittoIndustriale, 1995, p. 338457 L’articolo 27 definisce l’oggetto brevettabile e indica i tre requisiti richiesti perchéun’invenzione possa essere suscettibile di essere brevettata458 Articolo 27, terzo comma459 Articolo 27, secondo comma460 Ai sensi dell’articolo 30, devono essere considerate lecite e quindi non ostacolate ad opera deltitolare le utilizzazioni sperimentali o puramente accademiche del procedimento oggetto dibrevetto. Ovviamente quando si scopra che tale tipo di utilizzo è finalizzato ad un’illecitacommercializzazione, il titolare sarà autorizzato ad intervenire con un’azione di contraffazione461 Articolo 29

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

174

La durata della protezione non è dettata in modo univoco dall’Accordo, che si

limita ad imporre a quegli Stati che concedono tutele di durata inferiore ai venti

anni, di estendere il periodo, da calcolarsi a decorrere dalla data di deposito della

domanda. Si tratta di una disposizione molto importante soprattutto se si

considera la sua natura “aperta”, facilmente modificabile in un eventuale nuova

negoziazione, a favore di una tutela di durata superiore. Infine, mentre l’articolo

34 riguardante le azioni di contraffazione, affida il carico della prova al titolare del

brevetto, tutto l’articolo 39 è dedicato alle informazioni non divulgate, la cui tutela

è esclusivamente affidata al segreto aziendale462.

Tutte le disposizioni sui brevetti, così come quelle riguardanti i marchi d’impresa

piuttosto che il diritto d’autore, sono ulteriormente tutelate dalle disposizioni

contenute nella terza parte dell’accordo, riguardanti i metodi ed i modi per far

rispettare i diritti di proprietà intellettuale463 e costituente uno dei tre pilastri

essenziali di tutta la legislazione sulla proprietà intellettuale. Gli Stati si impegnano

così ad adottare procedure che permettano un’azione puntuale ed efficace contro

ogni tipo di attacco ai diritti di privativa; sono comprese le misure di correzione

rapida destinate a correggere eventuali squilibri o minacce ai suddetti diritti, senza

rischiare di scoraggiare il commercio internazionale. Tutte le procedure messe in

atto dagli Stati dovranno essere equilibrate e giustificate, non dovranno essere

particolarmente complesse e costose e non dovranno comportare ritardi

ingiustificati o rallentare inutilmente le procedure.

La speranza è che, con il tempo ed il progressivo adeguamento degli Stati

alle sue disposizioni, l’accordo TRIPs possa risultare un strumento efficace per

l’armonizzazione delle legislazioni di tutti i Paesi aderenti.

462 Sul know-how, si veda: Accord ADPIC, Protection Conférée par les brevets, cit., paragrafo 2 :Protection des renseignements non divulgués, p. 34463 Ivi, p. 35

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

175

4.2.3 Il Patent Cooperation Treaty

Il Trattato di cooperazione internazionale in materia di brevetti (Patent

Cooperation Treaty – P.C.T.) è stato sottoscritto a Washington il 19 giugno 1970

ed è entrato in vigore il 24 gennaio 1978464. Si tratta di un trattato multilaterale

gestito dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale465, con sede a

Ginevra, a cui partecipano circa un centinaio di Stati, basato essenzialmente su tre

punti o prerogative: presentazione di una domanda internazionale, effettuazione

di una ricerca internazionale ed effettuazione di un esame preliminare

internazionale.

Con esso non viene istituita un’autorità centrale centralizzata per il rilascio di

brevetti di portata internazionale, ma viene unificata la fase iniziale del deposito

della domanda: attraverso un unico deposito la domanda produce gli stessi effetti

in tutti gli Stati aderenti. Si deposita la domanda di brevetto in un determinato

464 Sul P.C.T. cfr. PCT Guide du Déposant, Volume 1/A, Phase International – Informations générales àl’intention des utilisateurs du Traité de Coopération en matière de brevets, a cura dell’OrganizzazioneMondiale per la Proprietà Intellettuale, 2003; Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 64; G.Rocco, op.cit.,p. 89; Studio Torta, op.cit., p. 68; Accord ADPIC, Protection Conférée par les brevets, cit., p. 20;A.Vanzetti e V.Di Cataldo, op.cit., p. 435; R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 661; B.C.Reid, A PracticalGuide To Patent Law, Third Edition, Sweet & Maxwell, Londra 1999, p. 180; V.Di Cataldo, op.cit.,p. 168; H.Jackson Knight, op.cit., p. 25; W.R.Cornish, Intellctual Property, Fourth Edition, cit., p. 109;F.Benussi, Il Patent Cooperation Treaty: la procedura avanti l’Ufficio europeo dei brevetti e i vantaggi della viaEuro-PCT, in Rivista di Diritto Industriale, 1985, p. 262465 L’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (O.M.P.I. in francese, W.I.P.O. ininglese) è un organismo internazionale collegato all’organizzazione delle Nazioni Unite, chesovraintende alle azioni di tutela dell’intelletto messe in opera da tutti i Paesi aderenti. Essa, diconcerto con gli Stati che ne fanno parte, sviluppa un’attività direttrice in appoggio a tutti glisforzi concreti nel mondo e finalizzato alla creazione di una congiuntura favorevole allosviluppo dell’attività creativa ed innovatrice. La maggioranza dei trattati riguardanti la proprietàintellettuale e firmati a livello mondiale, tra cui alcuni citati in questo studio, sono stati stipulatigrazie all’attività continua e pianificatrice dell’O.M.P.I: ad esempio i TRIPs, firmati in sedeWTO, sono stati conclusi sotto gli auspici dell’Organizzazione, senza il cui interventodifficilmente si sarebbe potuto raggiungere un livello tanto elevato di cooperazioneinternazionale. Sulle origini e l’evoluzione storica, sulle sue atività e sui trattati conclusi sotto lasua egida si veda www.wipo.org

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

176

Paese aderente al trattato ed è come se si fosse depositata la domanda in tanti

Stati quanti sono quelli in cui si vuole ottenere la protezione466.

L’Ufficio di Ginevra fornisce inoltre a chiunque voglia procedere al deposito per

l’ottenimento del brevetto una serie di importanti informazioni, frutto di una

ricerca effettuata a livello internazionale, riguardante la novità dell’invenzione,

nonché un parere non vincolante sulla brevettabilità della stessa: si tratta di un

validissimo aiuto, in quanto la valutazione viene effettuata a monte delle vere

procedure d’esame, che rimangono di competenza delle autorità nazionali o

regionali. La domanda viene presentata presso l’Ufficio nazionale del Paese di cui

il richiedente ha la residenza467 ed esso, dopo un primo esame formale, invia

copia della richiesta all’Ufficio Internazionale di Ginevra e all’Ufficio incaricato

della ricerca468. In base alle informazioni ottenute dalla ricerca ed inviate al

depositante, quest’ultimo avrà la possibilità di modificare le rivendicazioni in

funzione dei risultati della ricerca; una volta scaduto il termine di diciotto mesi dal

deposito della domanda, la stessa verrà pubblicata e il titolare dovrà decidere se

abbandonare la procedura P.C.T. per seguire la più tradizionale via dei depositi

multipli nazionali469, o se invece proseguire sulla stessa strada e richiedere l’esame

internazionale.

Qualora il titolare decida di non abbandonare la procedura internazionale, potrà

decidere di designare brevetti regionali, validi cioè per un gruppo di Stati

appartenenti ad un Organizzazione a carattere regionali, che si occupi di

registrazione e tutela brevettuale. Le organizzazioni regionali accreditate sono

l’Organizzazione Europea dei Brevetti (O.E.B.), l’African Regional Property

466 Il PCT Guide du Déposant, parla di “fase internazionale” e “fase nazionale”, le quali, pur nonfigurando nel trattato, risultano essere espressioni comode e succinte per fare riferimento all’unao all’altra fase467 Contestualmente al deposito della domanda presso l’Ufficio nazionale, si deve effettuare ilpagamento delle tasse iniziali, in euro, su un conto estero riconosciuto dall’Ufficio internazionale468 Per un cittadino dell’Unione Europea, l’Ufficio incaricato della ricerca è l’Ufficio Europeo deiBrevetti469 Se il titolare decide di abbandonare la procedura P.C.T. e seguire la via dell’esame separatoper i vari Paesi, avrà un tempo massimo di venti mesi dalla data di priorità per depositare irelativi depositi

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

177

Organization (A.R.P.O.), l’Organisation Africaine pour la Proprietà Intellectuelle

(O.A.P.I.) e l’Eurosian Patent Office (E.P.O.).

La seconda fase, consistente in un esame internazionale, preventivo al rilascio del

brevetto internazionale, ha inizio con la presentazione della richiesta di esame,

presentata al diciottesimo mese dal deposito della domanda. L’esame sui requisiti

di brevettabilità è basato sulla valutazione della novità, dell’originalità e

dell’industrialità dell’invenzione, senza che si entri nelle particolarità delle diverse

norme nazionali470. Il rapporto dell’Ufficio di Ginevra, trasmesso alle autorità

competenti nazionali, può essere accettato tout cour oppure essere oggetto di

ulteriori esami, preventivi al giudizio definitivo.

Da questa sintetica analisi procedurale, emerge con chiarezza la netta

differenza tra questo sistema e quello previsto dalla C.B.E.: mentre il brevetto

europeo è conferito da un’autorità centrale ed ha la stessa validità in ognuno degli

Stati aderenti alla Convenzione, il P.C.T. risolve esclusivamente il problema della

ricerca e raccoglie un’adeguata documentazione, la quale però sarà trasmessa alle

autorità centrali, perché ad esse compete la decisione finale sul rilascio o meno

del titolo brevettuale. Ciò che si ottiene seguendo la procedura P.C.T. è un fascio

di brevetti piuttosto che un titolo unitario, come accade, in materia di marchi, con

l’Arrangement di Madrid ed il relativo Protocollo.

Come si vedrà analizzando nello specifico anche la Convenzione sul Brevetto

europeo, le differenze tra le due si appiattiscono guardando al profilo territoriale

del brevetto concesso: nessuna delle due Convenzioni costituisce un mezzo di

unificazione completa dei diritti di brevetto, perché le esclusive che si ottengono

tramite queste due procedure rimangono inquadrate in ciascuno degli ambiti

territoriali per i quali sono state richieste. Così le tasse di mantenimento hanno

matrice nazionale, il brevetto conferisce diritti dettati dall’ordinamento dello Stato

in cui è fatto valere e sulla base di esso è soggetto a revoca su base nazionale.

470 La verifica internazionale di validità non sostituisce gli esami internazionali ma li integra

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

178

Un decisivo passo avanti sulla strada dell’unificazione potrebbe essere compiuto

con l’entrata in vigore della Convenzione sul Brevetto Comunitario, che

conferirebbe una vera privativa unitaria e sopranazionale, concessa con una

procedura unica e affidata ad un’autorità giurisdizionale unitaria, dislocata presso

le varie corti nazionali471.

4.2.4 Una scelta tra diverse procedure

Quando si dovrà scegliere la procedura P.C.T. e quando sarà meglio

optare per una serie di depositi nazionali o per un brevetto europeo? Il ventaglio

di possibilità per proteggere un’invenzione si allarga progressivamente e chi si

trovi di fronte a questo dilemma dovrà valutare attentamente costi e benefici

dell’una e dell’altra alternativa, per scegliere la procedura che meglio si adatta alle

sua necessità.

Innanzitutto rimane valida la più “antica” delle possibilità, consistente nel

depositare tante domande nazionali quanti sono i Paesi in cui si vuole ottenere la

tutela. Oppure si può richiedere un brevetto europeo e depositare domande

nazionali separate per i Paesi non europei; alternativamente si possono sfruttare

congiuntamente il sistema P.C.T. ed il brevetto europeo, richiedendo il brevetto

del piano P.C.T. ed includendovi il brevetto europeo, in modo da avere la stessa

domanda di protezione anche per Paesi come Stati Uniti, Giappone, Brasile,

Australia ed altri. Infine si può optare inizialmente per un primo deposito a livello

nazionale, contando poi sui dodici mesi concessi per depositare domanda di

brevetto europeo o sul piano P.C.T. Quest’ultima è di gran lunga la strada più

consigliata472.

Ogni procedura ha i suoi interlocutori principali ed ideali: spetterà ad ogni

richiedente individuare quale sistema si conformi meglio alle sue necessità: la

471 Sulla Convenzione sul Brevetto Comunitario, sottoscritta a Lussemburgo nel 1975 enuovamente approvata nel 1989, si tornerà nel paragrafo successivo472 Studio Torta, op.cit., p. 70; G.Rocco, op.cit., p. 92; Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 71

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

179

Convenzione P.C.T. risulta ad esempio vantaggiosa quando gli interessi del

titolare siano prettamente extra-europei ed il numero di Stati per i quali si voglia

fare richiesta risulti elevato, almeno superiore a dieci. Infatti il P.C.T. offre una

semplificazione ed un’accelerazione delle procedure, ma comporta un aumento

complessivo dei costi.

È preferibile una prima domanda di base nel Paese d’origine, piuttosto che

effettuare subito, come domanda di base, una domanda di brevetto europeo: il

costo in questo secondo caso risulterebbe maggiore e i brevetti stranieri

avrebbero una durata inferiore di un anno rispetto all’estensione del termine di

priorità.

Quand’anche si decida di seguire i consigli più diffusi ed effettuare il deposito di

base a livello nazionale per poi decidere, si è approssimativamente calcolato che

risulta conveniente scegliere il brevetto europeo piuttosto che una serie di

brevetti nazionali solo quando i Paesi designati sono almeno quattro.

A seconda del campo d’azione e delle disponibilità finanziarie a disposizione,

ogni impresa o soggetto che intenda richiedere una tutela brevettuale, dovrà

attentamente vagliare tutte le possibilità ed optare per quella che meglio risponde

alle sue necessità.

