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Bildlos * Giorgio Antonelli, Roma * II presente articolo fa parte di un lavoro più ampio dedi- cato alle relazioni tra mistica e psicologia. È possibile un'esperienza «senza immagine»? Può l'io accedere, e in che modo, nel regno, se un regno c'è, del «senza immagine»? Convengono sulla legittimità di quel regno, anzi sulla sua assolutezza, i mistici, lo nega Jung in una lettera inviata a James Kirsh in data 10 Dicembre 1958, lettera in cui si parla della pretesa avanzata da alcuni orientali in merito ad esperienze fatte, appunto, bildlos, ovvero «senza immagine». Secondo la loro tradi- zione un'esperienza «satori», un'esperienza d'illumina- zione, è senza immagine. Tale asserzione, però, ribatte Jung, è «non-psicologica», unpsychologisch. Il fatto che essi ricordino qualcosa di definito, e quindi riconducano ad immagine quanto hanno esperito, dimostra che quel- l'asserzione è illegittima. Se l'esperienza è senza imma- gine, infatti, non la si può ricondurre alla memoria. Se, viceversa, la si può ricondurre alla memoria, allora non si potrà sostenere che è «senza immagine». La riconduzio- ne dell'immagine alla memoria presuppone la presenza d'un «io» cosciente. Se manca un io cosciente, mancherà necessariamente una memoria. Se l'io non è presente, niente potrà essere percepito. Jung sostiene che un tale modo di argomentare, l'argomentare «senza immagine», è proprio anche di alcuni cristiani che asseriscono d'es- sere redenti da Cristo, laddove si può agevolmente pro- vare che non sono stati redenti da nulla. Semplicemente si è esperita una trasformazione e le cose sono viste

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Page 1: Bildlos - rivistapsicologianalitica.itrivistapsicologianalitica.it/v2/pdf2/42-1990... · Trimégiste, tome III, Les Belles Lettres, Paris, 1986, p. 238. presenta in tutto e per tutto

Bildlos*

Giorgio Antonelli, Roma

* II presente articolo fa partedi un lavoro più ampio dedi-cato alle relazioni tra misticae psicologia.

È possibile un'esperienza «senza immagine»? Può l'ioaccedere, e in che modo, nel regno, se un regno c'è, del«senza immagine»? Convengono sulla legittimità di quelregno, anzi sulla sua assolutezza, i mistici, lo nega Jungin una lettera inviata a James Kirsh in data 10 Dicembre1958, lettera in cui si parla della pretesa avanzata daalcuni orientali in merito ad esperienze fatte, appunto,bildlos, ovvero «senza immagine». Secondo la loro tradi-zione un'esperienza «satori», un'esperienza d'illumina-zione, è senza immagine. Tale asserzione, però, ribatteJung, è «non-psicologica», unpsychologisch. Il fatto cheessi ricordino qualcosa di definito, e quindi riconducanoad immagine quanto hanno esperito, dimostra che quel-l'asserzione è illegittima. Se l'esperienza è senza imma-gine, infatti, non la si può ricondurre alla memoria. Se,viceversa, la si può ricondurre alla memoria, allora non sipotrà sostenere che è «senza immagine». La riconduzio-ne dell'immagine alla memoria presuppone la presenzad'un «io» cosciente. Se manca un io cosciente, mancherànecessariamente una memoria. Se l'io non è presente,niente potrà essere percepito. Jung sostiene che un talemodo di argomentare, l'argomentare «senza immagine»,è proprio anche di alcuni cristiani che asseriscono d'es-sere redenti da Cristo, laddove si può agevolmente pro-vare che non sono stati redenti da nulla. Semplicementesi è esperita una trasformazione e le cose sono viste

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diversamente che in precedenza. (1) La lettera di Jungpone la questione dei rapporti tra mistica e psicologia.Esiste realmente un discrimine tra ciò che è mistico e ciòche è psicologico? Il presupposto globale di Jung, l'oriz-zonte entro il quale egli si muove, è quello di una coin-cidenza tra psiche e realtà. È ovvio che in virtù d'una talecoincidenza viene sottratto ogni appoggio alla «ipotesi»mistica e, infatti, afferma Jung, si deve principalmente allanostra ignoranza della psiche se alcune esperienze ciappaiono «mistiche». (2).Diversamente da quanto sosteneva Jung e in relativaconsonanza con gli «orientali» da lui menzionati nellalettera a James Kirsh, i pensatori cristiani hanno impiega-to l'espressione «senza immagine» per connotare unaspetto fondante dell'esperienza mistica. In campo cri-stiano, dunque, l'esperienza «senza immagine» è ritenutapossibile e, anzi, imprescindibile. In che modo, allora, everso quale luogo concordano esperienza mistica edesperienza senza immagine? E cosa dovremo intendereper conoscenza mistica, ammesso che si dia unaconoscenza del genere? Mistica si definisce una cono-scenza di Dio «sperimentale», esperienziale cioè, una«cognitio experimentalis Dei». Ora, se si vuole conoscereDio, occorrerà trasporsi nel luogo «senza immagine»dello spirito e si può ben comprendere come, a tal fine,permanendo nell'ottica cristiana, ogni mediazione imma-ginale risulti non soltanto inadeguata ma ostacolante. Lamediazione dell'immagine, di fatto, viene considerata daimistici come lontananza o esilio da Dio. L'immagine, dalpunto di vista del conoscere mistico, non è essa stessaaltrimenti definibile che come mediazione. L'immagine,insomma, è il luogo stesso dell'inverarsi di quella lonta-nanza o di quell'esilio. Se l'anima deve conoscere Dio,sostiene Eckhart, ciò dovrà avvenire immediatamente,vale a dire senza immagine. (3) Ma come definisce ilmaestro renano «mediazione»? Mediazione è tutto, scriveEckhart nel sermone precedente a quello appenamenzionato, mediazione è piacere, paura, sofferenza,speranza. Mediazione, in altri termini è la dimora dell'e-sperienza. L'uomo, dunque, in quanto abitatore dell'e-sperienza, dimora nella mediazione. La mediazione ci si

(1) C.G. Jung, Briefe,herausgegeben von AnielaJaffé, Zurich, inZusammenarbeit mitGerhard Adler, London,Walter-Verlag, Olten undFreiburg im Bresiau, 1980(1972-1973), vol. Ill, pp.208-209.

(2) C.G. Jung,MysteriumConiunctionis,Gesammelte Werke, 14Band, par. 762, Walter-Verlag, Olten, 1978(1968).

(3) M. Eckhart, SermorTedeschi 70.

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(4) Evagrio Pontico, «CapitaPractica ad Anatolium», in Migne,Patrologia Graeca 40.1248 A.Marco l'Eremita, «De legespirituali» in Migne, PatrologiaGraeca 65.921 D. GiovanniClimaco, «Scala Paradisi>> inMigne, Patrologia Graeca 88.881A.

