bacchin - i fondamenti della filosofia del linguaggio - 1965

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  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

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    PUBBLICAZIONI DELLA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI «S. PAOLO»

    DI ASSISI

    GIOVANNI ROMANO BACCHIN

    I

    FONDAMENTI

    DELLA

    FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

    ISTITUTO EDITORIALE UNIVERSITARIO -  ASSISI

    1 9 6 5

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    2/116

    Union Arti  Grafiche • C tà  di CasMlo 1966

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

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    I N T R O D U Z I O N E

    Non credo di esagerare se dico che le uniche opere di filosofia

    del linguaggio che possano dirsi veramente tali — a parte spunti

    e no te ed osservazioni sparsi un pò ovun que — e non solo d i

    questi ult imi anni, sono opere che non intendono trattare   ex

    -professo  del linguaggio e sono, anzi, opere metafisiche. E ciò non

    stupisce se alla filosofia del linguaggio si chiede inn an zit u tto di

    essere filosofia ed alla filosofia di essere  « m etafisica  »  nel senso

    più rigoroso della parola.

    Il migliore esito della contemporanea attenzione prestata al

    linguaggio da parte di studiosi di provenienze culturali le più

    disparate è, penso, l 'acuirsi della sensibilità critica nel suo uso,

    nella scelta appropriata dei termini in vista di un   rigore  effettivo

    delle varie ricerche. E si ha un linguaggio delle scienze (in cui

    pare che le scienze si risolvano) e si ha un linguaggio della filo

    sofia (che si risolve — come tale —• in filosofia teoretica, nell'atto

    del filosofare che esso non può esaurire

      né «

      definire ») e si hanno

    altri linguaggi, circoscritti e circoscriventi l 'umana esperienza. In

    ciascuno va cercato il « rigore » che è metodologicam ente la neces

    sità di non estendere un linguaggio ad ambiti per i quali non sia

    sta to  « costruito »  o nei quali p iù non si riconosca ciò che l'ha

    fatto nascere.

    Ora, il rigore stesso della ricerca filosofica importa che ad essa

    non si pervenga trascinandosi dietro i pesi di un linguaggio che,

    nato in altro terreno, induca estrapolazioni, falsi miraggi, rap

    presentazioni inadeguate, crisi apparenti. Di fatto, l 'opera del

    filosofo nei confro nti delle a tt u al i ricerche into rno al linguagg io

    si risolve proprio nel liberare (meglio : purificare) la filosofia con

    la sua autentica problematica da problemi fittizi,  rivelando  criti

    camente i punti in cui si generano più facilmente gli equivoci e le

    discussioni meramente verbali.

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

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    VI INT RODUZ IONE

    Tale opera è, tuttavia, condizionata all 'attuarsi effettivo della

    filosofia, per così dire all'interno di se stessa e non solo

      in con

    fronto  con altre at t ività umane.

    Ma è proprio questo collocarsi e radicarsi profondo del filo

    sofo nella filosofia, che, escludendo rigorosamente ogni interesse

    che non sia autenticamente filosofico, accredita anche una filo

    sofia del linguaggio che non sia solo una  «  riflessione critica » sul

    linguaggio, o un'analisi di linguaggi effettivamente disponibili, o

    linguistica generale od anche curiosità erudita.

    Una volta chiari to — ed è chiarimento molto importante —

    che la filosofia non è da risolversi nel pensiero così detto  « scientifico », non ha più senso per la filosofia condizionarsi alle tecniche

    op erativ e di cui si avvalg ono le scienze e i loro linguaggi pa rt i

    colari. Del resto, la stessa espressione « filosofia del  linguaggio »

    come l'espressione

      «

     filosofia de lla scienza », riv ela che scienza e

    linguaggio sono passibili di una ricerca che non coincide semplice

    mente con la posizione — anche critica — dei loro termini.

    In ogni caso, se l'intima intenzione delle

      «

      filosofie del linguag

    gio », dai frammenti di Parmenide, al  Cratilo platonico, alla  Spra-

    chenphilosophie  di  V O N H U M B O L D T ,  alla

      « Languistique generale »

    del De Saussure al

      Tractatus

      di Wittgenstein, alla  «

     Sintassi logica

    del linguag gio »  di

     R.

      Carnap, alle ultime rielaborazioni a carattere

    più informativo che costruttivo (e che caratterizzano la produzione

    italiana in materia), secondo vari intenti, è di raggiungere una

    sufficiente consapevolezza del linguaggio fino alla sua giustifica

    zione fondante, è non solo possibile, ma necessario enucleare

    tale

      «

     intenzione

     »

      nella sua purezza e vederne l ' intima consistenza

    ed è questo, appunto, il compito della filosofia o il modo di con

    siderare il linguaggio in filosofia.

    Con che il filosofo è ancora a casa sua dove del linguaggio

    non si chieda  come psicolog icame nte o socialmen te si origini,

      né

    come si possa ade gu are alle cose che con esso si vuole  « dire » o

    « com unicare », m a si chieda  a quali condizioni  il linguaggio, o

    segno o semantizzazione o forma di pensiero, sia pensabile. Por

    tata al limite, là dove solo il filosofo può pervenire con il suo

    totale ricercare, la ricerca sul linguaggio radica in se stessa la

    differenza di cui ci si serve, di fatto, tra  « linguaggio » e « lingua »

    e non solo per un a p rop osta, m a per u na intrinseca necessità :

    «  linguaggio »  volendo essere

      il pensiero in quanto dicibile o signi

    ficabile  e tale a prescindere dai

      «

     segni

     »

     di cui una lingua d i fatto

    dispone.

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    INTRODUZIONE

      VII

    E questo importa

      che del

     linguag gio

     si

     determini

      la «

     s t ru t tura

      »

    nella

      sua

      originarietà

      ; che è

      l'originarietà stessa

      del

      concetto

      di

    « s t ru t tu ra  »

      e del

      « concetto », ap pu nto ,

      o

      « pensiero  »

      di cui è

    «

     s t r u t t u r a

     ».

    La presente ricerca

      dei

      « fondamenti  »  della filosofia

      del

      lin

    guaggio

      si

      collega, pertanto, direttamente

      a due

     gruppi

      di

      lavori,

    per

      un

      verso affini anche

      se

      nati indipendentemente

      e in

      altro

    clima

     :

     ovviamente

      i

      miei lavori teoretici precedenti,

      a

      cominciare

    dal lavoro  Su le

      implicazioni teoretiche della struttura formale   (i),

    ed

      i

      lavori teoretici

      di

      Emanuele Severino, specialmente

      la   Strut

    tura originaria

      (2)  e

      Studi

      di

      filosofia della prassi

      (3) nei

      quali

    risultano rigorosamente tolte

      le

      pregiudiziali

      da cui ci si

      muove

    per considerare

      «

     filosofia

      » ciò che è, al più,   «

     cultura

      »,

      interesse

    alle

      «

     cose »,

     più che al

      loro intimo senso,

      che è poi  il  senso del

    l essere.

    Non tut to

      del

      pensiero metafisico

      del

      Severino

      io

      accolgo,

    ma molto

      del suo

      pensiero

      io

      incontro sulla

      mia

      strada proce

    dendo indipendentemente

      da lui, ed a

      partire dalla

      originaria

    impostazione problematica

      del

      pensiero classico

      che

      ritengo

      sia

    stata fatta valere nella

      sua

      purezza

      da

      Marino Gentile

     (4), del

    quale

      mi

      onoro

      di

      essere discepolo.

    Se nella pura problematicità,

      che è il

     totale problematizzare

    o discussione totale,

      i

      singoli contenuti

      di

      asserzione sono revo

    cabili

      in

      dubbio, dissolvibili nella loro pretesa consistenza, indis

    solubile, irrevocabile appare, invece,

      la  «

     s t ru t tura

      »  ed il  «

     con

    cetto

      »  che la dà ed in cui la

      s t ru t tura

      è,

      piuttosto, l 'originario

    strutturarsi

      del

      « trascendentale  »,

      che è

      essere

      e

      pensare, pensare

    perchè

     essere.

    Di

      un più

      chiaro recupero

      del

      livello trascendentale

      si

     avvale

    questo

      mio

      ultimo lavoro

      nei

      confronti

      del

      lavoro

      Sulle impli

    cazioni

      teoretiche

      detta struttura formale,

      perchè

      il

     trascendentale

     si

    chiarisce

     qui non

     solo come str utt ur a,

      ma

     come l'im possibilità

      che

    in esso

      «

     s t ru t tura

      » e   «

     funzione

      » si

     dist inguano,

     e non,

      piuttosto,

    che

      «

     funzione

      »

      del

      trascendentale

      sia

      dissolversi

      o

      vanificarsi

    come  « oggetto  »

     non

     appena

      lo si

      pensi, essendo esso

     ciò in

      virtù

    di

     cui si

      pensa

      e si

      dice.

    (1)  R o m a ,

      1963.

    (2)  E.  SEVERINO,

      La  struttura originaria,

      B re sc ia ,  1958.

    (3)  E.   SEVERINO,

      Studi   di  filosofia della prassi,

      M i l a n o ,  1962.

    (4)

      Si

     v e d a s o p r a t t u t t o

      di M,  GENTI LE,

      Filosofia

      e

      Umanesimo,

      B re sc ia ,

      1948,

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    6/116

    Vil i

      INT RODUZ IONE

    Questo   vanificarsi  del trascendentale è dialettico ed è

      l at

    testazione dialettica che il linguaggio, nato per  « significare »,

    non può valere dove non valgano   l i  oggettivazione », l'« entifi-

    cazione », la  «  cosalizzazione » dell'esperienza  e che l uso filosofico

    del linguaggio è la critica d issoluzione della sua pretesa di significare

    la totalità. Ed ogni cosa è, nella sua con cretezza o pienezza d'essere,

    la totalità di se stessa.

    Del linguaggio ci si serve dunque, in filosofia, per dire che

    co n  il linguaggio non si dice di filosofico se non la necessità di

    considerarlo  tutto  condizionato, necessità di dire  nonostante  il

    linguaggio, dialetticamente.

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

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    '

    CAPITOLO PRIMO

    S O M M A R I O

      :

      i .

      Il carattere filosofico della presente ricerca.  — 2. 77 carattere dialettico,

    0 negatorio della filosofia.

      — 3 .

      La dialettica dell identico livello.

      — 4 .