4.3 IL BREVETTO EUROPEO

Parlando di convenzioni internazionali, inerenti la materia brevettuale, si

sono appositamente tralasciati i due strumenti più significativi adottati già negli

anni ’70 e aventi una particolare valenza a livello europeo. Si tratta della

Convenzione sul Brevetto Europeo e della Convenzione sul Brevetto

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

180

Comunitario, di cui solo la prima entrata a tutti gli effetti in vigore e

funzionante473.

Attraverso la loro analisi, si ripercorrerà l’evoluzione dell’intervento comunitario

in materia e lo si confronterà con l’azione dell’Unione nel campo dei marchi, a

detta di molti più efficace e punto di riferimento per il sistema dei brevetti.

4.3.1 La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo

La Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) è stata sottoscritta a

Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973 ed è entrata in vigore il 7 ottobre 1977, con

un primo gruppo di sette Stati contraenti, a cui si sono progressivamente aggiunti

i nuovi aderenti alle Comunità, cosicché ad oggi sono diciannove gli Stati membri

della Convenzione474; con sei Paesi dell’area europea centro-orientale sono stati

stipulati speciali accordi per l’estensione territoriale della protezione conferita dal

brevetto europeo475. L’Italia ha aderito alla convenzione fin dall’origine,

ratificandola però solo nel ’78 con la legge n° 260 del 26 maggio ed emanando la

normativa di attuazione nazionale con il D.P.R. n° 32 dell’8 gennaio 1979476.

473 Bibliografia di riferimento: R.Malaman, Brevetto e politica dell’innovazione. Organizzazione e funzionidell’Ufficio Brevetti, Il Mulino, Bologna, 1991; G.Paterson, The European Patent System. The Law andPractice of the European Patent Convention, Sweet & Maxwell, Londra 1997; G.Paterson, A conciseGuide to European Patents: Law and Practice, Sweet & Maxwell, Londra 1995; R.Singer e M.Singer,op.cit.; B.C.Reid, op.cit.; A.Bianchi, Archimede in Europa. Guida al Brevetto Europeo. Presentazione diM.S.Cinquegrani, Elea Press, Milano 1997; Come ottenere un brevetto europeo. Guida per il richiedente, acura dell’Ufficio Europeo dei Brevetti, Terza edizione aggiornata al 1999; C.Zizola, op.cit.;M.Ammendola, La brevettabilità nella Convenzione di Monaco, Giuffrè, Milano 1981; F.Benussi,Brevetto Europeo, in Digesto Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale II, 1987, p. 323; L.Liuzzo,Cenni sul brevetto comunitario, in Rivista di Diritto Industriale, 1981, p. 334; M.Barbuto, Brevetto europeoe brevetto comunitario, in Consulente d’Impresa, 1998, p. 25; Muir, Brandi, D’Ohrn, Gruber, EuropeanPatent Law. Law and Procedure under the EPC and PCT, Oxford University Press, Oxford 1999;R.De Luca, Le piccole e medie imprese italiane al penultimo posto in Europa nella registrazione dei brevetti, inIl Diritto Industriale, n° 4/2000, p. 324474 Stati aderenti alla C.B.E.: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,Grecia, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco, Paesi Bassi, Portogallo, RegnoUnito, Spagna, Svezia, Svizzera475 Stati con cui è in vigore uno speciale accordo di estensione: Albania, Lettonia, Lituania,Macedonia, Romania, Slovenia

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

181

Lo scopo e le finalità perseguite dalla Convenzione sono di provvedere

alla protezione delle invenzioni negli Stati contraenti, nel modo più facile,

economico ed affidabile possibile, mediante la messa a punto di un’unica

procedura europea per il rilascio dei bevetti, sulla base di un corpo omogeneo di

leggi brevettuali fondamentali. In questo modo si sarebbe risolto il problema dei

depositi plurimi: a tal fine la Convenzione crea una procedura unificata di rilascio

del brevetto, conseguente ad un esame preventivo, da parte di un Ufficio

Europeo dei Brevetti, istituito dalla Convenzione stessa e stabilito a Monaco di

Baviera477, in Germania. In precedenza infatti, il richiedente che avesse voluto

ottenere la tutela per la sua invenzione in ognuno dei Paesi in cui intendeva

renderla pubblica, doveva affidarsi alle varie legislazioni nazionali, perdendo tra il

resto notevole tempo e sforzi , nel tentativo di comprenderne a pieno le varie

differenze e sfaccettature. Tra i vari Stati infatti le differenze a livello di tutela

brevettuale erano notevoli, sia con riferimento alla procedura da seguire per

ottenere il brevetto stesso, sia per quanto concerne i diritti di tutela così concessi:

tali differenze non sono state ovviamente intaccate né tanto meno abolite dalla

CBE, la quale iniziò a presentarsi con un’alternativa, facilitata, ai suddetti depositi

plurimi. Per un tentativo organico ed efficace di armonizzazione dei vari sistemi

nazionali appartenenti ai Paesi membri si dovrà attendere ancora qualche anno,

fino alle direttive di armonizzazione della fine degli anni ’80.

La procedura messa in piedi dalla Convenzione sul Brevetto Europeo

risulta piuttosto elaborata, soprattutto con riferimento all’esame della domanda e

all’eventuale opposizione al rilascio. Da un punto di vista prettamente giuridico,

la Convenzione si configura come un accordo internazionale, da interpretarsi

secondo i principi del diritto internazionale: benché essi si siano tradizionalmente

sviluppati nel diritto internazionale pubblico, sono considerati validi ed applicabili

non solo agli accordi che regolano i rapporti tra Stati, ma anche a quelli che

476 La normativa di attuazione è stata modificata con il D.P.R. n° 338 del 22 giugno 1979477 Benché si parli sempre dell’Ufficio di Monaco, le sedi dell’Ufficio Brevetti Europeo sono tre:Monaco appunto, L’Aja e Berlino

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

182

creano direttamente diritti ed obblighi per persone fisiche e giuridiche, come è il

caso della Convenzione in esame478.

Come previsto dall’articolo 64 della Convenzione, un brevetto europeo

conferisce al suo titolare, in ogni Paese contraente per il quale è rilasciato, un

insieme di diritti uguali a quelli che deriverebbero da una concessione di brevetto

nazionale. Il titolo concesso si configura più come un fascio di diritto che come

un unico ed unitario brevetto, efficace per l’intero territorio di tutti i Paesi

aderenti. Questo fascio di brevetti forma un tutt’uno fino a quando la procedura

di concessione non si sia conclusa e si scompone in una serie di brevetti nazionali

dopo che essa sia terminata. È infatti il giudice nazionale che valuta le eventuali

contraffazioni e nullità: nonostante ciò esso è vincolato alla normativa

convenzionale, riguardante la nozione di invenzione brevettabile, i requisiti per la

brevettabilità, i soggetti di diritto, le cause per la nullità e la procedura di

concessione del brevetto: su tali aspetti la Convenzione ha previsto norme di

omogenea applicazione negli Stati aderenti, a volte divergenti dalle normative

nazionali.

In riferimento ai rapporti con le altre convenzioni internazionali479, la

C.B.E. costituisce un particolare accordo nello spirito della Convenzione di

Unione di Parigi: le norme di quest’ultima sulla priorità unionista e sul principio

di trattamento nazionale troveranno in essa puntuale applicazione. Inoltre, poiché

essa si configura come un trattato di natura regionale, i brevetti europei possono

essere rilasciati in seguito ad una domanda internazionale, in conformità con le

norme del Patent Cooperation Treaty480. In particolare con la procedura Euro-

PTC è possibile ottenere un brevetto valido per tutti i Paesi aderenti alla C.B.E.,

con un solo deposito PTC481. Essa costituisce inoltre il fondamento della

478 La dottrina definisce tali accordi “law-making treaties” o “traités-lois”479 Cfr. Come ottenere un Brevetto europeo, cit., p. 4480 Il CBE si inserisce nell’ambito previsto dall’articolo 45 del Trattato di Cooperazione suiBrevetti (PCT)481 Si tratta della cosiddetta fase internazionale del sistema PTC: cfr. PTC Guide du dépostant, cit.;F.Benussi, Il Patent Cooperation Treaty, cit.

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

183

Convenzione sul Brevetto Comunitario, firmata con l’intento di superare i limiti

della Convenzione in esame, ma non ancora entrata in vigore a causa della ritrosia

degli Stati su alcuni aspetti procedurali482.

Infine non si dimentichi che, in piena conformità con la natura dei

rapporti tra diritto comunitario e legislazioni nazionali, la Convenzione non

pregiudica l’esistenza dei brevetti nazionali e dei relativi Uffici. L’articolo 2 della

Convenzione stabilisce infatti che “in ciascuno degli Stati contraenti per i quali

esso è concesso, il brevetto europeo ha gli stessi effetti ed è soggetto alle

medesime regole di un brevetto nazionale concesso in questo Stato, salvo che la

presente Convenzione non disponga altrimenti”483: si deve quindi ritenere che il

sistema giuridico europeo non si sostituisca ai diritti nazionali, ma costituisca un

nuovo sistema brevettuale con quelli coesistente. Così il titolare rimane libero di

scegliere tra una serie di depositi presso ognuno dei Paesi per i quali richiede la

tutela e l’iter europeo che, con un solo deposito presso un unico Ufficio,

conferisce la tutela in ognuno dei Paesi designati dal titolare stesso. Non si

dimentichi che tali strade si possono intrecciare con il sistema P.C.T., allorché i

Pesi individuati siano anche membri del Patent Cooperation Treaty: in tal caso la

scelta si allargherà e il titolare potrà optare per la via europea diretta o per il

sistema Euro-P.T.C..

Come si diceva poc’anzi, l’Organizzazione Europea dei Brevetti

(O.E.B.)484, istituita dalla omonima Convenzione, ha stretto accordi di

cooperazione con diversi Paesi non aderenti alla C.B.E.; si tratta di un sistema di

estensione che offre ai richiedenti dei brevetti europei una tutela anche in questi

Paesi, in modo semplice e redditizio. In essi i brevetti avranno gli stessi effetti

delle domande e dei brevetti nazionali e beneficeranno della stessa tutela conferita

dall’Ufficio Europeo dei Brevetti nei Paesi membri dell’U.E.B.. Si prevede che, in

482 Per un’analisi dettagliata della C.B.C. si rimanda ai paragrafi successivi, ad essa dedicati483 Articolo 2 comma 2 della Convenzione484 Sull’Organizzazione Europea dei brevetti si veda il paragrafo 4.3.2 del presente lavoro

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

184

un prossimo futuro, molti altri Paesi si affiancheranno agli attuali sei con cui tali

accordi sono attualmente in vigore.

4.3.2 L’Organizzazione Europea dei Brevetti

La Convenzione istituisce, all’articolo 4, l’Organizzazione Europea dei

Brevetti, centro operativo e cuore direzionale dell’intero sistema485. All’articolo 4

vengono enunciati i presupposti organizzativi per la realizzazione dell’intero

sistema europeo dei brevetti: l’istituzione di un’organizzazione nuova ed

autonoma risultava necessaria per l’attuazione degli scopi che gli Stati contraenti

si erano prefissati e, poiché l’ambito territoriale dei suoi Stati membri andava oltre

quello della Comunità Europea, tale organizzazione non poteva essere inserita in

quest’ultima. Parimenti l’O.M.P.I. non risultava adatta, avendo essa portata

mondiale e prescrivendo al contrario l’articolo 166 della Convenzione che ad essa

potessero aderire unicamente Stati del vecchio continente.

Così si optò per un’organizzazione nuova486, dotata di autonomia amministrativa

e finanziaria, composta da due organi, l’Ufficio Europeo dei Brevetti e il

Consiglio di Amministrazione, i cui compiti sono rispettivamente quello di

concedere i brevetti per invenzione e controllare l’attività dell’Ufficio stesso.

L’articolo 5 stabilisce che l’Organizzazione possiede personalità giuridica, vale a

dire che essa può operare giuridicamente e compiere attività economiche,

ponendosi, in linea di massima, sullo stesso piano della maggior parte delle

organizzazioni internazionali. Per quanto riguarda la sua rappresentanza, si è

prevista la persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione che opera

esclusivamente per gli scopi perseguiti dall’Organizzazione stessa.

La sede dell’Organizzazione è fissata, dall’articolo 6 intitolato alla sede, a Monaco

di Baviera, cosicché i due organi che la compongono si stabiliscono in

485 Si ricordi l’appellativo inglese dell’Organizzazione, più famoso e diffuso a livellointernazionale: European Patent Organization (E.P.O.) 486 Sull’O.E.B. cfr.: R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 17; F.Benussi, Brevetto Europeo, cit., p. 324

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

185

Germania487. Originariamente erano state proposte e discusse le candidature di

tre città: Monaco, l’Aja e Londra. Perciò si è stabilito di mantenere anche un’altra

sede dell’Organizzazione a l’Aja, in cui hanno sede la Sezione di deposito e le

Divisioni di Ricerca. Infine il Protocollo sulla centralizzazione488 istituisce una

agenzia distaccata dell’U.E.B. a Berlino, incaricata delle ricezione di tutti i

documenti indirizzati all’U.E.B. e della gestione dei pagamenti delle tasse489.

Infine a partire dal 1° gennaio 1991 è in funzione a Vienna un centro di

documentazione INPADOC, creato come centro di documentazione brevettuale

e assorbito dall’U.E.B. in seguito ad un accordo con l’Austria.

Per quanto concerne le lingue dell’Ufficio europeo dei brevetti, la

Convenzione distingue, in linea di principio, tra lingue ufficiali, lingua della

procedura e lingua ufficiale di uno Stato membro, diversa da inglese, francese e

tedesco. Le tre lingue ufficiali sono l’inglese, il francese e il tedesco e in una di

esse devono essere depositate le domande di brevetto europeo. Esistono

comunque varie eccezioni a questa regola generale, che permettono ad esempio

ad un soggetto domiciliato in uno Stato membro la cui lingua ufficiale sia diversa

da una delle tre sopra citate, di depositare la domanda nella propria lingua490.