(5) Jamblique, «Traité del'Ame» in A.-J. Festugiére,La Révelation d'HermésTrimégiste, tome III, LesBelles Lettres, Paris, 1986,p. 238.

presenta in tutto e per tutto come il regno della psiche.Dovremmo allora pensare che al regno immaginale dellapsiche se ne opponga uno senza immagine, quello stessoche diciamo «regno dei cieli»? Ma non è forse «dentro» il«regno dei cieli»? Dentro il pensiero del cuore? Dentroquell'uomo interiore di cui parlano greci ed ebrei, Platonee Filone, Paolo e Plotino? È certo, in tutti i casi, che dalpunto di vista del mistico, l'ascesa a quel regno si rendepossibile nella misura in cui ogni mediazione, e quindiogni immagine, è soppressa o, per usare un termine chereincontreremo tra breve, «denudata».L'aggettivo usato da Jung nella sua lettera, «bild los», nonfigura certamente come «isolato» nella storia della culturacristiana. Esiste, ad esempio, in greco patristico unletterale equivalente di «bildlos»: aneìdolos. Lo impie-gano, tra il quarto e il sesto secolo dell'eone cristiano,Evagrio Pontico, Marco l'Eremita, Giovanni Climaco. (4)La grecità, diciamo pure la grecità pagana, ignora l'esi-stenza del termine. Il che non significa, però, che ancheper i greci «pagani» non si sia posta la questione d'unaconvergenza dell'esperienza mistica col «senza immagi-ne». Si pensi ad esempio a quel passo del frammentario«Trattato dell'anima» del neoplatonico Giamblico nel qua-le si afferma che per Piotino e la maggior parte dei pla-tonici la purificazione dell'anima consiste, tra l'altro, nelfare a meno delle «conoscenze figurative». (5)Evagrio Pontico, monaco ed iniziatore del misticismomonastico, impiega il termine aneìdolos in un contesto,quello onirico, oltremodo significativo per il discorso psi-cologico. Sostiene dunque Evagrio che un sonno «senzaimmagine» è segno della buona salute dell'anima:«I moti naturali del corpo, se privi d'immagine, stanno a significare inche misura l'anima goda di buona salute.»

Noi saremmo «naturalmente» portati a credere il contra-rio. Dal momento che in quest'awerbio, «naturalmente»,tende di solito a giocarsi un che di irrisolto, sarà benechiedersi quali siano i motivi che spinsero Evagrio aformulare una così recisa condanna dell'immaginarioonirico, una condanna estesa, «naturalmente», a ogniimmaginario, all'immaginario in quanto tale. È a tal punto

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categorica quella condanna da non ammettere comeeccezione neanche l'immagine di Cristo ne tantomenoquella degli angeli o dei santi. In visione diurna o notturnofantasma, infatti, può essere il diavolo stesso a simularela presenza di Cristo o quella degli angeli. Se in ambitomusulmano, nel quale pure ci si era confrontati conanaloghe problematiche, i demoni non possono mai, perdefinizione, apparire nelle fattezze del profeta Maometto,in ambito bizantino ciò appare vero soltanto per quel cheriguarda l'immagine della croce. Soltanto la croce, la suavisione o la sua apparizione in sogno, non inganna. Per ilresto, quindi, ogni visione di Cristo in forma umana dovràconsiderarsi una frode perpetrata dal diavolo. (6) SecondoGiovanni Climaco il sogno è qualcosa da cui bisognaliberarsi. E, in effetti, il digiuno e il perfezionamentomorale sono intesi come atti a «liberare» dai sogni.Occorrerà dunque non «ripassare» durante il giorno leimmaginazioni sopravvenute nel sonno. Tale pratica,infatti, pratica che a noi appare del tutto legittima, èistigata dal demonio che intende macchiarci, allorché cisiamo svegliati, con la rimemorazione degli eventi onirici.«Phantasìa», del resto, viene definita da questo autorecome «inganno degli occhi in uno spirito che dorme». (7)La relazione tra sogno e demonio è sentita, in ambitocristiano, a tal punto intensamente da comparire anche inun testo autobiografico di Thomas Merton apparso nel1950. Scrive questo autore che il demonio«raggiunge il suo scopo ... non mediante chiarezza e sostanza, ma consogni e con creature di psicosi.» (8)

Sulla relazione tra il diavolo e l'immaginazione le testimo-nianze si contano numerosissime. Senza immaginazione,sostiene Esichio di Gerusalemme, Satana non puòformare pensieri ed esibirli alla mente dell'uomo persedurla con l'inganno. (9) Una volta, scrive Atanasio, adAntonio apparve il demonio e osò annunciarsi comepotenza di Dio. Atanasio precisa che veicolo di taleapparizione fu l'immaginazione. (10) Perché proprio l'im-maginazione costituirebbe il veicolo elettivo delle appari-zioni demoniache? Per le ragioni addotte, e già citate, daEckhart, vale a dire per la relazione intrinseca dell'imma

(6) Barsanuphe et Jean deGaza, Correspondance nr416, a cura di L. Regnault,Ph. Lemaire, B. Outtier, So-lesmes, 1971.

(7) Giovanni Climaco, ScalaParadisi capp. Ili, XIV, XV inMigne, Patrologia Graeca88.669, 869, 892, 896.

(8) Thomas Merton, La mon-tagna dalle sette balze. Gar-zanti, Milano, 1979, p. 37.

(9) Esichio di Gerusalemme,«A Teodulo. Sulla sobrietà ela preghiera per la salvezzadell'anima» in Writings fromthè Philokalia, Faber andFaber, London 1983, p. 282(10) Atanasio, «Vita di San-t'Antonio» cap. 40 in Migne,Patrologia Graeca 26.901 A.

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(11) St. Gregory of Sinai,•Istruzioni agli Esicasti», inWritìngs Irom thePhilokalia, cit., p. 81.

(12) Christian Wolff,«Psychologia Empirica» inGesammelte Werke,Laìeinischen Schrìften,Band 5, par. 144 sgg., p. 97sgg., Georg Olms,Hildesheim, 1968.(13) St. Gregory of Sinai,«Istruzioni agli Esicasti», op.cit., p. 90.

ginazione con l'effettività e l'emotività. A Evagrio Pontico,ad esempio, è chiaro che così operando i demoni aderi-scano alla parte più vulnerabile del nostro essere. La «visimaginativa» ci cattura, dunque, dove siamo più deboli opiù scoperti. Secoli dopo Evagrio, e in ambiente ebraico,Mosé Maimonide sarebbe giunto a sottintenderel'equiparazione tra l'«imaginativa» e il serpente che hasedotto Eva. La connotazione demonica del termine«phantasìa», poi avrebbe attraversato il lungo medioevod'Occidente.Durante il regno di Andronico Paleologo, nel XIV secolo,Gregorio, detto «del Sinai» per aver preso su quel montei voti monastici, è l'autore che meglio ci fa intendere ilsenso della «via teologica negativa» nel cui segno stiamocercando di declinare la storia del termine «bildlos».Scrive dunque Gregorio (11):

«Se però state veramente praticando il silenzio sperando di essere conDio e vedete qualcosa di materiale o spirituale, dentro o fuori, sia essaanche l'immagine di Cristo o di un angelo o di qualche santo, oppure seuna luce pervade la vostra mente, in nessun modo accettatela. Lamente ha in sé un potere naturale di sognare e può facilmente costruireimmagini fantastiche di ciò che desidera in coloro i quali non prestanoattenzione e così operando si danneggiano da sé...L'uomo al quale tuttociò avviene non diventa un esicasta ma un sognatore…Serbate lamente senza colore, senza forma, senza immagine.»