      La dia-

    letticità della filosofia e il mom ento analitico della filosofia del linguaggio.  — 5.

    /

      limiti di validità dell analisi nella filosofia del linguaggio.  — 6 .  Limili di v ali

    dità e valore.

      — 7.

      Com e è possibile una filosofia del linguaggio.

      — 8 .

      Concetto

    di  « teoria  »  e sua riduzione.

      — 9 .

      La riduzione del concetto di teoria e la radice

    pragma tica dell intellettualismo.  —

      i o .

      La nozione ateoretica dello   «  in generale »

    come base della teoria.

      —  11 .

      Riduzione del procedimen to analitico all inde

    terminato, cioè al contraddittorio.

      —

      12.

      Differenza ontologica tra il contraddit

    torio ed il negato.  —

      13.

      La dialetticità come impossibilità di un procedimento

    analitico sulla totalità. —

      14.

     La dom anda totale e la totalità doma ndata.  —  15.

    L intero della doman da totale e della totalità doman data.

      —

      16.  La conversione

    dialettica della totalità doma ndata nella esclusività de l doman dare.

      —

      17.  La

    doma nda come riferirsi in atto alla risposta.

      —

      18.  La problematicità della

      «

     de

    finizione  »  concettuale.

      —

      19.  L intersoggettività come dimensione dialettica.

      —

    20 .  La struttura dialettica dell implicazione.

    §  1.  —

      II

      carattere filosofico della presente ricerca.

    La presente ricerca sul linguaggio si colloca sul piano filoso

    fico puro

      (1)

      e,

      da

      un pun to di vista  esclusivamente filosofico, si

    svolge in ordine alla domanda di come il linguaggio possa venire

    giustificato e perciò di come possa giustificarsi una ricerca filo

    sofica into rno ad esso, che le due cose coincidono .

    Coincidono perchè la giustificazione è, essenzialmente, la fon

    data  attribuzióne  di un valore in base al quale si giustifica il pro

    cesso stesso onde si perviene a questa attribuzione ; e così la giu

    stificazione del linguaggio è   il linguaggio nel suo valore  e la filo

    sofia del linguaggio procede  consapendo  o sapendo insieme , se

    stessa e il valore del linguaggio nel suo essere tale. Con che si

    (1)

      L a p a r o l a

      «

     pu ro », d e t t a pe r ind ica re l a f ilosof ia ne l l a sua t eor e t i c i t à ,

    de te rmina i l ca ra t t e re in t r inseco de l l a f i losof ia , oss ia l a f i losof ia è pura o non è

    filosofia.

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    2 CAPITOLO PRIMO

    chiarisce che la filosofia del linguaggio è il linguaggio stesso nel

    suo venire considerato dalla filosofia od anche il linguaggio

      nella

    filosofia.

    È così che si rivendica la piena   autonomia  del filosofare, an

    che nel caso della filosofia   del linguaggio, in que l caso, cioè, in cui,

    di fatto e per le molteplici implicanze dei vari linguaggi disponi

    bili,  più difficile appare l'autonomia del filosofare.

    La facile — invero banale — osservazione che definire la   filo-

    s

    ofia  come  « giustificazione  »  è presupporre qualcosa alla ricerca

    e

      che la stessa

      parola

      «  giustificazione  »  appartiene al linguaggio

    che

      si intende giustificare, onde non sarebbe legittimo porsi  ori

    ginariamente

      ad un livello filosofico puro nei confronti del reale,

    e del linguaggio in particolare

      (i) ,

      va tolta con quest 'altra osserva

    zione, che ogni ricerca, a qualsiasi livello, in ta nt o legittim am ente

    si pone in quanto

      «

     motivata

     »

     in ordine al valor e che le si at tr i

    buisce e que sta motivazione h a però

     senso

     solo dove il valore venga

    consaputo nel suo autentico senso, ossia come  « giustificazione »,

    la quale è, si voglia o

     no,

      filosofia.

    E la filosofia, come totale e perciò pura problematicità (2), non

    può   risultare (3)

      «

     cond izionata

     »

     senza cessare di essere ; il che

    significa che è indispensabile porre in questione ogni forma di

    «

     condizionamento

     »

      che di essa si pretende e da parte delle scienze

    e da parte dei linguaggi dei quali esse si strutturano e da parte

    del  «  linguaggio comune » di cui pu re si abbisog na p er farsi inten

    dere,  e da parte di quella particolare  scienza  che è la scienza delle

    strutture logiche o  «  sintassi logica del linguaggio ».

    Così, se questi  « condizionamenti » vann o messi in questione,

    e se filosofia si intende questo radicale epperò totale questionare,

    non sarà mai possibile rinunciare alla autonomia del filosofare e

    non sarà il linguaggio, nella sua struttura e nella sua funzione,

    a comprom ettere q uesta autonom ia ;

      che,

      se ciò si pensasse, si

    dovrebbe pur sempre pensare o che il linguaggio è   tutta  la filo

    sofia e, di conseguenza, non è linguaggio perchè altro non avrebbe

    (1)

      È l ' o s se rv a z io n e c h e mi mu o v e v a

      L .  GEYMONAT

      a p ro p o s i to in «

      Sapere

    scientifico e sapere filosofico  », S imp o s io a P a d o v a ,  i 9 6 0 .

    (2) R im a n d o i l l e t t o re a g l i a l t r i m ie i l a v o r i te o re t i c i , r i sp e t to a i q u a l i i l p re s e n t e

    è u n u l t e r io re a p p ro f o n d i me n to d e l l a p ro b le m a t i c i t à c o me è in t e sa n e l p e n s ie ro

    d i M. G e n t i l e .

    (3) Una fi losofia che

      «

     r i s u l t a s s e » s a r e b b e g i à t u t t a c o n d i z i o na t a e r i p r o p o r

    re b b e i l p ro b le m a d e l v a lo re d i c iò d a c u i l a s i f a r i su l t a re , p ro b le m a t e o r e t i c a

    m e n t e s p o s t a t o , m a i r i s o l t o .

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    9/116

    I

      FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA

      D E L

      LINGUAGGIO 3

    da comunicare se non se stesso e non potrebbe, perciò,

      «

     comuni

    carsi

     »,

      o che esso è un particolare

      «

     caso

     »

      (particolare anche seinsopprimibile e semp re presuppo sto) di un a to ta lit à in cui si

    inscrive ed è tale da non potersi mai convertire in essa.

    Qu esta to tal ità, a pp un to, che pu r con il linguaggio si com unica,

    è dal linguaggio

      indipendente

      se ques to si inscrive in essa e ta le in

    dipendenza è già

     l autonomia

      del dire la totalità, che è la totalità

    nel suo affermarsi o filosofia che afferma se stessa : il pieno ep-

    però   concreto  affermarsi della filosofia.

    § 2. —

      II carattere

      dialettico, o negatorio  (i),  della filosofia.

    La forma più comune — e perciò stesso più banale — in cui,

    implicitamente od esplicitamente, appare il dubbio intorno al

    significato ed al valore della filosofia è quella vagamente

      «

     stori

    cistica

     »

     che pretend e alla m isura del

      vero

     come

      «

     at tuale

     »

     e della

    « at tual i tà » come  « con tem po rane ità », nel senso d elle rapp resen

    tazioni collettive (2) delle quali si materia ciò che è, di volta in

    volta, e per tutti i tempi,

     «

     il nostro temp o »,

     «

     la m oda del tem po ».

    Tale forma è in effetti la domanda :  « la filosofia ha

      ancora

    qualcosa d a dire nel nostro tem po ? », la q uale d om and a, presa

    nel suo significato preteso, suppone in ogni caso risolto o mai

    discusso che cosa significhi

      «

      dire qualcosa

     »

      ed

      «

      avere ancora da

    dire » e «  nostro tempo » ; essa suppone tut to questo perchè è dal

    senso comune che essa muove ed è in  esso  che si mantiene, co

    sicché

      il suo valore dipenderebbe solo e tutto dalla rilevanza di

    quel

      «

      senso comune

     »

      in filosofia, ma, dove si pervenga a tale

    consapevolezza, è già dissolta la pretesa di porre una simile

    domanda intorno alla filosofia, perchè la consapevolezza critica

    del limite del senso comu ne  (nonché  delle questioni che esso

    suscita ed alimenta) è già

      «

     filosofia

      »

     (3).

    Quella domanda, presa nel suo effettivo significato, si sempli

    fica nella seguente :

     «

     la filosofia ha qua lcosa da dire ? ». Perch è,

    (1) «

     N e g a to r io » d i c i a mo e n o n

      «

     n e g a t iv o », p e r c h è l a n e g a z io n e v i c o m

    p ie la

      funzione positiva

      della  r i a f f e rma z io n e d e l

      limite

      o d ia le t t i c i tà e ssenz ia le a l

    f i losofa re , pe r la qua le i l nega t ivo è cond iz ione a l

      rilevamento

      de l ve ro , dove

      tutto

    s ia messo in d iscuss ione ( ipo te t izza to come non ve ro) . Cfr . G.

      R.   BACCHIN,

      Origi-

    narietà e mediazione nel discorso metafisico,

      R o m a ,

      1963.

    (2) Per  « ra p p re se n ta z io n i c o l l e t t i v e » in t e n d o l ' u so c o mu n e d i p a ro le n o n  suf

    f i c i e n te me n te c o n s a p u to n e l l e su e r a g io n i : d i t u t t i e d i n e ssu n o .

    (3) Si veda, a proposito , i l Cap. II , § 3.

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    10/116

    4  CAPITOLO PRIMO

    se essa, come filosofia, ha avuto qualcosa da dire, essa, restando

    filosofia, ha

      ancora

     ed avrà

      sempre

      qualcosa da dire e se ora risul

    tasse che  come filosofia  essa non ha nulla da dire, ciò significhe

    rebbe che essa non ha   mai  avuto qualcosa da dire, nonostante

    l 'apparenza contraria.

    Qui l'appello alla storicità, per dire che la filosofia svolgen

    dosi  ha perso  di attualità, dovrebbe significare che la filosofia  ha

    cessato di essere filosofia, donde la necessità di  tornare  ad essere

    ciò che era per essere ancora filosofia, oppure che essa non è   mai

    stata filosofia e perciò non è mai stata attuale e che lo svolgimento

    storico all'interno di essa, quello che porterebbe alla dissoluzione

    della filosofia, vale solo a mostrarne l'illusorietà ; illusorietà però

    che solo la filosofia ora potrebbe rilevare, perchè dovremmo chia

    mare filosofia almeno questa consapevolezza raggiunta,

      nonché

    il processo per raggiungerla.