Qualora una di queste ipotesi venga sfruttata e la domanda sia presentata in una

lingua diversa da inglese, francese o tedesco, il titolare avrà un margine di tre

mesi491, decorrenti dalla data di ricevimento della domanda e di pubblicazione nel

Bollettino Europeo dei brevetti, per presentare una traduzione, dichiarata

perfettamente conforme al testo originale, in una delle tre lingue ufficiali. La

487 La C.B.E è uno dei rari accordi internazionali nei quali la sede degli uffici amministrativi daessi creati era già stata fissata prima dell’entrata in vigore dell’accordo488 Il Protocollo sulla centralizzazione, redatto in virtù dell’articolo 164 della Convenzione, necostituisce parte integrante e le sue disposizioni hanno, a tutti gli effetti, la stessa importanzadelle disposizioni contenute nella C.B.E. 489 Inizialmente l’Agenzia di Berlino era unicamente competente per la esecuzione delle ricerche;con un decreto del 1989 il Presidente dell’U.E.B. ha esteso le competenze dell’agenzia490 Eccezione prevista dal secondo comma dell’articolo 14 della Convenzione. Per le altraeccezioni si dia uno sguardo d’insieme all’intero articolo491 Il limite temporale di tre mesi entro i quali il titolare deve depositare la traduzione non devecomunque superare i tredici mesi decorrenti dalla prima data di priorità. Se la traduzione non èpresentata in tempo utile, la domanda di brevetto europeo si considererà ritirata

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

186

lingua scelta fin dall’inizio per il deposito della domanda o in seguito, per la sua

traduzione, sarà considerata la lingua della procedura per l’intero procedimento

davanti all’U.E.B492.

Quello delle lingue, apparentemente semplice e degno di poca attenzione, è stato,

al contrario delle previsioni, uno dei problemi più spinosi e oggetto di discussione

tra gli Stati, nel corso degli anni. E’ infatti inimmaginabile l’impatto che il

problema delle lingue e delle relative traduzioni può avere sulla complessità dei

costi, che gli eventuali richiedenti devono sostenere: a difesa di questi ultimi gli

Stati si sono mossi, dando vita ad un acerrimo e continuo dibattito, che nel caso

della successiva Convenzione sul Brevetto Comunitario, ha paralizzato l’intero

procedimento per ben più tempo.

4.3.3 La procedura per il rilascio di un brevetto europeo

La Convenzione sul Brevetto Europeo ha dato vita ad un sistema

legislativo unitario che regola non solo gli aspetti formali e procedurali del

deposito delle domande, ma anche quelli di natura sostanziale, definendo le

invenzioni brevettabili ed individuando i principi di brevettabilità.

I brevetti europei sono concessi per qualsiasi invenzione che sia nuova,

suscettibile di applicazione industriale e che implichi un’attività inventiva. Poiché

le normative nazionali degli Stati dell’UE sono state rimodellate sulla base delle

indicazioni della presente Convenzione, l’analisi dei requisiti di brevettabilità fatta

in precedenza può essere considerata pienamente valida ed efficace a livello

convenzionale.

La domanda di brevetto europeo può essere depositata da qualunque persona

fisica o giuridica, indipendentemente dalla nazionalità o dal luogo di residenza.

Chiunque la effettui avrà il dovere di indicare con precisione i Paesi nei quali

desidera essere tutelato. In qualunque momento, fino al rilascio del brevetto, è

492 La possibilità di mutare la lingua in corso di procedura è stata soppressa a partire dal 1°giugno 1991, con lo scopo di semplificare e velocizzare la procedura

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

187

possibile ritirare la designazione di un Paese contraente, mentre non è possibile

aggiungere alla lista Paesi che non siano stati indicati nella prima richiesta di

concessione.

Tutto l’iter procedurale inizia quindi con il deposito della domanda da parte del

richiedente. La domanda deve contenere una richiesta di rilascio di brevetto

europeo, una descrizione dell’invenzione che inizi con un titolo e precisi il ramo

della tecnica cui si riferisce l’invenzione nonché lo stato della tecnica ad esso

anteriore, una o più rivendicazioni che definiscano l’oggetto della tutela, eventuali

disegni a corredo della descrizione e delle rivendicazioni ed un riassunto. La

domanda così redatta deve essere depositata direttamente o per posta all’Ufficio

Europeo di Monaco di Baviera o, alternativamente, presso la sede distaccata

dell’Aja nonché presso l’Ufficio Centrale Brevetti493. Il titolare potrà scegliere

anche di depositare la domanda con i relativi documenti presso

un’amministrazione nazionale, la quale provvederà a darne tempestiva notizia

all’Ufficio Europeo dei Brevetti, il quale comunicherà al titolare la data in cui la

domanda è pervenuta, da considerarsi data ufficiale di deposito.

Pervenuta la domanda di deposito, la sezione di deposito si occupa dell’esame

sulla regolarità formale della domanda, per attribuirle una data di deposito dalla

quale la domanda europea produce gli stessi effetti di una domanda di brevetto

nazionale494. Contemporaneamente all’esame formale, hanno luogo i lavori di

ricerca con i quali l’U.E.B. ricerca, tra brevetti e domande di brevetto pubblicate

in un gran numero di Paesi e tra pubblicazioni tecniche e scientifiche, quale sia la

tecnica anteriore più pertinente all’invenzione in esame. Entrambi i rapporti così

redatti sono inviati al richiedente, perché decida, in base a tali conclusioni, se

continuare o meno la procedura. Egli potrà abbandonare totalmente la procedura

in caso gli esiti della ricerca siano totalmente sfavorevoli, oppure limitare

493 Si ricordi che questo deposito internazionale può essere il primo; nel caso in cui esista inveceuna domanda nazionale presentata anteriormente, il deposito in questione deve avvenire entro iltermine di priorità riconosciuto, cioè entro dodici mesi494 Articolo 6 della C.B.E.

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

188

adeguatamente la portata della propria domanda495. Si ricordi che, trascorsi

diciotto mesi dalla data di deposito o, nel caso in cui sia rivendicata una priorità,

trascorsi diciotto mesi da questa, la domanda di brevetto viene pubblicata, nella

lingua ufficiale scelta all’atto del deposito. L’obiettivo è quello di informare

l’industria sullo stato della tecnica, secondo lo scopo dell’istituto brevettuale.

Esplicate queste fasi preparative, ha inizio la vera e propria fase dell’esame

dell’invenzione, che si apre quando il titolare faccia richiesta di esame con relativo

pagamento di tassa. La divisione di esame competente a questo punto analizza la

domanda e verifica la sussistenza dei requisiti di brevettabilità, quali richiesti

dall’articolo 94 della Convenzione e, se l’esame dà esito positivo, notifica al

richiedente il testo sul quale intende concedere il brevetto, invitando quest’ultimo

al pagamento delle tasse dovute. Entro tre mesi dovranno essere corrisposte le

tasse di concessione, di stampa del fascicolo di brevetto e dovranno essere fornite

le traduzioni delle rivendicazioni nelle due lingue ufficiali diverse da quella

utilizzata durante l’intero iter496. Espletati questi compiti, il brevetto verrà

concesso.

Si tratterà di un fascio di brevetti nazionali, simili a quelli che il titolare

potrebbe ottenere attraverso una serie di depositi plurimi presso ognuno degli

Stati per i quali ha effettuato la rivendicazione durante la procedura U.E.B. Il

brevetto europeo ha quindi gli stessi effetti, in ogni Paese, di un brevetto

nazionale rilasciato dall’Ufficio Nazionale Brevetti di quel Paese e ogni

interferenza sarà valutata sulla base della legislazione dello Stato in cui essa si

verifica. La durata del brevetto europeo, o meglio dei vari brevetti nazionali, è di

venti anni, decorrenti dalla data di deposito di domanda di brevetto europeo.

495 Poiché esiste per il titolare l’opportunità di continuare o meno sulla strada dellabrevettazione, il sistema prevede che la tassa di esame, che avvia la vera e propria procedura diesame di merito, possa essere versata dopo aver ricevuto l’esito della ricerca496 La maggior parte dei Paesi aderenti alla C.B.E. ha richiesto il deposito al relativo UfficioBrevetti Nazionale della traduzione del testo del brevetto nella sua lingua ufficiale, quandodiversa da una delle tre lingue ufficiali della Convenzione

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

189

Contro la concessione di un brevetto europeo, entro un termine massimo

di nove mesi dalla data di pubblicazione497, chiunque può presentare opposizione

scritta al rilascio, di fronte alle divisioni competenti, senza essere tenuto a

dimostrare che il brevetto in questione costituisca per lui un pregiudizio o che

egli abbia un interesse specifico sul caso498. Devono ovviamente sussistere valide

ragioni perché l’opposizione sia accolta ed analizzata: tra esse la mancanza di

brevettabilità per l’insussistenza di uno dei tre requisiti di cui all’articolo 94, la

non sufficiente chiarezza della descrizione, tanto da pregiudicare la realizzazione

pratica dell’invenzione da parte di una persona esperta del settore o l’estensione

dell’oggetto del brevetto oltre il contenuto della domanda così come è stata

depositata. L’esame dell’opposizione compete alla relativa Divisione di

Opposizione, la quale, informato il titolare e concessogli un periodo sufficiente

per apportare eventuali modifiche, esaminerà le motivazioni addotte e potrà dar

luogo alla revoca totale o parziale del brevetto oppure constatarne la validità,

respingendo l’opposizione per l’infondatezza delle motivazioni499.

Infine è necessario un cenno al complesso sistema dei ricorsi messo in

piedi dalla Convenzione500, ispirato al diritto tedesco e basato sulle Commissioni

d’Appello, create dalla C.B.E., ma indipendenti e separate dalla struttura

amministrativa dell’Ufficio Europeo dei Brevetti. Ogni decisione all’interno

dell’iter di concessione analizzato501, da quella che rigetti la domanda a quella

dell’eventuale commissione di opposizione interpellata, può essere appellata di

fronte alle suddette commissioni, entro un termine di due mesi dalla notifica della

497 Trascorsi nove mesi dalla data di pubblicazione, senza che siano state presentate opposizioni,il titolo potrà essere attaccato solo davanti alle singole autorità giudiziarie nazionali498 Sulla procedura di opposizione cfr. A.Bianchi, op.cit., p. 97; R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 355;C.Zizola, op.cit., p. 113; Come ottenere un brevetto europeo, cit., p. 29; Barzanò & Zanardo, op.cit., p. 69;G.Paterson, The European Patent System, cit., p. 78499 Al pari della procedura di esame, quella di opposizione ha carattere inquisitorio: la divisionepotrà basare la sua decisione su motivi diversi da quelli addotti dalle parti ed eventualmenteincludere elementi nuovi nel corso dell’analisi500 Sulla procedura di ricorso cfr. R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 414; Come ottenere un brevettoeuropeo, cit., p. 31; C.Zizola, op.cit., p. 123; F.Benussi, Brevetto europeo, cit., p. 329501 La C.B.E. prevede, in linea di principio, la possibilità di proporre ricorso contro ognidecisione di un organo di prima istanza, nell’ambito dell’U.E.B.

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

190

decisione, con la clausola che entro altri quattro mesi vengano presentati i motivi

a sostegno di tale ricorso502. A fianco di tali commissioni la Convenzione ha

istituito una Commissione ampliata d’Appello503, che interviene quando il caso da

decidere sia di particolare importanza giuridica o quando sia il Presidente

dell’U.E.B. a richiederlo, a seguito di due pronunce contrastanti da parte di

altrettante Commissioni di appello.

Nel quadro dei ricorsi infine si deve menzionare l’importante istituto della

restitutio in integrum, previsto dall’articolo 122 della Convenzione e finalizzato a

consentire al titolare del brevetto di essere reintegrato nella perdita di diritti subita

a seguito dell’inosservanza dei termini, eliminando gli effetti giuridici negativi ad

essa conseguenti504. La reintegrazione dei diritti può essere richiesta tanto dal

richiedente quanto dal titolare di brevetto europeo, mentre è esclusa per

l’opponente e per coloro che intervengono in un procedimento di opposizione.

Perché la reintegrazione possa aver luogo, è necessario che l’impedimento che

non ha consentito l’osservanza dei termini abbia causato la perdita diretta della

domanda di brevetto o di un diritto particolare, quali ad esempio il diritto di

priorità o il diritto di designazione di un determinato Stato contraente.

4.3.4 Brevetto europeo e brevetti nazionali

Come già si accennava in precedenza, la Convenzione, lungi dal

sopprimere i brevetti nazionali o da sostituirsi ad essi, insegue l’obiettivo di

regolare la coesistenza tra il sistema europeo e quelli statali. Tant’è che è

502 L’articolo 106 della C.B.E. stabilisce il principio secondo cui tutte le decisioni di prima istanzapossono essere attaccate e prevede in quale misura e a quali condizioni il ricorso sia ammissibile503 La Commissione ampliata d’Appello è formata da cinque membri giuristi e da due membritecnici. La sostanziale uguaglianza tra essa e le altre Commissioni d’Appello è sottolineata dalfatto che i suoi membri possono far parte anche di queste ultime e dalla sostanza delle suedecisioni, le quali semplicemente si sostituiscono a quelle che sarebbero emesse dalleCommissioni d’Appello504 R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 536; A.Bianchi, op.cit., p. 100; F.Benussi, Brevetto Europeo, cit., p.330

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

191

espressamente prevista e regolata la fattispecie in cui un brevetto formi

contemporaneamente oggetto di una domanda di brevetto o di un brevetto

nazionale e di una domanda di brevetto o brevetto europeo, in cui i due titoli

abbiano la stessa data di deposito o beneficino della stessa data di priorità505.