Non soltanto si dovrà evitare di creare fantasie, di met-tere in atto cioè quella facoltà che nel settecento illumi-nista Christian Wolff avrebbe detto «facultas fingendi»,(12) si dovrà anche evitare di prestare attenzione a quellefantasie che si creano da sé. (13) Secondo questo auto-re, dunque, l'immaginazione non è soltanto un atto volon-tario ma un vero e proprio evento. Che l'immaginazionesia un evento, un potenziale luogo di dimora per l'uomo,luogo ad esempio della ferita e della cura, casa degli ac-cadimenti, regno delle trasformazioni, che a questo Pro-teo o camaleonte - così definiva l'immaginazione MarsilioFicino - possiamo essere gettati, non è dato da con-siderarsi pacifico. Gianfrancesco Fico della Mirandola nelsuo «De Imaginatione liber», dedicato nel dicembre del1500 a Massimiliano d'Asburgo, riferisce il concetto d'unadipendenza dell'immaginazione dall'arbitrio dell'uomo

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ad Aristotele (14). Nel terzo libro del «De anima» di Ari-stotele si trova scritto che l'immaginazione dipende danoi, che immaginiamo quando vogliamo. (15) In tal senso,nel senso cioè d'una volontarietà dell'immaginazione,avrebbero interpretato il passo aristotelico non soltanto,tra gli altri, Temistio

«in nobis est quando volumus» (16)

e Averroé

«ymaginatio enim est voluntaria nobis» (17)

ma si sarebbe anche espresso, in tempi prossimi ai nostri,Wittgenstein. (18) II ricondurre l'immaginazione allavolontà, tuttavia, ha come controparte lo svilimento dellaWirklichkeit dell'immaginazione, lo svilimento della suaeffettività. Un'immaginazione così pensata viene di fattoresa innocua. Sostiene infatti Aristotele che quandoimmaginiamo il terribile è come se lo contemplassimo inun quadro. (19) Sotto questo riguardo, dunque, si puòsostenere che la categoria della demonicità renda piùragione alla dynamis dell'immaginazione. Pensare all'im-maginazione come a Satana la impone come evento eallora non contempliamo il quadro, vi siamo dentro. Unmodo di sottrarsi alla presa dell'immagine consiste nelricondurla sotto la giurisdizione della ragione. Lo stoicoEpitteto definiva l'uomo un essere mortale che fa usorazionale delle immaginazioni. (20) Fiatone, riconoscendoche in ognuno di noi è insita una specie terribile,selvaggia, immorale di desideri, raccomandava di andarea dormire solo dopo aver risvegliato il proprio elementorazionale. (21) In questo appello alla ragione l'eonecristiano, nel quale pure platonismo e stoicismo in qual-che modo trovano una loro continuazione, poteva leggereil segno d'una infinita debolezza. Il che ci riconduce aGregorio del Sinai.Chi erano gli esicasti ai quali questo autore intima diserbare la mente «senza immagine»? Esicasti, propria-mente parlando, si definiscono coloro i quali praticanol'«hesychìa», ovvero la «quiete», il «distacco», il «silenziodel pensiero». Esicasti erano, secondo un'accezione

(14) Gianfrancesco Picodella Mirandola, «Deimaginatione liber» inOpera Omnia l.l, Torino,1972, cap. 8. p. 141.(15) Aristotele, De Anima427 B 17-18.

(16) Thémistius,Commentaire sur !e Traitéde l'Ame d'Aristote,traduction de Guillaume deMoerbecke, Brill, Leiden,1973, p. 203.(17) Averroé,Commentarium Magnum inAristotelis De Anima libros,153.26-27.The MediaevalAcademy of America,Cambridge, Massachu-setts, 1953, p. 363.(18) Ludwig Wittgenstein,Ricerche filosofiche II. 11,Einaudi, Torino, 1974, p.279

(19) Aristotele, DeAnima 427 B 23-24.

(20) Epitteto, DiscorsiIII.I.25-26.

(21) Plafone, Repubblica IX571 DE-572 AB.

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ricorrente a Bisanzio già all'inizio del quinto secolo, imonaci che nel sacro della quiete conducevano una se-verissima esistenza eremitica. Per altri versi«esicasmo», nell'ambito del monachesimo bizantino deisecoli XIII e XIV, può definirsi quell'indirizzo mistico chesi richiama a una tradizione antica facente capo aEvagrio Pontico e ad altri illustri autori, Diadoco diFotice, Massimo il Confessore, Simeone il NuovoTeologo, Niceforo, Gregorio Palamas, i già citati Marcol'Eremita e Giovanni Climaco etc., e che vede inGregorio del Sinai un fervido promotore. Si tratta diautori che hanno descritto, nella misura del possibile, evivamente raccomandato l'esperienza «bildlos». Nei lorotesti si parla di «mente nuda», di «gioia senzaimmagine», di «cuore straniero alle immagini», di«silenzio della mente». Non c'è dunque bisogno dispingerci, con Jung, nell'estremo oriente, alle cuipratiche meditative comunque l'esicasmo apparevicinissimo, per confrontarci col «senza immagine».Ancor più vicino a Jung, tuttavia, sempre nel segno del«senza immagine», ci appare il misticismo medievalerenano e fiammingo del XIV secolo, il secolo che fuanche di Gregorio del Sinai, nelle versioni,rispettivamente, di Suso e Ruusbroec. Nei loro testi,così come nelle loro esperienze, il «bildlos» di Jungrinviene, come vedremo, i propri diretti, letterali,antenati.Enrico Suso, discepolo di Meister Eckhart, non diversa-mente dagli esicasti, sostiene che l'uomo deve dimorarenel distacco, vale a dire nel denudamento d'ogni imma-gine, nel luogo cioè dove risiede la gioia più grande. Dalmomento che l'immagine è, propriamente, accidente,l'uomo dovrà denudarsi d'ogni accidente, denudare sestesso, cioè, per pervenire all'essenza che gli è propria,la trasformazione in Dio, la «deificatio». Il diventareessenziale dell'uomo inferiore si fa evento, dunque, apartire dalla rinuncia alle immagini. Tale uomo interioreSuso definisce «entbildet». «Entbildet» è l'uomo che sidenuda delle immagini, l'uomo che perviene al «senzaimmagine». L'«entbildet» di Suso corrisponde quindi al«bildlos» di Jung. Un uomo che fa un'esperienza senzaimmagine, ein bildloses Eriebnis, come scrive Jung nellalettera citata all'inizio, è un uomo che possiamo conve-

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nientemente connotare come «entbildet». (22) All'uomo«entbildet» Suso oppone l'uomo «gebildet», ovvero for-mato in Cristo, uomo che diventa «ùberbildet», ovverotrasformato in Dio. È chiaro che qui il significato deltermine «Bild», immagine, s'estende a quello di «forma».Appaiono anche evidenti, per quanto non possiamo almomento sostare in questa evidenza, le relazioni profon-de che legano tale immaginale declinazione della misticarenana al concetto gnostico valentiniano di «mòrphosis»,termine che significa «formazione» e col quale si indica ildestino di elezione dell'uomo pneumatico. Sarà anche ilcaso di ricordare, a questo riguardo, che Jung pensavaall'individuazione in termini, appunto, di formazione.Ancora più stringente appare il confronto dell'espressioneimpiegata da Jung con i testi del teologo e misticofiammingo Ruusbroec, anch'egli influenzato da MeisterEckhart. I testi di questo autore esibiscono una riccadeclinazione linguistica del «senza immagine». Intanto èimpiegato da Ruusbroec l'esatto equivalente olandese deltedesco «bildlos»: «beeldeloes». All'aggettivo, poi,Ruusbroec fa corrispondere il sostantivo «ongebeeltheit»che il suo traduttore latino, Surius, rendeva con «nuditas»o anche «imaginum denudatio». Allo stesso modo diSuso, che parlava di uomo «entbildet» anche Ruusbroecconosce il verbo «ontbeelden» cui oppone «verbeelden»che significa «riempire d'immagini» e, soprattutto l'espres-sione «wederbeelt werden» che sta a significare l'essereriassorbiti nella nostra eterna immagine che è Dio. (23)Giunti a questo punto sarà opportuno chiederci che ge-nere di esperienza ci venga riferita da chi ha potutogodere del «senza immagine». Cosa hanno visto, adesempio, i mistici che sono pervenuti a quel regno inim-maginabile per definizione? E si può legittimamente parla-re d'un «vedere» una volta che a quel regno si è guada-gnato l'accesso? E, ancora, si può parlare d'un «vedere»nonostante lo si dichiari intraducibile in un «dire»? Ledomande ci consegnano a un confronto con quella cheviene detta «teologia negativa». Il regno del «senzaimmagine» è un regno di negazione. In esso, propria-mente, siamo negati. È allora possibile e secondo qualimodalità dimorare là dove siamo negati?