    E la filosofia avreb be per unico comp ito di elim inare se stessa ;

    il quale compito è ovviamente contraddittorio e perciò si elimina,

    restituendo così il compito incontraddittorio della filosofia, quel

    compito che è, a rigore,  tutto  nella sua stessa incontraddittorietà,

    nella incontraddit torietà  dell essere  che per esso si rivela (nel

    ten tativo frustrato di negarlo), precisamente il compito «m eta

    fisico

      »

     (i).

    È fuori d ub bio, com unqu e, che alla d om and a se la filosofia

    abbia qualcosa da dire, nel senso che si giustifichi come filosofia,

    si suppone che  solo la filosofia possa risp on de re,

      che

      ad essa ci si

    rivolge e non avrebbe senso atten der e u na risp osta da chi non

    tende o pretende alla filosofia ; dove è almeno implicito che, se

    tale domanda ha un   senso,  questo senso è ancora filosofia, per cui,

    a rigore, non ha alcun senso porsi questa domanda  se non come

    consapevolezza  che la filosofia attua di se stessa

     (2) ; dovreb be pen

    sarsi cioè fuori dubbio ciò che darebbe  « senso », o valo re, alla

    domanda relativa intorno ad esso e il dubbio così non avrebbe

    senso.

    La massima concessione che si può dunque fare a chi pone

    dom ande filosoficamente ba na li (3) è che ques te dom and e pos

    sono venire poste solo banalizzando il loro stesso senso, cioè sup-

    (1)  Cfr. G. R.

      BACCHIN,

      Originarietà ecc., cit.,

      p . 4 0 ;

      L originario come im

    plesso esperienza - discorso,

      R o m a ,

      1963,

      p . 79 .

    (2) Cfr. G. R.  BACCHIN,  SU l autentico nel filosofare,  R o m a ,  1963 ,  p .  12.

    (3) È f i losof icamente bana le i l d iscu te re su l la base d i

      «

     p re su p p o s t i ».

    •s

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    I  FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA  D E L  LINGUAGGIO 5

    ponendo che la filosofia sia l'unico senso che esse potrebbero

    avere : che se ciò di cui si dubita è il senso stesso del dubitare,

    dubitare non ha più senso.

    § 3. —   La dialettica dell identico livello.

    Il rifiuto della filosofia a prendere in considerazione queste

    pretese è per lo meno giustificato qu an to il rifiuto della filosofia

    da parte di chi non ne vede la

      ragione ;

      per lo meno, diciamo,

    non perchè effettivamente sia così, ma perchè così si pretende e

    solo tanto si è disposti a concedere alla filosofia se ci si pone a

    discuterla a partire dal senso comune (e mantenendosi in esso).

    Questa  parità  di diritti compare con l 'atteggiamento di generica

    tollera nza con cui il senso comun e può contraffare l'au ten tica

    ricerca che è problematicità ; generica tolleranza, proprio perchè

    si può  « tollerare »  solo  genericamente, ossia come atteggiam ento

    o disposizione, non come critica consap evolezza dell'« ogg etto »,

    cosicché  la  « tolleranza » si rivela p iutto sto una  rinuncia  alla cri

    tica che una disposizione ad attuare pienamente la critica.

    Ma anche a porsi in questo atteggiamento di tolleranza, che è

    rinuncia, la filosofia e chi la nega negandole ciò che le spetta si

    dispongono inevitabilmente al

      medesimo livello,

      quello stabilito

    dalla supposta parità di diritti , il quale, proprio perchè identico

    per en tram bi gli atte gg iam enti, deve essere filosofia, la qu ale ,

    così, nega la negazione che si pre ten de di essa e, non suben do

    negazione, caccia dal suo piano chi pretende negarla.

    Non si può negare, cioè, che la parità di diritti venga inizial

    mente supposta, perchè la questione sorge solo a condizione che

    si suppongano inizialmente compossibili i suoi termini, che sono

    qui la filosofia e la sua negazione,

      compossibilità

      che è l'assunzione

    ad un medesimo livello dei due opposti (non v'è opposizione se

    non all ' interno di una supposta omogeneità)  (i) ,  per cui, tolta

    l ' identità di livello tra i termini in questione, è tolta la questione,

    la quale si toglie sdoppiandosi in una negazione   mai  pertinente e

    in un negato

      sempre

      fuori negazione : la negazione della filosofia,

    non orientata a questa, non sarebbe e la filosofia, mai veramente

    negata, continuerebbe ad essere.

    È così che, a partire dall'identico livello, nella figura da chiun-

    (1)  Cfr.

      A R I S T O T E L E ,  Metaph.,

      IT I , 2 ; IV , 6 ;  Cai.,  X .

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    6 CAPITOLO PRIMO

    que facilmente concessa della iniziale parità di diritti tra la filo

    sofia e chi la nega, mettendo in evidenza con un atto di natura

    filosofica che almeno questa identità di livello sarebbe filosofia

    (se i livelli fossero diversi, la negazione non sarebb e m ai p er ti

    nente), si conclude

      escludendo  (i)

      proprio quella parità di diritti ,

    riducendola a semplice pretesa che è discussione teoreticamente

    nulla.

    L'identico livello, supposto nella figura della p ari tà di d iritti ,

    sarebbe dunque  in

      qualche modo «

     filosofia

      »,

     pe rch è, se non lo fosse,

    di essa non si po trebb e dire che è,

      né

      si potrebbe pretendere che

    essa non sia. Ora, basta che essa sia

      in  qualche modo

      filosofia perchè

    sia   veramente filosofia, perchè l'insufficienza de l m odo è qu i, piut

    tosto,

      l'insufficienza di chi lo inten de (o prete nd e)  vero,  mentre

    che la filosofia sia già annunciata in questo  «  qualche modo »  de

    riva dal fatto che essa è sempre   presente  anche se oscuramente

    consaputa (2).

    § 4. —   La

      dialetticità

      della filosofia e il momento analitico della fi

    losofia del linguaggio.

    Se la filosofia è il porsi e l 'attuarsi del processo di giustifica

    zione, la filosofia del linguaggio è il linguaggio   come tale,  ossia

    la presenza del linguaggio nel suo

     concetto

      (3) ; con ciò re sta escluso

    (1) «

      C o n c l u d e re e s c l u d e n d o » è , p r o p r i a m e n t e , p r o c e d e r e n e g a n d o v a l o r e

    a l l a p re me ssa d a c u i s i p a r t e ( c f r . G .  R.   BACCHIN,  L originario ecc.  c i t . , App . §  14,

    l a r i f le s s io n e e sp l i c a t iv a d e l l ' u n i t à ) .

    (2 ) Questa pe renne p resenza de l la f i losof ia non v iene

      constatata

      c o me u n fe n o

    me n o c h e l ' e sp e r i e n z a o f f r e

      constantemente

      (ciò p o t re b b e v a le re , a l p iù , p e r s t a b i

    l i re che v i sono , oss ia  esistono,  t a lu n i c h e s i d i c o n o  «  f i losof i » ) , ma v iene recupera ta

    c o l t e n ta t iv o d i n e g a r l a , o ss i a  dialetticamente  ; la d ia le t t ic i tà de l m e t od o f ilosof ico

    im p o r ta l a d i a l e t t i c i t à d e l l a su a a f fe rma z io n e : è d i a l e t t i c a a n c h e l ' a f f e rma z io n e

    de l la d ia le t t ic i tà de l f i losofa re , e ssa è una cosa so la , c ioè , con la f i losof ia s te ssa .

    (3 ) Q u a l i e q u a n t i so n o i p ro b le mi d e l l i n g u a g g io ? I l p ro b le ma   dell origine,

    d e l lo

      sviluppo

      de l l inguag g io , de l la

      struttura

      d e i s i s t e m i l i n g u i s t i c i , d e l

      significato

    d e l l e e sp re ss io n i l i n g u i s t i c h e , d e l l a

      funzione

      de l l ingua gg io .

    D i f a t to , q u e s t i p ro b le mi v e n g o n o d i s t in t i t r a lo ro e d è , i n v e ro , u t i l e c i r c o sc r i

    v e re c i a sc u n p ro b le ma o n d e a p p ro fo n d i re l a c o n o sc e n z a d e i su o i t e rmin i , ma u n a

    a t t e n t a r i f l e s s i o n e s u t a l e p r o b l e m a t i c a r i v e l e r e b b e c h e c i a s c u n p r o b l e m a r i c h i a m a

    l ' a l t ro e d e l l a so lu z io n e e v e n tu a le d e l l ' a l t ro s i a v v a le . C o s i , a d e se mp io , i l p ro b le ma

    d e l l a

      funzione

      de l l ingua gg io s i co l lega con que l lo

      dell origine

      e c o s t i tu i sc e in s i e me

    a q u e s t o i l p r o b l e m a p i ù f o n d a m e n t a l e d e l l a  «  natura  » d e l l i n g u a g g io .

    U s a n d o d e l l e c l a s s i f ic a z io n i d i Mo r r i s e d i C a rn a p s i p o t re b b e d e n o m in a re

    « s i n t a t t i c o » i l p r o b l e m a d e l l a s t r u t t u r a e « s e m a n t i c o » q u el l o d e l « s i g n i f i c a t o » .

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    I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

      J

    che si possa pensare una critica al concetto come tale mediante

    l'analisi del linguaggio ; che è quanto dire che il linguaggio, nel

    suo concetto, non può venire considerato analizzando   un  par t i

    colare linguaggio, procedendo questa analisi solo a supporre la

    unità -unicità del concetto di linguaggio.

    Questa considerazione ci consente di osservare come il valore

    della cosidetta  « filosofia an alit ica  »  sia da demandare a quel

    senso lato per cui

      «

     an ali si filosofica

      »

      sarebbe

      «

     ogni filosofia

    fondata su generiche operaz ioni di an alisi, di riflessione, di inte r

    pretazione, e simili (cioè ogni filosofia non meramente mistica

    o intuizionistica)

      »

     (i)

      ; e bisognerà subito stabilire come si possa

    pa rl ar e di filosofia an ali tica o d 'an alis i filosofica, se la filosofia è

    essenzialmente dialettica e se il linguaggio deve essere   anche  il

    linguaggio della filosofia.