La Convenzione non detta una disciplina unitaria ma affida ai vari legislatori

nazionali il compito di regolare la materia: così, in virtù di tale facoltà concessagli,

il legislatore italiano ha stabilito506 che, laddove un brevetto nazionale tuteli la

stessa invenzione coperta da brevetto europeo, il titolo italiano cessa di espletare

i suoi effetti dalla data in cui il termine per la presentazione di opposizioni al

brevetto europeo sia scaduto, oppure dalla data di conclusione di un’eventuale

procedura di opposizione intrapresa, senza che il titolo europeo ne risulti

modificato, oppure ancora dal giorno in cui il titolo italiano è stato concesso,

quando si tratti di una data posteriore a quella di cui alle due ipotesi precedenti.

Sempre a proposito dei rapporti tra i titoli nazionali e il titolo europeo,

merita un accenno la cosiddetta possibilità di conversione di una domanda

europea in una corrispondente richiesta nazionale. Si tratta di una possibilità

sommariamente poco sfruttata, consistente nella facoltà data ad un titolare di

convertire la sua domanda di brevetto europeo in una semplice richiesta di

brevetto nazionale quando l’iter per il brevetto europeo sia bloccato sul nascere

dalle autorità nazionali del suo Stato di residenza, per ragioni enumerate dalle

singole legislazioni nazionali. In Italia ad esempio tale possibilità è offerta nei casi

in cui la domanda, depositata originariamente in lingua italiana, non sia stata

tradotta in una delle lingue ufficiali entro i termini prescritti. La stessa

conversione è ammessa quando la domanda sia stata rifiutata, ritirata o

abbandonata nel corso della procedura di fronte all’Ufficio Europeo dei Brevetti,

ma risponda positivamente a tutti i requisiti richiesti dalla legislazione italiana507.

505 Articolo 139 della Convenzione506 Il legislatore italiano si è conformato alle disposizioni dell’articolo 139 della C.B.E. attraversol’emanazione del d.p.r. n° 2 dell’8 gennaio 1979507 Sulla trasformazione della domanda di brevetto europeo in domanda di brevetto nazionale,cfr. R.Singer e M.Singer, op.cit., p. 633; C.Zizola, op.cit., p. 171

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

192

Questa rapida analisi della Convenzione e delle sue modalità di

funzionamento sottolinea i grandi vantaggi apportati alla disciplina brevettuale

dalla Convenzione di Monaco, soprattutto quando si tenga presente che essa

risale ormai a quasi trent’anni fa. Allo stesso tempo ne evidenzia i limiti,

improntati essenzialmente alla continua sottomissione del brevetto europeo alle

singole normative nazionali.

Tale difetto avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni dei redattori e degli aderenti,

essere superato attraverso l’entrata in vigore della Convenzione di Lussemburgo,

di poco successiva, istituente il marchio comunitario ma a tutt’oggi non ancora in

vigore.

Per una valutazione oggettiva della bontà e dei vantaggi apportati dal sistema

europeo piuttosto che da quelli nazionali, come già si è detto a proposito dei

marchi, sarà da analizzare attentamente la situazione aziendale, economica e

commerciale dell’impresa che debba decidere tra l’uno e l’atro sistema, avendo

entrambi grandi vantaggi: la scelta tra i due dipenderà non tanto dalla loro

efficacia, quanto dalle condizioni di chi vuole ottenere la tutela.

4.4 IL BREVETTO COMUNITARIO

Un passo avanti definitivo sulla strada dell’unificazione si avrebbe, tra i

Paesi dell’Unione Europea, con l’entrata in vigore della Convenzione di

Lussemburgo (C.B.C.) sottoscritta nel 1975. E’ d’uopo infatti utilizzare il

condizionale, visto che, dopo quasi trent’anni dalla sua firma, la Convenzione

non è ancora operativa, benché sia stata a più riprese rivista e rimaneggiata, con

l’intento di appianare le divergenze di opinione tra gli Stati su alcuni aspetti

procedurali508.

508 Bibliografia di riferimento: M.Bertuzzi, Il nuovo brevetto comunitario, in Europa e diritto privato,2001, p. 191; Studio Torta, op.cit., p. 67; P.Gori, Il diritto dei brevetti nella sua nuova disciplina europea e

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

193

Con l’entrata in vigore della C.B.C. si darebbe vita a brevetto comunitario che

sarebbe, a tutti gli effetti, un titolo unico, sopranazionale, valido in tutto il

territorio dell’Unione Europea e affidato ad autorità giurisdizionali di prima e

seconda istanza dislocate presso le varie Corti nazionali e ad un autorità di ultima

istanza unitaria, la Corte d’Appello Comune unica.

Numerosi sono stati gli interventi di revisione della C.B.C., ad iniziare dalle

conferenze tenute, sempre a Lussemburgo, nel 1985 e nel 1989, da cui è sortita

una nuova Convenzione, anch’essa non entrata in vigore perché solo alcuni Stati

hanno depositato i relativi atti di ratifica509. Il perché di questi ripetuti insuccessi è

stato oggetto di studio da parte delle istituzioni comunitarie, le quali hanno

identificato le sue cause nell’eccesso dei costi che l’inventore dovrebbe sostenere,

nonché nella macchinosità e nella complessità dell’intero sistema510.

I tentativi si sono comunque ripetuti e rincorsi nel tempo, a testimonianza di una

ferma convinzione delle istituzioni e degli Stati sulla bontà di un sistema

comunitaria, in Rivista di Diritto Civile, 1976, II tomo, p. 78; L.Liuzzo, Cenni sul brevetto comunitario, inRivista di Diritto Industriale, 1981, p. 334; V.Scordamaglia, Le conseguenze dell’istituzione del brevettocomunitario mediante regolamento del Consiglio dell’Unione Europea, in Rivista di Diritto Industriale, 1998,p. 277; V.Scordamaglia, L’accordo sul brevetto comunitario, in Il Foro Italiano, 1991, p. 256; E.Dezani,Brevetto del software più vicino. L’ufficio europeo sta per decidere, 07/11/2000, in www.mytech.it ; BrevettoComunitario, Accordo raggiunto sul brevetto comunitario, 10 /03/2003, in www.sib.it ; A.Stazi, Via liberaal “brevetto comunitario”, 10/04/2003, in www.jei.it/infogiuridica/notizia ; F.De Benedetti, Il nuovobrevetto comunitario si indirizza alle imprese con costi eccessivi, scarsa flessibilità e un approccio teorico, in Il Sole24 ore del 2 luglio 2003, Guida Normativa (anche su www.sib.it); Un passo deciso verso laconcretizzazione del brevetto comunitario, a cura dell’Organizzazione Europea dei Brevetti,14/03/2003, in www.ige.ch/I/jiurinfo.html ; Revisione della convenzione sul Brevetto Europeo sotto lapresidenza della Svizzera, in Archivio dei Comunicati stampa novembre 2000, www.admin.ch ; BrevettoComunitario, a cura della rappresentanza Italiana presso l’Unione Europea, 06/09/2003,www.italiaue.it/pagine/breveto_comunitario.asp ; O.Bossung, The return of the European Patent lawto the European Union, in International review of Industrial property and Copyright (IIC), vol. 27 n°3/1996, p. 287; R.Nack e B.Phélip, Diplomatic Conference for the revision of the European PatentConvention. Munich, 20-29 November 2000, in International Review of Industrial Property, 2001, p. 200;L’UE e la riforma del sistema brevettuale, 28 maggio 2002, in www.patnet.it ; Per un’Europa piùcompetitiva, 5 maggio 2000, in www.europa.eu.int/comm/publicationes 509 L’Italia, ad esempio, ha ratificato la Convenzione sortita dagli incontri di Lussemburgo del1989, con legge n° 302 del 26 luglio 1993, ma appartiene al folto gruppo di Stati che non hannodepositato l’atto di ratifica510 Tra i motivi alla base del successo della C.B.E. e dell’insuccesso della C.B.C., si ricordi chel’articolo 169 di quella prevede che la Convenzione entri in vigore con la ratifica di almeno sei

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

194

comunitario dei brevetti. Gli ultimi atti di questa evoluzione, della prima metà del

2003, sembrano aprire nuove strade e prospettare una soluzione positiva della

problematica.

4.4.1 La Convenzione di Lussemburgo del 1975

La Convenzione sul Brevetto Comunitario fu firmata a Lussemburgo il 15

dicembre 1975, e si innestò sulla preesistente Convenzione di Monaco,

prevedendo che il brevetto rilasciato ai sensi della C.B.E. costituisse un titolo

brevettuale unitario per l’intero territorio dell’Unione511. Lo spirito ispiratore della

Convenzione fu infatti quello di creare un sistema europeo di rilascio dei brevetti

per alleggerire le costose procedure da seguire innanzi agli uffici nazionali e per

ridurre il perdurare delle frontiere intracomunitarie date dalla molteplicità di titoli

nazionali.

Rispetto alla Convenzione sul Brevetto Europeo, si mirava ad un sistema che

producesse un diritto di privativa unitario per i Paesi aderenti al processo di

integrazione, sottoposto ad una normativa comune e non distinto in ogni Stato

dopo la fine della procedura di rilascio. Mentre infatti il regime brevettuale di

Monaco istituisce una disciplina unitaria solo per quanto riguarda certi aspetti di

forma e procedura concernenti il rilascio del brevetto, la Convenzione di

Lussemburgo vuole intervenire su aspetti di diritto sostanziale, emergenti durante

tutto il periodo della tutela, e non soltanto al momento del rilascio.

Per queste ragioni, molti autori512 inseriscono la Convenzione del 1973 nel

processo di cooperazione internazionale iniziatosi con la Convenzione di Unione

di Parigi, mentre individuano nella Convenzione sul Brevetto Comunitario lo

stesso spirito dell’intero processo di integrazione comunitaria: essa esce

Stati, mentre perché la Convenzione di Lussemburgo entri in vigore sono necessarie le ratifichedi tutti gli Stati membri della Comunità511 All’epoca della firma della Convenzione di Lussemburgo, non si parlava ovviamente diUnione, ma di Comunità Europee

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

195

dall’ambito della semplice cooperazione internazionale e costituisce una tappa

importante nel processo di integrazione giuridica ed economica tra i Paesi

membri della Comunità. Si consideri infatti che il preambolo della Convenzione

si riallaccia al Trattato CE e suggerisce l’idea che la conclusione dell’accordo

corrisponda ad un obbligo degli Stati membri, dato che essa è riconosciuta non

semplicemente come opportuna ma anzi come necessaria per facilitare la

realizzazione degli scopi della Comunità stessa.

Secondo quanto previsto dalla Convenzione, il brevetto comunitario

dovrebbe essere rilasciato, congiuntamente per tutti gli Stati membri della

Comunità, dall’Ufficio Europeo dei Brevetti, sulla base di una procedura unica,

istituita dalla Convenzione stessa: con una sola domanda, un inventore dovrebbe

poter ottenere una tutela valevole in tutti e quindici gli Stati membri513, con gli

stessi effetti giuridici in ognuno di essi. Anche gli effetti del brevetto dovrebbero

risultare unificati: il brevetto dovrebbe poter essere trasferito, annullato o estinto

solo per tutti i Paesi membri considerati insieme; solamente il regime delle licenze

si isolerebbe dalla regola generale, risultando lecita la concessione di licenze

obbligatorie e non, per uno o alcuni Stati membri.

L’aspetto più rilevante di tutta la disciplina prevista dalla Convenzione di

Lussemburgo, che segna la differenza rispetto al brevetto europeo, risiede non

tanto nella brevettabilità o nei contenuti del diritto, quanto nell’ambito geografico

della sua efficacia e protezione, nonché, di riflesso, nel procedimento

amministrativo per la sua concessione e registrazione514. Non si dimentichi

comunque che la Convenzione sul Brevetto Comunitario presuppone l’esistenza

e l’applicabilità della precedente Convenzione sul Brevetto Europeo, adeguandosi

ad essa per quanto riguarda i requisiti di brevettabilità e la procedura di

concessione, ma distanziandosi da essa nella misura in cui il titolo europeo

512 P.Gori, op.cit., p. 78513 All’epoca la Comunità aveva nove membri, ma l’intento era ovviamente quello di estendere laprocedura e la corrispondente tutela a qualunque membro avesse in futuro aderito al processo diintegrazione514 M.Bertuzzi, op.cit., p. 192

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

196

costituisce non un diritto unitario, ma un insieme distinto di singoli brevetti

nazionali. Inoltre la validità giuridica della C.B.C. è da ritrovarsi nell’articolo 142

della C.B.E., il quale prevede la possibilità che un gruppo di Stati contraenti

disponga che i brevetti europei possano essere concessi unitariamente e

congiuntamente per tutto il loro territorio. Ne discende che il brevetto

comunitario si configura come un titolo di proprietà unico ed autonomo, in

ragione dell’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea rispetto

sia agli ordinamenti nazionali, sia a quello internazionale.

Inoltre questo sistema comunitario risulta a tutti gli effetti capace di convivere sia

con le privative nazionali sia con il titolo europeo. Al titolare di un diritto non

verranno posti obblighi o restrizioni e la sua libertà di scelta tra uno o l’altro

sistema sarà massima. Anzi, la compatibilità è tale da poter considerare lo

strumento in esame come il sedicesimo strumento di tutela a copertura geografica

totale, rispetto ai quindici strumenti nazionali esistenti515.