(22) Enrico Suso, Vita 11.49

(23) Jan van Ruusbroec,«Samuel sive Apologià» inOpera Omnia, ContinuatioMedievalis CI, Turnhout,1989 (1981), pp. 156-7, e«De septem custodiis» inOpera Omnia, ContinuatioMedievalis Cll, Turnhout,1989, pp. 117 e 163.

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Un'esperienza di negazione, nel senso che stiamo cer-cando di esplicitare, appare indubbiamente quella occor-sa a San Paolo sulla via di Damasco e raccontata negli«Atti degli Apostoli» (AT 9. 3-8), C'è un particolare diquella esperienza, esperienza alla quale Jung forse siriferisce, sebbene indirettamente, nella lettera a JamesKirsh, sul quale ha diretto la sua attenzione Eckhart inuno dei suoi sermoni tedeschi. (24) Avvoltoimprovvisamente da una luce proveniente dal cielo,raccontano gli «Atti», Paolo cadde a terra e rialzatesi, perquanto tenesse gli occhi aperti, non vedeva nulla. Eckhartsostiene che la «piccola» parola «nulla» ha quattrosignificati. «Nulla», intanto, significa Dio: «non vedevanulla» significa «vedeva Dio». «Nulla» significa inoltre«null'altro che>>:Paolo non vedeva null'altro che Dio. «Nulla», continuaancora Eckhart, significa anche che Paolo non vedeva intutte le cose «null'altro che Dio». Infine, secondo il quartosignificato sostenuto da Eckhart, Paolo, allorché vide Dio,vide tutte le cose come nulla. Paolo, possiamo essernecerti, ha dimorato nell'improvviso regno del «senzaimmagine» e in esso non ha visto nulla. «Nulla» ci apparedunque una prima risposta agli interrogativi che ci siamoposti insieme a Jung sul «che» del «senza immagine».Possiamo, anzi, formulare una ipotesi circa un quintosignificato da aggiungere ai quattro rinvenuti da Eckhartnella sua interpretazione del menzionato passoneotestamentario. Il termine «ipotesi» conservava talora,nei primi secoli dell'eone cristiano, nel secolo ad esempiodi Origene, il significato dispregiativo di «favola», «mito».Gli eretici, dunque, in special modo gli gnostici, eranoconsiderati formulatori di «ipotesi» nel senso di inventoridi favole. Non mi sembra che questa accezione del ter-mine «ipotesi» meriti disprezzo. La favola, allora, se nonl'ipotesi, o meglio la fantasia «senza immagine» che vo-glio proporre è la seguente: oltre il regno della mediazio-ne immaginale non c'è, propriamente, nulla. Intendo nullanella sua letteralità, per quanto mi renda perfettamenteconto che per noi nulla è la letteralità del nulla e nonintendo «immagini» nel senso «oggettivante» di Aristote-le. Il mondo immaginale costituisce il nostro unico quadroe in esso le immagini sono i nostri pittori. È dunque al

(24) M. Eckhart,Sermoni Tedeschi 71.

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«senza immagine» della mistica che può essere riferitaquella che per Heidegger è la domanda per eccellenzadella metafisica, la domanda che si interroga sul nulla eche suona:

«perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?» (25)

Si tratta d'una domanda che, a dispetto della sua eccel-lenza o fondatività, non può essere posta dal punto divista dell'immagine. Se però l'immaginale corrispondeintegralmente al fondo, allora è solo dalla parte dell'im-magine che si dispongono sia l'essente che il nulla. Sedell'altro canto appare «facile» comprendere la relazionedell'essente con l'immagine, impervia a buon diritto cisembra quella dell'immagine col nulla. In qualche modo,in un modo che non sa ancora farsi manifesto, dobbiamoquindi presumere che ogni immagine trascini il suo nulla.È forse questo trascinamento che nell'interiorità d'ogniimmagine hanno visto o forse sentito pulsare i mistici?Possiamo tentare una risposta a questo interrogativoponendone un'altro: cosa vedevano gli esicasti?Avvalendosi d'un passo dell'«Apocalisse» (AP 2. 17)Bonaventura da Bagnoregio, nel testo mistico per eccel-lenza del medioevo, l'«ltinerario dell'anima a Dio», so-stiene che nessuno conosce lo stato mistico all'infuori dichi lo riceve. (26) Si tratta a suo modo d'una obiezionealla disamina junghiana dell'esperienza mistica. L'espe-rienza mistica è reale a dispetto della sua indicibilità. Maqual'è il modo, se c'è un modo, di questa realtà? Certo,dal punto di vista del mistico non serve affermare che ladicibilità è una funzione dell'immaginale. Dal punto di vistadel mistico l'indicibilità non costituisce necessariamenteun problema ne tantomeno suona come un'obiezione. Èbene comunque, rammentare che nell'altro testo misticoeccellente del medioevo, il «Paradiso», l'«alta fantasia»viene a mancare a Dante soltanto alla fine dell'ascesa e incoincidenza d'un «fulgore» che percuote la sua mente.(27) La luce sembra in altri termini costituire un limitedell'immaginale. Due appaiono dunque le risposte al«che» del «senza immagine»: il nulla e la luce. È la luce,appunto, a ricondurci agli esicasti. Sulla natura della loroesperienza spirituale sorse nella prima

(25) Martin Heidegger, Intro-duzione alla Metafisica, Mur-sia, Milano, 1972 (1968),p.13.Martin Heidegger, «Che co-s'è metafisica?» e «Dell'es-senza del fondamento» inSegnavia, Adelphi, Milano,1987.

(26) Bonaventura da Bagno-regio, Itinerario dell'anima aDio 7.4.

(27) Dante, Paradiso XXXIII.140-142.

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(28) Dionigi Areopagita,Nomi divini 1.4.

(29) Dionigi Areopagita, Ge-rarchia Ecclesiastica Vl.3.2.

metà del XIV secolo una controversia tra un monacocalabrese, Barlaam, e un teologo bizantino, GregorioPalamas. Barlaam, che fu anche maestro di greco diFrancesco Petrarca, metteva in discussione l'ortodossiadei metodi di preghiera e dei risultati con essi conseguitidai monaci. Sostenendo l'inconoscibilità di Dio, infatti, egliriteneva infondata la pretesa avanzata dai monaci divedere, durante la preghiera, la luce della divinità, la lucetaboritica, quella stessa che sul monte Tabor, appunto,secondo quanto è narrato nel «Vangelo secondo Mat-teo» (MT 17. 2), ebbero modo di contemplare gli apostolidurante la trasfigurazione di Gesù. Come poteva il Dioinconoscibile, obiettava Barlaam, abbassarsi fino allapercezione umana? La visione di Dio non derivava forsedall'immaginazione dei monaci? E non si ripetono qui, inparte, le obiezioni avanzate da Jung nella sua lettera aJames Kirsh? Palamas, nella sua vincente difesa dell'or-todossia esicastica, ha buon gioco nel citare l'affermazio-ne contenuta nella «Prima lettera di Giovanni» (1 GV 1.5) secondo cui

«Dio è la luce»

o a rimandare all'interpretazione che lo pseudoDionigi dadel passo tratto dalla «Prima lettera ai Tessalonicesi»(1TS 4. 17), il cui «sacro detto»

«saremo sempre col Signore»

viene appunto riferito alla trasfigurazione. (28) Ma chesignifica per noi l'accadere di Dio come la luce? E soprat-tutto come va interpretato il fatto che l'esperienza illumi-nativa degli esicasti anticipa e anzi realizza nel tempopresente l'evento escatologico cui si riferisce il citatopasso paolino che pure quell'evento riferisce allaresurrezione? La realizzazione al presente nondestituisce forse l'urgenza escatologica? Rispetto aquanto afferma lo pseudoDionigi nel suo scritto«Gerarchla Ecclesiastica», e cioè che è la rinunciaall'immaginazione a significare la perfettissima filosofiadei monaci, (29) voglio porre un'ulteriore domanda eproporre un'ulteriore fantasia «senza immagine». Ladomanda suona: dove condurrebbe, se