    Si vedrà più avanti l 'intreccio tra filosofia  del linguaggio e lin

    guaggio filosofico ; per ora è sufficiente determinare che cosa venga

    presupposto al concetto di una filosofia

      «

      fondata (2) su operazioni

    S i n t a s s i e s e m a n t i c a r a p p r e s e n t a n o

      cosi

      l e d u e d ime n s io n i fo n d a me n ta l i d e l l ' a n a

    l i s i l ingu is t ica : com e

      «

     s i n t a s s i  » i l l ingua gg io è pur a fo rma log ica , come

      «

     s e m a n t i c a »

    i l l i n g u a g g io è p u ra e sp e r i e n z a , d o n d e l a n e c e ss i t à d i r i e sa min a re i l r a p p o r to e sp e

    r i e n z a - s t ru t tu ra ( c fr ., a p ro p o s i to , i l m io l a v o ro c h e r i t e n g o fo n d a me n ta l e a l l ' i n

    t e l l i g e n z a d e l l a p re se n te in d a g in e :  SM

      le implicazioni teoretiche della struttura for

    male,

      R o m a , I a n d i - S a p i ,

      1963

      ; s p e c i a l m e n t e c a p p . I V , V I I ,

      V i l i ) .

    (1)  A .

      PASQUINELLI,  Linguaggio, scienza e filosofia,

      B o l o g n a  1962,  p .

      19.

    (2) S i sa che la pa ro la

      fondamento

      è me ta fo r i c a e r i c h ia m a l ' imm a g in e d e l l a

    « c o s t ru z io n e » : è fo n d a m e n to c iò

      su

      c u i s i c o s t ru i sc e .

      Ricercare il fondamento

    significa, cioè, determinare ciò su cui posare l intera costruzione filosofica,

      la qua le

    c o s t ru z io n e n o n p u ò v e n i re  posata  su d i u n a q u a lc h e b a se , se n o n s i p o ss i e d e , p re

    v ia me n te , l a c o n o sc e n z a d e l r a p p o r to t r a l a b a se e l a c o s t ru z io n e s t e s sa , r a p p o r to

    c h e d e t e r m i n i l a

      proporzione

      t r a c o s t ru z io n e e ( su o) fo n d a m e n t o : n o n o g n i c o s t ru

    z io n e a b b i so g n a d e l me d e s im o fo n d a m e n to . N e l c a so d e l l a c o s t ru z io n e f il oso fi ca

    poiché

      l a f il oso fi a s i p o n e in t e n z i o n a lm e n te in o rd in e a l l a to t a l i t à , l a d e te rmi n a

    z i o n e d e l f o n d a m e n t o s a r à o r d i n a t a a  « so p p o r t a re » l a to t a l i t à . O ra , e s se n d o i l

    f o n d a m e n t o d e l l a t o t a l i t à i n e v i t a b i l m e n t e

      interno

      a l l a to t a l i t à , fo n d a re l a to t a l i t à

    n o n è p o ss ib i l e se n z a in t e n d e r e c h e è l a t o t a l i t à a fo n d a re se s t e s sa (n el se n so c h e

    i l fo n d a me n to d e l l a to t a l i t à è d e te rmin a b i l e a l l ' i n t e rn o d e l l a s t e s sa to t a l i t à e c h e

    lo s i p u ò d e te r m in a re so lo a c o n d iz io n e d i p o sse d e re q u e s t a to t a l i t à ) . P a ra d o ssa l

    me n te , p e r t ro v a re i l fo n d a me n to d e l l a c o s t ru z io n e f i l o so f i c a b i so g n a d i sp o r re

    de l l ' in te ra cost ruz ione f i losof ica , pe r t rovare c iò su cu i pogg ia la f i losof ia b isogna

    d i sp o r re d e l l a f i l o so f i a . P e r t a n to , l a d e te rmin a z io n e d e l fo n d a me n to n o n p re c e d e

    la cost ruz ione f i losof ica ,  né  l a se g u e , ma l ' a c c o mp a g n a in q u a l s i a s i mo me n to d e l

    su o p ro c e sso : n o n l a p re c e d e , p e rc h è se n z a l a c o s t ru z io n e il fo n d a me n to sa r e b b e

    f o n d a m e n t o

      di

      n u l l a , n o n l a se g u e p e rc h è se n z a i l fo n d a me n to l a c o s t ru z io n e ,

    « in fo n d a ta », è n u l l a , m a l ' a c c o mp a g n a n e l l ' i n t e ro p ro c e sso p e rc h è l ' i n t e ro  p r ò -

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    8 CAPITOLO PRIMO

    d'analisi ecc. ». Dove si prenda per  « filosofia  »  un discorso fondato

    direttamente su operazioni  anziché  su valori, bisognerà anche

    riconoscere che una filosofia che si fondasse su operazioni dovrebbe

    essere tutta nelle operazioni che la fondano e queste dovrebbero

    esau rire in se stesse il valore in funzione del quale p erò si costi

    tuiscono come operazioni.

    Il valore della

      «

     filosofia an ali tica

     »

      dovrebbe consistere, cioè,

    non in ciò cui l 'analisi, come operazione ten de, m a ne ll'analisi stessa,

    che, se è solo un metodo (se non fosse solo un metodo sarebbe anche

    dottrina), è un metodo considerato fuori relazione, «metodo»

    e non « me todo logia », ossia òSó? che non ha term ine, un « andare »

    senza meta.

    Che,  se si vuole dar e  « consistenza »  all 'operazione, bisogna

    presupporle una filosofia che, condizionando l 'analisi, non può

    subirne i procedimenti

      né

      strutturarsi degli stessi termini nei

    quali l 'analisi si pone e si attua ; d'altro canto, l 'analisi è possi

    bile solo dove si assuma l'oggetto da analizzare come

      «

     analizza

    bile

     »,

      come già analiticamente disposto : l 'analisi del linguaggio

    suppo ne un a filosofia che consenta di considerare il linguaggio come

    un   complesso di term ini, costatandone i mo di e i nessi,

      precisamente la concezione empirica del linguaggio, quella che solo l'em

    pirismo può consentire.

    L'empirismo sarebbe qui  scelto come filosofia per la dup lice

    ragione che di una filosofia si ha bisogno per condizionare (e si

    tuare culturalmente) l 'analisi del linguaggio e che solo   l empiri-

    cesso è « p r e s e n t e  » in ogn i sua  «  p a r t e », c o s t i t u e n d o a p p u n t o i l  « se n so  » o il « ve rso »

    d e l lo sv o lg ime n to , p re se n z a c h e è l a t o t a l i t à p e r c u i e d in c u i so lo p u ò d i r s i c h e

    « q u a lc o sa  »  è o d iv ie n e .

    I l m e t o d o t e o r e t i c o d e l l a d e t e r m i n a z i o n e d e l f o n d a m e n t o è d u n q u e l a c o n s t a

    t a z io n e c h e i l

      fondamento

      de l la to ta l i tà , o fo nd am en to fi losofico, non pu ò esse re

    e s t r a n e o a l la to t a l i t à , c h e a n z i so lo n e l l a to t a l i t à e s so è r e p e r ib i l e , p e r c u i , i n

    e f fe t t i , l a t o t a l i t à n o n s i c o s t ru i sc e c o m e  fondata,  b e n s ì c o m e c o n d iz io n e a l l a

    su a p o ss ib i l i t à d i fo n d a re , e s se n d o c iò  entro cui  h a se n so p o r re i l fo n d a m e n to , o d

    a n c h e è e s s a

      il porsi stesso

      d i q u e l fo n d a me n to

    C o n c iò d o v re b b e c o n c lu d e r s i c h e l a to t a l i t à , c o in c id e n d o c o n i l fo n d a me n to ,

    n o n

      ha

      fo n d a me n to , o ss i a c h e è l a t o t a l i t à a fo n d a re se s t e s sa , a d

      essere eie

      i l p ro

    p r i o f o n d a m e n t o .

    M a, in qu est i te rm in i , face ndo co inc ide re i l fon da m en to f ilosofico con la co

    s t ru z io ne f i losof ica , s i è d isso l to i l p r ob le m a de l fon da m en to d i ta l e cost r uz ion e

    e s i è r e s a v a n a l a

      ricerca

      d e l fo n d a m e n to . D i r e c h e l a to t a l i t à fo n d a se s t e s sa

    e d i r e c h e il fo n d a m e n to è fu o r i r i c e rc a , è d i r e l a s t e s sa c o sa : c h e i l fo n d a m e n to

    n o n p u ò n o n e sse rc i e c h e q u e s t a n e c e ss i t à n o n è e s sa il fo n d a m e n to .

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

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    I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO g

    smo

      consente

      di

      guardare

      il

      linguaggio come

      un  «

     meccanismo

    scomponibile pezzo

     (i)

      ».

      Dal

      disposto com binato delle

      due ra

    gioni

      si

      evince facilmente

      che il

      motivo della preferenza data

    all 'empirismo  da  parte degli analisti  è  tutto condizionato alla

    loro intenzione  di  operare

      sul

      linguaggio empiricamente  e non è,

    perciò  un  motivo, venendo  a  coincidere  con  l'azione  che  esso

      do

    vrebbe motivare.

    Del resto   lo  stesso empirismo  non ha una sua  ragione, perchè

    esso rinuncia esplicitamente  a  giustificarsi,  dal  momento  che as

    sume come giustificazione proprio   ciò che  abbisogna  di  venire

    giustificato   :   quell empirico   cui  esso riduce l'esperienza, costi

    tuendosi come funzione logica

      di

     questa,

      non

     riesce

      ad

      assorbire

    l'esperienza,

      né  a

      giustificarla

      ; cosicché  si può

     dire

      che il  «

     no

    minalismo

     » è

     ancora empirismo, nonostante l 'apparenz a

      :  il  nomen

    è fatto sussistere come « cosa  » tu t t a menta le

      (flatus vocis),

     ma an

    cora come  « cosa  »  che in  qualche modo sussista.