Tornando allo spirito che ha animato la Convenzione del 1975, non si

deve dimenticare che, tra i suoi scopi, il Trattato CE mira ad “assicurare le

condizioni necessarie alla competitività dell’industria”, anche intraprendendo

azioni tese a “favorire un migliore sfruttamento del potenziale industriale delle

politiche di innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico” e a “favorire lo

sviluppo della sua competitività internazionale” 516. Questo obiettivo non poteva

essere adeguatamente raggiunto con il brevetto europeo, andando esso incontro

ad una situazione di frammentazione con riferimento alle vicende del diritto e alla

tutela in via giurisdizionale: questa situazione costituisce infatti un handicap per le

imprese che utilizzano il brevetto europeo, soprattutto se si considerano i sistemi

di cui beneficia la concorrenza nelle aree nordamericana ed asiatica, caratterizzati

da un’assoluta compattezza dei sistemi giuridici e da un ampio livello di

515 Ivi, p. 194516 Articolo 157 del Trattato CE, già articolo 130. A monte, la creazione di un sistemabrevettuale comunitario si ispira allo strumento regolamentare previsto dall’articolo 308 delTrattato e già utilizzato in materia di marchi di impresa

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

197

protezione517. Il brevetto comunitario, fornendo alle imprese operanti nella

Comunità uno strumento giuridico uniforme e riconosciuto ovunque,

permetterebbe loro di esercitare un’attività economica su tutto il territorio

comunitario senza rischiare di incontrare limitazioni ed ostacoli per via di diritti

concorrenti di proprietà industriale, utilizzati da terzi. Esso quindi risponderebbe

alle necessità della grande industria, ma anche e soprattutto alle esigenze delle

medie imprese, operanti in settori tecnologici avanzati, che sarebbero quindi in

grado, attraverso questo strumento di tutela, di avventurarsi e penetrare in un

mercato più vasto. Anche dal punto di vista del progresso tecnologico, i vantaggi

sarebbero evidenti, perché la tutela comunitaria spingerebbe le imprese verso la

ricerca e lo sviluppo scientifico, disincentivando le pratiche imitative, tutelate dai

singoli brevetti nazionali.

Fino a questo momento sono stati facilmente individuati i vantaggi

apportati dal sistema creato con la Convenzione di Lussemburgo, ma ad oggi

bisogna fare i conti con una realtà opposta: dopo quasi trent’anni la C.B.C. non è

ancora entrata in vigore e il brevetto comunitario rimane uno strumento

inutilizzato. Perché?

Le cause dell’insuccesso sono state oggetto di molti studi, da parte delle stesse

autorità comunitarie. La Commissione, nel suo Libro Verde del 1997518, ha

individuato le ragioni del fallimento nella complessità e nella macchinosità

dell’intero sistema e nella esagerazione dei costi a cui l’inventore sarebbe

sottoposto. Innanzitutto l’inventore dovrebbe farsi carico della traduzione del

fascicolo brevettuale in tutte e dieci le lingue ufficiali dell’UE diverse dalla sua519;

in secondo luogo il sistema di protezione giurisdizionale creato risulta

517 Tali vantaggi derivano dalla dominazione delle due aree da parte di USA e Giappone518 Promuovere l’innovazione tramite il brevetto - Libro verde sul Brevetto Comunitario e sul sistema dei brevettiin Europa, a cura della Commissione delle Comunità Europee, 24 giugno 1997, Doc. COM (97)314.def519 Ovviamente questo obbligo caricherebbe l’inventore di oneri economici ingenti, a cuisicuramente non sono sottoposti i suoi colleghi statunitensi o giapponesi

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

198

estremamente complesso, con l’aggravante che tale complessità non assicura la

certezza del diritto ed anzi alimenta continui contrasti interpretativi. Viene infatti

disposta l’istituzione di un numero limitato di tribunali nazionali, competenti a

decidere in primo e secondo grado sulle controversie in materia di contraffazione.

A fianco di questi, viene creata, a livello comunitario, una Corte di Appello

Comune (Community Patent Court – CO.PA.C.), competente a pronunciarsi sui

ricorsi contro l’U.E.B., sulle azioni di nullità del brevetto e, in secondo grado,

sulle decisioni dei Tribunali nazionali di prima istanza pronunziate sulle domande

proposte in via riconvenzionale520.

Per queste ragioni per una ventina d’anni circa la Convenzione di Lussembrurgo

non ha trovato applicazione pratica ed è anzi stata oggetto di strenue critiche da

parte di molti Stati membri, primi fra tutti Irlanda e Danimarca.

L’impulso determinante, che sembra aver dato nuovo vigore all’iniziativa, è

arrivato solo nella seconda metà degli anni ’90 e potrebbe oggi dar vita ad un

nuovo sistema, la cui realizzazione è apparsa per anni poco più che un’utopia.

4.4.2 Il brevetto comunitario sulla strada della realizzazione

A seguito delle palesi difficoltà incontrate dalla Convenzione ed a fronte

dell’impossibilità di un’imminente entrata in vigore della stessa, gli Stati si

incontrarono a più riprese per cercare una via d’uscita ed una soluzione a questa

situazione di stallo. Innanzitutto la versione del 1975 venne ripresa, rivista e

520 Contro le decisioni in secondo grado dei Tribunali nazionali, si può adire la cassazionesecondo la normativa nazionale, mentre le decisione della CO.PA.C. non sono impugnabili, ameno che uno Stato o la Commissione denuncino la loro difformità rispetto al dirittocomunitario. D’altra parte l’intero sistema così creato appare in aperto contrasto con laconfigurazione standard dei gradi di giudizio dei singoli ordinamenti: il fatto che una decisionenazionale possa essere impugnata in sede comunitaria appare ad esempio in Italia in apertocontrasto con la norma costituzionale che prevede il diritto di ricorrere in Cassazione, controtutte le sentenze

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

199

firmata, sempre a Lussemburgo, il 15 dicembre 1989521. Tuttavia anche questa

nuova versione aggiornata non trovò attuazione: a seguito di tale duplice

insuccesso intervenne la Commissione che, nel 1997, pubblicò un Libro Verde sul

Brevetto Comunitario e sul Sistema dei Brevetti522, annunziando iniziative legislative di

riforma. A detta della Commissione era infatti giunto il momento di fare il punto

sulla situazione in materia di brevetto comunitario e più in generale sulla

disciplina brevettuale in Europa, alla luce delle discussioni strategiche

sull’innovazione tecnologica e sulle politiche di ricerca e sviluppo. La

realizzazione del mercato interno all’inizio degli anni ‘90523, il progresso generale

del processo di integrazione e lo sviluppo di altri settori della proprietà

industriale524, rendevano assolutamente urgente una rivalutazione ed una

riorganizzazione dell’intero sistema brevettuale comunitario.

Secondo la Commissione, per gli operatori economici un brevetto

comunitario corrisponde ad una necessità di primaria importanza: esso

presenterebbe un triplice vantaggio rispetto ai tradizionali sistemi nazionali e a

quello europeo, istituito dalla Convenzione di Monaco del 1973. Esso

agevolerebbe il funzionamento del marcato interno, centralizzerebbe

l’amministrazione dei brevetti da parte dei titolari e renderebbe più efficaci le vie

legali per far valere i diritti conferiti dai brevetti.

Convinta della valenza di tale sistema e della necessità di realizzarlo, la

Commissione propose di farlo attraverso lo strumento legislativo più efficace a

livello comunitario, il regolamento525. Le motivazioni sono semplici e complesse

521 Già nel 1985 gli Stati si erano riuniti e avevano lavorato alla redazione di una nuovaConvenzione, più efficace e quindi più utilizzabile di quella del 1975. Nel 1989 venne redattauna nuova Convenzione, che ha ricevuto ratifica in Italia con legge n° 302 del 26 luglio 1993522 Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde sul Brevetto Comunitario, cit.523 Il mercato interno fu istituito nel 1992 con il Trattato di Maastricht 524 Si consideri ad esempio il grande successo raggiunto in materia di marchi con il Regolamento40/94, istituente il marchio comunitario525 Nel Libro Verde del 1997 la Commissione aveva preso in considerazione anche strumentidiversi dal regolamento, come la revisione dell’Accordo del 1989 o una nuova convenzione

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

200

allo stesso tempo: l’adozione e l’attuazione di un regolamento risultano più facili

e più veloci. E’ vero infatti che un regolamento che istituisca un brevetto

comunitario dovrebbe basarsi sull’articolo 308 del Trattato526 che esige, per

l’adozione, l’unanimità in seno al Consiglio dell’Unione Europea, ma è anche

vero che, uno Stato che, in sede di votazione, non sia pienamente convinto e

soddisfatto dei risultati raggiunti dalla negoziazione, potrà astenersi dal voto,

senza pregiudicare il raggiungimento dell’unanimità. La ratifica da parte di tutti gli

Stati membri è invece una formalità indispensabile ben più difficile da

raggiungere quando si tratti di una convenzione collegata al diritto comunitario

contenente nuove attribuzioni di competenze per le istituzioni527. Con

riferimento alla tempistica, è ovvio che l’entrata in vigore di un regolamento è

rapidissima528, soprattutto se confrontata con l’eventuale attuazione di una

convenzione tra gli Stati membri.

Alla fine degli anni ‘90 inoltre, la competenza a realizzare un brevetto

comunitario tramite un atto di diritto secondario, non può più essere seriamente

contestata529, poiché gli stessi strumenti sono stati utilizzati per i marchi e le

varietà vegetali530 e soprattutto perché la Corte di Giustizia, nel suo parere del

1994 sull’Accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio, si

pronunciò in questo modo: “sul piano legislativo interno la Comunità dispone, in

materia di proprietà intellettuale, di una competenza d’armonizzazione delle

intergovernativa. Valutando però gli insuccessi di queste due alternative, la Commissione siconvinse del fatto che il regolamento costituiva l’unica ed obbligata via da seguire526 Già articolo 235527 A differenza degli accordi multilaterali classici, dove l’entrata in vigore è subordinata allaratifica da parte di un numero di Stati solitamente inferiore a quello dei Paesi che hannopartecipato alle negoziazioni, perché potenzialmente interessati a partecipare all’accordo, quandosi tratti di una convenzione collegata al diritto comunitario che comporta attribuzioni di nuovecompetenze per le istituzioni comunitarie, è necessaria la ratifica da parte di tutti gli Stati perchésolo in questo modo si può ovviare in modo lecito al mancato ricorso al meccanismo direvisione dei Trattati per il conferimento di nuove competenze, previsto dall’articolo N delTrattato sull’Unione Europea528 Solitamente l’entrata in vigore di un regolamento comunitario richiede pochi giorni529 La competenza a realizzare il brevetto comunitario attraverso atti di diritto secondario eraduramente contestata nei primi venti anni di vita della Comunità

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

201

legislazioni nazionali in virtù degli articoli 100 e 100 A e può basarsi sull’articolo

235 per creare nuovi titoli che si sovrappongono ai titoli nazionali, come essa ha

fatto col regolamento sul marchio comunitario”531.

Infine le differenze di natura tra un brevetto comunitario creato da un Accordo

come quello del 1989 ed un altro istituito con un regolamento sono

notevolissime: il brevetto comunitario istituito con l’accordo del 1989 sarebbe il

frutto della volontà degli Stati di “conferire effetti unitari ed autonomi ai brevetti

europei, rilasciati per i loro territori ai sensi della convenzione di Monaco”532,

sarebbe concesso dall’Ufficio Europeo dei Brevetti e si configurerebbe come

un’integrazione od un’unificazione del fascio di brevetti concessi attraverso la

C.B.E. Un brevetto comunitario di questo tipo si presenterebbe come un

brevetto europeo di tipo speciale, voluto da un gruppo di Stati che delegano ad

un unico ufficio i poteri necessari per concederlo. Al contrario, un titolo

comunitario creato da un Regolamento si configurerebbe come un titolo istituito

in via originaria all’interno dell’ordinamento giuridico comunitario, autonomo

rispetto ai diritti nazionali ed internazionale. Sarebbe una manifestazione di

sovranità della Comunità, trasferitale dagli Stati membri con il fine di creare nuovi

titoli di proprietà intellettuale quando essi siano richiesti per un funzionamento

ottimale del mercato interno.

Sulla base di tutte queste argomentazioni proposte dalla Commissione, ci

si convinse della necessità di utilizzare il regolamento come strumento per la

creazione di un efficiente sistema brevettuale comunitario. Esso avrebbe dovuto

avere una struttura sommariamente simile a quella dei regolamenti sul marchio

comunitario o sui ritrovati vegetali; avrebbe dovuto contenere una normativa

530 In materia di marchi sono stati utilizzati sia la direttiva che il regolamento; in materia diritrovati vegetali si citi il Regolamento n° 2100/94 del 27 luglio 1994531 Punto 59 del parere 1/95 del 15 novembre 1994, emesso dalla Corte di Giustizia inriferimento all’Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Gli articoli acui si fa riferimento corrispondono, nella nuova numerazione, rispettivamente agli articoli 94, 95e 308532 Preambolo dell’Accordo di Lussemburgo del 1989

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

202

brevettuale completa relativa alle regole di fondo, ivi compresi i requisiti di

brevettabilità, l’indicazione dell’autorità amministrativa competente, le regole di

procedura e la regolamentazione delle garanzie giurisdizionali offerte ai titolari dei

brevetti. Il Regolamento avrebbe dovuto contenere una regolamentazione

completa del diritto sostanziale applicabile al brevetto comunitario, che avrebbe

potuto essere plasmata sulla base delle disposizioni dell’Accordo del 1989 che

non avevano sollevato problematiche rilevanti, cosicché la normativa comunitari

si sarebbe presentata come l’equivalente di una legge brevettuale nazionale533.

4.4.3 La proposta di Regolamento della Commissione del 2000

Nell’agosto del 2000 la Commissione delle Comunità europee ha

presentato una proposta di Regolamento del Consiglio per l’istituzione di un

brevetto comunitario, destinato ad offrire alle imprese dell’Unione una tutela

adeguata delle invenzioni attraverso un unico strumento giuridico che consenta

un più efficace sfruttamento delle nuove conoscenze e la conseguente

promozione degli investimenti privati nella ricerca e nello sviluppo. Secondo il

sistema previsto da tale atto, il brevetto dovrebbe essere, a differenza di quello

europeo, un titolo unitario ed autonomo, rilasciato, trasferito, dichiarato nullo ed

estinto soltanto per tutta l’Unione e secondo le modalità e le condizioni dettate

dallo stesso Regolamento. Per ragioni di certezza del diritto, la proposta della

Commissione mantiene immutata la regola secondo la quale il richiedente sarà

tenuto a presentare una traduzione delle rivendicazioni in tutte le lingue ufficiali

della Comunità.