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ciò fosse possibile, il trapassare quella luce che disegna-va la gioia nel volto abbandonato degli esicasti? La fan-tasia risponde: quella luce è un limite, noi possiamo in-tenderla come il fondo ultimo del mondo immaginale, valea dire ciò che gli consente di tenere. Non si trova forsescritto in Aristotele che «phantasìa», cioè «immagina-zione», ha tratto il suo nome da «phàos», ovvero «luce»?(30) È lecito chiamare Dio il tenersi del mondo immagi-nale ed è altrettanto lecito pensare che oltre quella luceritornino a danzare le immagini che credevamo d'essere!lasciate alle spalle. «Dio è luce», continua la fantasia«senza immagine», significa appunto questo, che ilmondo immaginale è adesso e non se ne da un altro. Leimmagini non rimandano ad altro: comprese, se si vuole,tra il nulla e la luce e forse dovremmo dire «tra il nulla o laluce», esse solo rimandano ad altre immagini. Così èpossibile interpretare quanto del Signore dice Agar in unosplendido passo della «Genesi» (GEN 16. 13):

«Tu sei il Dio della visione».

La visione, scriveva Agostino nella «Esposizione suiSalmi», (31) è la ricompensa totale e di questo passo sisarebbe ricordato Eckhart nel commentare ES. 33. 13.(32) Le affermazioni di Agar e Agostino sembrano inqualche modo sostenere la nostra fantasia. La quale,certo, rimane godibilmente indimostrabile. Non più indi-mostrabile, comunque, dell'esistenza di Dio. A cos'altrocorrispondono, del resto, le cosiddette prove dell'esisten-za di Dio se non ad altrettante fantasie di teologi e fi-losofi?«Di fantasia è fatta tutta la nostra esperienza» si trovascritto in una poesia di anonimo inglese del XIV secolo.(33) «Fantasia» significa in quel distante testo «illusione».«Illusione», però significa per noi «entrata», entrata in ungioco. «Tutto il mondo» ripete ogni strofa del testo «passacome una fantasia": è forse in quel transito che ritroviamoil senso delle obiezioni mosse da Jung al «senzaimmagine»? Una indiretta conferma di quelle obiezioniviene dagli stessi resoconti di esperienze mistiche fornitida autori che sostengono il punto di vista «senzaimmagine». Racconta ad esempio Bonaventura

(30) Aristotele, De Anima429 A.3-4.

(31) Agostino, Esposizionesui Salmi 90.2.13.

(32) Eckhart, Expositio libriExodi 274.

(33) «I wolde witen of sumwis wight» in Medieval En-glish Lyrics, edited with anintroduction and notes byR.T. Davies, Faber andFaber, London, 1975 (1963),pp. 127-130.

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(34) Bonaventura daBagnoregio, Itineraridell'anima a Dio 7.3.

(35) M. Eckhart, SermoniTedeschi 69.

(36) Ludwig Wittgenstein,«Tractatus logico-philosophicus» 6.45, inL.W., Tractatus logico-philosophicus e Quaderni1914-1916, Einaudi, Torino,1974, p. 81.

(37) Aristotele, De Anima403A.9.431A.17.

(38) Pietro Pomponazzi,Tracfatus de immortalitateanimae, Nanni & Fiammen-ghi, Bologna, 1954.

da Bagnoregio che al beato Francesco, preso da rapi-mento estatico, apparve un Serafino. (34) Se il rapimentoestatico si «realizza», si «presentifica», come in questocaso, nell'immagine angelica, perché dovremmo pensareche quella immagine rimandi ad altro invece che, as-solutamente, a se stessa? Emerge forse qui il nodo ra-dicale della questione concernente i rapporti tra psico-logia e mistica così come appaiono delinearsi nella letteradi Jung. Se la psiche è immagine, che relazione puòsussistere tra questo punto di vista e quello della misticache vuole il rimando dell'immagine al «senza immagine»?Ora, è proprio Eckhart, il più grande mistico d'occidente,a sostenere, in questo caso, il punto di vista di Jung. Perquanto riguarda il rapporto tra immagine e immagineoriginaria Eckhart nega che si possa riconoscere alcunadifferenza. (35) Afferma quindi in uno dei passi piùvertiginosi dell'intera letteratura occidentale, che sescomparisse l'immagine formata secondo Dio, anchel'immagine di Dio se ne andrebbe. In questo andarsenedell'immagine di Dio rinveniamo forse l'esito ultimo del«senza immagine»? Non sosteneva forse Wittgensteinche il «mistico» è sentire il mondo come tutto limitato?(36) I sintagmi «senza immaginazione» (in greco: «àneuphantasìas») e «senza immagine» (in greco: «àneuphantàsmatos») occorrono, in un senso diametralmenteopposto all'asintagmatico «senza immagine» dei mistici,nel «De Anima» di Aristotele. (37) L'operazione dell'intel-letto è immaginazione, scrive Aristotele o non è senzaimmaginazione; l'anima, poi, non pensa mai senzaimmagine. Qui non ci interessa tanto approfondire leragioni del testo aristotelico quanto prendere in conside-razione il commento che dei passi citati ha fornito PietroPomponazzi, il più insigne dei filosofi aristotelici rinasci-mentali, nel «Trattato sull'immortalità dell'anima» stam-pato nel 1516. (38) Questo autore, come vedremo ciappare almeno entro certi limiti anticipare, se non propriole tesi sostenute da Jung, la sua impostazione di pensie-ro. Intanto l'affermazione secondo la quale senza imma-gine non si da conoscere è riferita all'esperienza e vieneridefinita da Pomponazzi nell'altra che sostiene aver l'uo-mo sempre bisogno dell'immagine. Che l'uomo abbia

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sempre bisogno dell'immagine connota, in special modo,la sua condizione di inseparabilità dalla materia. Ciò si-gnifica che l'operazione dell'intelletto non può aver luogoseparatamente dal corpo. (39) Pomponazzi sostiene, inaltri termini, l'identità dell'anima intellettiva con l'animasensitiva. È questa identità a consentire l'accesso alla tesicentrale del testo, tesi che vuole l'anima mortale per suanatura e immortale in un certo modo. (40) L'immagineviene legata alla mortalità e, per così dire, all'empiriadell'esistere, laddove il «senza immagine» (nel testo la-tino: «sine phantasmate») è proprio delle eterne essenze.Esse, scrive Pomponazzi, sempre gioiscono perchésempre conoscono e per conoscere non hanno bisognodell'immagine. Di converso gli uomini conoscono perpochissimo tempo e per pochissimo tempo gioiscono, essinon possono separarsi dall'immagine perché conosconosolo nella misura in cui sono mossi. Ora, spiegaPomponazzi, ciò che muove l'intelletto è, appunto, l'im-magine:

«Movens autem intellectum est phantasma.>> (41)

Quello dell'immortalità dell'anima, infine, è considerato daPomponazzi un «problema neutro». «Neutro» sta qui asignificare che non può essere addotto alcun ragiona-mento naturale per dimostrare l'immortalità o la mortalitàdell'anima. (42) Nell'ambito, dunque, dell'esperienzaumana, il «senza immagine» è un impossibile. Del resto,se è vero che, per Pomponazzi, l'immortalità dell'animacostituisce un articolo di fede, è anche vero che la vitamorale dell'uomo risulta maggiormente salvaguardata colsostenere la mortalità dell'anima. Le posizioni di Eckhart ePomponazzi sembrano in qualche modo riaffacciarsi nellatesi di Jung secondo cui qualsiasi cosa l'uomo concepiscacome Dio è un'immagine psichica. In una lettera inviata aJoseph Goldbrunner in data 14 Maggio 1950 Jung arrivaa sostenere quanto segue:

«Qualsiasi cosa un uomo concepisca come Dio è un'immagine psichicache rimane immagine anche se egli dichiara mille volte che immaginenon è. Se non lo fosse, egli non sarebbe assolutamente in grado diconcepire alcunché. Ecco perché Meister Eckhart giustamente dice cheDio è puro nulla.» (43)

(39) Pietro Ponponazzi,Tractatus deinmortalitate animae, op.cit., cap. IV, p. 50

(40) Ibidem, cap. IX, pp.104-105.