    Il grande movente,  che  di m oventi  si può qui parlare  più che

    di motivi, dell'analisi  del linguaggio  è la  difficile situazione  in cui

    ci

     si

     viene

      a

      trovare quando

      si

     affronta

      un

      discorso filosofico man

    tenendosi

      al

      livello empirico,

      che è per

      l 'impossibilità

      non

      con

    saputa

      di

      ridurre all 'empirico l ' intero  arco

      del

     filosofare

      : non po

    tendo   intendere

     il

      linguaggio filosofico

      e

      tanto meno comprenderne

    le ragioni, si decide di

     com misurarlo

     con il  linguaggio usuale previa

    mente assunto   come ordinario »  (2),  rifiutando  ciò  che di  quello

    appare irriducibile  a  questo  ;  dove  la  ragione  del  rifiuto  è  solo

    il fatto   che

     non si

      vede perchè  si  debba accettare,  e si  rifiuta, così

    senza

     una

      vera ragione.

     Si può

     dire

      con

     Filiasi-Carcan o

      che le dif

    ficoltà presentate

      dal

      neopositivismo potrebbero valere, piuttosto,

    come

      una  «

     incapacità

      di

     intendere

      » (3).

    §   5. — /  limiti

      di

      validità d ell analisi

      in

      filosofia

      del

      linguaggio.

    Per poter parlare

      di  «

     analisi filosofica

      »  o di  «

     filosofia an ali

    tica

      »

     (4)  è necessario precisare  il  senso  in cui si a t tua  in  filosofia

    (1)  Cfr.

      U .

      SCARPELLI,  /

      Fondamenti

      e il

      metodo della analisi

      del

      linguaggio,

    i n

      a II

      p e n s i e r o a m e r i c a n o c o n t e m p o r a n e o

      »,

     M i l a no ,  1958 ,

      p .  186.

    (2) Cfr. U.

      S C A R P E L L I ,

      op. cit.,  p.

      186.

    (3)

      Cfr. P.

      FILIASI-CARCANO,

      Da ll analisi alla filosofia

      del

      linguaggio,  in

    « Arch iv io

      di

      Filosofia » ,  1955,

      p .  19.

    (4)

      Non si può

      v e r a m e n t e u t i l i z z a r e l ' a n a l i s i c o m e s t r u m e n t o

      di

      c h ia r i f i c a -

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    16/116

    IO CAPITOLO PRIMO

    l 'analisi e, precisamente, se l'analisi sia compossibile con la filo

    sofia e, in caso, se essa sia un momento del processo filosofico one esaurisca l ' intero processo.

    Ma, per stabilire se l'analisi sia compossibile con la filosofia,

    va stabilito il senso in cui l 'analisi può dirsi un

      processo

      in sé  con

    cluso

      anziché

      un  procedimento  finalizzato a m om enti ulterio ri ;

    per

     «

     processo

     »

      intendo qui lo svolgimento di un'iniziale assunzione

    da  cui  non è dato  uscire  e il cui risultato è già

      «

     preconcetto

     »

     a l

    l'inizio ; per

      «

     procedimento

     »

      intend o il passaggio da un

      «

     m o

    mento

     >>

      ad un altro, nessuno dei quali

      «

     proconcetto

     »

      in altro,

    epperò passaggio che  presuppone  il disporsi dei term ini l 'uno

    al l 'a l t ro

      ulteriore.

    In questo senso, anche il procedimento, ove venga totalmente

    con sapu to, si inserisce in un processo, e non si conv erte perciò

    in esso e mantiene, pur  sempre.u  la distinzione da qesto, così

    come si mantiene in atto la distinzione tra   atto e operazione.

    Ora, se l 'analisi è un procedimento, è anche un'operazione,

    epperò un agire su termini  presupposti,  il cui valore è  tutto  in

    quei termini e quindi  tutto  presupposto e la funzione dell'analisi

    sarebbe allora quella di  disporre  quei termini nel modo più  chiaro,

    ma non per questo più

      vero,

     che la  « chiarezza » è sempre relativa

    alla necessità di uscire da una precedente   oscurità o  confusione (i),

    la q ua le può venire riconosciuta solo dove già si sia in qualche

    modo usciti da essa,  usciti in virtù di quell atto stesso che stabilisce

    la necessità di uscire.

    Non potre i, infatti, sapere che  debbo chiarificare un discorso

    se non sapessi che esso è   oscuro,  se non sapessi, cioè, che esso è

    insufficientemente  chiaro, chiar o solo relativamente ad una situazione

    che ho già superato, situazione variabile, quindi, e che, variando,

    determina di volta in volta, come per una funzione matematica,

    i diversi gradi di chiarezza.

    Se l 'analisi, come procedimento e quindi operazione, ha dunque

    la funzione (= il compito) di chiarificare il discorso, essa non può

    non dipendere da un canto dalla

      effettiva

      distinzione dei termini

    z ione e  «  c o n sa p e v o l i z z a z io n e » d e l l i n g u a g g io , se n o n s i p e rv ie n e a l l a p i e n a c o n sa

    p e v o le z z a d e l l a  utilizzabilità  d e l l ' a n a l i s i c o me t a l e : è q u a n to m a n c a p e r lo p iù

    a l l e i m p o s t a z i o n i e s s e n z i a l m e n t e

      «

      s to r iche » , megl io

      «

     in fo rm at ive », de l le qua l i s i

    c o m in c ia a d a b b o n d a r e a n c h e in I t a l i a ; s i v e d a , a d e se m p io , l ' o p e ra c i t a t a d e l

    P a s q u i n e l l i .

    (i )

      È d a e s a m i n a r e a p a r t e i l n e s s o t r a

      «

     c h i a r o

      »

     e

     «

     d is t in to », non due c r i t e r i ,

    ma uno : è ch ia ro c iò che è d is t in to .

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

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    I FONDAM E NT I DE L L A FIL OS OFIA DE L L INGUAGGIO I I

    sui quali si esercita, dall 'altro dalla   variabile situazion e conoscitiva

    di chi la esercita : il suo valore è, così, da una parte tutto

      presup

    posto,

      dal l 'a l t ra tut to  costruito ; in entram bi i casi sempre prede

    terminato all 'analisi da qualcos'altro che resta sempre

      esterno

     alla

    analisi e perciò ad essa essenzialmente

      irrilevante.

    Perchè l 'analisi abbia, come analisi, un qualche valore bisogna

    che essa si consapevolizzi, a sua volta, come   processo nel qua le

    i termini, tra loro distinguendosi e rapportandosi, mantengano un

    inscindibile   nesso  con la totalità in cui si collocano, nesso che è,

    dialetticamente, la presenza della totalità in essi, quella presenza

    che l'analisi deve solo

      presupporre

      e su cui essa non può venire

    esercitata :  il nesso con la totalità che l analisi suppone non ha

    carattere analitico.

      Dove la tota lità venisse m eno, m eno verreb be

    la possibilità dell 'analisi, la quale non può   modificare  la totali tà

    proprio perchè, al limite, non  la  può mai  escludere  ; e se  « filoso

    fia » diciamo , con term ine op erativo, qu esta to talit à, l 'analis i in

    filosofia non ha alcun valore.

    § 6. —   Limiti di validità e valore.

    Così, la ricerca dei limiti di validità dell'analisi in filosofia

    approda alla esclusione di valore all'analisi in filosofia, ma non

    esclude la necessità dell 'analisi come procedimento inerente alla

    precisa  determinazione nel linguaggio dei semantemi che vi com

    paiono,  che  la funzione dell'analisi è insostituibile nella misura in

    cui questi semantemi si distinguono effettivamente tra loro.

    Di qui la necessità di procedere con   rigore  e di valutare l 'ana

    lisi in relazione a questo rigore, non, viceversa, il rigore in base

    all'analisi dei singoli termini dei quali si fa imprescindibile uso.

    Se,

      infatti, il rigore fosse da progettare come risultato della

    analisi, l 'analisi dovrebbe progettarsi non in funzione della  chia

    rezza,  ma in funzione della  verità  del discorso e questa sarebbe da

    pensarsi alla fine dell 'analisi, la quale, invece, analiticamente, non

    ha

      «

     fine

     »

      (essa proced e, infatti, estenden dosi en tro i lim iti che

    ad essa impone, di volta in volta, l 'analizzato) e non è in grado

    di stabilire la   verità,  di

      «

     farla nas cere ».

    Rigore e verità sono, dunque, rispetto all 'analisi, la stessa

    cosa, perchè sono, anzi, la

      «

      cosa stessa

     »

     come va lore di ciò che

    si dice di essa ;  cosicché  l 'analisi ha valore

      solo

     se è  « rigorosa »,

    cioè tale da rispettare l ' intero valore della cosa su cui si esercita,

    l 'intero entro cui la cosa si colloca ; ma allora il valore dell'analisi

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    18/116

    12  CAPITOLO PRIMO

    dipende dalla  filosofia,  perchè essa è rigorosa se rigorosamente  -pen

    sata

      è la

      «

     cosa

      »

      su cui essa si esercita.

    L a

      «

     cosa

      »

      è poi rigorosamente pensata

      sp

      non si esclude il

    suo esser(si) la to ta lit à di se stessa , se non si esclude, cioè, l'« es

    sere

      »

      che è totali tà

      «

     int im a

      »

      di qualsiasi cosa, l 'essere che è

    «metafisica  » (i).  Qui l 'analisi  del  linguaggio sarebbe, al più, il

    linguaggio in quanto  « analizzabile  »,  ciò che del linguaggio non

    è  « tota l i tà  », « essere », « valore  »,  m a  « insieme  »,  « termini  », « ope

    razioni

      »

     (2), dei qu ali la filosofia pu r abbisogn a per  dire se stessa,

    ma che essa  deve  negare come  valori  se intende veramente dirsi ;

    questo

      negare

     ciò di cui si abbisogna non h a senso, analiticam ente

    parlando, ma ha tut tavia un   suo  senso, precisamente il senso dia

    lettico della filosofia (§ 2).

    § 7. —   Come è possibile una filosofia del linguaggio.

    Per determinare il modo in cui è legittimo parlare di  « filo

    sofia del linguaggio  »  è indisp ensab ile che si precisi fin dall'inizio

    il valore di quel

      «

     di

      »

      con cui si pongono sintatticamente in rap

    porto il linguaggio   e  la filosofia, supponendo che il linguaggio si

    inserisca nella filosofia, come entro la totalità, e che la filosofia

    si strutturi e si comunichi con il linguaggio che la significa.

    Poiché

      vanno mantenute  e  la presenza del linguaggio nella

    (1)  Cfr. G.

      R.