Per quanto riguarda invece il sistema giurisdizionale, la proposta della

Commissione prevede che esso si regga su una Camera Giurisdizionale del

533 Per un’analisi dettagliata dei caratteri che avrebbe dovuto avere il Regolamento sul BrevettoComunitario, si veda V.Scordamaglia, Le conseguenze dell’istituzione del brevetto comunitario medianteRegolamento del Consiglio dell’Unione Europea, cit., p. 292

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

203

Brevetto (T.B.C.)534, competente in primo grado, le cui decisioni possano essere

appellate di fronte al Tribunale di Prima Istanza (T.P.I.), entrambi funzionanti,

secondo la proposta, a partire dal 2010. Nel frattempo spetterà agli Stati membri

designare un numero ristretto di tribunali, funzionanti ad interim, presso le proprie

giurisdizioni. I procedimenti si dovrebbero celebrare nella lingua ufficiale del

convenuto, a meno che, con il consenso delle parti e dello stesso tribunale, non si

decida diversamente.

Uno dei principali obiettivi che la Commissione si proponeva di raggiungere, con

l’emanazione di un Regolamento, era la diminuzione dei costi di brevettazione,

cosicché le imprese potessero realmente essere incentivate ad utilizzare tale

strumento per essere più competitive sul mercato, soprattutto a livello

internazionale. Solo così può infatti realizzarsi l’obiettivo del Trattato che vuole

l’Unione capace di competere con Stati Uniti e Giappone a livello commerciale

internazionale.

Il sistema proposto dalla Commissione ovviamente non dovrebbe sostituirsi a

quelli esistenti, ma dovrebbe affiancarli, così da lasciare che i titolari scelgano il

tipo di protezione più adatto alle esigenze commerciali e strategiche dell’impresa.

4.4.4 Via libera al brevetto comunitario: le ultime novità

Contrariamente alle previsioni, il 3 marzo 2003 gli Stati membri

dell’Unione Europea, rappresentati dai loro ministri dell’economia riuniti a

Bruxelles, sono riusciti a superare le divergenze sul brevetto comunitario ed

hanno finalmente raggiunto un accordo per dare concreta attuazione al progetto,

avviandosi quindi a grandi passi verso la conclusione del progetto vecchio ormai

di quasi trent’anni.

A seguito della proposta della Commissione del 2000 sopra analizzata infatti, il

Consiglio aveva provveduto a trasmettere al Parlamento Europeo e al Consiglio

Economico e Sociale la proposta stessa perché emanassero su di essa il loro

534 L’acronimo T.B.C. sta per tribunale del brevetto comunitario

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

204

parere. Si sottolinei che, benché il parere del C.E.S. non fosse affatto necessario

ai sensi della procedura, lo si è ritenuto utile ed appropriato, vista l’importanza di

una normativa di questo genere per il settore imprenditoriale dell’Unione.

I pareri sono stati positivi ed incoraggianti: quello del C.E.S., emesso nel maggio

del 2001, ha sostanzialmente appoggiato la proposta della Commissione, mentre

il rapporto finale del Parlamento, predisposto e discusso dalla Commissione

Affari Generali dello stesso, è stato approvato con alcuni emendamenti non

vincolanti il 26 febbraio 2002.

Quando ormai sembrava vicina una felice conclusione, il processo ha conosciuto

una nuova ma fortunatamente breve fase di stallo: nel novembre del 2002, a

fronte dell’ennesimo fallimento nel tentativo di mettere d’accordo i vari Stati

membri, il Commissario per il mercato interno Bolkestein aveva infatti

minacciato di ritirare del tutto la proposta.

Ma contro ogni previsione, il Consiglio dei Ministri di Bruxelles del 3 marzo 2003

sulla competitività ha raggiunto un accordo su un “approccio politico comune”

riguardante il brevetto comunitario. I punti fondamentali dell’intesa riguardano

principalmente il sistema giurisdizionale, il regime linguistico, il ruolo dell’Ufficio

Europeo dei Brevetti ed infine il sistema di tassazione e dei costi in generale.

Il sistema giurisdizionale sarà basato su un tribunale unitario, in funzione

dal 2010, affiancato dal Tribunale di primo Grado della Corte di Giustizia. Le

camere del tribunale saranno formate ognuna da tre membri, dotati di un elevato

livello di esperienza di legislazione brevettuale535, i quali potranno avvalersi

dell’assistenza di esperti tecnici. I procedimenti saranno celebrati nella lingua del

Paese in cui è domiciliato il convenuto, a meno che un accordo tra le parti non

disponga diversamente.

Sempre a proposito di lingue, viene adottato un regime linguistico basato su

quello in vigore per l’U.E.B., cosicché le lingue ufficiali saranno tre: l’inglese, il

francese e il tedesco. Il richiedente dovrà scegliere una di queste tre per

535 Risulta decaduto il requisito dell’esperienza tecnica per i membri delle camere del tribunale

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

205

presentare la documentazione completa ed allegare una traduzione delle

rivendicazioni in ognuna delle due restanti al momento del rilascio del brevetto.

Inoltre sembra che sarà tenuto a presentare una traduzione delle rivendicazioni

anche nelle altre lingue ufficiali dell’Unione, diverse da inglese, francese e tedesco;

su questo punto rimangono vari dubbi, poiché il Consiglio ha inserito una

dichiarazione secondo la quale le traduzioni in tutte le lingue dell’UE dovrebbero

essere presentate entro il termine di due anni dalla data di rilascio del titolo536,

periodo durante il quale il brevetto sarebbe valido a prescindere dalla disponibilità

o meno delle traduzioni. Non si dimentichi che proprio quello delle lingue è stato

uno dei problemi più spinosi, affrontati in sede di discussione: benché esso possa

apparire a prima vista un problema di secondaria importanza, gli Stati ed loro

negoziatori vi si sono dovuti soffermare a lungo, perché il regime linguistico può

avere un’influenza notevole sull’intero sforzo economico e finanziario che gli

eventuali richiedenti nazionali dovranno sostenere per ottenere la tutela conferita

da un brevetto comunitario. senz’altro quindi le istituzioni comunitarie dovranno

riservare all’argomento una particolare attenzione, se auspicano un’accettazione

decisa e senza riserve, da parte degli Stati, delle loro proposte definitive.

Secondo la Commissione, grazie all’unificazione delle procedure, i costi

che i richiedenti dovranno sostenere risulteranno nettamente diminuiti, secondo

alcune stime addirittura dimezzati537. Molti autori538 non sono però affatto

d’accordo con questa visione ottimistica delle istituzioni comunitarie ed anzi

ritengono che i costi non diminuiranno affatto e prevedono che l’intero sistema

favorirà esclusivamente le grandi imprese innovatrici, dimenticando invece le

medie e piccole imprese, numerosissime nel sistema imprenditoriale comunitario.

536 La dichiarazione del Consiglio si basa sulla proposta della delegazione tedesca 537 Secondo la Commissione la protezione brevettuale per circa 8 Paesi europei tramite BrevettoEuropeo costa attualmente cinquanta mila euro. Con il Brevetto Comunitario la spesascenderebbe a venticinque mila euro per venticinque Stati membri, situazione nettamentemigliore di quella attuale ma ancora lontana da quella tipica dei sistemi statunitense egiapponese. 538 F.DeBenedetti, Il nuovo brevetto comunitario si indirizza alle imprese con costi eccessivi, scarsa flessibilità eun approccio teorico, cit., p. 2

IL SISTEMA BREVETTUALE COMUNITARIO

206

Infatti, coloro che sostengono che il nuovo sistema non giovi alle imprese

europee, lo fanno sulla base di indagini empiriche e statistiche brevettuali che

evidenziano che le imprese europee sono di gran lunga “staccate” da Stati Uniti e

Giappone in termini di depositi effettuati: in un’indagine con un campione

ristretto a settori a tecnologia avanzata, come quello delle biotecnologie, in cui

sono presenti strutture di ricerca più piccole e le università, a fronte di 2.643

domande di imprese statunitensi, le domande tedesche sono 772, quelle

britanniche 443, quelle italiane 60. Non si dimentichi però che, grazie al brevetto

comunitario, le imprese europee non dovranno più essere considerate nella loro

individualità di carattere nazionale, ma faranno tutte parti del grande gruppo delle

imprese comunitarie e presumibilmente riusciranno a competere con i giganti

statunitensi.

Infine l’intesa prevede che responsabile per l’esame e la concessione dei

brevetti comunitari sarà l’Ufficio dei Brevetti Europei di Monaco539, mentre le

domande potranno essere depositate anche presso le autorità nazionali

competenti.

Raggiunti questi importanti traguardi, il cammino da percorrere risulta

facilitato ma non terminato: il Consiglio dovrà, possibilmente in tempi brevi,

giungere all’adozione della proposta di Regolamento e, dall’altra parte, convocare

una conferenza diplomatica per la revisione della Convenzione di Monaco, così

da consentire all’Ufficio Europeo dei Brevetti di rilasciare brevetti comunitari. In

seguito si dovranno attendere solo le ratifiche dei quindici Stati membri, perché

finalmente il sistema di concessione del brevetto comunitario possa iniziare a

funzionare a tutti gli effetti.

539 Perché l’U.E.B. possa adeguatamente rispondere alle esigenze del nuovo sistema brevettualecomunitario, la Convenzione che lo ha istituito subirà una modifica ad hoc

CONCLUSIONI

Per completezza di trattazione è necessario, a conclusione del presente

lavoro, dare un breve e succinto sguardo a quelli che sono gli altri ambiti facenti

parte del “vasto” ed eterogeneo appellativo “proprietà intellettuale”. Se infatti è

fuor di dubbio che i brevetti ed i marchi sono le due categorie generalmente più

conosciute, il cui nome suscita un qualche concetto, più o meno preciso, nelle

menti della maggior parte delle persone, è altrettanto vero che altri settori

appartengono alla disciplina, a cominciare dal copyright o diritto d’autore. Non si

possono non menzionare i modelli ornamentali, le novità vegetali, il software o

l’internet domain name, senza ovviamente avere la pretesa di analizzare, nello

specifico, la natura di ognuno e l’intervento legislativo che, a livello nazionale

piuttosto che comunitario, è stato messo in atto a loro tutela. Da una parte infatti

uno studio dettagliato su ognuna di queste fattispecie richiederebbe un impegno

troppo gravoso, cosicché si rende necessaria una scelta a favore delle categorie

più “popolari”; dall’altra far finta che esse siano le uniche esistenti,

corrisponderebbe ad un errore di trattazione di notevole entità.

Ognuno di questi settori della proprietà intellettuale è stato oggetto di attenzione

e di intervento legislativo a livello comunitario, spesso con un successo

addirittura maggiore di quello raggiunto, ad esempio, con fatica, nel campo dei

brevetti per invenzione.

Volendo procedere ad una breve panoramica su questi settori, si dovrà

obbligatoriamente parlare del diritto d’autore, noto anche come copyright, il cui

oggetto sono le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla

letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla

cinematografia, indipendentemente dalla forma o dal modo di esprimere le stesse.

CONCLUSIONI

208

Il requisito essenziale perché un’opera dell’ingegno possa ritenersi tutelabile è che

essa possieda un indubbio carattere creativo: alla base dell’opera deve sussistere

un atto creativo, anche minimo, espresso in forma concreta e suscettibile di

estrinsecazione all’esterno. Non rilevano invece le modalità o le forme attraverso

cui l’opera viene espressa: è sufficiente che esse siano in grado di rappresentare,

attraverso parole, suoni, immagini o espressioni figurative diverse un contenuto

di idee e sentimenti.

Si premetta che l’intera legislazione inerente il diritto d’autore ha caratteristiche

proprie e distanti da quelle dei marchi o dei brevetti, visto il carattere “personale”

dello stesso, che si configura come un prodotto espresso dall’organo del pensiero,

trasfuso in una qualsiasi forma sensibile, ma comunque contenuto entro la sfera

della personalità. Esso è più che mai interessato agli aspetti morali del diritto,

riconosciuti all’autore sotto duplice forma, attraverso il diritto alla paternità

dell’opera e quello all’integrità della stessa.

Visto il carattere delle stesse opere dell’ingegno, esse sono, al giorno d’oggi,

pervase più di ogni altra, da elementi di internazionalità, visto che l’esistenza delle

frontiere tra gli Stati costituisce un fattore poco più che simbolico nella frequenza

degli scambi culturali e scientifici. A questa logica si ispirò la più antica delle

convenzioni internazionali sulla materia, firmata a Berna nel 1886 e seguita da

molte altre, concluse nella stessa ottica e sulla base degli stessi principi. Gli stessi

che, del resto, hanno promosso l’azione comunitaria in tema di copyright e che

hanno portato a notevoli passi in avanti a livello europeo. Essa si è sostanziata

dapprima in una accettazione incontestabile del copyright nel campo della

proprietà intellettuale, concretizzatasi nella nota sentenza Musik Vertrieb c.

GEMA, con conseguente applicazione dei ragionamenti fatti, per brevetti e

marchi in riferimento agli articoli del Trattato CE, alla materia del diritto d’autore.

In un secondo tempo, con la finalità di armonizzare le legislazioni degli Stati

membri in tema di diritto d’autore, sono stati approvati e pubblicati atti

comunitari a ciò finalizzati, prime tra tutte le direttive per la creazione di una

disciplina comune sulla materia. La prima direttiva che è stata adottata in materia

CONCLUSIONI

209

di diritto d’autore, nel dicembre del 1986, riguardava la tutela giuridica delle

topografie dei prodotti a semiconduttori, mentre nel Libro Verde del 1988 la

Commissione analizzò i problemi più urgenti, che richiedevano un’azione

immediata a livello comunitario, per affrontare la sfida delle nuove tecnologie. In

particolare gli sforzi si sono concentrati sui settori nei quali le disomogeneità

normative tra gli Stati o l’incertezza normativa potevano dissuadere gli operatori

economici comunitari dall’utilizzazione economica di tali diritti. Così le istituzioni

comunitarie si sono attivate per la tutela giuridica dei programmi per elaboratore

e delle banche dati, si sono concentrate sulla radiodiffusione per via satellite e la

ritrasmissione via cavo, sui diritti di noleggio e di prestito nonché sulla durata

della protezione del diritto d’autore.