(41) Idem, cap. IX, p. 130sgg.

(42) Idem, cap. XV, pp. 232-233.

(43) C.G. Jung, Briefe, op.cit., vol. Il, p. 189.

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(44) Arthur Schopenhauer,«Supplementi al Mondo comeVolontà e Rappresentazione>>,cap. 31, in // mondo comeVolontà e Rappresentazione,Mondadori, Milano, 1989, p.1233.

La tesi secondo cui l'uomo non sarebbe in grado di con-cepire nulla che non sia immagine richiama molto da vici-no, come si può ben vedere, il commento di Pomponazziai citati luoghi dell'aristotelico «De Anima». In un certosenso potremmo ravvedere nella tesi schopenhauerianadel «mondo come mia rappresentazione» un idealeanello di congiunzione tra filosofia rinascimentale epsicologia analitica. Del resto appartiene allo stessoSchopenhauer l'affermazione secondo la quale «ognipensiero originale procede per immagini». (44) IIsignificativo richiamo a Eckhart può dar luogo a più d'unainterpretazione. Jung intende certamente sostenere cheDio, per così dire, tace fino al momento in cui l'uomo nonne concepisce un'immagine. Non si tratta dunque dimettere in dubbio l'esistenza divina. Se il mondo, perJung, è la mia psicologia, allora si potrà tutt'al più metterein dubbio l'esistere di Dio «per me». Ma quando Eckhartafferma che, qualora scomparisse l'immagine formatasecondo Dio, anche l'immagine di Dio se ne andrebbe,sta forse sostenendo lo stesso punto di vista accolto daJung? Qualunque sia la nostra risposta è indubbio cheJung pensava di sì.S'è detto, in riferimento alle posizioni sostenute dal filo-sofo aristotelico rinascimentale Pomponazzi, che esisteuna relazione positiva tra tesi della mortalità dell'anima evita morale del singolo. Se, dunque, la mortalità dell'ani-ma è così strettamente legata all'immagine, dovremmoconcluderne, ma si tratta d'una conclusione che sa piut-tosto di apertura, che una relazione positiva sussisteanche tra vita morale e immagine. Ora, il sussistere d'unarelazione del genere è appunto negato da un altro so-stenitore del «senza immagine», il filosofo occasionalista,seguace di Agostino e Descartes, Nicolas Malebranche.Ciò che preliminarmente interessa di quest'autore risiedenel fatto che egli prende in esame l'essere dell'imma-ginazione non soltanto nei suoi scritti più propriamentefilosofici, il «De la Recherche de la Verité», per citare ilpiù celebrato, ma anche in quelli teologici o morali, le«Conversations Chrétiennes», tra gli altri, gli «Entretienssur la Métaphysique et sur la Religion» e, per quello chequi più direttamente concerne il nostro discorso, il «Trai-té de Morale». È nel trattato sulla morale, ad esempio,

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che significativamente questo autore distingue ben novediversi tipi di immaginazione. (45) Ora, la relazione tramorale e immaginazione, che pure acquista un segnoprepotentemente negativo nell'opera di Malebranche, noncostituisce affatto un dato acquisito nella storia del pen-sare d'occidente. Come interpretare ad esempio il fattoche Kant parli di immaginazione nella «Critica dellaRagion Pura» e non nella «Critica della Ragion Pratica?»Possiamo ipotizzare che a ridosso di questa tacitaopzione kantiana si collochi tutta una tradizione dipensiero portata a considerare l'immaginazione unafacoltà strettamente intellettuale e ad approdare, infilosofia pratica, anche in virtù d'un tale «pregiudizio», asoluzioni d'intellettualismo etico. A tale soluzione approda,tra gli altri, Christian Wolff che dedica numerose e notevolipagine alla «facultas imaginandi» e alla «facultasfingendi» nei suoi scritti di psicologia. Wolff esercitò unanotevole influenza su Kant e uno dei suoi discepoli, MartinKnutzen, fu maestro del grande filosofo critico. Nel secolodi Malebranche, a ulteriore testimonianza dellapregiudizievole tendenza intellettualizzante nei confrontidell'immaginazione, ci fu anche chi propose di sostituire ilplurale «immaginazioni» con l'altro «pensieri». (46) NelXII secolo il filosofo ebraico Mosé Maimonide avevatematizzato a suo modo la non suscettibilità eticadell'immaginazione. Egli giunse a tale conclusioneperseguendo il modello delle «parti dell'anima», parti checorrisponderebbero al numero di cinque: nutritiva,sensitiva, immaginativa, appetitiva, intellettiva. SecondoMaimonide trasgressioni e obbedienze unicamentetroverebbero attuazione nelle parti «sensitiva» e«appetitiva», laddove ne la parte «nutritiva», ne quella«immaginativa» si dimostrerebbero suscettibili diobbedienza o di trasgressioni. Ciò avviene perché ne ilpensiero, ne la volontà sono in grado di esercitare su diesse alcun effetto. L'uomo insomma non sarebbe ingrado, mediante la sua volontà, ne di annullare la loroazione, ne di limitarla, ne tantomeno di darle unadirezione. Le virtù etiche si troverebbero soltanto nellaparte appetitiva dell'anima e, sostiene Maimonide:«quanto alle parti nutritiva e immaginativa, non si può usare a lororiguardo ne il termine virtù, ne quello di vizio.» (47)

(45) Nicolas Malebranche,«Traité de Morale», in Oeu-vres Complétes, Tome XI,Librairie Philosophique J.Vrin, Paris, 1966, pp. 137-138.

(46) F. Brunot, Histoire de lalangue française III.I,Armand Colin, Paris, 1966,p. 146.

(47) Mosé Maimonide, Gli«Otto Capitoli» capp. primo esecondo, Carucci, Roma,1983, p. 9 sgg.

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(48) Nicolas Malebranche,«Conversations Chrétien-nes», in OeuvresComplétes, Tome IV,Librairie Philosophique J.Vrin, Paris, 1959, pp. 161,176, 206 etc.

(49) Nicolas Malebranche,«Entretiens sur la Métaphysique etsur la Religion», in OeuvresComplétes, Tomes XII-XIII,Librairie Philosophi-que J. Vrin,Paris, 1965 pp. 30, 31, 126.Nicolas Malebranche, «Traité deMorale», op. cit., pp. 135, 144.Nicolas Malebranche, «De laRecherche de la Verité», inOeuvres Complétes, Tome I,Libraire Philosophique J. Vrin,Paris, 1962, p. 490.

(50) Marco Aurelio, A se stesso,VII.29

In conclusione, dunque, Maimonide nega all’ “immaginati-va" ogni orizzonte di moralità collocandola in uno spazioper così dire neutro. Con Malebranche la vita morale, lalibertà dello spirito, si dispone in modo antitetico rispettoall'immaginazione. L'espressione che nel lessico di que-sto filosofo corrisponde al «senza immagine» di cui si faquestione in queste pagine è

«purezza dell'immaginazione».