      BACCHIN,  SU l autentico, cit.,  p p . 37 -38 .

    (2)

      Che cosa si intende per  « linguaggio

      » ? U n u t i l e p u n to d i r i f e r ime n to è

    ra p p re se n ta to d a l l a fo rmu la « l in g u a g g io è o g n i s i s t e ma d i se g n i c h e se rv e p e r

    co m uni ca re » (c f r. A .

      PASQUINELLI,

      Linguagg io, scienza, filosofìa,

      cit . , p . 45).

    N o t i a m o , p e r ò , c h e , c o m e  « s is te m a », i l l inguag g io è un ins ie me ord ina to e

    d i e s so s i p u ò d i r e q u a n to s i d i c e a p p u n to d i t a l i  « in s i e m i », c o me c a so p a r t i c o la re

    d i q u e s t i ; c o m e s i s t e ma

      «

     d i s e g n i » e s s o r i m a n d a d i r e t t a m e n t e a i

      «

     signific ati »

    e d in v o lv e l a q u e s t io n e d i c h e c o sa s i a e f f e t t i v a me n te p o ss ib i l e s ig n i f i c a re , c o me

    « com unic az ion e » esso invo lve la du p l ice qu est i one de l la  « intersoggetività  » (esclu

    s ivamente f i losof ica ) e de l la

      «

     o g g e t t iv i t à » d e l l e c o se c o mu n ic a b i l i ( a n c h e q u e s t a

    f i losof ica e snodab i le so lo a l l ive l lo de l rappor to teo re t ico t ra  « p re se n z a » e d  « o g

    g e t t iv a z io n e ». S e il fo n d a m e n to d e l l a  « com unic az io ne », e ssenz ia le a l l ingua gg io

    c o m e s u a

      « funzione

      », è la

      «

     com uni one », e sse nz ia le a l l inguagg io è

      il modo di essere

    dì co lo ro che lo usano , che è , pe rc iò ,

      Vessere

      stesso  d e g l i e n t i c o mu n ic a n t i t r a lo ro

    (cfr. G. R.

      BACCHIN,

      Tempo e comunione come senso della storia,

      in « R iv i s t a

      inter

    naz iona le d i f i losof ia po l i t ica e soc ia le»

      (1964)

      pp . 206-211) . Non s i dà una

    q u a l c h e  « in fo rma z io n e » c h e n o n s i a a n c h e  « espr ess ione » d i c h i in fo rm a e de l

    s u o

      m odo d essere.

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    I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

      13

    totalità entro cui esso   ha  un senso  e  la funzione del linguaggio

    rispetto alla filosofia che esso significa, la filosofia   del  linguaggio

    abbisogna di chiarire inizialmente il valore del semantema

      «

     di »,

    ri levandone

      l ambiguità.

    Tale semantema può venire considerato, come i semantemi

    affini «p er», «d a» , «co n», « a» , ecc.,  consignificante  o  sincate-

    gorematico,  per usare una espressione scolastica

      (i),

      in quanto esso

    dice qualcosa  solo  insieme  (sin-cum)  ad altro semantema e, tut

    tavia, ne determina il senso e, quindi, la possibilità di uso nei

    vari contesti. Il  « di  » presenta, du nque, una bivalenza s truttu rale ,

    in quanto esso ha, insieme, funzione sintattica e valore semantico

    e i due aspetti non sono tra loro scindibili se il nesso tra seman

    temi è sintatt ico e se i semantemi vengono determinati in virtù

    di tale nesso che li  modifica,  ossia li condetermina.

    Ma, oltre all 'ambivalenza (sintassi-semantica), per la quale

    esso è, insieme , «co nn ettivo logico

      »

     (2) e «sem antem a

      »

      (3), il

    «

     di

      »

      cela una  ambiguità,  proprio perchè esso può indicare le due

    (1)  Cfr.

      PIETRO ISPANO,

      Summ.

      Log.

      V I I , 5 ,  11  ; m a a n c h e S t u a r t  Mill  la usa

    [Logic,  I , c a p . I I , p a r . 2) ; p iù r e c e n te m e n te  H U S S E R L

      (Logische

      Untersuchungen,

    I I ,

      par . 4 ) ne l senso d i pa r t i de l nome. Cfr . anche E .

      CASARI,  Lineame nti di logica

    matematica,

      M i l a n o ,

      1961,

      p .

      19.

    (2 ) N e l l a lo g ic a c o n te mp o ra n e a l a p a ro la

      «

     c o n n e t t iv o » v i e n e u sa ta n e l se n so

    d e l  « s imb o lo imp ro p r io » c h e , c o m b in a to c o n u n a o p iù c o s t a n t i , d à lu o g o a d u n a

    n u o v a c o s t a n t e .

    (3) Uso d i questo te rmine ne l senso ind ica to da l

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    14

      CAPITOLO PRIMO

    funzioni  dell oggettivazione  e della  specificazione : la prim a come

    operazione connessa al rapporto conoscitivo soggetto-oggetto (co

    noscenza

      di

      qualcosa) e per lo più implicita nel discorso (io penso

    che . . .),  la seconda connessa, come operazione, con il processo

    di determinazione ulteriore, il quale costituisce l'asserzione in

    to rn o a qualco sa (questa cosa è così e così e . . .).

    Nell 'oggettivazione, il « di », indica nd o ciò di cui v'è conoscenza,

    non entra a costituire la cosa se non in quanto   rapportata  al sog

    getto che la conosce, dove, invece, il

     «

     di

     »

     specificante en tra nella

    asserzione stessa e riguarda intrinsecamente l 'asserito. L'intreccio

    tra i l  « di »  oggettivante e il « di »  specificante entra dunque nel

    l'asserzione stessa ed è intreccio fra asserzione ed asserito nel

    , senso che la specificazione può dirs i anche dell'asserzione come

    tale (p. es. l 'asserzione di me, mia).

    Non entro qui nell 'analisi dettagliata dei valori linguistici di

    appartenenza, di attribuzione, ecc., ma è sufficiente avere stabi

    lito che il  « di »  cela questa am bigu ità ,per chiarire che qu esta

    ambiguità si riproduce anche nel caso della filosofia

      del

     linguaggio :

    se il

      «

     di

     »

     vi indica l'ogg ettivazion e, deve po tersi pensare la filo

    sofia come attiv ità ogg ettivante, come tale, cioè, da avere un

    su o

      oggetto, oggetto che essa teorizza come esterno ad essa e

    che essa investirebbe del proprio metodo, ma che sarebbe sempre

    uno  degli oggetti cui essa potrebbe  applicarsi  (altri esempi si

    avrebbero con la

      «

     filosofia  del  diritto »,

     «

     filosofia  della scienza »,

    «filosofia  della  storia», ecc.).

    Questo  « applicarsi » de lla filosofia agli  « oggetti »  è oltremodo

    ambiguo se si mantiene, come si pretende comunemente, di molti

    plicare  nella  filosofia gli oggetti che essa

      assumerebbe,

      tali da divi

    dere la filosofia fra i suoi oggetti : la filosofia dovrebbe   risultare

    composta, di volta in volta, di se stessa

      e

      del proprio oggetto e

    quindi non essere mai  «  se stessa » senza l'ogg etto che la conde

    termina.

    Se   avesse ogg etti suoi, la filosofia dov rebb e p orre in se stessa

    una irriducibile  molteplicità,  che è l ' impossibilità di avere un og

    getto veramente  suo,  dovendo essa assumere necessariamente og

    getti diversi tra loro. È quanto accrediterebbe una riduzione della

    filosofia ad attività di

      «

      riflessione critica

     »

     sugli  oggetti, equivo

    cando appunto tra filosofia e

      «

     pen siero scientifico

      »,  «

     pensiero

    giuridico », ecc., quel  « pensiero »,  cioè, che indica semplicemente

    la consapevolezza di se stessa cui tende qualsiasi scienza e che è,

    perciò,  ancora  «  scienza », non  mai « filosofia ». Solo una vol ta

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    I FONDA M E NT I DE L L A FIL OS OFIA DE L L INGUAGGIO

      15

    caduti in questo equivoco, l 'eliminazione della filosofia come auto

    noma appare inevitabile, proprio perchè una  « filosofia  »  che non

    fosse riflessione o coscienza critica che le scienze, strutturazioni

    dell 'esperienza, acquistano progressivamente di se stesse, sarebbe

    almeno superflua e, quindi, ingombrante. Ma codesta elimina

    zione della filosofia consegue all 'equivoco ed è, perciò, tutta equi

    voca ; essa, inf atti, suppo ne o che la filosofia sia  riflessione  sul

    modo di costituirsi degli oggetti o che pretenda di vincolare

      a

    priori  gli oggetti al suo modo di vederli :  riflessione critica sulla

    scienza  o  dogmatismo. Alla

      «

      riflessione

      »

     si con nette il conc etto

    di  «  teoria ».

    § 8. —   Concetto di

      «

      teoria

     »

      e sua riduzione.

    Il concetto di

      «

     teoria

     »

     si rivela insignificante se lo si ri po rta

    a ciò che comunemente con questa parola si intende. Comune

    mente, per quel linguaggio il cui valore, identificandosi con l'uso,

    è sempre solo presupposto, si dice

     «

     teoria

     »

     per indicare il momento

    espositivo o descrittivo di un qualche ordine di operazioni o di

    norme e, in questo senso,

      «

     teorico

     »

      si oppone a

      «

      pratico », come

    momento in cui, più che il fare o agire o produrre, si vuole dire

    il   modo che si ritien e di pote r o dovere ten er in quel fare o agire

    o produrre.

    Al termine

     «

     teoria

     »

      è infatti connesso il senso negativo di qual

    cosa di insufficiente o di inadeguato rispetto all 'esperienza effet

    tiva ed esso viene fatto equ ivalere , perciò, ad

      «

     as t rat to

     »

      : in teoria

    le cose stare bb ero in un modo , pr atic am en te, cioè in effetti, le

    cose andrebbero altrimenti.

    Ed anche se si vuole evitare la contrapposizione di

      «

     teorico »

    a

      «

     pratico

     »

     come di negativo a positivo , di disvalore a valo re,

    la parola

      «

     teoria

     »

      conserv a alme no il significato di esposizione

    preliminare o, ed è lo stesso, di riesposizione riassuntiva di un

    ordine di realtà che, rispetto alla teoria, si presuppone concreto.