Dal 1996 ci si è rivolti nello specifico alla problematica del diritto d’autore nel

quadro della società dell’informazione, con una serie di iniziative legislative volte

ad instaurare regole eque che disciplinino la protezione del diritto d’autore nel

mercato unico e ad adeguare la legislazione sulla materia all’evoluzione

tecnologica in corso. La direttiva 2001/29/CE del Parlamento Europeo e del

Consiglio del 22 maggio 2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto

d’autore e dei diritti connessi risponde alla necessità del mercato interno di

un’armonizzazione e dell’istituzione di un quadro giuridico generale e flessibile

per uno sviluppo armonioso della società dell’informazione; poiché a livello

comunitario è diffusa la convinzione che il diritto d’autore svolga un’importante

funzione di protezione e di stimolo allo sviluppo per la commercializzazione di

nuovi prodotti e servizi, la direttiva sopra citata dispone che artisti, autori,

produttori di fonogrammi o pellicole nonché gli organismi di diffusione televisiva

abbiano il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione delle loro

opere, delle prestazioni artistiche e delle trasmissioni, nonché di autorizzare o

meno qualsiasi comunicazione o messa a disposizione al pubblico delle opere

stesse. La stessa direttiva applica le medesime regole alla distribuzione.

Sia questo che gli altri e precedenti atti delle istituzioni comunitarie sono stati

finalizzati, oltre che ad un’armonizzazione a livello comunitario, ad un

CONCLUSIONI

210

adeguamento dell’ordinamento dell’Unione alle norme create dall’Organizzazione

Mondiale della Proprietà Intellettuale, in materia di diritto d’autore, di

interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi, riunite rispettivamente nei

Trattati W.T.C. e W.P.P.T., adottati a Ginevra il 20 dicembre 1996.

Non si dimentichi inoltre, collegandosi al tema del diritto d’autore,

l’inarrestabile avvento della tecnologia caratterizzante almeno la seconda metà del

XX secolo, che rende la nostra epoca un’era digitale e che attualizza al massimo

grado il problema della protezione del copyright, attraverso internet. Viviamo

nell’era dell’informazione, dove accanto all’interesse che l’autore ha nel

conseguire un beneficio economico dallo sfruttamento commerciale dell’opera,

convive un interesse dell’intera collettività, che vuole fruire dell’opera ed elevare il

proprio standard culturale. La normativa tradizione si dimostra assolutamente

incapace ed inadeguata di fronte ad opere rese pubbliche attraverso internet:

poiché però si tratta di problematiche che si estendono ben al di là dei confini

nazionali, si rende necessaria una universalizzazione ed omogeneizzazione della

tutela del copyright, a livello internazionale, come auspicato dagli Stati nella

Convenzione Universale del Copyright. Le opere digitali sono infatti, per loro

stessa natura, estremamente vulnerabili perché possono essere copiate,

manipolate ed in generale piratate con un’enorme facilità rispetto a quanto non

avvenga per i supporti tradizionali. Come già ricordato, l’Europa ha pubblicato,

nel 1996, un Libro Verde sul diritto d’autore e sui diritti connessi nella società

dell’informazione, ha cercato di analizzare l’impatto delle nuove tecnologie su

questi stessi diritti e ne ha concluso che è fortemente auspicabile ed urgente un

intervento mirato al controllo e alla lotta contro la pirateria, alla tutela dei diritti di

distribuzione e noleggio delle registrazioni sonore ed audiovisive e alla protezione

dei programmi per elaboratore.

Parlando di proprietà intellettuale è necessario almeno un accenno alla

relativamente nuova disciplina delle novità vegetali e del trattamento dei ritrovati.

CONCLUSIONI

211

La rivoluzione agricola ed alimentare infatti, ha posto al centro dell’attenzione il

problema dell’innovazione in campo vegetale. Nuove specie o tipi di piante con

particolari caratteristiche relative alla loro riproduzione, crescita, capacità di

resistenza, riproduttive od estetiche, sono oggi tutelabili grazie all’emissione di un

apposito certificato di novità vegetale. Esso valorizza la ricerca, ricompensa lo

sforzo economico dell’impresa e costituisce per essa uno strumento

indispensabile per un’adeguata affermazione rispetto alla concorrenza. Il

certificato può essere richiesto in ciascuno dei Paesi in cui si ritiene necessario

ottenere la tutela, perché si pensa di poterla sfruttare commercialmente attraverso

vendite dirette o indirette, ovvero si può depositare una domanda che, sulla base

di accordi internazionali, permette di ottenere la tutela complessivamente per un

certo numero di Stati.

A livello europeo è stato istituito un regime di privativa per i ritrovati vegetali,

valido su tutto il territorio della Comunità, che consente la concessione di diritti

di proprietà industriale per le varietà vegetali, ad opera dell’Ufficio Comunitario

delle Varietà Vegetali (U.C.V.V.), operativo dal 1995, con sede ad Angers, in

Francia. La privativa comunitaria per i ritrovati vegetali viene concessa

dall’Ufficio a seguito di un dettagliato esame, che valuta la sussistenza dei requisiti

di distinzione, omogeneità e stabilità, oltre che quello della novità: essa non può

però essere cumulata con una privativa nazionale o con un brevetto. Tale sistema

è stato creato, a partire dal 1994, con il Regolamento 2100/94, concernente la

privativa comunitaria per ritrovati vegetali, e con i successivi regolamenti di

attuazione dello stesso. L’obiettivo era e rimane non tanto quello di affiancare od

armonizzare i sistemi nazionali, quanto quello di sostituirsi ad essi: un costruttore

che chieda, in base alle regole dettate dai suddetti regolamenti, la concessione di

una privativa, otterrà un diritto di sfruttamento esclusivo per la sua varietà

vegetale su tutto il territorio dell’UE, attraverso un'unica domanda presso

l’U.C.V.V..

CONCLUSIONI

212

Per quanto concerne invece la disciplina del design, esso si configura come

il mezzo principale per conferire originalità ed individualità ad un prodotto, ma

serve altresì per dare al cliente una precisa indicazione circa la qualità e la

funzionalità del bene. A livello comunitario la disciplina ha conosciuto

un’evoluzione del tutto simile a quella della materia dei marchi: nel 1998 la

Comunità ha adottato una direttiva che ravvicina le legislazioni nazionali per

renderle compatibili con i modelli e i disegni comunitari, per garantire la libera

circolazione dei prodotti che incorporano dei disegni o dei modelli e per

salvaguardare il gioco della libera concorrenza all’interno della Comunità. Nel

2001, con il Regolamento 6/2002 del Consiglio, è stato creato un sistema

comunitario dei disegni e dei modelli per eliminare la necessità di effettuare

registrazioni nazionali, in base a normative statali diverse nell’ambito della CE.

Esso mira infatti a porre in essere un sistema unificato per ottenere un disegno o

modello comunitario che possa beneficiare di una protezione uniforme all’interno

del mercato comune, in modo da eliminare gli ostacoli e le distorsioni della

concorrenza e soprattutto da favorire la creatività e l’innovazione fornendo una

protezione sicura ed unificata. In questo caso, come in quello del marchio

comunitario, il sistema convive e si integra perfettamente con i sistemi dei

quindici, cosicché tutte le questioni che non rientrano nel campo di applicazione

del Regolamento rimangono disciplinate dai diritti nazionali degli Stati membri.

Non si può infine non menzionare l’enorme settore della contraffazione e

della pirateria, per la cui lotta le istituzioni comunitarie si sono attivate con

comunicazioni e proposte di direttive e che, a detta delle stesse, va

ragionevolmente inserito nell’ambito della proprietà intellettuale. Contraffazione

e pirateria sono divenute, nel corso degli anni, un fenomeno nazionale di immani

dimensioni, con notevoli ricadute sul piano economico e sociale. Le disparità dei

mezzi utilizzati nei quindici Stati membri per garantire il rispetto delle norme a

tutela della proprietà intellettuale però, hanno costituito un involontario ostacolo

ad una lotta efficace contro contraffazione e pirateria, cosicché si è reso

CONCLUSIONI

213

necessario un intervento mirato, a livello comunitario. Infatti, se da una parte

l’armonizzazione del diritto materiale della proprietà intellettuale ha consentito di

facilitare la libera circolazione delle merci e di rendere più trasparenti le norme

applicabili, dall’altra i mezzi per far rispettare tali diritti non avevano, fino alla fine

degli anni ’90, formato l’oggetto di una vera e propria armonizzazione. Nel 1998

la Commissione ha quindi presentato un Libro Verde per far conoscere il

problema e proporre una serie di iniziative per combatterlo; gli ambienti

interessati si sono dimostrati molto attenti alla problematica, hanno proposto

possibili iniziative da intraprendere, suscitando una forte attesa per una

risoluzione della problematica da parte delle istituzioni dell’Unione. Il piano

d’azione della Commissione, presentato sotto forma di Comunicazione nel

novembre del 2000, comprendeva azioni urgenti a breve e medio termine che

avrebbero coinvolto le autorità pubbliche e il settore privato e che avrebbero

dovuto integrarsi alle iniziative orizzontali nei settori della giustizia e degli affari

interni. Da tutto ciò è sortita recentemente, nel gennaio del 2003, la proposta di

direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle misure e alle

procedure volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, i cui

obiettivi dovrebbero essere, oltre quello di armonizzare le disposizioni nazionali,

quelli di promuovere l’innovazione e la competitività delle imprese, tutelare

l’occupazione, evitare le perdite fiscali e la destabilizzazione dei mercati,

assicurare la protezione del consumatore e il mantenimento dell’ordine pubblico.

Con queste finalità gli Stati dovranno prevedere le misure e le procedure

necessarie per assicurare il rispetto dei diritti di privativa, privando i responsabili

del mancato rispetto di un diritto del profitto economico che ne deriva ed

applicando sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

Con questa breve panoramica sugli altri settori della proprietà intellettuale,

forse meno noti all’opinione pubblica, ma senz’altro altrettanto importanti per le

strategie delle imprese comunitarie e per la loro competitività sul mercato globale,

sempre più al centro dell’attenzione per le istituzioni comunitarie, il quadro può

CONCLUSIONI

214

ritenersi completo ed esaustivo. Come si vede la materia della proprietà

intellettuale ha conosciuto e continua ad allargare la sua portata, in ambito

comunitario, con velocità diverse e modalità talvolta molto differenziate a

seconda dei singoli ambiti interessati.

A conclusione di tutto questo lavoro, che ha fotografato la situazione

normativa del settore nell’Unione Europea, si vuole, in un certo qual modo,

rimettere tutto in discussione. La cosa potrebbe apparire paradossale, ma la scelta

è semplicemente il frutto di un dubbio che sorge spontaneo a chi, dopo essersi

occupato a lungo della materia, ripetutamente legge su quotidiani e periodici del

continuo ed aspro dibattito circa la bontà o meno della protezione di questi diritti

di proprietà intellettuale.

Dopo aver, durante tutto il corso della trattazione, difeso il valore dei diritti di

privativa, interpretando quella che è la visione ufficiale dell’Unione Europea e

delle istituzioni, si intende, a questo punto della trattazione, lasciare brevemente

spazio alle opinioni dissenzienti, che sono senz’altro molte e si moltiplicano con il

passare del tempo e con l’aumento di importanza e di numero delle normative a

tutela di marchi e brevetti.

Ovviamente non si ha, in questa sede, la pretesa di dare ragione all’una piuttosto

che all’altra opinione: semplicemente, per completezza di trattazione, si vuole dar

conto delle critiche espresse quotidianamente alle posizioni fino a questo

momento assunte come veritiere e univoche, cosicché chiunque, da un quadro

completo della situazione, possa autonomamente trovare una risposta personale

alla diatriba.

Franco Carlini, su Il Manifesto del 5 ottobre 2003540, scrive: “la teoria

consolidata dei brevetti, con i quali un inventore ottiene dallo Stato un

monopolio limitato nel tempo (di solito 20 anni) per lo sfruttamento esclusivo

540 F.Carlini, Asimmetrie del diritto: il brevetto, in Il Manifesto, 5 ottobre 2003, p. 13

CONCLUSIONI

215

della sua invenzione, hanno una potente funzione di incentivo alla ricerca; se non

ci fosse quella protezione e se ognuno potesse liberamente copiare le invenzioni

altrui, allora agli inventori passerebbe la voglia di farlo. Fin qui la teoria, che però

non si appoggia sempre su adeguate basi teoriche o empiriche”. “L’analisi fatta da

Petra Moser, della Sloan School of Management del MIT, indica una situazione

molto più differenziata, per settori tecnologici e per Paesi. Per dirla con le parole

della stessa studiosa: «non ho trovato alcuna prova che le leggi sui brevetti

incrementino effettivamente il livello di attività innovativa, ma semmai la prova

che le leggi influenzano le distribuzione dell’innovazione tra le diverse

industrie.»” “Intanto c’è la conferma che molti Paesi, nella fase della loro prima

industrializzazione, traggono maggior beneficio dalla importazione (e eventuale

copiatura) delle invenzioni di altri Paesi: in qualche modo tutti i sistemi

economici (anche quello statunitense) sono stati dei pirati della proprietà

intellettuale altrui. Solo quando una certa industria locale si è sufficientemente

sviluppata, allora quel Paese sente i bisogno di tutelarsi dotandosi di leggi sui

brevetti. Così è andata la storia e così sta succedendo anche oggi, a conferma che

il diritto allo sfruttamento della proprietà intellettuale non può essere considerato

un diritto assoluto, ma che è storicamente situato, all’interno di un processo”.