Malebranche si mostra deciso su questo punto: perché cisi renda capaci di perfezione spirituale occorre vegliareincessantemente sulla «purezza dell'immaginazione».(48) Cosa significa «purezza dell'immaginazione»? Dalmomento che l'immaginazione è una folle che gioca afare la folle, dal momento che è signora d'inganni, peri-colosa avversaria della verità e maligna nemica della«superiore» regione, occorrerà esercitarsi, per così dire,a non esercitarla, si dovrà evitare di ascoltarne le voci odi assecondarne i moti proteici. La «purezza dell'immagi-nazione» consisterà allora, per usare la forte espressionedi Malebranche, nel «farla tacere». I suoi testi ripropon-gono a più riprese appunto questa frase «senza immagi-ne»: «far tacere l'immaginazione». L'uomo inferiore, l'uo-mo compiutamente morate, così come lo pensa Male-branche, sarebbe dunque in grado di comandare il silen-zio alle immagini. (49)Se è vero che non esiste metalinguaggio, che è vana lasperanza d'un linguaggio dei linguaggi, è anche vero chequesti, i linguaggi, si rincorrono e godono del continuotraslare delle parole. L'infinito imperativo di Malebranche,«far tacere l'immaginazione», appare in qualche modo lariedizione dell'aneìdolos dei cristiani d'oriente, del «senzamediazione» o del «distacco» di Eckhart,dell'«ontbeelden» di Ruusbroec o dell'«entbildet» diSuso, della «denudatio» del traduttore latino del misticofiammingo, del bildlos che riappare nella lettera di Jung.E ancora altri imperativi a questi analoghi si rincorronosullo sfondo del «senza immagine». L'imperatore stoicoMarco Aurelio scrisse per esempio «eksàleipson tènphantasìan» che significa

«cancella l'immaginazione». (50)

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I Padri greci avrebbero usato il sostantivo corrispondente«eksaìlepsis» per connotare la cancellazione del peccato.Nel passaggio dagli stoici ai cristiani, dunque, imma-ginazione e peccato convergono su un medesimo oriz-zonte. Ne in esso poteva mancare di celebrarsi l'altra fortecomponente «pagana» del cristianesimo: la componenteneoplatonica. Più del citato passo di Giamblico ci apparedegno di considerazione un luogo delle «Enneadi» diPiotino. L'imperativo impiegato da Piotino, «àphele»,significa, ancora una volta, «togli», «rimuovi», «sopprimi»,«cancella». Oggetto di questa deradicante operazione èanche qui l'immaginazione, l'immaginazione che ci faentrare e ci mantiene nell'illusione di credere alla realtà digenerazione e corruzione, estensione e materia. (51) Sulmedesimo solco neoplatonico-cristiano Agostino avrebbeinsegnato a Petrarca che, per accedere agli arcani di Dio,occorre cancellare le immagini. «Eradenda fantasmata»suona la risposta di Agostino al poeta che, sconvolto daimolteplici impulsi del corpo, si duole di non esser natoinsensibile, un immobile macigno. (52)Un imperativo analogo ai precedenti è quello dettato colnome di «demitizzazione» in tempi a noi prossimi dalteologo protestante Bultmann. (53) «Demitizzazione» sidice in tedesco «Entmythologisierung». «Entmythologi-sierung» continua a suo modo la storia dell'«entbildet» diSuso, dell'«ontbeelden» di Ruusbroec e, in generale, del«bildios» riapparso nella lettera di Jung. Se «Bild» è«immagine», e se il prefisso «ent-» sta a significare iltoglimento dell'immagine, se «mito» è «immagine», qualiimmagini o quali miti sono tolti nella demitizzazione bult-manniana e in cambio di cosa o in direziono di qualeluogo? L'esigenza della demitizzazione, così come è stataformulata da Bultmann, riguarda le «immagini» del NuovoTestamento e si troverebbe già proposta al suo interno inPaolo e soprattutto in Giovanni. Sostiene Bultmann che laraffigurazione neotestamentaria dell'universo è mitica e inquanto tale risulta non più credibile per gli uomini d'oggidal momento che per essi la visione mitica è ormaidissella per sempre. L'immagine mitica del mondonasconde la vera intenzione del mito che è quella di

(51) Piotino, Enneadi, V.8.9.

(52) Francesco Petrarca,«De secreto conflictucurarum mearum» in Opere,Mursia, Milano, 1975(1963),pp. 584-586.(53) R. Bultmann, Nuovotestamento e mitologia,Queriniana, Brescia, 1985(1970).

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parlare all'esistenza dell'uomo. In considerazione di ciòoccorrerà allora togliere il mito, il velo del mito, per ac-cedere al significato. L'operazione «negativa» del«demitizzare», dunque, precede quella «positiva» dell'in-terpretazione esistenziale». Cosa occorrerà togliere peraccedere in questo «luogo positivo»? Il luogo in cui sidecide «senza mediazione» per la propria salvezza?Occorrerà togliere, ad esempio, gli spiriti e i demoni, imiracoli, gli angeli, l'inferno, l'incarnazione, l'ascensione,la resurrezione. Tutto ciò è appunto mediazione e solo haimportanza in quanto rimanda, in virtù della sua inten-zionalità, a un nucleo significativo non ulteriormente ridu-cibile e che va svelato. Anche in questo caso le immagininon hanno valore di per sé ma unicamente in quantorimandano ad altro. Un altro grande teologo protestante,Bonhoeffer, criticò a più riprese la «demitizzazione» diBultmann. Stigmatizzò come riduttivismo di stampo libe-rale la riduzione essenziale operata da Bultmann, affer-mando che Dio non va pensato a prescindere dal mira-colo e che il mito rimane problematico al pari del concettoreligioso. Il mito non è veste d'una verità altra, non«rimanda a», ma corrisponde alla cosa stessa. (54) Ècurioso che nella stessa lunga lettera in cui critica lanozione bonhoefferiana d'una «fede senza religione»,Jung formuli contro la demitizzazione obiezioni in partesimili a quelle mosse da Bonhoeffer. Così come Bon-hoeffer aveva sostenuto che il mito è la cosa stessa,Jung afferma che anche il «credente senza religione»non può fare a meno del mito, che la religione, per cosìdire, è la cosa stessa. La nozione d'una «fede senzareligione» è considerata da Jung quale logica conse-guenza della proposta bultmanniana. Nel «senza religio-ne» noi potremmo avvertire un'eco del «senza immagi-ne», e non è dunque affatto casuale che Jung riesamininella stessa lettera appunto la questione dell'«esperien-za senza immagine» per ribadire quanto già abbiamoappreso. Secondo Jung, infatti,

«siamo in grado di avere una conoscenza immediata soltanto di ciò cheè psichico, per quanto possiamo esser sicuri che la nostra esperienzasenza immagine sia consistita in un fatto 'oggettivo' - un fatto che,comunque, non potrà mai essere provato.» (55)

(54) D. Bonhoeffer,Resistenza e Resa,Lettere e scritti dalcarcere, ed. Paoline,1988, pp. 354-355, 402.

(55) C. G. Jung, Briefe,op. cit., lettera del12/2/59.

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L'uomo moderno può anche cercare con tutte le sue forzedi attingere a una esperienza senza immagine, obiettiva inmodo assoluto, vale a dire in modo sciolto da ognicontingenza, un modo «senza modo», ma sottolineaJung, a meno che non aspiri a diventare un profeta, eglidovrà comunque concludere che, a dispetto della numi-nosità di quanto ha esperito, si tratterà pur sempre d'unaesperienza soggettiva. Esperienze del tipo cosiddetto«senza immagine» appartengono alla natura stessa dellapsiche, a prescindere dal «Dio causativo» al quale essepossano essere attribuite. Quanto Jung sostiene ci sem-bra dimostrato dallo stesso linguaggio impiegato daimistici, linguaggio che non casualmente si ripete simileallorché perviene ad affrontare i punti nodali. Il «senzaimmagine» è dunque un impossibile. Impossibili allostesso modo sono il «senza religione» e il «senza mito».Ai teologi che iniziano a demolire il mondo del mito senzaproporre un linguaggio alternativo in suo luogo, Jungrisponde che un'interpretazione più orientata psicologica-mente è non solo in grado di salvare il mito cristiano dalpericoloso naufragio che lo minaccia ma s'impone comenecessaria alla nostra coscienza. La psicologia dunque èin condizione secondo Jung di garantire la continuazionedel cristianesimo, nella misura in cui s'è resa capace dioffrire una risposta «filologica», vale a dire un nuovo lin-guaggio, laddove la teologia rischia in breve tempo di di-ventare il luogo d'una dissoluzione senza nuovo inizio.Quello proposto dalla teologia a lui contemporanea nonsembra dunque a Jung un linguaggio alternativo allaminacciata dissoluzione del mito cristiano. Appare indub-bio comunque che la risposta di Bultmann sia una rispo-sta concernente il presente. A partire da Paolo, e soprat-tutto da Giovanni, sostiene Bultmann, la comprensionedell'escatologia, vale a dire di ciò che concerne le coseultime, è stata elaborata come evento presente. (56) Ora,secondo me, è appunto sul piano del presente che de-vono essere affrontati i problemi cosiddetti «ultimi». Nonpossiamo in altri termini consentirci l'abusato lusso diidentificare il bene con la storia. Nel rapporto tra cose pe-nultime e ultime sono, contrariamente a quanto affermaBonhoeffer, (57) le penultime a illuminare le ultime. La ri-