    Una teoria generale della scienza (una epistemologia), ed una

    teoria del metodo, sarebbero pur sempre momenti distinti da

    quell'effettivo operare che viene fatto o precedere o seguire al

    discorso intorno ad esso. Tale distinzione il senso comune (ed

    il comune linguaggio) mantiene sempre,

      che

      di essa si materia

    appunto ogni esposizione di

      «

     criteri

     »

      o di

      «

     valori

     »

      che non

    ritenga di coincidere concretamente con quei valori e fare essa

    stessa uso di quei  « c rite ri ».

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    22/116

    l 6

      CAPITOLO PRIMO

    L'insignificanza teoretica della  « teoria »  è, così, la stessa pre

    tesa di esporre con   un  discorso  l intera  consistenza  del  discorso.

    Essa si rivela dove si dispongano analiticamente i termini nei

    quali un dato discorso si struttura, in modo che l 'esposizione

    abbia il carattere della provvisorietà rispetto a ciò che vi si espone,

    provvisorietà che consisterebbe tutta nella impossibilità di ridurre

    l'esposizione a ciò di cui è esposizione, il dire al

      «

      dire se stessa

     »

    da parte di quella cosa.

    La provvisorietà è così da ridursi alla costruzione di un lin

    guaggio che si esaurisca nell'indicazione semantica della cosa,

    appunto quale indice di valori e di criteri,  nonché  del loro nesso.

    Ogni descrizione provvisoria del sapere avviene così per mezzo

    di una costruzione del sapere stesso, il quale in ta n to sarebbe

    autentico sapere in quanto la costruzione fosse ad esso   estranea,

    ma anche ad esso   identica  : estranea, perchè quel discorso è indi

    cativo e non risolutivo del sapere ; identica, perchè il sapere è

    risolutivo di qualsiasi discorso epperò dello stesso discorso con

    cui lo si dice.

    Questa situazione aporetica, consistente nel fatto che   nel  sa

    pere si distingue ciò che   col sapere si identifica, do m and a che il

    senso comune che determina l'aporia non possa costituirsi come

    ciò in base a cui risolvere l'aporia, superandola.

    Il concetto di teoria, quale provvisoria indicazione di cose

    concrete fuori di essa, si riduce a quel senso comune mediante la

    costruzione dell'aporia in cui il sapere e la sua indicazione si eli

    dono reciprocamente nell'impossibilità di indicare un

      «

     sapere

     »

    senza che si inglobi tale indicazione nel sapere indicato, con la

    consapevolezza del valore dell'indicazione come tale : indicare il

    sapere è necessariamente sapere che l'indicazione vale come indi

    cazione ed è, quindi, sapere il proprio sapere.

    In tal modo, dire il sapere significa   soltanto i l

      «

      dire se stesso

     »

    da parte del sapere   ed anche  che il proprio  dirsi,  il proprio  mo

    strarsi  del pensiero, venga de tto :  soltanto  dirsi ed  anche  venire

    detto sono, appunto, la contraddizione in cui ci si viene a trovare

    se si vuole erigere il concetto di teoria, con la sua immanente

    aporia, in assoluto, teorizzando all'infinito la sua validità.

    Ciò che « teoria »  può significare è allora niente più che il « pre

    suppo sto », il quale non può giustificarsi come tale prop rio in

    quanto, come tale, non può non presupporre sempre la propria

    giustificazione.

    Il senso comune è così, nella sua stessa avversione alla teoria

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    23/116

    I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

      17

    e nel suo stesso contrapporsi ad essa come concreto ad astratto,

    affatto teorico perchè presuppone appunto un termine da cui si

    cominci, il quale termine non sia, perchè inizio, quel processo

    che da esso comincia.

    Infatti, il senso comune considera la teoria o come momento

    indicativo d i cose da fare o come m om ento riassun tivo di cose

    fatte,

      come insufficiente o come superfluo ; ma insufficienza e

    superfluità conseguono, in ogni caso, all'assunzione della teoria

    come mo m ento che, sempre presu ppo sto, astr ae dalla giustificazione

    di se stesso.

    § 9. —

      La riduzione del conce tto di teoria e la radice pragm atica

    dell intellettualismo.

    Ridurre la teoria al senso comune significa mostrare la radice

    dell'intellettualismo, il quale, come atteggiamento di fronte alla

    realtà, suppone, appunto, questo trovarsi di fronte alla propria

    ed insieme estranea realtà.

    Atteggiamento che è scelta non consaputa, perchè è presup

    posizione alle operazioni da compiere e queste sono rese possibili

    dalla situazione fuori operazione in cui ci si pone per scegliere e

    che,  perciò, non può venire scelta  né  consaputa.

    Pervenire a sapere che questa situazione è il presupposto alle

    operazioni è, d'altra parte, nient 'altro che

      una

      particolare opera

    zione, la quale non fa che riproporre, in quanto tale, la situazione

    di tu tte le operazioni e, quind i, non è m ai tale da m uta re la

    situazione saputa.

    Per cui, se quella situazione è ateoretica, la consapevolezza

    della sua ateoreticità non si sostituisce ad essa

      né

      le conferisce

    teoreticità, negando quella ateoreticità di cui  è  consapevolezza.

    E quella situazione è precisamente ateoretica perchè sempre

    e solo presupposta e quindi, estranea a se stessa,

      «

     as t ra t ta

     »

     o

    teorica (§ 8) : essa pres uppone, infatti, la sua giustificazione e

    si pone, perciò, arbitrariamente come definitiva.

    È impossibile, infatti, operare senza supporre  « definitivo  » e

    concluso il m om ento da cui si pren de ad operare : l 'operazione

    (sulla realtà )  domanda, per se stessa, la definitività del suo inizio

    quale applicazione tecnica di un concetto già elaborato.

    La cosa è anche storicamente importante, perchè l ' interpre

    tazione scolastica e moderna del  « concetto »  classico (ossia della

  • 8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965

    24/116

    ..•• -

    l 8

      CAPITOLO PRIMO

    teoreticità come « teoria »)  deriva, appunto, dalla necessità di uno

    strumento valido d'operazione

      sul

      reale e, quindi, obbedisce a due

    fondamentali istanze :  i°  che il concetto sia valido come  « stru

    mento

     »

     da app licarsi al rea le ; 2° che il

      «

     concetto

     »

      sia da veri

    ficarsi come

      «

     st rumento

     »

     valido m edian te un confronto con quel

    reale.

    La duplice istanza, operando per se stessa una dicotomia con

    il rapporto concetto-realtà, rende insolubile il problema, da essa

    emergente, della verificazione del concetto, in quanto la realtà

    con la quale il concetto dovrebbe venire confrontato onde sta

    bilirne il valore, non potrebbe essere estranea al concetto stesso.

    Ma quella duplice istanza deriva precisamente dall'avere ri

    dotto il concetto a strumento, il cui valore non può venire giusti

    ficato dalla sua effettiva applicazione al reale se non identifican

    dosi semplicemente con quel reale e cessando, così, di essere solo

    strumento : la giustificazione dello strumento dovrebbe semplice

    mente presupporsi e non giustificarsi (cfr. §  5). Questo presupporre

    la validità dello strumento significa, allora, nulla più che operare :

    lo stru m en to è essenzialmen te l'operazione stessa che esso con

    sente. Così la radice dell'intellettualismo è il pragmatismo e l'esito

    coerente del lognoseologismo mo derno non è l'idealismo com e recu

    pero dell ' identità tra pensiero ed essere, ma il pragmatismo come

    identificazione tra valore ed operazione.

    §  io .  —  La nozione ateoretica

     dello «

     in

      generale »

      come base della

    teoria.

    La parola  « teoria

      »,

      riportata a ciò che lo stesso etimo dice,non può significare ciò che con essa polemicamente si crede di

    poter dire : la   9-ecopia  è, piuttosto,  « visione »  e vale ad indicare

    la pienezza di qu ell'atto per cui ciò — che — è è prese nte, e,

    perciò, equivalentemente, l 'attualità della cosa che si conosce e

    l'attuazione stessa del conoscente come conoscente.

    Bisognerà approfondire questa assunzione della parola  « teo

    ria »  ; per ora ci limitiamo ad usare, in questo senso, della parola

    « teoretico »  e riserviamo la parola  « teoria »  a ciò che comune

    mente si intende, come si è visto, per

      «

     dot t r ina

     »

     nel senso intel

    lettualistico e formalistico dell'esposizione o della riesposizione.

    Questa distinzione di parole si giustifica con la considerazione

    del fatto che si dà un caso in cui la teoria si rivela a teoretica,

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    I FONDAM E NT I DE L L A

      FILOSOFIA

      DE L L INGUAGGIO

      19

    ossia ingiustificabile. Questo è precisamente il caso in cui si usa

    dell'espressione  «  in generale »  e ci si riferisce a qualcosa a p rescindere da certe determinazioni, astraendo da  ciò  che ne costi

    tuisce pienamente la concretezza.

    La nozione dello  «  in generale » è ateoretica ed equivale all'uso

    della parola generica

      «

     cosa

     »,

      con la quale non ci si riferisce a

    qualcosa di determinato, ma si intende una certa   sostituzione  di

    qualcosa di determinato con un aspetto di questa cosa che valga

    a dire tutti gli altri aspetti, senza che si incorra nella necessità

    di procedere a dire  « che cosa » esso sia, all'inte rno di quella pre n

    sione globale, appunto.

    Dove manchi l ' intenzione di procedere verso la determina

    tezza, la nozione di  « cosa » non pu ò significare nulla, perch è la

    prensione globale di qualcosa non è qualcosa se non per l'opera

    zione del

      «

      prendere insieme », del

      «

      comprendere », del conside

    rare tut to  simul.

    La parola  « cosa », cioè, può voler dire la nozione generica

    come globalità all'interno della quale si intende procedere alla

    determinazione dei singoli aspetti o caratteri di ciò che si consi

    dera, ma anche può voler dire la possibile sostituzione dei singoli

    aspetti o caratteri della cosa da parte di un determinato aspetto

    in cui tutti gli altri, mantenendosi tali, si riconoscono.