Tutto il testo Il mondo sotto brevetto dell’economista indiana Vandana

Shiva541 è un attacco ai sistemi di proprietà intellettuale, primo tra tutti quello dei

TRIPs, istituito in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. La teoria

secondo cui i brevetti e gli altri diritti di proprietà intellettuale contribuirebbero a

stimolare la creatività e l’inventiva, mentre l’assenza di essi si accompagnerebbe

ad una carenza di creatività e di ingegno, sarebbe, secondo Shiva, una leggenda

fondata su un’artificiosa concezione del sapere e dell’innovazione, “secondo cui il

sapere è un che di isolato nel tempo e nello spazio, privo di legami con il tessuto

sociale e con le conoscenze precedentemente accumulate”542. “Questa idea della

creatività, che si dispiega solo quando sono formalmente in vigore norme a difesa

541 V.Shiva, Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2001542 Ivi, p. 23

CONCLUSIONI

216

del diritto di proprietà intellettuale, è la più assoluta negazione della creatività

osservabile in natura e di quella generata da moventi altri dal profitto, nelle

società industrializzate come in quelle non industrializzate. E’ una negazione del

ruolo dell’innovazione nelle culture tradizionali così come nella sfera pubblica.

Anzi, l’interpretazione prevalente in materia di diritti di proprietà intellettuale

conduce a una grave distorsione nella concezione della creatività e, quindi, nella

comprensione della storia della disuguaglianza e della povertà”543.

Il contrasto tra le due visioni della proprietà intellettuale si coglie molto bene

dalla critica che Shiva muove allo scrittore Robert Sherwood e alle idee esposte

nel testo Intellectual Property and Economic Development . Quest’ultimo, nel suo testo,

mette in evidenza il contrasto di mentalità tra chi vive in un Paese dove non vige

il diritto di proprietà intellettuale e chi, invece, vive dove tale diritto è

efficacemente riconosciuto. Così, il rappresentante di una ditta statunitense

produttrice di pompe, individuate le potenziali utilità di un certo tipo di valvola a

pressione, impiegò tutto il suo tempo libero per progettare la suddetta valvola,

ottenne dalle autorità competenti il relativo brevetto, la cui garanzia gli permise di

creare una piccola impresa produttrice di tale pompa e di produrre ricchezza per i

vent’anni di durata della tutela. Egli non si era mai fermato a riflettere sulla natura

ed il valore della proprietà intellettuale: semplicemente aveva dato per scontata la

possibilità di chiedere ed ottenere una tutela brevettuale. Sherwood paragona

l’inventore statunitense ad un giovane peruviano di Lima, saldatore di marmitte

su auto e camion di mestiere, il quale immagina di poter realizzare un morsetto

che possa semplificare l’istallazione delle marmitte stesse. “Gli converrà passare le

serate e i weekend a progettare e realizzare la sua idea? Gli converrà investire il

denaro risparmiato o chiedere un prestito al marito di sua sorella?” In realtà

nessuno dei suoi amici o parenti, pur senza aver mai riflettuto a lungo sulla

valenza della proprietà intellettuale, gli consiglierebbe di perder tempo in questo

progetto perché sanno che la sua idea rischia di esser rubata da altri: egli non può

543 Ivi, p. 26

CONCLUSIONI

217

dare per scontato che la sua idea troverà protezione. La mancanza di fiducia nella

protezione di un’idea innovativa indurrà il giovane a rinunciare all’impresa e

all’investimento. Sherwood ne conclude che “dove quest’esempio risulta

moltiplicato indefinitamente la perdita di opportunità che si registra è disastrosa.

Dove, invece, vige un efficace sistema di protezione, regna una maggiore fiducia

nel fatto che il patrimonio intellettuale possa divenire prezioso ed essere protetto,

e nella testa delle persone si farà strada una mentalità creativa ed incline

all’inventiva, che è il fondamento di qualsiasi sistema di protezione della proprietà

intellettuale”. Ribatte Shiva: “Al cuore dell’ideologia del diritto di proprietà

intellettuale vi è appunto l’errore secondo cui gli individui sarebbero creativi solo

se sono in grado di fare profitti, i quali – a loro volta – sarebbero garantiti

soltanto dalla difesa del diritto di proprietà intellettuale. Questa visione, però,

trascura di considerare la creatività scientifica di chi – come la maggior parte degli

scienziati attivi nelle università e nei circuiti di ricerca pubblica – non è affatto

spinto dalla ricerca del profitto. Trascura, inoltre, la creatività delle società

tradizionali e della moderna comunità scientifica in cui il libero scambio delle idee

è essenziale, e non antitetico, alla creatività. I sistemi globali dei brevetti, del resto,

risultano assai più correlati ai monopoli sulle importazioni che non al “compenso

per la creatività” cui si ricorre per giustificarli”544.

Joost Smiers nel suo articolo La proprietà intellettuale è un furto!545 ripropone

le stesse critiche, applicate al diritto d’autore, confutando la tesi secondo cui tali

diritti costituirebbe un terreno fertile per la proliferazione di nuove idee e

creatività. “Il concetto, un tempo utile, di diritto d’autore diventa uno strumento

di controllo del bene comune intellettuale e creativo, nelle mani di un ristretto

numero di imprese. L’antropologa canadese Roosemary Colombe, specialista in

diritti d’autore, osserva che «nella cultura consumistica, la maggior parte di

immagini, testi, etichette, marchi, logo, disegni, arie musicali e anche colori sono

544 Ivi, p. 27545 J.Smiers, La proprietà intellettuale è un furto!, in Le Monde Diplomatique, Settembre 2001 (anche inwww.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2001 )

CONCLUSIONI

218

governati, se non controllati, dal regime di proprietà intellettuale». Le

conseguenze di questo controllo monopolistico sono spaventose”. “Abbiamo

bisogno di un sistema di proprietà intellettuale per promuovere creatività?

Assolutamente no. Un numero sempre maggiore di economisti, dati alla mano,

dimostra che l’espandersi dei diritti d’autore favorisce più chi investe che chi crea

e interpreta. L’economista britannico Martin Kretschmers conclude che «la

retorica dei diritti d’autore è stata ingigantita essenzialmente da un terzo partner,

gli editori e le case discografiche, cioè da coloro che investono in creatività (più

che dagli artisti), diventati i primi beneficiari di questa protezione estesa»”.

Queste sono solo alcuni stralci di una corrente d’opinione oramai molto

diffusa e in alcuni casi divenuta preponderante. Non si ha la pretesa di dire chi

abbia ragione e se le protezioni conferite dalle autorità nazionali piuttosto che

comunitarie abbiano una valenza positiva o meno: forse il problema sta, come

spesso accade, nell’esagerazione. Forse il problema risiede nel fatto che la tutela,

in taluni casi, è stata portata alle estreme conseguenze, dilatata a dismisura, tanto

da diventare, da strumento efficace che era, un’arma potenzialmente pericolosa

nelle mani di pochi. Sarebbe utile che i governi ed i legislatori si confrontassero

con queste opinioni dissenzienti, bilanciassero gli interessi delle varie parti

interessate, tenessero in via considerazione le questioni etiche oltre che quelle

economiche e sociali

Ad ognuno di noi, in questa sede, non rimane che trarre le proprie personali

conclusioni, e valutare autonomamente la bontà o meno dei sistemi di tutela della

proprietà intellettuale.

BIBLIOGRAFIA

MONOGRAFIE

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Accords ADPIC: Accord sur les aspects des droits de la proprieté intellectuelle qui touchent

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privativa comunitaria per i ritrovati vegetali

Regolamento CE n° 3288/94 del Consiglio del 22 dicembre 1994,che modifica il

precedente Regolamento 40/94 ai fini dell’attuazione degli accordi conclusi

nel quadro dell’Uruguay Round, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle

Comunità Europee L349 del 31 dicembre 1994

Regolamento CE n° 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante

le modalità di esecuzione del regolamento CE n° 40/94 del Consiglio, sul

marchio comunitario

BIBLIOGRAFIA

ccxl

Regolamento CE n° 6/2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001 su disegni e

modelli comunitari, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale L3 del 5 gennaio 2002

Revisione di Ginevra del 13 maggio 1977 dell’Arrangement di Nizza

Revisione di Ginevra del 28 settembre 1979 dell’Arrangement di Nizza

Revisione di Stoccolma del 14 luglio 1967 dell’Arrangement di Madrid

Revisione di Stoccolma del 14 luglio 1967 dell’Arrangement di Nizza

Revisione di Stoccolma del 14 luglio 1967 della Convenzione di Unione di Parigi

Schema di Convenzione sul diritto Europeo dei Marchi, a cura della Commissione

delle Comunità Europee, 1973

SITI CONSULTATI

Sito de Il Manifesto: www.ilmanifesto.it

Sito dell’Exensis: www.exensis.it

Sito dell’Ige: www.ige.it

Sito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: www.wto.org

BIBLIOGRAFIA

ccxli

Sito dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale: www.ompi.org

(francese) o www.wipo.org (inglese)

Sito dell’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno: www.oami.eu.int

Sito dell’Unione Europea: www.europa.eu.int

Sito della Jei: www.jei.it/infogiuridica

Sito della Rappresentanza Italiana presso l’Unione Europea: www.italiaue.it

Sito della società americana Coca Cola: www.coca-cola.com

Sito della Società Italiana Brevetti: www.sib.it

Sito della Mytech: www.mytech.it

INDICE DEI CASI

Allen & Hambury c. Generics, causa 434/85, sentenza del 3 marzo 1988, C.M.L.R.

p. 701

Aragonesa, cause C 1/90 e C 176/90

Basset c.SACEM, causa 402/85, sentenza del 9 aprile 1987, E.C.R. p. 2605

Cassis de Dijon, causa 120/78, sentenza del 20 febbraio 1979

Centrafarm BV c. Winthrop BV, causa 16/74, sentenza del 31 ottobre 1974, E.C.R.

p. 1183

Centrafarm BV and Adriaan De Peijper c. Sterling Drug Inc., causa 15/74, sentenza del

31 ottobre 1974, E.C.R. p. 1147

CICR c. Renault, causa 53/87, sentenza del 5 ottobre 1988, E.C.R. p. 6067

CNL-SUCAL c. Hag (Hag II), causa C-10/89, sentenza del 17 ottobre 1990,

E.C.R. p. 3711

INDICE DEI CASI

ccxliii

Coditel c. Ciné Vog, causa 62/79, sentenza del 18 marzo 1980, E.C.R. p. 881

Consten and Grundig c. E.C. Commission, cause C-56/64 e 58/64, sentenza del 13

luglio 1966, E.C.R. p. 429

Dansk Supermarket c. Imerco, sentenza del 1981, E.C.R. p. 181

Dassonville, causa 8/74, sentenza dell’11 luglio 1974

Deutsche Grammophon GmbH c. Metro-SB-Grossmarkte &Co., Causa 78/70, sentenza

dell’8 giugno 1971, E.C.R. p. 487

Deutsche Renault c. Audi, causa C-317/91, sentenza 30 novembre 1993, C.M.L.R. p.

461

Harpegnies, causa C 400/96, sentenza del 17 settembre 1998

Hoffman-La Roche c. Centrafarm, causa 102/77, sentenza del 1978, E.C.R. p. 1139

IHT Internazionale Heinztechnich GmbH c. Ideal Standard GmbH, causa C-9/93,

sentenza del 22 giugno 1994, E.C.R. p. 2789

INDICE DEI CASI

ccxliv

Keurhoop c. Nancy Kean Gifts BV, causa 144/81, sentenza del 14 settembre 1982,

E.C.R. p. 2853

Musik Vertrieb Membran c. GEMA, cause 55 e 57/80, sentenza del 1981, E.C.R. p.

147

Merck and Co. c. Staphar BV, causa 187/80, sentenza del 14 luglio 1981, E.C.R. p.

2963

Nungesser and Eisele c. E.C. Commission, causa 258/78, sentenza del 1982, E.C.R. p.

2015

Parfums Christian Dior SA c. Evora BV, causa C-337/95, sentenza del 4 novembre

1997, R.P.C. p. 166

Parke, Davis c. Centrafarm, causa 24/67, sentenza del 1968, E.C.R. p. 55

Pharmon c. Hoechst,Causa 19/84, sentenza del 9 luglio 1985, E.C.R. p. 2281

RTE and ITP c. E.C. Commission, causa C 241/91, sentenza del 1995, E.C.R. II p.

485

INDICE DEI CASI

ccxlv

Sebago e Dubois, causa C-173/98, sentenza del 1 luglio 1999

Silhouette, causa C-355/96, sentenza del 16 luglio 1998

Sirena S.R.L. c. Eda S.R.L., causa 49/70, sentenza del 18 febbraio 1971, E.C.R. p.

69

Terrapin Overseas Ltd c. Terranova Industries CA Kapferer and Co., causa 199/75,

sentenza del 1976, E.C.R. del 1976, p. 1039

Thetford Corporation c. Fiamma SpA, causa 35/87, sentenza del 30 giugno 1988,

C.M.L.R. p. 549

Van Zuylen Frères c. Hag ( HAG I), Causa 192/73, sentenza del 3 luglio 1974,

E.C.R. p. 713

Warner Bros c. Christiansen, causa 158/85, sentenza del 17 maggio 1987, E.C.R. p.

2605

Un caloroso ringraziamento al professor Giuseppe Porro, che mi ha seguito con

pazienza ed attenzione durante tutto il periodo della tesi, ed a tutti gli altri docenti

del Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, per i loro

contributi in questi quattro anni di studi universitari.

Grazie alla mia famiglia, che ha permesso la realizzazione di questo percorso,

incoraggiandomi e seguendomi costantemente e pazientemente.

Grazie ai tanti e preziosi amici di casa, dell’università e del Collegio “Renato

Einaudi” di Torino.