(56) R. Bultmann, Storia edEscatologia, Queriniana,Broscia, 1989, p. 63.

(57) S. Bonhoeffer, «Le coseultime e penultime», in Etica,Bompiani, Milano, 1983.

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duzione essenziale del messaggio neotestamentario, la«denudazione» delle sue immagini, ha consentito a Bult-mann di rinvenirvi il significato «ultimo»: l'ingiunzione aogni uomo di decidere per la propria salvezza. La salvez-za significata nell'espressione «Regno di Dio» è salvezzaescatologica, in essa termina la realtà come la conoscia-mo. Il Regno di Dio, infatti, non potrebbe mai realizzarsinella storia. La salvezza cui l'uomo è chiamato esige dalui la decisione adesso. Gesù, afferma in modo recisoBultmann, non chiama all'interiorità, ma alla decisione, ene l'anima, ne i valori, ne un qualche concetto di moralitào di progresso etico appartengono al suo messaggio. (58)Tale risoluzione dell'esistenza in un progetto assoluto,come si può ben capire, taglia corto con ogni etica deicontenuti. L'uomo è abbandonato a una solitudine «senzaimmagine» e vi è gettato adesso. Se adesso vi è gettato,anche adesso dovrà decidere. Ciò accade perché lariduzione dell'etica, conseguente alla riduzione im-maginale del «Nuovo Testamento», esclude ogni com-promissorio abbraccio con quella che Descartes chiama-va «moral par provision», vale a dire «morale d'attesa», o«morale provvisoria». Nella concezione di Descartes talemorale provvisoria è resa possibile dal fatto di ritenere lavolontà suscettibile di sottomissione alla ragione e dallacredenza che verità e bontà si costituiscano come criteriregolativi della vita umana. In Bultmann, al contrario, ilbene non corrisponde a qualcosa che l'uomo possarealizzare nella storia, ma s'identifica con la volontà diDio. Non resta nulla di quello che pure credevamo appar-tenere a un'«etica cristiana», non i comandamenti, adesempio, e neanche il comandamento dell'amore. Ciò cheresta è l'obbedienza del singolo alla volontà di Dio.L'adesso di quell'incontro di solitudine è per Bultmannsempre nuovo, eppure, se ci chiediamo in cosa consista ilsempre nuovo di quell'adesso, non sapremmo rispondere.Di fronte al «senza immagine» annega ogni risposta cosìcome ogni domanda. Ed è vano parlare della luce o delnulla. Secondo quanto afferma Jung nella letteraprecedentemente citata la solitudine dell'esperienzareligiosa costituisce una fase necessaria e inevitabile perchiunque cerchi l'esperienza essenziale, ovvero

(58) R. Bultmann, Gesù,Queriniana, Brescia,1984, pp. 31, 33, 41, 45,71-72.

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l’«esperienza religiosa primordiale». Questa fase, tutta-via, ha il carattere della transizione e chi ha dimorato inessa non sarà in grado di dimorarvi per sempre da solo.La ricchezza acquisita infatti pretenderà in qualchemodo d'essere comunicata e ciò avverrà attraverso illinguaggio, non un nuovo linguaggio, continua Jung, mauno che quell'esperienza precede da tempo pressochéimmemorabile, il linguaggio del mito cristiano.C'è un aspetto che va ancora sottolineato in merito allariduzione etica di Bultmann: il ribadirsi del suo rapportonegativo con l'immagine. Sembra essere un dato costitu-tivo di tutta la tradizione cristiana, e non solo cristiana,che abbiamo passato in rassegna: dove ci si propone undiscorso etico, ci si propone anche un discorso «senzaimmagine». Sembra insomma esservi inconciliabilità tra idue orizzonti. È dunque la vita con le immagini avulsadall'orizzonte dell'eticità? In Bultmann il «senza immagi-ne» s'accompagna addirittura alla soppressione, al«salto», dell'eticità. Ora, è appunto tale correlazione dinegatività che ci appare degna d'essere presa in consi-derazione. Se infatti proviamo a ribaltare l'assunto delteologo, ne ricaviamo che, contrariamente a quanto moltihanno sostenuto, è proprio la vita con le immagini aproporsi come eminentemente etica. Cos'è infatti l'eticase non un modo di raccontarsi dell'anima? E cosa sonole immagini se non i significanti dell'anima? Possiamolegittimamente ipotizzare, allora, che senza immaginenon è proponibile alcun discorso sull'etica. Soloimmaginando, dunque, viviamo eticamente. Il messaggioneotestamentario, contrariamente a quanto sostieneBultmann, si identifica, seguendo questa ipotesi, con isuoi momenti immaginali. Le immagini non sonoulteriormente riducibili dal momento che esse nonrimandano ad altro. Le immagini rimandano unicamentead altre immagini. La pretesa che le immagini rimandinoo che si contrappongano ad altro, alla verità, peresempio, al «senza immagine», a un nucleo essenziale,ha a che vedere con la possibilità del metalinguaggio,anzi, con la fede nel metalinguaggio. Gli antichi stoici,sostenitori del punto di vista, metafisico, delmetalinguaggio, possiedono a riguardo una bellissimaimmagine. Ripartita la filosofia in

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logica, fisica ed etica, la equiparano a un campo fertile:il frutto corrisponde all'etica, il terreno e le piante allafisica, e la siepe, che si dispone tutta intorno, allalogica. (59) L'etica è un luogo, dunque, al qualediventa possibile accedere attraverso la siepe deldiscorso. Il metalinguaggio ci si proporrebbe quindicome discorso della verità. Proviamoci invece apensare in un luogo nel quale non si dia più discorso diverità o discorso ideale. In questo luogo mediano,luogo psicologico per eccellenza, si fondono gliorizzonti della mistica e dell'etica. La psicologia sirivela infatti il loro comune terreno. E dico «terreno»nel senso di quella «fedeltà alla terra» di cui ha parlatoNietzsche. È nel distendersi della fedeltà alla terra,dunque, che si da fusione di orizzonti. E, del resto, il«senza immagine» non può forse considerarsi come illuminoso limite dell'immagine? E, ancora, in questorapporto tra penultimo e ultimo, tra immagine e «senzaimmagine», non è forse il penultimo a illuminarel'ultimo? Non si danno, infatti, ne pensiero, ne discorsosenza la mediazione immaginale. Se Descartespensava a una «morale dell'attesa», se in tempi a noivicini si è pensato a un morale del «frattempo», ciò èavvenuto in virtù d'un metafisico e dunque, dovremmodire, proiettivo rimando al dopo. Perché quel frattemponon dovrebbe comporre tutto il tempo?

(59) Diogene Laerzio,Vite dei filosofi VII. 40.