    Nel primo senso, la parola

      «

     cosa

     »

      ha c aratte re operativo,

    perchè, dove manchi l ' intenzione di procedere nella determina

    zione, la cosa è solo l'indeterminato, cioè il nulla e la cosa è tutta

    nella intenzione di dire che cosa essa sia ; nel secondo senso, la

    parola  « cosa »  indica qu ell'aspe tto che non pu ò venire ulterior

    mente determinato, essendo la determinatezza stessa di ogni altro

    aspetto e che non è, allora, propriamente  « altro » rispe tto ai sin

    goli determinati aspetti.

    Dove, nel primo senso, la parola

      «

     cosa », fuori dell'intenzione

    operativa, è indeterminabile perchè assolutamente indeterminata

    (determ inare il nulla non è determ inare) , nel secondo senso la

    parola

      «

     cosa

     »

      è indeterminabile perchè assolutam ente prede

    terminata quale  determinatezza ontologica di ciò che si con sidera.

    Il discorso che si articola sulla nozione di

      «

     cosa

     »

      è, in ogni

    caso,  posizione all'interno di una assunzione i cui limiti sono

    due indeterminabili : l ' indeterminabile

      «

     nulla

     »

     e  l 'indeterminabile

    « tu tt o ».

    I limiti, tuttavia, non sono analiticamente   inventati,  perchè

    il nulla e il tutto non sono dati immediati dell'esperienza (il nulla

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    26/116

    CAPITOLO PRIMO

    è operazione,

      in

      quanto negazione

      ; il

      tu t to

      è la

      dialetticità del

    l'impossibile

      che non

     sia),

     per cui

      dovremmo dire, piuttosto,

     che

    il discorso

      nel suo

      svolgimento

      (in

      atto) pone come suoi limiti

    il nulla  e il tu t to  e,  precisamente, pone  il  tutto come impossibilità

    del nulla

      e

      pone

      il

      nulla come

      la

      negazione intrinseca

      a

      tale

     im

    possibilità.

    I l tut to  è

     l impossibilità

      del  nulla  nel  senso che, dove  il  tu t to

    non fosse, ogni singola determinazione  e  l'insieme ipotetico  di

    tu t te

      le

      determinazioni non sarebbero

     ;

      diciamo, dunque,

      che la

    nozione  di «  totalità », analiticamente considerata,  è contraddit toria :

    dire che  «  domandare tut to

      è

      tut to domandare »

     è

      tautologia

      nellostesso senso

      in cui

     « domandare tut to »

     è

      contraddizione

      ; quella

    tautologia  è la  ripetizione indefinita  di una   contraddizione, nello

    stesso senso  in  cui il  tu t to  di esaustione  è  l 'indeterminato  in una

    serie determinata  di  determinat i  (i  singoli momenti  del processo

    non potendo  non  coesistere,  nel m ent re  che il processo,  per  ogni

    termine  che è la  possibilità  e  quindi  la  necessità  del suo  ulte

    riore

      (i),  non può non

     essere infinito).

    La totali tà  di   esaustione  ha, al più,  cara ttere postu latorio,

    non essendo ma i

     «

     determ inabile

     »

      ; ma questa postulazione si rivela

    contraddittoria dovendosi porre come intrinsecamente irriducibile

    all'« ind eterm inato »,  che  postulare l ' indeterminato  è  postulare  il

    nulla

      ;

      coerentemente

      non

     postulare,

      o

     po stulare

      e  non

     p ostulare,

    contraddirsi appunto.

    La contraddizione analitica della domanda  di   tu t to  è,  così,

    costruzione analitica  di un rapporto  tra  termini  i  quali escludono

    precisamente quel rapporto, perchè

      il

      domandare importa

      una

    duali tà  tra  l 'at to  e la  cosa  che in  esso  e per  esso  si  pone come

    domanda ta

      ; la

      quale,

      da

      par te

      sua, non può non

      includere

      lo

    stesso atto

      del

      domandare,

      il

      quale,

      nel

      tutto, domanderebbe

     se

    stesso, vanificandosi

      in un

      processo all'infinito.

    Fin  da   questo momento possiamo dire  che la  problematicità

    pura, quale dom anda della totali tà ,  analiticamente considerata,

    sarebbe contraddittoria, perchè   la  reiezione universale della  cer

    tezza

      con cui il

      dubbio

      si

      at tua domanda

      che si

      assuma l 'uni

    versale come inattaccabile  dal dubbio  : dubitare  di tu t to  è possi

    bile solo dove  il  tu t to  sia ; ma,  dove  il  tu t to  è, non è  possibile

    dubi tare  di  « tu t to »  : dell'esservi  del tu t to  non è  possibile dubi-

    (i )

      Cfr ., pe r

      la

      s t r u t t u r a d e l l a

      «

      d e te rm in a z io n e u l t e r io r i z z a n te »,

     G.  R.   B AC -

    C H I N ,  L Originario ecc.,  cit., I, par. 2.

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    I F O N D A M E N T I D E L L A F I L O S O F I A D E L L I N G U A G G I O

      21

    tare ;

      né,

      d'altro canto, è possibile dubitare di qualcosa che non

    sia nel tutto, perchè se del tutto non si dubita, non si può dubi

    tar e di ciò che fuori del tu tto no n sarebbe (il tu tto non sareb be

    se qualcosa gli fosse estraneo).

    An aliticamente considerato, il dubbio o prob lema è inso ste

    nibile se non al livello tutto psicologico e quindi empirico di una

    attività presupponente ; al livello teoretico o filosofico, il problema

    sarebbe la dissoluzione di se stesso : sarebbe un porsi che si toglie

    da solo ; esso mai sarebbe se l'« altro » da esso non fosse, ma non

    potrebbe mai attuarsi come universale se questo

      «

     altro

     »

      non

    fosse risolubile in esso (se il domandare tutto non fosse tutto

    domandare) : l '« altro » è così posto e tolto, ed il pro blem a che in

    funzione dell'« alt ro

     »

     si pone, risolvendo l'altro in se stesso, da

    se stesso si toglie  (poiché  domandare tut to è  tutto  domandare ,

    domandare tutto è domandare niente, non è domandare).

    §  l i .  —  Riduzione del  procedimento analitico all indeterminato, cioè

    al contraddittorio.

    L'analiticità domanderebbe dunque un processo all'infinito,

    perchè il porsi di un termine è, nella sua determinazione, la po

    sizione indicata da un termine ad esso ulteriore.

    Questo  progressus in

      indefinitum

      suppone che l'indefinito sia,

    il che contraddice alla nozione stessa di   progressus,  perchè questo

    domanda che ciascun termine sia ulteriore rispetto a tutti gli altri,

    nel porsi di tutti i termini compresenti tra loro.

    Così il  progressus in indefinitum   è assurdo, perchè, suppo

    nendo la definitività dell'indefinito, contrad dice a ciò che esso,

    come progresso, dov rebbe porre : il suo presupp osto è tolto da

    ciò di cui è presupposto ; ma questo toglimento stesso presuppone

    quel presupposto di cui è toglimento,  che  l'ulteriorità vi consiste

    nella presupposizione indefinitamente presupposta.

    Tale  progresso risulta nullo perchè, presuppon endo indefini

    tamente se stesso, non sorge mai : la sua nullità è tutta nel suo

    presupp orsi a se stesso ed è qu esta la  ratio  della sua contraddit

    torietà e si può anche dire che, rispetto   zìi indefinitum,  progresso

    e regresso non solo si equivalgono (= la discriminazione è estrin

    seca al processo che essi indicherebbero), ma s'identificano, nel

    senso che l'atto che pone è il medesimo atto che toglie.

    La contraddittorietà (o nullità) del  progressus in indefinitum

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    22 CAPÌTOLO PRIMO

    è, precisamente, l ' identità

      tra

      posizione

      e

      toglimento

      : la

      pro

    gressione

      è la sua

      stessa regressione,

      ed

      allora  né

      si

      progredisce

      si  regredisce, cioè  non  v è  processo.

    Ciò  che dal rivelamento  di  tale contraddittorietà consegue non

    è  che il  tu t to  sia  finito,  e,  perciò, esauribile  da  par te  di un  pro

    gresso   che ne  svolga fino  al  termine  la  finitezza, bensì  che un

    processo inteso alla determinazione radicale   non può non  essere

    finito   ; che il  fondamento, cioè, non può non esservi.

    Un tu t to  « finito  »  equivarrebbe, infatti,  ad un  tu t to  « indefi

    nito », perchè esso   non  potrebbe  non  includere quell 'atto onde  è

    detto come tale,

      ma

      quell 'atto verrebbe sempre riproposto

      per

    dire  la sua  inclusione  e,  quindi, verrebbe sempre negato  dal suo

    stesso dirsi incluso

      :

      dire

      che il

      tutto include l 'a t to

      del

      dire

      il

    tutto implica indefinitivamente   un  atto  che  dica tale inclusione,

    la quale, perciò,  non può non  restare indefinita.

    La risoluzione  del  procedimento analitico  al  contraddit torio

    importa  la  determinazione  del  procedimento come dialettico  :

     la

    dialetticità è

     provata con

      la negazione

      dell ana liticità.   Ma è  proprio

    questa determinazione  che  domanda  il  duplice chiarimento della

    distinzione

      tra

      negazione contraddittoria

      e

      negazione dialettica

     :

    la prima come negazione indeterminata,  la  seconda come deter

    minatezza ulteriormente indeterminabile.  Il  duplice chiarimento

    si ottiene  con  l'esame della differenza ontologica  tra il  contrad

    dittorio   ed il  negato.

    §  12. — Differenza   ontologica tra il  contraddittorio  ed il negato  (i).

    «

     C ontraddit torio

      »

      è ciò che è

      posto

      e

      tolto

      ;

      l 'at to

      che

      pone

    è  lo  stesso atto  che toglie  ;  quest 'a t to  non pone  né  toglie, sempli

    cemente  non è.

    «

     N egato

      »

     è ciò che è  posto

      per

      venire tolto  ;  l 'at to  che  pone

    non   è lo  stesso atto  che toglie  ; cioè gli a t t i  sono  due ed  entrambi

    reali, ma solo uno dei due è vero, perchè  se è  vero l 'atto  che  pone,

    non   può non  essere falso l'atto  che  toglie,  e  viceversa.

    Il contraddittorio esce, così, dalla considerazione teoretica  ;

    esso   è  ateoretico, ossia  il  nulla  non è  (radice pragmatica della no-

    (i )  Cfr. G. R.  BACCHIN,  Intero metafisico   e  problematicità pura,   in  «  R iv i s t